Thursday, August 4, 2011

Angelo Ravagli e D. H. Lawrence: Spotorno

Luigi Speranza

Corriere Estate. Passioni d' amore. Tra Lawrence e la moglie Frieda il vero amante di Lady Chatterley. Il suo nome, Angelo Ravagli. Un ufficiale dei bersaglieri, romagnolo di Tredozio

Tra Lawrence e la moglie Frieda il vero amante di Lady Chatterley.

Pensavo agli amanti-danzatori di D.H. Lawrence:

«Hanno un continuo, pulsante tremolìo di campanelli. D' un tratto si alzano selvagge urla acclamanti intorno al tamburo. E allora voi distinguete il fremito, come di seme... Dietro ogni maschio che danza e trema, c' è la robustezza di una donna come una densa ombra». Mi trovai di fronte, stupefatto, a un arlecchino invecchiato, però con gli occhi del cobra vivissimi, una figura a mezzo fra Alboino e Bertoldo, mimo di una realtà fatta di inverosimile, del riso quando diventa tragedia. Seguì il dialogo più paradossale che abbia avuto, tuttavia vero in ogni sua parola."

Il Mellors di Lady Chatterley non era un guardacaccia rude, bensì un ufficiale dei bersaglieri, romagnolo di Tredozio.

«Il bersagliere di Frieda».

Il suo nome: Angelo Ravagli.

L' adulterio di Connie fu consumato a

"Villa Bernarda"

-- di Spotorno, una costruzione rosa, a tre piani, che allo scrittore rammentava un vascello a tre ponti.

Qui Lawrence visse il suo dramma coniugale.

Sir Clifford, dunque, è lui; Connie, sua moglie, la bellissima Frieda von Richthofen.

Il guardacaccia «dal viso rosso e baffi rossi», che salutava «con un gesto rapido da soldato», Ravaglia, appunto.

Lo trovai seduto su una panchina, fra gli oleandri.

Era il 1970.

Aveva ottant' anni, bianchi capelli lisci, baffetti candidi.

Socchiuse gli occhi verso di me, poi allungò la mano, per accarezzare la gatta che dormiva al suo fianco. Disse: «So cosa si aspetta. Come quella giornalista dell' Observer, come tutti gli studiosi che mi hanno importunato per una vita.

Venivano con l' aria dei cardinali, e poi non volevano sentire da me che le stesse cose. Ebbene, le ripeto: ero maschio e non c' era donna che non subisse il mio fascino. Tutte cadevano ai miei piedi. Ho avuto, sì, molte donne. Mamma mia! Un sacco!». Mi fissò con una smorfia di sorriso. Tornò a piegarsi sulla gatta, nella panchina si fece omettino, un fauno che ormai pesava come una piuma, scuoteva la gatta che gli rispondeva stirandosi e insieme era scosso da un riso nevrotico, più folle che spavaldo, era Bertoldo che si era permesso, sempre, di ridere della grande letteratura, dell' umanità che in quella letteratura si era espressa, della femminilità che l' aveva esaltato. Ritornò Alboino, insinuando: «E ora lei sta per chiedermi com' era lui, lo scrittore... Una larva. Malaticcio. Scontroso. Antipatico. Quel suo povero corpo non aveva mai avuto niente di marziale, di atletico. Eppure si permetteva di giudicarmi un tipo da quattro soldi. Detestava la mia traboccante salute, la mia esuberante sensualità all' italiana. Era geloso del mio coinvolgere le donne con la sicurezza del prestigiatore. Lo sa? Mi aspettava dietro gli angoli, per sibilarmi in faccia: "Sesso a buon mercato!" ». Continuò: «Io avevo trentaquattro anni, lo scrittore quaranta. Frieda più di quaranta: ancora molto bella, però, sul formoso. Di trascorsi amorosi ne aveva quasi quanto me. Assurdo che un' ameba d' uomo si ostinasse a tenersi accanto una femmina così, incendiabile col primo cerino, tanto più frustrata nei sensi. Ne avevo di fanatiche intorno, con corpi anche meglio, ma sa perché lei mi attraeva? Premetto che in guerra, come bersagliere ciclista che pedalava in su, nelle montagne, ho avuto molte medaglie, insomma sono stato un eroe non solo in centinaia di letti. Frieda mi attraeva perché era cugina di Manfredo von Richthofen, l' asso dell' aviazione tedesca, il "Barone Rosso", una leggenda, non si faceva che parlare di lui in trincea, prima e dopo i combattimenti». La gatta s' arrampicava sulla sua spalla. Era più grande la gatta della sua testa a uovo. «Come accadde, dice? Non pensi a Via col vento. Fu una settimana di delirio. Me la feci prima con la madre e poi con la figlia: Barbara, viziata e viziosa, in competizione con Frieda. Ma la madre era una tigre e andava forte. Possedendola, immaginavo di pilotare l' aereo del "Barone Rosso", che aveva abbattuto ottanta velivoli. Facevamo l' amore dovunque ci capitava, in mezzo agli ulivi, nella vigna, nel capanno della villa». Continuava a non aspettare le domande, le precedeva. Parlando sempre senza apparente interesse, con un distacco militaresco. «Affittai la villa allo scrittore, che arrivava dalla Germania. Era malato ai polmoni e aveva bisogno di quiete - tornò a ridere abbranciando la gatta -. Non strinse la mano che gli tendevo, mi fissò, aveva gli occhi dei fantasmi che arrivano dalle tombe dove stanno per ritornare, mi prese da parte e con un' occhiata a Frieda che si muoveva per le stanze, già chiamandomi con ogni pretesto, mi disse: "Lei, italiano, sarà il mio destino". Mi turbai, se permette, sia per quell' "italiano" buttato lì con disprezzo, e perché mai? Che aveva contro gli italiani che oltretutto avevano combattuto per la bandiera italiana? Perché allora, in Italia, trovava il suo rifugio ideale?... Sia per quella sua profezia maligna, ma io non ho mai avuto paura né di magherie né di streghe, e se il suo destino dovevo essere io, nel senso che già avevo capito, ebbene, mi sono detto. "Che destino sia"... Ho sempre odiato gli intellettuali che scherzano col fuoco, saccenti, boriosi, e che poi al dunque...». A tratti si assentava. Rifletteva sulle proprie parole: «Io, il suo destino... Credo che ebbe la profezia del suo romanzo proprio durante quell' incontro. Come se leggesse in se stesso che sarei stato prima amante, poi compagno, poi terzo marito di sua moglie, quando rimase vedova. E Anche Frieda, diciamo che, a freddo, giudicava la vita e gli uomini come si giudica un romanzo. Ma questo era il bello. Che poi, a letto con me, ma quale letteratura! Facevo a pezzi il manichino da intellettuale che si portava addosso». L' arte deve soffrire, sosteneva Lawrence. E il romagnolo bersagliere era stato la causa prima della sua sofferenza. Ora il vecchio, metà Bertoldo e metà Alboino, borbottava fra sé, scuotendo la testa: «Come può, un piccolo seccatore, completamente inglese, essere considerato un genio. Stramba la vita. Con le sue balle sullo star solo. Non sensibilità, ma mancanza di coraggio. Quel suo consiglio al giovane che sta per sposarsi: "Sii sempre solo. Sii dolce con lei, quando lei è dolce con te, ma se tenta di importi la sua volontà, picchiala!". E lui la picchiava davvero la tedesca. Prima si faceva raccontare quello che faceva con me, poi volavano piatti e bicchieri. Se le davano di santa ragione. E lei arrivava nel mio letto col naso insanguinato e gli occhi blu. Questa non era letteratura». Non era necessario provocarlo. Nemmeno sulle pagine di Lawrence: «Sì, non tutto nel romanzo è credibile. Ha presente l' episodio della pioggia nel bosco, quando Lady Chatterley, nuda, esce correndo inseguita da Mellors, nudo? Lei ninfa in fuga, io fauno in caccia. Idiozie. Qualche rigo prima, lo scrittore avverte che la donna "si mise nuovamente le scarpe di gomma" che si era tolta per sfilarsi le calze. Particolare minimo. Ma sono i dettagli a rendere sciocco il resto. Bastava che lui mi chiedesse, gli avrei consentito di essere esatto anche nei dettagli». D' improvviso mi strinse le mani, mi attirò a sé: «Mi guardi bene... La morte... Quante volte, in guerra, ho visto la morte in faccia. Ora è lei che mi vede in faccia. Ma io ho ancora i baffetti lustri, gli occhi pieni di vita. Lui, invece, morì male. La tisi lo uccise a Villa Robermond, sopra Nizza. Lessi del decesso per caso, sul Corriere della Sera. Mandai a Frieda un telegramma di condoglianze, invitandola a raggiungermi a Spotorno. Arrivò subito. Mi bastò il solito cerino per riaccenderla. D' altra parte, lui l' aveva previsto, nel romanzo, un' altra sua profezia che si avverava: Connie e il guardacaccia che se ne vanno a ricostruirsi una vita oltre Oceano... Mia moglie, dice? - non gli avevo chiesto nulla - Serafina badava solo ai soldi, le promisi che le avrei mandato duecento dollari al mese, non si oppose. Le donne sono fatte così. E laggiù ottenni il divorzio. Sposai Frieda. Tutto facile. Tutto sempre troppo facile, per me, in questa dannata storia». Si sollevò dalla panchina senza sforzo; anzi, ostentando uno scatto elegante. Mi fece strada portandosi la gatta sottobraccio: «Venga». Ci trovammo nel cimitero di Spotorno: «Prima di intraprendere la carriera militare, avevo fatto il muratore. E le mie mani avevano ancora i calli del muratore. Aldo (Huxley) mi ripeteva: fammi vedere i calli. Avrebbe voluto possederli, invece muoveva due mani tutte bianche e fini fini, che se gli davi un martello e dei chiodi, li lasciava cadere a terra. E con quei calli mi capitava di stringere le dita, che so, di Chaplin, Russel, Stravinsky, e mi piaceva fargli male. Insomma, al ranch, costruii con le mie mani il mausoleo dello scrittore. Glielo dovevo. Riuscì perfetto. Nelle fondamenta seppellii fotografie sue di Frieda, monete di vari paesi, pezzi di corallo. Mi chiederà perché. Così, un' ispirazione. Ho sempre amato l' assurdo più ancora della divisa, delle donne. Misi anche un biglietto in cui sta scritto: "Questa casa è stata voluta da Frieda Lawrence e dal Capitano Angelo Ravagli in uno stile semplice e di aspetto modesto per simboleggiare l' unità d' intenti e di costruzione che nasce dal miglior sentimento di amicizia"». Rideva Bertoldo, rideva muovendosi fra le tombe, non un riso irriverente, follia piuttosto, quel tipo di follia che impedisce ogni smarrimento e ogni paura: «Ma non bastava. Era giusto che in quelle fondamenta ci fossero anche i resti di David, non crede? Nel ' 35, mi recai dunque nel piccolo cimitero di Vence, dove lui era stato sepolto, ne feci riesumare le spoglie, le portai a Marsiglia, per la cremazione, e tornai in America con l' urna. Giorni e giorni di viaggio, mi capitava di stringere l' urna - strinse più forte la gatta - e di parlarle: lo vedi, amico mio, non si può mai dire, stiamo facendo di nuovo un lungo tragitto insieme, la morte ci ha reso finalmente amici, anche la morte è un' amante che ci dividiamo insieme». Nel cimitero, nemmeno un soffio di vento. Un silenzio profondo. Rotto, dopo una pausa, da una risatina sommessa: «Alla stazione ferroviaria di Lamy, fui accolto da Frieda, dalla sua amica Mabel, dal compagno di costei, Tony, un pellerossa gigantesco, la solita comitiva di amici, ammiratori. Saluti, abbracci, e nel trambusto generale un incidente macabro e buffo, un assurdo stavolta non voluto da me, ma dalla sorte che mi era sempre stata un' altra amante crudele e burlona. Capitò che la povera urna ce la dimenticammo sul marciapiede della stazione, e se non ci fossi stato io ad accorgermene, a tornare indietro per recuperarla, sarebbe rimasta lì, a terra, fra i treni avanti e indietro, le giuro che andò così, furono in tanti a scrivere di quell' episodio. E la salvai di nuovo, l' urna, quando i falsi amici tramarono per trafugare le ceneri, non per amore, venerazione, macché, per specularci, ma io fui più furbo e rapido: le ceneri le impastai col cemento, nel sarcofago del mausoleo». La confessione era finita. Il bersagliere di Frieda si arrestò davanti a un rettangolo d' erba, nell' angolo più solitario del cimitero, dove un raggio di sole si manteneva, durante i giorni sereni, più a lungo che altrove. Il rettangolo era delimitato da piccoli sassi candidi: «E qui mi farò seppellire io. Più che mai, la penso diversamente dallo scrittore. Lui sosteneva che non esiste la memoria, esiste solo il presente e poi l' oblio. Io sono la prova vivente che aveva torto. La memoria esiste, eccome. E persino le follie che facciamo in vita». Si distrasse. Tre lapidi giacevano da una parte. Tre scritte funerarie vi erano tracciate con l' inchiostro. Il vecchio mi chiese, perplesso: «Sono incerte. Secondo lei?». Nella prima il pennello aveva abbozzato: «Per tutta la vita mi sono dilettato di donne. Ora tutto finito. Datemi un bacio prima di andarvene». Nella seconda: «Fra tanti eroi di carta, fui sempre un bersagliere. In tutto. Mi sono dilettato della vita e lei di me». Nella terza: «Ho fatto il possibile per vivere secondo natura e finire sereno la mia vita come l' uliva, diventata matura, cade benedicendo la terra che l' ha generata e serbando riconoscenza all' albero che l' ha nutrita». È questa terza iscrizione che ora sta sulla tomba del tenente colonnello Angelo Ravagli, morto a Spotorno l' 8 febbraio 1975. PASSIONI D' AMORE

Bevilacqua Alberto


Pagina 37
(24 luglio 2001) - Corriere della Sera

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