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Saturday, July 9, 2011

Fortunio, Gabriello: prima grammatica della lingua italiana

Luigi Speranza

Detto quanto a me par bastevole delli nomi, seguentemente parmi doversi dir delli pronomi, che gli representano.

REGOLA I.

La prima dunque loro regola sera, che questi pronomi,

egli
ei
questi
quei
quelli
altri. Regolarmente si pongono nel caso retto cosi del maggior numero, come del minore. delli dui primi nel minor numero non bisogna trascriver essempi, perche ripiena ne e la "Commedia" di Alighieri.

Ma perche di rado, nel maggior numero si ritrovano, non posporro di ritrarne alcuno. Dante nel can.10. Egli han quell’arte disse

[Nota1]

male appresa, et nel can. 4. dell’ infer. ei non peccaro, et poco poi

[Nota2]

chei si mi fecer della loro schiera, et nel can. 12. ei son tiranni. Dissi che regolarmente nel caso retto si ritrovano, perche si trovano anche ne li oblichi. Dante nel canto. 10. sopranotato, fatto il saper che fu perch’ io pensava, et nel canto 5. et per lo amor, chei mena. de gli altri, liquali pur hanno voce di maggior numero, che nel minore ancho si ritrovino, apparira nelli sottonotati essempi. Dan. nel can. 10. dell’inferno. Et come quei che con lena affannata, et nel canto 2. et qual e quei [Nota3] che disvuol cio che volle, et nel canto ottavo. Et disser [Nota4] va tu solo, e quei sen vada et cosi in altri luochi. Nel maggior numero trovasi nel can. preallegato, per quell’amor chei mena, et quei veranno,

Regola II

[…] La seconda Regola esser diremo, che questi pronomi,

lui
lei
loro
cui
altrui,

come persone agenti non si propongono a verbi operatione significanti: onde non si dira lei mi vide, lui mi disse; ma ella me vide, egli me disse. Et Antonio da Tempo nella interprettione [i.e.: interpretatione] del Son. 24. del Petr. incomincia[Nota5] , Fuoco era ad appressarse a gl’ occhi miei, nel terzo verso, che dice. Che come vida lei cangiar thesaglia, non bene ivi dechiara quel pronome in caso retto, dicendo lei, cioe quella luce, vide cangiar [Nota6] cioe arder thesaglia, intendendo della luce del Sole: il perche il Philelpho lo chiama sciocoho, interpretando egli poi piu scioccamente lei, cioe la Luna, sognandosi non so che d’ un sdegno di Madonna Lau. torbidando ogn’ hor piu il chiarissimo et elegante Son. del Poeta, ilqual apertamente dice, se puoco piu allui si appressava la lace [i. e.: luce] de gl’ occhi di Laura, si serebbe trasformato in Lauro, cosi come thesaglia vide cangiar lei, cioe in lauro, alludendo alla trasformatione di Daphne, et perche nella Canzon. 4 dica essersi trasfigurato in lauro al fin della seconda stanza, ove disse facendovi d’ huom vivo un lauro verde, che per fredda stagion foglia non perde; accio che dir non si potesse, che per le seguenti trasfigurationi di quella del lauro fosse mutata, dice che nel fin della Canz. ne per nuova figura il primo alloro seppi lasciar [Nota7] pero soggionge, che, se non si potesse trasformar in lauro, piu ch’ egli si sia, sarebbesi tramutato in alcuna delle pietre che nomina, et cosi lo intendimento è piano, et qual pronome lei e oblico caso[Nota8] . Come e ancho nel So. 153. che incomincia [Nota9] questa felice de laurata piuma, ove dice in fine. Fama nel adorato e ricco grembo D’ Aarabi [i. e.: Arabi] monti lei ripone et cela, che per lo nostro mar si altera vola: ov’ il Philelpho segnandosi allusato in queste interpretationi, pensa lei esser caso retto [Nota10] dicendo, che ’l poeta dir voglia, lei esser volata al cielo, riservata la sua pudicitia nel suo grembo, non essendo il vero senso, che come persona agente[Nota11] Laura celi. Ma che la fama celi lei, cioe nasconda questa fenice nel grembo de gli Arabi monti. et sara il sentimento tale, che [Nota12] come che per fama cioe per voce di ognuno si pica la fenice esser in Arabia, nel vero, nondimeno e volata alle parti nostre, comparando alla fenice Madonna Laura. medesimrmente [i. e.: medesimamente] questo pronome non e posto da Dante in caso retto nel Canto 21. del pur. ove si legge. Ma perche lei che di e notte fila [Nota13] non havea tratta a fine, ove la vera lettura e. Ma par colei che di e notte fila [Nota14] non gli era tratta a fine la conocchia, et cosi ho veduto scritto con penna in uno anticho libro di Dante, mostratomi dallo eccellentissimo iureconsulto, et non meno elegantissimo et giuditioso oratore et poeta messer Cornelio Castalio. Et cosi parmi quadrar bene il senso, senza violenza della grammatica. Disse di sopra tali pronomi non si proporre come persona operente a verbo, impero che io li trovo posposti in caso retto al verbo, in parlar ( massimamente ) ciproco, come si pone dal Petra. nel So. 63. ove dice, e cio che non e lei gia per antica usanza odia e disprezza, et da Dante nelli suoi conviti nella canzon che incomincia. Le dolci rime damor, chio solia, ove nella terza stanza dice. Poi che pinge figura chi non puo esser lei, non la puo porre, il Boccaccio nella giornata quinta, nella novella di Pietro Boccamazza, appresso il principio disse. Non essendosi tosto come lei, de fanti che venivano aveduto[Nota15] . E nella prima giornata nella novella d’ un monaco, a la fine: perche de la sua colpa se stesso rimorso, si vergogno di fare al monuco [i. e.: monaco] quello che egli, si come lui [Nota16] havea meritato. et nella .2. giornata, nella novella de Andreucio, intorno alla fine. Costoro che dallalra [i. e.: dall’ altra] parte erano si come lui [Nota17] malitiosi. Et nella giornata terza, nella novella di Thebaldo. Maravigliosi forte Thebaldo, che alcuno in tutto il somigliasse [Nota18] che fusse creduto lui. Ma essendo questi essempi molto rari [Nota19] piu volte io me ho avisato, che veramente la regola sia generale, et che solamente siano sempre oblichi, et quando altrimenti si trovan posti nelli nostri auttori [Nota20] quello procedere per colpa de scrittori o da stampa. Et lo essempio allegato del Pet. forse ne po far fede, che non parra sconvenevole a chi con occhio giudicioso mira, che legge cosi si debbia, et quel che non e in lei, gia per antica usanza odia e disprezza. Seguendo quel leggiadro dantesco sentimento nella Canzon che incomincia. Amor che nella mente mi ragiona, ove dice, gentil e in donna quanto in lei si trova, et tanto e bello, quanto lei somiglia. Et dove nella predetta canzone che dice. Chi non puo esser lei, dir si potra che dopo quello infinito [Nota21] essere, mise lo accusativo [Nota22] et non nominativo caso, come nella novella di Tebaldo detta disopra, nella quale ben che si legga in alcuni testi, si come io ho aduto lo essempio, io nondimeno ho cosi letto in uno testo antico, che fusse creduto esser lui, et non che fusse creduto lui, et cosi è posto il pronome nel quarto caso, come nella medesima novella poco piu oltre, ove si legge, Conoscendolo esser lui. A gli essempi del monacho, di Pietro Boccamazza, et di Andreuccio a me perebbe [i. e.: parebbe] poter dire (rispondendo) senza biasmo, gli teste esser corrotti. et giovami di credere, che si come nella novella gia detta di Andreuccio si legge piu presso al fine, Ch’ allhora veduti gl’ havesse male agevolmente haverebbe conosciuto chi piu si fusse morto o l’ arcivescovo o egli, cosi di sopra il Boc. lasciasse iscritto, erano si come egli maliciosi, et non lui [Nota23] et questa è la dritta grammaticale lettura, come ancho nella novella di Tophano, nella giornata. 7. si vide in cio la osservantia dello auttore, ove dice, Se io fosse nella via come è egli, et egli fosse in casa come son io, in fe di Dio chio dubito che voi non credesse ch’ egli dicesse il vero: ben potete a questo conoscere il senno suo. Egli dice appunto che io ho fatto cio che io credo, c’ habbia fatto egli. esso mi credete spaventare col gittare non so che nel pozzo, ma hor volesse Iddio ch’ egli vi si fusse gittato da dovero, et affogatosi, che il vino [Nota24] il quale egli di soverchio ha bevuto [Nota25] si fusse molto ben inaquato. Dove mi aviso [Nota26] che se in alcuno di questi lochi lui [Nota27] si havesse potuto dire senza errore, il Bocca. per schifare la multiplice et conculcata replicatione di medesime voci, ch’ alla oratione l’ ornamento diminuisce, detto l’ havrebbe. Et tali modi nelle opere sue infiniti si leggono, ma della trascrittione di quello essempio solo voglio esser stato contento, non posponendo pero di dire che dove nella novella di Pietro di Venziuollo, nella gior. 5. si legge, ch’ egli erano dell’ arte savie come ella fusse, se lei vi avesse senza error di grammatica potuto haver loco, penso che detto haverebbe, cosi savie come lei, onde la corretta lettura, nello essempio della novella del Boccamazza sara, si tosto [Nota28] com’ ella, de fanti non s’ havea aveduto; et non [Nota29] come lei. E del monacho si leggera [Nota30] ch’ egli, si come esso, havea meritato, et non [Nota31] come lui. et nella novella di Massetto da lampolecchio nella gior. 3. ove si legge. Elle non sanno delle sette volte le sei, ch’ elle si vogliano loro stesse [Nota32] in un antico libro, non gl’ ho veduta iscritta quella parola [Nota33] loro: il che assai piu a me piace, perche oltre ch’ egli serebbe posta contra la grammaticale norma [Nota34] non ritrovandosi in alcuna parte de gli auttori nostri se non in caso oblico [Nota35] vi sarebbe di soverchio, perch’ un solo pronome vi basta, come Dante nel Can. 9 dell’ infer. cosi disse il maestro et egli stesso mi volse, et nel Can. 12. et fe di se la vendetta egli stesso, dove egli esso stesso, bene non vi starebbe, et peggio [Nota36] egli lui stesso, tutto che alcun verbo vi fosse interposto; che tanto è dire, ch’ elle si vogliono loro stesse. Onde secondo la oppenione di colui [Nota37] che scrisse quel libro ( chi che si fusse ) et il giudicio mio ( qual che si sia ) leggeremo [Nota38] quello ch’ elle si vogliono istesse, et cosi la grammatica non sara violata, et il sentimento pur rimerra intiero, et al chiaro costrutto, ma non sanno quel che si voglano [i.e.: vogliano] elle stesse. Riportandomi pero sempre all’ originale libro, di mano dello auttore, overo ad essempio alcuno [Nota39] che d’ indi ritratto fusse. Perche tanta varieta ritrovo in quelli che sono venuti letti, che[Nota40] tutto che di antiquissimi ve ne siano stati, male agevolmente si puo discernere come lasciasse il suo facitor iscritto, se falce di giudicio non vi s’ interpone. Il che se non havesse fatto il dottissimo Hermolao Barbaro nelli Pliniani volumi, Plinio a mani nostre, come esser deve [Nota41] corretto, non sarebbe anchora forse pervenuto.

Regola III

La terza regola sara, che questi pronomi,

colui
costei
costoro
coloro
esto
esso
ello

con le lor feminili voci se pongono in tutti li casi de gli retti [Nota42] non vie dubbio, et massimamente nelli tre ultimi, liquali generalmente nel primo caso si trovano, come in molti simili alli pochi sequenti essempi si legge. Petrarcha nel Sonetto, ch’ incomincia. Quest’ anima gentil, che si diparte [Nota43] nel quarto verso, s’ ella riman fra ’l terzo lume e Marte, et nel vers. 11. et essa sola havra la fama, e il grido, et nel grido, et nel sequente verso, nel quinto giro non habitrebbe ella; et nel triompho della divi. quando cio fia nol so [Nota44] sassel propi essa. Dante nel canto. 18. dell’ inf. elle passo per l’ Isola di lenno, et nel canto I dell’ infer. esta selva selvaggia, et nel canto. 6. esti tormenti cresceranno ei, et nel primo caso sempre li usa il Bocca. et pero non pongo suoi essempi.


[Nota1] Edizioni del 1541 e del 1552: “quell’arte, disse, “
[Nota2] Ed. del 1541: “poi,”; altra ed. del 1552: “poi.”
[Nota3] Ed. del 1541 e del 1552: “quei,”
[Nota4] Edizioni del 1541 e del 1552: “disser,”
[Nota5] Edizioni del 1541 e del 1552: “che incomincia”
[Nota6] Edizioni del 1541 e del 1552: "cangiar,"
[Nota7] Edizioni del 1541 e del 1552: “lasciar:”
[Nota8] Edizione del 1541: "et quel pronome, lei, è oblico caso"; altra edizione del 1552: “et quel pronome, lei, à oblico caso”
[Nota9] Edizioni del 1541 e del 1552: “che incomincia,”
[Nota10] Edizioni del 1541 e del 1552: “retto,”
[Nota11] Edizioni del 1541 e del 1552: “senso che, come persona agente,”
[Nota12] Edizioni del 1541 e del 1552: “ che,”
[Nota13] Edizioni del 1541 e del 1552: “ma perche lei, che di e notte fila,”
[Nota14] Edizioni del 1541 e del 1552: “colei, che di e notte fila,”
[Nota15] Edizioni del 1541 e del 1552: “de fanti, che venivano, aveduto”
[Nota16] Edizioni del 1541 e del 1552: “quello, che egli, si come lui,”
[Nota17] Edizioni del 1541 e del 1552: “erano, si come lui,”
[Nota18] Edizioni del 1541 e del 1552: “somigliasse,”
[Nota19] Edizioni del 1541 e del 1552: “rari,”
[Nota20] Edizioni del 1541 e del 1552: “auttori,”
[Nota21] Edizioni del 1541 e del 1552: “infinito,”
[Nota22] Edizioni del 1541 e del 1552: “accusativo,”
[Nota23] Edizioni del 1541 e del 1552: “lui:”
[Nota24] Edizioni del 1541 e del 1552: “vino,”
[Nota25] Edizioni del 1541 e del 1552: “bevuto,”
[Nota26] Edizioni del 1541 e del 1552: “aviso,”
[Nota27] Edizioni del 1541 e del 1552: “lochi, lui,”
[Nota28] Edizioni del 1541 e del 1552: “tosto,”
[Nota29] Edizioni del 1541 e del 1552: “non,”
[Nota30] Edizioni del 1541 e del 1552: “monaco, si leggera,”
[Nota31] Edizioni del 1541 e del 1552: “non,”
[Nota32] Edizioni del 1541 e del 1552: “stesse,”
[Nota33] Edizioni del 1541 e del 1552: “parola,”
[Nota34] Edizioni del 1541 e del 1552: “norma,”
[Nota35] Edizioni del 1541 e del 1552: “oblico;”
[Nota36] Edizioni del 1541 e del 1552: “peggio,”
[Nota37] Edizioni del 1541 e del 1552: “colui,”
[Nota38] Edizioni del 1541 e del 1552: “leggeremo,”
[Nota39] Edizioni del 1541 e del 1552: “alcuno,”
[Nota40] Edizioni del 1541 e del 1552: “quelli, che mi sono venuti letti, che,”
[Nota41] Edizioni del 1541 e del 1552: “deve,”
[Nota42] Edizione del 1541: “casi. de gli retti”; altra edizione del 1552: “casi de gli retti.”
[Nota43] Edizioni del 1541 e del 1552: “diparte;”
[Nota44] Edizioni del 1541 e del 1552: “fia, nol so,”

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