Saturday, July 2, 2011

Storia della lingua italiana

Luigi Speranza

L’ italiano deriva dal latino volgare.

Diversi livelli linguistici esistono nel latino, in cui si mescolano una componente sociolinguistica (sincronica) e una componente diacronica.

Il latino volgare conteneva molte parole presenti nel latino scritto, altre parola furono innovazioni del latino parlato, non attestate nello scritto.

L’

"Appendix Probi"

è una lista di 227 parole non corrispondenti alla buona norma (V sec. d. C.), secondo il modello “A non B”.

L’errore è una deviazione rispetto alla norma.

Quando si generalizza diventa norma.

Nei fenomeni di sostrato il latino si impose su lingue preesistenti.

Nel superstrato le lingue si sovrapposero al latino.

Nell’ adstrato interagirono lingue confinanti.

Le vocali si possono distinguere in lunghe e brevi.

Quelle accentate sono toniche, altrimenti si dicono atone.

Le consonanti vengono pronunciate con un restringimento (fricative) o un occlusione (occlusive) del flusso d’ aria.

La combinazione delle prime e delle seconde produce le affricate.

Si distinguono in sorde o sonore a seconda della vibrazione delle corde vocali.

Occlusive:

p
b
t
d
k
g

Nasali

m
n
gn

Laterali

l
gl

Vibrante

r

Fricative

s
z
f
v
sc
dg

Affricate:

ts
dz
dc
dg

Ipa (alfabeto fonetico internazionale).

Il latino ha 10 vocali, l’ italiano 7.

Lo sviluppo vocalico delle parole italiane è interessato dal dittongamento di e (br) in ie / o (br) in ou; e dal

monottongamento di ae in e (br) oe in e (lung).

Il dittongo au in o.

La metafonesi ha trasformato e>i ; o>u, davanti alla i finale.

Le consonanti doppie latine si conservano in toscana e meridione.

I gruppi consonantici ct e pt hanno prodotto un raddoppiamento.

Nel passaggio si è avuta una perdita delle consonanti finali, un collasso del sistema delle declinazioni.

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Le parole italiane derivano dall’ accusativo latino.
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Gli articoli determinativi provengono dai dimostrativi

"illum", "illam".

L’ articolo indeterminativo deriva dal numerale latino "unum".

Il latino aveva 3 generi:

a. maschile,
b. femminile e
c. neutro.

Nell’ italiano, quest’ ultimo è stato soppresso.

Nel latino classico, il verbo era alla fine della frase; nel latino volgare e poi nell’ italiano l’ ordine era S.V.O.

Il latino è ipotattico (subordinate), l’ italiano è paratattico (coordinate).

L’ atto di nascita della lingua italiana è il placito capuano.

Altri documenti sono:

l’ indovinello veronese;
l’ iscrizione nella catacomba romana di commodilla
l’ iscrizione della basilica romana di san clemente.

La letteratura italiana si sviluppa nel ‘200, con la scuola siciliana, alla corte di federico II di Svevia.

Prima della scuola siciliana, due furono le letterature romanze: il francese in lingua d’ oil, e il provenzale in lingua d’oc.

I poeti siciliani imitarono le tematiche amorose della poesia provenzale, adottando il dialetto siciliano.

I copisti toscani intervennero, eliminando i tratti siciliani, dando luogo a rime imperfette.

Morto federico II (1250), l’ eredità siciliana passò in toscana e a bologna, con i poeti siculo-toscani e stilnovisti.

Dante, nel convivio reputa il latino superiore, perché utilizzato dall’ arte.

Nel "de vulgari eloquentia" riconosce la superiorità del volgare, in quanto lingua naturale.

Il primo testo narrativo volgare del ‘200 è il novellino, di vistosa semplicità sintattica.

Le scritture mercantili sono importanti per la documentazione dell’ antico fiorentino.

La commedia è ricca tematicamente e letterariamente, promuove il volgare.

Il "Canzoniere" di Petrarca; la
"commedia", di Dante, e il
"Decameron", di Boccaccio, formano la triade delle 3 corone.

La "Commedia" ha un registro plurilinguistico, che accoglie elementi di derivazione diversa.

Si esprime dal livello basso (Inferno) al sublime teologico (empireo).

Il linguaggio poetico di Petrarca è altamente selettivo.

Lo stesso titolo non è in volgare.

Comprende chiasmi, antitesi, enjambements, anafore, allitterazioni, binomi di aggettivi, tipici del linguaggio poetico italiano.

Manca l’ apostrofo, è presente l’ h etimologica.

Nel "Decameron" ricorrono situazioni narrative molto variegate.

La grafia di Boccaccio presenta latinismi come la x, il
nesso ct, le h etimologiche; si trovano virgola, punto e virgola, due punti, punto.

L’ atteggiamento comune dei primi umanisti era il disprezzo verso il volgare, preferito al latino.

Latino e volgare entrarono in simbiosi con esperimenti di mistilinguismo, contaminazione colta (macaronico, polifilesco).

Leon Battista Alberti è uno degli autori che manifestano piena fiducia nell’ italiano.

Con l’ umanesimo volgare, iniziò la promozione della nuova lingua.

Scrive una prima grammatica grammatichetta vaticana, come una sfida a dimostrazione
che anche il volgare ha una sua struttura grammaticale ordinata.

La stesura è basata sull’ uso vivo della lingua.

A Firenze, Lorenzo il magnifico rilancia politicamente in favore del toscano.

Il volgare è un esercizio colto in ambiente d’ elite.

Nel ‘400 si ha la raccolta di laude, nelle comunità del settentrione.

Le sacre rappresentazioni mettono gli incolti dialettofoni in contatto con la lingua nobile toscanizzata.

La predicazione cristiana si rivolgeva al popolo in volgare.

Il modello di Boccaccio non poteva adattarsi a tutte le occasioni di scrittura, per cui si sviluppò una coinè (lingua comune superdialettale).

Nel ‘500 il volgare raggiunse piena maturità.

La letteratura dava spazio a:

Ariosto,
Tasso,
Aretino,
Machiavelli,
Gucciardini.

Gli intellettuali avevano fiducia nella nuova lingua.

Il latino, tuttavia, mantenne posizione nella pubblica amministrazione, nella giustizia, nella matematica, nella medicina e nella filosofia.

Il volgare acquistò credito nei testi di arti applicate, nella storiografia e nella letteratura.

Nel 1501, uscì un tetrarca volgare curato da bembo, il quale aprì la questione della lingua con la pubblicazione delle prosa della volgar lingua, in cui vi è un’ analisi storico-linguistica del volgare, come contaminazione del latino ad opera delle invasioni barbariche.

Per Bembo, la lingua non si acquisisce dal popolo toscano, ma dalla frequentazione di modelli scritti.

Egli non accettava totalmente il modello offerto dalla commedia dantesca, ma quello del canzoniere petrarchesco, per la forte selettività.

Nel 1529, trissino ristampò il de vulgari eloquentia in cui, a suo avviso, Dante Alighieri negava la fiorentinità della lingua letteraria.

Da qui si sviluppò un’ accesa polemica sull’ opera e circa la sua originalità.

Il de vulgati eloquentia divenne il simbolo di tutti coloro i quali avversavano le teorie linguistiche fiorentiniste.

Nel ‘500 si ebbero le prime grammatiche e i primi vocabolari.

La più famosa accademia italiana era l’ accademia della crusca (1582), conosciuta per la polemica contro la "Gerusalemme liberata" di Tasso, a favore del primato d' Ariosto.

Nel ‘500 si sviluppò la trattatistica d’ arte, grazie alle vite di Vasari (1550/1568).

"Il principe" è uno splendido esempio di prosa, in un fiorentino ricco di latinismi.

Galileo Galilei, rinunciando al latino limitò consapevolmente la circolazione internazionale delle sue opere.

Spagnolo e portoghese avevano allora il ruolo dell’ odierno inglese.

Nella prima metà del ‘500 la commedia era il genere ideale per la realizzazione di un vivace mistilinguismo:

veneziano
toscano
spagnolo
milanese
napoletano.

La chiesa è protagonista della storia linguistica italiana, dal concilio di Trento alla fine del ‘600.

La lingua ufficiale restò il latino, ma il problema verteva sulla catechesi e sulla predicazione.

La Crusca fu un’ associazione privata, in un’ italia divisa in stati diversi.

Il suo più importante contributo venne dal vocabolario (1612), che assunse un prestigio sovraregionale e internazionale.

Il primo avversario della Crusca fu Paolo Beni, autore di un’

"Anticrusca".

Egli considerava la lungua italiana come patrimonio comune.

Il linguaggio scientifico risentì di molte trasformazioni per merito di Galileo, acui non mancò mai la fierezza della propria lingua toscana, senza per questo scadere nel livello popolare, con grande rigore logico- dimostrativo, ed
eccezionale chiarezza linguistico terminologica.

Tra ‘500 e ‘600, l'opera (il melodramma) permise di affrontare la questione del rapporto tra parola e musica.

L'opera (il melodramma) si caratterizza come spettacolo d’ elitè, complesso e dispendioso.

Con marino e il marinismo, le innovazioni si fanno ancora più accentuate.

Il catalogo degli oggetti poetici si allarga, i poeti barocchi arrivarono a utilizzare il nuovo lessico scientifico.

La miscela tra il vecchio e il nuovo sarà la caratteristica della poesia didascalica del ‘700.

Alla fine del ‘ 600 il gesuita dominique bouhours svolse la tesi secondo la quale tra gli europei, solo i francesi possedevano l’ effettiva capacità di parlare, mentre gli italiani sospiravano, a causa di una eccessiva
sdolcinatezza poetica.

La risposta italiana a questa testi tardò a venire.

Le polemiche contro bouhours segnano il passaggio al nuovo secolo, in cui l’ egemonia del francese divenne una realtà incontrastata.

All’ inizio del 700, lo spagnolo era in fase calante, in contrapposizione alla crescita del prestigio francese.

L’ italiano aveva una posizione importante a Vienna, ed era abbastanza conosciuto a Parigi.

La penetrazione del francese in italia, era una questione dominata principalmente dalla moda.

L’ ordine naturale degli elementi della frase, S.V.O., in italiano era libero, e questo era ritenuto un difetto strutturale.

Nella rinunzia avanti notaio al vocabolario della crusca, alessandro verri esprime la propria insofferenza verso l’autoritarismo fiorentino.

Melchiorre Cesarotti, nel

"Saggio sulla filosofia delle lingue"

enuncia 8 teorie fondamentali:

********************************************

1.

Tutte le lingue nascono e derivano.

2.

Nessuna lingua è pura.

3.

Tutte le lingue nascono da una combinazione casuale.

4.

Nessuna lingua nasce da un progetto di autorità.

5.

Nessuna lingua è perfetta.

6.

Nessuna lingua è tanto ricca da non avere bisogno di nuove ricchezze.

7.

Nessuna lingua è inalterabile.

8.

Nessuna lingua è parlata in modo uniforme nella nazione.

********************

La lingua scritta non dipende dal popolo, ma neanche ciecamente dagli scrittori.

Egli non chiede libertà da tutte le regole, ammettendo con estrema cautela le parola straniere.

Distingue il genio grammaticale (inalterabile), dal genio retorico/ lessicale (alterabile).

Cesarotti auspicava la creazione di un vocabolario in 2 forme: una ampia e una ridotta.

Anche il popolano doveva saper scrivere e parlare l’italiano; a questo proposito, Scipione Maffei suggerisce l’introduzione di un insegnamento di lettere toscane, divenuto obbligatorio in Piemonte (1733/1734).

Alla fine del ‘700, grazie alla politica scolastica di Maria Teresa d’Austria, furono avviate le riforme nella scuola del lombardo veneto, nacque la scuola comunale.

La lingua italiana, tuttavia, si prestava poco alla conversazione, tranne che per i toscani.

***********************************
Il successo dell’ opera italiana nel ‘700 è molto grande, anche all’ estero, in contrapposizione al francese, lingua della chiarezza e della razionalità.

******************

Mozart conosceva l’ italiano, e lo mescolava al tedesco, al francese e la latino, utilizzò i libretti di Da Ponte ("Don Giovanni" -- "Dalla sua pace", "il mio tesoro" -- "Le nozze di figaro" -- Così fan tutte -- "Un'aura amorosa").

Goldoni scrisse opere in veneziano, in italiano e in francese a parigi.

Nel 1690 a roma venne fondata l’ arcadia, grande palestra poetica, ispirata al modello di petrarca: largo uso di enclisi, iperbati, troncamento (per distinguere la poesia dalla prosa).

Alfieri inaugurò il soggiorno a firenze come pratica di lingua viva, imitato poi nel secolo successivo.

All’ inizio dell’ 800 si sviluppò il purismo, capofila ne fu antonio cesari.

Vincenzo verri ebbe l’ autorevolezza per porre un freno alle esagerazioni del movimento, arrivando anche a colpire il vocabolario della crusca.

L’ italiano si imparava dai libri e lo si applicava solo in letteratura, preferendo per la comunicazione informale il dialetto.

Manzoni affrontò la questione della lingua a partire dalle sue personali esigenze di romanziere.

Il fermo e lucia (1821) fu una prima fase (eclettica) de "I promessi sposi", che cercava di raggiungere uno stile moderno, mediante vari elementi, accettando francesismi e milanesismi.

Nella seconda introduzione al fermo e lucia (1823)
ammetteva il fallimento: la seconda fase( toscano-milanese) corrisponde alla stesura di "I promessi sposi" del 1827, con
una lingua generalmente toscana, ottenuta per via libresca.

Nel 1827, manzoni fu a Firenze e nel 1840 pubblicò una
edizione corretta di "I promessi sposi", scorrevole, piana, purificata dia latinismi, dialettismi ed espressioni letterarie
arcaiche.

Nel 1868 nella relazione al ministro broglio proponeva che si realizzasse un nuovo vocabolario, su basi nuove.

La questione della lingua si legava alla questione sociale dell‘ organizzazione della scuola nel nuovo regno d’ italia.

L’ esempio di manzoni favorì la prassi della risciacquatura in arno, come il testo l’ idioma gentile di de amicis dimostra, nonostante l’ inutile ostilità di Benedetto Croce.

Unico freno alla diffusione del progetto manzoniano fu carducci, avversario del popolanesimo toscaneggiante, pronto sferzarlo con la sua satira.

L’ 800 è stato il secolo dei dizionari.

Al momento dell’ unità politica italiana (1861), mancava una lingua comune alla conversazione, solo una minoranza era in grado di parlare italiano, tutti gli altri erano confinati nell’ uso del dialetto.

Nel 1859 per la prima volta la scuola elementare divenne ovunque obbligatoria e gratuita.

La scuola incise profondamente anche se esistevano gravi condizioni di disagio.

Secondo tullio de mauro, le cause che hanno portato all’ unificazione linguistica dopo la formazione della stato unitario italiano sono:

1. Azione unificante della burocrazia e dell’ esercito

2. Azione della stampa periodica e quotidiana

3. Effetti demografici come l’ emigrazione

4. Aggregazione attorno a poli urbani.

Nell’ 800 il linguaggio giornalistico acquistò un’ importanza superiore, come fenomeno di massa.

La prosa dell’ 800 si fonda sulla moderna letteratura narrativa di manzoni e verga.
Manzoni rinnova il linguaggio della saggistica e del romanzo, avvicinando lo scritto al parlato.

La prassi di correzione dei promessi sposi segue determinate tappe:

Espunzione delle forme lombardo-milanesi (eliminazione del termine marrone come sproposito)

Eliminazione di forme eleganti e auliche, sostituite da forme comuni e casuali

Assunzione di forme tipicamente fiorentine (monottongamenti di uo>o; lui/lei come soggetto)

Eliminazione di doppioni di forme e di voci.

Collodi, similmente al manzoni, ebbe una grande influenza sul pubblico giovanile, con il celeberrimo "Le Avventure di Pinocchio", collaborando a diffondere la lingua toscana in tutta l’ italia.

Nei malavoglia, verga non abusa del dialetto, non lo usa come macchia locale; adotta parole siciliane comprensibili in
tutta l’ italia, ricalcando l’ uso del che>ca polivalente, la ridondanza pronominale, il ci attualizzante, gli per loro,
raddoppiamenti e ripetizioni.
Sintatticamente, utilizza il discorso indiretto libero.

Il linguaggio poetico dell’ 800è fedele alla tradizione aulica e illustre. Per nobilitare parole che non appartenevano alla
poesia si ricorreva alla sincope o al troncamento.

Il linguaggio della poesia non permetteva l’ introduzione di parole quotidiane, che venivano indicate con perifrasi.

La lingua italiana del novecento ribolle di novità.

Carducci è l’ ultimo scrittore vate.

La poesia di D’Annunzio è nobilitata attraverso la selezione lessicale, in cui dissemina arcaismi, tecnicismi, preziosismi.

La prima rottura con il linguaggio poetico si ha in pascoli, nei crepuscolari e nell’ avanguardia

In Pascoli cade la distinzione tra parole poetiche e non poetiche, fino a includere dialettismi e l’ idioma italo-americano.

La poesia crepuscolare accentuò la tendenza prosastica.

L’ avanguardia in Italia fu il futurismo, con un provocatorio rinnovamento della forma, parole miste a immagini,
caratteri tipografici di dimensioni diverse, abolizione della punteggiatura, uso dell’ onomatopea.

Il riflesso del parlato si ha nella prosa pirandelliana, con interiezioni frequentissime; pirandello non rinuncia a dare alle
sue opere una lieve patina di colore locale.

Svevo è famoso per il non facile rapporto con l’ italiano.

Tozzi introduce senismi nei suoi romanzi; un uso particolare del dialetto si ha nel mistilinguismo gaddiano.

L’ oratoria del primo ‘900 richiama i discorsi mussoliniani alla folla, sui quali influì il modello dannunziano:

abbondanza di metafore religiose, militari, equestri, tecnicismi di sapore romano, ossessione per i numeri.

Il fascismo ebbe una politica linguistica aggressiva, repressiva e xenofoba.

Pisolini nelle nuove questioni linguistiche partendo da premesse marxiste e gramsciane, sosteneva che era nato un
nuovo italiano, l’ italiano come lingua nazionale, che la borghesia egemone aveva imposto.
L
a scolarizzazione aveva prodotto profondi cambiamenti nell’ italia della seconda metà del secolo: è diminuito lo
spazio del dialetto, che si è avvicinato alla lingua comune.

Nel 1924 nacque la radio.

Nel 1954 nacque la televisione -- due importanti mass media che diffusero tecnicismi, esotismi,
neologismi.

La varietà romana è stata diffusa soprattutto grazie all’ emittente di stato (RAI) e al cinema (Cinecittà), mentre la varietà
settentrionale, milanese, è stata diffusa grazie alle emittenti private mediaste.

L’ italiano dell’ uso medio, categoria definita da Francesco Sabatini,(1985) racchiude i fenomeni grammaticali ricorrenti
nell’ italiano d’oggi, diverso dall’ italiano standard, perché accoglierebbe fenomeni del parlato, frenati dalla norma
grammaticale:

1. "lui"/"lei"/"loro" come soggetto

2. "gli" con valore di le/loro

3. diffusione delle forme di ‘sto/ ‘sta

4. tipo ridondante a me mi

5. costrutti preposizionali con il partitivo, alla maniera francese (con degli amici)

6. dislocazione a dx o a sx, con ripresa del pronome atono

7. anacoluti

8. "che" polivalente

9. "cosa" interrogativo al posto di "che cosa"

10. imperfetto al posto del congiuntivo e condizionale nel periodo ipotetico dell’ irrealtà nel 1962 venne introdotta la scuola media unica, uguale per tutti, con obbligo scolastico fino ai 14 anni.

La cultura cattolica è intervenuta con don milani, che denunciò l’ indigenza linguistica dei ragazzi delle classi povere.

L’ italiano è parlato oggi in tutto il territorio nazionale.

Lo si parla e comprende a Nizza, nel principato di Monaco, a
Malta, in Albania, e nell'Argentina.

Entro i confini della repubblica sono presenti alcuni gruppi di alloglotti, di origine romanza e non romanza:

provenzale
(valli alpine piemontesi);
ladino (valli alpine dolomitiche);
tedesco (valle dell’ adige).

Le colonie sono: greche (Calabria, salento); albanesi (calabria, Sicilia).

La nuova ondata di immigrazione ha creato un nuovo sotto proletariato urbano con scarse possibilità di integrazione.

La classificazione delle aree dialettali è così disposta:

settentrionale
centrale
meridionale.

Esse sono scandite da due linee di demarcazione:

la linea La Spezia--Rimini
la linea Roma--Ancona.
A nord della linea La Spezia-Rimini si ha:
-- indebolimento delle occlusive sorde in posizione intervocalica
-- scempiamente delle consonanti geminate
-- caduta delle vcali finali
-- contrazione delle sillabe atone.

A sud della linea Roma--Ancona si ha:
-- sonorizzazione delle consonanti sorde in posizione postnasale
-- metafonesi delle vocali toniche e/o per influsso di i/u finali
-- uso di "tenere" per avere
-- uso del possessivo in posizione proclitica non sempre i confini sono chiari e univoci.

A livello di pronuncia si hanno 4 varietà:

-- meridionale
-- settentrionale
-- toscano
-- romano

il toscano è la parlata dialettale che si avvicina di più alla lingua letteraria.

L’ italiano ha in comune con il fiorentino classico:

-- l’ anaforesi
-- la dittongazione di e (br) e o (br) del latino
-- il passaggio di e atona protonica in i
-- il passaggio di ar atono in er nel futur della 1a coniugazione.

Tra gli elementi che distinguono il fiorentino dall’ italiano vi è la gorgia (spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche, che avviene anche in fonosintassi).

Altra caratteristica è la tendenza alla monottongazione di –uo- .

VOCALISMO TONICO
LATINO VOLGARE

i lunga > i
i breve e lunga > e chiusa

e breve > e aperta

a lunga e breve > a

o breve > o aperta

o lunga u breve > u

u lunga > u

VOCALISMO TONICO ITALIANO

i lunga > i

i breve e lunga > e chiusa

e breve > je (sill lib) ; e (aperta in sill. implic)

a (lunga e breve) > a

o (breve) > wo (sill. lib) ; o (aperta in sill. implic.)

o (lunga) U (breve) > o

u (lunga) > u

VOCALISMO TONICO
SICILIANO

i (lunga e breve) E (breve) > i

e (breve) > e (aperta)

a (lunga e breve) > a

o (breve) > o (aperta)

o (lunga) U (lunga e breve) > u

VOCALISMO ATONO
ITALIANO

i (lunga) > i

i (breve) E (lunga e breve) > e

a (lunga e breve) > a

o (lunga e breve) U (breve) > o

u (lunga) > u

*********************

Il latino aveva 10 vocali (

a
e
i
o
u

brevi o lunghe.

Le vocali latine in posizione tonica erano 10.

A sx le vocali palatali (i, e).
A dx le vocali velari (o, u).

Al centro la a.

In italiano le vocali seguite da consonante semplice sono lunghe.

Seguite da consonante doppia sono brevi.

Quando il latino si diffuse in Europa e Africa, il senso della quantità cominciò a perdersi.

Nel latino volgare, la differenza tra lunghe e brevi non sopravvisse.

Rimase solo quella tra vocali aperte o chiuse.

La quantità si trasformò in timbro.

Una sillaba libera o aperta termina per vocale.

Una sillaba implicata o chiusa termina per consonante.

e/o toniche brevi latine in sillaba libera hanno portato a ie/uo.

In sillaba implicata hanno prodotto e/o aperte.

e/o brevi atone hanno dato e/o.

Le parole latine avevano un accento musicale (innalzamento della voce).

La legge della penultima sillaba accentata valeva su parole di almeno 3 sillabe.

Sulle parola bisillabiche l’ accento si trovava, comunque, sulla penultima sillaba.

Vocale breve in sillaba libera > sillaba breve.

Vocale lunga in sillaba libera > sillaba lunga

Vocale breve in sillaba implicata > sillaba lunga

Vocale lunga in sillaba implicata > sillaba lunga.

In italiano l’ accento divenne intensivo (forza articolatoria su sillaba accentata).

Fenomeni del vocalismo:

Monottongamento di au/ae/oe (sono i 3 dittonghi del latino classico, che hanno prodotto monottongandosi, rispettivamente o/e/o).

Dittongamento toscano di e/o toniche in sillaba libera (dittongatisi in ie/uo ; non si produce in sillaba implicata).

Regola del dittongamento mobile (ha interessato parole diverse che fossero corradiali, in molti verbi è andata perduta).

Nell’ italiano attuale il dittongamento non compare nelle parole in cuoi e/o seguono il gruppo di consonante + r.

A metà ‘400, si diffuse la riduzione di ie in e.

A metà ‘500, si diffuse la riduzione di uo in o.

Le forme dittongate sopravvissero fino all’ 800, nella lingua degli scrittori più tradizionalisti.

Nell’ italiano attuale sono in forte declino le forme con il dittongo uo preceduto dal suono palatale gi/dgi/gli/gni.

Una forte spinta all’ abbandono del tipo uo venne da Manzoni dopo la revisione linguistica di "I promessi sposi".

Le forme senza dittongo sono dovute all’ influsso del siciliano antico.

Anaforesi:

innalzamento di suono (e/o in posizione tonica passano a i/u.

Fenomeno tipicamente fiorentino.

Avviene in 2 casi:

e tonica in i seguita da gl/gn); e/o toniche si chiudono in i/u se
sono seguite da nasale velare enk / eng / ong (no onk!).

Chiusura di vocali toniche in iato:

e/o aperte o chiuse toniche, se precedono vocale diversa da i, formano iato e
tendono a chiudersi estremamente in i/u.

Chiusura della e protonica in i.

Il fenomeno è stato uniforme nei monosillabi con e, in cui la e si presenta in
posizione protonica sintatticamente.

Chiusura della o protonica in u.

Chiusura della e postonica in sillaba non finale (in parole di almeno sillabe).

Passaggio di ar intertonico e protonico in er: nelle parole uscenti in –eria (derivato da "–aria"); "-arello" > "-erello";

"-areccio" > "-ereccio".

Il fenomeno si è indebolito con il tempo, imponendo nuovamente oggi la forma "–ar" in
derivati dal romanesco o romano.

Labializzazione della vocale protonica: in alcune parole, e / i, seguite da p / b / f / v / m, sono state attratte nell’orbita articolatoria di queste, divenendo o / u.

Fenomeni del consonantismo:

Consonanti conservatesi nell’ italiano:

d
m
n
l
r
f

Assimilazione consonantica:

regressiva, quando tra consonanti di difficile pronuncia, la seconda assimila a sé
la prima

cs
ct
dv
mn
ps
pt

progressiva, quando la seconda è assimilata dalla prima (nd/mb).

Il fiorentino ha conosciuto solo la regressiva, diversamente dai dialetti centro meridionali.

Caduta di consonanti finali.

Sono cadute m/t; mentre la s, nei monosillabi si è palatalizzata in i, oppure si è
assimilata alla consonante iniziale della vocale successiva (raddoppiamento fonosintattico).

Nei polisillabi, prima di cadere, la "s" ha palatalizzato la vocale precedente.

Palatalizzazione dell’ occlusiva velare.

Nel latino tardo, davanti e, le velari k/g si sono palatalizzate in ci / dg.

Trattamento di "j" iniziale e interna.

"j" si è trasformato in affricata palatale sonora "gi" in posizione iniziale.

In affricata palatale sonora intensa "ggi", in posizione intervocalica.

Labiovelare: k/g, seguite da u semiconsonantica, si sono trasformate in kw/gw.

Labiovelare primaria se esisteva già in latino classico, secondaria se prodottasi dal volgare all’ italiano.

Spirantizzazione della labiale sonora intervocalica: in posizione iniziale o dopo consonante, la "b" latina si è conservata.

Seguita da "r" è diventata doppia.

In posizione intervocalica si è trasformata in "v".

Successivamente si è avuto un progressivo indebolimento, sino al dileguo.

La "b" intervocalica si è mantenuta nei latinismi.

Sonorizzazione delle consonanti.

Indebolimento articolatorio di p>b / k>g / t>d. p / c (seguita da a / o / u), t
(tra vocale ed r) si sono trasformate nelle sonore corrispondenti b / g / d.

Nesso consonante + j : j, derivante da i latina o dalla chiusura in iato di e breve, ha trasformato la consonante che lo precedeva, spesso raddoppiandola:


1. labiale + j (p / b / v) : ha prodotto un raddoppiamento; la v si è confusa con la
b.

2. velare + j (k / g) : in un primo momento, ha intaccato la velare sorda e sonora trasformandole in affricata palatale sorda e sonora; in un secondo momento, ha prodotto il raddoppiamento, e infine si è dileguato.

3. dentale + j (t / d) : tj in toscana ha avuto esiti: a) si è trasformato in un’ affricata dentale sorda ts, doppia se fra due vocali, scempia se tra vocale e consonante; b) si è trasformato in una sibilante
palatale sonora z.

"dj" in toscano ha avuto esiti: a) si è trasformata in affricata alveolare sonora dz,
doppia tra due vocali, scempia tra vocale e consonante; b) si è trasformata in affricata palatale sonora intensa "dgg".

4. nasale + j (m / n) : mj: raddoppiamento della nasale. Nj: in una prima fase ha raddoppiato la nasale,
poi è divenuta una nasale palatale intensa gnn.

5. laterale + j (l) : in un primo momento ha prodotto un raddoppiamento della laterale precedente llj; poi
ha intaccato la alterale intensa, trasformandola in laterale palatale intensa gli.

6. vibrante + j (r) : in toscana è caduta r; nel resto d’ italia invece è caduto j.
7. sibilante + j (s) :a Firenze ha avuto esiti paralleli: una palatale sorda tenue sc, una sibilante palatale
sorda tenue dg.

8. consonante + l: si trasformano in nesso consonate + j. (pl / bl / cl / gl).

9. casi particolari di nessi consonate + l : sl non conosciuto nel latino classico, in posizione interna si è
formato in seguito alla sincope della u nella sequenza – sul; per i parlanti ha dato origine al nesso skj.

Il nesso tl, sconosciuto al latino classico, formatosi dalla sincopoe della u in –tul, si è confuso con cl,
risultando kkj.

Fenomeni generali:

Prostesi

aggiunta di un corpo fonico all’ inizio di parola, per evitare la pronuncia di una difficile sequenza di consonanti.

Epitesi

aggiunta di un corpo fonico alla fine di parola, soprattutto nelle parola terminanti
per consonante, o troche.

epentesi

aggiunta di un corpo fonico all’ interno di parola; può essere
consonantica o vocalica.

aferesi

caduta di un corpo fonico all’ inizio di una parola, tipica dell ‘italiano; due parole in sequenza formano un’ univerbazione.

discrezione dell’ articolo

separazione dell’ articolo, in parole inizianti per l / la , interpretate
dal parlante come articolo determinativo; nel caso della n, come articolo indeterminativo.

concrezione dell’ articolo: articolo e nome formano un tutt’ uno nel parlato, l’ articolo diventa parte del nome.

sincope:

caduta di un corpo fonico all’ interno di una parola; cadono le vocali o le sillabe più deboli, non accentate.

apocope:

caduta di un corpo fonico alla fine di parola, può essere vocalica o consonantica.

È registrata più in poesia che in prosa; ne è una forma l’ aplologia in parole terminanti in –tà / -tù.

Nell’ italiano moderno l’ apocope sillabica è presente in pochi casi ("grande" / "santo" / poco
/ frate / modo).

L’apocope vocalica si registra in casi come "del", "al", "bel", "quel".

L’ apocope vocalica è obbligatoria in casi:

1. negli infiniti seguiti da un pronome atono.

2. in sostantivi usati come titolo di rispetto.

3. con l’ aggettivo buono se precede il nome a cui si riferisce.

elisione

caduta della vocale finale atona di una parola davanti alla vocale iniziale della parola successiva.

Mai prima di una parola cominciante per consonante, è sempre segnalata dall’ apostrofo.

Raddoppiamento fonosintattico

si produce nell’ ambito di una frase, come assimilazione regressiva; avviene
dopo:

1. monosillabi forti (dotati di accento).

2. dopo parole tronche.

3. dopo uno dei quattro monosillabi piani (come, dove, sopra, qualche) .

E’ un fenomeno omogeneo dell’ italia centro meridionale; sconosciuto al nord.

************************************

La lingua latina aveva due numeri, singolare e plurale, diverse uscite li caratterizzavano,.

Nell’ italiano non ci sono state modifiche.

La lingua latina aveva 3 generi:
a. maschile,
b. femminile e
c. neutro.

Nel passaggio all’ italiano il neutro si perse, e le parole
che appartenevano a questo genere furono assimilate al maschile.

Del genere neutro rimangono vari relitti:

parole maschili singolari che presentano 2 plurali diversi, anche di uso e significato.

Nell’ italiano antico i casi di neutro erano molto più numerosi.

Il latino aveva i casi e le declinazioni, strumenti attraverso i quali si distinguevano le funzioni logiche delle parole.

L’ italiano affida questa funzione alla posizione nella frase, all’ opposizione tra articolo e preposizioni.il caso latino è la diversa uscita che una parola poteva assumere per esprimere funzioni diverse.

I casi erano 6:

1. nominativo

soggetto

2. genitivo

complemento di specificazione

3. dativo

complemento di termine

4. accusativo

complemento oggetto

5. vocativo

invocazione

6. ablativo

vari complementi

7. ogni nome o aggettivo era composto da una parte fissa (radice) e da una variabile(desinenza), che cambiava a seconda della funzione.

Le declinazioni erano 5:

1. nomi maschili e femminili (nominativo "–a" / genitivo "–ae")

2. ‘’ ‘’ (nominativo "–us" / genitivo "–i") ; nomi neutri (nominativo –um / genitivo –i) ; nomi maschili (nominativo –
er / genitivo –i)

3. nomi maschili, femminili e neutri (nominativo vario / genitivo –is)

4. nomi maschili e femminili (nominativo –us / genitivo –us) ; nomi neutri (nominativo –u / genitivo –us)

5. nomi femminili (nominativo –es / genitivo –ei).

Il passaggio di un nome da una declinazione all’ altra è detto metaplasmo.

Possono esserci anche metaplasmi di genere o numero.

Il caso da cui derivano le parole italiana è l’ accusativo.

L’ articolo determinativo e indeterminativo rappresentano una novità apparsa nell’ italiano.

L’ articolo determinativo continua la forma latina

"ille", "illa", "illud".

L’ aticolo indeterminativo continua la forma "unus", "una", "unum".

Queste forme non erano articoli, ma dimostrativi.

La forma intermedia tra dimostrativo latino e articolo determinativo è detta articoloide.

L’ articolo determinativo maschile

"il", "lo", "i", "gli"

è distribuito secondo il suono della parola che segue.

Nella lingua delle origini l’ unica forma adoperata era "lo", proveniente da "illum", indipendentemente dalla parola che seguiva.

La finale della parola che precedeva finì per influenzare i parlanti.

Se era una consonante restava "lo".

Se era una vocale lo si riduceva a "l'", che fu fatta precedere da una vocale d’ appoggio che ne consentiva la pronuncia autonoma.

In toscano si ebbero le forme "el", "il".

La forma originaria dell’ articolo plurale maschile era "li", proveniente da "illi".

Quando precedeva una parola iniziante per vocale si determinava

l+j > "gli".

La forma "i" ne è una riduzione.

L’ articolo femminile singolare parte da "ille".

Il plurale viene da illes.

Il sistema dei pronomi personali italiano è vicinissimo a quello latino:

"io", "tu" per il soggetto
"me", "te" per complemento

"io" deriva da "eo", "ego"

"me", "tu", "te" derivano da "me", "tu", "te" latini.

"noi" e "voi" derivano da "nos" e "vos" latini.

Il latino non possedeva pronomi di 3 persona singolare e sopperiva con "is", "ille", "ipse".

Il fiorentino antico ha molti pronomi di 3 persona singolare:

egli / elli / esso / ella / essa / essi / egli / elli / eglino / elle / esse / elleno.

Altri meno frequenti: ei / la / le / lui / lei / loro, con funzione di complemento.

Derivano da ille / ipse.

Alla base di queste forme c’ è il rimodellamento della forma volgare illi / illui / illei/ illorum.

Le forme lui / lei / loro si affermarono sempre più con funzione di soggetto, anche se a lungo avversati dalle grammatiche.

Ci sono anche pronomi atoni clitici:

proclitici ed enclitici :

mi / ti / gli / le / lo / la / si / ci / vi / li / le / si.

"Mio", "mia", "mie" derivano dalle basi latine "meum", "meam", "meas", "miei" viene da "mei".

Tuo / tua / tue / suo / sua / sue vengono dalle basi latine tuum / tuam / tuas / suum / suam / suas.

Le forme maschili plurali

"tuoi", "suoi", derivando da tui / sui avrebbero dovuto dare toi / soi.

"Nostro" deriva da "nostrum" latino.

"Vostro" deriva da "vostrum" latino.

"loro" deriva da "illorum" latino.

"Hic / iste / ille" avevano un significato corrispondente a questo / codesto / quello.

Nel latino parlato i dimostrativi furono rafforzati dall’ avverbio espressivo e attualizzante eccum:

"eccum istum" > "questo" -- vicino a chi parla)

"eccum tibi istum" > "codesto" -- vicino a chi ascolta)

"eccum illum" > "quello" -- lontano da chi parla e chi ascolta)

Il sistema tripartito resiste bene in toscana e nell’ italiano burocratico.

Oltre a questo / codesto / quello, l’ italiano possiede altri aggettivi e pronomi dimostrativi:

"stesso" -- dall’ unione di iste + ipse) e

"medesimo" -- dall’ unione di met + ipsissimum).

L’ italiano ha due tipi di pronome relativo:

Uno variabile: il quale (che continua le forme dell’ interrogativo qualis)

Uno invariabile:

"che", "cui" (che deriva dal latino "qui", "quae", "quod")

Nell’ italiano attuale il che proveniente da quid svolge le funzioni: causale, dichiarativa, comparativa.

Gli aggettivi e i pronomi indefiniti dell’ italiano sono:

"qualche" (aggettivo) deriva dalla riduzione di

"qual che sia".

"qualcuno", "qualcosa" (pronome) deriva da

"qualche uno", "qualche cosa".

"alcuno"(aggettivo e pronome) deriva da "alicunum"

"certo" (aggettivo e pronome) deriva da "certum"

"tale" (aggettivo e pronome) deriva da "talem"

"altro"(aggettivo e pronome) deriva da "alterum"

"ogni" (aggettivo) deriva da "omnis"

"tutto" (aggettivo e pronome) deriva da "totus".

Il sistema verbale ha subito fortissime modifiche:

Riduzione delle coniugazioni verbali

Formazione dei tempi composti

Diversa formazione del futuro

Formazione del condizionale

Formazione del passivo perifrastico

Il latino aveva 4 coniugazioni verbali:

1. "-are" (amare)

2. "-ere"

3. "-ere"

4. "-ire"

l’ italiano ha 3 coniugazioni (la seconda ha assorbito le coniugazioni 2 / 3 latine):

1. -are
2. -ere
3. -ire

se oggi si forma un nuovo verbo, esso assume la desinenza della 1 o 3 coniugazione.

Le terminazioni del presente indicativo italiano continuano quelle latine:

1. prima persona singolare desinenza

–o


2. seconda persona singolare desinenza

–i

3. terza persona singolare desinenza

–a

(1 con.) ;

-e

(2 / 3 con.)

4. seconda persona plurale desinenza

–ate
-ete
-ite

5. terza persona plurale desinenza

–no.

Il passato remoto italiano deriva dal perfetto indicativo latino.

Nel latino, questo tempo indicava un fatto conclusosi nel passato senza conseguenze sul presente, oppure il risultato nel presente di un fatto compiutosi nel passato.

L’ italiano rende questi valori con 3 tempi:
a. il passato prossimo
b. il passato remoto
c. il trapassato prossimo.

Nei verbi regolari di 1 e 4 coniugazione il tema del perfetto si formava aggiungendo una w al tema del presente.

I verbi regolari di 1 e 4 coniugazione avevano un perfetto uscente in

–avi

e

–ivi, che furono così modificate:

1 p. s. caduta della v intevocalica

(avi > ai;

ivi > ii)

2 p. s. sincope della vi e ritrazione dell’ accento

3 p. s.caduta della i dell’ uscita determinala formazione di un dittongo secondario au, che si monottongo in o,
originando la forma tronca.

In alcuni verbi di seconda coniugazione si affermò la forma del passato remoto in –ei / - esti / -è / -emmo / -este / -
erono.

I verbi con l’ uscita in –si sono i perfetti sigmatici.

In latino la coniugazione attiva era formata solo da forme verbali semplici (unico elemento).

Il traducente italiano di un tempo sintetico latino è un tempo composto (ausiliare + participio passato) .

Le forme verbali composte erano diffuse nel latino parlato. Dall’ unione del presente indicativo del verbo habere col participio perfetto è nato l’ indicativo passato prossimo italiano.

Gli altri tempi composti sono derivati dall’ unione di altre forme del verbo avere con il participio passato.

In latino la coniugazione passiva era costituita da forme verbali semplici e perifrastiche:

participio perfetto + voce del verbo sum – essere).

In italiano, le forme analitiche con l’ ausiliare essere e il participio passato hanno completamente sostituito le forme semplici con la desinenza propria del passivo che si univa al tema del verbo.

Le voci del verbo avere hanno concorso alla formazione di due tempi semplici:

il futuro
il condizionale.

Nel latino classico l’ indicativo futuro aveva una formazione analoga a quella di altri tempi dell’ indicativo.

Al tema del verbo si aggiungeva un’ uscita che variava a seconda della coniugazione -bo, -am.

Il latino aveva varie forme perifrastiche alternative al futuro sintetico.

In italiano il condizionale ha due funzioni fondamentali:

-- esprimere la conseguenza all’ interno di un’ ipotesi giudicata possibile o irreale.
-- esprimere il futuro in dipendenza da un passato.

La lingua latina esprimeva questi significati in modi diversi perché non aveva il condizionale, nato poi da una perifrasi del latino volgare formata dall’ infinito e da una voce del verbo "habere".

In fiorentino la voce usata è stata hebui, ridotto poi a –ei per sincope.

Le rimanenti 5 uscite del condizionale ( - esti / -ebbe / emmo / -este / ebbero) derivano dalla riduzione o dalla trasformazione delle altre persone verbali di hebui ( hebuisti / hebuit / hebuimus / hebuistis / hebuerunt).

Nei dialetti meridionali si registra un’ altra forma di condizionale oggi molto rara, che deriva dal piuccheperfetto indicativo latino ("amara", "cantara").

Il latino distingueva le funzioni logiche e i significati delle parole in base ai sistemi dei casi.

L’ italiano affida in parte questa funzione distintiva alla posizione che le parole hanno all’ interno della frase.

L’ ordine delle parole era, relativamente, libero nel latino, mentre è sottoposto ad alcuni vincoli nell’ italiano.

L’ ordine abituale di una frase italiana è SVO, consente di distinguere il soggetto dal complemento oggetto.

Nel latino classico la desinenza distingueva, oltre il genere e il numero, anche la funzione di una parola nella frase.

Gli scrittori latini scelgono sia la sequenza SOV che la sequenza SVO, poi trasferita all’ italiano.

Il modello SVO ha rappresentato l’ ordine naturale delle parole nell’ italiano sin dalle origini.

Per imitare il modello latino, alcuni scrittori usarono il modello SOV.

In poesia la tendenza è stata ancora maggiore, data la necessità di un qualche carattere distintivo rispetto alla prosa.

Nelle frasi marcate l’ ordine SVO viene sovvertito, ma è accompagnato da un’ intonazione particolare che evidenzia l’ elemento rilevante.

La lingua antica esprime il pronome personale soggetto prima del verbo nella frase enunciativa e dopo il verbo nella frase interrogativa.

La lingua contemporanea ha abbandonato quest’ uso, tendendo ad omettere
il soggetto pronominale il qualsiasi tipo di frase.

L’ enclisi del pronome personale atono (che si appoggia al verbo che li precede) si
applica a:

mi / la / le / ti.

Per il resto si parla di proclisi ( si appoggiano al verbo che li segue), nei casi dei pronomi: mi / ti / gli / lo / la / le / si /
se / ci / ce / vi / ve / li / le / si / se.

I criteri distributivi dei pronomi enclitici o proclitici sono espressi nella legge tobler – mussafia.

Nell’ italiano antico l’ enclisi era obbligatoria:

1. dopo una pausa.

2. dopo la congiunzione e.

3. dopo la congiunzione ma.

4. all’ inizio di una proposizione principale successiva a una proposizione
subordinata.

Oggi l’ enclisi sopravvive, come relitto dell’ uso antico, in formule cristallizzate, oppure in ambiti particolari della lingua della piccola pubblicità o nello stile telegrafico.

Nel latino volgare il pronome indefinito quid (che) ha fortemente esteso la sua sfera d’ uso, prendendo il posto di molte parole.

Il che può avere la funzione introduttiva in una preposizione completiva (proposizione subordinata che fa da soggetto o complemento oggetto diretto alla principale).

In italiano le proposizioni completive sono formate dalla congiunzione che + l’ indicativo o il congiuntivo nella forma esplicita e dalla preposizione di + l’ infinito nella forma implicita.

Nel passaggio dal latina all’ italiano ha esteso fortemente l’ ambito delle sue funzioni, diventando una sorta di elemento tuttofare.

Retorica interna: attività di comunicazione.
Retorica esterna: complesso di teorie espositive.

Parti della retorica:

1. inventio

2. dispositivo

3. elocutio

4. memoria

5. actio.

Generi retorici:

1. deliberativo

2. giudiziario

3. epidittico.

Figure del discorso:

schemi per l’ esposizione del pensiero.

Tropo:

irregolarità del contenuto.

Figure retoriche:

Sinonimo:

parola diversa, ma con significato uguale ad un’ altra; si usa per eliminare le
ripetizioni.

Metalessi: sinonimo in doppio e triplo senso;

Climax: intensificazione graduale di effetti;

Analogia: confrontare un’ entità con un’ altra;

Metaplasmo: trasformazione della forma di una parola (elisione..);

Anagramma: cambiamento delle lettere di una parola al fine di ottenerne un’ altra;

Palindromo: parola leggibile indistintamente sia da sx che da dx;

Paronomasia: combinazione di parole che hanno tra loro minima variazione di
suono, ma grande variazione di significato;

Malapropismo: paronomasia involontaria; errore nato dalla somiglianza fonica delle parole;

Figura etimologica: ripetizione della radice di un vocabolo;

Polittoto: ripetizione di un vocabolo in una frase con funzioni diverse;

Concisione o laconismo: parlare in breve, anche per dare ordini;

Percursio: indicare o trattare sommariamente degli argomenti; sintesi brillante e incisiva;

Ellisse: snellimento del discorso, per evitare ripetizioni; preannuncio del tema di un discorso;

Endiadi: uso di due espressione coordinate, invece di un’ espressione in cui un membro è subordinato all’ altro;

Epiteto: aggettivo, nome o locuzione aggiunto al nome per qualificarlo;

Preterizione

parlare di qualcosa, mostrando di non volerne parlare;

Reticenza o aposiopesi

interruzione improvvisa di un discorso già iniziato, per lasciare al
lettore/interlocutore la conclusione;

Epifonema: sentenza posta a conclusione di un discorso;

Aforisma

sentenza dotata di capacità definitoria; luogo di umorismo e satira;

Commoratio:

girare intorno ad un argomento, rifinendolo nei particolari;

Expolitio: tornare sull’ argomento, aggiungendo informazioni complementari;

Accumulazione: aggiunta di membri di frase(senza ripetizioni), mediante coordinazione o subordinazione; l’ accumulazione di aggettivi è subordinata rispetto al nome;

Dissimulazione: non far vedere le cose per come sono;

Antifrasi: usare un’ espressione per dire l’ opposto di ciò che essa significa;

Ironia: distanziamento; invitare a non credere a ciò che si dice;

Ossimoro: unione di due termini antitetici;

Allegoria: serie ininterrotta di metafore; nel medioevo era in verbis (uomo) o in factis (dio);

Prosopopea o personificazione: raffigurazione di un’ entità astratta come una persona;

Enfasi: invitare chi ascolta ad andare “oltre”;

Allusione: velato accenno a ciò che non si vuole nominare chiaramente, facendo appello a conoscenze vere o presunte;

Enigma: sfida lanciata all’ interlocutore per invitarlo a risolvere un mistero;

Litote: negazione per affermare il contrario;

Eufemismo: censura verbale per esprimere concetti sgradevoli;

Catacresi: un senso figurato diventa abituale; dovuto all’ insufficienza lessicale o a un tabù;

Metafora: linguaggio figurato; crea un’ analogia; possono essere d’ uso o d’ invenzione;

Sinestesia: trasferimento di significato da un dominio percettivo a un altro;

Metonimia: una causa per un effetto, o viceversa;

Sineddoche: una parte per il tutto, o viceversa;

Metalessi: fusione di più figure retoriche;

Antonomasia: sostituzione di un nome proprio con una perifrasi o un epiteto;

Perifrasi: giro di parole per evitare un termine;

iperbole

amplificazione o riduzione della realtà, mediante espressioni che mantengono una
lontana somiglianza col vero,

allitterazione

ricorso di vocali, consonanti o sillabe uguali;

omoteleuto

parole con terminazione uguale (rima);

anastrofe:

inversione dell’ ordine normale di due o più parole;

onomatopea: imitazione di suoni naturali, mediante il linguaggio;

apostrofe: chi parla si rivolge direttamente a qualcuno diverso dal destinatario; si
usa il vocativo e l’ imperativo;

domanda retorica: non attende risposta, se non una conferma;

anafora: figura di ripetizione, /x…/x…/, tipica delle preghiere e delle filastrocche;

polisindeto: elementi uniti da congiunzione coordinativa (e);

epifora o epistrofe: figura di ripetizione /…x/…x/;

simploche: unione di anafora ed epistrofe /x…y/x…y/;

epanadiplosi: ripetizione di alcune parole all’ inizio e alla fine della frase /x…x/;

epanalessi: ripetizione di una parola /xx…/;

anadiplosi: ripetizione che mette in evidenza il tema della frase /…x/x…/.


Vanno evidenziati due aspetti particolari dell’ italiano dei romanzi di H.P. : la narrazione e il dialogo. Il personaggio Hagrid è molto connotato: un uomo quasi animalesco, ma buono e affettuoso.
Ha una caratterizzazione molto forte anche sul piano linguistico, in un inglese dialettale decisamente substandard.
Nella traduzione italiana si è scelto di inserire alcuni tratti linguistici fortemente connotati.
Indicativo al posto del congiuntivo, fenomeno diffuso nell’ italiano d’ oggi; periodo ipotetico;
semplificazione dei tempi verbali; il che interrogativo enfatico; il che polivalente; uno stile
nominale, colloquiale e trascurato; frasi costruite con una sintassi approssimativa; voci ed
espressioni colloquiali; uso insistito di segnali discorsivi e interiezioni.
Il registro linguistico delle battute pronunciate da Hagrid contrasta vistosamente con quello degli
altri personaggi, che si esprimono in un linguaggio più corretto e formale, nella direzione quindi
della ricerca di effetti comici.
Il registro fortemente marcato è proprio anche di altri personaggi, marginali, appartenenti a un
livello sociale basso.
Harry e i suoi amici parlano un buon inglese, che nella traduzione è un buon italiano.
L’ uso del congiuntivo è generalizzato laddove la grammatica lo richiede; corretti anche i periodi
ipotetici.
L’ interrogativo che cosa è prevalente sia nel piano dialogico che in quello dietetico, rispetto alle
forme che e cosa.
Spicca la ricorrenza a forme sostenute come il relativo dativo cui senza la preposizione a ; e questi e
altri come soggetto maschile.
La costruzione sintattica letteraria è rappresentata dal complemento di modo privo di preposizione
con, molto frequente nel piano diegetico.
Nell’ ambito di un italiano che tende verso l’alto si collocano anche molte opzioni lessicali,
sinonimi elevati che ci riportano a una lingua scritta, letteraria: cartiglio, accigliato, malvagio.
Accanto a un lessico elevato e letterario, figurano voci più comuni e più espressive, onomatopee,
tipiche della letteratura e paraletteratura per ragazzi.
L’ italiano di H. P. muove in una direzione di generale rispetto di una lingua standard; le
trasgressioni sono motivate dal livello substandard dell’ originale e dalle esigenze narrative, in
relazione alla caratterizzazione di alcuni personaggi, in particolare del gigante buono Hagrid.

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