Friday, May 31, 2024
Grice e Rossi
PAOLO ROSSI
CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX CLAVIS UNIVERSALIS DELLO STESSO AUTORE: Per una storia della storiografia socratica, nel vol. Problemi di storio- grafia filosofica, a cura di A. Banfi, Milano, Bocca, 1951. Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. Il «De Principiis» di Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, a cura di E. Garin, Roma-Milano, Bocca, 1953. Francesco Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, Laterza, 1957. Su alcuni problemi di metodologia storiografica, nel vol. Il pensiero americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. Altre ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica di storia della filosofia », anni 1950 segg. C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano nel 1848, Milano, Universale Economica, 1948 (introduzione). O . Cattaneo, La società umana, Milano, Mondadori, 1959 (antologia). > . E. TayLor, Socrate, Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). F. Bacone, La nuova Atlantide e altri scritti, Milano, Universale Eco- nomica, 1954 (introduzione, traduzione e note). G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1959 (introdu- zione e note). PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX © TUTTI I DIRITTI RISERVATI - ALL RIGHTS RESERVED PRINTED IN ITALY INDICE Premessa I. Immagini e memoria locale nei secoli XIV e XV I. Polemiche di umanisti contro le prescrizioni della me- moria - 2. Le fonti classiche e medievali dell’ars memora- tiva - 3. Ars memorativa e ars praedicandi nel secolo XIV - 4. Tecniche della memoria nel secolo XV - 5. La Fenice di Pietro da Ravenna - 6. Natura e arte - 7. Arte della memoria, aristotelismo e medicina - 8. La costruzione delle immagini. II. Enciclopedismo e combinatoria nel secolo XVI III. IV. I. La rinascita del lullismo - 2. Agrippa e le caratteri- stiche dell’ars magna - 3. Arte, logica e cosmologia nella tradizione lulliana - 4. L’arbor scientiae © gli enciclopedisti del secolo XVI - 5. La confirmatio memoriae negli scritti di Raimondo Lullo - 6. Bernardo de Lavinheta: combina- toria e memoria locale - 7. La logica memorativa. I teatri del mondo I. Simbolismo e arte della memoria - 2. Diffusione del- l’ars reminiscendi in Inghilterra e in Germania - 3. Span- gerbergius - 4. La medicina mnemonica di Gratarolo - 5. Il lullismo e la cabala nei teatri del mondo. La logica fantastica di Giordano Bruno I. Gli scritti lulliani e mnemotecnici del Bruno - 2. Com- binatoria, ars memorativa e magia naturale nel secolo XVII. V. La memoria artificiale e la nuova logica: Ramo, Bacone, Cartesio I. Pierre de la Ramée: la memoria come sezione della logica - 2. Bacone e Cartesio: la polemica contro i gio- colieri della memoria - 3. Mnemotecnica e lullismo in Bacone e Cartesio - 4. L’inserimento delle tecniche me- morative nella nuova logica: gli aiuti alla memoria nel metodo baconiano; tavole, topica, induzione; gli aiuti alla memoria e la dottrina dell’enumerazione nelle Regulae. 4l 81 109 135 VIII CLAVIS UNIVERSALIS VI. Enciclopedismo e pansofia I. Il sistema mnemonico universale: Enrico Alsted - 2. La pansofia e la grande didattica: Comenio - 3. Enciclope- dismo e combinatoria nel secolo XVII - 4. L'alfabeto filo- sofico di Giovanni Enrico Bisterfield. VII. La costruzione di una lingua universale I. I gruppi baconiani in Inghilterra: progetti di una lin- gua universale - 2. Simboli linguistici e simboli matema- tici - 3. I gruppi comeniani: lingua universale e cristiane- simo universale - 4. La costruzione di un linguaggio per- fetto: George Dalgarno e John Wilkins - 5. La funzione mnemonica delle lingue universali: il metodo classifica- torio nelle scienze naturali - 6. Cartesio e Leibniz di 179 201 fronte alla lingua universale. VIII. Le fonti della caratteristica leibniziana 239 APPENDICI App. À pp. App. App. App. App. App. App. À pp. App. I II IIl IV Vv VI VII VIII: IX X : 11 Liber ad memoriam confirmandam di Raimondo Lullo. : Un anonimo trattato in volgare del secolo XIV. : Due Mss. quattrocenteschi di ars memiorativa. : Documenti sull’attività di Pietro da Ravenna. : Tre Mss. di ars memorativa del tardo secolo XVI. : Il Petrarca, maestro di arte della memoria. : Uno scritto inedito di Giulio Camillo. Esercizi di memoria nella Germania del secolo XVII. : La voce Art mnémonique nella Enciclopedia di Diderot. : D’Alembert e i caratteri reali. INDICE DEI MANOSCRITTI INDICE DEI NOMI. PREMESSA Il termine clavis universalis fu impiegato, fra il Cinque- cento ed il Seicento, a indicare quel metodo o quella scienza generalissima che pongono l’ uomo in grado di cogliere, al di là delle apparenze fenomeniche o delle « ombre delle idee », la trama ideale che costituisce l’essenza della realtà. Decifrare l'alfabeto del mondo; riuscire a leggere, nel gran libro della natura, i segni impressi dalla mente divina; scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie e la catena delle umane ragioni; costruire una lingua perfetta capace di eliminare gli equivoci e di svelare le essenze mettendo l’uomo a contatto non con i segni, ma con le cose; dar luogo ad enciclopedie totali, a ordinate classificazioni che siano lo specchio fedele dell'armonia presente nel cosmo: al tentativo di realizzare risultati di questo tipo, ad analizzare, difendere e propagan- dare queste posizioni e la visione del mondo ad esse collegata furono intenti, fra la metà del Trecento e la fine del secolo XVII, quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a det- tare le regole della memoria artificiale, a compilare grandiose enciclopedie e complicati teatri del mondo, a ricercare l’alfa- beto dei pensieri, a farsi sostenitori delle aspirazioni della pan- sofa e delle speranze in una totale redenzione e pacificazione del genere umano. Si tratta di atteggiamenti, di progetti, di temi che ebbero diffusione vastissima, che esercitarono un peso decisivo sulle ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad approfondire, da un ben determinato punto di vista, il pro- blema della lingua e quello della memoria, le questioni atti- nenti alle topiche e alle classificazioni, ai segni e ai geroglifici, ai simboli e alle immagini. È senza dubbio difficile per un uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione libraria dedicata a quest'ordine di problemi ebbe ad eserci- tare sulla cultura, anche su quella filosofica. Resta il fatto che ad elaborare le regole del discorso, quelle dell’ argomentazione e della persuasione, a stabilire i canoni dell’arte della memoria, ad insegnare il tipo di collegamento che deve sussistere tra i luoghi della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno X CLAVIS UNIVERSALIS da essere collocate, a studiare le figure della grande arte di Lullo, ad elaborare le complicate regole della combinatoria, si dedicarono intere generazioni di uomini colti dal primo Rina- scimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche della memoria artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla cultura europea non è probabilmente un male; male è invece che molti storici abbiano creduto o tuttora credano di poter intendere polemiche e discussioni e significati di teorie, strap- pando violentemente quelle discussioni e quelle teorie da un contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben morte, erano invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- tura del Cinquecento e del Seicento, non ha per esempio inteso il significato della connessione logica-retorica e ha creduto di poter tracciare una storia della prima senza minimamente occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere, conclusioni abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, che «testi insignificanti » ebbero grande diffusione in tutta Europa, significa, in ultima analisi, cercare di sfuggire, con un giro di parole, ad un problema storico ben determinato: che è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei motivi che spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e Cartesio e Leibniz e uomini come Alsted e Comenio e scien- ziati come Boyle o Ray a prendere estremamente sul serio quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione della loro funzione e del loro significato, a interpretarle e adattarle a più diverse e complesse posizioni di pensiero. Certo, ove non si vogliano eliminare dalla storia, come frutto di errori e di illusioni, gli scritti latini del Bruno, vari capitoli del De Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, una metà degli opuscoli di Leibniz, ove non si vogliano re- spingere ai margini della cultura uomini come Alsted e Co- menio, bisognerà rendersi conto che anche la cultura del Sei- cento (non solo quella delle età precedenti) è, nelle sue stesse linee di fondo, assai lontana da una mentalità post-illumini- stica. Poiché è proprio il razionalismo illuministico che segna, da questo punto di vista, una svolta decisiva: una serie di problemi che avevano appassionato per secoli i cultori di logica e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi del linguaggio vennero eliminati per sempre dalla scena della cultura europea, perdettero significato e senso, apparvero manifestazioni delle PREMESSA XI folli aspirazioni di secoli che si erano posti sotto il segno delle empie ricerche astrologiche, magiche e alchimistiche, o sem- brarono i relitti, ancora presenti nell’ età della nuova scienza, delle tenebre medievali. Accettando come valido il quadro sto- riografico estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel corso di un’aspra lotta ideologica, non poca della storiografia dei secoli successivi ha preferito sorvolare su alcuni aspetti, che furono in realtà decisivi, della cultura dell’età barocca. Gli interessi del Bruno per la combinatoria e la mnemotecnica vennero considerati come «curiosità e bizzarrie »; si preferì sorvolare sul fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave- vano visto nella « memoria » una delle sezioni nelle quali si articola la nuova logica dei moderni; non si tenne conto che la dottrina baconiana delle tavole e dell’induzione, che quella cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate su un ter- reno storico preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a di- scussioni ormai secolari; si vide in Comenio solo il pedago- gista moderno e in Leibniz solo il teorico della logica formale. Di quel complicato groviglio di temi connessi alla cabala e alle scritture ideografiche, alla scoperta dei caratteri reali, al- l’arte della memoria, all'immagine dell’albero delle scienze, alla mathesis e alla caratteristica universale, al metodo inteso come miracolosa chiave dell’universo, alla scienza generalissima, si preferì sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e miste- riosa entità “platonismo” sempre presente, come uno sfondo non chiarito e un indistinto panorama, dietro le opere dei grandi e dei piccoli pensatori. Questo libro è nato dal tentativo di chiarire, almeno nelle sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di individuare gli aspetti generali e particolari di quel “panorama”: non me- diante riferimenti generici, ma attraverso l’analisi diretta di una serie di testi editi e inediti, un esame della diffusione di determinati libri e di determinate idee, una ricerca dell’azione esercitata da quei libri e da quelle idee sulla “filosofia” (in particolare sulla logica) dei pensatori moderni di maggior rilievo. i La funzione, il significato, gli scopi delle arti della me- moria e della logica combinatoria si andarono, di volta in volta, variamente configurando dal secolo XV al XVII. Le formule, da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono XII CLAVIS UNIVERSALIS in ambienti diversi da quelli originari, significati assai diffe- renti: quella che era apparsa a molti, fra il Trecento e il Quattrocento, una tecnica neutrale utilizzabile nei discorsi per- suasivi indipendentemente dalle circostanze di luogo e di tempo, finì per rivelarsi strumento di ambiziosi progetti di riforma, per caricarsi di significati metafisici, per connettersi al temi della cabala dell’esemplarismo mistico e della pansofia. Da questo punto di vista fra i testi di ars praedicandi o di ars memoriae del Trecento e del Quattrocento e i testi del Bruno e del Camillo esiste una incolmabile differenza: a uno strumento concepito in vista di finalità pratiche e mondane, nell’ambito della retorica, si è sostituita, dopo l’incontro con la tradizione del lullismo, la ricerca di una cifra che consenta di penetrare i segreti ultimi della realtà, di ampliare smisura- tamente le possibilità dell’uomo. Non diversamente, inserendo la dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una dottrina del metodo o della logica, o richiamandosi alla carena e al- l’arbor scientiarum, Ramo, Bacone e Cartesio muteranno pro- fondamente il senso di problemi tradizionali. L'antico pro- blema della memoria artificiale, piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, faceva il suo ingresso nella logica moderna, si legava ai temi del linguaggio universale e della scienza prima o generale. Ma al di là di questi “mutamenti” e di queste “trasfigurazioni” resta ben salda, dalla fine del Trecento agli ultimi anni del secolo XVII, una effettiva con- tinuità di idee e di discussioni: una continuità che ha carat- tere europeo e che è accertabile mediante la documentazione della diffusione di un grandissimo numero di testi e di molte idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso del Set- tecento i testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di Alsted e di Pedro Gregoire, di Schenkelius e di Rosselli, di Bisterfield e di Wilkins, che erano stati studiati e letti e com- mentati da Bruno e da Bacone, da Comenio da Cartesio e da Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche il lullismo, che era stato in Francia, in Germania e in Italia, una delle componenti fondamentali della cultura, una delle “sette” filosofiche più fortunate e accademicamente più forti, si localizza nella città di Magonza e nell’isola di Maiorca, assume carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella se- conda metà del secolo, solo alle malinconiche esercitazioni di PREMESSA XIII qualche professore, si riduce a manifestazione di una menta- lità irrimediabilmente arcaica e provinciale. Non diversamente le arti della memoria artificiale, nate con Cicerone e Quinti- liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate essenziali all’esercizio della virtù cristiana della prudenza, coltivate da Lullo, da Bacone e da Leibniz, vengono respinte ai margini della cultura, vanno infine a far compagnia, nelle collane di libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e dello spiritismo. Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un “simbolismo” di tipo matematico Leibniz aveva dato in realtà un colpo mortale a quei “simboli” intesi come «pitture ani- mate prodotte dall’immaginativa » che avevano riempito per tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di filosofia. Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un intero mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- zione delle immagini e dei simboli, ma anche un modo di intendere il compito della logica e i rapporti di questa con la metafisica. Nel 1713 quando Collier pubblicò la sua Clavis universalis, questo termine, già carico di tanti significati, aveva perso ogni senso, era solo un'etichetta, estranea al contenuto dell’opera. Rifiutando gli aspetti arcaici del pensiero leibni- ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione lulliana, le stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo- sfera — alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli precedenti, il razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella condanna — con conseguenze storiche assai importanti — an- che i progetti di una caratteristica universale e di un simbo- lismo logico avviati da Dalgarno e da Wilkins, condotti avanti da Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un secolo dalla comparsa della Dissertatio de arte combinatoria, esclu- deva radicalmente che le idee composte potessero essere rap- presentate mediante la combinazione di segni e paragonava la caratteristica di Leibniz agli inconcludenti sogni dell’ alchimia. L’opera di Leibniz veniva così identificata con quella di un teologo e di un metafisico speculativo, la sua fama era affidata alla Teodicea e alle discussioni sul problema del male. Come ha scritto con molta esattezza il Barber, che ha studiato in modo egregio le reazioni di un secolo di cultura francese al leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo « swept Leibniz too into the class of the outmoded exponents of apriori XIV CLAVIS UNIVERSALIS : DR, Si : systems ». Per veder ripresi i progetti di Leibniz bisognerà attendere per due secoli: fino ad Augustus de Morgan e a George Boole; come logico, Leibniz verrà rivalutato, agli inizi del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand Russel; del vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per la prima volta dopo il Settecento, nel volume The meaning of meaning di Ogden e Richards pubblicato a Londra nel 1923. La sviluppo ottocentesco della logica formale, il costituirsi della logica simbolica come scienza derivava dalla « graduale acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua natura di tecnica deduttiva indipendente dai presupposti di una visione generale del mondo » (Barone) dallo svincola- mento « da ogni preoccupazione ontologico-metafisica » (Preti). Come già aveva notato Husserl, la logica formale moderna era nata « non da riflessioni filosofiche sul significato e sulla necessità della mathesis universalis, ma dalle esigenze della tecnica teoretica deduttiva della matematica ». I riconoscimenti delle « geniali anticipazioni » presenti nel pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su questo terreno. Ma su un altro terreno, radicalmente diverso, si era mosso Leibniz e, prima di lui, si erano mossi Bacone e Car- tesio. Quelle “anticipazioni”, quei “precorrimenti” che Far- rington, Beck' o Russel, trattando rispettivamente di Bacone, di Cartesio e di Leibniz, hanno così acutamente segnalato sono senza dubbio di grandissimo interesse ed ogni ricerca volta a determinarne meglio la portata e la fecondità per i contem- poranei è non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto- lineare le differenze, battere sulla diversità, sulla alterità è, quanto meno, altrettanto importante: per dissipare cquivoci, per mostrare che cosa fu, nella realtà, quello sfondo indistinto sul quale campeggiano i ritratti dei nostri illustri antenati. Co- me ha scritto di recente Augustin Crombie, a proposito dei lu- minosi precorrimenti presenti nell’opera di Galileo, « it is not by reading our own problems backwards that historical expe- rience is enlightening, but by exposing ourselves to the surprise that thinkers so effective should have had aims and presup- positions so different from our own ». Chi abbia familiare la letteratura sul Rinascimento vedrà chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di E. Garin sulla cultura dei secoli XV, XVI e XVII e, per quanto PREMESSA XV riguarda la “continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e il Settecento, alle conclusioni cui è giunto, di recente, Delio Cantimori. Desiderio inoltre esprimere la mia gratitudine al Padre Miquel Batllori dell’ Istituto Storico della Compagnia di Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G. Bing del War- burg Institute, agli amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli che mi hanno variamente consigliato, fornito pubblicazioni e indicazioni di articoli e di studi. Ringrazio inoltre il dott. Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano di Amburgo che mi ha procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani c la direzione della « Rivista critica di storia della filosofia » che mi ha consentito di riprodurre qui quelle parti del libro che erano apparse, nella rivista stessa, sotto forma di saggi. AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le biblioteche qui di seguito elen- cate, si sono usate le seguenti abbreviazioni (ma si veda anche l’ Indice dei manoscritti: Ambros. . Ambrosiana Ang. Angelica Anton. Antoniana Archiginn. Comunale di Bologna Braid. Braidense Casan. Casanatense Class. Classense Fir. Naz. Nazionale di Firenze Laur. Laurenziana Marc. Marciana Pad. Civ. Civica di Padova Par. Naz. Bibliothèque Nationale Pavia Univ. Universitaria di Pavia Ricc. . Riccardiana Roma Naz. Nazionale Centrale di Roma Triv. Trivulziana Vatie. Apostolica Vaticana IMMAGINI E MEMORIA LOCALE NEI SECOLI XIV E XV 1. POLEMICHE DI UMANISTI CONTRO LE « PRESCRIZIONI » DELLA MEMORIA. In un testo fondamentale della filosofia moderna, com- posto alla metà del secolo dei lumi, Hume, discorrendo del discernimento e della memoria, affermava che mentre i difetti del discernimento non possono trovar rimedio in alcuna arte o invenzione, i difetti della memoria possono sovente essere attenuati od eliminati «sia nel campo degli affari come in quello degli studi ». Accennando al « metodo », alla « opero- sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a una debole memoria, scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa memoria come la ragione del fallimento d’una persona nelle sue iniziative. Ma nell’antichità, quando nessun uomo poteva conseguire successo se non possedeva il talento della parola, e quando il pubblico era troppo delicato per reggere ad ar- ringhe rozze ed indigeste del tipo di quelle che gli improv- visati oratori dei nostri giorni propinano alle assemblee, la facoltà della memoria aveva la massima importanza e, per conseguenza, era assai più stimata di oggi ».' Hume, che negli anni della sua formazione intellettuale aveva « segretamente divorato » i testi ciceroniani, era ben con- sapevole dell’esistenza storica di una tecnica o arte della me- moria che, come risulta dal suo brano, è per sua natura con- nessa al fiorire di una civiltà che fa largo posto alle tecniche del discorso e ad un mondo nel quale la retorica si presenta come un elemento vivo della cultura. Negli anni in cui Hume scriveva, le ricerche volte alla fissazione e alla elaborazione 1 D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della morale, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L. A. Selby Brigge, Oxford, 1955, p. 241. Sul problema della memoria cfr. anche A Treatise of Human Nature, cd. by L. A. Selby Brigge, Ox- ford, 1955, pp. 8-10 (sulla memoria e l'immaginazione); pp. 117-118 nota; pp. 108, 153, 199, 209. Sull’ assenza di ogni sensazione di piacere o di pena nell'esercizio della memoria cfr. libro III, parte III, scz. IV. 2 CLAVIS UNIVERSALIS delle regole della memoria artificiale erano ormai definitiva- mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano rifu- giate sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era trattato solo di un corrompersi delle arti del discorso di fronte alla minore delicatezza degli uditori: l’enorme diffusione della stampa (e quindi dei repertori, dei dizionari, delle bibliografie, delle enciclopedie), la progressiva affermazione delle nuove logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai Portorealisti) ave- vano dato in realtà un colpo mortale da un lato alla tratta- tistica retorica e dall’altro a quella produzione di opere di mne- motecnica (a quella trattatistica strettamente collegata) che, durante i secoli XV e XVI e nei primi decenni del XVII, ave- vano letteralmente invaso l’ Europa. Solo tenendo conto della diffusione che la mnemotecnica aveva raggiunto non solo in un ambito letterario e filosofico, ma anche all’interno delle scuole e dei programmi d’insegna- mento, ci si possono spiegare le proteste e le ironie che contro di essa da più parti si levarono nei secoli stessi del Rinasci- mento. Nel decimo capitolo del De varitate scientiarum, dedi- cato appunto all’ars memorativa, Agrippa si scagliava con vio- lenza, contro quei zedulones che, nelle scuole, impongono agli studenti lo studio della memoria artificiale o che riescono a spillar quattrini agli incauti facendo leva sulla novità dell’arte. Far ostentazione di capacità mnemoniche gli sembrava cosa puerile; spesso, concludeva, si giunge a manifestazioni di tur- pitudine e di impudenza: si sciorinano tutte le merci dinanzi alla porta mentre la casa, all’interno, è completamente vuota. Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca, Petrarca e Pietro da Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, egli da un lato notava la insufficienza della memoria artificiale ove non sussistesse già robusta la nazuralis memoria c dal- l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso delle immagini e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul- tori della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- diante l’arte coloro che non si accontentano dei confini sta- biliti dalla natura.” ° H. C. Acrirra, De incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 3 Con altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, nemico dei ciceroniani e della retorica, si pronuncerà contro l’uso dei loci e delle immagini che non fanno — affermava — che rovinare e corrompere la memoria naturale. Con più iro- nia, un altro grande critico delle degenerazioni pedantesche e delle precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let- teratura, insistendo, con una crudezza che va certo spiegata anche mediante il riferimento ad una situazione culturale pre- cisa, sulla sua stessa mancanza di memoria: Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de parler de memoire, car je n’en recognois quasy trace en moi, et ne pense qu'il y en ayt au monde une aultre si mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de quelque legon, jc suis homme de nulle retention... Ma memoire sempire cruellement tous les jours... Proprio sul terreno dell'educazione c partendo dal presup- posto che « sgavoir par coeur n'est pas “gdvolt, c'est tenir ce qu'on a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne polemiz- zava contro l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- tura « viva»: non si chieda conto al discepolo delle parole della lezione, ma del suo senso e della sua sostanza; gli si chieda non la testimonianza della sua memoria, ma della sua vita; lo stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se non quando ha mutato la forma e la struttura degli alimenti, iden- tico è il compito della mente." Non si trattava di generici riferimenti alla libertà della mente di fronte ad ogni precet- tistica; la polemica di Montaigne assomiglia solo nella forma a quella che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni * D. Erasmo, De razione studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. ! MoNTAIGNE, Esseis, I, 9; II, 10 (ediz. Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 374). > Essats, I, 25 (vol. I, p. 119). € «Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon, mais du sens et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, non par le tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- gnage de crudité et indigestion, que de regorger la viande comme on l’a avallée: l'estomach n'a pas faict son operation, s'il n'a faict changer la faccon et la forme à ce qu'on luy avoit donné à cuire... On nous a tant assubjectis aux chordes, que nous n’avons plus de franches allu- res; notre viguer et liberté est esteincte ». (Essai, I, 25; vol. I, p. 117). Cfr. anche II, 10 (vol. I, p. 380). 4 CLAVIS UNIVERSALIS contro gli studenti che imparano le lezioni a memoria. Egli aveva di fronte obbiettivi precisi: Si en mon pais on veult dire qu'un homme n°a point de sens, ils disent qu'il n'a point de memoire; et quand je me plains du default de la mienne, ils me reprennent et mescroyent, comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne veoyent pas de chois entre memoire et entendement... Mais il me font tort, car il se veoid par cxpérience que les memoires excellentes se joignent volentiers aux jugements debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur Curio que, quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison en trois ou en quatre, ou les nombres de ses arguments ou raisons, il luy advenoit volentiers ou d’en oublier quel- qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus. J'ay tous- jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai ces promesses et prescriptions...” In realtà, nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, quelle odiate « prescrizioni » erano destinate a diffondersi sempre più ampiamente durante tutto il secolo XVI e a pro- lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del secolo XVII Wolfang Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello dei grandi umanisti, contro l’apprendimento mnemonico e contro gli esercizi di mnemotecnica.* Ancora negli ultimi anni del secolo i ‘““ciceroniani”, che non avevano affatto disarmato nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi ramista e car- tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- gica oltreché retorica, della necessità e dell’utilità della me- moria artificiale. Quella vasta produzione di trattati di ars memorativa alla quale si rifaceva la Art of Memory del D’As- signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai « giovani studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto espressione di pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato forma quel panmetodismo che, nel corso del Cinquecento, aveva contrassegnato tutta la cultura. La fisionomia, i tempe- ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il di- ? Essais, I, 9; III, 9 (vol. I, p. 25; vol. II, p. 350). * Pàdagogische Schriften des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, Breslau, 1903. Cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, 1400-1600, Bari, 1957, pp. 234-235. ® M. D'Assicny, The Art of Memory. A treatise useful for such as are to speak in Publick, London, 1697. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 5 scorso, la poesia, l'osservazione della natura, l’arte del gover- nare e quella militare: tutto venne in quell’età codificato e ridotto in arte. In quel periodo della cultura che è stato felice- mente chiamato «l’età dei manuali », in quel secolo che « fu instancabile nel ricercare princìpi normativi di valore generale e perenne da calare in comodi schemi didascalici »,°° proprio mentre si veniva chiarendo la impossibilità, per quelle codifi- cazioni, di passare dal piano delle topiche e dei teatri univer- sali a quello del metodo,!! si andava rafforzando l’esigenza di un’arte capace di presentarsi come la chiave della realtà, come arte universale e somma, capace di risolvere di colpo tutti i problemi dando luogo ad una tecnica suprema che rendesse di fatto inutili tutte le varie provvisorie e particolari tecniche. L’idea di un’arte del ricordare e del pensare che si svolga in modo “meccanico” acquisterà nuovo vigore quando, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, si stabilirà un contatto profondo fra le ricerche di arte della memoria ispirate a Cicerone a Quintiliano alla Retorica ad Herennium, quelle derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele dai commenti di Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- tamente legate alla ars magra di Lullo. Avrà allora nuovo rilievo il concetto di un meccanismo concettuale che, una volta messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo relativamente indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- guenze, fino alla comprensione totale, ponendo gli uomini in grado di leggere nella sua integrità il gran libro dell’universo. Per rendersi conto del peso che questa idea eserciterà nel seno stesso della filosofia moderna basterà pensare alla macchina che Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al mirabile inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- tria analitica, nei testi di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- tori di luce universale » di Comenio, infine a quella mirabile chiave che intendeva essere la “caratteristica” leibniziana. L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- !° L. Firpo, Lo stato ideale della Controriforma (Ludovico Agostini), Bari, 1957, p. 245. !! Cfr. R. KLEIN, L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- sile Ficin et Giordano Bruno, in « Revue de Métaphysique et de Mo- rale », 1956, 1, pp. 30-31. 6 CLAVIS UNIVERSALIS mente logica e metafisica,'° che, a differenza della logica tra- dizionale, tratti non delle seconde, ma delle prime intenzioni, che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il vero senso dei rapporti reali, aveva trovato piena espressione, nei secoli del Rinascimento, nei tormentati scritti di mnemo- tecnica del Bruno. E non a caso, oltre che alla lettura dei testi di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla scoperta, fatta in anni giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da Ravenna," che era invece di precisa ispirazione “retorica” e “ciceroniana”. Quando nel De umbris idearum Bruno si muoverà sul piano dei nessi immaginativi, delle connessioni tra immagini e figure e lettere, affiderà proprio al connubio tra meccanismo logico e meccanismo psicologico quella possibilità di una immensa estensione del sapere o di una nuova inventio che era al cul- mine delle sue aspirazioni: in quel punto apparivano saldate insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni del lullismo e le tec- niche sull’uso dei luoghi e delle immagini che derivavano dai testi di retorica antica e dai trattati sulla memoria artificiale del Rinascimento. Leggendo le pagine vivacemente polemiche contro l’arte della memoria (quelle di Ratke come quelle di Erasmo o di Montaigne o di Agrippa) è certo difficile non simpatizzare in qualche modo con quella polemica condotta, in nome della libera spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la pedan- teria e le prolissità di una rigida precettistica. Ciò non toglie 12 R. LutLi, Opera omnia, Mainz, 1721-42, vol. III, p. 1: « Sciendum est ergo, quod ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica considerat res, quae sunt extra animam, prout conveniunt in ratione entis; logica etiam considerat res secundum esse, quod habent in anima... sed hacc Ars tanquam suprema omnium humanarum scientiarum in- differenter respicit ens secundum istum modum ct secundum illum ». Cfr. anche Opera, ed. Zetzner, Strasburgo, 1617, p. 358: « Logicus trac- tat de secundariis intentionibus... sed generalis artista tractat de primis... Logicus non potest invenire veram legem cum logica: generalis autem artista cum ista arte invenit... Et plus potest addiscere artista de hac arte uno mense, quam logicus de logica uno anno ». (Copia usata: An- gelica, XX, 12, 49). 13 A. Corsano, // pensiero di G. Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze, 1940, p. 41; F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte e confrontate con le italiane, Firenze, 1889, p. 37, nota 2. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE / che di fatto proprio quella precettistica (quella derivante da Cicerone come quella derivante da Lullo) ebbe ad incidere, per vie sotterraneee, sulla formazione della nuova cultura con- dizionando il costituirsi stesso della logica nuova da Bacone a Leibniz. In varie guise collegata agli sviluppi delle arti del discorso e alle tecniche della persuasione, ai tentativi di co- struzione di una nuova enciclopedia, alle controversie sul rami- smo e sul lullismo, alla magia, alla medicina e alla fisiogno- mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si colloca dun- que, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al centro di un giro di discussioni e di problemi cui appaiono interessati non solo i teorici o cultori della retorica, ma filosofi e logici c cultori di scienze occulte e medici ed enciclopedisti di varia provenienza e natura. Le “bizzarrie” della mnemotecnica andranno così da un lato a intrecciarsi a problemi di logica e di retorica e dall’altro a connettersi alla rinascita del lullismo e alla creazione di lin- guaggi artificiali nonché a quella ambigua atmosfera magico- occultistica che appare in molti casi collegata al rifiorire di interessi per l’ars magra di Lullo. Le discussioni sulla mnemo- tecnica non saranno in tal modo senza risonanza su due grandi problemi della cultura filosofica del Seicento: quello del me- todo o della logica inventiva e quello della sistematica classifi- cazione delle scienze o costruzione di una enciclopedia del sapere. 2. LE FONTI CLASSICHE E MEDIEVALI DELL’ARS MEMORATIVA. Gli uomini — scriveva l’anonimo autore di un trattato quattrocentesco sulla memoria — inventarono arti diverse c numerose per aiutare e potenziare l’opera della natura. Con- statando la labilità dell’umana memoria, legata alla fragilità della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale fosse possibile ricordarsi di molte cose che, per via naturale, non potevano essere ricordate. Nacque così la scrittura e poiché in tempi successivi gli uomini si resero conto di non poter portare sempre seco le scritture e che non sempre scrivere era possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- crito, l’arte della memoria artificiale. Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle altre tec- 8 CLAVIS UNIVERSALIS niche che aiutano l’opera della natura, presente in questo co- me in tutti i trattati rinascimentali sulla memoria, non è, come vedremo, senza significato. Ma più che da questo accosta- mento si è colpiti, esaminando i trattati di ars memorativa composti fra la metà del Trecento e la metà del secolo XVII, dal costante, insistente richiamo alla psicologia aristotelica, ai grandi manuali della retorica latina, ai testi sulla memoria e ai commenti di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino. In molti casi i trattati che andremo esaminando non fanno che esporre, commentare, amplificare regole, dottrine, precetti che risalgono a molti secoli prima e che, elaborati in Grecia e in Roma, giungono agli scrittori del Trecento e a quelli del Rinascimento attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- stica. Certo, anche quelle regole e dottrine andranno mutando valore e portata e significato a contatto con tradizioni culturali differenti e con differenti ambiti di civiltà: quegli aiuti della memoria che appaiono connessi nel Medio Evo con l’ars prae- dicandi, diventeranno in Bruno gli strumenti di un’arte che vuol riprodurre le strutture della realtà, mentre Bacone e Descartes li inseriranno, come elementi essenziali, all’interno della nuova metodologia delle ricerche naturali. Tuttavia, chi voglia intendere il significato e l’origine storica di quegli “aiuti alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti alle quali con maggior insistenza quelle dottrine si richiamavano. Appunto di quelle fonti si intende qui dar conto brevemente. 1) Il De memoria et reminiscentia di Aristotele. Questo scritto, che si presenta come un trattato di psico- logia e non come una dissertazione sulla mnemotecnica, con- tiene tuttavia alcune affermazioni che verranno sfruttate in epoche successive in vista della costruzione di una tecnica del ricordare. I teorici della mnemotecnica si richiamano alle se- guenti dottrine aristoteliche: 4) La tesi della necessaria pre- senza dell'immagine o fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- zionamento della memoria (pvt ). Il necessario ricorso all'immagine, che è una specie di sensazione senza materia o di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi- nazione ( pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e la sensazione dall’altro intercorrano rapporti assai stretti. 4) La IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 9 tesi che il ricordo o memoria riflessa o attualizzazione della memoria scomparsa dalla coscienza ( &v&pvrotg ) sia facilitato dall'ordine e dalla regolarità, come avviene per esempio nel caso della matematica, mentre ciò che è confuso e disordi- nato difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione di una legge dell'associazione secondo la quale le immagini e le idee si associano in base alla somiglianza, alla opposizione, alla contiguità. In un passo del De memoria (2, 452 a, 12-15) che avrà particolare fortuna Aristotele affermava: «talora il ricordo sembra partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò è che l'uomo passa rapidamente da un termine all’altro, per esempio dal latte al candore, dal candore all’aria, dall'aria al- l’umidità, dall’umidità al ricordo dell’autunno, supponendo che si cercasse di ricordare questa stagione ». All’impiego delle im- magini Aristotele si riferisce del resto anche nel De anima (III, 3, 427 b, 14-20): «E chiaro che l'immaginazione è qualcosa di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è in nostro potere quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa davanti agli occhi come fanno coloro che vanno riempiendo i luoghi mnemonici e fabbricano immagini (év toîs pwapovizotîe aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ), mentre la sensazione non di- pende da noi ».'' 14 Oltre ai luoghi cit. nel testo cfr.: per i rapporti fra immagine e sen- sazione: De anima, III, 8, 423 a 9; Rhet., I, 11, 1370a 28; per i rap- porti fra memoria e immaginazione: Sec. An., II, 19, 99b 36-100a 4; Metaph., A, I, 9800 27-b 27; De mem., 1, 450a 22-25; per i rapporti fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a 30-b 3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- scentia, pur legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., II, 21, 67 a 21-22, non corrisponde al senso che il termine ha in Aristotele. La àvapynog è una attualizzazione della memoria, una ricostruzione del ricordo che richiede una conoscenza del tempo non spontanea come nella memoria (De mem., 450a 19), ma riflessa (452b 7; 453a 9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo (453a 8-9). Del De memoria et reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e commento di G.R.T. Ross, Cambridge, 1906. Utile il commento del TricoTr, nella traduzione dei Parva naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. Scarsa la trattazione della memoria nelle opere sulla psicologia aristo- telica: A. E. CHaicHer, Essai sur la psychologie d’A., Parigi, 1883; J. Nuyens, L’évolution de la psychologie d'A., Lovanio, 1948; C. W. SHUTE, Psychology of A., New York, 1947. Sulla presenza di una mne- motecnica presso i Greci cfr. la testimonianza della RAetorica ad He- 10 CLAVIS UNIVERSALIS 2) Il De oratore di Cicerone (II, 86-88). In questo testo la memoria viene trattata come una delle cinque parti che costituiscono la tecnica dell’oratore. Dopo aver fatto riferimento all’episodio del poeta Simonide (primum ferunt artem memoriae protulisse) che aveva identificato i corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo del soffitto ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- pato, Cicerone metteva in luce la opportunità, in base al pre- supposto che l’ordine giovi alla memoria, di scegliere dei luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si vogliono ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. L’ordine secondo il quale sono disposti i luoghi metterà in grado di ricordare i fatti. L'arte della memoria appare in tal modo paragonabile e analoga al processo della scrittura: i luo- ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le immagini hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle immagini appare fondato sulla necessità di un ricorso al piano del senso e sulla maggior persistenza della memoria visiva («ea maxime animis adfigi nostris quae essent a sensu tradita atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus esse sensum videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari c collocati modicis intervallis; le immagini risulteranno tanto più efficaci quanto più atte a colpire le facoltà immaginative («est utendum imaginibus agentibus, acribus, insignitis quae occurrere celeriterque percutere animum possint »). 3) Il De institutione oratoria di Quintiliano (XI, 2). Pur avanzando qualche riserva sull’utilità della € mnemo- tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua esposizione con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- zione assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla costruzione dei /xoghi della memoria artificiale Quintiliano renniun, III, 23: «Scio plerosque Graccos, qui de memoria scripse- runt... ». Sulla tecnica della memoria in Ippia d’Elide cfr. l'ipotesi avan- zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte der antiken Philosophie, VIII, 1891, p. 381. Sono da vedere anche: J. A. ErnESTI, Lexicon teclnolo- giae Graccorum rhetoricae, Lipsia, 1795; Lexicon technologiae Lati- norum rhetoricae, Lipsia, 1797; P. Laurap, Manuel des etudes grecques et latnes, App. II: La mnémotechnie des anciens, Les Humanités, 94, 1933. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 1} si sofferma a lungo: per raggiungere risultati efficienti è opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio collocando le varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- terno delle singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » (che può essere anche un edificio pubblico o può essere sosti- tuito dai bastioni di una città o da una giornata suddivisa in varî periodi o da una costruzione immaginaria e « non-reale ») sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri- chiamare alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) dai diversi loghi nei quali esse sono rimaste « custodite ». 4) La RAetorica ad C. Herennium (MI, 16-24). In questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuen- dolo a Cicerone, qualificano come rhetorica nova o secunda (per distinguerlo dal De inventione o rhetorica vetus) ritro- viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti ai quali ci siamo riferiti parlando di Cicerone e di Quintiliano. La distinzione fra memoria naturale e memoria artificiale appare formulata con estrema chiarezza: « sunt igitur duae memo- rine: una naturalis, altera artificiosa. Naturalis est ea quae nostris animis insita est et simul cum cogitatione nata; artifi- ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae- ceptionis ». Fra i /uoghi, che per ricordare molte cose do- vranno essere assai numerosi, troviamo elencati: aedes, interco- lumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt. Le immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che si intende ricordare, vanno collocate nei luoghi: «allo stesso modo infatti in cui coloro che conoscono le lettere dell’alfa- beto possono scrivere ciò che viene dettato e recitare ciò che scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte mnemonica pos- sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi ripeterle a memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i luoghi dovranno essere fissi (« imagines, sicut litterae, delentur, ubi nihil utimur; loci, tanquam cera, remanere debent ») e ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di richiamare mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal termine o dalla metà di un ordinamento o elenco.'* !° Sull’epoca di composizione della Rhetorica ad H. cfr. la introduzione di F. Marx all'edizione di Lipsia, 1894, p. I. Sulla posizione dei me- 12 “CLAVIS UNIVERSALIS 5) Il De bono (IV, 2) e il commento al De memoria et reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae (Il, 11, 49) e il commento al De memoria et remini- scentia di Tommaso d’Aquino. Le trattazioni della memoria contenute nel De Boro di Alberto e nella Summa di Tommaso !* si richiamano esplici- tamente alla fonte aristotelica e a quella pseudo-ciceroniana. Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est »; i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; la memoria delle cose che concernono la vita e la giustizia è duplice: naturale e artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate ingenii deveniendo in prius scitum vel factum facile memo- ratur. Artificialis autem est, quae fit dispositione locorum et imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui l’arte e la virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra azione «ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et non e converso », la memoria si presenta, accanto alla intelli- gentia e alla providentia, come una delle tre parti che costi- tuiscono la virtù della prudenza. Come ha ben chiarito la Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso nella loro considerazione della memoria come parte della pru- denza era il De inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella sua seconda retorica (la Rhetorica ad Herennium) aveva di: stinto tra memoria naturale e memoria artificiale dettando le regole per la acquisizione della memoria artificiale mediante l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- dievali di fronte a questo testo, p. 52. L'attribuzione del testo a Corni- ficio risale al 1491: RapHaeL Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Cice- roni falso iscribatur, in Ducenta problemata in totidem institutionis oratoriae Quintiliani depravationes, Venezia, 1491. Per la posizione di Valla sull'argomento cfr. L. VaLLa, Opera, Basilea, 1540, p. 510. 16 Cfr. ALBERTI Magni, De Bono, Monasterii Westfaliorum in aedibus Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249 segg. Il commento di Alberto al De memoria ct reminiscentia in Opera, ed. Borgnet, IX, pp. 97 segg.; quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté, Parigi, 1885, XXIV e In Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia commentarium, Roma, 1949. 17 F. A. YatEs, The Ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 882-83. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 13 ste regole entravano ad occupare un posto di primaria impor- tanza nella discussione di Alberto e di Tommaso sulla me- moria come parte della prudenza. Di questa alta considera- zione della € mnemotecnica “ciceroniana” è del resto precisa testimonianza l’ampiezza della discussione di Alberto e la sua minuziosità: praticamente vengono esaminati, nel De dono, tutti i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium. Ba- sterà, a titolo di esempio, riportare qui il passo di Alberto che si riferisce al carattere «inconsueto » che devono avere le immagini: « Ad aliud dicendum, quod mirabile plus movet quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines translatio- nis sint compositae ex miris, plus movent quam propria con- sueta. Ideo enim primi philosophantes transtulerunt se in poe- sim, ut dicit Philosophus, quia fabula, cum sit composita ex miris, plus movet ». Il richiamo ad Aristotele è particolar- mente significativo: questi testi di Alberto e Tommaso si pre- sentano infatti come un tentativo di fusione tra il testo aristo- telico e quello “ciceroniano”. Ciò appare particolarmente evi- dente nella trattazione della Summa theologiae tomistica. Muo- vendo dalla nota identificazione della memoria con una parte della prudenza (« convenienter memoria ponitur pars pruden- tiae... necessaria est ad bene consiliandum de futuris »), Tom- maso mette a confronto la possibilità che ha la prudenza di essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con quella che si offre alla memoria di essere perfezionata me- diante l’arte (« non solum a natura perficitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae »). Le quattro regole della me- moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano: l’uso delle immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- tes »), l'ordine che facilita il passaggio dall’uno all’altro con- cetto o dall’una all’altra immagine («ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur »); la necessità della concentrazione in vista della costruzione dei luoghi; la frequente ripetizione in vista della conservazione dei concetti (« quod ea frequenter meditemur quae volumus memorari »). La prima e la terza di queste regole derivano dalla R&etorica ad Herennium, la se- conda e la quarta dal De memoria et reminiscentia aristo- telico: non a caso, nel commento al De memoria, la prima regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo ari- 14 CLAVIS UNIVERSALIS stotelico mediante l’esclusione del riferimento alla costru- zione dei luoghi.!* 3. ARS MEMORATIVA E ARs PRAEDICANDI NEL sEcoLO XIV. Accanto alle citazioni di Aristotele, di Cicerone e dello pseudo-Cicerone, di Quintiliano, di Alberto e di Tommaso, compaiono spesso, nei trattati di ars memorativa composti fra il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il luogo del Timeo, IV, 265, che fa riferimento alle maggiori capacità mnemoniche della adolescenza), di Seneca (che in De dene- ficiis, III, 2-3-4-5 tocca, a proposito della memoria dei bencfzi ricevuti sia il tema della « frequenza » sia quello dell’« or- dine »), di Agostino (per i ben noti passi sulla memoria nel libro X, cap. 8 delle Confessioni e per i brevi riferimenti in De Trinitate, IX, 6). Lo stesso sommario elenco di queste « autorità » basta da solo a mostrare come quella trattatistica di ars memorativa che si diffonde largamente in Europa dopo il Trecento si richiami ad una assai antica. e non mai inter- rotta tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui storia attende ancora di essere puntualmente indagata, questa tradi- zione si era andata svolgendo secondo diverse linee di svi- luppo e su piani differenti: mentre il testo aristotelico affron- tava questioni connesse con il problema della sensazione (non a caso i commenti medievali al De memoria et reminiscentia appaiono sempre connessi a quelli al De sensu et sensato), della immaginazione e dei rapporti fra anima sensitiva e anima intellettiva, i testi di Cicerone, di Quintiliano e dello pseudo- Cicerone si erano mossi su un piano tipicamente ed esclusi- vamente « retorico » richiamandosi all'arte della memoria come ad una tecnica i cui compiti e i cui problemi si esaurivano totalmente sul piano di una funzionalità in vista dei partico- lari fini perseguiti dall’oratore. Dal De rhetorica di Alcuino al tentativo di Giovanni di 18 THoMas Aquinas, /n Aristotelis libros de sensu et sensato, cit., 371: « Si ergo ad bene memorandum vel reminiscendum, ex praemissis qua- tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut studeat quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut profunde et intente eis mentem apponat. Tertio ut frequenter medi- tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci a principio ». IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 15 Salisbury di far rivivere gli ideali dell’eloguentia, fino allo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta la grande retorica medievale si era collocata sotto il segno delle opere ciceroniane.!® Onde, com'è stato giustamente notato, si può parlare di retorica scolastica solo ove si elimini quasi comple- tamente dal termine “scolastica” il riferimento alla “autorità” di Aristotele. In Alberto e Tommaso i due piani sui quali si era andata svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione della memoria (il piano “speculativo” e quello “tecnico”) ap- paiono per la prima volta strettamente connessi e intrecciati: la psicologia razionale di Aristotele costituisce, per i due grandi maestri della scolastica, lo sfondo e la cornice entro la quale quella tecnica (che aveva avuto in Cicerone ec nella rhetorica secunda la sua espressione più alta) andava collocata, inserita e giustificata. Come la Yates ha messo opportunamente in luce,?° questo sfondo rigidamente razionalistico della mnemo- tecnica albertino-tomista costituiva molto probabilmente la 19 Di Atcuino cfr. la Dispetatio de rhetorica et de virtutibus sapien- tissini Regis Karli et Albini magistri (in Mine, P. L., CI, 919-50, in Ham, RAetores latini minores, 523-50 e ora, con traduzione inglese, in W. S. Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton, 1941). Nella trattazione delle cinque parti della retorica (trattazione che riproduce direttamente o indirettamente quella ciceroniana) ci si limita ad affermare che l'arte della memoria è stata raccomandata da Cicerone. Nel De dialectica (Micne, P. L., col. 952) la logica viene sud- divisa in due parti: dialettica e retorica (K. Logica in quot species di- viditur? A. In duas, in dialecticam et rhetoricam). Mentre la tratta- zione della dialettica derivava da Isidoro, da Boezio, dall’anonimo Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana delle Categorie aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla partizione delle cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come ha notato lo Howell) allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi riferi- menti alla memoria appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci si richiama all'episodio di Simonide (intellexit ordinem esse qui me- moriae praeccpta conferet), e nella Novissima Rhetorica del Boxncow- PAGNO composta nel 1235 dove ci si richiama ad un «alfabeto imma- ginario » come strumento per l'arte della memoria. Leggo il passo del Boncompagno sulla memoria nella trascrizione che ha dato il Tocco, Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod. marciano lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- gine essenziali sulla retorica medievale ha scritto E. R. Curtius, Euro- piische Litteratur und lateinisches Mittelalter, Berna, 1948 (trad. fr. Parigi, 1956, pp. 76-98). °° F. A. Yates, The Ciceronian Art of Memory, cit., p. 887. 16 CLAVIS UNIVERSALIS base del tentativo compiuto da Alberto e da Tommaso di sganciare nettamente le tecniche della memoria artificiale dal piano magico-occultistico dell’ars rotori o di un'arte “magica” della memoria intesa come “arte somma” o come chiave della realtà universale. Nell’ars motoria, come poi avverrà più tardi in taluni testi del pieno e del tardo Rinascimento, il problema dell’arte memorativa appare infatti strettamente collegato a quello di un'arte segreta o scientia perfecta capace di con- durre ad omnium scientiarum et naturalium artium cogni- tionem mediante il congiungimento delle regole dell’arte con formule di invocazione, figure mistiche e preghiere magiche.” Comunque stiano le cose, è certo che sulla via inaugurata dai due grandi domenicani, la via cioè di una sintesi tra le dottrine aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno non pochi scritti di arte mnemonica. Chiaramente su questa linea è per esempio il domenicano Bartolomeo da San Concordio (f 1347). Nel capitolo dedicato a «quelle cose che giovano a buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti degli antichi, frate Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- thorica ad Herennium, il Timeo, il De memoria e il secondo libro della Retorica di Aristotele, l’Ars poetica di Orazio) fa- ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me- moria e dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di quelle cose che huomo si vuol ricordare pigli alcune conve- nevoli simiglianze, ma non del tutto usate; imperrocchè delle cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che quelle cose che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi- derazione l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- l’altra ». Il riferimento alla dottrina ciceroniana dei luoghi e delle immagini appare altrettanto esplicito: « Di quelle cose che vogliamo memoria havere, doviamo in certi luoghi allo- gare imagini e similitudini ». Gli otto « precetti » esposti da Bartolomeo (1. apparare sin da garzone; 2. fortemente at- tendere; 3. ripensare spesso; 4. ordinare; 5. cominciar dal principio; 6. pigliar simiglianza; 7. non gravar la memoria di troppe cose; 8. usare dei versi e delle rime) appaiono quindi 21 Cfr. il cap. Salomon and the Ars notoria in L. THORNDIKE, History of magic and experimental science, New York, 1929 sgg.; II, pp. 279-289. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 17 ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è richia- mato.?° Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no- nostante che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da Tullio ») è invece quel trattatello trecentesco in volgare sulla memoria artificiale che è stato erroneamente attribuito a Bar- tolomeo. Accanto alla definizione del luogo (« una cosa dispo- sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma- gine («il representamento di quelle cose che si vogliono tenere a mente ») compaiono in questo breve scritto sia la distinzione fra luoghi naturali « facti per mano di natura » e artificiali « facti per mano d’huomo », sia le regole relative alla costru- zione dei luoghi e al carattere simbolico delle immagini: « An- cora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga per la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno della corona et a’ cavalieri il segno dello scudo... Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la proprino, quanto agli acti, quelle cose che a loro si convengono, si come si conviene ad uno lione dare l’imagine apta et ardita... Adunque veg- giamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lettere ».?° Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che risale alla Retorica ad Herennium, e che resterà per tre secoli uno degli assiomi fondamentali dell’« arte », appare del resto pre- sente anche in altri testi del secolo XIV: « L’arte della me- moria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno diferentia da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra le quali, siccome sopra a charta, alcune imagini sono dipinte... ?2 Fra BartoLoMEo di San Concorpio, Ammaestramenti degli antichi, Dist. 9, capp. 8, 28. 3 Il testo, per intero riprodotto in appendice, è contenuto nei codici Palat. 54 e Conv. soppr. I, 47 della Nazionale di Firenze. Un altro commento alla RAetorica ad Herennium (libro III, capp. XVI-XXIV) è contenuto nel Cod. Aldino 441 della Bibl. Universitaria di Pavia: cart. sec. XV, di cc. III con numerazione di mano più recente. Il Textus de artificiali memoria è alle cc. 1-20 Inc.: Mo passamo al texoro de le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- moria. Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, Diligentia. Finis commenti in particulari. 18 CLAVIS UNIVERSALIS onde i luoghi sono come materia e le imagini come forma ».5! Le varie regole presenti nel trattatello precedentemente citato tornavano, con lievi differenze, anche in questo scritto. Ma della diffusione negli ambienti domenicani del secolo XIV dell’ars memorativa fanno fede, oltre i testi citati, anche quella connessione, che in molti casi venne a stabilirsi fra l’ars me- moriae e l’ars praedicandi. Non a caso Lodovico Dolce, che fu nel Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei pre- cetti della retorica e di quelli della mnemotecnica, si richia- mava nel 1562? alla Summa de exemplis et similitudinibus di Fra Giovanni Gorini di S. Gimigniano (} 1323) ?" come ad uno dei testi capitali dell’arte mnemonica e collocava il suo nome, accanto a quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, nell’elenco dei fondatori dell’arte. In quel testo che si era pre- sentato come « perutilis praedicatoribus de quacumque mate- ria dicturis », la costruzione di analogie fra i vizî e le virtù da una parte e i corpi celesti e i moti della terra dall’altra dava luogo appunto ad una tecnica del costruire immagini capace di consentire al predicatore una ordinata esposizione e di col- pire in modo efficace e persuasivo la fantasia degli ascoltatori. Accanto a preoccupazioni di questo genere, un vero e proprio interesse per una tecnica della memoria non era stato del resto affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit formam artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 24 Cod. Magliab. cl. VI, 5, fol. 67v. La data in fine (Explicit et finitus die X mensis junii millesimo CCCC® XX° Indit. XIII per Petrum quon- dam Ser Petri de Pragha) fa riferimento alla stesura della miscellanea nella quale il cod. è contenuto. Altri passi, diversi da questo qui ripor- tato, di questo stesso cod. furono trascritti dal Tocco, Le opere latine, cit., p. 27, nota 4. 25 Dialogo di M. Ludovico Dolce nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria, in Venetia, appresso Giovanbattista Sessa et fratelli, 1582, p. 90. La prima cdizione è del 1562. (Copia usata: Triv. Mor. M. 248). 26 Il testo di Giovanni Gorini fu pubblicato a Venezia nel 1499: Sem- ma de exemplis et similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit summa insignis et perutilis praedicatoribus de quacunque materia dic- turis fratris Johannis de Sancto Genuniano, Impressum Venetiis per Johannem et Gregorium de Gregoris, 1499 dic XII Julii. 2? L'espressione è di Roberto di Basevorn autore di una Forma praedi- candi composta nel 1322. Il testo è stato pubblicato in appendice al volume di TH. M. CHarvanp O. P., Artes praedicandi, contribution è IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 19 larghissima diffusione. Per uno dei maggiori teorici della pre- dicazione, Thomas Waleys, la divisio thematis esercita una funzione precisa : Dato vero quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa divisio erit bene utilis, tam praedicatori quam auditori. Non enim propter solam curiositatem, sicut aliqui cre- dunt, invenerunt moderni quod thema dividant, quod non consucverunt antiqui. Immo, est utilis praedicatori, quia divisio thematis in diversa membra pracbet occa- sionem dilatationis in prosccutione ulteriori sermonis. Auditori vero est multum utilis, quia, quando praedicator dividit thema et postmodum membra divisionis ordinate et distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam materia sermonis quam etiam forma et modum praedi- candi...?* In quel singolare prodotto di cultura che fu la medievale ars praedicandi le esigenze della persuasione retorica, della co- struzione di immagini capaci di dar luogo ad emozioni ben controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi all'ordine e al metodo concepiti come strumenti per imprimere nella memoria i contenuti e la forma dell’orazione. 4. TECNICHE DELLA MEMORIA NEL sEcoLO XV. In molti trattati del secolo XV quella caratteristica tematica speculativa che faceva da sfondo alle trattazioni di Alberto, di Tommaso, di frate Bartolomeo viene decisamente abban- donata. Come avviene per esempio nelle Artificialis memoriae regulae di Iacopo Ragone da Vicenza (composte nel 1434 e conservate in varì manoscritti)?® l’interesse dell’autore si volge l’histoire de la rhetorique au Moyen Age, Paris-Ottawa, 1936, p. 233. Si vedano i cataloghi dei mss. compilati da H. CapLan, Mediaeval Artes praedicandi. A Hand-List e A supplementary Hand-List, in « Cornell Studies in Classical Philology », XXIV ec XXV, Ithaca, 1934-1936 e, dello stesso autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. Studies in Rhetoric and Public Speaking in honour of S. A. Winans, New York, 1925, pp. 61-91. ?* Cfr. THomas Waters, De modo componendi sermones, in TH. M. ChÒartanp, Artes praedicandi, cit., p. 370. n Nel codice marciano cl. VI, 274 il trattato del Ragone è conservato in due esemplari (di diversa mano) ai ff. 15-34 e 53-66. Un terzo esem- plare è nel codice marciano cl. VI, 159, un quarto nel cod. T. 78 sup. dell’Ambrosiana. Lievi le differenze. I passi qui citati sono stati tra- 20 CLAVIS UNIVERSALIS in modo esclusivo ad un esame ampio e dettagliato delle tec- niche di ricerca dei luoghi: 53r. Iussu tuo, princeps illustrissime, artificialis memorie re- gulas, quo ordine superioribus diebus una illas exercui- mus, hunc in librum reduxi tuoque nomini dicavi, imi- tatus non modo sententias, verum et plerunque verba ipsa M. Tullii Ciceronis et aliorum dignissimorum philoso- phorum qui accuratissime de hac arte scripserunt... Prae- ceptore Cicerone ac etiam teste sancto Thoma de Aquino, artificialis memoria doubus perficitur: locis videlicet et imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse ad res seriatim pronunptiandas et diu memoriter tenendas, unde sanctus Thomas oportere inquit ut ca que quis memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione dispo- nat ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- stoteles etiam inquit in libro quem de memoria inscripsit: a locis reminiscimur. Necessarii sunt ergo loci ut in illis imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed imagines sumimus ad confirmandum intentiones, unde allegatus Thomas: oportet, ait, ut eorum quae vult homo memorari quasdam assumat similitudines convenientes. Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte ciceroniana e a quella tomistica, il Ragone passa a trattare, in modo molto più articolato di quanto non avessero fatto gli autori da lui citati, delle caratteristiche della memoria «locale » : 53 v. Differunt vero loci ab imaginibus nisi in hoc quod loci sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed imagines fixe super quibus, sicut supra carta, alic pinguntur imagines delebiles sicut littere: unde loci sunt sicut materia, imagi- nes vero sicut forma. Differunt igitur sicut fixgum et non fixum. Consumitur autem ars ista centum locis, quatenus expedit pro integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- dini, poterit eodem alios sibi locos invenire faciliter per horum similitudinem. Sed oportet omnino non modo bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos ipsos notare et firmiter menti habere, ita ut, modo recto et scritti dal Cod. marciano 274 ai ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- prensione dei passi dubbi, sia all'altro esemplare contenuto nello stesso Codice, sia al Cod. T. 78 sup. dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del Ragone è dedicato al Marchese di Mantova: Ad illustrissimum princi- pem et armorum ducem Iohannem Franciscum Marchionem Mantue. Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum. Nel cod. dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- chionem Mantue. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 21 retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte recitare queas. Aliter autem frustra temptarentur omnia. Expedit igitur ut in locis servetur modus, ne sit inter illos distantia nimis brevis vel nimium remota sed moderata ut puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- tudinem camere; nec sit in illis nimia claritas vel obscuritas sed lux mediocris. Et est ratio quia nimium remota vel an- gusta, nimium clara vel obscura causant moram inquisi- tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam retardant dispersione rerum que representande sunt aut earum nimia conculcatione, sicut oculus legentis tedio af- fligitur si litterc sint valde distincte et male composite aut nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- menda modica, ut numero videatur esse capax imaginis, quia violentiam abhorret cogitatio ut si velles pro loco sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas et in illo 54r. velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / equum capere. Sed ipsorum locorum quantitas sumenda est ut statim inferius distincte notatum invenies. I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- tire una facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- dezza sono state stabilite sulla base di alcune osservazioni di natura psicologica. Si tratta ora, sempre sulla base di osserva- zioni dello stesso tipo e tenendo conto di determinate asso- ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della memoria, di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi (e di conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 54 r. Oportet etiam ne loci sint in loco nimium usitato sicut sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia consuetudo aut aliarum rerum representatio causant perturbationem et non claram imaginum representationem ostendunt sed confu- sam, quod summopore est cavendum, quia si in foro locum constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum locares, cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- tus, meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- baret cogitationem tuam. Studebis ergo habere domum que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et cave ne assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- dinem, nec hostia domorum pro locis quia cum nulla vel parva tibi sit differentia idco confusio. Habeas ergo do- mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas vi- ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto utilior. Nec sint camere iste ct reliquie excessive magne vel parve, et in earum qualibet facies quinque locos iuxta distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel decem pedes. Et incipe taliter ut, a dextris semper ambulando 32 CLAVIS UNIVERSALIS vel a sinistris quocunque altero istorum modorum ex apti- tudine domus tibi commodius fuerit, non oportcat te re- trocedere. Sed, sicut in re domus procedit, ita continuen- tur loci tui per ordinem domus, ut sit facilior impressio ex ordine naturali. Sulle caratteristiche “materiali” dei luoghi (grandezza, lu- minosità, non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la funzione delle immagini, si sofferma, con altrettanta minuziosità l'anonimo autore di un altro testo manoscritto °° che risale, molto pro- babilmente, allo stesso periodo e agli stessi ambienti culturali. 41 v. De ordine locorum. Circa cognitionem et ordinem loco- rum debctis scire quod locus in memoria artificiali est sicut carta in scriptura, propterea quod scribitur in carta quando homo vult recordari et non mutatur carta. Ita loca debent esse immobilia, hoc est dicitur quod locus de- bet semel accipi et nunquam dimitti seu mutari sicut carta. Deinde super talia loca formande sunt imagines il- larum rerum vel illorum nominum quorum vultis recor- dari sicut item scribuntur in carta quando homo recordari vult. De forma locorum. Loca debent esse facta ct ita formata 42r. quod non sint nimis parva nec nimis magna / ut verbi gratia non debes accipere pro uno loco unam domum vel unam terram vel unam schalam, nec etiam, sicut dixi, nimis parvum locum scilicet unum lapidem parvum nec unum foramen vel aliud tale. Et ratio est ista: nam humanus intellectus non circa magnas res nec circa parvas colligitur et imago evanescit; sed debes accipere loca me- dia scilicet terminum clarum et non nimis obscurum, nec enim debes accipere loca in illo loco nimis solitario, sicut in deserto vel in silva, nec in loco nimis usitato, sed in loco medio: scilicet non nimis usitato nec nimis deserto. Et 2° I passi di seguito citati nel testo sono stati trascritti dal Cod. mar- ciano Cl. VI, 274, ff. 41-49. (Ars: memoriae artificialis incipit. Ars me- moriac artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- dum de pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho visto altri tre esemplari: il Vatic. lat. 3678, ff. 2r-4r (Inc.: Practica super artificiali memoria. Pater et reverende domine. Quatenus homo ad recordandum) che reca solo l’inizio del trattato; il Vatic. lat. 4307, ft. 79-85v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est qualiter homo ad recor- dandum de pluribus pervenire possit) che reca il trattato quasi com- pleto; il Vat. lat. 5129, ff. 60-64v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est qualiter homo) che, come il Vat. lat. 3678, si interrompe dopo le prime pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del trattato. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 23 nota quod predicta loca bene scire debes ct ante et retro et ipsa adigerc per quinarium numerum, videlicet de quinque in quinque. Et debes scire quod loca non debent esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus locus sit porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus sit pes schale, quintus locus sit summitas schale. Et nota quod per quintum vel decimum locum dcebes ponere unam manum auream aut unum imperatorem super quin- tum vel decimum locum; qui imperator sit bene atque imperialiter indutus, vel aliquid aliud mirabile vel defor- me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum ad formam locorum. Nunc autem videndum est de ima- ginibus per predicta loca ponendis. De imaginibus. Est enim sciendum quod imagines sunt sicut scriptura et loca sicut carta. Unde notatur quod 42v. aut / vis recordari propriorum nominum aut appellativo- rum aut grechorum aut illorum nominum quorum non intelligis significata aut ambasiatarum aut argumentorum aut de aliis occurrentibus. Ponamus igitur primum quod ego vellim recordari nominum propriorum. Sic enim ponere debes imagines in proprio convenienti loco et ipso sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur Petrus, immediate ponas unum Petrum quem tu cogno- scas qui sit tuus amicus vel inimicus vel cum quo habuisti aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid ridi- culum in illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile dicat... In secundo loco ponas unum Albertum quem tu cognoscas, ut supra licet per alios diversos modos, vide- licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid inusitatum vel deforme scilicet suspendens se et ut supra. In tertio loco, si vis recordari istius nominis equi, ponas ibi unum equum album, magnum ultra mensuram aliorum, et qui percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum calcibus vel pedibus anterioribus, vel aliquid simile faciat ut supra.... Dalla lettura di queste lunghe citazioni ci sì può fare un’idea abbastanza precisa di quale fosse l’effettivo “funzionamento” dell’ars memorativa di origine “ciceroniana”. La qualificazione non è inutile perché la mnemotecnica dei lullisti e degli aristo- telici è fondata su procedimenti affatto differenti. Per realiz: zare l’arte mnemonica è necessario, in primo luogo, disporre di una specie di struttura formale che, una volta stabilita, possa essere sempre impiegata per ricordare una serie qualunque di cose o di nomi (res aut verba). Questa struttura formale o fira e sempre reimpiegabile (come dicono i teorici della mne- 24 CLAVIS UNIVERSALIS motecnica, la carta o la forma), viene costruita in modo arbi- trario: si sceglie una località (edificio, portico, chiesa ecc.) che può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. Il carattere arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come abbiamo visto, limitato da un certo numero di regole che riguardano: a) le caratteristiche della località e dei luoghi (ampiezza, solitudine, luminosità ecc.); 6) il modo nel quale i luoghi stessi devono essere ordinati. È da ricordare infine che la maggiore o minore ampiezza di questa struttura formale condiziona la quantità dei contenuti che in essa possono essere inseriti: nel caso per esempio che si sia costruito un insieme di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata per ricordare una quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di cento (al problema della multiplicatio locorum o del progres- sivo allargamento della struttura verranno non a caso dedicate molte discussioni). La struttura formale così ottenuta si presta ad essere “riem- pita” da contenuti mentali di qualsiasi natura e di volta in volta variabili (/magines delebiles o materia o scrittura). Per effettuare questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini che devono simbolizzare, nel modo più adatto a colpire in modo duraturo la mente, le cose o i termini che si vogliono ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà nella scelta delle immagini appare limitata da regole che concernono: la “mostruosità” o “stranezza” delle immagini e il loro carattere direttamente evocativo di contenuti. Le singole immagini vanno infine collo- cate nei singoli luoghi “provvisoriamente” (in vista cioè del ricordo di una particolare serie di nomi o di cose). Ripercor- rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località pre- scelta o la struttura costruita, si potranno aver presenti imme- diatamente, attraverso il richiamo delle immagini e la sugge- stione da esse esercitata, i termini o le cose appartenenti alla serie che si voleva ricordare. Data la struttura fissa dei luoghi, termini e cose ricompariranno nel loro ordine originario e quest'ordine sarà a piacere invertibile. Il problema della dispositio locorum e della formazione delle immagini occupa, nelle trattazioni alle quali ci siamo riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo di codificazioni insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cin- IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 25 quecenteschi,‘' ed è al carattere esclusivamente “tecnico” che questi trattati vanno assumendo, che ci dobbiamo richiamare per spiegarci la loro sostanziale uniformità. Gli autori che si occupano dell’ars memorativa non si presentano mai come de- gli inventori, ma sempre come dei “chiarificatori” dell’arte: essi si limitano a trasmettere una serie di regole già codificate, cercando di esporle in forma particolarmente accessibile e di giungere, se possibile, a qualche integrazione o migliora- mento. Magari attraverso la riduzione delle regole ad uno schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa facilmente e so- # Si vedano per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (T. 78 sup., ff. 22-26 e ff. 27v.-32v., quest'ultimo anche nel Cod. Angelica 142, ff. 83-87) riportati in appendice, il Cod. marciano cl. VI, 292 (Inc.: De Memoriae locis libellus) e,alla Casanatense, il Cod. 1193 (E. V. 51) ff. 29-32 v. (Liber seu ars memoriae localis). Una breve trattazione in vol- gare degli stessi problemi è nel Cod. Riccardiano 2734, #. 30-32 (Inc.: Appresso io Michele di Nofri di Michele di Mato del Gioganti ragioniere mostrerò il prencipio dello ’nparare l’arte della memoria, la quale mi mostrò il maestro Niccholo Cicco da Firenze nel 1435, di dicembre, quando ci venni, cominciando per locar luoghi nella casa mia. Expl.: E queste sono lc otto sopradette fighure della memoria artificiale e tutti i modi, atti e chose che s’appartengono in essi. E maturamente studia- re et sapere, c verrai a perfezionare e a notizia vera di presta scienza). 12 È quanto avviene nel Cod. I, 171 inf. dell’Ambrosiana, f. 20v.: « Regu- lae artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato; locorum meditatio; locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo; locorum mediocris magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; locorum fictio. Locorum multiplicatio: addendo diminuendo per sursum et deorsum, per antrorsum et retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. Imaginum: alia in toto similis; alia in toto dissimilis: per oppositionem, per diminutionem, per transpositionem locorum, per alphabetum, per transuptionem locorum, per loquelam ». Si veda anche, sempre all’Ambro- siana, il Cod. E. 58 sup., f. 1: « Ars memoriac. Locorum multitudo, ordi- natio, permeditatio, vacuitas sive solitudo, quinti loci signatio, locorum dissimilitudo, mediocris magnitudo, mediocris lux, distantia, fictio. Locus multiplicatur: addendo, diminuendo, mutando (per sursum, deorsum, antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet sinistrorsum), mensurando (lon- gum, latum, profundum). Idolorum: aliud in toto simile, aliud in toto dissimile per contrarium, per consuetudinem, per transpositionem (per alphabetum, sine alphabeto), aliud parum simile per compositio- nem, per diminutionem, per transpositionem, per trasunptionem (lite- rarum vel silabarum), per loquelam ». Del trattatello qui trascritto dal Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro esemplare, quasi identico, nel Ms. 90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di rendere l’arte rapida- mente acquisibile attraverso uno schema, si presenta strettamente asso- 26 CLAVIS UNIVERSALIS prattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia- mato il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte insistere per intendere le finalità che essi si proponevano e il clima culturale entro il quale essi poterono trovare larga dif- fusione. L’arte “ciceroniana” della memoria si presenta, nel Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di intenti di carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle più varie attività umane. Il trattatello manoscritto di Guardi (o Girardi?)" eximii doctoris artium et medicinae magistri (qui per intero riprodotto in appendice) si propone per esem- pio di insegnare a ricordare: i termini sostanziali e accidentali, gli autori citati (auczoritates), i discorsi comuni (orationes stm- plices), il contenuto di lettere, di collezioni e di libri di storia (epistolas, collectiones et historias prolixas), le argomentazioni e i discorsi scientifico-filosofici (argumenta et orationes sillogi- sticas), le poesie e i termini appartenenti a lingue non cono- sciute (versus et dictiones ignotas, puta graecas hebraicas), gli articoli del codice (capita legum). Sul modo di ricordarsi delle ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti insistono del resto tutti i testi che si presentano talvolta come un adatta- mento delle regole della mnemotecnica alla finalità di una vittoria nelle discussioni.” ciata all'altra di una serie di versi mediante i quali si potessero rapida- mente mandare a memoria le regole dell’arte. Si vedano per esempio i versi ai quali fa ricorso il magister Girardus nel trattato contenuto nel Cod. T. 78. sup. dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. 142 dell'Angelica (vedi Appendice), e il Tractatus de memoria artificiali carmine scriptus che ho visto nel cod. R. 50 sup. dell’Ambrosiana (f. 9lr). 33 Ambrosiana. T. 78 sup., ff. 27v.-32v. Un altro esemplare nel Ms. 142 (B. 5 12) dell’Angelica, ff. 83-87. 34 Cfr. il già citato Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 43r., 43v., 44r.: « De ambasiatis recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere debes, pone in loco imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est nimis prolixa, tunc pone unam partem ambasiate in uno loco et aliam partem in uno alio loco ut supra, quia memoria naturalis adiuvabit te. De argumentis recitandis. Argumenta si recitare velis... De testis recor- dando. Si vis recordari unius testis ponas primam particulam in illo loco, primam in primo, tertiam in tertio et sic de aliis successive... ». Ma si veda anche il Cod. Ambrosiano T. 78 sup., f. 25v.: « Ambasiatas vero sì commode volueris recordari... ». Sulla costruzione di argomenti insi- stono molto trattati. Si veda per esempio il Cod. marciano cl. VI, 238, IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 27 Legata per le sue stesse origini agli intenti pratici della retorica, l’ars memorativa intende dunque presentarsi come un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon- dane e “civili”. Il Congestorius artificiosae memoriae ®*? del Romberch, un testo che ebbe nel Cinquecento diffusione eu- ropea, si presenta come un’opera utile a teologi, predicatori, professori, giuristi, medici, giudici, procuratori, notai, filosofi, professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. 5. La « FENicE » DI Pietro pa RAVENNA. Che testi di questo genere potessero effettivamente presen- tare una qualche reale utilità appare senza dubbio difficilmente credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar fede a una serie nume- rosa di testimonianze, gli assertori e i teorici della mnemo- tecnica erano giunti a risultati di un qualche rilievo. Il celebre Pietro da Ravenna (Pietro Tommai), autore di un trattatello sulla memoria artificiale (Venezia, 1491)? che avrà enorme f£. tv.: Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad argumentandum ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili carissimi opus omittam devotionis). 35 Congestorius artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria pracceptione aggregatim complectens. Opus om- nibus Theologis, praedicatoribus, professoribus, iuristis, iudicibus, pro- curatoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium liberaliun: professoribus, insuper mercatoribus, nuncits, et tabelariis pernecessarium, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, IX Iulii, 1520 (Copia usata: Triv. Mor. L. 561). 36 Phoenix seu artificiosa memoria domini Petri Ravennatis memoriae magistri, Bernardinus de Choris de Cremona impressor delectus im- pressit Venetias die X Januarii, 1491. Una copia di questa edizio- ne originale curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due altri incunaboli, nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 82-97x. A questa prima edizione si richiamano le citazioni del testo e quelle riportate nell'appendice. Le regulae dell'operetta del Ravennate (dalla prima alla dodicesima) sono presenti nel Cod. Vat. lat. 6293, ff. 195-199 (Inc.: Fenix domini Petri ravennatis memoriae magistri. Expl.: Finis. Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte riprodotte anche nel Cod. Aldino 167 (sec. XVI di cc. 82) della Bibl. Univ. di Pavia. Cfr. alle cc. 63-66 v.: Inc.: Magister Petrus de memoria. Expl.: Expliciunt re- gulae memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri Magistri de Memoria. Su Pietro da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia della letteratura italiana, Modena, 1787-1794, VI, pp. 556 segg.; BORSETTI, 28 CLAVIS UNIVERSALIS risonanza e non sarà senza influenza sul Bruno, affermava di poter disporre di più di centomila luoghi che si era andato costruendo onde riuscir superiore a tutti nella conoscenza delle sacre scritture e del diritto. « Cum patriam relinquo — scri- veva — ut peregrinus urbes Italiae videam, dicere possum om- nia mea mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare »."* Di fronte al suo maestro in giurisprudenza Alessandro Tartagni da Imola, all’ Università di Pavia, il nostro Pietro, appena ventenne, si cra mostrato in grado di recitare a memoria totum codicem iuris civilis, il testo e le glosse, di ripetere parola per parola le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova, aveva stupefatto il capitolo dei canonici regolari recitando a memo- ria prediche intese una sola volta. Della sua abilità egli parla del resto a più riprese in pagine nelle quali un’accorta auto- propaganda si associa al manifesto desiderio di suscitare nel- l'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per tanto pro- digio: « Mi è testimone l’università di Padova: ogni giorno leggo, senza bisogno di alcun libro, le mie lezioni di diritto canonico, proprio come se avessi il libro dinanzi agli occhi, ricordo a memoria il testo e le glosse c non ometto la benché minima sillaba... Ho collocato in diciannove lettere dell’alfa- beto ventimila passi del diritto canonico e di quello civile e, nello stesso ordine, settemila passi dei libri sacri, mille carmi di Ovidio... duecento sentenze di Cicerone, trecento detti dei filosofi, la maggior parte dell’opera di Valerio Massimo... ».?* Historia Gymnasti Ferrariac, II, pp. 37-40; P. GinannI, Scrittori raven- nati, II, pp. 419 segg. Alla Classense di Ravenna è da vedere, per una biografia, il Cod. Mob. 3.3.H2.10 contenente la genealogia della famiglia Tomai. Le ragioni del termine P/oenix contenuto nel titolo sono chiarite dallo stesso Pietro: « Et cum una sit Foenix et unus iste libellus, libello si placet Focnicis nomen imponatur ». Ma alla fenice fanno riferimento, nello stesso senso, anche altri scritti: si veda per es. nel cod. Palat. 885 della Naz. di Firenze, ai ff. 314-323v. il Liber qui dicitur Phenix super lapidem philosophorum (Inc.: Post diuturnam ope- ris fatigationem. Expl.: de lapide philosophorum natura et composi- tione sive fixione quae dicta sunt observentur. Dco gratias. Finis). 87 Phoenix seu artificrosa memoria, cit., £. 87v. 38 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri- portati nell’appendice). Ma si veda anche quanto scrive il Ravenna a f.88r.: «In magna nobilium corona, dum essem adolescens, mihi semel fuit propositum ut aliqua nomina hominum per unum ex astantibus IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 29 Meno sospette delle testimonianze dell’interessato appaiono quelle di Eleonora d’Aragona, che chiamava l’intera città di Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria del raven- nate,?° o di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato la sua straordinaria virtù, lo raccomandava caldamente ai re, ai principi, ai « magnifici capitani » e ai nobili italiani, o infine del doge Agostino Barbarigo. Comunque stiano le cose, è certo che la straordinaria fama della quale godette in Italia e in Europa questa singolare figura di giurista era affidata, più che alle sue pur non trascurabili cognizioni giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la vivente dimostrazione della validità di un'arte alla quale si volgevano, in quell’età, le speranze e le aspirazioni di molti. Professore di diritto a Bologna, a Ferrara, a Pavia, a Pistoia, a Padova, Pietro Tommai contribuì senza dubbio a diffondere, in tutta Italia, l’interesse per l’ars memorativa. Conteso al doge veneziano da Bugislao duca di Pomerania e da Federico di Sassonia, Pietro vide aperte dinanzi a sè, intorno al 1497, le porte dell’ Università di Wittenberg. Dopo aver rifiutato un invito del re di Danimarca, passava a Colonia e di qui, accu- sato di poco corretto comportamento (scholares itali non pote- rant vivere sine meretricibus), fu costretto a ritornarsene in Italia. La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione per la sua opera non saranno senza risonanze: la Phoenix seu artificiosa memoria del Ravennate eserciterà su tutta la succes- siva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza e a Pietro si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i teorici italiani e tedeschi del Cinquecento e del Seicento. La diffusione di questo scritto, stampato per la prima volta a Ve- nezia, poi ripubblicato a Vienna, a Vicenza, a Colonia, tra- dotto in inglese (intorno alla metà del Cinquecento) da una precedente edizione in lingua francese, basta da sola a mo- strare come tra la fine del secolo XV e il primo decennio del dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo sunt nomina. In primo loco posui amicum illud nomen habentem, in secundo similiter, et sic quot dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». i Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- ciosa memoria, cit., ff. 82-82v. (cfr. l’appendice). 30 CLAVIS UNIVERSALIS secolo XVIII fossero interessati alla “memoria locale” ambienti non soltanto italiani.*° L’operetta del Ravenna appare costruita secondo i già ben noti schemi della tradizione “ciceroniana”. Più che sulle regole concernenti la ricerca dei luoghi, Pietro volge tuttavia la sua attenzione alla funzione esercitata dalle immagini e si soffer- ma a lungo sul concetto che le immagini, per essere davvero efficaci, debbono porsi come dei veri e propri “eccitanti” del- l'immaginazione: « Solitamente colloco nei luoghi delle fan- ciulle formosissime che eccitano molto la mia memoria... e credimi: se mi sono servito come immagini di fanciulle bellis- sime, più facilmente e regolarmente ripeto quelle nozioni che avevo affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo alla memoria artificiale, un segreto che ho a lungo taciuto per pu- dore: se desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini bellissime; la memoria infatti è mirabilmente eccitata dalla collocazione delle fanciulle... Questo precetto non potrà gio- vare a coloro che odiano e disprezzano le donne e costoro con- seguiranno con maggiore difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano perdonarmi gli uomini casti e religiosi: avevo il dovere di non tacere una regola che in quest'arte mi procurò lodi ed onori, anche perché voglio con tutte le mie forze lasciare successori eccellenti ».1! 6. NATURA E ARTE, Opere come quelle del Romberch e di Pietro da Ravenna avevano intenti eminentemente, se non esclusivamente “pra- 40 Le edizioni viennesi sono del 1541 e del 1600, l’edizione di Londra, che è senza data, è stata assegnata al 1548 circa: il trattato viene presentato, senza nome dell’autore, da Robert Copland come The Art of Memory, that otherwise is called the Phenix, a boke very behouefull and profytable to all professours of science, granmaryens, rethoryciens, dialectyks, legystes, phylosophes and theologiens. Stampato da Wil- liam Middleton si presenta come «a translation out of french in to englysche ». L'edizione di Colonia è del 1608, quella di Vicenza del 1600. Per la rinomanza del Ravenna in Germania è da ricordare che Agrippa si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di Pietro, maestro di memoria, è inserito nell’A/phabetum aureum del- l'Ortwin, Colonia, 1508. 41 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 88v., 89r. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 31 tici”: si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così come i medici o i notai o i giuristi, sono impegnati in terrene faccende. Con tutto ciò anche in questi trattati, nei quali l’in- teresse tecnico appare dominante, si affacciano dei motivi (cone per esempio quello delle immagini) che hanno stretti rapporti con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio quello del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno ampiamente dibattuti in sede più specificamente filosofica. «La memoria locale è un’arte con la quale riusciamo a ricordare facilmente e ordinatamente molte cose delle quali, con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo o così pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. lat. 1743 ‘* e su questo motivo, il cui spunto appare già pre- sente nei testi di Cicerone e di Quintiliano, si ritornerà da più parti con accenti significativi. Mentre contrapponeva i risultati dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del ms. lat. 274 conservato alla Marciana,** avvicinava non a caso l’arte mne- monica agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in quel punto, sentiva il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- dario patrocinio di Democrito ‘' e di presentarsi come il chia- rificatore delle straordinarie difficoltà e delle « oscurità » conte- nute nella RAetorica ad Herennium : 42 Urb. lat. 1743, £. 428r. 14 Cod. marciano cl. VI, 274, f. 4Ir-4lv. Il brano di seguito citato nel testo, che trascrivo dal cod. cit., è già stato pubblicato da F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, cit., pp. 29-30, nota 2, che fa riferimento al Cod. marciano cl. VI,226. 44 Il Tocco ha già notato come ritorni in più di un trattato di memoria artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte. Cfr. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 1-5: Tractatus super memoria artificiali, ordi- natus ad honorem egregii et famosissimi doctoris nec non et comitis Troili Boncompagni P. F.... Homines enim mortales memoriam labilem conspicientes fuerunt conati quemadmodum fuit Democritus, Simonides et Cicero per artem adiuvare. Ma cfr. anche, nello stesso codice, al f. 5, le Regulae memoriae artificialis ordinatae per religiosum sacrae theolo- giae professorem magistrum Ludovicum de Pirano ordinis Minorum (Inc.: Democritus atheniensis philosophus, huius artis primus inventor fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come chiarisce il Tocco (p. 30) sulla testimonianza di Aulo Gellio (X, 17) secondo la quale De- mocrito si sarebbe cavati gli occhi per meglio concentrarsi nei suoi pensieri. 32 CLAVIS UNIVERSALIS 4lr. Ars memoriae artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordandum de pluribus pervenire possit per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem. Debetis enim scire quod sic natura adiuvatur per artem adiunctam sicut sunt navigia ad mare transfretandum quia non potest transfretari per virtutem et viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; unde philosophi vocaverunt artem adiutricem nature. Sicut enim invenerunt homines diversas artes ad iuvandum diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- turam hominis memoria labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memoriam ut homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum quarum non poterat recordari aliter per memoriam natu- ralem et sic adinvenerunt scripturas et viderunt non posse recordari horum quae scripserant. Postea in successione temporis, videntes quod semper non poterant secum por- tare scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, adinvenerunt subtiliorem artem ut sine quacumque scrip- tura multarum rerum reminisci valerent et hanc vocave- runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa fuit Athenis per Democritum eloquentissimum philoso- phum. Et licet diversi philosophi conati fuerint hanc artem declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip- 4Iv. tus philosophus Democritus huius artis / adinventor. Tulius vero perfectissimus orator in cuius libro Rhetori- corum de hac arte tractavit licet obscuro et subtili modo in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per divinam gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem qualiter deberet pratichari. 7. ARTE DELLA MEMORIA, ARISTOTELISMO E MEDICINA. Ad una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla “psicologia” e alla “filosofia” più che alla retorica, ci riportano invece altri scritti del tardo Quattrocento nei quali l'influsso delle impostazioni aristoteliche e tomistiche è assai più forte di quello esercitato dalla tradizione della retorica ciceroniana. Si tratta, come è ovvio, solo di una differenza di grado poiché, come abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e Tommaso, l’arte ciceroniana della memoria era entrata a far parte del patrimonio della cultura scolastica e tuttavia, in qualche caso, si assiste, leggendo questi trattati, all’interessante tentativo di ricavare direttamente dai testi aristotelici alcune regole della memoria artificiale. In questo senso è tipico il De nutrienda IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 33 memoria pubblicato a Napoli nel 1476 nel quale Domenico De Carpanis si propone di presentare le dottrine svolte da Ari- stotele nel De memoria et reminiscentia « condite col sale del santo dottore Tommaso d’Aquino ».‘° Il sensus communis appare al De Carpanis simile a una gigantesca selva (silva maxima) nella quale vengono accumu- landosi le immagini provocate da ciascuno dei cinque sensi. Su questo caos agisce l’intelletto con una triplice operazione: in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo luogo le connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo infine (quasi deambulans per pomerium) lega l’una all’altra le cose simili riponendole in archa memoriae. Quando di quelle cose si parli, l'intelletto « quasi de armario pomorum cibum sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit ».'° La memoria, a sua volta, si muove su un duplice piano: quello del senso e quello dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis quaedam sensitivae animae) appare strettamente congiunta col corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella intellet- tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle principali tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la citazione di passi tratti dall’ XI libro del De triritate di Ago- stino: così la dottrina aristotelica del carattere corporeo dei contenuti della memoria sensitiva viene accostata al passo di Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- nano all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità tra memoria intelletto e volontà viene citata a conferma del carattere intellettivo di una delle due parti nelle quali la memoria si suddivide. Anche la dottrina degli aiuti (admin: cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi- stica: accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) e alla ripetizione (ex frequentibus actis habitus generatur)*' il De Carpanis colloca fra gli aiuti principali la similitudo e la contrarietas. Senza far ricorso all’arte della memoria « locale », 45 Mi sono servito dell’ Inc. De nutrienda memoria Dominicis de Car- panis de Neapoli, anno domini 1476, ind. IV, die vero XVI decembris regnante serenissimo et illustrissimo Domino nostro D. Ferdinando Dei gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 97-103v. 46 De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. 4 De nutrienda memoria, cit., fi. 98, 99, 102v. 34 CLAVIS UNIVERSALIS l’autore giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, anziché da Cicerone, dalla psicologia aristotelica : Contrarietas secundum dicitur adminiculum ubi notan- dum est quod quando res diversorum ordinum et quali- tatum essent recitandae in una orationc vel in una sen- tentia eloquendac, tunc ordo subsequens debet esse con- trarius immediate antecedenti, ut si videlicet memoranda essent libertas servitus frigus estas divitiae paupertas pictas crudelitas iusticia impictas, sic ut sunt hic nominata ordi- nabis; non autem dices: libertas, frigus servitus estas divi- tiae pietas paupertas crudelitas. Graveretur cnim memo- ria sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia... contraria non se compatiuntur ad invicem immo iuxta se posita nullo medio, motum habent contrarium et ope- rationem ad invicem contrariam. Sic itaque, sicut motum nullo medio ad invicem habet contrarium, sic in memo- rando nullum aliud habendo vei querendo auxilium, mo- vebunt memoriam. Ars cnim imitatur naturam.!8 Un tentativo dello stesso genere è presente anche nel De omnibus ingeniis augendae memoriae del medico, storico e poeta bergamasco Giammichele Alberto da Carrara che fu pubblicato a Bologna nel 1481.‘° Anche in questo caso le os- servazioni di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del simile al simile, sulla contrarietas vengono interpretate come vere e pro- prie “regole” dell’ars memorativa.®® Ma oltre che per queste de- rivazioni aristoteliche e per la proposta di un particolare tipo di 48 De nutrienda memoria, cit., f. 101r. 19 Mi sono servito dell’Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di Pietro da Ravenna e del De Carpanis, nel Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 69-82: Johannis Michaelis Alberti Carrariensis. De omnibus in- gentis augendae memoriae. Ad prestantissimum virum Aloisium Ma- nentem incliti Venetorum Senatus Secretarium. Impressum Bononiae per me Platonem de Benedictis civem bononiensem, regnante inclito prin- cipe domino Iohanne Bentivolio, secundo anno incarnationis, dominicc 1481 die XXIHI Januarii. Al testo del Carrara attingerà largamente, senza citare l’autore, il medico bergamasco Guglielmo Gratarolo nei suoi Opuscula dedicati alla memoria, Basilea, 1554. Sul Carrara cfr. TiraBoscHi, Storia della letteratura, cit., VI, pp. 688-693. °° De omnibus ingentis, cit., f. 72v.: « Primum est ordo et reminisci- bilium consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione et dependentia si aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, reminisci poterimus. Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 35 “memoria locale” fondato sulla suddivisione in cinque parti del corpo degli animali," il testo del Carrara è importante perché mostra la stretta connessione che venne a stabilirsi, al- l’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della me- moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna il Carrara affronta, in primo luogo, il problema di una localiz- zazione della memoria, passa poi a discutere delle principali malattie che ostacolano l’uso della memoria, si sofferma ad esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e bevande, il sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di un vero e proprio ricettario. All’idea di una terapeutica della memoria, già presente nel Regimen aphoristicum di Arnaldo da Villanova, e diffusa nella medicina medievale, si richia- mava, accanto al Carrara, anche Matteolo da Perugia che pub- blicava, in quegli stessi anni, un opuscolo di medicina mne- monica.?? In entrambi i testi è non a caso assai frequente il ricorso ad Avicenna: la tesi sostenuta dal Carrara che l’um:- dità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già presente nei testi del medico arabo (« qui autem habent locum domi- natum humiditate non rememorant, quia formae non fingun- tur in humido »),°° ma il trattato del Carrara, a differenza di quello del Matteolo e degli altri già presi in esame, appare fondato su numerosissime letture. Oltre ai già noti classici della memoria, comparivano qui i nomi di Galeno, Boezio, Ugo da San Vittore, Giovanni Scoto e Averroè. vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito Livio recordati latinae historiae patre, in Grecae historia patrem Herodotum producemur. Tertium est ut contraria recogitemus... ut memores Hectoris, remini- scimur Achillis ». ! De omnibus ingentis, cit., f. 73. Il passo può esser letto nella tra- scrizione che ne ha dato il Tocco (op. cir., p. 34, nota 1). °? Si veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et medici Ma- theoli perusini de memoria et reminiscentia ac modo studendi tractatus feliciter. L'opera, non datata, è della fine del Quattrocento e insiste sul regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr. Tira- BoscHI, Storta della letteratura, cit., VI, pp. 462 segg. ° Averrois Cordubensis, Compendia librorum Aristotelis qui parva na- turalia vocantur, in Corpus Comm. Av. in Arist., Cambridge (Mss.), 1949, VII, pp. 70-71. 36 CLAVIS UNIVERSALIS 8. LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI. Attraverso un contatto con la tradizione della medicina e con certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica sull’ars memoriae del tardo Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a problemi che rivestono un interesse non meramente “tecnico” e non soltanto “retorico”. Tuttavia, ed è opportuno non di- menticarlo, quando a metà del Cinquecento si verificherà l’in- contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars reminiscendi di derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- mente tecnici dei “ciceroniani” ad esercitare una funzione es- senziale. In realtà quell’arte dei luoghi e delle immagini, nono- stante la sua apparente neutralità e atemporalità, era legata alla cultura del Rinascimento da una molteplicità di rapporti, e solo tenendo presenti tali rapporti sarà possibile spiegarsi le ragioni per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente inof- fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa e di Bruno. Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle imprese e delle allegorie nella cultura rinascimentale, chi ri- chiami alla mente i testi ficiniani sui « simboli e le figurazioni poetiche che nascondono divini misteri » e avverta il signifi- cato di quel gusto per le allegorie e per le “forme simboliche” presente negli scritti del Landino, del Valla, del Pico, del Poliziano e più tardi del Bruno, non potrà non rilevare la risonanza che l’arte della memoria in quanto costruttrice di immagini era destinata ad avere in una età che amava incor- porare le idee in forme sensibili, che si dilettava a trasferire sul piano delle discussioni intellettuali la Febbre e la Fortuna, che vedeva nei geroglifici il mezzo usato per rendere indeci- frabili i precetti religiosi, che amava gli “alfabeti” e le icono- logie, che concepiva verità c realtà come qualcosa che si va progressivamente disvelando attraverso i segni e le “favole” e le immagini.“ 94 Su questi temi cfr. E. Cassirer, /ndividuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze, 1935, pp. 119, 149; PH. Monnier, Le Quattro- cento, Losanna, 1901, pp. 127 segg.; CH. LeMMI, The classical deities in Bacon. A study in mythological symbolism, Baltimore, 1933, pp. 14-19; P. O. KriIsTELLER, // pensiero filosofico di M. Ficino, Firenze, 1953, pp. 86 segg.; E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari, 1952, pp. 120 segg.; Medioevo e Rinascimento, Bari, 1954, pp. 66-89. Essenziale resta ]. Seznec, La survivance des dieux antiques, Londra, 1940 (in particolare IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 37 In un testo caratteristico e giustamente famoso, l’Alciati, mentre parlava di un’ars quaedam inveniendorum et excogitan- dorum symbolorum, si soffermava a lungo a discorrere delle differenze che intercorrono fra schemata, imagines e symbola;?° ottant'anni più tardi, in un libro altrettanto fortunato, il peru- gino Cesare Ripa presentava una « descritione d’imagini delle virtù, vitii, affetti, passioni umane, corpi celesti, mondo e sue arti » annunciando che il suo scritto (che è veramente «la chiave dell’allegorismo del Seicento e del Settecento ») doveva servire « per figurare con i suoi proprî simboli tutto quello che può cadere in pensiero umano ».°°. Alla voce memoria tro- viamo la rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- stita di nero et che tenga nella man destra una penna et nella sinistra un libro »: le due facce stanno a significare che la memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di pru- denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il libro e la penna, simboli della frequente lettura e della scrit- tura, « dimostrano, come si suol dire, che la memoria con l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di iconologia, compo- sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal modo da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiuti della memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- rosità » e della «scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- sioni sulla memoria e la « prudenza » che avevano appassio- nato Alberto Magno e Tommaso.”* Ma era l’idea stessa di sulla iconologia le pp. 95-108); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se- venteenth Century Imagery, Londra, 1939 c F. A. Yates, The French Academies of the Sixteenth Century, Londra, 1947, p. 132: «It was on the ’image-level’ of the mind (if one may speak thus) that the Renaissance men achived his ounified outlook ». Uno storico dell’arte come W. WaetzoLp, Diirer and his Time, Londra, 1950, p. 63, giunge del resto a non dissimili conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, /corno- graphy on the nature and Inspiration of Poetry in Renaissance Emblem Litterature, in PMLA, 1955, IV, pp. 781-804. 55 Omnia A. Alciati Emblemata, Antverpiac, 1581, pp. 11, 13 (Copia usata: Braid. 26. 17. C. 9). La prima edizione è del 1531. 5° È il titolo della /conologia di Cesare Ripa. Uso l'edizione padovana del 1611. La prima edizione è del 1503. °? C. Ripa, /conologia, cit., p. 335. € Sulla Allegoria della prudenza del Tiziano E. Panorsri scrisse, nel 1926, uno splendido saggio (ora ristampato nel vol. The meaning of visual arts, New York, 1957, pp. 146-168). Sulla prudenza come « me- 38 CLAVIS UNIVERSALIS una rappresentazione sensibile delle “cose” e dei “termini” c di una “personificazione” dei concetti alla quale il Ripa (e molti altri con lui) si ispirava, che aveva indubbiamente assai stretti legami con quella sezione della mnemotecnica che aveva per scopo la costruzione delle immagini. All’interno stesso della più ortodossa tradizione dell’ars memorativa ciceroniana non erano mancate espressioni di una particolare sensibilità per il problema delle immagini. Certe pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia, 1482) di Iacobo Publicio ‘* giovano senza dubbio a comprendere come tra que- ste immagini e quelle delle iconologie sussistesse un legame reale. Le intentiones simplices e «spirituali », affermava il Pubblicio, non aiutate da nessuna corporea similitudine, sfug- gono rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno appun- to il compito, mediante il gesto mirabile, la crudeltà del volto, lo stupore, la tristezza o la severità, di fissare nel ricordo idee termini e concetti. La tristezza e la solitudine saranno il simbolo della vecchiaia, la lieta spensieratezza quello della gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo, la timidezza dalla lepre, la bilancia sarà il simbolo della giustizia, l’erculea clava della fortezza, l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto gio- verà richiamarsi, nella costruzione delle immagini, all'opera dei poeti, di Virgilio e di Ovidio. Le loro raffigurazioni della Fama, dell’ Invidia, del Sonno potranno essere felicemente ri- prese in quella collocatio in locis che fa uso di immagini rare ed egregie.®° Simboli e immagini in funzione del ricordare: anche quan- do l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà abbando- nata definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle immagini come aiuti della memoria. La Istoria universale pro- moria del passato, ordinamento del presente, contemplazione del fu- turo » il Panofski avrebbe potuto citare, accanto a fonti meno note, anche 1 passi, assai significativi, di Alberto Magno e di Tommaso d'A- quino. Ma resta egualmente significativa la penetrazione, entro le arti figurative, dell’antico tema della connessione memoria-prudenza. 5° PusLicii IacoBI, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatun spectant oratorem, Venetiis, 1482. L’opera del Publicio fu ristampata nel 1485 a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis ingenio miro et arte perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad Augusta nel 1490 e nel 1498. Qui si è fatto uso dell’ Inc. 697 dell’Angelica di Roma. 6° Oratoriae artis epitoma, cit., d4v.-d4v. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 39 vata con monumenti e figurata con simboli degli antichi pub- blicata nel 1697 da Francesco Bianchini doveva « unire alla fa- cilità dell’apprendere e del comprendere la stabilità dell’ordi- nare e del ritenere »;* la « dipintura proposta al frontispizio » della Scienza Nuova di Giambattista Vico doveva servire al leggitore « per concepire l’idea di quest'opera avanti di leg- gerla, e per ridurla più facilmente a memoria ».** ©! Francesco BrancHInI Veronese, La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi, Roma, 1697, p: 5 (Copia usata: Braid. AA. V. 13). 8? G. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 367, e cfr. le mie Schede vichiane, in « La Rassegna della letteratura ita- liana », 1958, 3, pp. 375 segg. II. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVI 1. LA RINASCITA DEL LULLISMO. Nel corso del secolo XVI si verificano, in quel settore della cultura che qui ci interessa, due importanti fenomeni. Il primo è la diffusione in Inghilterra, in Germania, in Francia di quell’arte della memoria locale che aveva avuto, alla fine del Quattrocento, la sua più organica e completa trattazione nel- l’opera di Pietro da Ravenna. Il secondo è il contatto che venne a stabilirsi fra quella tradizione mnemotecnica che risale a Cicerone, a Quintiliano, alla RAetorica ad Herennium, a Tommaso e l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria che fa capo alle opere di Raimondo Lullo. Fra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento, Cusano, Bessarione, Pico, Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi Lavinheta e Agrippa e Bruno contribuiscono a diffondere le opere di Lullo, l’inte- resse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro tutta la cultura europea. Il significato della loro adesione ad una tematica che appare così profondamente estranea ad una mentalità post-cartesiana e post-galileiana è necessariamente sfuggito sia a quegli interpreti che hanno visto nell’ars magna una specie di sommario elementare o “preistorico” di logica simbolica, sia a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con facile ironia, delle “stranezze” di molti fra gli esponenti più significativi e più noti di una non trascurabile stagione della cultura occidentale. L'interesse per la cabala e per le scritture geroglifiche, per le scritture artificiali e universali, per la scoperta dei primi princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte della me- moria e il richiamo continuo ad una logica intesa come “chiave” capace di aprire i segreti della realtà: tutti questi temi appaiono inestricabilmente connessi con la rinascita del lullismo nel Rinascimento e formano, davanti a chi affronti direttamente i testi del Cinquecento e del Seicento da Agrippa a Fludd, da Gassendi a Henry More, una sorta di inestrica- 42 CLAVIS UNIVERSALIS bile groviglio del quale non appare del tutto lecito sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “plato- nismo”. In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno non pochi e non trascurabili riflessi anche sui problemi della speculazione e della scienza: dalla teoria baconiana e vichiana dei segni delle immagini e del linguaggio, alla discussione baconiana e cartesiana sull’a/bero delle scienze e sulle facoltà; dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rap- porti con la retorica, a quelle concernenti le topiche e il pro- blema del metodo e infine a quelle stesse trattazioni di filo- sofia naturale che fanno appello alla struttura logica della realtà materiale, all’alfabeto della natura o ai caratteri im- pressi dalla Divinità nel cosmo. Non si ha qui la pretesa di dar fondo a questi complessi problemi: si ritiene tuttavia che ad una maggiore compren- sione di talune delle questioni precedentemente indicate possa giovare non poco un esame, analiticamente condotto, della diffusione del lullismo nel secolo XVI e del suo connettersi con la già fiorente tradizione dell’arte mnemonica. 2. AGRIPPA E LE CARATTERISTICHE DELL’ARS MAGNA. Nei primi anni del Cinquecento, in una lettera dedicatoria premessa al suo commento all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa * tracciava un sommario quadro della diffu- 1 Faccio uso dell'edizione delle opere e dei commenti lulliani pubbli- cate a Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui, per comodità del lettore, un sommario del contenuto di questa edizione (che verrà di seguito indicata semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera ca quae ad inventam ab ipso artem universalem scientiarum artiumque omnium brevi compendio firmaque memoria apprchendendarum locu- pletissimaque vel oratione ex tempore petractandarum pertinent. Ut et in candem quorundam interpretum scripti commentarit... Accessit Va- leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem Lullii generalem opus, Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri, 1617 (copia usata: Triv., Mor., I, 304. La prima edizione è del 1598. L’opera fu ristampata nel 1609 e ne 1651; parzialmente riprodotta: Stoccarda, 1836). Il volume contiene i seguenti scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica brevis et nova, pp. 147-161; Ars brevis, pp. 142; Ars magna generalis ultima, pp. 218-663; Tractatus de conversione subiecti et praedicati per medium, pp. 166-177; Duodecim principia philosophiae, pp. 112- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 43 sione del lullismo nella cultura europea: Pedro Daguì e il suo discepolo Janer sono ben noti e celebrati in Italia, l’insegna- mento di Fernando de Corboba ha avuto vastissima risonanza nelle scuole europee, Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono stati, a Parigi, devotissimi a Lullo, infine i fratelli Canterio ° hanno mostrato non solo alla Francia e alla Germania, ma anche all'Italia, le mirabili possibilità dell’arte. Mentre si richiamava ai grandi maestri del lullismo, Agrippa chiariva anche breve- 146. Opere apocrife e attribuite a Lullo: De auditu kabbalistico seu kabbala, pp. 43-111; Oratio exemplaris, pp. 224-217 (sic, errore di numerazione nelle pagine); /n RAesoricam Isagoge, pp. 172-223; Liber de venatione medii inter subiectum et praedicatum, pp. 162-165. Com- menti: G. Bruno, De lulliano specierum scrutinio, pp. 664-680; De lampade combinatoria lulliana, pp. 681-734; De progressu logicae ve- nationis, pp. 735-786; H. C. Acrirra, In artem brevem Raymundi Lullit commentaria, pp. 787-916; VaLeria DE VALERIS, Opus aureum in quo omnia breviter explicanter quae R. Lullus tam in scientiarum arbore quam arte generali tradit, pp. 969-1109. ° Su Pedro Daguì che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale di Maiorca nel 1481, sul suo discepolo Janer, sul filosofo platonico Fernando de Còrdoba che difese Daguì dalle accuse di eterodossia in una commissione nominata da Sisto IV, sul lullismo del Lefèvre e del Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime Canterio cfr.: T. e |. Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana de los siglos XII al XIV, Madrid, 1939-43, 2 voll., vol. II, pp. 65 segg., 78, 283 segg., 201-209, 216 segg. nel quale si trovano notizie bio-bibliografiche sui singoli autori. Stru- mento essenziale per la storia del lullismo è: E. RocENT y E. Duran y Renats, Bibliografia de las impressions lul-lianes, Barcelona, 1927 (per le edizioni, numerosissime, del commento di Agrippa, cfr. i numeri: 79, 80, 82, 86-88, 103-105, III, 125, 144, 148, 162, 180). Per le notizie sulle opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si vedano: Littré, in Histoire littéraire de la France, vol. XXIX; E. Lonc- PRÉ, voce Lulle in Dictionnaire de théologie catholique, vol. IX; J. Avinvò, Les obres autèntiques del Beat Ramon Lull, Barcelona, 1935; C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une étude sur la bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris, 1930. Per la diffu- sione del lullismo, particolarmente in Italia, sono assai importanti gli studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una preziosa Introducion biblio- grafica a los estudios lulianos, Mallorca, 1945, ha pubblicato: E/ /ulismo en Italia, Madrid, « Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives », II, 5-6-7, 1944; La obra de R. Lull en Italia, in « Studia », Palma de Maiorca, ag.-sett., 1943; Le lullisme de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, in «Actes du XIéme Congrès Int. de Philos. », Bruxelles, 1953, vol. XIII, pp. 7-12 (per una completa informazione cfr. Bibliografia del P. Miguel Batllori S. I., Torino, 1957). 44 CLAVIS UNIVERSALIS mente la portata e il senso della combinatoria lulliana, le ra- gioni della sua superiorità e della sua efficacia: l’arte — affer- mava — non ha nulla di « volgare », non ha a che fare con oggetti determinati e proprio per questo si presenta come la regina di tutte le arti, la guida facile e sicura a tutte le scienze e a tutte le dottrine. L’ars inventiva appare caratterizzata dalla generalità e dalla certezza; con il suo solo aiuto, indipenden- temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini potranno giungere ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare « de omni re scibili veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” dell’arte sono infallibili e inconfutabili, tutti i particolari di- scorsi e princìpi delle singole scienze trovano in essa la loro universalità e la loro luce (« omnium aliarum scientiarum prin- cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali luce, elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in sé ogni scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione della verità, ogni sapere umano.° Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina feroce contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, nella prefazione al suo commento, due delle fondamentali caratteristiche con le quali l’arte lulliana si presenta alla cul- tura del Rinascimento. In primo luogo essa appare come una scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a princìpi assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- sente la determinazione di un criterio assoluto di verità; in secondo luogo, proprio perché si costituisce come la scienza delle scienze, l’arte è in grado di offrire il criterio per un pre- ciso e razionale ordinamento di tutto lo scibile i vari aspetti * H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria, Zetzner, pp. 787-89. 4 H. C. Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (il cap. IX del De vanitate ha per titolo De arte Lulli, il X De arte memorativa). Cfr. lo stesso testo nella versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 (copia usata: Braidense 25. 13. H. 14). Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- RAacco, in « Rassegna di filosofia », 1957, III, pp. 222-248, non si fa cenno al commento lulliano di Agrippa. L'opera non è databile con precisione. G. A. Prost, Les sciences et les arts occultes au XVIè*me stècle, Paris, 1881, I, p. 35 la assegna al 1517, con argomenti forse in- sufficienti. Certamente lo scritto è antecedente al 1523 (cfr. Claudius Blancheroseus H.C. Agrippae, in Fpist., III, 36, Opera, cit., II, p. 802). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 del quale mediante successive sussunzioni del particolare al enerale vengono tutti, senza esclusioni, ricompresi e inverati nell’arte. Il giovane Agrippa non aveva fatto altro in realtà che esporre vivacemente e chiarificare temi largamente diffusi. Sul- l'efficacia «inventiva » dell’arte e sulla sua « finalità enciclo- pedica » egli non era stato il solo ad insistere. Il tema di una logica intesa come chiave della realtà universale, come discorso concernente non i discorsi umani ma le articolazioni stesse del mondo reale si congiunge infatti strettamente, nei testi stessi di Lullo e in quelli del lullismo, con l’aspirazione ad un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni che corrisponda all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si è potuto parlare, a questo proposito, di una « direzione logico- enciclopedista » del pensiero lulliano che si pone, come motivo centrale e dominante, accanto alla direzione « mistica » e a quella « polemico-razionalista ».@ L'apprendimento delle regole dell’arte e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- plicano e presuppongono d’altra parte la costruzione di un sistema mnemonico che si presenta come parte integrante e costitutiva della logica-enciclopedia. Ma gioverà a questo punto, per chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni degli aspetti fondamentali della problematica connessa al lullismo facendo riferimento sia ai testi di Lullo sia a quelli della tra- dizione lullista. 3. ARTE, LOGICA E COSMOLOGIA NELLA TRADIZIONE LULLIANA. Nei testi di Lullo l’arte si presenta come una «logica » che è anche e contemporaneamente « metafisica » (« ista ars est et logica et metaphysica ») ec che tuttavia differisce dall’una e dall’altra sia «in modo considerandi suum subiectum » sia «in modo principiorum ». Mentre la metafisica considera gli enti esterni all'anima « prout conveniunt in ratione entis », e la logica li considera secondo l’essere che essi hanno nell'anima, l’arte invece, suprema fra tutte le umane scienze, considera gli enti secondo l’uno e secondo l’altro modo. A differenza ° Cfr. Carreras y Artau, Filosofia cristiana, cit., II, pp. 10-11. © Introd. all’Ars demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz, 1721- 42, III, p. 1. Gli otto volumi dell’edizione di Mainz numerati I-VI, IX, 46 CLAVIS UNIVERSALIS della logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte tratta delle prime intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis sive labilis », l’arte è «permanens et stabilis »; ad essa è possibile quella scoperta della « vera lex » che è invece pre- clusa alla logica. Esercitandosi per un mese nell’arte si po- tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a tutte le scienze, ma anche conseguire risultati di molto maggiori di quelli raggiungibili da chi si dedichi per un anno intero allo studio della logica." Opportune premesse all’acquisizione del- l’arte appaiono non a caso, da questo punto di vista, la cono- scenza della logica tradizionale e quella delle cose naturali: «Homo habens optimum intellectum et fundatum in logica et in naturalibus et diligentiam poterit istam scientiam scire duobus mensis, uno mense pro theorica et altero mense pro practica... ».° Presentandosi strettissimamente connessa alla conoscenza delle cose naturali, alla metafisica, all’ontologia l’arte mostrava da un lato la sua irriducibilità sul piano di una conoscenza formale e dall’altro i suoi legami con quella metafisica esem- plaristica e con quell’universale simbolismo che costituiscono insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La scomposizione dei concetti composti in nozioni semplici e irri- ducibili, l'impiego di lettere e di simboli per indicare le no- zioni semplici, la meccanizzazione delle combinazioni tra i concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea stessa di un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio comune e a quello delle singole scienze) e quella di una specie di meccanismo concettuale che si presenta, una volta costruito, assolutamente indipendente dal soggetto umano: questi ed altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto sì che storici in- signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non X (il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi tre volumi, da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende dell'edizione maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 323-353. ? Cfr. Ars magna generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER, pp- 537-38. S Cfr. Ars magna generalis ultima, in ZETZNER, p. 663. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 47 erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale. A differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il Biumker sia il Gilson avevano chiaramente presente il peso esercitato sul pensiero di Lullo da quell’esemplarismo e da quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e le dignità divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- tero universo si configura come un gigantesco insieme di sim- boli che rimandano, al di là delle apparenze, alla struttura stessa dell’essere divino: «le similitudini della natura divina sono impresse in ogni creatura secondo le possibilità ricettive della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno, secondo che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è l’uomo, così che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta in sé il segno del suo artefice ».!° Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of- frono in alcun modo l’esempio di una classificazione formale del sapere: essi rimandano, attraverso un complicato simbo- lismo, alla realtà profonda delle cose, quella realtà che al filosofo spetta appunto di scoprire individuando i “significati” delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi alberi, che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- dono non a caso ai princìpi stessi dell’arte. Di modo che, come è stato giustamente notato,"! le radici o fondamenti reali ° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie der Mittelalter, nel vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp. 417-18; E. Gitson, La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois d'Assise ecc., Parigi, 1927, p. 163. Un'ampia e precisa esposizione della combinatoria lul- liana è in P. E. W. PLatzeck, La combinatoria luliana, in « Revista de Filosofia », 1953, pp. 575-609 e 1954, pp. 125-165 (già precedentemente pubblicato in « Franziskanische Studien », 1952, pp. 32-60 e 377-407). Assai notevole è lo studio di Fr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, in « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 1954, nn. 1-2, pp. 115-173 nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti tra la logica c la cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, alla luce di questi studi, la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, ediz. 1955, III, pp. 145-177. 1° Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, 1721. 24, III, p. 74. 1! Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., I, p. 484. La versione catalana dell’Arbor scientiae occupa i volumi XI-XIII (1917-26) del- l'edizione delle Obres de Ramon Lull, Palma de Mallorca, 1901 segg. Le più recenti edizioni latine sono Lione, 1635 e 1637 (ediz. prece- denti: Barcellona, 1482 c 1505; Lione, 1505, 1515 e 1605). 48 CLAVIS UNIVERSALIS delle cose, i princìpi dell’arte, e le dignità divine appaiono, nella terminologia lulliana, termini assolutamente intercam- biabili ed equivalenti. Gli strettissimi legami fra l’arte e la teoria degli elementi sono stati del resto messi in luce di recente, con molta pene- trazione, da un ampio studio di F. Yates.!? Il tradizionale “approccio logico” alla dottrina lulliana (del tipo di quello presente nella trattazione del Prantl) si è rivelato alla Yates parziale e insufficiente. Un accurato studio dell’inedito Trac- tatus novus de astronomia del 1297 non solo ha posto in luce il significato della applicazione delle regole dell’arte alla astro- logia, ma ha anche chiarito come nelle varie opere di Lullo i nove princìpi divini (le cui “influenze” erano state identifi- cate nel Tractatus de astronomia con quelle dei segni dello Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della uni- versale applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del diritto, della astrologia, della teologia e, come avviene nel Liber de lumine, della luce. Che sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse perve- nire a una specie di identificazione dell’arte con una cosmo- logia è mostrato, fra l’altro, da uno dei primi testi del lullismo europeo sul quale la Yates ha opportunamente richiamato la attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’ Electorium Re- mundi (Par. Naz. Lat. 15450) composto ad Arras nel 1325," fu amico personale e discepolo entusiasta del Lullo. In una specie di grande compilazione, egli intende presentare i carat- teri essenziali della dottrina del suo maestro: all’arte spetta una funzione precisa: la difesa della fede cristiana contro gli averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla com- prensione della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte espositiva o introduttiva si rivelano chiaramente le connes- sioni fra arte e cosmologia: il circolo dell’universo, la cui rap- presentazione grafica viene accuratamente descritta dall'autore, comprende la sfera angelica attorno alla quale ruotano il primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle fisse e le sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- 12 Fr. A. YATEs, The Art of Ramon Lull, cit. 19 Parigi, lat. 15450 (inizio sec. XIV). La data di composizione è in fine al testo: « Anno Domini 1325 per Thoman Migerii. In attrebato ». ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 sentati un albero un animale e un uomo, è circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei nove segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- de una delle nove lettere dell’alfabeto lulliano (BCDEFGHIK) nel suo duplice significato di predicato assoluto e relativo, mentre, secondo gli insegnamenti di Lullo, alcuni dei signi- ficati delle lettere cambiano in corrispondenza alle diverse sfere.!! L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso- lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno di quell’ampia letteratura lullista che si diffonde in tutta Eu- ropa fino dalla prima metà del Quattrocento è ampiamente documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad una spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde in moltissimi testi l’idea del rapporto necessario che si pone fra la costru- zione di un’arte indifferentemente applicabile a tutti i rami del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e uni- taria dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e sulle dignità divine come fondamenti primi dell'arte lulliana insiste, non a caso, il primo grande filosofo europeo che si muove entro l’orizzonte del lullismo. « Primum fundamentum artis — scri- verà Cusano — est quod omnia, quae Deus creavit et fecit, creavit et fecit ad similitudinem suarum dignitatum ».!* I prin- cìpi dell’arte combinatoria (donitas, magnitudo, aeternitas, po- testas, sapientia, voluntas, virtus, veritas, gloria) apparivano qui, ancora una volta, come principia essendi et cognoscendi, non meramente formali, ma esprimenti le caratteristiche divine e di conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti. La metafisica esemplaristica costituiva la garanzia della assoluta infallibilità di una logica attinente non ai discorsi, ma alla realtà. Mentre polemizzava implicitamente con il Gerson e proponeva una 14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, cit., p. 172. 15 Cod. Cus. 85, £. 55 v. cit. in P. E. W. PLatzecg, La combinatoria luliana, cit., p. 135. Dello stesso autore si vedano anche: E! /ulismo en las obras del Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de Teologia », 194041, pp. 731-65 c 1942, pp. 257-324; Los postumos datos lulisticos del Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre el Arte luliana, « Studia monographica », 1953-54, pp. 1-16; Lullsche Gedanken bei Nikolaus von Kues, « Trierer Theologische Zeitschrift », 1953, pp. 357.64. 50 CLAVIS UNIVERSALIS riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano, in una sua postilla all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del- l'insegnamento di Lullo: Praedictorum principiorum nomina sunt apud philosophos inusitata et tamen iuxta figmentum inventoris propositae artis res vera significantia. Ergo, cum propter nostram af- firmationem vel negationem nihil mutetur in re... et omne verum vero consonet... praefata ars non est repudianda propter suorum nominum improprietatem [che era la tesi del Gerson]; quin potius, ut possit concordari cum scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!% Ancora più strettamente legata alle impostazioni “esempla- ristiche” del lullismo è, d’altra parte, la dottrina cusaniana dell’ascesa e discesa dell’intelletto secondo la quale è possi- bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla somi- glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di scendere dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi alla conoscenza della realtà che di quella perfezione è lo specchio.!’ Nel Liber de ascensu et descensu intellectus, composto dal Lullo a Montpellier nel 1304, era stato ampiamente svolto il tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che procede attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- struzione di quel divino modello che ha presieduto alla co- struzione del reale. Attraverso la descrizione della compli- cata scala degli esseri, dalla pietra al fango alla pianta al bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema si era andato identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione minuta, ed “enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- smo. Questa stessa impostazione “cosmologica” troviamo pre- sente in quel Liber creaturarum di Raimundo Sibiuda (Sa- 15 Cfr. Martin Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage des Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch », vol. 57, 1938, p. 572. Sul Iullismo del Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, di J. Marx, di F. Tocco, di E. pe VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- pitolo Influencias lultanas en Nicolàs de Cusa della cit. Filosofia cri- stiana det Carreras v ArtAu, II, pp. 178-196. Più recenti: M. DE Ganpittac, La philos. de N. de C., Paris, 1941 e J. E. HorMann, Die Quellen der cusanischen Mathematik, Heidelberg, 1942. 17 Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, cit., Il, p. 187. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 5I bunde, Sebond) che influirà sullo stesso Cusano, su Lefèvre d’Etaples, Bovillus e Montaigne e che fu composto (fra il 1434 e il ’36) negli stessi anni che videro Cusano appassionato let- tore e trascrittore dei testi di Lullo. Anche qui, accanto alla dottrina dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto all’affer- mazione di un’arte concepita come « radix et origo et funda- mentum omnium scientiarum », il cui possesso è raggiungi- bile in brevissimo tempo con risultati mirabili (« quia plus sciet infra mensem per istam scientiam quam per centum an- nos studendo Doctores »), troviamo l’immagine di una scala naturale i cui vari gradini vanno ritenuti a memoria e rap- presentati mediante figure: «et haec est prima consideratio in hac scientia radicalis et fundamentalis, scilicet considerare istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in corde et figurare sicut in natura realiter ».!* La ordinata successione dei gradi ci offre un'immagine unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il primo grado comprende le cose che sono, ma non vivono né sentono né intendono (minerali e metalli, cieli e corpi celesti, oggetti arti- ficiali); il secondo comprende ciò che è e vive, ma è privo del sentire e dell’intendere (i vegetali); il terzo gli animali che sono vivono e intendono; nel quarto infine, ove risiede l’uomo, sono presenti l’essere il vivere il sentire e l’intendere. L’uomo, come microcosmo, riassume in sé le proprietà stesse dell’universo, è la vivente immagine di Dio. 4. L’ArBoR SCIENTIAE E GLI ENCICLOPEDISTI DEL secoLo XVI. Che l’arte lulliana rinviasse a una descrizione della realtà universale e che questa descrizione si andasse configurando a sua volta come una vera e propria enciclopedia è cosa che, dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe risultar chiara. Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma nel 1295, l’impiego degli “alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo per rendere l’arte più « popolare », più direttamente e facil- mente acquisibile e l'enciclopedia si presentava come parte in- tegrante della grande riforma del sapere progettata da Lullo. !* R. Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frank- furt s. Main, 1635, tit. I, p. 8. 52 CLAVIS UNIVERSALIS Alla base dell’enciclopedia, articolantesi in sedici alberi, sta un'idea centrale: quella di una fondamentale unità del sapere umano che è in stretta relazione all’unità essenziale del cosmo. Una suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano che contiene la versione catalana del testo di Lullo,!® mostra il filosofo e un monaco ai piedi dell'albero delle scienze. Al mo- naco, la cui figura ritorna accanto a quella di Lullo in tutte le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si era rivolto per conforto dopo che il suo piano missionario, che includeva la propaga- zione dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Boni- facio VIII e proprio il monaco (così racconta Lullo nel prologo) lo aveva consigliato di presentare la grande arte sotto una nuova forma. Le diciotto radici dell’albero delle scienze sono costituite dai nove principi trascendenti (o nove dignità divine) e dai nove princìpi relativi dell’arte (differentia, concordantia, contrarietas; principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, minoritas). L'albero si suddivide in sedici rami, ciascuno dei quali corrisponde ad uno degli alberi che formeranno la fore- sta della scienza: l’arbor elementalis, V’arbor vegetalis (bota- nica e applicazioni della botanica alla medicina), sensualis (esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti mentali che sono similitudini degli enti reali trattati negli alberi precedenti), Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi e delle virtù), imperialis (connesso all’arbor moralis, si riferi- sce al regimen principis e alla politica), apostolicalis (governo ecclesiastico e gerarchia della Chiesa), celestialis (astronomia e astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti angelici), eviter- nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso), maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- logia, dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e produzioni divine). L’arbor exemplificalis (nel quale vengono esposti allegoricamente i contenuti degli alberi precedenti) e l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte quattromila questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come «ausiliari » rispetto al corpus dell’enciclopedia. ‘ 1° Cod. Ambrosiano D. 535 inf. fol. 37v. L’illustrazione è riprodotta nel vol. XIII delle Obres de Ramon Lull, cit. La stessa immagine an- che nell'edizione latina, Lione, 1515, p. 145. De L’arbre de Sciencia ho usato la versione castigliana stampata a Bruxelles dal Foppens nel 1664 (Braid. BB. 9. 64). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 53 L'unità del mondo del sapere appare dunque fondata sul fatto che i princìpi assoluti e i princìpi relativi dell’arte costi- tuiscono la comune radice del mondo reale e del mondo della cultura. Su queste radici (simboleggiate dalle nove lettere del- l’alfabeto lulliano) poggiano infatti sia l’arbor elementalis i cui rami indicano i quattro elementi semplici della fisica, le cui foglie simboleggiano gli accidenti delle cose corporee, e i cui frutti fanno riferimento alle sostanze individuali come l’oro e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che raccoglie, accanto alle facoltà umane e agli abiti naturali, anche quelli artificiali o le arti meccaniche e liberali. L'immagine lulliana dell’albero delle scienze, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l’aspira- zione lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo suggestioni derivanti da altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d° Etaples e Bovillus, Pedro Gregoire e Valerio de Valeriis, Alsted e Leibniz faranno preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del lullismo. In quell’ideale pansofico che domina tutta la cultura del secolo XVII si insisterà da un lato sul necessario possesso dell’intero orbe intellettuale e dal- l’altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un linguaggio capace di dominare il tutto e di permettere una diretta lettura dell’alfabeto impresso dal creatore sulle cose: cosmo reale e mondo del sapere appariranno realtà da cogliere nella loro sostanziale unità e identità di struttura, nella loro profonda “armonia”. Sui testi della pansofia seicentesca do- vremo ritornare. Per ora basterà fermarsi brevemente su alcuni testi cinquecenteschi nei quali questi aspetti dell’eredità lul- liana si espressero in modo compiuto e coerente. Lo scritto In RAetoricam Isagoge fu pubblicato a Parigi, nel 1515, da Remigio Rufo Candido d’Aquitania dietro incita- mento di Bernardo Lavinheta, uno dei più rinomati lullisti dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle edizioni delle opere di Lullo dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il suo carattere di opera pseudo-lulliana: frequenti appaiono i riferimenti a Cicerone e a Quintiliano, ai dialoghi platonici, alla mitologia e alla storia greche e romane. In un testo com- 54 CLAVIS UNIVERSALIS posto quasi certamente fra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI, e che veniva considerato come un’opera autentica di Lullo, troviamo una singolare mescolanza di retorica, di co- smologia e di aspirazioni enciclopedistiche. Nella prefazione indirizzata dal Rufo ai suoi discepoli, i fratelli Antonio e Francesco Boher, la finalità enciclopedica dell’opera veniva presentata come strettamente connessa alle esigenze della reto- rica e ai bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del nostro amico Bernardo di Lavinheta studiosissimo di Lullo, portiamo alla luce questa Retorica affinché in questo libro, come in uno specchio nitidissimo, possa essere contemplata, o meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È infatti necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- dronisca con diligenza di tutto quel mondo delle scienze che vien detto enciclopedia. Per questo, l’autore volle abbracciare con brevità e stringatezza tutte quelle cose che son relative alla comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo pseudo-lulliano non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi- che della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- chimistica: « Ex tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit tenebras latibulum suum, qui apparuit in monte circumdato caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere volunt, opus habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pytha- gorae ». 20 Traduco dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus illuminati, in Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- nundantur in Ascensianis Aedibus, 1515 (pagg. non numerate). Il passo cit. è tratto dalla lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- sonaggio cfr. Carreras y Artav, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 214 segg.). La stessa opera è inserita nella edizione ZETZNER, pp. 172-223. Ho trovato indicato il Cod. Vat. Lat. 6295 a proposito di un’opera inedita di Lullo: la RAetorica Nova della quale esistono vari altri manoscritti (Parigi Lat. 6443c, ff. 95v.-109v.; Monaco Staatsbibl., 10594, ff. 164r.-196v.; Ambrosiana N. 185 sup., ff. 1v.-35v.). Il codice Vaticano indicato contiene invece, insieme agli Sratuta pesciven- dolorum Urbis, una redazione manoscritta dell’opera apocrifa In Rheto- ricam Isagoge (si tratta di un cod. cartaceo del sec. XVI che reca due fogli bianchi e non numerati all’inizio. Lo scritto pseudo-lulliano oc- cupa le carte ]r.-25v. Il codice è stato rilegato assieme ad un cod. pergamenaceo del secolo XV che contiene gli Statuti sopra indicati). Gli altri tre codici (parigino, monacense e ambrosiano) contengono invece effettivamente lo scritto di Lullo sulla retorica. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 55 Dopo un sommario riferimento ai subiecta dell’arte lulliana (Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa, sensitiva, vege- tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il testo si articola in una lunga serie di quadri sinottici nei quali viene accumulato ed esposto, secondo un rigido ordina- mento, tutto il sapere. La considerazione dell’imaginativa si trasforma in tal modo in una classificazione degli animali, delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che vengono curiosamente suddivisi sulla base della loro apparte- nenza ai quattro elementi della fisica : Terrestres, ut agricolae, metallarii Aquatici, ut mautae et piscatores Acrei, ut funambuli et schenobatae Ignei, ut fabri, Cyclopes. Hominum quidam sunt Allo stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- rarchia angelorum, mentre la trattazione dei predicati dà luogo ad una classificazione dei diversi tipi di narrazione storica e di dimostrazione dialettica, delle varie parti della retorica, delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù, infine delle arti mec- caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, all'arte scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia, alla musica, alla geometria, alla matematica, alla medicina. Ben più significativo di questo trattato retorico-enciclope- dico è il De arte cyclognomica (1569) di Cornelio Gemma, astronomo e professore di medicina a Lione, autore di un testo sulla cometa del 1577 e di uno scritto sui prodigi e le mostruo- sità della natura.” Gli interessi del Gemma sono rivolti prin- 21! Cornelius GemMa, De arte cyclognomica tomi II doctrinam ordi- num universam, unaque philosophiam Hippocratis Platonis Galeni et Avistotelis in unius communissimae et circularis methodi speciem refe- rentes, quae per animorum triplices orbes ad spherae caelestis simulitu- dinem fabricatos, non medicinae tantum arcana pandit mysteria, sed et imveniendis costituendisque artibus ac scientiis caeteris viam com- pendiosam patefacit, Antverpiae, cx officina Christophori Plantini, 1569. Ho usato la copia della Vaticana L. IV. 28 (Palat. III, 70), ma della stessa edizione esiste un esemplare alla Braidense (B. XV. 5. 803) e uno all’Angelica (e. 8. 16). Cfr. anche De naturae divinis characteri- smis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1575 (copia usata: Vatic., N. XI. 64, ma cfr. Racc. Gen. 56 CLAVIS UNIVERSALIS cipalmente alla medicina, ma il suo trattato si propone di giungere alla unificazione dei metodi di Ippocrate e Platone, Galeno e Aristotele e di fondare un metodo universale valido così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze. Il metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che la conoscenza si volga alla comprensione delle cose passate, allo studio delle cose presenti, e alla divinazione di quelle future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius artificium methodicuni; nel secondo la scientia etusque adipiscendae me- thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus. Ricercando una via compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo sulla funzione essenziale delle immagini, delle rappresenta- zioni simboliche, dei circoli lulliani, ma concepisce le stesse immagini in funzione di un metodo inteso come ordinata classificazione di tutti gli elementi che compongono il reale: « Tota vis igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum causas in ipsis ordinibus potissimum collocatur. Ordo enim intelligentiae signum est... ».°° Alla minuziosa, ordinata elen- cazione degli elementi naturali e sopramondani e della facoltà è dedicata la maggior parte dello scritto del Gemma che si configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono largamente dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- gorica. Nel Quaternio pytagoricus per mundi septenos ordines pari proportione distributos," la materia, la qualità, lo spirito, l’anima appaiono suddivise a seconda della loro appartenenza al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree, alle sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella quale sono raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- strare le segrete corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di chiarire il modo in cui il senso o l'immaginazione, la razzo o Medicina, V. 882); De prodigiosa specie naturaque Cometae anno 1577 visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1578 (copia usata: Angelica YY. 3. 20). Nell'opera dei CarreRAs y Artau lo scritto De arte cyclo- gnomica del Gemma è stato erroneamente datato 1659. Non si tratta però di un semplice errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato molto spesso su informazioni di seconda e anche di terza mano, trat- tano del Gemma nel capitolo dedicato agli sviluppi del lullismo nel secolo XVII (Cfr. La filosofia cristiana, cit., Il, p. 304). 22 De arte cyclognomica, cit., p. 27 29 De arte cyclognomica, cit., p. 34. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 57 la mens si collegano alla totalità dell’universo, ai corpi celesti, al calore presente negli esseri animati, agli spiriti eterci, alle intelligenze che presiedono al moto degli astri. A questo stesso scopo rispondono sia la rappresentazione grafica dell’anima con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- mo,” sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali offre il quadro delle parti che compongono la metafisica, la fisica e la logica mostrando insieme gli scopi di queste scienze, i rapporti che intercorrono tra le varie parti delle singole disci- pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni parte in rela- zione all’ordine universale.? AI fondo di queste fantastiche classificazioni, alla base delle strane figure che riempiono il testo del Gemma, dietro questa incondizionata adesione ai motivi più torbidi della tradizione ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- lineare — il presupposto di una necessaria unità del sapere che è specchio della fondamentale unità del cosmo: « mediante l’idea stessa della divina Virtù, le ragioni di tutte le cose risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ». Que- st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso Gemma — costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta l’Arte.?* Su questo stesso terreno, anche se con una fondamentale diversità di tono derivante dal prevalere di interessi di tipo “logico”, si muove l’opera di Pedro Gregoire di Tolosa che fu pubblicata per la prima volta a Lione fra il 1583 e il 1587; il titolo è già di per sè indicativo: Syntaxes artis mirabilis in libros septem digestae per quas de omni re proposita, multis et prope infinitis rationibus disputari aut tractari, omniumque summaria cognitio haberi potest.?* Accanto al consueto tema 24 De arte cyclognomica, cit., p. 105. °5 De arte cyclognomica, cit., pp. 48, 49, 50. 26 De naturac divinis characterismis, cit., p. 34: « Hoc ergo sit primum artis nostrae fundamentum ». 2? Venetiis, apud Jo. Dominicum de Imbertis, 1588. L'altro tomo del- l’opera ha per titolo: Sintareon artis mirabilis alter tomus in quo om- nium scicntiarum et artium tradita est epitome, unde facilius istius artis studiosus de omnibus propositis possit rationes et ornamenta rarissima proferre, ibid., 1588 (copia usata Archiginn., 9, NN. V. 26). L’opera fu ristampata dall’editore Zetzner nel 1610 a Colonia in quattro tomi: 58 CLAVIS UNIVERSALIS di un’arte capace di giungere alla individuazione degli assiomi comuni a tutte le scienze e di elaborare assoluti criteri di certezza, tornavano qui molti dei problemi già affrontati, in quegli stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma il tentativo del Gregoire non si risolveva in un semplice “commento” all’arte lulliana. A differenza dei commentatori egli, dopo aver accennato a Lullo e ai principali teorici della sintassi univer- sale, elaborava una vera e propria enciclopedia delle scienze non indegna di essere accostata, almeno per quanto concerne la vastità di interessi e la grandiosità, al De augmentis baco- niano. Essa si fondava su uno speculum artis nel quale veni- vano presentati da un lato i « modi quaerendi examinandi disputandi et respondendi » e dall’altro le classi o cellulas alle quali ogni sapere dev'essere riferito. Il riferimento ai princìpi assoluti e relativi dell’ars magna era qui esplicito, ma altret- tanto e forse più interessanti sono le pagine nelle quali l’aspi- razione ad un sapere enciclopedico e universale si congiunge alla fiducia in una sostanziale intercomunicabilità fra tutte le scienze. Ed è da sottolineare il fatto che questa affermazione dell’unità del sapere si converte, immediatamente dopo, nel- l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità essenziale del cosmo: « Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce che il conoscere tutto e l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione che i particolari precetti delle singole scienze, distinti l’uno dall’altro, possono essere racchiusi in un'unica arte generale mediante la quale essi giungano a comunicare reciprocamente. In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un unico ge- nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le specie, nonostante che esse differiscono in talune proprietà; è chiaro di conseguenza che, una volta pienamente conosciuto il genere, la nozione delle specie apparirà più facilmente, allo Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas de omnibus dispu- tatur habeturque ratio, in quatuor tomos... in quibus plura omnino scitu necessaria... tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon artis mirabilis in libros XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel quarto acutissimae ac sublimes tractationes de Deo de Angelis et de Immortalitate animae continentur. Le citazioni che seguono sono tratte da quest'ultima edizione (copia usata: Archiginn., V, VI, 24-26). Per più ampie notizie sull'autore cfr. CARRERAS Y ArtTAU, La filos. cristiana, cit., II, pp. 234 segg. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 59 stesso modo che conosceremmo la divisione in rivoli e lc parti- zioni dei fiumi una volta che, dalla fonte, fossimo giunti, se- guendo l’alveo, ai luoghi nei quali si effettuano le separazioni. Allo stesso modo non apparirà impossibile e assurdo che le diverse opere delle diverse arti vengano realizzate mediante un unico strumento... Così infatti tutti i particolari corpi na- turali sono composti dalla diversa mescolanza dei quattro ele- menti e tutte le piante e tutti gli animali partecipano ad un’unica forza vegetativa e per essa crescono, e tutti i sensi sono contenuti in uno stesso corpo e le cose corporee € quelle incorporee consentono nell'uomo che consta di anima e di corpo, lo stesso Cielo ultimo abbraccia naturalmente e con- duce e muove in un solo ambito, in un solo moto e in un solo influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso concordano ». Il fondamento della “scienza unificata” era dunque una concezione platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della realtà intesa come un tutto unitario e vivente. La estendibilità dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le discipline e a tutti i rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto “meta- fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee della mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- namento: « E finalmente tutte le cose sono create e rette dal- l’unica mente di Dio, ogni luce delle stelle partecipa della luce del sole e tutte le virtù partecipano della giustizia... Dio e l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi unica: in nostro Signore Gesù Cristo. E poiché così stanno le cose... senza alcun dubbio la mente e la ragione dell’uomo possono estendersi a tutte le arti, ove siano guidate da un ottimo me- todo generale del sapere e del comprendere... A ciascuna delle scienze particolari appartengono delle nozioni — o preludi universali — mediante le quali l’arte e la perizia vengono facilmente potenziate ».?° A conclusioni non diverse giungerà, nell’ultimo decennio del secolo, il patrizio veneto Valerio de Valeriis che nell’Opus aureum, pubblicato nel 1589, riprendeva, modificandolo e inte- grandolo, il progetto lulliano dell’arbor scientiarum. Nel testo del De Valeriis il problema dell'albero delle scienze viene pre- sentato come strettamente connesso con quello della formula- 28 Commentaria, cit., I, p. 12; per il brano precedente cfr. p. Il. 60 CLAVIS UNIVERSALIS zione delle regole della combinatoria: « L’opera è ripartita in quattro parti. Nella prima verrà trattata la cognizione neces- saria al raggiungimento della conoscenza degli alberi. Nella seconda mostreremo i quattordici alberi dalla cui conoscenza dipende l’intera conoscenza degli enti. Nella terza illustreremo con esempi ciò che è stato esposto nella prima e nella seconda parte. Nella quarta parte, infine, mostreremo in qual modo l’arte generale di Raimondo vada ridotta a questa impresa, insegnando a moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi al- l’infinito... mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gli alberi con gli alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi ».?° L’interpretazione che, nella quarta parte dell’opera, veniva data delle “figure” dell’arte appare fortemente influenzata dal commento di Agrippa e, molto probabilmente, anche dalle tesi del Bruno il quale, fra il 1582 e il 1588, era venuto pubbli- cando le sue opere lullistiche e mnemotecniche. Più che ad Agrippa e al Bruno, il de Valeriis si richiama tuttavia più volte a Scoto e allo scotismo ?° (« de aliorum dictis non cura- mus, Scotum praeceptorem sequimur ») introducendo una dot- trina dei predicati assoluti e relativi. L'esigenza di un’arte aurea nasceva in ogni modo, anche in questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e “caotico” dell’orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi conto dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gli uomini, dopo infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza (« Nec sine maximis in- commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure quiesce- 29 Sul De Valeriis cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana, cit., pp. 235-37. Per la prima edizione dell’opera si veda RocenT Duran, Biblio- grafia, cit., n. 138. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER (cfr. la nota 1) p. 971. 30 De VaLerns, Opus aureum, ed ZetznER, pp. 982, 986, 1009, 1115. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 61 re »)."! Anche per il de Valeriis le radici degli alberi coincide- vano con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di suc- cessione dei vari princìpi veniva presentato come dipendente dalla “natura”: « magnitudo vero, quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio ». Éra proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi del- l'Arte ai subiecta: « Nell’'uniforme applicazione di queste ra- dici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza... biso- gna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev’es- sere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla pietra (che occupa il gradino infimo) dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il secondo grado della scala natu- rale... Ciò che comporta una imperfezione, se conviene all’in- feriore, non è da attribuire ad ogni superiore: ne deriva che la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino Lullo ordinò secondo nove soggetti e quattordici alberi la scala della natura... Colui che desidera sapere molte cose in ogni disci- lina si formi questa scala... ».?? Quelle del Gregoire e del de Valeriis sono posizioni tipi- che: da impostazioni di questo genere trarrà nuovo alimento e nuova forza l’idea di una sintassi universale che fornisca, oltre che la chiave dei misteri dell’ideale e del reale, anche il criterio assoluto per la costruzione di una completa enci- clopedia delle scienze. Da Lullo sino alla fine del Cinque- cento e poi fino a Alsted e a Leibniz resta ben salda la con- vinzione che l’arte lulliana o cabala dei sapienti o arte aurea o combinatoria o scienza generale costituisca la scoperta meta- fisica della trama ideale della realtì.. 5. LA CONFIRMATIO MEMORIAE NEI TESTI DI RaiMonpo Lutto. Il problema di un rapido e facile apprendimento delle re- gole dell’arte e dell’ordine nel quale le nozioni sono disposte all’interno dell’“enciclopedia” si presenta, nell'opera di Lullo e in quella dei lullisti, non come marginale o secondario, ma 3 De VALERIS, Opus aureum, cit., pp. 970.71. 3? De VacerIIs, Opus aureum, cit., p. 1026. 62 CLAVIS UNIVERSALIS come costitutivo ed essenziale. Le figure ruotanti, gli alberi, le tavole sinottiche, le sistematiche classificazioni si presen- tano in quei testi come gli strumenti dei quali far uso per tra- sformare in un tempo straordinariamente breve (si oscilla a seconda degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto in un sapiente, in un uomo cioè le cui possibilità di cono- scenza e di azione siano enormemente più vaste di quelle offerte dalla logica e dalla filosofia tradizionali. È dunque naturale che, da questo punto di vista, il problema di una tecnica memorativa o, nella terminologia del lullismo, di una confirmatio memoriae si presentasse strettamente connesso a uello della combinatoria e a quello della classificazione enci- clopedica degli elementi della realtà e delle componenti del mondo del sapere. Nel corso del secolo XVII si parlerà comunemente di art: ficium mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- morativa per indicare da un lato le grandi costruzioni cosmo- logico-enciclopediche e dall’altro le formulazioni o i manuali di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava nel 1610 la sua enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium systema mnemonicum e Stanislao Mink che intitolava logica mnemonica (nel 1648) la sua esposizione e revisione dell’ars magna lulliana, si richiamavano ad una tradizione precisa che ha le sue radici nei testi cinquecenteschi del lullismo euro- peo e nell’opera stessa di Raimondo Lullo. Nel prologo alla Logica Nova, scritta in catalano a Ge- nova nel 1303 e tradotta in latino a Montpellier l’anno se- guente, Lullo esponeva il suo programma di applicazione dei princìpi dell’arte generale alla logica (considerata come disci- plina e arte particolare) e contrapponeva la sua nuova logica a quella tradizionale insistendo sulla facilità di acquisizione e di ritenzione della sua logica compendiosa : Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi evitandum (divino auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- diosam Logicam invenire, quae citra nimiam difficul- tatem et laborem ab inquirentibus cam acquiratur, et ac- quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter, et facillime teneatur.?3 33 Liber de nova logica, Mallorca, 1744, p. 1. Cit. in CaRRERAS Y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 423. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 63 Sulla necessità di un apprendimento mnemonico dei prin- cìpi dell’arte Lullo ritornerà più volte (« diximus de diffinitio- nibus principiorum, quas oportet scire cordatenus... »).°* Non si trattava solo di un accorgimento che riguardasse la “messa in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti gli elementi più strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli alberi, i versi) rispondevano a intenti dichiaratamente mne- monici.**° Proprio nei versi dell’Aplicaciò de l'Art general, un poema didattico del 1301 che esponeva in forma “popolare” i vantaggi derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie scienze, Lullo insisteva sulla miracolosa drew:tà della sua com- binatoria e sulle possibilità di un rapido e insieme duraturo apprendimento: Que mostrem la aplicaciò Del Art general en cascuna Que a totes està comuna E per elles poden haver En breu de temps et retener.?° AI problema della memoria e dell’Ars memorativa Lullo aveva del resto rivolto in modo più specifico la sua attenzione fin dai suoi primi scritti. Sulla base della tripartizione delle tre virtù © potenze dell'anima razionale (memoria, intelletto e volontà) già presente nel Libre de Contemplaciò en Dèu del 1272, egli aveva progettato la costruzione di tre grandi 54 Ars brevis, VI, 10. 95 Sul carattere mnemonico delle figure e dei versi varie buone osser- vazioni nell'opera dei Carreras y Artau. A intenti mnemonico-divulga- tivi rispondeva per esempio la Lògica en rims 0 « nuovo compendio » del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e 1574-80): en rimes e’n mots qui son plans per tal que hom puscha mostrar logica e philosophar a cels qui no saben lati ni arabich... Per affermar e per neguar a. b. c. pots aiustar mudant subject e predicat relativament comparat en conseguent antesedent. 16 Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R. Lull, Palma de M., 1859, p. 422. 64 CLAVIS UNIVERSALIS arti l’ars inventiva, l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse rispettivamente all’ardor scientiae, all’arbor amoris e all’arbor reminiscentiae. L’Art amativa (1290), completata dall’Arbre de filosofia d'amor (1298), l'Art inventiva (1289) e l’Arbre de Sciencia (1295) rappresentano la parziale realizzazione di questo progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia desiderat: ciò che è « desiderato », e nel corso dell’opera solo parzialmente realizzato, è appunto quell’arte della memoria da lungo tem- po progettata. Muovendosi entro l’arbre de filosofia e seguen- done la complessa struttura sarà possibile, secondo Lullo, giun- gere ad intendere le cose vere, ad amare quelle buone e a ricordare artificialmente le cose passate. Il tronco è l’ente dal quale derivano i rami e i fiori che rappresentano contempora- neamente i nove princìpi e i nove predicati dell’arte. Le let- tere da è a & designano i diciotto principi-fiori dell’ars ma- gna, le lettere da / ad « i diciotto princìpi-rami. La struttura dell’albero è quindi la seguente: FIORI TRONCO RAMI b. bontà differenza potenza Ente | Dio creature I. c. grandezza concordanza oggetto Ente |reale fantastico m. d. durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. e. potenza principio intenzione ExTE | movente movibile D) f. sapienza medio punto trascen-| EnTE | unità pluralità p- e. volontà — fine vuoto [dente] Ente | astratto concreto q. Ah. virtù maggiorità opera ENTE | intensità estensione r i. verità eguaglianza giustizia Ente |somiglianza dissomiglianza s. k. gloria minorità ordine Ente |gencrazione corruzione tt. Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che troverà più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si richiama alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a dieci regole, infine alle proposizioni e alle questioni. La tec- nica memorativa risulta dalla sistematica applicazione di d (memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /, m, n, ecc. Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna delle quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- 3? Regole per la memoria sono già presenti nel cap. 161 del Liber de contemplaciò. Cfr. Carreras y ArtaAU, La filos. cristiana, cit., I, p. 536. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 03 colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta differenti. Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella trattatistica antica e medievale di medicina applicata alla me- moria, troviamo qui presente il ricorso alla concordantia, alla contrarietas, alla differentia (dp: memoria-unità pluralità; ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla subordina- zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). Lullo si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella rudimentale psicologia delle associazioni che deriva, diretta- mente o indirettamente, dalle opere aristoteliche. Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia desiderat sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai Carreras y Artau.?* È quindi più opportuno richiamare qui l’attenzione su alcune opere inedite di Lullo che non sono state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si tratta, in primo luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due manoscritti ‘* e composto a Montpellier nel febbraio del 1304. In questo scritto, che viene presentato dall’autore come la rea- lizzazione di un progetto lungamente meditato (« finivit Ray- mundus librum memoriae quem diu desideraverat ipsum fe- cisse »),‘° Lullo fa riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- riae, che non appare elencato tra i sedici alberi dell’Arbre de Sciencia del 1295. Nell’arbor memoriae vengono elencati e classificati nove tipi di memoria ciascuno dei quali è posto in corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 38 La filosofia cristiana, cit., II, pp. 534-39. 9° Il Dictionnaire de Theologie catholique e il Lirtré, Histoire littéraire de la France, vol. XXIX fanno riferimento a due manoscritti: Parigi Lat. 16116; Innichen. VIII, B. 14, ff. 90 segg.; Ho trovato inoltre sc- gnalati il ms. I. V. 47 dell’ Univ. di Torino ff. 205-225 v. e il Vat. Urb. lat. 852. Il manoscritto torinese è andato distrutto. Il Cod. Vat. Urb. lat. 852 non contiene il Liber de memoria, ma un’opera apocrifa attribuita a Lullo (di questo più avanti). Non ho visto il ms. di Innichen. Le citazioni sono tratte dal parigino lat. 16116 (sec. XIV) alle carte 18v. - 23 v. Inc.: Per quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam et honorem Dei finivit Raymundus librum memoriae quem diu desi- deraverat ipsum fecisse. Et finivit in Montepessulano in mense februarii, anno CCCIIH ab incarnatione Domini Nostri Iesu Christi. 4° Par. Lat. I6I16, f. 23v. 66 CLAVIS UNIVERSALIS princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco l’inizio del trattato : ‘! 16 v. Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid erat causa quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis vero ad obliviscendum et videbatur ci quod propter de- fectum memoriae istud erat eo quia sua essentia non bene est cognita atque suae operationes sive condiciones naturales, et ideo proposuit de memoria facere istum li- brum ad memoriam caque ci pertinent agnoscendum. Subicctum huius libri est ars gencralis, coque cum suis principiis et regulis memoriam intendimus investigare... Est autem memoria ens cui proprium et per se est memo- rari. Dividitur iste liber in tres distinctiones. Prima est de arbore memoriac et de suis conditionibus de principiis artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. Secunda distinctio est de floribus memoriae et de principiis et re- gulis artis gencralis ipsi memoriae applicatis. Tertia dis- tinctio est de quaestionibus de memoria factis ct de solutionibus quaestionum. Et primo de prima dicemus. Arbor memoriae dividitur in novem flores ut in sc patet. 17r. Primus flos est b et b significat / bonitatem [dantem in] <differentiam®>> memoriam receptivam ct utrum; secun- dus flos est c ct c significat magnitudinem concordantiam memoriam remissivam et quid est; d significat duratio- nem contrarietatem memoriam conservativam ct de quo; e significat potestatem sive principium memoriam acti- vam et <quare>; f significat sapientiam medium [mate- riam] memoriam discretivam et quantum; g significat vo- luntatem finem memoriam multiplicativam et quale; h significat virtutem maioritatem memoriam significativam et quando; i significat [veritatem] <virtutem> acqua- litatem memoriam terminativam et ubi; k significat glo- riam, minoritatem memoriam complexionativam et quo- modo et cum quo. In arte ista alphabetum supradictum cordetenus scire oportet... Facendo ricorso alle tavole e alle figure dell’Ars brevis e dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando in due o tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi- gurasse per Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis 4! Le parole poste fra < > sono supplite, quelle poste fra parentesi quadre sono giudicate da espungere. Spesso con il termine supplito si propone la correzione di evidenti errori di trascrizione. 42 I termini posti fra parentesi quadre nella tabella che segue manca- no o risultano alterati nel codice. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 67 allo specifico campo della memoria. La struttura della com- binatoria lulliana appare in questo caso la seguente: D « PRINCIPI PRINCIPI SUBIECTA: | QUAESTIONES ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA { b. bonitas [differentia] receptiva utrum c. magnitudo concordantia remissiva quid d. duratio contrarictas conservativa de quo e. potestas principium activa [quare ] f. sapientia medium discretiva quantum g. voluntas finis multiplicativa quale h. virtus maioritas significativa quando i. [veritas] acqualitas terminativa ubi k. gloria minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. Non è certo il caso di addentrarsi qui in una spiegazione del complesso funzionamento dell’applicazione dell’ars gene- ralis al subiectum memoria. Una tale spiegazione richiede- rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei procedi- menti della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati esposti e discussi in modo egregio da Erardo W. Platzeck.** Basterà soffermarci su un passo particolarmente indicativo del tipo di problemi ai quali si volge l’attenzione di Lullo. Nel brano che segue Lullo affronta da un lato il problema del rapporto tra la facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa leva sul passaggio dal generale al particolare per gettare le basi di una tecnica del ricordo: 21r. Memoria est in loco ut per regulam de i in tertia parte. Quod amiserat principium distinctionis signatum est et est in loco per accidens non per se, hoc est ratione cor- poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se non est collocabilis eo quia non habet superficiem sed est in loco in quo corpus est, ct sicut corpus est mutabile de loco in locum, etiam memoria per ipsum. Memoria vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando se, sed mutando suas operationes obiective recipiendo spe- cies quae sunt similitudines locorum cum quibus est dis- cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod ipsa est conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et ideo si vult recordari aliquid traditum oblivioni, consi- derat illum locum in quo fuit et primo in genere, sicut In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post 43 P. E. W. PLATZECcK, La combinatoria luliana, cit. 68 CLAVIS UNIVERSALIS in particulari, sicut in qua domo seu in aula seu in coquina 21v. / et sic de aliis et ideo per talem discursum memoria multiplicabit se. Nonostante che l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente rivolta al processo di successiva determinazione dei particolari (nella sua terminologia la tractatio de generali ad specialia postea descendens) è difficile non avvertire nel passo ora citato l'eco, sia pure attenuata, di quella discussione sui “luoghi” che caratterizza tutta la mnemotecnica di derivazione « cice- roniana ». Gli stessi esempi portati da Lullo (la città, la strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di quella termi- nologia della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso larghissimo. Per il tramite dell’agostinismo qualche elemento di quella tradizione dev’essere penetrato all’interno dello stesso pensiero di Lullo.4* I rapporti tra lc tecniche memorative escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono certo assai tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- mente errato, continuando ad interpretare l’arte lulliana come un abbozzo di “logica formale”, sottovalutare il peso che sui progetti dell’arte esercitò quella tematica di derivazione ago- stiniana che vedeva nella distinzione di memoria, intelletto e volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Tri- nità. Di fatto, come ha notato di recente la Yates, l’arte ap- pare anch'essa concepita a immagine e somiglianza della tri- nità divina. Nella sua pienezza essa consta di tre facce o aspetti: il primo (che si realizza mediante la combinatoria o la nuova logica) agisce mediante l’intelletto; il secondo me- diante il quale si esercita la volontà (e a quest’aspetto si rife- riscono le opere mistiche di Lullo); il terzo che concerne la memoria e trasforma l’intera arte in un grande sistema di mnemotecnica.!* 44 Sul rapporto fra la mnemotecnica ciceroniana c l’opera di Agostino cfr. Fr. A. YATES, The ciceronian art of memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 878-81. 4° Si veda a questo proposito il Cod. 16116 della Naz. di Parigi, f. 23v.: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde utilis est et asso- ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno volumine quantum ad invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte concepita a immagine della Trinità cfr. F. A. Yates, The art of Ramon Lull, cit., p. 162. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 69 Sull’effettiva influenza di questa impostazione agostiniana esiste com'è noto una larga documentazione. Oltre ai nume- rosi passi del Liber de contemplaciò e dell’Arbre de filosofia desiderat ricordati dai Carreras y Artau si vuol qui segnalare, come particolarmente indicativo, un altro scritto inedito di Lullo, il Liber de divina memoria** scritto a Messina nel marzo del 1313. In quest'opera l’indagine sulla memoria ap- pare piegata, secondo una curvatura tipicamente agostiniana, a precise finalità teologiche. Trascriviamo, dal ms. ambrosia- no, l’inizio del trattato: 22r. Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quoniam de divina memoria non habemus tantam noti- tiam sicut de divino intellectu et voluntate, idcirco inten- dimus indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam notitiam habeamus quantam habemus de divino intellectu et voluntate. Ex hoc habebimus maiorem scientiam de deo... De divisione huius libri: dividitur iste liber in quin- que distinctiones. In prima tractabimus de memoria ho- minis, in secunda investigabimus memoriam divinam per divinum intellectum, in tertia divinam voluntatem, in quarta divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas rattones... Memoria humana est potentia cum qua homo recolit ca quae sunt praeterita et ad hoc declarandum damus istud exemplum. Potentia imaginativa non habet actum scilicet imaginari in illo tempore in quo potentia sensitiva attingit suum obiectum cet de hoc quolibet potest habere experientiam, a simili dum homo attingit obiec- tum pensatum seu imaginatum in tempore presenti tunc memoria non potest memorari illud obiectum quia intel- lectus et voluntas hominis impediunt quominus memoria 22v. habeat suum actum quia intellectus intelligit ipsum / obiectum et voluntas diligit seu odit illud et per hoc ostenditur quia memoria est potentia per se contra illos qui dicunt quod memoria non est potentia per se sed est radicata in intellectu et simul sunt una potentia, quod falsum est ut super declaratum est. 46 Il Littré (Hist. litt. de la France, XXIX, p. 318) fa riferimento al Cod. 10517, ff. 22 segg. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. de Théol. cat., col. 1102, n. 59 (15) segnala, accanto a quello di Mo- naco, il Vat. Ott. lat. 405, ff. 182 segg. Ho visto ed usato il Cod. Am- brosiano N. 259 sup..ff. 22 segg. (sec. XV) segnalato dall’ Ottaviano. Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quo- niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei finivit Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno 1313. 70 CLAVIS UNIVERSALIS Fra le due opere sulla memoria del 1304 e del 1313 delle quali abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo sulla memoria — il Liber ad memoriam confirmandam — anch'esso inedito, composto a Pisa nel 1308 durante il sog giorno nel convento di San Domenico.“ Il trattato si apre con la dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio memoriae («ratio quare presentem volumus colligere trac- tatum est ut memoria hominum, quae labilis est et caduca, modo rectificetur meliori ») e con la distinzione fra le tre po- tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria, discretio — ciascuna delle quali può essere perfezionata mediante l’im- piego di una particolare tecnica. A ciascuna delle tre potenze naturali corrisponde in tal modo una potenza artificiale ac- quisibile mediante l’arte. A quest’ultima spetta fra l’altro il compito di dar luogo ad un tipo di apprendimento e di tra- smissione del sapere che non affatichi inutilmente e bestial- mente i giovani: Ir. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum scientiam invenire et ne, post amissos quamplurimos la- bores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur, Iv. sed potius labor in requiem et sudor / in gloriam plena- ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus in- venire per quem non tanta gravitate corporis iugiter de- primantur, sed, absque nimia vexatione et cum corporis levitate et mentis laetitia, ad scientiarum culmina gra- dientes equidem propere subeant. Multi enim sunt qui, more brutorum, literarum studia cum multo et summo labore corporis prosequuntur absque exercitio ingenii arti- ficioso, sed et continuis vigiliis maceratum corpus suum iuxta labores proprios inutiliter cxhibentes. Igitur decet modum per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valcat invenire et a gravamine tantorum laborum relevari possit. 47 Di questo testo ho visto le tre redazioni manoscritte conservate nei seguenti Codici (tutti del sec. XVI): Ambrosiana, I. 153 inf., 35-39v.; Monaco, Staatsbibl. 10593, ff. 1v.-3v.; Parigi Naz. lat. 17839, ff. 437 - 444r. Il Vat. lat. 5437, che ho trovato segnalato a proposito del Liber ad memoriam confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra- scrizione mi sono servito dei tre codici indicati. L'indicazione delle carte si riferisce al cod. monacense. Per il testo completo dell'operetta cfr. l’appendice. L’arte si presenta dunque come uno strumento di libera- zione da una pedagogia inutilmente sopraffatrice: il tema di un rafforzamento “artificiale” delle potenze naturali dell'anima si legava al motivo, tipicamente francescano, della letizia spi- rituale. La capacitas può essere perfezionata mediante l’atten- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA zione e l’ordinata partizione degli argomenti. Al perfezionamento della memoria vera e propria vengono dedicate osservazioni che presentano un notevole interesse c che differenziano in misura notevole questo dagli altri testi lulliani sull’argomento: 2v. 3r. Varie cose sono da sottolineare in questo brano: in primo luogo il richiamo all’aristotelico De memoria et reminiscentia Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem, secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- tificialis. Naturalis est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua homo gene- ratur et secundum quod influentia alicuius planetae su- perioris regnat: et secundum hoc videmus quosdam ho- mines meliorem memoriam habentes quam alios, sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam est in medicinis et emplastris cum quibus habetur, et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum super- fluae et in maxima cruditate qua cerebrum ultra modum dessicatur, et propter defectum cerebri homo ad demen- tiam demergitur, ut audivimus et vidimus de multis, et ista displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad insaniam non perveniat, nunquam / vel raro habebit fructus scientiae. Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re- cipit multum in memoria et in ore revolvat per scipsum quoniam secundum Alanum in parabolis studens est ad- modum bovis. Bos cnim cum maxima velocitate recipit herbas et sine masticatione ad stomachum remittit quas postmodum remugit et ad finem, cum melius est dige- stum, in sanguinem et carnem convertit: ita est de stu- dente qui moribus oblitis capit scientiam sine delibera- tione, unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masti- care ut in memoria radicetur et habituetur quoniam quod leviter capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in Libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam rei- terationem firmiter confirmatur. 72 CLAVIS UNIVERSALIS (tale richiamo che è presente sia nel ms. parigino sia nel mo- nacense, è invece assente in quello ambrosiano. Il ms. pari- gino reca inoltre un erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) c l’insistenza sulla reiteratio come elemento essenziale al raf- forzamento della memoria; in secondo luogo l’assenza di ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e l’aperta pole- mica contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- zione delle tecniche mediche alla memoria; in terzo luogo, infine, la distinzione (che vien fatta risalire agli « antichi ») fra memoria naturale e memoria artificiale. Si tratta di affer- mazioni e di tesi che consentono di stabilire una connessione fra la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di discussioni che si collegavano da un lato al De reminiscentia aristotelico e dall’altro alla persistenza di motivi di deriva- zione retorica. Mentre l’uso del termine discreto pare rin- viare al concetto aristotelico di rem:niscentia, l’accenno agli antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, sia pure indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione della mnemotecnica “ciceroniana”. Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché esso è indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale gli specialisti di Lullo non hanno ancora bastantemente ri- volto la loro attenzione: non si procede in quest'opera ad applicare le regole dell’arte allo specifico settore della me- moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- liana a servizio della memoria artificiale. 3r. Ad multa recitanda consideravi ponere quacdam nomina 3v. relativa per quac ad omnia possit responderi / ... Ista enim sunt nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- modo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti ra- tiones in oppositum factas vel quaccumque advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- tiones retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... Ergo qui scientiam habere affectat et universalem ad om- nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret cum dili- gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quaestiones sive rationes sive alia quaecunque volue- ris recitare evacuando secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- plicationem primac... ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 73 Il Liber ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo in tre tardi manoscritti del secolo XVI, i quali, oltre a nu- merosi errori, presentano differenze spesso notevoli. Il riferi- mento alquanto generico alle quaestiones; l’insistente richia- mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de astronomia del 1297?) nel quale sarebbero definite la capacitas, la memoria e la discretio; la confusa esposizione della tecnica della evacuatio e della multiplicatto che già nell’Ars magna era stata chiaramente teorizzata; l'impossibilità nella quale ci troviamo, date le divergenze fra i codici, di controllare l’autenticità del richiamo al De memoria aristotelico: questi ed altri elementi non possono non indurre a molta cautela. Il testo è senza dubbio autentico, ma esso ha probabilmente subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni cui siamo giunti, relativamente ai rapporti di Lullo con la tradizione della mne- motecnica aristotelica e “ciceroniana”, possono dunque essere considerate valide solo in quanto esse, come abbiamo cercato di mostrare, risultano confortate dall’analisi delle altre opere inedite sulla memoria. Nel caso del Liber ad memoriam confirmandam sussistono dunque solo alcuni dubbi. Assai chiaro è invece il caso del ms. Urb. lat. 852 ** che è stato erroneamente considerato come una delle redazioni del Liber de memoria del 1303. Qui ci troviamo in presenza di un tratto di memoria locale, conce- pito secondo i più rigidi e convenzionali canoni della mne- motecnica ciceroniana, e falsamente attribuito a Lullo. Tra- scriviamo qualche passo: 333 r. Localis memoria per Raimundum Lullum. Ars memora- tiva duobus perficitur modis scilicet locis et imaginibus. Loci non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an- guli, ut quidam putant, sed imagines quaedam fixae 18 Cod. cart. di ff. 636 (sec. XVI). La Localis memoria per Raimun- dum Ltullum è alle carte 333r.-438v. È da notare che nel Catalogus omnium librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- municandi, pubblicato a Magonza nel 1714 da I. Salzinger si trova elencata una Ars memorativa (Inc.: Ars confirmat et auget utilitates) della quale si trova un esemplare nel cod. 10552 della Staatsbibl. di Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France, XXIX, p. 299). L’attri- buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente rifiutata dallo stesso Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle opere lulliane che si trova nel I vol. dell'edizione di Magonza (1721). 74 CLAVIS UNIVERSALIS super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines de- lebiless Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut for- 333 v. ma... / Oportet autem ut locis serbetur modus ne scilicet inter ca sit distantia nimium remota vel nimium brevis, sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam 334 v. nimia claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / Inveni igitur, si poteris, domum distinctam caminis XXII 338r. diversis et dissimillibus... / Habcas semper ista loca fixa ante oculos sicut situata in cameris et scias ante et retro illa recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 339 v. secundus, quis tertius et sive de aliis... / Si detur tibi aliud nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi notum... et ipsum collocabis in loco... Che un’opera di questo genere, appartenente ad una tra- dizione culturale assai differente da quella nel cui ambito si era mosso Lullo, venisse attribuita al filosofo di Maiorca non è tuttavia senza significato. Nel secolo XVI, mentre nell’am- bito del lullismo ortodosso si vengono sviluppando in fun- zione mnemonica i temi della combinatoria, si realizza l’in- contro, al quale più volte abbiamo accennato, fra la tradizione “ciceroniana” e quella lullista. A questo incontro darà riso- nanza europea l’opera di Giordano Bruno. Ma quasi settan- t'anni prima della comparsa del De umbris idearum, del Can- tus circaeus e del De compendiosa architectura et commento artis Lullii (pubblicati tutti a Parigi nell’’82) uno dei più rinomati maestri del lullismo europeo, legato al gruppo di Lefèvre, aveva tentato una sintesi fra l’arte “ciceroniana” della memoria e la combinatoria di Lullo. 6. BERNARDO DE LAVINHETA: COMBINATORIA E MEMORIA LOCALE. Nel 1612, presso l’editore Lazaro Zetzner di Colonia, che aveva pubblicato nel "98 la grande raccolta dei testi lulliani e dei commenti a Lullo, Enrico Alsted curava la stampa della Explanatio compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit del francescano Bernardo de Lavinheta.‘* L’opera era stata 1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus tradidit artis Ray- mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem applicationem ad logica rhetorica physica mathematica mechanica medica mataphysica theologica ethica iuridica problematica, edente Johnne Henrico Alste- dio, Coloniac, Sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae, 1612 (copia usata: Trivulz. Mor. I, 75). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 19 pubblicata per la prima volta, a Lione, quasi un secolo avanti: nel 1523. Mentre si scagliava nella prefazione contro i ridicoli aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di Lullo e del lulli- smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit Aristoteles ut aliis docendi cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), Alsted metteva in guardia i lettori da quel tanto di « scola- stico » e di « papistico » che era ancora presente nell’opera di Bernardo: «Sed ostendit praxin philosophiae lullianae more suo et sui saeculi, id est barbare et papistice. Date itaque ope- ram ne impingatis ad duos istos scopulos ». Ciò che aveva entusiasmato Alsted, al di lì degli « scogli » della barbarie scolastica e del cattolicesimo, era il tentativo, presente nell’o- pera del Lavinheta, di costruire sui fondamenti dell’arte lul- liana una vastissima enciclopedia delle scienze. L’applica- zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva in- fatti la logica la retorica la fisica la matematica la meccanica la medicina la metafisica la teologia l’etica e la giurispru- denza. Nella sua partizione e classificazione delle scienze Lavin- heta si era richiamato all’immagine lulliana dell’unico albero del sapere rispetto al quale le varie discipline particolari si collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur intro- ducendo nella sua trattazione partizioni e distinzioni assai lontane dal lullismo (per esempio i tre rami del trivium), Bernardo aveva attinto largamente, in particolare nella sua logica, alle figure della combinatoria. Ma il suo intento di servirsi dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi uni- versali e necessari capaci di unificare tutto il sapere, si rivela con molta chiarezza nella sezione intitolata /ntroductio in artem Raymundi Lullit: « È necessaria un’unica arte generale che abbia princìpi generali, primitivi e necessarii, mediante i quali i princìpi delle altre scienze possano essere provati e esaminati... Le arti e le scienze speciali sono troppo prolisse e la breve vita dell’uomo richiede che l’intelletto possegga un qualche strumento universale ».5° Nella sua ampia trattazione Bernardo inseriva un vero e proprio trattato di cosmologia e di filosofia naturale (nella discussione della terza figura), intere opere di medicina (Hor- 3° De necessitate artis. 76 CLAVIS UNIVERSALIS tulus medicus, De medicina operativa, ecc.) e considerazioni sull’ars praedicandi e sull’interpretazione delle Scritture: egli si muoveva in tal modo sullo stesso terreno della RAetorica pseudo lulliana e dava l’avvio a quell’enciclopedismo su basi lulliane al quale dettero la loro piena adesione, negli ultimi anni del secolo, sia il Gregoire che il de Valeriis. Con il corso del Lavinheta alla Sorbona era rientrato trion- falmente a Parigi, dopo la grande parentesi mominalista ini- ziatasi con le polemiche di Pietro d’Ailly e del Gerson, l’in- segnamento del lullismo. Ove si tenga presente la grande risonanza che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni del Lavin- heta, la sua intensa attività editoriale nei maggiori centri europei da Parigi a Lione a Colonia, la sua “fortuna” nel secolo XVII, può apparire particolarmente interessante anche la tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della Explanatio. Bernardo si propone qui di costruire un'arte ca- pace di servirsi contemporaneamente e delle tecniche memo- rative elaborate da Lullo e di quelle, già larghissimamente sviluppate, che erano state ricavate dai testi di Cicerone e di Quintiliano. La definizione della memoria naturale, della quale La- vinheta si serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- tari medievali al De reminiscentia aristotelico: « Est memoria naturalis illa potentia cui proprie competit recolere, de cuius organo in tractatu philosophiae naturalis dictum est. Nam ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa potentia est spiritualis. Cuius officium est species per intellectum ac- quisitas conservare et similitudines earundem (imperio volun- tatis) intellectui repraesentare ».”! Per quanto concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- prende invece, quasi con le stesse parole, i concetti espressi da Lullo nell’inedito Liber 24 memoriam confirmandam : LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco (Staatsbibl.), 1612), p. 653. Artificialis memoria duplex est: quacdam est in medicinis et em- plastris, quam Doctor noster re- putat valde periculosam ex eo quia 5! De memoria, pp. 651 dell’ediz. 10593, f. 2 v. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam cst in medicinis ct emplastris cum quibus habetur, et istam reputo citata. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 77 interdum dantur medicinac contra- valde periculosam quoniam inter- riac dispositioni hominis in tanto dum dantur tales medicinac dîs- gradu caliditatis quod cerebrum positioni hominis contrariac, In- dessicant et sic homines in demen- terdum superfluae ct in maxima tiam et stultitiam deveniunt. cruditate qua cerebrum ultra mo- dum dessicatur, et propter defec- tum cerebri homo ad dementiam demergitur, ut audivimus ct vidi- mus de multis, et ita displiciet Deo... Introducendo una separazione fra le «res sensibiles quae sensu capi possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu solo capiuntur », Bernardo apriva però subito dopo la strada alla distinzione fra due tipi di memoria artificiale: « Secun- dum hanc duplicem differentiam, duplex est modus artifi- cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ». Il me: todo più facile di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui riferimento è quello — a noi già noto — della memoria “lo- cale” o “ciceroniana”. Per ricordare gli oggetti che cadono sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione si fa ricorso, secondo i canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- cazione delle immagini nei luoghi: « stabilienda sunt specifica loca in aliquo familiari spacioso et communi quemadmodum est ecclesia, monasterium aut domus... sui oppidi aut sui civi- tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto dell’ordine dei luo- ghi (« memoria ab inordinatione confunditur ») e quello della collocazione nei luoghi delle similitudines o immagini: «et sic procedendo de loco in loco similitudines rerum collocet... et id etiam ordine retrogrado facere potest et pluries debet illa discurrere ».°? Si riaffacciano i temi consueti della iconologia alla quale è affidato il compito di rappresentare e richiamare alla memoria le «cose intellettuali »: oggetti « meramente intelligibili » come gli angeli potranno essere raffigurati « que- madmodum est in Ecclesiis cum figurare, ut esset parvulus infans cum aliis », mentre per fissare nella mente concetti (per esempio: « Dominus est illuminatio mea et salus mea ») ci si servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà nel luogo designato l’immagine solenne di un uomo ben vestito che tiene in una mano un lume e nell’altra del sale, e benché sale e salute significhino cose diverse, tuttavia per 52 Explicatio, cit., pp. 653-54. 78 CLAVIS UNIVERSALIS quella certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce, l’una cosa condurrà a ricordare l’altra »."? Di fronte agli oggetti della speculazione, a quelle cose cioè « quae sunt remotissima non modo a sensibus, vero et ab ima- ginatione », la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela tuttavia insufficiente. In questi casi è necessario far ricorso ad un secondo, più complicato tipo di memoria artificiale, volgersi all’ars generalis escogitata da Lullo. Qui — afferma Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la vecchia termino- logia ciceroniana — tutti i possibili oggetti del sapere ven- gono « collocati in pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le figure, le regole, le guaestiones, l'artista può impadronirsi in modo duraturo di tutto lo scibile.?* 7. LA LOGICA MEMORATIVA. La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta contemporaneamente come una logica e una mnemotecnica: da un lato essa si poneva come lo strumento universale (1nstru- mentum universale) mediante il quale tutti i princìpi delle scienze particolari potevano essere sottoposti ad esame, dal- l’altro essa si identificava con un grande sistema di ars remi niscendi che aveva assai più ampie possibilità di applicazione dell’ars memoriae di derivazione retorica e ciceroniana. Per rendersi conto di come posizioni di questo genere giungessero ad incidere profondamente in ambienti assai vari, non è ne- cessario richiamarsi ora ai testi, da questo punto di vista deci- sivi, della pansofia e dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici anni prima della pubblicazione dell’opera del Lavinheta, in- torno al 1510, si erano riuniti, all’Università di Cracovia, i rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la consistenza o meno dell’accusa di magia che era stata lanciata contro il francescano Thomas Murner, autore di una Logica memorativa, chartiludium logicae sive totius dialecticae me- moria pubblicata nel 1509. Nello scritto, che propugnava la combinazione di un sistema di concetti con un parallelo si- 33 Explicatio, cit., p. 654. 54 Explicatio, cit., p. 654. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 79 stema di simboli plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La relazione finale, scritta da Ioannes de Glogovia sulla questione, è un documento singolare. Meglio di un lungo discorso essa ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche negli ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € vale anche a mostrarci la presenza di quella connessione, che andò stabilendosi particolarmente nelle università tedesche del Rinascimento, fra la logica e la mnemotecnica: Ego magister Ioannis de Glogovia Universitatis Craco- viensis Collegiatus... testimonium do veritatis... patrem Th. Murner Alemannum... hanc chartiludium praxin apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod in mensis spatio etiam rudes et indocti... sic evaserint memorcs ct eruditi, quod grandis nobis suspicio de prae- dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- dissc potius, quam praecepta logicac tradidisse...** L’idea di una logica memorativa o di una sostanziale af- finità e parentela fra la logica e l’arte della memoria sta in realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella cultura europea dal primo Cinquecento fino a Leibniz, di utilizzare l'eredità lulliana per costruire un’ars generalis uni- ficatrice di tutto il sapere c un sistema mnemonicum o enci- clopedia delle scienze. La riforma della logica di Bruno e l’enciclopedismo di Alsted si muovono, da questo punto di vista, su un terreno comune. Non è certo un caso che tra le 55 THomas Murner, Logica memorativa. Chartludiun logicae sive to- tius dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus emendatus, cum jucundo pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Thomas van der Noot, 1509 (co- pia usata: Parigi, Naz., Rés. R. 871). Cfr. anche la Invectiva contra astrologos, Argentinae, 1499 (ibid. Rés. V. 1148). Non sono riuscito a vedere il Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner memorante ct ludente, Argentinae, per Johannen Priis, 1518 che con- tiene una riduzione delle Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- struiti sulla base degli stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- cipi imperiali. Nel 1515 1’ Università di Treviri rilasciò una dichiara- zione dalla quale risultava che il Murner era in grado di insegnare le Istituzioni nello spazio di quattro settimane servendosi di un me- todo fondato sulla memoria artificiale. Sul Murner cfr. Carreras Y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 224-25 e, per le influenze di Lullo, A. Gortron, Ein /ullisticher Lehrstuhl in Deutschland un: 1600 ?, in « Estudis Universitaris Catalans », 1913. #6 Cit. in PrantL, III (1955), p. 294. 80 CLAVIS UNIVERSALIS fonti della “caratteristica” leibniziana si trovino, accanto ai principali testi del lullismo europeo, non poche e non secon- darie opere di ars reminiscendi. Un'altra cosa va infine sottolineata: il sospetto di magia che aveva colpito il buon Murner era in realtà, almeno in parte, pienamente giustificato. La logica memorativa, la com- binatoria, l’ars inveniendi e l’ars reminiscendi si configurano spesso come progetti di fondazione di un’arte mirabile capace di condurre, come per una rapida scorciatoia, entro i più se- greti recessi della natura. Anche la logica o l’arte di Bruno, profondamente legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- bala, agli emblemi, apparirà assai simile a un prodotto di magia. Pio V, Enrico IH di Francia, l'ambasciatore spagnolo alla corte di Rodolfo II, lo stesso Giovanni Mocenigo ve: dranno in Bruno l’inventore e il possessore di un'arte segreta capace di ampliare, in modo smisurato, le possibilità di do- minio dell’uomo. Dal sospetto di magia questo tipo di “lo. gica” si libererà del resto assai tardi. Nella Historia et com- mendatio linguae charactericae universalis, Leibniz, mentre distingueva la «vera » dalla « falsa » cabala, si preoccupava ancora di liberare la combinatoria dall’accusa di magia: « Già a partire da Pitagora gli uomini furono persuasi che i più grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è credibile che Pitagora abbia introdotto in Grecia dall’Oriente questa opi- nione come molte altre cose. Ma ignorandosi la vera chiave dell’arcano, i più curiosi sono caduti nelle futilità e nelle superstizioni, donde è nata quella certa cabala volgare molto lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo falso nome di magia di cui sono pieni i libri ».# 5? La trad. del passo (Gerhardt, VII, pp. 184-89) è in F. Barone, Lo- gica formale e logica trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino, 1957, p. 14. Il I TEATRI DEL MONDO 1. SIMBOLISMO E ARTE DELLA MEMORIA. Non pochi esponenti della cultura del tardo Cinquecento identificarono la combinatoria lulliana con una logica me- morativa. Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars ultima o l’instrumentum universale capace di sottoporre ad esame tutti i principi delle scienze particolari, dall’altro come un grandioso sistema di ars reminiscendi che costituiva il fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum o generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto di vista l’ars memoriae di origine retorica e “ciceroniana” poteva apparire — accanto alla combinatoria e alla mnemo- tecnica di derivazione lulliama — elemento essenziale alla costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace di ri- specchiare nella sua struttura le strutture stesse del mondo reale, avrebbe fatto riscontro una enciclopedia o teatro uni- versale che, di quella logica, fosse il naturale compimento. Comune presupposto a quella logica e a quel teatro era una dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta, to- tale corrispondenza fra i termini e le res. Nel capitolo che precede ho cercato di indicare le fonda- mentali linee di svolgimento della tradizione del lullismo durante il secolo XVI. Anche entro la complessa tradizione della mnemotecnica retorica e “ciceroniana”, la cui diffusione procede contemporaneamente a quella del lullismo, interven- nero, fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi decenni del secolo XVII, alcuni essenziali mutamenti. Questi con- cernono non l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta sostanzialmente immutato, anche se va ampliandosi mediante numerosi accorgimenti, ma il significato stesso che l’arte viene ad assumere all’interno del mondo della cultura. Quell’ars memoriae che era stata valutata nel Trecento e nel Quattrocento un accorgimento utile ai predicatori, una tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai giuristi, ac- quisterà sul finire del Cinquecento, in taluni ambienti, un 82 CLAVIS UNIVERSALIS ben diverso significato. Nei testi del Bruno essa appare per esempio strettissimamente collegata alla tematica di una me- tafisica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, alle discussioni sui rapporti logica-retorica, agli ideali della pansofia, alle aspirazioni del lullismo. Mentre si connetteva a questi movimenti e a queste correnti, l’ars memoriae si andava caricando di significati metafisici, veniva piegata a diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni e quella chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le pagine di Cicerone, di Quintiliano, di Alberto, di Tommaso, di Pietro da Ravenna scompaiono definitivamente nella trat- tatistica successiva alla seconda metà del Cinquecento: un gusto di tipo barocco per i geroglifici, gli alfabeti, i simboli, le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. Fra i testi quattrocenteschi sulla memoria o quelli di Pietro da Ravenna da un lato e quelli del Bruno dall’altro esiste, da questo punto di vista, una differenza incolmabile: nel primo caso assistiamo al tentativo di elaborare, con strumenti razionali, una tecnica retorica fondata su uno studio delle associazioni mentali; nel secondo caso siamo in presenza di un complesso simbolismo che serve da velo ad una sapienza riposta attingibile solo attraverso la ambiguità degli emblemi e l’allusività delle immagini, dei sigilli e delle imprese. Ad uno strumento costruito in vista di finalità pratiche e mon- dane, si è sostituita la ricerca di una cifra o di una chiave che consenta di penetrare entro il segreto ultimo della realtà e della vita. Intorno alla metà del secolo non sono più i teorici della retorica o gli studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars me- moriae: Cornelio Agrippa e Giulio Cesare Camillo, Giovam- battista Della Porta, Cosma Rosselli e Giordano Bruno con- siderano le regole della memoria come strumenti da impie- gare in vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e modeste, della retorica o della dialettica. In ciascuno di que- sti autori troviamo presenti ed operanti i temi del lullismo e della cabala, della magia e dell’astrologia, l’eredità dell’Ars notoria, dei testi ermetici, dell’opera di Pico e di Ficino. Bruno, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars me- moriae, vedrà derivare da una « fonte comune » la teologia di Scoto Eriugena, la combinatoria, i misteri del Cusano, la I TEATRI DEL MONDO 83 medicina di Paracelso. Erano posizioni e riferimenti, al suo tempo, già ampiamente diffusi: alla metà del secolo aveva visto la luce, a Parigi, il De usu et mystertis Notarum Liber (1550) scritto da Jacques Gohory (Leo Suavius) avvocato al parlamento di Parigi e diplomatico, grande commentatore dell’opera paracelsiana e traduttore del Principe e dei Discorsi del Machiavelli, studioso insigne di alchimia, di botanica e di teoria della musica. Nella sua discussione sui segni egli faceva riferimento costante alla magia di Tritemio, alla cabala cristiana, all’Ars notoria, alle opere di Pico e di Ficino, all’ars memoriae, alla combinatoria lulliana, al Teatro del mondo di Giulio Camillo.! È, la sua, posizione oltremodo indica- tiva di quel mutamento di valutazioni cui abbiamo accennato. Ma prima di trarre conclusioni potrà esser di qualche giova- mento cercare di seguire la diffusione, in Europa, di taluni testi italiani particolarmente fortunati; considerare alcuni di quei seatri del mondo nei quali i temi della cabala e quelli di un enciclopedismo su basi metafisiche si sovrappongono agli originari intenti mnemonico-retorici; soffermarsi infine su alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana e quelli dell’arte mnemonica confluiscono in modo partico- larmente evidente. 2. DIFFUSIONE DELL’ARS MEMORIAE IN INGHILTERRA E IN GER- MANIA. Convenientemente addottrinato da madama Logica, l’eroe di quel singolare poema allegorico-didattico che è il Pastime of Pleasure di Stephen Hawes, continua la sua non lieve ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di dama Retorica. Dopo aver accuratamente enumerato le cin- que parti della retorica ed aver chiarito la connessione inter- corrente fra queste e le varie facoltà dell'animo, la dotta dama, facendo riferimento alla memoria, così si esprime: Y£ to the orature many a sundry tale One after other treatably be tolde ! Le traduzioni delle opere del Machiavelli sono del 1571. Sul Gohory cfr. L. THorRNDIKE, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, pp. 636-40; D. P. Wacker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, London, 1958, pp. 96-106. 84 CLAVIS UNIVERSALIS Than sundry ymages in his closed male Eache for a mater he doth than well holde Lyke to the tale he doth than so beholde And inwarde a recapitulacyon Of eche ymage the moralyzacyon Whiche be the tales he grounded pryvely Upon these ymages sygnyfycacyon And whan tyme is for hym to specyfy All his tales by demonstracyon In due ordre maner and reason Than eche yamage inwarde dyrectly The oratoure doth take full properly So is enprynted in his propre mynde Every tale with hole resemblaunce By this ymage he dooth his mater fynde Eche after other withouten varyance Who to this arte wyll gyve attendaunce As thercof to knowe the perfytenes In the poetes scole he must have intres.? In questo testo, pubblicato a Londra nel 1509, veniva per la prima volta formulata, in lingua inglese, la dottrina della retorica classica. Anche se orientato in funzione di una « poetica », il riferimento alla dottrina dei luoghi e delle immagini non poteva essere più preciso. Il tentativo di adat- tare la terminologia della RAetorica ad Herennium alle par- ticolari esigenze dell’arte poetica non era, in Inghilterra, senza precedenti; in questo senso la Poetria Nova composta da Goffredo di Vinsauf fra il 1208 e il 1213 costituisce (come ha chiarito lo Howell) una delle principali fonti del poema di Hawes.® Resta, a confermare una sostanziale divergenza 2 S. Hawes, The Pastime of Pleasure, ed. by W. E. Mead, London, 1928, p. 52, vv. 1247-1267. La prima cdizione è Wynkyn de Worde, London, 1509; successive edizioni nel 1517, 1554, 1555. Ampie notizie sull’autore e sulle edizioni nell’edizione a cura di R. Spindler, Leipzig, 1927, pp. XXIX- XLI. Il brano riportato nel testo è cit. in W. S. Ho- well, Logic and Rhetoric in England, 1500-1700, Princeton, 1957, p. 86. Dal libro dello Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, logica e retorica nei secoli XVI e XVII, « Riv. critica di st. della filos. », 1957, 3, pp. 361-63) ho ricavato varie notizie sui testi inglesi di mne- motecnica. 3 Il testo in E. Farat, Les arts poétiques du XIlIc et du XIII: siècle, pp. 197-262. Cfr. HowELL, op. cit., pp. 75-76. I TEATRI DEL MONDO 85 di valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae all’interno dell’ars rhetorica, l’importanza attribuita dallo Hawes all’ars reminiscendi in vista della formazione del poe- ta. La stessa differenza, che è indice del sorgere di un inte- resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscon- trare confrontando la terza edizione (1527) del Mirrour of the World di William Caxton sia con le duc precedenti edi- zioni (1481 e 1491) sia con il Livre de clergie nommé l’ymage du monde (1245?) del quale l’opera del Caxton è la più o meno fedele traduzione. In questa terza edizione, accanto una brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio e dello stile e a più ampie considerazioni sulla pronuntiatio, trovia- mo una dettagliata esposizione delle tecniche memorative nella quale tornano, con molta abbondanza di particolari, temi ben noti: Memory Artyfycyall is that which men cal Ars memorativa. The crafte of memory by which craft thou mayste wryte a thynge in thy mynde and set it in thy mynde as eviden- tly as thou mayst rede and se the worcles which thou wrytest with ynke upon parchement or paper. Therfore in this arte of memory thou muste have places which shal be to the lyke as it were perchenent or paper to wryte upon. Also instede of thy lettres thou must ymagyn Ima- ges to set in the same places... But yf thou canst not have a corporall ymage of the same thynge as yf thou woldest remembre a thynge whyche is of it selfe non bodely nor corporall thyng but incorporall, that thou muste yet take an ymagce therfore that is a corporali thynge...4 L'interesse per questo genere di discussioni è del resto strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo inglese, della grande tradizione della retorica classica, rinascita che appare per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della società inglese, all’avanzare sulla scena politica e culturale degli uomini di legge, ai dibattiti sull’efficacia delle prediche religiose, alle controversie parlamentari. Non a caso nelle 4 W. Caxron, Mirrour of the World, ed. by O. H. Prior, London, 1913. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni del 1481 e 1491 (circa). La trattazione sulla memoria (cit. in Howett, Logic and Rhe- toric, cit., pp. 88-89) è ricavata dalla terza edizione: The myrrour, dyscrypcion of the wordle with many marvaylles, London, 1527 (?), D3r-D3v. 86 CLAVIS UNIVERSALIS scuole e nei colleges l’insegnamento della retorica e del “me- todo di trasmissione del sapere” occupa, fra la metà del Cin- quecento e la metà del Seicento, una posizione predominante : un testo fondamentale, la Pleusant and persuadible art of Rhetorique di Leonard Cox, veniva presentato, nel 1532,‘ come opera necessaria agli avvocati agli ambasciatori agli in- segnanti e a tutti coloro che avrebbero dovuto parlare davanti ad un'assemblea. Alla diffusione nella cultura inglese del- l'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto insieme di “cortesia” e di “politica”) corrispose il moltiplicarsi dei ma- nuali di retorica e l’intensificarsi di una discussione che con- cerneva, insieme alle “buone maniere”, anche problemi atti- nenti alla “persuasione”, alla “tolleranza”, alla convivenza civile. Solo tenendo presente questa atmosfera può del resto risultar chiaro il significato dell’aspra, intensa polemica che si svolgerà negli ultimi anni del secolo tra i riformatori rami- sti e gli agguerriti sostenitori della logica scolastica e della retorica ciceroniana. Molti dei motivi che abbiamo trovato presenti negli scritti dell'’Hawes e del Caxton erano stati senza dubbio ricavati da fonti classiche, e, sia pure parzialmente, da fonti medie- vali. Ma non mancò, anche in questo particolare settore della cultura, un diretto influsso italiano: esso è mostrato non solo dall'influenza esercitata in Inghilterra dalla Nova RAetorica di Guglielmo Traversagni da Savona (1479), ma anche dalla pubblicazione, intorno al 1548, di una Art of memory that otherwise is called the Phoenix. Presentato da Robert Co- pland come la traduzione di un anonimo scritto francese, questo libretto era in realtà (come già ha notato lo Howell) la traduzione della ben nota Phoenix di Pietro da Ravenna: Ravenna (3r-3 v) Et pro fundamento huius primae conclusionis quatuor regulas po- no. Prima est haec: loca sunt fe- nestrae in parietibus positae, co- lumnae, anguli et quac his si- milia sunt. Secunda sit regula: loca non debent esse nimium vi- Copland (B 3r) And for the foundacion of this fyrst conclusyon I wyll put foure rules. The fyrste is this. The pla- ces are the wyndowes set in wal- les, pyIlers and anglets, with other lyke. The Il rule is. The places ought nat to be nere togyther not ° L. Cox, The Arte or Crafte of Rhetoryke, cd. by F. I. Carpenter, Chicago, 1889. I TEATRI DEL MONDO 87 cina aut nimium distantia. Tertia to fare a sonder. The HI rule is sit regula vana ut mihi videtur... suche. But it is vayne as me se- meth... Dati questi precedenti, appare facilmente comprensibile come uno dei testi più fortunati e più significativi della cul- tura del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Thomas Wil son (1553), potesse rifarsi, in modo caratteristico, a fonti ita- liane costruendo un tipo di esemplificazione che, mentre da un lato ricorda da vicino i testi del Ravennate, dall’altro sembra anticipare, nell’uso costante di immagini di perso- naggi mitologici, alcune tipiche costruzioni del Bruno: As for example, I will make these [places] in my cham- ber. A doore, a window, a presse, a bedstead, and a chim- ney. Now in the doore, I wil set Cacus the theefe, or some such notable verlet. In the windowe I will place Venus. In the presse I will put Apitius that famous Glutton. In the bedstead I will set Richard the third King of En- gland or some notable murtherer. In the Chimney I will place the blacke Smith, or some other notable traitour.* Oltre e più che in Inghilterra, l’arte ciceroniana della memoria trovò, nel corso del secolo XVI, larga diffusione in Germania. Qui, oltre al consueto inserimento della tecnica memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica, si ebbe una vera e propria fioritura di testi specifici: nel 1504 esce a Strasburgo un’Ars memorativa S. Thomae, Ciceronis, Quintiliani, Petri Ravennae che colloca definitivamente Pie- tro fra i classici dell’arte; nel 1505, a Colonia, Sibutus pub- blica un’Ars memorativa, del 1510 è il Ludus artificialis obli- vionis di Simon Nicolaus aus Weida pubblicato a Lipsia; a Venezia, dieci anni più tardi, esce un fortunato libretto, il Congestorium artificiosae memoriae di Johannes Romberch, intieramente modellato sullo scritto del Ravennate e poi dif- fuso in Italia nella traduzione di Ludovico Dolce;’ a Stra- © TH. WiLson, The Arte of Rhetorique for the Use of All Suche are Studious of Eloquence, ed. by G. H. Mair, Oxford, 1909 (cfr. Howett, op. cit., p _.104). 7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae... om- num de memoria pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, 1520 (copia usata: Triv. Mor. L. 561). La Yates, The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo e Rinasci- 88 CLAVIS UNIVERSALIS sburgo, nel ’25 Fries pubblica un’Ars memorativa, ancora a Strasburgo nel ’41 e nel ’68 vedono la luce rispettivamente la Memoria artificialis di Riff e i Praecepta de naturali memo- ria confirmanda di Mentzinger; infine a Wittenberg, che era stata il centro di diffusione dell’insegnamento del Ravenna, esce nel "70 (ma con una prefazione del 1539) il Libellus arti- ficiosae memoriae in usum studiosorum di Johannes Spanger- bergius, più volte ristampato e incluso nel 1610 nel Gazopli- lacium dello Schenkel, una raccolta che fece il giro di tutta Europa. L’aspra polemica di Cornelio Agrippa contro l’uso e l’a- buso delle arti mnemoniche appare facilmente spiegabile ove si tenga presente questa vera e propria invasione di testi di mnemotecnica nella vita culturale tedesca del Cinquecento. Attribuendo a Cicerone a Quintiliano a Seneca al Petrarca e a Pietro da Ravenna la responsabilità di questa « frenetica mania » Agrippa non solo si scagliava contro un tipo di inse- gnamento che opprimeva gli scolari ‘n gymmnastis e contro una tecnica che mirava, anziché alla vera sapienza, alla « glo- ria puerile dell’ostentazione », ma ripeteva, con vigore parti- colare, il vecchio argomento di tutti gli avversari della mne- motecnica, lo stesso argomento contro il quale, cinquant'anni più tardi, il Bruno polemizzerà aspramente: « La memoria artificiale non è minimamente in grado di persistere senza la memoria naturale e quest’ultima viene assai di frequente resa ottusa da immagini mostruose tanto da generare spesso una specie di mania e di frenesia per la tenacia della memoria; accade invece che l’arte, sovraccaricando la memoria naturale con innumerevoli immagini di parole e di cose, conduce alla pazzia coloro che non si accontentano dei confini stabiliti mento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1945, assegna erronca- mente la prima edizione di questo testo al 1533. La traduzione del Dolce è il Dialogo di L. Dolce nel quale si ragiona del modo di accre- scere ct conservar la memoria, in Venetia, Giovanbattista Sessa c fra- telli, 1586 (copia usata: Triv. Mor. M. 248). La prima edizione risale al 1562, una seconda è del 1575. Già nel 1592 la fonte del Dolce era stata individuata: cfr. la Plutosofia di Filippo Gesualdo... nella quale si spiega l’arte della memoria (p. 11 dell'edizione vicentina del 1600. Triv. Mor. H. 65). I TEATRI DEL MONDO R9 dalla natura ».8 Era una curiosa posizione, questa di Agrippa, dato che questa contrapposizione dei diritti della natura alle empie pretese dell’arte proveniva da uno dei più ferventi e appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che aveva dedicato non poche delle suc energie ad un « perfezio- namento » della complicata impalcatura dell’ars magna. Il testo di Agrippa è del 1530. Due anni dopo, nei suoi Rhetorices elementa il maggior teorico della logica ec della retorica della Riforma, Melantone, assumeva nei confronti dell’ars memoriae una posizione non dissimile. Pur senza l’asprezza polemica di Agrippa, Melantone denunciava la sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al perfezionamento della memoria naturale: « Le cose che sono state scoperte cd ordinatamente disposte vanno infine espresse mediante le pa- role. In queste tre parti si esaurisce tutta l’arte. Sulle altre due parti non offriamo precetti giacché la memoria può ve- nire assai poco aiutata mediante l’arte ».° Insistendo tuttavia da un lato sulla strettissima connes- sione fra la cogitatio e la dispositio e dall’altro sulla funzione della topica in vista di un ordinamento dei concetti origina- riamente sparsi 12 magno acervo, Melantone veniva però a richiamarsi esplicitamente proprio a quella duplice tesi del- l'ordine e della limitazione sulla quale si era fondata la dot- trina dei luoghi e, di conseguenza, l’intera tecnica mnemo- nica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di ordinamento dei concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, come dovrà notare acutamente Bacone, un rapporto assai stretto.!° Ma di questo più avanti. Ciò che qui va posto in rilievo è invece lo scarso effetto esercitato sugli ambienti tede- schi da prese di posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 8 H. C. Agrippa, De vanitate scientiarum, cap. X, De arte memorativa, in: Opera, Lugduni, 1600, II, p. 32 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). Agrippa attribuisce ancora a Cicerone la R/etorica ad Herennium. ° Rhetorices Elementa, autore Philippo Melanchtone, Venetiis, per Melchiorem Sessam, 1534, p. 4v-5 (copia usata: Ambros. Sxu v. 96). 10 Rhetorices Elementa cit., p. 8. Un caratteristico esempio della con- nessione rilevata nel testo è l' Opusculum de amplificatione oratoria seu locorum usu, per Adrianum Barlandum in inclito Lovaniensiun gymnasio publicum Rhetoricae professorem, Lovanii, Servatus Zaffe- nus Diestensis, 1536 (copia usata: Braid. B. XIII. 5.512). 90 CLAVIS UNIVERSALIS Melantone: non solo continueranno a diffondersi in Germa- nia i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana, ma, dopo la confluenza della tradizione “classica” in quella del lullismo, questo tipo di produzione acquisterà nuovo vigore giungendo, nel corso del Seicento, ad investire alcune delle maggiori personalità della cultura tedesca. 3. SPANGERBERGIUS. Il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum col- lectus di Johannes Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg nel 1570,'! può essere preso ad esempio della vivacità con la quale si presenta, negli ambienti culturali tedeschi del tardo Cinquecento, la tematica attinente all'arte memorativa. L’au- tore di questo libretto (che è forse la più limpida esposi- zione cinquecentesca dell’ars reminiscend:) non ha pretese di originalità: « hanc artificialis memoriae lucubratiunculam ex probatis autoribus utcunque decerpsi et in hanc Epitomem collegi ». Presentando l’arte in forma catechistica egli si preoc- cupa di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente acqui- sibile, presentare una trattazione completa che tenga conto, oltre che delle fonti classiche, anche delle opere più recenti sia retoriche sia mediche. Su alcune delle definizioni e delle regole dello Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche perché esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave necessaria ad intendere molte delle posizioni presenti negli scritti del Bruno. Accanto ai leggendari “eroi” della memo- ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e Carneade) l’autore ricorda Cicerone, Quintiliano, Seneca e si richiama anche a Pietro da Ravenna che cita ripetutamente avvicinando il suo nome, in modo significativo, a quello del Cusano: « Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 11 Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore Joanne Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- tebergae, apud Petrum Seitz, 1570. Mi servo della copia dell’Angelica (YY. 3.28) a pagine non numerate. Con il titolo Erosemata de arte memoriae seu reniniscentiae il testo fu ristampato (con la indicazione Authore Ioh. Sp. Herd.) nel Gazophylacium artis memoriae... per Lambertum Schenckelium Dusilivium, Argentorati, excudebat Anto- nius Bertramus, 1610, alle pp. 339-378 (copia usata: Angelica. SS. 1. 24). I TEATRI DEL MONDO GI vir Petrus Ravennatus utriusque iuris doctor, deinde Ioannes Cusanus et alii ». Il “lullista” Cusano diventava, non a caso, uno dei mae- stri dell’arte mnemonica: l’idea che le finalità ultime del- l’ars Raimundi coincidessero, in ultima analisi, con quelle proprie dell’ars memoriae era, come vedremo, destinata a raf- forzarsi fino a condurre a quella particolare valutazione della combinatoria lulliana che sarà tipica degli scrittori del Sei- cento e giungerà inalterata alla Historia critica philosophiae del Brucker. Dopo aver definito la memoria come comprehensio earum quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver di- stinto fra memoria naturale e artificiale, lo Spangerbergius prende immediatamente posizione contro l’accusa di una insufficienza dell’arte di fronte alla perfezione o imperfezione naturale: in primo luogo egli nega la perfezione della me- moria naturale, in secondo luogo pone in rapporto la perfet- tibilità di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore perfezione delle doti native: « Quanto naturalis memoria est hebetior, tanto ad artificiosam est imbecillior; contra quanto na- turalis est vegetior, tanto ad artificiosam expeditior ». La memo- ria artificiale è definita una « dispositio imaginaria rerum sen- sibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa com- movetur et adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius valeat recordari ». Essa è utile sia all’apprendimento delle scienze, sia a quella transitoria ritenzione degli argomenti che è necessaria al poeta, all'insegnante, all’oratore, all’avvocato. Accanto alla normale dimenticanza «delle specie delle cose passate » (per corruptionem), lo Spangerberg distingue duc tipi di amnesia “patologica”: l’uno derivante dal sopravvento delle passioni delle malattie della vecchiezza (per diminutio- nem), l’altro dipendente dalla ablezio o da una lesione agli organi cerebrali. Mentre per ovviare alla corruptio è oltremodo utile l’uso dei luoghi e delle immagini, di fronte alla dimi- nutio e alla ablatio i precetti della retorica devono lasciare il posto a quelli della medicina. Sulle tracce della Réetorica ad Herennium e della Phoenix del Ravennate, la dottrina dei luoghi e delle immagini viene svolta secondo i canoni tradi- zionali: accanto a una distinzione dei luoghi in tre tipi fondamentali, l’autore enumera dieci « regole » sulle caratte- 92 CLAVIS UNIVERSALIS ristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto del Ra- venna. Agli stessi testi si rifà la teoria delle immagini: di nuovo c’è solo la distinzione fra imagines rerum e imagines vocum. Dalla parte «teorica » della mnemotecnica lo Span- gerberg distingue, come farà più tardi il Bruno, una parte pratica (praxis memoriae) nella quale le regole della sezione teorica vengono applicate, attraverso la costruzione di una serie di esempi o modelli, a casi specifici. Soprattutto preoc- cupato della creazione delle immagini, lo Spangerbergius co- struisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, la seguente tabella di tutti i possibili tipi di dictiones: Omnis dictio aut cst ‘ignota aut nota aut est res inwvisibilis aut visibilis vel est accidens vel substantia vel est imanimiata vel animata est nomen commune vel propriun Il primo dei sei casi è quello della dictito ignota: al posto della diczio della quale si ignora il significato si può collocare, facendo ricorso alla vocalis similitudo, una dictio nota signift- cante una cosa visibile e « similis in voce huic pro qua poni- tur » (come quando, per figmentum, si fa ricorso ad una « palam instrumentum » al posto della « praepositio palam »), oppure si può procedere, nei casi nei quali sia assente la pos: sibilità di una similitudine vocale o di suono, per inscriptio- nem, ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al po- sto di ciascuna delle lettere che costituiscono il termine. Il secondo caso è quello della dictio nota rei invisibilis (per es. il termine «giustizia »); oltre che del fiementum ce della ins- criptio è qui possibile servirsi della comparatio e della simi- litudo facendo leva su quelle che in linguaggio moderno sono le leggi dell’associazione (« nigrum nos ducit in cognitionem albi »; «calamus ducit nos in memoriam scriptoris » ecc.). Il terzo caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia un accidens: qui sì ricorre al subiectum principale (« ut albedo per nivem » ecc.). Il quarto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia inanimata: essa è I TEATRI DEL MONDO 93 esprimibile attraverso l’immagine di una persona « agens cum tali re ». Il quinto caso è la dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome comune: l’imma- gine è costruita, secondo i canoni “ciceroniani”, col riferi- mento ad una « persona nota ». Infine il sesto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome proprio: attingendo alla iconologia si dà qui luogo all'immagine di un uomo in particolari abiti e particolari positure (con le chiavi: nel caso di Pietro, con una spada in mano: nel caso di Paolo ecc.). La classificazione così costruita dallo Spangerbergius è in realtà molto più complicata di quanto non risulti da questo già troppo complicato sommario: in primo luogo vengono accuratamente distinti i vari tipi di simulitudo e di figmen- tum,!* in secondo luogo il reale esercizio della praxis mnemo- nica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contem- plati, che risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una stessa proposizione o discorso. Ma è alla vivacità delle im- magini che conviene, dopo tanti schemi, fare riferimento per- ché risulti ancora una volta confermato quel rapporto, sul quale già ho avuto occasione di insistere, fra la pratica del- l’ars memorativa e la “visione”, fra la dottrina dei luoghi e delle immagini e quelle iconologie, quei simboli, quegli em- blemi dei quali tanto si diletterà Bruno e, con lui, la cultura di un secolo intero: «Ut si velis habere memoriam horum nominum: Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; fac talem colligantiam et imaginationem ut Petrus flagello canem percutiat. Canis vero, verbere commotus, suem mor- 12 Fra i vari tipi di similitudo vengono elencati: « effictio corporum : ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis demissis, canum; notatio adfectum: ut cum dicimus lupum voracem, lepores timidos, sic laeta iuventus, tristis senectus, prodiga adolescentia; etynrologia : ut Philippus amator equorum; onomatopera: quando sumitur cogni- tio verbi a sono vocis ut hinnitus equi, rugitus leonum, bombitus apum; rerum effectus: cum cuilibet mensi officia sua assignamus ». Molti degli esempi addotti appaiono ricavati, direttamente o indirettamente, da un testo di Iacobo Publicio, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatum spectant oratoren, Venetiis, 1482, D4r-D4v. (Ho visto l'Inc. 697 dell’Angelica; un altro esemplare alla Naz. di Roma, Inc. 70. A. 48). 94 CLAVIS UNIVERSALIS deat. Sus vero, evadere cupiens, vas aquae evertat, in cuius fundo sint vermes procreati qui tegantur arena ». Forse anche di qualche testo di questo tipo converrebbe tener conto quando si parla, a proposito della cultura del tardo Cinquecento, di « barocchismo delle immagini ». 4. LA MEDICINA MNEMONICA DI G. GRATAROLO. Ad una atmosfera ben diversa, permeata di aristotelismo, di magia e di medicina occulta, ci riportano le pagine sulla memoria del medico e studioso bergamasco Guglielmo Grata- rolo sul quale, in anni recenti, hanno richiamato l’attenzione da punti di vista differenti il Church e il Thorndike.!* Rifu- giatosi a Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, il Gratarolo pubblicava a Zurigo nel 1553 e poi a Basilea nel 1554 (dedicandoli a Massimiliano) i suoi Opuscula !* che con- tenevano, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una dis- sertazione sui prognostica tempestatum, un manuale di ars memoriae. Tradotto in francese nel ’55 e in inglese nel ’63, ristampato nel °58 e inserito nel 1603 nelle Introductiones 13 Sul Gratarolo cfr., oltre al TirasoscHI, op. ciz., VII, pp. 615 -16, it CHurcH, Riformatori italiani, tw. it., Firenze, 1935, I, 326 ss.; II, 83 ss, 103 ss, 216 ss. c L. THORNDIKE, op. cit., V, pp. 600-616. Varie indi- cazioni di scritti anche nella « scheda » di E. G. [E. Garin], « Giornale crit. della filos. ital. », IV (1957), pp. 353-54. Sulla posizione del Gra- tarolo si veda il giudizio del THORNDIKE, op. cif., p. 600: « No man in the sixteentàh century did more to circulate and to perpetuate a va- ried selection of curious works, past and present, in the fields of me- dicine, natural sciences and occult science than did G. Gratarolo... the physician of Bergamo who turned Protestant and settled at Basel ». 14 Uso l'edizione del 1554; Guglielmi Grataroli Bergomatis, artium et medicinae doctoris Opuscula, videlicet: De memoria reparanda, augen- da confirmandaque ac de reminiscentia: tutiora omnimoda remedia, praeceptiones optimae; De praedictione morum naturarumque homi- num cum ex inspectione partium corporis tum alis modis. De tempo- rum omnimoda mutatione, perpetua et certissima signa ct pronostica, Basileae, apud Nicolaum Episcopium iuniorem, 1554 (Triv. Mor. L. 244 e Braid. 13. 52. B. 16). Sulla edizione dell'anno precedente cfr. p. 3: «Superiori anno... citius quam voluissem emisi in lucem ami- corum ac typographi coactus instantia ». In una terza edizione: Lug- duni, apud Gabrielem Coterium, 1558 (che ho visto in Triv. Mor. N. 4) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda valetudine liber. _ I TEATRI DEL MONDO 93 apotelesmaticae di Johannes ab Indagine," il libretto del Gra- tarolo avrà vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in quella trattatistica di medicina mnemonica che si rifaceva ai testi di Avicenna e di Averroè. Pur interessato vivamente alla pubblicazione di testi magici ed alchimistici (il Gratarolo si fece editore di testi pseudo-lulliani, di Arnaldo da Villanova, di Giovanni Rupescissa) il nostro medico evita nella sua trat- tazione ogni riferimento all’ars motoria e si richiama, al solito, da un lato ad Alberto Magno ed Averroè, dall’altro alla RAe- torica ad Herennium. In realtà — cosa che il Thorndike non ha notato !* — Gratarolo sfrutta molto ampiamente un trat- tato italiano che risale al 1481: il De omnibus ingentis augen- dae memoriae di Giovanni Michele Alberto da Carrara.” I venti precetti generali dell’arte presenti nel sesto capitolo del- l'opuscolo del Gratarolo (pAslosophica consilia, canones, et reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il settimo capitolo a paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile, dall’o- pera del Carrara alla quale già abbiamo avuto occasione di riferirci. Si veda, a titolo di esempio, la definizione dei quattro « moti » che costituiscono la memoria e il comune richiamo a Cicerone e a Tommaso: Carrara (fol. 70r, 73r) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: Motus. spiritus qui a cogitativa ad memorati- GrataroLo (pp. 44, 59) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: primus est mo- tus spirituum qui a cogitativa vam figuras transportat. Pictu- ra fixioque figurarum in ipsa cies ad memorativam figuras aut spe- transportant. Secundus est 15 Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé- moire avec un traité de la physionomie, traduit du latin par E. Copé, Lyon, 1555 (questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE, op. cit., p. 607); The Castel of Memorie, Englished by W. Fullwood, London, 1563 che ebbe una seconda ediz. nel 1563 e una terza dieci anni dopo. Nelle Introductiones, ed. 1603, il testo del Gratarolo: pp. 179 - 215. 16 Il libro del Dolce e quello del Romberch vengono semplicemente citati dal Thorndike (op. cit., p. 607) accanto a quello del Gratarolo come «other works on this subject ». Della produzione di mnemo- tecnica — per tanti aspetti legati alla magia — il Thorndike in realtà non si occupa. 1? Uso l’inc. contenuto nel Cod. lat. 274 della Marciana (classe VI): il testo del Carrara occupa i ff. 69-82r. (Bononiae per Platonem de Benedictis, 1491). 96 CLAVIS UNIVERSALIS memorativa. Reportatio carum a spiritibus a memorativa ad co- gitativam. Actio quac €a cogi- tativa recognoscit, quae proprie est memorari... Artificiosa memo- ria ut Cicero dicit secundo ad Herennium ex locis veluti ex cera at tabella, et imaginibus veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri poterit, ut quae accipimus quasi legentes redda- mus. Cicero centum eos satis esse pictura fixioque figurarum in ip- sa memoria. Tertius est repor- tatio a spiritibus a memora- tiva ad cogitativam seu ratio- cinativam. Quartus est illa actio qua cogitativa recognoscit, quac proprie est memorari... Artificio- sa memoria, ut inquit Cicero se- cundo ad Herrennium ex locis veluti ex cera et tabella et ima- ginibus veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri solet, ut iudicavit, beatus Thomas plures. quae accepimus quasi legentes habendo consuluit. reddamus... Cicero centum eos satis esse iudicavit. Beatus Tho- mas plures habendo consuluit. Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di Averroè per- dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto del loro significato. Di originale, rispetto al trattatello del Car- rara, restano, oltre a un fugace accenno all’anatomia del Ve- salio,"* le numerose e curiose ricette per il rafforzamento della memoria (« Saepe lavare pedes in acqua calida in qua bullie- rint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et similia, me- moriae capiti oculisque valde confert »). Quella del saccheg- io dei testi era del resto un'attività largamente diffusa fra i trattatisti della memoria locale. Nel 1562 (e poi ancora nell’ °86) fu pubblicato a Venezia il Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria di Ludovico Dol- ce, uno dei più fecondi e superficiali poligrafi del Cinque- cento, che era in realtà, nonostante la pomposa presentazione del Dolce, solo un volgarizzamento dell’opera del Romberch sulla stesso argomento. 5. IL LULLISMO E LA CABALA NEI « TEATRI DEL MONDO ». Nulla in Italia, sino al Bruno, che corrisponda alla nuova impostazione che Pietro Ramo aveva dato in Francia al pro- blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e 18 Grataroto, Opuscula, cit., (1558), p. 2: « Sedem vero habet memo- ria in occipitio in tertio vocato ventriculo quem et pupim vocant. Lon- gum esset ac pene superfluum hic (ubi studeo brevitati) cerebri totius anatomen describere, quam in multorum libris videre licet, praesertim doctissimi pariter et diligentissimi Andreac Vesalii ». I TEATRI DEL MONDO 97 macchinosa costruzione che fu l’Idea del Theatro di Giulio Camillo detto il Delminio (1556),'* converrà tener presente il giudizio entusiastico che, di quest'opera, detta un uomo come il Patrizzi che, appunto nel Theatro, vedeva realizzato il ten- tativo di un «allargamento » della retorica e di una sua « estensione » verso la logica e l’ontologia: « non capendo per la grandezza sua negli strettissimi termini de’ precetti dei mae- stri di retorica, uscendone l’allargò in guisa che la distese per tutti gli amplissimi luoghi del Theatro di tutto il mondo ». Intrecciandosi strettamente ai temi più caratteristici dell’er- metismo, del neoplatonismo e della cabala, la retorica diven- tava qui veramente, come è stato scritto, « il tentativo di far corrispondere le articolazioni oratorie del discorso alle strut- ture fondamentali dell’essere ». Senza dubbio, se confrontata con i grandi testi della retorica del Quattrocento e del Cinque- cento, la fumosa costruzione del Camillo non può non appa- rire se non come «la parodia di quanto i teorici rinascimen- tali avevano rigorosamente tentato ».?° E tuttavia se le pole- 19 L'idea del teatro dell'eccellent. M. Giulio Camillo, in Fiorenza, 1550 (copia usata: Ambros. Sir. IV. 36). Cfr. anche Opere, Venezia, A. Griffo, 1584 (Braid. 25. 15. A. 6). Sul Camillo cfr. TiraBoscHI, Storia della letteratura italiana, Modena, 1792, VII, 4, pp. 1520-1532; B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari, 1952, pp. III -120; F. Secret, Le Théatre du monde de Giulio Camillo Delminio et son influence, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, pp. 418-436. Sul significato dell’ « oratoria planetaria » e sui rapporti di questa da un lato con la magia ficiniana e dall'altro con la teoria ficiniana della musica cfr. il capitolo Fabio Paolini and the Accademia degli Uranici nel vol. di P. D. Wacker, Spiritual and De- monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare sul Camillo, pp. 147 - 48. 20 Questa, come la citazione precedente, da E. Garin, Alcuni aspetti delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, Roma & Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano» della dialettica umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici- niane ha scritto di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai princìpi dell'età moderna, « Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253: «L'umanesimo opera... nel senso di una smobilitazione di tutti quei simboli che tendevano a proiettare i termini di un'esperienza terrena e storica sui piani del divino e dell’eterno » (pp. 252-53). Nei testi di Camillo, di Rosselli e di Bruno si assiste, per quanto attiene alla mne- motecnica e al lullismo, ad una delle « proiezioni » alle quali fa rife- rimento il saggio di Garin. Non a caso Bacone e Cartesio, nella loro utilizzazione dell'arte della memoria, saranno ben lontani da questi atteggiamenti e si muoveranno sulla strada di una trasformazione della 98 CLAVIS UNIVERSALIS miche appassionate suscitate dalla comparsa di questa così poco rigorosa « parodia » e gli interessi di Francesco I e gli entu- siasmi del Patrizzi e di Bartolomeo Ricci per la macchina del Camillo possono essere facilmente ricondotti sul piano della “moda”, non è possibile risolvere integralmente la fortuna del Delminio sul piano di una storia del costume.*! L’idea stessa di un teatro « nel quale per lochi et immagini dovevan essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo »,°* mentre ci riporta senz'altro ad una tematica assai vicina a quella dell’ars reminiscendi, ci mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e torbida adesione del Camillo agli insegnamenti della cabala, la stessa ars reminiscendi finisca qui per connettersi ad un duplice progetto che sarà, soprattutto nel secolo successivo, ricco di impensati sviluppi: quello di una “macchina universale” o “chiave” della realtà e l’altro, con il primo in stretto rapporto, di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta di tutte le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. Mentre l’uso costante delle immagini veniva posto da Ca- millo in relazione con l’antico tema, presente in tutta la tra- dizione magico-alchimistica da Zosima ad Agrippa, di un sapere segreto °° («et noi nelle cose nostre ci serviamo delle dottrina degli aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- dologia del sapere scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il fatto che, in questo loro tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- rimento della menzoria nella logica o dialettica che era stato effettuato, nel corso del secolo XVI, dal più noto e discusso rappresentante della dialettica umanistica: Pietro Ramo. 2! E' da vedere la descrizione dell’opera del Camillo in una lettera scritta da Padova il 28 marzo 1532 da Viglius Zuichemus a Erasmo (Cfr. ALLEN, Opus epistolartm D. Erasmi, IX, p. 475; X, pp. 28, 54, 96, 124). Una lettera dell'Alciati del 5 settembre 1530 dì inoltre noti- zie sulla fortuna del Camillo alla corte di Francia (G. Liruti, Notizie, Udine, 1780, III, pp. 69-134). 22 Cfr. Opere, cit., II, p. 212 e J. SturMius, Lidellus de lingua latina resolvenda ratione, ediz. Jena, 1904, p. 5. 23 L'idea del teatro, cit., p. 7: «I più antichi e più savi scrittori hanno sempre havuto in costume di raccomandare a’ loro scritti i secreti di Dio sotto scuri velami accioché non siano intesi se non da coloro i quali (come dice Christo) hanno orecchie da udire, cioè che da Dio sono eletti ad intendere i suoi santissimi misteri. E Melisso I TEATRI DEL MONDO 99 immagini come di significatrici di quelle cose che non si deb- bono profanare »), la trattazione della memoria si collegava strettamente, attraverso la cabala, al progetto del raggiungi- mento di una « vera sapienza ». Fare della retorica lo « spec- chio del mondo » voleva dire, in realtà, muovere verso una radicale distruzione dell’arte memorativa e della stessa reto- rica. Al posto di una riflessione sui discorsi umani, subentrava l'atteggiamento del profeta e del mago: «Salomone al nono de Proverbi dice la sapienza haversi edificato casa et haverla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti stabilissime eternità habbiamo da intender che siano le sette saphirot del sopraceleste mondo, che sono le sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore... nelle quali sono comprese le idee di tutte le cose del celeste a all’infe- riore appartenenti... L’alta adunque fatica nostra è stata di trovare ordine in queste sette misure, capace bastante distinto et che tenga sempre il senso svegliato e la memoria percossa et fa non solamente ufficio di conservarci le affidate cose parole et arti... ma ci dà ancora la vera sapienza nei fonti della quale veniamo in cognitione delle cose dalle cagioni et non dagli effetti ».?! L’idea, che fu cara al Camillo, di sostituire ai tradizionali luoghi della mnemotecnica ciceroniana «luoghi eterni» atti ad esprimere « gli eterni di tutte le cose » conduceva alla co- struzione di un sistema mnemonico su basi astrologico-caba- listiche. Il grande anfiteatro dalle sette porte non si presentava dice che gli occhi delle anime volgari non possono sofferire i raggi della divinità. Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se egli il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto Christo trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- devano... A questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando gli sopraviene moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si viene a commettere: et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo quello il suggetto delle lingue de gli angeli... Et noi nelle cose nostre ci serviamo delle ima- gini, come di significatrici di quelle cose che non si debbon profanare... Né tacerò io che i Cabalisti tengono che Maria sorella di Mosè fosse dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose segrete della divinità ». 24 L'idea del tcatro, cit., pp. 9, II. 100 CLAVIS UNIVERSALIS come uno schema vuoto del quale servirsi per ordinare, ai fini dell’orazione, tutti gli elementi della realtà. La ricerca dei caratteri planetari e delle « sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore nelle quali sono comprese l’Idee di tutte le cose al celeste e all’inferiore apposte » trasformava un trattato di arte della memoria in una costruzione di tipo co- smologico-metafisico. Gli interessi per la tematica dell’astro- logia, le suggestioni dell’ermetismo e della cabala finivano per far passare in secondo piano, come avverrà poi in Bruno, ogni finalità meramente « retorica » : «Or se gli antichi Oratori volendo collocar di giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le affi- davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che volendo noi raccomandare eternamente gli eterni di tutte le cose... troviamo a loro luoghi eterni. L'alta dunque fatica no- stra è stata di trovar ordine in queste sette misure... Ma con- siderando che se volessimo metter altrui davante queste altis- sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- mente da’ propheti sono state anchor nascostamente tocche, questo sarebbe un metter mano a cosa troppo malagevole, pertanto in loco di quelle prenderemo i sette pianeti... ma solamente le useremo, che non ce le propognano come termini fuor de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che alla mente de’ savi sempre rappresentino le sette sopra celesti misure ». A questi accostamenti di temi retorici a temi cosmologici, a questa trasformazione dei “luoghi” della memoria artificiale nei “luoghi eterni” della sapienza ermetica, non erano state certo estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- millo, dai testi del lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. Per quanto concerne il lullismo abbiamo una precisa testimo: nianza degli interessi del Camillo per l’arte,?" e non è un caso che Jacques Gohory, nel De usu et mystertis notarum, avvici- nasse il nome del Delmino a quelli dei maggiori commenta- tori e seguaci di Lullo. D'altro lato, quando Camillo aveva pubblicato, nel 1550, la sua /dea del Theatro, erano già ap- 2 G. RusceLLI, Trattato del modo di comporre versi in lingua italiana, Venezia, 1594, p. 14: «Giulio Camillo... m'affermava d’haver fatto lunghissimo studio sopra di quest'arte di Raimondo ». I TEATRI DEL MONDO 101 parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i testi fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di Paulus de Heredia (1486 circa), le Conclustones e l’Heptaplus del Pico, il De verbo mirifico e il De arte cabalistica di Reu- chlin (1494-1517), il De arcanis catholicae veritatis del Gala- tin (1518), lo Psalterium del Giustiniani (1516), le opere di Paolo Ricci (1507-1515), il De Harmonia mundi di Francesco Giorgio Veneto (1525), le opere di Agrippa (1532). La combinatoria lulliana e la grande costruzione cosmolo- gica della cabala si incontrarono, nel corso del Cinquecento, sul comune terreno del simbolismo, dell’allegorismo, dell’esem- plarismo mistico. In un passo famoso già Pico aveva avvicinato l’ars combinatoria a quella parte più elevata della magia natu- rale che si occupa degli esseri superiori esistenti nel mondo sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata da Lullo gli cera apparsa strettamente connessa a quella mistica delle lettere e dei nomi che è parte integrante della costruzione cabalistica.** 26 « Haec est prima et vera cabala de qua credo me primum apud latinos explicitam fecisse mentionem... quia iste modum tradendi per succes- sionem qui dicitur cabalisticus videtur convenire unicuique rei secrete et mystice, hinc est quod usurparunt hebrei ut unamquamque scien- tiam quae apud cos habeatur pro secreta et abscondita cabalam vocent ct unumquodque scibile quod per viam occultam alicunde habeatur dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas scientias hoc etiam nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi et est modus quidam procedendi in scientis et est simile quid sicut apud nostros dicitur ars Raymundi licet forte diverso modo procedat. Aliam quae est de virtutibus rerum superiorum quae sunt supra lunam et est pars magiae naturalis suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, quaestio V: De magia naturali et cabala hebreorum). Sulla funzione delle lettere e dei nomi nella cabala, sull'allegorismo e l'esemplarismo mistico cfr. il cap. VI del volume G. G. ScHorem, Les grands courants de la mystique quive, Parigi, 1950. Ma cfr. anche Zu Geschichte der Anfinge der Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo Baeck, London, 1954. Importante documento dell’incontro fra Cabala rina- scimentale e lullismo è l’opera De auditu kabalistico sive ad omnes scienttas introductorium le cui prime edizioni apparvero a Venezia nel 1518 e nel 1533. Lo scritto venne concordemente attribuito a Lullo e come tale inserito nell'edizione di Strasburgo del 1617 (cfr. ZetzxER, pp. 43.111). Sul cabalismo e il lullismo del Pico cfr. M. MEexENDEZ Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espafioles, Madrid, 1880, vol I, pp. 464 e 525 e, soprattutto, E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola, vita e dottrina, Firenze, 1937, pp. 90-105; 146-154 c F. Secret, Pico 102 CLAVIS UNIVERSALIS Questa tesi pichiana verrà ripresa, nel corso del Cinquecento, da non pochi fra i seguaci della cabala cristiana: già sul ca- dere del Cinquecento il termine cabala veniva impiegato a indicare l’arte di Lullo. L’avvicinamento non era solo esteriore e non dipendeva solo dall’equivocità del termine cabala con il quale — come ha ben chiarito Frangois Secret — si intesero nei secoli del Rinascimento cose assai diverse: molti (soprat- tutto fra gli esponenti dei maggiori ordini religiosi) si volsero alla cabala come ad una tradizione religiosa alla quale si pote- vano attingere motivi apologetici," ma è certo che le lettere c le immagini, le figure e le combinazioni delle figure riman- davano — nella cabala come nel lullismo — a quel segreto libro dell’universo che il sapiente ha il compito di leggere e di interpretare al di là della parvenza dei simboli. Nell’Encyclopaediae seu orbis disciplinarum epistemon, Paolo Scaligero riprendeva, nel 1559, il progetto di Pico.” Nelle sue 1553 « conclusiones divinae, angelicae, philosophicae, metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales, secre- tac, infernales » egli presentava l’immagine unitaria di un uni- della Mirandola e gli inizi della Cabala cristiana, in « Convivium », 1957, |. Alcune osservazioni anche in G. Sarton, Introduction to the History of Science, Baltimora, 1931, II, pp. 901-2. Del tutto insuffi- ciente: ]. L. Brau, The Christian Interpretation of the Cabala in the Renaissance, New York, 1944. 27 Oltre al saggio su Pico citato nella nota precedente sono da vedere, per questi problemi, gli importanti studi di F. Secret, L'astrologie et les Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, in « La Tour Saint-Jacques », 1956; Les débuts du Kabbalisme chrétien en Espagne et son histoire à la Renaissance, in « Sefarad », 1957, pp. 36-48; Les domenicains et la Kabbale chrétienne è la Renaissance, in « Archivum Fr. Praedicato- rum », 1957; Le symbolisme de la kabbale chrétienne dans la « Scechi- na» de Egidio da Viterbo, in Umanesimo e simbolismo, a cura di E. Castelli, Padova, 1958, pp. 131-51; Les jéswites ct le kabbalisme chrétien à la Renaissance, in « Bibliothéque d’ Humanisme et Renais- sance », 1958, pp. 542-55. Ma cfr. anche: Jose M.a Mittas VALLICROSA, Algunas relaciones entre la doctrina luliana y la cabala, in « Sefarad », 1958, 251-253. 2* Paul ScaricHius pe Lika (Paul Skalich), Enciclopaediae seu orbis disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum Epistemon, Basileae, Oporinus, 1559. Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein Lebensbild aus dem 16 Jah., Miinster, 1915; L. THornpike, History of magic, V, p. 455 segg.; F. Secret, La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocu- vre de Paul Scaltger, in « Convivium », 1955, pp. 492-97. I TEATRI DEL MONDO 103 verso simbolico mediante la quale sarebbe stato possibile rin- novare dalle radici e portare a definitivo compimento, con l’aiuto della sapienza cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo. Tralasciando i plagi di Ludovico Dolce e gli scarsi, conven- zionali accenni alla memoria contenuti nella celebre Retorica del Cavalcanti e nella Retorica di Cicerone ad Erennio ridotta in alberi del Toscanella °° (rispettivamente 1562 e 1561), gio- verà dedicare una certa attenzione all’Ars reminiscendi di Giovambattista Della Porta nella quale alla distinzione fra medicina della memoria e ars memorativa, ai consueti ri- chiami alle fonti e ai personaggi del mondo classico, agli or- mai noti tentativi di sintesi fra la tradizione aristotelico-tomi- sta e quella * ‘ciceroniana”, si aggiungono considerazioni di un certo interesse sui geroglifici e sui gestt: due temi sui quali, com'è noto, si eserciterà a lungo la riflessione di molti e di Bacone e di Vico. Alla discussione di questi argomenti il Porta giungeva, non a caso, attraverso il tema delle immagini, « quelle pitture animate che rechiamo nella immaginativa per rappresentare così un fatto come una parola ».°° Di fronte a termini che non simbolizzano cose materiali, come i termini « perché », « ovvero », «tanto » ecc., è necessario ricavare le immagini dalla scrittura, riferirsi cioè con immagini appro- priate alle singole lettere o gruppi di lettere che compongono un termine. In molti altri casi è invece possibile richiamarsi al «significato »: in questo caso torna opportuno il parallelo con i geroglifici. 29 Per l’opera del Dolce cfr. la nota 7 e TiraBoscHi, op. cir., VII, pp. 1028-29. Sull'opera di O. ToscaneLLa (Venezia 1567), cfr. TiraBOSCHI, op. cit., VII, p. 1156; sulle partizioni della retorica cfr. Lu retorica di Bartolomeo Cavalcanti... divisa in sette libri, dove si contiene tutto quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1559, pp. 24-25 (2 ediz. Triv. B. 377). Ma per rendersi conto della diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali di retorica, gioverà vedere l’opera del Trapezunzio, Réetoricorum libri quingue, Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1547, pp. 355-360. 3° Le citazioni sono tratte da L'arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta Napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Doran- dino Falcone da Gioia, in Napoli, appresso Mattio Cancer, 1566 (copia: usata: Braid. 25.16. K. 14-15). Il Fiorentino (Studi e ritratti della Rina- scenza, Bari, 1911, pp. 268-69) assegna al 1602 la prima edizione del- l'Ars reminiscendi. 104 CLAVIS UNIVERSALIS « A ciò torremo il modo dalli Egittii i quali, non havendo lettere con che potessero scrivere i concetti de gli animi loro, e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili spe- culationi della Filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, servendosi d'immagini di quadrupedi, di uccelli, di pesci, di pietre, di herbe e di simili cose in vece delle lettere: la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricer- che, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle depingere nella memoria ».î! Molti fra i più illustri esponenti della cultura dei secoli XVI e XVII furono come affascinati dal problema della scrit- tura geroglifica e, più tardi, da quello della ideografia dei cinesi. La contemporanea “esplosione” nella cultura europea del culto per l’ Egitto e della mania per gli emblemi resta oltremodo indicativa di un clima culturale: basterebbe, per rendersene conto, elencare alcune fra innumerevoli edizioni dei Hieroglyphica di Horapollo (il manoscritto greco fu ac- quistato da Cristoforo de’ Buondelmonti nel 1419, pubblicato nel testo greco a Venezia nel 1505, nella versione latina a Parigi nel 1515, 1521, 1530, 1551, a Basilea nel 1534, a Vene- zia nel 1538, a Lione nel 1542, a Roma nel 1597) o del grosso trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum aliarumque gentium di Pietro Valeriano (Basilea e Firenze, 1556; 1567, 1575, 1576 in traduzione francese; 1579, 1595, 1602 a Lione in latino e a Venezia in italiano) riferendosi al quale il Morho- fius, all’inizio del secolo XVIII, scriveva che il libro «è nelle mani di tutti». Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono del 1531 (pubblicati a Basilea, avranno più di centocinquanta edizioni, numerose traduzioni e varie edizioni commentate). Uno dei primi seguaci dell’Alciati fu il bolognese Achille Bocchi, ami- co del Valeriano; i Symbolicarum Quaestionum Libri V sono del 1555. Del ’72 sono le Imprese illustri del Ruscelli, del 1603 la fortunatissima /conologia di Cesare Ripa. Di questo tipo di produzione libraria nel quale trovavano espressione temi di derivazione neoplatonica e cabalistica e ove si manife- stava un caratteristico metodo ermeneutico, è necessario tener ® Sulla scrittura degli Egizi cfr. il cap. XIX. Sui gesti il cap. XX: « Potremo parimente col gesto esprimere alcune significationi di pa- role... un muto esprime col gesto ciò che egli desidera usando le mani in vece di lingua ». I TEATRI DEL MONDO 105 conto, come di uno sfondo culturale, anche nel tracciare Je linee di una esperienza “speculativa” quale fu, nel Cinque- cento, quella del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che in civiltà diverse da quella europea fosse stato possibile giun- gere ad ‘una sistematica rappresentazione € comunicazione dei concetti mediante geroglifici o immagini invece che attra- verso le lettere dell’alfabeto, mentre da un lato sembrava in qualche modo confermare quelle possibilità sulle quali l’ars memoriae e il lullismo avevano a lungo insistito, dall'altro an- dava incontro all'esigenza, così largamente e profondamente radicata, di una lingua universale che potesse essere “letta” e “compresa” indipendentemente dalle differenze di linguaggio dovute ai tempi, alle circostanze, alla nazionalità, alla situa- zione storica.’? E se si pone mente al fatto che la stessa tec- nica dell’arte memorativa e le regole del lullismo si presenta- vano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle lin- gue particolari (ove si consideri appunto la “tecnica” o “arte” prescindendo dalla formulazione delle regole in questa o in quell’altra lingua) si potranno meglio comprendere gli effet- tivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in appa- renza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del lullismo, l'interesse per i geroglifici, la passione per le icono- logie, il culto per i simboli e gli emblemi. Non a caso in un testo per molti aspetti interessante, il Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino Cosma Ros- selli °° (pubblicato a Venezia nel ’79) ritornava l’ammirazione 3° Ampie notizie sulle interpretazioni cinquecentesche e scicentesche dei geroglifici in MonHor, Polyhistor literarius philosophicus et practi- cus, Lubecca, 1732, II, pp. 167 ss. Sulla stretta connessione fra Egitto- mania ed emblematismo si vedano le osservazioni di E. PANOFSRI, Titian’s Allegory of Prudence, in: Meaning in visuals arts, New York, 1957, pp. 158-62. Fondamentale resta il lavoro di L. VoLKManx, Bilder Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Lipsia 1923 (per le relazioni con la memoria pp. 80-81). Varie notizie sulla letteratura attinente ai gero- glifici in THORNDIKE, op. cit., vol. V, p. 446 ss. Per i rapporti con la letteratura emblematica cfr. M. Praz, Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 17 ss. e il vol. II degli Srudies in Seventeenth Century Ima- gery, London, 1939. 33 Thesaurus artificiosae memoriae... authore P. F. Cosma Rossellio florentino, Venetiis, apud Antonium Paduanium, 1579 (copia usata: Angelica SS. 1.5). 106 CLAVIS UNIVERSALIS per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente di concetti (« Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inven- tae non erant, immo non solum literarum vero etiam vice no- minum et conceptuum, animalibus aliisque rebus multis ute- bantur »)?! e si riaffacciava l’idea di una trasformazione del- l’ars memoriae in una vera e propria, universale enciclopedia di tutto il sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente con- cepita come avente una limitata e precisa funzionalità all’in- terno della retorica, si trasforma in uno strumento in vista della descrizione degli elementi che compongono il reale. Col- locando l’inferno, il purgatorio e il paradiso fra i /oca com- munia amplissima il domenicano Rosselli converte il suo trat- tato prima in una specie di enciclopedia teologica, poi in una ampia e minuziosa descrizione degli elementi celesti, delle sfere, del cielo e dell’empirco, dei demoni, degli strumenti delle arti meccaniche o figure artificiali e delle figure naturali come le gemme, i minerali, i vegetali, gli animali, infine le scritture e i vari alfabeti (ebraico, arabo, caldaico). L'esigenza di un esatto, compiuto ordinamento di ciascuno degli elementi della realtà naturale e celeste appare dominante anche nel più famoso dei teatri del tardo Cinquecento: l’Un:- versae naturae theatrum pubblicato a Lione, nel 1590, dal grande giurista e scrittore politico Jean Bodin.®*® Qui siamo ben lontani dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- nano le esigenze di chiarezza e di rigore caratteristiche dei seguaci di Ramo: la minuziosa divisione in tavole delle cause naturali, degli elementi, delle meteore, delle pietre, dei me- talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi celesti appare fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con la apta rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche nel testo del Bodin, la convinzione di una piena, continua coe- renza, di una totale coesione fra tutti gli elementi della realtà. La grandezza divina è rivelata dall’opera ordinatrice di Dio che ha collocato nelle appropriate sedi le parti caoticamente 31 Thesaurus, cit., p. 117v. 35 J. Bopin, Universae naturae Theatrum in quo rerum omnium effec- trices causae et fines contemplantur, et continuae series quinque libris discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin, 1596 (Copia usata, Braid. B. XIX. 6, 565). La prima ediz. è del 1590. I TEATRI DEL MONDO 107 confuse della materia (« permistas et confusas materiae partes initio discrevit, ac forma figuraque decenti subornatas, suo uamque in ordine ac propriis sedibus collocavit »); non dis- simile da quello divino è il compito che spetta al sapiente e nulla può esservi di più bello, più utile e più conveniente di quel paziente ordinamento enciclopedico del reale che consente all'uomo di riprodurre, nei limiti che gli sono consentiti, la perfezione dell’opera divina. Coloro che trascurano questa ri- cerca, dan luogo, anche se sono in grado di discettare sottil- mente, ad una scienza vana e deforme, mescolando i grani del frumento con quelli della senape perdono la possibilità di far effettivamente uso del loro sapere. Il teatro, concepito come coerente e rigorosa dispositio, consentirà invece la sco- perta di quella indissolubile coerenza e di quel pieno consenso degli elementi del reale (« indissolubilem cohaerentiam, con- tagionem et consensum ») per il quale tutto corrisponde a tutto.?° La concezione ramista del metodo aveva esercitato, sul pensiero di Bodin, un'influenza decisiva?” e solo chi tenga presente la identificazione, tanto energicamente sostenuta da Ramo, della dispositto con la memoria potrà spiegarsi la sin- golare somiglianza fra il celebre teatro del Bodin e le faticose enciclopedie costruite nel corso del Cinquecento dai cultori e dai teorici della memoria artificiale. Negli scritti del Camillo e in quelli del Rosselli l'intento enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una enciclo- pedia totale avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori- Binari intenti dell’arte mnemonica. Alle sommarie, stringate elencazioni dei luoghi e delle immagini presenti nei testi dei teorici quattrocenteschi si sono dunque andate sostituendo, nel corso del Cinquecento, macchinose enciclopedie. Esse non nacquero solo dalla persistenza di temi caratteristici della cul- tura medievale, né trassero origine solo dalla tematica del lul- lismo o dal fiorire delle speculazioni sulla cabala; derivarono ‘anche dal nuovo atteggiamento che molti assunsero nei con- 36 Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio torius operis, PP. 1, 6. si Cfr. K. D. McRae, Ramist tendencies in the thought of Jean Bodin, in « Journal of the History of Ideas », 1955, 3. 108 CLAVIS UNIVERSALIS fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i luoghi e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- ficiale teatro della realtà apparve molto più importante che il teorizzare in regole precise la funzione dei luoghi e delle im- magini in vista del raggiungimento di una capacità mnemo- nica utile ai discorsi umani. In modo non diverso Giordano Bruno, appassionato cul- tore di lullismo e di magia, intenderà utilizzare i testi, antichi e recenti, dell’arte della memoria. 38 Da questo punto di vista potrebbe presentare un certo interesse l'esame del modo in cui uno scrittore come Jacopo Mazzoni da Ce- sena (De triplici vita, Romae, 1576) utilizza l'eredità di un noto cul- tore di mnemotecnica come il Panigarola (F. PanIcAROLA, L'art de prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et artificielle, ensemble l'art de mémoire de H. Marafiote, trad. G. Chappuis, Paris, 1604). Sul Panigarola cfr. TrraoscHi, VII, pp. 1602-1609. IV. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 1. GLI SCRITTI LULLIANI E MNEMOTECNICI DEL Bruxo. Di fronte ai molti scritti che il Bruno dedicò fra il 1582 e il 1591 all’ars combinatoria e all’ars reminiscendi, non po- chi storici, anche illustri, hanno mostrato una singolare inca- pacità di comprensione. All’indagine di temi che per essere ora “morti” non furono per questo meno “vitali”, si pre- ferirono valutazioni negative, rapide liquidazioni o addirit- tura esplicite condanne. In questo senso studiosi come l’Ols- chki e il De Ruggiero ridussero il lullismo bruniano sul piano delle « bizzarrie » e delle « grossolane illusioni », mentre an- che di recente la Singer è giunta su queste basi ad esprimere più volte il suo compatimento per un Bruno perso dietro i problemi della combinatoria.' Ben altra sensibilità era stata presente in quegli storici positivisti che, come il Tocco, ave- vano affrontato direttamente non solo il problema del lullismo bruniano, ma anche la questione, ad esso collegata, dei rap- porti fra gli scritti sulla memoria e la produzione italiana e latina del Bruno.® Proprio quegli studiosi che in nome di ! Cfr. L. OtscHrI, Giordano Bruno, Bari, 1927; G. De Rtucciero, Sto- ria della filosofia. Rinascimento Riforma e Controriforma, Bari, 1930, p. 166; D. W. Sincer, Giordano Bruno, his Life and Thought, trad. it. Milano, 1957, pp. 30, 55, 164, 167. Nessun risultato nuovo nelle pa- gine dedicate ai primi scritti bruniani da N. BapaLoni, La filosofia di G. Bruno, Firenze, 1955, pp. 33-51. ? Cfr. F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con le italiane, Firenze, 1889: sulla tradizione della mnemotecnica, pp. 21 - 43; sulla importanza delle opere mnemoniche di Bruno, p. 94; sulla rigida distinzione fra opere lulliane e mnemotecniche, p. 93 ss. Per i rapporti con il lullismo e Cusano si veda anche lo studio Le fonti più recenti della filosofia di G. Bruno, « Rendiconti dell’Accad. dei Lin- cei », cl. scienze morali ccc., sez. 5, 1 (1892), pp. 503-37; 585-622. Nell'opera del BartHoLOMESs, Giordano Bruno, Parigi, 1847, II, p. 158 ss., tutta la mnemotecnica viene erroneamente identificata con il lul- lismo e Pietro da Ravenna è scambiato per un seguace di Lullo. Contro la distinzione operata dal Tocco reagì giustamente E. Trotto, La filo- sofia di G. Bruno, Roma, 1914, II, pp. 55-103. 110 CLAVIS UNIVERSALIS una maggior fedeltà storiografica hanno rinunciato alla inter- pretazione “razionalista”, “moderna” e ‘“avveniristica” del pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno, a più apprezzabili risultati: in questa direzione di lavoro, richia- mandosi alle osservazioni della Yates, di A. Corsano, di E. Garin, Cesare Vasoli ha di recente affrontato, in un ampio, saggio, il problema del lullismo e del simbolismo bruniani.* Le esatte conclusioni del Vasoli, alle quali dovremo più volte fare riferimento, vanno qui sottolineate: «i temi e i motivi della mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla comprensione della posizione storica e filosofica del Bruno, dei suoi ideali riformatori, delle sue speranze di incidere pro- fondamente, con mezzi e metodi di estrema efficacia prag- matica, sulla situazione intellettuale del suo tempo, realizzan- dovi quel rinnovamento di cui gli scritti italiani ci offrono così aperte testimonianze... Basterebbe pensare alla continuità di queste ricerche che si svolgono parallelamente allo sviluppo di tutta la sua riflessione metafisica, dal 1582, data presu- mibile della perduta Clavis Magna, al 1591, quando pubblicò la De imaginum signorum et idearum compositione, per in- tendere il legame organico tra indagine filosofica e tecnica logico-mnemonica. Ché se il Bruno si adoperò per tanti anni a svolgere e a completare con tanta cura la sua dottrina mne- motecnica, non fu certo soltanto per portare il suo contributo ad una moda del tempo o per indulgere all’illusione prag- matica di una scienza che spesso sembrava confinare con la pratica magica o con la rivelazione cabalistica, quanto piuttosto. per tradurre in un metodo di facile ed immediata efficacia taluni princìpi centrali della sua dottrina ».' ® Cfr. F. Yates, Giordano Bruno's Conflict with Oxford, « Journal of the Warburg Institute », 1938 - 39, pp. 227 - 42; The French Acadenmies in the sixteenth Century, London, 1947; The Art of Ramon Lull, « Journal of the Warburg and Courtauld Inst. », 1954, 1-2, pp. 115- 173; The Ciceronian Art of Memory, cit.; A. Corsano, Il pensiero di G. Bruno, Firenze, 1940, pp. 54-104; E. Garin, La filosofia, « Storia dei generi letterari italiani », Milano, 1947, II, pp. 149-154; C. Va- soli, Umanesimo e simbologia nei primi scritti lulliani e mnemotec- nici del Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, Atti del IV convegno internazionale di stud: umanistici, Padova, 1958, pp. 251-304. 1 C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 253 -54. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO Ill Sia il Corsano sia il Vasoli hanno entrambi giustamente insistito sul peso esercitato, nella formazione filosofica del giovane Bruno, dagli scritti sulla memoria di Pietro da Ra- venna. In un passo della Triginta sigillorum explicatio, Bruno affermava di essersi imbattuto, ancora adolescente, nell’arte del Ravennate: Hoc modica favilla fuit, quae iugi meditatione progre- diens in vastis aggeris irrepsit accensionem, e cuius flam- miferis ignibus plurimae hinc emicant favillae, quarum quac bene dispositam materiam attingerint, similia maio- raque flagrantia lumina poterunt excitare.* Al gran fuoco suscitato da quella piccola favilla si vennero in realtà consumando molte delle conclusioni cui era perve- nuto il Bruno a contatto « dei peripatetici, nella dottrina de quali egli era stato allievato e nodrito in gioventù ». Ai proce- dimenti deduttivi della scolastica Bruno finirà per opporre energicamente un processo di graduale avvicinamento, me- diante l’esercizio della immaginazione e della memoria, al piano della conoscenza razionale; al rigido concatenarsi delle ragioni opporrà la fuggevolezza delle immagini; alla ridu- zione dell’intera conoscenza sul piano dell’intelletto contrap- porrà la radicale diversità del piano del senso: Stupidi est dicursus velle sensibilia ad candem conditio- nem cognitionis revocare, in qua ratiocinabilia et intelli- gibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt non iuxta communem aliquam et universalem mensuram, sed iuxta homogeneam, particularem, propriam, mutabilem atque variabilem mensuram. De sensibilibus ergo, qua sensibilia sunt, universaliter velle definire, in aequo est atque de intelligibilibus vice versa sensibiliter. L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la rap- presentazione mediante emblemi e divise appare strettamente collegato a impostazioni di questo tipo, ma questo stesso gusto bruniano per il simbolo, per i geroglifici e i sigilli, per le idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se ® IoRpaNI Bruni NoLani, Opera latine conscripta, Napoli & Firenze, 1886-91 (qui di seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz.), II, 2, p. 130. Sul significato di questo passo, già segnalato dal Tocco, Le opere la- tine, cit., p. 37, nota 2, cfr. A. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 41; C. VasoLIi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 254, 277 e passim. 112 CLAVIS UNIVERSALIS non arbitrariamente, esser disgiunto da quella grande co- struzione nella quale i temi derivanti dai testi del Ravennate e dagli altri esponenti della mnemotecnica ciceroniana anda- vano a intrecciarsi con quelli del lullismo, del simbolismo e dell’esemplarismo metafisico, si collegavano con i motivi più caratteristici della letteratura cabalistica, con gli ideali della pansofia, con l’eredità delle discussioni dialettico-retoriche dell’umanesimo, con le aspirazioni ad una radicale riforma religiosa. Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del lullismo, l’intera tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal modo spostata su un piano tipicamente metafisico. Da questo punto di vista l’atteggiamento bruniano finisce con l’apparire per molti rispetti simile a quello assunto dal Rosselli e dai cinquecenteschi costruttori dei teatri del mondo: l’arte non è una tecnica legata alle limitate finalità del discorso retorico, ma è, sopra ogni altra cosa, lo strumento di cui servirsi per dar luogo ad un edificio le cui strutture costituiscano l’esatto rispecchiamento delle strutture della realtà. Le regole della memoria, così come le tecniche combinatorie, traggono il loro fondamento e trovano la giustificazione della loro validità nel postulato, chiaramente ammesso, di una piena e perfetta corri- spondenza tra i simboli e le res, tra le ombre e le idee, tra i sigilli e le ragioni che presiedono alle articolazioni del mondo reale. Su questo preciso terreno potevano in realtà trovare un punto di incontro quelle retoriche che si ponevano come lo specchio o il teatro del mondo (Camillo) e quelle riforme della macchina lulliana che avevano mantenuto ben saldo il postu- lato platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di Raimondo Lullo. A quelle retoriche e a questi commenti lul- liani appare assai vicino il Bruno quando concepisce l’intero meccanismo dell’arte come la traduzione, sul piano della sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- tuiscono la trama dell’universo: mediante l’allusività delle immagini, le ombre e le « specie involute » sarà possibile impa- dronirsi (e altra strada non è data all'uomo) di quelle rela- zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire un'indagine di tipo razionale. Questa impostazione, che è chiaramente legata a premesse esemplaristiche, non esclude affatto che in Bruno, come del LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 113 resto già in Lullo e nei lullisti del secolo XVI, fossero presenti vivissimi interessi di tipo “pratico” per una riforma del sa- pere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa- zione della memoria e delle capacità inventive, per una ra- pida cornunicazione e diffusione della nuova cultura, per la ricostruzione, al di là della frammentarietà delle singole scien- ze, di un sapere organico e unitario capace di porsi a fonda- mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la stessa riforma bruniana viene presentata come il progetto di realizzazione di un’arte mirabile capace di ampliare smisura- tamente le possibilità di dominio dell’uomo. Come tale essa fu accolta e valutata in quegli ambienti platonizzanti parigini nei quali, come ha mostrato la Yates,° gli interessi per il coper- nicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano strettamente congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. L'inserimento, operato da Bruno, delle tecniche “retoriche” della memoria entro la grande tradizione lullista non man- cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché ne- gli ambienti francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. Parigi, Londra, Praga, Wittenberg, Francoforte erano stati, abbiam visto, centri di diffusione del lullismo e dell’ars rem: niscendi; in questi ambienti si erano mossi Pietro da Ravenna e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta.' * F. Yates, The French Academies, cit., pp. 77 - 94; 95 - 151; sul lullismo in Francia cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filoso- fia Espaîola. Filosofia cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, II, pp. 207 ss.; A. RENAUDET, Préréforme et Humanisme à Paris pen- dant les premières guerres d' Italie, Paris, 1953, pp. 378 ss. ® Già nel 1583 esce a Londra, dedicato al conte di Leicester, il De umbra rattonis et iudicii sive de artificiosa memoria quam publice profitetur vanitate, edito da T. Vautrollier, di Alexandre Dicson che si richiama al De Umbris bruniano. Al Dicson, che compare come per- sonaggio nell'opera De la causa principio et uno (cfr. G. Bruno, Dia- loghi italiani, a cura di G. Gentile e G. Aquilecchia, Firenze, 1958, p. 225 e passim) rispose polemicamente tale G.P., autore di un Anti- dicsonus cuiusdam Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- cide explicatur impia Dicsoni artificiosa memoria, London, 1584: nella dedica si fa riferimento a Metrodoro, Rosselli, Bruno e Dicson. Al Sigillus di Bruno fa riferimento anche THomas Watson, Compendium memoriae localis, pubblicato forse a Londra nel 1585. Da un punto di vista ramista polemizza contro l'ars memoriae il Perkins, Prophetica, sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae, 1952. La trad. 114 CLAVIS UNIVERSALIS Dei tre scritti pubblicati a Parigi nel 1582, il De umbris idearum è, giustamente, il più noto. Il tentativo di « giustifi- care con precise ragioni metafisiche » gli clementi tecnici del- l’arte appare qui particolarmente evidente:* 1) l’ascesa del- l'animo dalle tenebre alla luce si compie mediante l’appren- sione delle ombre delle idee eterne: attraverso le ombre la verità viene in qualche modo svelandosi all’anima prigioniera del corpo; 2) le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la trama dell’essere, si presentano sul piano della sensibilità e della im- maginazione, appaiono come fantasmi e come sigilli; 3) attra- verso la ritenzione artificiale delle « catene » o delle relazioni che intercorrono fra le ombre si potrà giungere a ricostruire, come per una graduale purificazione, i nessi che legano le idee per giungere infine, sul piano della ragione, alla com- prensione c al disvelamento di quell’unità che è sottesa alla confusa pluralità delle apparenze. Su queste tre tesi appare fondata da un lato la riforma bruniana della combinatoria, dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la me- moria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. Come già era avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus aureum del De Valeriis, il concetto dell’unità del sapere ap- pare immediatamente convertibile nell’altro, ad esso corrispon- dente, di una unità essenziale del cosmo: inglese apparve nel 1606. Il testo dello studente boemo Giovanni DE Nostiz, che ascoltò a Parigi le lezioni di mnemotecnica del Bruno, è andato perduto. In quest'opera i nomi di Aristotele, Lullo, Ramo c Bruno venivano avvicinati in modo significativo: Artificium Aristo telico-Lullio-Rameum in quo per artem intelligendi Logicam, Artem agendi Practicam, Artis loquendi partem de inventione Topicam me- thodo et terminis Aristotelico-Rameis circulis modo lulliano inclusis via plura quam centies mille argumenta de quovis themate inveniendi cum usu conveniens ostenditur, ductu lo. a Nostitz, Jordani Bruni ge- nuini discipuli claboratum a Conrado Bergio, Bregae typis Sigfridianis, 1615. Il titolo è stato conservato in J. L. BunEMANN, Catalogus MSSto- rum membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty- pographia, Minden, 1732, pp. 117-18. L’avvertenza del Nostitz ai lettori è ripubblicata in D. W. Sincer, G. Bruno, cit., p. 410. Sull’au- tore, morto nel 1619, la cui biblioteca di famiglia fu conservata in- tatta a Praga fino al 1938, notizie a p. 4ll. * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 272. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 115 Cum in rebus omnibus ordo sit atque connexio et unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum principium, unus finis, unum primum... illud ob- nixe nobis est intentandum, ut pro egregiis animi opera- tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper a motu et multitudine ad statum et unitatem per intrin- secas operationes tendere contendamus... Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et experieris, cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te fiat accessio; id enim non est universalia logica conflare, quae ex distinctis infimis speciebus, confusas medias, exque iis confusiores suprema captant. Sed quasi ex in- formibus partibus ct pluribus, formatum totum et unum aptare sibi... Ita cum de partibus et universi speciebus, nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine (qui simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in prima mente) si alia aliis connectendo, ct pro ratione uniendo concipimus: quid est quod non possimus intelli- gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit. Unus est pulchritudinis splendor in omnibus. Unus e multitudine specierum fulgor emicat.? Nel momento stesso in cui procede ad una “riforma” della combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre- dicati ai nove teorizzati da Lullo e facendo cadere la distin- zione fra predicati assoluti e predicati relativi, Bruno fa am- pio ricorso alla tradizione ciceroniana modificandone la termi- nologia: ai luoghi della mnemotecnica corrispondono i su- biecta (soggetti primi); alle :mmagini corrispondono gli adiecta (soggetti secondi o prossimi). L’antichissimo paragone della mnemotecnica alla scrittura può in tal modo essere ripreso in senso diverso: « Scriptura enim habet subiectum primum chartam tamque locum; habet subiectum proximum minium et habet pro forma ipsos characterum tractus ».!° Accanto a questo paragone venerando, ritornava nei testi bruniani la maggior parte di quelle regole della memoria che abbiamo visto presenti nei testi del Quattrocento e del Cinquecento. Nei primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal modo le discussioni sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- duttore di strumenti artificiali, sui rapporti fra il segno e l’og- getto significato, ricompaiono i richiami a Simonide e i pre- ° Opp. lat., 11, 1, p. 47. 1° Opp. lat., II, 1, p. 66. 116 CLAVIS UNIVERSALIS cetti relativi alla modica grandezza, alla convenevole distanza, alla giusta luminosità dei luoghi. La stessa concezione bru- niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più larga » di quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi molto diffusi. L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- presentare i luoghi, non è affatto nuova: è già presente in un testo di un secolo prima, il De omnibus ingentis augendae memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! Anche nelle pagine del Canzus Circaeus, pubblicato a Pa- rigi nel 1582, sono facilmente rintracciabili, dietro il periodare contorto e il barocchismo delle immagini, temi ben noti. Nel secondo dialogo del Canzus (che fu ripubblicato con qualche modifica a Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et completa ars reminiscendi), la materia già trattata nel De Umbris viene ripresentata con maggiore preoccupazione per una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una tecnica capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale condizione dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque. Fra i suoi meriti Bruno annovera, significativamente, proprio questa compiuta tecnicizzazione dell’arte: Intentio nostra est, divino annuente numine, artificiosam metodicamque prosequi viam: ad corrigendum defec- tum, roborandam infirmitatem, et sublevandam virtu- tem memoriae naturalis: quatenus quilibet (dummodo sit rationis compos, et mediocris particeps iudicii) pro- ficere possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus con- ditionibus, ab ademptione huius artis excludatur. Quod quidem ars non habet a seipsa, neque ex corum qui praecesserunt industria, a quorum inventionibus excitati, promoti sumus diuturnam cogitationem ad addendum, 11 Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre il mio saggio La costruzio- ne delle immagini nei trattati di memoria artificiale del Rinascimento, in: Umanesimo e simbolismo, cit., pp. 161 - 168. Per le « regole» bru- niane sui luoghi cfr. Opp. Zat., II, I, pp. 69-71. Il giudizio del Tocco, Le opere latine, cit., p. 51 è stato ripreso da C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., p. 276. Per il testo del Carrara, già sopra cit., cfr.: « Guido pater meus ex animalibus cepit locos suos et corum ordine ex alphabeto deduxit... asinus, basiliscus, canis, draco... haec singula in quinque locos dividebat... Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit neque confundi in eis cnumerandis ingenium potest... » 12 Cfr. Tocco, Le opere latine, cit., pp. 63-66. Opp. lat., II, 2, pp. 69 - 119. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 117 tum eis quac faciunt ad facilitatem negotii atque certi- tudinem, tum etiam ad brevitatemn.15 Espressioni di questo tipo non devono trarre in inganno. Poche righe più avanti si riaffacciavano i temi, tipicamente ermetici, della necessità di un personale contatto fra il maestro e il discepolo e di una necessaria segretezza dell’arte : Hortatur enim Plato in Euthidemo ut res celeberrimae atque archanac habcantur a philosophis apud se et paucis atque dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- rum manus ista devenerint, consulimus: ne abutantur gratia et dono eisdem elargito. Et considerent quod figuratum est in Prometheo qui cum deorum ignem hominibus exhibuisset, ipsorum incurrit indignationem.!4 Assai più interessante di questi atteggiamenti che ripetono motivi diffusi, è il tentativo compiuto da Bruno di mante- nere la terminologia dell’arte ben distinta da quella in uso negli altri campi del sapere. Il termine subdiectum, chiarisce Bruno, ha qui un significato diverso da quello che al mede- simo termine viene attribuito in logica o in fisica. Esso viene qui assunto « secundum intentionem convenientem, quae tech- nica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem ». Non è il soggetto delle predicazioni formali che, in logica, viene contrapposto al predicato, né quello della forma sostan- ziale detto le o materia prima. Non è il subiectum delle forme accidentali né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi natu- rali: «sed est subiectum formarum phantasibilium apponibi- lium, et remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum operantis phantasiae et cogitativae ». Allo stesso modo il ter- mine forma non è usato come sinonimo di idea, così come av- viene nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, così come avviene in quella peripatetica; non indica, come nella fisica, la forma sostanziale o accidentale informante la materia; né, secondo l’accezione tecnica, indica una « inten- tionem artificialem additam rebus physicis ». L'universo di discorso del termine forma è, per Bruno, quello di una logica non razionale, ma fantastica: « Forma sumitur... secundum 19 Opp. lat., II, I, p. 215. 14 Opp. lat., II, 1, p. 216. 118 CLAVIS UNIVERSALIS rationem logicam non quidem rationalem, sed phantasticam (quatenus nomen logices amplius accipitur) ».!° Quest'ampliamento della logica tradizionale, questa costru- zione di una logica fantastica è in realtà uno dei motivi essen- ziali del discorso bruniano. Chi, come il Tocco, ha netta- mente separato nella produzione bruniana le opere mnemo- tecniche da quelle lulliane contrapponendo il carattere « psi- cologico » delle prime al carattere « metafisico » delle se- conde *° ha distinto, in modo artificiale, ciò che in Bruno sj presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi la via ad una effettiva comprensione degli elementi di “novità” presenti nella posizione bruniana. L'atteggiamento sostanzial- mente nuovo che Bruno assume nei confronti della tradizione della mnemotecnica retorica e dell’eredità del lullismo è deter- minato proprio dal tentativo di trovare un punto di conver- genza o un terreno comune (o, se si vuole, di operare una “sintesi”) fra due tecniche che erano nate da diverse esperienze e che avevano a lungo proceduto lungo due linee non conver- genti. In quanto seguace di Lullo, Bruno trasferisce all’interno dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteri- stiche del lullismo: in quanto riformatore dell’ars remini- scendi, egli non esita a servirsi, accostandoli a quelli tradizio- nali, degli accorgimenti e delle regole teorizzati dai seguaci della combinatoria. Su queste basi egli conduce la sua pole- mica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a dif- ferenziare la sua dalle altre posizioni: 1) in primo luogo egli rifiuta quel rapporto di tipo convenzionale che i teorici del- l’ars memoriae avevano posto tra il luogo e l’immagine; con- tro questa posizione egli sostiene la necessità di una connes- sione reale (che può essere una associazione o un nesso di tipo logico) tra il subiectum c l’adiectum;'* 2) in secondo luo- go e sulla base di questa esigenza egli sostituisce ai tradizio- nali elenchi delle casalinghe immagini degli oggetti d'uso pre- senti nei testi quattrocenteschi, complicate immagini mitologi- 15 Cfr. Opp. lat., II, 1, pp. 221, 222, 234. 16 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 93. !? Opp. lat., Il, 1, p. 81: « Opus est non ita adiecta subiectis applicari, quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque invicem conneva, ut nullo ab invicem discuti possint turbine ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 119 che ed astrologiche (attinte alla tradizione ermetica) che gli offrono la possibilità di una rappresentazione visiva non solo del soggetto, ma anche dei rapporti intercorrenti tra il sog- getto centrale e tutti i caratteri e le nozioni che sono ad esso collegati secondo un ordine sistematico;!* 3) in terzo luogo egli concepisce le figure ruotanti teorizzate da Lullo come strumenti per la memoria artificiale; nelle diverse ruote pos- sono essere simbolizzate, mediante lettere alfabetiche latine greche ed ebraiche, tutti gli elementi costitutivi dell’arte.!° I centotrenta luoghi fondamentali ricavabili dalle varie combi- nazioni, mentre si presentano come essenziali in vista della piena realizzazione della memoria artificiale, indicano al tem- po stesso anche gli elementi presenti in un sistema qualunque di relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si danno, per Bruno, differenze sostanziali. La logica memora- ziva che è al culmine delle sue aspirazioni ha una parentela assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli scrive — è un certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che è il principio della vita del mondo al principio della vita di tutti i singolari ».?° Esaminando i testi dei grandi commentatori rinascimentali dell’Ars magna, abbiamo già rilevato come il problema di una tecnica memorativa, rispetto alla quale gli alberi le ruote le tavole si pongono come strumenti, si presentasse come costi- tutivo rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra parte sottolineato anche il fatto che quest'idea di una logica memorativa si presenta strettamente collegata a quella inter- pretazione enciclopedistica del lullismo che, facendo leva sul- l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti dei commenti lulliani in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica- zione degli elementi che costituiscono il mondo reale e il mondo della cultura." Chi abbia presenti queste conclusioni non potrà certo meravigliarsi né dell’insistenza bruniana sugli aspetti mnemotecnici del lullismo, né dei suoi tentativi di de- 18 Sull’ applicazione delle immagini zodiacali di Teucro Babilonico all'arte cfr. C. Vasori, Umanesimo e simbologia, cit., p. 281, 291. 1° Cfr. Opp. lat., Il, 1, pp. 107 - 115. 2° Opp. lat., II, 1, p. 56. 2h qui alle pp. 51-61. 120 CLAVIS UNIVERSALIS scrizione degli elementi costitutivi dell'universo mediante il riferimento ai nove subiecta dell’arte.” Alla luce di queste considerazioni non apparirà più soste- nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera come il De progressu et lampade venatoria logicorum dell’ 87 sarebbe « un compendio della topica aristotelica » affatto indi- pendente dai commenti all’arte lulliana.°? Il ricorso alle im- magini del campo, della torre, del cacciatore permette di colle- gare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla memoria, mentre l’esplicito riferimento alle figure consente un accosta- mento alla tematica del lullismo.?* Ma non si tratta solo di ragioni “interne”; in molti dei testi dell’enciclopedismo cin- quecentesco (si pensi per esempio allo scritto /2 RAetoricam Isagoge del 1515) il lullismo appare fortemente intrecciato ai temi della cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche Bruno fu fortemente interessato al problema di una “applica- zione” dell’arte alla retorica e alla fisica: nell’Artificium pe- rorandi (dettato a Wittenberg nell’ ’87 c pubblicato dallo Al- sted nel 1610) egli tenta una applicazione della mnemotecnica lulliana ai diversi tipi del discorso retorico, mentre nella Figu- ratio aristotelici physict auditu del 1586 avvia una traduzione in immagini dei concetti centrali della fisica aristotelica. Nei testi londinesi del 1583 le complesse immagini dei sigilli erano state assunte da Bruno a indicare non direttamente gli oggetti da ricordare, ma le regole stesse dell’arte. Ma più che su questi testi,°° peraltro molto significativi, gioverà qui sotto- lineare la valutazione del lullismo che è presente nel De lam- pade combinatoria del 1587: Agrippa non riuscì a penetrare (« aut prorsus non penetravit, aut non satis ») nel valore dimo- strativo della combinatoria e si servì dell’arte per celebrare se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considera- zione furono i tentativi di Lefèvre e di Bovillus; solo attraverso la riforma bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- 22 Cfr. Opp. lat., Il, 2, pp. 12, 41-49. 29 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 15. 24 Cfr. Opp. lat., Il, 3, pp. 12-13. 25 Cfr. qui alle pp. 53-55. Si vedano le considerazioni del Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit.,, p. 293 ss. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 121 mento ed è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: « artem hanc a Raymundo Lullo adinventam ita complevimus ut ab omni contemptibilitatis praetextu vindicavimus... ut om- nino impossibile sit ei aliquid amplius adiicere ».°” In questo rapido quadro assume un rilievo tutto particolare il richiamo a quella comune fonte dalla quale derivarono la metafisica teologica di Scoto Eriugena, l’arte lulliana, i misteri di Cusano, la medicina di Paracelso: Hic super illius adinventionem excolendam claboravi- mus, cuius genium summi philosophorum principes ha- biti admirantur, persequuntur, imitantur; unde Scoti- gena thcologicam metaphysicam, vel metaphysicam (quam scholasticam appellant) theologiam, cum subtilibus aliis extrassisse constat; a quo admirandum illud vestratis Cusani quanto profundius atque divinius, tanto paucio- ribus pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, quac in multiplici suac doctrinae torrente delitescunt, fontes hausisse fatetur; a quo novus ille medicorum princeps. Paracelsus...?* Le ragioni di questi accostamenti apparvero già chiare al Tocco: l’opera di Lullo fu valutata dal Bruno come una delle principali espressioni di quel neoplatonismo che, muo- vendo dalla identità di ideale e reale, ritiene di poter proce- dere ad una costruzione della realtà mediante la determina- zione del movimento delle idee. Mentre si configurava come un rifiuto della logica tradizionale e andava sostituendo le immagini ai termini e la topica all’analitica, l’arte bruniana si muoveva su un terreno ben diverso da quello delle indagini dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una tecnica lin- guistica o retorica, intendeva aprire possibilità di prodigiose avventure e di costruzioni totali: « Quaedam vero adeo arti videntur appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus om- nino suffragari: haec sunt Signa, Notae, Characteres et Sy- Gilli: in quibus tantum potest ut videatur agere praeter natu- ram, supra naturam, et, si negotium requirat, contra natu- ram ».°° Il fine dell’arte non consiste semplicemente in un raf- forzamento della memoria o in un potenziamento delle fa- Opp. lat., 11, 2, pp. 327, 235. Opp. lat., II, 2, p. 234. Opp. lat., II, 1, p. 62. W n US] » (2) 122 CLAVIS UNIVERSALIS coltà intellettuali: essa «ad multarum facultatum inventio- nem, viam aperit et introducit ». Non a caso nei testi più signi- ficativi della magia bruniana troviamo ancora presente il ricor- so ai sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti e alle cerimonie come elementi costitutivi ed essenziali di quel linguaggio mistico-rituale che, solo, può aprire la strada a colloqui divini: «cum certo numinum genere non nisi per definita quaedam signa, sigilla, figuras, characteres, gestus ct alias cerimonias, nulla potest esse participatio ».°° Nella conce- zione bruniana della magia come forza ministra e dominatrice della natura, capace di intendere le segrete corrispondenze fra le cose e di cogliere le formule ultime della realtà, in opere come il De Magra, le Theses de Magia, il De Magia mathe- matica trovavano davvero la loro risoluzione i problemi dibat- tuti nelle opere mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un universo unitario che va interpretato e decifrato mediante i simboli giungeva qui, come già nel Sygil/us, al suo pieno compimento: Una lux illuminat omnia, una vita vivificat omnia... Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit una omnium vita, unum in omnibus lumen, una boni- tas, et quod omnes sensus sunt unus sensus, omnes no- titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote notitia, sensus, lumen, vita sunt una essentia, una virtus et una operatio."? Alla comprensione della magia bruniana, del grandioso tentativo del Nolano di dar luogo ad un'arte capace di av- vicinare gli uomini ponendosi come strumento essenziale ad una riforma delle religioni, potrebbe giovare non poco un esame, analiticamente condotto, dei rapporti fra il Bruno lul- liano e mnemotecnico e quello, più noto, delle opere mag- giori. Da un tale esame potrebbero forse derivare anche con- tributi non trascurabili ad una comprensione della lingua e dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua prosa ita- liana sarebbe difficile continuare a vedere (come vuole uno storico insigne della letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 30 Opp. lat., HI, pp. 412-13 (De Magia). * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 303. Opp. lat., III, pp. 393-454; 455-91; 494-506. 32 Opp. lat., II, 2, p. 179. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 123 l'abbondanza della vena ». Il compito delle immagini, poste accanto ad un soggetto, è quello di « presentare, effigiare, de- notare, indicare, per esprimere e significare a somiglianza della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- gini deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, contenuti nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- bile unità. Dietro il continuo ritorno delle immagini, l’ab- bondanza delle ripetizioni, il succedersi dei simboli che in- tendono raffigurare sensibilmente i concetti stavano in realtà anche precise convinzioni di natura “filosofica”: « philosophi sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poe- tae, veri pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; non est enim philosophus nisi qui fingit ct pingit... ».!° Zi COMBINATORIA, ARS MEMORATIVA E MAGIA NATURALE NEL SE- coro XVII. Esaminando le enciclopedie e i teatri universali della se- conda metà del Cinquecento, considerando i testi bruniani, abbiam visto che l’ars memorativa di derivazione ‘cicero- niana”, mentre si congiungeva con l’eredità della tradizione lullista, si collegava anche strettamente ai temi di una metafi- sica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli ideali della magia e dell'astrologia, al gusto per le immagini, i simboli, le cifre, le imprese e le allegorie. La ricerca di una «chiave universale » capace di decifrare «l’alfabeto del mon- do » e di individuare la trama costitutiva della realtà, l’aspi- razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo « specchio » fe- dele della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a fini diversi da quelli originari le tecniche della memoria arti- ficiale. Inseriti nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una magia rinnovata, gli accorgimenti per la costruzione di un'arte memorativa avevano finito per perdere ogni contatto con il terreno delle scienze mondane della dialettica, della retorica, «della medicina e per apparire miracolosi strumenti per il rag- giungimento del sapere totale o della pansofia. Su questo terreno si mossero, nella prima metà del secolo 24 Cfr. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 97. 124 CLAVIS UNIVERSALIS XVII, non pochi fra i sostenitori e i seguaci delle arti mnemo- niche e del lullismo. Fra il 1617 e il 1619, negli anni stessi che vedevano il giovane Cartesio interessato al lullismo e alle arti della memoria, vedevano la luce a Lione le opere di Johannes Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria artificialis hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars memoriae dello Schenkel, un testo ben noto a Cartesio. Negli Artificiosae memoriae fundamenta e nella Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, il Paepp si soffermava ad illu- strare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane e tomiste sulla memoria, ma mostrava di aver subìto anche le influenze del lullismo e dei suoi esponenti più significativi, dal Bruno allo Alsted.** Proprio sulle tracce di quest'ultimo, in aspra polemica con i denigratori dell’arte, egli sosteneva la oppor- tunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- tecnica: mentre la prima appare necessaria ad alcune arti e discipline, la seconda è indispensabile ad ogni forma di sa- pere.?® Mentre sottolineava la funzione mnemonica dei circoli lulliani °° e dettava accorgimenti per decifrare i testi dell’ars notoria, il Paepp eliminava non a caso ogni distinzione tra “ciceroniani” e “lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra 94 Jon. Paerr, Arzificiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Cicc- rone, Thoma Aquinate, altisque praestantissimis doctoribus petita, fi- guris, interrogationibus ac responsionibus clarius quam unquam ante- hac demonstrata, Lugduni, apud Bartholomeum Vincentium, 1619; Eisagoge, seu introductio facilis in praxin artifiosae memoriae, ibidem, 1619; Schenkelius detectus, seu memoria artificialis hactenus occultata, ibidem, 1617 (copie usate: rispettivamente Triv. Mor. L. 430; 430 (2); M. 17). 95 «Sed miror cur cidem (i negatori dell’arte) non et logicam artifi- cialem nigro calculo notent. Ut enim logica artificiosa intellectui rerum cognitionem secutius venatur, sic artificiosa memoria acquisitam ac comparatam cognitionem tenacius conservat ac tuetur naturali; quare Alstedius non minus hanc ad omnes artes et disciplinas, quam istam ad nonnullas necessariam probat » (Artificiosae memoriae fundamenta, cit., p. 10). 26 Sulla funzione dei «circoli » cfr. gli Artificiosae memoriae funda- menta, cit., pp. 13, 49, 52; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- segnamento dell’ arte cfr. p. 99-02, dove vengono dettate due regole fondamentali: « 1) Legendum more hebraico, puta ordine retrogrado; 2) Alpha et omega sunt otiosa id est primae et ultimae literae non habetur ratio » osras significa ars; codrot ordo, bogamir imago ecc ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 125 i fondatori e i teorici dell’arte, Quintiliano e Cicerone, Lullo e Gratarolo, Pietro da Ravenna e Romberch, Rosselli e Gior- dano Bruno, Schenkelius e Alsted.?* Non poche delle sue pa- gine appaiono dedicate a discutere le posizioni bruniane e, come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli dèi antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in una elencazione di temi iconografici (« Saturnus, homo senex, pannosus, capite aperto, altera manu falcem, altera vero nescio quid panno involutum gestans... Iupiter apud veteres effin- gebatur sedens, in inferioribus partibus nudus... »).°* Più volte, negli scritti del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni e minuziosi resoconti di miracolosi fenomeni di capacità mne- moniche.?® Più che a una discussione dei temi attinenti alla retorica o alla enciclopedia, il Paepp è fortemente interessato alla descrizione dei mirabili risultati cui si può pervenire con l’aiuto dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars reminiscendi venivano qui utilizzate su un piano che presenta non pochi punti di contatto con quello della magia e dell’oc- cultismo: mediante l’arte è possibile trasformare rapidamente un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di prodigiose virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti e dei reggitori della cosa pubblica. Già in Bruno, abbiamo visto, la tematica del lullismo e dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle aspirazioni e agli ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte memorativa si configuravano spesso come progetti di fonda- zione di un’arte mirabile capace di condurre entro i segreti della natura e di decifrare la scrittura dell’universo. Non si trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità mnemo- niche: la tecnica lulliana si pone in Bruno come ricerca e definizione dei ritmi della natura; il riferimento ai subiecta dell’arte consente di determinare contemporaneamente i prin- 2? Cfr. Eisagoge seu introductio, cit., p. |. °* Per i rapporti del Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti intorno alla fama del Bruno nei secoli XVII e XVIII, in « Società », XIV, 1953, n. 3, p. 517-518. Per l’uso delle immagini degli dèi anti- chi in Paepp cfr. gli Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 86, 89 (ma cfr. alle pp. 86 - 113). °° Cfr. Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 55-56 e soprattutto Schenkelius detectus, cit., pp. 31-39. 126 CLAVIS UNIVERSALIS cipi del discorso e gli elementi costitutivi della realtà. All'arte bruniana della memoria, in quanto prodotto magico o arte segreta capace di ampliare smisuratamente le possibilità uma- ne, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, Giovanni Mocenigo. Un discorso certo molto diverso, ma non in tutto dissimile converrebbe fare per Campanella che amò anch'egli presentarsi come dotato di miracolose facoltà: al cardinale Odoardo Farnese egli assicurava di poter insegnare filosofia naturale e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia e medicina con un metodo speciale che avrebbe consentito di realizzare in un anno maggiori risultati di quelli ordinaria- mente conseguibili con dieci anni di normale insegnamento. Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità di una straordinaria « facilità » di apprendimento, ritroviamo nelle pagine della Città del Sole. Prima di dieci anni, i fan- ciulli della città solare apprendono «senza fastidio » tutte le scienze servendosi di quella gigantesca enciclopedia che risulta dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei muraglie.'° Questo ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in Cam- panella, un significato non trascurabile: all’enciclopedismo lullista, fondato sui termini e sui procedimenti logico-mate- matici, egli ne contrappone un altro fondato sulle immagini sensibili delle cose. Nel perduto De investigatione rerum, composto fra il 1587 e il ’91, Campanella aveva fatto riferi- mento ad una dialettica ex solo sensu che classificava gli og- getti del senso in nove categorie « ut quilibet de quacumque re non per vocabula tantum, ut Raymondo Lullio mos est, sed per sensibilia obiecta ratiocinari posset ». A questa stessa esigenza di un sapere non verbale, fondato sul senso e sulle cose, rispondono del resto le osservazioni, svolte nel De sensu rerum et magia del 1620,** sulla memoria come « senso anti- cipato », le sue critiche alle tesi della medicina peripatetica, la sua affermazione che sia possibile operare sulla memoria con i ritrovati della medicina, la identità, più volte affermata, di 4° Per l’enciclopedia dipinta sulle muraglie e per la facilità dell’ ap- prendimento delle scienze cfr. La città del sole, in Scritti scelti di G. Bruno e di T. Campanella, a cura di L. Firpo, Torino, 1949, pp. 412- 415, 419. 4! Del senso delle cose e della magia, Bari, 1925, pp. 98- 100. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 127 memoria e imaginativa. Si comprenderà anche, tenendo pre- senti queste considerazioni, come egli potesse guardare con simpatia alla « memoria locale » che fa larghissimo uso di immagini sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- motecnica “citeroniana” appaiono in tal modo a Campanella una conferma della sua definizione della memoria come « sen- so indebolito »: « l’arte della memoria locale, al senso esposta in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per simi- glianza, mostra che la memoria sia senso indebolito che così si rinnova e fortifica ». Quell’arte della « memoria locale », alla quale faceva rife- rimento il Campanella, non mancò certo di cultori nel corso del secolo XVII: negli scritti di Filippo Gesualdo e di Gero- lamo Marafioto, di Johannes Austriacus e di Adam Bruxius, di Francesco Ravelli e dello Schenkel, di John Willis e di Velasquez de Azavedo,* ritornavano i temi e le regole della 42 Cfr. JoannIs MarciRI, De memoria artifictosa, Francofurti, 1600 (Fir. Naz. 3.8.530); la Plutosofia del Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- sualdo dei Minori Conventuali nella quale si spiega l’arte della me- moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro, 1600 (Triv. Mor. H. 65); F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per luoghi et imagini et figure poste nella mani, Venezia, 1605 (Triv. Mor. M. 68); la traduz. latina dell’opera del Marafioto: De arte remuni- scentiac per loca et imagines ac per notas et figuras in manibus post- tas fu pubblicata nel 1610 e inserita nella edizione (qui di seguito ci- tata) del Gazophylacium artis memoriae dello Schenkelius alle pp. 273 - 338. Nella stessa edizione, alle pp. 183-272 è inserito il De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (Angelica, SS.1.24); fra i commentatori del De memoria dello Schenkel (pubblicata per la prima volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di Martin Sommer (Vene- zia, 1619) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il Morhof (Po- Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in gratiam et usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, 1617 di Francesco Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più interessante è il Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... tabulis expressa... cui accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- pensis T. Schureri, 1610 di Adamus Bruxius (Par. Naz. Z. 7878 - 7879) poi ristampata nel 1640. Ad un anonimo professore di Lipsia si deve l'Ars memoriae localis plenius et luculentius exposita... cum applica tone ciusdem ad singulas disciplinas et faculates, Lipsia, 1620. Non sono riuscito a vedere questo testo né JoHANNES VELASQUEZ DE AZAVEDO, Fenix de Minerva y arte de memoria que ensena sin maestro a apren- der y retenir, Madrid, 1620 (il titolo riecheggia quello del Ravennate). 128 CLAVIS UNIVERSALIS mnemotecnica “classica”, venivano commentate e discusse le opere sulla memoria di Aristotele, di Cicerone, di Quintiliano, di Tommaso, di Pietro da Ravenna, si tentavano combinazioni e sintesi tra la mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria di Lullo, si costruivano teatri ed enciclopedie, sî escogitavano nuove, più complicate immagini, si conducevano discussioni sui segni, sui gesti e sui geroglifici. Più che questi testi, che contribuiscono a diffondere una tematica già largamen- te nota e ad alimentare discussioni da tempo iniziate, ap- paiono degni di considerazione altri scritti nei quali la ma- gia non costituisce soltanto — come per Bruno e per Cam- panella — lo sfondo culturale sul quale si collocano le arti della memoria, ma offre a queste una precisa giustificazione di ordine teorico. In questi scritti la connessione tra le tecniche magiche e quelle della memoria viene esplicitamente teoriz- zata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto di magia. Nella Magia naturalis di Wolfgang Hildebrand A Lipsia- Francoforte, nel 1678 vedeva infine la luce, con il titolo Variorum de arte memoriae tractatus selecti, una raccolta di scritti com- prendente le opere dello Schenkel, del Ravelli, del Paepp, dell'Au- striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è figura particolar- mente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell’arte mne- monica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morho- fius, I, 374 — magno cum successu suo nec sine insigni suo lucro exercuit ») fu accusato dì stregoneria durante un suo soggiorno all’ Uni- versità di Lovanio, riuscendo poi ad ottencre protezione ed appoggio dalla facoltà teologica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1695: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- gerberg l’opera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- moriace, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610 (Angelica. SS. 1. 24). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae, 1589 ec una raccolta di Flores et sententiac in- signiores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s.)., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Kliber, Erlangen, J. J. Palm, 1804. All’insegnamento di quest'auto- re si richiama anche la curiosa enciclopedia di Aprian LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémoire découvert par Schen- Relius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, ]J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 129 (1610) la creazione della memoria artificiale viene presentata come la applicazione dell’arte magica ad una particolare forma dell’operare umano.‘ Nella Regina scientiarum e nella Enciclopaedia Pierre Mo- restel insiste su temi largamente diffusi: la regina delle scienze, che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto particolare, ha caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come totalmente autosufficiente, da essere in grado di consentire il pieno raggiungimento della verità in ogni ramo del sapere. All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla dottrina dei luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova arte della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti la trattazione dei temi del lullismo e della mnemotecnica si collega con quella della filosofia occulta dei filosofi presocra- tici, con l'interpretazione delle favole antiche, con la tematica della cabala, con la ricerca di una chiave universale.*' Alla 49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und Wunderbuch, darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi- che... Leipzig, 1610. 44 Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive artificiosa ratio et via cir- cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de omnibus disputatur habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano, 1646 (Par. Naz. Z. 19006); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, en forme de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- losophie morale extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray, 1607 (Par. Naz. V. 21888); Les secrets de la nature... contenant presque tous les préceptes de la philosophie naturelle extraite des fables anciennes, Paris, R. de Beauvais, 1607 (Par. Naz. J. 25112); Artis kabbalisticae sive sapientiae divinae academia, Parisiis, apud M. Mondière, 1621 (Par. Naz. A. 7729); Regina omnium scientiarum qua duce ad omnes scien- tias et artes, qui literis delectantur facile conscendent, Tremoniae, apud Jodocum Kalcovium, 1664 (la prima ediz. è Rothomagi, 1632) (Casanat. M. XIX. 4). La definizione dell'arte di Lullo, presente in questi testi, è ricalcata secondo schemi convenzionali: « Ars R. Lullii non vul- garis, non trivialis, non circa unum aliquod obiectum occupata, sed ars omnium artium regina... Huius artis ea est excellentia praestan- taque, ea generalitas ac certitudo, ut, se sola sufficiente, nulla alia praesupposita... cum omni securitate et certitudine... de omni re sci- bili veritatem ac scientiam non difficulter invenire faciat ». Più inte- ressante è l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica: “ Artificium igitur memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et Imaginibus; quidni igitur dabitur aliqua ars memoriae quae terminis constabit? Talis est ars Lullii, cuius termini generales patefaciunt adi- 130 CLAVIS UNIVERSALIS medicina mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione dell’aristotelismo, si richiama invece l’anonimo autore di un Ars magica pubblicata a Francoforte nel 1631 che dedica alla memoria e alle immagini astrologiche impiegate per raffor- zarla, due capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philoso- phicum medicum, sive ars nova reminiscentiae (1639) di La- zare Meyssonnier, medico del re di Francia e corrispondente di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di chiromanzia e di fisiognomica, ritornano i temi della medicina della memo- ria, del lullismo, della cabala. Nella Belle magie ou science de l’esprit egli presentava, in funzione della medicina magica, un « methode de conduire la raison » e una «logique natu- relle pour resoudre toutes sortes de questions ».'° Questa stessa esigenza di un metodo universale si accompagna, nei testi di medicina magica di Jean d’Aubry, alla affermazione di una scienza unitaria e suprema rispetto alla quale le parti- tum non solum ad inventiones plurimas... sed etiam maxime faciunt ad memoriam, cum sint quasi via artificiosa et methodica ad corri- gendum defectum, roborandam infirmitatem et sublevandam virtutem memoriac naturalis ». (Cfr. Regina scientiarum, cit., pp. 19, 318). 45 Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum philosophicim - medicum sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus philosophiac naturalis et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium arcanorum na- turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost fratres, 1639 (Par. Naz. 4. T. 19-20); La delle magie ou science de l'esprit contenant les fondemens des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes connoitssances de ce temps, Lyon, chez Nicolas Caille, 1669, pp. 322, 350 (Triv. Mor. M. 114). Delle suc competenze astrologiche ci dà testi- monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres avoir durant vingi-cinq ans cxaminé soigneusement les écrits et les observations de ceux qui ont traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé ct jugé plus de deux mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement horoscopes... » Cfr. Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan, Munfredus et plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- chel Duhan, 1657, p. 1 (Triv. Mor. M. 194). La teoria del conarinrm so- stenuta dal Meyssonnier nel Pentagonum e nella Belle magie dovrebbe essere studiata anche in vista di una comprensione dell'atteggiamen- to assunto da Descartes verso questo curioso personaggio. Per i con- tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la lettera di Meys- sonnier a Mersenne del 25.1.1639 ricordata in Adam et Tannery, HI, p. 17, la prima lettera a Descartes è andata smarrita e così pure la risposta alla lettera cartesiana del 29.1.1640 (Adam et T., III, p. 18); si vedano anche le lettere di Descartes a Mersenne del 29. |. 1640, del 1.4. 1640 e del 30. 7. 1640 (Adam cet T., III, pp. 15, 47, 120). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 131 colari scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia le linee di una grande enciclopedia, egli insiste energicamente sulla sostanziale unità del sapere e sulla artificialità di ogni separazione tra le singole discipline : « Dans les trois premiers chapitres tu y verras toutes les connoissances du monde et un ordre de toutes choses.... Et tu apprendras aussi dans le troisième chapitre qu'il n'y a qu’une seule science parce qu'il n’y en a qu’une seule laquelle donne reponse sans user d’aucune espece de divination.... La science... laquelle me donne des resolutions et reponses infaillibles de toutes choses, comme estant la règle de toute verité ».*° Anche nei testi di Robert Fludd, che è il più noto e signi- ficativo esponente dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico del Seicento, troviamo un’ampia trattazione, del resto con- dotta secondo canoni assai convenzionali, dell’arte memora- tiva.!” 15 Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la merveille du mon- de, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes de mala- dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et demonstra- tions infaillibles, A Paris, chez l’auteur, 1661, avvertimento al pubbli- co, pp. non numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina, IV. 1347). In que- sta ediz. francese, che segue a quella latina del 1660 — Triumphus ar- chei et mundi miraculun sive medicina universalis, Francofurti, 1660 (Braid. A. XIII. 2388) — è compresa, in appendice, la Apologie contre certatns docteurs en médicine... respondant à leurs calomnies que l'au- theur a guéry par art magique beaucoup de maladies incurables et aban- donces, già pubblicata a Parigi nel 1638. Fra gli scritti più particolar- mente dedicati a Lullo si veda la traduzione della Blanquerna (Le Triomphe de l'amour et l’eschelle de la gloire, ou la médicine univer- selle des ames, ou Blanquerne de l'amy et de l'aimé, Paris, s.d. Par. Naz. R. 6217), l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances et des beaux secrets de saint Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz. To. 131. 113) e Le firmament de la vérité contenani le nombre de cent démons- trations... qui preuvent que tous les prestres... abbés, commandataires, prédicateurs et bernabites doivent étre damnés éternellement s'ils ne vont prescher l’ Evangile aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans et Mahométans, Grenoble, J. de la Fournaise, 1642 (Par. Naz. D. 2. 5652). Ma si vedano a pp. 155-61 della Apologie (ediz. 1661, cit.) le otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i libri di Lullo « doi- vent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ». 4° R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- turali et contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- ronimi Galleri, 1619, pp. 47-70. 132 CLAVIS UNIVERSALIS 9 In piena atmosfera magica ed ermetica ci riporta anche il Traicté de la memoire artificielle pubblicato a Lione, nel 1654, da Jean Belot e inserito, a guisa di appendice, nelle Fami:- lières instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie et Phystonomie.** L° intera combinatoria lulliana viene iden- tificata dal Belot con una «memoria artificiale »j mediante la miracolosa invenzione di Raimondo, « homme d’exquise erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il cam- mino della scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il rapido apprendimento dei princìpi fondamentali e costitutivi i ogni ramo del sapere. Per svelare l’essenza dell’arte, che Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi, per su- perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di La- vinheta, per mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte estoit necessaire à ceux qui font profession de faire sermons... ou quelque trafic de marchandise »), Belot propone di asso- ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle figure della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- roniana, le figure e i termini in uso nell'arte chiromantica.** Nonostante le pretese di assoluta novità, le « ruote » delle quali 18 Cfr. Les Oeuvres de Jean Belot... contenant la chiromance, phy- sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle, traité des devinations, augures et songes, les sciences steganographiques paulines et almadelles et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière, 1654, pp. 329-345 (Triv. Mor. L. 88). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di Rouen, chez Pierre Amiot, 1688 (Triv. Mor. L. 80) poi ristampata a Liegi nel 1704. Sulle arti « paulines et almadelles » si veda la nota di L THoRnpikE, A/fodhol and Almadel: hitherto unnoted books of magic in florentine manuscripts, in « Speculum », 1927, pp. 326 -31. Le opere del Belot, che si mostrò favorevole alla teoria copernicana e parlò, nel 1603, di rourbillons de matière, andrebbero esaminate più detta- gliatamente di quanto non abbia fatto il Thorndike (History of ma- gic and experimental science, VI, pp. 360-62; 507-10) anche perché in esse sono presenti evidenti tracce delle posizioni ramiste: cfr. per es. alle pp. 52, 56 dell'edizione del 1654 e alle pp. 62-63 e 67-68 dell'edizione del 1688. A Bruno, come ad uno dei maggiori teorici del- l’arte, Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959. 4° Les oeuvres de ]can Bellot, ediz. 1654, cit., pp. 330, 331, 333-34. Per la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr. l’opera di G. MararioTo, qui sopra citata alla nota 42. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 133 il Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di Agrippa, mentre non mancano, in più punti, echi della trat- tazione bruniana. Proprio da Agrippa e da Bruno egli trae infatti la convinzione — in seguito sostenuta con maggior ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione tra retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- l’altro. Il titolo del suo trattato è, da questo punto di vista, assai indicativo: « La rhetorique par laquelle on peut discourir de ce qui est propre en l’oraison et de disputable par dialecti- que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres arts plus secrets qui sont icy compris par une seule legon necessaire en tout art ».5° Le finalità di una retorica e di una dialettica fondata sul lullismo e sulla tradizione magico-alchimistica vengono presentate, non a caso, come coincidenti con quelle che già furono proprie dell’antica sapienza ebraica e dei sostenitori della cabala: Ce que l’antiquité a recherché avec beaucoup de labeur toutesfois sans en avoir acquis la parfaite connoissance, je te le donne tout entier: c'est ce qu'ont voulu acquerir les Prophetes, Mages, Rabins, Cabalistes et Massorets, et depuis eux le docte H. C. Agrippa.5! Portando la retorica e la dialettica sul piano delle «arti segrete », mescolando la combinatoria alla cabala, all’astro- logia, alla medicina magica, facendo corrispondere alle cinque partizioni della retorica nuove partizioni attinte alla tradi- zione ermetica,°® Belot portava così all’esasperazione, intorno alla metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue più fortunate espressioni nell’opera di Agrippa, di Bruno, di Giulio Camillo. I primi scritti del Belot risalgono al 1620: 5° Cfr. Les oeuvres, cit., p. 1 della seconda parte. °l Les oeuvres, cit., prefazione. 52 Les oeuvres, cit., p. 3 della seconda parte: « Pour les parties, elles regoivent toutes les cinq pour bonnes et utiles, mais il y en a cinq autres particulieres aussi: car pour la memoire, elle a l’Art notoire...; pour l’action ou pronunciation, l’art Paulin et pour les autres parties, a pour l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition la seconde par- tie de la Theurgie et pour l’invention l'art des revelations, que Tri- theme dit venir d’ Ophiel, esprit Mercurial ». 134 CLAVIS UNIVERSALIS qualche anno prima Bacone e Cartesio avevano assunto un atteggiamento fortemente polemico contro questo tipo di let- teratura. Su un punto essi avevano concordemente insistito: su questo piano la combinatoria lulliana e le arti della me- moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi stupe- facenti atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le scienze. V. LA MEMORIA ARTIFICIALE E LA NUOVA LOGICA: RAMO, BACONE, CARTESIO 1. Pierre DE LA RAMÉE: LA « MEMORIA » COME SEZIONE DELLA LOGICA. L’eredità delle discussioni quattrocentesche sull’ ars me- morativa non era stata tuttavia raccolta solo dagli esponenti della magia e dell’ermetismo del Cinquecento e del primo Seicento. Su un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- tazione dei temi della dialettica e della retorica concepite come scienze mondane, in ambienti diversi, attenti alle dispute lo- giche, interessati agli sviluppi della matematica e della geo- metria, era andato maturando, fin dalla metà del secolo XVI, il tentativo ramista di inserire i problemi attinenti alla me- moria e le regole della mnemotecnica entro una più vasta ri- cerca concernente la riforma dei metodi di invenzione e di trasmissione del sapere. Il problema degli « aiuti della memo- ria » giungerà per questa via ad acquistare una singolare risonanza anche nei testi dedicati, nella prima metà del se- colo XVII, ed una riforma del metodo: Bacone vedrà nella ministratio ad memoriam un elemento costitutivo del nuovo metodo delle scienze; Cartesio parlerà, a proposito della enu- merazione, di un movimento continuo del pensiero che ha lo scopo di recar soccorso alla naturale infermità della memoria. Più che in Francia, dove pure vedono la luce nella prima metà del Cinquecento non pochi testi di ars memoraziva, la tradizione ciceroniana che si ispirava in tutta Europa all'opera di Pietro da Ravenna, aveva trovato in Italia, come abbiamo visto, i suoi più fortunati e clamorosi sviluppi. Per quanto riguarda la Francia è dunque il caso di insistere — trascu- rando testi come la Memoria artificialis del Campanus e l’Ars memorativa del Leporeus (Parigi, 1515 e 1520)* che si Non ho visto l'opera del Campanus delle cui caratteristiche discorre il Morhofius; dell’Ars memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis ho visto l'edizione parigina del 1520, in Chalcographia Iodoci Badii Ascensii (Triv. Mor. H. 416). 136 CLAVIS UNIVERSALIS limitano a riecheggiare stancamente l’opera del Ravennate — sulla posizione assunta, di fronte al problema dell’ars me- moriae dal maggior esponente degli studi logici e retorici di questo periodo della cultura francese. Invece di teorizzare l’arte mnemonica come una tecnica autonoma, costruita in vista di fini pratici ben determinati e indipendente dagli svi- luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo? si preoccupa proprio dei rapporti che intercorrono fra la « memoria » da un lato e la dialettica e la retorica dall’altro. La sua opera di riformatore intende dar luogo a questo risultato: staccare de- cisamente la memoria dalla retorica, alla quale una secolare tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno degli elementi costitutivi della dialettica o della nuova logica. Ramo, com'è noto, amò presentare la sua riforma come un ritorno agli insegnamenti della filosofia classica, come una semplificazione e una chiarificazione di quell’insegnamento aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla confu- sione terminologica degli scolastici e da quella tradizione reto- rica che fa capo agli scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in una brillante esercitazione, aveva inteso mostrare la falsità di tutte le proposizioni aristoteliche, non esiterà poi a dichiarare in modo significativo: « Libros veterum conservemus et ad eos, cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex eorum libris collectam puram veramque doceamus ».° Né esiterà a rintracciare, negli stessi testi aristotelici, i fondamenti delle sue proprie partizioni della dialettica (« Qui partitur logicam in inventionem et dispositionem, Aristoteli authore partitur »).* ? Per qualche indicazione sulla bibliografia intorno a Ramo cfr. la mia rassegna Ramismo logica e retorica nei secoli XVI e XVII, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, HI, pp. 359-61. Agli studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- viLLe, La genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in « Revue de l'Université d’Ottawa », 1953, pp. 322-55; La dialectique de P. Ramus, in « Revue de l’ Univ. de Laval », 1952-53, pp. 608 - 616; P. Dion, L'influence de Ramus aux universités néerlandaises du XVII siècle, in Actes du Xle Congr. Int. de Philosophie, Louvain, 1953, XIV, pp. 307-11; R. Tuve, /Imagery and logic, Ramus and methaphysical poetics, in «Journal of the history of ideas», 1942, IV, pp. 365-400. ® P. Ramus, Scholae in liberales artes, Basilea, 1569, pp. 157-158. 1 Scholae in liberales artes, cit., p. 63. RAMO, BACONE, CARTESIO 137 Ancora ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire quella con- giunzione di filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in una celebre orazione del 1546: « Aristoteles intelligendi pru- dentiam cum dicendi copia coniunxit: et cum antea matutinis ambulationibus philosophiam solam doceret, pomeridianis etiam rhetoricam docere coepit ».* Per ricostruire nel suo vero significato il senso dell’insegnamento aristotelico, per portare alla luce le verità che nei testi aristotelici sono presenti, anche se solo accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni indebita commistione di grammatica dialettica e retorica: alla prima andranno riferiti solo i problemi attinenti alle etimo- logie, alla seconda soltanto l’arte dell’invenzione e quella del giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi alla trattazione delle tecniche dello « stile » e del « porgere », alla capacità di ador- nare e trasmettere il materiale prodotto dalla ricerca dialettica. Nella storia della logica e in quella della retorica si è veri- ficato, per Ramo, un errore fondamentale che ha finito per snaturare profondamente il senso della prima e della seconda. Si è ammesso con Aristotele e si è poi sostenuto con Cicerone e con la Scolastica che fosse possibile costruire due diverse logiche valide l'una nel campo della scienza, l’altra nel regno dell'opinione e del discorso popolare, adatta la prima ai sa- pienti, la seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene energicamente rifiutata da Ramo: la teoria della inventio e della dispositio è una sola, valida in ogni campo e in ogni tipo di discorso.® Aver creduto all’esistenza di due diverse logiche ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini affine a quella della quale si è reso responsabile Quintiliano quando, oltre a confondere dialettica e retorica, ha aggravato ulteriormente la situazione mescolando ai temi della retorica quelli propri dell’etica: Duae sunt universae et generales homini dotes a natura tributae: ratio et oratio; illius doctrina dialectica est, huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- 3 Cfr. la Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis Lutetiae habita anno 1546, riedita nelle Brutinae quaestiones in Ora- torem Ciceronis, Parisiis, apud Jacobum Bogardum, 1547, p. 45r. (Padova, Antoniana, T.V. 5). ° Cfr. Dialectique, 1555, pp. 3-4. 138 CLAVIS UNIVERSALIS rales humanac rationis vires in cogitandis et disponendis rebus persequatur; grammatica orationis puritatem in ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum interpretetur. Rhetorica orationis ornatum tum in tropis et figuris, tum in actionis dignitate demonstret. Ab his deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae artes sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- thor fuit: inventionem rhetoricae partem primam facit, falso, ut antca docui, quia dialecticae propria est; sed tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices artes primo artis universae loco conturbat in probationibus... Quintilianus concludit materiam Rhetorices esse res om- nes quae ad dicendum subiectac sunt... Dividitur rheto- rica in quinque partes: inventionem, dispositionem, cle- cutionem, memoriam ct actionem. In qua partitione nihil iam miror Quintiliamum dialectica tam nudum esse, qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non potucrit agnoscere, cum dialecticae sunt inventio, disposi- tio, memoria; rhetorica tantum clocutio cet actio.? Sulla separazione della dialettica dalla retorica Ramo ebbe ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che il retore non potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede di dialettica rispondeva che la congiunzione dialettica-retorica, presente nei vari discorsi umani, non escludeva affatto, anzi esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra la teoria della dialettica e quella della retorica: Non potest... sine numeris Geometria, Musica, Astrologia consistere: an propterca hae artes numeros explicare et sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut iam toties dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen confundenda non sunt, sed propriis et separatis studiis declaranda.8 Le artes logicae comprendono dunque per Ramo la dialet- tica o logica e la retorica: la prima si articola nella inventio e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio. Identificando, sulle traccie di Quintiliano e di Cicerone, la dispositio con il iudicium (il secondo libro della Dialectica, ® Cfr. Rhetoricae distinctiones in Quintilianum, Parisiis, apud An- dream Wechelum, 1559, p. 18; Ciceronianus ct brutinae quaestiones, Basilea, Petrus Perna, 1577, p. 329; RAetoricae distinctiones, cit., p. 43, * Scholae in tres primas liberales artes, Francofurti, apud Andrcam Wechelum, 1581, p. 3I (Fir. Naz. V. 8.37). RAMO, BACONE, CARTESIO 139 noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio et argumentis disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- zione della dispositio quelle parti della dialettica che si rife- riscono all’assioma o proposizione, al sillogismo e al metodo: Duae partes sunt artis logica: topica in inventione ar- gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- rum, (sic cnim nominatur in Organo) et analitica in corum dispositione.... Dispositio est apta rerum inventarum collo- catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi- natur, quia sillogismus de omnis iudicandis communis regula est.... Dialecticae artis partes duae sunt: inventio et dispositio. Posita enim quacstione in qua disserendum sit, probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et ordine dispositis, quaestio ipsa explicatur.® In uno dei brani precedentemente citati il termine memoria è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come uno degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt inventio, dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et actio »). Proprio alla memoria spetta, secondo Ramo, un com- pito preciso: essa costituisce un indispensabile strumento per introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso. Come tale essa non può essere omessa o trascurata: Dicis oratori tria esse videnda: quid dicat, quo quidque loco, et quomodo: primo membro inventionem, secundo collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- dis. Memoria igitur ubi est? Communis est -ais - multa- rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam, inventionem et dispositionem communes cum multis esse (ais), cur igitur haec recensentur, illa contemnitur? 1° Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo alla memoria, appare molto significativa la identificazione so- stenuta da Ramo, della memoria (che nella tradizione era una delle cinque “grandi arti” costitutive della retorica) con la dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o logica. Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti ° Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, vol. II, prefaz. ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri tres, Parisiis, 1543, Il, pp. 2, 3, 77 (rispettivamente: Braid. B. XVIII. 6. 248; Ambros. SN. UV. 41). 1° Brutinae quaestiones, cit., p. 8v. 140 CLAVIS UNIVERSALIS testi ramisti, termini intercambiabili, giacché al giudizio spetta appunto il compito di collocare o disporre le res inventas entro un ordine preciso e « razionale » : Dialectico inventionem, dispositionem, memoriam me- rito assignamus; clocutionem et actionem oratori relin- quamus... Iudicium definiamus doctrinam res inventas collocandi, et ca collocatione de re proposita iudicandi: quae certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse disciplina ulla potest), verissima certissimaque doctrina est, ut una cademque sit institutio duarum maximarum animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- tes sunt: ‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- que iudicium in dispositione... dispositionis umbra quae- dam est memoria... Tres itaque partes illae, inventio in- quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto.!! Nonostante i dubbi avanzati da Ramo sulla possibilità di una disciplina della memoria come arte autonoma, anzi, pro- prio in forza di questi dubbi, la sua concezione del metodo come disposizione sistematica e ordinata delle nozioni ten- dente alla costituzione di un ordine unitario delle conoscenze appare in grado di assorbire molte di quelle « regole » che avevano trovato un’esplicita teorizzazione all’interno della mnemotecnica tradizionale. L’ assorbimento della memoria nella logica operato da Ramo, la identificazione da lui soste- nuta del problema del metodo con quello della memoria se- gnava l’atto di nascita di quella concezione del metodo come esercitante una funzione classificatoria nei confronti della realtà che avrà grandissima fortuna nel pensiero europeo dei secoli successivi. Questo tipo di considerazione, mentre anti- cipava l'atteggiamento che nella discussione di questi temi Bacone assumerà mezzo secolo più tardi, avvicinava non a caso la posizione di Ramo a quella di Melantone che negli Erotemata dialecticae aveva visto nel metodo un habitus videlicet scientia, seu ars, viam faciens certa ra- tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- bus, per rerum confusionem, viam invenit et aperit, ct res, ad propositum pertinentes, eruit ac ordine promit.!? 1) Scholae in tres primas liberales artes, cit., pp. 14-46; Dialecticac institutiones, cit., p. 19v. 12 MELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus reformatorum, XIII, c. 573. RAMO, BACONE, CARTESIO 14] Ad un sistematico ordinamento delle rotiones e degli ar- gumenta, ad una ordinata collocatio dei luoghi, alla costru- zione di enciclopedie intese come classificazioni totali degli elementi naturali e delle operazioni umane, alla creazione di una sopica universale avevano del resto mirato non pochi tra i più significativi testi della mnemotecnica ciceroniana e della tradizione lullista. Il fatto che un giovane studioso boemo, Giovanni de Nostiz, potesse pensare a una nuova logica fon- data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di Giordano Bruno può suonare conferma di questa fondamentale unità di impostazioni e di intenti. Per concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella posizione di Ramo è il tentativo di inserire i problemi atti- nenti alla memoria in un discorso assai più vasto che non ri- guardava solo la elaborazione di una particolare tecnica utile agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate e complesse questioni attinenti al metodo e alla logica. Più che ai testi degli storici moderni della filosofia, che hanno a lungo equivocato sul significato della riforma ramista, gio- verà richiamarsi alla precisa affermazione di Omar Talon (Audomarus Talaeus), grande teorico della retorica cinque- centesca, discepolo devoto e collaboratore di Ramo: « quest’ul- timo — egli scriveva — ha ricondotto alla logica, alla quale propriamente appartengono, la teoria dell’inventio, della dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere, a chiarire possibili equivoci, il preciso giudizio di Pierre Gas- sendi: Cum observasset enim quinque vulgo fieri partes Rhetori- cac, inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam et pronunciationem, censuit ex ipsis duas solum pertinere ad rhetoricam: clocutionem puta et pronunciationem seu actionem; duas artes esse proprias Logicac: inventionem puta et dispositionem, quibus, quia memoria iuvatur, posse illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam seu Dialecticam... in duas partes distribuit: inventionem et iudicium (sic enim potius dicere quam dispositionem maluit...) atque idcirco artem totam duobus libris com- plexus est.!4 sa i È i . i Petri Rami professoris regi et Audomari Talaci collectaneae pre- fationes, epistolae, orationes, Marburg, 1559, p. 15. 14 Sa P. Gassenpi DiniensIis, Opera omnia in sex tomos divisa, Floren- tiae, 1727, vol. I. De logicae origine et varietate, cap. 9 Logica Rami, p. 52. 142 CLAVIS UNIVERSALIS Della portata rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che ebbe nella storia della logica una riforma dall'apparenza tanto inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo in tempi molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che qui ci proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- mento assunto da Ramo segna una svolta radicale; nella sua stessa direzione, quella di un assorbimento della dottrina degli aiuti della memoria entro i quadri più generali della logica e della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con intenti estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, Cartesio e, più tardi, Leibniz. 2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI DELLA MEMORIA. Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, Novum Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno al 1608) c il De augmentis scientiarum rispettivamente nel 1620 e nel 1623. Le Cogitationes privatac di Cartesio risalgono al 1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte fra il 1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. Nello stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese giungono, relativamente all’ars combinatoria e all’ars me- moriae, a conclusioni che presentano una concordanza sin- golare. Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio !* è rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei testi cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più volte alle « raccolte di luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- nuto di leggere, alla « memoria artificiale », fa esplicito rife- rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla « collocazione delle immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car- tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama le citazioni, accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 15 Le citazioni dai testi di Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- mente a: Ocuvres de Descartes, ed. C. Adam et P. Tannery, Il voll., Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis Bacon, ed. by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, 7 voll, Londra, 1887-92 qui di seguito indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works. RAMO, BACONE, CARTESIO 143 rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, sulla funzione che esercitano le « immagini sensibili » in vista della rappresentazione dei concetti intellettuali, parla, secondo una tipica terminologia, di catena scientiarum, si interessa vivamente alle mirabili scoperte di un ignoto seguace di Lullo, si rivolge all'amico Beeckmann per aver notizie e chiarimenti sui testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle possibilità reali dell'Arte. Questi temi e questi interessi esercitarono, com’è noto, una notevole suggestione sul pensiero baconiano c su quello del giovane Cartesio. Ma c’è di più: alcuni ele- menti attinti alla tradizione dell’ars memiorativa e dell’ars com- binatoria ebbero ad agire in profondità all’interno della stessa formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e di una nuova logica. Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in rilievo è il significato del rifiuto, che troviamo presente in Bacone e in Cartesio, verso quelle tecniche memorative che si erano ridotte a giochi intellettuali e si erano andate caricando di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica contro la quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La valutazione dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato nella lettera a Beeckmann del 1619 e nel Discorso sul metodo e dall’altro nell’Advancement of learning e nel De augmentis è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di fronte al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare per un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi proseguire per altre venti ore parlando sullo stesso tema in modo sempre diverso, Cartesio, che pure è fortemente inte- ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon- data su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a suscitare l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento della verità. Questo « sospetto » cartesiano si trasforma di- ciott'anni più tardi, nelle pagine del Discorso sul metodo, in una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza giudizio, di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non conosciute o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni cra giunto Bacone nel testo del 1605, poi tradotto in latino nel ’23; il metodo lulliano, che gode di grande favore presso alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo, mira all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli 144 CLAVIS UNIVERSALIS uomini ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli esso sostituisce la conoscenza dei termini a quella, effettiva, delle arti, assomiglia alla bottega di un rigattiere ove si tro- vano molti oggetti, nessuno dei quali ha un grande valore: Bacone, De augmentis, VI, 2, in Works, I, p. 669. Neque tamen illud praetermitten- dum, quod nonnulli viri, magis tumidi quam docti insudarunt circa Methodum quandam, legiti- mae methodi nomine haud di- gnam; cum potius sit methodus imposturae, quae tamen quibus- dam ardelionibus acceptissima pro- culdubio fuit. Haec methodus ita scientiae alicuius guttulas aspergit, ut quis sciolus specie nonnulla eru- ditionis ad ostentationem possit a- buti. Talis fuit Ars Lulli; talis Typocosmia a nonnullis cxarata; quae nihil aliud fuerunt quam vo- cabulorum artis cuiusque massa ct acervus; ad hoc, ut qui voces artis habeant in promptu, ctiam artes Cartesio, a Bceckmann, 29, 4. 1619; Ocuvres, A. et T., X, pp. 164-65; Discours (ed. Gil- son), p. 17. Repperi nudius tertius cruditum vi- rum in Diversorio Dordracensi, cum quo de Lulli arte parva sum loquutus... Senex erat, aliquantu- lum loquax, et cuius eruditio, ut- pote a libris hausta, in extremis labris potius quam in cerebro versabatur... Quod illum certe di- xisse suspicor, ut admirationem captaret ignorantis, potius quam ut vere loqueretur. Je pris garde que, pour la logi- que, ses syllogismes et la plupart de scs autres instructions servent plutòt à cexpliquer à autrui les choses qu'on sait, cu méme, com- me l'art de Lulle, à parler, sans Jugement, de celles qu'on igno- ipsas perdidicisse.existimentur. Huius generis collectanea officinam referunt veteramentarium, ubi pracsegmina multa repcriuntur, sed nihil quod alicuius sit pretti. re, qu'à les apprendre. L'accusa di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- liana assumeva, in pagine come queste, un significato storico di grande rilievo: ciò che qui si mirava a colpire era proprio quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla quale avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- centeschi. Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se nuovo è il significato che essa viene ad assumere nelle pagine di Bacone e di Cartesio connettendosi alla polemica baconiana e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La valu- tazione presente nel testo baconiano del 1623, che potrebbe forse essere posta in relazione con quella poi presente nel Discorso sul metodo, sembra in realtà ricalcata proprio sul RAMO, BACONE, CARTESIO 145 giudizio di uno dei grandi commentatori di Lullo che non aveva nascosto la sua simpatia per le arti magiche, Cornelio Agrippa: Hoc autem admonere vos oportet: hanc artem ad pom- pam ingenii ct doctrinae ostentationem potius quam ad comparandam eruditionem valere, ac longe plus habere audaciae quam efficaciae.!® Fin qui ci siamo riferiti alla combinatoria, ma anche nei confronti dell’ars memorativa di derivazione “ciceroniana” le prese di posizione di Bacone e di Cartesio risultano oltre- modo precise e utilmente confrontabili. Cartesio non esita a definire « sciocchezze » le conclusioni cui era pervenuto lo Schenkel in un testo sulla memoria del 1595 nel quale, ac- canto ai consueti canoni dell’ ars reminiscendi ciceroniana, comparivano i ben noti riferimenti alle fonti aristoteliche e tomistiche, alla medicina galenica, i richiami a Simonide, Te- mistocle e Ciro, ad Agostino e a Pico della Mirandola, a Pie- tro da Ravenna e al lulliano Bernardo di Lavinheta.!” L’au- tore di quel libro gli appare, senz'altro, un «ciarlatano »: a quella falsa arte inutile alle scienze, egli contrappone la cono- scenza delle cause.'* Non dissimile da questa, anche se molto più articolata e ricca di riferimenti culturali, è la posizione assunta da Bacone: egli non nega che coltivando la memoria artificiale sia possibile pervenire a risultati mirabili, né afferma (come si fa volgarmente) che le tecniche memorative possano influire negativamente sulla memoria naturale. Nel modo in cui l’arte viene impiegata, essa gli appare tuttavia assoluta- mente sterile, serve a far brillare l’arte mentre è in realtà priva di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere subito, nello stesso ordine, un gran numero di parole recitate una sola volta o comporre un gran numero di versi estemporanei su un argomento a scelta è possibile sulla base di un'educazione di alcune facoltà naturali che, mediante l’esercizio, possono essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò — pro- dì H. C. AcriPPa, Opera, Argentorati, Zetzner, 1600, II, pp. 31-32. !* Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, 1595, poi ristampato nel Gazophylacium arti: memoriae, Argentorati, 1610 (Copia usata: An- elica, SS. 1. 24). Sulle sue opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. qui le pp. 253-54. 18 DESscaRTES, Ocuvres, X, p. 230. 146 CLAVIS UNIVERSALIS segue Bacone — non facciamo più conto che della agilità dei funamboli e della destrezza dei giocolieri. Fra i metodi e le sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di vedere — egli scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi titoli di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo reale, le pedantesche divisioni dei quali i loro autori fanno uso non penetrano in alcun modo nelle midolla delle cose.!* 3. MNEMOTECNICA E LULLISMO IN BAcoNE E IN CARTESIO. a) Bacone. Il passo baconiano al quale ci siamo ora riferiti ha, senza alcun dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia una cosa va subito posta in rilievo: in Bacone è presente la con- vinzione che sia possibile fare, delle arti della memoria, un uso diverso da quello tradizionale. Anziché servirsi di quelle arti per ostentare il prodigioso livello al quale può esser fatta pervenire una facoltà dell'animo umano, anziché piegarle a fini miracolosi e ciarlataneschi sarà possibile servirsene in vista di seri e concreti usi umani; sarà anzi possibile, secondo Ba- cone, migliorare e perfezionare, in vista di queste nuove fina- 19 Bacon, Works, 1, pp. 647-48: « Neque tamen ambigimus (si cui placet hac arte ad ostentationem abuti) quin possint praestari per cam nonnulla mirabilia et portentosa; sed nihilominus res quasi sterilis cst (eo quo adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei non im- putamus quod nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo objicitur); sed quod non dextre instituta sit ad auxilia memoriae commodanda in negotiis et rebus seriis. Nos vero hoc habemus (for- tasse cx genere vitae nostro politicac) ut quae artem iactant, usum non pracbent parvi faciamus. Nam ingentem numerum nominum aut verborum semel recitatorum eodem ordine statim repetere, aut versus complures de quovis argumento extempore conficere; aut quidquid occurrit satirica aliqua similitudine perstringere; aut seria quacque in iocum vertere; aut contradictione et cavillatione quidvis eludere; et similia; (quorum in facultatibus animi haud exigua est copia, quaeque ingenio et cxercitatione ad miracula usque extolli possunt); haec certe omnia et his similia nos non maioris facimus quam funambulorum et mimorum agilitates et ludicra... Verum est tamen inter methodos ct syntaxes locorum communium quas nobis adhuc videre contigit, nul- lam reperiri quae alicuius sit pretit; quandoquidem in titulis suis fa- ciem prorsus cxhibeant magis scholac quam mundi; vulgares et pae- dagogicas adhibentes divisiones, non autem eas quae ad rerum me- dullas et interiora quovis modo penetrent ». RAMO, BACONE, CARTESIO 147 lità, le già esistenti tecniche della memoria. Intorno alla me- moria — egli scrive nello stesso capitolo del De augmentis (c questo passo è assente nel corrispondente capitolo del- l’Advancement of learing) — si è finora indagato pigra- mente e languidamente. Non mancano certo scritti sull’argo- mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- ria, e tuttavia sia la teorica che la pratica dell’ars memorativa potrebbero essere ulteriormente perfezionate mediante l’elabo- razione di nuovi precetti o regole.?° Un’arte memorativa così perfezionata nei metodi e rinnovata nelle finalità appare a Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un duplice terreno: quello delle «scienze antiche e popolari » e quello « completamente nuovo » del metodo scientifico di indagine sulla natura. Questa distinzione fra le due diverse funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- morativa è esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- mentis nel quale ritroviamo presente anche la distinzione, cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra memoria natu- rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione della natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude e native della memoria senza che la memoria stessa venga soc- corsa mediante tavole ordinate, sarebbe come sostenere che un uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e affidandosi alla sola memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di efemeridi. Ma, lasciando da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com- pletamente nuova, un solido amminicolo della memoria può essere di grandissima utilità anche nelle scienze antiche e po- polari.*! 2° Bacon, Works, I, pp. 647 - 48: « Circa Memoriam autem ipsam, satis segniter et languide videtur adhuc inquisitum. Extat certe de ea ars quaepiam; verum nobis constat tum meliora praecepta de memoria confirmanda et amplianda haberi posse quam illa ars complectitur, tum practicam illius ipsius artis meliorem institui posse quam quae recepta est». 21 Bacon, Works, I, p. 647: « Atque omnino monendum, quod memo- ria sine hoc adminiculo (scriptio) rebus prolixioribus et accuratioribus Impar sit; neque ullo modo nisi de scripto recipi debeat. Quod etiam in philosophia inductiva et interpretatione naturae praecipue obtinet. Tam enim possit quis calculationes ephemeridis memoria nuda absque Scripto absolvere, quam interpretationi naturae per meditationes et vires memoriae nativas et nudas sufficere; nisi eidem memoriae per 148 CLAVIS UNIVERSALIS Della funzione esercitata dagli aiuti della memoria (mi- nistratio ad memoriam) nella logica baconiana e dell'influenza dei trattati rinascimentali di mnemotecnica sulla costruzio- ne baconiana del nuovo metodo delle scienze (la :interpre- ratio naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo qui ad indi- viduare l’eredità delle discussioni rinascimentali sulla memoria artificiale in quella parte della ricerca baconiana che fa riferi- mento alla logica tradizionale. Quest'ultima, secondo Bacone, mantiene la sua piena validità nel campo dei discorsi, delle dispute, delle controversie, delle attività professionali, della vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva, è invece indispen- sabile nell’ambito della progressiva conquista, da parte del- l’uomo, della realtà naturale. La prima di queste due logiche, secondo Bacone, esiste di fatto, fu creata dai Greci e in seguito, per molti secoli, ripresa e perfezionata; la seconda si presenta invece come un progetto o un'impresa non mai tentata. La trasformazione di questo progetto in una esecuzione effettiva presuppone che venga radicalmente modificato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e che mutino, di conse- guenza, le stesse definizioni di «filosofia » e di «scienza ». Ma nell’ambito degli scopi che si propone la filosofia tradi- zionale la vecchia logica nor si presenta come un fallimento. Su questo punto Bacone è assai chiaro: ove si vogliano sol- tanto coltivare e trasmettere le scienze già esistenti; ove si desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità già dichiarate e a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- ventare argomenti e di trionfare nelle dispute, quella logica si mostra perfettamente funzionale, anche se bisognosa di integrazioni e perfezionamenti. Là ove si occupa dei caratteri della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non inte- ressarsi affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, né di pretendere in alcun modo che la nuova logica possa ser- vire a realizzare quei fini per i quali fu costruita la logica tradizionale. Nelle scienze fondate sull’opinione e sui giudizi tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa interpretatione naturae, quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares scientias haud quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum soli- dum ct bonum; hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- muntum ». Il passo ora citato non figura nel corrispondente luogo del- l'’Advancement of learning, in Works, HI, pp. 397 - 98. RAMO, BACONE, CARTESIO 149 probabili, nei casi cioè in cui si tratta di costringere non le cose, ma l’assenso, l’uso delle anticipazioni e della dialettica, afferma Bacone nel Novum Organum, è buono (bonus) men- tre esso appare condannabile dal punto di vista della logica nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella pre- fazione alla Instauratio magna, non è assolutamente in grado di «raggiungere la sottigliezza della natura », ma essa può essere usata efficacemente nel « campo delle cose civili e delle arti che concernono il discorso e l’opinione ». Solo quando si voglia trionfare non degli avversari, ma delle oscurità della natura, giungere non a cognizioni probabili, ma a conoscenze certe e dimostrate, non inventare argomenti ma opere, sarà necessario far uso della interpretatio naturae che è infinita- mente diversa dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria.’ Nell'ambito di questa logica ordinaria, del tipo di discorso che mira alla persuasione o al raggiungimento dell’altrui as- senso, che non mira all’invenzione delle arti e delle opere, ma degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- cisa funzione. Nel capitolo quinto del quinto libro del De augmentis dedicato all’ars retinendi ricomparivano in tal modo, nella trattazione baconiana, i motivi, ormai ben noti, dell’ars memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc: e delle 1m2a- gines, la tesi di una necessaria « convenienza » tra le immagini e i luoghi, il riconoscimento della necessità di rappresentare sensibilmente i concetti mediante immagini ed emblemi. Il tema di una topica o sistematica raccolta di luoghi veniva ri- preso in queste pagine: si è soliti affermare — scrive Bacone — che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la fatica necessaria ad effettuare tali raccolte viene al contrario sempre ricompensata perché nel mondo del sapere non è pos- sibile giungere a risultati ove manchi la solida base di una vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale all'invenzione e rendono più acuto il giudizio consentendogli di concentrarsi in un sol punto ». I due principali strumenti dell’arte della memoria sono la prenozione e l'emblema. La prima ha il compito di porre dei limiti ad una ricerca che # Per le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.: Par- fis instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works, III, PP. 547 ss.; Distributio operis, Works, I, pp. 135-37; Praefatto gene- ralis, Works, I, p. 129; Novun: Organum, I, 26, 29. 150 CLAVIS UNIVERSALIS risulterebbe altrimenti infinita, di limitare il campo delle no- zioni e di stabilire confini entro i quali la memoria possa muo- versi agevolmente. La memoria ha infatti soprattutto bisogno di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei ricordi, i luoghi della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i versi sono per Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo caso il ricordo deve accordarsi con l'ordine stabilito, nel se- condo porsi in specifica relazione con i luoghi usati, nel terzo deve essere una parola che si accordi con il verso. Nella for- mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi ordine e coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più facilmente costruite facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- timi, secondo Bacone, « rendono sensibili le cose intellettuali e poiché il sensibile colpisce più fortemente la memoria, si imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto simile alla funzione esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei geroglifici: gli emblemi non hanno dunque una funzione limitata allo specifico settore della memoria, ma funzionano come veri e propri mezzi di comunicazione. Nel caso dei gesti ci troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso dei geroglifici di « emblemi fissati mediante la scrittura ». Il rapporto gesti-geroglifici è identico, da questo punto di vista, a quello che intercorre fra linguaggio parlato e linguaggio scritto. Mentre i geroglifici, in quanto emblemi, hanno sempre qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo cum re significata), i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla di emblematico. Il loro significato dipende solo dalla conven- zione e dalla abitudine che su di essa si è in seguito istituita. Il carattere della convenzionalità accomuna i caratteri reali alle lettere dell’alfabeto, ma i primi, a differenza delle seconde, si riferiscono in modo diretto alla cosa significata, rappresen- tano cose e nozioni, non parole (nesther letters nor words,... but things or notions). Un libro composto con caratteri reali può quindi essere letto e compreso da persone appartenenti a differenti gruppi linguistici e parlanti lingue diverse che accettino per convenzione i significati dai vari ideogrammi.** Proprio alle discussioni sulla memoria artificiale si erano 29 Cfr. Advancement of Learning, Works, III, p. 399; De augmentis; Works, I, pp. 648-49, 651 -53. RAMO, BACONE, CARTESIO 15] collegate, nel Rinascimento, le considerazioni sui gesti c sui geroglifici. L’approfondimento del problema delle immagini aveva condotto Giambattista della Porta, nella sua Ars remi- niscendi, a prendere in esame questo tipo di problemi. Una volta definita l’immagine come « pittura animata che rechiamo nella imaginativa per rappresentare così un fatto come una parola », il Porta si trovava di fronte ad una grave difficoltà : non nel caso di tutti i termini linguistici — cgli notava — è possibile la costruzione di immagini appropriate (« le parole che ci occorrono a ricordare altre hanno le loro immagini, altre ne stanno senza »). Nel caso di termini che non simbo- lizzano cose materiali, come « perché », «ovvero », « tanto » ecc. è necessario ricavare le immagini dalla scrittura: far cor- rispondere cioè immagini adatte alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un termine. In altri casi è invece possibile il ricorso al significato e a questo proposito torna opportuno il parallelo con i geroglifici: gli Egizi « non avendo lettere con che potessero scrivere i concetti... e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con pitture, servendosi d’imagini di quadrupedi, d’uccelli, di pesci... la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle dipingere nella memoria ». Altri significati, proseguiva il Porta, potranno essere espressi mediante i gesti (« potremo parimenti col gesto esprimere alcune significationi di parole »). Conclu- sioni di questo stesso tipo si trovano presenti nel Thesaurus artificiosae memoriae del Rosselli (1579) e nel De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (1610) che, proprio come Bacone, aveva fatto rientrare i gesti e i geroglifici nella più generale categoria dei « segni ».° 24 Cfr. L’arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Dorandino Falcone da Gioia, Na- poli, Mattio Cancer, 1566 (Braid. 25.16.K.14-15): sulla scrittura degli Egizi il capit. XIX, sui gesti il capit. XX; C. RosseLLIus, Thesaurus artificiosae memoriae, Venetiis, 1579, p. 117v; JoHanNnES AustRIACUS, De memoria artificiosa libellus, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610, p. 215 (copie usate: Braid. B. XI. 4951; Angelica SS. 1.24). Sulla Egittomania e sulla diffusione c la moda degli emblemi nella cultura dei secoli XVI e XVII si vedano le considerazioni precedente- mente svolte a pp. 104-105 c le opere indicate a p. 105, n. 32. 152 CLAVIS UNIVERSALIS La trattazione baconiana appare dunque, dopo quanto si è detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- tura concernente i segni e le immagini, ma l’eco delle discus- sioni rinascimentali sui luoghi e sulle immagini risulta ancora più evidente nel Novum Organum (II, 26) ove Bacone giunge a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria artificiali... possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- luti janua, angulus, fenestra, et similia, aut possunt esse per- sonae familiares et notae, aut possunt esse quidvis ad pla- citum (modo in ordine certo ponantur), veluti animalia, her- bae; etiam verba, literae, characteres, personae historicae et caetera; licet nonnulla ex his magis apta sint et commoda, alia minus ». L’uso dei /oc: appare a Bacone in grado di esaltare le forze della memoria al di sopra dei suoi limiti na- turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter iuvant, camque longe supra vires naturales exaltant »). Accostando l'ordine, ai luoghi e ai versi, insistendo sul valore delle im- magini sensibili (« quicquid deducat intellectuale ad ferien- dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget in artifi- ciali memoria — iuvet memoriam »), Bacone mostrava inol- tre di accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano pervenuti i teorici della memoria artificiale. Più sottili, meno espliciti, e quindi più difficilmente de- terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti con la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone ac- cenna soltanto una volta, in una frase che suona — ab- biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia chi ponga mente ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non potrà non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- luzioni con quelle presenti in quelle sintassi universali, di precisa derivazione lulliana, alle quali Bacone fa più volte esplicito riferimento. All’immagine lulliana dell’ardor scien- trarum, presente nel terzo libro del De augmentis, si connette, non a caso, il progetto di una scienza universale o filosofia prima o sapienza (Scientia universalis, Philosophia prima sive Sapientia) ben distinta dalla tradizionale metafisica. Quest’ul- tima si configura per Bacone come « una fisica generalizzata fondata sulla storia naturale » che mira da un lato alla de- terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- nali. La filosofia prima concerne invece quella porzione del- RAMO, BACONE, CARTESIO 153 l’albero delle scienze che è come una « parte comune della via », che precede la partizione e la suddivisione dei vari rami del sapere. Gli assiomi che non sono propri delle scienze particolari, ma comuni a molte scienze non sono in alcun modo riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece a Bacone segni e vestigi della natura impressi in materie e soggetti differenti: « neque similitudines merae sunt — quales hominibus fortasse parum perspicacibus videri possint — sed plane una eademque naturae vestigia et signacula diversis ma- teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella organica rac- colta degli assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- rebbe possibile porre in luce l’unità della natura."° Per concludere: la vivace polemica baconiana contro i fu- namboli della memoria non investe le tecniche memorative in quanto tali, ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti per ridurle sul piano delle arti occulte e della magia. Pie- gata alle più serie finalità della retorica, inserita nella logica della persuasione, l’ars memorativa conservava ancora un suo posto ed una sua precisa funzione nella nuova enciclopedia delle scienze. Infine il progetto baconiano di una scientia uni- versalis, mater reliquarum scientiarum si presentava, proprio come era avvenuto nella tradizione lulliana, come volto a de- terminare un’unità del sapere che trova la sua giustificazione e il suo fondamento nell’unità stessa del mondo reale. b) Descartes. Intorno alle discussioni sulle immagini e sui simboli pre- senti in taluni testi cartesiani si son scritte, anche di recente, cose assai acute e stimolanti anche se non sempre storica- mente esatte. A proposito di alcuni passi degli Olympica con- cernenti la rappresentazione, mediante corpi sensibili, delle «cose spirituali », un insigne studioso di Cartesio ha parlato dell’« idée aristotelicienne de la philosophie qui n'est pas mise en cause» altri, riferendosi a quelle stesse note cartesiane e cercando di coglierne «la résonance intérieure et profonde», 25 Per il già ricordato giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works, I, p. 699; sulla filosofia prima De augmentis, Works, 1, pp- 540 - 544. Sulla distinzione tra la filosofia prima baconiana e la tradizionale metafisica è da vedere il preciso giudizio di F. Anperson, The phi- losophy of F. Bacon, Chicago, 1948, pp. 214-15. 154 CLAVIS UNIVERSALIS ha visto in esse l’espressione di un uomo «qui est à la re- cherche de l’inspiration pure »; altri infine, riferendosi alla immagine cartesiana dell’albero delle scienze, ha lungamente dissertato sulle ragioni della scelta cartesiana dell’immagine di una realtà vivente e sulla « circulation de la vie » presente nell'albero stesso.?* Ove si abbandoni il progetto di rintrac- ciare il senso di interiori risonanze e si tengano invece pre- senti i risultati cui erano giunti quegli enciclopedisti e quei retori del Cinquecento che si erano occupati delle immagini e dell’immaginazione, dei simboli e della memoria, dell’unità delle scienze e delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile — pur raggiungendo più modesti risultati — illuminare al- cuni testi particolarmente oscuri e dare, a molte delle affer- mazioni ed osservazioni del giovane Cartesio, un senso pre- ciso e ben determinato. Una cosa va subito notata: la “condanna” cartesiana delle arti della memoria, alla quale abbiamo fatto riferimento nel precedente paragrafo, è, così come quella baconiana, assai meno recisa di quanto non possa a prima vista apparire. In un passo scritto fra il 1619 e il 1620, volto a commentare e a criticare l’Ars memorativa dello Schenkelius, Cartesio mo- stra infatti di accertare e la terminologia c la stessa impo- stazione del problema della memoria presenti nella trattati- stica di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce all’immaginazione la stessa funzione mnemonica che ad essa attribuivano i teorici della memoria artificiale, ma riconosce che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di reale efficacia. All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone, ed è questo il punto che presenta un interesse particolare, una vera arte della memoria della quale offre, in una pagina circa, le regole fondamentali. All’ordine solo apparente pre- 26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans l'humanisme car- tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno internaz. di studi umanistici, Padova, 1958, p. 67; M. De Corte, Lu dialectique poétique de Descartes, in « Archives de Philosophie », XIHI, 1937, cahier II: Autour du Discours de la méthode, pp. 106-107; P. Mesnarp, L'arbre de la sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royau- mont, Paris, 1957, pp. 336 ss. Nello stesso volume è da vedere, su questi problemi, il saggio di M. TH. Spoerri, La pwuissance métapho- rique de Descartes. Cfr., per un più ampio esame, H. GouHier, Les premières pensées de Descartes, Paris, Vrin, 1958. 71 71 RAMO, BACONE, CARTESIO I sente nell’opera dello Schenkel egli intende sostituire un retto ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione di imma- gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di- pendenza: dalle immagini di oggetti connessi tra loro ver- ranno ricavate nuove immagini o almeno, da tutte quelle im- magini, se ne ricaverà una sola; ogni immagine andrà inoltre (a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel) posta in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma anche con le altre. L'immagine di un'asta gettata a terra farà così da collegamento fra la quinta e la prima immagine, quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo scagliato verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale o arbitrariamente costruito.”’ In questo suo breve progetto di un nuova tecnica me- morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- sultati dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per l'Arte, che non si esauriscono affatto sul piano della semplice curiosità intellettuale, appaiono infatti da collegare alcune si- gnificative espressioni presenti in quelle pagine di diario note come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina cara a tutti i trattatisti della memoria artificiale da Pietro da Ra- venna allo Schenkel, quella relativa all'impiego delle im- magini corporee o sensibili in vista della rappresentazione dei concetti astratti o « cose spirituali »: « come l’immaginazione 2? Descartes, Qeuvres, X, p. 230: « Perlegens Lamberti Schenkelii lu- crosas nugas (lib. De arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae detexi imaginatione complecti: quod sit per reductionem rerum ad causas; quae omnes cum ad unam tandem reducantur, patet nulla ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim intelliget causas, elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile in cerebro formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane con- traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus occupandam totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo In eo est, ut imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- gitavi alium modum: si ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- discantur novae imagines omnibus communes, vel saltem si ex om- nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur respectus ad proxi- mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per hastam humi proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda per telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in rationem significationis vel verae vel fictitiac ». Sulla scrittura e gli altri aiuti alla memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, 1937, pp. 8, 16. 156 CLAVIS UNIVERSALIS si serve di figure per concepire i corpi, così l'intelletto si serve di taluni corpi sensibili, come il vento e la luce, per raffigurare le cose spirituali... Cose sensibili possono aiutarci a concepire quelle dell'Olimpo: il vento significa lo spirito, il moto con il tempo la vita, la luce la conoscenza, il calore l’amore, l’attività istantanea la creazione ».°* Il fatto che Car- tesio, nell’età matura, giunga a un radicale rifiuto di ogni simbolismo, non elimina, per lo storico, il compito di andar rintracciando le origini, spesso legate a temi culturali assai “torbidi” di una filosofia che si svolse sotto il segno della distinzione e della chiarezza razionale. Non a caso, negli stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica memorativa, Cartesio pareva anteporre i risultati dell'immaginazione e della poesia a quelli della filosofia e della ragione; si dilet- tava, come già tanti fra i “maghi” del Cinquecento, alla costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in- formava del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si interessava all’ordo locorum;?* insisteva, come già avevano fatto tanti fra i commentatori di Lullo, sull’unità e sull’ar- monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis, amor, cha- ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- niam ».°° Non si trattava solo di giovanili concessioni ad una moda filosofica. Molti anni più tardi, nel 1639, dopo aver letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio, Des- 28 Descartes, Ocuvres, X, p. 217-218: «Ut imaginatio utitur figuris ad corpora concipienda, ita intellectus utitur quibusdam corporibus sensibilibus ad spiritualia figuranda, ut vento, lumine: unde altius phi- losophantes mentem cognitione possumus in sublime tollere... Sensibilia apta concipiendis Olympicis: ventus spiritum significat, motus cum tempore vitam, calor amorem, activitas istantanea creationem ». 2° « Mirum videri possit, quare graves sententiac in scriptis poctarum magis quam philosophorum. Ratio est quod poctae per enthusiasmum ct vim imaginationis scripsere: sunt in nobis semina scientiae, ut in silice, quae per rationem a philosophis educuntur, per imaginationem a poctis excutiuntur magisque elucent » (Oeuvres, X, p. 217). « On peut faire un jardin des ombres qui representent diverses figures, telles que les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons du soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- fres ou figures» (Ouvres, X, p. 215). « Inquirebam autem diligentius utrum ars illa non consisteret in quodam ordine locorum dialecticorum unde rationes desumuntur... » (Oewvres, X, p. 165). 30 Descartes, Ocuvres, X, p. 218. RAMO, BACONE, CARTESIO 157 cartes insisteva ancora (pur rifiutando come impraticabile il disegno comeniano) sullo stretto parallelismo intercorrente tra una conoscenza « unica, semplice, continua, riducibile a po- chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura » rispetto alla quale la conoscenza si pone come una « pittura » 0 « specchio » : Quemadmodum Deus est unus ct creavit naturam unam, simplicem, continuam, ubique sibi cohaerentem ct res pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- tisque ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria regna minerale, vegetale et animale certo inter se ordine gradibusque distincta perduxit; ita et harum rerum co- gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris et unius Naturae, unicam simplicem, continuam, non interruptam, paucis constantem principiis (imo unico Principio principali) unde caetera omnia ad specialis- sima usque individuo nexu et sapientissimo ordine de- ducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- gulis contemplatio similis est picturae vel speculo uni- versi et singularum ceiusdem partium imaginem exactis- sime repraesentanti.5! Comunque sia da valutare il senso di queste caratteri- stiche espressioni cartesiane, certo è che il programma del giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso partito sui fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- prenti physicien-mathématicien sans métaphysique » — può apparire, da questo punto di vista, singolarmente vicino a quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del tardo Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il loro isolamento, si nasconde un’unità profonda, una legge di connessione, una logica comune. Una volta liberate le sin- gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile rendersi conto di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze ®1 Descartes à Mersenne (1639) in Ocuvres, Supplément, pp. 97-98. La lettera fu in precedenza pubblicata in Spisy Jana Amosa KomensgeHO, Korrespondance, a cura di J. Kvacala, Praga, 1897, p. 83. Il Zbro cui faceva riferimento Cartesio in una lettera del 1639 (Oexvres, II, PP. 345 - 48): «j'ai lù soigneusement le livre que vous avez pris la peine de m' envoyer... » era il Pansophiae Prodomus di Comenio (Cfr. Oeuvres, Supplément, pp. 99-100 ove si ricorda anche una lettera di Mersenne a Th. Haak nella quale Cartesio è segnalato come uno dei filosofi più competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). 158 CLAVIS UNIVERSALIS potranno essere ritenute con la stessa facilità con la quale si ricorda la serie dei numeri: Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis sublatis, pul- cherrimae apparerent. Catenam scientiarum pervidenti, non difficilius videbitur cas animo retinere, quam seriem numerorum.?? Il problema dell’enciclopedia appare qui, una volta an- cora, collegato in modo oltremodo significativo a quello della memoria. Questi stessi termini e gli stessi concetti ritroviamo — attribuiti a Cartesio — nel Commentatre ou remarques sur la Methode de R. Descartes del Poisson, mentre, nella prima delle Regulae, Cartesio afferma che la connessione sus- sistente fra le singole scienze è tanto stretta da rendere l’ap- prendimento di tutte le scienze insieme più facile della se- parazione di una di esse dalle altre: il legame di congiun- zione e di reciproca dipendenza tra le scienze, esclude che, in vista di un apprendimento della verità, si possa scegliere una scienza particolare: «credendum est, ita omnes [scien- tias] inter se esse connexas, ut longe facilius sit cunctas simul addiscere, quam unicam ab aliis separare. Si quis igitur serio rerum veritatem investigare vult, non singularem aliquam debet optare scientiam: sunt enim omnes inter se coniunctas et ab invicem dependentes »."° Se ci volgiamo ai testi del lullismo seicentesco, ad opere che sono ben lontane dall'atmosfera cartesiana, permeate di magia e di occultismo, miranti alla fondazione della medi- cina universale e dell’enciclopedia totale, piene di riferimenti alle fonti della tradizione ermetica, troviamo presente la stessa insistenza sulla catena scientiarum, sulla molteplicità solo ap- parente delle scienze, sulla corrispondenza tra un armonioso e ordinato sapere e un’armonica natura, sulla necessità di una sapienza che superi la fittizia parzialità dei singoli rami del sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace e tradut- tore di Lullo, mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 9? DescarTEs, Ocuvres, X, p. 215. Sono da vedere, su questo passo, le precise osservazioni di R. KLIbansky, The philosophic character of history, nel volume miscellanco P/ilosophy and history, Oxford, 1936, pp. 323 - 337. 39 Descartes, Oeuvres, X, p. 361. 159 RAMO, BACONE, CARTESIO secondo magia, accennava proprio a questi concetti. A pro- posito della catena scientiarum egli si richiamava in modo assai significativo al commento alla creazione di Pico condotto secondo gli insegnamenti della cabala: P. Poisson, Commentaire, p. 73 Il regne je ne sgai quelle liaison, qui fait qu’une verité fait décou- vrir l’autre, et qu'il ne faut que trouver le bon but du fil, pour aller jusqu'à l’autre sans inter- ruption. Ce sont à peu-près les paroles de M. Descartes que j’ay leies dans un de ses fragmens manuscrits: Quippe sunt conca- tenatae omnes scientiae, nec una Jean D’AuBry, ipologie, 1638. Qui doute que les parties de la doctrine (que les sots et les igno- rants appellent sciences, comme sil y en avoit plusieurs) ne se trouvent enchainées l’une avec l’autre, qu'il est impossible d’estre entendu en la moindre sans avoir une pleine connoissance de tou- tes; l’Eptaple de Pic de la Mi- rande sur les jours de la création perfecta haberi potest quin aliae et l’armonie di monde de Paul sponte sequantur, et tota simul Venitien vous le montrent...?* encyclopedia apprehendatur.34 Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car- tesiano di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- tesio (evidenti nelle lettere al Beeckmann del 1618) per una matematizzazione della fisica, è cosa che esce dai limiti della presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia servire a mostrare il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi — che si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la mathesis universalis cartesiana con una pura e semplice esten- sion del metodo matematico a tutti i campi del sapere.’ La scientia nova deve «contenere i primi rudimenti della ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi soggetto »: essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto cartesiano, poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- luppi, aveva in realtà tratto alimento, così come quello di 34 P. Poisson, Commentaire ou remarques sur la Methode de R. De- scartes, Vandosme, 1670, parte II, Oss. 6, p. 73 (Cfr. Oeuvres, X, p. 255). 35 Jean D’Ausry, Le triumphe de l’archée et la merveille du monde, cit., ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347): Apolo- gie contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. 3° Cfr. Ocuvres, X, p. 157. °? Cfr. per esempio J. Larorte, Le rationalisme de Descartes, Paris, 1950, pp. 8-10. Per una più esatta valutazione: A. DeL Noce, prefazione alla trad. it. delle Meditazioni metafisiche, Padova, 1949, pp. XXIII - XXIV. 160 CLAVIS UNIVERSALIS Bacone, da un terreno storico preciso: quell’enciclopedismo di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto di sé la cultura del Cinquecento e che raggiungerà non a caso, proprio nel secolo XVII, la sua massima fioritura. Nei commenti lulliani di Agrippa, nella Syntaxes del Gre- goire, nell’Opus aureum del De Valeriis, nella Explanatio del Lavinheta, così come più tardi nella Regina scientiarum del Morestel e negli scritti del d’Aubry, ci si era volti alla ricerca di un «unico strumento » comune a tutte le scienze, di un’unica «chiave » o «sapienza» capace di garantire as- soluta certezza e assoluta verità, di fornire infallibili solu- zioni e risposte, di porsi come regola di ogni possibile scienza particolare. Alla grande diffusione di questo tipo di lettera- tura e di questi testi, noti e celebrati, più volte tradotti e più volte riediti nei principali centri della cultura europea, alla conoscenza diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone e Cartesio, va fatta risalire l’immagine, comune ai due filo- sof, dell’ardor scientiarum. Da questo terreno storico traeva anche origine la loro ricerca — destinata poi ad orientarsi in maniera così profondamente divergente — di una scientia universalis o sapientia madre e fonte e radice unitaria di ogni ramo del sapere: Bacone, De augmentis, III, |, in Works, I, pp. 54041. Quoniam autem partitiones scien- tiarum non sunt lineis diversis si- miles, quae cocunt ad unum an- gulum; sed potius ramis arbo- rum qui coniunguntur in uno trunco (qui etiam truncus ad spa- tium nonnullum integer est cet continuus, antequam se partiatur in ramos); idcirco postulat res ut priusquam prioris partitionis membra persequamur, constitua- tur una Scientia universalis, quae sit mater reliquarum ct habetur in progressu doctrinarum tan- quam portio viae communis an- tequam viae se separent cet di- siungant. Hanc Scientiam Philo- Descartes, Regulae, IV c Pref. ai Principes, in Ocuvres, X, pp. 373-74. Quicumque tamen attente respe- xerit ad meum sensum facile per- cipiet me nihil minus quam de vulgari Matematica hic cogitare, sed quamdam aliam me expone- rc disciplinam, cuius integumen- tum sit potius quam partes. Haec enim prima rationis humanae ru- dimenta continere, et ad veritates cx quovis subiecto cliciendas se extendere debet; atque, ut libere loquar, hanc omni alia nobis hu- manitus tradita cognitione potio- rem, utpote aliarum omnium fon- tem, esse mihi persuadco... Ainsi toute la philosophie est comme un arbre, dont les racines sont RAMO, BACONE, CARTESIO 161 sophiac primae, sive etiam Sa- la méthapysique, le tronc est la pientiac.. nomine insignimus. physique, et les branches qui sor- tent de ce tronc sont toutes les autres sciences... 4. L’ INSERIMENTO DELLE TECNICHE MEMORATIVE NELLA NUOVA LOGICA. a) Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano: tavole, to- pica, induzione. Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la quale la memoria si presenta come una delle parti o sezioni della dia- lettica, acquista particolare significato la classificazione ba- coniana della logica presente nell’Advancement of learning del 1605 e in seguito ripresa nel De augmentis scientiarum. Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de- nominate arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui fini o gli scopi che l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: a) trova ciò che ha cercato; b) giudica ciò che ha trovato; c) rittene ciò che ha giudicato; d) trasmette ciò che ha ri- tenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: 1) l’arte della ricerca o dell'invenzione (art of inquiry or invention); 2) l’arte dell'esame o del giudizio (art of examination or judgement); 3) l’arte della conservazione o della memoria (art of cu- stody or memory); 4) l’arte della elocuzione o della comunicazione (art of elocution or tradition)."* In questa classificazione Bacone si richiamava da un lato alle tradizionali partizioni della retorica, dall'altro alle posizio- ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni quando dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio di quello tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione degli argomenti e invenzione delle scienze e delle arti. In quest'ultimo settore Bacone riscontra le maggiori deficienze: "* Advancement of Learning, Works, III, pp. 383-8; De augmentis, Works, I, p. 616. 162 CLAVIS UNIVERSALIS mentre per l’invenzione degli argomenti è più che sufficiente la logica tradizionale, per consentire all'uomo l’invenzione di nuove arti e quindi il dominio della natura è necessario procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo alla conoscenza umana un nuovo organo o strumento lo- gico."° La interpretatio naturae o la nuova induzione, teo- rizzata da Bacone nel secondo libro del Novum Organum è quindi solo una delle due parti nelle quali si articola l’arte dell'invenzione la quale è, a sua volta, una delle quattro parti nelle quali si suddivide la logica baconiana. La riforma dell’induzione scientifica è quindi solo un aspetto e una sezione di quella generale restaurazione del sapere che Bacone ha in animo di realizzare. Quando si cera mosso sul piano delle «scienze antiche e popolari » o della «logica ordinaria », Bacone — come abbiamo visto — aveva cercato di chiarire la funzione della memoria e delle arti memorative nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi che mira non ad inventare opere ed arti, ma si limita ad inventare argomenti e si pone come una tecnica della per- suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria si porrà tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- pretatio naturae o della nuova logica. Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla totale e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica della scienza, sulla radicale differenza di fini e di procedi- menti delle due logiche, non gli impediranno di richiamarsi, nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte inte- grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- siderazioni assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- mento muovendosi sul piano delle «arti del discorso » 0 della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi ec della in- venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- senza di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- reno delle opere e del metodo scientifico, le difficoltà nascono dalla presenza di una infinita molteplicità di fatti. La dot- trina baconiana degli aiuti della memoria, svolta nella Delt- neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da un adattamento a questa diversa situazione delle regole che 39 Advancement, Works, III, p. 389. RAMO, BACONE, CARTESIO 163 guidavano l'invenzione degli argomenti e che costitutvano l’arte del ricordare e disporre gli argomenti. Per realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per inventare argomenti era necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una raccolta di argomenti estremamente ampia (promptuaria); 2) disporre di regole atte a limitare un campo infinito e a determinare un campo di discorso specifico e limitato (to- pica). Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva nella elaborazione di una tecnica (fondata sull’uso delle pre- nozioni, degli emblemi, dell’ordine, dei luoghi, dei versi, della scrittura, ecc.) che mettesse l’uomo in grado di realizzare con- cretamente le due possibilità ora indicate. In sede di metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le cose non procedono per Bacone in maniera molto differente: «Gli aiuti della memoria — egli scrive adempiono al se- guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti- colari e dalla massa della storia naturale generale, viene di- staccata una storia particolare le cui parti vengono disposte in un ordine tale da consentire all’intelletto di lavorare su di esse e di esercitare la propria funzione... In primo luogo mo- streremo quali siano le cose che devono essere ricercate in- torno ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad una topica. In secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddivise in tavole... In terzo luogo mostreremo in qual modo e in quale momento la ricerca vada integrata e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in tavole nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in tre dottrine: l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- zione, e il modo di instaurare la ricerca ».!° 4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, III, 552: « Ministra- tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- num, ct naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- patur, atque disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus suum exercere possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa subiectum datum sive propositum inquiri debeant, quod est instar topicae. Secundo, quo ordine illa disponi oporteat, et in tabulas digeri... Tertio itaque ostendemus quo modo et quo tempore inquisitio sit reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes in chartas novellas transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus (ut dixi- mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta- bulandi, et de modo instaurandi inquisitionem ». 164 CLAVIS UNIVERSALIS La memoria abbandonata a se stessa, afferma ancora Ba- cone nella Delineatio, non solo è incapace di abbracciare la immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di indicare gli specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- ticolare. Di fronte alla storia naturale generale (che corri- sponde a ciò che in sede retorica è la promptuaria o indiscri- minata raccolta di argomenti) sono dunque necessarie regole per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- tenuti di questo campo. Per rimediare alla situazione di na- turale fragilità della memoria e metterla in grado di funzio- nare come strumento di conoscenza ci si richiama dunque: 1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano i fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data ricerca; 2) alle sadelae che hanno il compito di ordinare i fatti in modo che l'intelletto si trovi di fronte non ad una realtà caotica e confusa, ma ad una realtà organizzata. Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da Ravenna a Rosselli, dal Romberch al Gratarolo avevano rivolto la loro attenzione ad una discussione dei problemi attinenti alla to- pica e alla memoria artificiale, avevano insistito proprio sulla funzione dei /uoghi come mezzo per delimitare un campo di ricerca altrimenti infinito e per introdurre ordine in questo campo. Per Melantone (ma molti altri autori potrebbero es. sere citati al suo posto) i /oc; admonent ubi quacrenda sit materia aut certe quid ex magno acervo eligendum et quo ordine distribuendum sit. Nam loci inventionis tum apud dialecticos tum apud rhetores non conducunt ad inveniendam materiam, quam ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. La Partis instaurationis secundae delineatio, alla quale ci siamo ora riferiti, risale al 1607 circa; ma nelle opere della piena maturità Bacone sarà su questi temi altrettanto espli- cito: nel decimo paragrafo del secondo libro del Nowvum Organum si afferma: «la storia naturale e sperimentale è tanto varia e sparsa da confondere e quasi disgregare l’intel- letto ove non sia composta e ridotta in ordine idonco. Bi- sogna pertanto dar luogo a tavole e a coordinationes instantia- RAMO, BACONE, CARTESIO 165 rum in modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- lebri sabulae baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- ganum, parte integrante della ministratto ad memoriam. Ad esse spetta un compito preciso: organizzare e ordinare i con- tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or- ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad una serie ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da questa situazione trae inizio quel procedimento che Bacone chiama la nuova induzione. L’intero procedimento induttivo baconiano — che non è certo il caso di fermarsi qui ad esporre — ha senza dubbio i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- stultima appare costruita in funzione di un ordinamento della realtà naturale capace di introdurre nella molteplicità caotica dei fatti fisici una disposizione e un ordine tali da con- sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni reali. In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- tamente connessa a quella invenzione det luoghi naturali che attirerà per lunghi periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- ganico tentativo compiuto da Bacone di gettare le basi di una invenzione di luoghi naturali e di un metodo di tabulazione risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i termini topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr- tata et visa del 1607 troviamo annunciata con molta precisione la funzione attribuita alle tavole : Ante omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- timae inquisitionis formulas, hoc est materiem particula- rem ad opus intellectus ordinatam, in aliquibus subiectis proponi, tamquam ad exemplum cet operis descriptionem fere visibilem.4? L’anno seguente, nel Commentarius solutus, egli annota rapidamente: « The finishing the 3 tables, de motu, de calore et frigore, de sono ». Se ci volgiamo a considerare gli appunti del Commentarius ci troviamo in presenza di una elencazione Ja Liu i > Novum Organum, Il, 10: « Historia vero naturalis et experimentalis tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et disgreget, nisi sista- tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae et coor- dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere possit intellectus ». 4° Works, III, p. 623. 166 CLAVIS UNIVERSALIS di veri e propri luoghi naturali raggruppati in diverse carte.!? Non diversamente sono strutturate le tre brevi opere che risal- gono a questo periodo e che rappresentano la prima realizza- zione del programma indicato nei Cogitata et Visa e nel Com- mentarius solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela chartarum sive inquisitio legitima de calore et frigore, la Histo- ria et inquisitio prima de sono et auditu."' Nella prefazione alla prima di queste tre operette Bacone, mentre poneva in luce la funzione essenziale che spetta alla topica c alle tavole, distingueva due differenti tipi di tavole: quelle che devono riunire i fatti più visibili e che si riferiscono a un determinato oggetto di ricerca (machina intellectus infe- rior seu sequela chartarum ad apparentiam primam) c quelle che hanno il compito, più alto, di aiutare l'intelletto a cono- scere « ciò che è nascosto » penetrando in tal modo fino alla « forma » delle cose (machina intellectus superior sive sequela chartarum ad apparentiam secundam). Le diciannove tavole elencate da Bacone nella Inquisitio legitima de motu costitui- vano una topica o «sistemazione provvisoria » che avrebbe dovuto consentire il passaggio alle tavole del secondo gruppo. Queste ultime (la machina superior) non sono in realtà che le tabule presentiae, absentiae, graduum del Novum Organum.** L'immagine baconiana dell’universo come labirinto e come selva, la sua convinzione che l’architettura del mondo « sia piena di vie ambigue, di fallaci somiglianze, di segni, di nodi e di spirali avvolti e complicati »,*° condiziona, in modo radi- cale, la dottrina baconiana del metodo. Uno dei compiti, se non il compito fondamentale, del metodo è, per Bacone, quello di introdurre ordine in questa caotica realtà. Nella Delineazio 4° Commentarius solutus, Works, IIl, pp. 626 - 28: « Tria motuum ge- nera imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- tias, ut liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, ut omnifaria aeris, venti, spiritus... Nodi et globi motuum, and how they concur and how they succeed and interchange in things most frequent. The times and moments wherein motions work, and which is the more swift and which is the more slow ». 44 I tre scritti sono rispettivamente in Works, III, pp. 623 - 40; 644 - 52; 657 - 80. 45 Inquisitio legitima de motu, Works, III, pp. 637 - 38. 49 Praefatio gencralis, Works, I, p. 129. RAMO, BACONE, CARTESIO 167 del 1607 troviamo, a questo proposito, un'ammissione quanto mai significativa : la verità — scrive Bacone — emerge più facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius enim emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, essenziale e fondamentale, di una eliminazione della confu- sione figurava, nella stessa opera, fra gli aiuti della memoria.*' « Eliminare la confusione », porre rimedio alla povertà di conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze certe: questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo metodo di interpretazione della natura. Di fronte a questi compiti le sue stesse tadulae gli appaiono nulla più di semplici esempi di un gigantesco lavoro che attende di essere realiz- zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla tantum »).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, alla quale Bacone aveva dedicato non poche delle sue fatiche fino dagli anni del Valerius Terminus, fu addirittura inter- rotta perché Bacone era fermamente persuaso che la costru- zione di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista della fondazione di un nuovo sapere scientifico. La storia na- turale, la raccolta organizzata dei fatti, la limitazione e la delimitazione dei diversi campi di ricerca, la costruzione di una serie di elenchi di luoghi naturali appartenenti ad un campo specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli apparve così importante da indurlo a interrompere la stesura del Novum Organum e a parzialmente svalutare quella stessa « macchina logica » che era stata per molti anni al centro dei suoi interessi.‘ La ordinata raccolta di materiali, la costruzione di una organizzata enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti nelle storie particolari, l’apprestamento di una raccolta di fatti o «storia generale » che fosse in grado di fornire nuovi mate- riali alle stesse storie particolari (Sylva silvarum): tutti questi progetti apparvero a Bacone, almeno al termine della sua 4° Delineatio, Works, III, p. 553, cfr. anche Novun Organum, II, 20. 48 Novum Organun:, II, 18. ° Sul significato, da questo punto di vista, dell’ ultimo paragrafo del libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon: philosopher SCIA science, New York, 1949, trad. ital. Torino, 1952, pp. - 121. 49 168 CLAVIS UNIVERSALIS vita, assai più importanti di ogni indagine volta a perfezio- nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle storie par- ticolari alle quali Bacone lavorò affannosamente dopo il 1620 (il suo progetto comprendeva centotrenta storie) risponde a una duplice esigenza: eliminare le opinioni tradizionali muo- vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre i fatti entro i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove si passi da una considerazione generica ad una diretta lettura di queste « storie » baconiane, ci si renderà conto che esse si presentano appunto come raccolte di luoghi naturali e che esse rappresentano il tentativo di portare a compimento quel lavoro di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de motu, nella Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio prima de sono et auditu. Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una raccolta di luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti da quelli tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di ordinamento della realtà mediante i quali la memoria prepara una « realtà organizzata » all’opera dell’intelletto, Bacone ave- va introdotto, entro la sua logica del sapere scientifico, alcuni tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da questo punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di quanto egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un Melantone avevano dato alla dialettica quando l’avevano con- cepita come lo strumento atto a disporre ordinatamente le no- zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la definizione che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- ficato un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem trova e apre una via ponendo in ordine le res ad propositum pertinentes e la definizione ramista della dispositio (che si identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria) come apta rerum inventarum collocatio. AI di là di tutte le grandi differenze che si possono senza dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della scienza si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di ordinamento e di classificazione degli elementi che compon- gono la realtà naturale. La dottrina della ministratio ad me- moriam aveva esercitato, da questo punto di vista, un peso RAMO, BACONE, CARTESIO 169 decisivo sulla costruzione baconiana di una nuova logica e di un nuovo metodo delle scienze.*° b) Gli atuti alla memoria e la dottrina dell’ enumerazione nelle Regulae. Gli echi della trattatistica rinascimentale sulla memoria artificiale ricompaiono, oltre che nei frammenti del giovane Cartesio, anche nel testo delle Regulae. Quando, nella re- gola XVI, Cartesio concepisce la scrittura come un'arte esco- gitata a rimedio della naturale labilità della memoria e parla di un intelletto che « va aiutato dalle immagini dipinte dalla fantasia » non fa che ripetere nei loro termini più tradizionali, luoghi comuni presenti in quasi tutti i testi della mnemotecnica di derivazione “ciceroniana”: Anonimo del sec. XVI (Mar- ciana, lat. 274, £. 4Ir.). vVescarTEs, Regulae, in Ocuvres, X, p. 454. . operae practium est omnes alias Sicut enim invenerunt. homines [dimensiones] ita retinere, ut fa- diversas artes ad iuvandum di- cile occurrant quoties usus exigit; versis modis naturam, sic enim in quem finem memoria videtur videntes quod per naturam me- a natura instituta. Sed quia haec sacpe labilis est... aptissime scri- bendi usus ars adinvenit; cuius ope freti... quaccunque erunt re- stituenda in charta pingemus. moria hominis labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memo- riam... et sic adinvenerunt scrip- turam... A questa stessa assai antica tradizione si era del resto ri- chiamato Bacone nel De augmentis quando aveva visto anche egli nella scrittura il principale aiuto alla memoria: adminiculum memoriae plane scriptio est, atque omnino monendum quod memoria, sine hoc adminiculo, rebus prolixioribus impar sit, neque ullo modo nisi de scripto recipi debcat.5! Il ricorso cartesiano alle « immagini corporee », ai simboli, alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della complessa me- todologia delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la «rappresentazione sulla carta » servono a sgombrare l’animo da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo da esso, in modo che °° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più analitica degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio F. Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, 1957, cap. VI. 51 Works, I, p. 647. 170 CLAVIS UNIVERSALIS la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- volte alle idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della scrittura — afferma Cartesio — non affideremo nulla alla memoria, ma, lasciando libera e completa la fantasia alle idee presenti, rappresenteremo sulla carta qualunque cosa si vorrà ricordare; nessuna di quelle cose che non richiedono perpetua attenzione, se può esser messa sulla carta, deve essere impa- rata a memoria, affinché un ricordo inutile non sottragga parte della nostra intelligenza alla cognizione dell'oggetto prc- sente. Ai segni o simboli arbitrariamente scelti (a, b, c. ecc. per le grandezze note; A, B, C, ecc. per quelle ignote) è affi- data questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per questo « brevissimi » di modo che « dopo aver scorto distin- tamente le singole cose, possiamo percorrerle con un moto celerissimo di pensiero e insieme quanto più è possibile simul- tancamente »."* Il problema della « notazione » o della scrittura e quello, 52 Qeuvres, X, p. 458, 454: « nulla unquam esse memoriac mandanda ex iis, quac perpetuam attentionem non requirunt, si possimus ea in charta deponere, ne scilicet aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- sentis cognitioni supervacua recordatio surripiat... nihil prorsus memo- riac committemus, sed liberam et totam pracesentibus ideis phantasiam reliquentes, quaecumque erunt retinenda in charta pingemus; idque per brevissimas notas, ut postquam singula distincte inspexcrimus... possimus... omnia celerrimo cogitationis motu percurrere et quamplu- rima simul intucri. Quidquid ergo ut unum ad difficultatis solutionem crit spectandum, per unicam notam designabimus, quae fingi potest ad libitum. Sed, facilitatis causa, utemur characteribus a, b, c, etc. ad magnitudines iam cognitas, et A, B, C, etc., ad incognitas cexpri- mendas... ». 53 Ancor più chiaramente che nelle Regulae (si veda il passo citato nella nota precedente) il problema della notazione o dell'impiego dei simboli algebrici si collega, nel testo del Discours de la méthode (cfr. Ocuvres, VI, p. 20; ediz. Gilson, p. 20) al problema della ritenzione e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par- ticulier [si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais supposer en des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, ni que je puisse plus distinctement représenter à mon imagination et à mes sens; mais que, pour les retenir ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que je les expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible ». Il termine chiffres è tradotto, nella edizione latina, con «characteribus sive quibusdam notis» (cfr. Oew- vres, VI, p. 551.) RAMO, BACONE, CARTESIO 171 ad esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria (« utendum est... memoriae auxiliis », dice il titolo della re- gola XII) vanno in tal modo a intrecciarsi strettamente, nel pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e di quel « moto continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la deduzione. Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le ragioni della presenza, accanto all’intuito, di un altro « modo di conoscenza che avviene per deduzione ». L'’intuito, che è «un concetto della mente pura tanto ovvio e distinto » da escludere ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli enunciati (« ognuno può intuire che egli esiste, che egli pensa, che il triangolo è delimitato soltanto da tre linee » ecc.), ma anche per qualsiasi tipo di discorso: 2 e 2 fanno il medesimo di 3 e 1; non soltanto si deve intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 3 e 1 fanno pure 4, ma anche che quella terza proposizione si conclude necessariamente da queste due.?* La deduzione, di principio, si riduce dunque a intuizione. A tale riducibilità di principio non corrisponde tuttavia una riducibilità di fatto : di qui la necessità di introdurre un diverso termine, quello di deduzione. Molte cose vengono sapute con certezza nonostante non siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non auto- evidente, può essere infatti la necessaria conseguenza di una ininterrotta catena di verità autoevidenti attraverso la quale, con un moto continuo di pensiero, « passa » la nostra mente. Ogni passo di questo moto o ogni « anello della catena » viene afferrato mediante una intuizione immediata, ma la conclu- sione, vale a dire la necessaria connessione tra il primo e l’ul- timo anello della catena non è presente alla mente con la stessa evidenza che caratterizza la intuizione intellettuale. « Sap- piamo » che l’ultimo anello è congiunto con il primo; non ve- diamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo, tutti gli anelli intermedi dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per- tanto a passarli l’uno dopo l’altro in rassegna e a ricordare che i singoli anelli, dal primo all’ultimo, stanno attaccati ai 34 Qeuvres, X, p. 369: « At vero haec intuitus evidentia et certitudo, non ad solas enuntiationes, sed etiam ad quoslibet discursus requiritur. Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 & 2 efficiunt idem quod 3 & 1; non modo intuendum est 2 & 2 efficere 4, et 3 & |] cf- ficere quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam illam necessario concludi ». 172 CLAVIS UNIVERSALIS più vicini. La distinzione fra intwstus e deductio è fondata ap- punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento o una successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- duzione non è necessaria quella attuale evidenza che è pre- sente nell’intuito: la deduzione mutua in certo modo la sua certezza dalla memoria.” Nel caso di deduzioni non particolarmente complesse o di brevi « catene » è sufficiente la memoria naturale; ove tut- tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le nostre capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- plesse è necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- mità della memoria » (« memoriae infirmitati succurrendum esse »). La conoscenza di una necessaria connessione tra il primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la dedu- zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso passando «con moto continuo e non interrotto del pensiero » da anello ad anello. Ove venga trascurato anche un solo anello la deduzione apparirà impossibile o illegittima. In questo senso va soccorsa la memoria: La deduzione si compie talvolta mediante una così lunga concatenazione di conseguenze che, quando perveniamo ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino che ci ha condotto fin lì: per questo diciamo che si deve > Qeuvres, X, p. 369-70: « Hinc iam dubium esse potest, quare, prae- ter, intuitum, hic alium adiunximus cognoscendi modum, qui sit per deductionem: per quam intelligimus, illud omne quod cx quibusdam aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita faciendum fuit, quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint evidentes, modo tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum ct nullibi interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: non aliter quam longae alicuius catenae extremum annulum cum primo connecti cognoscimus, etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non omnes intermedios, a quibus dependet illa connexio, contemplemur, modo illos perlustraverimus successive, et singulos proximis a primo ad ultimum adhaerere recordemur. Hic igitur mentis intuitum a deduc- tione certa distinguimus ex co, quod in hac motus sive successio quac- dam concipiatur, in illo non item; et praeterea, quia ad hanc non ne- cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed potius a me- moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche la re- gola XI, Ocuvres, X, pp. 408 -9). RAMO, BACONE, CARTESIO 173 portare aiuto alla debolezza della memoria mediante un continuo movimento del pensiero?" Quel processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- zione (enumeratio sive inductio) costituisce appunto questo giuto alla memoria. Il fine che si propone questa minsstratio ad memoriam (per usare il termine baconiano) è l’acquisizione di una rapidità o celerità nella deduzione tale da ridurre al minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla stessa memoria e tale da conferire ad un insieme di co- noscenze troppo complesso per essere abbracciato da una sola intuizione, l'immediata evidenza che è privilegio della stessa capacità intuitiva: «Se mediante diverse operazioni ho conosciuto quale sia il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra Be C, poi tra C e De infine tra D e E, non per questo vedo il rapporto tra A e E, né lo posso ricavare con esattezza dalle cose già cono- sciute se non mi ricordo di tutte. Per questo le percorrerò tante volte con una specie di moto dell’immaginazione che in- tuisce le singole cose e insieme si trasferisce nelle altre, finché abbia imparato a passare dalla prima all’ultima con tanta celerità che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, mi sembri di intuire tutto insieme. In tal modo, mentre si aiuta la memoria, si corregge anche la tardità dell'ingegno e si amplia in qualche modo la sua capacità ».' E’ tuttavia possibile, ritengo, mettere in luce alcuni punti le) di contatto più profondi di quelli finora rilevati tra il testo % Qeuvres, X, p. 387: « Hoc enîm sit interdum per tam longum conse- quentiarum contextum, ut, cum ad illas devenimus, non facile recor- demur totius itineris quod nos co usque perduxit; ideoque memoriae infirmitati continuo quodam cogitationis motu succurrendum esse dicimus ». 5? Ocuvres, X, pp. 387 -88: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes cognoverim primo, qualis sit habitudo inter magnitudines A _& B, deinde inter B & C, tum inter C & D, ac denique inter D & E: non idcirco video qualis sit inter A_& E, nec possum intelligere praecise ex iam cognitis, nisi omnium recorder. Quamobrem illas continuo quodam imaginationis motu singula intuentis simul et ad alia tran- seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam tam celeriter transire didicerim, ut fere nullas memoriae partes reliquendo, rem totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum memoriae subveni- tur, ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas quadam ra- tione cxtenditur ». 174 CLAVIS UNIVERSALIS cartesiano delle Regulae e quella tradizione di ars memorativa alla quale ci siamo fin qui richiamati. L. J. Beck, che sulla metodologia delle Regulae ha scritto pagine assai acute, ha nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due diversi significati o due differenti accezioni del termine enumerazione in Cartesio.?* Quando fa riferimento, nel Discorso, alla enu- merazione Cartesio parla infatti da un lato di « enumerazioni complete » (denombrements entiers) e dall'altro di « revisioni generali » (revues générales). La traduzione latina del Discorso, rivista come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- glio la distinzione qui adombrata: l’espressione denombre- ments entiers viene tradotta con singula enumerare, quella revues générales con omnia circumspicere.?® Comunque sia da considerare la distinzione fra questi due diversi aspetti o queste due diverse funzioni dell’enumerazione, resta il fatto che con questo termine Cartesio sembra far riferimento: 1) a quel rimedio alla memoria che deve essere presente, abbiam visto, nel caso di deduzioni particolarmente complesse o di «catene » troppo lunghe; 2) all’ordinamento delle condizioni dalle quali dipende la soluzione di un problema particolare e a quell’iniziale ordinamento dei dati che è preliminare ad ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla determina- zione del problema stesso. « Enumerazione o induzione — scrive Cartesio nella re- gola VII — è una diligente e accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- cludere con certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- mente tralasciato ».°° La funzione attribuita alla enumerazio 58 Cfr. L. J. Beck, The Method of Descartes, a Study of the Regu- lae, Oxford, 1952, p. 143, ma cfr. le pp. III-146. Sull'enumerazione cartesiana: R. Husert, La théorie cartesienne de lenumeration, in « Revue de metaphysique et de morale », 1916, pp. 489-516; Sirven, Les années d'apprentissage de Descartes, Paris, 1928, pp. 378-79; E. Gitson, ediz. del Discosrs, Paris, 1947, pp. 210-213; N. KeMr SMITH, New Studies in the Philosophy of Descartes, London, 1952, pp. 70-77; 144 - 49; 150- 59. 39 Qetivres, VI, p. 559. 6° Qeuvres, X, p. 388: « Est igitur haec cnumeratio sive inductio, corum omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant, tam dili- gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque concludamus, nihil a nobis perperam fuisse praetermissum ». RAMO, BACONE, CARTESIO 175 appare qui assai diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora fatto riferimento. Enumerare vuol dire qui procedere ad una classificazione logica (che si svolge normalmente prima del processo deduttivo) in vista di una determinazione e limita- zione dei problemi. Si tratta, come dice esattamente il Beck, di un « preparatory making-out of the field of knowledge in which a proposed investigation of some particular problem is presently to take place ».° AI Beck, che è esclusivamente interessato ad un esame della struttura formale del metodo cartesiano c delle relazioni intercorrenti tra i vari scritti di Cartesio, è sfuggita (così come agli altri interpreti)? la sostanziale affinità tra questa accezione del termine enumerazione e la topica baconiana che si presenta anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- cipale compito degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone nella costruzione di regole atte a limitare il « campo infinito » 6! L. J. Beck, op. cit., p. 130. €2 Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani non corrisponde, così nel caso del Beck come in quello del Gouhier, una altrettanto perfetta conoscenza dei testi filosofici e non filosofici circolanti nella cultura francese ced europea del primo Seicento. Si veda per esempio (per re- stare nei limiti dei problemi qui trattati) come il Gouhier, nel suo bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe il problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza aver preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi conto che il giudizio cartesiano su Lullo (« parler sans jugement des choses qu'on ignore ») non è che la ripetizione di un luogo presente nei testi filosofici da Agrippa a Bacone (p. 27 n. 55). Anche l’espressio- ne cartesiana «in quodam ordine locorum dialecticorum unde ratio- nes desumuntur » fa riferimento, contrariamente a quanto mostra di credere il Gouhier, ad un ben preciso tipo di letteratura; così come l'affermazione « una est in rebus activa vis ecc.» e il proposito di servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec l’imma- gine della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e gra- tuiti, pur prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- tivo, ovc non vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con una tradizione. Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, non aveva certo bisogno di ricorrere a Keplero per concepire le cose corporee come simboli di quelle spirituali. Ma del passo cartesiano che fa riferimento all’ars memoriae dello Schenkel, Gouhier elimina la seconda metà (che risulta difficilmente comprensibile a chi non abbia visto il testo dello Schenkel) senza poter spiegare in alcun modo in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che Cartesio ritiene di aver inventato. (Cfr. GouHIER, op. cit., pp. 27, 28, 69, 82-84, 92). 176 CLAVIS UNIVERSALIS della conoscenza umana e a determinare quindi un campo di conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine dei fatti viene distaccata una storia particolare le cui parti vengono ordinatamente disposte... in primo luogo mostreremo quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema, il che è qualcosa di simile a una topica; in secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- vise... ».5° L’enumerazione, come aiuto alla memoria, ha quindi per Cartesio il compito di svolgere una accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta; quella sorta di « to- pica » che costituisce per Bacone il principale aiuto della me- moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa funzione: mostrare quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema. Dopo aver preliminarmente isolato e de- terminato un problema o una questione (proprio questo, ab- biam visto, era il compito che la tradizione retorica affidava ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina- mento, ad una suddivisione e ad una classificazione delle cose concernenti la questione proposta. Su questo punto c da que- sto punto di vista la posizione di Cartesio non è in alcun modo differente : «Se si dovessero considerare una ad una le singole cose che riguardano la questione proposta non sarebbe sufficiente la vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte nell'ordine migliore, in maniera che siano ridotte il più pos- sibile a classi determinate, sarà sufficiente vedere esattamente una sola di queste, oppure qualcosa di ciascuna, o almeno non ripercorreremo mai niente due volte invano; ciò è di tanto giovamento che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si compiono rapidamente e senza difficoltà molte cose che, al primo aspetto, apparivano immense ».5 © Cfr. il testo sopra riportato alla nota 40. 6! Qcuvres, X, pp. 390-91: « Addidi etiam enumerationem debere esse ordinatam... si singula quae ad propositum spectant, essent separatim perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia nimis multa sunt, sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia illa optimo ordine disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, ex quibus vel unicam exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid, RAMO, BACONE, CARTESIO 177 Non è qui nostro compito esaminare le differenze inter- correnti tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio cartesiana. Al di là delle differenze si voleva qui sottolineare, nel pensiero dei due « fondatori » della filosofia moderna, la presenza e la persistenza di temi legati ad antiche e recenti discussioni sulla memoria. A queste discussioni vanno colle- ate non solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio per i problemi della mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor scientiarum e i progetti di una scientia universalis o sapientia, ma anche la dottrina, baconiana e cartesiana, degli «aiuti della memoria ». Non si tratta dunque solo dei « residui » di una tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di importanza e di significato storico di un fortunato genere letterario; né si tratta di concessioni ad una « moda » assai diffusa. Nella Znterpretatio naturae di Bacone e nelle Regulae ad directionem ingenti di Cartesio ci sono apparse presenti al- cune tesi legate alla tradizione “retorica” dell’ars memora- tiva: al necessario « isolamento » di una questione si giunge mediante una preliminare classificazione degli elementi costi- tutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- tutivo di tale classificazione; queste ordinate e « artificiali » classificazioni costituiscono il necessario rimedio alla insuffi- cienza e alla labilità della memoria naturale. Come già aveva fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano dunque inserito, nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en- trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- moria strumento indispensabile alla formulazione e al “fun- zionamento” di una nuova logica o di un nuovo metodo. Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della me- moria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- dici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale, aveva fatto in tal modo il suo ingresso, sia pure piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser- citata dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si vel quasdam potius quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra percurremus; quod adeo iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- tutum brevi tempore et facili negotio peragantur, quae prima fonte videbantur immensa ». 178 CLAVIS UNIVERSALIS svolsero in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- verso l’opera di Alsted e di Comenio questo stesso problema apparirà ancora una volta essenziale, nel corso del secolo XVII, alla costruzione di dizionari totali, di linguaggi perfetti e di universali enciclopedie. Non a caso nella tradizione lulliana si era lungamente insistito sulle connessioni che intercorrono tra la memoria, la logica e l’enciclopedia. « Si igitur ordo est memoriae mater, logica est ars memoriae » scriverà lo Alsted; e non a caso, avviando i suoi progetti di una caratteristica uni- versale, Leibniz si volgerà — oltre che a Bacone, Alsted e Comenio — a Lullo e ai suoi grandi commentatori del Rina- scimento e si richiamerà a non pochi e non secondari testi di ars memorativa. VI. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 1. IL SISTEMA MNEMONICO UNIVERSALE: Enrico ALSTED. L'ideale enciclopedico che, da Bacone a Leibniz, domina la cultura del secolo XVII si mostra operante, con forza sin- golare, nell’opera vastissima di Enrico Alsted (1588 - 1638) maestro di Comenio a Herborn, editore di testi del Bruno, seguace di Lullo e di Ramo, riformatore dei metodi dell’edu- cazione e dell’insegnamento. Percorrendo i molteplici scritti, i numerosi manuali e infine il grande Systema mnemonicum dello Alsted, ci si rende ben conto che dietro la sovrabbon- danza delle citazioni, la ricchezza strabocchevole dell’erudi- zione e l'apparenza antologica delle opere, dietro la mesco- lanza spesso caotica di temi di logica di retorica di fisica e di medicina, sono presenti motivi essenziali: destinati a eserci- tare un'influenza decisiva sul costituirsi, agli inizi del Sei- cento, dell'ideale pansofico e dell’enciclopedismo. Riformare le tecniche di trasmissione del sapere; dar luo- go ad una classificazione sistematica di tutte le attività ma- nuali e intellettuali: entrambi questi progetti si risolvono, per Alsted, in quello della costruzione di un nuovo « sistema » che riunisca in un unico corpus, in un organo totale delle scienze, i princìpi di tutte le discipline. Solo attraverso l’enci- clopedia, che rivela i rapporti tra le varie discipline e porta alla luce la sistematicità del sapere, potrà essere costruito un nuovo metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia- no degli studi.’ L’esplicita adesione di Alsted alla tematica del lullismo, la sua insistenza sul valore della memoria come tecnica dell'ordinamento enciclopedico delle nozioni, possono essere intese solo in funzione di questo suo grande progetto. ! Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, Bari, 1957, pp. 235 -39. Sul lullismo di Asted cfr. Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid, 1939-43, II, pp. 239-49; V. OsLer, s.v. in Dictionnaire de Théologie Catolique, I, coll. 923 - 24. Molte opere inedite in Niceron, Mémoires, Parigi, 1740, 41, pp. 298-311. 180 CLAVIS UNIVERSALIS Alla ricerca di una « via compendiosa » capace di dischiudere all'uomo il possesso di un sapere totale si volsero, secondo Alsted, i tre maggiori studiosi di logica che siano apparsi sulla terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo. Essi si ri- volsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- sus feros et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li con- dussero « verso i pascoli amenissimi della scienza ». Al di là delle differenze, i tre grandi filosofi ebbero uno scopo e un me- todo comune «ad quem collinearunt, licet in modis dissi- deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono essere conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- nia philosophiae aristotelicae lullianae et rameae® del 1610 Alsted tenterà, con grande ricchezza di riferimenti, una con- ciliazione dei tre metodi, ma già nella Clavis artis lullianae che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno prece- dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel terzo capitolo dell’opera, De tribus sectis logicorum hodie vi- gentibus, Alsted volgeva la sua attenzione alla situazione, in Europa, degli studi di logica. Dopo aver tracciato un breve quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra gli aristotelici contemporanei, Melantone e Goclenius, Scaligero e Zabarella, Piccolomini e Suarez, egli lamentava lo scarso vigore della setta dei lullisti tedeschi e paragonava la triste situazione della logica tedesca, intieramente dominata dalle controversie fra aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani in Spagna, in Francia, in Italia. I grandi commentatori di Lullo, da Agrippa a Bruno, dal Gregoire al De Valeriis, non sono stati in grado di chiarire il complesso funzionamento della combi- natoria, hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno mescolato i loro sogni alle tenebre del lullismo. Per risollevare le sorti 2 Cfr. Clavis artis lullianac et verae logices duos in libellos tributa, id est solida dilucidatio artis magnac, generalis et ultimae quam Raymun- dus Lullus invenit... edita in usum cet gratiam corum, qui impendio delectantur compendiis, et confusionem sciolorum qui iuventutem fa- tigant dispendiss, Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri Bibliop., anno 1609 (ristampata nel 1633 e nel 1651), prefazione, (Copia usata: Triv. Mor. I, 304). ° Panacea philosophica seu Encyclopaediae universa discendi methodus. De armonia philosophiae aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, 1610 (Copia usata: Braid., B. XII. 5, 314). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 181 della setta lulliana è necessario richiamarsi all'opera del La- vinheta, di Fernando de Cordoba, di Lefèvre d’Etaples, del Bovillo, dei fratelli Canterio, di Pico e riprendere dai fonda- menti il grande progetto di Raimondo: trovare una scienza, conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza fatica né difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costitui- sca il criterio di verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- ne del sapere. Quest’ars generalis, che Alsted avvicina ripetu- tamente alla cabala, potrà essere realizzata mediante la de- terminazione dei « termini generalissimi » e dei « princìpi ge- nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva indivi- duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè di ogni possibile sapere." Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi universali comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze e le tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un 4 Cfr. Clavis artis lullianae, cit., pp. 9-14; 19: « Tantum de Rameis restant philosophi in Germania minus celebres Lullisti. In Germania, dico quia in Hispaniis, Galliis et Italia sunt quamplurimi de hoc grege, ct nominatim quidem in Italia sunt speculatores... qui huic arti sunt deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica dico ct Ramaea in pracsen- tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta Lullistarum, quae hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”... ». Il giudizio sui commentatori era particolarmente aspro: «Nam commentatores (uti- nam fuissent commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- derugt quam lucem ‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. Aut enim sua somnia immiscuerunt, aut obscura per acque obscura explicarunt ». Lo scopo della divina arte di Lullo fu di «talem inve- nire scientiam, qua cognita, reliquae quoque sine difficultate ulla labo- reque magno cognoscerentur, et ad quam, tamquam lydium lapidem, flum Thesci ct Cynosuram omne scibile examinaretur ». L’avvicina- mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera di Alsted, continuo e insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis cabalae tractatus et artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su Lullo: « Quum Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus est me- thodo docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, quos non nemo concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit tritus versiculus: Omnia dant mundo Crux, Globus atque Cubus ». Può essere di qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted ricorda anche il Poliziano «qui, opino per hanc artem, se disputare posse de omnibus pollicebantur » (p. 14). Per i richiami di Alsted a Bruno cfr. le mie Note bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, II, pp. 198-199. 182 CLAVIS UNIVERSALIS insieme caotico, come una disordinata foresta: dietro quel caos apparente sono rintracciabili le linee di un ordine pro- fondo; la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria; quell’intricata foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione di un unico, comune albero del sapere dal quale si dipartono, secondo una razionale successione, i rami delle singole scienze e delle differenti tecniche. In vista della costruzione di un nuovo metodo universale è necessario riportare ordine, coe- renza e sistematicità in quel caos, penetrare coraggiosamente in quella foresta per chiarire l’ordinata struttura dei suoi rami, per svelare l’esistenza di un tronco comune e portare infine alla luce le comuni radici. Da questo punto di vista, il problema del metodo si risol- veva integralmente in quello di un ordinamento delle no- zioni, di una sistematica classificazione degli oggetti che co- stituiscono il mondo e dei concetti che sono stati elaborati dall'uomo. La logica, strumento del metodo, ha il compito di ordinare e di classificare: «La sola logica è l’arte della memoria. Non si dì nessuna mnemotecnica al di fuori della logica. E pare che di ciò si sia accorto Raimondo Lullo che, nel suo opuscolo De auditu kabbalistico, scrisse queste paro- le: “Il metodo vien costituito non solo per l’esercizio del- l’umano intelletto, ma anche perché fornisca un rimedio alla dimenticanza”. Se dunque l’ordine è la madre della me- moria, la logica è l’arte della memoria. Trattare dell’ordine è infatti il compito della logica ».* L’intera enciclopedia si presenta in tal modo come un grande Systema mnemonicum e la logica si presenta come una directio intellectus che è, al tempo stesso, una confir- matto memoriae.® Precisamente su questo terreno Alsted tenta di realizzare una conciliazione tra la dialettica rami- 5 Cfr. Systema mnemonicum duplex... in quo artis memorativae prae- cepta plene et methodice traduntur: et tota simul ratio docendi, discen- di, Scholas aperiendi, adeoque modus studendi solide explicatur et a pseudo-memoristarum, pseudo-lullistarum, pseudo-cabbalistarum im- posturis discernitur atque vindicatur, Prostat, in nobilis Francofurti Pal- theniana, anno 1610, p. 5 (Copia usata: Angelica, XX. 12. 47). * Systema mnemonicum duplex, cit., p. 105: « Logicae duplex est finis et duplex obiectum; primus est directio intellectus, secundus est me- moriae confirmatio ». ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 183 sta e la combinatoria lulliana. Non a caso, nel System mne- monicum duplex del 1610, dopo aver definito il metodo come « instrumentum mnemonicum quod docet progredi a ge- neralissimis ad specialissima » egli inserisce nella sua tratta- zione le tre fondamentali leggi della dialettica ramista: « Pri- ma lex est lex homogeniae... secunda lex dicitur coordina- tionis.... tertia lex dicitur transitionis ».' Eredità lulliane ed influenze ramiste, echi delle ormai secolari discussioni sull’arte della « memoria locale », anda- vano in tal modo a congiungersi in funzione dell’enciclope- dia.* Ma più che a una riforma della logica Alsetd era indub- biamente interessato ad una riforma della « pedagogia »: una nuova organizzazione dell’insegnamento, delle scuole, dei metodi didattici doveva corrispondere, punto per punto, al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a sistema — come scriverà Bayle® — tutte le parti delle arti ? Cfr. Systema mnemonicum duplex, cit., pp. 106-107. # Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta, Alsted avvicina i circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di derivazio- ne ciceroniana: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam quasi domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur... » (Clavis artis lullianae, cit., p. 25). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: Artium liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de modo discendi, in libros septem digestum et congestum, Prostat, 1610; Encyclopaedia septem tomis distincta, Herborni Nassaviorum, 1630 (Co- pie usate: Angelica, XX. 12. 48; Braidense, +}. XIV. 16). Fra le opere di carattere religioso € pedagogico si vedano: Theatrum scholasticum, Flerborniae, 1610; (che contiene un Gymnasium mnemonicum); Tri- gae canonicae, Francoforte, 161! (contenente una Artis mnemologicae explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali, transubstantiatio- ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae, Ginevra, 1630 (cfr. Padova, Antoniana, K. VII. 14). Un certo interesse presenta anche la classificazione delle scienze matematiche contenuta nel Methodus ad- mirandorum mathematicorum novem libris exhibens universam ma- thesin, Herbornae Nassaviorum, 1623, pp. 5-7: « Mathesis est pars encyclopaediae philosophicae tractans de quantitate communiter... Ordo scientiarum mathematicarum hic est. Scientiac mathematicae sunt pu- rae vel mediae. Purae sunt quac occupantur circa solam quantitatem: quales sunt arithmetica et geometria. Mediae sunt quae occupantur, circa quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia, geographia; vel in qualitate ut in optica, musica et architectonica ». (Copia usata: Padova, Civica, G. 6327). pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam, 1740, pp. - 66. 184 CLAVIS UNIVERSALIS e delle scienze, Alsted intendeva in realtà lavorare — come poi Comenio — per un sapere unitario capace di riscattare e di liberare gli uomini. 2. LA PANSOFIA E LA GRANDE DIDATTICA: (COMENIO. La ricerca di un metodo, di una logica, di un linguaggio che consentano all’uomo di penetrare e di dominare tutto, che garantiscano all'uomo il possesso dell’enciclopedia, della sapienza universale: questo fu la pansofia. E nell’ideale pan- sofico, proposto alla cultura di tutta Europa (ma la /anza linguarum fu tradotta anche in arabo e in persiano e pene- trò fin nell’ Estremo Oriente) dall'impeto riformatore di Co- menio ritroviamo chiaramente presenti non solo gli insegna- menti di Bacone e di Alsted, di Ratke e di Andrei, ma anche molti dei temi derivati dalla tradizione dell’ars memorativa e da quella, essai più vigorosa, dell’enciclopedismo lullista.'° Mentre andava chiarendo le linee fondamentali del suo pensiero, nella Conatuum pansophicorum dilucidatio, Co- menio enumerava gli autori che lo avevano preceduto, le opere dalle quali il suo tentativo poteva trarre conforto e ispirazione. Fin dall’antichità uomini insigni tentarono di raccogliere il complexum totius eruditionis; in questo senso operò Aristotele indicando le tre leggi necessarie al raggiun- gimento di quella onniscienza che è possibile all'uomo: la principiorum universalitas, l’ordinis methodus vera, la ve- ritatis certitudo infallibilis. A queste stesse leggi — prosegue Comenio — si son richiamati quegli studiosi che, nell’età moderna, si sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, di sintassi dell’arte mirabile, di teatri della sapienza, di pa- nurgie, di grandi restaurazioni, di pancosmie. I titoli cui Comenio fa riferimento ci rimandano ad opere ben note: agli scritti del De Valeriis c del Gregoire, alle opere di Giu- lio Camillo e del Patrizzi che vengono accostate (e l’accosta- ! Sulle origini della pansofia: W. E. PeuckeRT, Pansophie. Ein Ver- such zur Geschichte der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart, 1936. Sugli ideali pedagogici: L. Kvacata, }. A. Comenio, Berlino, 1914 c ora E. Garin, L'educazione in Europa, cit., pp. 241-252. Sul lullismo di Comenio brevissime, insufficienti annotazioni in CARRERAS Y ARTAU, Op. cit., II, p. 299. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 185 mento è significativo) alla /nstauratio magna di Bacone. Di fronte a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di Seneca: « Molto fecero quanti vennero prima di noi, ma essi non terminarono l’opera; molto resta e molto resterà anco- ra da fare; neppure fra mille secoli sarà preclusa ad alcuno fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora qualcosa ». Ri- chiamandosi a questa eredità Comenio intende dunque rea- lizzare « un’opera universale » e anch’essa, come già quella dei suoi predecessori, non è costruita solo per l’uso degli eru- diti ma per quello di tutti i popoli cristiani. Muterà il de- stino stesso della razza umana quando sarà realizzata quella pansofia che è « universae eruditionis breviarum solidum, in- tellectus humani fax lucida, veritatis rerum norma stabilis, negotiorum vitae tabulatura certa, ad Deum denique ipsum scala beata ».!! I richiami di Comenio ai teatri, alle sintassi, alle enci- clopedic basterebbero da soli a documentare l’esistenza di una effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di interessi comuni fra i maggiori esponenti dell’enciclopedismo lullista e i teorici della pansofia. Ma non meno evidenti — anche se assai meno noti — sono i rapporti che legano l’opera comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- morativa per tanti aspetti connessa, dopo la metà del Cin- quecento, alla rinascita del lullismo. Solo chi abbia presenti le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, tanto diffusa fra gli esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto dell'ambiente nel quale ebbe a maturare il tentativo come- miano di fondare sulle figure e sulla visione ogni duraturo e stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis sensua- lium pictus si presenta, non a caso, come una «omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura !! Per quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum pansophicorum dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis latini studio perfecte absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavo- rum, Officina David Lopez de Haro, 1644, pp. 120-122. (La prima edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S. Gellibrand, 1639). Ho visto l'edizione del 1644 nell’esemplare dell’Angelica, SS. 10.90 al qua- le è stato legato assieme il Faber fortunae sive ars consulendi sibi ipsi ttemque regulac vitae sapientis, Amstelodami, ex officina Petri van der Berge, 1657. 186 CLAVIS UNIVERSALIS et nomenclatura », e chi ne scorra le pagine piene di figure e di simboli troverà appunto, ovunque presente, la tesi che la realtà delle cose dev'essere intuita e vista attraverso le immagini delle cose.!* Fondamento di un erudizione non astratta e scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- fusa, ma «chiara e distinta e articolata come le dita della mano », è la «retta presentazione, ai sensi, delle cose sensi- bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del senso e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta educazione dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- buita una funzione decisiva: esse sono «le icone di tutte le cose visibili dell’intero mondo, alle quali, con modi appro- priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ». Ripren- dendo il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana Comenio giunge a significative conclusioni: «al nostro fine servirà validamente anche questo: dipingere sulle pareti delle aule il sunto di tutti i libri di ciascuna classe, tanto il testo (con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni, ritratti e rilievi, che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli stu- denti. Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno tramandato gli antichi, erano scritte le regole di tutta la me- dicina che Ippocrate, di nascosto, copiò da capo a fondo. Anche Dio infatti dovunque riempì questo grande teatro del mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap- presentazioni della sua sapienza ». Non si trattava solo della generica accettazione di mo- tivi diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comenio contro quella « permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- labatro, nel quale le lettere son riprodotte accanto all’imma- gine dell'animale «cuius vocem litera imitatur »,!” non fa che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli « al- fabeti mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi quattrocenteschi e cinquecenteschi di ars reminiscendi. A questa stessa tecnica del raffrozamento della memoria (lar- 12 Orbis senstalis picti pars prima. Hoc est: omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura, cum titu- lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae, Sumtibus Joh. Andr. Endteri haeredum, anno salutis, 1746 (la prima ediz. è del 1658). Si vedano, in particolare, le pagine della prefazione. 19 Cfr. Orbis sensualis picti pars prima, cit., prefazione e pp. 4-5. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 187 ghissimamente impiegata dallo stesso Comenio nel De ser- monis latini studio del 1644), ai teatri del mondo, alla ca- bala si richiamano poi quelle numerose pagine di Come- nio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui dev'essere attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- de, il più solenne nome di Templum. Il tempio della panso- fia cristiana è costruito secondo le idee, le norme, le leggi divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in esso sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza naturale presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti dell'ingegno umano, le realtà interne dell’uomo, Dio e le potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza: di fronte a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- chinose costruzioni emblematiche del De Valeriis e del Ca- millo, le grandi rassegne della realtà universale presenti nel Thesaurus memoriae del Rosselli.!' Anche il progetto comeniano di una «enciclopedia to- tale » appare del resto profondamente legato alle impostazio- ni del lullismo, alle discussioni sulla catena scientiarum, ai progetti, così numerosi nel Cinquecento, di una scienza uni- taria o arte universale. L’oggetto della sapienza — scrive Co- menio nel Pansophiae prodromus del 1639 — è stato di volta in volta attribuito alla filosofia, alla medicina, alla teologia, al diritto; è stato concepito come oggetto di una scienza par- ticolare; identificato con una visione parziale che allontana ogni speranza di pervenire alla totalità, alla comprensione dell’unità del mondo. Alla visione totale, alla lettura del gran libro dell'universo si potrà giungere attraverso un pro- cesso graduale che va dall’enciclopedia sotto la specie sensi- bile (orbis sensualis) all’enciclopedia sotto la specie intellet- tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria, che è lo scopo più alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- 14 Il testo della Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- sophiae prodromus, cit., pp. 173-224. Per il tempio della pansofia cristana cfr. le pp. 122-165: « Pansophiae christianae templum ad Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei ideas, normas, legesque Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi Ecclesiae, ex omnibus gentibus, tribubus, populis et linguis collectae et colligendae consecran- dum ». Cfr. anche la Pansophiae Diatyposis iconographica, Amstlelo- dami, 1645. 188 CLAVIS UNIVERSALIS diante la successiva aggiunta di considerazioni parziali.!* Tutti i tentativi di giungere all'unità mediante l’enumerazione e la collezione delle soluzioni e delle tecniche particolari, sono miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante- schi ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- tiarum confectatio, la totalità delle parole e delle cose; dal- l’altro si son costruite ordinatissime enciclopedie simili più ad eleganti catene dai molti anelli che a macchine capaci di funzionare in modo autonomo e cocrente.!* Ne son derivati ordinati mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, ma non si è riusciti a dar luogo a quell’albero vivo delle scienze verdeggiante di fronde e ricco di rami e di frutti che trae alimento e vigore dalle sue proprie radici. Dar vita a quell’albero («at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- borem vivam, fructus vivos desideramus »), sarà possibile solo attraverso la visione unitaria del tutto, la pansofia che è insieme possesso del tutto e viva immagine del vivente uni- verso: (« Pansophiam dico, quae sit viva universi imago, sibi ipsi undique cohaerens, seipsam undique vegetans, seip- sam undique fructu applens... »). A quegli inutili, pedante- schi elenchi di parole e di cose andrà quindi contrapposto il promptuarium universalis eruditionis, il libro della pan- sofia: qui la compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni oscurità, la « perpetua connexio causarum cet effectuum » la « ordinis continuo fluentis series a principio ad finem» so- stituiranno la caoticità e l’oscurità delle precedenti compila- zioni.!’ In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto attiene ai motivi di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso da quello sul quale si erano mossi, nel corso del Cinquecento, !5 Cfr. Pansophiac prodromus, cit., pp. 132-136 e le considerazioni svolte a questo proposito da E. Garin, L'educazione in Europa, cit., p. 249. 16 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., p. 41: «Quas adhuc vidi Encyclo- paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae annulis mul- tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad motum composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam cura et ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus propriis assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- canti, et fructus edenti ». 1? Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 21, 41-42, 136. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 189 gli “enciplopedisti” di ispirazione lulliana. Questa comu- nanza di impostazioni, che sussiste al di là delle differenze, delle critiche e dei polemici rifiuti, risulterà chiara ove si prendano in considerazioni alcuni problemi caratteristici : 1) quello dei rapporti intercorrenti fra la logica e l’enciclope- dia; 2) quello della corrispondenza fra l’universo dei segni c l'universo delle cose; 3) quello dell’unità del mondo (ritma- to secondo l'armonia delle leggi divine) rispetto alla quale l'enciclopedia si pone come uno « specchio »; 4) infine quello della logica-enciclopedica come «chiave universale » capace di dischiudere all’uomo i segreti ultimi della realtà. Su ciascuno di questi punti la posizione di Comenio è precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide con la enciclopedia («januam linguarum et encyclopediam debere esse idem ») e si pongono come una intellectus humani cla- vis che consente la lettura dell’alfabeto divino impresso sulle cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni, l’immagine uni- taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del nuovo metodo che è in grado di ricondurre ogni nozione al suo genere e alla sua specie « ut quicquid de ulla re dicen- dum est, simul et semel de omnibus dicatur de quibus dici potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un numero ridottissimo di «assiomi » o di «sententiae per se fide di- gnae, non demonstrande per priora, sed illustrandae solum exemplis »; l’intero mondo del sapere apparirà in tal modo simile a una «catena » la cui struttura appare simile a quel- la in uso nella matematica: « Il rimedio sarà: una conforma- zione di tutte le arti e le scienze tale che ovunque si inizi dalle cose più note e il processo verso quelle ignote avvenga con lentezza e gradatamente, così come, in una catena, ogni anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i ma- tematici, dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato un problema segue l’effetto, così, nella pansofia, dimostrata una qualche parte dell’universale dottrina, ne conseguono certezza e infallibilità ».!* 18 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 4, 24-25, 78, 85. Sulla coinci- denza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua lingua- rum reserata aurea, Lugduni Batavorum, 1640 (la prima ediz. è del 1631), prefazione e l' Eruditionis scholasticae atrium rerum et lingua- rum ornamenta exhibens, Norimbergae, 1659, p. 5 (copie usate: Braid., tt 4.30 e Angelica IV, 1.56). 190 CLAVIS UNIVERSALIS L’infinita varietà delle nozioni e delle cose è dunque ri- ducibile ad un numero limitato di « assiomi » o di « princì- pi». Questa riducibilitù — che rende possibile la stesura del libro della pansofia — appare chiaramente fondata, anche in Comenio, su alcuni tipici presupposti: le strutture del di- scorso e quelle del mondo reale si corrispondono pienamente; le stesse, identiche rationes sono presenti in Dio, nella na- tura, nell’arte. Le raziones rerum sono in ogni caso le stes- se: in Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, nel- l’arte ut in Antytipo.?* Di fronte ai dubbi che possono essere avanzati sulla possibilità di rintracciare una «chiave univer- sale », Comenio fa appello alla riducibilità del mondo a pochi fondamentali elementi e allo stretto parallelismo intercorren- te tra le res da un lato ce i conceptus, le imagines, i verba dal- l’altro: « Per quanto le cose poste al di fuori dell’intelletto sembrino qualcosa di infinito, tuttavia esse non sono infi- nite perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di pochi elementi e di poche forme differenti e perché tutto quanto è stato escogitato mediante l’arte può essere ricondotto a determinati generi e a determinati punti principali. Poiché dunque fra le cose e i concetti delle cose, fra le immagini dei concetti e le parole si dà un parallelismo, e poiché nelle cose singole sono presenti alcuni princìpi fondamentali dai quali tutto il resto risulta, io pensavo che quei princìpi fon- damentali, che sono egualmente nelle cose, nei concetti e nel discorso, potessero essere insegnati. Mi veniva anche alla mente che i chimici avevano trovato il modo di liberare le essenze o spiriti delle cose dalla superfluità della materia in modo da poter concentrare in una piccola goccia una forza ingente di minerali e di vegetali e che questa goccia era, nelle medicine, di maggior efficacia che i corpi mine- rali e vegetali nella loro integrità. E non potrà essere escogi- tato nulla (pensavo) per radunare e concentrare in qualche modo i precetti della sapienza ora sparsi per i così ampi ter- reni delle scienze ed anzi, al di là dei loro stessi confini, sparsi 19 « Eadem proinde sunt rerum rationes, nec differunt, nisi existendi forma: quia in Deo sunt ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in arte ut in Antitypo » (Pansophiac prodromus, cit., p. 67). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 191 all’infinito? Allontaniamo ogni sfiducia perché ogni atto di sfiducia è una bestemmia verso Dio ».?° Determinando i princìpi e le essenze, ponendosi come specchio fedele della natura, l’arte ha il compito di rivelare la profonda armonia che lega gli elementi dell’universo: « Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia... i musici chiamano armonia la piacevole consonanza di molte voci e tale, in verità, è l’armonioso concerto delle virtù eter- ne in Dio, delle virtù create nella natura, delle virtù espresse nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte si dà armonia e c’è armonia divina e l’arte è immagine della natura ».?! Di qui nasceva la fede di Comenio nella possibilità di una partecipazione di tutti gli uomini a una comune salvez- za, la sua convinzione che, attraverso la conquista della pan- sofia, potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- sidi dei quali fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam non invitae tam claro lumini errorum tenebrae et hominibus facilius cessarent dissidia, lites, bella quibus se nunc conficit mundus ».?? 3. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVII. L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella pos- sibilità di un’arte capace di porsi come strumento di razionale convivenza tra le genti, l'aspirazione a un metodo universale o scienza unitaria che riveli la coincidenza tra le strutture del pensiero e quelle della realtà erano ormai state integralmente accolte, in quanto avevano di più valido, dai maggiori rap- presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted, Comenio (così come più tardi avverrà con Leibniz) avevano accolto alcuni temi presenti nella tradizione lullista e li ave- °0 Pansophiae prodromus, cit., p. 86. 21 Pansophiae prodromus, cit., p. 67 e cfr. alle pp. 55-56. Ma su que- ste conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc est sapientia pri- ma (quam vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum adaptata ut per cam in totum rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- dinem et in omnes intimas rebus coeternas veritates prospectus pateat catholicus simulque et cadem omnium humanarum cogitationum, ser- monum, operum fons et scaturigo, formaque et norma esse appareat, 1681. 22 Pansophiae prodromus, cit., p. 44. 192 CLAVIS UNIVERSALIS vano inseriti in un più vasto discorso concernente la logica, la funzione della filosofia, i rapporti fra le scienze, l'educazione del genere umano. In molti dei testi, numerosissimi, dei se- uaci e dei commentatori di Lullo pubblicati nel corso del se- colo XVII troviamo invece solo la ripetizione di motivi ormai tradizionali, l’insistenza su temi ormai trasformati in luoghi comuni, la pedantesca riesposizione delle regole della combi- natoria. Le discussioni sull’enciclopedia, sulla trasmissione del sapere, sul metodo, sul linguaggio si andavano ormai svol- gendo, a più alto livello, in ambienti differenti. E tuttavia an- che di questi testi — non pochi fra i quali furono ammirati c celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini in- signi — gioverà tener conto. Non solo per sottolineare la presenza operante di un tipo di ricerche che ebbe eco vastis- sima, ma anche per rendersi conto di come, su quelle stesse ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze caratteristiche della cultura del Seicento. Abbiamo già ricordato i progetti di unificazione delle scienze presenti nelle opere del Morestell, del Meyssonnier, di Jean d’Aubry, ma altri casi sono, da questo punto di vista, non meno indicativi. Nel 1632, a Parigi, veniva pubblicato da R. L. de Vassi, consigliere del Re, Le fondément de l'artifice universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de pervenir à l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre mé- thodique beaucoup plus prompte et vrayment plus facile qu aucun autre qui soit communement receu.?* Il libro, nono- stante le mirabolanti promesse contenute nella lettera dedi- catoria, conteneva in realtà solo la parziale traduzione di alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che l’opera di Lullo venisse allora presentata come lo strumento atto a consentire il metodico ordinamento delle scienze e la realizzazione del- l'enciclopedia. In una situazione che il de Vassi giudicava assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique artift- cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus grand part et rejetté communement du commun des Doc- teurs... ») i testi della combinatoria venivano riproposti in fun- 29 Traduit par R. L. Sicur de Vassi, conseiller du Roy, A_ Paris, dans l'imprimerie d’Ant. Champenois, 1632. (Copia usata: Triv., Mor. M. 30). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 193 zione di un problema che era, in quegli anni, estremamente attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo presente anche negli scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey (morto nel 1631), medico della regina madre di Francia, au- tore, oltre che di scritti di medicina e di fisiognomica, di un compendio di filosofia aristotelica e di una Via ad divas scien- tias artesque, linguarum notittam, sermones extemporaneos nova et expeditissima.?* Nell’edizione postuma delle sue ope- re ® troviamo, accanto ai consueti interessi per la retorica e per il linguaggio, per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo- pedia (scientiae et artes omnes ordine distributae et desumptae), il tentativo di ridurre ad assiomi i princìpi di tutte le scienze (ariomata philosophica) e di tracciare le linee di un ordina- mento degli studi. Le regole dell’arte della memoria di origine “ciceroniana” vengono riprese dal Frey e inserite — sulle tracce del Lavinheta — nella tematica dell’ars combinandi. Non a caso la pAilosophia rationalis viene ripartita dal Frey in logica, dialettica e arte memorativa (« philosophia ratio- nalis est logica et dialectica et ars memorativa »).?° La costruzione di una assiomatica delle scienze (riduzione di tutti i termini fondamentali delle singole scienze ai prin- cìpi di una combinatoria riformata), la determinazione dei rapporti fra i vari rami del sapere sono i temi centrali anche 24 L'opera fu pubblicata a Parigi (excudebat D. Langlaeus) nel 1628. Ho usato l’edizione del 1647 (Braid. W.Z.8.3). Del Frey sono da ricordare il Compendium medicinae pubblicato nel 1646 e | Onmnis homo, item amor et amicus, item Physiognonia Chiromantia Onciro- mantia, Parigi, 1630. Di questi ultimi due scritti e del panegirico com- posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii Frey me- dici, Parigi, 1631) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and expe- rimental science, New York, 1958, VIII, pp. 456 - 57, 472-73. È da ve- dere anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad mentem ct methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. Langlaeus, 1633 (Par. Naz. R. 9652 e R. 36568). 25 Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt in unum corpus collecta, Parisiis, J. Gesslin, 1645-46, 3 parti in 2 voll. (Copia usata: Angelica, SS. 6. 15). 2° « Philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa. Dialectica quidem dans materiam disputandi et argumenta. Logica dans formas argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel peripatetica, vel ramea » (Opera. cit., p. 527). Per la ripresa dei tradizionali motivi della mnemotecnica ciceroniana si vedano le pp. 443 - 450. 194 CLAVIS UNIVERSALIS del macchinoso Digestum sapientiae (1648 circa) di Ivo de Paris e del grande Commento all'arte lulliana di Giulio Pace, scolaro dello Zabarella e profugo a Ginevra, professore a Hei- delberg e a Padova.?” Quest'ultimo testo, compilato da uno fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori dell’Orga- non aristotelico, da un uomo che fu, oltre che logico insigne, giurista di gran fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un lungo discorso. Ma gioverà invece soffermarsi con una certa ampiezza su un testo del 1659 che ebbe immediata risonanza curopea e godette poi di fortuna grandissima: il Pharus scien- tiarum dello spagnolo Sebastian Izquierdo.°* Alla costruzione dell’arte universale o «scienza delle scienze» — afferma Izquierdo — hanno lavorato nei secoli Aristotele e Cicerone, Quintiliano e Raimondo Lullo. Quest’antica aspirazione verso una «logica prima» che possa illuminare, come un faro, il cammino ai naviganti nel mare della sapienza, ha trovato espressione, nell'epoca moderna, nella Sinzaxis di Pedro Gre- goire, nel Digestum di Ivo de Paris, nella Cyclognomica di Cornelio Gemma, nel Novum Organum di Francesco Bacone. Per condurre a termine l’opera da questi autori avviata, è ne- cessario rendersi conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la scienzia circularis o orbicularis degli antichi) non consiste in un aggre- 27 L’opera di Ivo De Paris, Digestum sapientiac, in quo habetur scien- tarum omnium rerum divinarumn atque humanarum nexus et ad prima principia reductio, fu pubblicata a Parigi fra il 1648 e il 1650. Un'altra edizione, più nota, a Lione nel 1672. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op. cit., ll, p. 297-98. G. Pace, L'art de Raymond Lullius esclaircy... divisé en IV livres ou est enscigné une méthode qui fournit grand nombre de termes universels d'attributs, de propositions et d’argumens par le moyen desquels on peut discourir sur tous sujets, Paris, F. Julliot, 1619 (Par. Naz. R. 42374 e Z. 19007); Artis lullianac emendatae libri IV, Neapoli, ex typ. Secundini Roncalioli, 1631 (Par. Naz. Rés. Z. 959). Sul grande commento aristotelico - In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organtm commentarius analyticus, Aureliac, 1605 - si vedano, fra l’al- tro, le considerazioni di G. Colli, introduzione alla versione italiana dell'’Orgazon, Torino, 1955, p. XXV. 28 P. SepastIan IzquierDo S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad cognitionem humanam humanitus acquisibilem pertinet, ubertim juxta atque succincte pertractatur, Lugduni, sumptibus C. Bourget et M. Liétard, 1659 (Copia usata: Par. Naz. R. 942-943). Cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 305-308; P. Ramòn Cenat, E/ P. S. Izquierdo y su Pharus scientiarum, « Revista de filosofia », 1942, 1, pp. 127 - 154. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 195 gato di tutte le scienze, ma in una scienza speciale (« in spe ciali quadam scientia consistere ») che comprende in sé la totalità di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa scienza speciale o universale; 2) alla logica « parziale » di Aristotele, va sostituita una logica « integra » che comprenda, oltre all’ars intelligendi perfezionatrice dell’intelletto, un’ars memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi e un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della fantasia e quelle dei sensi esterni; 3) la metafisica deve pro- cedere con assoluto rigore dimostrativo secondo il modello delle scienze matematiche: « se i metafisici avessero ragionato dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da princìpi evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- tafisica ». In questo modo di concepire la funzione della filo- sofia prima e in questa auspicata estensione del metodo mate- matico alla metafisica, operavano senza dubbio suggestioni cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando l’Izquierdo (dopo aver criticato l’arte di Lullo per la «barbarie » della sua terminologia, l'insufficienza delle combinazioni binarie e ternarie, l'incapacità a discendere dai termini universali a quelli particolari) identifica la combinatoria con un calcolo. Solo la matematizzazione dell’ars combinandi potrà consen- tire la creazione di quell’unico strumento di tutte le scienze « per quod immediate fabrica scientiae humanae construitur et absque ullo termino semper augetur ». L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti della matematica, assimilando la combinatoria ad un «calcolo », sarà ripresa, com'è noto, dal Leibniz e sarà feconda di im- portanti sviluppi. Ma negli anni nei quali il giovane Leibniz si volgeva alla « nuova » combinatoria, si trattava, contraria- mente a quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La ritroviamo per esempio, chiaramente formulata, negli scritti di quel singolare venditore di fumo che fu il padre gesuita Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili competenze 2° Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 309-13; L. THORNDIKRE, History of magic, cit., VII, pp. 567 - 578; L. Couturat, La logique de Leibniz, Paris, 1901, pp. 541-43; P. FriepLanpER, A. Kircher und Leibniz. Ein Beitrage zur Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., in «Atti della Pontificia Accad. romana di archeologia », Rendiconti, 1937, pp. 229- 247. 196 CLAVIS UNIVERSALIS in fisica e in archeologia, in filologia e in egittologia, in storia e in teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del celeberrimo Mundus subterraneus e di un trattato, altrettanto noto, sui mi- steri dei numeri.?° Ed è significativo, importante per l’inten- dimento di un ambiente culturale, che l'accostamento dell’Arte ai procedimenti matematici, l'esaltazione della combinatoria di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici ars combinato- ria ») alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo, ci appaia presente non solo negli scritti di logici insigni, come l’Izquierdo, ma nelle opere confusissime di un uomo come il Kircher per tanti aspetti legato ai temi della tradizione erme- tica e della sapienza gnostica, ai motivi della magia e della cabala, alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante le sue tirate retoriche sul valore del metodo sperimentale e la sua difesa della nuova scienza, Kircher credeva alle qualità occulte, alle « simpatie » e ai poteri dell’immaginazione, riat- fermava la teoria della generazione spontanea, era convinto dell’esistenza di demoni girovaganti per le miniere, era pronto, in ogni caso e in ogni circostanza a sottolineare gli aspetti « miracolosi » e meravigliosi » della realtà. Quando l’impera- tore Ferdinando III, durante le aspre polemiche suscitate in Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum dell’ Iz- quierdo, fece appello alla dottrina del Kircher per essere in- formato sulla reale utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità di una sua ulteriore semplificazione, il gesuita tedesco elaborò una complicata riforma che si rifaceva in gran parte al Pharus dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le critiche del suo pre- decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente interesse, alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elabora- zione di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. Negli ultimi decenni del secolo, soprattutto ad opera dei °° A. KircHer, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud Joannem Janssonium et Elizeum Weyerstraten, 1664-65; Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665. 31 A. KircHer, Ars magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et universali methodo per artificiosum combinationum contextum de omni re proposita plurimis et prope infinitis rationibus disputari omniumque summaria quaedam cognitio comparari potest, Amsterdam, 1669. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 197 gesuiti, il lullismo si legava ancora una volta all'atmosfera, ormai torbida ed equivoca, dell’ermetismo e della magia. Nei farraginosi scritti di un altro gesuita, il padre Caspar Knittel, troviamo solo un’ampia esposizione delle regole della combi. natoria e la stanca, monotona ripetizione delle tesi del Kir- cher.*° Nei primi anni del Settecento, un grande erudito, il Morhofius, esprimeva, su queste riforme e questo tipo di pro- duzione magico-filosofica, un giudizio che può essere ripreso: « illa vero consistit in eo [nel Knittel] emendatio, quod nova comminiscatur Alphabeta, aliis literarum formis alioque or- dine, quae mihi res exigua videtur »." 4. L’ALFABETO FILOSOFICO DI GiovanNI EnrICO BISTERFIELD. In tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- lato dell’ « alfabeto » Giovanni Enrico Bisterfield che aveva progettato un « alfabeto filosofico » dopo aver raccolto e ordi- nato, in accuratissime tavole, tutti i termini tecnici e tutte le definizioni impiegati da ciascuna scienza.?* Nella creazione di 22 Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in favore della magia contro la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic, cit, VII, pp. 577 -78. 33 Caspar KNITTEL S. J., Via regia ad omnes scientias et artes, hoc est ars universalis scienttarum omnium artiumque arcana facilius pene- trandi, Pragae, J. C. Laurer, 1687 (Par. Naz. Z. 11263); ma è da ve- dere anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et W. Endteri, 1674 (Angelica, CC. 9. 13). °4 D. G. MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, I, p. 358. 35 Ho fatto uso dei due volumi delle opere: Bisterfieldus redivivus, seu operum Joh. H. Bisterfieldi... tomus primus-secundus, Hagae Co- mitum, ex typographia A. Vlacq, 1661. Il primo volume contiene: Alphabeti philosophici libri tres (pp. 1-132); Aphorismi physici (pp. 133 - 190); Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus analy- seos grammaticae et logicae (pp. 212-243); Artificium definiendi catho- licum (pp. 1-104); Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo volume contiene: Logica (pp. 1-451); De puritate, ornatu et copia lin- guae latinae, (pp. 1-26); Ars disputandi (pp. 27 - 33); Ars combinatoria (pp. 34-36); Ars reducendorum terminorum ad disciplinas liberales technologica (pp. 37-41); Ars seu canones de reductione ad praedica- menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem aphorismi bene di- scendi (pp. 47 - 49); Didactica sacra (pp. 50-53); Usus lexici (pp. 54 - 64). (Copia usata: Angelica, XX, 9. 49 - 50). Del Phosphorns catholicus, seu 198 CLAVIS UNIVERSALIS queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni si esauriva per Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi am- phitheatrum che è « ordinatissima compages omnium disci- plinarum ».'° Più che sulla logica e sul metodo (inteso come regola dell'intelletto e rimedio alla naturale debolezza della memoria) Bisterfield insiste infatti sull'importanza decisiva della praxis logica che è una «artificiosa coniunctio » dei ter- mini della logica e di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza degli instrumenta della logica con l’universale enciclopedia.*’ Alle radici dell’enciclopedia stanno i termini trascendentali (« termini trascendentales sunt primae universae encyclopae- diae radices »): da essi muovono l’analisi (che è riduzione di un discorso o di un testo ai suoi termini semplici) e la genesi (che è « simplicium combinatio »): come per una scala si potrà pervenire a quell’artificium definiendi che consente una esatta definizione di tutti i termini dell’enciclopedia e una risolu- zione di tutti i termini nei termini primari o fondamentali.?* ars meditanti epitome cui subjunctum est consilium de studiis felici- ter instituendis ho visto l'edizione del 1657 Lugduni Batavorum, H. Verbiest (Angelica, SS. 5. 451). 36 Alphabeti philosophici libri tres, p. |. 3? Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. II0: «Praxis logica con- summatur, si omnes termini logici, cum universa encyclopaedia mi- sccantur »; Logica, pp. 323-326: « Usus seu praxis logica est artificiosa instrumentorum logicorum ct terminorum enciclopaediae coniunctio... In praxi logica singulos terminos logicos cum singulis singularum disciplinarum terminis conferri debere ». 38 Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. 53: « Termini trascenden- tales sunt primae universae encyclopaedia radices »; Sciagraphia analy- scos, p. 191: « Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in sua principia resoluto iudicium. Totuplex sit analysis quotuplex in textu adhibita fuit genesis, idque ordine retrogrado. Analysis autem upote praxis frugalem compendiorum ac tabularum cognitionem prae- supponit »; A/phabeti philosophici libri tres, p. 110: «Praxis logica est vel simplicium combinatio vocaturque Genesis, vel combinatorum reductio vocaturque analysis, vel denique mixta estque vel Genesis- analysis vel Analysis-genesis cuius varietas est infinita »; Artificium definiendi, pp. 1-2: « Artificium definiendi catholicum est quod do- cet modum omnium encyclopaediace terminorum definitiones accurate inveniendi ac diiudicandi... Scopus huius artificii est foclix id est fa- cilis, solida ac practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- taque universa encyclopaediac cognitio... Definitiones sunt omnis ge- neseos et analyseos claves et normae. Omnis enim mentis et entis, cum ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 199 Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae della praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. « Tantum scit homo solide quantum scit definire »: per giungere a deft- nire esattamente gli enti reali e gli enti di ragione, gli enti separati e quelli collettivi, gli enzia positiva e quelli priva- tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- tura) dei termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- gole discipline. Sulla base del dizionario verranno costruite le tavole che sono «totius mundi totiusque encyclopaediae re- praesentationes ». Mediante le tavole verranno posti in luce i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La costruzione di una tabula primitiva, comprendente i termini comuni a tutte o alla maggior parte delle scienze, avvierà alla comprensione di quell’armonia delle scienze che, Bisterfield se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis della prassi logica :*° « L’armonia delle scienze è la base e la chiave della prassi logica. Quest'armonia è quella soavissima convenienza per la quale non solo tutte le scienze concordano con tutte, ma anche le parti con le parti di ciascuna; ed è così grande quest’armonia che uomini valorosissimi credono che non si diano più scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia unico il corpo e il sistema di tutte le scienze ».*° Per realizzare quest’unico systema, per giungere alla indi- viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri ap- paiano analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto in- dispensabile una elencazione minuziosa e accuratissima delle reductionem, tum deductionem complectuntur, si singula definitionum verba in primos terminos per scalam descendentem et ascendentem resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis claves, argumento- rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et methodorum lumina ». 9 Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi, in particolare alle pp. 3, 4, 6. Sulle tavole cfr. p. II, 12, 15: « Tabulae fundamentales (quae sunt certae terminorum homogcanorum subordinationes et coordina- tiones) sunt faciles, sed accuratae totius mundi totiusque encyclopac- diae repraesentationes... Universa illa inductio ac structura tabularum nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum... Tabula primitiva est prima simplicissima universalissima adeoque brevissima totius mundi totiusque encyclopaediae repraesentatio... cam vocabimus ca- tholicam ». 4° Logica, p. 325. 200 CLAVIS UNIVERSALIS cose e delle nozioni. Il « teatro del mondo », con le sue tavole che rappresentano tutto ciò di cui può discorrere la mente umana, si poneva ancora una volta a fondamento dell’arte, della logica, della scienza delle scienze: «I termini trascen- dentali sono le radici prime dell’universale enciclopedia che è ordinatissima raccolta di tutte le discipline o anfiteatro di- pinto del mondo... L’universale artificium definiendi insegna ad accuratamente rintracciare e giudicare le definizioni di tutti i termini dell’enciclopedia... La prassi logica viene realizzata quando tutti i termini logici vengono mescolati con l’enci- clopedia universale... Le tavole universali costituiscono il no- bilissimo alfabeto di tutte le discipline. Esse devono contenere tutto e devono rappresentare tutto ciò di cui la mente umana può discorrere e chi meglio possiederà le tavole avrà più fermi i semi della scienza. Esse sono le attrezzatissime officine di ogni pensiero e ci pongono sotto gli occhi tutto ciò intorno a cui e muovendo da cui si può discorrere. Di qui possono essere ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti, tutti gli as- siomi, tutti i sillogismi, tutti i metodi ».‘ 41 Cfr. Artificium definiendi, p. 1; Alphabeti philosophici libri tres, p. 110; Logica, pp. 330-331. VII. LA COSTRUZIONE DI UNA LINGUA UNIVERSALE 1. I GRUPPI BACONIANI IN INGHILTERRA: PROGETTI DI UNA LINGUA UNIVERSALE. All’inizio del suo Essay towards a real character and a philosophical language, pubblicato a Londra, sotto gli au- spici della Royal Society, nel 1668," John Wilkins, chiarendo le linee fondamentali del suo progetto di una lingua « filo- sofica », « perfetta» o «universale », rimandava il lettore a quelle pagine dell’Advancement of learning e del De aug- mentis scientiarum nelle quali Bacone aveva enumerato le 1 An essay towards a real character and a philosophical language by Joun Witkins, D. D. Dean of Ripon and Fellow of the Royal Soctety, London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn printer to the Royal Society, 1668, p. 13. (Copia usata: Ambros., Villa Pernice, 19069). Su John Wilkins, vescovo di Chester e membro della Royal Society, autore del celebre scritto The discovery of a wordl in the moo- ne, 1638, cfr. Niceron, Mémoires, Paris, 1750, IV, pp. 129-134. Fra i contributi di maggior rilievo sono da segnalare: A. W. HENDERSON, The life and times of }. Wilkins, London, 1910; D. Stimson, Dr. Wil- kins and the Royal Society, in «Journal of modern history », 1931, pp. 539-563; R. F. Jones, Science and language in England of the mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology », 1932, poi ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford, 1951, pp. 143-160; C. AnpRrape, The real character of Bishop Wilkins, in « Annals of science », 1936, pp. | segg.; F. ChÙristensen, /. Wilkins and the Royal Societys reform of prose style, in « Modern Language Quarterly », 1946, 7, pp. 179 segg.; R. H. Svyrret, The origins of the Royal Society, in « Notes and records of the Royal Society of Lon- don », 1948, 5, pp. 117 segg.; C. Emery, John Wilkins universal lan- guage, in « Isis», 1948, pp. 174-185; B. De MotT, Comenius and the real character in England, in « PMLA », 1955, pp. 1068 - 1081; Science versus mnemonics, în « Isis», 1957, pp. 3-12. Scarso interesse presen- tano le osservazioni contenute nel noto volume di C. K. Ocpen e I. A. RicHarps, The meaning of meaning, London, 1948, pp. 40-44. Sulle idee astronomiche di Wilkins sono da vedere i saggi di G. Mc. Cottey, in « Annals of science », 1936 - 39, in « PMLA », 1937, e in « Studies in Philology », 1938. Una parte dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata in F. TecHmer, Beitràge zur Geschicthe der franzòsischen und en- glischen Phonetik und Phonographie, Heilbronn, 1889. 202 CLAVIS UNIVERSALIS differenze esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali ».? I primi, in quanto emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- mune con la cosa significata »; i secondi — aveva scritto Ba- cone — «non hanno nulla di emblematico », sono caratteri costruiti artificialmente il cui significato dipende solo da una convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in se- guito istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da convenzione, ma i caratteri reali, a differenza delle lettere alfabetiche, rappresentano non lettere o parole, ma diretta- mente cose e nozioni (« neither letters nor words... but things or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in Cina e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso dei caratteri reali, non nominali; che esprimono cioè non let: tere c parole, ma cose e nozioni. In tal modo genti di diver- sissime lingue, che consentono su questo tipo di caratteri, co- municano tra loro per scritto; e in questo modo un libro, scritto in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua propria lingua... I caratteri reali non hanno nulla di emble- matico e sono in qualche modo sordi, costruiti in modo ar- bitrario (ad placitum) e poi accolti per consuetudine come per un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di scrittura esige una grandissima quantità di caratteri che devono es- sere tanti quante sono le parole radicali (vocabula radicalia)». Alla creazione di una lingua universale e artificiale, che climini la confusione delle lingue naturali e ne superi le de- ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che fanno ri- ferimento non ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de- dicheranno, nella seconda metà del secolo, non pochi cul- tori inglesi di logica e di problemi del linguaggio :* nel 1652 esce a Londra uno scritto di Francis Lodowick: The grund- work or foundation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language; nel 1653 appare il Lagopandecteision, or an introduction to the universal language di Thomas Ur- ° Cfr. F. Bacon, Works, by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, Londra, 1887-92, I, pp. 650-51; HI, pp. 399-400. ® Sui linguaggi universali nell’Inghilterra del sec. XVII: O. FunckE, Zum Weltsprachenproblem in England im 17 Jahr., Heidelberg, 1929 c le brevi indicazioni contenute in L. Coururat-L. LeAau, Histoire de la langue tniverselle, Paris, 1907, pp. 11-28 (cfr. la recensione di G. Vartati, Scritti, Firenze, 1911, pp. 541 - 45). LA LINGUA UNIVERSALE 203 quhart (1611 - 1660), il notissimo traduttore di Rabelais; quat tro anni dopo Cave Beck pubblica la sua opera The univer- sal character by which all nations may understand one ano- ther's conceptions; le Tables of the universal character e V Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica di George Dalgarno (1626-1687) vedono la luce, sempre a Londra, rispettivamente nel 1657 e nel 1661; nel 1668, infine, John Wilkins (1614-1672) pubblica il già ricordato £Essay towards a real character and a philosophical language. Per comprendere il significato di queste opere (e delle altre dello stesso tipo) e la funzione storica da esse esercitata, per intendere l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero alimento e dalla quale derivarono le ragioni della loro dif- fusione e del loro successo, bisognerà tener conto di tre grandi fenomeni storici che caratterizzano (per quanto qui ci concerne) la vita intellettuale inglese nella prima metà del secolo XVII. Si tratta: 1) in primo luogo della profon- da, decisiva azione esercitata in Inghilterra dall’opera di Ba- cone e dai gruppi “baconiani” della Royal Society, impe- gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- mo e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- condo luogo di quella grande “rivoluzione” (che non fu solo « mentale » perché investì non solo le idee e la cultura, la letteratura e il modo di pensare, ma anche le istituzioni accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- rare e di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- losofia sperimentale” e degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della profonda risonanza che l’opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos Co- menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- tica, religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. Cominciamo dunque da Bacone, anche perché le sue af- fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in Inghilterra e fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta nei confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in tutte queste trattazioni di lingua universale, dei presupposti implicitamente (ma quasi sempre esplicitamente) presenti. Sul carattere « materialistico » delle teorie linguistiche di Ba- cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande rilie- vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran 204 CLAVIS UNIVERSALIS peso esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione stilistica » che caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- razione, gli sviluppi della prosa secolare (testi di storia, di filosofia naturale, di politica) e religiosa (libri di edificazione, prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato di una «an- tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di qualcosa di più che di una «antipatia »: l’atteggiamento di Bacone è fondato sulla convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello spirito umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto crea- ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren- sione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- pone fra l’uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per « avvicinarsi alle cose » è necessario da un lato rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali, dall’altro impa- rare a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva delle cose. Gli :4ola che si impongono all’intelletto per mezzo delle parole — afferma Bacone nel paragrafo 60 del Novum Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. I primi sono legati a determinate teorie fantastiche (la for- tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante un rifiuto di quelle teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi il problema è molto più complesso perché qui si ha a che fare con una inesperta « astrazione dalle cose » che ha dato luo- go a nozioni confuse. Queste affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire ulteriormente la sua posizione di fronte al linguaggio: le no- zioni devono essere astratte correttamente dalle cose e cor- rispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in modo vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- precisione. Inoltre i nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- citano a loro volta un'azione sull’intelletto: le parole indi- canti nozioni vaghe «ritorcono e riflettono sull’intelletto la 4 Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano: Science and english prose style in the third quarter of the seventeenthà century; Saence and criticism in the neo-classical age of english literature, anch'essi ripubblicati nel volume The seventeentà century, cit., pp. 41-74; 75-10. LA LINGUA UNIVERSALE 205 loro forza » e condizionano negativamente la sua stessa ri- cerca di nozioni precise. In tal modo le parole « riflettono i loro raggi e le loro immagini fin dentro la mente e non solo sono dannose alla comunicazione, ma anche al giudizio e all’intelletto ». Quando, attraverso un'osservazione più ac- curata e una più attenta opera di «astrazione », si tenta di far meglio corrispondere le parole alla natura, «le parole si ribellano » e danno luogo a infinite, sterili controversie che hanno per oggetto non la realtà, ma solo i nomi e le parole. Il tentativo di impiegare definizioni precise del tipo di quelle usate dai matematici non appare a Bacone molto utile: « trat- tandosi di cose naturali e materiali, neppure le definizioni possono rimediare a questo male, perché le stesse definizioni constano di parole e le parole generano altre parole ». Era, questa, una conclusione assai significativa e la critica (svolta da Bacone nel Novum Organum) del termine « umi- do » è preziosa per intendere il suo punto di vista: la equi- vocità del termine « umido » dipende per lui dalla equivocità della nozione di « umido » che indica una molteplicità di comportamenti diversi e che è stata « astratta superficialmen- te e senza le dovute verifiche soltanto dall’acqua e dai liqui- di comuni e volgari ». Di fronte a questa varietà di signifi- cati, non si tratta, per Bacone, di dare una definizione che determini il campo di applicazione del termine « umido » predeterminando l’uso possibile di quel termine e limitan- done il senso, ma di elaborare, sulla base «di uno studio dei casi particolari, della loro serie e del loro ordine », una nozione che riconduca ad unità la diversità dei comporta- menti e serva da criterio per spiegare questa diversità. La validità di questo criterio sarà però, sempre e in ogni caso, dipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alle cose della nozione così elaborata. Si comprende in tal modo come Bacone possa giungere ad una identificazione dei termini “ nozione » e « parola » (« mala et inepta verborum imposi- to », « nomina temere a rebus abstracta » ecc.) che è in con- trasto con gli accenni convenzionalistici pur presenti nella sua trattazione del linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- cone non è in alcun modo disposto ad accettare è una teoria che identifichi la verità di una proposizione con la coerenza logica tra i termini che compongono la proposizione stessa: 206 CLAVIS UNIVERSALIS la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle qualità sensi- bili e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda- mentalmente « materialistica » di questa concezione del lin- guaggio si fa particolarmente evidente quando Bacone crea una specie di graduatoria rispecchiante «i diversi gradi di aberrazione e di errore presenti nelle parole »: il genere di nomi meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze ben note (creta, fango, ecc.); più difettoso è il genere di nomi indicanti azioni (generare, corrompere, ecc.); più difettoso di tutti è il genere dei nomi di qualità (grave, denso, leg- gero, ecc.).° Bacone aveva dunque contrapposto le «cose» alle « pa- role », aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che rimandasse, il più direttamente possibile, alla realtà e alle operazioni o forze presenti nella natura, aveva accentuato i pericoli presenti nell’uso del linguaggio, aveva pensato ad una lingua artificiale, composta da simboli di tutte le « pa- role radicali » che potesse climinare alcuni o molti di questi pericoli. Ma Bacone — e questo è altrettanto importante — era stato anche il /eader dell’anticiceronianismo, si era fatto assertore dei brevi aforismi contrapponendoli al corposo pe- riodare dei seguaci di Cicerone, aveva sostenuto la necessità di un ritorno allo stile «attico» o «senechiano » mirante alla espressività e alla chiarezza, vicino alla « brevità » degli Stoici, « grave » e « sentenzioso », lontano dagli abbellimenti retorici, dalle fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie ce delle metafore, Bacone aveva polemizzato contro le scolasti- che « dispute di parole » e aveva contrapposto al linguaggio in uso nelle Scuole una lingua breve ed essenziale, precisa e cruda, capace di rimettere nuovamente l’uomo — dopo tanti secoli di tenebre e di volontario acciecamento — ‘a contatto con il mondo.° ® Cfr. F. Bacon, Works, cit., III, p. 581 (Redargutio philosophiarum); sugli idola fori: III, pp. 396 -97 (Advancement); HI, p. 599 (Cogitata et visa) e Novum Organum, I, 15, 16, 43, 59, 60. © Cfr.M. W. CroLt, Attic prose in the seventeenth century, in « Stu- dies in philology », 1921, pp. 79- 128; Artic prose: Lipsius, Montaigne, Bacon, in Schelling anniversary papers, New York, 1932; The baroque style of prose, in Studies in english philology; a miscellany in honour of F. Klaeber, Minneapolis, 1929. LA LINGUA UNIVERSALE 207 Negli scritti dei seguaci e degli ammiratori di Bacone, nelle opere di molti fra i maggiori difensori della nuova scienza troviamo, energicamente riaffermate, le posizioni ora delineate. Basterà qualche esempio. John Webster, cap- pellano nell’armata del Parlamento, acceso sostenitore della filosofia baconiana, attacca con estrema violenza nell’Acade- miarum Examen (Londra, 1653) la retorica e l’oratoria che « servono solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste esteriore di ben più solide scienze », respinge gli studi gram- maticali che gli appaiono inutili ad un reale progresso della conoscenza e insiste sulla opportunità di una « symbolic and emblematic way of writing » che superi la confusione e le imperfezioni delle lingue naturali.” Nelle Considerations touching the style of the holy scriptures di Robert Boyle (scritte nel 1653 e pubblicate nel ’61) troviamo lo stesso di- sprezzo per ogni inutile abbellimento dello stile. In un in- teressante brano autobiografico lo stesso Boyle contrapponeva la sua propensione per la filosofia sperimentale e per la cono- scenza delle cose alla sua avversione e al suo disprezzo per lo studio delle parole insistendo anche sull’ambiguità e «li- cenziosità » dei termini scientifici che è esiziale al progresso della vera filosofia: «my propensity and value for real lear- ning gave me such aversion and contempt for the empty study of words... ».° Robert Boyle si era a lungo interessato ai problemi di una lingua artificiale; sui danni che derivano alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si sofferma a lungo un altro fervente baconiano, Joshua Childrey, che nella sua Britannia Baconia (Londra, 1660) afferma che il volto della realtà non va sfigurato imbrattandolo con il bel- letto del linguaggio (« not disfigure the face of truth by dau- bing it over with the paint of language »). Anche Thomas Sprat, la cui History of the Royal Society (1667) rispecchia anche le opinioni dei suoi illustri colleghi, condanna l’uso delle metafore, la viziosa abbondanza delle frasi, la continua variabilità delle lingue come altrettanti mali dai quali gli ‘ J. Wessrer, Academiarum examen, Londini, 1653, pp. 21, 24 e cfr. R. F. Jones, The seventeenth century, cit., pp. 82, 147-48. * The works of the honourable Robert Boyle, ed. T. Birch, London, 1772, I, pp. TI, 29-30; II, pp. 92, 136; III, pp. 2, 512; IV, p. 365; V, pp. 54, 229. 208 CLAVIS UNIVERSALIS uomini di scienza debbono liberarsi.’ Difendendo la Roya! Society dagli attacchi di Henry Stubbe che aveva osato assa- lire tutti i « true-hearted virtuous intelligent disciples of our Lord Bacon », George Thompson scriveva nel 1671: "Tis Works, not Words; Things not Thinking; Pyrotech- nie [chimica], not PhAilologie; Operation, not merely Speculation, must justifie us physicians. Forbear then hereafter to be so wrongfully satyrical against us noble Experimentators, who questionless are entred into the right way of detecting the True of things.!° 2. SIMBOLI LINGUISTICI E SIMBOLI MATEMATICI. Le ricerche tendenti alla costruzione di una lingua « filo- sofica » o «perfetta » trovarono un terreno oltremodo favo- revole nell’atmosfera culturale che abbiamo ora brevemente delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di rigore, questi progetti di una lingua simbolica trassero senza dub- bio alimento dagli sviluppi degli studi matematici, anche se sarebbe impresa disperata sostenere che i progetti di una lingua universale, ai quali qui si fa riferimento, dipendano o storicamente derivino da quegli sviluppi. Il “rigore” delle dimostrazioni matematiche, il largo impiego, in matematica, di “simboli” contribuì però senza dubbio a rafforzare l’idea che fosse possibile, per gli scienziati, ridurre il loro stile a quella « mathematicall plainess» di cui parlava, nella Histo- ry of the Royal Society, il baconiano Thomas Sprat: «essi hanno avuto la costante risoluzione di rifiutare tutte le am- plificazioni, digressioni e ampollosità dello stile: hanno vo- luto far ritorno alla primitiva purezza e brevità, a quando gli uomini esprimevano molte cose all’incirca con un egual numero di parole. Hanno richiesto a tutti i membri della So- cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale; espres- sioni positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di portare tutte le cose il più vicino possibile alla chiarezza della ® THoMas SpraT, The history of the Royal Society of London, London, 1667, pp. 95 - 115. Cfr. H. FiscH and H. W. Jones, Bacon's influence on Sprat's History, in « Modern Language Quarterly », 1946. 1° Grorce THomprson, Mtooxoplag. Londra, 1671, pp. 31, 40. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., p. 145. LA LINGUA UNIVERSALE 209 matematica; una preferenza per il linguaggio degli artigiani, dei contadini, dei mercanti piuttosto che per quello dei dotti ».!! A conclusioni più precise di quelle dello Sprat giunge- vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito l'influenza delle posizioni di Hobbes e accolto la sua defini- zione dei « termini » come simboli di relazioni e di quantità e la sua concezione del linguaggio come « calcolo ». Da questo punto di vista è tipica la posizione di Seth Ward, professore di astronomia ad Oxford, che vede nella « symbolicall way inven- ted by Vieta, advanced by Harriot, perfected by Mr. Oughtred and Des Cartes » il rimedio migliore alla verbosità eccessiva dei matematici. Quel tipo di scrittura, secondo il Ward, può essere esteso all’intero linguaggio in modo che, per ogni cosa e nozione possano essere trovati simboli appropriati e tali da eliminare ogni confusione: «I was presently resolved that symboles might be found for every thing and notion ». Con l’aiuto della logica e della matematica (0y the helpe of logick and mathematicks) tutti i discorsi umani potranno essere ri- solti in enunciati (resolved in sentences), questi in parole (words) e, poiché le parole significano nozioni semplici o sono in esse risolvibili (eszher simple notions or being resol- vible into simple notions), una volta rintracciate le nozioni semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà possibile rag- giungere un discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- velare (e l’aggiunta è importante) le nature delle cose (the natures of things). « Un linguaggio di questo tipo — conclu- deva Seth Ward — nel quale ogni termine sarebbe una de- finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non ingiustamente essere denominato un linguaggio naturale, e potrebbe realizzare quell’impresa che i Cabalisti e i Rosa- cruciani hanno invano tentato di portare a compimento quando ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo alle cose »."* A una lingua universale, composta di caratteri « incomparabilmente più facili di quelli attuali » e a un Dic- tronary of sensible words che fornisse la necessaria termino- logia al meccanicismo hobbesiano, lavorò anche, dopo la metà 1 TH. Sprat, The history, cit., p. 113. 1? SetH Warp, Vindiciac academiarum, Londra, 1654, pp. 20-21. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., pp. 151-152. 210 CLAVIS UNIVERSALIS del secolo, William Petty, membro della Società reale e gran- de pioniere negli studi di economia politica. « Il dizionario di cui ho parlato — scrive in una lettera a Southwell — ave- va lo scopo di tradurre tutti i termini usati nell’argomenta- zione e nelle materie più importanti in altri termini equiva- lenti che fossero signa rerum et motuum ».'* Anche Robert Boyle, in una lettera del marzo 1647, aveva visto nel carat- tere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della possibilità di costruire una lingua composta di caratteri reali: «In verità, poiché i caratteri che impieghiamo in matema- tica sono compresi da tutte le nazioni europee nonostante che ciascuno dei tanti popoli esprima questa comprensione nella sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a fare, con le parole, ciò che già abbiamo fatto con i nu- meri ».!* Gli stessi cultori di algebra e di matematica non furono del tutto estranei a queste discussioni sul linguaggio, sulla scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto quali fossero, su questi argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico Seth Ward, ma anche negli scritti del grande matematico John Wallis il problema dei carazteri o delle note da impie- gare nell’algebra veniva presentato come un aspetto del più generale problema dei segni, delle cifre e delle scritture. For- temente interessato agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis metteva chiaramente in rilievo, nelle pagine del De algebra, i vantaggi che presentavano, di fronte alla troppo prolissa simbologia del Viète i characteres o le notae compendiosae di William Oughtred. Nella Mazhesis universalis del 1657 troviamo, numerosissimi, i riferimenti al problema della scrit- tura in genere e della scrittura occulta in specie: « haec qui- dem occulte scribendi ratio, flagrante nuper apud nos Bello intestino, admodum erat familiaris». Non a caso, nel De loquela sive sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 1° Cfr. The Petty papers, ed. Marquis of Lansdowne, Londra, 1927, voll. 2, I, pp. 150-51; Petty-Southwell Correspondence: 1676-1687, cd. Marquis of Lansdowne, Londra, 1928, p. 324. Ma è da vedere anche l’Advice to Hartlib, Londra, 1648, pp. 5 segg. nel quale si accenna al problema dei caratteri reali. '4 Lettera del 19 marzo 1647 allo Hartlib, in Works, cd. T. Birch, ly ip; 22: LA LINGUA UNIVERSALE 211 matica linguae anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato sulle questioni attinenti alla grammatica e ai suoni. Infine nel De algebra, accanto ad un ferocissimo attacco alla in- competenza matematica di Hobbes (« turpissimis paralo- ismis ubique scatet liber iste »), troviamo un ampio capi- tolo dedicato ad illustrare i vantaggi che presentano, per il matematico, le tecniche dedicate al rafforzamento della me- moria.!* 3. I GRUPPI COMENIANI: LINGUA UNIVERSALE E CRISTIANESIMO UNIVERSALE. L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio sui progetti miranti alla costruzione di una lingua universale è stata ampiamente e minuziosamente documentata.'* Nessun libro dedicato alla lingua perfetta era apparso in Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra nel 1641; dopo quel- l’anno si ebbe una vera e propria fioritura di questi testi. E non si trattava di una coincidenza: Samuel Hartlib — che !5 Il De algebra tractatus historicus et practicus ciusdem origines et progressus varios ostendens è contenuto nel secondo volume delle Ope- ra mathematica, Oxoniae, ex Theatro Sheldoniano, 1695, voll. 3 (co- pia usata: Braid. C. XVII. 9.523. 1-3). Sui caratteri di Viète e di Oughtred cfr. le pp. 69-73. Per i riferimenti alla scrittura presenti nella Mathesis universalis, sive arithmeticum opus integrum tum phi- lologice tum mathematice traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere il vol. I, pp. 47 segg. Per l'attacco ad Hobbes cfr. Opera, I, p. 361 (ma su questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis cfr. G. SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, Paris, 1922, II, pp. 289-92), sulla memoria è da vedere il capitolo del De algebra (in Opera, II, pp. 448 - 50) intitolato De viribus memoriae satis intentae, experimentum. La prima edizione della Grammatica lin- quae anglicanae cui pracfigitur de loquela sive sonorum formatione tractatus grammatico-physicus è del 1653. Ho visto la quarta ediz.: Oxoniae, typis L. Lichfield, 1674 (Braid. } + VI. 51). Sul Wallis mate- matico cfr., oltre ai correnti manuali di storia delle matematiche, ]. F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London, 1938, l’opera gram- x maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- lis, Breslau, 1936. 1 Cfr. D. L. StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis», 1935, pp. 383-88; Scientists and amateurs. New York, 1946; B. DE Mott, Comenius and the real character in England, cit.; sui rapporti Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka, /. A. Comenius, that incomparable Moravian, Chicago, 1943, pp. 72-75. 212 CLAVIS UNIVERSALIS era stato per lunghi anni in corrispondenza con Comenio e che apparve, agli uomini del suo tempo, il difensore e il diffusore, in Inghilterra, dell’opera comeniana — fu il più appassionato sostenitore ed editore di opere sulla lingua uni- versale. Hartlib pubblicò nel 1646 l’opera del Lodowick (A common writing); incoraggiò numerosi tentativi per la crea- zione di un vocabolario dei termini essenziali; fu in corri- spondenza con il Boyle su questi problemi; contribuì alla pubblicazione dell’Ars signorum del Dalgarno. Espliciti rife- rimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti di Henry Edmundson (Lingua linguarum) e di John Webster (Acade- miarum examen, 1654), mentre John Wilkins, il più noto e celebrato fra questi teorici della lingua perfetta, fu aiutato e incoraggiato da un altro discepolo inglese di Comenio con cui egli ebbe rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo stesso Comenio, dedicando nel 1668 alla Royal Society la sua Via lucis vestigata et vestiganda, affermava che l’opera di Wilkins, pubblicata in quello stesso anno, rappresentava la realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- razioni. Proprio nella Via Zucis, che circolava manoscritta in In- ghilterra fin dal 1641, Comenio aveva ripreso, con ampiezza molto maggiore, le osservazioni di Bacone sui « caratteri reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi — scriveva — consentono a uomini di differenti lingue di intendersi reci- procamente: se tali caratteri sembrano cosa buona e vantag- giosa, perché non si potrebbero dedicare i nostri studi alla scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta cioè « non solo di una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose stesse? ». Se la molteplicità delle lingue «è derivata dal caso o dalla confusione, perché non si potrebbe, facendo uso di un procedimento consapevole e razionale, costruire un’unica lingua che sia elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- perare quella dannosa confusione? Se abbiamo la possibilità di adattare i nostri concetti alle forme delle cose, perché non dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte espressioni e a più precisi concetti? ».!” 17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a vedere nel testo originale, ho fatto uso della traduzione di E. T. Campagnac: The Way of light of Comenius, London, 1938. Per il brano qui citato cfr. le pp. 186 - 89. LA LINGUA UNIVERSALE 213 Il problema di una lingua universale si era posto come centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza dubbio presente l'esigenza di una maggior precisione termi- nologica, di un linguaggio più chiaro, accessibile e rigoroso, ma alla base del suo progetto non stavano preoccupazioni di “logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e quelle esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato espressione nei testi del lullismo e del neoplatonismo, nelle idee di universale pacificazione — sulla base di una comune lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e dai Rosa- cruciani. Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso fatto riferimento — sarà opportuno ricordare qui la fede di uno dei maestri di Comenio — Johan Valentin Andrei — in una mistica armonia delle nazioni (la respublica christia- nopolitana) realizzabile mediante un nuovo universale lin- guaggio e le osservazioni di Jacob Boehme, un pensatore ben noto a Comenio, su un originario linguaggio della natura (Natursprache) che è stato sommerso dalla confusione delle lingue e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del genere umano.'* Anche per Comenio — come già per i se- guaci di Lullo e per l’Andreîi — il linguaggio reale o «la perfetta lingua filosofica » ha dve scopi fondamentali: 1) porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è presente nell’universo mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, tra le cose e le parole; 2) porsi quindi come base, l’unica possibile base, per una piena riconciliazione del genere umano, per una du- ratura, stabile pace religiosa. Nella moltitudine, varietà e confusione delle lingue, Co- menio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia. Quando sarà costruita «una lingua assolutamente nuova, !* Cfr. J. V. Anprea£, Fama fraternitatis, 1616, pp. 3, 12-13 cit. in B. De MotT, Comenius and the real character, cit., p. 1070; Jacos BoEH- ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler, Leipzig, 1922, IV, pp. 83 segg. 214 CLAVIS UNIVERSALIS assolutamente chiara e razionale, una lingua pansofica e uni- versale, allora gli uomini apparterranno a una sola razza e ad un solo popolo ». Sulla par pAilosophica, sulla concordia mundi, sull'unità del genere umano avevano a lungo insi- stito, nei secoli del Rinascimento, Pico e Sabunde, Cusano e Guillaume Postel ed è precisamente a questa tradizione che si richiamavano le speranze millenaristiche di Comenio. Ma sull'importanza e sul significato dei dissensi di carattere ter- minologico, sulla necessità di una lingua comune, sull’op- portunità di preservare gli elementi comuni della fede ab- bandonando le vane « dispute di parole » si era lungamente e ampiamente discusso, durante la Riforma, negli ambienti più diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un proble- ma così complesso, ma vale certo la pena — anche se in vista di scopi assai limitati — di indicare qualche posizione ca- ratteristica. William Bedel (1571-1642), che fu in Inghilterra uno dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione fra luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- bale alle controversie fra le sètte ed era fortemente interessato ai progetti di lingua universale di Comenio e dei comeniani inglesi. Ma anche negli scritti dei teorici della lingua uni- versale questo interesse “religioso” appare quasi sempre in primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — chiarirà le attuali divergenze in materia religiosa ed esse si riveleranno inconsistenti, una volta che il linguaggio sarà stato liberato da ogni imperfezione ed equivocità. La elimi- nazione degli equivoci linguistici contribuirà grandemente, secondo Cave Beck, al progresso della religione nel mondo. William Petty vuol tradurre tutti i termini usati nelle argo- mentazioni in altri termini che siano signa rerum (« tran- slate all words used in argument and important matters into words that are signa rerum »), sostiene energicamente una distinzione fra termini significanti e termini privi di signifi- cato, e concepisce l’intero suo dizionario in funzione di una chiarificazione dei termini della vita religiosa. Determinando l’esatto significato di God e devill, angel e wordl, heaven e hell, religion e spirit, church e christian, catholic e pope, si giungerà alla conclusione che le liti e le guerre fra le di- verse sètte si sono fondate solo su divergenze terminologiche LA LINGUA UNIVERSALE 215 e che esiste invece la possibilità di una effettiva intesa sulle nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno troviamo presente un tentativo di questo genere realizzato mediante un complicato sistema di divisione dei concetti e di appropriati simboli.!* Nella History of the Royal Society, Thomas Sprat parla di una « filosofia dell’umanità » che su- eri le differenze e le ostilità di carattere religioso: «not to lay the foundation of an English, Sotch, Irish, Popish or Protestant philosophy, but a philosophy of mankind ». Non si tratta solo della convinzione che la nuova « filosofia speri- mentale » possa affratellare gli uomini al di là delle separa- zioni politiche e delle differenti convinzioni religiose, si tratta anche della speranza (ed è questo aspetto che si vuol qui sot- tolineare) che la stessa organizzazione scientifica possa costi- tuire un potentissimo mezzo per il ristabilimento della con- cordia mundi, dell’unità religiosa e spirituale del genere uma- no. Non diversamente, del resto, la nuova scienza era stata intesa da Bacone come uno strumento di universale redenzio- ne dal peccato originale.? Ove si rinunci a proiettare all’indietro nel tempo i nostri interessi e i nostri problemi per attribuirli agli uomini che scrissero ed operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren- dersi conto che i progetti di una lingua « perfetta » o « uni- versale » sui quali in quegli anni si affaticarono non pochi studiosi, traevano senza dubbio alimento dall’atmosfera cul- turale legata alla nascita della nuova scienza, dai progressi della fisica e da quelli della matematica, ma non intendevano certo limitarsi a fornire chiarimenti semantici agli studiosi di filosofia naturale. Quelle «lingue » avevano scopi assai più vasti e più ambiziose finalità: intendevano essere stru- menti di redenzione totale, mezzi per decifrare l’alfabeto divino. Si connettevano storicamente ai sogni di pacificazio- !° The Petty papers, cit., I, p. 150; G. Datcarno, Ars signorum, in The works of G. Dalgarno, Edinburgh, 1834, pp. 22 - 23. 2° Per il passo di Thomas Sprat, citato nel testo, cfr. The history, cit., p. 63. Sull’unità religiosa quale fine dell’organizzazione scientifica insi- ste anche Samuel Hartlib. Per questa posizione cfr. G. H. TuRNBULL, S. Hartlib: a sketch of his life and his relations to |. A. Comenius, Londra, 1920; Harglib, Dury and Comenius, Londra, 1947, p. 75. 216 CLAVIS UNIVERSALIS ne e alle utopie millenaristiche di quegli autori che abbiamo fin qui — nel corso di questo libro — preso in esame. 4. LA COSTRUZIONE DI UN LINGUAGGIO PERFETTO. Nell’Ars signorum di George Dalgarno e nell’Essay to- wards a real character di John Wilkins troviamo considera- zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle scritture normali c cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e sulla logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle quali si procede ad una minuziosa classificazione degli ele- menti e delle meteore, delle pietre e dei metalli, delle piante e degli animali, delle attività umane e delle arti liberali e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri delle varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- posta di una lingua artificiale.*! E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così sin- golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la presenza in tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- rettamente o indirettamente, si richiamano al filone logico- enciclopedico del lullismo. Per amore di chiarezza e di bre- vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà, nelle pa- gine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- mente, alcune tesi concernenti la lingua perfetta o univer- sale che rivestono un'importanza centrale e che appaiono re- ciprocamente connesse. L'esposizione del contenuto delle va- rie opere servirà di volta in volta a documentare e a chiarire il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. 1) I teorici della lingua « perfetta », « filosofica » 0 « uni- versale » muovono dalla contrapposizione tra lingue « natu- 21 L’opera di John Wilkins è suddivisa in quattro parti: Prolegomena; Universal philosophy, Philosophycal grammar, Real character and. philo- sophical language. Il titolo dell’opera del Dalgarno è il seguente: Ars signorum: vulgo character universalis et lingua philosophica, qua potuc- runt homines diversissimorum idiomatum spatio duarum septimanarum omnia animi sua sensa non minus intelligibiliter, sive scrivendo sive loquendo, mutuo communicare, quam linguis propriis vernaculis. Prac- terea hinc etiam potuerunt iuvenes philosophiae principia et veram lo- gices praxin citius et facilius multo imbibere quam ex vulgaribus phi- losophorum scriptis, Londini, cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris, 1661. (Copie usate: Ambrosiana, Villa Pernice, 1969 e Par Naz. V. 35875). LA LINGUA UNIVERSALE 217 rali» e lingue « artificiali » e intendono costruire una lin- gua artificiale o sistema di segni che risulti comunicabile e comprensibile (quindi adoperabile sia nel linguaggio scritto che in quello parlato) indipendentemente dalla lingua « na- turale » che effettivamente si parla. I caratteri dei quali la lingua è composta, sono « effables » in ogni «distinct language », in ogni caso le regole della lingua universale non è detto che coincidano con quelle pro- prie delle lingue naturali.?? 2) La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le nozioni interne o apprensioni delle cose (internal notions or apprehension of things) o immagini mentali (mental ima- ges) sono comuni a tutti gli uomini, mentre i nomi attribuiti alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue naturali, suo- ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal caso mediante i quali si esprimono, diversamente da lingua a lingua, le nozioni interne o immagini mentali. A nozioni comuni, non corrispondono quindi, allo stato presente delle cose, espressioni (expressions) comuni: creare artificialmente queste ultime è appunto il compito che si propongono i teo- rici della lingua universale.” 3) La lingua artificiale (che farà corrispondere all’ac- 22 J. Witxins, Essay, cit., To the reader. 23 J. WiLkins, Essay, cit., p. 20: « As men do generally agree in the same principle of reason, so do they likewise agree in the same internal notion or apprchension of things. The external expression of these mental notions, whereby men communicate their thoughts to one ano- ther, is cither to the ear, or to the eye. To the car by sounds, and more particularly by articulate voice and words. To the cye by any thing that is visible, motion, light, colour, figure, and more parti- cularly by writing. That conceit which men have in their minds con- cerning a horsc or trec, is the notion or mental image of that beast or natural thing, of such a nature, shape and use. The names given to these in several languages, are such arbitrary sounds or words, as Nations of men have agreed upon, cither causally or designedly, to express their mental notions of them. The written word is the figure or picture of that sound. So that, if men should generally consent upon the same way or manner of expression, as they do agree in the same notion, we should then be freed from that curse in the confusion of do with all the unhappy consequences of it ». (I corsivi sono nel testo). 218 CLAVIS UNIVERSALIS cordo già presente nella sfera delle immagini mentali anche l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un efficace ri- medio alla babelica confusione delle lingue e potrà eliminare le assurdità c le difficoltà, le ambiguità e gli equivoci di cui son piene le varie lingue « naturali ». Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di Wilkins è dedicata a un esame, assai ampio e minuto, della situazione in cui versano le varie lingue, dei mutamenti e delle cor- ruzioni (changes and corruptions) che in esse si verificano, dei loro difetti (defects), del problema dell'origine del lin- guaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune del resto a tutti questi studiosi — che ogni lingua naturale sia di ne- cessità imperfetta: ogni mutamento che si verifica nel pa- trimonio linguistico coincide per lui con un processo di gra- duale corruzione: «every change is a gradual corruption ». Nel mescolarsi delle nazioni mediante i commerci, nei ma- trimoni tra sovrani, nelle guerre e nelle conquiste, nel de- siderio di eleganza dei dotti che conduce a respingere le forme linguistiche tradizionali, egli vede altrettanti fattori di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di quella ori- ginaria, sono state create per imitazione (‘mitation), deri- vano dall’arbitrio o dal caso; in tutte le lingue sono quindi presenti difetti che, con l’aiuto dell’arte, possono essere eli- minati. « Neither letters nor languages have been regularly established by the rules of art»: la non artificialità delle lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, ap- pare a Wilkins una specie di vizio d’origine e di peccato ori- ginario, la fonte di un inevitabile processo di degenerazio- ne, la radice di una confusione sempre maggiore. In poche centinaia di anni — egli afferma — alcune lingue possono andare completamente perdute, altre si trasformano fino a di- ventare inintelligibili; la grammatica (unica arte che po: trebbe introdurre ordine nel linguaggio) si è costituita più tardi delle lingue stesse e si è quindi limitata a prendere atto di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini che assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- gnificati. Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta dal Dalgarno: l’arte ha il compito «di porre rimedio alle difficoltà e alle confusioni di cui son piene le varie lingue, LA LINGUA UNIVERSALE 219 eliminando ogni ridondanza, rettificando ogni anomalia, to- gliendo di mezzo ogni ambiguità ed equivocità ».° 4) La lingua artificiale vien presentata come un mezzo di comunicazione enormemente più « facile » di tutti quelli attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e di Wilkins ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- no riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- ne e mnemotecniche. Nello spazio di due settimane, afferma Dalgarno, uomini di differenti lingue potranno giungere a comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi- liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo Wilkins, un uomo di normali capacità intellettuali può im- padronirsi della lingua universale ed esprimersi in essa con la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in latino dopo quarant'anni di studio.’ 5) La lingua artificiale esercita una funzione terapeuti- ca nei confronti della filosofia che potrà esser liberata dalle sue malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) e, per la sua esattezza, può porsi come valido strumento per un ulteriore perfezionamento della logica: «In una parola l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio alla confu- sione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazio- ne più facile di qualunque altro finora conosciuto, ma anche cura la filosofia dalla malattia dei sofismi e delle logomachie, e la provvede di più elastici e maneggevoli strumenti opera- tivi (c0/edly and manageable instruments of operation) per definire, dividere, dimostrare ecc. ».?° 6) Dall’adozione della lingua artificiale risulterà facili- tata la trasmissione delle idee fra i popoli. I confini della co- noscenza potranno in tal modo essere allargati e potrà esser perseguito, con nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 24 Per quanto qui esposto cfr. J. Witkins, Essay, cit., pp. 2-3, 6, 8, 9, 17. Sulla grammatica cfr. p. 19: « The very art by which language should be regulated viz. grammar, is of much later invention than the lan- guages themselves, being adapted to what was already in being, rather then the rule of making it so ». Per Dalgarno, cfr. O. Funke, Weltspra- chenproblem, cit., p. 16. 25 J. WILKINS, Essay, cit., p. 454. 2° G. Datcarno, Ars signorum, cit., p. 45. 220 CLAVIS UNIVERSALIS nità (general good of mankind) che è superiore a quello di ogni particolare nazione. La nuova lingua potrà infine con- tribuire, in modo decisivo, allo stabilimento di una vera pace religiosa: «questo progetto contribuirà grandemente a ri- muovere alcune delle nostre moderne divergenze in religione smascherando molti stravaganti errori che si nascondono sotto le frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente spiegate e ritradotte secondo la genuina e naturale importanza delle parole, si riveleranno inconsistenti e contraddittorie ».?” 7) I segni dai quali è costituita la lingua universale sono «caratteri reali » (nel senso attribuito da Bacone a questo ter- mine): segni convenzionali che rappresentano o significano non i suoni e le parole, ma direttamente le nozioni e le cose. Riprendendo le tesi di Bacone e richiamandosi alle di- scussioni allora assai diffuse sui geroglifici, Wilkins distin- gue dalle normali lettere dell’alfabeto (originariamente in- ventate da Adamo) le note (rotes) che sono for secrecy e for orevity. AI primo tipo ‘appartengono la «Mexican way of writing by pictures » e i geroglifici egiziani che sono « rap- presentazioni di creature viventi o di altri corpi dietro i qua- li gli Egiziani nascosero i misteri della loro religione »; al secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali ci si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, per esprimere una qualsiasi parola. In tutto diversa è la fun- zione del « real universal character » che « should not signi- fie words, but things and notions, and consequently might be legible by any nation in their our tongue ».?* Tutti i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally o by institution. Quelli che significano « naturalmente » sono pictures of things o altre immagini o rapppresentazioni sim- boliche; gli altri derivano il loro significato da una conven- 2? J. Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 28 Sulle note e i geroglifici egiziani J. Witkins, Essay, cis., p. 12-13; parlando dei caratteri reali Wilkins fa riferimento a Bacone (« hath been reckoned by learned men amongst the desiderata ») e alle pagine di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i caratteri reali « the inha- bitants of that large kingdom, many of them of different tongues, do communicate with one another, every one understanding this common character, and reading in his own language ». LA LINGUA UNIVERSALE 221 zione liberamente accettata. A quest’ultimo tipo apparten- ono i « caratteri reali » che dovranno essere semplici, facili, chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono gradevole e di forma graziosa, e, soprattutto, dovranno essere metho- dical: rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni e di rapporti fra segni.?° 8) Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed ogni segno corrisponde al una cosa o azione («to every thing and notion there were assigned a distinct mark »): il progetto di una lingua universale implica dunque quello di una en- ciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e ordi- nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e no- zioni alle quali si vuole che, nella lingua perfetta, corrispon- da un segno. Poiché la funzionalità della lingua universale dipende dalla vastità del campo di esperienza che essa riesce ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al limite la lin- gua perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò che esiste nell'universo e che può essere oggetto di discorso, richiede una enciclopedia totale, la costruzione di « tavole per- fette ». In vista di questa classificazione totale, di questa « ri- duzione a tavole » delle cose e nozioni, viene elaborato un metodo classificatorio fondato sulla divisione in categorie ge- nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande costruzione enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- zionare come il segno di una lingua perfetta: fornire cioè una esatta definizione della cosa o nozione significata. Si ha infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che la cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme ordinato di oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale le tavole si pongono come uno specchio. Inizialmente, all’incirca fra il 1640 e il 1657, i costruttori di queste lingue universali avevano seguito una strada in parte differente: avevano iniziato la raccolta di tutti i termini pri- mitivi (primitive o radical words) contenuti nelle varie lingue per giungere alla costruzione di un dizionario essenziale. In questa direzione si era mosso lo stesso Wilkins in un’opera del 1641 che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- °° Sugli alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, cit., pp. 12-15, sulla distin- zione dei caratteri e sulle loro caratteristiche: pp. 385 -86. 222 CLAVIS UNIVERSALIS menio: Mercury or the secret and swift messenger. I termini radicali apparivano qui a Wilkins in una «relazione meno ambigua con le cose » di quanto non fossero i derived words.° A questa stessa ricerca dei termini primitivi (si ricordino a questo proposito le tavole dei termini fondamentali del Bister- field) si erano dedicati, in Inghilterra, Francis Lodowick nella sua opera sul linguaggio perfetto e Cave Beck nell’Ur:iversal character. Quest'ultimo aveva impiegato, come caratteri, i numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali caratteri, esprimenti tutti i termini primitivi di ciascuna lingua, erano disposte in ordine progressivo da 1 a 10.000, un numero, que- sto, che appariva al Beck sufficiente ad esprimere tutti i ter- mini di uso generale. Ad ogni numero corrispondeva un ter- mine di ogni lingua: ne risultava un « dizionario numerico » i cui termini venivano poi disposti alfabeticamente (a seconda delle varie lingue) in un altro «dizionario alfabetico ». Cia- scuno dei due dizionari serviva in tal modo da «chiave » al- l’altro.?! L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di una costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- conda linea la ricerca dei radicals words: si trattava ora di procedere alla riduzione di tutte le cose e le nozioni alle ta- vole («the reducing all things and notions to such kind of tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a Wilkins un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca che a una persona singola: la principale difficoltà consisteva proprio nella completezza (« without any redundacy or defi- ciency as to the number of things and notions ») e nella siste- maticità (« regular as to their place and order »). Il problema dei termini primitivi o radicali non poteva tuttavia essere eluso: le tavole non potevano evidentemente contenere dav- vero tutto. Le cose e le nozioni in esse classificate ed enume- rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di far rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del discorso »: «a regular enumeration and description of all 30 J. WiLkins, Mercury or the secret and swift messenger, ahewing how a man may with privacy and speed communicate his thoughts to a friend at a distance, London, 1641, pp. 109 segg. (ediz. London, 1707). 3! Cfr. C. EMery, Wilkins' universal language, cit., p. 175. LA LINGUA UNIVERSALE 223 those things and notions to wich names are to be assigned... enumerating and describing all such things and notions as fall under discourse... ».?* La completezza della lingua veniva fatta dipendere dalla completezza delle tavole che erano presentate come uno spec- chio dell'ordinamento del mondo reale, ma per realizzare una completezza che non fosse irrealizzabile (enumerazione com- pleta) Wilkins riprese l’esigenza che era stata alla base della ricerca dei radical words. Le tavole non dovevano contenere tutto, ma soltanto le cose di « a more simple nature »; quelle di «a more mixted and complicated signification » dovevano essere ridotte alle prime ed espresse mediante perifrasi (per: phrastically). Il dizionario alfabetico inglese posto da Wilkins in appendice alla sua opera intende rispondere a questo scopo: mostrare come tutti i termini della lingua inglese possano essere in qualche modo riportati a quelli elencati e ordinati nelle tavole.?* Per realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le cose e nozioni Wilkins fornisce un elenco di quaranta generi, cia- scuno dei quali viene poi suddiviso secondo le differenze che (fatta eccezione per alcune classificazioni zoologiche e bota- niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che compren- dono « such matters, as by reason of their generalness, or in some other respect, are above all those common head of things called predicaments »,°* sono: I. Trascendentale generale 4. Discorso 2. Relazione trascendentale mista 5. Dio 3. Relazione trascendentale di azione 6. Mondo Gli altri trentaquattro generi sono ordinati come segue sotto i cinque predicamenti : 22 J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti nel- l’epistola dedicatoria. % J. Wilkins, Essay, cit., pp. 455 segg.: « An alphabetical dictionary wherein all english words according to their various significations are either referred to their places in the philosophical tables, or explained by such words as are in the tables ». °* J. Witkins, Essay, cit., p. 23-24. Per l'esposizione che segue cfr. anche pp. 60 segg.; 415 segg. c il riassunto delle varie parti dell’opera: pp. 1 segg. 224 Erba | considerata secondo : Animali : Parti : CLAVIS UNIVERSALIS Sostanza Elemento Pietra Metallo Foglia . Fiore . Seme . Arbusto . Albero . Esangui . Pesce . Uccello . Bestia . Parti peculiari . Parti generali Quantità 21. 22, 23. Grandezza Spazio Misura Privata : Pubblica : Qualità 24. Potere naturale 25. Abito 26. Costumi 27. Qualità sensibile 28. Malattia Azione 29. Spirituale 30. Corporea 31. Movimento 32. Operazione Relazione 33. Economica 34. Proprietà 35. Provvigione 36. Civile 37. Giudiziaria 38. Militare 39. Navale \ 40. Ecclesiastica Ciascuno di questi quaranta generi viene suddiviso se- condo le sue differenze e si enumerano poi le varie specie ap- partenenti a ciascuna delle differenze «seguendo un ordine e una dipendenza tali che possano contribuire a una defini- zione delle differenze e delle specie, determinando il loro si- gnificato primario ». Dell’ottavo genere (pietra) vengono per esempio enumerate sei differenze: Le pietre possono essere distinte a seconda che siano: Volgari o senza prezzo Di prezzo medio Preziose: Meno trasparenti Più trasparenti Le concrezioni terrestri sono: Solubili Non-solubili Ciascuna delle differenze è suddivisa nelle varie specie. Le « pietre volgari » (prima differenza) comprendono per esem- pio otto specie che non vengono (questo accorgimento è essen- ziale alla tecnica di Wilkins) semplicemente elencate, ma LA LINGUA UNIVERSALE 225 variamente raggruppate, all’interno della tavola, e classificate a seconda della maggiore o minore grandezza, dell’uso che se ne fa e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o presenza di elementi metallici, ecc. Di questo tipo sono le tavole di Wilkins, che occupano poco meno di trecento pagine, in corpo fittissimo, della sua opera. Mediante questa ordinata classificazione delle cose e nozioni alle quali « devono essere assegnati i nomi in accordo alle loro rispettive nature », si è realizzata quella universal philosophy che sta alla base della lingua perfetta e che indica l'ordine, la dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le cose. Mediante l’uso di lettere e di segni convenzionali è ora possibile dar luogo a un linguaggio universale che è il corri- spettivo della « filosofia universale ». I generi (ci limitiamo qui ai primi nove) vengono indicati come segue: Trascendentale generale Ba Relazione trascendentale mista Ba Trascendentale di azione Be Discorso Bi Dio Dx Mondo Da Elemento De Pietra Di Metallo Do Per esprimere le differenze vengono indicate, nell’ordine, le consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le specie vengono indicate ponendo, dopo la consonante che indica la diffe- renza, i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò, Y, yi, yo. Per esempio: Di significa « pietra »; Did significa la prima differenza che è « pietra volgare »; Diba indica la seconda specie che è « ragg »; De significa elemento; Ded significa la prima differenza che è « fuoco »; Deba denoterà la prima specie che è « fiamma », Det sarà la quinta differenza che è « meteore » e Dera la prima specie della quinta differenza che è « arcobaleno ». Individuando la posizione che un dato termine occupa nelle tavole si potrà definirlo, determinare cioè con sufficiente chiarezza il « primary sense of the thing». Le tavole di Wilkins forniscono senza dubbio non poche informazioni: per esempio il significato del termine « diamante » risulterà, in base alle tavole, esser quello di una sostanza, di una pietra, 226 CLAVIS UNIVERSALIS di una pietra preziosa, trasparente, colorata, durissima, bril- lante. Ma varrebbe la pena di soffermarsi su alcune tipiche definizioni come quella di «bontà » 0 di « moderazione » v di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi, delle preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di giungere, sia pure assai faticosamente, alla costruzione di una vera e propria lingua. Dell’uso di questa, impiegando prima le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri reali » egli ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del Credo. In modo non dissimile aveva proceduto George Dalgarno quando aveva costruito, nell’Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, una classificazione logica di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in diciassette classi supreme: A. Essere, cose M. Concreti matematici ». Sostanze N. Concreti fisici E. Accidenti F. Concreti artificiali I. Fsseri concreti B. Accidenti matematici (composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici generali denti) G. Qualità sensibili O. Corpi P. Accidenti sensibili v. Spirito T. Accidenti razionali U. Uomo K. Accidenti politici (compesto di corpo e spirito) S. Accidenti comuni Ciascuna delle diciassette classi supreme veniva suddivisa in sottoclassi che si distinguevano per la variazione della se- conda lettera. Ecco, a titolo di esempio, la sottoclasse di K : Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice Kn. Relazione giudiziaria Kwv. Delitti Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre Ki. Ruolo delle parti Ska. Religione I termini, compresi in ciascuna delle sottoclassi, si distin- guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi termini la lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico determinato, r indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, v è l'iniziale dei nomi di numeri. Sotto Ska (religione) sono compresi i termini seguenti: LA LINGUA UNIVERSALE 227 Skam: grazia Skag: sacrificio Skan: felicità Skap: sacramento Skaf: adorare Skat: mistero Skab: giudicare Skak: miracolo Skad: pregare L'introduzione della lettera ” consentirà la determinazione degli opposti che sono, in questo caso, « natura » che si op- pone a « grazia »; « miseria » che si oppone a «felicità »; « profanare » che si oppone a «adorare»; «lodare» che si oppone a « pregare ». Riproducendo nei dettagli questa classificazione Leibniz comporrà, fra il 1702 e il 1704, quelle ampie tavole di defi- nizioni che costituiscono il più importante documento del suo progetto di una universale enciclopedia.’ 9) La funzionalità di queste complicate lingue artifi- ciali è evidentemente legata (sia nel caso di Wilkins sia in quello di Dalgarno) alla maggiore o minore funzionalità della loro macchinosa classificazione delle cose e delle nozioni. A proposito di quest’ultima, resta da sottolineare una tesi caratteristica delle posizioni delle quali qui ci occupiamo e alla quale abbiamo più volte accennato. L’enciclopedia, l’in- sieme delle tavole — e quindi la lingua artificiale che ne è il correlato — appaiono valide in quanto costituiscono lo « specchio » dell’ordine presente nella realtà. La classifica zione dev'essere fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di relazione fra i termini riproducono rapporti e relazioni reali: « apprendendo i caratteri e i nomi delle cose, verremo istruiti similmente nelle zazure delle cose: questa duplice conoscenza dev’essere congiunta. Per realizzare davvero ciò è necessario che la stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è fondato, riproduca esattamente la natura delle cose ».*° 3 L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, 1903, Pp- 437-510. (Phil. VII. D. II. 1-2, 3). 2° J. Witkins, Essay, cit., p. 21: « By learning the character and the names of things, we should be instructed likewise in their natures, the knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate effec- tung of this, it would be necessary, that the theory itself, upon which such a design were to be founded, should be exactly suited the nature of things ». 228 CLAVIS UNIVERSALIS Non a caso Wilkins, che pure aveva dedicato ai problemi del linguaggio non poche delle sue energie, ripeteva, con Ba- cone e con i baconiani: «as things are better then words, as real knowledge is beyond the elegancy of speech ».? 5. LA FUNZIONE MNEMONICA DELLE LINGUE UNIVERSALI: IL ME- TODO CLASSIFICATORIO NELLE SCIENZE NATURALI. I segni della lingua perfetta o universale consentono dun- que di individuare con la massima precisione il “posto” che ciascuna cosa (o azione) occupa nelle tavole, permettono cioè di collocare esattamente ogni singolo oggetto naturale in quel- l'ordine universale che è rispecchiato dalla ewrniversal philo- sophy o enciclopedia. Mediante questa “collocazione” si pos- sono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie, si possono determinare i rapporti intercorrenti tra la cosa stessa e le differenze c i generi dai quali essa è contenuta come elemento. Perché si potesse giungere con la necessaria rapidità a realizzare queste collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti de- finizioni, Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgi- menti di tipo mnemonico: « Se questi segni o note vengono costruiti in modo da essere in un reciproco rapporto di dipen- denza e di relazione conveniente alla natura delle cose signi- ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in modo da contenere nelle lettere o suoni che li compongono una specie di affinità e opposizione in qualche modo rispon- dente alle affinità e alle opposizioni delle cose significate, si avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che aiutare la memoria (helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe grandemente rafforzato ».°* Benjamin De Mott, commen- tando questo passo, ha scritto con molta chiarezza: «era fa- cile richiamare alla mente il termine atto a indicare l'oggetto salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- labe e cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una volta ricordato il termine Zara lo studioso, data la sua fami- liarità con la progressione alfabetica dei caratteri, avrebbe 37 J. Witkins, Essay, cif., cpistola. 38 J. Witxins, Essay, cit., p. 21. LA LINGUA UNIVERSALE 229 avuto chiaro il posto del salmone all’interno del genere pesci e, in ultima analisi, entro l’intero schema della creazione dr * L’insistenza sul valore mnemonico della lingua univer- sale, presente nell’opera di Wilkins, non era casuale : una lingua di questo genere sembrava in effetti esaudire le spc- ranze e realizzare le aspirazioni di tutti quei teorici della me- moria artificiale che avevano inteso « disporre ordinatamente — entro i loro complicatissimi teatri — tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo ».*° Tutti i maggiori teorici della lingua universale insistono del resto, concordemente, sul valore mnemonico dei linguaggi perfetti. Cipriano Kinner, che aveva collaborato con Comenio nel 1640 c che per primo aveva formulato nei dettagli il progetto di una lingua artificiale, concepiva la sua lingua non solo come un rimedio alla « babelica confusione delle lingue naturali », ma anche, e soprattutto, come un potente, prezioso « aiuto alla memoria ». Col suo metodo gli studiosi di scienze natu- rali avrebbero potuto ritenere le nozioni più complicate e dif- ficili: «quale botanico, anche espertissimo, potrebbe impri- mersi nella memoria, fra tanta varietà di autori in contrasto, le nature e i nomi di tutte le piante? ». L'adozione della lingua artificiale i cui termini indicano la natura c le qualità di ogni singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella clas- sificazione per generi e specie, renderà quest’impresa, in appa- renza disperata, possibile e oltremodo facile: « mediante la lingua artificiale tutto potrà essere ricordato e recitato senza interruzioni, così come in un’aurea catena, composta di un migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si muovono tutti gli altri, anche se noi non vogliamo affatto che essi si muovano ».°! Non diversamente dal Kinner, anche Lodowick, Edmundson e Dalgarno metteranno in luce il valore mnemo- nico della lingua universale, mentre Wilkins presenterà più volte, nel corso del suo Saggio, la sua lingua come un aiuto °° B. De MotT, Science versus mnemonics, cit., pp. 8-9. ‘° Cfr. G. Camino, Opere, Venezia, A. Griffo, 1584, II, p. 212. ‘4! Il testo del Kinner è contenuto in una lettera a Samuel Hartlib del 27 giugno 1647 che fu pubblicata da B. De Mott, The sources of the philosophical language, in « Journal of Engl. and Germ. Philol. ». 230 CLAVIS UNIVERSALIS alla debolezza della memoria naturale. I tremila termini dei quali la sua lingua è composta, sono certo in numero assai minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- vamente parlata e tuttavia questi tremila termini « sono ordi- nati in modo da poter esser ricordati più facilmente di mille termini propri di una qualunque lingua naturale ».'? In una lettera scritta a Robert Boyle nel 1663, John Beale, membro della Royal Society, raccomandava l’uso dei mnemonical cha- racters (così egli chiamava i caratteri reali) giacché essi gli apparivano in grado di introdurre finalmente ordine in tutte le possibili combinazioni di lettere, di sillabe e di parole.** ° Come il Kinner aveva ben visto, il problema della fun- zione mnemonica delle lingue artificiali si presentava stretta- mente connesso a quello della classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Proprio su questo argomento si aprì, dopo il 1666, un’interessante discussione della quale fu prota- gonista John Ray, l’autore della monumentale Historia plan- tarum generalis (1686-1704), uno dei maggiori scienziati del secolo XVII. Congiuntamente al Willoughby il Ray colla- borò attivamente all’opera di Wilkins, elaborando una classi: ficazione delle piante rispondente agli scopi e alle esigenze proprie della lingua universale. Alle tavole della grande enciclopedia contenuta nell’Essay towards a real character and a philosophical language non spettava certo, secondo Wilkins, una funzione meramente ausiliaria. Nei suoi propositi e nei suoi intendimenti le tavole « soprattutto quelle concernenti i corpi naturali » avrebbero dovuto « promuovere e facilitare la conoscenza della natura » contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca svolto dai membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai membri della illustre accademia Wilkins affermava: « nelle tavole ho disposto le cose in un ordine che potrà essere appro- vato dalla Società: in esse potrete trovare un ottimo metodo per la costruzione di un repository che servirà da un lato a ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le eventuali lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 42 Per i riferimenti alla memoria: J. WiLkins, Essay, cit., pp. 31, 385, e in particolare alle pp. 453 - 54. 43 La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir., VI, p. 339. LA LINGUA UNIVERSALE 231 presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una ordinata, completa classificazione dovette interessare fortemente quanti erano impegnati, in sede di scienze della natura, alla costru- zione di classificazioni riguardanti campi limitati di esperienza. E’ stato notato, molto acutamente, che Wilkins si proponeva di fare con le parole ciò che Linneo farà più tardi con le piante: * « scopo principale di queste tavole — scriveva il buon vescovo di Chester — è di offrire una enumerazione sufficiente di tutte le cose e nozioni e contemporaneamente di disporle in ordine tale che il posto assegnato a ciascuna cosa possa contribuire alla descrizione della sua natura indicando la specie generale e particolare entro la quale la cosa è collo- cata e la differenza per la quale essa è distinta dalle altre cose della stessa specie ».! Sulla base di questa convergenza di interessi e di problemi si verificò, di fatto, una collaborazione fra Wilkins da un lato e Willoughby e John Ray dall’altro. Le classificazioni di ani- mali e di piante, presenti nell’Essay, sono infatti opera dei due illustri scienziati. Ad essi si era rivolto nel 1666 lo stesso Wilkins per poter inserire nel suo testo una « regular enume- ration of all the families of plants and animals ».‘*° L' inte- resse del Ray al progetto dello Wilkins non era certo margi- 41 C. EMery, /. Wilkins universal language, cit., p. 176. 45 J. WiLkins, Essay, cit., 289. 1 Si veda la lettera di John Wilkins a Willoughby in W. DerHax, Philosophical letters, London, 1718, p. 366. Il piano di Wilkins rela- tivo alla lingua universale circolava fino dal 1647; sui primi contatti di Wilkins con il Ray c il Willoughby si vedano le considerazioni di B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., p. 4. Sull’opera scientifica di John Ray (1628-1705) che fu detto «il Plinio inglese» e che fu il primo a far uso del termine specie nelle classificazioni botaniche cfr. E. GuyenoT, Les sciences de la vie au XVII: et XVIII: siècle, Paris, 1941, pp. 359 segg.; F. W. OtLiver, Makers of british botany, Cam- bridge, 1913; C. È. Raven, /. Ray naturalist, London, 1950, ma sì ve- dano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e preciso commento a Burron, Storia naturale, Torino, 1959, pp. 479, 483, 490. La celebre classificazione del Ray, presente nel Mezliodus plantarum nova del 1682 non è che una rielaborazione di quella già pubblicata nell'opera di Wilkins. Sull’opera congiunta di Ray e di Willoughby (1635 - 1672, autore della Orzitfologia, 1657; della Historia piscium, 1686; della Historia insectorum, 1710) cfr. anche E. GurExor, Biologie humaine et animale nel secondo vol. della Histoire générale des sciences, Paris, 1958, p. 362. 232 CLAVIS UNIVERSALIS nale: l’insigne scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- durre in latino, per renderlo accessibile a tutta Europa, l'in- tero testo dell'Essay.'” Le sue divergenze con Wilkins nasce- vano però sul terreno del metodo, riguardavano proprio gli aspetti mnemonici della lingua universale. « Nella costruzione di queste tavole — scriveva Ray a Lister — non mi si è ri- chiesto di seguire i comandi della natura, ma di adattare le piante al sistema proprio dell’autore. Io debbo dividere le erbe in tre classi il più possibile eguali, suddividere poi ciascuna classe in differenze stando attento a che le piante ordinate entro ciascuna differenza non superino un dato numero fisso... Chi potrebbe sperare che un tal metodo sia soddisfacente? Esso appare assurdo e imperfettissimo, debbo dire francamente che si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco più valore alla verità che alla mia personale reputazione ».i8 Anche Wilkins, proprio come Ray, aveva inteso che i suoi schemi « seguissero con esattezza la natura delle cose », ma, a diffe- renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile iceordare: almeno in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della me- moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà di una classificazione degli animali e delle piante entrava in crisi, in realtà, quella assoluta regolarità delle tavole che era essenziale al funzionamento della lingua perfetta: i quaranta generi « may be subdivided by its peculiar differences, which, for the better convenience of this institution, I take leave to determine (for the most part) to the number of six. Unless it be in those numerous tribes of herbs, trees, exanguious animals, fishes, and birds, which are of too great variety to be com- prehended in so narrow a compass »."* Sul metodo come ordinata classificazione, come divisione, costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie, avevano concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars reminiscendi. Proprio nella costruzione dei «teatri » e degli 4? La traduzione di Ray, che fu effettivamente condotta a termine, non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the learned John Ray by the late William Derham, ed. G. Scott, London, 1760, p. 23. 18 The correspondence of John Ray, ed. E. Lankester, London, 1848, pp. 41-42. Sul significato di queste riserve cfr. B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., pp. 5 segg. 4° J. Wikins, Essay, cit., p. 22. LA LINGUA UNIVERSALE 233 «alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi ave- vano visto i più importanti strumenti per realizzare una me- moria artificiale che potesse soccorrere aila debolezza delle naturali facoltà ritentive. Da questo terreno storico aveva tratto alimento l’idea, così diffusa per tutto il secolo XVII, di una logica memorativa, di una sostanziale affinità tra la logica (il metodo) e la memoria (come facoltà di ritenere l’ordinato si- stema di tutte le scienze). In questo senso Ramo aveva attri- buito alla memoria una funzione ordinatrice e aveva visto nella memoria una parte o sezione del metodo; in questo senso Bacone aveva concepito la min:istratio ad memoriam (cui spet- tava il compito di « eliminare la confusione » e di procedere alla costruzione delle tavole) come parte integrante della nuova logica; in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso la enu- meratio come un soccorso alla naturale fragilità dell’umana memoria. In questi stessi anni Alsted aveva visto nella me- moria una «tecnica dell’ordinamento delle nozioni » e aveva sostenuto la piena risoluzione della memoria « madre dell’or- dine » in una logica intesa come arte del classificare, come metodo per la costruzione del systema mnemonicum o uni- versale enciclopedia delle scienze. In modo non dissimile concepirono il « metodo » gli uo- mini che si volsero, nel corso del secolo XVII, alla non facile impresa di una integrale, ordinata, coerente classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Metodo voleva dire per essi « metodica divisione delle diverse produzioni della na- tura in classi, generi, specie », capacità di costruire una no- menclatura i cui termini fossero significativi di rapporti fra il singolo elemento e i generi e le specie di appartenenza, chia- rissero il posto di ciascun elemento in un sistema più vasto. Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento, i « me- todi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni tradizionali troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica contro un recentissimo passato, la funzione mnemonica delle classificazioni e dei metodi. Rifiutando, in nome di una esatta descrizione, l’idea stessa del « sistema» e polemizzando con- tro la tradizione della botanica del Cinquecento e del Seicento, Buffon rifiutava energicamente «tutti i metodi che si sono compilati per aiutare la memoria ».°° E proprio su questa °0 Burron, Storia naturale, cit., pp. 22-23. 234 CLAVIS UNIVERSALIS funzione mnemonica dei metodi insistono concordemente i maggiori esponenti della botanica del Settecento: « l’immensa quantità di piante cominciò a pesare sui botanici — scrive lo Adanson nella prefazione alla Famulles des plantes — quale memoria poteva bastare a tanti nomi? I botanici, per allegge- rire questa scienza, immaginarono perciò i metodi ».°! E Fon- tenelle, nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di Tournefort, scriveva: «egli permise di mettere ordine nello straordinario numero di piante disseminate alla rinfusa sulla terra e anche sotto le acque del mare e di distribuirle nei di- versi generi e nelle diverse specie che ne facilitano la memoria e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto il peso di una infinità di nomi »°° Non si tratta di accostamenti casuali: per rendersene conto basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il- luministica: «il metodo serve a dare un'idea delle proprietà essenziali di ciascun oggetto e a presentare le relazioni e i contrasti esistenti fra le differenti produzioni della natura... per chi si avvia allo studio della natura il metodo è un filo che serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per gli altri (già esperti nelle scienze) è un quadro che rappre- senta taluni fatti, i quali possono farne ricordare altri nel caso che già li si conosca... un solo metodo è sufficiente per la nomenclatura: si tratta di costruirsi una sorta di memoria artificiale per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta giacché il numero delle piante è troppo grande perché si possa tra- scurare un tale soccorso; a questo scopo qualunque metodo è buono ». La violenza di questa polemica, il vigore di questi rifiuti costituiscono, di per sé, una conferma della persistenza, per tutto il secolo precedente, di una concezione del metodo come «memoria ». È contro una concezione di questo tipo che pole- mizzano gli enciclopedisti: «queste divisioni metodiche — è scritto nelle pagine dedicate alla voce Histoire naturelle — aiutano la memoria e sembrano venire a capo del caos for- M. Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. B. DE FonteneLLE, E/oge de Tournefort, Hist. Acad. Sci., 1708, p. 147. Questo e il passo precedente sono cit. da M. Renzoni nelle note a Burron, Storia naturale, cit., pp. 478, 483. 51 52 LA LINGUA UNIVERSALE 235 mato dagli oggetti della natura... ma non bisogna mai di- menticare che questi sistemi sono fondati solo su arbitrarie convenzioni umane e che essi non sono d'accordo con le in- variabili leggi della natura ». Qui non venivano solo rifiu- tati quegli « aiuti della memoria » che erano stati teorizzati e difesi da illustri esponenti della filosofia e della scienza del Seicento; qui veniva rifiutata, in nome di un deciso conven- zionalismo, anche l’antica idea di una piena, totale corrispon- denza fra i termini dell’enciclopedia e la realtà delle cose. 6. CARTESIO E LEIBNIZ DI FRONTE ALLA LINGUA UNIVERSALE. Anche il matematismo di derivazione cartesiana aveva senza dubbio contribuito a creare un’atmosfera favorevole alla costruzione delle lingue artificiali, ma l’azione esercitata da Cartesio sui progetti di una lingua universale è, quantomeno, difficilmente determinabile. In una lettera a Mersenne del no- vembre 1629 che fu pubblicata a Parigi nella raccolta dello Clerslier (1657, e ristampe nel 1663 e 1667) e che poté quindi essere letta da qualcuno dei teorici del linguaggio universale (ma siamo sul piano delle ipotesi e di questa lettura non ho trovato alcuna documentazione), Cartesio, pur chiarendo con molta precisione le caratteristiche e gli scopi di una lingua filosofica, si era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'im- presa di una lingua filosofica gli era apparsa, almeno teori- camente, possibile: « stabilendo un ordine in tutti i pensieri che possono penetrare nello spirito umano, allo stesso modo che esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri », po- trebbe costruirsi una lingua composta di caratteri apprendi- bili con grande facilità e rapidità. L'invenzione di questa lin- gua — aggiungeva — dipende però dalla « costruzione della vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile enumerare tutti i pensieri degli uomini e metterli in ordine ». Una lingua di questo genere, fondata sulla individuazione di quelle « idee semplici che sono nell’immaginazione degli uomini e delle quali si compone tutto ciò che gli uomini pensano », sarebbe facile da apprendere e da scrivere e, cosa fondamentale, « aiu- terebbe il giudizio rappresentando le cose così distintamente che sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le pa- role delle quali attualmente disponiamo hanno quasi solo si- 236 CLAVIS UNIVERSALIS gnificati confusi ai quali da lungo tempo si è adattato lo spi- rito degli uomini: a causa di ciò quasi nulla viene inteso per- fettamente ». Ma poco più avanti Cartesio aveva messo in luce il carat- tere utopistico di un'impresa di questo tipo e aveva mani- festato il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una pra- tica realizzazione: «Je tiens que cette langue est possible, et qu’on peut trouver la science de qui elle dépend, par le moyen de laquelle les paisans pourroient mieux juger de la verité des choses, qui ne font maintenant les philosophes... mais n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose de grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que tout le monde ne fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est bon à proposer que dans le pays des romans »." Una cosa Cartesio aveva visto con chiarezza: lo stretto rapporto tra la lingua perfetta e la vera filosofia (quella che Wilkins aveva poi chiamato la universal philosophy o enci- clopedia). Cartesio aveva concepito questo rapporto come un rapporto di dipendenza: l’assenza di un ordinato elenco di tutti i pensieri degli uomini dal quale ricavare l’elenco delle idec semplici rendeva impossibile e illusoria la costruzione di una lingua universale. Dalgarno e Wilkins avevano tentato l'impresa di una classificazione totale delle nozioni e delle cose. Leibniz, largamente utilizzando questi tentativi, rifiu- terà esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mer- senne ora ricordata, la posizione cartesiana: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia perfetta; a misura che crescerà la scienza degli uomini, crescerà anche questa lingua. Nell'attesa, essa costituirà un aiuto meraviglioso: per servirci di ciò che sappiamo, per renderci conto di ciò che ci manca € per trovare 1 Mezzi per arrivarci, ma soprattutto servirà a eliminare, sterminandole, le controversie negli ar- gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare e ragionare saranno la stessa cosa ».° 59 Descartes, Oesvres, ed. C. Adam et P. Tannery, I, pp. 80-82 (ediz. Clerselier, I, lettera 111, pp. 498-502). 54 L. Coururat, Opuscules ct fragments inédits de Leibniz, cit., pp- 27 - 28. VIII. LE FONTI DELLA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA In una lettera scritta a Francoforte nell’ aprile del 1671 Leibniz esprimeva il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins: « Ho letto da poco il Caraztere universale del dottissimo Wil kins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e vorrei che egli si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non possono essere descritte che mediante la pittura, come per esempio i generi degli animali, delle piante, degli strumenti. Quanto sarebbe desiderabile una traduzione in latino della sua opera! ». La stessa speranza in una rapida traduzione, Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Olden- burg. Dobbiamo arrivare al 1679-80, dopo gli anni del sog- giorno parigino e londinese, per trovare espresse alcune ri- serve di fondo: « Sento che quell’uomo illustre [Robert Hoock| tiene in gran conto il Carattere filosofico del vescovo Wilkins che ho anch'io nella meritata considerazione. Non posso ta- cere, tuttavia, che può essere realizzato qualcosa di molto più rande e di molto più utile. Di tanto più grande, di quanto i caratteri dell’algebra sono migliori di quelli della chimica ».' Il contatto con l’analisi matematica era stato, da questo punto di vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol- tanto di costruire una lingua che fosse in grado di facilitare la comunicazione tra gli uomini, ma di dar luogo ad una scrittura universale mediante la quale si potessero, così come in algebra e in aritmetica, costruire infallibili dimostrazioni. La differente posizione assunta da Leibniz in queste lettere conferma ancora una volta, dal punto di vista di un problema particolare, la validità di quella interpretazione che vede nel soggiorno a Parigi e a Londra (marzo 1672 - ottobre 1676) una « svolta » nel pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz si dedica allo studio della matematica ed entra in contatto con il cartesianesimo e con le correnti più vive del pensiero euro- ® C. I. GerHarDT, Die philosophischen Schriften von G. G. Leibniz, voll. 7, Berlin, 1875-90, VII, pp. 5, 6, 9, 16-17. (Quest'edizione verrà qui di seguito indicata con la sigla G. immediatamente seguita dal numero del volume e delle pagine). 238 CLAVIS UNIVERSALIS peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la scoperta della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » dei procedimenti puramente formali, l'affermazione della pos- sibilità di una scienza generale delle forme: questi temi e queste discussioni sono posteriori agli anni della giovinezza, presuppongono l’accostamento dei metodi della combinatoria a quelli della matematica e dell’algebra. Il progetto leibniziano di una caratteristica universale era fondato — com'è noto — su questi tre princìpi: 1) le idee sono analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto dei pensieri che è costituito dal catalogo delle nozioni semplici o primitive; 2) lc idee possono essere rappresentate simbolica- mente; 3) è possibile una rappresentazione simbolica delle relazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile procedere alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz non nacque certamente sul terreno dell’ “algebra” o del “for- malismo logico”. Il Kabitz ha ritrovato, nella biblioteca di Hannover, l’esem- plare, annotato da Leibniz, delle opere di Bisterfield ed è certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente alla tradizione del lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- tale per lo stesso costituirsi della combinatoria leibniziana, di un alfabeto dei pensieri umani o di un catalogo delle nozioni primitive dalla combinazione delle quali si possano ricavare tutte le idee complesse." In una lettera scritta probabilmente al barone di Boineburg e che contiene una delle prime for- ° Per 1 rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle correnti mistiche-pitagoriche: W. Kasirz, Die Philosophie der jungen Leibniz. Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg, 1909; per i rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis zur Renaissance im allgemeinen und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 1912; per i rapporti con Alsted c con Henry Morc: D. MaHNKE, Leib- mizens Synthese von Untversalmathematik und Individualmetaphysik, in « Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung », 1925, pp. 305 - 612; W. FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin, 1923. " G. VII, 11; L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Alcan, 1903, p. 430, 435 (di qui in avanti indicato con la sigla Op. seguita dal numero della pagina); G. G. LEIBNIZ, Textes inédites publiés et annotés par Gaston Grua, voll. 2, Paris, 1948, pp. 542-45 (di qui in avanti si userà la abbreviazione Grua, seguita dal numero delle pagine). LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 239 mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di accettare, nella sostanza, il progetto del padre Kircher: ai concetti e alle nozioni fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- drati, e di triangoli variamente disposti; mediante la combi- nazione delle figure potranno essere espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del Bisterfield e del Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte combi- natoria del 1666, i nomi di Lullo e di Bruno, di Agrippa e di Pedro Grégoire, di Alsted, di Bacone ec di Hobbes. La cri- tica che Leibniz rivolgeva a Lullo non concerneva minima- mente il principio ispiratore della combinatoria: riguardava l’arbitrarietà delle classi e delle radici, la insufficienza delle combinazioni; il riferimento a Bacone era giustificato dal fatto che il Verulamio aveva posto fra i desiderata una logica inven- tiva; quello a Hobbes dalla identificazione di ogni operazione mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve trarre in inganno: Leibniz si limita ad approvare l’accosta- mento, presente nei testi di Hobbes, ma larghissimamente dif- fuso anche nei testi del lullismo, della logica ad un “calcolo”. Come ha mostrato con abbondanza di argomentazioni il Cou- turat,* il peso esercitato da Hobbes sull’idea della caratteri- stica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz si allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Pre- valgono in ogni modo, tra le fonti indicate da Leibniz, i testi dei lulliani e degli enciclopedisti: richiamandosi agli scritti di Bruno, di Agrippa, di Alsted, Leibniz faceva riferimento alle più note e celebrate esposizioni e ai più diffusi commenti dell’Ars magna; nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vi- gorosamente espressa, l’aspirazione ad una scienza generale fondata sulla determinazione di una serie limitata di princìpi e di assiomi; dalla Technica curiosa sive mirabilia artis di Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici della « magia » dei gesuiti del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle lin- gue universali.* 1 Cfr. Op. 29-30; 536-37; G.IV, 62, 64, 70. ® L. Coururat, La /ogique de Leibniz d’après des documents inédits, Paris, 1901, tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - 59. (Qui di seguito abbreviato con CouTuRaT). ® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia artis, Norimbergae, 1664 (Copia usata: Triv. Mor. H. 264). 240 CLAVIS UNIVERSALIS Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, ben noto, di trovare tutti i possibili predicati di un dato sog- getto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili sog- getti. Trascurando, come è legittimo fare in questa sede, tutta una vasta serie di problemi più strettamente tecnici, ci si limi- terà a fornire, sulla traccia della esposizione del Belaval, un esempio del modo di procedere del Leibniz. Per risolvere il problema sopra indicato è necessario individuare le idee sem- plici e primitive che possono essere indicate con un segno con- venzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1: il punto; 2: lo spazio; 3: l’interposto fra; 4: il contiguo; 5: il distante; 9: la parte; 10: il tutto; 11: lo stesso; 12: il diverso: 13: l’uno; 14: il numero; 15: la pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc. Combinando a due a due i termini della prima classe (com2natio) si otten- gono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità (il numero delle parti) sarà rappresentata dalla formula: 14709 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre (com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per cs. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per comA4natio, comSnatio ecc. Per trovare i predicati di un deter- minato soggetto basterà suddividere un termine nei suoi fat- tori primi determinando poi le possibili combinazioni di que- sti fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3 natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di :nter- vallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predi- cato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni con- tengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appar- tiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- minì primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici e indicando con 4 (2>4) il numero dei fattori primi costi- LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 241 tuenti un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili (la pro- posizione tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi- dentemente compresa in questo numero). La caratteristica, come ha notato con esattezza il Couturat, non fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di un’al- gebra 0 di un calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- tura universale.* L’uso XI dell’ars combinatoria consiste in- fatti per Leibniz nell’invenzione di una «scrittura universale, intelligibile cioè ad un qualunque lettore esperto in una qual- siasi lingua ». Tra i testi di lingua universale a lui contempo- ranei, Leibniz ricordava — fondandosi sull’esposizione che ne aveva fatto lo Schott — uno scritto anonimo pubblicato a Roma nel 1653 nel quale « il metodo era abbastanza ingegno- samente ricavato dalla natura delle cose: l’autore distribuiva le cose in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- minato numero di cose »,° per designare un oggetto qualunque bastava indicare il numero della classe e il numero dell’ og- getto. Le altre due opere ricordate da Leibniz sono: il Cha- racter pro notitia linguarum universali di J. Becher (Franco- forte, 1661) e la Polygraphia nova et universalis ex combina- toria arte detecta del padre Atanasio Kircher (Roma, 1663). Entrambi questi testi sono costruiti sulla base di un dizionario numerico del tipo di quello al quale si è fatto riferimento a proposito dell’Un:versal Character (1653) di Cave Beck. E° diventato una specie di luogo comune, nella storiografia leibniziana, quello di contrapporre agli « informi abbozzi » o ai «vaghi e confusi » progetti di lingua universale costruiti dai « predecessori », il limpido, «scientifico », coerente piano di una lingua filosofica costruito da Leibniz. In realtà le cose (quando non si attribuisca a qualcuno la qualifica di « prede- * G.IV, 70-71 e cfr. Y. Betavat, Leibniz, Paris, 1952, pp. 41-42; Couturat, 35 - 40; e, per una più ampia esposizione, F. BARONE, Logica formale e logica trascendentale da Leibniz a Kant, Torino, 1957, pp. 5 segg. 8 Couturat, 5l. ° G. IV, 72. Nel settimo libro della Technica curiosa dello Schott che ha per titolo Mirabilia graphica, sive nova aut rariora scribendi artificia (cdiz. di Norimberga, 1664) alle pp. 484-505 e 507-529 è contenuta una dettagliata esposizione dell’opera anonima del 1653 e del volume del Becher. Le brevi considerazioni svolte da Leibniz sembrano esclu- sivamente fondate su questa esposizione. 242 CLAVIS UNIVERSALIS cessore » per evitare la fatica di leggerne le opere) stanno un po’ diversamente. Quando Leibniz formulava, nella Disser- tatio de arte combinatoria, il suo progetto di lingua univer- sale, egli non conosceva né l’Ars signorun del Dalgarno, pub- blicata nel 1661, né, ovviamente, l’Essay di Wilkins che vide la luce solo nel 1668. In quegli anni, Leibniz concepiva an- cora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri della lingua universale come composti « di figure geometriche e di pitture del tipo di quelle usate un tempo dagli Egiziani e im- piegate oggi dai Cinesi; pitture che non vengono ricondotte a un determinato alfabeto o a lettere, il che è causa di incre- dibile afflizione per la memoria ».!° Le riserve che egli avan- zava a proposito dell’opera del Becher erano, d’altra parte, assai simili a quelle che formulerà, indipendentemente da Leibniz, lo stesso Wilkins: l'ambiguità dei termini che, nelle varie lingue, hanno diversi significati; la impossibilità, data la mancanza di esatti sinonimi, di una precisa corrispondenza fra i termini di due lingue; la impossibilità, data la diversità delle regole sintattiche, di una pura e semplice traduzione dei termini uno in fila all’altro; la difficoltà infine di ritenere a memoria i numeri corrispondenti non solo alle classi, ma ai singoli oggetti appartenenti a ciascuna classe. Una scrittura o lingua universale che volesse evitare questi pericoli doveva quindi essere fondata su un’analisi completa dei concetti e sulla loro riduzione ai termini semplici. !* All’inizio del 1671 Leibniz lesse il Saggio sui caratteri reali di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di tempo, l'Ars signorum di George Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins, il suo desiderio di vedere il Saggio tradotto in latino e diffuso in Europa appare, dopo quanto si è detto, pic- namente giustificato. Nell’Essay e nell’Ars signorum egli aveva trovato (almeno in parte realizzato) il tentativo — già da lui stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire una lingua universale che fosse anche «artificiale » e « filo- sofica », costruita cioè non sulla base di una corrispondenza tra dizionari, ma sul fondamento di una classificazione logica dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a Wilkins 10 G.1V, 73. n G. IV, 72-73. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 243 nasceranno, abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a Parigi: in una nota apposta al suo esemplare dell’Ars signo- rum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da Parigi) Leibniz criticava i due autori inglesi affermando che, più che a costruire una lingua davvero « filosofica », capace cioè di indicare le relazioni logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar luogo a una lingua che potesse facilitare il commercio fra le nazioni. La lingua internazionale — aggiungeva Leibniz — è solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua universale : essa è prima di tutto un instrumentum rationis.'®? Ma nel modo di concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, sovente impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla terminologia baconiana ripresa anche da Wilkins) Leibniz non si discostava di molto dalle posizioni tradizionali. Da questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono particolarmente significative e valgono a mostrarci la effettiva vicinanza di alcune delle sue tesi con quelle sostenute dai teo- rici inglesi della lingua artificiale : 1) La lingua universale o caratteristica reale risulta da un sistema di segni che rappresentano direttamente le nozioni e le cose, non le parole (« peindre non pas la parole, mais les pensées »), tali quindi da poter essere letti e compresi indi- pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla.!* 2) La costruzione di una lingua universale coincide con quella di una scrittura universale (« nihil refert, an scripturam tantum universalem, an vero et linguam condere velimus; facile enim est utrumque eadem opera efficere »).'! 3) Pur dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, Leibniz vede nei geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei segni impiegati dai chimici, gli esempi di una caratteristica reale (« hieroglyphica Aegyptiorum et Chinensium et apud nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt, fateor, sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis nostra est »).!° !* G. VII, 12; Couturat, Nota III. 19 G. VII, 21, 204. 14 G. VII, 13. 15 G. VII, 25. 244 CLAVIS UNIVERSALIS 4) La lingua universale può essere appresa in un tempo brevissimo (« in poche settimane », ripete Leibniz con il Dal- garno) e serve anche, seppure non principalmente, alla propa- gazione della fede cristiana e alla conversione dei popoli (« cette Eesinure ou langue... pourroit estre bientost receue dans le monde, parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- nes, et donneroit moyen de communiquer par tout. Ce qui seroit de grande importance pour la propagation de la foy, et . pour l’instruction des peuples eloignés »).!° 5) L'apprendimento della lingua universale coincide con l'apprendimento della enciclopedia o del sistematico ordina- mento delle nozioni fondamentali. Il progetto dell’enciclopedia è organicamente legato a quello relativo alla lingua univer- sale e da esso inscindibile (« qui linguam hanc discet, simul cet discet encyclopaediam quae vera erit janua rerum »).!” 6) L'apprendimento della lingua universale costituisce, di per se stesso, un rimedio alla debolezza della memoria (« qui linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius oblivisci, aut, si obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi repa- rabit »).!* 7) La superiorità della lingua universale sulla scrittura cinese sta nel fatto che le connessioni tra i caratteri corrispon- dono all’ordine e alla connessione esistenti fra le cose («on la pourra apprendre en peu de semaines, ayant les caracteres bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu que les Chinois... »).!* Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leib- niz si discosta però dai precedenti tentativi: 1) I caratteri della lingua universale hanno il compito di esprimere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i pensieri; come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i carat- teri devono servire all’invenzione e al giudizio. « Questa scrit- tura, scrive Leibniz nel 1679, sarà una specie di algebra gene- rale e offrirà il modo di ragionare calcolando, di modo che, 16 G. VII, 26. 12.G. VIL- 13; 18 G. VII, 13. 19 G. VII, 26. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 245 invece di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si troverà che li errori del ragionamento sono soltanto errori di calcolo indi- viduabili, come nell’aritmetica, per mezzo di prove ». Il pro- getto di una lingua universale o filosofica, ripreso da Leibniz con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di Dalgarno e di Wilkins, poteva in tal modo essere accostato a quello già av- viato nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di un’ars inveniendi concepita come calcolo.?° 2) La costruzione della lingua universale condurrà in tal modo non solo alla realizzazione di un mezzo di comu- nicazione, ma contribuirà anche, in modo diretto, alla realiz- zazione dell’ars inveniendi. Il nome (segno) attribuito nella lingua universale ad un determinato oggetto o ad una deter- minata nozione non servirà solo a individuare le relazioni intercorrenti fra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie e a determinare i rapporti tra la cosa stessa e le differenze e i generi nei quali essa è contenuta come elemento; non servirà solo a indicare la « posizione » che l’og- getto occupa nello schema dell’universo; servirà anche «a in- dicare le esperienze che devono essere razionalmente intra- prese per estendere la nostra conoscenza »: « Equidem fateor et res ipsa clamat, non posse nunc quidem ex nomine quod auro (exempli causa) imponemus, duci phaenomena quaedam chymica quae dies et casus detegent, donec sufficientia phaeno- mena ad reliqua determinanda nacti simus. Solius Dei est, primo intuitu, huiusmodi nomina imponere rebus. Nomen tamen quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum omnium quae de auro humanitus, id est ratione atque ordine sciri pos- sunt, cum ex eo etiam illud appariturum sit, quaenam expe- rimenta de co cum ratione institui debeant ». Nel lungo fram- mento intitolato Lingua generalis (febbraio 1678), il primo sistema di calcolo logico concepito da Leibniz, poteva in tal modo presentarsi come il fondamento del progetto leibniziano di una lingua universale.?! Per trasformare la caratteristica (facente uso di simboli numerici) in una lingua che potesse essere « parlata » Leibniz n faceva ricorso, come ha chiarito anche il Couturat,#? ai metodi n G. VII, 23, 26, 205 e cfr. Grua, 263 - 64. 2! G. VII, 13; Op. 277-79. ?2 CoururaT, 62, 63. 246 CLAVIS UNIVERSALIS teorizzati da Dalgarno e da Wilkins, indicava con le nove prime consonanti (5, c,d,f,g.hl,m,n)i numeri da 1 a 9, e con le cinque vocali le unità decimali in ordine ascendente (1, 10, 100, 1000, 10000), per le unità superiori ammetteva l’im- piego di dittonghi. Così il numero 81.374 si scriverà e si pro- nuncierà Mubodilefa. Poiché ogni sillaba indica, mediante la vocale, il suo ordine decimale, il valore della sillaba stessa è indipendente dal posto occupato nella parola. Lo stesso nu- mero può essere espresso con il termine Bodifalemu che si- gnifica 1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.°* Non è il caso di esporre qui le dottrine di Leibniz concer- nenti la grammatica razionale, né i suoi tentativi di una sem- plificazione grammaticale e sintattica del latino al quale egli, dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso come « intermediario » fra le lingue viventi e la futura lingua uni- versale.?! È ben certo, tuttavia, che il problema che necessa- riamente Leibniz doveva porsi, della costituzione di un dizio- nario poneva Leibniz di fronte ad una questione nella quale si erano già imbattuti non pochi fra i teorici inglesi della lin- gua perfetta. Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa esprimere la definizione dell’oggetto o della nozione in modo che i termini della lingua artificiale divengano simboli ade- guati e trasparenti simili a quella della lingua di Adamo, è ne- cessario aver individuato gli elementi primi e semplici che compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare que- st’alfabeto è necessario un inventario di tutte le conoscenze umane; è indispensabile disporre di un’enciclopedia nella quale tutte le nozioni siano classificate nell’ambito di un si- stema unitario e appaiano quindi riconducibili ad un numero limitato di categorie fondamentali: «La Caracteristique que je me propose ne demande qu’une espèce d’Encyclopedie nou- velle. L’ Encyclopedie est un corps où les connoissances hu- 29 Op. 278. 24 Cfr., su questi argomenti, Coururat, 66 segg. c, dello stesso autore, Histoire de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 11-28. Per una ri- presa, da parte del Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports de la logique et de la linguistique dans le probleme de la langue inter- nattonale, in « Atti del IV Congr. intern. di filosofia », Bologna, 1911, vol. II. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 247 maines les plus importantes sont rangées par ordre. Cette En- cyclopedie estant faite selon l’ordre que je me propose, la Caracteristique seroit quasi toute faite ».° In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di piani, di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, Leibniz, rivolgendosi alle società e alle accademie, ai principi e ai sovrani, andò elaborando durante l’intera sua vita, il pro- getto di un'enciclopedia universale che non si presentasse sem- plicemente come una classificazione o un bilancio delle cono- scenze già acquisite, ma avesse valore « dimostrativo », ser- visse cioè di guida alla ricerca scientifica in atto.?* Sulle « fonti » di non pochi tra questi progetti appaiono essenziali le testi- monianze dello stesso Leibniz. Nella Nova methodus iuris- prudentiae troviamo precisi riferimenti al Lavinheta cui vien riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- dici fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la tavola enciclopedica del diritto.?” In una lettera del 1714, rife- rendosi agli anni della giovinezza, Leibniz parlava dell’in- flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di Ivo Paris. Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio del ’66 per i suoi scritti lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- lava di lui con ammirazione, dieci anni prima aveva dedicato un breve scritto a migliorare e perfezionare la sua grande enci- clopedia.°* Ancor più profondo è il debito verso Comenio: «la mia propria enciclopedia, non differisce molto da quella di Comenio » ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi (di importanza centrale) di una sostanziale, profonda identità fra la lingua universale e l’enciclopedia.?° 25 G. VII, 40. 26 Sul carattere dimostrativo dell’enciclopedia leibniziana cfr. le utili precisazioni contenute nel saggio di R. Mc Rae, Unity of the sciences: Bacon, Descartes, Leibniz, in « Journal of the History of Ideas », 1957, I, pp. 27-48. 2? L. Dutens, G. G. Leibmtii Opera Omnia, voll. 6, Genevae, 1768, III, pp. 156 segg. 28 Op. 561 ec cfr. Carreras y ARtAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 321. 2° G. IV, 62; G. VII, 67; Cogitata quaedam de ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam Alstedii in Dutens, Leibnitit Opera, cit., V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 3° Cfr. Carreras y ARTAU, II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de scriptis comenianis in Dutens, Leibnitii Opera, cit., V, pp. 181-82. 248 CLAVIS UNIVERSALIS Facendo riferimento al commento leibniziano alla lettera di Cartesio sulla lingua universale, abbiamo visto come Leibniz si rendesse ben conto del perfetto « parallelismo » esistente tra il progetto della lingua universale e quello concernente l’enci- clopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era rifiu tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia per- fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di Leibniz pre- senta non poche incertezze : in una lettera al Burnet del 24 ago- sto 1697 egli affermava, muovendosi in una direzione comple- tamente opposta, che «i caratteri presupporrebbero la vera filosofia ed è solo al presente che io oserei dare avvio alla mia costruzione ».°* Questo duplice punto di vista, ha scritto Fran- cesco Barone, corrisponde «al duplice punto di vista da cui il Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispetti- vamente, come strumento metafisico assoluto o come stru- mento per la costruzione di particolari sistemi deduttivi ».*° L'osservazione è molto esatta. La caratteristica come stru- mento, come calcolo modellato sul formalismo dell’algebra, non richiedeva la preliminare fondazione della vera filosofia: caratteristica ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e procedevano di pari passo. Continuando però a concepire la caratteristica come «chiave universale » come lo strumento atto a disvelare le essenze e a decifrare quell’alfabeto del mondo che corrisponde all’alfabeto dci pensieri, Leibniz si ritrova- va di fronte allo stesso problema che avevano dovuto affron- tare i teorici inglesi della lingua perfetta: costruire una wr: versal philosophy che servisse di base e di fondamento alla lin- gua filosofica. Per rendersi conto di ciò basterà considerare quelle ampie tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz tra il 1703 e il 1704.°4 Al termine della sua attività, dopo aver steso e abbozzato piani e frammenti numerosissimi di enciclopedie, 9 Op. 27-28. 32 G. III, 216. 3 F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., p. 24. " Op. 437 - 510. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 249 Leibniz tornava a muoversi, ancora una volta, sul piano stesso sul quale si erano mossi Wilkins e Dalgarno. In queste pagine l'enciclopedia si configurava come una classificazione logica (fondata sulla distinzione scolastica delle sostanze e degli acci- denti) dei principali concetti di tutte le scienze (dalla matema- tica, alla morale, alla politica), di tutti gli oggetti naturali (dai minerali, alle piante, agli esseri viventi) e di tutti gli oggetti artificiali (gli utensili e gli strumenti costruiti dalla mano del- l’uomo). La classificazione leibniziana riproduceva, con tra- scurabili differenze, quella che abbiamo visto presente nel- l’Ars signorum di George Dalgarno: Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni Concreto fisico Accidente matematico Concreto artificiale Accidente fisico generale Concreto spirituale Qualità sensibili Accidenti sensitivi Accidente razionale Accidente economico Accidente politico. Anche all’interno delle varie classi e sottoclassi veniva ri- prodotta la stessa classificazione. La classe degli « accidenti politici » comprendeva per esempio, anche per Leibniz: la re- lazione d’ufficio, la relazione giudiziaria, la materia giudi- ziaria, il ruolo delle parti, il ruolo del giudice, i delitti, la guerra, la religione. Anche nell’elencazione dei singoli ter- mini compresi in ciascuna delle classi e sottoclassi, Leibniz si discostava in misura assai limitata dallo schema costruito dal Dalgarno. Il progetto di una enciclopedia « dimostrativa » — stori- camente così importante — sembrava qui abbandonato. Le ragioni di questo mutamento di prospettive richiederebbero un'analisi particolare. Qui ci si voleva limitare a far rilevare che le “influenze” delle posizioni dei teorici inglesi della lin- gua universale non sono presenti soltanto negli scritti del “gio- vane”Leibniz. Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione delle lingue filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, concordemente, sul valore mnemonico delle lingue universali : i numerosi riferimenti a questo problema, presenti nelle opere 250 CLAVIS UNIVERSALIS di Leibniz, risultano anch'essi, dal nostro punto di vista, oltre- modo significativi. Come già Bacone e Cartesio, anche Leibniz era al corrente o era interessato al problema, così a lungo di- battuto in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo interessamento per l’ars reminiscendi resta traccia in un gruppo di carte leibniziane ancora inedite: Phil. VI.19, che è una raccolta di appunti avente per titolo Mremonica sive praecepta varia de memoria excolenda, e Phil. VII. B. III. 7 che contiene una seconda raccolta di appunti e di riassunti di opere di ars memorativa. Alla carta 5r. del primo di questi due manoscritti troviamo teorizzata una serie di accorgimenti che possono essere usati per ricordare facilmente, facendo ricorso alle lettere alfabeti- che, una serie qualunque di numeri: Sr. Arcanum: qua ratione omnes et singulos nmumeros, prae- sertim cos quorum usus est in chronologia, atque aliorum infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in- genii cruciatum recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne dicam, ulteriora et infinita queas deducere. Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque ingenii memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- quo utatur. Sunt qui varie rem tentarunt, absque tamen singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem hunc modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus ipsaque experientia reddiderit probatum. Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur in vo- cales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis tantum praebent utilitatem, consonantes vero primariam. / 5 v. Consonantes autem sunt hae: BCDFGKLMNPQ RST, his adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 1234567890. Si plures dantur numeri, ex hisce com- ponuntur, ut ex | et 2 fiunt 12 quemadmodum res est plana. Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res referta numeris, quos tamen scire memoriaque comprehendere ma- ximi interest itaque hocce subsidii, ut utaris, valde pro- dest et conducit memoriam. Reduc consonantes istas ita, et puta quod sint numeri, sic facile te extricabis: 1234567890 BCFGLMNRSD PK WQ Z LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 251 Il ricorso ai versi, così diffuso nei testi di mnemotecnica dal Quattrocento fino a Bacone, è presente in un altro di questi fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi 33-42 della Geografia di Marciano d’Eraclea: °° 7r. Haec ergo visum est explicare carmine facili atque claro, quali utuntur comici. Nam sic iuvatur memoria nec sensus perit et simile quiddam vita nobis exhibet. Qui vult solutam ferre lignorum struem prohibebit aegre ne quid illi decidat sed colligatam facile fasciculo geret Oratio soluta pariter diffluit comprehensa versu mens fidelius tenet. Accanto ad una critica al Lexicon dell’Hoffmann (Anversa, 1698), questo stesso concetto ritorna in un’altra brevissima nota sulla grammatica di Emmanuel Alvarez (Dilingae, 1574 c Venezia, 1580) e sulla Grammatica philosophica dello Sciop- pio (Amsterdam, 1659): 8r. Eos quos in grammatica sua habet Emmanuel Alvarez Societatis Iesu, ipse Scioppius in Grammatica philosophica laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versi- bus hexametris feliciter complexum omnes regulas de ver- borum praeteritis et supinis et omnem prosodiae latinae rationem centum sexaginta aliis versibus. 9r. Hofmanni lexicon universale maxime nominum proprio- rum utilis liber. Unum desidero: cum non posset autor ob rerum multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare fecisset si ubique indicasset autorem aliquem unde cele- rior in studio peti possit. Nelle pagine che hanno per titolo Artificium didacticum ed Exercitia ingenti troviamo, esplicitamente teorizzati, altri caratteristici precetti dell’arte mnemonica: 10r. Artificium didacticum. Semper cognita incognitis miscen- da et temperanda sunt ut labor et molestia minuantur. Ita optime discimus linguas per parallelismum cum linguis nobis notis, ita scriptum non satis cognitae lecturae, di- scendae linguae causa, sumamus librum familiarem nobis cuius sensa pene memoriter tenemus ut Novum Testamentum. Hinc etiam si cui musicam docere possem aut vellem, monstrarem cantiunculas sibi notas posset in charta exprimere si vereretur oblivisci. 35 Cfr. Geographi graeci minores, I, pp. 155 segg. 252 CLAVIS UNIVERSALIS llr. Exercitia ingenti. Ut Rhetores exercitia habent orationis, Grammatici exercitia styli, ita ego in pueris exercitia ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec efficaciora reperiri posse nititur quam ludos [...] verba quo ordine turbato iterum recitare ope mnemonices cui- quam facilis, inverso etiam si placet aut per saltus, histo- rias ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere proelia, itinera, urbes quorum ipsis via ante audita, histo- rias ab aliis recitatas resumere et denuo recitare, fingere preces et iubere ut quis ex duorum disputationibus et concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat facere aut solvere. [...]. Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico riassunto del Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- vionis di Adam Bruxius (Lipsia, 1610). Ma accanto all’espo- sizione di tesi tradizionali ricompaiono in questi appunti i nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz rim- provera di non aver messo sufficientemente in luce quelle pro- posizioni primarie che stanno a fondamento di tutto il di- SCOrso : 13r. Video cos qui geometrica methodo tractare [....] scientias, ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. des Cartes, dum omnia in propositiones minutas divellunt, efficere ut primarias propositiones lateant inter illas mi- nutiores, nec satis animadvertantur, unde saepe quod quae- ris difficulter invenies.?6 Su questi appunti inediti di Leibniz ci siamo soffermati così a lungo non perché essi presentino un particolare interesse, ma perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era stata finora messa in rilievo — come i numerosi riferimenti di Leib- niz alla memoria e alla mnemotecnica nascano non tanto, come si è fin qui creduto, dalla lettura delle confuse pagine del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c dettagliata di al- cuni testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben noti e celebrati nella cultura del Seicento. Questa conclusione riceve d'altra parte nuova conferma da un csame delle pagine 26 Gli autori cui Leibniz fa riferimento sono, accanto a Cartesio € Spinoza, il padre gesuita Honoré Fabri, feroce anticopernicano ed au- tore dei Dialoghi Physici, Lyon, 1665 e G. Alfonso Borelli il cui Eudi- des restitutus sive prisca geometriae elementa fu pubblicato a Roma nel 1658. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 253 contenute nel manoscritto Phil. VII. B. n. 7. In una nota della quale conosciamo la precisa data di composizione (aprile 1678) troviamo, accanto ad alcune regole per la costruzione di una grammatica razionale, la descrizione dei mezzi mnemoni- ci dei quali far uso per ricordare una serie qualunque di idee. L'antica dottrina dei luoghi e delle immagini; la tesi della necessaria riduzione dei concetti e delle idee sul piano delle figure sensibili; le figure dei patriarchi, degli apostoli, degli imperatori; i precetti relativi all'ordine e alla collocatio in locis; le immagini degli animali; gli accorgimenti relativi ai ter- mini delle lingue «barbare » ricompaiono in questa pagina leibniziana. Certo è che Leibniz, oltre al Simonides redivivus del Bruxius, lesse e commentò con una minuziosa (come ri- sulta dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti dello Schenkelius soffermandosi particolarmente su quella parte del- l’opera che è dedicata all’apprendimento del latino, all’educa- zione dei fanciulli alla retorica, alle numerosissime regole del- l’ars reminiscendi.! Questi interessi di Leibniz, queste sue letture non furono senza influenza sulla soluzione di problemi di carattere più ge- 37 Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere brevemente discusso da Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell'arte mnemonica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morhofius I, p. 374 — magno cum successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato di stregoneria durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, riuscendo poi ad ottenere protezione ed appoggio dalla facoltà teo- logica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1595: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Spangerberg l’o- pera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argen- torati, Antonius Bertramus, 1610 (copia usata: Angelica. SS. 1.24). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae 1589, e una raccolta di Flores et sententiac insigniores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s. 1., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Klùber, Erlangen, 1804. All’insegnamento di quest’autore si ri- chiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémotre découvert par Schenkelius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). 254 CLAVIS UNIVERSALIS nerale: è indubbio che per Leibniz l’arte della memoria conserva un suo posto ed una sua precisa funzione nel mondo del sapere e viene più volte accostata alla logica: nella Nova methodus di- scendae docendaeque iurisprudentiae (1667) la mnemonica, la to- pica e l’analitica costituiscono le tre parti della didattica; nel Consilium de Encyclopaedia nova conscribenda methodo inven- toria (1679), la mnemonica viene collocata fra la logica e la to- pica; negli /ritia et specimina scientae novae generalis la sagesse o « perfetta conoscenza dei princìpi di tutte le scienze e arte di applicarli » viene suddivisa in art de bien raisonner, art d'inven- ter e art de souvenir; in una lettera a Koch del 1708 Leibniz giunge ad accogliere la tesi avanzata da Ramo e ripresa poi fra gli altri da Bacone secondo la quale l’ars memoriae costi- tuisce una parte o sezione della logica. Sulla funzione mnemo- nica della lingua universale, dell’enciclopedia, delle tavole, della stessa caratteristica Leibniz insiste più volte: i caratteri c le figure venivano concepiti anche da Leibniz, in pieno accordo con la tradizione, come mezzi per rafforzare l’imma- ginazione; le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad Alsted, a Comenio, a Wilkins indispensabili aiuti alla natu- rale fragilità della memoria: « Combinatoria: his qui imagi- natione firma non valent ad res attente considerandas succur- ritur figuris et characteribus, ita his qui memoria non valent nec multa simul exhibere possunt, succurritur ope tabula- rum ».5 Nell’elaborazione dei suoi numerosi, grandiosi progetti con- cernenti la caratteristica, la lingua universale, l'enciclopedia, Leibniz si era dunque richiamato di continuo a quelle discus- sioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei pensieri e sulla lingua universale, sui caratteri reali e sulla memoria che avevano avuto in tutta Europa, nei secoli XVI c XVII, un'eco vastissima. Non si trattava di una lieve eredità. Nel 1679, a tredici anni di distanza dalla pubblicazione della Dissertatio de arte combinatoria, dopo il soggiorno a Parigi e a Londra, dopo le grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parlava ancora della 18 Per questi riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens, Leibnitii Opera, cit., III, pp. 150 segg.; Op. 37; G. VII, 82, 84, 476- 77. Sull'uso mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G. VII, 516-117 e, sui caratteri, « palpabili » e « sensibili»: Gaua, 548 - 49. pi LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 255 sua invenzione con accenti caratteristici, con un tono che appare singolarmente vicino a quello « miracolistico » e «magico » di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria del secolo XVI: «La mia invenzione contiene, tutto intero, l’uso della ragione; un giudice delle controversie; un interprete delle nozioni; una bilancia per le probabilità; una bussola che ci guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose; una tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose presenti; un telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- colo generale; una magia innocente; una cabala non chime- rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere nella sua propria lingua; infine una lingua che potrà venire appresa in poche settimane e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- que potrà giungere, la religione vera... ».°° Non erano parole dettate dal desiderio di adattarsi a una moda culturale o a un linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i teorici della pansofia anche Leibniz restò sempre convinto che fosse possibile rintracciare un metodo che costituisca la chiave della realtà universale; che fosse possibile dar luogo ad una scienza generalissima capace di scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie costitutive della realtà e la catena delle ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale « non ab- braccia soltanto la logica... ma è ars inventendi e methodus disponendi, è sintesi e analisi, didattica e scienza dell’ inse- gnare, è noologia e arte del ricordare o mnemonica, è ars cha- racteristica 0 simbolica, è grammatica filosofica, arte lulliana, cabala dei sapienti e magia naturale »."° Dalla tradizione dell’enciclopedismo lullista, da quella della pansofia, dalle teorie sulla lingua universale Leibniz non ac- coglieva soltanto una serie di temi di importanza secondaria e marginale. Quella tradizione operava potentemente su uno dei punti centrali e fondamentali della sua filosofia: sul con- cetto stesso di una scienza generale che è anche una, sia pure «innocente », magia naturale, che è in grado cioè di rivelare le ragioni presenti ed operanti nel cosmo, di chiarire la strut- °° G. W. Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., II B., Darmstad, 1927, pp. 167 -69. 10 Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Op. 5I1. 256 CLAVIS UNIVERSALIS tura ontologica della realtà. Su questo punto, che è di impor- tanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive Leibniz nella Dissertatio — «conduce con sè l’animo obbe- diente attraverso quasi tutto l’infinito e abbraccia insieme l’ar- monia del mondo e le intime costruzioni delle cose e la serie delle forme ».'! La lingua universale, d’altro lato, « scopre le interiori forme delle cose » 4° e l’astrazione ha il suo fonda- mento nella trama ideale della realtà: « se il nostro animo non troverà il genere delle cose... lo saprà Dio, lo troveranno gli angeli e preesisterà un fondamento a tutte queste astrazio- ni ».°* Nella Confessio naturae del 1668 Leibniz insiste sul concetto di un’armonia universale che proviene dallo spirito divino,‘* mentre, in una lettera del 1704, troviamo esplicita- mente teorizzata una concezione platonico-pitagorica della realtà nel cui ambito la matematica diviene veramente —- come è stato scritto — lo strumento per penetrare i lineamenti più intimi e segreti del mondo: «Qual'è la ragione dell’ar- monia delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nes- suna ragione del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a uello di 4 a 8, neppure movendo dalla volontà divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le essenze delle cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità degli enti, che non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: poiché, piuttosto, quelle stesse possibilità o idee delle cose coin- cidono con lo stesso Dio. Essendo Dio mente perfettissima, è impossibile che non sia egli stesso affetto dall’armonia per- fettissima... ».!° Temi di questo tipo ritornano, con ampiezza molto mag- giore, in quella serie di scritti che risalgono agli anni 1675 - 1676 e che I. Jagodinski ha raccolto e pubblicato nel 1913 ‘* 4! G. IV, 56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie der jungen Leibniz, cit., p. 26. 42 G. VII, 13. 43 G. VII, 61, 70. 41 Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Bricfe, cit., VI, I, p. 492. 15 Su questo passo hanno richiamato l’attenzione il KaÒitz, Die phi- losophie der jungen Leibniz, cit. p. 36 e F. Barone, Logica formale e trascendentale, cit., p. 8. La lettera fu pubblicata dal TRENDELENBURG in «Hist. Beitrige zur Philos. », Berlin, 1855, II, p. 190. 46 I. JacopiINSsKI, Lerbriziana. Elementa philosophiae arcanae. De sum- ma rerum, Kasan, 1913; dello stesso autore cfr. Leibniziana inedita: LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 257 a proposito dei quali si sarebbe davvero tentati di dire, con il Rivaud, che «il principio di armonia è stato il centro in- torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute cristalliz- zando, c questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non una semplice legge logica ma una necessità estetica e mo- rale ».*" Negli Elementa philosophiae arcanae non troviamo solo l'affermazione che « existere nihil aliud esse quam harmo- nicum esse », ma vediamo esplicitamente affermata la dottrina di un ordine logico del cosmo secondo la quale «ciò che distingue una sostanza dall’altra è la sua situazione nel con- testo razionale dell’universo ».°* Su questo stesso terreno si muoveva Leibniz quando scriveva a Federico di poter dimo- strare l’esistenza di una «ratio ultima rerum seu harmonia universalis » o quando affermava, in una lettera del 1678 alla duchessa Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali e gli elementi semplici costitutivi della realtà: «la caratteri- stica rappresenterebbe i nostri pensieri veramente e distinta- mente e, quando un pensiero fosse composto da altri più sem- plici, il suo carattere lo sarebbe egualmente... i pensieri sem- plici sono gli elementi della caratteristica e le forme semplici le sorgenti delle cose ».‘ confessio philosophi, Kasan, 1915 (testo lat. con traduzione russa a fronte). 47 A. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par M. Ivan Jago- dinski, in « Revue de Met. et de Morale », 1914, pp. 92-120. 48 I. JAGODINSKI, Leibniziana, cit., pp. 32, 220. 49 La lettera a Federico in G. I, 61; quella ad Elisabetta in Sdngliche Schriften und Briefe, cit., II, I, p. 438. Sulla presenza di motivi « me- tafisici » anche in quei temi di «logica » che sono alla base dell’in- terpretazione panlogistica cfr. B. JasinowskI, Die analitische Urteilslehre Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner Metaphysik, Vienna, 1918. Pur muovendo dall’accettazione delle tesi del Couturat e del Russell, .G. Preti, // cristianesimo universale di G. G. Leibniz, Milano-Roma, 1953, p. 77, è giunto a conclusioni che mi pare vadano sottolineate: «In realtà Leibniz non è giunto mai ad uno sviluppo completo della sua logica ed è rimasto impigliato in gravissime difficoltà perché non ha saputo mai abbandonare completamente il suo originario platoni- smo: il criterio dell’evidenza (intuizione immediata delle idee), il rea- lismo logico (per cui esistono idee in sé primitive e in sé composte), la concezione secondo la quale il gioco formale dei simboli doveva riprodurre i rapporti ideali eterni sussistenti fra le idce le quali erano nella mente di Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere fino in fondo le sue intuizioni logiche, che pur erano tanto geniali e nel 258 CLAVIS UNIVERSALIS seguito si mostreranno tanto feconde. In realtà Leibniz crea una logica sempre con la PR di creare un’ontologia e una metafisica; ma per creare la logica moderna occorreva svincolarsi del tutto da ogni preoccupazione ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia (quella che, nascendo da Hume, arriverà al neopositivismo delle scuole di Vienna c di Chicago) che Leibniz non avrebbe seguita ». A con- clusioni non dissimili, da queste del Preti, è giunto più di recente F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., pp. 8 segg. che ha parlato di una « fondamentale differenza » fra la logica formale moderna c la logica leibniziana « sempre inglobata e sorretta, anche nelle ricerche più modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della pansofia » c che ha sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di una «concezione platonico-pitagorica delle forme che è a fondamento della formalità degli schemi logici ». A conclusioni fortemente diver- genti da queste ora csposte è giunto A. Corsano, Lerbniz, Napoli, 1952 che ha acutamente analizzato le influenze esercitate sul pensicro di Leibniz dalle opere del Suarez e ha sostenuto la tesi di « un’intima e quasi intera adesione al nominalismo », dalla quale avrebbe preso le mosse il pensiero di Leibniz. Con questa tesi, per le ragioni sia pur brevemente accennate nel testo, non mi pare di poter concordare anche perché non credo, come ritiene il Corsano, che agli «arcaici e decre- pitt motivi di misticismo platonico-pitagorico » Leibniz fosse « co- stretto a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) e per parlare con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura filosofico-scientifica della Germania barocca» (A. Corsano, rec. a F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, 4, p. 495). Mostrare la presenza e il non indifferente peso esercitato da quelle arcaiche « sopravvi- venze» — che non mi paiono in alcun modo riducibili ad una specie di espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che in queste pagine mi sono proposto. APPENDICI APPENDICE 1. IL LIBER AD MEMORIAM CONFIRMANDAM DI RAIMONDO LULLO Il Liber ad memoriam confirmandam, rimasto fino ad ora inedito, fu composto da Lullo a Pisa fra il 1307 e il 1308. A Pisa, Lullo era giunto da Genova, negli ultimi mesi del 1307, dopo un viaggio assai avventuroso ed un naufragio del quale egli stesso ci dà notizia: « Saraceni ipsum [Lullum]) miserunt in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma- gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per decem millaria fuit fracta, et Christianus [Lullus] vix quasi nudus evasit, et amisit omnes libros suos et sua bona» (cfr. Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, vol. IV dell’ediz. di Magonza, 1729, p. 45) A Pisa, Lullo portava a compimento, fra l’altro, la stesura dell’Ars magna generalis ultima iniziata a Lione nel 1305 e progettava una crociata appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere racco- mandazioni per il Pontefice e per i cardinali. Nei primi mesi del 1308 (marzo-aprile) troviamo Lullo di nuovo a Genova e poi a Montpellier. La data di composizione dell’opera indicata da S. Garmes: gennaio 1308 (cfr. Dinamisme de R. Lull, Mal- lorca, 1935, p. 47) appare quindi oltremodo probabile. A que- sto studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del Lullo: Vita compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mal- lorca, 1915. Il testo dell’operetta lulliana del quale si dà qui di seguito la trascrizione è conservato in tre mss. del sec. XVI: il cod. I 153 inf., ff. 35r.-39v. dell’Ambrosiana (qui indicato con la sigla B); il cod. 10593, ff. 1 v.-3v. della Staatsbibl. di Monaco (indicato con M); il cod. lat. 17839, ff. 437 r. - 444 v. della Na- zionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza dubbio ad un ramo della tradizione diverso da quello cui appartengono gli altri due mss. i quali presentano, rispetto a B, caratteristiche in parte comuni (diverso incipit, assenza della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B, di- versa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non sono in M. Oltre che una derivazione di M. da P, è tuttavia 262 CLAVIS UNIVERSALIS da escludere anche una derivazione di P da M: le divergenze fra i due mss. dipendono nella maggior parte dei casi da diffe- renti interpretazioni dovute alle abbreviature presenti nel testo originario o in un subarchetipo comune. Si vedano a titolo di esempio le varianti corrispondenti alle note 15, 70, 130, 146. B. 39r. M. lr. P. 437 r. P. 437 v. B. 35\ M. lv P. 438r. In nomine Sanctissimae Trinitatis incipit liber ad memo- riam confirmandam (1). Ratio quare presentem volumus colligere tractatum est ut memoria hominum (2) quae labi- lis est et caduca modo rectificetur meliori (3). Ipsum quidem dividimus in duas partes principales (4), subsequenter in plures. Prima igitur pars est Alphabetum ideo ut sequitur ipsum diffinimus (5). Cap. I. (6). Alphabetum ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possi- mus memoriam diffinire (7) ct in certis et (8) terminatis princi- piis ipsam (9) in duabus ponere potentiis. Primo (10) igitur b. significat memoriam naturalem, c. significat capacitatem, d. significat (11) discretivam. Quid tamen (12) sit naturalis me- moria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum su- biectum (13) per b.c. d. designatum (14) in libro septem (15) planetarum quia ibi tractavimus miraculose et notitiam om- nium (16) habebis / entium naturalium, quapropter ipsorum (17) prolixitatem et sermonem (18) declarationis hic ad prae- sens exprimere praetermitto, cum intellectus (19) per unam literam plura significata habentem sit generalior (20) et possit in memoria plura significata recipere (21) quam per aliam largo modo sumptam. / Cap. II. Sequitur nunc secunda pars quae memoriam dividit (22) in partes speciales (23) pariter et generales de generali tractans ad specialia (24) postea descendendo. Primo igitur ut laborans in studio (25) faciliter (26) sciat modum scientiam (27) et ne, post amissos quamplurimos labores, scientiae huius (28) ope- ram inutiliter tradidisse (29) noscatur, scd potius labor in . requiem et sudor / in gloriam plenarie (30) convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus invenire per quem non tanta gravitate corporis iugiter deprimantur, sed absque ni- mia vexatione et cum (31) corporis levitate et mentis laetitia ad scientiarum culmina / gradientes (32) cquidem (33) pro- pere subeant (34). Multi enim sunt qui more brutorum litera- rum studia cum multo et summo labore corporis prosequun- tur absque (35) exercitio ingenii artificioso (36) et continuis vi- gilits maceratum corpus suum iuxta labores proprios inuti- liter exhibentes (37). Igitur (38) decet (39) modum per quem APPENDICE I 263 virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valeat invenire et a gravamine tantorum laborum (40) relevari possit (41). Oportet nos igitur conservare (42) ante omnia quaedam prin- cipia et praccepta (43) necessaria et postrmodum ad specialia condescendere (44). Primum ergo oportet praeceptum legis observare, idest diligere Deum ciusque Genitricem beatissi- mam virginem (45) Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat scien- tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat scientiam (46) cum bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat B. 36r. scientiam ut charitas duret, Domina nostra beatissima / dat P. 438v. P. 439r. M. 2r. B. 36v. P. 439v. scientiam (47) ut / pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam cum potestate (48) ut sit fortis, Domina nostra virgo beatis- sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus Sanctus dat scientiam contra infidelitatem, Domina nostra virgo (49) Maria dat scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus dat scientiarp cum ratione (50), Domina nostra (51) pia dat scientiam cum patientia (52) Spiritus Sanctus dat scientiam cum (53) spe, Domina nostra sanctissima pia Virgo Maria (54) dat scien- tiam cum (55) pietate. Spiritus Sanctus dat scientiam cui sibi placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis qui ipsam rogant. Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina nostra dat scientiam petendi (56). Spiritus Sanctus dat scien- tiam divitibus, Domina pia dat scientiam pauperibus. Spiritus Sanctus dat scientiam cum gratia (57), Domina nostra sacra- tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione (58). Spiritus Sanctus (59) idiomata dat pariter / et (60) consolationes ab ipso quidem divino (61) Domino nostro Jesu Christo omnia prospere (62) procedunt et conceduntur (63) et sine ipso fac- tum est nihil / et placa (64) ipsum per devotissimas orationes maxime per orationem Sancti spiritus (65). Secundo est opti- mum (66) observare modum vivendì in potando et come- dendo praccipue ex parte noctis vel etiam in dormiendo quo- niam (67) ex superfluitate horum (68) corpus gravitate ponde- rositatis ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens, illius dispositionem sequitur. Nihil enim tam praecipuum scientiam inquirenti (69) ut moderationem ponat ori suo (70) et palpebris suis non concedat multam dormitionem et inor- dinatam. / Tertium praeceptum invenio (71) quod nunquam (72) deficiat quin (73) maiorem partem sui temporis (74) scientiae operam (75) tribuat cum affectu (76) quoniam (77) ex hoc sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio naturalis. / Cap. III Sequitur nunc secunda pars ad specialia descendens. In artificioso studendi modo (78) distinguo tres potentias natu- rales: una est capacitas, alia est memoria, alia est discretio. Prima stat in prima parte capitis quae dicitur phantasia (79), P. 440r. B. 37r. M. 2v. P. 440v. B. 37v. P. 441 r. CLAVIS UNIVERSALIS secunda stat (80) in posteriori, tertia stat (81) in summitate (82) capitis quae aliis velut regina dominatur. Et bonum est habere bonam capacitatem, sed melius est habere bonam memoriam (83), sed multo melius (84) habere bonam discre- tionem (85). Modo restat videre de singulis, et primo viden- dum (86) est de capacitate (87), secundo de memoria, tertio de discretione. Si igitur aliquis (88) capacitatem lectionis cuiuscunque facultatis audiendae ambit (89), regulas quas in- fra dicam debet diligenter (90) observare, quas si observaverit quod sibi eveniet (91) experientia demonstrabit in brevi tem- pore (92). Primo (93) enim, antequam ad scholam accedat, lectionem statim tam de grammatica quam de logica / tam (94) de iure civili quam de iure (95) canonico et ita de omni- bus aliis scientiis audiendam (96), si potest de iure canonico aut civili (97) textum et glossas alias solum textum, et videbit si credit / intelligere; adhuc (98) non confidens de proprio intellectu (99) dabit tibi materiam speculandi (100), dum legat, utrum bene (101) vel male intellexcrit, ct postmodum, quando legetur, erit attentus lectioni ut intelligat per alium id quod per se (102) ignorabat. Item (103) postquam semel in domo viderit, facilius postca intelliget, et tali modo ego (104) scientiam mcam multiplicavi, et ita faciet artista meae artis quoniam sic (105) acquiret / scientiam quam voluerit. Item secundo dico quod (106) dum erit in scholiis habeat intellectum (107) ad id quod doctor vel magister tam in sacra pagina quam in artibus dicet, quod si non, faciliter (108) mens eius spargitur et potius videtur esse in loco ubi habet mentem quam in scholiis ubi est tam- que / frustra (109). Ex hoc tamen (110) multi perdunt offi- cium capiendi (111). Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et (112) dum questionem se- cundam vel argumentum (113) cuiuscunque facultatis dicit doctor vel magister vel artista meae artis, primam eodem modo revolvat, et interim quando dicetur tertia (114) reducat ad memoriam secundam (115) et sic de caeteris, et sic habebit intentionem capiendi totam lectionem. Posito quod non, nec (116) partem accipiat quarum (117) paulisper argumentabitur, non autem (118) uno momento poterit habere. Item quando (119) per sc vel per alium quis vult habere bonam capacita- tem, debet ponere ordinem in legendis (120). Nam si vult intelligere unam legem vel decretalem vel gramaticae vel logicae lectionem, dividat ipsam in duas / tres quatuor partes secundum quod lectio fuerit parva vel magna quoniam ad capacitatem multum et (121) forsan magis quam aliud (122) operaretur (123). Et de primo (124) haec sufficiant. / Cap. IV. Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem (125) secundum antiquos (126) alia est naturalis alia P. 441 v. B. 38r. P. 442r. P. 442v. APPENDICE I 265 est artificialis (127). Naturalis est quam quis recipit in crea- tione vel generatione sua secundum materiam ex qua (128) homo generatur et (129) secundum quod influentia alicuius planetac superioris regnat (130) et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios sed (131) de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- dere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quae- dam est in medicinis et emplastris (132) cum (133) quibus habetur et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur (134) tales medicinae dispositioni hominis contrariae (135) interdum superfluae et in maxima cruditate (136) qua cercbrum (137) ultra modum desiccatur et propter defectum cerebri homo ad dementiam demergitur ut audivimus et vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic non se tenet pro contento (139) de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad stultitiam (140) non per- veniat (141), nunquam / vel raro habebit (142) fructum (143) scientiae (144). Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi nam dum aliquis per capacitatem recipit multum in memoria ct in ore revolvat per se ipsum (145) quoniam secundum Alanum (146) in parabolis (*) studens est admo- dum bovis. Bos enim cum maxima velocitate recipit herbas et since masticatione ad / stomachum remittit quas postmo- dum remugit et ad finem (147) cum melius est digestum in sanguinem et carnem convertit, ita est de studente qui mori- bus (148) oblitis capit scientiam sine deliberatione unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me- ‘moria radicetur et habituetur; quoniam quod (149) leviter capit (150) leviter recedit et ita memoria (151), ut habetur in libro de memoria et reminiscentia (152) /, per saepissimam reiterationem (**) firmiter confirmatur (153). Lectionem igi- tur diei lunae revolvat die martis et studeat et die martis et (154) die mercurii et sic de cacteris et talia (155) faciendo scientior (156) erit uno anno audiens illo qui sex audierit (157) annis et artistae hoc consulo meae artis caeterisque ad- discere volentibus invenire attingere (158) et habere. Cap. V. Venio ad tertiam videlicet ad (159) discretivam et dico quod discretio est duplex ut de memoria dixi: alia (160) naturalis, alia (161) artificialis. Naturalis est (162) quam quis habet ex dono Dei (163) et de ista (164) non loquor. Alia est artificiosa et ista acquiritur aliquibus (165) modis. Primo enim acqui- ritur si ea quae in memoria retinemus diligenter (166) serve- mus, cum (167) enim aliquid in mente memoramus sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rationem per alium dictam (168) et de illo vel de simili a nobis petatur, per €a quae iam sunt in nostra notitia et memoria radicata (169) 266 Z P. 443r. B. 39r. P. 443v, CLAVIS UNIVERSALIS faciliter indicabimus cuicumque respondendo, verum (170) et certum est quod melius discernit (171) sciens quam ignarus propter scientiam quam habet (172) iam cum memoria ac- quisitam (173). / Car. VI. Postquam (174) de memoria et (175) capacitate et discre- tiva (176) tam in speciali quam in generali pariter et singu- lari dictum est (177), nunc videndum est de memoriac reci- tatione, et ad multa recitanda (178) consideravi ponere quae- dam nomina relativa per quac ad omnia possit responderi . quoniam quodlibet / corum (179) crit omnino generale ad omnino speciale et habet scalam ascendendi et descendendi de non omnino generali ad omnino speciale (180) et de non (181) omnino speciali ad omnino generale. Ista cnim sunt no- mina supra dicta: quid, quare quantus (182) et quomodo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti rationes in 0p- positum (183) factas vel quaecunque advenerint tibi recitanda et quam admirabile (184) est quod (185) centum possis (186) / rationes retinere et ipsas, dum locus fuerit (187) bene (188) recitare. Certe hoc auro comparari non debet (189), ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia (190) desiderat, hoc (191) circa ipsum (192) tractatum laboret cum diligentia (193) toto possc quoniam sine dubio scien- tior erit aliis quia (194) nomina sine speciebus aut (195) sine magistro non possumus recitare ideo (196) ipsas pono: primo cnim quid (197) habet tres species quas hic propter carum (198) prolixitatem ponere (199) non curo, sed vade ad quintum subiectum (200) per b.c.d. significatum (201) in libro septem (202) planetarum quoniam (203) ibi videbis miraculose (204) ipsas aliqualiter (205) declarare (206) hic intendo, et sic dictum de primis tribus / ita intelligi potest de aliis (207) sequentibus (208). Primum igitur per primam speciem nominis quid (209), poteris certas quacstiones sive rationes sive alia quaccunque volueris recitare (210) cvacuan- do secundam (211) figuram de his quae continet, per secun- dam vero poteris (212) in duplo (213) respondere seu recitare ct (214) hoc per cvacuationem tertiae / et multiplicationem primae, et si (215) per primam tu recitas (216) viginti vel triginta nomina seu rationes (217), per secundam poteris qua- draginta vel sexaginta (218) recitare et hoc semper per eva- cuationem et multiplicationem (***). Tamen est multum dif- ficile nisi sit homo ingeniosus et intellectu (219) subtilis et non rudalis (220). Per tertiam vero centum poteris recitare (221) evacuando primam et multiplicando secundam et de aliis po- teris sicut de ista cognitionem habere. Quare firmiter et fer- venter (222) praedictas stude (223) species in praclibato sep- tem (224) planetarum libro quem nunquam eris studere de- APPENDICE I 267 fessus (225) immo eris gaudio cet laetitia plenus; in dicto libro multa (226) sunt studenti (227) necessaria quae si nota essent et bene intellecta non possent ullo modo (228) extimari; ideo consulo cuicumque ut (229) istum habeat prac manibus et P. 444r. prae oculis suae mentis (230). / Ad laudem et honorem Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus fuit praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti Dominici per Raymundum Lullum (231) ut prius dominus Iesus Christus in memoria habeatur et verius recolatur. Amen. (*) Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum magistri Alani (uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (425 DD): Denti- bus atritas bos rursus ruminat herbas / Ut toties tritae sint alimenta sibi / Sic documenta tui si vis retinere magistri / Sacpe recorderis quod semel aure capis. (**) De memoria et reminiscentia, Il, 452 a, 28-29. (***) Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr. Ars brevis e Ars magna, Zetzner, pp. 15, 16, 278 -79. (1) In nomine... confirmandam ] Perutilis Raymundi Lulli Tractatus de Memoria B. (2) hominum ] om. B. ] hominis P. (3) meliori ] et melioretur B. (4) principales ] et add. B. (5) diffinimus ] definimus M. (6) Cap. I (e tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. (7) diffinire ] definire M. (8) et ] om. B. (9) ipsam ] ipsum P. (10) Primo ] prima P. (11) significat ] om. B. (12) tamen ] autem B. (13) subiectum ] librum B. (14) designatum ] om. B. ] designata M. (15) in libro septem ] in libro octavo positum B. ] in libro septimo P. (16) omnium ] omnem B. (17) ipsorum ] ipse MP. (18) sermonem ] cc- riem M. ] scientia P. (19) intellectus ] generalior sit add. MP. (20) per unam literam plura significata habentem sit generalior ] pariter in memoria pro litera significata habentem B. ] ponit in memoria plura significata P. (21) et possit in memoria plura significata recipere ] om. BP. (22) quac memoriam dividit ] quac est de memoria et dividitur B. (23) speciales ] spetiales B. (24) specialia ] spetialem B. (25) ut laborans in studio ] laboranti in studio virtuose B. ] laboranti in studio studiose P. (26) faciliter ] facile B. (27) scientiam ] scientiae P. (28) huius ] huiusmodi M. (29) tradidisse ] credidisse B. (30) plenarie ] plenariam M. (31) cum ] etiam P. (32) gradientes ] gradus BM. (33) equidem ] eiusdem B. ] cosdem M. (34) propere subeant ] properari sublimiter B. (35) absque ] nullo add. B. (36) artificioso ] artificiosi B. ] sed add. MP. (37) labores proprios inutiliter exhibentes ] labores proprios exercentes conservare MP. (38) Igitur ] Considerare igitur B. (39) decet ] docet P. (40) laborum ] aliquando ad4. B. (41) pos- sit ] om. MP. (42) Oportet nos igitur conservare ] Nos igitur conside- ramus B. (43) principia et praecepta ] praccipitata B. (44) condescen- dere ] condescendentia B. (45) beatissimam virginem ] perbeatissimam gloriosam B. (46) Maria dat scientiam ] om. MP. (47) dat scientiam ] 268 CLAVIS UNIVERSALIS per sapientiam add. B. (48) cum potestate ] cum pietate B. ] in po- testate P. (49) virgo ] om. B. (50) cum ratione ] in ratione P. (51) nostra ] Maria B. (52) cum patientia ] in patientia P. (53) cum ] in P. (54) nostra sanctissima pia Virgo Maria ] sacratissima pia virgo B. (55) cum ] in P. (56) petendìi ] poenitenti BP. (57) cum gratia ] in gratia P. (58) cum petitione ] in petitione P. (59) Sanctus ] om. MP. (60) et ] om. B. (61) divino ] Deo pio MP. (62) prospere ] prospera MP. (63) ct conceduntur ] om. MP. (64) placa ] placare B. (65) ora- tiones Sancti Spiritus ] orationem spiritus B. (66) Secundo est opti- mum ] Secundum est B. (67) quoniam ] cum BM. (68) horum ] corum B. (69) inquirenti ] acquirenti B. (70) ut moderationem ponat ori suo ] ut ponat custodiam in somno B. ] ut moderate ponat ori suo P. (71) invenio ] om. B. (72) nunquam ] nunque B. (73) quin ] ut B. (74) temporis ] spiritus B. (75) operam ] opera M. (76) cum affectu ] in af- fectu P. (77) quoniam ] cum M. (278) in artificioso studendi modo ] in artificio secundo studendi P. (79) quae dicitur phantasia ] om. B. (80) stat ] om. B. (81) stat ] om. B. (82) summitate ] sanitate P. (83) sed me- lius est habere bonam memoriam ] sed multo melius est habere bonam discretionem P. (84) melius ] plus B. (85) discretionem ] discretivam B. (86) primo videndum ] providendum M. (87) de capacitate ] de bona capacitate M. (88) aliquis ] vult habere bonam 444. B. (89) ambit ] om. B. (90) diligenter ] diligentia B. (91) evenit ] quod add. B. (92) tempore ] om. B. (93) Primo ] Secundo B. (94) tam ] quam MP. (95) iurc ] om. B. (96) audiendam } auditum M. } audiendum P. (97) civili ] simili MP. (98) adhuc ] ad hoc MP. (99) de proprio intellectu ] proprii intellectus B. ] de primo intellectu P. (100) tibi materiam speculandi ]} et ut viam studendi MP. (101) utrum bene ] num vel benc B. (102) per sc ] per ipsum B. (103) Item ] quia add. MP. (104) ego ] om. B. (105) quoniam sic ] cum B. ] quoniam P. (106) quod ] om. B. (107) intellectum ] inventionem M. (108) faciliter ] facile B. ] facilius P. (109) tamque frustra } tamquam frustra B. ] om. P. (110) tamen ] tam P. (111) perdunt officium capiendi } per dictum officium capientur B. (112) Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item dum sciat causam vel scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item quod dum fuerit casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P. (113) dum questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel scientiam vel argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- mentum P. (114) dicetur tertia ] docetur tertia MP. (115) reducat ad memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B. ] ducat ad memoriam sciendorum P. (116) nec ] nisi B. (117) quarum ] quaerere MP. (118) autem ] enim ad4. B. (119) quando ] si secundo B. ] sc- cundo P. (120) legendis ] agendis MP. (121) et ] est MP. (122) quam aliud ] quam quodvis aliud M. (123) operaretur ]} om. MP. (124) primo ] priori M. (125) quae quidem ] Memoria quidem B. (126) secundum antiquos ] in capitulo de memoria add. P. (127) artificialis ] artificiosa M. (128) secundum materiam ex qua ] ex materia qua B. (129) et ] etiam MP. (130) secundum quod influentia alicuius APPENDICE I 269 planetae superioris regnat ] secundum que influentia alicuius planetae inferioris regnat B. ] secundum quod influentia actus planetarum supe- rioris regnat M. ] secundum quod influentiam accipit planetae supe- rioris regnat P. (131) sed ] et MP. (132) emplastris ] epistolis M. ] eplis P. (133) cum ] in P. (134) dantur ] dammantur B. (135) dispo- sitioni hominis contrariae )] dispositio hominis quae contrariae MP. (136) cruditate ] quantitate B. ] caliditate P. (137) qua cerebrum ] quod certe bene B. ] quod cerebrum P. (138) de multis ] multos B. (139) tenet pro contento ] contentat B. (140) stultitiam ] insaniam B. (141) perveniat ] deveniat MP. (142) habebit ] consequetur B. (143) fructum ] fructus B. (144) scientiae ] suac add. B. (145) Alia est me- moria artificialis... revolvat per se ipsum ] om. B. (146) Alanum ] Alo- nium M. ] Aristotelem P. (147) finem ] seriem B. (148) moribus ] munibus B. ] modis M. (149) quod ] om. B. (150) capit ] ct add. B. (151) et ita memoria ] 0m. B. (152) ut habetur in libro de memoria et reminiscentia ] om. B. (153) firmiter confirmatur ] firmiter conti- netur B. ] firmiter confirmiter confirmetur P. (154) studeat et die martis et ] om. B. (155) talia ] taliter B. (156) faciendo scientior ] faciendo quis scienter B. (157) illo qui sex audierit ] illud quod sex annis audiverit B. (158) attingere ] ctiam add. M. (159) ad ] om. BM. (160) alia ] est 444. MP. (161) alia ] est add. MP. (162) est ] om. MP. (163) habet ex dono Dei ] debet dono Dei B. (164) et de ista ] de qua B. (165) aliquibus ] duobus B. (166) diligenter ] dili- gentia B. (167) cum ] quando P. (168) sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rattonem per alium dictam ] sine textu sine glossa sine auctoritate sine ratione per aliud dictum MP. (169) radicata ] radicantur B. (170) cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde B. (171) discernit ] discerit BB. (172) propter scientiam quam habet ] nam rationem quam habet B. (173) acquisitam ] acquisita M. (174) Postquam ] visum est ad4. B. (175) et ] om. MP. (176) discretiva ] dis- cretione P. (177) dictum est ] om. B. (178) recitanda } recitandum B. (179) eorum ] illorum B. (180) et habet scalam.... ad omnino speciale ] om. B. (181) non Jom. B. (182) quantus ] quotus, totus B. ] quatenus M. (183) oppositum ]oppositionem P. (184) quam admirabile ] quoniam mirabile M. ] quam mirabile P. (185) quod ] quia M. (186) possis ] possit P. (187) fuerit ] adfuit B. (188) bene ] om. MP. (189) debet ] potest MP. (190) universalem ad omnia ] utilis omnia B. ] universalis ad omnia M. (191) hoc ] homo esse B. (192) ipsum ] istum B. (193) cum diligentia ] cadem diligentia B. ] in diligentia P. (194) Quia ] quoniam M. (195) aut ] aliquid B. (196) ideo ] labore adeo B. (197) Primo enim quid ] primo quo B. (198) earum ] illarum B. (199) po- nere ] om. B. (200) subiectum ] librum B. (201) significatum ) desi- gnatum vel significatum B. (202) septem ] septimo P. (203) quoniam ] cum B. (204) miraculose ] iam add. B. (205) aliqualiter ] aliquan- tum B. (206) declarare ] volo add. M. (207) hic intendo... potest de aliis ] om. MP. (208) sequentibus ] in sequentibus MP. (209) quid ] quod B. (210) recitare ] evacuare secundum de his quae continet per scientiam positis add. B. (211) secundam ] secundam corretto in pri- 270 CLAVIS UNIVERSALIS mam da mano più tarda B. (212) secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris ] 0m. B. (213) duplo ] duo P. (214) seu recitare et ] on. B. (215) si ] sic P. (216) recitas ] duo vel tria nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di secunda e tertia. (217) viginti vel triginta nomina seu rationes } om. M. (218) vel sexaginta ] om. B. (219) intellectu ] multum B. (220) rudalis ] naturalis B. ] non ruralis M. (221) recitare ] om. MP. (222) et ferventer ] om. B. (223) stude } audire B. (224) quem nunquam eris studere defessus ] quem nunquam eris audire fessus B ] quoniam eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere defessus P. (226) multa ] nulla B. (227) studenti ] alia evidenter B. (228) ullo modo ] modo aliquo B. ] modo P. (229) cuicunque ut ] quoscunque quod B. (230) oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B. (231) Lullum ] Lulli MP. APPENDICE II. UN ANONIMO TRATTATO IN VOLGARE DEL SECOLO XIV Il trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto nel sec. XIV da autore ignoto e qui di seguito riprodotto, è contenuto nei Codd. Palatino 54 (ai ff. 140 - 142) e Conv. Soppr. I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale di Firenze. Con- trariamente a quanto afferma la Yates (T%e ciceronian art of memory, cit., p. 888) questo scritto non può essere attribuito con sicurezza a Bartolomeo da San Concordio. Questa attribu- zione oltre che al Manni, risale al Tiraboschi (V, p. 242), ma come già ha osservato il Tocco (Le opere latine di G. Bruno, cit., p. 26), nel corso del testo si fa riferimento al Rosarum odor vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e pro- babilmente composto nel 1373 da Matteo Corsini, priore della Repubblica fiorentina nel 1378 (cfr. l’edizione del Rosa:o della vita a cura di Polidori, Firenze, Soc. Tipograf. Ital., 1845). Anche se l’anno di composizione del Rosaio può presentare qualche incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un contemporaneo del Petrarca (Ediz. Polidori, p. 96). A quanto osservato dal Tocco si può qui aggiungere che nel suo rife- rimento al Rosato l’autore del trattato sulla memoria parla di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. 54 che nel Cod. I, 1, 47 i capitoli sono 82. L'attribuzione al San Concordio appare dovuta al fatto che in entrambi i codici gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo sono preceduti da una traduzione del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e seguiti dal trattato sulla memoria artificiale. Nel Palat. 54 1 testi sono così disposti: ff. 29-33v.: Testus memorie artifi- ciose vulgariter scilicet super quandam partem rectorice; ff. 44-139v.: Bartolomeo da S. Concordio gli ammaestramenti degli antichi; ff. 140-142: Ars memoriae artificialis. Il vol- garizzamento del testo della retorica ad Erennio forma la secon- da parte o il sesto trattato del Fior di Rettorica di Bono Giam- boni (Magliab. Palch. II, 90, Riccardiano, 1538. Cfr. Tocco, op. cit., p. 26). ll bro di leggere cui si fa riferimento nelle prime righe del trattato può essere, come vuole il Tocco, il 272 CLAVIS UNIVERSALIS trattato della pronunzia che è il terzo del Fior di: Rettorica nella redazione di Fra Guidotto da Bologna e in quella di Bono Giamboni. Il trattato sulla memoria artificiale faceva dunque parte, con ogni probabilità, di una qualche redazione del Fior di Rettorica. La trascrizione è condotta sul Palat. 54, ma si è fatto spesso ricorso anche all’altro codice indicato. Si sono appor- tate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune grafie (per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc... 140r. Poi che aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter te- nere a mente, et però qui di sotto si scrive l’arte della memoria artificiale in si facta forma che non offende la naturale che ha sifatto ordine il libro da sé che con questa memoria si può d’esso grande parte imparare a mente se solamente il libro si legge cin- que volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di quello che vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- moria non si potrà errare solo in una lettera di tutto questo libro che tutto non si imparasse a mente. La memoria artificiale sta solamente in due cose, cioè ne luoghi e nelle imagini. Luogo non è altro a dire se non come una cosa disposta a potere con- tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una camera o simili cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. Le imagini sono il proprio representamento di quelle cose che noi vogliamo tenere a mente. Due sono le maniere de luoghi, cioè naturale e artificiale. Naturale luogo è quello che è facto per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che per sé sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano d’huomo sì come è una camera o un cammino, uno versatoio, uno studio, una finestra, una casa, uno cofano et simili luoghi a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute de la camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere masseritie grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se pure alcuna masseritia ci vogliamo mettere, conviene che sia molto riconosciuta et stia in luogo continuamente palese, come è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo da campo v vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi conven- 140 v. gono / più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè quanti sono i nomi che vogliamo tenere a mente però che ogni luogo ha la sua imagine a pigliare ciascuna imagine e rapresen- tamento da una cosa sola per sé, ct però se aremo a tenere a mente XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come dico di XX, così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che luoghi assai aviamo. Non obstante che io dica qui di CC e LII, posto che di questi CCLII viene facta non poca fatica che sono nel librecto dinanzi decto del rosaio odore della vita capitoli LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono leggiermente accattare APPENDICE II 273 tre nomi sì che tre via LXXXIII, CCLII. Ma di più nomi dire qui di sotto più pienamente. Apresso questo, ci conviene avere e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno vada dietro a l’altro. Et se quella persona che vuole usare quella memoria in man- cino, cominci e’ conti de luoghi a mano mancha et se queste sopra da la drecta mano, se a diricta vada sopra la mano diricta, in questo modo: che se in una sala aremo da poter pigliare cin- que luoghi, el primo sia uno camino, el secondo un uscio o un armaro da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro, el quinto uno versatoio. Incominciamo dal primo come è il ca- mino, poi il secondo come è un uscio et così per ordine l'uno dopo l’altro et non si dee mai passare niuno luogo se non che si debbono sapergli bene a mente come sono ordinati da sé. A presso si conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni nego quinto si segni; cioè a questo modo: che al primo quinto i ponga una mano d'oro che per le cinque dita ripresentino ji luogo essere quinto; poi il secondo quinto, cioè il decimo luogo, ripresenta in questo modo o trovata per sapere subito a quanti nomi sta Piero. Subito puoi avisare se alle due mani sarà il decimo se a due nomi dopo le due mani sarà il duodecimo / 142r. ct così seguitando si può sapere di molti. Ma questa regola di queste mani abbi posta qui perché la insegnia Tulio et non vorrei che altri credessi che io non la sapessi, però l’ho posta qui, ma a me pare uno poco faticosa per tale quale persona. Imperò potiamo lasciare andare testé questo affanno delle mani del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi sempre cag- gino o in cinque o in dicci; în questa forma che se in una sala sono sci o septe luoghi non tenere a mente se non cinque, et se fussino quattro forzati tanto che sieno cinque che leggier- mente viene facto poi che si mette in pratica. Et così similmente vuole andare de decti che se aremo una sala o una camera dove sieno nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro si che sieno dieci. Se ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, non ne tenere a mente se non dieci. Adunque se arai in una tua casa una sala et in questa fussino cinque luoghi, una camera et in questa camera fussino dieci luoghi, uno verone et in questo fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa fussino cinque luoghi, uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, una grotta et in questa fussino dieci luoghi, raccogli tutti questi luoghi et vedi quanti sono, et, quanti sono i luoghi, tanti sono i nomi che puoi tenere a mente. Sì che se i dicti luoghi sono L, et L nomi potrai tenere a mente sanza faticha di memoria, et così similmente chi la volessi fare più in grosso, potrebbe avisare dieci case delle dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa et così la farà di cinquecento et di mille et di diecimila sanza fallo, però che troviamo che Seneca fu giovane esso la fe' di dumilia, ritornando allo inanzi et allo indietro, come fanno i fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla dietro. Ancora vo- 274 141 v. CLAVIS UNIVERSALIS gliono essere dicci luoghi noti cioè che bene gli conosciamo etc. Apresso non vogliono essere troppo grandi né troppo piccoli, ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini che qui si pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi troppa gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra memoria. Ancora vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- scure però che la troppa chiarezza et la troppa obscurità fa noia agli occhi della mente sì che vedere non possiamo i luoghi. An- cora conviene che i luoghi non si rassomiglino troppo l'uno a l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non vo- gliono essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, ma intorno di cinque o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo è tutto quello che bisognia a’ luoghi. La imagine non è altro se non, come di sopra è detto, come il proprio representamento di quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente. Questa imagine ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il sen- tire. Ricordare il nome è ricordare a mente Piero Giovanni Mar- tino per ordine ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo modo che se io mi voglio ricordare come Troia fu presa < dai > Greci con ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io pongo in uno luogo la imagine di Troia come ardeva e come in lei sieno entrati cavalieri armati. Ancora se io mi volessi ri- cordare della hedificatione di Cartagine la quale hedificò una donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- tatori di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite sententic. Hora d'intorno alle imagini sì come di nomi et di sententie vediamo quante cose sono di necessità. Mostra che sieno sei per ordine. In prima si richiede che le imagini sieno pro- prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente ponga in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a mente Martino, quello medesimo. Ancora conviene che la ima- 142r. gine non sia / equivoca cioè che rapresenti più cose di quelle che vogliamo tenere a mente. Ancora conviene che le imagini non sieno troppe, cioè più che non sicno di bisogno non si pon- gano nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero, solamente porre una imagine che rapresenti Piero, la quale cosa è contro alla doctrina di Tulio. Ancora conviene che la imagine non sia varia, cioè che abbia alcuna varietà in sé e questa è delle più utili cose che si possa avere. Questa memoria però sempre ci doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie. Ancora con- viene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga a la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno de la corona, et a’ cavalieri il segno dello scudo, al doctore il segno del vaso et ad cui uno segno ad cui uno altro come la fantasia della memoria comune- mente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose che a loro si convengono, sì come si conviene ad uno lione dare APPENDICE II 275 la imagine apta et ardita et alla golpe l’acto sagace et abstuto, al sonatore l'apto di sonare stromento. Adunque veggiamo sem- pre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lectere. Qui finisce delle sententie et de’ nomi abbreviato. Ancora doviamo tenere questo modo il quale è molto utile: che poi che abbiamo imparato C 0 CC nomi et recitargli, non per tanto dobbiamo conservargli, più inanzi ci doviamo studiare più che possiamo che ci escano di mente e così facendo escono di mente e i luoghi rimangono voti per gli altri che volessino imparare. Finis. Deo gratias. Amen. APPENDICE III. DUE MSS. QUATTROCENTESCHI DI ARS MEMORATIVA Il Cod. lat. ambrosiano T. 78 sup. (di carte 45) contiene i seguenti scritti : fi. 1-21v.: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad consequendam artem memoriae artificialis ad M. Marchionem Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime. [È il trattato di Jacopo Ragone da Vicenza del quale abbiamo citato vari passi nel testo, composto nel 1434 e conservato in due esem» plari di diversa mano anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 ai ff. 15-34 e 53-66 e in un terzo esemplare nel marciano 159 della stessa classe. Il nome dell’autore (artificialis memoriae regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum) e la data di com- posizione (Kal. Nov. 1434) risultano dal marciano 274 ai ff. 15v. e 53v.]. ff. 22-26: Tractatus solemnis artis memorativae. Inc.: Artificiosie memoriae egregia quaedam. [Di questo scritto si dà qui di seguito la trascrizione. Si è omesso l’elenco in vol- gare dei « luoghi » che occupa i ff. 26-27v.: Exp.: Trespo da tavola. Zovane fameglio]). ff. 27v.-32v.: Tractatus artis memorativae eximii doctoris artium et medicinae magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- turae confirmat et auget. [Nella trascrizione che segue si è fatto ricorso anche al cod. 142 dell’Angelica che ai ff. 83-87 reca lo stesso trattato con il titolo, di mano più recente, Hic traditur preclarus modus conficiende memoriae. Inc.: Ars com- moda natura e confirmat et augct]). ff. 33-40v.: Excerpta ex libris M. T. Ciceronis de memoria. Inc.: M. T. Ciceronis de oratore haec de memoria scripta sunt. [gli excerpta ai ff. 35v.-40v. sono tratti dalla RAetorica ad Herennium). La data di composizione della miscellanea si legge in fine al codice al f. 45: Anno 1466 scriptus pro Raphael de Fuzsy. 22 r. 22v. 23 r. APPENDICE III 277 I Tractatus solermnis artis memorativae incipit. Artificiosac me- moriae egregia quaedam atque preclarissima praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum effin- gere cum, iuxta Ciceronis sententia in primo De officiis, omnis de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut sciri possit quid sit id de quo disputatur. Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria vel localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas natu- ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut prius memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- leat reminisci. Vel sit artificialis memoria est decentium imagi- num quaedam industriosa collocatio qua corum quae in his de- bite applicantur ad tempus memorari valeamus. Tertio vero ex menti Ciceronis, Rhetoricorum tertio, sic eius diffinitionem im- plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam quo naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt au- tem memoria naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una quae nostris animis insita est et simul cum ipsa / creatione nata. Artificiosa vero est quaedam inductio et praeceptionis ratione confirmatur. Haec autem ars duobus perficitur: locis videlicet et imagini- bus, ut Cicero sentit in tertio Rhetoricorum a quo non dissentit beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis memoriter tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno memoratu ad aliud facile procedatur. Cicero vero sic inquit: oportet igitur, si multa reminisci volumus, multos locos domus comparare, ut in multis locis multas imagines comprchendere at- que amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria scripsit a locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci ut res seriatim pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- ferunt autem loci ab imaginibus quia loci sunt imagines ipsae su- per quibus tamque super carta imagines delebiles, quasi literae, collocantur. Habeant igitur sc loci sicut materia, imagines vero ut forma. Differunt quasi ut fixum et non fixum. Et quoniam haec ars, ut dictum est, duobus absolvitur, locis videlicet et imagini- bus, primum locorum precepta attingenda videntur. Nam cum ars imitetur naturam in quantum potest, volenti autem scribere / primum carta et cera preparanda est, quibus loci simillimi sunt. Imagines autem literis, dispositio autem et collocatio imaginum scripturac, pronuntiatio autem lectioni comparantur. Illud merito fit ut ex his locis primum diffiniamus. Locus enim, ut quibus- dam placet, est spatium quidam domus proportionatum et condi- tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum Cicero- nem, locos appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter manu aut natura absoluti sunt ut eos facile naturali memoria comprendere atque amplecti valeamus. Haec autem ars centum locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus si 278 CLAVIS UNIVERSALIS decem domos nobis comparare poterimus in quarum singulis decem loci affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, vel paranda nobis erit una domus quae computatis cameris co- quina et scalis constituatur centenus numerus apponendo cuilibet camerae vel scalae quinque locos. Locorum proprietas multiplex est: primo locorum multitudo, locorum ordinatio, locorum solitudo, locorum meditatio, loco- 23v. rum signatio, locorum dissimilitudo, / locorum mediocris ma- 24 r. 24 v. gnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- gines sunt rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. Duplices autem similitudines esse debent, ut ait Cicero, una rerum, alia verborum. Rerum autem similitudines constituuntur cum summatim ipsorum negotiorum imagines comparamus, verbo- rum autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque voca- buli memoria a nobis imagine notatur. Verborum quidem simili- tudines aliae sunt notae, aliac ignotae, notabilius aliae animatac, aliae inanimatae. Animatarum quaedam propriae quaedam com- munes. Propriarum quaedam duplices, quacdam simplices. Com- munium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam simplices, quaedam ex duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur inferius. Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et duplicibus. Et premicto pro generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper collocandae sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut turpi vel impossibili sive alio insueto. Talia enim crudelia vel ridiculosa aut insueta sensum immutare solent et melius excitare eo quod animus circa prava multum advertat. / Secundo vero noto collocandam circa imaginem ut aliquid agat vel operet circa se vel circa ipsum locum. Si igitur daretur tibi ad memorandum nomen proprium, puta Petrus vel Martinus, debes accipere aliquem Petrum tibi notum ratione amicitiae vel inimicitiae, virtutis vel vituperii vel precellentis pulcritudinis aut nimiae deformitatis, non ociosum sed se exercitantem motu aliquo ridiculoso. Si nomen non adsit tibi notus capias aliquem factum et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam dictionum igno- tarum. Duplicia vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis in recto casu quae veniunt ad significationem unius simplicis ut Jacobus Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum unum preest alteri in unico nomine quae prelatio semper est in obliquo cum dependentia, ut Johannes Andrec, Matheus Tomasii. Cognomina autem et agnomina sunt quae parentelae vel ab cunctu [.....] faciunt ad singularem notitiam vel alicuius indi- vidui: ut Franciscus Barbarus et Scipio Affricanus. Duplicia sic collocanda sunt ut cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate operari. Item de prenominibus ita tamen quod / actus attributus recto habeat se in minus et actus attributus obliquo in maius. Agnomina autem et cognomina secundum primam sui partem ut traditum est de nominibus propriis. Secundum vero secundam sui partem prout tradetur de nominibus ignotis. 25r. 25v. APPENDICE III 279 Pro clariori doctrina notandum est imagines, cx quibus simi- litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex parte rci, aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu rei propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei pro- priac in se similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et naturali, ct hoc modo in rebus naturalibus maxime con- venit. Secundo modo similitudo capitur ex parte rei methafisicac et secundum eius officium quod operatur aut secundum instru- mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus in rebus invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi ima- gines servare, si sint res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices possumus similitudines capere scilicet aut capiendo rem in qua est per excellentiam ut pro / superbia Luciferum, pro sapientia Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut dictum et angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut virtus iustitia angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera. Nominum accidentalium similitudines ita capiuntur indiffe- renter videlicet ponendo picturam aut similitudinem aut realem rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur. Nota vero dignitatum officiorum et artium mechanicarum sic collocatur, capiendo similitudinem secundum signa et principalia eorum si- gnificata demonstrativa et declarativa ipsorum, ut si volumus collocare papam Martinum tibi notum secundum regulam de propriis habentem unam mitriam trium coronarum et sic de sin- gulis secundum signa convenientia suis dignitatibus officiis et artibus. Si vis memorari inanimatas duobus modis id efficere poteris. Primo modo ipsius rei inanimatae similitudinem capiendo ut aliquid operetur, imaginandus est homo sub concepto naturali non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum vel contra se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum / quemque locum ponendo unum hominem tibi notum supras- tanterm tamque custodem et operarium loci qui operetur quando necesse est cum re inanimata ut dictum est in praccedentibus capitulis. Finalis regula de collocatione prosarum versuum am- basiatarum et ceterorum huiusmodi. Ad apte figendas certa mente epistulas orationes sermones versus et cetera collocandi ratione potissimum opus esse percipi- tur, ut videlicet primum res ipsa universa rectissime teneatur ea quae naturali commendata memoriae congrue despiciatur. In primis enim rei totius summa simplici imagine vel nota aut ex pluribus aggregata contineatur quae quidem deinceps partes in suas idonee recitetur. Deinde illae partes in alias subdividere li- cebit. Finalis tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur. Principales autem divisiones ipsis quinariis applicentur, earum vero partes reliquas in aliorum imaginibus accomodentur. Versus spetialiter vocari possunt si praeter eorum summam figurationem 230 26 r. 27 v. 28 r. CLAVIS UNIVERSALIS principio annotentur aut spetiali imagine aut sillabis vel litteris. Historiac vero per actus annotari possunt ctiam parte tibi nota. Rubricae collocari solent aut corum summas perstringendo imagine accomodata aut per verborum similitudines. / Ambasiatas vero si commode volueris recordari ipsas, pro quo ambasiata collocanda est, imagines capies sive ipsumet in quo pacta sive promissa repones et ex adversis autem illum cui facienda est ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur plu- res res sive capitula seriatim conclusive per loca dispones. Argumenta possumus congrue argumentibus applicare quibus absentibus locorum custodibus affigantur. Si enim sologismus fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae accomodemus, aut potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam vel medii aut conclusionis. Si vero fuerit entimema satis erit primam proposi- tionem notare; in iure aut rubricam cum lege aut scilicet cum cius mente notare ut fucrit. TeAog. Il. Tractatus artis memorative eximii doctoris artium et medi- cinae magistri Girardi. Ars commoda naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius Tullius in tertio rhetoricae, cuius experientiam habemus in duplici arte scilicet domificatoria qua artifex finalis per hanc intendit defectui naturae providere; in arte etiam medicatoria minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac defectus eiusdem restaurare. Que quidem ars minime foret in- venta si natura auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra in principio sue creationis nascitur defectuosa in tribus suis po- tentiis clarioribus: scilicet memoria, intellectu et voluntate. Non tamen dico defectuosa sit quod anima nostra in principio creationis suac non habeat omnes potentias sibi concreatas, sed dico defectuosa sit quod in principio nostrae nativitatis anima nostra nequaquam potest per has potentias suos actus exercere. Non igitur parum utilis est artificialis memoria, quae commoda naturae amplificat ratione doctrinae. Huius quippe artis multi fuerunt inventores inter quos quidam nimis occulte, alii nimis confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo sapientiac dilatandae / hanc artem compendiosis et utilibus verbis declarare intendo, hoc opusculum dividendo per novem capitula. In capitulo primo ostendetur breviter et succinete quac sint instrumenta quibus utendum est in hac arte. In secundo tradetur ars memorandi terminos substantiales. In tertio dabitur ars memorandi terminos accidentales. In quarto dabitur ars memorandi auctoritates ct quascumque orationes simplices. In quinto tradetur ars memorandi epistolas collectiones et quascumque historias prolixas. APPENDICE III 281 In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque orationes sillogisticas. In septimo tradetur ars memorandi versus. In octavo tradetur et dabitur ars memorandi dictiones igno- tas, puta graecas, hebraicas, sincathagoremata et capita legum. In nono et ultimo dabuntur sccreta huius artis. Unde versus: Sedibus humanis trita stans filia celsi Inexculta cibo mens grave tenet in albo Sed si concipiat post sernen arca volutum In varias formas parit similia monstro Qui igitur volet perfectam gignere prolem Promptam facetam recte natam in ordine membri De multis tractum subiectum forbeat haustum.! 28 v. Capitulum primum. Pro expeditione primi capituli prenotan- dum est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere librum mentalem qui quid se habeat ad instar libri artificialis. Nam quemadmodum in libro artificiali duo sufficiunt instru- menta duntaxat scilicet carta et scriptura, ita ct non aliter in hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. Unde egregius Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- lima, sicut imagines literis. Dispositio vero imaginum in locis lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi accipiendi loca in hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus modus est secundum Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- cet domum realem vel imaginariam in qua diversa signa noten- tur inter angulos illius contenta. Secundus modus est servando ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense vel alium quemvis artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod de novo praticantibus in hac arte bonum est in primis modum Tullii imitari ut a facilioribus ad difficiliora facilior sit transitus. Unde versus: Tipicha fortificat poliniam vallis locorum / 29 r. Hec per ambages deserti querere noli Que rapuit pacifex iam lux perdit vel atro Invisaque spernit fugit gravissima quecque Huius vero plus placuit medios habuisse penatos Incultos natos diversos noto placentes In quorum costis fingantur ordine quino Que fixa maneant signa distantia tractu.? ® Grosse INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore humano; trita: afflicta; filta celsi: scilicet dci; inexculta: scilicet impleta; grave: graviter; in albo: scilicet memoria. 2 Giosse INTERLINEARI: Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis loco- rum: scilicet ordinatio; Haec: loca; per ambages: per loca dubia; pacifer: scilicet intellectus; ian: lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel obscuritatem; 282 29 v. 30 r. CLAVIS UNIVERSALIS Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales scire debes quod tales sunt duplices. Quidam sunt proprii et qui- dam communes. Si igitur vis memorari terminos communes suf- ficit pro quolibet tali accipere similitudinem agentem aliquid mirabile vel patientem ct illam memento in suo loco collocare, praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi- tulo. In propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum hominum una est similitudo communis, accipere igitur pro quo- libet nomine proprio aliquem tibi notum ratione laudis, vituperii vel conversationis et illum memento in suo loco collocare. Et notatur < quod > dictum cst supra quod similitudo rei memo- randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam quanto actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu- turnior crit memoria. Unde versus: Usia post rerum recte ponatur in istis / Cum voles hanc disce viam quac plana patebit Subiectis propriis proprias est darc figuras Communes aliis: cythara noscetur Apollo.? Tertium capitulum. Si vis memorari terminos accidentales, quia accidens non habet esse per sc sed totum esse eius dependet a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere substan- tivum in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo lilium, pro fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. Et nota hic tres regulas solemnes. Prima est quod omne nomen significans substantiam in qua est aliquid accidens per excellen- tiam significat duo: scilicet substantiam primo et accidens poste- rius et secundario; et sic monialis significat feminam et castita- «tem, lupus animal et voracitatem, philomena avem et cantorem. Secunda regula est quod a tali nomine significanti duo descendit nomen adiectivum vel verbum, ut de rosa descendit roscus rosea roseum et roseare quod est rubcum facere. Tertia regula est quod ad commemorandum artificiose derivativa sive fucrint nomina sive verba aut participia / vel adverbia sufficit habere memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem derivativum virtualiter includitur in primitivo et capit naturam ciusdem. Unde versus: Quod pendet fixum de se vult capere plenum Si varias uno profers multis ne licebit In derivativis quae sit origo notabis.4 Invisa: loca; gravissima: dissimillima; quecque: loca; medios habuisse penatos : scilicet manifestas domos; Incultos: non habitatas; diversos: scilicet colore vel figura; noto placentes: scilicet voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- tibus; fixa: firma. ì 3 GLossi INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in istis: sci- licet costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. 4 Gtosse INTERLINEARI: OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: subiectum; de se vult capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. 30 v. 3lr. APPENDICE III 283 Quartum capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- que orationes simplices accipe pro qualibet obiectum principale eiusdem et illius memento in suo loco collocare praesuppositis his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est quoniam signum et signatum sunt corrclativa. Unde versus: Complexum si vis obicctum indicat illud. Quintum capitulum. Si vis memorari epistulas et quascum- que historias prolixas divide per suas partes principales ct rursus quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam; quo facto age ut dictum est in capitulo praecedenti de orationibus simplicibus. Et ratio huius est quoniam divisio valet ad tria. Primum animum legentis excitat, secundo intelligentiam confir- mat, tertio memoriam artificiose corroborat. Unde versus: Ut plerique volunt tribus divisio valet / Animum legentis excitat mentem quoque probat Intelligentis memoriam roborat atque. Sextum capitulum. Si vis memorari argumenta et quascum- que orationes sillogisticas sufficit pro quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia difficile est medium invenire secundum doctrinam quam tradit Aristoteles in fine primi priorum, sciendum est quod medium in proposito nihil aliud est quam causa conclusionis, idest illud inferens in quo virtualiter consistit argumentum. Unde versus: Qui nescit causas nihil scit, quia nulla Res est nota satis, cuius origo latet. Septimum capitulum. Si vis memorari versus hoc potest fieri altero duorum modorum: primo accipiendo a quolibet versu sententiam meliori via in qua fieri potest et cum versus bis vel ter replicando; secundo accipiendo duas vel tres dictiones prin- cipales cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis vel ter repetendo. Sic enim ars suppedit naturae et ratio huius est quo- niam versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: Metra iuvant animos, comprehendunt plurima paucis Pristina commemorant quae sunt tria grata legenti. Octavum capitulum. Si vis memorari dictiones ignotas hoc potest duobus modis fieri. Primo per viam similitudinis, acci- piendo videlicet pro qualibet dictione ignota dictionem nobs notam habentem aliquam similitudinem cum tali dictione ignota. Secundo fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo sci- licet dictionem ignotam per suas sillabas, et pro qualibet sillaba accipiendo dictionem tibi notam incipientem ab ca. Unde versus: Ignotum memorari si vis barbarum nomen Aut summas apparens per partes divide totum. 284 lv. 32 r. 32 v. CLAVIS UNIVERSALIS Ultimum capitulum. Pro cxpeditione completa huius artis facien- dum quod bcatus Thomas in secunda secundae, quaestione 49 et capitulo primo. Ponit quatuor documenta quibus proficimur in bene memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- morari quasdam similitudines assumat convenientes nec tantum omnino consuetas, quia ca quae sunt inconsueta magis miramur et sic in eis animus magis et vehementius detinetur. Ex quo fit quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur. Ideo autem magis necessaria est huiusmodi similitudinum vel imagi- num adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius ex animo elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensi- bilia. Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo oportet ut homo ca quac memoriter vult tenere sua considera- tione ordinate disponat ct cx uno memorato facile ad aliud pro- cedat. Unde dixit philosophus in libro de memoria a locis vi- detur reminisci aliquando, causa autem est quia velocitate ab uno ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ca quae vult memorari, quia quanto magis aliquid fuerit impressum animo co minus elabitur. Unde Tullius dixit in sua rhetorica quod sollicitudo conservat integras simulacrorum figuras. Quarto oportet quod ea frequen- ter meditermur quae volumus memorari. Undec philosophus dixit in libro de memoria quod meditationes servant / memoriam, quia, ut in codem libro dicitur, consuetudo est quasi natura. Unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur quasi natu- rali quodam ordine ad uno ad aliud procedentes. Sed quia tota difficultas artis memorativac consistit in difficili et laboriosa io- corum acceptione et in illa laboriosa adinventione imaginum convenientium, in hac arte notanda sunt duo pro secretis huius artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum accep- tione quod tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit in centum locis familiaribus quae pro certa loca habere poterimus duplici via. Primo accipiendo decem domus reales a nobis opti- me frequentatas in diversibus civitatibus vel in eadem, itaque in qualibet domo notentur decem loca distincta loco situ et figura ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo possunt ha- beri centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- rum rerum quac tamen sint ordinatae secundum ordinem lite- rarum alphabeti: ut pro A accipiamus arietem, pro B bovem, pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum, pro F folium, pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, pro L leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, pro P pastorem, pro Q quiritem, pro R regem, pro S sapientem, pro T turrim, pro V vas olci vel vini. Ita tamen qued in qualibet istarum imaginum notentur quinque determinata signa quae facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est ut patebit in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum APPENDICE III 285 sive similitudinum quod permaxime perficit in memorando arti- ficiose servare imaginibus colligantiam. Talis autem colligantia dupliciter intelligitur. Primo ut quaclibet imago se exercitet ali- quo modo cum suo loco. Secundo ut una imago se exercitet cum alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de aliis. Et est diligenter advertendum in hac arte quod attestatur egregius Tullius in tertio Rhetoricorum videlicet quod artis huius preceptio est infirma nisi diligentia et exercitatio comprobetur. Unde versus: Doctrinae pater est usus doctrina scolaris Interscissa perit, continuata urget. Finis. APPENDICE IV. DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ DI PIETRO DA RAVENNA Al testo della sua Phoenix seu artificiosa memoria, Pietro da Ravenna premetteva, nella prima edizione a stampa del 1491, alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia (12 settembre 1480); di Bonifacio marchese del Monferrato (24 settembre 1488); di Eleonora d’Aragona duchessa di Ferrara (10 ottobre 1491). Oltre al testo della lettera di Eleonora, si riproducono qui i versi scritti da Egidio da Viterbo in onore del Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono ad cpisodi della vita del Ravenna. Si è usata la copia della prima edizione a stampa contenuta, insieme ad altri tre incu- ‘ naboli, nel Cod. marciano lat. 274 della classe VI, ai ff. 82-97v. I 82 r. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab omnium bonorum datore immortali deo generi humano concessum est placrique in orbe terrarum a constitutione mundi usque ad hanc aetatem excellentes viri evasere, quos inter nunc adest spectatus miles auratus et insignis utroque iure consultus dominus Petrus Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor, qui, practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere et tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam in his parem minime habere videatur. Quod quidem nuper latissi- me re ipsa comprobavit non solum nos, sed etiam omnis haec civi- tas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex re factum est ut cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae inter nostros praeter alios familiarem et domesticum habere consti- tuerimus. Quamobrem serenissimos reges, illustres principes, ex- cellentes respublicas et alios quosqunque dominos patres fratres amicos benivolosque nostros precamur et oramus ex animo ut quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam 82 v. optime meritum cum suis famulis et equis usque ad numerum octo cum suis bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct vestibus suis libris vasis argenteis et aliis cuibuscunque rebus suis ac armis per eorum urbes oppida vicos passus aquas et loca die noc- teque liberrime et expeditissime absque alicuius datii gabellae ct alius cuiuslibet oneris solutione amoris nostri et potissimum tam maximarum huius hominis virtutum causa transire permit- 84 v. 92 v. 93 r. APPENDICE IV 287 tant commendatissimumque ipsum semper habentes ci providere velint de liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte ut opus fucrit et ipse requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- simum semper cerit atque gratissimum, paratissimis ad omnia corum qui sic in eo sc habuerint beneplacita. Mandamus autem omnibus et singulis magistratibus quoruncunque locorum nos- trorum ct potissimum custodibus passuum reliquisque subditis nostris ut praedicta omnia ct singula in terris et locis nostris in- violabiliter servent servarique faciant. Sub indignationis nostrae incursu et alia quavis graviori poena pro arbitrio nostro eis im- ponenda; ad quorum robur et fidem has nostras patentes litte- ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori sigilli munimine roborari. Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno nativitatis dominicae Millesimo quatringentesimo nonagesimo primo, indic- tione nona, die decimo mensis Octobris. Severius. Il Paduae Domino Petro memoriae magistro. Qui modo pyramides, quid iam Babylona canamus Quid Iovis et triviae templa superba deae Non magis immensum mirabimur amphitheatrum Nam summe facerent hoc quoque semper opes Scipio non ultra iactet quod fecerat usus Agmina qui proprio nomine tota vocat Petrum fama canat quam nobilis ille Ravennae est Gloria, qui plusque docta Minerva potest Quid magni facere dei mirabile dictu Nam retinet quicquid legerit ille semel Effatur triplici quaecunque orator in hora Protinus hic iterum nil minus ore refert Sic reor hunc genuit doctarum quinta sororum Cui pia musa nihil non meminisse dedit Frater Egidius Viterbiensis heremita. III. Bononiae, Papiae, Ferrariaeque legi et qui me audierunt mul- ta memoriter scire incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me- moria aliorum auctoritatibus sit comprobata, peccare tamen non puto si acta mea in hoc libello legentur quae ipsam mirabiliter approbabunt. Dum essem iuris auditor, nec vigesimum vidissem annum, in universitate patavina dixi mc totum codicem iuris ci- vilis posse recitare; petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- trium astantium proponerentur, quibus propositis, summaria Bar- toli dicebam, aliqua verba textus recitabam, casum adducebam, tacta per doctores examinabam, lexque ista tot habet glosas dice- bam et super quibus verbis erant positae recordabar, / contraria 288 93 v. 94 r. CLAVIS UNIVERSALIS allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse miraculum; Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam locutus sum in universitate Paduae ex qua in ore duorum vel trium stat omne verbum; testes huius rei tres habco: magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum senatorem venetum et iuris utriusque doctorem excellentissimum apud illustrissimum Mediolani ducem nunc legatum, clarissimum doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae civem nobilem patavinum cuius predictus Franciscus fuit acutissimi ingenii iuris consultus, specta- bilem dominum Monaldinum de Monaldiniis Venetiis commoran- tem in quo virtus domicilium suum collocavit. Lectiones etiam Alexandri Imolensis Paduae legentis copiosis- simas memoria tencbam et illas ex verbo ad verbum in scriptis redigebam, illas etiam postquam finierat, astante magna audito- rum copia, a calce incipiens recitabam ex suisque lectionibus dum in scholis audirem carmina faciebam et omnes carum partes in carminibus positas statim replicabam; et qui hoc viderunt obstu- pucre: huius rei testes habeo clarissimum equitem et doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae et filium Alexandri Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. Centum et quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fra- tris Michaelis de Mediolano Paduae praedicantis immortalitatem animae probantes, coram eo memoriter et prompte pronunciavi, qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma singularis, utinam te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas patavina, sed magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- minum Sigismundum de capitibus listae et dominum Monal- dinum de Monaldiniis testes habco. Petii ego doctor / creatus in universitate patavina, ut mihi in cathedra sedenti, aliquis de universitate auditor unum ex tribus voluminibus digestorum quid eligeret praesentaret locum- que in quo legere deberem designaret. Dixi enim supra rc pro- posita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris utriusque doctor dominus Gaspar Orsatus Paduae iura canonica legens et doctissimus dominus Prosper Cremonensis Paduae com- morans [....]. Semel in schachis ludebam et alius taxillos iaciebat aliusque omnes iactus scribebat ct ex themate mihi proposito duas / cpis- tolas dictabam. Posquam finem ludo imposuimus omnes iactus schachorum cet taxillorum et epistolarum verba ab ultimis inci- piens repetii; hacc quatuor per me codem tempore collocata fuerunt. Testes sunt dominus Petrus de Montagnano et Fran- ciscus Nevolinus nobiles patavini cives. Dum cssem Placentiae monasterium monachorum nigrorum intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante mona- cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis cellarum erant collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio quemlibet salutavi, licet quem nominabam digito demonstrare 9% v. 95 r. APPENDICE IV 289 non potuissem. Mirabantur monachi quo pacto ego peregrinus nomina eorum memoriter proferrem, ipsis mirari non desinenti- bus, dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa memoria, quorum unus dixit ergo hoc Petrus Ravennas facere potuit et non alius. In capitulo generali canonicorum regularium Paduac, prac- dicationem domini Deodati Vincentini co ordine quo ipsam pronunciaverat recitavi astante ipsius praedicationis auctore. Sc- mel me traxit ad sui contemplationem Cassandra, fidelis veneta virgo excellentissima, quae dum legeret litteras serenissimae coniugis regis Ferdinandi ad se missas, illas collocavi et recitavi; testis est illa doctissima virgo, dominus Paulus Raimusius doctor excellens ariminensis et Angelus Salernitanus vir clarus [....]. De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus marchio Bonifacius et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere donavi; testis est illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor Eleonora; testis est tota Ferraria duas enim pracedicationes cele- berrimi verbi dei pracconis magistri mariani heremitae recitavi, quo audito obstupuit dictus magister et dixit: illustrissima du- cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est universitas patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro quotidie lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas memoriter pronuncio ut nec etiam minimam syllabam omittere videar. In locis autem meis quae collocaverim hic scribere statui et quae locis tradidi perpetuo teneo, in decem et novem litteris alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque posui et codem ordine sacrorum librorum septem milia, mille Ovidii carmina quae ab co sapienter dicta continent, ducentas Ciceronis auctoritates, trecenta philosophorum dicta, magnam Valeri Ma- ximi partem, naturas fere omnium animalium bipedum et qua- drupedum quorum auctoritatum singula verba collocavi, et quando vires arti / ficiosae memoriae experiri cupio, peto ut mihi una ex litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro- posita allegationes profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- bes: proposita est mihi nunc littera A in magno doctorum vi- rorum conventu, et statim a iure principium faciens, mille alle- gationes et plures proferam de alimentis, de alienatione, de ab- sentia, de arbitris, de appellationibus et de similibus quac iure nostro habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in sacra scriptura de Antichristo, de adulatione et multas allegationes sacrae scripturae ab illa littera incipientes pronunciabo, carmina Ovidii, auctoritates Ciceronis et Valerii non omittam, de asino de aquila de agno de ‘accipitre de apro de ariete auctoritates allegabo, et quaecumque dixero ab ultimis incipiens velociter repetam [. APPENDICE V. TRE MSS. DI ARS MEMORATIVA DEL TARDO SEC. XVI. Una posizione come quella del Rosselli, che pure si muove nell’ambito della tradizione “ciceroniana” e non ha contatti con il lullismo, appare per molti aspetti assai vicina a quella che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- che sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- dotte secondo i canoni più tradizionali della mnemotecnica “classica”. Più che altro per amore di completezza, si dà qui conto di tre testi manoscritti che risentono fortemente di que- ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi, con- servato nel ms. Palatino 885 della Nazionale di Firenze (Cod. cart. miscell. sec. XIV, XV, XVI di carte 466. Ai ff. 289r.- 313v. è un anonimo trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur primo, quare, antequam hanc, artificialem memoriam non in aperto tradiderunt. Expl.: Vox continua est de quantitate con- tinua. Grafia del sec. XVI) ritorna, secondo gli schemi ormai ben noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel se- condo, l’ashburnhamiano 1226 della Laurenziana (Cod. cart. in folio di carte 71, fine del sec. XVI) riscontriamo quel feno- meno, che abbiamo visto tipico, di una trasformazione dei trat- tati di retorica in una ordinata e sistematica classificazione di nozioni. L'arte della memoria non è qui fatta oggetto di spe- cifica trattazione; gli intenti mnemonici risultano chiari dalla disposizione della materia, ordinata in tavole. Si veda per cs. al fol, l1v.: «La Rhetorica è un’arte di trovare ciò che in ogni cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi con le quali si per- suade sono: Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi del- l’Oratore, in mover l’animo del giudice, nell’oratione quando si prova o par che si prova alcuna cosa. Questa maniera di fede si prova e si tratta dall’Oratore. Fuori dell’arte cotai sono : leggi, patti, testimoni, tormenti, giuri. Quest’altra maniera di fede si tratta solamente dall’Oratore ». Del terzo manoscritto (II, 1, 13, già Magliab. della Nazionale di Firenze, Cod. cart. in folio grande di carte 48) già segnalato dalla Yates, si cono- scono invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. APPENDICE V 291 Scritto da frate Agostino Riccio nel Convento di Santa Maria Novella nel 1595, il trattato si rivolge « alla gioventù fioren- tina studiosa di lettere ». La Yates (The Ciceronian Art of Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, p. 899) ha visto in questo scritto « qual- cosa di meno astratto che i trattati del Romberch e del Ros- selli ». In realtà l’operetta del Riccio appare in tutto con- venzionale, ultima eco di una tradizione che si andava ormai spegnendo. Tuttavia, anche in questo testo, non manca un elemento di novità rispetto alle fonti classiche. Allo scopo di imprimere meglio nella mente del lettore le regole dell’arte della memoria, vengono qui impiegati immagini e simboli: in altri termini, per esprimere i precetti che insegnano a « col- locare » le immagini, ci si serve di altre, più complesse imma- gini. Dello stesso accorgimento già aveva fatto uso il Bruno nella Explicatio triginta sigillorum del 1583. Ir. Essendo la memoria madre delle scienze poi che quello che vera- mente si sa che si ritiene nella memoria impresso, utilissima è l’arte che rende perfetta questa natural potenza. Di essa da molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato ch’a me sia negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- litudine d’un potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- glieri e tre valorosi capitani et un servo che provede ciò che fa di bisogno, brevemente e chiaramente ho ridotto in sette precetti la somma di quest'arte et a voi la dono. 7r. / Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati da me, ché tutti questi tre nomi significano una cosa medesima come si dichiara per la figura dipinta a uso d’huomo consigliere del Re, ché detto consigliere tiene una mano sopra a un map- pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case, botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di reli- giosi e a molte altre cose [....] / 17 v. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò che tu gli legga e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un di pietre preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante piccole, un di fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali grandi e piccoli... un di città, un di casati fiorentini, un d'arti meccaniche e liberali o exercitii o servitù che si faccino per guadagnare, un d'huomini honorati [....]. APPENDICE VI. IL PETRARCA MAESTRO DI ARTE DELLA MEMORIA In un saggio più volte citato nel corso di questo libro (The ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 889-894) la Yates ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei quali compaiono espliciti richiami al Petrarca. Nel Congesto- rium artificiose memorie, pubblicato a Venezia nel 1520, Johan- nes Romberch si richiama più volte al Petrarca attribuendogli anche la paternità di non poche affermazioni di carattere “tec- nico” sui /oci e sulle imagines (pp. 20r., 28r., 29r.); nella Plutosofia di Filippo Maria Gesualdo (Padova, 1592, p. 14r.) il Romberch viene addirittura qualificato un seguace della mne- motecnica del Petrarca; nella Prazza universale (Venezia, 1578, Disc. LX) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i più noti cultori di mnemotecnica; Lambert Schenkel nel Gazophy- lacium artis memoriae (Argentorati, 1610, pp. 26-28), dopo aver riportato un lungo passo dei Rerum memorandarum libri (ediz. di Basilea, 1581, I, p. 408; ediz. G. Billanovich, Firenze, 1943, pp. 46, 48), fermi che l’arte mnemonica fu dal Pe- trarca «avide susceptam et diligenter excultam » (Gazophy- lacium, cit., p. 28). Gli sparsi accenni alla memoria, alla memoria artificiale, agli illustri esempi di prodigiosa memoria presenti nell’opera del Petrarca sono stati elencati, con la precisione che le è consueta, dalla Yates: nessuna specifica regola di mnemotec- nica, né alcuna esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- riae — della cui divulgazione il Petrarca era tuttavia a cono- scenza («Itaque minus miror tantis nature preditum mune- ribus artificiosam memoriam contempsisse, que tum primum in Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. libri, ediz. Billanovich, p. 46) — è presente nell'opera dell’au- tore del Canzoniere. La tradizione che vede nel Petrarca un “classico” della letteratura sulla memoria non nasce tuttavia dal semplice desiderio — così diffuso negli autori di questi trattati — di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha ori- APPENDICE VI 293 gini precise: « I think one can see how the tradition about Petrarch as an advocate of the classical mnemonic arose. Eve- ryone knew that the great scholastics in treating memory as a part of prudence had recommended the artificial memory. It was therefore supposed that when Petrarch treated memory as a part of prudence by giving amongst his exempla the me- mories of great classical rhetors in which he made allusions to the classical mnemonic, he thereby meant — though in his own ’humanist’ way — to recommend it. And it was pro- bably further supposed that in the description of the memory of his friend he was describing the feats of a modern ’ artift- cial memory” based on the practice of the ancients. This was certainly the assumption made by Lambert Schenkel, in the passage referred above » (p. 893). Con le conclusioni della Yates sembra difficile non concor- dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci conto delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- mazioni che solo parzialmente confortano le affermazioni ora citate: «Qui autem aequus rerum aestimator, considerans quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe artificio- sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- cum ab adolescentia multorum itinerum individuum comitem ipsi fuisse, saepe totos dies et noctes colloquiis traductos, alias- que circumstantias, ac maximam occasionem consequendae huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam docto, negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse neglectam; praesertim cum memoriae illius excellentia, com- muni omnium fama, celebretur et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili memoria insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse ». (Gazophylacium, cit., p. 28). Comunque stiano le cose, è certo che la tradizione del Pe- trarca maestro e teorico della memoria artificiale si estende molto al di là dei limiti cronologici indicati dalla Yates (« the tradition of associating Petrarch with mnemonics goes on even into the early seventeenth century », p. 890). Negli scritti di Jean Belot pubblicati nel 1654 e in seguito riediti nel 1669, 294 CLAVIS UNIVERSALIS 1688, 1704, il nome del Petrarca compare accanto a quelli di Pietro da Ravenna e di Giordano Bruno (Les oeuvres de M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de memoire de Raymond Lulle, Lyon, 1654, p. 334). Nella lunga nota integrativa apposta dal Diodati alla voce Mémotre del- l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca, 1767, p. 263) ritro- viamo in pieno Settecento, accanto a quelli di Pietro da Ra- venna, di Jacopo Publicio, del Romberch, di Cosma Rosselli, il nome di Francesco Petrarca. APPENDICE VII. UNO SCRITTO INEDITO DI GIULIO CAMILLO Di carattere teologico e cabalistico è uno scritto inedito del Camillo sul quale ha di recente richiamato l’attenzione E. Garin (« Giornale crit. della filosofia italiana », 1959, 1, p. 159). Cfr. E. MANDARINI, / codici manoscritti della Biblioteca Orato- riana di Napoli, Napoli, 1897, p. 122 e il Ms. Pil. XV, n. ll, in 4°, sec. XVI, di cc. 55 non numerate. Lo scritto del Camillo inizia con un proemio caratteristico nel quale fra l’altro si af- ferma: « Et perché né più degno soggetto, né più alto si tratta del Sommo Dio, contenendo la presente Opera l’interpretazione dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera Intelligenza delli tre Mundi, cioè Sopra Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne risorge la vera Cognitione Theologica, over Divina che dir vogliamo, qui è esponuto il Senario Canone Pitagorico et sfor- bito dal Ternario, cioè Artifex, Exemplar, Hyle. Qui è dichia- rato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più luoghi delle Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai ac- cordata la Pitagorica, et Platonica disciplina, con la philoso- phia et theologia nostra ». Di questo stesso testo del Camillo ho trovato un altro esemplare nel Ms. Aldino 59 della Bibl. Univ. di Pavia (Ms. cart. del sec. XVI, di cc. scritte e nume- rate 95, legatura in cartone, mm. 185 * 147). Anche qui, come nell’esemplare napoletano, segue un trattato De Transmuta- tone. Si veda a fol. 40r.: « Tre esser le une transmutationi, cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella ch'è pertinente alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa corri- spondenza ». Al fol. 46r. sono ricordati Agrippa e Giovanni da Rupescissa. Le cc. 51r. segg. contengono una trascrizione dall’edizione veneta del 1548 della Porta della luce santa. APPENDICE VIII. ESERCIZI DI MEMORIA NELLA GERMANIA DEL SEC. XVII Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna prima, e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza negli ambienti della cultura tedesca. Il brano qui di seguito trascritto costituisce un singolare documento dell’interesse, prc- sente anche in ambienti accademici dei primi anni del secolo XVII, per quegli esercizi di memoria che avevano avuto gran voga durante il Cinquecento, soprattutto in Italia e in Ger- mania. A questi divertimenti (recitare per esempio indiffe- rentemente dal principio alla fine o dalla fine al principio una filza di qualche centinaio di termini o di espressioni inusitate) si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori emble- matisti del Seicento. Come ha ricordato M. Praz (Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 233) il gesuita padre Menestrier, celebratissimo autore di un centinaio di opere di emblematica, faceva mostra della sua prodigiosa memoria davanti a Cristina di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che segue è tratto da Joannes Paepp, Schenkelius detectus seu me- moria artificialis hactenus occultata, Lugduni, 1617, pp. 30 - 39 (copia usata: Trivulziana, Mor. M. 17). Negli scritti del Paepp (cfr. anche Artficiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Ci- cerone, Thoma Aquinate ecc., Lugduni, 1619, e Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Lugduni, 1619) è parti- colarmente interessante il tentativo di fondere insieme le figure della combinatoria lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica “ciceroniana”. Il Goclenius, nominato nel testo, è personag- gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor lite- rarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, II, p. 455 e L. Thorndike, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, p. 326; VI, pp. 137, 368, 485, 506. Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII, hora octava matutina convenerunt ad aedes celeberrimi ac magni illius philosophi et profes- soris D. Rudol. Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus Ellenbergerus praeclarus medicinae doctor et professor, D. Mathias à Sichten Dan- tiscanus Borossus, ct M. Christophorus Bauneman Maior stipendiaro- APPENDICE VIII 297 rum. Petitque Schenkelius a D. Goclenio er D. Ellenbergero dictari XXV sententias, quas ipsc calamo excepit, pracposita cuique nota arith- metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum adolescentem Dn. lustum Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae studio- sum cui cae omnes ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis interiecto aliquantulo more, omnibusque dictis tacitus aliquantisper sedit. Deinde exorsus loqui a prima ad ultimam ordine recto et retro- grado ab hac ad illam sine mora, haesitatione aut errore recitavit. Cum vero bis terve evenisset ut dictionem unam alteri pracponeret, ac bis ut synonymum pro synonymo in quibus facillimus est lapsus ita pro sic, limites pro fines, unico hoc verbo admonitus, dic ordine dixine ita? synonymum ponis: statim et eadem substituit vocabula et suo ordine. Postremo intercalari ordine quolibet expresso numero statim sententiam, aut dicto primo cuiuslibet sententiae vocabulo confestim numerum indi- cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum Schenkelius an vellet aliquas praeterea sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi optavit. Verum Schenkelio respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas arti applicatas eadem dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or- dine et separatim et cum aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt autem sententiae sequentes: 1. Omnia sunt fucata, nihil candoris in aula est. 2. Animus philosophi debet esse in sagina, corpus in macie. 3. Ut planctae saepius translatae raro perveniunt ad frugem, sic et ingenia vagabunda [....]. 39. Timiditas ignorantiam audacia temeritatem arguit. 40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui nobis iecere fundamenta sa- pientiae. Si inter alias a Dominis aliquae dicerentur sententiae paulo tritiores quas coniiciebat D. Iungmannum antea memoriter scire, id sincere Do- minis indicavit Schenkelius aliasque illarum loco accepit. Si quoque aliquae iusto breviores videbantur petivit addi aliquid. Ut factum in XXIII et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo convenerunt su- pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae hora nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- kelio excepta; et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, relicto ipsi paululum morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde a primo ad ultimum ordine recto ab hoc ad illud retrogrado, postea intercalari quocunque numero dicto subiecit vocabulum, et contra no- minato quolibet vocabulo numerum sine mora, haesitatione vel errore. Interrogavit Schenckelius an placeret dominis plura dare. Videlicet: numerum illum duplicatum? Quod desiderabat quidem Dn. Iungman- nus, sed responderunt sufficere, nec se dubitare quin possit multo plura codem modo recitare. Postea Schenckelio conquestus est Dn. Iungman- nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias et centum vocabula esset processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse; fuerunt au- tem sequentia: 298 CLAVIS UNIVERSALIS I. Gobius, 2. Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5. Phalerae, 6. Canabis [....], 49. Mantica, 50. Locaria. Rursus oblatis a Schenckelio Dominis ducentis sententiis in quibus sc exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas iam memoria tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- tatis, quibus pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- merent quemlibet numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- tem diceret sententiam quod factum est feliciter, non sine praesentium admiratione. Cum praesertim magno id fieret numeri intervallo. E. g. dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228... etc. Postremo Dominis sunt oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se privatim ad specimen praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut illa quoque memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut cum prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini quem vellent numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de sententiis fecerunt et statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- didit. Si semel aut bis non diceret ipsam sententiam aut vocabulum servato prorsus ordine vocum, monitus rem acu non esse tactam, veram aut sententiam aut vocabulum illico restituit. Dic subsequenti primo Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D. Doc- toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam etiam valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- sent Eximius Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- tophorus Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta iverunt recta ad aedes pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam repcteret, quod fecit ita prompte ct exacte ut nihil ex tota concione esset practermissum. Haec omnia ita ut supra fideliter relata sunt se habere testamur cum ea nobis praesentibus, videntibus sententias et vocabula dictanti- bus, gesta sint et probata, omni fraude et dolo seclusis. In quorum fidem hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium nominibus nostris subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio vel non roganti dedimus. Marpurgi Hassorum anno, mense, die supra- positis. Rod. Goclenius L. Professor Henricus Ellenbergerus Med. Doctor et Professor Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus Cristophorus Bauneman Maior stipend. APPENDICE IX. LA VOCE ART MNEMONIQUE NELL’ENCICLOPEDIA DI DIDEROT Commentando la voce Mémoire della grande Enciclopedia, il Diodati rimpiangeva che l’autore della dotta dissertazione non avesse fatto seguire alla trattazione della memoria natu- rale una esposizione, altrettanto ampia e precisa, delle regole della memoria artificiale (Ediz. di Lucca, 1767, X, pp. 263-64). Per rimediare a questa lacuna il Diodati ripeteva alcuni dei più tradizionali concetti della mnemotecnica di origine “cice- roniana”; aggiornava l’elenco degli uomini dotati di prodi- giosa memoria aggiungendo ai nomi di Plinio, di Aulo Gel- lio, di Cinea, di Ciro, di Seneca e di Pico, quello del Maglia- bechi; si richiamava ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava infine alcune regole di medicina della memoria e i principali precetti dell’arte della memoria locale. La lacuna che aveva scandalizzato il buon Diodati, non esiste affatto nell’ Enciclopedia. Nel primo volume dell’opera (che lo stesso Diodati aveva annotato e pubblicato nove anni prima) un’intera sezione della lunga voce Art appare dedicata alla trattazione dell'Art mnémonique. Del testo, che è opera dell’Yvon (sulla cui figura e posizione intellettuale cfr. F. VEx- tuRI, Le origini dell’ Enciclopedia, Roma-Firenze, 1946, pp. 40-48) si trascrivono qui di seguito le parti essenziali. Nella identificazione dell’arte mnemonica con la logica, nell’appello alla chiarezza e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento delle idee in una catena di premesse e di conseguenze, infine nel deciso rifiuto di ogni forma di “memoria artificiale” tradi. zionalmente intesa sono evidenti le influenze delle posizioni cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa riferimento sono: Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, 1697 e Wix- KELMANN (che è pseudonimo di Stanislaus Mink von Venus- sheim), Logica mnemonica sive memorativa, Halae Saxo- num, 1659. On appelle ar: mnemonique la science des moyens qui peuvent servir pour perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre de ces sortes de moyen: car on peut y employer ou des remedes physi- 300 CLAVIS UNIVERSALIS ques, que l’on croit propres à fortifier la masse du cerveau; ou de certaines figures et schématismes, qui font qu’une chose se grave mieux dans la mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent facilement ce qu’on a appris; ou enfin un certain arrangement logique des idées, en les plagant chacune de facon qu’elles se suivent dans un ordre naturel. Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est indubitable qu’un régime de vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con- servation de la mémoire, de méme que les excès dan le vin, dans la nourriture, dans les plaisirs, l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme des autres remedes que certains auteurs ont reccomandés... qu'on peut voir dans l'art mmnemonique de Marius d’Assigny, auteur anglois... D’autres ont eu recours aux schématismes. On sait que nous retenons une chose plus facilement quand elle fait sur notre esprit, par les moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par cette raison qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en réprésen- tant les idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque facon. C'est de cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- ment à connoître les lettres, mais encore à se rendre familiers les principaux évenemens de l’histoire sainte et profane. Il y a méme des auteurs qui, par une prédilection singuliere pour les figures, ont appliqué ces schématismes à des sciences philosophiques. C'est ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné toute la logique d'Aristote en figures... Voici aussi comme il définit la Logique. Aristote est représenté assis, dans une profonde méditation : ce qui doit signifier que la Logique est un talent de l’esprit et non pas du corps; dans la main droite il tient un clé: c’est-a-dire que la Logique n'est pas une science, mais un clé pour les sciences; dans la main gauche il tient un marteau: cela veut dire que la Logique est une habitude instrumentale; et enfin devant lui est un étau sur lequel se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux pour indiquer que la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le faux. Puisqu'il est certain que notre immagination est d’un grand secours pour la mémoire, on ne peut pas absolument rejetter la méthode des schématismes, pourvà que les images n’ayent rien d'extravagant ni de puérile, et qu'on les applique pas à des choses qui n’en sont point du tout susceptibles. Mais c’est en cela qu'on à manqué en plusieurs fagons: car les uns ont voulu désigner par des figures toutes sortes de choses morales et métaphysiques; ce qui est absurde, parce que ces choses ont besoin de tant d’esplications, que le travail de la mémoire en est doublé. Les autres ont donné des images si absurdes et si ridi- cules, que loin de rendre la science agréable, elles l’ont rendu dégot- tante. Les personnes qui commencent à se servir de leur raison, doivent s'abstenir de cette méthode, et tàcher d’aider la mémoire par le moyen du jugement. Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on appelle teckni- que. Quelques-uns ont proposé de s’immaginer une maison ou bien une ville, et de s'y représenter différens endroits dans lequels on pla- ceroit les choses ou les idées qu'on voudroit se rappeller. D'autres, au APPENDICE IX 301 lieu d'une maison ou d’une ville, ont choisi certains animaux dont les lettres initiales font un alphabet latin. Ils partagent chaque membre de chacune de ces bétes en cinq parties, sur lesquelles ils affichent des idées; ce qui leur fournit 150 places bien marquées, pour autant d'idées qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a d’autres qui ont eu recours è certains mots, vers, et autres choses semblables: par exemple pour re- tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils prennent les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur servir à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des- sous c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus difficiles à retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter l'étude. Les moyens les plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux que nous fournit la Logique; plus l’idée que nous avons d'une chose est claire et distincte, plus nous aurons de facilité à la retenir et à la rappeller quand nous en aurons besoin. S'il y a plusieurs idées, on les arrange dans leur ordre naturel de sorte que l’idéc principale soit suvie des idées accessoires, comme d’autant de consequences; avec cela on peut pratiquer certains artifices qui ne sont pas sans utilité: par exemple, si l’on compose quelque chose, pour l’apprendre ensuite par coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de marquer les différen- tes parties par de certaines séparations, de se servir des lettres initiales au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la mémotre locale... Les anciens Grecs et Romains parlent en plusieurs endroits de l'art mnemonique Cicéron dit, dans le Liv. II de Orat. c. LXXXVI que Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie, fut invité par un nommé Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le firent appeller pour lui parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti, que la chambre où les autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lors- qu’on voulut les enterrer, on ne put les reconnoître, tant ils étoient défigurés. Alors Simonide, se rappellant la place où chacun avoit été assis, les nomma l’un après l’autre; ce qui fit connoître, dit Cicéron, que l'ordre étoit la principale chose pour aider la mémoire. APPENDICE X. D’ALEMBERT E I CARATTERI REALI La voce Caractère della grande Enciclopedia (i caratteri tipografici vengono trattati dal Diderot in un'ampia voce Ca- ractères d'imprimerie) risulta dalla collaborazione di vari au- tori. Dopo alcune brevissime definizioni dell’ Eidous che di- stingue fra suoni e segni o figure e fa risalire l’origine dei carat- teri ai primi rozzi disegni tracciati sui corpi materiali, d’Alem- bert tratta brevemente della scrittura in generale cinviando: per una trattazione più analitica, alle voci Langue e Alphabet. Ai caratteri egiziani accenna in poche righe, rimandando alle voci Hiéroglyphe ec Symbole, il celebre grammatico Du Mar- sais. Seguono nell’ordine: una colonna c mezzo di d’Alem- bert dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua uni- versale; una descrizione dei caratteri dei vari alfabeti e dei segni impiegati in geometria e trigonometria di La Chapelle; una breve voce sui Caractères dont on fait usage dans l' arith- metique des infinis ancora di d’Alembert; infine una colonna circa del Venel sui Caractères de la Chimie. Si vuol qui richiamare l’attenzione sul secondo dei tre “pezzi” scritti dal d’Alembert. In questo testo troviamo pre- sente la contrapposizione baconiana dei “caratteri reali” (che esprimono non suoni o lettere, ma cose) ai “caratteri nomi- nali” (o normali lettere alfabetiche); vediamo ripreso il paral- lelo, presente nel De augmentis di Bacone e nell’ Essay di Wilkins, tra gli ideogrammi cinesi e i caratteri reali che pos- sono essere letti e compresi indipendentemente dalla lingua che effettivamente si parla; vediamo brevemente esposti i risul- tati cui erano giunti lo stesso Wilkins, George Dalgarno e Francis Lodowick; le riflessioni di Leibniz sulla caratteristica e sulla lingua universale (di questi interessi non fa cenno la voce Lerbnittanisme ou philosophie de Leibniz) vengono infine poste in un rapporto di diretta derivazione con le dottrine dei due autori inglesi. Le opere del Dalgarno, dello Wilkins, del Lodowick alle quali d’Alembert fa riferimento nel testo sono nell’ordine: Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philoso- APPENDICE X 303 phica, Londra, 1661; Essay towards a real character and a phi- losophical language, Londra, 1668; The grundwork or foun- dation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language, Londra, 1652. Les hommes qui ne formoient d'abord qu'une société unique, ct qui n’avoient par conséquent qu’une langue et qu'un alphabet, s'étant extrémement multipliés, furent forcés de se distribuer, pour ainsi dire, en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui séparées par des mers vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts differens, n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances occasionnerent les différentes langues cet les différens alphabets qui se sont si fort multipliés. Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes nations pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands obstacles qu'il y ait au progrés des Sciences: aussi quelques auteurs pensant à affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé des plans de caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- tion pùt lire dans sa langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de caracteres devroient étre réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer des choses, et non pas, comme les caracteres communs, exprimer des lettres ou des sons. Ainsi chaque nation auroit retenu son propre langage, et cependant auroit été en état d’entendre celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- yant simplement un caractere récl ou universel, qui auroit la méme signi- fication pour tous les peuples, quels que puissent étre les sons, dont chaque nation se serviroit pour l’'exprimer dans son langage particulier : par cxemple, en voyant le caractere destiné à signifier Sorre, un An- glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin bidere, un Grec riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme qu'en voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais toutes entendent le mème animal. Il ne faut pas s’'imaginer que ce caractere réel soit une chimere. Le Chinois et les Japonois ont déjà, dit-on, quelque chose de semblable: ils ont un caractere commun que chacun de ces peuples entend de la méme maniere dans leurs différentes langues, quoiqu’ils le prononcent avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils n’entendent pas la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. Les premiers essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait en Europe pour l’institution d’une langue universelle ou philosophique, sont ceux de l’évèéque Wilkins et de Dalgarme: cependant ils sont demeurés sans aucun effet. M. Leibnitz a eu quelques idées sur le méme sujet. Il pense que Wilkins et Dalgarme n’avoient pas rencontré la vraie méthode. M. Leibnitz convenoit que plusieurs nations pourroient s'entendre avec les caracteres de ces deux auteurs: mais, selon lui, ils n’avoient pas attrapé les véritables caracteres réels que ce grand philosophe regardoit comme l’instrument le plus fin dont l’esprit humain pùt se servir, et 304 CLAVIS UNIVERSALIS qui devoient, dit-il, extrémement faciliter et le raisonnement, et la mémoire, et l’invention des choses. Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces caracteres devoient ressem- bler à ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont effectivement fort simples, quoique très-expressifs, sans avoir rien de superflu ni d’equi- voque, et dont au reste toutes les variétés sont raisonnées. Le caractere réel de l'Evéque Wilkins fut bien regu de quelques savans. M. Hook le recommande après en avoir pris une exacte connois- sance, et en avoir fait lui-méme l'experience: il en parle comme du plus excellent plan que l'on puisse se former sur cette étude, il a eu la complaisance de publier en cette languc quelques-unes de ses décou- vertes. M. Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un alphadet des pensées humaines, et mèéme qu'il y travailloit, afin de parvenir à une langue philosophi- que: mais la morte de ce grand philosophe empécha son projet de venir en maturité. M. Lodwic nous a communiqué, dans les transactrons plulosophi- ques, un plan d’un a/phabet ou caractere universel d’une autre espece. Il devoit contenir une énumération de tous les sons ou lettres simples, usités dans une langue quelconque; moyennant quoi, on auroit été en état de prononcer promptement et exactement toutes sortes de langues; et de d’écrire, en les entendant simplement prononcer, la prononciation d’une langue quelconque, que l'on auroit articulée; de maniere que les personnes accoùtumeées à cette langue, quoiqu'elles ne l’eussent jamais entendu prononcer par d'autres, auroient pourtant été en état sur le champ de la prononcer exactement: enfin cc caractere auroit servi comme d’étalon ou de modele pour perpétuer les sons d’une langue quelconque. Dopo aver accennato a tentativi più recenti (Journal Litté- raire del 1720, sul quale cfr. L. Coururat-L. Leau, Historre de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 29 segg.), d'Alembert concludeva scrivendo: « Mais ici la difficulté est bien moins d’inventer les caractères les plus simples, les plus aisées, et les plus commodes, que d’engager les différentes nations à en faire usage; elles ne s’accordent, dit M. Fontenelle, qu’ì ne pas en- tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva quindi, esclusivamente, la possibilità di una realizzazione pra- tica. Su questo punto le opinioni dei collaboratori all’Enciclo- pedia si configurano variamente. Per rendersene conto basterà confrontare la voce Langage nella quale veniva esplicitamente rifiutata la possibilità, anche teorica, di una lingua universale («Puisque du différent génie des peuples naissent les diffé- rents idiomes, on peut d’abord décider qu'il n’en aura jamais APPENDICE X 30)5 d’universel ») con la voce Langue nella quale veniva esplicita mente riaffermata la speranza in una pratica realizzazione della lingua universale: « Mon dessein n’est pas au reste de former un langage universel à l’usage de plusieurs nations. Cette entreprise ne peut convenir qu’aux académies savantes que nous avons en Europe, supposé encore qu’elles travaillas- sent de concert et sous les auspices des puissances ». INDICE DEI MANOSCRITTI I numeri in corsivo rimandano alle pagine nelle quali il testo del manoscritto è stato parzialmente o integralmente riassunto o trascritto. Gli altri rinviano alle pagine nelle quali il manoscritto è stato sempli- cemente indicato o richiamato. Firenze Hannover : Innichen Milano Monaco Napoli Laurenziana Ashb. 1226: 290. Nazionale II, 1, 13 (già Magliab.): 290-291. Conv. Soppr. I, 1, 47: 17, 271, 272-275. Magliab. cl. VI, cod. 5: 17-18. Magliab. Palch. II, 90: 271. Palat. 54: 17, 271, 272-275. Palat. 885: 28, 290. Riccardiana Ricc. 1538: 271. Ricc. 2734: 25. Phil. VI, 19: 250-252. Phil. VII. B. mi, 7: 250, 252-253. VIII. B. 14: 65. Ambrosiana D. 535 inf.: 52. E. 58 sup.: 25. I. 171 inf.: 25. I. 153 inf.: 70-73, 261, 262-270. N. 185 sup.: 54. N. 259 sup.: 69. R. 50 sup.: 26. T. 78 sup.: 19, 25, 26, 276, 277-285. Staatsbibl. 10517: 69. 10552: 73. 10593: 70-73, 76-77, 261, 262-270. 10594: 54. Oratortana Pil. XV n. IT: 295. 308 Parigi Pavia Ravenna Roma Torino Venezia INDICE DEI MANOSCRITTI Bibliothèque Nationale lat. 15450: 48-49. lat. 16116: 65-68. lat. 17839: 70-73, 261, 262-270. lat. 6443c: 54. Universitaria Ald. 59: 295. Ald. 167: 27. Ald. 441: 17. Classense Mob. 3.3. H2. 10: 28. Angelica 142 (B.5. 12): 25, 26, 276. Casanatense 90: 25. 1193: 25. Vaticana Ott. lat. 405: 69. Urb. lat. 852: 65, 73-74. Urb. lat. 1743: 31. Vat. lat. 3678: 22. Vat. lat. 4307: 22. Vat. lat. 5129: 22. Vat. lat. 5437: 70. Vat. lat. 6293: 27. Vat. lat. 6295: 54. Nazionale I. V. 47: 05. Marciana lat. cl. VI, 159: 19, 276. lat. cl. VI, 238: 26-27. lat. cl. VI, 274: 19, 20-23, 26, 27, 31-32, 33, 34, 276, 286. lat cl. VI, 292: 25. lat. cl. X, 8: 15. INDICE DEI NOMI Le cifre seguite da n rimandano alle note. Quelle in corsivo rin- viano alle pagine nelle quali gli autori sono più diffusamente trattati. In questo caso non si è fatto specifico riferimento alle note comprese nelle pagine indicate. Adanson M., 234. Agostino A., 1/4, 33, 145. Agrippa C., x, 2, 2n, 5, 6, 30n, 36, 41, 42-45, 58, 60, 82, 88-80, 98, 101, 120, 132, 133, 143, 145, 145n, 156, 160, 175n, 180, 239. Alberto Magno, xi, 5, 8, 12-14, 15-16, 19, 32, 37, 38n, 82, 95, 96 Alciati A., 37, 98n, 104. Alcuino, 14, !5n. Alembert J. B. d', 302, 303-304. Alsted ]. E., xi, xn, 53, 61, 62, 74:75, 79, 120, 124, 125, 132, 178, 179-184, 191, 233, 238n, 239, 247, 247n, 254. Alvarez E., 251. Anderson F., 153n. Andrade C., 201n. Andrei J. V., 184, 213, 213n. Apelt O., 10n. Aquilecchia G., 113n. Aristotele, 5, 8-9, 13, 14; 15, 16, 33, 56, 72, 75, 76, 124n, 128, 129n, 136, 137, 138, 180, 193n, 195. Arnaldo da Villanova, 35, 95. Aubry J. de, 130-131, 158-159, 160, 192. Austriacus ]., 127, 151, 15In. Averroè, 35, 35n, 95, 96. Avicenna, 35, 95. Avinyò J., 43n. Azavedo V. de, 127, 127n. 127n, 128n, Bacone F., x, xI, XII, XHI, XIV, 2, 5, 7, 8, 36n, 53, 58, 97n, 103, 134, 135, 140, 142-153, 160, 161-169, 175n, 176-178, 179, 184, 185, 191, 201-202, 203-206, 212, 215, 220, 220n, 233, 239, 242, 247n, 250, 251, 254, 302. Badaloni N., 109n, 125n. Baeumker C., 46, 47, 47n. Barbarigo A., 29. Barber W. H., xn1. Barlandus A., 89n. Barone F., xiv, 80n, 24In, 248, 248n, 256n, 258n. Bartholomess C., 109n. Bartolomeo da S. 16-17, 19, 271. Batllori M., xv, 43n. Bayle P., 183, 183n. Beale J., 230. Becher J., 241, 24In, 242. Beck L. J., xiv, 174, 174n, 175, 175n. Bedel W., 2/4. Beeckmann I., 143, 159. Belaval Y., 240. Belot J., 132-134, Bessarione,. 41. Bianchini F., 38-39. Billanovich G., 292. Bing G., xv. Birch T., 207n, 2/0n. Bisterfield G. E., x, 238, 239. Bocchi A, 104. Bodin J., 106-107. Bochme ]., 213, 213n. Boezio, 35. Boher A. c F. (fratelli), 54. Boncompagno, 15n. Bonifacio del Monferrato, 29, 286. Bonifacio VIII, 52. Concordio, 293-294. 197-200, 310 Boole G., xiv. Borelli G. A., 252, 252n. Borsetti F., 27n. Bouelles (Bovillus) Ch., 41, 43, 43n, 51, 53, 113, 120, IB8I. Boyle R., x, 207, 2/0, 212, 230, 230n. Brigge L.A.S., In. Brucker ]., 91. Bruno G., x, xi, x, 5n, 6, én, 8, 3In, 36, 41, 43n, 60, 74, 79, 80, 82, 87, 88, 90, 92, 93, 96, 97n, 100, 108, 109-123, 124, 125-126, 128, 132, 132n, 133, 141, 179, 180, 239, 291, 294, 296. Bruxius A., 127, 127n, 252, 253. Buffon G. L. Leclerc de, 23In, 233, 233n, 234n. Bugislao di Pomerania, 29. Bullotta Baracco H., 44n. Bunemann J. L., 1l4n. Buondelmonti C. de, 104. Camillo G. C. {(Delminio), xu, 82, 83, 96-r10r, 107, 112, 133, 184, 187, 229n, 295. Campagnac E. T., 212n. Campanella T., 126-127, 128, 186. Campanus, 135. Canterio A. P.J. (fratelli), 43, 43n, 181. Cantimori D., xv. Capland H., 19n. Cardano G., 130n. Carneade, 90. Carpenter F. I., 86n. Carrara G. A. da, 34-35, 95-96, 116, 116n. Carreras y Artau T. e ]J., 43n, 45n, 46n, 47n, 50n, 54n, 56n, 58n, 60n, 62n, 63n, 64n, 65, 69, 79n, 113n, 179n, 184n, 194n, 195n, 247n, 248n. Cartesio v. Descartes. Cassirer E., 36n. Cavalcanti B., 103, 103n. Cave Beck, 203, 214, 222, 241. INDICE DEI NOMI Caxton W., 85, 86. Cenal P. R., 194n. Chaichet A. E., 9n. Charland Th. M., 18n, 19n. Childrey J., 207. Christensen F., 20In. Church F.C., 94, 94n. Cicerone, xi, 2, 5, 7, ro, 12, 14, 15n, 17, 18, 28, 31, 3in, 32, 34, 41, 53, 58, 76, 82, 86, 89n, 90, 95, 124n, 125, 128, 137, 138, 206. Cinea, 90, 299. Ciro, 90, 145, 299. Clements R.I., 37n. Colli G., 194n. Collier A., xm. Comenio G.A., x, xI, XII, 5, 156-157, 178, 179, 184-191, 201n, 203, 251-216, 221-222, 247, 254. Copt E., 95n. Copland R., 30n, 86-87. Corsano A., 6n, II0, II0n, III, IlIn, 123n, 258n. Couturat L., xiv, 195n, 202n, 227n. 236n, 238n, 239, 239n, 241, 24In, 243n, 245, 246n, 248n, 257n, 304. Cox L., 86. Crasso, 90. Croce B., 97n. Croll M.W., 206n. Crombie A., xiv. Cues v. Cusano. Curtius E. R., 15n. Cusano N., 41, 49-50, 51, 82, 90-91, 109n, 121, 214. Daguì P., 43, 43n. Dalgarno G., xni, 203, 212, 255, 216, 218-219, 226-227, 229, 236, 241, 244, 245, 246, 249, 302, 303. Dal Pra M,, In. D’Assigny M., 4, 4n, 299, 300. Dassonville M., 136n. De Carpanis D., 32-34. INDICE DEI NOMI 311 De Corte M., 154n. De Gandillac M., 50n. Della Porta G.B., 82, 151, 15In. Delminio v. Camillo. Del Noce A., 159n. Democrito, 31, 3In, 32. De Morgan A., xiv. De Mott B., 20In, 21lIn, 213n, 228, 229n, 23In, 232n. Derham W., 23In, 232n. De Ruggiero G., 109, 109n. Descartes R., x, xII, xIv, 2, 8, 53, 97n, 130n, 134, 135, 142-146, 153-161, 169-178, 191, 209, 233, 235-236, 247n, 248, 250, 252. De Valeriis V. v. Valerio de V. Dibon P., 136n. Dicson A., 113n. Diderot D., 294, 299, 302. Diodati O., 294, 299. Diofanto, 196. Dolce L., 18, 18n, 87, 88n, 95n, 96, 103, 103n. Dominichi L., 44n. Direr A., 37n. Dutens L., 247n, 248n, 254n. 103-104, Edmundson H., 212, 229. Egidio da Viterbo, 286, 287. Eleonora d'Aragona, 29, 29n, 286. Emery C., 20In, 222n, 23In. Enrico III, 80, 126. Erasmo, 3, 3n, 4, 6, 98. Ernesti J. A., 10n. Erodoto, 35n. Fabri H., 252, 252n. Faral E., 84n. Farrington B., 167n. Feilchenfeld W., 238n. Ferdinando III, 196. Fernando de Cordoba, 43, 43n, 181, Ficino M., 5n, 36n, 82, 83. Fiorentino F., 103n. Firpo L., 5n, 126n. Fisch H., 208n. Fludd R., 41, 13s. Fontenelle B. de, 234, 304. Frey J.C., 193. Friedlander P., 195n. Fullwood W., 95n. Funcke O., 202n, 219n. Galatin P., 01. Galeno, 35, 56. Galilco G., xiv. Galmes S., 261. Garin E., xiv, 4n, 36n, 9%n, 97”, 101n, 110, 11On, 179n, 184n, 295. Garzoni T., 292. Gassendi P., 41, 141. Gellio A., 3In, 299. Gentile G., 113n. Gemma C., xII, 55-57. Gerhardt C.I., 237n, 239n, 24In, 242n, 243n, 244n, 245n, 247n, 248n, 254n, 256n. Gerson ]J., 49, 76. Gesualdo F.M., 88n, 127, 292. Gilson E., 46, 47, 47n, 170n, 174n. Ginanni P., 28n. Giorgio Veneto F., 101. Giovanni Rupescissa, 95. Giovanni di Salisbury, 14-15. Giovanni Scoto, 35, 60, 82, 121. Girardus, 26, 276. Giustiniani P., 101. Glovovia I. de, 79. Goclenius R., 180, 296, 298. Goffredo di Vinsauf, 84. Gohory J. (Leo Suavius), 83, 100. Gorini G., 18, 18n. Gottron A., 79n. Gouhier H., 154n, 175n. Gratarolo G., 34n, 94-96, 125, 130, 164. Gregoire P., x, 53, 57-59, 61, 76, 114, 160, 180, 184, 239. Grua G., 238n, 245n, 254n. Guardi v. Girardus. Guyenot E., 23In. 127n, 312 INDICE DEI NOMI Haak Th., 157n, 212. Halm C., 115n. Harriot Th., 209. Hartlib S., 210n, 2/5-2/2, 215n. Hawes S., 83-84, 85, 86. Henderson A.W., 201n. Heredia Paulus de, 101. Hildebrand W., 128-129. Hobbes Th., 209, 211, 239. Hoffmann G.G., 251. Hofmann ]J.E., 50n. Honecker M., 49n, 50n. Hook R., 237, 304. Horapollo, 104. Howell W.S., 15n, 84, 84n, 85n. Hubert R., 174n. Hume D., 1, In, 37, 258n. Husserl E., xiv. lagodinski I., 256, 256n, 257n. Ippocrate, 56. Isidoro, 15n. Ivo de Paris, 193-194, 247. Izquierdo S., 194-195, 196. Janer I. de, 43, 43n. Jasinowski B., 257n. Jones H.W., 208n. Jones R.F., 20In, 203, 204, 204n, 207n, 208n, 209n. Kabitz W., 238, 238n, 256n. Kant E., xt. Kemp Smith N., 174n. Keplero J., 175n. Kinner C., 229, 230. Kircher A., 195-196, 239, 241, 242. Klaeber F., 206n. Klein R., 5n. Klibanski R., 158n. Kliuùber L., 128n. Knittel C., 197. Komenski v. Comenio. Krabbel G., 102n. Kraus F., 50n. Kristeller P.O., 36n. Kvacala L., 157n, 184n. Landino C., 36. Lankester E., 232n. Laporte J., 159n. Laurad P., 10n. Lavinheta B. de, 41, 53, 54, 58, 74-78, 113, 132, 145, 160, 181, 183n, 193, 247. Leau L., 202n, 304. Le Cuirot A., 128n. Lefèvre d'Etaples, 41, 43, 43n, 5I, 53, 74, 120, 1BI. Lehnert M., 21In. Leibniz G.G., x, xi, XII XII, xiv, 7, 53, 61, 79, So, 142, 178, 179, 191, 193, 195, 195n, 227, 235-236,237-258, 302, 303, 304. Lemmi Ch., 36n. Leporcus G., /35-1 36. Linneo C., 231. Liruti G., 98n. Littré-Haurdau, 73n. Livio, 35n. Lodowick F., 202, 212, 222, 229, 302, 304. Longpré E., 43n, 69n. Lullo R., x, xni, 5, 6, 6n, 7, 4l, 42, 42n, 43n, 44n, 45-48, 49, 50, 51-53, 54, 58, 60, 60n, 61-74, 75, 76, 78, 82, 101, 101n, 102, 112, 113, 115, 118, 119, 121, 125, 126, 128, 129, 129n, 13In, 132, 132n, 141, 143, 144, 145, 152, 153n, 156, 175n, 178, 179, 180, 180n, 181, 182, 192, 195, 213, 239, 255, 261-270. 43n, 65n, 69n, Machiavelli N., 83, 83n. Magliabechi A., 299. Mahnke D., 238n. Mandarini E., 295. Marafioto G., 108n, 127, 128n, 132n. Marciano Capella, 15n. Marciano di Eraclca, 251. Margirus J., 127n. Marx F., 1In. Marx ]J., 50n. 127n, INDICE DEI NOMI 313 Matteolo da Perugia, 35. Mazzoni ]., 108n. McColley G., 20In. McRae K.D., 107n. ‘McRae R., 247n. Melantone F., 89-90, 140, 140n, 164, 168, 180. Mentzinger, 88. Mersenne M., 157n, 235, 236. Mesnard P., 154n. Meyssonnier L., 130, 192. Michele di Nofri, 25n. Mink S., 62, 299, 300. Mocenigo G., 80, 126. Montaigne M. de, 3-4, 6, 5I. More H., 41, 236n. Morestell P., 129-130, 160, 192. Morhof (Morhofius) G., 104, 105n, 197, 197n, 296. Mosé, 99. Mounier Ph., 36n. Murner Th., 78-79. Myésier T., lc, 48-49. Niceron P., 179n, 20In. Nicolini F., 39n. Nizolio M., 238n. Nostiz G. de, 1/4, 141. Nuyens J., 9n. Oblet V., 179n. Ogden C.K. e Richards 1L.A., x1v, 201n. Oldenburg H., 237, 243. Oliver F.W., 23In. Olschki L., 109, 109n. Orazio, 16. Ortwin, 30n. Ottaviano C., 43n. Oughtred W., 209, 210. Ovidio, 284, 38. Pace G., 194. Paepp J., 124-125, 128n, 296, 297- 298. Panigarola F., 108n. Panofski E., 37-38n, 105n. Paracelso, 83, 121. Patrizzi F., 97, 98, 184. Pelayo M.M., 10In. Perkins, 113n. Petrarca F., 2, 88, 292-294. Petty W., 2/0, 2/4-2/5. Peuchert W.E., 184n. Piccolomini C., 180. Pico G., 36, 82, 83, I0I, 145, 159, I8I, 214, 299. Pietro d'Ailly, 76. Pio V, 80, 126. Pitagora, 54. Platone, 9n, 14, 56, 117, 129n. Platzeck P.E.W., 47n, 49, 07, 67n. Plinio, 299. Poisson P., 158-159. Poliziano A., 36. Postel G., 214. Prantl C., 47n, 48, 79n. Praz M., 37n, 105n, 296. Preti G., x1v,257-2581. Prost G.A., 44n. Publicio I., 38, 93, 294. 10In, Quattrocchi L., xv. Quintiliano, xi, 2, 5, 10-11, 14, 31, 41, 53, 76, 82, 88, 90, 125, 128, 136, 137-138. Rabelais F. 203. Ragone I., 19-22, 276. Ramo (de la Ramée, Ramus) P., xI, x, 2, 96, 98n, 107, 135-142, 164, 168, 177, 179, 180, 183, 233, 254. Ratke W., 4, 4n, 6, 184. Ravelli (Ravelinus) F., 127, 127n, 128n. Raven C.E., 23In. Ravenna P. da, xmn, 2, 6, 18, 27- 30, 34n, 41, 82, 86-87, 88, 90, 91, 92, Ill, 112, 113, 125, 127n, 128, 135, 136, 145, 155, 164, 286-289, 294, 296. Ray J., x, 230-232. Regius R., 12n. 314 Renaudet A., 113n. Renzoni M., 23In. . Reuchlin J., 101. Ricci B., 98. Ricci P., 101. Riccio A., 29/. Riff, 88. Ripa C., 37-38, 104. Rivaud A., 257, 257n. Roberto di Basevorn, 18n. Rodolfo II, 80. Rogent E., 43n. Romberch J., 27, 30, 87, 87n, 95n, 125, 164, 291, 292, 294. Ross G.R.T., 9n. Rosselli C., x11, 82, 97n, 105-106, 107, 112, 113n, 125, 151, 15In, 164, 187, 290, 291, 294. Rossi P., 39, 125n, 136n, I81. Rufo R., 53-54. Ruscelli G., 100, 104. Russell B., xiv, 257n. 169n, Salomone, 99. Salzinger I., 46n, 73n. Scaligero (Scalichius) P., 102-103, 180. Schenkel (Schenkclius) L., xt, 88, 124, 125, 127, 127n, 128n., 143, 145, 154-155, 175n, 292, 293. Schiebler K.W., 213n. Scholem G.G., 10In. Schott C., 239, 241. Scioppius C., 251. Scoto v. Giovanni. Scott F., 21In. Scbond v. Sibiuda. Secret F., xv, 97n, 101, 102, 102n. Seneca L.A., 2, 14, 88, 90, 185, 299. Seznec J., 36n. Schute C.W., 9n. Sibiuda (Sabunde, Scbond) R., $0- 51, 214. Sibutus G., 87. Singer D.W., 109, 109n, 114n. INDICE DEI NOMI Simon N., 87. Simonide, 2, 10, 15n, 3In, 90, 115, 127n, 145, 301. Sirven, 174n. Sommer M., 127n. Sortais G., 21In. Spangerbergius ]., 88, 90-94, 113, 128n. Spinka M., 2IIn. Spinoza B., 252. Spoerri M. Th., 154n. Sprat Th., 207, 208-209, 215. Stimson D.L., 201n, 2IIn. Stubbc H., 208. Sturmius J., 98n. Suarez F., 180, 258n. Suavius L. v. Gohory. Syfret R.H., 20In. Talon (Talaeus) O., 141. Tartagni A., 28. Techmer F., 201In. Temistocle, 90, 145. Thomson G., 208. Thorndike L., 16n, 83n, 94, 94n, 95, 95n, 102n, 105n, 132n, 193n, 195n, 197n, 296. Tiraboschi G., 27n, 34n, 35n, 94n, 97n, 108n, 271. Tiziano, 37. Tocco F., 6n, 15n, 3In, 35n, 50n, 109, 109n, 116, 116n, 118, 118n, 120, 120n, 121, 271. Tolomco, 130n. Tomai P. v. Ravenna. Tommai P. v. Ravenna. Tommaso d'Aquino, xt, 5, 8, r2- 14, 15-16, 19, 32, 33, 37, 38n, 41, 82, 95, 124n, 128. Toscanella O., 103, 103n. Trapezunzio G., 103, 103n. Traversagni G., 86. Trendelenburg F.A., 256n. Trismegisto, 99. Troilo E., 109n. Turnbull G.H., 215n. Tuve R., 136n. INDICE DEI NOMI 315 Ugo da S. Vittore, 35. Urquhart Th., 202-203. Vailati G., 202n. Valeriano P., 104. Valerio Massimo, 28. Valerio de Valeriis, 43n, 53, 59- 6r, 76, 114, 160, 180, 164, 187. Valla L., 12n, 36. Vallicrosa J.M., 102n. Vansteenberghen E. de, 50n. Vasoli C., xv, zz0, Il, lllIn, 114n, I1l6n, 119n, 120n, 122n. Vassy L.R. de, 192-193. Venturi F., 299. Vico G., 39, 103. Viéte F., 210. Vincenzo di Beauvais, 15. Virgilio, 38. Volkmann L., 105n. Waetzold W., 37n. Waleys Th., 19. Walker D.P., 83n, 97n. Wallis J., 250-257. Ward S., 209, 210. Watson Th., 113n. Webster J., 207, 212. Wilkins J., xt, xi, xiv, 205, 203, 212, 216-226, 227-231, 232, 236, 237, 242, 245, 246, 249, 254, 302, 303, 304. Willis J., 127, 127n. Willoughby F., 230, 231. Wilson Th., 87, 113. Winans S.A., 19n. Winkelmann v. Mink. Yates F.A., 12, 12n, 15, I5n, 37n, 47n, 48, 48n, 49n, 68, 68n, 87- 88n, I10, 110n, 113, 113n, 290- 291, 292, 293. Yvon, 299. Zabarella C., 180. Zambelli P., xv. Zosima, 98. Finito di stampare in Como il 20 aprile 1960 nello stabilimento Arti Grafiche S. A.