Saturday, August 13, 2011

Architettura di Genova

Luigi Speranza


Della romana antichità tanto possiede Genova in fatto d' architettura, quanto rimase in membri isolati che scamparono da progressive rovine, e furono adoperati in nuove fabbriche. Tali sono gli architravi, che si scuoprono sulla porta d'alcune chièse edificate tra il secolo xi e il lui; e le- colonne, e i capitelli che piacque conservare nella ricostruzione d' alcuni tempii, o vennero trasferite da altri luoghi. La provincia ha interi monumenti, o vestigi ; vanta Albenga un grazioso tempietto ed un magnifico ponte dell' epoche latine; Libarna ci dà le tracce d'un, ampio teatro, e in Luni si fanno continue scoperte di rispettabili antichità. . \

Di quello stile (se pur gli conviene un tal nome) pesante e rozzo che sotto-la gotica dominazione segnò in Italia T estremo periodo della decadenza romana, ci fu tolto r 'non soh molti anni, l'unico tipo nella distruzione della chiesa di S. Vittore, innalzata in tempi remoti' sulla spiaggia del mare. A quello che invalse sotto i longobardi par che rimontino le porte laterali del S. Lorenzo» E la facciata- di questa chiesa costrutta a spese del. Comune" nel duodecimo secolo, ci segna l' epoca in cui «! introdusse in Genova il gusto capriccioso degli .arabi. Diedero opportunità a cosiffatta imitazione le vittorie riportate dai genovesi sui mori nel 1146 in JWaiorcat in Aìmeria ed in Tortosa, donde è certo ch' essi recassero in patria non poche spoglie de'popoli vinti. — Per questa età è chiaro nei nostri annali il nome di quel Guglielmo Embriaco, che fabbricò le torri in legno per agevolare ai crociati l' espugnazione di Gerusalemme , pel qual merito ebbe un posto glorioso nel poema di Torquato Tasso.

Ma innanzi al mille l'architettura da' soperchi e strani ornamenti longobardici avea fatto passaggio ad uno stile più sobrio, più maestoso ed elegante. Ne abbiam prova nella chiesa e commenda di S. Giovanni di Prè, della quale s'han memorie fmo dal secolo x. Da questo stile presero forma gli edifizi che s' innalzaron ne'secoli appresso, giacchè il moresco stile non fu adoperato che nel prospetto del Duomo. — E qui è debito l' accennare, quanto la militare architettura fiorisse in quest'epoche nella nostra eitlà, che mentre spediva le proprie forze a lontane battaglie, studiava a tutelare la civil sicurezza da ogni ostile insidia. Le porte che s' appellano di Vacca e di sant' Andrea, lavorate l'una e l'altra nel 1155, ci porgono, insieme al Duomo, i primi esempi dell' arco formato a sesto acuto. Nel 1115 sorse da' fondamenti il castello di Portovenere colonia genovese, e nel 1197 fu cinto Chiavari per far argine a' signorotti della orientai riviera. Il castello di Monaco venne eretto nel 1215 sotto l' ispezione di Fulcone De Castro; un Demarini nel 1227 fabbricava le macchine che servirono ad espugnare la fortezza della Stella ; un maestro Raimondo nel 1171 fu mandato ai lucchesi perchè innalzasse a spese comuni di Genova e Lucca la torre di Viareggio per fronteggiare i pisani ; e nel 1221 si diede opera alla maravigliosa cittadella all' incontro di Ventimiglia, onde por freno alla baldanza di que' cittadini ribelli. Entro Genova intanto spingeansi in aria molte torri di così smisurata altezza, che del 1145 e poscia del 1196 furon per pubblico precetto ridotte alla misura di non più che ottanta piedi. Qual fosse la perizia degli architetti nella fabbrica di sì ardite moli può vedersi nella torre degli Embriaci, o come piace ad altri dei Da Castello, l'unica che rimanesse nell' originai dimensione contro il suddetto statuto. Vedremo dalle chiese fabbricate tra il secolo xi e il xiv, come si sapesse unire alla robustezza l'eleganza e la sveltezza delle forme ; e le notizie del S. Matteo ci persuaderanno, che la meccanica, nonchè esser nota fra noi, facea prove d' ardimento e di valore quasi incredibile per tempi così oscuri.

Di mezzo alle tenebre di questa età brilla quel Marino Boccanegra, a cui dovette la patria le opere stupende e malagevoli che a pubblica utilità si eseguirono sulla fine del secolo xm e i principii del successivo. Ebbe mano nelle ampliazioni del vecchio Molo, nella cui fabbrica troviamo impiegato fin dal 1257 un frate Oliviero monaco di sant' Andrea di Sestri. Diede compimento alla Darsina, scavò il Mandraccio, tracciò l'acquedotto pel corso d'oltre a 25,000 metri, sfondò la spiaggia ad ingrandimento del porto, ed ogni altro lavoro di grave momento promosse coll' opera o col consiglio. v

Un tanto nome dovea esser presagio d' una successione di genovesi architetti, specialmente in una città che non rifiutava di ordinare quanti edifizi sembrassero richiesti alla.civile prosperità. Nondimeno nuove tenebre avvolgon la storia dell' arie, e quegli artisti che ci son noti in epoche posteriori son tutti stranieri, ed invitati dal pubblico o da privati signori.

Da Marino Boccanegra conviene scender di volo ad Anastasio Siciliano, trattenuto da'PP. del Comune a' restauri ed ai miglioramenti del Molo, del Porto e della Darsina. Gli storici ne fanno memoria sotto l'anno 1509; ma ad altro luogo ci sarà facile il dimostrare, che il Siciliano fu in Genova e vi operò fin dal 1470.

Non è facile egualmente lo stabilire, per quali esempi tornasse la nostra architettura dallo stile teutonico alle severe forme latine. Certo è che il passaggio fu rapidissimo, e vuole stabilirsi circa la metà del secolo xv; l' arca delle ceneri del Battista lavorata a cesello nel 1438, e il cenotafio del card. Giorgio Fieschi scolpito in marmo nel 1461 sono i tipi men lontani fra loro dell' uno e dell' altro stile. E savio il congetturare che una mutazione cosi subitanea fosse cagionata dall' arrivo in Genova d' architetti forestieri ; tanto più che da estere città veggiamo chiamati coloro che dopo il rinnovamento operaron fra noi. Giuliano Della Rovere, che fu poi Giulio II al soglio pontificio, tenne in Savona a' suoi servigi il celebre Giuliano da San Gallo, e nel 1531 per i restauri della cappella del Battista si ricorse al milanese Gio. Giacomo Della Porta.

Ma la patria architettura avea appena prodotti i saggi di questo semplicissimo gusto, che sopravvenne il michelangiolesco. Primi a darne l' esempio furono i due fiorentini, Pietro Buonaccorsi e Giovann'Angiolo Montorsoli, l'uno pittore, scultore l'altro, ed ambi

due non oscuri architetti. La lor epoca è del TS28, quando vennero impiegati dal principe Doria nel superbo palazzo di Fassolo, a cui Pietro disegnò la porta, e il Montorsoli le generali proporzioni. Nè molti anni corsero dalla venuta di questi a Galeazzo Alessi perugino, che educato da giovinetto nella scuola di Michelangelo, tanto ne possedea la maniera da propagarla, e destarne l'emulazione con esempi autorevoli e degni.

Chiamato a Genova da alcuni privati sulla metà del cinquecento, restò fra noi tre lustri circa, come si congettura dalle memorie istoriche ; ma in questo spazio non lungo di tempo vi condusse a perfezione tante opere da parer già troppe alla vita d' un artefice. Bel monumento dell' ingegno di lui è la Via Nuova, fiancheggiata da stupendi palagi, che il Vasari chiamò unica al mondo, e molti soggiorni di privati sparsi per la città e i sobborghi, che parvero assicurare alla nostra città l'appellativo di superba. Servì anche al Comune in opere pubbliche, siccome vedremo a suo tempo ; non dovendosi in questo discorso se non accennar le epoche istoriche e far preludio alla lode degli artisti.

Dopo l'Alessi, il teatro dell'architettura in Genova fu libero a'lombardi. Per miglior ordine pongo innanzi a costoro due ingegneri nostrani, i quali vissuii molti anni all' estero, lasciarono in Genova gran fama di valenti, ma niun lavoro. AH' uno e all' altro fu patria Savona. Il primo è Gio. Luigi Musante', che passato in Ispagna alla corte di Filippo II, per cenno di lui condusse importanti fortificazioni in Navarra, e morì in Sequenza nel 1587; il secondo Domenico Rovello a cui il Duca di Savoia die' incarico di munire Vercelli e Monmeliano. Strane vicende ebbe costui , che stanco di servire a re stranieri il ricondussero in patria , ove dal genovese Governo fu consultato in occasione di più opere, e dove morì l'anno 1594. — Gio. Batta Castello da Bergamo che già vedemmo pitlor di gran lena, e ragionevole scultore, coltivò eziandio l' architettura, e in quest' epoche innalzò decorose fabbriche pei nostri privati. Imitò Michelangelo', non senza attinger bellezze dall' antico ; vago oltremodo dell' ornare , e forse soverchiamente.

Nella schiera de' lombardi vengono primi Taddeo Carlone e Rocco Lurago, nativi, l' uno di Rovio nel luganese, l' altro di Pelsopra nelle vicinanze di Como. Del Carlone scarseggiano le opere, avendo preferito la scultura all' arte delle linee, del Lurago le memorie, benchè sia certo che lunghi anni si fermasse in Genova, e intorno al 1590 vi cessasse di vivere. Da quel tanto che di lor si conosce, convien dire che i tipi di Michelangelo ne governassero il gusto, e basta pel Lurago il magnifico palazzo Doria Tursi, che in Via Nuova tra le moli architettate dall' Alessi, non par che ceda a confronti. — Aggiungasi a costoro Andrea Vannonc, il quale venuto da Lancio, sua terra natale , nel 1590 mentre il Comune stava deliberando la riecstruzione del Palazzo Ducale ebbe l'incarico di tanta opera, e l'esegui con tal'arte che n'ebbe lodi e rimunerazioni infinite, ed il grado d'ingegnere del Ser.m° Senato, che mantenne fino alla morte.

La fortuna del Carlone e del Lurago trasse a Gènova molti de'loro connazionali, altri già valenti architetti in cerca di commissioni, altri bramosi d'apprenderla nella loro scuola. Appartengono al primo siccome discepoli il suo nipote Tommaso, Domenico Scorticone e Daniello Casella; al secondo G. B. Grigo, Francesco da Novi, che dal nome par ligure; e un Antonio Orsolino nato in Genova di padre lombardo. — Rocco Pennone esercitò fra noi Y architettura oi-namentale sulle prime decadi del secolo xvn, richiesto dal Senato, e da privati signori, con uno stile che già trascende nel bizzarro, e segna i caratteri di ogni altrn usato da' lombardi nelle fabbriche di questa età. Forse l'arte degli ornamenti fu segregata, a così dire, da quella del costrurre, mentre osserviamoche la maggior parte degli edilizi innalzati in tal'epoca, mentre destano a meraviglia per ciò ch' è d' imponenza ed armonia, han somma scarsezza di decorazioni , e non pochi ne son privi affatto. Trovansi pure occupati in Genova nella prima metà del secolo Gio. Batta e Giovanni padre e figlio Orsolini venuti di lombardia; e due altri piemontesi, cioè Giovanni Aicardi ed il figlio Giacomo, apprezzati ambidue dalla nostra Repubblica, e scelti ad eseguire fortificazioni, ed altre fabbriche di gran rilievo.

Ma fra tutti costoro ha nome di valente artefice il comasco Bartolomeo Bianco, le cui memorie han principio innanzi al 1650, e metton fine al 1656, anno della sua morte. Come l'Alessi nella Strada Nuova, egli fostrusse grandiosi palazzi a'due lati della Balbi, aperta fin dal 1618. Niuno più di lui sfoggiò in magnificenza e nobiltà di proporzioni, ne' quali pregi lo secondava la liberalità della famiglia Balbi, per la quale alzava da' fondamenti quelle reggie ( così le chiamerò ) di privati. E a tai meriti aspirò-più che al leggiadro, e all' ornato ; non così i successori di lui che intesero a promuovere l' abbondanza delle decorazioni, che fino all' epoca del rinnovamento crebbe sempre con istile più licenzioso. A'suoi tempi ebber fama di valenti artefici Antonio Corradi, i due Poncelli, Sebastiano e Tommaso, oriundi d' Oneglia, figli e nipoti di buoni architetti. S' aggiunge un Antonio Torriglia che dal cognome si direbbe nostro, e un Girolamo Gandolfo onegliese, i quali insieme col Grigo tracciarono il grandioso Albergo de' poveri. Il vasto palazzo de' Durazzi, or Reale, bastò a procacciare gran lode tra noi a due altri lombardi, Pier Francesco Cantone, e Giovami'Angelo Falcone, de'quali altr'opera non si conosce in Genova.

Savona diede all' architettura in quest' epoca il gesuita Orazio Grassi, matematico di tanta eccellenza da sostenere controversie eoi Galileo, e noto in Roma per essere subentrato a Domenichino nella fabbrica della, chiesa di sant' Ignazio. Scrisse opere applauditissime in idioma latino d' argomento diverso, delle quali posson leggersi i titoli nella biografia che ne dà il Ratti.

La pestilenza che desolò la patria nostra nel 1656 cacciò al sepolcro o alle natie contrade questa progenie di lombardi ; e spense in Genova una scuola che •la quasi un secolo attirava a sè ogni lauta commissione di fabbriche. Furon vittime di tal' anno il Pennone, l'Orsolino, il Falcone, il Bianco, il Gandolfo, il Sebastiano Poncelli ; già da parecchi anni era morto il Grigo; de' rimanenti non s' ha memoria dopo il tremendo flagello. Nella seconda metà di questo secolo non conosciamo architetti che lavorassero fra noi, ne forse s'alzaron fabbriche se non di lieve momento. Nel xviu, gli scultori, mossi per avventura dall' assoluta mancanza di artisti, coltivarono il magistero delle lince, e tra questi specialmente Domenico Parodi e il Ponsonelli; ma la lor'arte non si stendeva oltre le decorazioni d'altari, o di simili prospetti da compiersi con lieve affare, e seguiva ciecamente, se già non peggiorava, il malo stile predominante a' lor tempi. In tanta penuria ebber lucri ed applausi due Ricea venuti da Oneglia, Giacomo ed Antonio, padre e figlio. Quando fu mestieri di chi dirigesse opere di gran mole, si adoperarono altri esteri, e singolarmente nelle militari. Servì alla Repubblica in qualità d'ingegnere Giovanni Bassignani, già noto per le fatiche sostenute nella guerra di Morea, ove seguì le venete armate. Suo discepolo ed aiuto fu Gherardo Langlad , a cui dobbiamo l' ardito ponte di Carignano ultimato nel 1724. Gio. Luca Ildebrand nato in Genova di padre svizzero era tale ingegnere da recar utile e splendore allo patria ; ma vissuto ora a' servigi dell'imperatore Carlo VI, ora del principe Eugenio di Savoia, non lasciò fra noi monumento che ci ricordi il suo nome.

Intanto colla estrema corruzione del gusto andava di pari passo il disonore e il basso concetto dell' arte. Al titolo di maestro che davasi ne' primi tempi a' disegnatori e direttori di fabbriche, e a quello d' ar

thitetto, invalso nella miglior' epoca dell' arte italiana era succeduto quello di capo d'opera, quasichè ogni Talore consistesse nella semplice, direzione de' mancr vali ; rie in miglior credito eTan tenuti da'cittadini i cultori di si nobil- arte. In queste Condizioni giaceva essa, quando fu istituita la nostra Accademia.

Ma come l'architettura non dovesse mostrarsi àn meno delle arti sorelle, che presto s'avviarono a gloriose riforme, sorse- un genio che la trasse da quella ignominia, e aperse il campo a nobilissimi studi. Andrea Tagliafieni nato nel 1729 con un genio che il portava direttamente all'esercizio delle linee, non prima fu adulto, che misurando colla mente il passato^ senti vergogna, che la patria non avesse un nome da contrapporre agli ottimi'architetti italiani. Risolvette di torle, per quanto in lui stava, cotal macchia -, e con ogni forza, d'ingegno e di volontà si mise: al cimento. Senza scorta, o consìglio.di maestrr ( ehè- non potea provvedergliene la pàtria•) conobbe la retta strada clic potea guidarlo a perfezione,, e Schifando il matto stile de'contemporànei,:tutto si diede ad imitar gli antichi, disegnarne i prospetti,e le piante, misurarne le proporzioni con incredibtte assiduità. Sforzo ammirabile per un sol uomo e vivente un secolo d' estrema corruzione. Tanti sudori gli valsero tra breve la agognata palma; nè. molto andò che l'istituto di Francia lo ascrisse a socio corrispondente,- e il Ligure a membro ordinario. Le.turbolenze dei tempi gli contesero gran parte delle sue glorie. che i progetti rimasti di lui siiperan di gran lunga i suoi disegni eseguiti in. Genova o né' sobborghi, e potrebbero crescer fama al suo nome, ove fossero pubblicati per mezzo dell'intaglio. Cessate le pubbliche calamità, fu chiesto agli stipendii del dominante Governo francese, e in tal carica mori l'anno 1812, dell'età sua ottantesimo terzo.

Ebbe, vivente ancora, il conforto di veder segnaci de'proprii esempi quanti tra i genovesi si rivolsero all' arte, tra' quali si rammentano con lode i due fratelli Pellegrini, il Poggi, lo Storace, il Cervetto e il colonnello ingegnere Giacomo Brusco. Parecchi stranieri facean eco alle sue massime, e secondavano il nobile intento di tornare in affetto l'antica semplicità; come un Giacomo Gaggini, un Lorenzo Fontana, e sovra tutti Simon Cantone svizzero, artista di genio vasto, a cui saran sempre testimonii di gran merito il Palazzo ducale e la maggior chiesa del Portomaurizio.

Degno suggello a questi cenni è il nome di Carlo Barabino, nato in Genova nel 1768, e rapitoci dal cholera nel 1835. Da giovinetto s'iniziò all' arte nell' Accademia Ligustica, e proseguì suoi studi in Roma fino al 1794. Educandosi a' bei tipi dell' antichità, e ritraendoli con paziente fatica, riuscì disegnatore invidiabile , e maestro profondo in ogni parte architettonica. Venuto in molta rinomanza per vittorie ottenute ne' concorsi delle principali accademie, fu scelto dal Governo di Francia insieme col Soli e l'Albertolli a decidere sul progetto del Foro Bonaparte in Milano , come uno de' più autorevoli giudici che in fatto d' architettura avesse di que' giorni l'Italia. Non v' ha recente opera, non ampliazione od abbellimento fatto in Genova che non uscisse dalla sua mente; di che ci apprestiamo a dar conto nel progresso del libro. Sedette direttore della sua facoltà nella patria Accademia, e professore d'architettura civile nel Regio Ateneo ; per i quali servigi, e per riconoscenza del suo merito fu insignito dal Re Carlo Felice dell' ordine de' SS. Maurilio e Lazzaro. Molti disegni rimasero ineseguiti dopo la sua morte, donde s'aperse campo a' successori d'emularne la virlù, al Municipio di serbarne lunga memoria, mandando a compimento i progetti maturati da lui. Si faccia fine con una lode che gli si debbe, e che forse non ci avverrà di tributargli in progresso : d'uomo cioè versato nelle gentili discipline, e fornito di quella coltura, che se raramente si trova negli alunni delle arti, non può tuttavia scompagnarsene senza che a loro ne torni danno e disdoro.

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