Il mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo, catalogo della mostra a cura di Marcella Marongiu Firenze, Mandragora, 2002, pp. 128, ill. col. e b/n, € 20.00. |
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Il catalogo della mostra sul mito di Ganimede (che si segnala
con qualche ritardo rispetto al termine dell'esposizione), curato da Marcella
Marongiu, costituisce uno strumento prezioso per la conoscenza del corpus
di immagini e testi relativi alla favola antica, rendendo senz'altro agevole il
districarsi nella complessa trama di fonti letterarie e testimonianze figurative
del mito, considerandone opportunamente le diverse redazioni e, in una
prospettiva molto generale, i possibili significati.
Sono ripercorse nel testo le mitiche vicende del giovane
troiano, dalla genesi omerica del racconto (Iliade, V, 265-267) al
dipinto di Anton Raphael Mengs (Roma, Palazzo Barberini), che fu ritenuto da
Winckelmann un originale e celebrato come il dipinto più bello dell'arte
antica.
L'autrice prende in esame, in modo esaustivo, i diversi innesti
sul tronco originario della narrazione, che ne hanno declinato la storia nel
corso dei secoli in senso astrologico, erotico e (neo) platonico, sottoponendo
le immagini a processi di moralizzazione in chiave cristiana, in particolare
durante l'autunno del medioevo.
In ossequio alle finalità culturali dell'istituzione
organizzatrice (Casa Buonarroti, Firenze), il nucleo attorno al quale si
articolano le prospettive dell'indagine è costituito dalle variazioni
michelangiolesche sul tema, e dalla notevole fortuna che i disegni dell'artista
di Caprese incontrarono nel Cinquecento, tradotti, adattati e reinterpretati in
dipinti, gemme, ceramiche e incisioni.
Le vicende, arcinote, dei cosiddetti presentation
drawings, che Michelangelo offrì in dono a Tommaso de' Cavalieri, non
esauriscono tuttavia l'importanza dell'esame dell'abbondante materiale
figurativo presentato in mostra.
La classificazione operata dalla Marongiu, in base ai diversi
momenti narrativi del mito e ai differenti intrecci della sua tradizione,
permette di distinguere le raffigurazioni di Ganimede quale semplice "attributo"
di Giove; l'immagine del vero e proprio "rapimento" nelle versioni del ratto
violento e di quello, per così dire, con il protagonista consenziente; la
figurazione del giovane ormai assunto sull'Olimpo come coppiere degli dei,
nonché quella di Ganimede quale rappresentante del segno astrologico
dell'Acquario.
È certo preferibile sorvolare sulle assenze all'interno dei
libri, e ancor di più sulle mancanze, che rilevarne pedantemente i limiti. In
questo caso, astenendoci dalla discussione di un impianto generale che ignora la
dimensione antropologica del mito, secondo quelle prospettive di matrice
warburghiana ripensate recentemente in modo paradigmatico, ad esempio, da Hubert
Damisch (Le jugement de Pâris, Paris 1992), un solo appunto sembra il
caso di formulare, al fine di evidenziare il rilievo di un problema di tenore
generale che riguarda la storiografia artistica.
Risulta difficile non notare, infatti, dal momento che
l'argomento è affrontato esplicitamente, come il testo faccia difetto nella
parte forse di maggiore interesse, laddove, cioè, si affrontano, sia pure in uno
spazio tutto sommato ridotto, questioni di carattere interpretativo in rapporto
all'epoca rinascimentale.
Il giusto e opportuno richiamo alla necessità di non
abbandonarsi alle tentazioni (sovra)interpretative, applicando letture
allegoriche "indistintamente ad ogni opera d'arte" (p. 26), non si accompagna ad
una puntuale distinzione delle frontiere tra le immagini dal significato
"letterale" e quelle a più profonda densità iconologica. Con il risultato che
non risulta intellegibile, sul piano squisitamente figurativo, la differenza, ad
esempio, tra le opere connotate esclusivamente da un "sentimento edonistico che
improntava di sé ogni aspetto della vita" (p. 27) e le immagini moralizzate.
Si rileva, in proposito, un uso piuttosto disinvolto dei
concetti di allegoria e simbolo, cosa peraltro talmente diffusa da risultare la
norma nella prassi analitica concernente il mito per immagini: e ciò,
naturalmente, non contribuisce alla delucidazione del significato delle
mitografie, né all'evoluzione delle procedure interpretative della storia
dell'arte.
È possibile selezionare un esempio tra molti, capace di
esplicitare le perplessità relative alla definizione dello specifico problema
ermeneutico.
Nel ratto di Ganimede affrescato da Lelio Orsi nella
Rocca di Novellara la costruzione dell'immagine, l'accentuazione (presunta) dei
caratteri erotici e "l'ornamentazione con i putti che giocano tra i festoni di
frutta", "più che alludere a un significato simbolico" […] "fa interpretare la
decorazione come un trionfo dell'amore e della gioia di vivere, nonché della
fertilità che regola la vita degli uomini e della natura" (p. 29). Pare
legittimo, in una circostanza del genere, interrogarsi su cosa si intenda con il
riferimento alla parola "simbolo", senza ulteriori specificazioni d'uso del
concetto; così come non si comprende per quale motivo la "fertilità che regola"
ecc. non possa costituire il significato simbolico di una siffatta
rappresentazione.
Pare palesarsi, insomma, quella tendenza ad eludere la
riflessione sui limiti e le condizioni di possibilità interpretative di termini
chiave per gli storici dell'arte (simbolo, allegoria, metafora): una riflessione
necessaria, ad evidenza, per evitare che, come talvolta accade, tali concetti
assumano tante sottili quanto vaghe sfumature per quanti sono gli studiosi che
ne discettano.
E non si tratta certo di giocare con inutili sofismi, bensì di
elaborare un sistema di lettura delle immagini che espliciti le proprie norme
interne di funzionamento e impiego, tali da chiarire i processi di elaborazione
delle allegorie e delle metafore visive e i meccanismi di funzionamento dei
simboli, perché sia evidente (e ripetibile, secondo la prassi scientifica
giustamente richiamata all'attenzione degli storici dell'arte da Michael
Baxandall in Forme dell'intenzione [1985] Torino 2000, p. 196) la
procedura che conduce alla definizione del significato delle opere.
Ad ogni modo, pur non aggiungendo molto, come detto, alla
comprensione dei fenomeni di allegoresi visiva, soprattutto di epoca
rinascimentale, e alla definizione del senso antropologico delle immagini del
mito, lo studio della Marongiu offre una copiosa documentazione testuale e
figurativa che senz'altro arricchisce l'ideale biblioteca sulla rappresentazione
mitologica, costituendo un solido punto di partenza per addentrarsi nel suo
mondo straordinariamente complesso.
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