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Friday, July 8, 2011

Grisotto

Luigi Speranza


GRICE E HABERMAS: DUE MODELLI DI RAZIONALITÀ COMUNICATIVA

Grice e Habermas a confronto sulla comunicazione

Grice e Habermas delineano due teorie della comunicazione che
individuano nella razionalità una caratteristica propria del processo di
comunicazione. Differenti sono però le loro concezioni della
comunicazione e della razionalità comunicativa.
La teoria griciana della comunicazione è una teoria intenzionalistica e
inferenziale: comunicare equivale a proferire enunciati per mezzo dei
quali colui che parla manifesta determinate intenzioni di significato
(meaning-intentions): l’intenzione di produrre un certo effetto o una certa
risposta in un uditorio, l’intenzione che l’uditorio riconosca l’intenzione
d’enunciazione e l’intenzione che l’uditorio realizzi l’effetto o la risposta
attraverso il riconoscimento dell’intenzione d’enunciazione del parlante
(vedi Grice 1957, 1993: 227-228; 1969, 1993: 138, 152). Grice precisa
che l’elaborazione del significato da parte dell’uditorio è un processo che
l’uditorio stesso può in un certo senso controllare e che realizza
fondandosi su ragioni (vedi Grice 1957, 1993: 226-229; 1969, 1993:
138). Un processo che non va inteso come semplice decodifica delle
intenzioni di significato del parlante, ma piuttosto come attribuzione
d’intenzioni di significato al parlante che l’uditorio realizza sulla base di
ragioni che fanno riferimento all’esperienza condivisa (vedi Grice 1957,
65
1993: 228-229; Sbisà 2001: 187-189). Sperber e Wilson osservano che
secondo il modello delineato da Grice «la comunicazione riesce non
quando gli ascoltatori riconoscono il senso linguistico dell’enunciato, ma
quando essi inferiscono il “voler dire” del locutore» (Sperber e Wilson
1993: 42), ossia attribuiscono al locutore determinate intenzioni di
significato (vedi Sperber e Wilson 1993: 42).
La teoria habermasiana della comunicazione, invece, è una teoria
intersoggettivistica: comunicare è un’agire sociale orientato all’«intesa»
(Verständigung), alla condivisione di significati riguardanti il mondo fra i
parlanti coinvolti, alla condivisione di un «mondo della vita»
(Lebenswelt) (vedi Habermas 1985: 142-143; 1986, vol. II: 706-714;
2001: 105).
Habermas considera con attenzione la teoria della comunicazione di
Grice, egli ritiene che Grice intenda spiegare il processo della
comunicazione solo dalla prospettiva del parlante e delle sue intenzioni
(vedi Habermas 2006: 104). Una prospettiva che Habermas giudica
insufficiente a delineare le caratteristiche del processo di comunicazione.
Facendo riferimento al modello organico delle funzioni del linguaggio
elaborato da Bühler (1983: 81), egli osserva che l’impiego comunicativo
d’espressioni linguistiche non serva soltanto a esprimere le intenzioni del
parlante, ma anche a rappresentare stati di cose e a stabilire relazioni
interpersonali con una seconda persona (vedi Habermas 2001: 105; 2006:
103-104). Afferma Habermas:
Ciò che il parlante vuol dire con un’espressione si collega sia a ciò che in
essa è detto letteralmente, sia all’azione nel senso della quale ciò che è
detto dev’essere inteso. Esiste, quindi, una triplice relazione tra il
significato di un’espressione linguistica e a) ciò che con essa si intende,
b) ciò che in essa si dice e c) il tipo del suo impiego nell’atto verbale.
Con quest’atto il parlante persegue lo scopo di intendersi con un
ascoltatore circa qualcosa. (Habermas 2001: 105)
66
Habermas ritiene che nella strategia esplicativa di Grice ciò il parlante
intende dire con un’espressione non sia determinato in alcun modo
mediante ciò che è detto in essa letteralmente: il significato di un
enunciato x proferito da un parlante sarebbe spiegato, invece, solo
mediante l’intenzione con cui il parlante proferisce l’enunciato in un
contesto. Una strategia esplicativa che Habermas ritiene supportata
dall’intuizione secondo cui l’uso linguistico è manifestazione di una
generale sovranità dei soggetti che agiscono orientando la propria attività
a uno scopo e attribuendo arbitrariamente significati ai segni (vedi
Habermas 2006: 106).
Habermas afferma che Grice considera la comunicazione come una
forma di pressione (Einwirkung) che il parlante esercita nei confronti del
destinatario (vedi Habermas 2006: 111-112). Il processo di
comunicazione - egli dice - è analizzato da Grice
sul modello della possibilità di trasmettere a un destinatario le idee che
[un parlante] P possiede; con l’aiuto di un segno x, utilizzato da P con
intento comunicativo, il destinatario deve quindi entrare in possesso di
tali idee: con l’aiuto di x P dà a [un destinatario] A qualcosa da intendere.
(Habermas 2006: 134)
Dall’ottica intersoggettivistica invece - precisa Habermas - il linguaggio
non è concepito come un mezzo usato per trasmettere idee, ma come un
medium che permette agli interlocutori di condividere la comprensione di
qualcosa nel mondo:
il segno x non è un utensile individualmente usabile, col quale [il
parlante] P dà a intendere qualcosa al destinatario, inducendolo a
riconoscere la propria opinione o intento; il segno x è piuttosto un
elemento di un repertorio comunemente usato, che dà la possibilità agli
interessati di comprendere la stessa cosa nello stesso modo. (Habermas
2006: 135)
67
Secondo Habermas le due concezioni del processo di comunicazione
sono espressione di due forme diverse della razionalità: la concezione
intenzionalistica di Grice è ritenuta espressione di una razionalità
orientata allo scopo (Zweckrationalität) che il parlante esercita nei
confronti del destinatario (vedi Habermas 2006: 111-112), mentre la
concezione intersoggettivistica è presentata come espressione di una
razionalità che si esprime in una prassi discorsiva orientata al
riconoscimento intersoggettivo delle pretese di validità
(Geltungsansprüsche) relative a un atto linguistico (vedi Habermas 2001:
125).
Non è condivisibile l’interpretazione data da Habermas del modello
della comunicazione elaborato da Grice. Quale filosofo del linguaggio
ordinario, Grice non intende descrivere il processo attraverso il quale un
parlante produce un significato utilizzando un segno come utensile,
piuttosto intende fare un’analisi dell’uso ordinario che la gente fa
dell’espressione «significare» (to mean) (vedi Grice 1957, 1993: 223),
vale a dire intende dare una spiegazione di ciò che un destinatario intende
quando ritiene che un parlante «vuol dire» (means) qualcosa con un
enunciato (vedi Sbisà 2001: 187-189): il destinatario attribuisce al
parlante determinate intenzioni di significato che inferisce fondandosi su
ragioni.
Ingiustificato appare, perciò, ritenere, come fa Habermas, che Grice
affermi la sovranità del parlante nel processo di attribuzione di
significato ai segni e delinei un modello della comunicazione come
espressione di una razionalità orientata allo scopo che il parlante esercita
nei confronti del destinatario attribuendo arbitrariamente significato ai
segni (vedi Habermas 2006: 106). Nella quinta lezione di Logic and
conversation Grice mette in evidenza che ciò che il parlante intende dire
non è indipendente da ciò che è detto letteralmente in un enunciato.
68
Secondo Grice la conoscenza del significato convenzionale di un
enunciato da parte del destinatario è un elemento essenziale per il
riconoscimento delle intenzioni di significato del parlante: «le intenzioni
del parlante - egli dice - devono essere riconosciute, di norma, in virtù
della conoscenza dell’uso convenzionale dell’enunciato» (Grice 1969,
1989: 101, trad. mia). Inoltre, Grice presenta l’attività di attribuzione
d’intenzioni di significato al parlante come un processo che si fonda su
ragioni, un processo che è chiaramente espressione di una razionalità
volta a fornire sostegno alla formazione delle credenze e delle decisioni
di agire (vedi Grice 1957, 1993: 228-229; 1968, 1993: 171-172; 1969,
1993: 152-153), che è una razionalità di tipo argomentativo e non di tipo
strumentale.
È presente nella riflessione di Grice sulla comunicazione linguistica
anche una concezione della razionalità di tipo strumentale, egli afferma,
infatti, di ritenere «il discorrere come un caso particolare di
comportamento finalizzato e, in effetti, razionale» (Grice 1975, 2003:
231; vedi Grice 1989: 341), ma il carattere strumentale della razionalità
della comunicazione non è riferito da Grice a un rapporto di pressione
che il parlante esercita sul destinatario, piuttosto è ritenuto proprio del
processo di comunicazione come forma particolare di azione in cui i
partecipanti hanno uno scopo o un orientamento comune accettato (vedi
Grice 1975, 2003: 228): l’azione è espressione di razionalità strumentale
perché è diretta verso uno scopo.
Il confronto che segue tra la concezione intenzionalistica e
inferenziale della comunicazione di Grice e la concezione
intersoggettivistica della comunicazione di Habermas ha l’obiettivo di
evidenziare le differenti potenzialità esplicative delle due concezioni
della comunicazione che secondo prospettive diverse individuano nella
razionalità una caratteristica propria del processo di comunicazione.
69
2. Oggetti e obiettivi delle teorie della comunicazione di Grice e di
Habermas
Differenti sono gli oggetti e gli obiettivi delle teorie della comunicazione
di Grice e di Habermas. Oggetto della riflessione di Grice sono le forme
di comunicazione dell’interazione quotidiana, vale a dire, le forme
ordinarie della conversazione (vedi Grice 1957, 1993: 223; 1975, 2003:
226). Suoi obiettivi sono: a) individuare le condizioni generali del
significato non naturale (vedi Grice 1957, 1993: 221) e b) individuare le
condizioni generali che «si applicano alla conversazione come tale,
indipendentemente dal suo argomento» (vedi Grice 1975, 2003: 226), che
rendono conto del fatto che in molte situazioni sono comunicati
significati aggiuntivi oltre al significato letterale di ciò che è detto, ossia
si dà luogo a implicature conversazionali (vedi Grice 1975, 2003: 226-
235).
Oggetto dell’indagine di Habermas non sono le forme empiriche della
comunicazione, ma i presupposti e le regole universali che presiedono
all’uso di enunciati (Äußerungen) in situazioni d’interazione discorsiva
(vedi Habermas 1983: 67; 2006: 50). Obiettivo di Habermas è
«sviluppare una teoria della competenza comunicativa in termini di una
pragmatica universale» (Habermas 1973: 117), il cui compito è la
ricostruzione della struttura normativa universale che ciascun parlante
padroneggia praticamente nella comunicazione ordinaria e che permette
la realizzazione dell’intesa e la coordinazione dell’azione fra i soggetti
che comunicano (vedi Habermas 1983: 68; 1984: 353, 379; 1986, vol. I:
157; 2006: 50-51, 128).
Sia Grice sia Habermas hanno come riferimento il paradigma della
comunicazione uno a uno (vedi Grice 1957, 1993: 227-228; 1975, 2003:
226-227, 234; Habermas 1986, vol. I: 157), che è un paradigma
70
semplificato delle situazioni reali di comunicazione, nelle quali non solo
è possibile la partecipazione di più parlanti e di più ascoltatori, ma è
anche possibile che i ruoli di parlante e di ascoltatore siano realizzati
secondi funzioni molteplici e diverse (vedi Goffman 1987: 175-216).
Grice descrive il processo di comunicazione dalla prospettiva
dell’uditorio: egli indica le condizioni per il riconoscimento delle
intenzioni di significato del parlante da parte dell’uditorio, che appaiono
piuttosto condizioni per l’attribuzione d’intenzioni di significato al
parlante che l’uditorio realizza sulla base di ragioni (vedi Grice 1957,
1993: 226-229; 1969, 1993: 138; 1975, 2003: 234-235; Sbisà 2001: 187-
189). Habermas, invece, nonostante ritenga che la comunicazione sia
inserita in un paradigma intersoggettivo e pragmatico (vedi Habermas
2001: 105; 2006: 134-135), presenta tale processo dalla prospettiva del
parlante: egli indica le condizioni nelle quali il parlante può realizzare lo
scopo illocutorio di «intendersi con un ascoltatore circa qualcosa» (vedi
Habermas 2001: 105).11 Tuttavia, lo scopo illocutorio non è per
Habermas, come per Searle, «la ragion d’essere d’un certo tipo
d’illocuzione» (Searle 1978a: 170) corrispondente ad «atteggiamenti e
prese di posizione del solo parlante, del tutto al di fuori da un rapporto
interazionale» (Sbisà 1989: 75). Habermas afferma che lo scopo
illocutorio non consiste semplicemente nel far sì che il destinatario
prenda atto dell’idea (Meinung) del parlante, cioè comprenda ciò che il
parlante dice, il destinatario deve anche pervenire alla stessa opinione
(Auffassung) di cui il parlante è convinto, vale a dire deve accettare come
valida (gültig) l’asserzione per la quale il parlante avanza pretese di
validità in relazione alla verità, alla giustezza e alla veridicità (vedi
11 Habermas riprende la teoria degli atti linguistici nella versione di Searle per il
quale l’atto linguistico complessivo coincide con l’atto illocutorio, l’aspetto centrale del
quale è lo scopo illocutorio che è una componente della forza illocutoria dell’atto
linguistico e corrisponde alla ragion d’essere d’un certo tipo di atto illocutorio. Così, per
esempio, lo scopo illocutorio di un atto linguistico che ha la forza illocutoria di
comando è il tentativo di indurre chi ascolta a fare qualcosa (vedi Searle 1976: 48-51;
1978a: 170).
71
Habermas 1985: 146; 1986, vol. I: 396, 419-420; 2006: 143-144). A
differenza di Searle, Habermas non riduce l’ascoltatore a «un insieme di
aspettative che il parlante ha su di lui» (Leonardi 1976: 16), ma riconosce
all’ascoltatore un ruolo attivo nel processo di comunicazione: egli deve
avere «la possibilità di prendere seriamente in considerazione
l’enunciato [del parlante], vale a dire di accettarlo come valido, oppure di
respingerlo come non valido» (Habermas 2006: 144). La comunicazione
è per Habermas una prassi orientata al riconoscimento intersoggettivo
delle pretese di validità relative a un atto linguistico (vedi Habermas
2001: 125).
Grice elabora una teoria del significato complessiva che ha come
concetto fondamentale quello d’«intenzione» e include qualsiasi
fenomeno di significato, sia esplicito (ciò che è detto) che implicito (ciò
che è implicato), sia convenzionale che non convenzionale (vedi Grice
1957, 1993: 229-231; 1975, 2003: 228-229; 1989: 341). Habermas
elabora una teoria del significato che ha come assunzione fondamentale
l’impossibilità di separare le questioni di significato (Bedeutung) dalle
questioni di validità (Gültigkeit): la questione concernente cosa significa
comprendere il significato di un’espressione linguistica - egli dice - non
può essere isolata dalla questione circa il contesto nel quale tale
espressione può essere accettata come valida (vedi Habermas 2006: 72-
73): «non si saprebbe cosa significa comprendere il significato di
un’espressione linguistica, se non si conoscesse il modo in cui ci si possa
servire di essa, per potersi intendere su qualcosa con qualcuno»
(Habermas 2006: 145-146). Il concetto di «validità» nel senso di
«accettabilità razionale» è il concetto chiave della teoria pragmatica del
significato di Habermas (vedi Habermas 2001: 129).
Grice presenta la comunicazione linguistica come un caso particolare
di attività razionale di tipo strumentale, come una forma di
«cooperazione razionale» (vedi Grice 1989: 341), in cui ciascun
72
partecipante «riconosce, in certa misura, uno scopo o un insieme di scopi
comuni, o almeno un orientamento mutuamente accettato» (Grice 1975,
2003: 228). Ogni comunicazione è per Grice un’attività di scambio di
informazioni in cui le osservazioni di ciascun partecipante sono connesse
alle osservazioni dell’altro, in modo tale da contribuire al raggiungimento
dello scopo comune accettato (vedi Grice 1975, 2003: 228).
Il principio generale della comunicazione, chiamato da Grice
«Principio di Cooperazione», chiede a ogni partecipante di dare alla
conversazione il contributo richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo
scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui è
impegnato (vedi Grice 1975, 2003: 229). Tale principio è declinato nelle
quattro massime conversazionali della Quantità, della Qualità, della
Reazione e del Modo, le quali chiedono ai partecipanti allo scambio
comunicativo di dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto,
di dire la verità, di essere pertinenti, e di essere chiari, concisi e ordinati.
Le massime sono tali che la loro osservanza, in generale, porta a risultati
conformi al Principio di Cooperazione (vedi Grice 1975, 2003: 229-230).
Contrariamente a ciò che ritengono alcuni studiosi (vedi Cantù e Testa
2006: 25), il Principio di Cooperazione e le massime conversazionali non
sono per Grice regole sottostanti la comunicazione linguistica che i
parlanti sono obbligati a osservare. Essi sono presentati da Grice come
un’aspettativa reciproca di coloro che partecipano a uno scambio
comunicativo. Egli afferma:
da chiunque abbia a cuore i fini centrali della conversazione/
comunicazione (ad esempio, dare e ricevere informazioni, influenzare gli
altri ed esserne influenzati) ci si deve aspettare un interesse, in
circostanze adatte, a partecipare a scambi linguistici, i quali però
potranno essere considerati vantaggiosi soltanto in base all’assunto che
siano condotti in generale conformità al Principio di Cooperazione e alle
massime. (Grice 1975, 2003: 233)
73
Principio di Cooperazione e massime sono, per Grice, un’assunzione che
i partecipanti allo scambio verbale fanno e attribuiscono l’uno all’altro
(vedi Sbisà 2001: 195), assunzione che si basa sull’aspettativa che
chiunque ha a cuore i fini centrali della comunicazione ha un interesse a
partecipare a scambi linguistici. E tali scambi linguistici potranno essere
considerati vantaggiosi soltanto in base all’assunzione che siano condotti
in conformità al Principio di Cooperazione e alle massime (vedi Grice
1975, 2003: 229-233).
La «cooperazione» di cui parla Grice è una situazione differente
dall’«intesa» di cui parla Habermas. Nella prospettiva di Grice i
partecipanti a uno scambio comunicativo non hanno l’obiettivo di
giungere a una comprensione intersoggettivamente condivisa di qualcosa
nel mondo per coordinare i propri piani d’azione (vedi Habermas 1986,
vol. I: 157), piuttosto hanno l’obiettivo di interpretare reciprocamente le
rispettive intenzioni comunicative per scambiare informazioni in modo
efficiente (vedi Grice 1975, 2003: 231) L’ascoltatore che assume che il
parlante è cooperativo, assume che il parlante intende comunicare
qualcosa proferendo un enunciato p e cerca di comprendere che cosa il
parlante intende dire dicendo che p (vedi Grice 1975, 2003: 234). Sbisà
osserva che
il Principio di Cooperazione non è una vera e propria regola ma
un’assunzione che i riceventi fanno (e che è razionale per loro fare)
nell’interesse di dare un’interpretazione più completa possibile di ciò che
è stato detto loro […], indipendentemente da qualsiasi segno evidente di
conformità del comportamento comunicativo del parlante al Principio.
(Sbisà 2006: 234, trad. mia)
Grice sottolinea la razionalità dell’assunzione che le persone che
discorrono insieme procederanno nel modo prescritto dal Principio di
Cooperazione e dalle massime che ne dipendono (vedi Grice 1975, 2003:
74
231-233). È tale assunzione che permette al ricevente di avere delle
ragioni per giustificare l’attribuzione di determinate intenzioni di
significato al parlante che corrispondono al contenuto di un’implicatura
conversazionale: il riferimento al Principio di Cooperazione e alle
massime conversazionali è uno dei dati sui quali può contare l’uditorio
per ricostruire in un ragionamento esplicito (argument) il processo con il
quale ha afferrato l’implicatura conversazionale (vedi Grice 1975, 2003:
234-235).
Grice enfatizza la razionalità dell’uditorio nell’interpretazione dei
significati nello scambio comunicativo: è una razionalità di tipo
argomentativo che corrisponde alla capacità dell’uditorio di avere delle
ragioni per attribuire intenzioni di significato al parlante, sia ragioni per
specificare «ciò che è detto» dal parlante (vedi Grice 1957, 1993: 228-
229, 1969, 1993: 131-133), sia ragioni per specificare «ciò che è
implicato» dal parlante (vedi Grice 1975, 2003: 234-235).
Tale razionalità argomentativa si manifesta sul presupposto di una
concezione di tipo strumentale della razionalità del processo di
comunicazione, considerato una forma di comportamento in
collaborazione verso uno scopo o orientamento mutuamente accettato
(vedi Grice 1975, 2003: 228, 231).
Habermas presenta la comunicazione come un processo al quale
inerisce una peculiare razionalità che egli non ritiene riconducibile alla
razionalità finalizzata allo scopo propria dell’azione (vedi Habermas
2001: 105). La razionalità dell’agire - egli dice - si misura a seconda che
l’attore abbia o no conseguito lo scopo dell’azione in virtù dei mezzi
«intenzionalmente scelti e messi in opera» (vedi Habermas 2001: 103-
104). È una razionalità di tipo strumentale (instrumentelle Rationalität).
Invece, la razionalità comunicativa (kommunikative Rationalität)
75
si esprime nella facoltà unificante del discorso orientato all’intesa
[Verständigung], che per i parlanti coinvolti è, insieme, un mondo della
vita [Lebenswelt] intersoggettivamente condiviso e, quindi, assicura
l’orizzonte nel cui ambito tutti possono riferirsi all’identico mondo
oggettivo. (Habermas 2001: 105)
La razionalità della comunicazione, secondo Habermas, è una razionalità
di tipo argomentativo perché si esprime nella negoziazione delle richieste
di validità relative agli atti linguistici fatte dai parlanti con lo scopo di
realizzare l’«intesa» (vedi Habermas 2001: 105-106).
È interessante notare che Habermas evidenzia uno scopo
nell’interazione discorsiva che è la realizzazione dell’intesa. Il parlante -
egli dice - intende perseguire lo scopo illocutorio di «intendersi con un
ascoltatore circa qualcosa» (vedi Habermas 2001: 105). Ciononostante,
Habermas trascura di mettere in evidenza l’aspetto strumentale della
razionalità della comunicazione e si concentra a illustrarne solo l’aspetto
argomentativo.
Due sono, secondo Habermas, le fasi attraverso le quali può essere
realizzato ciò che lui ritiene sia lo scopo illocutorio del parlante, ossia
«intendersi con un ascoltatore circa qualcosa»: «l’atto verbale deve prima
essere compreso dall’ascoltatore e poi, per quanto possibile, accettato»
(Habermas 2001: 106): la comprensibilità dell’atto linguistico è
condizione per l’accettazione dell’atto, per la realizzazione dell’intesa.
Secondo Habermas, il parlante che esegue un atto linguistico avanza
tre pretese di validità (Geltungsansprüche) in relazione alle tre funzioni
dell’uso comunicativo dell’enunciato: una pretesa di verità (Wahrheit),
ossia di formulare un’enunciazione vera affinché l’uditorio assuma e
condivida il sapere del parlante; una pretesa di giustezza (Richtigkeit),
ossia di compiere un’azione linguistica corretta in relazione a un contesto
normativo dato affinché si realizzi una relazione interpersonale
riconosciuta legittima fra parlante e uditorio; e una pretesa di veridicità
76
(Wahrhaftigkeit), ossia di esprimere opinioni, intenzioni, sentimenti e
desideri in modo veridico affinché l’uditorio presti fede a ciò che il
parlante dice (vedi Habermas 1985: 146; 1986, vol. I: 419-420; 2001:
47).
L’orientamento verso la possibile validità delle enunciazioni - dice
Habermas - rientra nelle condizioni pragmatiche non ancora dell’intesa,
bensì della comprensione linguistica (vedi Habermas 2001: 129; 2006:
73): si comprende un atto linguistico quando si conoscono le condizioni
alle quali esso può venir accettato come valido (vedi Habermas 2001:
129). Habermas osserva che il parlante vorrebbe che l’ascoltatore accetti
per valido quanto viene detto, ma non può intendere la realizzazione del
suo scopo illocutorio come qualcosa che egli può causare
nell’ascoltatore, vale a dire, non può intendere il suo scopo illocutorio
come un «effetto perlocutorio» che egli può provocare nell’ascoltatore
con l’atto linguistico tramite un influsso causale (vedi Habermas 2001:
106). Il parlante, invece, può conseguire lo scopo illocutorio di
«intendersi con un ascoltatore circa qualcosa» solo a condizione di
motivare razionalmente l’ascoltatore, ossia di addurre delle ragioni a
sostegno di ciò che dice, di fronte alle quali l’ascoltatore può prendere
una posizione motivata razionalmente sia per accettarle sia per
respingerle (vedi Habermas 2001: 106).12 Se l’ascoltatore non condivide
la proposta d’intesa contenuta nell’atto linguistico del parlante, può
contestarne la validità in relazione a ciascuna delle pretese sollevate,
osservando che l’atto «non si accorda con il mondo degli stati di cose
esistenti o con il nostro mondo di relazioni interpersonali ordinate
legittimamente, o con il mondo privato delle esperienze soggettive
12 Il discorso di Habermas sugli aspetti illocutori e perlocutori dell’intesa non risulta
chiaro in quanto egli non mette a fuoco adeguatamente la distinzione austiniana fra il
livello dell’illocuzione e il livello della perlocuzione in relazione alle tre pretese di
validità sollevate dal parlante nell’esecuzione di ogni atto linguistico.
77
vissute» (Habermas 1985: 145-146). Quel che rende accettabile l’offerta
di un atto linguistico, secondo Habermas, sono proprio le ragioni che il
parlante potrebbe addurre in un contesto dato per provare la validità di
ciò che è detto (vedi Habermas 2001: 107).
Habermas chiama «razionali» non solo le azioni verbali valide, ma
tutte le azioni verbali comprensibili per le quali un parlante, nelle
circostanze date, può assumere una garanzia credibile che le pretese di
validità implicitamente sollevate potrebbero venir riscattate con
argomentazioni (vedi Habermas 2001: 106). La razionalità di un atto
linguistico è legata, per Habermas, sia alle condizioni di validità dell’atto
sia alla possibilità di giustificare la pretesa che tali condizioni sono
soddisfatte (vedi Habermas 2001: 107). Egli afferma:
la razionalità inerente alla comunicazione è fondata sulla connessione
interna fra a) le condizioni che rendono valevole un atto linguistico, b) la
pretesa sollevata dal parlante che queste condizioni siano soddisfatte, e c)
la credibilità della garanzia, che egli si è assunto, che in caso di necessità
egli potrebbe riscattare discorsivamente questa pretesa di validità.
(Habermas 2001: 107)
Habermas sottolinea la razionalità dell’intesa che si può raggiungere
nell’interazione discorsiva: l’atto linguistico di un parlante riesce, ossia il
parlante raggiunge un «successo illocutorio», solo se l’ascoltatore accetta
l’atto, vale a dire esprime un consenso razionalmente motivato su ciò che
il parlante ha detto prendendo posizione affermativamente verso le
pretese di validità avanzate dal parlante (vedi Habermas 1985: 143; 1986,
vol. I: 396; 2001: 106). L’intesa - precisa Habermas - si distingue da un
mero consenso raggiunto fattualmente, essa «non può essere imposta da
nessuna parte», ma soddisfa solo le «condizioni di un assenso motivato
razionalmente sul contenuto di un’espressione» (Habermas 1986, vol. I:
396).
78
I partecipanti alla comunicazione, secondo Habermas, tematizzano
pretese di validità controverse e cercano di soddisfarle mediante la
«cogenza non coattiva dell’argomento migliore» (vedi Habermas 1986:
83). La razionalità della comunicazione è, per Habermas, una razionalità
di tipo argomentativo che ha come modello il contesto dialogico della
discussione critica, che Habermas chiama «discorso» (Diskurs) (vedi
Habermas 2001: 100, 125; Cantù e Testa 2006: 128).
3. Le condizioni ideali della comunicazione
Aspetto fondamentale sia della riflessione di Grice sia di quella di
Habermas è il riferimento alle condizioni ideali della comunicazione.
Nel saggio «Meaning revisited», a proposito del regresso infinito
d’intenzioni nella definizione del significato del parlante, Grice afferma
di essersi impegnato a indicare la «condizione ottimale» (optimal state)
per un parlante che intenda comunicare qualcosa proferendo un enunciato
in una circostanza particolare (vedi Grice 1982, 1993: 303-305): ossia la
totale trasparenza per il destinatario di tutti i livelli delle intenzioni del
parlante (vedi Cosenza 2002: 89).
L’idea di usare espressioni, come quella di «significato del parlante»,
definite nei termini dei limiti ideali irrealizzabili nel «mondo sublunare»
dà, secondo Grice, «un modo per misurare oggetti individuali esistenti
rispetto alla qualità irrealizzabile degli oggetti individuali perfetti» (Grice
1982, 1993: 303-304), vale a dire, suggerisce che ci sono dei requisiti di
approssimazione «tali da giustificarci nel ritenere che certi casi
soddisfino un dato ideale, anche se, strettamente parlando, non ne
costituiscono un esempio» (Grice 1982, 1993: 304). Così, possono essere
ritenuti casi di significato non naturale quelle situazioni che si avvicinano
all’ideale della trasparenza totale per il destinatario delle intenzioni del
79
parlante, ossia quelle situazioni nelle quali il parlante non intende
ingannare il destinatario nascondendogli alcune intenzioni.
Nella seconda lezione di Logic and conversation Grice afferma di aver
formulato il Principio di Cooperazione e le massime conversazionali
come se lo scopo di una conversazione «fosse uno scambio di
informazioni quanto più possibile efficiente» (Grice 1975, 2003: 231). È
efficiente la comunicazione nella quale gli interlocutori danno un
contributo tanto informativo quanto è richiesto, dicono la verità, sono
pertinenti, e sono chiari, concisi e ordinati (vedi Grice 1975, 2003: 229-
230). È questa una situazione ideale di comunicazione che non
corrisponde alle situazioni reali, nelle quali possono ritenersi rispettate
soltanto alcune delle massime conversazionali, mentre è evidente che
qualche altra è violata (violated) o beffata (flouted) e sfruttata (exploited)
(vedi Grice 1975, 2003: 233-234).
Il Principio di Cooperazione e le massime conversazionali, riferiti ai
casi reali di comunicazione, si rivelano un espediente interpretativo
disponibile agli uditori allo scopo di comprendere ciò che un parlante
intende dire per mezzo e al di là di ciò che dice (vedi Sbisà 2001: 198).
Sono un espediente interpretativo che, tenendo conto della violazione
aperta o apparente delle massime conversazionali in una situazione in cui
il parlante non dà segno di voler uscire dalla situazione di cooperazione,
permette all’uditorio di giustificare l’attribuzione al parlante
dell’intenzione di comunicare significati impliciti, le «implicature
conversazionali», e di specificarne il contenuto (vedi Grice 1975, 2003:
234-241).
Cosenza sottolinea il potere esplicativo del Principio di Cooperazione
e delle massime conversazionali osservando che essi,
una volta riferiti a casi reali di comunicazione, si rivelano un apparato
esplicativo tanto più potente quanto più prevedono che i parlanti
80
normalmente li violino e trasgrediscono, piuttosto che osservarli e
rispettarli. (Cosenza 2002: 184)
Tuttavia, l’osservazione di Cosenza non appare conforme alla prospettiva
di Grice, perché il Principio di Cooperazione e le massime si rivelano un
apparato esplicativo non quando sia l’uno che le altre sono violati dal
parlante, ma quando l’ascoltatore ritiene che il parlante violi o mostri di
violare una delle massime mentre sembra conformarsi al Principio di
Cooperazione (vedi Grice 1975, 2003: 233-234).
Le condizioni ideali della comunicazione delineate da Grice
costituiscono un quadro teorico con riferimento al quale è possibile
identificare le situazioni concrete nelle quali gli esseri razionali
significano non naturalmente qualcosa e le situazioni concrete nelle quali
gli esseri razionali intendono comunicare significati occasionali oltre e
mediante ciò che letteralmente dicono: Grice ha inteso dare una
spiegazione dei processi di comprensione sia dei significati espliciti sia
dei significati impliciti.
Differente è la prospettiva di riferimento alla situazione ideale nella
teoria della comunicazione di Habermas. Egli distingue tra «agire
comunicativo» (kommunikatives Handeln), ossia le interazioni
comunicative ordinarie, e «discorso» (Diskurs), inteso come discussione
critica (vedi Habermas 1983: 76). Nell’agire comunicativo ordinario i
partecipanti presuppongono in modo ingenuo un accordo su pretese di
validità al fine di scambiare informazioni (vedi Habermas 1983: 76). Nel
discorso, invece, le pretese di validità vengono esaminate criticamente: in
esso non si scambiano informazioni, ma si scambiano argomentazioni e
interpretazioni per ristabilire un accordo motivato sulle pretese di validità
presupposte ingenuamente, accordo che Habermas chiama «intesa
discorsiva» (vedi Habermas 1983: 76).
81
Habermas ritiene che in ogni interazione comunicativa partiamo dal
fatto che possiamo pervenire a un’intesa (vedi Habermas 1983: 90).
Punto fondamentale della sua riflessione è l’affermazione del carattere
normativo dell’intesa. Egli dice:
L’intesa è un concetto normativo. Ogni intesa si convalida in un
consenso vero, altrimenti non è un’intesa reale. I parlanti competenti
sanno che ogni consenso raggiunto fattualmente può ingannare; però,
essi, nel concetto del consenso ingannevole, ipotizzano che questo
dovrebbe essere sostituito da un consenso vero. (Habermas 1983: 82)
Come partecipanti a una comunicazione, secondo Habermas, «ci
crediamo capaci in ogni momento di distinguere un consenso reale da un
consenso ingannevole», che è un consenso intervenuto incidentalmente,
non fondato (Habermas 1980: 320; 1983: 90). Spiegazione di questo
fenomeno è il fatto che in ogni interazione comunicativa «supponiamo
reciprocamente una situazione discorsiva ideale» (Habermas 1983: 90),
ossia una situazione caratterizzata dal fatto che «ogni consenso, che può
essere conseguito nell’ambito delle sue condizioni, deve poter valere
come consenso vero di per sé» (Habermas 1983: 90), vale a dire deve
poter valere come «consenso razionale», cioè fondato, perché conseguito
in modo argomentativo, e perciò garante di verità (vedi Habermas 1980:
320, 339). Habermas precisa che il senso di «verità» consiste nel fatto
che «sempre e dovunque, non appena ci impegniamo in un discorso, può
essere raggiunto un consenso in condizioni che dimostrano che esso è
fondato. Verità significa “warranted assertibility”» (Habermas 1980:
320). Solo mediante il riferimento alla situazione discorsiva ideale
possiamo distinguere un consenso reale o razionale da un consenso
semplicemente strappato o ingannevole (vedi Habermas 1980: 320, 339).
La situazione discorsiva ideale è definita da Habermas attraverso le
caratteristiche strutturali di una situazione dei discorsi possibili, cioè
82
attraverso la ripartizione simmetrica fra i partecipanti alla comunicazione
delle opportunità di percepire i ruoli di dialogo e di svolgere discorsi
(vedi Habermas 1983: 93). È ideale «una situazione discorsiva nella
quale la comunicazione non soltanto non viene ostacolata da influenze
esterne contingenti, ma neanche dalle cogenze che risultano dalla
struttura della comunicazione stessa» (Habermas 1983: 91), in essa a tutti
i partecipanti «è dato di scegliere e di fruire di una distribuzione
simmetrica delle possibilità degli atti discorsivi» (Habermas 1983: 91), è
esclusa «la distorsione sistematica della comunicazione» (Habermas
1983: 91) e prevale solo l’intento di dare un contributo alla «ricerca
cooperativa della verità» (Habermas 1986: 96) mediante «la peculiare
cogenza libera da cogenze dell’argomento migliore» (Habermas 1983:
91), ossia mediante la motivazione razionale dell’argomentazione (vedi
Habermas 1980: 321).
La situazione discorsiva ideale, anticipata in ogni scambio
comunicativo, è un modello ideale di discussione critica, di discorso
(Diskurs): in essa sono messe a tema pretese di validità dell’atto
linguistico che sono negoziate mediante la forza dell’argomento migliore
(vedi Habermas 1983: 91; 1986: 96; Cantù e Testa 2006: 128).
Habermas osserva che le condizioni del parlare empirico molto spesso
non sono identiche a quelle di una situazione discorsiva ideale: ogni
parlare empirico è per principio sottoposto a restrizioni che escludono
una completa realizzazione delle condizioni ideali (vedi Habermas 1980:
339). Inoltre, nel parlare empirico «manca un criterio esterno di giudizio,
così che in determinate situazioni non possiamo mai essere sicuri se
conduciamo un discorso o non agiamo piuttosto sotto costrizioni di
azione e produciamo discorsi apparenti» (Habermas 1980: 339). E
tuttavia - dice Habermas - la struttura di una situazione discorsiva ideale
«è necessariamente racchiusa nella struttura del discorso potenziale,
83
poiché ogni discorso, anche quello che contiene un inganno intenzionale,
è orientato verso l’idea di verità» (Habermas 1973: 122).
Due sono le funzioni dell’anticipazione di una situazione discorsiva
ideale: da un lato, essa
è garanzia del fatto che noi possiamo collegare la pretesa del consenso
vero a un consenso conseguito fattualmente; nello stesso tempo, questa
anticipazione è un metro critico, sul quale può anche essere messo in
discussione ogni consenso conseguito di fatto e, di conseguenza, può
essere verificato se esso è un indicatore soddisfacente dell’intesa reale.
(Habermas 1983: 90-91)
Habermas afferma che lo status dell’anticipazione inevitabile di una
situazione discorsiva ideale non è ancora chiaro, ciononostante fa parte
della struttura del discorso possibile il fatto che noi, nello svolgimento
degli atti discorsivi, agiamo controfattualmente come se la situazione
discorsiva ideale non fosse meramente fittizia, ma reale (vedi Habermas
1983: 93-94). La situazione discorsiva ideale non è né un fenomeno
empirico, né una mera costruzione, bensì un’«inevitabile supposizione»
reciprocamente avanzata nei discorsi (vedi Habermas 1980: 340). Essa «è
parte della competenza generale di un parlante ideale» (Habermas 1973:
116), è un’anticipazione che ha «il significato di un’apparenza
costitutiva» (Habermas 1983: 94): è «la condizione costitutiva del
discorso razionale» (Habermas 1980: 341).
Cantù e Testa osservano che «la situazione discorsiva ideale funziona
[…] come un metacontesto, vale a dire come un contesto dialogicoargomentativo
ideale presupposto quale regola» sia dal discorso
(Diskurs) sia dalle interazioni comunicative ordinarie (vedi Cantù e Testa
2006: 127-128).
La situazione discorsiva ideale habermasiana non descrive la struttura
delle forme della comunicazione reale, ma indica le supposizioni dei
84
parlanti competenti che corrispondono alle condizioni normative
necessarie per la produzione di un consenso razionale e che possono
essere usate come criteri per valutare la razionalità del consenso
raggiunto nelle forme della comunicazione reale. Essa ha un valore etico
oltre che logico: le condizioni della situazione discorsiva ideale si
palesano come condizioni di una forma di vita ideale, quella che la
tradizione ha inteso con le idee di verità, di libertà e di giustizia (vedi
Habermas 1983: 93).
4. Considerazioni conclusive
Sia Grice sia Habermas individuano nella razionalità una caratteristica
propria del processo di comunicazione ed entrambi la caratterizzano
come razionalità di tipo argomentativo.
In Grice l’aspetto argomentativo della razionalità comunicativa
coesiste con l’aspetto strumentale (vedi Sbisà 2006: 245-246): egli
considera la comunicazione un caso particolare di comportamento
finalizzato e mette a fuoco la razionalità argomentativa del processo di
comprensione dei significati (vedi Grice 1957, 1993: 226-229; 1969,
1993: 138; 1975, 2003: 231, 234-235).
Particolarmente potenti per l’analisi delle forme della comunicazione
concreta si rivelano il Principio di Cooperazione e le massime, gli
espedienti interpretativi formulati da Grice con riferimento ai quali è
possibile inferire la presenza di implicature conversazionali. Sbisà
afferma che
il requisito griciano della calcolabilità ci offre un criterio almeno per
quanto riguarda l’implicatura conversazionale, e in generale, ci offre un
modello per il monitoraggio della comprensione del discorso. (Sbisà
2006: 246, trad. mia)
85
Habermas mette a fuoco la razionalità argomentativa del processo di
conseguimento dell’intesa fra i partecipanti alla comunicazione e
distingue il processo di comprensione da quello dell’intesa.
Egli definisce il processo di comprensione di un atto linguistico come
equivalente alla conoscenza delle condizioni nelle quali l’atto linguistico
può essere accettato come valido (vedi Habermas 2001: 129). Tuttavia,
non fornisce criteri per identificare le condizioni di possibile validità
dell’atto linguistico, ossia le situazioni nelle quali l’atto linguistico può
essere ritenuto vero, giusto e veridico.
Inoltre, Habermas lascia problematica anche la valutazione della
razionalità del consenso raggiunto nelle forme della comunicazione
concreta con riferimento al metro critico della situazione discorsiva
ideale. Cantù e Testa (2006: 149) mettono in evidenza la debolezza delle
regole della situazione discorsiva ideale osservando che non c’è alcun
criterio per stabilire in che misura tali regole siano adempiute dai
parlanti. Essi affermano:
non si può mai sapere con certezza se non ci si inganni nel credere di
seguire [tali regole]; il loro adempimento non garantisce in ogni caso che
un consenso possa essere raggiunto, qualora gli argomentanti prendano le
mosse da punti di vista normativi sostanzialmente non conciliabili; tali
regole sono proceduralmente indeterminate: non solo non conducono a
risultati certi da esse deducibili, ma non determinano neanche il punto di
partenza normativo e le singole mosse dell’argomentazione. (Cantù e
Testa 2006: 149)
A causa della loro sottodeterminazione normativa, le regole della
situazione discorsiva ideale non possono fungere da criteri di valutazione
della razionalità argomentativa delle forme della comunicazione
ordinaria.
La teoria della comunicazione di Habermas non offre strumenti per
l’analisi delle forme della comunicazione concreta, né per monitorare la
86
comprensione degli atti linguistici né per riconoscerne la validità ai fini
del conseguimento dell’intesa.
Il risultato della riflessione di Habermas è soltanto l’indicazione dei
presupposti generali dell’agire comunicativo, il primo dei quali è la
possibilità della realizzazione dell’intesa, cioè la possibilità di un accordo
razionalmente fondato che non può essere imposto da nessuna parte.

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