Saturday, July 2, 2011

Questione della lingua italiana

Luigi Speranza

Questione della lingua

Con questione della lingua si indica una disputa di carattere sociale in ambito letterario, che ebbe la sua fase più acuta agli inizi del 500, e che si protrasse con alterne vicende almeno fino ad Alessandro Manzoni.

Verteva sul problema di quale lingua utilizzare nella penisola italiana.

L'origine del dibattito può ricercarsi nel

"De Vulgari Eloquentia" di Dante Aligheri (1302), dove si riprendeva l'allora comunemente accettata teoria della monogenesi di tutte le lingue del mondo (che sarebbero derivate dall'idioma di Adamo: l'ebraico, la lingua delle Sacre Scritture) e si identificava la lingua volgare con lo sviluppo delle varietà plebee locali già parlate nell'antichità a seguito dell'episodio della Torre di Babele in cui Dio avrebbe punito gli uomini facendo sì che le lingue da essi parlate si differenziassero tra loro.

Il latino, lingua d'uso internazionale, allora generalmente adoperata nelle scritture e nei discorsi ufficiali, era definito da Aligheri come "gramatica" per antonomasia, cioè lingua convenzionale creata artificialmente perfetta.

Tuttavia il italiano volgare d'Italia, suddiviso al suo interno in tredici principali ripartizioni dialettali, aveva meritato, grazie alla Scuola poetica siciliana, di elevarsi all'uso scritto.

Restava però aperto il problema sulla conformazione di quel volgare illustre che secondo Alighieri avrebbe dovuto avvalersi del concorso di tutti i dialetti d'Italia.

È interessante osservare che Alighieri nella propria opera letteraria non tentò di "inventare" un volgare pan-italiano, bensì utilizzò il nativo toscano fiorentino, pur criticando a livello teorico il toscano:

"... si tuscanas examinemus loquelas ... non restat in dubio quin aliud sit vulgare quod querimus quam quod actingit populus Tuscanorum"

cioè se esaminiamo le parlate toscane ... non c'è dubbio che altro sia il volgare che cerchiamo rispetto a ciò cui attinge il popolo toscano.

Si possono citare, fra i tratti non pan-italiani del fiorentino di quel tempo:

-- il condizionale di tipo "canterei" rispetto a "cantaria"

-- la prima persona del presente indicativo unificata con il congiuntivo:

parliamo
viviamo
finiamo (< "-eamus", etc..), rispetto all'analogico:

*parlamo,
*vivemo,
*finimo (< -amus, ecc.).

Tuttavia, nel corso del Quattrocento si perse memoria del "De Vulgari eloquentia" (1302), che sopravviveva in pochissimi esemplari.

Quando nel 1529 Giangiorgio Trissino lo ripropose in una sua traduzione alla pubblica opinione molti sostennero che Alighieri non avrebbe mai potuto scrivere tale opera, accusando Trissino di mistificazione.

Nel frattempo la questione si era riaperta e sviluppata per altre vie grazie all'affermarsi del volgare toscano.

In pieno Umanesimo, la questione della lingua si fece più accesa, anche in conseguenza dell'avvento della stampa la quale rendeva necessaria, ovviamente, di una norma coerente e omogenea a livello nazionale.

A quel tempo Venezia era la capitale europea dell'editoria, in contrasto con Firenze.

Fu proprio da queste due città che nacquero le due maggiori scuole di pensiero, Veneta e Toscana: la prima affermava il suo predominio a livello europeo nell'editoria e quindi nella comunicazione, la seconda rivendicava la cittadinanza dei grandi letterati trasformatori della lingua

--- la triada:

Dante Aligheri -- De vulgari eloquentia, 1302.
Petrarca
Boccaccio

Sempre al modello fiorentino, ma a quello contemporaneo, si ispirava la posizione espressa da Niccolò Machiavelli nel

"Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua."

Punto di svolta rappresentò la pubblicazione delle Prose della volgar lingua di
Pietro Bembo, il quale seppur veneziano di nascita, propose come lingua il toscano trecentesco, lingua letterale per eccellenza, punto di comunicazione tra gli autori del passato e i posteri.

Nel terzo libro del suo trattato egli redasse una vera e propria grammatica del toscano letterario, fondato essenzialmente sull'uso dei grandi autori trecenteschi.

Dante Aligheri, ma soprattutto Boccaccio e Petrarca, di cui Bembo possedeva tra l'altro l'autografo del "Canzoniere".

La questione si risolse di fatto con l'affermazione del modello bembiano, e quindi con la sanzione della lingua letteraria toscana.

Alighieri venne escluso dal canone degli autori che facevano testo in materia di lingua in quanto il lessico del poeta era più vasto e meno riapplicabile; egli, inoltre, utilizzava vocaboli ora di livello alto ora di livello basso (è noto che nella "Divina Commedia" compare, ad esempio, la parola "cul").

Sul tema della torre di Babele nel De Vulgari Eloquentia di Dante, si veda quest'intervista a Giorgio Stabile, compresa nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche.

Alagherius, Dantes (Dante Alighieri (Alagherius), De Vulgari Eloquentia, Liber XIII,

Rohlfs, Gerhard (1970)
Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, in 3 volumi: Fonetica. Morfologia. Sintassi e formazione delle Parole, Einaudi, Torino, 1966-69, Sezioni 593, 597: Dante stesso usava entrambe le forme, ma con preferenza per quella fiorentina: sarei.

Ivi, Sezione 530. Dante stesso usava talvolta la forma analogica: vivemo.

Pietro Bembo
Umanesimo
Lingua volgare
Koinè lombardo-veneta
De Vulgari Eloquentia
Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua

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