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Saturday, July 9, 2011

Prefazio alla prima grammatica della lingua italiana -- Fortunio

Alli studiosi della regolata volgar lingua. Soleva io nella mia verde etade, sincerissimi lettori miei, quanto d’ otioso tempo dall’ essercitio mio delle civili leggi mi veniva concesso, tanto nella lettura delle volgari cose di Dante, del Petrarca, et del Boccaccio dilettevolmente ispendere. et scernendo tra scritti loro li lumi dell’ arte poetica, et oratoria, non meno spessi, ch’ à noi nella serena notte si mostrino le stelle, et non con minor luce, che in qualunche piu lodato auttore latino, risplendere, non mi potea venir pensato, che senza alcuna regola di grammaticali parole la volgar lingua così armonizzatamente trattasseno: et con più cura alquanto rileggendoli, et il mio aviso non vano ritrovando, per ammaestramento di me medesimo quelli finimenti di voci, ch’ à fare à generali regole, overo con poche eccettioni mi paressono convenevoli, cominciai à raccogliere, et vennemi fra breve tempo si ben fatto, che il variar delle voci nelli numeri de gli nomi, gli casi, ch’ à gli pronomi si convengono, le congiugationi, et declinationi delli verbi agevolmente ritrovai. et quindi l’ ortographia dalla latina assai diversa comprendendo, mi parve che come gli grammatici latini dall’ osservatione de gli approvati auttori le loro latine regole hanno posto insieme, cosi nella volgar lingua, laquale in vece di quella hoggidi usiamo communemente, con la osservatione delli sopranomati tre auttori, in ciò de gli altri primi, ad ogni studioso di lei il medesimo poter essere concesso: et non contentandomi io solamente di esse grammaticali

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norme, ad haver delli piu riposti vocaboli della construttione varia delli verbi, della volgar arte metrica contentezza, piu oltre mi diedi, et non senza studio e fatica, delle già dette cose cinque libri partitamente ciascun di loro la sola sua materia trattante, adunai insieme, niuna cosa avisandomi meno che di mandargli ad universal notitia d’ ogniuno in luce. Ma da molti giudiciosi et cari amici miei, che di lor lettura fatti erano sovente participi piu volte essendo con lor preghiere costretto di farle à voi della volgar lingua studiosi esser communi, del tutto negarlo non mi è paruto convenevole. Come che io habbia sempre portato fermissima opinione, e porti di tal mia fatica non solo non ricevere per merito alcuna lode, ma appo diverse maniere di genti, varij e diversi biasimi riportarne. Però ch’ alcuni diranno, anzi dicono tale mia impresa esser stata et vana, et quale onde nascer non possa alcun profitevole frutto. Perche volendo dar regole alla volgar lingua, sarebbe di mistieri, overo tutti li idiomi delle diverse italiche regioni, il che dicono impossibile essere, ad uniformi, et medesime regole del parlare, et scrivere sottoporre, overamente per ciascuno di loro ordinar diverse Regole, Conciosia cosa che ( come si vede ) non solo le regioni, ma tutte le lor Cittadi et Castella hanno tra se molto diverso modo di pronunciare, et conseguentemente di scrivere, oltre che il volgare, secondo l’ uso [AS1] che è mutabile, si varia, il che non cosi del latino sopra l’ arte fondato suole avvenire, come dice Dante nel principio de suoi convivi. Il perche in quello, come in cosa mobile, regole generali, ne particolari, che stabili siano, fondar non si possono, dimostrandoloci etiandio il medesimo Dante nel canto 26. Paradiso[AS2]

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quando in persona del primo huomo parlando, disse. Opera natural che huomo favella. Ma se cosi, ò cosi natura lascia, Poi fare à voi secondo che vi abbella, poco dapoi soggiongendo, Che l’ uso de mortali è come fronda in ramo che sen va, et l’altra viene. Altri poi per aventura da men cattivo intendimento mossi, dicono che, come che ben sia le regole da gli auttori toschi intendere, et quelle intese dimostrare altrui, à me come ad huomo di professione molto diversal [i. e. diversa], et di loquela alla tosca poco simigliante, meno che di fare ogn’ altra cosa richiedersi, per che volendo io dar norme della Tosca lingua tutto che vere nelli miei scritti le porgessi, con maniera di parlare da quella de gli auttori diversa porgendole, et in quello che io volesse altrui insegnare errando, opera ne à me lodevole, ne ad alcun altro dilettevole potrebbe riuscire. Altri sono poi di peggior ( per quanto à me ne paia ) intendimento i quali dicono di soverchio essere le volgari norme perche la volgar lingua dalla latina originata, si nel parlare, come nel scrivere deve seguitarsi, scrivendosi et dicendosi io dixi, epso scripse, un saxo, molte parte, et molte morte, et lequale, et sancto, prompto con infiniti altri simili, che piu tosto giudicar si possono voci latine, che volgari, ilqual modo questi cotali massimamente lodano et dicono esser bastevole. Et altri poi la imperfettione delle regole, altri la dispositione et divisione loro, non che la elocutione forse biasimeranno. A’ gli primi parebbemi potersi brevemente rispondendogli dire, che essendo stati gli auttori predetti di lingua tosca, et quella meno assai di qualunque altro idioma Italico corrotta, et laquale sola il regolato ordine di parlare ci può porgere, ne sconvenirsi

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à me delle regole di lei per me ritrovate farvi copiosi, et meno à voi impararle volontieri. Ne deve alcuno mover la mutation dell’uso à noi apposta, perciò che se vogliamo ben considerare il parlar delli già detti auttori, et quello che tra huomini scienti hora si usa, ritrovaremo assai poco l’ uno dall’ altro differenti. Et se noi poniamo bene mente, vederemo che tutti li pellegrini Italici ingegni di qualunque si voglia regione, che di scriver rime prendano diletto, quanto piu possono il stile del Petrarca, et di Dante se ingegnano con quelle istesse loro tosche parole di seguitare, et quantunque alcuni vocaboli mutati. et altri spenti, et altri nuovamente rinati si trovassero. Questo istesso anco Horatio nell' arte sua poetica, alla lingua latina per la variatione de secoli dice adivenire, ne per tanto molti huomini eccellentissimi di componer regole della grammatica, gli antichi approvati auttori tuttavia seguendo, si sono rimasti, ne si rimangono. Et come che Prisciano dalla prima parola dell’ opera sua incominciandosi fossi da sopravegnenti grammatici ripreso, non perciò gliè tolto, che li buoni grammaticali ammaestramenti non siano da gli imparanti buone lettere ricevuti. Perciò che non al modo di porgere esse regole, ma chente elle siano all’anciporte si deve havere riguardo. Alla ragione delli seguitatori della latina lingua in ogni suo volgare scrivere, si può anco cosi rispondere, che la latina lingua, laquale prima romana si chiamava, per l’ Italia diffusa indi pigliando il nome, perciò che tutti gli Italici, et dotti, et indotti ( benche con diversa tra loro maniera di dire ) quella usavano, per le varie incursioni di barbari fu in questa, che noi volgar chiamiamo, traffusa, et cosi divenne assai

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diversa lingua da quella ( laquale tra pochi si rimase intiera ) et fu ricevuta dalle regioni come non meno atta che l’ altra ad isprimer li concetti nostri, qual si può conoscer nell’ opere delli spesso sopranomati auttori, et questa dobbiamo affaticarsi per far ricca, seguendo con la penna non il latino, il quale have pronunciar diverso, ma talmente, come nella volgar più tersa lingua li vocaboli siano pronunciati. A’ quegli veramente che diranno queste mie regole esser manchevoli, et con inordinata dispositione distinte, et meno che elegantemente proposte, il tutto posso io confessare, dandomi à vedere, che se latini grammatici, il cui numero è infinito, d’ altri auttori trahendone le lor regole non senza riprensione sono passati, che in ciò l’ errori miei ( discendendo io nel campo primo volgare grammatico ) fussono ripresi meno, havendo io forse data la cagione à piu alti ingegni, et piu essercitati nella volgar lingua che ’l mio non sia à nuove norme per commune utilitate riformare, perche, come scrisse Dante, poca favilla gran fiamma seconda. Forse di retro à me con miglior voci. Si preghera, perche Cirra risponda. et se tali eccellenti padri della lingua non degneranno discendere à cosi bassa impresa, non mancheranno delli mezzani, liquali volentieri isporrannosi à pigliarla: perche quanto agevole sia alle cose già ritrovate aggiungere, et quanto di diletto à molti porga il riprender altrui, avisandosi con l’ uno et l’ altro acquistar fama, gli antichi tempi non che li moderni rendono testimonio: per che ( come si legge ) ne ad Homero riputato divino piutosto che humano, ne al Mantoan Poeta che di pari seco giostra, ne à qualunque oratore ò grammatico quantunque eccellentissimo si fusse, mancarono mai acerbissimi riprensori.

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Che adunque pensar di me si deve, che non solo con alcuno apprestamento di parole ornate, ma con quali mi sono occorse questo principio di mia nova grammatica vi ho porto? Tanto mi resta di speranza che niuno vento si troverà, ilquale cosi bassa polvere possa, ne voglia sollevar da terra qua et con la sua buffera dimenandola, ma ( à qualunque modo si sia ) havendovi io dato quanto le facultadi del mio ingegno sono state bastevoli, et per dar piu se potuto havessono, dovete me havere iscusato, recandovi alla mente il detto del festevolissimo poeta Martiale, ilquale di se stesso parlando disse, tra l’ opere dei scrittori alcune cose esser bone, molte cattive, et in maggior numero peggiori. ilqual detto estender si puote non solo à scritti de poeti ma de gli oratori ancho e grammatici et da gli altri scrittori, non vi scordando però della Pliniana sententia intorno à ciò, che nessuno libro tanto è cattivo, che alcuna cosa di buono traserne [i. e. : trarsene] non si possa. Questi dui primi libri, onde il modo del dirittamente parlare, et correttamente scrivere, non senza conoscer ( legendoli ) li correggimenti di molti errori di tutte le stampe d’ ambi li poeti, con la dichiaratione di non pochi loro velati intendimenti, de gli loro interpreti male dichiariti, ricevete, gli altri non dopo molto aspettando, se questi del tutto non vi saranno spiaciuti. Di tanto vi prego, che non vogliate di lor far giudicio nella prima vista, come molti fanno, ma solo quando alla fine della lettura loro sarete pervenuti, per ciò che s’ alcuni spini forse nella prima entrata di questo mio orticello vi offenderanno, fiori di poi che vi dilettino so che nel mezzo, et ogn’ hor piu oltra andando ritrovarete.

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