Monday, July 4, 2011

Ritmi

Luigi Speranza

Ritmi delle Origini della Letteratura italiana (Duecento).

Vincenzo De Bartholomaeis,

"Rime giullaresche e popolari d'Italia"
Arnaldo Forni editore, Sala Bolognese, settembre 1977, ristampa dell'edizione di Bologna, 1926, eseguita per gentile concessione della Casa Editrice Zanichelli di Bologna.

Indovinello veronese,

Si spingeva avanti i buoi, arava bianchi prati, teneva un bianco versorio, un nero seme seminava.

Ritmo risalente agli anni tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX secolo, contenuto nel codice LXXXIX della Biblioteca Capitolina di Verona.

Fu scoperto nel 1924 dal paleografo italiano

Luigi Schiapparelli.

L'indovinello, forse opera d'un chierico, che ricalca un tema diffusamente popolare, il lavoro di aratura e semina del contadino, allude all'azione dello scrivere.

I buoi sono le dita, il prato arato è la pagina, il versorio bianco è la penna d'oca, il seme nero è l'inchiostro.

È uno dei primi esempi di contaminazione volgare del latino che si stava trasformando inesorabilmente in una lingua diversa, più agile e vicina all'esigenza quotidiana della comunicazione popolare.

L'anonimo compositore non ha derivato il suo indovinello dalla tradizione orale, ma ha quasi certamente combinato spunti vari, suggeriti da testi diversi.

Dunque l'Indovinello deve essere interpretato come un'esercitazione letteraria e appunto per questo è prezioso, perché un maestro di scuola (custode pertanto di una tradizione che per l'espressione letteraria ammetteva solo il latino) si è abbandonato al piacere di comporre utilizzando la lingua del volgo, una lingua ancora priva di una qualsiasi disciplina.

Questo componimento dialettale preannuncia emblematicamente la situazione linguistica italiana nei secoli successivi.

Una polverizzazione degli idiomi che è stata la fonte di quella stupefacente varietà dei dialetti che caratterizza la nostra lingua fra tutte le neolatine.

Aldo Budriesi, "Letteratura: forme e modelli", vol. 1:
"Dalle origini al Quattrocento",
S.E.I., Torino 1988.

Alba del X secolo

Contenuta nel codice Reg. 3462 della Biblioteca Vaticana in Roma, aggiunta in uno spazio bianco.

Secondo il De Bartholomeis (op. cit.) questa l'interpretazione.

Lasciando impregiudicata la questione della provenienza, visto che il testo non offre nessun elemento decisivo a favore della Provenza o della Ladinia, l'interpretazione mia si distacca dalle altre...

Dividendo at e ra', la prima parte del ritornello diviene chiarissima.

La lezione pas si impone per ciò che i vv. sono una successione di trisillabi.

Bigil non può essere che vigile o vigili; per cui l'a precedente dev'essere interiezione.

È questo un canto di sveglia, scritto da scolastici, ma di intonazione marziale. Le parole del ritornello son poste in bocca allo spiculator o al preco, e contengono l'invito a destarsi.

Cf. il famoso canto Modenese:

«O tu qui servas armis ista moenia, Noli dormire, moneo, sed vigila!».

Io intendo insomma:

«L'alba appare, si gonfia il mare a' raggi del sole, poiché (ora che) io (scolta) vi passo (nel cammino di ronda, forse), deh, svegli! ecco chiare le tenebre!».

Carta del Montamiata

Versi trovati in una carta del Montamiata risalenti al 1087; Siena Archivio di Stato, Pergamene della Badia di San Salvatore a Montamiata.

Atto di donazione fatta da un tal Micciarello e dalla moglie sua Gualdrada di tutti i loro beni alla Badia predetta. I versi si leggono dopo la completio dell'atto e sono della stessa mano del notaio e giudice del sacro Palazzo Ranieri.

Cantilena giullaresca o ritmo laurenziano

Risale agli anni 1150-1171 ed è contenuto in un codice della Biblioteca Mediceo-Laurenziana, santa Croce, XV, IV, Firenze.

Per questo è detto anche Ritmo laurenziano.

È la cantilena di un giullare toscano, con tratti linguistici vicini a quelli umbri, che con una certa sfrontatezza si rivolge ad un vescovo non ben identificato, non risparmiandogli, purché gli sia donato un cavallo, lodi e adulazioni (dicendogli di essere il confidente intimo del Papa, di essere destinato a diventare Papa a sua volta, di essere infine il più grande signore che sia mai esistito dai tempi pagani, disceso sulla terra direttamente dal paradiso terrestre

Ritmo bellunese

Ritmo bellunese del 1198 circa. Belluno, Museo Civico, Catalogo De Vescovi di B.

Nell'anno di Nostro Signore Gesù Cristo 1193, nono anno dell'indizione [l'indizione era un periodo di 15 anni; la prima indizione, decretata da Diocleziano, cominciò nel 313; il 1193 era il 15° anno della 52a indizione da Diocleziano, ndr], nono giorno del mese di aprile.

I valorosi soldati Bellunesi e Feltrini occuparono con grande forza la fortezza di Mirabello: per otto giorni lo incendiarono e distrussero tutti i suoi edifici. Ugualmente nello stesso mese conquistarono e distrussero i luoghi fortificati di Quero e portarono con sé 66 prigionieri tra soldati, fanti e arcieri e presero una preda ricca di 2000 libbre; altri li uccisero ed altri li ferirono gravemente. Ugualmente nello stesso anno conquistarono il castello di Lampredo; vi uccisero gli uomini e portarono con sé 26 prigionieri tra soldati, fanti e arcieri, e tutto il castello incendiarono e distrussero dalle fondamenta.] testo del ritmo [Inoltre occuparono con la forza la casa di Bance e la distrussero e di lì portarono con sé 18 ladroni. Successivamente, nell'anno 1196, nell'ottavo anno dell'indizione, nel sesto giorno prima della fine del mese di giugno, i suddetti soldati bellunesi e feltrini si recarono presso la piazzaforte di Giumelle: lo conquistarono con grade violenza in 17 giorni e lo incendiarono e distrussero con tutti isuoi edifici e tornarono a casa con grande letizia. E quasi tutto questo fu fatto sotto il nobilissimo e valoroso signor gerardo vescovo bellunese, la cui anima sia posta in Paradiso. Amen.]

Ritmo marchigiano su Sant'Alessio; Ascoli, Biblioteca Comunale, Codice XXVI, A, 51 (miscellanea), del principio del secolo XIII.

Ritmo lucchese del 1213; Bologna, Biblioteca del Collegio di Spagna, codice 45 contenente il De Natura hominis di Burgundione da Pisa.

In nomine Domini, Amen. In M.CC.XIII, existentibus consulibus Rustichello di Pogio et Albertino Sanfreducci et sociis maioribus, per Crucis triumfum fuit sconfictus Marchio Guilielmus Sardus cum flore peditum et militum Civitatis Pisane et districtus, et peditum et militum Pistoriensium, et comitis Guidonis Guerre, et totius comitatus Lunensis et maxime Massa del Marchese, et quasi omnes nobiles Val d’ere et di Val d’Arno et di Val d’Elsa et di Val d’Ebola et comitatus Volterre, a civitate Luca et Rosso et Mediolombardo da Castello Aghinolfi, cum Rosso tantum estantibus nobilibus Gotifredo et Ubaldo Eldissi, Pisanis civibus, et filius Aldibrandi Bembon, et alio eorum militibus et filium Berlinghieri de Travalda et nobili nostro confolanerio Uguicionello de Monte Calvori, castellano abatis Sestensis. Que sconficta fuit i[n] medio januario justa Massam del Marchese uno miliaro, albergariam faciente Luca al Fregioro. In qua sconficta captus fuit Rugerius comiti Guidonis filius cognatus Marchionis predicti, comes Gerardus di Pian di Porto. Lanfrancus Lazari de Pistorio, Mussus de Pistorio et Guittoncinus Sighiboldi, et alii VI de nobilioribus dicti Pistorii; et omnes Luce missi in captuna. Item V de nobilioribus dicte Masse. Rossas vero et Mezolombardus habuerunt Graccum de Sala et XII de nobilioribus dictae Masse in eorum captuna. Et ultra L fuerunt alii qui malo more fuerunt tramanganati. Inter quos filius Gerardini Ghiandonis, qui cum esset a Marchionis parte, per rolandum ceci fu abatuto et Orlando ebb’el cavallo. Similiter Guidarellus Barletti fu dal Marchese et [fu] abatuto: Ma si fu tramanganato Guido Franchi che batté ne la nostra Moneta et or no fu sopra.

[Nel nome del Signore, amen. Nel 1213, mentre erano consoli Rustichello di Pogio e Albertino Sanfreducci con gli alleati maggiori, per il trionfo della Croce fu sconfitto Marchione Guglielmo Sardo, col fior fiore dei soldati e dei cavalieri della città pisana e distrutto, e dei soldati e dei cavalieri pistoiesi, e i compagni di Guidone Guerre, e di tutto il comitato di Luni e soprattutto Massa del Marchese e quasi tutti i nobili della val D'ere e di Val d'Arno e di Val d'Elsa e di Val d'Ebola e il comitato di Volterra e la città di Lucca e di Mezzolombardo da Castello Aghinolfi, con Rosso presenti i nobili Gotifredo e Ubaldo Eldissi, cittadini Pisani, e il figlio di Aldobrando Bembon, ed altri loro soldati e il figlio di Berlinghieri di Travalda e il nostro nobile confaloniere Uguicionello de Monte Calvori, castellano dell'abate Sestense. Questa sconfitta avvenne alla metà del mese di gennaio un miglio lontano da Massa del Marchese, mentre Luca albergava al Fregioro. In quella sconfitta fu preso prigioniero Rugerio compagno del figlio di Guidone, cognato del predetto Marchione, il compagno Gerardo di Pian di Porto. Lanfranco Lazzaro di Pistoia, Musso da Pistoia e Guittoncino Sighiboldi ed altri 6 nobili della detta Pistoia; e tutti furono portati prigionieri a luce. Anche 5 tra i nobili della detta Massa. Ed altri 50 furono in malo modo feriti. Tra i quali il figlio di Gerardino Ghiandone, che, facendo parte della compagnia di Marchione, fu abbattuto ed Orlando si prese il suo cavallo. Allo stesso modo Guidarello di Barletto fu abbattuto dal Marchese. Ma fu ferito Guido Franchi che battè la nostra moneta ed ora non è più al suo posto.]

Ritmo Cassinese

Testimonio di una ricca tradizione culturale e letteraria monastica, questo ritmo, che risale alla fine del secolo XII, è contenuto nel manoscritto Codice 552, 32, della Biblioteca dell'abbazia di Montecassino, vera capitale linguistica, culturale ed economica del territorio posto fra Lazio, Campania e Abruzzo, "una roccaforte, come ha detto il Folena, della cultura occidentale all'incrocio fra molte correnti latine, greche e longobarde. Si pensava in origine che tutte le stanze dovessero avere lo stesso numero di versi, e quindi che il testo presentasse numerose lacune; ma la scoperta del Ritmo di sant'Alessio ha fatto conoscere una forma strofica giullaresca composta in una serie non fissa di ottonari (o novenari) monorimi, chiusa da una coppia di endecasillabi. Pertanto oggi si ritiene ragionevolmente che il Ritmo cassinese non contenga lacune e che il senso sia sia compiuto e scorrevole. Il Ritmo, è opera di un autore indubbiamente colto, e lo dimostra l'uso di un linguaggio nel quale possiamo mettere in evidenza la presenza di provenzalismi (langue d'oc) e di latinismi. L'autore, rinchiuso in un convento, nel quale svolge le sue pratiche ascetiche, si fa interprete della vita, esprimendo quello che sa secondo le Sacre Scritture, colle quali si può esprimere bene, e si chiede come potrebbe condurre un uomo una vita regolare, visto che questo mondo è godibile e renderebbe miscredente ognuno: l'unico rimedio è di tenere bene a mente ciò che è scritto nella Scritture. Ogni cosa è fatta nel nome di Dio, ogni cibo o bevanda non è di questa terra, ma deve essere del regno celeste. Dopo un breve prologo, che serviva, secondo le regole retoriche classiche, ad attirare l'attenzione del lettore (captatio benevolentiae), sono posti in scena due personaggi: uno che viene dall'Oriente e un altro che viene dall'Occidente si scambiano proprio questo sapere. Il ritmorappresenta l'incontro e il dialogo dei due personaggi, il Mistico, che viene dall'Oriente e espone il bene della vita monastica dedicata a Dio, al quale si chiede qualunque cosa serve e che si trova nelle Scare Scritture, e un Tale, che viene dall'Occidente e rappresenta le caratteristiche della vita secolare, di quelli che "vivono nel secolo", non vivono cioè in conventi o monasteri, ma lavorano e mettono al mondo i figli. Ricordiamo a questo proposito che nel Medioevo possiamo distinguere tre grandi classi sociali: i bellatores (nobili che combattevano per tutti), gli orantes (preti e monaci che pregavano per tutti), e infine i laborantes (il popolo che lavorava per tutti, anche per mantenere gli orantes e i bellatores.

Io, signori, se parlo
eccito il vostro ascolto,
di questa vita duco
e dell'altra ben spero.
Dopo che in alto mi sono rinchiuso
lascio ad altri la vita secolare.
Verso di me uso penitenze.
Arde la candela, ma io son libero,
ad altri mostra la via libera.
E se giaccio in una colpa,
per voi illumino la via.
Tuttavia mi eccito
e dico quello che so:
che trovo nella Scrittura.
Ho nuove parole in allegoria,
che colla materia non si trasfigura
e coll'allegoria si può ben esprimere.
Voglio spiegare l'allegoria,
ma prima la voglio mostrare.
Dunque, potrebbe qualche uomo fare
questa vita regolare?
Divertirsi e sollazzarsi
è morte, non è gustar la vita.
Che cosa è l'origine di questa vita?
Ma tanto questo mondo è godibile
che l'uno e l'altro rende miscredente.
Per questo ponetevi in mente
cosa è scritto nella Scrittura.
Si mosse di là, dall'Oriente
un grande uomo prudente,
ed un altro dall'Occidente.
Sono giunti verso l'alba;
si chiesero del presente.
Entrambi chiesero cose nuove
l'uno e l'altro si dicono cose nuove.
«Quello d'Oriente prima
alza l'occhio, lo guarda
e gli chiede tuttavia
come era, come va.
Fratello mio, da quel mondo vengo
lì risiedo e lì voglio ritornare.»
Quello, udita questa risposta,
così ben affettuosa,
dice: «fratello, resta, siedi,
non apparire dispettoso,
che molto sarebbe desiderabile
parlarti familiarmente.
Oggi non camminare più
perché ti voglio chiedre molte cose
e servirti, se mi comandi qualcosa.»
«Volentieri ascolto cose nuove
se tu ne parli dolcemente,
per cui di sapienza parli,
parla dell'altro bene.»
«Certamente ti credo, fratello,
che tutto è detto con verità:
che mi diciate una cosa
di questa nostra dignità:
poiché state in questo sollazzo,
quale vita voi menate?
quali cibi mangiate?
Avete bevande così amorose
come queste nostre saporose?»
«O parola insensata!
Quanto male hai creato!
Dove l'hai mangiata
questa vivanda scellerata?
Quando l'hai ingerita?
Noi abbiamouna bevanda pulita,
preparata bene dall'inizio
abbiamo piantato una vigna perfetta,
che in ogni stagione porta frutto.
E qualunque cosa ci serve (e ci diletta)
in quella vigna la troviamo;
e anche da bere ci saziamo.»
«Dunque, non mangiate?
Non credo che ne riceverete bene!
Uomo che non beve e non mangia
non so come si possa divertire
né quale vita possa fare.»
«Dunque, ti conviene ascoltarmi,
perché te lo voglio dimostrare.
Se tu sai giudicare,
tu stessi da solo lo loderai.
Credimi, non mi vietare
il meglio, se ti sembra.
Un uomo che fame mai non sente
e non ha sete
ha bisogno, perché tu lo sappia,
di mangiare e di bere? Niente!»
«Poi che in tanta gloria sedete,
e nessuna necessità avete;
ma ogni cosa a Dio chiedete,
tutto ciò che vale avete;
e in quella forma voi godete.
Angeli del cielo, siete.»

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