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Friday, July 13, 2012

LA SACRA ISOLA TIBERINA

Speranza

L'isola Tiberina è di per sè un monumento essendo stata lavorata e decorata a forma di nave attraverso graniti e marmi, una nave romana col suo albero maestro, all'epoca un obelisco, che sembrava navigare sul Tevere.






















La sacra Insula Tiberina, è originata da rocce vulcaniche e depositi fluviali accumulati nei millenni nel punto in cui, allargandosi il Tevere, il livello dell’acqua si abbassa e la corrente è più lenta.

Nella Forma Urbis Severiana aveva nome di "inter duos pontes", perchè in seguito fu collegata all'Urbe da due magnifici ponti.

Fu l'isola in cui si rifugiarono le prime abitazioni romane, avendo all'inizio un solo guado e quindi più facilmente difendibile, guado che fu poi sostituito da un ponte di legno.

L'isola, detta anche Licaonia per la presenza del tempio di Gioce Licaonio, è dunque situata sul Tevere nel centro storico di Roma, collegata da due ponti.

La leggenda tramanda che si formò subito dopo la cacciata del re, nel 510 a.c., tagliando i fasci di grano mietuto a Campo Marzio, di proprietà del re Tarquinio il Superbo, raccolto nelle ceste, e gettato in quel punto del fiume, generando pian piano l’isolotto.




















L'inverosimile leggenda nasce da un culto molto antico, in cui si sacrificavano le primizie del raccolto, benedicendolo nelle ceste che venivano poi gettate nel fiume per ingraziarsi la divinità fluviale.

I fasci di grano, oltre ad essere sacri a Cerere, lo furono alla Mater Matuta e alla Dea Opi, tutte Dee italiche. E' possibile che la cacciata dei Tarquini abbia dato luogo allo stesso culto di ringraziamento.

Contemporaneamente ai due ponti fu lastricato il Vicus Censorius che collegava i due ponti all'interno dell'isola.

Della forma di nave, resta ancora visibile la prua, con blocchi di travertino che rivestono l'interno in peperino, e decorazioni raffiguranti Esculapio con il suo serpente e una testa di toro per gli ormeggi.

















Al centro vi era un obelisco, a raffigurare un albero maestro simbolico, ricordo dell'arrivo nel 292 a.c. da Epidauro della divinità.

Nel 293 a.c., ci fu infatti un grande peste a Roma.

Per la consultazione con la Sibilla, il Senato romano fece costruire un tempio di Esculapio, e inviò una delegazione a bordo di una nave a vela ad Epidauro per ottenere una statua della divinità. Ottennero invece un serpente da un tempio che posero a bordo della loro nave.

Il serpe si arroltolò intorno all'albero della nave, presagio molto fausto.

Al ritorno sul Tevere, il serpente scivolò dalla nave e nuotò verso l'isola, segno che voleva il suo tempio su quell'isola.

Dopo la sua costruzione infatti la peste svanì miracolosamente.

Nel I secolo a.c., furono costruiti in muratura, con rivestimenti di granito, i due bei ponti Fabricio e Cestio, detto anche di S. Bartolomeo. Il Ponte Cestio, che congiunge l'isola Tiberina col Trastevere, fu edificato da Cestio Console, di era repubblicana.




























Da due iscrizioni, che sono in ambedue i lati del ponte si testimonia che fu rifatto da Valentiniano, Valente, e Graziano. Il ponte Fabricio, da Fabricio Console che lo edificò, come si legge nelle antiche iscrizioni poste sopra i grandi archi. Prese poi il moderno nome di ponte Quattro Capi da vari simulacri di Giano quadrifonte, ch'erano prima sul medesimo ponte, uno dei quali rimane ora incontro la Chiesa di s. Giovanni Colabita.

Gli argini vennero in parte rivestiti sempre in travertino in opera quadrata, dando all'isola la forma di una nave. Un piccolo obelisco, situato nella parte centrale dell’isola stessa, doveva dare infine l’impressione di un albero per le vele. Con la costruzione dei ponti, l’isola Tiberina viene unita stabilmente alle due sponde e acquista la denominazione «inter duos pontes», leggibile anche su un frammento della Pianta Marmorea Severiana.
































Che l'isola fosse sacra lo prova la presenza di molti templi, tra cui il tempio di Esculapio, il Dio greco della medicina, il tempio di Giove, il tempio di Veiove, il tempio di Fauno, edificato da Domizio Enobarbo con i danari della multa posta ai Mercanti di pecore e il tempio Tiberino dedxicato al Dio Tevere.

Nella parte settentrionale si trovavano, ora situati fra le fondamenta dell'Ospedale Fatebenefratelli, i due templi dedicati nel 194 a.c. a Fauno e Veiove; un sacello per Iuppiter Iuralius, il "garante dei giuramenti", oggi sotto la chiesa di San Giovanni Calibita, ma in cui un pavimento musivo mostra ancora la dedica al Dio. poi un'ara dedicata al Dio Semo Sancus, Deus Fidius, di origine sabina. Altri templi erano dedicati a Gaia la Dea Terra, preposta anch0essa ai giuramenti, e a Bellona, detta Insulensis, Dea della guerra.

Il Tempio di Esculapio sorse nella parte meridionale dell'isola, nel luogo oggi occupato dalla chiesa di San Bartolomeo: al suo interno un pozzo testimonia la fonte collegata al santuario. Ai lati del tempio si trovava un portico per l'accoglienza dei pellegrini e soprattutto dei malati.
















































Questi venivano ospitati nel tempio in attesa della guarigione miracolosa da parte di Esculapio, Dio della medicina, e poichè il miracolo non costava mentre i medici costavano, molti romani portavano là i propri schiavi malati, si che Augusto emise in editto per cui ogni schiavo guarito nel tempio diventava automaticamente libero, dimodochè i padroni perdevano ogni diritto su di lui.





Come tutti i templi pagani anche quelli dell'isola tiberina vennero distrutti o trasformati in chiese. Nel 998 poi l'imperatore cattolico Ottone III costruì la chiesa di San Bartolomeo all'Isola sopra il Tempio di Esculapio, le cui rovine sono sul lato est dell'isola.

STAMPA DEL PIRANESI CON LA PARTE
ANTERIORE DELL'ISOLA A FORMA DI NAVE























Il Papa fece rimuovere quindi l'obelisco e lo sostituì con una colonna sormontata da una croce, dove il 24 agosto di ogni anno si affiggeva l'elenco di chi non aveva seguito il precetto pasquale, per consegnare il malcapitato al pubblico ludibrio.

Distrutta la colonna dall'urto di un carro nel 1867, Papa Pio IX vi pose un'edicola, detta "Spire", con le statue dei quattro santi legati all'isola: S. Bartolomeo, S. Paulino di Nola, S. Francesco di Nola e S. Giovanni. Le parti dell'obelisco sono state recuperate e ora conservate nel museo di Napoli.

Sopra gli avanzi del Tempio di Giove Licaonio, di cui soi conserva l'incisione, vi è ora la Chiesa di S.Giovanni Colabita con 12 colonne sottrratte all'antico tempio quasi tutte di granito.


























Anche se il tempio di Esculapio ora si trova in profondità sotto San Bartolomeo, l'isola è ancora considerato un luogo di cura, perché un ospedale, fondato nel 1584, fu costruito sull'isola ed è ancora operativo.

L'ospedale non è stato costruito sullo stesso luogo, come il tempio, ma trova sulla parte occidentale dell'isola.
In un cortiletto del convento dei Colabitii è incastrata nel muro la base coll'iscrizione dellla statua di Esculapio qui trovata, poi trasportata negli Orti Farnesi. Accanto a detta iscrizione ve n' è un'altra, che appartiene ad una statua di Semoni Sanco, appellativo in antica lingua Sabina di Ercole.

Restano alcune parti della sagoma della nave in travertino: la poppa con un timone e la figura di Esculapio, non più in loco, nonchè il simbolo di Esculapio, il caduceo con un serpente intrecciato, ancora visibile sulla "prua" dell'isola, oltre ad alcune teste leonine per ancorare le imbarcazioni.

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