Saturday, August 13, 2011

Guida artistica per la citta di Genova, di Alzieri

GUIDA ARTISTICA

GITTÀ DI GENOVA

L' Editore a forma delle convenzioni stilla proprietà letteraria colla Francia si riserva il diritto di farne eseguire la traduzione in francese, pel termine in esse stabilito.


SESTA ED ULTIMA GIORMTA

Dulia Porta dell'Arco n' baluardi di S. Tommaso pel novissimo recinto.

1 olgeano le prime decadi del secolo decimosettimo quando Carlo Emanuele duca di Savoia, che struggeasi da gran tempo del dominio di Genova, tornava con maggior lena alle passate macchinazioni, seminando il sospetto e i travagli nell' animo di quanti erano zelanti della cittadina libertà. Già proclamati e difesi i comuni diritti, puniti a morte i traditori, spianate o confiscate le case de' ribelli. opposte con vittoria armi ad armi, la nostra Repubblica avea soffocate le insidie, e con ogni argomento divino ed umano procacciavasi di ridonare allo' Stato quella dolce tranquillità che da molti anni vernagli intorbidata da un nemico ambizioso di conquiste, pronto ed instancabile nelle arti che più presto e con minor pericolo conducono a

A

vittoria. Ultimo sforzo di generosa Repubblica fu il ricingere la città di novelle mura, le quali facendo cortina sul ciglio delle imminenti montagne, tutelassero le discese per cui la città medesima s' avvalla, mal sicure in addietro dalle soldatesche leggere. Mentre nella città e ne' borghi sorgean templi votivi al Dio della pace e della giustizia per allontanar la procella, il Doge e i Collegii si recavano in processione con pietosa solennità fino al Capo di Faro, e quivi sulla traccia segnata al circuito calavano la prima pietra con analoga memoria; che fu il dì 7 dicembre del 4626. A tanta mole di lavoro rispondeano i mezzi; e prima quanti ingegneri e architetti o stranieri o nostrani viveano in Genova con grido di eccellenti, tanti ne chiamò il Governo a proporre disegni, a consultare delle fondazioni, a discutere de' modi più acconci, a dirigere le cominciate opere. Ci restò memoria del P. Vincenzo Firenzuola 1, di Carlo Petraccij di Paolo Risso, di Sebastiano Pomelli, di Bartolommeo Bianco e di Giovanni bicordo, tufti artefici occupati in quell' impresa o consultati dal Senato Serenissimo, ai quali si vollero aggiungere per maggior sicurezza D. Giovanni dell'arena e il celebre Carlo Fontana, chiamati l'un da Milano e l'altro da Napoli. Il lavoro interrotto pel corso di quattro anni si ripigliò con più ardore nel -1630, promulgati prima alcuni decreti che la necessità parve suggerire in negozio di tale momento. Fu imposta una tassa sul capo d' ogni cittadino che passasse i tre lustri, da una lira insino alle cento secondo la condizione d' ognuno, con legge che i più ricchi, e coloro che non avesser famiglia contribuissero la somma di duecento. Non lievi sussidii si cavarono dalle Compere di S. Giorgio, da'collegii de'notari, de'giusdicenti e de'medici, dalle confraternite religiose e dalle società degli artigiani, e dagli altri corpi morali, tranne

1 Questo P. Firenzuola fu Vincenzio Maculano,
(itolo che gliene fu dato. Dilettossi d'architettura, di che arca gran perizia; e diresse co' suoi disegni alcune importanti fabbriche nella Liguria ed in Roma: nella qual città mori l'anno 1667, otlantanovesimo della sua età. Così il Ratti nelle sue note al Soprani. — Quanto la Repubblica si giovasse di lui pei lavori della nuova muraglia , si raccoglie da parecchi consulti esistenti tuttora nelle filze del civico archivio.

il clero; tantochè ( scrive il nostro GUraio Carbone ) ragunarono per l'opera da sopra due milioni e centomila lire; e molto più avrebbero ottenuto se dagli ecclesiastici, che quasi la metà dei beni del dominio si godevano, non fosse stato negato di concorrere alla santa impresa. Un altro decreto ordinò che ogni altra fabbrica s'interrompesse per lasciare a questa ogni manovale; e videsi una sterminata moltitudine di muratori affaccendarsi sulla linea del nuovo recinto , e non meno d'ottomila operai costrur macchine, approntare arnesi, e travagliarsi a superare le difficoltà delle più scabre montagne. Per ultimo eletto presidente a' lavori il patrizio Giacomo Lomellino, si proseguì con tanta sollecitudine, che nel dicembre del -1632 potè dirsi ultimata la cinta, e rinnovato l' esempio de' Padri, che nel secolo duodecimo opponevano con incredibile ardimento fortissimi ripari all' audacia del Barbarossa. Volò fama della vasta opera che in tempi men felici simboleggiava le grandezze della Repubblica, e lo stesso Pontefice Urbano Vili chiese un tipo de' maturati lavori. Di che fu compiaciuto dal Senato, che ad Andrea Ansaldo (il miglior prospettivo di quella età ) facea delineare in prospetto ed in pianta le nuove mura, e a quel Papa le inviava in dono, e una seconda veduta, opera del medesimo artista, allogava come imagine del fatto, nelle sale di Palazzo. Una terza, disegnata e colorita con aggiunte di graziosi parerghi dal fiammingo Cornelio Wael fu mandata da Genova al Re di Spagna.

Dall' ultimo lembo di Garignano ove il Bisagno si tuffa in mare, ch' è il Iato estremo ad oriente di Genova, si diparte il recinto del 4630, e correndo per alcun tratto e con varii angoli la pianura denominata dal torrente medesimo, guadagna presso il borgo degl' Incrociati le alture. Sovr'esse pure ascendendo, secondochè si rialza la catena de'monti, signoreggia le valli di Marassi, di Staglieuo e de'comuni adiacenti, bagnate dall'impetuosa fiumana, sino a che giunto al vertice dello Sperone si ripiega in linea angolare e si volge a cavaliere delle ridenti colline della Polcevera. Quinci, lasciandosi a tergo le sue pittoresche vedute, inoltra pel pendio di santa Maria degli Angioli, e curvandosi e secondando il promontorio di S. Benigno scende nuovamente al lido, ove si congiunge a'ripidi scogli della Lanterna. In tanto correre e serpeggiar di muro, che misurato somma a 54981 palmi genovesi, danno adito alla città otio porte, distribuite secondo la natura de'luoghi. Le principali han nome della Pila e della Lanterna; questa incammina chi esce sulla nuova strada romana; a quella s' affaccia il viaggiatore tostochè dall' ameno sobborgo di Sampierdarena ha vagheggiato l'incantevole panorama di Genova. La prima, costrutte appena le mura, fu ornata d'un ordine dorico in travertino e di una statua di Maria nostra Regina dal lombardo Domenico Scorticone; la seconda, abbellita sui principii dello scorso secolo ebbe simili fregi dal massese Ponsonelli. Dal Iato di levante. poco si disgiunge una seconda porta dalla suddetta , e a questa si dà nome di Romana, perchè guarda diritto alle pianure di Terralba, principio della strada orientale finchè la pubblica munificenza non ispianasse l'attuale, più nobile ed ampia a' pedoni, capace di carreggio. Non sì tosto gli arditi spaldi guadagnan l' erta imminente al popoloso borgo di Bisagno, una terza più modesta introduce alle sommità di Montaldo donde si scende all'aprico Zerbino; e una quarta, se pur duri a salire, ti mette in città per la calata di S. Bernardino che giù si precipita per non breve discendere fino alle delizie dell' Acquasola. L'una e l'altra son nominate dai luoghi. Tiene il sommo del giogo la quinta porta che diciam delle Chiappe e che pur mira a levante, d' onde si domina il seno marittimo, e i promontorii che il ricingono in parte, nonchè le moli che grandeggiano sulle eminenze; stupenda

scena che producono a gara e l' arte e la natura. Poi, vòlto che tu sia per subitaneo giro a ponente come vuole il piegar della cinta, si apre una porta sul ripido declivo di Granarolo che mette radice nella nobile contrada di Fassolo, e un'altra a Santa Maria degli Angeli. ove il muro lasciandosi a fianco i promontoriì di Belvedere cammina ad unirsi alla Lanterna. Quivi, regnante Carlo Felice Augusto, s'innalzò più comoda e munita porta, che breve tratto si spinge oltre i limiti fissati all'antica, robusta di forme, fiancheggiata di baluardi inespugnabili, ricinta di fosso, comoda a'passaggeri per doppio arco. Cosi descrivo il recinto a chi'l percorre al di fuori, nè fa mestieri ch' io aggiunga, come dentro dalle mura si formasse, per quanto è lungo il lor corso, una strada agevole alla condotta delle artiglierie, e all' ordinata disposizione delle milizie; o come alle mura stesse s'addoppiassero le difese con baluardi, e mezzelune, e fosse, e rivellini e con tutti que'mezzi che l'arte militare consiglia, e suggerisce la natura alla tutela di Città bella e possente.

Con chi segue i miei passi mi convien tenere altro stile. Se da un' altura ( chè più d'una ne salimmo ne' giorni addietro ) vedeste quel vago alternarsi di collinette che lentamente curvandosi fan corona al nostro seno, or pingui di bei colti, or ridenti di signorili giardini, ora ingemmati di superbi palagi e di chiesuole e di villerecci casini, sappiate esser questo il cammino eh' io- ho serbato a conclusione del debito che mi corre verso il cittadino, e verso lo strano che si reca a visitar la mia patria. Principio e fine di questa giornata saranno i borghi di S. Vincenzo e di Fassolo, punti estremi della città, dove i colli suddetti paion muover sua linea e compirla. Tutti si distaccano, come rami d'altera pianta, dal monte Peraldo che si leva gigante a tergo di Genova, e l'un dall' altro si dividono per amene vallette che inviano al mare il tributo de' loro torrenti. I nostri antichi dissero Montesano quell'altezza, sì limpida aria vi respiravano, e vi mettean soggiorno per refrigerio a' calori estivi. Secondo che gli studi della vita, e le arti d'industria, e il popolo crescente aumentarono i bisogni delle fabbriche, si copersero di abitazioni le falde di que'monticelli che prima ponean radice sul lido, finchè ne uscì la città ch' or pare così superba. S'io numeri adunque nell' intero circuito quelle balze ove ci attendono mille bellezze, non farò opera vana; poichè oltre al segnar con chiarezza le tracce di quest' ultima gita, crescerò lume all' intelligenza topografica dei luoghi già descritti. A levante ( chè da quel lato abbialo fermo di muover passo ) si rialza dal Bisagno e fa lembo alla curva il promontorio del Zerbino, che in breve corso ha gran decoro di monumenti, e gran riso di palazzetti. a' quali pare annunzio quello che il marchese Vincenzo Ricci possiede a cavaliere del torrente, dipinto con bella prospettiva gotica sulla facciata dall' egregio M. Canzio. Presto declina il colle, partito dal vicin Multedo per un fossato che dalla prossima chiesa è appellato di S. Bartolommeo, e che versandosi per lungo tratto all'aperto, vien raccolto nelle chiaviche del piano di S. Vincenzo e condotto fuor di città. Le frequenti costruzioni e le spianate (com'è la deliziosa dell'Acquasola ) mutarono aspetto alla collina di Multedo, non meno ricca di pregevoli oggetti, la quale confinava anticamente alla regione di Luccoli, e colle acque della sua valle formava il rivo torbido dal Ponticello fino alla Marina. Per continuo rialzo si spinge al mare la terza cresta ricisa dalle vecchie mura presso al Portello; poichè da Santa Maria della Sanità che ne tiene il sommo, scende a' Cappuccini, regge la villa Dinegro, risorge in Piccapictra, quindi inoltra a sant' Andrea, e finalmente in Sarzano s' arresta alla spiaggia. Succede a questa l'eminenza di Castelletto, staccata da un fossato, il quale s'impingua di varii rigagni che scendono dalle alture di sant'Anna, e inoltrando per linea quasi diritta alla Dogana, quivi si tuffa nel porto. È congettura che questi luoghi vantino più antiche abitazioni cittadinesche; ma è certezza che l'aria finissima le conservava presso i nostri l' appellativo del principal monte da cui si dirama. Iuchina il destro lato all' angusta pianura di Vallechiara, donde si rileva il colle di Carbonara j e il torrente che li separa corre per sotterraneo condotto alla piazza di Fossatello, quinci al Ponte delle Legna ove muore. Le acque che derivano da questa seconda eminenza corrono a dilungo le contrade nominate da essa; poi attraversata la piazza del Guastato e la strada del Campo e la nuova Carlo Alberto trovano il porto. Succede altro colle, che s'atterga per buon tratto alla via Balbi, e vicin di santa Brigida è precluso sul fianco dal fossato di Bocca di Bò, che passa sotterra a mezzo il borgo di Prè, e mette foce nell'Arsenale. Poi Monte Galletto j ultima pendice del Peraldo, fiancheggiano due rivi; l' uno ad oriente a cui gli antichi dieder nome di santo Sepolcro, poscia di sant'Ugo che lambe le falde al modesto promontorio della Provvidenza , l' altro ad occidente che, raccolto tra questa e la montagna attigua in artificioso bacino, ha dato il nome di Lagaccio alla valle. Quinci, ove principian le contrade illustrate con superbi monumenti dai Doria, s'innalza con sue delizie la prominenza di Granarolo, come a far loro un degno anfiteatro. Dà faccia al mezzogiorno , e prosegue coronato di palagi e di chiomati boschetti, finchè il torrente di Montesano o S. Francesco di Paola non descriva un' altra collina che si distingue a tal nome; e non mollo lungi scendono le acque versate dal colle degli Angeli; le une e le altre si confondono al mare, quelle presso la chiesa di S. Teodoro, queste rasente S. Lazzaro. E finalmente alcuni promontori di minor conto e d' eguale altezza s'incurvano grado a grado sulla linea del seno, e vanno a congiungersi alle scogliere del Faro, che fan termine al nuovo recinto.

Per questo, il dirò cosi, semicircolo che pur da lungi sorride a' nostri occhi con vaga pompa di chiese, di palagi e di ville mi convien guidare il lettore; e so ch' ei n'avrà tal diletto da gratificarmi dell'invito; cosi bene s'alternano a chi 'l percorre le naturali bellezze ai prodotti dell' arte. Chi è male in gambe si procacci cavalcatura. Da ogni parte, o ti volga a'luoghi popolosi che ci lasceremo sotto, o sulla destra misuri le valli che s' approfondano a vista delle mura di cinta, o l' occhio inoltri di fronte, ovunque le liete verzure, le balze ridenti eia catena de' monti che s' aggiogano all' Apennino

ti daranno una vista si varia da non satollartene a gran lunga; o se pur lai bellezze potessero darti noia, eccoti a non lunghi intervalli ove riposarti in luoghi pubblici e privati, e ricrearti o con opere d' arte insigni, o con imagini di beneficenza, o con gradite memorie. Ma (orse io cerco d'invogliare chi mi va innanzi ne' desiderii, comechè mi tardi l' ascendere; chè il metter piede in men che non si dice dalle vie frequenti di popolo a colline deliziose è inusata dolcezza al forastiero, e singoiar pregio di questa terra. Ora, siccome il nostro cammino dee cominciare e far capo a' luoghi piani che d' ambo le parti s' uniscono per retta linea alla vecchia città, così scegliemmo a principio il borgo di S. Vincenzo, a fine quello di S. Teodoro , sestieri incorporati ad essa nei lavori dell' or descritto recinto.

0 sia che il fresco diletto dell' Acquasola vi abbia colà ricondotti a spirar le prime aure mattutine, o sorgiate dal riposo con animo di porvi senz'altro indugio al cammino, giungerete a quest' ultimo borgo, purchè secondiate il discendere delle strade. Esce a S. Vincenzo una porta cosi detta dell'Arco, decorata all'esterno con maestoso e robusto ordine dorico in travertino da Taddeo Carlone. che pur fece la staira di santo Stefano ch'è sopra l'arco in nicchio quadrato, opera di pochi giorni, commessagli frettolosamente in occasione di certa solennità. Divide in due l' ampia strada a non molti passi una casa modesta a cui non mancau memorie artistiche, degne a dirsi, se m'è lecito dar luogo in una Guida ad opere perdute. Questa si fabbricò nel seicento un G. B. Nascio uomo agiato e amantissimo di pittura quasi a diporto campestre, chiamando a dipingerne le stanze non meno di quattro valentuomini, cioè G. B. Carlone e Valerio Castello per le figure, P. Brozzi per gli ornamenti, e Gio. Angiolo Vicino per belle aggiunte di marine, di paesi e di prospettive. Morto lui, fu spacciata per quelle opere, poichè i nuovi possessori, avidi del lucrare fecero di esse quel conto che il gallo della gemma. Restarono le figure mitologiche a chiaroscuro che il Carlone avea fatte all' esterno, perchè l'avarizia non avea sull' esterno ove por l'unghia; e rimangono anche oggi, ma cancellate in gran parte dal tempo, e peggio ancora travisate da restauri.

Certo è ch'oltre a questa, più case o palagi di villeggiatura sorgeano in questa distesa di terreno che si univa alle pianure del Bisogno, prima che il circuito delle mura ne limitasse il corso e le desse aspetto di città. Anzi il nome di quel torrente si stendeva a' luoghi presenti,

Atunni. Guida di Genova Voi. II. 35

i quali, come rilevo da carte antiche, servivano ad orti e seminaggioni, lasciando appena un sentiero che serpeggiava per le vicine abitazioni e conduceva alle borgate adiacenti. E lunghesso il sentiero esisteva da remoti secoli un' umile Chiesa dedicata a S. Martino, che abitata in progresso da varii Ordini, e da un di questi rifabbricata, è conosciuta attualmente sotto il titolo di Sarta Maria Della Pace.

Dalla sua postura avea tolto l' appellativo di Sanctus Martinus de Via che ritenne fino al mutarsi del titolare nel decimoquinto secolo. L' origine di questa chiesa o cappella si ravvolge nelle tenebre dell'antichità; ond'è mestieri, come di tant' altre, cercarne le prime notìzie, e da quel punto ordire un cenno della sua storia. ÌNiuno potè spingere le indagini oltre il 4432. o a dir meglio non potè rinvenire documento più antico d' un atto di Siro II primo arcivescovo di Genova, il quale enumerando i luoghi concessi alla Cattedrale per la riscossione delle decime donate ad essa, fa menzione della chiesa di S. Martino e della strada che correva dal Bisagno alle porte della città ( oggi di sant'Andrea ) rasente alla medesima e allo spedale di santo Stefano 1. Nel 4386, venuto a Genova il Pontefice Urbano VI sottomise quella modesta chiesuola all'insigne abbazia di santo Stefano, e cosi divenne priorato de' Benedittini; ma non per questo vantaggiò nel culto o nello splendore , com' è destino delle piccole cinese subordinate alle maggiori. Così stette fino al 1489, quando fu chiesta a lor dimora da'frati Amadeiti propagatisi in Italia, e prima nella Lombardia, fin dal 1460, così nominati dal lor fondatore che fu il B. Amadeo di nazion portoghese, riformatore dell'ordine minoritico. Era in quel tempo commendatore perpetuo della suddetta abbazia Ibleto Fieschi protonotario apostolico, e la concessione agli Amadeiti fu stipulata in qu lità di suo procuratore da Lorenzo Fieschi, il quale dopo lui tenne la medesima dignità. Circa la data non s' accordano gli scrittori delle cose ecclesiastiche. Vogliono altri il 4486, altri ( fra'quali il Montaldo ) il U90, e l'Accinelli l'anticipa fino al 4479, appoggiandosi all' atto notarile scrittone da Pietro Vernazza, che forse non vide o lesse in iscorretto esemplare 1. Io di buon grado per questa e per altre notizie mi son confidato ad uu documento che va unito ad una cronaca dell' Ordine manoscritta , della quale mi avverrà di far motto nel progresso dell'articolo, e che mi venne comunicata per cortesia de' RR. Padri. Ivi leggo che

1 Donalio decimae — In nomine sanclae et individuae Trinilalis. Amen — Ego Syrus Dei gratta ecclesiae servus et episcopus januensis licet indignus atque sanctae romanue

ecclesiae cardinalis

fratribus canonicis sancti [.aurentii eorvmque successoribus in perpetuimi auctoritate sancti Spiritus et nostri pontificatus damus et concedimus atque roboramus, scilicet totam decimavi de cunclis domnicatis quae ipsi qui habilant et habitarunt in civitale Janna et burgo et castro fecerint tam in praesentibus quam in futuris temporibus per terminos a fumine Bisogni usque ad {lumen Sturlae et desuper per stratam Romeam usque ad mare, ita ut in eodem loco iam dieta decima sit eis vcl illorum missio data et consignata. — Insuper concedimus eis et confirmamus, pleniusque corroborami lotam decimam de Calignano tam de domnicatis quam et de aliis locis per quam libet laboratis et simul cum tota decima de Ravecca per terminos a flumine Bisogni usque ad mare, et per viam quae venit a Bisogno ante S. Martinum et ante ospitale S. Stephani usque ad porlam civitatis. in

simut cum tota Ravecca, usque ad mare eie. —

Facta est haec donatio et concessio atque affirmalio anno Uorninicae [ncarnationis millesimo centesimo trigesimo secundo, seplimo idus noi). Indiclione x. — Quest' atto è rogato
1 Egli aggiunge clic l'atto fu approvato da Pp. Sisto IV, ed era necessario al suo intento; ma questo Pontefice non fece che accordare agli Amadeiti la facoltà di estendere in sei luoghi la propria religione, e quand'essi ottennero la chiesa di S. Martino teneva il soglio di Roma Innocenzo Vili successole di lui.

la chiesa priorale di S. Martino fu ceduta per atto rogato da Pietro Vernazza nel -1489 a' 44 d' agosto a' frati Silvestro da Cremona guardiano e commissario, ed Isaia di Varesio, ob»ervantiut sancti Francisci sub nomine beati Amadei per aumento del divin culto, insieme alla casa e terra attigue, la cura delle quali era affidata in quel tempo al P. Gregorio Verzura claustrale di santo Stefano e designato priore della chiesa medesima. Leggo che l' Abate commendatario in un co' monaci Benedittini imponean l' obbligo a due Amadeiti d'alzare a proprie spese o dentro o fuori della chiesa una cappella iti cui si perpetuasse il titolo di S. Martino de Via, e che ad essa venissero assegnati tutti i redditi, frutti e proventi de'beni pertinenti alla chiesa, e a semplice richiesta dell' abate e de' monaci comprar di tai fondi tanti luoghi in S. Giorgio che bastassero alla rendita annuale di lire dodici di genovini in numerato. E finalmente in quest' atto, disteso nel 4497 nella sacristia di S. Martino dal notaro apostolico D. Urbano Granello, leggo, che quindici Amadeiti (la maggior parielombardi ) riconoscevano e confessavano la verità delle circostanze suddette.

Ma, entrati appena i riformati del B. Amadeo, chiesero a Papa Innocenzo Vili la facoltà di sopprimere il vecchio titolo e la qualità di priorato, di dare a terra quell'angusta chiesuola, e d'alzarne da' fondamenti una più nobile ed ampia sotto l'invocazione di santa Maria della Pace. E il Pontefice, in nulla derogando agli atti anteriori annuì benignamente a' lor desiderii con breve del 29 marzo 4490. Ciò nondimeno non ci è chiaro che gli Amadeiti usassero dell'assenso papale; e puossi dubitare che fino alla loro estinzione durassero e il titolo e la chiesa quali erano per lo innanzi, cagione forse o la penuria de' mezzi o le controversie che insorsero coll' abbazia di santo Stefano. Diffatti, malgrado il consenso del Papa circa la mutazione del titolare, si continuò a tener quivi l'imagine di S. Martino, e consunta dagli anni un'ancona dipinta nel 4454 1, fu rinnovata in tela e posta nel coro, donde passò in varii luoghi della chiesa, e ultimamente fu collocata sopra la cantorìa.

Durò la riforma degli Amadeiti in questo convento fino al 4568, quando il santo Pontefice Pio V ne abolì il titolo, soppresse i ministri, e incorporò 1' Ordine alla regolare osservanza di S. Francesco. Chi vuol saperne più minuti particolari, consulti un brano ch'io scrivo in calce, estratto dalla cronaca nominata di sopra 2. Per miglior ordine e brevità io seguito a dire, che i PP. Ossei vanti appena ebbero il possesso della chiesa di S. Martino, pensarono a giovarsi dell'indulto d'Innocenzo, distrussero quel modesto tempietto e innalzarono l'attuale più decoroso e vasto ponendogli il titolo di santa Maria della Pace. Pronta fu l' opera mercè le cure de'novelli frati e il sussidio de'benefattori, tra i quali vuol nominarsi il patrizio Stefano Pasqua che a sue spese facea costrurre l' aitar maggiore ed il coro; di guisa che la nuova fabbrica, assenziente mons. Cipriano Pallavicino arcivescovo di Genova, addì 6 giugno del 4573 venia consacrata da fra Antonio Paglietino monegliese vescovo di Brugnato. Ma non giunsero a godere per sei lustri il frutto delle lor cure; poichè il Pontefice Clemente Vili v' introdusse nel -1597 i PP. minori riformati che tuttavia l'amministrano 1.

1 Cronaca suddetta.

2 Patribus de congregatione Amadea hìc convenivi a sui exordin ad annum utque a virgineo partii 1368 inservivit; tempore etenim pontificatus Pii V Pontificis maximi cum Clarenis ac quibusdam aliis ( reiecto Amadei vocabulo et nomenclatura nec non provincia ac provinciali ministro pròpriis exautoratis et deposilis) in omnimodam regularem ob servantiam transierunt, subiectis interim monasteriis, et olim almae provinciae genuensis ambitu circumscriptis, 14 maij in capitalo provinciali Basignanae sub assistentia Ti. P. Angeli Justiniani commissarii celebrato, curae et regimini P. Antonii a Murano ministri et aliis, illi provinciae vbser vanti ( intra cujus limites continebantur ) assignatis et ad scriptis. Observantibus praelerea usque ad annum 1597 hic locus obsequutus est, et ab eo tempore patribus reformalis ex indulto Clementis Vili adaclus est, et usque modo sub illis tandem feliciter perseverai. — Cronaca suddetta.

Diversi personaggi cospicui intesero a decorarla di reliquie. Zenobia moglie d'Andrea Doria donò 'al P. Gio. Andrea da Genova suo confessore il corpo di sant'Eleusippo, e Battista Rivarola quello di S. Teodoro, recati ambedue con grande solennità e riposti nella chiesa, com' anche le spoglie di S. Miliano martire trasportate di Sardegna, e composte quivi sotto uno degli altari il 30 ottobre del 4645. Aggiungono gli scrittori una spina di Cristo e la man destra di sant'Elena ed altri preziosi doni, che noi non noveriamo distesamente, bastandoci il dimostrare, quanta fosse la benevolenza che i suddetti Religiosi seppero acquistarsi ne'cittadini; principio e base a durevole stato. V ha chi arguisce (e non tortamente) la dignità de'templi da' sepolcri e da' monumenti; usando i privati bramar riposo alle lor ceneri ove la pietà del culto è nutrita con maggior studio; nè da questo Iato mancò di splendore la chiesa di santa Maria della Pace. Il benemerito Stefano Pasqua v' innalzò marmoreo cenotafio alla memoria del suo fratel gemello il cardinal Simone, prima vescovo di Sarzana, ed uno tra i padri che intervennero al Concilio di Trento, morto in Roma -nel 4565; e v'apparecchiò una tomba per sè e i suoi discendenti. E nel 4608 in maestosa arca vi fu sepolto il patrizio David Vacca doge della Repubblica nel 4587, e il pavimento gremivasi di sepolture richieste in varii tempi da nobilissime famiglie. E due altre rammentavano il nome, e chiudevan l'ossa di nobilissimi ingegni. Nella tomba de' Casoni, Giambattista di questo cognome per devozione di discepolo e per amore di cognato componeva la spoglia di Domenico Fiasella pittore esimio con lapide che lo onorasse ne' posteri 1; e Anton Ma

1 La cronologia di questa chiesa è ristretta in alcuni distiei che fan seguilo alle memorie manoscritte del convento, e scritti dall'autore de le medesime:

Ordo ab Olivelo Martini contulit aedem

Sexlilì medio fratribus Amadeis, Mille quatercentis Christi currentibus annis, Si decies octo dicimus atque novem. Anno transacto firmando praesule summo In Pacis temphim crescit et omen habet. Maximus inde Pius V suis unii et arctat Quindenis lustris lapsis et acla probat; Unde patrum sibi hoc tenet observantia prima Francisci decies ter radiante polo. Ac tandem asseclis datur veris adesse Minorum, Arcerique fratres legis amore Patris. Anno 1597. 2 maij. 1 D. O. M. — Dominico Fiasellae tarzanensi — piclori

ria Maragliano scultore di quel genio che ognun sa, disponeva in morte che le sue ceneri trovassero sepolcro in questa chiesa nobilitata da' suoi scalpelli, e presso questi padri verso i quali professava particolar devozione ed affetto. Cosiffatte memorie che passano ignote alle menti volgari, ma che al giudizio de'savi commendano i luoghi religiosi, invidiò alla chiesa la fortuna de' secoli. Nella general soppressione degli Ordini regolari a cui soggiacque nel 4841, non so quanti documenti e d'arte e di storia vi dissipassero la rapina e la negligenza; destinato il santuario della Pace a ripostiglio di arnesi da guerra, e dischiuso il convento a ricettacolo di chi primo chiedesse a fitto le stanze. È doloroso dopo tanto strazio il numerare le perdite; ma ci stan fitte nella memoria due tavole di scuola fiamminga che decoravano l'aitar di sant'Anna, opere squisitissime alle quali dan lode le guide antiche, e tributa un singoiar cenno la cronaca de' Riformati 1. Viene spontaneo il desiderio di sapere se i PP. riammessi nella lor chiesa studiassero a rifarsi del danno, e se a tale scopo mirino i presenti; e un tale esame ci darà conforto. Rivendicato quanto fu possibile dopo que' torbidi, tornarono le opere a' primi luoghi, più altre se ne aggiunsero, altre si ristorarono e si ristorano; rifiorì il culto, e con esso crebbe l' am re d* accrescere e custodire le bellezze del tempio. Mi sia lecito, sul punto di far principio alla descrizione, il lodarne i PP; affinchè non paia effetto di malvolenza il biasimo che m' esce di bocca in altri luoghi, ma sincero desiderio che ogni esempio pernicioso si corregga coll' emulazione de' buoni. Egli è vero che gli affreschi onde s'intese ad ornar questa chiesa e prima e dopo la soppressione non rispondono del tutto alla dignità di essa; ma fu colpa degli amministratori se l'eta non dava in copia i valentuomini, o se i mezzi non bastarono per affidare ad un solo, e in un epaca sola i lavori del tempio intiero, per procacciargli almeno unità ed armonia? S'io dò uno sguardo ai dipinti, sia della grande ed unica nave, sia delle cappelle, sia del coro e del santuario, debbo persuadermi (sebben l' occhio non resti pago) che a quest'opere, salvo pochissime che lasceremo al silenzio, s'invitò l' artista di più rinomo, e cercossi quel meglio che poteva dare l' età sinistra. Nè però van tutti confusi in quest' amara sentenza; v' han cappelle, v' han medaglie degnissime di lode, e per dirla in breve, più che la mediocrità de' lavori nuoce al lustro del tempio la vicinanza de' mediocri a' pregevoli. A cagion d' esempio Giuseppe Paganelli dipinse con buon garbo e con quanto studio era in lui il mistero della Visitazione nel gran vólto della navata; Angelo Persico glielo bruttò in giro con pessimi ornati, e con putti che fanno uguale oltraggio al disegno e al colorito. Non lieve discapito ne ha lo sfondo, ma forse ne ha vantaggio il figurista; mentre quel nonsochè di grazioso che pur giunse ad esprimere nella sua medaglia, si raddoppia dalle sconcezze del vicino. E piace l' affresco, il quale fra le opere del Paganelli ha pochi rivali, e forse niuno, se guardiamo alla semplicità del concetto, dote non comune in lui, nè in Genova a'suoi tempi, vagan\i nell'incertezza e nelle imitazioni. — Altri artisti mal risposero agl'inviti. Rammento di Francesco Barattaj che chiamato a dipingere la Presentazione e la Natività di Maria ne'fianchi dell'aitar maggiore, e i simboli delle di lei virtù nel prospetto del coro, fatti suoi schizzi e disegni, vi mandava ad eseguirli Giulio Ballino, come l'opera fosse tale da lasciarsi a qualsiasi aitilo; inverecondo sistema di coloro che non mirano più in là della vita Così questi tre lavori non sapresti se ascriverli all'uno o all'altro, ed han quel miscuglio di stile che le arti disdegnano, e l' osservatore ha costume di compiangere, benchè commessi ad uomo che educato sugli antichi esemplari dovea sentire tutta l'altezza e la dignità dell' artista. Più di lui merita scusa alla propria mediocrità Santo TagliaficOj che nel vòlto sovrastante coloriva la gloria di S. Francesco, e le tre Virtù teologali nell' abside, perchè stanco nell'arte, e affievolito dal peso degli anni. Come potea grandeggiare in vecchiaia, chi giunse appena a dilettare colla diligenza nelle opere virili?

celeberrimo — Jo. Baptista Casonus alumnus cognalusque amantissimus — ne mors seiungeret loco quem vita sodavi! — a/fectu — proprium tumulum communem fecit. — Obiil anno Hdclxix die xix oetobris aetatis suae — Lxxxi. —

1 Alterum ( altare ) honeslatur Pietatis icone a celeberrimo sui aevi pictore Magistro Quintino Sandro, ingeniose satis elepida, et in qua Christus dominus vita fimctus et o»lnino exanimis di eruce depositus, super syndonem reclinatui, et inter brachiii charissimae matris et Nicodemi ilio incoi vendus, alque ab aliis sanclissimis viris et mulieribus adoratui conspicitur; membraque Christi vera praecipue in conspectu obbiicere videtur. Et huic imagini altera substal oblunga et angusta, in qua Christus dominus cum duodecim apostolis in ultima coena recumbens iconice ab alio sed ignoto pie/ore non minus laudando repraesentatur.

Gli archi esteriori delle cappelle han figure di Virtù, che fan decoro al corpo mezzano della chiesa; ma non è ora opportuno l'enumerarle, poichè son frutto de' pittori istessi che poser mano nelle singole cappelle. Delle quali è tempo che si cominci per ordine la visita, poco fermandoci al quadro di S. Martino ch' è sopra la cantoria, e ricorda il titolo primitivo della chiesa, come sopra abbiam detto. Se taluno domandi del suo merito, dovremmo rispondere che la composizione e il disegno par derivare da buono artefice, e specialmente da B. Castello, ma che i ritocchi uè hanno contraffatto le tinte sino a toglierne il carattere dell' originale pennello.

Adunque la prima cappella a man destra intitolata a santo Stefano ha una tela col suo martirio d'Aurelio Lomi, opera copiosa, animata, di bel chiaroscuro, da collocarsi fra le più felici di questo toscano. È l' unica a cui le sopressioni, togliendo ogni bell' opera da' lor luoghi, procacciassero un onore; poichè fu locata sul maggior altare nella chiesa del suo titolo a co prir la mancanza della gran tavola di Giulio Romano, strappata dalla prepotenza francese all'antico affetto de' parrocchiani. Laonde sarà chi dubiti , che l' onore si voltasse in dispregio; chè troppo disuguale era lo scambio, nè quadro del mondo potea tranquillar gli animi del popolo commosso. Quivi sulla parete sinistra è l'Angiolo custode dipinto sopra ardesia dallo spiritoso pennello di Bernardo Strozzij se non m'ingannano le brutture che il cuoprono. In tale stato dura tuttavia menti'io scrivo; ma non saran pubbli

cate queste pagine ch' esso brillerà de' nativi colori, se troppo non chiesi a' RR. PP. Pure le costoro sollecitudini mi danno buon dritto a sperar molto. Un quadro col miracolo della mula che si prostra all' ostia santa recata da sant'Antonio di Padova, bell' opera di Gio. Andrea Defferrarij negletta fin qui nel chiostro, torna per loro in degno posto sulla destra parete della cappella, decorata in tal modo da tre pregevoli quadri.

Quella che vien presso, consacrata al lor Fondatore ebbe lustro condegno fin dallo scorcio del passato secolo. Dall' infermeria del convento fu trasportato al suo altare il gruppo di S. Francesco stimatizzato, scultura in legno d'Anton Maria Maragliano, ed una delle sue più espressive ed accurate. Poscia per invito de' PP. il savonese Gerolamo Brusco colorì a fresco nel vólto il Serafico in atlo d'implorare da Cristo l'indulgenza della porziuncola, e ne significò le virtù colle figure della Fede e della Carità laterali all'altare, e con altre a chiaroscuro nelle pareti, e co' due patriarchi Mosè ed Aronne sull'arco esterno. Son pitture di soave ed armonioso impasto, nè certo volgari per quel che riguarda i concetti; ma il miglior pregio è la franchezza del pennello, e T tocco magistrale, che niun gli emula in epiesta chiesa da Carlo Baratta in fuori.

Non per ciò è costui eguale a se stesso iti ogni opera che vi condusse, nè vuol giudicarsi dalla prima che incontriamo nell' attigua cappella di sant'Antonio, nel cui vólto espresse la gloria del Titolare, e parecchie figure simboliche sopra la cornice, e due della Purità e della Penitenza sull'arco. M'è ignoto in qunl anno vi s'impiegasse il Baratta; ma chi non dirà che tra questi e i rimanenti affreschi non corresse un intervallo di tempo sufficiente a farlo più ragionato e più franco nell'arte? Vi si scopre l'ingegno bollente che vuole svincolarsi da' precetti e far volo improvviso, usata brama o temerità di chi principia; ma l'ardimento non frenato dalle massime deriva in capriccio; disgusta il colorito gittato li sul muro con istile di macchia, e fa confusione, nè trattiene il disegno perchè veloce e sconsigliato, uè piacciono le espressioni, perchè fra tanta ostentazione di maestria non ascondono le puerilità. Buon per lui, che la sorte noi confuse a quegl' ingegni che sbizzarriti del primo impelo si danno perduti: di che non tarderemo a congratularci. Per ora si dia lode a Pasquale Navone, che scolpi nel 4781 il bel gruppo di sant'Antonio in atto di ricevere da Maria il celeste bambino. Non fa duopo di molta acutezza per riconoscervi la scuola del Maragliano dond'egli usciva; vi scorgo però il talento di vantaggiarsi in semplicità, singolarmente nella figura del Santo ch' è una delle più tenere ed affettuose che ci restino del suo secolo. Certe altre fatture ch' io vidi del Navone in getti o modelli paion dirmi ch' egli avrebbe giovato a sua posta il rinascimento dell'arte, se gli bastava la vita a raggiunger l' epoca in cui le felici mutazioni si maturarono per senno altrui.

La quarta cappella affida tutto il suo decoro ad un quadro di Gio. Raffaello Badaracco figurante il Presepio, che mal condotto in parte dagli anni o dall' incuria, si sta riparando per cura de' PP. affinchè al male non succeda il peggio. Non mi fo giudice se basti a decorarla quest' opera d' un manierista; so bene ch' egli ne fece poche altre ove i difetti dell' arte sian cosi bene temperati dalle grazie e dagli artifizi del chiaroscuro, e dove sien meglio in aperto le sue imitazioni tra la scuola del Maratta e del Cortona.

Rivediamo Curio Baratta nella seguente cappella di sant' Anna; non più quale alunno che muove comechessia i primi passi nell' ardua carriera, ma fatto virile, e forte di buone massime senza discapito al fervore della sua mente. La prospettiva, prediletto studio della sua gioventù, lo aiuta quivi a ingrandir lo spazio, a dare imponenza e varietà alle sue storie. Compose nel vólto una schiera d'angioli che innalzano sant' Anna alla celeste beatitudine, nel muro a destra il transito di Lei, siill' arco all' infuori due grandiose figure che ne simboleggiano le virtù: e nei peducci della medaglia principale quattro profeti del vecchio testamento con motti allusivi al suo parto. A questi ultimi ricorron gli occhi dello spettatore, veduto l'intero affresco; tanto primeggiano. Nè il debbono ad una sola, ma a molte doti che fan risponderli sovra ogni altra figura; carattere maestoso e severo, tinte robuste e intonate, disegno se non irreprensibile, destro almeno e risoluto, felicissimo giuoco di sottinsù che contiene in istrettissimo campo grandiose imagini. Somiglianti bellezze ha il resto della cappella, ma in minor grado, quasichè ne' soli profeti volesse il Baratta superar se medesimo. — Abbiamo già detto come l'altare vantasse ne' secoli addietro due squisite tavole di scuola fiamminga, l'una di Maestro Quintino, l'altra d'ignoto pennello ma non inferiore al primo. Perdute quelle opere, restò privo di quadri, con un sol piccolissimo della Titolare dipinto dal suddetto Baratta, e cosi rimane tuttora. Ma a questo eziandio provvederanno le cure de' PP. i quali han commesso una tela grande secondo il posto a Giovanni Multedoj ingegno caro alla ligustica Accademia, e contro il costume de'giovani, diligentissimo ne' suoi lavori, e vago de'migliori esempi. Nè troppo attenderemo il suo quadro, condotto oltre a metà mentr' io scrivo queste linee d' annunzio. Altri affreschi di Carlo Baratta ha la cappella del Crocifisso, una delle laterali all' aitar maggiore. E son tali da non posporsi con fretta a' precedenti, o sia che tu esamini l'ovale del vólto in cui finse la risurrezione di Cristo con arditi scorci e con tinte vaghissime, o i putti cogli emblemi della passione, d' un frescore che ritrac da' migliori affrescanti, o l' orazione nel Getsemani e l'incoronazione di spine, dipinte ne' lati con una pietà ed un affetto che invitano ad ammirarlo in piccoli spazi. Piace anche una certa unità che regna nelle parti, piacciono le linee di quadratura e gli ornati che v' aggiunse a meglio collegarle, piacciono finalmente le due figure a chiaroscuro, poste ne'fianchi della mensa a simboleggiare l' umano riscatto. Debbo soggiungere che la presente cappella è la più incolume dalle ingiurie del tempo fra quante ne colorì in questa chiesa il Baratta, solito, come pare, a ritoccar sul secco le sue pitture con x que'colpi risoluti e gai che avvivano la scena, ma cedono al primo insulto degli anni. Per siffatto favor della sorte brillano sovra ogni altra.

e brillai) quivi per più scorno a Francesco Baratta suo figlio, che nel coro e ne'lati del Sonda sanctorum si contentò di parere, più che non fosse, mediocre. Le tele incastrate nelle pareti colla gita al Calvario e la sepoltura di Cristo son cattive copie dal Rubens.

SuU' aitar maggiore posano tre grandi statue del Maraglìano: Maria Immacolata, ed i santi Francesco d' Assisi e Bernardino da Siena in atto di celebrare quel mistero, nella cui difesa cotanto si segnalò la pietà Francescana. Se il volgo dà lode a queste imagini sovra quante ne vediam quivi del suddetto scultore, io non gliene fo colpa; imperciocchè per la mole e per certo sfarzo di panneggiamenti, e per vaghi aggiunti di putti ed angioletti, e per disinvolta esecuzione hanno un nonsochè di maestoso e di grande; nè può il volgo addentrarsi ne'difetti che sui priiai sguardi s'affacciano agli artisti. Ma chi ne favellasse a costoro, vi udrebbe notare un reo metodo di pieghe, e un modellar delle parti più stemperato che non fu usanza del Maragliano, sul quale (sia detto ad onor del vero ) i predicatori del buono stile troppo aggravano i delirii del secolo in ch' ei visse. Non è utile il fermarsi a lungo innanzi a quest'opere, mentre ne ha sì gran copia la chiesa; laonde affrettiamoci a visitar la navata sinistra, e prima la cappella di S. Giuseppe.

Più modesta d'ogni altra, è la più ricca per una tavolala locata al suo altare, in cui si rappresentano gli sponsali di Maria col Santo. È ignoto l'autore, ma non la data del graziosissimo lavoro, ch' è X anno -1523 scrittovi nell' infima parte. II Ratti l' attribuisce ad un fiorentino , e paiono difendere il suo giudizio X amenità della composizione, i contorni che cercano il grazioso a preferenza del grande, e sovrattutto il colore vivace, vario, nitido; caratteri di quella scuola. V han però tratti da persuaderci che il pittore innamorasse della romana, e studiasse a fare un misto dell' una e dell' altra, come son le colonne sullo stil bramantesco, e certe mosse gagliarde nelle figure, specialmente ih quella d' un vecchio che vedendosi posposto, fa in pezzi con dispettoso cipiglio la verga. È strano che del prezioso dipinto non faccia motto la cronaca del monistero, compilata dopo un secolo e poco più da quell'epoca, e attenta nel descrivere i fiamminghi che accennammo testè; ma pure è indizio non lieve che questo fosse recato da paese straniero piuttosto che lavorato per la chiesa. I dotti vi avran materia a lunghe osservazioni, che al mio ingegno sarebber troppo ardue, e alla brevità del mio scritto soverchie. Basti a me l'affermare, che niuna opera di pittura fa ugual decoro al tempio di questa, anzi ogni opera insieme raccolta non ne potrebbe agguagliare il prezzo. Tutto il resto della cappella è un fastidio, e più ch'altro l'affresco che per buona ventura di chi 'l fece, venne a noi senza nome. Putono de' fratelli del Guidobono le due mezzelune ad olio, locate per ischerno in questo luogo dove ha sede quel gentile toscano, e dove trovaron riposo le ceneri del nostro Fiasella.

Il prossimo altare che pompeggia in ispazio meno angusto, decorato in più tempi dalla pietà dei fedeli, mantenne fino al 4766 il titolo del B. Salvatore da Orta, fulgidissima stella dell'Ordine minoritico. E finchè stette sotto quella invocazione non gli mancarono solennità di culto e memorie degne di registrarsi nella storia. Nel -1625, sovrastando a Genova il flagello delle armi di Savoia collegate con Francia, tra gli altri mezzi che si tentarono ad implorare il divino aiuto usci decreto dal Senato, che si votasse a quest'ara una messa per ciascun sabato, s'adornasse di un ricco pallio, e si provvedesse di cere pel valsente di centocinquanta lire 1. Quanto alle sue opere d' arte, è probabile che la tavola del Beato operante miracoli, lavoro di Domenico Piota, posto a fare ornamento alla sinistra parete , esistesse all' altare, prima che si commettessero al Maragliano le statue che nella nicchia ci rappresentano il soggetto medesimo. A queste, e singolarmente alla principale figura io vorrei dar molti encomii, non escluso quello della dignità e della compostezza, sommamente rare in età di manieristi. E meriterebbero assai più d'un rapido cenno, se i fatti che riguardano la cappella non ci spingessero innanzi. Ad essa mutò il primo titolo in quello di N. S. della Salute il piccol quadro che vediamo al sommo della nicchia, frutto del pennello di G. B. Salvi da Sassoferrato imitator di Guido, e gran nome in fatto di religiose imagini. Questa, siccome un tesoro, custodiva in una sua cappella domestica la contessa Anna Maria Garbarino; nè seppe dimenticarla negli ultimi istanti della sua vita, poichè ne fece legato alla congregazione de' Chierici regolari di S. Paolo, i quali secondando la pietà della testatrice, l'esposero degnamente nella lor sacristia. L' ebbe poscia, dopo molte preghiere a que' padri, il marchese Luigi Centurione; postala nel suo palagio, le portò quell' affetto che la Garbarono; e venuto a morte ne imitò l' esempio, donando a' Riformati della Pace il prezioso quadretto da collocarsi a pubblica vista entro la cappella del B. Salvatore. Tali origini ebbe il culto di questa imagine, che il 27 settembre del 4766 fu incoronata solennemente dall' arcivescovo di Genova, e visitata indi a due giorni dal Doge e da' Collegii Serenissimi, scortati dalle autorità civili e militari, nonchè festeggiata dagli abitanti del borgo con fuochi e luminarie e con altre dimostrazioni di giubilo. A'29 settembre del 4810 ricorreva l'anniversario di quella solennità, che anche al dì d'oggi si rinnova da una benemerita Confraternita che tiene suo oratorio sulla attigua piazza, quando venne intimata la chiusura del tempio. Ma la pietà de' fedeli chiedendo pure la devota effigie, la riebbe a' 25 marzo dell' anno seguente sovra un altare della vicina parocchiale, ove stette finchè riaperti i sacri luoghi, non tornasse al primo suo seggio. Di questo a suo luogo; per ora si compiano i cenni della cappella. Dopo il mutato titolo Giuseppe Paganelli istoriò nel vòlto Maria coronata regina del cielo, alludendo al solenne rito del 4766; ma la sua pittura consunta dagli anni fu rifatta verso il 4824 sullo stesso disegno da Giulio Ballino, il quale aggiunse sulla parete un fregio di putti a chiaroscuro che tengono i simboli di N. D. Le virtù sull' arco esteriore son di Carlo Baratta , e d' una grandiosità che sembra accusare la picciolezza delle suddette. Parran brevi ai

'Il Decreto è in alti del Segretario G. lì. Panesio ed ha la data del 20 marzo 1625.

devoti questi cenni storici, e «gli artisti le lodi ch' io diedi e al quadretto e alle statue, e con miglior dritto ne faranno lagnanza questi ultimi; ma sappiano gli uni che tali notizie cadono per incidenza nell'opera mia, e gli altri suppliscano col proprio giudizio, s'io detraggo qua e là qualche encomio alle opere migliori. Così vuole la brevità che m'incalza.

Il Paganelli colorì per ultimo nella seguente cappella dedicata al B. Leonardo da Portomaurizio la gloria del Titolare innalzato al cielo dalle sue eroiche virtù, e le imagini della Carità e della Fede sull' arco; lavori non ingrati. È moderno il titolo dell'altare, sacro per lo innanzi a N. D. del Monte per allusione al celebre santuario che amministrano sopra il Bisagno i medesimi Padri. La statua del nuovo titolare in gloria d'angeli è opera d'Andrea Casaregi, almeno nell' invenzione', dacchè mi vien detto che co' modelli di lui la eseguisse sul marmo Pasquale Bocciardo, e dopo lui vi facesse alcuna aggiunta un Mantero, che visse oscuro fino a' nostri giorni. Se ciò non restasse a memoria di uomo, pure cel direbbe il lavoro che male si accorda al leggiadro concetto perchè trascurato e di non molta intelligenza, e il direbbero le pesanti e rozze estremità, scolpite ( come mi si soggiunge ) da quel Mantero. Guardisi adunque

Alizeri Guida di Genova Voi. II. 36

alla composizione che molto ritrae dagli esempi del Traverso, e si passi oltre alla cappella di S. Pietro d' Alcantara.

Ha questa una tavola col Santo in contemplazione della croce, di D. Piota; tavola che l' autore non curò molto, e nulla curaron gli anni; fosca, anzi tenebrosa nelle ombre, e ingiallita nelle parti di maggior luce. Gli affreschi sono di Carlo Baratta; e rappresentan nel vólto S. Pietro confortato nel suo transito dalla visione di Maria, nelle pareti santa Teresa comunicata miracolosamente, e il battesimo di Gesù nel Giordano , oltre due putti a' fianchi dell' altare con arnesi di penitenza. Son opere che piacciono per quello spirito che ha sempre il Baratta ovunque dipinge, e per risolutezza e maestria di contorni, non però conservate a tale, che le originarie bellezze vi si scopran del tutto. Dico il somigliante di quelle ch' ei lasciò nella penultima, dedicata in addietro a S. Giovanni Battista, ora alla Pietà, se giudichiamo dal gruppo contenuto nella nicchia, che serve nel giovedì santo alla rappresentanza del sepolcro di Cristo. I dipinti si riferiscono anch'essi a quella solennità; campeggiano lateralmente la cattura e la condanna del Redentore, e di fronte due figure di profeti che ne annunziano la morte. Spettan queste al Baratta, e con assai pregi compensano quel trionfo della Croce che male espressero nel vòlto gli scolari del Tagliafico, da' quali uscirono eziandio le figure di Virtù composte sull'arco di questa e della precedente cappella. Deesi al Maragliano X esecuzione del gruppo sovra enunciato, non l'idea, ch'egli copiò fedelmente da un disegno di Luca Cambiaso. È noto quant' egli s'aiutasse de'concetti altrui, specialmente de'Piola, fosse brama di far presto, o poca fiducia del proprio ingegno; e lo stile di costoro s'attagliava per guisa al suo gusto che spesso diresti di aver sott' occhio il Maragliano che dipinga, o i Piola che trattino scalpello. Come invogliasse di Luca è difficile a spiegarsi, se non fu desiderio de' committenti, o la copia e la tenera espressione di quel disegno che lo spronassero. Per queste doti la scultura viene esaltata da chi meno intende come un capolavoro di lui; ma niuno potrebbe, se non erro, lodarla come imitazione, perocchè seguendo il pensiero senza i metodi castigati e severi di quel pittore, fece un misto che meno appaga perchè meno originale e meno spontaneo che in altra sua opera. Con questo non intendo scemargli pregio d' esecutore: basterebbe a smentirmi uno sguardo alle singole figure, e specialmente al bel nudo e all' abbandono di Cristo, che vien deposto dal sacro legno.

Per l'ultima cappella, ora di giuspatronato de' signori Cervetto, cominciò una tavola G. B. Merano coi santi Pasquale, Diego e Giovanni da Gapistrano; ma non potè ultimarla, prevenuto da morte. La compiè il Resvaggij attenendosi quanto seppe allo stile del maestro; ma da due pittori uscì mediocre, e peggiorò a'nostri giorni da' ritocchi che le si fecero. Meglio di questa tela illustra il luogo un S. Francesco affisso alla destra parete, diligente e tenera figura di Bernardo Castello, colla quale do termine alle cose d'arte che son degne di vedersi in questa chiesa.

Ma s'io debbo almeno aver merito dalla diligenza , non posso tacere d'alcune altre che trovansi sparsamente negli annessi locali. La prima ch' io sento il debito d' accennare spetta all' epoca in cui gli Amadeiti tennero la chiesa e il convento, ed è un affresco in capo a una parte del chiostro, in cui è rappresentato Gesù morto, e i santi Battista e Caterina, e al basso il Fondatore di quella riforma invitato da un angelo alla contemplazione del suddetto mistero. Quest'opera, nella quale si lodano egualmente un disegno castigato e una pulita esecuzione, non è certo posteriore a'principii del xvi secolo; e a questi indizi ci è mestieri di limitare le nostre parole; mentre gli affreschi ( pochi eccettuati ) di quella età, per nostra mala fortuna non han nome d' autore. — Un cenacolo dipinto suU' inferiore prospetto del Refettorio non si dovrebbe gran fatto disgiungere dall' epoca medesima, a giudicarne dal disegno; mentre le tinte, rinnovate dal Ballino non son molti anni, han perduto ogni originalità, e tolto i mezzi a un sicuro giudizio. — D' età più remota è un bassorilievo in marmo che si conserva in un dormitorio del convento, incastrato nel muro, sebbene il vecchio barbarismo di chi ne colorì le figure e ne dorò gli ornamenti abbia impresso alla gentile scultura un nonsochè di ridicolo che sembra insultare alla sua antichità. Lo stile degli ornati, somigliante a'bellissimi che osservammo nell' arca delle Ceneri in Duomo ci porterebbe a decidere che questa ancona (tale è l'uffizio del presente marmo ) sia da attribuire alla prima metà del quattrocento; ma ci fan dubbiosi i santi Francescani in essa scolpiti sotto l'imagine di N. D. degli Angeli, cioè S. Lodovico di Tolosa e S. Francesco; non essendo probabile che la scultura si lavorasse per l' attuai sito innanzi alla venuta degli Amedei, quando non si supponga, che venisse traslocata da altri luoghi. E gioverebbe il supporlo, per conciliare cotali opposti; e certo costa assai meno il credere che gli Amedei o i Francescani successori portassero seco questo monumento allorchè occuparono la

chiesa, di quel che non sia il concedere, che sul tramonto del secolo xv si usassero queste forme di decorazione, e i caratteri tedeschi quali si veggono incisi nel marmo, mentre da lungo tempo avean ceduto il campo al moderno stile; oltrechè la rozzezza dello scalpello mal s'accorda alla coltura dell'accennata epoca. Comunque sia, non dee vedersi alla sfuggita quest' opera, della quale abbiam poche o più copiose di figure o di bei partiti, nè lasciarsi senza far voti che sia meglio conosciuta ed apprezzata. — I devoti accorrono annualmente il giorno della santissima Annunziata ad una cappella ch' è in questi dormitorii fin dal 4680. Prima di tal' epoca servì a cella d' un fra Gaudenzio di monte Alboddo marchigiano, del quale si racconta, che il i.' di marzo dell' anno suddetto tratto a pericolo di -vita dal cader che fece quaggiù in chiesa , forte battendo del sinis'ro fianco sulla gradinata del presbiterio, già disperato di salute la ricuperasse istantaneamente la notte del 24, vigilia dell' Annunciazione, in cui N. D. si fece a visitarlo con numeroso corteo d' angeli. Questo prodigio, chiarito dall'improvvisa guarigione, attestato con giuramento dal frate, e da'Professori dell' arte medica , fu occasione che l' umile stanza si tramutasse in devoto ed elegante santuario, il quale ristorato più volte, e tuttodì custodito con pietosa sollecitudine, tien vivo il culto ne' fedeli, e lo stupore al miracolo. Non v' ha cosa d' arte che meriti esame, se non un S. Francesco, commovente statuina del Maraglianoj alla quale fa simmetria sul fianco sinistro dell' altare un' altra grossolana e goffa del B. Leonardo; dacchè tolta via la compagna (che era, se non m'inganno, il santo di Padova) ne' rivolgimenti della soppressione, non potè riaversi per domande e preghiere che ne facessero i PP. A'quali non duole soltanto, che una di queste nicchie stia cosi vedova com' è della bella imagine, ma duole altresì il perdere fino a un bricciolo di quel molto che per la lor chiesa lavorò il Maràgliano. E ne son prova due figure de' santi Pasquale Baylon e Pietro d'Alcantara lavorate da lui per esporsi a' fedeli nella ricorrenza della lor festa, il che si fa tuttavia; fuor di queil ' epoca si tengono in gelosa custodia.

Facciam fine con una nota di parecchie tele che si trovano in diversi luoghi del convento, dando a queste non più che il nome, essendo già troppo diffuso l' articolo. V han nel refettorio un Mosè che disseta gli ebrei sullo stile del Merani, e un'Ester che supplica Assuero, della scuola di V. Malo; quadri di carattere non ben certo se dovesse attribuirsi loro un autore. Quivi è pure un S. Giovanni Battista nel deserto esistente per lo innanzi ad un altare della chiesa, lavoro di Domenico Piola, annerito dagli anni. Un altro altare avea un quadro col Beato da Stronconio in contemplazione di G. C., opera di G. M. Dellepiane sovrannominato il Mulinarettos ch' or mi venne veduto in un ripostiglio del chiostro. E a questo specialmente si deve augurare buona ventura; non ch' io dubiti eh' esso perisca ove si tengono in tanto amore gli oggetti d'arte; ma vorrei che il pubblico ne godesse, poichè di tal pittore, inteso a'ritratti, non abbiam che due tele istoriate; messe scarsa, e perciò da raccorsi con diligenza, e da esporsi con dignità.

De'lavori fatti nel convento, e del campanile alzato da pochi anni per prodigale dispendio del marchese Alessandro Pallavicini non è duopo ch' io parli, sia perchè poco o nulla interessan le arti, sia perchè in ognuno n' è fresca la memoria. Onde ci converrà proseguire ad altre visite: e accorceremo i passi uscendo per le porte laterali, che ci mostrano di fronte la Chiesa Pa

ROCCHIALE DI SANTA MARIA DI CONSOLAZIONE.

Gli Agostiniani che v' amministran gli uffizi e v' han la cura delle anime, sono una riforma degli Eremitani, fatta nel 44J3 dal P. Giambattista Poggi da Genova priore del convento di Alessandria; nè quivi presero a dimorare in princìpio, sibbene nella valle di Bisagno, in un sito che a que' tempi dicevasi Artoria, sulla sinistra sponda del torrente. Però innanzi che si faccia pur motto di questa chiesa, è necessario il dire con brevità, come il nuovo istituto, contraddetto sulle prime, mettesse radice nella nostra provincia, e per qual caso, abbandonate le vecchie stanze, passassero i Riformati nell'attuai casa per entro le mura della città. Di quanto verrò sponendo dal Iato istorico, io mi tengo obbligato a'medesimi Padri, i quali non ostanti i trambusti che dissipavano (come accadde di ogni altro Ordine) i loro archivii, conservano tanto che basti ad intessere un' accurata cronologia della lor religione, anzi a disperdere gli errori ne' quali son caduti gli scrittori meno esatti, circa l'epoca della lor fondazione e traslocamento. Non hanno, siccome i Francescani summentovati un' apposita cronaca stesa a modo di racconto: ma il loro fra Giambattista Cotta da Tenda vicario generale della congregazione, ed uomo noto per eleganti poesie, riunendo nel 4706 in un corpo i diplomi d'istituzione, i diritti e i privilegi, e le scritture che la riguardano, quante almeno potè razzolarne da' vecchi scaffali , ha reso a' suoi confratelli un servigio da non posporsi al suddetto, anzi più pregevole in quanto è più autentico. Con questo volume sot

t'occhio, inoltro con tutta fiducia alle notizie'. E trovo prima un diploma di fra Giacomo dall' Aquila generale degli Eremitani colla data del 22 maggio 4473, ove è data facoltà al P. Poggi non solo di ridursi con altri suoi frati in più stretta osservanza, ma di raccorsi in separata congregazione, occupar nuovi luoghi purchè non impediti canonicamente, o posseduti da' conventuali della propria religione, di celebrare il capitolo annovale, eleggersi un vicario, usare i sigilli dell'Ordine, ed assumere per nuovo e general titolo della riforma il titolo di santa Maria della Consolazione 2. Che il venerabile Fondatore si giovasse di tal diploma quanto il pungeva lo zelo, me ne accerta una Bolla pontificia di due anni appresso, ma promulgata per inciampo alle pie sollecitudini di lui; e quel che importa al nostro proposito, vi leggo nominato il convento di Genova condotto a buon tratto

1 Questo codice è manoscritto; ma una scelta de' docu menti più interessanti al suo Ordine mise alla luce nel 1708 co' tipi del Franchelli in Genova.

'Tandem concedimus, et per praesentes tilu

lum Congregalionis damus, ut dieta vestra Congregano a vobis et ab omnibus debeat appellari et nominari Congrogatio sanctae Mariae de Consolatone ordinis fratrum Ercmitariini sancii Angustiai de observanlia de Pedemontibus, quam nulli . alteri nisi Generali volumus subìici, et a nullo nobis inferiori mo'estari eie.

chiesa, di quel che non sia il concedere, che sul tramonto del secolo xv si usassero queste forme di decorazione, e i caratteri tedeschi quali si veggono incisi nel marmo, mentre da lungo tempo avean ceduto il campo al moderno stile; oltrechè la rozzezza dello scalpello mal s'accorda alla coltura dell'accennata epoca. Comunque sia, non dee vedersi alla sfuggita quest' opera, della quale abbiam poche o più copiose di figure o di bei partiti, nè lasciarsi senza far voti che sia meglio conosciuta ed apprezzata. — I devoti accorrono annualmente il giorno della santissima Annunziata ad una cappella ch' è in questi dormitorii fin dal 4680. Prima di tal' epoca servì a cella d' un fra Gaudenzio di monte Alboddo marchigiano, del quale si racconta, che il i.' di marzo dell' anno suddetto tratto a pericolo di -vita dal cader che fece quaggiù in chiesa , forte battendo del sinis'ro fianco sulla gradinata del presbiterio, già disperato di salute la ricuperasse istantaneamente la notte del 24, vigilia dell' Annunciazione, in cui N. D. si fece a visitarlo con numeroso corteo d' angeli. Questo prodigio, chiarito dall'improvvisa guarigione, attestato con giuramento dal frate, e da'Professori dell' arte medica , fu occasione che l' umile stanza si tramutasse in devoto ed elegante santuario, il quale ristorato più volte, e tuttodì custodito con pietosa sollecitudine, tien vivo il culto ne' fedeli, e lo stupore al miracolo. Non v' ha cosa d' arte che meriti esame, se non un S. Francesco, commovente statuina del Maraglianoj alla quale fa simmetria sul fianco sinistro dell' altare un' altra grossolana e goffa del B. Leonardo; dacchè tolta via la compagna (che era, se non m'inganno, il santo di Padova) ne' rivolgimenti della soppressione, non potè riaversi per domande e preghiere che ne facessero i PP. A'quali non duole soltanto, che una di queste nicchie stia cosi vedova com' è della bella imagine, ma duole altresì il perdere fino a un bricciolo di quel molto che per la lor chiesa lavorò il Maràgliano. E ne son prova due figure de' santi Pasquale Baylon e Pietro d'Alcantara lavorate da lui per esporsi a' fedeli nella ricorrenza della lor festa, il che si fa tuttavia; fuor di queil ' epoca si tengono in gelosa custodia.

Facciam fine con una nota di parecchie tele che si trovano in diversi luoghi del convento, dando a queste non più che il nome, essendo già troppo diffuso l' articolo. V han nel refettorio un Mosè che disseta gli ebrei sullo stile del Merani, e un'Ester che supplica Assuero, della scuola di V. Malo; quadri di carattere non ben certo se dovesse attribuirsi loro un autore. Quivi è pure un S. Giovanni Battista nel deserto esistente per lo innanzi ad un altare della chiesa, lavoro di Domenico Piola, annerito dagli anni. Un altro altare avea un quadro col Beato da Stronconio in contemplazione di G. C., opera di G. M. Dellepiane sovrannominato il Mulinarettos ch' or mi venne veduto in un ripostiglio del chiostro. E a questo specialmente si deve augurare buona ventura; non ch' io dubiti eh' esso perisca ove si tengono in tanto amore gli oggetti d'arte; ma vorrei che il pubblico ne godesse, poichè di tal pittore, inteso a'ritratti, non abbiam che due tele istoriate; messe scarsa, e perciò da raccorsi con diligenza, e da esporsi con dignità.

De'lavori fatti nel convento, e del campanile alzato da pochi anni per prodigale dispendio del marchese Alessandro Pallavicini non è duopo ch' io parli, sia perchè poco o nulla interessan le arti, sia perchè in ognuno n' è fresca la memoria. Onde ci converrà proseguire ad altre visite: e accorceremo i passi uscendo per le porte laterali, che ci mostrano di fronte la Chiesa Pa

ROCCHIALE DI SANTA MARIA DI CONSOLAZIONE.

Gli Agostiniani che v' amministran gli uffizi e v' han la cura delle anime, sono una riforma degli Eremitani, fatta nel 44J3 dal P. Giambattista Poggi da Genova priore del convento di Alessandria; nè quivi presero a dimorare in princìpio, sibbene nella valle di Bisagno, in un sito che a que' tempi dicevasi Artoria, sulla sinistra sponda del torrente. Però innanzi che si faccia pur motto di questa chiesa, è necessario il dire con brevità, come il nuovo istituto, contraddetto sulle prime, mettesse radice nella nostra provincia, e per qual caso, abbandonate le vecchie stanze, passassero i Riformati nell'attuai casa per entro le mura della città. Di quanto verrò sponendo dal Iato istorico, io mi tengo obbligato a'medesimi Padri, i quali non ostanti i trambusti che dissipavano (come accadde di ogni altro Ordine) i loro archivii, conservano tanto che basti ad intessere un' accurata cronologia della lor religione, anzi a disperdere gli errori ne' quali son caduti gli scrittori meno esatti, circa l'epoca della lor fondazione e traslocamento. Non hanno, siccome i Francescani summentovati un' apposita cronaca stesa a modo di racconto: ma il loro fra Giambattista Cotta da Tenda vicario generale della congregazione, ed uomo noto per eleganti poesie, riunendo nel 4706 in un corpo i diplomi d'istituzione, i diritti e i privilegi, e le scritture che la riguardano, quante almeno potè razzolarne da' vecchi scaffali , ha reso a' suoi confratelli un servigio da non posporsi al suddetto, anzi più pregevole in quanto è più autentico. Con questo volume sot

t'occhio, inoltro con tutta fiducia alle notizie'. E trovo prima un diploma di fra Giacomo dall' Aquila generale degli Eremitani colla data del 22 maggio 4473, ove è data facoltà al P. Poggi non solo di ridursi con altri suoi frati in più stretta osservanza, ma di raccorsi in separata congregazione, occupar nuovi luoghi purchè non impediti canonicamente, o posseduti da' conventuali della propria religione, di celebrare il capitolo annovale, eleggersi un vicario, usare i sigilli dell'Ordine, ed assumere per nuovo e general titolo della riforma il titolo di santa Maria della Consolazione 2. Che il venerabile Fondatore si giovasse di tal diploma quanto il pungeva lo zelo, me ne accerta una Bolla pontificia di due anni appresso, ma promulgata per inciampo alle pie sollecitudini di lui; e quel che importa al nostro proposito, vi leggo nominato il convento di Genova condotto a buon tratto

1 Questo codice è manoscritto; ma una scelta de' docu menti più interessanti al suo Ordine mise alla luce nel 1708 co' tipi del Franchelli in Genova.

'Tandem concedimus, et per praesentes tilu

lum Congregalionis damus, ut dieta vestra Congregano a vobis et ab omnibus debeat appellari et nominari Congrogatio sanctae Mariae de Consolatone ordinis fratrum Ercmitariini sancii Angustiai de observanlia de Pedemontibus, quam nulli . alteri nisi Generali volumus subìici, et a nullo nobis inferiori mo'estari eie.

ventilazione; e s'ebbe la preferenza questo nobile monastero degli Agostiniani, i quali lo cedettero con generosa prontezza in quel comune disastro. Da Filippo Casoni che ne intesse il racconto, e dal P. Antero che descrisse i lazzaretti testimonio di veduta, si possono attingere i su blimi esempi di carità che dieder quivi non che i frati possessori, ma quelli eziandio degli altri Ordini che fiorivano in Genova, e puossi apprendere quanti restasser vittime de' loro eroici sacrifizi in quel lugubre recinto d' onde uscian vivi sì pochi degli ammorbati, che il volgo con indiscreta ma sincera antonomasia solea dirlo il lazzaretto della sconsolazione. Dopo quell'epoca non durò l' edifizio più di cinque lustri; cagione le nuove mura che fin dal -1630 eransi costrutte per difesa della città. Di che volendo l' ordine de'tempi ch'io faccia memoria, com'anche degli anni in cui si fabbricò l' attuale convento, e in cui gli Agostiniani cominciarono ad abitarlo , mi sto pago a tradurre le note che in proposito si trovano iscritte ne' registri della congregazione, sia per maggiore autenticità, sia per produrre con incontrastabile esattezza un punto di storia non investigato finora da chicchessia , anzi adulterato con troppo generiche e poco vere asserzioni. « Oltre le mura della nuova città di Genova (cosi suonano le parole laUne di quel codice ) nel luogo detto Bisagno sovra un colle, vicino alle mura era situato il convento di santa Maria di Consolazione, insigne tanto per regolare disciplina ed osservanza quanto magnifico per istruttura. Perchè fosse tolto a' nemici il servirsene a danno della città, nel dicembre dello scorso anno 4684 fu dato a terra, e concessa a'nostri religiosi con dispendio dell' eccellentissima Camera un' abitazione in certo palazzo del nobile uomo Francesco Pinelli presso alla chiesa parrochiale di S. Vincenzo, nella quale ottennero facoltà di celebrare i divini uffizi. Nel mese di giugno di quest' anno -1682 il serenissimo Doge assegnò settemila scudi d' argento, e i monti di camera detti di N. Signora per la fabbrica del nuovo convento e della chiesa. Laonde i PP. trattarono coll' illustrissimo Francesco Pinello di comperare il suddetto palazzo e una casa attigua, nonchè gli orti circostanti, e ne fissarono il prezzo in ottomila scudi d' argento. Ma perchè quei beni eran vincolati a fedecommesso, si spedì supplica al serenissimo Senato per. la derogazione. Quinci nacquero forti ed inestricabili controversie, le quali non furono sopite che alla deroga del fedecommesso, accordata nel gennaio del 4683. Intanto le calamità de' tempi aggravarono i poverissimi PP. d'intollerabil danno, poichè i luoghi de' monti non valevano più d' un ottanta per cento; e però il contratto di compra e vendita rimase in sospeso ». Fin qui un primo amanuense, al testo del quale tengono dietro, scritte d' altra mano, le seguenti notizie: « Comprato il palazzo, la casa e l'orto dall' illustrissimo Francesco Pinello, i religiosi uffiziarono nella parrochiale di S. Vincenzo. Poi, costrutta la chiesa e il convento sull' area dell' orto suddetto in vicinanza della strada ch' ora divide la nostra chiesa da quella de' frati minori di S. Francesco sotto il titolo di santa Maria della Pace, i padri abitarono quivi l'anno 4708, e cominciarono ad accettar novizi ed istruir candidati al sacerdozio. L' edifizio è a dir vero grandioso; ma quando sia per esser compiuto, il sa

1 Fu messa la prima pietra della chiesa l'anno 1684 per mano di monsignor Giulio Vincenzo Gentile in quella parte del coro ov' è il sepolcro de' PP. I lavori del convento ebbero principio nel 1699, e il principal corpo dovette essere ultimato nel 1704 se non mente la data eh' è sopra la porta sotto una rozza imagine di Biada , e sotto uno scritto, Consolabitur omnes ruinas, che parmi allusivo alle distruzioni dell'antica chiesa e del convento. E per certo la maestosa fabbrica polea consolare i religiosi del danno. Nel 1708 colle somme tratte dal Banco di S. Giorgio fu unito il pa lazzo comprato da'Negroni ad un braccio del convento medesimo ( Definiliones Congregalionis spnctae Mariae Consolatìonit — Gemme 1708 — lypis Franchelli).

Nè si vide compiuto :s di tal mole si gittarono le fondamenta. Se quel tanto ch' or si ammira fa palese il coraggio di que' padri che pur si dicean poverissimi, e'l loro studio a riuscire magnifici , rimangon le basi, tracciate appena, di quel che non potè alzarsi, per attestare che inutile è il coraggio quando alla volontà non precorrano i mezzi. Contuttociò basta quel tratto di convento che misura buona parte di questa Via della Pace j e il nobil chiostro che si dirama a sinistra, per acquistar lode di splendidezza agli edificatori: comechè quest'ultimo, interrotta la fabbrica, restasse quasi un membro isolato dal corpo, e il primo scemasse di decoro, dopochè murate le numerose colonne che al disotto facean porticato, e gremita la parte inferiore di bottegucce o tane che voglian dirsi, e ridotti due piani a civili appartamenti, prese aspetto di vasto caseggiato, ove prima l' avea di ricco ed imponente monistero. Ora hanno i padri il terzo piano, ch'è un lungo e vasto corridoio tenuto per ampiezza e comodità principale in Italia; e vi s' ascende per iscale da onorarsene una reggia nonchè un cenobio. Ma questi ed altri particolari verran sott' occhio al mio lettore tra non molto, dove gli piaccia tener dietro a' miei passi, e al mio costume d'investigare ne' genovesi monumenti le cose minime.

In vista di tanta magnificenza, nasce desiderio di saper l' architetto che porgea disegni del convento e della chiesa annessa; ma quante volte mi costringerà il difetto delle memorie a rispondere col silenzio? Taluno stimerà di trovarlo in una postilla che il Ratti aggiunse alla vita di Rocco Lurago nelle biografie del Sopra^ ni, nella qual postilla si afferma che G. B. Grigo architettò in Genova la chiesa ed il convento di santa Maria di Consolazione s fuori della porta dell' Erco^ fabbrica prima di lui cominciata da Pietro Francesco Cantone; nè mi vergogno di confessare, che per poco io non mi acconciai a quelle risolute parole dell' annotatore. Se non che poste in chiaro ( mercè del codice summentovato ) le date istoriche della fondazione, non sol mi ritrassi da quella credenza, ma presi sollecitudine di svelarne gli errori perch' altri men cauto non ne torni schernito. Chi potrà credere al Ratti che G. B. Grigo erigesse due fabbriche decretate nel 4684 e compiute molli anni appresso, mentr egli nella nota medesima il fa morto molti anni prima del 4656, epoca della pestilenza? Nè maggior fiducia c'ispira il nome dell' altro lombardo che operava in Genova sulla metà di quel secolo, e che a dir di lui, avrebbe preceduto il collega in queste opere. Per la qual cosa se il Ratti ebbe da buona fonte che i due

lombardi costruissero la chiesa e il convento della Consolazione, tal notizia si riferisce per avventura al vecchio tempio di Bisagno, mentre non constandoci che in tempo moderno vi si facessero o riforme od aggiunte, mi par piuttosto da recarsi a soverchia credulità quel suo detto. Del resto la pochezza de' mezzi richiesti a sì grandioso edifizio non mancò di lasciar sue tracce eziandio nella chiesa. Ove ora sorge la nobile cupola stette fino al 4769 un' impalcatura che copria il vano con una quasi calotta posticcia; nell' anno suddetto si compiè il lavoro co' disegni ( secondo mi vien detto ) dello svizzero Simon Cantone. Le cappelle di tempo in tempo furono decorate di marmi, di tavole, e di statue dallo zelo de' RR. PP. e dalla pietà di cospicui cittadini. Ma gl' indizi ( il dirò con rammarico ) della primitiva insufficienza restarono sovrattutto nella facciata esteriore, incompleta tuttora, anzi non più che uno spiacevole embrione di facciata; nè per volgere di quasi un secolo e mezzo si seppe tor via tale sfregio, di cui s' adontano del pari e il tempio che al didentro è maestoso e bello, e la città che poco discosto dà il primo ingresso a chi giunge d'oriente. E per certo l' età che d' allora in poi non corse nemica a' Possessori, par cospirare a far più grave l'accusa. Non più d' un triennio stette deserta la chiesa per le soppressioni ordinate nel 4840, mentre in molt' altre di regolari o lungamente tacquero i divini uffizi, o più non risorsero; e col ripristinarsi del culto s' aggiunse ad essa la cura parrochiale tenuta in addietro dalla vicina chiesa di S. Vincenzo, antichissima rettoria 1. E i confini parrochiali in largo territorio fissati dall' ultimo recinto del 4630 fino all' altura de' monti non parranno da tenersi in gran conto verso le molte e ricche abitazioni che quiv' intorno si moltiplicarono nelle recenti aggiunte del sestiere, e in breve tempo ingrossarono l' elenco de' parrocchiani. Alia crescente dovizia di santa Maria di Consolazione rispondono le sollecitudini de'Padri e de'Massari: lo attestano la splendidezza de'riti, e la frequenza delle solennità. Per tutto questo il desiderio di una facciata condegna al tempio si fa più vivo a' nostri giorni, ed è a temere che un lungo desiderio torni a rimprovero di chi non istudia a compirlo, allorchè non falliscono i mezzi. Il debito della sincerità m'impone il far eco alle comuni osservazioni con queste parole, che io spero di veder presto mutarsi in lode dalla operosità de' Moderatori. Mi spingerebbe a crederlo l'amor della patria che d'anno in anno si va riadornando con tutta magnificenza, se già non bastasse l'affetto ch' io porto ad una parrocchia, la quale accolse i miei primi vagiti, ed inscrisse il mio nome ne' suoi registri battesimali.

1 S ha memoria della chiesa di S. Vincenzo (mutata ora in caserma del Genio militare) fin dall'anno 1163, e si sa che nel 1338 fu consoci -ata da Bartolommeo da Reggio arcivescovo di Genova. Fin da' primi suoi tempi fu parrochiale , ma soltanto del borgo a sinistra ove sorgeva la chiesa; poiché le due contrade eh' or terminano a porta della Pila e a porta Romana, ma che prima del 1630 anelavano a congiungersi alle pianure del Bisagno, usavo» distinguersi col nome di borgo soprano e soltano. Di questo, eh'è quanto corre a destra, il gius parrochiale spettava all'abbazia di santo Stefano, e sappiamo dal Giustiniani (Annali lib. l.°) che nel secolo xvi contava cinquantaselte case, oltre il nobile monastero di santa Maria della Pace, e che nel principio del borgo ove si divide la via era un piccolo oratorio nominato Ad sanctus Peregrinos ( SS. Nazaro e Celso ), di cui non s'ha vestigio a' nostri giorni, e a cui molti voIcan concedere il vanto d' avere albergato i suddetti predicatori della Fede alla lor prima venuta in Genova.

Taluno m'accuserà ch'io esca da'limiti d'una Guida, perchè non contento d'accennar quello che esiste, vo consigliando quel soprappiù che si desidera. Ma se il libro è dettato da patria carità, mal si tiene non solo dal suggerire il meglio, ma eziandio da lamentare le cose perdute: ufficio doloroso ma non sempre inutile. Quanto giovò ai PP. Agostiniani il trasportare dall'antico tempio nel nuovo quanto potevano delle lor preziose tavole, se la breve chiusura accennata di sopra bastò a disperdere le più rare? Ciò nondimeno sarà grato a loro il ricordare quali pennelli si esercitassero in quella chiesa, se non altro ad encomio degli antecessori, e a maggior fama del distrutto edifizio. Colà si ammiravano quadri di Perino del Vaga, di Ludovico Brea , di Lazzaro Tavarone, d'Antonio Semino e d' un fiammingo di nome ignoto. Di cotal ricchezza potè menar vanto la chiesa attuale fino al secol nostro: ora non vi resta più di quel poco ch' era disagevole a torsi dal luogo. Nè per quanto le soppresse chiese di S. Vincenzo e del lor Santo Agostino versassero in questa buon numero di tele, ci parrà compensata la perdita. Alcune pure vi rimasero, appartenenti alla vecchia Consolazione, ma son quelle che quantunque buone, non adescavano i compratori, intenti mai sempre all' ottimo ed al raro Altre opere finalmente ordinarono i Padri, o i patroni di queste cappelle; lavori in parte del secolo scorso e perciò di manieristi, e in parte del presente, ma non d'artefici abbastanza corretti. Così gli oggetti d' arte che quivi s'incontrano vogliono partirsi in quattro classi, e va' è grato il farlo con lieve aggiunta di parole.

Tenero com' io sono della diligenza e dell' ordine nelle descrizioni, non potrei tacere una statua di N. D. ch'è sull'ingresso, opera manifestamente d' un lombardo successor de' Carloni, ed eseguita con una cotal pulitezza che non è pregio comune a quella scuola, perduta in una pratica cieca. Ognuno intende ch' essa dovette esser recata dal tempio d'Artoria. perchè d' epoca anteriore a questo, pur ne annunzia il titolo. Anche le facciate interne s'adornano delle spoglie di quel luogo illustre: ne eccettuo però le due tele appese a' fianchi della porta, le quali vennero dalla chiesa di sant'Agostino. Rappresentano il battesimo di detto Santo, e la traslazione della imagine di N. D. del Buon Consiglio, e son' opere dell'Ab. Antonio Giolfij nè per essere le sue migliori escon punto dalla mediocrità. Vedremo quali altre si potrebbero sostituire al lor luogo per più lustro della chiesa, e per maggior lode a' benemeriti Padri. Intanto si scrivan nomi più chiari colle tavole che sovrastano alle tre porte. Bel nome è Luca Cambiaso; ma non risponde al nome il suo vasto cenacolo nel prospetto di mezzo; dipinto languidissimo , e dei men felici della terza sua epoca. Meglio di questo ci tratterranno le due tavole locate sovra le porte laterali, opere di pennello anteriore. Ant. Semino dipinse nel 4547 quella del Deposto ch'è a dritta; così dice uno scritto ch' ei lasciovvi nel fondo. Nondimeno, ove pur mancasse la data, non si tarderebbe a riconoAluebi Guida di Genova Voi. II. 37

scervi l' ultima età d' Antonio che già passava il sessantesimo anno; quando già diffusi in Genova gli esempi della scuola romana, era una colpa imperdonabile il non aggrandire lo stile e far più amene le tinte. Ch' egli però non abiurasse al tutto i lombardi ( suoi primi esemplari ) par dircelo il bel paese che fa campo all'azione, l'impasto de' colori che studia quanto può d' esser sobrio, e sovrattutto que' toni cenerognoli che non s'incontrano in Perino o ne' seguaci. Nè il disegno è affatto spoglio d' una cotal secchezza incompatibile col fiorentino: onde non so acquetarmi al Soprani che dice collaboratore in quest'opera Teramo Piaggiaj più largo e maestoso del collega, e più lieto e vigoroso colorista 1. l danni recati dal tempo a questa tavola non sono così leggeri che veduta da presso ci appaghi, nè cosi gravi che all'attuale altezza turbino l'effetto: v'han panni oscurati e corrosi, a quel che pare, da raggio di sole che la cocesse, e velature che svaniscono, e lasciano netto il primo apparecchio. Le espressioni delle figure son lodevoli , e abbastanza scelta la composizione: talchè al quadro non saprei anteporre alcun altro de' pochi ch' ei lavorò da solo, quando se ne eccettuasse lo stupendo Presepio che lasciò in Savona nella cappella Riario. — Ignoto è l' autore dell'altra tavola sulla porta a sinistra, nella quale è S. Nicolò che riceve la misteriosa cintura da Maria, e a'suoi lati i santi Rocco, Sebastiano ed Agostino. Dalla frequenza de' mezzani conoscitori che giudicano ne' termini più comuni le cose antiche e mal conosciute, rimasero opinioni che la fanno or di scuola fiorentina, or di fiamminga; ridicola contraddizione che tradisce il cieco giudizio di costoro. Io non vorrò mettermi per terzo al pericolo; ma se dovessi dirne quel che il dipinto ( veduto dappresso) mi consiglia, non vorrei staccarmi da Genova per congetturarvi un autore. ll nerbo e la vivacità delle tinte, e in mezzo a queste doti la durezza de' contorni, e poi il carattere del paese che serve di fondo, e degli angeli che fan gloria a Maria, e un certo carattere nel complesso della pittura mi vi farebbero supporre queil ' Agostino Bombelli da Valenza che operava tra noi contemporaneo al Sacchi. Questo io dico usando il diritto del congetturare che a niuno è tolto; del resto faccia sua sentenza il lettore; ma niuno mi negherà che la scuola fiorentina all' epoca che si scerne in questo lavoro era coltissima e destra nel disegno mentr' esso in ciò appunto difetta, e che il reputarlo di alcun fiammingo è uno strafalcione da promuovere le risa.

1 Leggi la vita di questi due compagni in Raffaello Soprani. La soscrizione del quadro dice cosi: Antonius de Samino; e poscia al disotto dopo buono spazio pinxit, e in una terza linea immediatamente 1547. La distanza fra il nome d' Antonio ed il pinxit ha certamente dato luogo a ciò che afferma il biografo: esservi stati da principio i nomi d'ambo i pittori, ed essersi cancellato in progresso di tempo quello di Teramo da mano invidiosa: di che asserì di avervi trovati i vestigii. Io esaminai con ogni diligenza la tavola, né cosiffatti vestigii vi appaion punto. L'intervallo tra 1' una e l'altra riga è tenuto da colpi di tinta oscura che fingono i rialzi e l'ombre del terreno, e ne eoncbiusi che Antonio scrivesse il pinxit e la data molto al disolto perchè quel fosco de' colori non gli avrebbe permesso di Care abbastanza visibili i caratteri. E lasciando stare l'improbabile racconto dell' invidioso che si reca ad una tavola esposta in luogo pubblico e vi cancella a metà una scrittura, chiederò al Soprani, come si scusi quel pinxit, se due erano i nomi d' autore vergati nel dipinto. Converrebbe presumere uno sproposito in chi scrisse; ma gli errori non si presumono. A me par meno pericoloso il fidarsi all' attuale soscrizione; tanto più che 1' opera ben lungi dall' aver linea che ricordi il Piaggia, ba in ogni parte il carattere dello stile esercitato da Antonio Semino negli anni maturi.

Vennero eziandio dall' antica chiesa le tavole delle due prime cappelle nella destra navata, d' onde mettiamo principio al nostro giro. Il S. Tommaso da Villanova che dispensa limosine ai poveri è bell' opera di Domenico Fiasella. e parrebbe migliore quando venisse ripulita dalle sozzure di che gli anni la ricopersero. Lieve affare, ma non lieve guadagno; poichè le tinte vi durano intatte, e chieggono d' essere sgravate da quell' ingombro per brillar nuovamente su que' torsi, e que'volti, e que'putti pieni di evidenza e di natura. D'altro lato è gran vergogn.1 al miglior quadro che sia quivi ( almeno de' posteriori al cinquecento ) il restarsi così ultimo in tanta negligenza. — Nè si duol meno la tela seguente d' Orazio Defferrari in cui sono espressi i santi Giuseppe e Giovanni a' lati della Vergine, lavoro (dice il Soprani) d'ottimo gusto, ed ora nonchè ottenebrata al pari della precedente, ma forata e lacera in qualche parte, e desiderosa d'un rimedio finchè i danni non si facciano estremi.

La terza cappella è dedicata a S. Nicolò da Tolentino, e in epoca moderna ve ne fu posta l'imagine scolpita in legno da uno Storace, mediocre artista de' tempi nostri, lo non posso lodare le cose nuove quando costan la perdita di altre migliori; e molti sanno che al comparire di questa statua scomparve dalla chiesa una bellissima tavola di Domenico Piola, conservata e nitida oltre ogni credere, e dipinta con un sapore che fa ricordarci della miglior' epoca di lui. Noi la vedremo, benchè negletta, in un ripostiglio del convento, e il lettore farammi ragione, se al decoro della chiesa si convenisse lo scambio.

La tavola che segue nella quarta cappella, con S. Vincenzo martoriato col fuoco e cogli uncini, stette per lo innanzi all' aitar maggiore nella chiesa del suo titolo. È ignoto l'autore, ma non lo stile di essa, che apertamente deferisce al Tavarone. Non vorrei contraddire a chi la reputasse piuttosto della sua scuola, poichè in molte parti ha meno fermezza di pittore di quel che possa attendersi da Lazzaro; ma si consideri che il dipinto non è incolume, anzi annerì gravemente a dispetto del tenue e chiarissimo impasto che fa il carattere di lui, e che domina in questa tela. Uno scritto ch' è in fondo, più che ritrarmi da tale opinione mi vi conferma, poichè la data del 4605 non mi permette di vagar pure in cerca d' altre scuole. È di questo tenore: Jacobus Lavania et Magdalena coniuge* — 4605; e di questo Giacomo Lavagna, che a quel che sembra commise il quadro, vi campeggia il ritratto all' un de' Iati.

Tra questa e la suntuosa cappella de'Torre non dee passare inosservato un bassorilievo in maiolica, commesso al pilastro che divide l'una dall'altra, il quale rappresenta N. D. in adorazione di Gesù pargoletto con sovra l' eterno Padre ed alcuni angeli: nel qual atto invalse con

suetudine di raffigurare il titolo della Consola.zione. Venne infatti dalla prima chiesa, óve non diremo qual posto s'avesse l'imagine; certi però che il lavoro si producesse all' epoca della fondazione, o in quel torno. Se già non bastasse a renderlo prezioso il metodo e la materia, di cui s' hanno in Genova pochissimi esempi 1, basterebbe la castità del concetto, l' esecuzione accurata, e queil ' ingenua fisionomia che ci fa preferire la modestia de' quattrocentisti all' ardita pratica de' secoli appresso. Chi vide la Toscana si fermerà quivi con altrettanto diletto, trovandovi deciso e schietto lo stile di Luca della Robbia, primo inventore delle maioliche, o invetriate ( come diconsi altrimenti dalla lucida vernice che le fa simili a vetro ) e maestro di numerosa famiglia che ne sparse il segreto in tutta Italia. Che se la Toscana ridondante di siffatti lavori, li tiene in conto di gioielli, reggasi quanto monti a' genovesi il custodire quest' uno: giacchè due altri che possediamo, stan lungi a buon dato dalla maniera di Luca. M' è un conforto il dire, che gli Agostiniani, o sia stima dell' opera o venerazione al titolo, provveggono ampiamente a questo debito cittadino, e si fanno emuli degli antecessori, i quali traslocando dall' antica sede la divota effigie, le fecero cornice di finissimi marmi e di sculture. È vero che nel secolo xviu uon potea farsi decorazione che non ripugnasse alla cara semplicità del bassorilievo; ma poco monta, quand'esso è salvo a' nostri tempi, e quando una giunta (sia pur discorde) è indizio di gelosa custodia.

1 Oltre a questo bassorilievo in maiolica, giova il ricordare quell'altro del quale ho fatto cenno nel cortile d' un palazzo già Serra presso alla chiesa delle Vigne. Un terzo è non lungi da quella di S. Giorgio sulla piazza cosi'detta de'Fornelli, e come i due procedenti ha la figura di Maria col putto. Che in Liguria, e specialmente in Savona, fossero ne'secoli artistici officine di pittura in maiolica è un fatto incontrastabile. Vorrei farmi a credere die non vi mancassero per la scultura; ma lo stile disuguale di questi tre monumenti, e la molta rassomiglianza che hanno colle diverse scuole di Toscana me ne dissuade.

Seguitando, ripeto che la cappella intitolata a sant' Agostino, la più nobile e ricca di questa chiesa si debbe alla patrizia famiglia de' Torre, e aggiungo ad un Gio. Domenico, il quale nell' ordinar l' opera, che fu circa il 17-18, fe' pruova d' una liberalità degna di miglior secolo. Ma non per questo è da lamentare per guisa la corruzione del gusto, che ne venga disdoro alla maestosa cappella, mentre vi poser mano i più lodati di quella età, ed è facile il conoscere con quanto studio. Compiuti gli ornamenti marmorei, come a dire il timpano s orretto da preziose colonne di marmo nero, e la nicchia incrostata di baldiglio, e l'altare di bianchi marmi, si pensò ad istoriarne le mura, e a collocarvi statue: di che Paolo Gerolamo Piota ebbe l'incarico. Egli dipinse nel vólto il battesimo di sant' Agostino; nè si lasciò impaurire dalle strettezze dello spazio per fingervi una scena copiosa e varia. Questa dispose in varii piani traendo profitto da un ardito sottinsù, che gli permise di radunarvi, quanti ne volle, argomenti di magnifica solennità: musici che suonano, e spettatori che applaudono al rito, e armati che trattengono la folla, e ministri alla memorabile festa. ll bozzetto che tuttor si conserva nella paterna sua casa, mi mostrò quanta sia l' arte ond' egli ottenne effetto in un campo ove ogni figura è scorciata con tutto l'ardimento d'un pittore sicuro del proprio fatto. Per questo, e per le tinte che vi son piene e vigorose oltre X ordinario di lui, la medaglia mi par degna di numerarsi tra le sue migliori, od almeno tra quelle ove il Piola fece più dispendio di fatiche e di studi. Sulla parete che fiancheggia la cappella, e fa prospetto alla navata, fece poi la storia di S. Pietro che prende da Cristo le chiavi dell'evangelica potestà; copioso anche in questa, e felice nel colorito, il quale se non giunge a quella forza che testè dicemmo, par rifarsene con una freschezza e un' arte di chiaroscuro capaci di fermar con diletto ogni sguardo. Per ultimo ne' lati del vòlto e dell' altare pose vaghe aggiunte di figure, colassù di Virtù, quivi di santi a chiaroscuro; lavori di minor lena, ma non da passarsi in silenzio. Chi 'l secondasse nelle quadrature e nelle prospettive che si bene intonano e scompartono lo sfondo, ognuno l' immagina; che il Piola non sapea fidarsi ad altri che a Francesco Costaj nè il Costa avea molti rivali a quest' epoca. Più facile, se interroghiamo la storia, è il presagire a quale scultore commettesse le statue Paolo Gerolamo, incaricato, come dicemmo, di tutti i lavori; amico sì sviscerato di Bernardo Schiaffinoj e questi di lui, che in capo a sei anni lo seguì per cordoglio alla tomba. Nè l' affetto per l'amico fea cieca la predilezione all'artista; perocchè non saprei qual altro fosse allora da preferirsi a Bernardo, il quale di mezzo ai capricci del secolo si tenne moderato e sobrio, e cercò ima nobiltà che sovente gli scusa l'inevitabile corrutela del gusto. Le statue, o a dir meglio i gruppi eseguiti da lui per la gran nicchia di questo altare son tre: la Vergine col bambino, santa Monica in atto di baciare il lembo della cintura, e sant'Agostino al basso che contempla le glorie della Vergine, e le celebra ne' suoi volumi; senza dire de' putti e degli angioletti locati su varii piani, quali in adorazione, quali per reggere gli arredi episcopali del Santo. S'io guardo al modo onde le statue sono composte ed espresse, entro in sospetto che il Piola gliene fornisse i disegni; tanto il complesso risente la fecondità del pittore, tanto v' ha di costui nelle forme de'volti, nelle movenze, e in quella generale impronta che ci riflette siccome in ispecchio il carattere dell' artefice. S'io mal non ragiono a tal proposito, questa comunanza fraterna commenda la degna coppia; e bastante lode rimane allo Schiaffino per aver reso il concetto sì limpido e nobile sul rilievo. E dove l' intelligente s'addentri in queste opere più che non s' usa colla moltitudine de'manieristi, dirà forse meco che l' autore, se pur ebbe comune co' suoi coevi il mal germe delle convenzioni, non ne rimase però infetto a tale che ogni parte di gusto e di ragione sacrificasse alla pratica. — Le due figure di Virtù che insieme ad alcuni putti si reggono sul frontispizio dell' altare, sono opere d' un Pellegro Olivati, cattivo scultore, ch' io nomino per questo solo, che si scansi il pericolo di attribuire que'marmi allo Schiaffino, del quale non abbiam lavori nè più copiosi nè più accurati di questi.

A Bernardo Schiaffino non increbbe d' adoperare eziandio sul legno i proprii scalpelli ; e ne

è prova singolare il bel Crocifisso innalzalo sull'aitar maggiore, al quale dee proseguire la nostra visita. È figura commovente e degna di mostrarsi più vicina allo spettatore; quel volto ottenebrato dalle agonie, e 'l convulso agitarsi delle membra, e la foga de'martirii ch'io vidi d' appresso sul morente Gesù, mi fece dimentiticare un istante le men rette massime dell' esecuzione, e la poca nobiltà , per tener dietro all' evidenza, alla spontaneità dell' idea. E siccome queste ragionano con più efficacia alla moltitudine, non è meraviglia che altamente sia prezzato il lavoro; nè bramo che sia altrimenti.— Il presbiterio ed il coro abbelliti nel -1825 di pitture e d'ornati in istucco, soccorrono non poco all'onor della chiesa, che leggiadra nella distribuzione e schiarata da luce aperta, sembra desiderare cotal ricchezza. Gaetano Centanaro modellò questi ultimi, oltre due figure di angioli sull'arco del santuario, reggenti lo stemma di N. D.. Ai dipinti furono invitati Filippo Alessio e Michele Cansio. Il primo, di cui son le storie che tutto ricopron quel giro, soddisfece con disparati argomenti a molti desiderii; cioè a' Padri col lor Santo fondatore rappresentato all' un fianco dell' altare nell' atto di predicare in un concilio; a' parrochiani con S. Vincenzo ( antichissimo titolare) figurato ne' martini sul lato destro, e in gloria d'angeli sul vòlto, e finalmente a' devoti dell' attuai titolo con Maria che adora il bambino corteggiato da spiriti celesti; vasto dipinto dell'abside. E come il più vasto così è il più lodato per la diligenza; gran prerogativa nelle opere di coloro che a molto genio non accoppiano eguale pazienza. Tale fu l'Alessio, e le presenti medaglie ne son prova. Si loda in questa la fecondità delle idee che parrebbe preclusa dallo sterile argomento, la forza ottenuta in gran chiarezza di luce, e l' armonia difficile a conseguirsi ove si vuole sfoggiare in amenità. I meno esperti v' appuntano a dritto parecchie mende di proporzione e di contorno; ma quivi tutto cede all' effetto, o meglio l' effetto fa scudo agli errori. Egual difesa ha la gloria di S. Vincenzo; ma non le rimanenti istorie, ove la forza ed il brio son minori, e il disegno ridondante d'inesattezze , specialmente nel martirio, in cui l'autore effigiò se stesso, ritto in piedi sotto il seggio del proconsole. I due concerti d'angeli sui lati della cantoria, e la risurrezione di Cristo che serve di sipario all' organo son pur fatture dell' Alessio, e non indegne di nominarsi. — Al Canzio si debbono i chiaroscuri, che intorno a tutte queste opere fingono ornamenti di plastica. Non so quel ch'altri penserà del gusto attuale, che vuol bianchissimi fregi a qualsivoglia più energica pittura, contro il gusto de'passati, zelanti d'affratellare in bella armonia le tinte del prospettico a quelle del figurista. A me basta il dire che questi ornati spirano la gentilezza degli ottimi esempi; benchè meglio delle parole lo direbbe per sè il nome dell' artefice.

Nella navata sinistra primeggia la cappella di N. D. della Salute; recente opera, poichè il sito restò disadorno fino al 4843, sperando forse i Padri di poter quandochessia innalzarvi un altare che degnamente s' accoppiasse al suntuoso di sant' Agostino. Quel che lungamente contese loro la penuria de'mezzi, fece in parte il caso. Soppressi nel suddetto anno la chiesa di S. Vincenzo e trasferita in questa la cura parrochiale, insieme a varii oggetti fu recata la bella imagine di Nostra Signora della Salute, che dal chiuso tempio della Pace avean colà traslocata le fortune de' tempi. Quivi la seguirono i voti de' fedeli, nè andò molto che si fece pensiero di alzare un aitar decoroso per riporvi con dignità il devoto quadretto. Aiutò l' impresa il marchese Vincenzo Spinola Sindaco di Città, procurando a tal uopo i marmi e le colonne della deserta chiesa de'Crociferi; supplirono al resto le offerte de' parrocchiani, solleciti che si compiesse il lavoro. Con questi sussidii la cappella fu ornata di pitture, che si commisero a Giuseppe Paganelli. Egli alluse con due soggetti biblici alla protezione di Maria; nel vólto, frasibilie e profeti è Mosè che inalbera il misterioso serpente; nella parete Ester che sviene innanzi ad Assuero, e ai lati dell'altare due figure a chiaroscuro che simboleggiano le virtù della gran Madre. Diligenti decorazioni colorite da Giacomo Picco fan complemento a queste pitture, delle quali non istimo utile il far lungo discorso, poichè le opere del Paganelli, siccome d'ogni manierista, e specialmente degl'ingegni non abbastanza fecondi, hanno una sola fisionomia. Potrebbe aggiungersi che la medaglia del vólto è da contarsi fra le migliori ch' egli facesse, o tra quelle almeno ove si piacque di parere men pronto ma più accurato. E ad onore della pietà che ordinava queste opere, non mentiremo affermando che tanto si fece quanto la scarsezza de' mezzi e le condizioni dell' arte permisero. Al riaprirsi della chiesa de'Francescani, che fu (se non erro) nel 4824, l'imagine di Maria dovette restituirsi al primitivo suo luogo, non ostanti le querele e 'l rammarico de' parrocchiani, ai quali restò il solo conforto di procacciarsene una copia, ch' è X attuale quadretto. La pia gara continuò ne' riti e nelle solennità; quinci e quindi suntuose luminarie, e splendidi paramenti, e smodato lusso di feste:' baldoria che cessò presto, poichè il soverchio non dura a lungo.

L'altare che segue ha titolo dall'Assunzione di Maria dacchè vi fu posta una tela di questo soggetto, esistente per lo innanzi nella chiesa di sant' Agostino. È l' unico lavoro che sia al pubblico di Domenico Bocciardo finalese, allievo del Morando in Roma, e lodato nella storia per certa finitezza con cui supplisce alla sterilità dell' ingegno, e al gusto non retto della sua scuola. Come opera unica mi pare da tenersi in custodia, e lamento il dispregio di chi la mutilò nella parte somma per acconciarla alla nicchia.

Ed unica è pure la statua di N. D. del Rosario locata nella cappella che succede, scolpita in legno da Giambattista Santacroce; e non solo unica di costui, ma della numerosa famiglia de Santacroce fondata in Genova da quel Filippo che il conte Doria trovò nel contado d'Urbino e da' servigi di bifolco incamminò alla scultura siccome è detto ne' cenni storici. Da quest' opera che meritò le lodi del Soprani, può aversi un idea del loro stile, che, se mal non giudico somiglia a quello de' Bissoni, altra scuola geno vese che ha per capo uno straniero; stile che cerca il grandioso più che l' elegante, e ne' lavori di minor conto s'impronta di quella goffezza e monotonia che fanno il carattere d'una

Servile meccanica. Fra questa schiera, i cui discendenti spense in parte il contagio, e in parte annichilò la fortuna del Maragliano, si regge onorevolmente il Giambattista colla presente statua, la quale se non è immune dai vizi, è pur ricca de' meriti della sua scuola. Fu recata dalla chiesa di san Vincenzo insieme a' marmi che adornano l' altare e la nicchia, e a due putti in marmo adattati sul frontispizio, lavori di Pasquale Bocciardo.

Delle due ultime cappelle mi spedisco accennando non più che il titolo, e l' autore delle tavole. Nella prima ch' è di giuspatronato della famiglia Cancvari e dedicata a S. Lorenzo, ii martirio di questo santo è fattura di Domenico Piotej ma delle più frettolose ed annerite dal tempo; nell'altra il quadro di S. Giovanni da S. Facondo che trae miracolosamente dal pozzo un bambino è del napoletano Francesco Naricij e poco più antica del -1780.

Non si tardi una visita alla sacristia, e una rapida scorsa al convento. La prima è nobile e vasta, e a questi pregi s' unisce pur quello di possedere due affreschi meritevoli di luogo più frequente di spettatori. Giambattista Merano, ultimata appena la fabbrica di questo locale, vi dipinse sul vòlto la gloria di sant'Agostino, e con certa vivacità di colori ed energia di con»posizione, che paiono mentire all'età, già vecchia in quegli anni, del loro autore. Altre lodi gli si potrebbero aggiungere, se quivi non fosse un'opera di tale, il cui nome deve imporre silenzio fra noi a qualsivoglia frescante; dico la sepoltura di Cristo, picciolo ma prezioso affresco di Perino del Vaga, incastrato nella mensa dell'altare. Il prezzo di tal pittura non era ignoto agli Agostiniani che dall' antica chiesa si trasferirono a questa: segato il muro ov' essa campeggia la salvarono da quelle rovine, e intera d' ogni danno la collocarono quivi all' ammirazione de' posteri. Dodici figure compongono lo spazio bislungo, pennelleggiate a*chiaroscuro di biacca e nero in fondo verdastro, con magistero di gran pittore, e con quella libertà e sicurezza che veggiamo negli schizzi o ne' bozzetti de' sommi artisti. Del tempo che impiegò Perino nell' eseguirle ci si narrano prodigii: ch' egli un giorno recatosi a diporto alla Consolazione, si fermasse sconosciuto ad osservare certi pittori che colà operavano a fresco, che venuta l' ora del pranzo e partiti coloro, desse mano a' pennelli, e prima del loro ritorno compiesse questa bella istoria sul muro: di che quegli artisti presero gran meraviglia, e non fu chi dall' eccellenza dell' opera non argomentasse 1' autore. Questo fatto riferito dal Soprani è discreduto dal Ratti, a cui sembra che una dodecina di figure, si ben composte e panneggiate, e piene di tanta evidenza e severità di contorno domandino più tempo che certo non dura il frugale pranzo degli artisti, e si sforza di combatterlo con una lunga nota. Ma lo scrittore non dee sentir gran pena nello scusare queste volgari dicerie, che io chiamerei le iperboli popolari, non meno ingegnose, e spesso meno incredibili di quelle de' poeti e de' rèttori. Se questa nacque da velocità e franchezza che usasse Perino in quel gentile dipinto, non ha radici nel falso; poichè il dipinto lo dice da sè, nè troppo monta a' cultori dell' arte il cercare più lungi. Basta a costoro il vedervi la mente che crea colla facilità e la copia d'un gran poeta, e la mano che esprime il concetto colla destrezza d' artefice sommo. Che a tanta rapidità di pennello s' accoppi tanta purezza di contorno, è il più duro a credersi, e il sarà sempre a'mediocri ingegni; i quali non pensano, come i severi studi in gioventù, e la consuetudine agli ottimi esempi, e la scuola onde usciva Perino, potean guidarlo a quella gran meta d'ogni gentil disciplina, ch' è il rendere familiari la nostra indole ed il nostro gusto a' tipi del bello e del perfetto. — Neil' andito della sacristia è un Crocifisso in tavola, già esistente nella chiesa di sant'Agostino, pittura, a quel che sembra, del secolo xv, ed ornamento opportuno; perchè i RR. PP. hanno quivi in due opere due riguardevoli monumenti delle antiche lor chiese.

Dalla testè nominata deriva pure una statua del Santo fondatore eseguita in marmo da Pasquale Bocciardo, e posta in capo al primo tratto della scala che ascende al convento. E ne derivano due pregevoli tele d' autor genovese; l' una cioè di G. B. Merano che rappresenta S. Giovanni da S. Facondo in atto di comporre le civili discordie, l' altra d' Orazio Defferrari, nella quale è S. Nicola da Tolentino che supplica Maria per le anime purganti. Queste opere durano in buono stato nel locale della biblioteca (smantellata nella soppressione) che trovasi ne' corridoi inferiori, ma non vi stanno senza pericoli, poichè non han posto comechessia, nè possono averlo quivi; e paion chiederlo nella chiesa, ove due mediocri dipinti del Giolfi l' usurpano. Mi giova augurar questo scambio, che tornerebbe di miglior lustro alla chiesa, di più onore alla nostra scuola pittorica, e di maggior decoro agli Agostiniani che hanno in quelle pitture due sublimi esemplari del loro ordine. Altri quadri rinvenni nel luogo istesso e di eguali condizioni, fra i quali mi basta il torre dall' obblio un Cristo che accenna il costato, fresca e

gentil pittura di Domenico Piola; del quale è pure la tavola di S. Nicolò, che dicemmo tolta dal suo altare, e appesa attualmente in un ripostiglio vicino al refettorio; bell' opefa anch' essa, e degna di rivendicarsi da lunga dimenticanza.

Lo zelo de' Padri che ministrano in questo tempio, e le loro colte sollecitudini nel promuoverne lo splendore mi confortano in cosiffatte speranze, alle quali son certo che s' unisce il mio lettore nel lasciar ch' ei fa i presenti luoghi, de' quali abbastanza s' è scritto. Ma non ne partiremo prima di rendere un tributo d' ammirazione al grandioso convento superiore, il quale alle comode stanze che racchiude, alla maestosa costruzione, alle imagini che lo Schiaffino vi fece in plastica, e a cento altri accessorii di magnificenza , mostrasi degno albergo d' una Congregazione che vanta grandi ed antiche origini, e luminosa istoria.

Non corrono molti passi da questa chiesa all'imponente Manicomio, opera del nostro secolo, e tale da poterlo uguagliare a' passati, eziandio ne' monumenti innalzati a benefizio della sventura. ll piano ove sorge la fabbrica, e la contrada che corre tra la via principale e il piano stesso hanno d'antichissimi tempi il nome di Braa, che lo Spotorno trae dal Braida, vocabolo che ne' lessici de' bassi tempi significa una campagna aperta, ed era comune in ogni città italiana. I genovesi a indicar questi luoghi usavano ed usano dire in a brea (nella braida), e male italianizzarono i moderni scrivendola contrada di Abrava; titolo che si perpetuò in abuso. Ora su questa spianata messa da tempo immemorabile a coltura d'orti, poi ricinta in semicircolo dagli spaldi di Carignano e da quelli delle ultime mura vediamo innalzarsi un ricovero a' pazzi, e con tanta magnificenza, che ogni altro discorso parrebbe ora inopportuno o leggero.

Dal 4593 fino all' innalzarsi di questo stabilimento , i pazzi trovarono asilo nell' ospizio degli Incurabili; ma gli studi dell'umana beneficenza, i progressi delle scientifiche discipline, e l'esempio de' popoli più sagaci e potenti a grandi opere, mostrarono all'età moderna, che a migliorare la sorte di quegli sciagurati poco era un asilo, ma si voleano argomenti di cura, ed altrettanta sollecitudine, ed affetto ne' rimedii, in quanto siede il lor morbo nella più preziosa e nobil parte dell' uomo. Nè Genova fu cieca a cotal verità; ma le guerre e i rivolgimenti politici che afflissero il passato e il presente secolo voleano uu balsamo alle piaghe comuni, più di quello che non permettessero un campo a quella filantropia, che trionfa in grandiose opere ne' tempi tranquilli. Ridonati questi alla Liguria, schiuso ogni arringo di vera grandezza dalla benignità dell'Augusto Carlo Alberto, non mancarono i generosi che vegliando sui bisogni della patria terra, proponessero alla Reale Sapienza F erezione d'un manicomio che in ampiezza e comodità emulasse gli altri stabilimenti che fan muto elogio alla carità e munificenza degli avi nostri. S. E. il marchese Antonio Brignole Sale vedea coronata dal Regio assenso l'impresa da sè con tanto zelo promossa, e nel 4830, secondato dalla special Giunta degli Spedali , commetteva al cav. Carlo Darabino architetto civico, e a Domenico Cervetto che nell'istessa qualità inserviva a queste opere pie, il delineare di comune accordo un progetto dell' edifizio. Consentirono nella forma radiata, di cui non mancavano esempi, e forse dirà taluno ch' essi imitassero specialmente dal manicomio di Glascow, ideato dall'architetto Grosch, e descritto con appositi disegni nel dizionario medico dell' Omodei. A costoro fu aggiunto per terzo nel 4834 il cav. Celestino Foppiani siccome ispettore delle opere; di che s'aombrò il Barabino siffattamente che si scusò del proseguire; nè molto tardò il chòlera a confonderlo nelle sue vittime. Questi particolari ometterei se non giovassero alla verità e non m'aiutassero a distinguere le fatiche adoperate da tre architetti nell' esecuzione della fabbrica; del merito di ciascuno lascio il giudizio a'periti, essendomi proposto di avvertire anzi che giudicar le opere de' presenti. Il Barabino ( come dicemmo ) tracciati i disegni abbandonò l' opera sul punto di eseguirla, il Cervetto vi rimase fino al 4837, poscia imitò l' esempio del collega: il Foppiani prese a dirigere da solo le costruzioni, e le die' ultimate nel 4844, meno le aggiunte da lui proposte, approvate dalle autorità, e già fondate suU' area, ma interrotte per cagioni ch' è superfluo l'investigare.

Il giorno 44 maggio del -1834 il nostro cardinale arcivescovo fra Placido M. Tadini poneva solennemente la prima pietra del Manicomio, e il 44 agosto del -1844 ne benediva la cappella che sorge nel centro della forma radiale, e Io stabilimento indi a pochi giorni s'apriva alla cura de' pazzi, sotto l'invocazione di S. Giov. Battista protettore di Genova.

Primo debito di questo articolo è l'accennare la distribuzione delle parti che compongono l'ospizio. Da un rotondo centrale si diramano sei raggi di fabbrica destinati a celle de' pazzi, delle quali la lunghezza media è di metri 3. 40, la larghezza di 3. 30, l'altezza di 3. 40, e la totale capacità di circa 38 metri cubi. Il corpo

centrale serve d'abitazione alla famiglia inserviente, ed ha i locali opportuni all'amministrazione e ai bisogni d'un tanto Istituto. È diviso in cinque ripiani, e gl' inferiori di essi comprendono i bagni, le cucine i fondachi ei magazzini , tranne il pianterreno ov' è un atrio, e una vasta sala elittica ch' or s'acconciò a refettorio comune de' pazzi. Laterali ad essa ascendono due scale che riescono ai piani superiori, e danno accesso alle infermerie spartite in due metà secondo i sessi; e il vano della sala medesima è occupato al disopra dalla elegante cappella , non povera di marmi, e decorata da Gerolamo Centanaro di plastiche rappresentanti l'Immacolata, e i santi Protettori della città, oltre due figure simboliche della Carità e della Vigilanza. Nello spazio che rimane è una sala per le adunanze degli amministratori, il guardaroba e le abitazioni delle Suore che prestano con sublime carità i loro servigi a questi sventurati, nè vi mancano alcuni appartamenti per curarvi coloro che venissero da famiglie ricche ed agiate. Egual numero d'impalcature hanno le membra radiali dell' edifizio; le tre mezzane servono a celle ordinarie, divise in due ordini per un corridoio, ch'ora a metà del corso, ora all' estremo s'apre in una sala comune; un quarto piano è sotterraneo, e un quinto confina al tet

Aljzbbi. Guida di Genova Voi. II. 38

to. Quivi s'ha per ciascun ramo un corso di vaste camere, e una capace sala all'estremità, ridotta ad infermeria chirurgica e medica. I cameroni han dipinti che fingono boschi e verzure, e dan gradito passeggio a'dementi nellii stagione invernale quando il freddo e le intemperie lor negano un diporto negli attigui giardini.

Furono questi ricavati negli spazi di terreno, che preclusi all' ingiro dal recinto, e a' fianchi da' raggi della fabbrica vengono a limitarsi in forma di trapezio. Ove il muro ricinge l' area del Manicomio, quivi gli accennati giardini mettono a un porticato che seguendo il corso circolare dà un passaggio ne' giorni piovosi; ed oltre questo primo recinto, in luogo riposto ma pur congiunto all' ospizio, havvi un gabinetto anatomico, che i primi Architetti (non so con quanta ragionevolezza ) disegnavano di stabilire in sito più ovvio, e poco discosto dall' ingresso 1.

Il governo del Manicomio è regolato da uno statuto organico, il quale si raccomanda per la osservanza de' migliori provvedimenti che i progressi della scienza han suggerito per la cura della pazzia. Tale statuto consolida ogni autorità ( per ciò ch' è disciplina interna ) in un solo individuo ch' è il Medico direttore; egli risiede nell'ospizio, ministra i rimedii, modera ogni atto della famiglia inserviente, e sorveglia ai bisogni vuoi fisici, vuoi morali degl' infelici ricoverati; non gli è permesso incombere a cure che sieno estranee allo stabilimento. Gli è dato in aiuto un medico assistente, il quale lo seconda ne'benemeriti uflìcii sanitarii, e bisognando, ne rappresenta la persona. V ha inoltre un Chirurgo primario, e due altri quasi subalterni, che invigilati dal primo eseguiscono le operazioni di minor rilievo. — Gli uffizi di religione sono confidati a un Rettore; egli ha sua stanza nel Manicomio, celebra quotidianamente la Messa , spiega ne' dì festivi il Vangelo e la morale cattolica, e dispensa a' capaci il conforto de' Sacramenti. — Le Suore di santa Maria del Rifugio intendono alla pulitezza delle infermerie destinate alle femmine, han la custodia e l'economia del guardaroba, sovrintendono alla cucina ed al vitto, e adempiono ad altri servigi con una carità, che mostra in loro le discendenti di quelle generose ond' abbiamo nella storia tanti e sì sublimi esempii di cristiana filantropia.

1 Per retliGcare le meno esatte asserzioni che si scrissero circa le dimensioni del terreno appartenente al Manicomio, giova il notare, che l'area esaltamente misurata ascende a circa 20450 metri quadrati; de'quali 4000 sono occupati dal corpo della fabbrica, 8856 da'cortili interni, cioè chiusi dal recinto circolare, e 7504 dal terreno che inoltrando fuori del primo recinto, raggiunge i confini.

£ qui avrei finito i cenni d' uno stabilimento, che stretto campo somministra a chi descrive, tuttochè grandeggi fra gì' Istituti della genovese beneficenza, sia per mole di fabbrica, sia per sapienza in chi lo modera, sia per le sollecitudini di chi l' amministra. Ma siccome il mio lavoro non dee tanto consentire alla brevità, che gli sfugga pur ombra dal lato dell' arte, così gli è debito il rintracciare, quali aggiuntè o mutazioni portasse all'edifizio l'ultimo architetto Celestino Foppiani, e quali divisasse di farvi se i mezzi o la volontà secondavano il suo pen~ siero. E questo non ad oggetto di lode o di censura, ma per rispetto a quell' unicuique suum ch' è legge inviolabile dell' umana coscienza; del resto si lasci il sentenziare a chi visita il locale, ed esplora i bisogni di chi v' è dentro. Non si tratta di far plauso all' eleganza architettonica onde si fregiano i palazzi del maggiorente; quivi l'architettura assume un più nobile carattere, quello di adunar sotto un tetto una famiglia di sventurati^ d'innalzare un tempio alla loro salute.

A tal fine intese il Foppiani, preso ch'ebbe l'incarico di ridurre a compimento la grandiosa e diffidi mole del Manicomio. E com' egli non tanto fosse sollecito del compiere quanto dell' accrescere, mei dicono i suoi disegni raffrontati a' disegni degli egregi architetti a' quali da principio fu commessa la fabbrica- Allungò di meglio che SO metri lineari le deambulazioni coperte, accrebbe fino a 268 le 2-12 camere destinate ai pazzi, dodici ne aggiunse a'convalescenti, cinque a' sanitarii ed agl' inservienti; rese più libere e ventilate le sei camere d'infermeria, e quelle di lavoro sommano per lui a 25, mentre sole otto se ne contano nelle tracce primitive. Nè chiese ( degno a dirsi ) a cotali vantaggi un più grave dispendio del già computato nella somma d'un milione e duecento ottantamila fr. dopo che il suo antecessore conobbe temerario ( siccome accade sovente in siffatti computi ) il calcolo fatto in principio di Ln. 648m.

I disegni del Foppiani, compiutamente eseguiti, avrebbero dato allo stabilimento le sale mortuarie secondo il sistema di Hufeland, utilissime e lodatissime fuori di Genova che tuttora ne è priva. Le camere a" osservazionej la camera oscura si debbono a lui, come anche l'armatura della cupola che si leva sul fabbricamento centrale, eseguita alla De-lorme per evitarne le spinte, e le modificazioni analoghe al sito, e'l tetto fasciato di rame a dilatazione libera. Aggiungi il metodo semplicissimo del getto intermittente che tien netti e meno fetenti i canali

e le tramogge de'cessi, che la necessità vuole in balia de' pazzi; la cappella ampliata, fornita di tribune, e locata in sito più degno ed opportuno; e il fabbricamento centrale reso men triste dall' introdurvi ch' ei fece quanto si potè di luce, e più solido dall'applicarvi il sistema Frisardj che otturando il vano, qua e là soverchio, tra l'inferior vólto e 'l solaio superiore, unisce e congegna le varie parti senza promuovere notabilmente le spinte in parti nè troppo gagliarde nè a quell' ora immuni di lesione.

Ho accennato più sopra del braccio di fabbrica che il Foppiani divisava di aggiungere in fronte all' edifizio pe'soli sanitarii, nè mi giova il ripeterlo, poichè le somme deliberate per innalzarlo furono vòlte ad opere di maggiore necessità , nè si fecero di quella prima più che le fondamenta. Ma non m' è inutile l' averla rammentata , poichè m'invita a chiudere l' articolo notando l'intero abbandono che nel fondarla fece l' architetto del metodo a palafitte adottato nell' area dell' intero Manicomio con tale dispendio che spiace a ricordarsi. Ivi sostituì il sistema di Scamozzi, o meglio il combinò al così detto a rena od americano; X utilità risulta dal computo della spesa che fu di Ln. ioni., mentre co' vecchi metodi sarebbe ascesa alle 39m. Altri vada speculando quanto tesoro si disperdesse nelle palafitte poste a reggere lo smisurato edifizio; io temo d' essermi già troppo smarrito in particolari; il che mi sarà per avventura messo a colpa, dacchè nel resto ho curata la brevità quanto seppi.

Il lungo viale, piantato sui fianchi di lieti alberetti, che ci ha condotti fin sulle soglie del Manicomio, ci mostra tostochè ne partiamo per dove si debba proseguire; dacchè questa linea di strada attraversando la principale che corre difilata alle porte della Pila, inoltra nel borgo a sinistra, e e' invita a pascer l' occhio nelle moderne opere che le sollecitudini del Corpo Civico, sancite dalla Benignità del Re Carlo Felice deliberarono intorno al 4825 per decoro ed accrescimento della città. Disegnò queste ampliazioni l' esimio Carlo Barabino j e le trasse a buon termine G. B. Resasco suo successore nch" uffìzio di civico architetto. Una piazza quadrangolare, che un lodevole benchè tardo affetto di patria ha intitolata a Colombo, fa centro ai due borghi, già ornata nel suo circuito di tre maestose fabbriche, e si affretta co' desiderii l' alzamento d' una quarta che compia il ricinto dell' area. Nel mezzo de' quattro Iati s'aprono altrettante strade; abbiamo di fronte quella che corre per lungo tratto al Conservatorio Brignolc; a'fianchi le due che con egual linea si rispondono, a partire dal vecchio borgo di san Vincenzo fino agli spaldi che fan limite e cinto alla città. In qUest' ultimo tratto fervono le opere tuttora incompiute, ed è parte di queste il PubBlico Ammazzatoio condotto, mentre scrivo, a non mediocre altezza, e che vorrebbe più lungo cenno, se di questo io non potessi tener discorso in un altro già compiuto e da notarsi sul fine dell' opera. Non dobbiamo ricusarci però ad inoltrare per poco fra questo ingombro di arnesi e di materie, e fra lo strepito degli operai; poichè volle una propizia fortuna che l'apertura di questa via ci scoprisse il tergo del famoso Palazzo già Grimaldi, ora del Marchese Costantino Sacli , che fu ne' secoli scorsi, ed è tuttavia, benchè in pessimo stata, l' ornamento migliore di questo borgo.

Ogni straniero che leggesse ne' libri le meraviglie di questo palazzo, costrutto per ordine di G. B. Grimaldi dall' insigne Galeazzo Alessi a dimora campestre, chiunque vi trovasse descritte, l'imponenza delle proporzioni, l'eleganza dell' ordine, la profusione degli ornamenti, e quel bagno che a detta del Vasari era la cosa più gentile e più ricca che potesse desiderarsi in albergo di privati, non vorrebbe metter piede in Genova senza correre avidamente in cerca di tante delizie, e sbramar l'occhio in un monumento che ha tante lodi in que'libri, e tanta fama presso i dotti dell' arte italiana. Ma noi non potremmo additargli il luogo senza arrossire di noi medesimi o condolerci della nostra fortuna. Non aggraviamo le colpe nostre colla menzogna; chè schietta menzogna è l'accagionare il tempo del tristo aspetto de' danni che incolsero a questo palazzo, sformato assai prima dell' attuai secolo, ed orbato di molte bellezze , ma sempre per mano degli uomini e per talento d' avarizia. Io non so diffondermi a descrivere il bell' ordine dorico che dà forma all' edificio, nè i fregi che l' arricchivano con pari dovizia e leggiadria, nè i marmi delle logge e delle gallerie, nè l' ampiezza delle sale e degli ingressi, cose tutte a cui basta uno sguardo, come avviene nelle opere eccellenti, e che in questa servono anzi ad accrescer corruccio che a promuovere diletto in chi osserva. Chi scrive sincero della patria terra non deve dissimularne le miserie, ed io tolgo l' amaro uffizio di lamentarle quivi, perch' altri non m' oda vantare grandezze antiche ove la pochezza presente ha testimonianze cosi aperte.

Sulle mura del primo ingresso, coperte in gran parte a bozze di travertino e reggenti una galleria che si stende in doppio braccio dal palazzo per quanto è lungo il cortile, fanno miserabile annunzio dell' interno un ingombro d' erbacce che vi si nutrono ed appigliano per lunga incuria, e rotture spiacevoli, e quanti altri mali ed oltraggi vi aduna il caso. Passate le soglie hai peggior vista; le colonne, nonchè insozzate sul fusto, ma guaste e smozzicate ne' capitelli e nelle basi, le mura screpolate e nauseanti per sudiciume; delle cornici, de'fregi, delle colonnette non v' ha palmo che sia sano, e fino sul terreno fatta ruberia di marmi e mal governo del mattonato, non resta che un ineguale e fangoso passaggio, sia che tu corra all'aperto, o giri intorno il loggiato.

In capo a questo cortile a cui le continue ed antiche ingiurie non han tolto affatto la maestà e la bellezza, sorge il palazzo che ha prospetto verso il borgo di San Vincenzo. I danni sono eguali in tutto ciò ch' è ornamento; e come il tempo voglia scolparsi con chi 'l rimprovera di tante perdite, mostra in mediocre stato un fregio contesto a grappoli e foglie con lungo e diflìcil lavoro nella parte somma della facciata. Del bagno descritto, siccome dicemmo, dal Vasari non resta vestigio, ond' è inutile il tentare l'ingresso per quella porta a man dritta che dalla loggia di fronte introduce alla stanza ove l' Alessi costrusse sì delizioso lavoro. Tornando alla faccia esteriore del palazzo, io non so se

più tenda a sformarla quel che s' è perduto o quello che vi s'aggiunse: accenno alle grandiose finestre otturate per maggior comodo di chi vuole abitare l' appartamento superiore, o farvi fabbrica di checchessia, e allo sciocco alzamento fatto sovresso il fregio per cavarne que' poveri mezzanini o colombaie che ripugnano alla ragione e al buon gusto. Ma i Grimaldi, primi signori di questo splendido soggiorno, intesero specialmente ad ornare il pian terreno, come ci dicono i dipinti che prima d'ora per intero, ora in gran parte ne ricoprono i vòlti. E quivi ov' è- più grande tesoro par che si studi a raddoppiare i pericoli chi cede i locali a magazzino di merce, che attualmente è cotone ammonticchiato in ispaventevol numero di balle fin quasi al soffitto, cosicchè se vuoi scoprir figura di que' begli affreschi, t' è giuocoforza il rampicarti a gran pena su per tai cumuli che vacillano sotto i tuoi piedi e ti permettono a caro prezzo le indagini. A me non bastò nè cuore nè pazienza a tal fatica, o meglio mi vinse lo sdegno, vedute ch' ebbi tre stanze; nch" una delle quali trovai che Luca Cambiaso espresse col saporoso stile della seconda sua epoca le geste principali dell' Affricano, nell'altra Ottavio Semino parecchi fatti dell' Eneide, e nella terza lo stesso Luca alcune favolose divinità con una energia che fa supporle della su» giovinezza.

Chi tentasse un passo per mezzo ai suddetti ingombri, troverebbe forse altri affreschi ed altre bellezze; ma pochi basteranno a tale sperimento di pazienza. Noi lasciamo il palazzo per avviarci ad altri monumenti men pregevoli di questo dal lato dell'arte, ma di maggiore conforto e di minor disdoro a' tempi nostri. Dovrem noi, così sul partire, augurargli quel che tutti gli vanno augurando, che cioè una generosa e ricca famiglia lo ridoni all' antico splendore, e ne faccia suo albergo, come già i Grimaldi nel secolo xvi? Vana speranza. Oggidi non bastiamo a custodire quel che gli avi costrussero; grande miseria; poichè non istà ne'mezzi, sì nella volontà, e dove gli antichi cercavano grandezza nelle arti del bello', i presenti la cercano nel mercanteggiar tesori o seppellirli nelle arche domestiche.

Poco lungi, ripiegando ad occidente, è la Chiesa Di Santo Spirito, della quale s' hanno antiche memorie quantunque scarse; e v' ha chi crede, che ad essa .fosse attiguo uno spedale destinato ad accogliere i pellegrini. Parla della chiesa una scrittura del 4157, colla quale certa Alda Buroni le facea legato del suo salterio; e se fosse lecito lo spingere le congetture nella intenzione delle sue parole, io crederei che il modesto tempietto si fabbricasse non molto prima di quell' anno, poichè Alda ne fa cenno cosi: Legat psalterium suum ecclesiae de Bisamne quarti fecit aedificare Donusdei; parendomi verosimile che l'indicarne il fondatore sia segno di opera recente. Non si sa in qual anno entrassero al possesso della chiesa le monache Clarisse che quivi s'innalzarono un monastero, e vi rimasero fino al 4579, cioè fino alla venuta de' Chierici regolari Somaschi; nella qual' epoca le suddette religiose, fatta cessione del fondo, s'incorporarono a quelle del nobile monastero di santa Chiara in Albaro. Esse ( scrive lo Spotorno ) aveano in questa lor casa un lanificio, e per l'economica amministrazione, e forse per eseguire i lavori più faticosi, tenevano de' frati conversi: tal era un frate Oberto Caffaro nel 4236. La rivoluzione del 4797 privò la chiesa di Santo Spirito degli uffizi religiosi, nonchè del benemerito ordine de' Somaschi, i quali han vanto d'aver quivi albergato parecchi anni il lor valoroso poeta Bernardo Laviosa, che in secolo di letteraria depravazione tornò in amore l' altissimo stile di Dante. Un altro titolo d'onore hanno in alcune opere lavorate per questa chiesa durante il lor soggiorno di più che due secoli, opere che la soppressione non bastò a toglierle se non in piccola parte. Raccomandano parecchie di queste alla nostra osservazione non così il merito intrinseco dell' artista quanto la rarità del nome; e perchè ad esse vuol quasi limitarsi l'articolo, non farò che accennar di volo le mediocri; quali sono la Discesa dello Spirito Santo nel cenacolo di Anton Maria Piolaj che siccome allusiva al titolo, è locata sull' altare primario, e due tele con S. Gerolamo Emiliani incastrate nel muro laterale delle maggiori cappelle, l'una a destra di Francesco Narici da Napoli, l' altra di Francesco Grondona genovese pittore a cui la brevissima vita non può scusare la meschinità di quest'unico lavoro, e finalmente la tavola di S. Venanzio nella quarta cappella a sinistra colorita con bel sapore di tinte da Giambattista Parodi, e degna di preferirsi alle accennate come l'unica che resti in Genova di lui, e piena di belle doti d' esecutore, sebben disegnata con quella licenza che nel passato secolo lusingava il gusto dell' arte italiana.

I lavori di maggior pregio si debbono alla pietà d'alcuni patrizi, che nel secolo xvn gareggiarono nch" adornar questa chiesa, e meritarsi un ricambio d' affetto da' PP. Somaschi. La seconda cappella a man dritta fu decorata di marmi e di tavole a spese [del Doge Agostino Pinello, la cui statua marmorea insieme a quella di Nicoletta sorella di lui si vide locata quivi fino alle civili turbolenze sovraccennate, per attestare il patronato e la splendidezza di questo generoso. La furia del popolo, non uso a distinguer merito, si stette paga quest' unica volta ad atterrar quelle imagini, e quella della donna vedesi ancora in un cantuccio della chiesa, meglio avventurata delle molte che fra il tumulto d'una pazza plebaglia, furon segno per le contrade di Genova ai più nefandi insulti. Anche l' avarizia congiurò a spogliare questa cappella delle preziose tavole che il Doge avea fatte lavorare per essa a Luciano Borzone; e sei nicchie vedove de' lor fregi attestano la rapina di altrettanti quadri del suddetto autore, ne' quali si rappresentavano istorie del Battista a cui l'altare è votivo. Ma questo conserva la sua tela figurante il battesimo di Cristo per farci conoscere quanto perdemmo nelle compagne. Non si ha opera in pubblico, nè altra in privato si nomina da raffrontarsi alla presente; e dove in lui suolsi perdonare il difetto della grazia e della dignità all' effetto del chiaroscuro e alla zelante imitazione del vero, egli è nobile e grazioso in quest' opera sì che diresti, che volesse meritarsi con un sublime esempio cotali elogii, troppo arditamente negatigli dal Lanzi, e forse sull' altrui fede. Abbiam nel Soprani che Orazio Gentileschi

dimorante in Genova quando Luciano ultimò questi quadri, veduti che li ebbe cercò dell'autore, e gliene congratulò; e da quel punto gli si strinse di tale amicizia che solo per morte potè disciorsi. L' attigua cappella dedicata a N. D. di Misericordia ha nel vòlto una schiera d'angioli che fan gloria all' eterno Padre coloriti nella prima gioventù da Giulio Benso s lodevoli per disegno ed impasto, preziosi sovrattutto siccome primizie d'un ingegno sortito a grandi prove di affrescante. Del resto vi trapela il puerile, e più vel discerne chi sogguarda pure tre piccole medaglie della cappella rimpetto, che ha titolo dal Crocifisso, ove G. B. Carlone dipinse istorie della Passione con quel nerbo, con quella vivacità e quel rilievo che paion doti d'ogni sua opera. La cappella fu costrutta a spese d'Antonio Spinola, e direi che ad inchiesta di lui lo scultore G. B. Bissoni sovranominato il Veneziano scolpisse in legno per l' altare la commovente imagine del Cristo. Della quale basterà il dire, che non solo da' contemporanei fu tenuta pel miglior lavoro di lui, ma salì in tal credito che gli scultori temevano di comporre ed esprimer men bene cotale soggetto se prima non consultavano questo tipo. Vi ammiravano specialmente una certa soavità e tenerezza che s'imprime in quel volto, benchè offuscato dalle tracce di morte, nonchè la modesta apparenza de' martini, pregio rarissimo in un secolo che tendeva al contorcere e all' esagerare. Sette anni dopo la pestilenza che uccise il Bissoni e la sua famiglia, sorse da povero stato il Maragliano, che in eguali argomenti ebbe fama ed applausi; ma di quella nobiltà da noi lodata in alcuni suoi crocifissi dovette gran parte a quest'opera, che egli contemplò e ritrasse le mille volte prima di cimentare il giudizio pubblico. Ora il Bissoni e il crocifisso di cui parlo si nominan poco; poichè il secolo che si vanta purista, volgendosi a' passati, vuol vedere i difetti nelle bellezze medesime.

Ci restano ad osservare due quadri nelle cappelle che seguono a chi indietreggia; l'una e l'altra ha il pregio dell' arte e della rarità. Vien primo l'Angiolo Custode sub" altare di questo titolo, tavola commessa da non so quale marchesa Spinola a Simon Balli fiorentino, insieme ad altre sei di minor mole, già quivi esistenti, se non mente la Guida del Ratti. Chi non vide la tela presente non giudichi questo allievo del Lomi; perchè se nel pochissimo che abbiam di luì ( sebbene vissuto in Genova fino a tardissima morte) può sembrare esperto nch"imitarlo, io"l dirò quivi bastante a superarlo negli stessi suoi metodi. Certamente di vaghezza e di brio non gli cede, ne' giuochi del chiar jscuro è più temperato e modesto, e sovrattutto distacca e decide i contorni con tanta cura quanta par che ne avesse il pisano nell' annebbiarli d' un falso vapore. Laonde quant' egli potesse il veggiamo in quest'ultimo suo dipinto, del quale farei più lungo discorso se la tavola che segue avesse men titoli alla nostra stima.

V è figurato S. Ferrando che invoca la protezione di Maria per alcuni storpii e feriti che lo circondano. N' è autore Bartolommeo Biscaino genovese, uno tra i molti che il contagio del 4656 tolse alla patria nel fiore delle speranze. Morì sul venticinquesimo anno della sua età, non sui diciannove come taluno potrebbe asserire, fidandosi alla Guida del Ratti. Per questo è unica la presente tavola al pubblico, compiuta da lui un anno prima della sua morte, ma non mancano altri saggi del suo valore in luoghi privati. Nacque di padre pittore, ma sì mediocre che diffidando del proprio insegnamento lo commise alla scuola di Valerio Castello. La fama e le lusinghe di quello stile l'invogliarono così di tale imitazione, che de' quadri dubbiosi derivati da quel fonte usiam dire: egli è del Biscaino o di Valerio. Pure non si confonderebbero, cred'io, se il primo avesse lasciate più opere certe, e l'altro minor numero di seguaci. Questa tela, che per grande sfortuna non è in ottimo stato, gli procaccia una lode assai rara, ch' è il non essersi abbandonato a' capricci che la maniera del Castello può suggerire a chi è minor del suo genio. Ne son prova i contorni decisi e studiati, le pose naturali, e le espressioni severe; onde si direbbe che quest' ingegno l'osse capace di trovare per sè quel che mancava al maestro, ove il morbo pestilenziale non avesse tronche sì belle speranze 1.

La chiesa serve attualmente a Scuola Di CaRità' pei poveri fanciulli del quartiere ( o più propriamente sestiere ) di S. Vincenzo, i quali sommano poco più poco meno a 260. È diretta da'successori del Garaventa; intendo dai nostri ottimi Sacerdoti, che sulle orme di quel generoso adempiono quest' uffizio di vera carità con una sollecitudine da lodarsi meglio colla gratitudine d' ogni buon cittadino, che con lunghe e studiate parole.

Nè debbo omettere, che alla chiesa è attiguo un altro stabilimento suggerito dallo spirito di cristiana pietà nel secolo scorso. Argentina Imperiale, gentildonna genovese dotata di singolari virtù, rivolse parte delle sue ricchezze a benefizio del proprio sesso, raccogliendo in decente ospizio le femmine traviate, e invitandole a compensare colla ritiratezza e la continenza d'una vita novella la irreparabile perdita della prima dignità. Quest' opera cominciata nel 4774 fu sottoposta dalla fondatrice alle pietose cure delle Dame di Misericordia, che ne tengono anch' oggi il governo, deputando una del proprio numero ad esplorare i bisogni, e dirigere la Casa. A questa ch' io accenno fu messo il titolo Delle Addolorate. Secondo la disciplina costituita dalla Imperiale, sono escluse dal ricovero le vedove e le coniugate. Nelle consuetudini della vita, le femmine quivi raccolte si attengono ad una sola regola ch' è quasi claustrale: vestono ad un modo, si cibano in comune, ma dormono in istanze separate; la maggior parte del tempo danno al lavoro, che serve anche alla lor sussistenza. Il numero non è subordinato a precetto; ma attualmente non tocca la trentina. Continua il nostro cammino per la nobile strada che si discosta dal borgo sulla linea del Manicomio, ornata recentemente di begli edifizi per dispendio del benemerito marchese Gio. Carlo

1 Il Biscaino fu anche valente incisore all' acqua forte. Si conoscono nelle collezioni degli amatori tre stampe di lui, cioè un Presepio, un Mosé trovato nel Nilo, e una Vergine col bambino ed angioli. Attesta il Ratti ehe una delle sue tavole rappresentante la punizione di Marsia meritò i.V esser posta nella galleria di Polonia , fondata ed arricchita dal Re Federigo Augusto II.

Serra. Di ciò a miglior tempo. In capo ad essa, sul destro fianco richiamano la nostra attenzione la Qwiesa e il Conservatorio Di Santa Maria Del Rifugio, ma certo assai meno coll' apparenza che non colle splendide memorie che van congiunte all'Istituto, e delle quali ci fu mestieri tocca* qua e là di volo nel contesto del volume.

Conosciamo per istoria i tempi calamitosi che correano non pure in Liguria ma in quasi tutta Italia sul volgere dell' anno trentesimo del se* colo decimosettimo, ed è cosa ben nota come un' immensa colluvie di fanciulle andasse per le nostre contrade limosinando con gran pericolo della lor pudicizia; cagione un' incessante penuria di viveri, che le trascinava alla nostra volta dalle vicine riviere. Ma non fu sorda a cosiffatta sciagura la liberalità genovese. La nobil donna Virginia Centurione Bracelli, encomiata da' biografi non solo per la generosa carità che in lei rifulse, ma si ancora per le molte sue cognizioni e profondi studi in più lingue 1, concepì ed intraprese il disegno di ri

1 Virginia Ceniti!ione Bracelli nacque in Genova l'anno 1687 da Giorgio Centurione personaggio chiarissimo per onori pubblici, e da Lelia Spinola lodata siccome specchio ri' ogni morale virtù. Dotata dalla natura di bellezza non comune, di perspicace intelletto, e di tenero sentire diede Indizi fin dalla prima giovinezza delle molte prerogative

coverarle nella propria casa, ella stessa radunandole il di e la notte nel maggior numero che l' era dato di ritrovare. E non furono poche , ma di corto crebbero a tale che non bastando la propria abitazione, fu costretta a procurarsi a fitto il convento così detto di Monte Calvario, già de'Padri alla Bregara, ed una casa, amendue sul colle di Carignano; e in questi locali allogatele, aiutata da' sussidii di non pochi personaggi, diede finalmente principio ad un formale stabilimento. In breve le beneficate giovinette s'innamorarono alle dolci e belle maonde s'adornò nel!' età sua più adulta. A persuasione de' genitori si legò in matrimonio a Gaspare Grimaldi Bracelli, nomo anzichenò licenzioso, tolto a'virenti dalle sue dissolutezze. La morte del marito fu sprone alla virtù di Virginia, avendo ella imparato dai sofferti travagli che bella opera sia il proleggere gì' infelici. Da quest' epoca adunque incomincia la serie delle sue beneficenze, che usò d'ogni maniera verso i poveri, non isdegnando di recarsi nei tugurii e negli abituri a dispensar loro di che vivere. Morì nel 1651 , quando il proprio istituto avea presa maggior lena e vigore per le limosino di tali che verran sott'occhio al lettore nel corso del nostro articolo. Sepolta da prima in Santa Chiara di Carignano, pochi anni dopo la soppressione di quella chiesa, cioè nel 1801 , la sua spoglia ne fu cavata del tutto incorrotta, e trasferita nella parocchiale di S. Giacomo. Non vi stetto a lungo, poiché l'anno appresso trastocata al Rifugio, ebbe quivi più convenevol tomba e 1' onor d' ona lapide; essendo pur troppo

niere della loro istitutrice, e come a dimostrazione di riconoscenza e d' affetto verso le cose celesti spontaneamente mutarono la propria veste in quella di terziarie Francescane, adoperandosi insieme a vantaggio del nuovo conservatorio in diversi lavoretti che di mano in mano loro andava apprendendo la comune benefattrice. Ne' quali insegnamenti essa non dovette affatigiusto che morta dovesse rimanersi presso di quelle che in vita aveva amato tanto.

D . 0 . M

Virginia . Georgii . Centvrione . Filia

Gasparis . Bracelli . Gbimaldo . Vxor

A5ceierii . Pvella1ivm . S . M . De . Refvgio

In . Monte . Calvario . Fvndatvm

NATA . DIE . It . APRIlIS

A . MDlXXXVII

DEFVNCTA . D . XV . XBHIS . MDCTI

CVJVS . CADA VER

IN . S . Ct.ARAE . AD . CARINIANVM

DIE . XX . SPTBR1S . MDCCCI

INTEGRVM . REPERTVH

IN . CONFINI . PAROECIA . S . JACOBI REPOSITVM

nv'C . DEMVM . ANTISTITIS . PlACITO

DIE . XVIII . XBRIS . MDCCCII

TRANSlATVM.

Chi desiderasse di lei più lunghi cenni, legga il suo elogio nella collezione de' Liguri illustri, ristampata ed accresciuta recentemente dall'Ab. Luigi Grillo.

ticarsi a lungo, dappoichè fatte dotte le prime, poterono ricambiarla in progrosso de' loro aiuti coll' erudir nuove alunne.

In questi termini si stettero le cose fino al -164-1, nel qual' anno aumentatosi il numero delle fanciulle sino alle 400, il Senato Serenissimo annuendo alle richieste della vedova Bracelli, nominò protettori del nuovo istituto i patrizi Gio. Francesco Lomellini, Giacomo Filippo Durazzo, e Gio. Francesco Granello. Affidatane a costoro l'amministrazione, la fortuna e l'economia dello stabilimento di giorno in giorno andarono prosperando, cosicchè non corsero due lustri che videsi nuovamente accresciuto di un centinaio; e però il Senato si mosse ad elegger loro un collega scegliendo il patrizio Emanuele Brignole. Da questa addizione riconobbero le Suore il maggior loro incremento; poichè se l'assistenza dell' istitutrice, e le limosine raccolte e largite da' tre protettori a mala pena bastavano al nutrimento di ben cinquecento fanciulle, questo solo benefattore tanto potè che l' istituto avesse per l' avvenire di che mantenersi senza ricorrere a molti *. A persuasione del Brignolc e del Granello fecesi acquisto di una nuova fabbrica con annessi giardini posta nel luogo di Bisagno, collo scopo d'accogliere in questo solo edificio le fmìciulle della Bracelli. In questa compra ( il cui valore ascese a sedici mila scudi d' argento ) i due suddetti patrizi ripartitasi la spesa dell'orto, che fu di scudi ottomila, diedero unitamente agli altri protettoti il quarto del totale pagamento della casa. Ma il Brignole quasi contemporaneamente a' rinnovamenti che in essa si faceano per cura de' protettori, donò tanto del suo che venisse estesa d' un nuovo ramo.

1 Basta leggere il testamento del Brignole rogato l'anno 1677 addì 8 giugno dal nolaro Gio. Battista Camere, e. stampato in Genova da Giovanni Franchelli assieme a varii altri codicilli, per convincersi cbe non a torto le Suore di santa Maria del Rifugio si chiamano col di lui cognome a discapito della prima loro isti (Utrico. Indicheremo in questa nota diverse iti-posizioni colle quali palesemente ci dimostra quanto fosse I' afiVllo che nutriva a quest'Opera. — Ari. 25. Tutti gli argenti, oro, mutili ed altro, esclusi i danari effettivi e viglietti di Cartulario, che al tempo della sua morte avrà esso testatore nella casa di sua abitazione, vuole che si riparlino fra le opere di N. S. del Rifugio ed Albergo di Carbonara ec. — Ari. 24. La quarta parte del palazzo e giardini ove al presente abitano le povere figlie di tale opera del Rifugio e gli spella; come appare da pubbliche scritture, a'quali ec. e si distingue ne' suoi libri di scrittura e vuole che non si possa in alcun tempo alienare ma che servi perpetuamente ad uso delta stessa Opera di Bisogno ec. — Ari. 20. A detla Opera di N. S. del Rifugio in Bisogno lascia quelle spi se ch'esso testatore ha fatte in accoAlizebi Guida di Genova Voi. II. 39

Mentre ques'.e cose si maturavano venne a

morte la pietosa Bracelli. Non è a dire quanto increscesse ad ognuna delle Suore la perdita di lei, e di quai lagrime la piangessero; ma le loro condizioni non ne soffersero grave detrimento. Non andò molto che da' protettori del maggior Ospitale chiamate a' servigi degli infermi, con tanto amore s'adoperarono iu siffatti esercizi, ch'ebbero in breve l'interno ministero di tutto lo stabilimento: il procedere de'Protettori suddetti Fu seguito dal Magistrato della Misericordia, dal quale furono delegate all'educazione e alla disciplina d' una moltitudine di poverelli, tolti anch'essi da molti anni alle angustie della carestia e ricettati alla confusa nel Lazzaretto della Foce. Così, nel mentre che l'istituto andavasi acquistando protezione e favori, dettò il Brignole, o meglio trasmise loro le regole ad osservarsi, concepite a un dipresso sull'imitazione di quelle, colle quali S.Vincenzo de Paoli moderò l'istituzione delle figlie di carità.

rnodarc i sili all'uso e bisogno delle figlie d'essa Opna; quali spese oggi ascendono a lire 5G2G5. 15, come appari da'suoi libri di scrittura ec.

Olire i suaccennati lascili, legò a lor favore (art. 104) tei renleni degli annui fruiti de'suoi beni; espresse però l'uso eh'ci volea se ne facesse, pagando cioè l'onorario a' confessori, cappellani e predicatori di delle suore; a' maestri che ingegnassero loro scrivere, suonar d'organo, di basso, di viola, o canto fermo, pel solo uso delle ofti•iaturs divine; e in dare lire cinquanta sino in cento per ognuna di quelle figlie eh' essendo state in della Opera di Bisaguo almeno anni sette continui, usciranno a sola causa a con probabilità di maritarsi, quando però venisse effettuato il loro matrimonio dentro d' un anno dall' uscita dalia oasi. Seguono altri obblighi che omettiamo per amor» di brevità.

Siamo all' epoca più luminosa che mai sorgesse per queste sorelle. Ninno rammenta la peste del 4636 che non gli tornino a mente le fatiche e i disastri che soffrirono in queil ' epoca dolorosa per lenire altrui le pene di quel morbo terribile; non v' hanno parole ad esprimere il coraggio e la sollecitudine che mostrarono a gara nell' adempiere ad un uffizio altrettanto abborrito quanto difficile e pericoloso. L'aver io già condotto il pensiero del mio lettore a questo commovente spettacolo, e descritto in parte il valore che mostrarono le magnanime donzelle nello Spedale di Pammatone, non mi terrà dal rinnovar loro un tributo di gratitudine, tributo che meco pur dovrebbe ripetere ogni cittadino, il quale sappia in che veramente sia posta la nobiltà. Molte d'esse incontraron la morte, ma con lieta e serena fronte; poichè miglior guiderdone non desideravano alle lor fatiche del perdere la vita per conservar quella del prossimo 1.

1 .Nul numero di quello persone generose che morirono al servizio d'ospedali o lazzaretti, che in molla copia si erano eretti in quella occasione, dee porsi la prima Suor Maria Tramonti di cui ci fa nn grand' elogio il P. Antero Maria da S. Bonaventura ne' suoi Lazzaretti di Genova. Infermatasi dopo quaranta giorni di servizio nel lazzaretto della Consolazione, non solo tollerò con invitta pazienza i dolori del morbo e i violenti rimedii con cui tentavasi la guari.gionej ma dalla sua bocca in lutto il corso della malattia non usci suono di lamento, anzi del proprio patire grandemente si rallegrava. Mori il Sibbato Santo del 165G. Fu sepolta tra le lagrime e le benedizioni di tutti gli astantì sopra un monticello situato nella clausura de' Padri dopo essersi celebrate l'esequie in forma solenne e recitato un sermone in lode delle sue virtù, che veramente eran molte e grandi. Nel volger degli anni il suo corpo fu di là trasportato al Rifugio unitamente alla lapide che v'era stata apposta. Giace ora nel cimitero di questo Conservatorio; ma essendo l'iscrizione ornai rotta e guasta ci dispensiamo dal riferirla.

Cotanta virtù neppure andò sfuggita a' forestieri. Roma, Milano, e Savona ne fecer richiesta pe'loro stabilimenti; all'ultima di queste città furon ben tosto concesse; l'ebbe pure la prima, rinnovata la domanda dal Pontefice Leone XII 1; non furono spedite nella seconda forse riputandosi troppo da noi lontana perchè potessero i protettori invigilare con diligenza all'economia, e alla perfetta osservanza degli statuti. De' quali

1 II Pontefice Gregorio XVI concesso che vi si fondasse una Casa principale solto il titolo di S. Norberto, come si f«ee nel 1835 con grande coucorso e solennità.

io non farò lunghe parole, essendo, come già udiste, trascritti da istituzioni straniere; basti il dire che l' obbligo principale imposto in essi alle Suore è il servire i pii stabilimenti nelle occasioni specialmente di pubblica sciagura. Se a quest' obbligo abbiali' esse adempito il provi il già detto, come pure quel che fecero nell'ultima calamità del 4835, di che fummo testimonii di veduta.

De'gentili lavoretti in cui s'occupano le figlie del presente Conservatorio io m' intratterò poco; poichè a fronte de' suddetti loro operati ( mi si perdoni il paragone) diventano men belli i canestri, le folte selvette di fiorellini, i vaghi uccelli e le bianche colombe che fingono con arte non poca e piacevole inganno. Con maggiore utilità lavorano di maglia e biancheria, lasciando stare del racconciar che fanno con somma precisione e panni e merletti, ed altri oggetti di s'unii genere.

Per compensar la lunghezza di questi cenni istorici sarò breve negli artistici, nè potrei esser lungo senza dare in cose superflue. La Chiesa e il Conservatorio medesimo, accresciuti e nobilitati secondochè si aumentavano le fortune dello stabilimento, non son privi di bei lavori, ma nè questi son tali che lor si convengano esami particolari.

E a cominciare da quel che occorre sulle prime vedute, chi vorrebbe fermarsi a quel piccolo affresco ch' è al disopra della porta, se non forse per sapere che autore n' è Rolando Marehdlij e per vedere che quivi è simboleggiato il titolo in parecchie Suore che si rifugiano alla protezione di Maria? Eppure quant'è d'affreschi non conosco miglior frutto di questo debole marattista, che certo si tuffò nelle brighe mercatorie per ciò solo che più del dipingere gli impinguavano la borsa. Direi similmente che il quadro di S. Francesco stimatizzato sull' aitar principale sia il meglio ch' egli ad olio eseguisse, se questo non fosse unico al pubblico. L' aver seguitata con zelo la fiorentissima scuola del Maratta è quanto si possa lodare in lui; nè però potrebbe negarglisi certa destrezza nel farlo, contro l'uso de' servili pedanti: di che mi persuase la bozza che di questo quadro io ebbi lungamente sott' occhio.

Tranne l'accennata figura di S. Francesco, niuu' altra tela ha la chiesa d' autore certo, benchè altri quattro se ne contino quivi, cioè il Crocifisso sull' aitar laterale, e un Agar nel deserto sovresso la porta, e un Dio Padre con angeli, e la Fuga in Egitto a'fianchi della medesima. 1 due ultimi risentono della imitazione procaccinesca, e volentieri credo al Ratti che

deriva il loro autore dalla Lombardia ove nacque e fiorì quella lieta maniera. De' rimanenti non solo m'è ignoto l'artefice, ma dubbioso lo stile; e dove non è orma di certezza è degli sciocchi il profferire un giudizio, senzaclio non han meriti che ci facciano doler mollo della comune ignoranza. Non è da intralasciarsi una leggiadra statuirla della Immacolata, posta sui gradini dell'altare di fianco, opera di Filippo Parodi. La chiesa, elegante per fregi e dorature, fu decorata d' affreschi poco prima del 4780 come appare da' registri del conservatorio. 'Vi fece le figure Giovanni David pittor genovese da noi menzionato più volte, e ch'altri per grossolano equivoco ha regalato alla Francia. Potrebbe dirsi francese a considerarne il dipingere, poichè molto deferì a quella scuola che in ogni epoca fu men semplice e ragionata delle italiane. Sappiamo anche ( e il dicono le sue opere ) che non brevi studi fece in Parma sul Coreggio; studi non meno pericolosi, giacchè l'estrema grazia di lui come l' estrema fierezza di Michelangelo assunsero spesse volte nelle mediocri imitazioni la maschera del ridicolo. Laonde non è strano che in un' epoca già zelante di ritornare all' antica severità, riuscisse affettato, gonfio e stravolto in qualche tratto de'presenti affreschi, unici in pubblico, i quali rappresentano alcuni santi in adorazione di Maria sopra il vólto dell'aitar maggiore, e l' eterno Padre con gloria d' angeli nella parie inferiore della chiesa. Non v' è penuria in quest' ultimi di scorci, d' aggruppamenti , di sottinsù male attinti dall' Allegri per chi ama in pittura le stranezze; per me son d' avviso che in queste medaglie sia specialmente da gradire un tingere brioso ed ameno che in gran parte fa scusa al disegno. A sì stemperato gusto dovette ubbidire il prospettico che fu un Nicola Rossi, fingendovi, oltre le cornici, balaustri e logge e gallerie. Nè di costui, se guardiamo all' epoca, si può dir male; è gaio nelle tinte, e così felice ne'partiti, ch'è quasi una meraviglia il non trovarlo occupato in altre opere.

E poichè toccammo di lavori prospettici, non vorremo lasciar la chiesa senza uno sguardo a' due frontispizi che finse di marmo Antonio Haffner intorno a' due altari. Questi lavori che dal lato della vastità e dell'ufficio che fanno, per poco non isfuggono all' occhio, acquistan prezzo dalla leggerezza, dalla pastosità, dal garbo con cui son condotti. Tai lodi si danno spontaneamente ad ogni parto di questo bolognese, ma ne' presenti ( o s'ingannano molti ) superò se medesimo. Aggiungo a questi gli ornati che in fondo alla chiesa fan cornice ai tre quadri, poichè io li credo dell' Haffner, sebbene il Ratti non ne faccia parola.

L' oratorio privato delle Suore, che sul manco lato della chiesa s'interna ne' locali del conservatorio ci darà a vedere due graziose operette di scuola genovese, se per cortesia ci si permetta l' accesso. La prima è un Cristo legato alla colonna del suddetto Filippo Parodi, locato entro una nicchia nell'ima parte della chiesuola. Ne fece dono il marchese Francesco Maria Brignole privandone il proprio palazzo, pel quale avealo scolpito l' autore ad ornamento della cappella domestica. L' altra è una tavolina ovale eoa N. D. del Rosario dell' ab. Lorenzo Defferrari j principale ornamento del piccolo altare, già ricco ed ornato per sè di. bei marmi. Questa e quella paion fatte da'due maestri per lor delizia: così mostrano il sommo della lor possa. Loderei specialmente nel Crislo il garbo, la pulitezza, la pratica del lavoro, ma qui non s'arrestano i pregi dell'ab. Lorenzo, che in campo sì stretto ha grandiosità e gentilezza di disegno, grau nerbo ed ilarità di colori.

.Trovai visitando il conservatorio, trascurato finora in ogni Guida, che di questo valentuomo s'invogliarono le Suore d'aver qualche saggio nelle sale del loro asilo, poichè resta in ottimo sfato in una di queste un affresco del Defferrari ove alcune del loro consorzio son figurate in adorazione di Maria, concetto bellissimo, ed eseguito con ben' altra grazia che non fe' il Marchelli all' esterno della chiesa ove prima dee posar gli occhi l' osservatore. Anche il David vi lasciò un quadro ad olio di consumi subbietto per sopraggiunta agli affreschi che notammo in chiesa, il quale serve d'ancona ad un modesto altarino che le Suore eressero in altra sala. Vidi altri quadri a diverse pareti, una santa Caterina da Genova di Domenico Piolo-, la Visione d' Abramo di Gio. Batta Merano, e un Cristo deposto di croce che molto ritrae dall' Ansaldo, Ma niente mi colpì di maraviglia quanto il trovare in luoghi moderni alcuni avanzi di barbara antichità. Dico due leoni marmorei che reggono ciascuno una colonna, posti in fondo alia scala per cui dalle stanze suddette si discende neh' interno cortile. La informe esecuzione di questi animali, i bizzarri mostri che ghermiti lor s'avvinghiano intorno, lo stile de' capitelli e delle basi ed altre particolarità troppo note all' intelligente mi fanno credere tai marmi non meno antichi del secolo xi o xn. Sarebbe non lieve acquisto per la storia e per l' arte il sapere donde fossero recati per farne uso nel sito attuale, o qual luogo prima di questo le difendesse dalla ignoranza e dall'avarizia, alle quali ogni piccol guadagno vale ogni rarità; ma da qual parte saperlo? In capo al cortile si legge

memoria del generoso Gio. Francesco Granello a cui fu innalzato pure un busto al disopra della lapide; rimane questa ad elogio del pio benefattore, ma la nicchia è vedova del ritratto; cotanto potè il cieco barbarismo della rivoluzione fin ne' sacri asili della pietà.

Non mi fermo a descrivere i grandiosi locali del conservatorio, nè gli annessi giardini, uè i puliti laboratori, nè altro di simil natura da lasciarsi commendare a chi visita lo stabilimento, e senz'altro proseguo il mio giro.

È tempo di lasciar la pianura. Un'angusta salita che corre sui fianchi della chiesa e del conservatorio Brignole ci condurrà per tragitto non lungo all'aperto del Zerbino, e con tanto maggiore sorpresa, ch' essa inoltra e ascende tra muri melanconici, chiusura di ville ond'è tutto allegrato il promontorio, sì che il verde di queste a gran pena ti sorride di fronte, ove l'occhio può spingersi oltre l' altezza di tali cinte.

Ma non sì tosto hai raggiunta la metà del cammino, che s'incontra lo sguardo nella gran fabbrica del Conservatorio Fieschi che spiega in aria le giallastre sue tinte e par signore di quell'erta. L'ansia del vedere d'appresso e visitare si famoso stabilimento ci dà lena a guadagnare la via, che più ripida e faticosa si spinge alla meta. Il Conservatorio è brevemente sui nostri

passi, e le sue mura colossali ci s'ergono in capo, a tale altezza che le strettezze del luogo non ci consentono di misurarle cogli occhi. Perocchè, siccome la pielà che il fondava volesse trionfare nelle cose difficili, e 'l desiderio di costruir l'edifizio sotto quest' aria salubre fosse tra i primi voti di chi interpretò la mente del fondatore, gittaronsi le fondamenta in questo il dirò più burrone che valle del Zerbino, battuto per lo innanzi dalle impetuose correnti, che da'colli circostanti traboccano al piano. Disegno arditissimo e da conciliare ammirazione a chi lo ordinava, e a chi lo metteva in esecuzione; basti, che da questi scoscendimenti s'innalza e giganteggia fino a pareggiare il corpo della fabbrica, la quale, giunto che tu sia al sommo, li parrà gran colosso non solo nell' ampiezza del suo circuito, ma eziandio nell'ampiezza delle sue proporzioni.

Ma per farmi alle notizie storiche dico che al patrizio Domenico Fieschi noi siam debitori di tanto Istituto. Infatti nel suo testamento rogato addì 9 luglio 4749 dal notaio Sebastiano Castiglione commettea l' erezione d' una scuola ossia Conservatorio semplicemente laicale sotto il tìtolo dell' Immacolata Concezione, ponendolo perpetuamente sotto l'immediata protezion del Governo, al quale grandemente eziandio lo raccomandava perchè il Vescovo non s'ingerisse a ridurlo ecclesiastico. Intorno allo scopo e alla disciplina dello stabilimento diede non poche e severe ordinazioni. In questo venissero ricettate zitelle povere della nostra città, di qualunque condizione e rango purchè fossero d' onesti costumi; la qual cosa tanto gli stette a cuore che non gl' increbbe il ripeterla con maggior forza e chiarezza in un suo codicillo del 48 dicembre 4759. In esso così s'esprime: Nel mio Corner' vatorio adunque intendo che si debbano ricevere zitelle ossia figlie ma di buona fama e di onesti costumij volendo assolutamente escluse quelle i costumi delle quali o si sapesse, o fondatamente si temesse che non fossero buoni, e che essendo smaliziate, come si suol dire , potessero essere di poco decoro al Conservatorio e di pregiudizio alle altre compagne. E giacchè per avventura parlammo del codicillo, non è a tacersi della proibizione che fece in esso di qualunque preferenza per quelle che vantassero onesta e civil condizione, protestando che in codesta deliberazione la principale sua mira fu quella di soccorrere alle povere fanciulle disperse qua e là per la città, mal assistite, mal provvedute, senza direzione, e da' loro congiunti o per miseria o per incuria abbandonate per cosi dire alla ventura ed al caso. Però non impose alle prime un' assoluta esclusiva, ma concesse a' patroni la facoltà d' ammetterne alcuna se per forti motivi il credessero necessario.

Ritornando ora donde ci dipartimmo daremo un rapido cenno sopra le altre disposizioni del succitato testamento. Volle che le fanciulle a riceversi fossero battezzate in Genova, e non maggiori di venti anni nè minori di dodici; il numero da raccogliersi mandava doversi computare a proporzione del reddito, ordinando venissero provvedute di vitto e vestito, ragguagliato l'individuo mantenimento alla spesa d'annue lire 460. In seguito caldamente raccomandava la coltura così morale come fisica delle fanciulle medesime, mostrando desiderio che venissero esercitate a lodar Dio in modi dolci e facili, come pure a lavorar di quelle robe che più tornano acconce a' bisogni ed all' utilità del commercio; il profitto che si caverebbe da tali lavori si dovesse proporzionalmente dividere a favore dell' opera come di tutte le ricoverate. Non si permettesse ad alcuna l' uscir della casa neppure alla visita de' proprii congiunti; nè di parlamentare alle grate se non co' parenti più stretti; si lasciasse però in arbitrio d' ognuna di licenziarsi dal Conservatorio: anzi qualora taluna di queste si rendesse monaca ovvero andasse a marito, dovessero i patroni pagarle un sussidio non maggiore di lire cinquecento, de' quali sussidii un solo dar se ne dovesse ogni anno, ma non anteriormente al punto della monacazione o del maritaggio. Quai fossero le donzelle ch' ei voleva anteposte nelle ammissioni non è difficile a congetturarsi da quel che s' è letto; son esse le orfane di padre, e mollo più quelle di padre e di madre, le più morigerate e di maniere civili, come pur quelle che fossero dotate di qualche abilità. Queste ed altre disposizioni diede il Fieschi sull' economia d' uno stabilimento per la cui fabbricazione e sussistenza consacrava l'intero suo patrimonio: quel ch'egli deliberasse sulla elezion de' patroni di leggeri potrassi conoscere dal nostro lettore per poco ch' egli legga uno squarcio del summentovato codicillo che trascriviamo in nota 1. Per discendere a cose di maggior rilievo poco m'intratterrò noi dire che l'edificio venne intrapreso un anno dppo la morte del testatore, cioè nel 4763, che a dirigerlo fu chiamato il lombardo Gaetano Cantone j tenuto a' quo' tempi in conto di valente architetto; e che finalmente dalla marchesa Maria Giovanna Pinelli consorte dell' istitutore ebbe nel 4783 l'imponente legato di lire ottantamila, perchè il frutto di queste s'impiegasse in dare

1 Nomino adunque per amministra lori e patroni d' esso Conservatorio la signora Giovannetla mia monite e con essa nomino il Sig. Ettore ed il Sig. Giacomo Filippo Fieschi, figli del q. Sig. Lorenzo; indi i figli del detto Sig. Ettore, maschi e discendenti, maschio da maschio per linea legittima e naturale e nati e concepiti in costanza di vero e legittimo matrimonio. L' amministrazione poi di detto Conservatorio intendo ed ordino elio non sia in mano di più di tre, e però se nei discendenti maschi suddetti se ne trovassero vivi al tempo medesimo in maggior numero, tre soli d'essi dovranno essere gli amministralori, e dovranno sempre avere la preferitila quelli che taranno maggiori d' età. Intendo poi che rt~ sii come lascio gentilizio giuspatronato nei discendenti masrhi da maschi sopradetti dopo però che avranno compita l' età d'anni 25, e quando vi (osse un solo che avesse compila detta età d'anni 25, egli solo resterà libero amministratore e padrone fino a che gli altri giungano a detta età, e tosto che gli altri due della suddetta linea giungono a della età, dovranno essere ammessi a detta amministrazione, e guando nessuno vi fosse discendente maschio da maschio che avesse compila detta età, allora debbano tutto operare i Fidecommissari di quel maschio che sarà maggiore d'età, finch'egli arrivi agli anni 25. Nel caso che la soprannominata linea del Sig. Ettore venisse ad estinguersi ordino e voglio che l'ultimo maschio d' essa abbia la facoltà d' eleggere e nominar» sia per atto fra vivi come per alto d ultima volontà, quell'altra linea, discendenza e famiglia che a lui piacerà, purché sia dell' ordine nobile e di rango eguale, le di cui persone voglio che possano subentrare nella suddetta amministrazione in quel numero, e con quell' ordine e prelazione che ho. divisala nella mascolina del Sig. Ettore. Quest'ultima provvisione (per tacer di molte altre che le conseguitano, non confacenti al nostro proposito) data dal testatore, cadde in acconcio non ha mollo allorché nel Conte Agostino- luna

ogni anno altrettante doti di lire cinquecento ad ognuna di quelle figlie che in qualsivoglia maniera si collocassero.

Egli è tempo oramai che noi diciamo alcuna cosa sulle interne bellezze dello stabilimento. Una modesta chiesuola si presenta a prima giunta a colui che dagli esterni cancelli entrato il vestibolo piega il passo a sinistra. Come il testatore prescrisse, essa è divisa in due parti: la prima di queste destinata a ricevere le donzelle per le spirituali congregazioni non ha cosa ad osservarsi; non cosi la seconda che si dischiude talvolta al concorso del pubblico. Due opere sono in essa, X una di pittura, l' altra di scultura ed ambo assai degne di riguardo, poichè se non poggiano a tal meta da fermar lungamente i più colti, mostrano almeno in linea de'loro autori quanto essi seppero nel corso non breve del loro operare. La prima è una statua in marmo di Pasquale Bocciardo figurante l'Immacolata e posta a dimostrazione del titolo sull' altare in prospetto. Quel carattere licenzioso che altri impropriamente chiamerebbe manierismo straniero, ma che pure è un avanzo della corruttela del seicento, non potrebbe scusarsi nell' opera di questo settecentista; ma se guardiamo al complesso della figura, all'espressione, al gusto delle pieghe non negheremo ch' egli temperasse le passate follie con certo indizio di sobrietà che lascia intravedere nell' artista il desiderio di rinsavire. L' altra è la tavola di santa Caterina da Genova dipinta da Carlo Giuseppe Ratti s locata stili' altro altare che fa prospetto all' oratorio delle fanciulle. La dotta Roma fece applausi a questo dipinto allorchè fu colà esposto alla pubblica vista, e fu certo un bel suffragio per l'epoca in cui vivevano ed operavano in quella capitale dell' arti un Baioni ed un Mengs. S' ha per certo che quesf ultimo, amorevole maestro, anzi amico del Ratti, vi mettesse pennello, almeno sugli ultimi tocchi, uè certo è cosa che il disonori. Se la composizione e il pensiero e la generale intonazione son cose sue, come niuno degli avversarli (ch'ebbe molti ed accaniti) ha mai siputo negargli, abbiam molto onde vantarlo, poichè nuova e gentile è l'idea, lieto ed armonioso l' impasto, semplice e riposata la composizione. È insomma uno de' quadri che onorino veramente la moderna scuola genovese, e par dircelo l'Accademia Ligustica, che il bozzetto di questa santa Caterina pose in linea colle opere de' nostri antichi nella sua scelta pinacoteca.

cenzo Luigi Fieschi s' estinse la linea mascolina del soprannominato Sig. Ettore. Pertanto il detto Conte valendosi del diritto che gli competeva, nel suo testamento scritto il 20 maggio 1819 e pubblicato in atti del notaro Federico Raimondo addi 20 febbraio 1822, nominò all'amministrazione i figli e discendenti maschi da maschio, per linea legittima a naturale, nati e concepiti in costanza di legittimo matrimonio della marchesa Marzia Artemisia Fieschi sua figlia e del March. Gio. Carlo Ralbi coniuge di lei. Ma considerando d' altro Iato che al punto della propria morte non potrebbe esistere della delta marchesa Marzia alcuna discendenza mascolina , in questo caso non polendo aver luogo I' elezione della linea di lei, nominò la linea mascolina ( in tulio come sopra) dell'altra sua figlia, allora ancor nobile, la marchesa Carlotta Caterina Fieschi e del suo fuluro marito che fu il March. Nicolò Crosa di Yergagni. A questa successione al presente è devoluto il reggimento del Conservatorio. Per dimostrare con quanta diligenza ed amore sia governato e diretto, non fa mestieri ch'io mi perda in lunghe parole; abbastanza ce lo indicherà la visita che or ora faremo al medesimo.

Un doppio titolo mi consiglia d'aggiungere a' due lavori accennati un ritratto che pende da un muro dell'andito, comechè il pittore sia ignoto persino ai moderatori dello stabilimento; cosa strana per dipintura si moderna. Mei consigliano prima la vaghezza e'l magistero dell'esecuzione, che fan brillare questo picciol quadro, nè permetton quasi di cercarne l' autore fra i nostri; poi la tradizione che lo dice effigie di quel Fiesco, da cui ebbe principio ed incremento il Conservatorio. Gli esecutori delle sue volontà non furon però così ingrati al benefizio d'uà tanto uomo da confidarne la memoria a breve tela, senza nome ed elogio, e senza stabile collocazione- Vivono molti ad annullar questo dubbio. Ricordano i vecchi la statua marmorea die al Domenico Fiesco s'innalzava in memoria de' fatli sovresso l'entrata; e ricordano come venisse strappata nel -1797 dal proprio seggio, obbrobrio nostro a rammentarsi. Che pazzo mostro una plebe furiosa! Nel bollire della sommossa le imagini de' tristi e de' buoni hanno egual sorte. Ebbri del nome di libertà corrono al simulacro di quest'uomo sì liberale, uomini e donne prestano mano all' opera nefanda, ed in breve è tratta a terra e monca e profanata l'imagine. Si racconta d' un uomo del contado che passando di costà per caso, vòlto a quella matta plebaglia: bravij gridasse, bravi! bel fatto è il vostro; costui fu pure un iniquissimo uomoj che invece di far ricchi delle proprie sostanze i parenti lasciolle ai poveri 1. Sotto all' albero della libertà finì il ludibrio, bruttandosi quivi a talento i resti di quel marmo, già diformato dalle percosse e annerito dalle fiamme; e parve un gran trionfo al popolo cieco. Noi piangiamo di quel forfatto, da cui viemmeglio si chiarisce una gran verità: che più durevole de' marmi è la memoria de'

1 Scmeria — Storia ecclesiastica della Liguria — Torino.

fatti generosi, la quale sopravvive agl'insulti dei tempi e dell' ingiustizia. È spenta F imagine del Fiesco; ma la grandezza del nome e il ricordo della sua carità rinacquero più vivi dal barbaro scherno.

Dovendo io dire come le intenzioni di quel magnanimo trovassero emulazione in coloro che intesero ad eseguirle, ed intendono a mantenerle in vigore, non posso ricusarmi ad accennare con quanto posso di brevità l'interna economia dello stabilimento e la savia distribuzione dell'edifizio, il quale, ove si guardi a'bisogni a cui fu destinato, può meritare un bel nome tra le opere della moderna architettura. Una lapide murata all' un fianco dell' ingresso, ci dà, quanto alla prima, come in compendio, gli ordinamenti del fondatore testè riferiti — Domenico Fiesco figlio di Nicolò figlio di Ugone /ondava istituiva suo erede universale questo Conservatorio sacro al ricovero allo ammaestramento gratuito delle zitelle sue concittadine povere orfane abbandonate onde poi volontarie ridonarle alla società fedeli alla Religione j care alla industria j di esempio alle loro uguali. L'istruzione consiste ne' rudimenti delle lettere e dell' aritmclica, e ne'lavori di biancheria, come domanda la qualità del sesso. Quando la profferta d' uno stato guidi a nozze alcuna delle fanciulle

ricoverate, od alcuna s'invogli dì consecrarsi a Dio ne' silenzi del chiostro, recano del pari con seco e il sentimento d' una religione santissima e la capacità di supplire a' bisogni domestici. Questo esercizio del far biancheria o rattopparla se vecchia non dura oltre a un biennio, in capo al quale s' ha cura di tastar l' indole e i' ingegno di ciascuna zitella, e secondo il giudizio indirizzarla a lavori di più dilicata natura. Ciò sono spezialmente il ricamo e i fiori artificiali, ne' quali se l'industria del secolo non camminasse tant' oltre, o s' elleno potessero in questo recinto progredire colla comune industria, sarebbero tuttora uniche piuttosto che prime. Non v' ha specie di questo gentil prodotto della natura ch' esse non contraffacciano con arte invidiabile; e tal lavorio si fa quivi per ogni grado, da' fiorellini che s'intrecciano alle chiome delle profumate signore, fino a' men dilicati che servono a comparsa, e de'quali le ricoverate donzelle si compiacciono di adornare in festoni e ghirlande le pareti e gli altari della loro chiesuola, quando l'anno riconduce le solennità che vi si celebrano. Quel che avanza a' lavori durante il giorno si dà alla preghiera ed alla ricreazione, senza dire del cibo che prendono in comune. La prima, oltre le ore fisse, suolsi alternare a' lavori medesimi, e non già col rigore di una disciplina, ma così tra ragazze all'amorevole, or si legge di cose spirituali, ora si dialogizza sul catechismo, or si ragiona di siffatte materie, non come in iscuola, ma in bene ordinata famiglia. Primo vincolo di quest' ordine e la eguaglianza comandata dal Testatore; chè i teneri animi nelle invidie abbrutiscono, e co'sani precetti bevono i tristi esempi. E quella preminenza che il Fiesco (annullando ogni distinzione di nascita ) parve concedere a taluna che brillasse sulle compagne per ingegno e virtù, non può gittare sì rea zizzania, anzi le accende e le sprona al conseguimento di quella modestia, di quella esattezza, di quella esemplarità che formano la miglior dote d' una fanciulla bennata. Direi che il lor costume, nonchè nel sembiante e negli atti, s'appalesi nel vestire istcsso, di cui ciascuna studia la nettezza per sè: gratissimi vista, che all'entrare nell'interno dello stabilimento ti riempie di tenerezza e di conforto. Non mi farò debito di enumerare per ordine i locali; chè olire all' esser cosa noiosa, riuscirebbe anche inutile, poichè a chi s'invoglia di \isiiarli provvede la cortesia di chi modera e dirige l'Istituto. Ma essendo pur necessario che in edifizio cotanto vasto io mi prefigga un principio, dirò prima della sala ove si pongono in mostra e in deposito i lavori delle zitelle; fiori, trine, ricami ed altri lavori di simil genere. Vi si arriva per un corridoio che parte sulla destra dall' andito d'ingresso alla chiesa. Quanto possa l'ingegno femminile se retta istituzione il governi, vel dicano le mille leggiadrie che in questo luogo vi si metton sott' occhi. Ogni varietà di fiori o selvaggi o domestici, ogni generazione di frutti vuoi di quelli che da pruni e spinai si raccolgon pe'campi, vuoi di qnelli che l'industre colono va educando in villette e giardini è argomento al paziente lavoro delle ricoverate. Nè potresti dire per quanti modi compongano esse ed intreccino cotali delizie; ora in canestri, ora in ghirlande, ora in mazzetti ne' quali paiono in gara la natura e l'arte, talvolta in ramicela a grande studio negletti, che sembrano allora spiccati dallo stelo o dal tronco. Ma qui non è luogo a descrizioni ove i prodotti delle loro gentili fatiche colpiscono gli occhi colla espressione della più schietta natura, nè potrei farle senza disconoscere la fama che di questo stabilimento non solo corre in città, si ancora nelle provincie d'oltremonti, e in quelle stesse che ci vanno innanzi per coltura ed industria- In questo piano medesimo, che, se computiamo dall'ingresso della chiesa, possiamo dir primo, sono oltre alla sala accennata, l' abitazione della Superiora, e parecchie scuole ove si imparano i metodi de'lavori suddetti, cioè del ricamo, del saldare la biancheria, del racconciare e stoffe e trine, di biancheria casalinga e di ciò che spetta al vestito, finalmente la scuola de'fiori artifiziali che supera ogni altra in capacità. Poco discoste son' anche la sala del vestiario, e un altra scuola per quelle che si danno al tessere di lana e seta; a questa succede l'oratorio privato delle fanciulle, nel cui atrio fu posta l' effigie in marmo del conte Agostino Fieschi, già nominato più sopra, e morto nel 4829; lavoro del Moccio scultore sardo. Un iscrizione posticcia locata nella scuola de' fiori fa cenno della visita fatta allo stabilimento dal Pontefice Pio VII il 47 maggio del -1845 pridie quam Gemta discederet; e vediamo dai benefizi compartiti al medesimo con quanta eloquenza parlasse al cuore di lui la santità dell' Istituto e lo zelo degli amministratori.

1 due piani che seguono per chi ascende sono occupati da'dormitorii, se non che una porzione del terzo è destinata alle infermerie. L'incantevole aspetto de' luoghi che s'aprono alla vista di chi s'affaccia a'finestroni di quassù, la vasta spianata del Bisagno a mancina che fiancheggiata dalle amenissime colline di Marassi, di Paverano e d'Albaro, inoltra colle acque del torrente tosino alla foce ove si tuffano in mare, a destra

Alizbri. Guida di Genova Voi. II. 40

il borgo di S. Vincenzo, pomposo di recenti palagi e stabilimenti, più oltre l' Acquasola colle simmetriche verzure che la ricingono, e le linee de' monti che d'ogni lato fan cerchio alle vedute, e si perdono con isvariato giro allo sguardo dello spettatore, è tal pregio all' edifizio delle Fieschine, da fare invidia a quanti altri ricoveri di pietà sono in Genova. E quanto sia opportuno vel dica l' età tenera di queste zitelle, che orbate de' genitori son quivi raccolte e nutrite; germi dilicatissimi, ai quali le sollecitudini della carità, e il sorriso della natura non potrebbero venir meno senza danno. L' attigua villa e i giardini accrescon loro i mezzi della onesta ricreazione che alternano durante il giorno alle preghiere , agli studi, al lavoro.

I fondi ossian piani inferiori della smisurata fabbrica servono ad altri bisogni; v' han la cantina , i lavatoi, un mulino, parecchie cisterne d'acqua, ed il forno. Questi locali tengono il basso dell' edificio a ponente, ov' esso s'approfonda nella discesa per cui siam giunti. Quivi è pure il refettorio comune, e la cucina; d'onde per un lungo corridoio s'inoltra fino in capo al braccio che guarda a tramontana. In questo luogo (pietoso a vedersi) le Fieschine raccolgono la spoglia delle lor consorelle che muoiono nel Conservatorio, ciascuna in un vano del muro.

il quale, occupato, si chiude d'ardesia, scrittovi il nome della vergine defunta. Onorevole suggello alle costumanze dello stabilimento, anzi di questa innocente famiglia, che in vita affratellandosi in un pensiero colle leggi della religione e dell' amore, voglia serbar la memoria e gli avanzi di quelle che strappa la morte alle consuetudini della loro amicizia.

Credo aver detto, ne'limiti della mia brevità, quanto basti a porgere un' idea della saviezza che mettea le basi di questa giovanile educazione, e della perizia con cui l'architetto Cantone provvedeva ai bisogni di essa, ed alle intenzioni del fondatore. Rimarrebbe a dire de' presenti amministratori, i quali non s'appagano a tenere in vigore i benefizi di quel generoso, ma si studiano di migliorare le condizioni dello stabilimento; come sarebbe, a modo d'esempio, l' aver tratte le acque delle cisterne sotterranee per tubi e canali a tutta l'altezza dell' edifizio con grande aumento di quella nettezza, che abbiamo encomiata ad ogni passo. Ma alla singolare modestia di costoro sia premio l' amore di quel Dio che pose sua legge nella carità, e sia tributo di lode l' ammirazione di quanti si recano a visitare la grand' opera delle Fieschine.

Seguitiamo per poco le mura di cinta, rallegrati dall'ameno prospetto de'luoghi, finch' esse non si spiccano con ardito gomito a destra per risalire alle alture dopo la breve spianata del Zerbino. Taluno attenderà ch' io rinnovi a mente di chi legge la romana etimologia, che a questo luogo attribuiva il Ganducio, e dietrogli parecchi altri. Io non son così credulo o fanatico che alla probabile derivazione d' un nome anteponga le congetture stiracchiate e lontane. Io lascerò il Ganducio e i seguaci nella speciosa opinione, che il titolo di Zerbino discendesse da un Vibinio cavalier romano, di cui si trovò la urna sepolcrale nella chiesa abbaziale di Santa Maria già quivi imminente , colla epigrafe — D. M. Vibinius Victors quando la qualità di questo corto terreno mi spiega il titolo co' modi del mio dialetto 1. Ad una distesa di terreno erboso, specìalmente quando sia intorniata d;i balze scoscese, o da declivii o saliscendi, diciamo zerbo, ed è luogo di delizia, ove ciascuno par vago di riposarsi. Ella è cosa evidente, che il Zerbino, diminutivo di quel vocabolo venne dalla condizione stessa e dalle circostanze di questo piano, che d' ogni parte confina a luoghi disuguali, o confinava; da principio (se veniamo da mezzodì) vi s'ascende per Montesano, ha sui fianchi i rapidi terrapieni del Bisagno, e il promontorio che declina a S. Vincenzo; al sommo trova il fossato di S. Bartolommeo coll' angusta sua valle piantata ad alberi fruttiferi e vigne. Appetto di questa semplice e chiara supposizione non so quanto si vorrà credere ai sogni del Ganducio, il quale pon ebbe confutatori, anzi trovò proseliti, perchè l'aggrandire le cose patrie è ufficio grazioso, ed applaudito anche a discapito della ragione. Pochi conoscono o voglion conoscere che la verità dee star sopra a qualunque affetto.

1 V. il Discorso sopra un' iscrizione ovvero epitafio ritrovato a Tortona — Genova, Pavoni. 1614. Della chiesa di Santa Maria del Zerbino, distrulta o ridotta ad abitazioni nel 1797 non resta vestigio. Non s' ha memoria della sua origine, ma se n'ha cenno sotto il 1156, nel qual anno era abbazia di Cisterciensi. Ridotta poi in Commenda, fa ceduta da ultimo a' PP. Crociferi nel 1616. Anche il Ratti va dietro ad Odoardo Ganducio, affermando che quivi era ne' tempi remoti una possessione di Vitinio Vittore romano: e ne reca in prova il sarcofago esistente ancora a' suoi tempi colla suddetta iscrizione. Chi mi ha seguitato ne'cenni istorici dell'arte, chi meco ha veduto come di siffatte urne se ne trovi gran numero sparso non solo in città ma per ville e contadi, e petecchie se ne veggano messe ad uso d'erbario e di vivaio e di truogolo, non potrà se non ridere alle parole del Ratti, che spaccia la sua sentenza con si grave sicurezza.

In capo a questa spianata tentiamo l'ingresso ai Giardini E Al Palazzo Del March. Marcello L. Durazzo. Siede questo in mezzo a una stesa di terreno, ove l'industre colono educa eletti fiori in ben disposti viridarii, e dove bei zampilli d' acque si versano in vasta peschiera tra lo smalto delle erbette e de' fiori che ingemmano con istudiata negligenza l'intero recinto: vagheggia in prospetto le lontane colline del Bisagno, da tergo domina i borghi popolosi di S. Vincenzo e guarda la curva linea di Carignano; il destro lato che porge all' ameno Multedo ha sotto la profonda valle che raccoglie il fossato di S. Bartolommeo, sparsa de' vigneti e degli alberi che allignano in quel fosco; il sinistro si fa velo d' artificiosi boschetti che confinano al maestoso Conservatorio delle Fieschine. Questo ricco e delizioso soggiorno si fabbricò la famiglia de'Balbi, una delle più splendide nell' adornare la patria, e nel procurare comodi a se stessa con imponenti edifizi. Nè l'epoca è per avventura gran fatto lontana da quelli che con principesca magnifificenza innalzò in via Balbi; uno in tutti è lo stile architettonico che in questi ultimi dicemmo lombardo, una la liberalità che in ogni parte si scopre. Volle il caso ( se pur non. è oltraggio il dir così d' un parentado instancabile nel proteggere le belle arti ) che le sale del presente palazzo ridessero di gai affreschi. L' anno 4680, quando il pazzo orgoglio di Luigi XIV minacciò di seppellir Genova sotto un mucchio di rottami e di cenere, Domenico Viola già noto e caro a' Balbi fu ospitato da loro in questo palazzo, come in luogo meno esposto ai colpi che tratto tratto tuonavano sulla desolata città, sol rea dell' esser debole appetto alle bombarde di Francia. Per invito di sì generosi marchesi egli trasse la sua numerosa famiglia in quest'asilo, ed era di questa il Gregorio Dcfferraris sposo da più anni a Margherita sua figlia. Genero e suocero poscr mano a' pennelli alternando i prediletti studi della pittura ai beati ozi di questa dimora, e al benevolo conversare de' lor mecenati. Scelsero soggetti che rispondessero alla dolce tranquillità della villa; Gregorio simboleggiò il Tempo e le stagioni nel vòlto della sala, Domenico in due stanze a dritta e a manca fìnse Aurora, Lucifero ed altre imagini di schietta natura. De' quali dipinti poco giova il far lungo discorso, tanto vedemmo de'due artefici; pur nondimeno mi colpì nel Piola una grazia ed una leggerezza di pennello assai rare per uomo già avanzato negli anni, e nel Defferrari una scorrettezza che mal si fa scudo della fantasia e del succoso impasto, meno scusabile perch' egli era negli anni virili e avea sott'occhio i begli esempi del suocero.

Il pianterreno, spoglio d'ogni ornamento infino a' tempi nostri dovea fregiarsi da un nuovo possessore che in isplendidezza e coltura d' animo

emulasse gli antichi. Ippolito Durazzo, comprato il fondo sui principii di questo secolo diede opera ad arricchire non che il palazzo d'ornamenti, ma i giardini delle piante più rare; e quanto al primo, fu bella ventura, che i tempi volgessero benigni alle arti che nell' antica semplicità attingono le ispirazioni della vera bellezza. De' lavori che quel degno e coltissimo cavaliere aggiunse all' interno, si deve la prima lode ad Andrea Taglie/fichi. Egli diede nuovo aspetto alla sala con un ordine di lesene, e con ricche cornici, e con isvariati compartimenti, e in quanto concedeva lo spazio vi distribuì ornati di plastica , meno ne' quadrati sovrapporta, entro i quali Giovanni Barabino modellò della stessa materia figure allegoriche. Non è mestieri dopo il nome d'un tanto architetto l'affaticarsi a scrU vere come bella sia l'opera; la quale costò al committente un ventimila lire, liberale dispendio per si stretto spazio, e in luogo di campestre diporto. Nè tacerò come il march. Ippolito profondo cultore delle scienze naturali e sovra tutte della botanica, si compiacesse d' aver quivi le imagini de'due più grandi naturalisti: perchè diede incarico a Francesco Ruvaschio del busto marmoreo di Plinio, e a Nicolò Traverso di quello di Linneo; sculture egregie che dee rammentarci d' aver vedute nella sala del superiore appartamento. Ma quanto amasse questa gentilissima delle scienze cel dicono gli annessi giardini, e le parole d' un illustre botanico, che onora la natale Liguria, anzi è lume d'Italia intera. Caduta la nostra Repubblica nel -1797, il Durazzo dai cospicuo seggio di Senatore tranquillamente tornò al suo privato riposo ed a' suoi prediletti studi, nè per questo venne a lui meno l' amore e la riverenza. « Corso qualche anno pensò all' acquisto d' un vasto ed ameno podere nel suburbano del Zerbino; perchè cesse al cav. Gian Carlo De-Ncgri di chiaro nome il giardino posto nel baluardo della città, e nel 1804 ne fece uno più ampio nella villa del Zerbino, ove per le cure di lui venne restaurato e splendidamente abbellito il magnifico palazzo che vi sorgeva nel mezzo. Si giovò per questo nuovo giardino delle più rare e belle piante che si era serbate dalle vendute al De-Negri, e lo accrebbe de' rigogliosi alberi, ed esotici arbusti, che fece diligentemente svellere, e trasportare dall' altro suo giardino di Voltri; i quali convenevolmente trapiantati, e abbondevolmente umiliati dal pubblico acquedotto che passa per lo Zerbino, non patirono offesa del loro traslocamene. Io stesso, che in que' tempi dimorava in Genova, vidi que' prodigi dell' arte ». Così il cav. Antonio BertoIoni , al quale se la villa Durazzo potè recar compiacenza e meraviglia ne' suoi principii, non so qual altra lode mi sia dato di procacciarle. Questo illustre professore pubblicò in Bologna nel 4840 un libercolo, che contiene l'elogio di Ippolito Durazzo insieme a quello di Clelia Durazzo Grimaldi, passionata cultrice ( siccome dicemmo altrove) della botanica, ed educatrice di elettissimi erbarii. In quelle pagine può leggere ognuno, come il march. Ippolito visitate le più dotte nazioni, e contratta amicizia cogli scienziati di miglior grido, s'invogliasse d'imi* 'tare al suo ritorno in Genova gli esempi stranieri, fondandovi orti botanici, ove le piante più vaghe e pregiate non tardarono a trapiantarsi. Per lui prima il baluardo de' Cappuccini prese aspetto di ridente giardino, e verdeggiarono di eletti arbusti gl' interni recessi del palazzo Durazzo (or Reale) ch'egli prese ad abitare, impalmata la gentildonna Lavinia Brignole, e da molti anni la deliziosa sua villa di Voltri prendea fama dal tesoro ch' egli v' avea ragunato delle piante più rare che possano somministrarci le terre straniere.

Adunque i giardini, la villa, i boschetti del Zerbino furono l' ultimo studio dell' ottimo Cavaliere; nè alle gentili e dotte sue cure invidiò quella sorte frequente, per cui le lodevoli opere de' padri disfanno o trascurano i successori. II march. Marcello Luigi Durazzo, a cui tributammo nel corso del libro le debite lodi di colto e generoso, tenne dietro liberalmente all' esempio paterno; compì gli ornamenti del palazzo, dando a dipingere quante stanze desideravano affreschi all' egregio Michele CanziOj e ordinando a forma di giardino inglese questo terreno che il padre aveva arricchito di sì gentile tesoro. Dico all' inglese perchè la comune de' lettori m' intenda: dacchè il solito vezzo di torre all' Italia ogni merito, ha dato titolo d' inglese ad ingegno schiettamente italiano. E questi luoghi, or lieti per incantevol sorriso di fiori, or pieni di melanconica dolcezza per le fosche verzure che si agitano alla mattutina brezza e mandano il cinguettìo di una folla d' augelli, e qua e là rinfrescati per artificiosi rivoletti che corrono or nascosti per sinuosi canali, ora aperti in erbosi solchi a confortar le aiuole, e da cupe grotte che goccian' acqua da' muschiosi stallatiti e son refrigerio di chi le guarda ne' vespri di state, gli parvero sì bello ospizio delle arti che invitò i candidati delle medesime ad ispirarvisi. Raccolse nel palagio i migliori getti dell' arte greca e romana, ch' or fan bella mostra, per suo dono, nella Accademia Ligustica, e quanto ne profittassero gli alunni, dovrebbe chiedersi a que' valenti ch' or fanno l' onore e la compiacenza delle arti patrie. Resta quivi come per saggio di quel che affermo un gitto della famosa Ebe di Thorwaldscn, donata al Marchese dall' autore medesimo che in lui vedeva uno di que' pochi che usino ripetere dalla coltura dell' animo, e dalla protezione delle gentili discipline quella vera nobiltà che non posson dare all' uomo nè il sangue nè l' oro.

Dal Zerbino a Multedo non è lungo il tragitto. Convien valicare il fossato che già nominammo più volte, per un ponte fatto a grandi archi. Poi la strada rimpicciolendosi in istretto ed angusto vicoletto discende a sinistra lasciandosi alle spalle la salita che riesce alle porte di Montaldo, e in capo a varii sghembi arriva alla chiesa di S. Bartolommeo, la quale tiene il sommo del ridente Multedo. È inutile il tardarci questa visita ( che per noi sarà lunga e copiosa d' osservazioni ) per vedere l' attiguo palazzo e un giardino che fu già de'Durazzo, poichè una statua d' Adone modellata da D. Parodij e scolpita dal Bigi per una fonte, è quanto vi si trovi di cose artistiche.

La Chiesa Di S. Bartolommeo Degli Armeni prese e ritenne questa denominazione da' monaci che la edificarono, e la possedettero fino a metà del secolo xvii. Dal contesto delle memorie che riguardano questa fondazione si potrebbe conchiu

dere, che non più di due fossero i frati, che dieder opera a stabilire in Genova il loro ordine, e a costruiti cotesta chiesa. I loro nomi erano Martino e Guglielmo, e professavano la regola di S. Basilio, sì fiorente ne'paesi d'Armenia. Di colà li sospinse a queste parti occidentali il ferro de' saraceni-, allorchè un' orda di costoro fra le altre atrocità commesse in Armenia sui principii del mille trecento, mise in rovina il monastero de' Basiliani che sorgea nelle solitudini dell'Antitauro, o volgarmente Montagna nera. Ricovrati alle nostre spiagge i due monaci, e, come è probabile, recativi da qualche naviglio genovese, si trattennero quivi aspettando gli eventi; ma vedutasi in breve fallire ogni speranza di ricuperare l'antico nido, pensarono di stabilirvisi, e propagarvi senza pericoli la lor religione. AH' assoluta povertà de' due profughi religiosi soccorse un dabben cittadino nominato Oberto Purpurcrio '; costui fu loro liberale di porzione d' un fondo che possedeva in questa regione di Multedo, e della somma di cento lire ( moneta di que' tempi ) per agevolare la fabbrica d' un tempietto che s' accingevano ad innalzarvi. A questo fine implorarono le debite approvazioni da Porchetto Spinola Arcivescovo di Genova, e'I pregarono insieme che volesse auspicare il nuovo santuario coll' imporvi la prima pietra. Gli oneri imposti per tal placito a' due monaci furono l' annuo censo d' una libbra di cera all'Arcivescovo, e al capitolo del Duomo, e'1 giuramento di devozione alla Cattedrale, di che fece atto pubblico il 6 maggio del 4308 Leonardo di Garibaldo cancelliere arcivescovile in nome del P. Martino che prese titolo ed uffìzio di Priore. Verso il benemerito Purpurerio assunsero altri obblighi, d'una messa quotidiana in suffragio di lui e de'suoi, e della dimora in détta chiesa perpetuamente. Questi fatti e queste condizioni sono epilogate nella lapide, che ad eterna memoria posero sulla nuova fabbrica, e che ora si vede sovra il rozzo muro che ricinge la piazzetta del maggiore ingresso, concepita in questi termini: — In nomine Domini — Àmen — Mcccvm die xvi rnartii. Obertus Purpurcrhit donavit prò anima sua et suorum fratribus Martino et GuHelmo ordinis S. Basilii recipientibus nomine dicti ordinis j ter rum in qua aedi fica tu est haec ecclesia, et expendit in aedificatione dictae ecclesiac libras centum Januae, et dicti fratres promiserunt, et tenentur prò se et suis successoribus dicto Oberto perpetuo morari in dieta terra et ecclesiaj et facere, et curare quod omni die in perpetuum per omnia saecula saeculorum celebrabitur missa in dieta ecclesia prò anima dicti Oberti et suorum. Et venerabilis Pater D. F. Porchetus Spinula januensis Archiepiscopus primarium lapidem imposuit in fundamento hujus ecclesiae ad honorem Dei et Beatae Mariae ., et Beati Bartholomci apostoli. D. Clcmens Papa V dedit indulgentiam centum dierum omnibus benefacientibus huic ecclesiae usque ad annos xx quotiescvnque benefecerint '.

1 Fu opinione
Dopo aver descritti gli umili principii di quest'Ordine in Genova che di corto salì a molta prosperità, io non voglio narrarne con eguale prolissità la decadenza, che sempre è spiace\olè se non muove dal caso o da altra necessità. Basti, che fin dal -1350 i Basiliani supplicarono, ed ottennero dal Pontefice Innocenzo VI di mutare il rozzo lor sacco portato d'oriente, in tunica più molle e di colore diverso 1, e di sostituire al rito armeno il latino; cosicchè non rimase d' antico in loro che il nome. La bolla di Innocenzo X che nel 4656 ne soppresse la religione, accenna abbastanza ch'essi aveano siffattamente tralignato da'loro istituti, da provocare la vigilanza pontifìcia sul pubblico scandalo. Più gradita materia ci daranno le cose che illustrarono la chiesa di S. Bartolommeo, durante il costoro soggiorno. Essa, come la più antica che i Basiliani fondassero in occidente, rimase capo di tutte le altre, e quivi risiedeva il generale, prima perpetuo, annuendovi il suddetto Pontefice Innocenzo VI, poi triennale, sccondochè ordinò Sisto IV. L' affetto che i cittadini professarono fin da principio a que' monaci procacciò alla chiesa inestimabili doni di reliquie, come a dire i corpi de' SS. martiri Pantaleone ed Almachio, un braccio di S. Quirico, e'l piede sinistro del Santo titolare dato per liberalità di un Marco Spinola figlio d' Ottobuono, il quale ne ebbe in compenso da' PP. la promessa di suffragi perpetui. Ma niente la rese illustre quanto il SS. volto di G. C. donato loro per testamento dal magnanimo Leonardo di Montaldo, che mori Doge della nostra Repubblica nel -1384. A questo monumento debbo arrestarmi quanto chieggono la grandezza del donatore, e l'altezza de'fatti che succedettero al dono.

1 Questa lapide fu messa in origine sovra la porta eIella chiesa. Nella sua trastocazione o in altra epoca, essa andò rotta in più pezzi, i quali furono accozzati nell'attuai luogo ma con poco giudizio. Il che giova osservare porcile alcuno vi ponga rimedio, e perchè non impazzisca chi s'invoglia di leggere in quella confusione di lettere.

1 t Era l'abito loro 1' istesso che portavano per antico « nell'oriente. Vestivano una tonaca rozza di color Iconulo, « e sopra di essa una pazienza nera con mantello parimente

< nero, e coprivano il capo d'un nero cappuccio grande > aperto in due parli. Lo cambiarono poi nell'anno 1550

< incirca, e vestirono .una tonaca di scollo bianca; restò

• nera la suddetta pazienza come per avanti, mutarono il

• mantello in cappa quale la portano i Domenicani, col « cappuccio all' istcssa forma ». Calcagnino — Imagine Edesiena — Genova 1039 — p. 227 28.

Nè debbo ometter quelli che nella storia il precedono, e che ci fanno palese come il Sudario, venerato oggidì da'fedeli, venisse a mani del prode Montaldo. Intorno all' autenticità della reliquia, e alle pie tradizioni che dicono questo volto impresso miracolosamente nel sudario da Cristo medesimo per inviarlo ad Abgaro Re di Edessa afflitto d'insanabile infermità, e intorno alle congetture del come il prezioso lino passasse da questa città alla regale Costantinopoli ove i' ebbe il Montaldo, non è del mio scritto il ragionarne; nè forse il potrei senza stancare la pazienza del lettore con soverchia lunghezza.

La brevità ( se pure è possibile ) offenderebbe il pietoso animo de'di voti, i quali amano spaziare nelle più minute indagini, e s'aumentan nella fede secondochè le notizie si perdono nel buio de' secoli. D' altra parte provvede ampiamente a costoro l'opera del Canon. Calcagnino, che a simile materia consacrò un volume di presso a 500 pagine, e tale da imporre silenzio a chiunque volesse ripetere la prova. Eccomi dunque a narrare quel tanto (ed è pur mollo) che a riguardo del santo Sudario appartiene a noi genovesi , e muove da sicuri principii.

Intorno al 4562 fu spedito Leonardo Montaldo a rassettare le cose di Romania, molestata tratto tratto dai barbari di quelle contrade; e ciò percli' egli solo, buon guerriero ed uomo di toga, pareva adatto all'ardua impresa, o com'altri sospettò, perchè il Doge Boccanegra volesse torsi dall' occhio questa spina d' un personaggio amato dal popolo, e capace di rivaleggiargli in prudenza. Da' mali che affliggevano le colonie genovesi non andava immune il territorio dell' impero greco, amico e benevolo alla Repubblica; onde il capitano non fu cosi avaro de' propri sudori, che faticando per la causa de' nostri non recasse assai vantaggi alla causa de' bizantini. Questo gli valse la gratitudine dell' Imperatore Giovanni Paleologo o Calojanni; quand' egli salpò dalle spiagge di Romania, e toccò per cammino la città dei Cesari per ricondursi in patria, non solo v' ebbe accoglienze dicevoli al suo merito e alla grandezza della nazione genovese, ma dalle maui dell' Imperatore medesimo ricevette preziosissimi doni, tra i quali il Sudario di cui seguitiamo l'istoria.

Giunto a' nostri lidi il Montaldo depositò nella Cattedrale due corpi di santi che facean parte di que' doni, ma tenne per sè la venerabile effigie , e la ripose nel suo domestico oratorio. E vi slette finch' egli visse, ignota agli stessi famigliari, avendovi egli sovrapposta altra imagine, alla quale ognuno credea sacre le preci che quotidianamente vi recitava, e le lampane che v'ardevano perenni, e i ceri ch'egli accendeva ne' giorni di festa innanzi all' altare. Ma tocco dalla pestilenza che nel -158-4 desolò la città, sentendosi vicino a morte ebbe a sè il confessore, ch'era de'Basiliani, e dettogli del nascosto tesoro, conchiuse di volerne far dono alla chiesa di san Bartolommeo per promuoverne il culto ne' cittadini, sì veramente che piacesse a' Padri di assegnare una cappella a' suoi successori. Fu steso l'atto da Raffaele di Guasco cancelliere della Repubblica il \h giugno del suddetto anno, ed il giorno stesso cessò il Doge di vita, lasciando tutore e curatore de'suoi figli ed eredi Bartolonmieo Ardimento cittadiuo genovese, e suo congiunto. Da costui ebbero i Basiliani il Sudario dopo il corso di quattro anni, come si ricava dall' atto d' accettazione rogato nel capitolo della lor chiesa dal notaro Giovanni di Bozolo, e sottoscritto da' testimonii Donaino, Vincenzo e Brasco Imperiali, Giacomo Picco, e Bernardo Massone 1.

1 In nomine Domini — Amen. R. el religiosus vir D. F. Franciso^s Ichanis de Florentia Prior ordinis et Conventus, Eccletiae et Monasterii S. Bartholomaei ordinis Armenorum de Multeda de Janna in praesentia, consensi!, auctorilale, et voluntate infrascriptorum fratrum dicli ordinis et convenlus, et dicti infrascripti fratres in praesentia , auctoritate, et voluntate dicti D. Prioris ipsorum- convocati, et coadunali omnes simul et semel in capitulo dìctae ecclesiae sono campanelle more solito: et quorum fratrum nomina sunt haec: D. F. Thomas de Mazara, D. F. Marcus de Armenia, D. F. Andreas de Pisis, D. F. Basilius de Brixia, 1). F. Joannes de Mediolano, D. F. Albertus de Rovegno, et D.

F. Petrus de Janua

confessi fuerunt et in veritale recognoverunt Bartholomaco Ardimento tutori et curatori filiorum et haeredum q. bonae et recolendae memorine egregii et potentis Domini Leonardi de

Montaldo Imbuisse Sacrosanctdm Sldarium da

quo. . . . in legato fit mentio. Quest'atto di cui riferisco sparsamente alcuni bratti, è per disteso nell'opera del Calcagnino e vi sono trascritte alla lettera le parole del testamento ebe concernono il legalo della reliquia. Item volo, quod si placet fratribus S. Bartholomaei assignare haeredibus meis cappellam B. Mariae Virginis . quac est apud sacrictiam diclae ecclesiae, quod diclo casu assignentur diclae cappellae librae ccc Genuae, quae ponantur in communi et scribantur sub nomine meo; et proventus obligentur diclae ecclesiae et cappellae; et fiat unum altare sub nomine et figura diclae Jìeatae Virginis, et ponatur figura B. Urbani Papae si ponipotest, et si non potest, ponatur in alia tabula. Cui ecclesiae volo dori Sanctcm Sudarich hoc paclo, quod diebus solemnibus ponatur in altari praedicto; ila quod Fratres diclae ecclesiae teneantur in perpetuum singulii diebus celebrare unum missam prò anima mea, et uxoris meae, et prò anima patris mei et matris meae.

La cappella ceduta ai discendenti del Doge fu quella stessa ch'egli designò nel testamento, sotto il titolo di N. D., attigua alla sacristia. E in essa, secondo aveva egli ordinato, si esponeva ad ogni solennità il santo Volto, che in breve divenne celebre per fama di prodigii, per concorso di popolo, e fervore di culto. Nel rimanente dell' anno era custodito, tra gli arredi più rari, nella sacristia; ma in capo a cento diciannove anni avvenne un fatto che mostrò insufficiente e mal sicura quella custodia. Nel 4507 tenendo il Governo di Genova Luigi XH Re di Francia, un capitano francese che teneva a nome di lui la fortezza del Castelletto, capitò a questa chiesa in occasione di certa festa, vide e considerò l'imagine, e conosciutone il prezzo, stimò di salire in merito, e procacciarsi fortuna, se rubata la portasse in Francia al proprio signore. Indettatosi con un fra Lorenzo, in allora sagrista de' Basiliani acceso a sua posta dalla certezza di grossi premii, la notte del 40 dicembre, la sciagurata coppia trasse dall' armadio la reliquia, e con essa il piede di S. Bartolommeo, e col favore delle tenebre uscì dalla chiesa, poscia dalla città per alla volta di Francia. Di questo misfatto è menzione negli annali del Vescovo Giustiniani; ed apprendiamo dai fatti ulteriori, che non solo i monaci derubati, ma gli stessi abitanti di Multedo, avvedutisi del furto, corsero di presente a'Magistrati, richiamandosi del danno, ed implorando la pubblica autorità per ricuperare la sacra effigie. Convocato il Consiglio si deputarono Giano Grillo, e Giambattista Lazagna, uomini di singolare prudenza , oratori al Monarca francese i quali sponendo l' ingiuria fatta alla patria ed alla casa di Dio, domandassero la restituzione delle reliquie. Afferma il Calcagnino, che i legati giunsero in Parigi prima che vi mettesser piede i due ladri, e che in forza d'un decreto ottenuto dal Re, corsa la Francia, trovarono gli scellerati, e li spossessarono del tesoro; ma ciò è smentito dai documenti medesimi ch'egli riporta, ove è detto, che ipse christianissimus Rex dìctum S. Sudarium eripuit e manìbus eorurn, e lo rese agli oratori; e noi vedremo da un atto che tra breve

ci avverrà di trascrivere in parte, come l'immagine recata a Parigi fosse colà riposta nella cappella del Vescovo scnonense.

Non è a dire con qual gioia si accogliessero gli ambasciatori, i quali tornavano recando seco il sospirato quadretto. Esso fu esposto nella Cattedrale al concorso d' un numeroso popolo che per poco noi piangeva perduto; indi rinchiuso per entro alla sacristia della Cattedrale medesima sotto gelosa custodia, finchè dai Basiliani non si provvedesse ad un più sicuro e più degno tabernacolo. Ma il desiderio de' cittadini avea, dirò così, precorso il prudente avviso de'Magistrati. Quattro uomini dabbene, Antonio di Lerici, Giuliano Grimaldi, Benedetto Spinola, e Vincenzo Borlasca a nome degli abitanti della villa di Multedo supplicarono immantinente il Governatore e gli Anziani; si sollecitasse l'opera, o ristorando il tabernacolo antico, od altro facendone di grossa muraglia e munito da ogni pirte con grate di ferro, e da chiudersi a più chiavi. Sui principii del 4508 rinnovarono l'istanza altri cittadini, possessori di fondi per quel dintorno, offerendo di costrurre a loro spese il nuovo Sacrario, e il giorno 48 di gennaro Francesco di Rochechoard governatore e luogotenente del Re di Francia in Genova, e il magnifico consiglio degli Anziani annuirono alla domanda a putto che il tabernacolo non avesse meno di sei serrature, e le chiavi di queste si dessero in custodia di probi personaggi a scelta del Governo. Decretarono eziandio, che se in alcun tempo fosse Genova minacciata da esterno nemico, si dovesse recare il Sudario in città, per assicurarlo da ogni ingiuria o rapina 1.

1 Insuper si accidens accideret, quod uìlo unquam tempore csset timendum de eo aliquo modo, ordinant intra urbem illud debere deferri, et ibidem stare donec fueril sublatus timor. — Dietro questo savio provvedimento che fu tosto eseguito, come vedremo, non so acconciarmi a quel che si racconta dagl' istoriogiafi del Sudario sotto il 1523, che cioè essendo Genova inondata dalle truppe spagnuole e messa a sacco, i Basiliani impauriti di quella furia, togliessero dal tabernacolo l'imagine, e la nascondessero nell' oito attiguo al monistero. Rileviamo da' documenti che ad essi non era affidata se non una chiave, onde il fatto non è da credersi con fretta. Il costume di recare in luogo sicuro entro città la sacra imagine non cadde in disuso sì presto come quel racconto ci potrebbe far credere, mentre leggiamo che a questo mezzo si ricorse ancora nel 1625 quando il Duca di Savoia ostinato a'danni della Repubblica, minacciava di porlare le armi fin sotto alle nostre mura. Simile trastocazione si fece per rendere omaggio a personaggi cospicui, come nel 159!) a Margherita d'Austria che andava sposa al Re Filippo IH di Spagna. Lo adorò ella nel Duomo, e partendo da Genova ne volle un ritratto, che fu degnamente eseguito'da G. B. Castello miniatore egregio. Dirò in breve di altre occasioni in cui fu esposto il Sudario o per impetrar grazie, o per devozione di cospicui personaggi. Il giorno 6 oltobre 1008 fa messo alla pubblica adorazione per istornar con preghiere l'assedio onde i Turchi stringeano Candia. Fu venerato nel 1671 dal Card. Lilla, nel 16S6 dal Duca di Mantova, nel 1689 dal Principe di Neobourg, nel 1706 dai Principi della R. Casi di Savoia mentre Torino era cinta d'assedio, nel 17I0 dal Principe Carlo di Baviera poi Imperatore, nel 1747 dall'Arcivescovo elettore di Polonia, e nel 1819 dal pio Re Vittorio Emanuele di Savoia, al riaprirsi della chiesa dopo le politiche turbolenze che afflissero la nostra patria.

Messo in assetto il nuovo tabernacolo, fu soleunemente trasportata l' imagine alla primitiva sua sede il giorno del Corpusdomini dell' anno 4508. A' 2 di aprile dell' anno seguente si fece legalmente la consegna delle chiavi ai designati personaggi, come ricavo da' documenti che a caso rinvengo in una congerie di manoscritti di mia spettanza 1. Questa lodevole istituzione è peranche in vigore; nè da queil ' epoca in poi si saprebbe trovare un avvenimento che meriti di essere registrato in un cenno inteso a narrare le principali vicende. Un nobile cittadino, Francesco Ferrari, fece costrurre a sue spese un nuovo sacrario nel luogo dell'antico; ma essendo questo tuttora in mostra, appartiene più direttamente alla parte descrittiva della chiesa che non ad un sommario dei fatti. Però serbandone il discorso a miglior tempo, mi fo ad un breve ragguaglio della imagine, essendo essa nascosta a chicchessia, meno in pochi giorni dell' anno, e difficile anche allora a bene esaminarsi, per la brevità del tempo che si concede ai divoti. La materia su cui campeggia è pannolino, onde il nome di Sudario, e presso i greci pa*e>Aiov, dalla qual voce noi genovesi ripetiamo quella di mandillo. La durezza de' contorni, la buia e monotona carnagione, e i taglienti profili della barba che insieme a' capegli forma al mento una triplice punta, fanno somigliante la faccia alle pitture che nacquero in Oriente ne' secoli che di poco precedettero o seguitarono il mille. Chi si affisa in quel volto con sentimenti di devota pietà vi scorge nondimeno somma vivacità nello

1 Leggesi in fondo a questo allo — Actum extra moenia civitatis Januae in tempio Divi Bartholomaei Armeniorum silo in villa Multedi, et in sacristia ipsius templi — Anno Domin. nativilatis Mihx Indictione si secundum Januae cursum die lunae secunda aprilis, hora decimaseptima vel circa, praesentibus Jacobo Porrata fabro, Bernardo de Bobio, et Antonio Panesio Cintraco communi) civitatis Januae testibus vocatis et rogatis. — Né sarà inutile eh' io ne trascriva le prime linee, poiché vengono in appoggio di due fatti narrati da me nel contesto dell' articolo. — In nomine D.ni. Amen. — Cum verum sit quod alias anno Mdvii die x decembris sacrilegiorum quorumdam flagitio sacratissimum Sudarium ac pes divi Bartholomaei ex sacrario divi Apostoli Auzeri. Guida di Genova Voi. II. 41

Barlholomaei Armeniorum fartim surrepta fuerint, et ad Parisios in sacello Episcopi senonensis recondita eie. ctc.

sguardo, serena fronte, e gravità inimitabile; e se crediamo al Calcagnino, questa prodigiosa bellezza ebbe testimonianze autorevoli da' più cospicui pittori genovesi, tra'quali Bernardo Castello, Castellino Castello, Domenico Fiasella e Luciano Borzone, e il Cambiaso stesso, che sempre ricusò di copiarlo, stimandosi ( dice lo scrittore ) incapace a ritrarre con mano mortale un'opera al tutto divina. La tela è distesa sovra una lastra di finissimo oro, e molti ornamenti della stessa materia cuoprono il fondo radendo i contorni del volto siffattamente, che della lastra o della tela non si discerne pur ombra. Sotto gli imperatori di Bisanzio, i quali, come s'è detto, possedeano il Sudario prima che venisse a mani del Montaldo, e come credesi da Costantino Porrogenito, vi fu lavorato quel fregio o cornice, che sovra la primitiva lastra si rialza dal campo; esso è contesto di ornati in oro, che lasciano tratto tratto uno spazio quadrato entro cui vedesi dipinto un fatto relativo alla sacra effigie , e chiarito da caratteri greci. Nel primo è Abgaro infermo che spedisce l'epistola a G. C., e sotto queste parole:

o Auyapo; tipò( Tov Kvpiov Tov Avavi'av omosù.loiv.

Nel secondo Anania che invano si sforza di ritrarre il Redentore:

o AvaviKJ Tov Kuoiov yjà. fìvyxu.zvoz i;oc.r.y.v.i.

Tou fistv(Wiov Jiazoui^ofiévou eisrìiv Kov;avtivoVo).iv

Ai lati della testa in più grosse cifre sta scritto: iG. XC. To AriON Manahaion ( Jesu Christi sanctum Sudarium ) denominazione che i greci stessi, e fra questi Gio. Curopalata, usavano fin da quel tempo.

Così per la certa antichità, per la fama de' prodigii, per la importanza dei fatti, venne intatta e venerata fino a noi la reliquia, e duro in questa chiesa a malgrado del tempo e delle vicende a cui soggiacque. Si conchiuda brevemente per ciò ch' è di storia. Innocenzo X Papa intimò con sua bolla d' ottobre -1650 la soppressione de' monaci Armeni, tralignati da' loro istituti a tal segno da produrre scandali, nonché ne' dintorni, ma nel popolo intero. K era a quell'epoca generale Fra Paolo Costa, e molti altri genovesi Io aveano precorso nella dignità. Per provvedere alla sussistenza de' frati espulsi dal convento si assegnarono 20 scudi annui ai laici e -4Q ai sacerdoti. La chiesa fu aggiudicata in commenda a Lorenzo Raggio, e somigliante fortuna ebbero quelle che dipendevano da S. Bartolommeo, cioè la chiesa di S. Bernardino, di S. Pantaleone, e di sant'Antonino di Casamavari. Ma non andò mollo che al Commendatore ne chiesero l'acquisto i Padri Barnabiti, e l'ottennero (non senza gravi dissenzioni tra l'Arcivescovo ed il Governo ) nel 4656, e ne presero il possesso in forza di bolla, conseguita fin dal precedente anno da Papa Alessandro VII. Questa solennità si fece il 3 di Maggio (4656) alla presenza de'Magistrati, i quali avuta nuova in quel punto d' una galea genovese che avea vinto e imprigionato un corsaro barbaresco, vollero appenderne la bandiera innanzi all' altare del santo Volto 1.

1 Non dispiacerà V aiet sott' occhio la letterale traduzione latina. Di questa mi compiacque il eh. Prof. Angelo Sanguineii assiduo è feline cultore della lingua greca, ed io \o lentieri ne faccio dono al lettore.

I. Augarus ad Dominum Ananiam mittens. — II. Anania! Dominum non valens cognoscer». — III. Tangens Dominus Jesus Christus. — 1Y. Dominus Sudarium et epistolam Ananiae dat. — V. Ananias Sudarium et epistolam Augaro deferens. VI. Augarus idolum dissolvens imaginem erigit Domini. VII. Episcopus detegens per fidile ( opus ) Sudarium contemplatur. .— Vili. Detexit Sudarium per pulcherrimam testam habentem imaginetn. — IX. Episcopus oleum igni infundens Persas exussit. — X. Sudario delato in Constantinopolim daemoniacus sanatus est.

iV. B. Si sono posti in diverso carattere i due participi! dei numeri vi e vii per avvertire che non rappresentano fedelmente la voce greca, perchè il Iatino manca di participi! passati attivi. Viceversa nel numero x quel delato che in latino è passato in greco è presente; ma il latino non ha participii presenti passivi.

1 Da tempo antichissima fa eretta in questa chiesa una

Per quanto io studiassi ad esser breve in questi cenni storici, son certo che molti staran pure attendendo ch' io m'inoltri a descrivere le cose artistiche, le quali, per merito de' Basiliani, son molte e pregevoli in questa chiesa, di si misera apparenza all' esterno. Ed io tanto più volonlieri ne li compiaccio lasciando al silenzio altri particolari di minor conto, in quanto che m' è dato di offrir loro sulle prime un pittor nuovo, e di assai pregio per le nostre antichità, e, nonchè sconosciuto, ma neppur sognato in Genova dagli scrittori. Poichè la fortuna vuole, che dopo quattro secoli e più dacchè la tavola è qui affissa nel coro, io sia il primo a farne parola, non verrò meno al mio debito, ch' è quello di compensare l' antica negligenza con un cenno abbastanza copioso ed esatto dell' autore e dell' opera. Questa tavola od ancona è fatta a trittico, e i tre campi son divisi da intagli in legno e da linee decorative sullo stile tedesco. Nello scomparto di mezzo è Maria seduta in trono, e intorno ad essa un gran numero d' angioli che le fanno festa con istrumenti musicali, e gloria co' simboli delle di lei virtù. Il bambino Gesù ch' ella ha in grembo tiene un cartello in cui sta scritto:

Confraternita sotto l'invocazione del santo Sudario. A spese di essa fu alzato il campanile — Y. il Calcagnino.

Ego sum alpha et ci princìpìum et finis. I due spazi laterali si riempiono di santi e sante, disposti senz' ordine di prospettiva dal sommo all' imo della tavola, tra' quali sembrano* primeggiare i santi Battista e Caterina. Alcuni fatti di S. Bartolommeo tengono finalmente la predella; prova innegabile, che il dipinto fu eseguito per questa chiesa — Ora dello stile — Con lieve fatica vi si scerne il giottesco che die' legge alte scuole toscane ne' primi secoli della pittura. Informato a quel tipo non può andar privo di bellezza; T'hanno arie di volti che spirano soavità, pose leggiadre o maestose secondo il subbietto, carni rosee e dilicate che produrrebbero un vaghissimo effetto se non le soffocasse, a cosi dire, la doratura che, giusta il costume di que' tempi, cuopre non solo le cornici, ma i fondi, le aureole, i vestimenti d' ogni figura.

Il nome dell' artefice si legge appiè del trono in questi caratteri di rilievo — Turinus Vannis de Pisis pinxit — E più sotto in altri vergati di schietto oro è la data — Mccccxv die xv men sis augusti — L' abate Luigi Lanzi mi dà poco aiuto a cavar dalle tenebre questo pisano, il solo a nostra notizia, che portasse in Genova gli esempi di quella propagatissima scuola; non essendo possibile che dipingesse la tavola nel 44-15 quell' unico Turino Vanni, di cui egli pone il

fiore sotto il -£343 nella prima epoca della scuola fiorentina. Ma provvede a quest' omissione dello storico Alessandro da Morrona illustratore delle cose pisane, ne' volumi del quale troviamo il Turinus Vannis in parecchie soscrizioni di tavole, e alcuna volta coll'aggiunta de Rigidi, castello poco discosto da Pisa. Le date sono dal 4393 al 97; ed è opinione del suddetto scrittore che costui nascesse da quell' altro Turino accennato dal Lanzi, e che lasciò il nome in due quadri del 4340 e del 43 1. La totale mancanza di sue tavole in patria posteriori al 4397 potrebbe far credere eli' egli ne fosse assente, e che si trovasse in Genova nel 4415 allorché dipinse questa ancona; ma la congettura non è forte abbastanza per escludere il dubbio eho di Genova gli venisse commessa, specialmente per quell' epoche in cui vediamo alcun frate da Pisa nel numero de' Basiliani. Queste sottigliezze però si addicono più specialmente allo storico; noi, contenti d'aver supplito a un'antica negligenza, auguriamo per l'avvenire alla tavola il maturo giudizio dei dotti, e una penna che la descriva e raccomandi con più diffusione ed efficacia.

1 V. il Morfonn — Pisa illustrata — Livorno pel Marenigh. 18l2. Voi. 2. pag. AÒO al 433.

La trascuratezza de' vecchi cataloghi ( non dirò guide ) darebbe noia a me stesso non che al lettore, quando si volesse appuntarne ogni colpa; sì frequente verrebbe il rimprovero. Chi seppe mai da' libri che Lazzaro Tavarone dipingesse sul vòlto di questa chiesa il martirio di S. Bartolommeo? Se noi dicono i libri, il dice lo stile, e con più aperto linguaggio quanto l'opera è vivace e brillante sovra molte altre di lui. A queste doti si riconosce la gioventù dell'artista, e meglio ancora alla data sottoscrittavi del 1596, posteriore d'un biennio al suo ritorno dall' Escuriale, ove si fe' merito e nome di gran pennello.

Ma più del Titolare stesso ebbe quivi tributo d'imagini la reliquia del santo Volto, alla cui storia si riferiscono i quadri onde è quasi coperta ogni parete. Di tale ornamento si danno vanto i Barnabiti venuti al possesso della chiesa sui principii del 4656, come già s'è veduto; nè v'ha prova in contrario, se attentamente guardiamo alle epoche de' diversi pittori prescelti ad eseguirle. È mestieri però il conchiudere, che Orazio Defferrari al quale fu data la maggior parte chiudesse con queste opere la sua carriera; poichè l' anno appresso morì di contagio. Quattro ne dipinse ( e sono le più vicine attualmente all' aitar maggiore ) rappresentandovi Anania pittorc del re Abgaro che studia invano a ritrarre le sembianze di G. C.; il Redentore che veduta la pia frode il compiace del sudario miracolosamente impresso; il Sudario stesso, che manda raggi a guisa d'incendio in mezzo a folta boscaglia, e il monarca d' Edessa risanato dal morbo alla sola vista della sacra effigie. Di queste opere non faremo giudizio, contenti all'autorità del Soprani che dà loro il primato sovra quante ne fece Orazio; chi potrebbe esaminarle all' altezza in cui sono, e così malconce e disseccate dal sole, che da molti anni, a quel che pare, le sferza? Le altre durano in migliore stato, benchè forse lo meritin meno. Due ne fece Domenico Fiasella, e una terza Giulio Benso s X uno e l' altro in età vecchia e spossata da lungo esercizio. Del primo son quelle che mostrano la città d'Edessa prosciolta dall' assedio per miracolo del santo Volto, e la figlia di Cosroe re di Persia liberata da'demonii; l' una al disopra, l'altra al manco Iato dell' organo. Esse mi paiono una mentita al Soprani, a cui parve che il Sarzana non cedesse punto al peso degli anni; vi riconosco a gran fatica il pennello. Simile giudizio non daremo del Benso, al quale si deve l'altra di S. Taddeo che battezza il pittore Anania; poichè egli non fece molte opere ad olio, nè vi poso queil ' amore che negli affreschi. — A suggello di queste storie vien fuori un bel nome, Elìsabetta Sirani bolognese, imitatrice ardita e felicissima del secondo stile di Guido, col quale ebbe comune la tomba, cessata a' vivi in età di ventisei anni per veleno propinatole da una sua fante. Si dà per opera di lei un quadro di minor mole che figura il risanamento dell' ossesso al recarsi processione il Sudario, ed io non so perchè debba esser d'altri un secondo d'egual misura e d'egual gusto, col noto prodigio del paralitico. Tal quistione potrebbe svanir di leggeri se i due gentili quadretti non ci fossero tolti quasi dalla soverchia altezza, e con essi l'unico saggio che abbiamo in pubblico di questa giovine grande e sventurata. A' suddetti dipinti consccrati in onor del Sudario possono associarsi altri quattro d' angioletti che lo festeggiano con simboli e motti, bei frutti della scuola Piolesca; ma può tacersi senza danno delle altre storie, uscite da mano ignobile e mediocre.

L' ordine delle cose m'invita a far cenno delia cappella che fin dal 4595 eresse ad onore e custodia della imagine Francesco Defferrari patrizio genovese. La sontuosa e pia opera ebbe durevole testimonio di lode in un decreto del Senato, e nella concessione a lui fatta d' una delle chiavi che rinchiudono il sacrario, passata in progresso di tempo nella famiglia de' Chiavari. Quel benemerito non fu contento però del già fatto, e nel 4604 fece a sue spese una teca di argento per maggior difesa del santo velo, come appare da uno scritto inciso sulla lamina posteriore: Franciscus Ferrarius Christi imaginis incolumitati hac lamina consulendum curavit — Anno 4604. E il bello esempio fu emulato da' successori di lui, se poniam mente alle opere ed alle iscrizioni fattevi più tardi. Gio. Giacomo DefFerrari infermo a morte ordinò con dispendio non lieve una seconda cornice al quadretto, di argento dorato trapunta di gemme, che venne ultimata da Gio. Battista fratello ed erede di lui nel 4702 — Hoc devotionis saae in sacrosanctum Sudarium tenue pignus, quod vivensj sed ad mortati infirmus Io. Jacobus incoepit. superstes et haeres Jo. Baptista Deferrariis q. Sanctini ejus frater pari animo ac voto prosequebatur anno 4702 in Pentecoste prid. non. junii 1. La cappella

1 Queste ricchezze accumulate in vani (empi sulla imagine doveano soggiacere alla rapace avarizia francese, quando nel 1798 fu intimato dal Governo democratico uno spoglio degli oggetti più insigni ne'luoghi pubblici. A compire questo villano uffizio nella chiesa di S. Barlolommeo furono delegati certuni del volgo, i più indiscreti della Giunta. Essi chiesero al Superiore de'Barnabiti il P. D. G. B. Rossi, l'argento, l'oro e le gemme onde era ornata la sacra effigie, e invano egli si oppose, allegando che i possessori delle chiavi non si indurrebbero a consegnarle per tale rapina; convenne pio

innalzata a spese di Francesco DefTerrari ha sembianza d' una elegante loggia sulla quale si espone la santa imaginc nei giorni di Pentecoste, e questa loggia corrisponde al sacrario, ove X imagine stessa è rinchiusa con undici chiavi. Per crescere imponenza e mole all' opera si fecero intorno alla loggia e sopra e sotto molte figure in plastica, delle quali era autore Marcello Sparzo d'Urbino; ma queste da non molti anni furono distrutte come più atte a fare ingombro che decoro alla cappella. Sotto il palco della loggia sostenuta da due colonne di bianco marmo è un semplice ma ben composto altarino, che il pio costruttore volle ornato d' una tavola di Giambattista Paggi, nella quale è figurato il Redentore che restituisce al pittore d' Abgaro il pannolino impresso delle proprie sembianze. Tavola di molte grazie, che noi non ci fermeremo ad esaminare lungamente per non mettere altri indugi alla descrizione delle rimanenti cappelle.

mettere ai deputati che le chiavi si avrebbero tosto. Costoro però, irritati dalla risposta, posero le mani sugli arre-li di maggior prezzo. Il Superiore ricomperò con denari proprii I' argento che fregiava le urne de' santi Pantaleone ed Almachio, ed il piede di S. Barlolommeo. Svani poi ne' Cittadini del Comitato l'idea di metter le zanne sul Sudario; ma nn secondo e più forte pericolo succedette nel 1810, quando furono soppressi i Barnabiti, e deserta de'sacri uffizi la chiesa. A quel comando sì forte che facea tremar del suo nome lolla l'Europa non si poterono negar le chiavi, e già il Sudario parea perduto a coloro che avean veduto sulli fine del precedente secolo recarsi da' francesi a Parigi il simulacro di N. D. di Loreto. Ma la cosa andò altrimenti; i Commissari!, aperto il sacrario, esaminaron l'imaginc, e conehiusero, ch'essa non meritava l'onore iti adornare un'imperiale galleria. Per tal modo rimase al suo posto il Sudario , e dopo quattr' anni al riaprirsi della chiesa fu ridonato al culto de' fedeli. — ( V. la notizia istorico-critica del santo Sudario, scrina dal I*. Picconi testimonio di veduta ne'fatti sopra narrati. Genova, 1828}.

Oltrechè il primo altare a destra da cui prendiamo le mosse ci dà un altro quadro del Paggi, innanzi al quale potremo rifarci della brevità. Nè crederò che v' incresca lo scambio; tale è la nobiltà, la modestia, il candore onde sono espresse le due figure di questa Annunciazione. Ha pure il dipinto una freschezza di colori da destare invidia in ogni tela di lui, e che vi mostra il pittore non quale il volle la sorte a' dì nostri, ma qual era veramente a' suoi tempi. Bramerà taluno più forza e robustezza di tinte, vorrà quell'intonazione vigorosa che usò in altre opere; ma sarà pure chi prediligga questo fare leggero ed ingenuo che tanto risponde al subbietto, e ncil ' impasto delle carni ha non so qual sapore di baroccesco che innamora. Ed io consento in costoro, e do luogo al quadro fra i migliori di Giambattista, se non per l'effetto che pasce l'occhio e lo illude, per quel sentimento che scende al cuore, che guadagna il pensiero, e ritraggo con eloquenza il carattere e l'indole dell'artista. Le tavole de'due altari che restano, cioè di santa Caterina 1 e di S. Bartolommeo, rappre^ sententi il martirio de' titolari sono di Orazio Vaiani pittor fiorentino, che sui principii del secolo xvii stette alcun tempo in Genova trattenuto da un patrizio Gio. Carlo Doria. I suoi quadri son' ovvii in Milano ove passò poscia e donde spedì quest' opere. Par da correggere il Soprani che il nome d'Orazio Vaiani cambia in Alessandro ne' brevi cenni che ne scrisse. E diffìcile il caratterizzare lo stile di costui, diversamente giudicato dagli scrittori, e che forse appartiene alla schiera di que' versatili ingegni che pongono il merito nel!' esser sempre disuguali. Il Lanzi fa meraviglie, che una sua tela esistente in Milano fosse attribuita al Palma vecchio; ma che Orazio tendesse a contraifire i veneti e forse più che altri i Bassani ed il Palma il dice aperto questa santa Caterina, benchè maltrattata dal tempo, e non ha guari mutilata tutto all' intorno con poco senno. Nel generale de'suoi lavori, a detta dell' accennato istorico, è giudizioso e diligente sebbene piuttosto languido nel colorito; ma l'altro quadro di S. Bartolommeo, diverso al tutto dal compagno, non s'appaga di tal giudizio; il disegno è largo e magistrale, e col maneggio della luce, coll'espressione delle figure, co' toni stessi delle tinte studia una fierezza caravaggesca che il fa in molte parti somigliante al nostro Assereto. Queste contraddizioni ci avvertono, come mal si sentenzi d' un artista prima di spiarne l'indole, e ( se mal non suona la parola) seguirne i capricci.

1 Mei paliotto di quest' altare è un.bassorilievo colla Santa tumulata dagli angeli, che sembra di Taddeo Cartone o della sua scuola.

Altri dipinti locati od appesi sulle pareti vogliono aver nota in questo elenco. Da pochi anni ebbe luogo nel coro una tela con S. Pantaleone che risana infermi, già esistente in un'attigua cappella dedicata a questo Santo, di cui la chiesa possiede le reliquie. Essa è lavoro d' un Vaioni da Nizza religioso Barnabita, nome ignoto alla storia, ma non indegno d'avervi un posto. — Un' altra del Battesimo di Cristo presso l' altare di santa Caterina è di Luca Cambiaso, da vedersi di volo, poich' egli in due tavoline che sono a' fianchi del presbiterio ci presenta più ghiotto pasto. Figurano queste il risorgimento e la trasfigurazione di G. C., e d' ambedue si conosce la data, cioè il 4559 e il 4564; che è quanto a dire la più bell'epoca di Luca, giovane allora sul trentesimo anno o poco oltre. La vigoria gioYenile trapela da ogni linea di questi graziosissimi quadri, anzi poemetti; dall'ener-~ gia d'ogni mossa, dalla espressione toccante e viva d'ogni testa, da quel genio che dipinge con pochi mezzi un soggetto di profonda e grave natura. Non discrederò che il tempo od altro danno togliesse al dipinto un tal po' di brio; ma tengo per fermo che a questa dote non fidasse il Cambiaso la sostanza delle due operette; bastandogli la forza, l' accordo, la poesia del concetto. V hanno in pittura certe arcane bellezze più facili a sentirsi che a raccontarsi, e di tal tempra mi paion queste, singolarmente nel quadro a destra, che si direbbe ispirato alla mente di Raffaello. L'uno e l' altro egli eseguì ad istanza di Fra Luca da Multedo monaco basiliano e suo confessore, e ritrasse il buon frate nella tavola del Risorto.

Le non poche opere che Luca Cambiaso fece per i monaci Armeni ci fanno credere ch' egli avesse con loro un'amichevole consuetudine, e tal credenza pare giustificata dalla storia e dalle tradizioni. Ci si racconta una nuova e bizzarra gentilezza usata da lui a'medesimi religiosi; e fu che giuocatasi con loro per diporto e perduta una cena, pagò indi a pochi giorni lo scotto, recando a'vincitori una gran tela con entrovi l'ultima cena di Gesù cogli Apostoli. Questa si vede tuttora in capo al modesto refettorio de'

PP.; e se non può disgiungersi, quanto allo stile, dalle moltissime ch' egli pennelleggiò con prestezza e con tinte più fiacche, ha questo almeno di raro, ch'egli vi si ritrasse, come in atto d'osservare la cena, ritto sui piedi e con bella evidenza. — Se guardiamo poi al pregio dell' arte, non tarderemo a preferirle un altro suo dipinto in tavola, locato pur quivi sulla parete a destra, il quale figura ( o mi tradisce la memoria) i santi Luca, Basilio e Bartolommeo. Il primo di questi santi accomunato al titolare e al fondatore de' monaci m'indurrebbe a supporre, che il già nominato suo confessore glielo ordinasse, s'io non iscoprissi a tergo l'effigie d'un divoto, personaggio di grado al collare che gli pende dal collo; ritratto malamente creduto del Cambiaso medesimo. La seconda maniera di Luca ha un nuovo elogio da questa tavola che nel disegno diligente, nell' espression nobile e grave, nelle tinte pastose e gaie rassomiglia quell' altra de' tre santi che è in Duomo; e il S. Luca n' è quasi una replica. — Le sta rimpetto un Crocifisso colle Marie e S. Giovanni , tenuto dall' esatto Soprani per opera del nizzardo Ludovico Brea. Non so perchè il Ratti con una postilla mostrasse discredere, o discredutolo non si degnasse di addurne altra ragione, se non che lo stile è dissomigliante. Niun pit

tore di questi antichi è da giudicarsi con flemma quanto il Brea, che eziandio nelle opere certe e soscritte del nome è diverso; or pastoso e largo, or secco ne' dintorni de' quadri bench' eseguiti in epoca più tarda. Nonchè astenermi da tai dubbi, m' unisco anzi di buon grado al biografo di lui che innalza il Crocifisso sovra molte tavole di Ludovico, in linea forse d'espressione e di condotta. Egli aggiunge ( ed è cosa che gli accresce fede ) essere stato dall' autore eseguito per questa chiesa ad istanza di certo Sig. Biagio de' Gradi. E ognuno di leggeri argomenta come anche la tavola del Cambiaso fosse tolta da un altare, e messa nel luogo attuale con grave perdita del pubblico, allorchè si procurarono altri dipinti alla chiesa, o, com' io direi. quando i severi frutti delle prime scuole cominciavano a saper d' anticaglia a chi meno intende.

Al Brea s' attribuisce pure un quadretto di S. Pietro appeso nel refettorio medesimo, nè mi parrebbe strano che gli si attribuissero due altri che son nel convento; un S. Gio. Battista e gli Apostoli al sepolcro di Maria, mal ritocchi da poco tempo. Io non mi cimento al difficile giudizio, e lascio anche senza nome due ultime tavoline, murate in fondo a un corridoio, di quella età e di quello stile nelle quali è figurato S. Vincenzo Ferreri e S. Bernardino da Siena, quantunque piene di vita, lucidissime nelle tinte e d' un disegno invidiabile. In un altro angolo del convento ebbe luogo il quadro - del B. Alessandro Sauli, che le guide notano a un altare della chiesa; fu dipinto nel -1745 da Jacopo A. Boni, come si legge nelle carte de'Barnabiti, e accolto da questi religiosi per cosa egregia 1. Ma sol che si guardi, ci parrà uno sfregio alla fama del bolognese, e una mentita a quelle lodi.

Tornando in chiesa, non saprete uscirne senza prima considerar lunga pezza un monumento sepolcrale d'insigne scultura, ch' io ho serbato alle ultime linee, perchè frammischiato alle opere di pittura o m'avrebbe costretto ad esser troppo breve, o a turbare, colla dovuta prolissità, l'ordine di quei diversi oggetti. Il March. Marcello L. Durazzo e Livia De-Mari consorte di lui, nel 4830 componevano in questa chiesa le ceneri di una lor cara fanciulla per nome Clelietta, non ancora quinquenne. Il Prof. Paolo Rebuffo, amico ed estimatore dell' ottimo patrizio dettava con dolente affetto un' epigrafe per memoria di quel tenero fiore divelto anzi tempo dalla terra, e l' esimio scultore Giuseppe Gaggini si metteva all' opera di decorare cogli scalpelli il modesto suo tumulo. Nel concetto istesso volle serbare modestia: finse di bassorilievo sullo specchio del cenotafio l'angioletta che vola al paradiso col giglio in una mano della nativa innocenza, e nulla più. Ma se v' ha pruova che nell' estrema semplicità si nasconda vera poesia, io non vorrei cercarla lungi da questo marmo. Lascio i pregi dell' arte, benchè le grazie infantili non si ritrassero mai sovra forme più elette, nè il candore d' un angiolo sovra più leggiadre sembianze di fanciulla. Brevemente, se il cuore afflitto d' un padre può trovar conforto nella memoria che tengon gli uomini d' un lor bene perduto, l'egregio Marchese non poteva sceglier mezzo più acconcio per raccomandare alla posterità il nome della sua Clelietta.

1 1745 die 20 decembris — Hoc mane tabula eleganter elepiota marni excellentis pictoris Jacobi Boni bononiensis in ora B. Alexandri Sauli exposita fuit, classem turcarum ad precet ejusdem submersam exibens.

Una porta laterale ci mette speditamente all' aperto. Questa fu ornata nel secolo scorso da' Barnabiti, e postovi il bassorilievo della caduta di S. Paolo, che sembra derivato dalla scuola deJ Carloni lombardi. Ognuno intende che la scultura dovette esser recata da altri luoghi, essendone lo stile assai più antico del 4755 - epoca in cui fu innalzata la porta 1, e in cui forse alF aitar principale della chiesa già ornato di figurine del xvi secolo ne'gradi, furono aggiunte le due statuette de' santi Paolo e Bartolommeo. Se pari allo zelo di questi religiosi fossero i loro mezzi o gli aiuti de' cittadini, noi vedremmo con miglior frutto de' restauri eseguiti da pochi anni ricostrursi la chiesa in forma più elegante, e supplirsi non dico a un antico desiderio, ma ad un bisogno che tutti riconoscono, e a cui pochi soccorrono.

1 1755 die 8 augusti. — lUarmoream ac magnificam januam recenter ereclam in ecclesia nostra conspeximus, et supra illam apostoli nostri Pauli effigiem, idest ejus conversionem tum ad vivum refectam eie eujus opus ascendit ad

L' aria libera, e la lontana veduta della città non ci sforzan' esse dolcemente a vagare per questa piazza, allegrata anche tutt'intorno da scene camperecce? Se vi piace far breve tragitto per queste ville, ne trarrete un secondo partilo, visitando la nuova Chiesa Di Santa Maria Maddalena E Sant Ignazio che giace sull' opposto rialzo del colle.

Essa è posseduta da monache Agostiniane, le quali anticamente avean chiesa e monistero sotto il primo de' titoli suddetti sull' eminenza di Montesano in vicinanza degl'Incurabili. Prima di questi ultimi tempi intesero esse a procacciarsi più comoda stanza che non aveano in quel luogo, angusto ne' suoi locali, e non lieto per sua po

summam librarwm trescentum vigintiquinque moretae currentis Gcnuue. — Dall' archivio de' PI'. Barnabiti.

stura; cessato in Genova l' ordine de' Gesuiti, comperarono la deserta chiesa e 'l convento di sant'Ignazio in Carignano, già noviziato di questi Padri, e vi si stabilirono intorno al 4785. Ma le fortune de' tempi non le vi lasciarono dimorare gran pezza, venendo soppresse le suore nell' epoche della rivoluzione insieme alle altre comunità religiose. Ristabilite queste in gran parte sotto il nuovo Governo della Casa di Savoia, il Re Carlo Felice ristorò de' sofferti danni le poche superstiti, versando loro una somma del R. Erario come indennità della chiesa di sant'Ignazio, di cui le privava per alloggiarvi milizie della guarnigione. Con tale sussidio fecero acquisto nell' attuai sito d' una vasta casa de' conti Fieschi, che acconciarono poco a poco in monistero, inclusa nel recinto una cappella già quivi esistente sotto l'invocazione di S. Rocco, e sovra parte dell' area circostante' innalzarono poscia un leggiadro tempietto, che in memoria delle chiese antecedenti s' ebbe il nome de' due santi titolari nominati da principio 1.

L'architetto Ippolito Cremona soddisfece a'loro bisognile dirò anche al decoro del loro ordine con zelo ed ingegno di buono artista. La fronte esterna della chiesa restò appena tracciata, come avviene in molte fabbriche alle quali non abbondano i mezzi, e dispiace quel rozzo embrione di facciata in un luogo, ove il rimanente dell' edificio, e la natura stessa ivi intorno coll' amenita delle sue ville par sorridere al passaggero.

1 V. Spolorno nel Dizionario dell'abate Casalis. — Att. Genova.

L'interno, elegante nelle sue forme, e non povero d' ornamenti in plastica, ha tre quadri da notarsi con diverso giudizio. L' autore del sant' Ignazio sub" altare a man dritta non ispcii più che alla curiosità de' pochi che ne domanderanno il nome; a'quali io ricordo senz'altro quel Tommaso Castello, morto nel -1845 in età virile, lodato per alcuna operetta più diligente di questa. Qualche bellezza, a chi ben cerchi, mostrerà quella Maddalena locata sull' opposta parete sovra la grata che risponde al Capitolo delle monache, opera di Bartolommeo Guidobono, che, per miglior comparsa, d' ovale fu ridotta a quadrata con grosse aggiunte fattevi da recente pennello. Fra queste tavole che indicano i titoli della chiesa primeggia la terza dell' aitar maggiore rappresentante sant'Agostino, e parecchie beale della sua regola, olire due figure delle sante martiri Caterina ed Orsola dipinte sulle prime linee. ll nome dell' artefice Gio. Batta Carlone , basterebbe ad assicurarle il primato; non

Alizer- Guidi di Gmova Voi. IT. 42

dimeno è debito l' aggiungere, che fra le opere di costui sorpassa le mezzane, se poniam mente ad una amenità di colori e ad una freschezza che sembra dar vita ad una scena, impossibile ad avvivarsi da un aggregato di personaggi così dispari d'età, e di carattere. Difetto di molte pitture, anzi così universato che l' accusarlo o il combatterlo tornerebbe superfluo se non ridicolo. Una lunga e precipitosa discesa che muove dall' eminenza di S. Bernardino e termina alle porte dell' Acquasola potrebbe metterci al piano; ma preferisco il ricondurmi sugli stessi passi a S. Bartoloinmeo, e scendere per altra parte; sia perchè il cammino è più agiato, e perchè alcuni monumenti ci verranno più ovvii in quel giro. Vedremo in breve tratto due palazzi, che ci dorrà di non trovar pure nominati in alcun libro; palagi splendidi per opere d'insigni affrescanti da far onore alle sale urbane, nonchè a soggiorno campestre; chè a tal fine i patrizi edificarono su questo colle. Ambidue degni di lunghissima vita ebbero fortuna contraria; l'uno custodisce e par vantare il tesoro de' suoi dipinti entro un recinto di mura ornate e pulite, l ' altro non promette ( se guardi all' esterno ) bellezza veruna, e al didentro ti disgusta coll' aspetto di molti e continui danni. La ragione è patente; il primo rimase finora nella famiglia de'fondatori, o se mutò signore, cadde in uomini illustri per nascita e bene affetti alle arti gentili; il secondo dalle origini in poi fu trasmesso di padrone in padrone, e i più moderni non mostrano conoscerne il prezzo se non in quanto può giovare a' guadagni.

Quest' ultimo Palazzo vien prima sul nostro cammino, tostochè discendiamo per la salita di S. Bartolommeo. IN' hanno il dominio i Signori Villa; ma poco mi pareva il saper questo senza interrogare le tradizioni intorno a' predecessori. Mi fu risposto, i Pallavicini averne avuto innanzi a loro la proprietà, e prima di costoro i Durazzi, a'quali per avventura si dee la fabbrica. Ho creduto volentieri a chi volle compiacermi nella ricerca; e più sotto ne dirò le cagioni. Per ora, a sbrigarmi d'alcune cose di minor rilievo, osserverò che le scale, appena hai varcata la soglia dell'umile ingresso, t'annunziano le interne bellezze, dipinte come sono di varii e briosi grotteschi sul far di quelli che adornano i più sontuosi palagi del buon secolo. A considerare le minute e bizzarre figure che ne aiutano l'intreccio, dirai forse: oh chi potea dipinger quivi se non quel fecondo ingegno di Lazzaro Tavaronel E crescerà il sospetto innanzi a una picciola medaglia del ratto d' Europa, la quale campeggia nello sfondo dell'anlisala, illanguidita un trailo dagli anni, ma pur tale da tradir la mano dell' artista che la coloriva, o ne dava almeno almeno i disegni. Gli affreschi poi delle stanze egualmente decorati di raffaelleschi sciolgono ogni dubbio; nè ardirei dire come ho detto altrove, che il Tavarone in quest' opera di non piccola mole si confidasse ad aiuti; tanto sono accurate le quattro favole mitologiche figurate ne'loro soffitti, e specialmente le due con Danae sedotta da Giove, e con Diana che scende in traccia d'Endimione; modelli di forza, di trasparenza, di rilievo.

Ma il più sudato lavoro è la Salas nel cui vòlto partito in cinque spazi da Virtù a chiaroscuro, brillano altrettante istorie riguardanti la famiglia che tenne, od eresse ( come pare ) il palazzo nel secolo xvi. Due putti per ogni angolo ne fiancheggiano gli stemmi, o meglio gli scudi ove si delincavano le armi gentilizie, cassate forse nell: epoca delle popolari sommosse. Laonde per questo lato ci falliscono i mezzi di conoscere a qual uomo sien sieri i dipinti; nè migliore aiuto ci danno le iscrizioni segnate sotto ciascuna medaglia, poichè la quinta, ove si leggea forse il nome del protagonista perì totalmente con esso lo scritto. Y ha però chi ne ricorda confusamente il soggetto, ed afferma non essere antica la perdita. Se l'incoronazione di

un Doge tenea quel campo, e s'io mal non discerno il Doge medesimo espresso ne' rimanenti iu diverso atto, è facile il conciliare le tradizioni cogli argomenti scelti a tema del presente affresco, e il riconoscere nel personaggio encomiato quel Giacomo Grimaldi olim Durazzo ch« fu Doge dal 1573 al 75. Mi sta sugli occhi l'imagine di que' tempi calamitosi, quando Genova dilauiata da interni partiti, e piena di que'nomi infausti di Portico nuovo e di Portico vecchio era condotta a diversamente sperare ne' principati stranieri che le stavano sopra per disputarsela a brano a brano quando fosse esausta d'ogni virtù; rea condizione, a cui soccombeva se non era X autorità e l' eccelso spirito di Gregorio XIII Pontefice Massimo. Soggetto nuovo, ch' io non so in qual' altro luogo o privato o pubblico si trattasse mai, e che piace il trovar quivi, benchè altamente dispiaccia la memori i de' fatti. Fu mestieri al pittore o a' committenti cercare col fuscellino alcun atto di quel misero dogato per onorarne il Doge; nè farà meraviglia che le geste d' un principe in cui non era che una fuggevole larva di potere si riducano ad una serie stucchevole di cortigiane etichette. Nello spazio mezzano egli accoglie il cardinale Giovanni Morone spedito dal Papa a comporre le genovesi discordie, come dice lo scritto: Joannes Cardinali» Moronus Gregorii Papae XI11 ad Rempublicam intestino malo periculose aegrotantem legalm howorifice excipitur — Mdlxxv. Fra i laterali quello a sinistra di chi entra figura il Doge che accompagna a cavallo il cardinale Francesco Pacieco in segno d'onoranza: Franciscum Paciecum S. R. E. Cardinalem comitatur — Mdlxxul £ nei due rimanenti eccoti in iscena il valoroso ed astuto Giovanni d'Austria, strumento alle mire di Filippo re di Spagna, occupato col Doge in precetti di galateo; in uno è il Durazzo che corre ad incontrar D. Giovanni al suo arrivo in Genova: Joanni ab Austria Genuam petenti obviam prodit — Mdlxxiv; nell' altro D. Giovanni che rende la visita al Doge nel palazzo di leu Joannes ab Austria eum in palatio visitat.

Se alcuno dirà che la pittura non fu mai costretta a tessere più insulsi panegirici, risponderemo che poche volte mostrossi destra nel nobilitar cose tenui come ha fatto in questa sala co' pennelli di Lazzaro Tavarone. Queste scene non sorprendono, è vero, per grandezza d'operati e per espressione di gagliardi affetti che tanto possono sulla fortuna d' un dipinto; ma fermano gli occhi del dotto colla evidenza, eolla spontaneità, col distacco delle singole figure, onde pare che gli si muovano incontro; nè vi mancan bei pregi di quella varietà che parrebbe al tutto impossibile in siffatta eguaglianza di temi. S' aggiunge un colorito nitido, brioso e fresco , una ricchezza d' abbigliamenti, una pompa d'accessorii e un accordo ne' fondi ch' io non so se maggiore illusione possano aver gli occhi, mentre il cuore se ne parte digiuno.

La sala echeggia del frastuono d'aspe ed arcolai che l'ingombrano; mostra in alto la splendidezza degli antichi possessori, al basso la negligenza de'moderni, di guisa che mentre siam primi a metterne in iscritto le bellezze, è pur forza che si finisca col lamentarne le miserie.

Dell' obblio che fa oltraggio alle cose patrie dobbiamo ripeter lagnanze in un altro Palazzo posseduto dal March. Gio. Luca Dirazzo, che poco più al basso da un' amenissima falda di Multedo, vagheggia a man dritta le simmetriche verzure dell' Acquasola, a mancina le ardue balze di Montesano, e domina in prospetto le basse contrade di S. Vincenzo coronate e circoscritte dagli spaldi di santa Chiara. È vano sofisticare come il Ratti lasciasse al silenzio cotesto palazzo in quella sua Guida che in fatto delle arti moderne ebbe lode di esatta, quando io veggo che de' preziosi dipinti in esso contenuti non si fa conto tra'cittadini, anzi n' è cosiffatta l'ignoranza , che solo il caso potrebbe far noto agli amatori, esser colà buona materia a dilettevoli osscrvazìoni, ove non si suppongono che nude mura, e modeste sale campestri. Benchè l'aspetio del luogo ne inviterebbe a ricrearci fra queste delizie; bel viale fiancheggiato da doppia spalliera di cipressi, giardini e verdeggianti boschetti alle spalle, e di fronte le vedute suddette, che s'aprono, dopo le angustie del viale, come in ampio teatro. Chi non s' invoglierebbe poscia di tentare l' entrata del palazzo, e spiare nell' interno se pittura di buono artefice campeggi sulle pareti o ne' vòlti? Chiunque sa come i genovesi patrizi s' aiutassero di questa bell' arte non solo per lo splendore de' principeschi soggiorni che teneano in città, si ancora a far più lieti e decorosi i lor palazzi suburbani, ha già forse inoltrato a questa visita che a me fu consigliata dal debito di riuscir diligente nell' accennare ogni bellezza della nostra bellissima Genova. Nè molta fatica gli costò l' avvedersi, che le sale, e quasi dissi ogni stanza de' due appartamenti possono vantar loro affreschi, o meglio, quei che fanno ricchezza al pianterreno gli annunziarono che più largo numero e di più studiati dee contenersi nel superiore. Laonde a'primi, che in parecchie medaglie rappresentano fatti di Mosè non vorrà fermarsi a lungo l' osservatore, sia perchè lasciano dubitare che più d' un pennello vi s'im» piegasse o in aiuto del maestro o per bisogno di restauri; e perchè l'impazienza del cercar ciò ch'è meglio noi vi lascerebbe gran pezza. E per certo, se i dipinti del palazzo si limitassero a questi, io non vorrei fare accusa alla negligenza degli scrittori, pensando che l'incertezza dello stile, e la mole non vasta avessero se non meritato, almen procacciato a quest'opere un tale destino. Ma salite eoa meco al secondo piano, e ditemi se il grandioso affresco della sala potrebbe fallire a notizia del pubblico se non in città che trascuri il patrimonio delle sue bellezze , ed abbia in coloro che assumono l' uffizio di descriverle, uomini o mal sofferenti di fatiche , o troppo facili a camminare sull' orme di un' antica negligenza.

Le storie quivi espresse son relative al Diluvio, e principale Ira queste è la costruzione dell' arca che grandeggia nel mezzo. L' autore non restcravvi ignoto lungamente, se mai usaste deliziarvi negl' incantevoli e vigorosi affreschi di Giovanni Carlonc. Non mi si chiegga da qual fonte io prenda sicurezza per affermarlo mentre coteste medaglie non han nome in alcun libro, uè fama appresso di noi, senza eccettuarne gli artisti. I gran genii non si confondono; e se l'obblio che parve minacciare non poche opere di costui è un oltraggio al suo merito, non potrebbe però, finchè le opere esistano, ravvol

gerle nell' incertezza ch' è il peggior castigo delle mediocri. Le scarse linee che m è dato consacrare a questo palazzo ch' entra non aspettato nell' indice d'una guida, non si vogliono spendere nel dichiarare i soggetti di ciascuno degli scomparti i quali fan seguito al maggior tema, uè a descriverne altri che pur fan bell' ornamento alle stanze attigue, ed han fatti della Bibbia, cune, ad esempio, il profeta Elia recato in aria sovra un carro fiammante. Ne' primi si conviene ricercare minutamente le bellezze più che l'argomento ch' è chiaro e netto di per sé 5 i secondi potrebbonsi trascurare senza gran danno, poichè dopo quell' esame languiscono al paragone. Fermiamo adunque gli sguardi nella vòlta di questa sala finchè il tempo ci consenta di rimanere. Piace veder negli affreschi l' ardimento d' un grande artefice; e vedete in questi schierate in campo quante sembianze porge al pittore l'accademia del nudo, la più sudata scuola di chi disegna. Piace un pennello che avvivi l'istoria , che la illumini con effetto di scena, che stacchi le figure a vista dello spettatore e le muova; ed eccovi con quanto rilievo, con quanta forza e degradazione di tinte, con quanto artifizio di luce e d' ombra v' appaghino le presenti. Si vuol'egli un fecondo intelletto, che non venga meno ad altissime istorie per copia d'idee, per

grandezza d' espressioni, per energia di concetti? Nè in questo vi parrà da meno il Carlone, che innanzi di trattar pennello in patria avca saporato in Roma le divine ispirazioni del Sanzio, e in Toscana le severe d'Andrea. Si disse, e non a torto, che Giambattista suo fratello minore Io superò di vaghezza e di brio; ma chi vorrebbe negare che mal potendo sorpassarne la forza, per ciò appunto tentasse altra strada?

Corre sul labbro una parola o di meraviglia o di sdegno sul silenzio in cui giacquero fmora le opere di cui imprendemmo l' esame e intreciammo le Iodi. Ma questa impazienza , se pur vuole uno sfogo, si serbi ad altro momento, quando vedremo Giovanni Carlone scordato in cose di eguale o maggior bellezza, ed in luogo, nonchè pubblico, frequente di popolo, e riguardevole per altri lavori.

Sullo stesso pendio sorge il Palazzo Del MarChese Francesco Pallavicino, il più nobile e maestoso di quanti se ne veggano sui ridenti colli che attorniano la popolosa città. È detto il palazzo delle Peschiere dalle molle che ti porrà innanzi cotesta villa, in cui la generosa famiglia de' Pallavicini parve suggellare gli esempi d'una liberalità più che da privati. Già, ripigliando noi la discesa, ci si mostrali da lungi attraverso un cancello le terga del magnifico edifizio; veggiamo gli alti e fronzuti alberi che l' infoscano raelauconicamente da questo lato; ma l' ingresso si dee chiedere più al basso, rasentando il gran muro di cinta finchè non si giunga ad una porta fiancheggiata da due statue di fauni (scolpite con modelli del Gaggini) in atto di suonar la sampogna. Questo annunzio di tranquillità campestre non è smentito dal primo aspetto de' luoghi, sì tosto ci è dato inoltrare. S' ascende per ispaziose rampe, e la salita è a più tratti interrotta e piegata in angoli; ma si cammini all'erta, o si ritorni al basso, ciascun pianerottolo ha di fronte una grotta con vaghe statuine, dove per muschii e stallatiti gocciolan' acque continue in acconcio bacino. Di mezzo a queste bellezze inoltra il curioso fino a vista del palazzo, anzi tocca le soglie prima che gliene sorga desiderio, tanto la via par breve; ma l' artista si ferma quivi sul principio ad ammirare le difficoltà della natura nonchè superate, rivolte a mezzo di leggiadria dal genio di un sommo architetto. Ho tardato finora ad iscriverne il nome, e quasi mei facea tacere la fama che della villa presente e del suo autore corre in Genova e fuori. Chi non ricorda con queste amenità l'egregio discepolo di Michelangelo, l'onor di Perugia, il.famoso Galeazzo Àlessil

Prima lode gli è dunque l'aver sapulo con

grandezza d' espressioni, per energia di concetti? Nè in questo vi parrà da meno il Carlone, che innanzi di trattar pennello in patria avca saporato in Roma le divine ispirazioni del Sanzio, e in Toscana le severe d'Andrea. Si disse, e non a torto, che Giambattista suo fratello minore Io superò di vaghezza e di brio; ma chi vorrebbe negare che mal potendo sorpassarne la forza, per ciò appunto tentasse altra strada?

Corre sul labbro una parola o di meraviglia o di sdegno sul silenzio in cui giacquero fmora le opere di cui imprendemmo l' esame e intreciammo le Iodi. Ma questa impazienza , se pur vuole uno sfogo, si serbi ad altro momento, quando vedremo Giovanni Carlone scordato in cose di eguale o maggior bellezza, ed in luogo, nonchè pubblico, frequente di popolo, e riguardevole per altri lavori.

Sullo stesso pendio sorge il Palazzo Del MarChese Francesco Pallavicino, il più nobile e maestoso di quanti se ne veggano sui ridenti colli che attorniano la popolosa città. È detto il palazzo delle Peschiere dalle molle che ti porrà innanzi cotesta villa, in cui la generosa famiglia de' Pallavicini parve suggellare gli esempi d'una liberalità più che da privati. Già, ripigliando noi la discesa, ci si mostrali da lungi attraverso un cancello le terga del magnifico edifizio; veggiamo gli alti e fronzuti alberi che l' infoscano raelauconicamente da questo lato; ma l' ingresso si dee chiedere più al basso, rasentando il gran muro di cinta finchè non si giunga ad una porta fiancheggiata da due statue di fauni (scolpite con modelli del Gaggini) in atto di suonar la sampogna. Questo annunzio di tranquillità campestre non è smentito dal primo aspetto de' luoghi, sì tosto ci è dato inoltrare. S' ascende per ispaziose rampe, e la salita è a più tratti interrotta e piegata in angoli; ma si cammini all'erta, o si ritorni al basso, ciascun pianerottolo ha di fronte una grotta con vaghe statuine, dove per muschii e stallatiti gocciolan' acque continue in acconcio bacino. Di mezzo a queste bellezze inoltra il curioso fino a vista del palazzo, anzi tocca le soglie prima che gliene sorga desiderio, tanto la via par breve; ma l' artista si ferma quivi sul principio ad ammirare le difficoltà della natura nonchè superate, rivolte a mezzo di leggiadria dal genio di un sommo architetto. Ho tardato finora ad iscriverne il nome, e quasi mei facea tacere la fama che della villa presente e del suo autore corre in Genova e fuori. Chi non ricorda con queste amenità l'egregio discepolo di Michelangelo, l'onor di Perugia, il.famoso Galeazzo Àlessil

Prima lode gli è dunque l'aver sapulo con

fine artifizio nnscondere il corso irregolare della salita, e alleviarne il disagio con sì gaie vedute, da parer troppo breve queil ' ascendere che senza quest' arte riuscirebbe e lungo e noioso. In capo alle rampe s' allarga il terreno in varii giardini per apprestarci, diresti, un allegro prospetto quando saremo per affacciarci a' balconi del maestoso palazzo. Altri viridarii ed altre aiuole sì disegnano sovra un campicello al fianco destro di chi arriva, abbellito da altre fontane, da zampilli d'acqua, da statuine marmoree. In queste beate solitudini il buon colono educa i fiori nostrani , e con industre fatica fa germogliare gli esotici, che la benigna postura e le artificiali difese assicurano dalle intemperie. E quando i rigori del verno sembrano rapire alla terra ogni pregio, egli va cogliendo per entro agli alberelli, o lunghesso i solchi i più eletti fiori, e in bucoletti od in mazzi composti a deliziosa varietà ne provvede le festevoli brigate e le feste genovesi, ed oltr' alpe ne manda al lusso francese per testimoniare la mitezza del nostro clima. Studiava l' architetto a distrarre la mente di chi si recasse a questa altezza, e già soverchio dovette parergli quel tinto ch' è mestieri ascendere fino all' attuale pianura. Onde gli convenne dar quivi nonchè riposo, ma diletto a'vegnenti; e il fece per modo che aggiungendo bellezze al luogo e sorpresa allo spettatore, giovò insieme alla maestà del palazzo che ci siede, per così dire, in capo. Altre curve ed altri angoli facean duopo a questo punto, ove il suolo nuovamente si rialza, e con più ardua salita: nuove angustie per l'architetto; ma non le scerni, così bene v'adattò due rampe che ascendono ai lati, e ben lungi dal parere un necessario ripiego paiono il compimento d'un' idea sola, una giunta di varietà. Di fronte alla strada fra l' una e l' altra rampa disegnò una grotta di ricca apparenza all'esterno, donde par costrutta a sostenere le gallerie che ricingon la piazza superiore; nell'interno capace di accogliere numerosa brigata di viaggiatori, e ricca di tali leggiadrie, da trattenerli gran tratto a dispetto del palazzo che pur da lungi, con certo aspetto di reggia, mette impazienza in chi arriva. La forma quasi circolare, spartita in distinte facce con nicchie e fregi per mezzo di telamoni e cariatidi, le grotte a tergo che ora si nascondono, or si mostrano a traverso di archetti, e ricevono in larga conca l'acqua che stilla dall'alto, ogni parete, ogni figura, ogni ornato contesti di conchiglie e coralli, di pietruzze brillanti, di cristalli con ingegnoso musaico, il ricco pavimento, l'ordine, la simmetria d' ogni parte producono una di quelle scene incantevoli, che solo il xvi secolo potè dare colla fantasia de' propri artefici, e colla sterminata liberalità de' patrizi.

Io non v' invito ad uscirne; sì dolce è a me stesso il rimanere in luogo dove la ricchezza par che studi a nascondersi nella semplicità, ove ogni grazia s' ammanta di negligenza. Ma quando pur vi piaccia scostarvene, crederete che la scena vi si trasformi d'innanzi a un muover di occhio, siccome in ampio teatro. Secondo che guadagniamo le rampe e l'altezza fino al ripiano che fa tetto alla grotta e tien quasi la linea del palazzo, ci sorge d'innanzi e sovra i due lati, e ovunque corra lo sguardo la bella città col folto de'suoi palagi, coll' azzurro del suo mare, col sorriso de' suoi colli. Non so contraddire a chi diede al palazzo Pallavicino il primato per ciò ch'è postura; poichè se costinci non è brano di Genova che tu non vegga e signoreggi, non v'ha luogo aperto nella città tutta, donde il passaggero non iscopra il palazzo, e non saluti col sole che tramonta il dorato delle sue tinte. Il che è certo una meraviglia, e forse un nuovo encomio all' Alessi, nel quale si rimisero per certo i fondatori quanto allo scerre ( se non il luogo) l'altezza, la direzione, la forma generale dell' edifizio. Ma di ciò brevemente, dovendo serbarsi allo straniero l'incanto delle vedute, perchè meglio le vagheggi dalle finestre del palazzo, per dove son tali che vìncono ogn' idea. In questo bel sito, raso in faccia d' ogn' ingombro, da tergo e sui fianchi celato in parte con alberi a guadagno di varietà, siede l' elegante e maestoso palazzo, disegnato a due piaui, l'uno ionico, l'altro corinzio, divisi per solida cornice, e decorati con lesene e capitelli. Questi splendidi signori non aveau mestieri di scrivere sulle proprie soglie quel itisi videris intiiSj che a taluni consigliò la misera apparenza esterna, e il povero ingresso de' loro soggiorni. Come ad ogni passo volessero bellezze nuove cel dica I' atrio a cui s' entra per triplice arcata, tutto decorato di nicchie, di fregi, di paitimenti, ricco sì ma non sovraccarico; e fa un bel vedere l'incontrarsi che fanno coteste aperiure con altrettante di fronte, dalle quali lascia godersi quant' è grande il boschetto che a tergo verdeggia. Dal vasto portico che succede si diramano due pianterreni, nelle cui stanze piacerà il trovare moderni ornati del Cansio, e parecchie medaglie con fatti di storia greca, e lunette tutte coniate allo stile del Vaga de' fratellì Semini. Ai quali non do per ora che questo cenno, serbando il resto al superiore appartamento, ove rivedremo i due artefici più copiosi, più fluiti e meno insidiati dall' età, anzi così valenti, che niuu luogo da lor dipinto in Genova ci parrà da raffrontare a quelle sale. E il tempo di cui fo guadagno con questa brevità metterassi a profitto cercando, nel piano a sinistra, d'un bagno tanto gentile quanto modesto, che tien poco spazio d'un riposto stanzino. Quando io vidi quest' altro modello d' architettura, ignoto fin qui ad ogni scrittore, e forse male osservato ad ogni persona, sentii meno grave la perdita di quelF altro che fu distrutto nel palazzo Sauli da S. Vincenzo, e m'allegrai che uno almeno ci rimanga de' bagni che diedero tanta fama all' ingegno di Galeazzo. Non t'ha pompa di marmi, ma il puro necessario» ch' è un largo bacino da sedervi per entro secondo il bisogno; nel rimanente ogni pregio è dell'arte, quasichè ov'entra il genio dell' artefice, alligni vanamente la ricchezza. Osservate la graziosa distribuzione delle piarti in quel semicircolo che dà forma al bagno medesimo, le picciole nicchie sovr'esso alternate , le corniei, i rabeschi e tutto che verravvi sott' occhio, e ditemi qual sia più da pregiarsi, o la fertilità delle idee o l' averla eseguita in si picciolo campo.

Scnz' altri indugi ascendiamo alle sale del secondo piano. Ma nuove bellezze e d' architettura e di pittura ci arrestano alla soglia. Dovrò dire con qual copia di partiti ornasse il perugino potestà anthalflj e con qual senno ne combinasse

le linee? Il dice l'opera per se medesima, e ne fanno testimonianza autorevole le imitazioni fattene da eletti ingegni, tra' quali mi ricorda del bergamasco Castello, che nell'antisala del palazzo or Cataldi in Via Nuova più che imitatore me ne parve plagiario. Se l'Alessi non ha qui tutta 1' osservazione e la lodo che domanda il merito di lui, ne do colpa ai dipinti che gran parte gliene usurpano. Andrea ed Ottavio Semini (ai quali s'attribuisce quant' è di pittura in questo palazzo, comechè il Soprani, per istrana dimenticanza , ne tacesse nella lor vita ) profittarono dei variati scomparti ideativi dall' architetto per fingervi le favolose vicende di Perseo e d'Andromeda. Un sacrificio, non so come relativo a questi soggetti, è nello spazio mezzano, ne' laterali è l' eroe che tronca il capo a Medusa, e quando libera la principessa dal mostro. Brillano in maggior campo le nozze e il banchetto de' due amanti, cioè nelle mezzelune sovra le porte ebe tengono i punti estremi di questa antisala o galleria. Chi è vago di conoscere quanto si addentrasse nel Sanzio questa coppia di fratelli, che sola potè disputare al Cambiaso il primato dell' arte genovese nel xvi secolo, non cerchi esempio dalla presente loggia in fuori, ove il dotto viaggiatore può credere per qualche istante di rivedere in parte le vaticane. Se interrogo il lavoro in ogni suo carattere, dico nel corretto dintorno, nella temperata vivacità delle tinte, ne' grotteschi che sul far di Raffaello y aggiunsero, ne'chiaroscuri che fan riposo alle istorie mentre pur le arricchiscono, mi par vedervi la gioventù dei Semini, che somiglianti a qualsivoglia imitatore travisaron nell' età matura il lor tipo, perdonando soverchiamente alla pratica.

Poi viene la Sala con più vasto dipinto se non più leggiadro. Gli argomenti soh tratti dai casi d'Ulisse per quattro capaci medaglie all'intorno delia principale, che ha il consesso degli Dei, prediletto sfogo di que' pittori e di quel!' epoca. Ride il vastissimo sfondo per mille graziosita, che i Semini alternarono alle suddette composi» zioni; figure di guerrieri a chiaroscuro, alternate in bei partiti di prospettiva che lega in un sol concetto tante e sì diverse invenzioni, e putti lungo il fregio, che reggendo ghirlande di fiorami e di fruita rompono le linee con opportuna varietà, e crescono effetto alla scena. È vano il discorrere specialmente sul magistero con cui veggonsi eseguite coteste medaglie e questi fregi, poiché la forza, l'armonia, la lucentezza de' colori e la severità del disegno non solo van lodati in quest'ampio vòlto, ma in quello che già vedemmo, e in quanti altri ne vedremo di poi. Per non allungare oltre il dovere l'articolo passa a' rimanenti, e ne accenno per ordine ì soggetti. Sovra tutti può commuovere a meraviglia e pietà l'eccidio della famiglia di Mobe dipinto dai Semini nel primo Salotto a sinistra della Sala; dico a meraviglia pel succoso e morbidissimo impasto e per l'incantevol paese che fa campo all' istoi'ia, dico a piota per la sublime espressione di dolore ebe discerni sovra ogni volto di que miseri che la compongono. 11 secondo Salotto è sacro alle favole d'Apollo, rappresentatovi nel soffitto sovra il luminoso suo carro, e in quattro lunette all' ingiro in atto di saettare il Pitone , d'inseguir Dafne, di punir Mursia, e di pascer greggie sotto spoglie mentite. Aggiungi a queste la sfida di lui con Amore figurata sovra la porta d'ingresso, e la caduta di Fetonte nella parete sinistra, arditissima composizione, e negli scorci del temerario che giù cade a capitombolo, e de' cavalli, che rotto il freno scendono a precipizio, tanto felice quanto ardita; in ogni parte ammirabile. Sul fianco destro della sala troveremo in un primo Salotto il ratto di Froserpina entro non vasta medaglia, decorata con vedute di paesi e ingegnosi raffaelleschi. Più ricco è il secondo s nel quale accoppiasi ai due fratelli un terzo pittore che a vedersi in questo luogo, e colla stile che vi tenne, darà sorpresa e compiacenza a chi osserva, e sarà inaspettato suggello all' esame dei dipinti. I Semini tennero per se la vòlta, e v' espressero Diana sul carro, come a far simmetria con quel d' Apollo che trovammo nel salotto rimpetto, distribuendovi intorno otto figure allegoriche, e quattro tra di esse a chiaroscuro negli angoli che reggono gli stemmi della famiglia. — Ogni linea, ogni tocco di pennello sulle pareli inferiori è di Luca Camiiaso. Corron gli sguardi sovra Diana che si divincola da un satiro, concetto più bizzarro che onesto, eseguito da lui sovra una delle porte con tale spontaneità, con tal forza d'inventore, e con esecuzione sì netta, che a fronte de' bellissimi affreschi già descritti, vuol quasi e quasi ottiene le prime lodi. Ma fu grave omissione in que' pochi che ne scrissero il lodarlo di ciò solo: taccio del Rutti che omise tutto, e volle descrivere lo stupendo palazzo de'M.st Pallavicini in sei linee di stampa. Spettano a Luca le molte figure a chiaroscuro, di fiumi in ispazi bislunghi, di genii in quadrati, di suonatrici in finte nicchie , tutte d' uno spirito e d' una franchezza invidiabile, che manifestano a chiari indizi la gioventù dell'autore.

Stretto dalla brevità, io debbo por fine a'cenni di questo palazzo, comechè la volontà mi sospinga sul labbro mille e mille altre cose secondarie; ma chi vorrà seguirmi si presto, abbatidonando le presemi delizie? Succedono le naturali bellezze a quelle dell' arte, tanto solo che lo sguardo s'imbatta a uno spiraglio o finestra. Facciam forza per poco alla brevità. Uno sguardo alla ridente collina d'Albaro che da lungi sulla manca verdeggia, uno sguardo al mare che ci sorride più innanzi, alle innumerevoli torri, ai palagi della città, alle colline che la incoronano. Che incantevole vista! Non istupisco che si destinasse a regio albergo nel 4706, quando le Principesse di Savoia, durante l'assedio di Torino, mossero alla volta di Genova, e che lord Byron vi trovasse gradito pascolo alla poesia che tutto l'accendeva. E fu generoso pensiero dell' illustre Possessore l' offerire questo magico soggiorno per le mense degli Scienziati che nell' ora scorso settembre componeano l'ottavo Congresso, nel quale egli tenne gli uffizi di general Segretario. Qual può essere anima sì schifa d'ogni bello, che quivi non si commuova a sublimi ispirazioni , e non creda di rinascere in uno di que' luoghi incantevoli, che molti credon sogno, e nulla più, d'una immaginosa poesia?

Ringraziamo, partendo, le sollecitudini de' Pallavicini che precedettero l'attuale Marchese nel dominio del palazzo, come quelli che ne rinnovarono lo splendore, e sicn grazie al nuovo, che pone ogni studio nel custodirlo. Fu tempo

le linee? Il dice l'opera per se medesima, e ne fanno testimonianza autorevole le imitazioni fattene da eletti ingegni, tra' quali mi ricorda del bergamasco Castello, che nell'antisala del palazzo or Cataldi in Via Nuova più che imitatore me ne parve plagiario. Se l'Alessi non ha qui tutta 1' osservazione e la lodo che domanda il merito di lui, ne do colpa ai dipinti che gran parte gliene usurpano. Andrea ed Ottavio Semini (ai quali s'attribuisce quant' è di pittura in questo palazzo, comechè il Soprani, per istrana dimenticanza , ne tacesse nella lor vita ) profittarono dei variati scomparti ideativi dall' architetto per fingervi le favolose vicende di Perseo e d'Andromeda. Un sacrificio, non so come relativo a questi soggetti, è nello spazio mezzano, ne' laterali è l' eroe che tronca il capo a Medusa, e quando libera la principessa dal mostro. Brillano in maggior campo le nozze e il banchetto de' due amanti, cioè nelle mezzelune sovra le porte ebe tengono i punti estremi di questa antisala o galleria. Chi è vago di conoscere quanto si addentrasse nel Sanzio questa coppia di fratelli, che sola potè disputare al Cambiaso il primato dell' arte genovese nel xvi secolo, non cerchi esempio dalla presente loggia in fuori, ove il dotto viaggiatore può credere per qualche istante di rivedere in parte le vaticane. Se interrogo il lavoro in ogni suo carattere, dico nel corretto dintorno, nella temperata vivacità delle tinte, ne' grotteschi che sul far di Raffaello y aggiunsero, ne'chiaroscuri che fan riposo alle istorie mentre pur le arricchiscono, mi par vedervi la gioventù dei Semini, che somiglianti a qualsivoglia imitatore travisaron nell' età matura il lor tipo, perdonando soverchiamente alla pratica.

Poi viene la Sala con più vasto dipinto se non più leggiadro. Gli argomenti soh tratti dai casi d'Ulisse per quattro capaci medaglie all'intorno delia principale, che ha il consesso degli Dei, prediletto sfogo di que' pittori e di quel!' epoca. Ride il vastissimo sfondo per mille graziosita, che i Semini alternarono alle suddette composi» zioni; figure di guerrieri a chiaroscuro, alternate in bei partiti di prospettiva che lega in un sol concetto tante e sì diverse invenzioni, e putti lungo il fregio, che reggendo ghirlande di fiorami e di fruita rompono le linee con opportuna varietà, e crescono effetto alla scena. È vano il discorrere specialmente sul magistero con cui veggonsi eseguite coteste medaglie e questi fregi, poiché la forza, l'armonia, la lucentezza de' colori e la severità del disegno non solo van lodati in quest'ampio vòlto, ma in quello che già vedemmo, e in quanti altri ne vedremo di poi. Per non allungare oltre il dovere l'articolo passa a' rimanenti, e ne accenno per ordine ì soggetti. Sovra tutti può commuovere a meraviglia e pietà l'eccidio della famiglia di Mobe dipinto dai Semini nel primo Salotto a sinistra della Sala; dico a meraviglia pel succoso e morbidissimo impasto e per l'incantevol paese che fa campo all' istoi'ia, dico a piota per la sublime espressione di dolore ebe discerni sovra ogni volto di que miseri che la compongono. 11 secondo Salotto è sacro alle favole d'Apollo, rappresentatovi nel soffitto sovra il luminoso suo carro, e in quattro lunette all' ingiro in atto di saettare il Pitone , d'inseguir Dafne, di punir Mursia, e di pascer greggie sotto spoglie mentite. Aggiungi a queste la sfida di lui con Amore figurata sovra la porta d'ingresso, e la caduta di Fetonte nella parete sinistra, arditissima composizione, e negli scorci del temerario che giù cade a capitombolo, e de' cavalli, che rotto il freno scendono a precipizio, tanto felice quanto ardita; in ogni parte ammirabile. Sul fianco destro della sala troveremo in un primo Salotto il ratto di Froserpina entro non vasta medaglia, decorata con vedute di paesi e ingegnosi raffaelleschi. Più ricco è il secondo s nel quale accoppiasi ai due fratelli un terzo pittore che a vedersi in questo luogo, e colla stile che vi tenne, darà sorpresa e compiacenza a chi osserva, e sarà inaspettato suggello all' esame dei dipinti. I Semini tennero per se la vòlta, e v' espressero Diana sul carro, come a far simmetria con quel d' Apollo che trovammo nel salotto rimpetto, distribuendovi intorno otto figure allegoriche, e quattro tra di esse a chiaroscuro negli angoli che reggono gli stemmi della famiglia. — Ogni linea, ogni tocco di pennello sulle pareli inferiori è di Luca Camiiaso. Corron gli sguardi sovra Diana che si divincola da un satiro, concetto più bizzarro che onesto, eseguito da lui sovra una delle porte con tale spontaneità, con tal forza d'inventore, e con esecuzione sì netta, che a fronte de' bellissimi affreschi già descritti, vuol quasi e quasi ottiene le prime lodi. Ma fu grave omissione in que' pochi che ne scrissero il lodarlo di ciò solo: taccio del Rutti che omise tutto, e volle descrivere lo stupendo palazzo de'M.st Pallavicini in sei linee di stampa. Spettano a Luca le molte figure a chiaroscuro, di fiumi in ispazi bislunghi, di genii in quadrati, di suonatrici in finte nicchie , tutte d' uno spirito e d' una franchezza invidiabile, che manifestano a chiari indizi la gioventù dell'autore.

Stretto dalla brevità, io debbo por fine a'cenni di questo palazzo, comechè la volontà mi sospinga sul labbro mille e mille altre cose secondarie; ma chi vorrà seguirmi si presto, abbatidonando le presemi delizie? Succedono le naturali bellezze a quelle dell' arte, tanto solo che lo sguardo s'imbatta a uno spiraglio o finestra. Facciam forza per poco alla brevità. Uno sguardo alla ridente collina d'Albaro che da lungi sulla manca verdeggia, uno sguardo al mare che ci sorride più innanzi, alle innumerevoli torri, ai palagi della città, alle colline che la incoronano. Che incantevole vista! Non istupisco che si destinasse a regio albergo nel 4706, quando le Principesse di Savoia, durante l'assedio di Torino, mossero alla volta di Genova, e che lord Byron vi trovasse gradito pascolo alla poesia che tutto l'accendeva. E fu generoso pensiero dell' illustre Possessore l' offerire questo magico soggiorno per le mense degli Scienziati che nell' ora scorso settembre componeano l'ottavo Congresso, nel quale egli tenne gli uffizi di general Segretario. Qual può essere anima sì schifa d'ogni bello, che quivi non si commuova a sublimi ispirazioni , e non creda di rinascere in uno di que' luoghi incantevoli, che molti credon sogno, e nulla più, d'una immaginosa poesia?

Ringraziamo, partendo, le sollecitudini de' Pallavicini che precedettero l'attuale Marchese nel dominio del palazzo, come quelli che ne rinnovarono lo splendore, e sicn grazie al nuovo, che pone ogni studio nel custodirlo. Fu tempo

s'aggirava al tutto sovra materie astratte e direi quasi filosofiche. Quanto non sarà stato lo stupore del pubblico nel vedersi comparire dinanzi un di que' muti, e scioglier le labbra e recitare articolando ad introduzione del saggio un lungo ragionamento ch' ei non udiva 1? Basti che fu tanto e tale l'entusiasmo destato negli spettatori, tra'quali v'avea gran numero d'autorità civili ed ecclesiastiche, da lasciare in loro un desiderio ardente di vederlo più a lungo protratto a malgrado di ben cinque ore ch' era durato. Se queste replicate prove di coraggio, di pazienza e di dottrina procacciassero ad Ottavio la stima e l'amore dei cittadini non è cosa diffìcile nè strana a congetturare, come non è strano il conoscere che fin dal principio gli sorgessero contro dei nimici e il seguitassero ben oltre nel corso di sue beneficenze; ma di cotesti malevoli non va mai senza l'uomo grande, e d'altra parte il buon Padre lasciandoli latrare a lor posta, mai non si curò più che molto delle detrazioni. In questo mezzo il Governo, sia che temesse d'incorrere nella taccia di renitente, o

1 Per riuscire in questo lento l'Assarolli ed ottenne di comporre le labbra e la bocca del sordomuto in maniera che mandando un suono dalla gola, dovesse quésto nell'emissione tornare articolato. — Vcggasi questa introduzione nell'elogio del Marcacci a pag. 121.

preso alle singolari virtù dell' Assarotti volesse alfine mostrarglisi benevolente, ordinò che gli fosse concesso ad uso di scuola il soppresso convento della Neve, già proprietà delle monache di santa Chiara. L'allegrezza che poteva arrecare questa deliberazione ad Ottavio fu totalmente scemata dalle indiscrete condizioni che la seguivano. Il locale fosse conceduto per un solo triennio, durante il quale continuar non si dovesse nel possedimento se al trascorrer d'ogni anno non s'ottenesse prima una maggiorità di voti emessi a tal' uopo: quanto ai ristori e rinnovamenti che potessero occorrere doveano questi farsi a spese del richiedente. Di siffatte proposte non fe'gran caso il paziente Assarotti, e ne troncò le pratiche riserbandosi forse a migliori destini. Cosi, mentre nell'Italia e fuori si innalzava a gran Iodi il genovese istitutore, e molti precettori stranieri e nostrani s' affrettavano, chi di Germania e dalla Danimarca, chi da Roma, da Milano e da Torino a conoscerne il metodo i pareri e gl' insegnamenti per giovarsene alla direzione di siffatte scuole, Genova sola rimanea fredda spettatrice agli studi del generoso suo figlio, nè mai s' animava a consolarlo d' alcun aiuto.

Parvero finalmente migliorare d'alquanto le cose dell'Istituto dopochè Napoleone, abolita la Repubblica ligure, ebbe soggettati i genovesi, auzi l'Italia tutta all' Impero. Venuto egli a Genova addi 30 giugno 4805 per riconoscere questa città di recente aggregata alla Francia, mercè gli uffizi della marchesa Anna firignole Sale' che presentato un memoriale raccontandogli caldamente la periclit:mte istituzione, mostrassi disposto a promuoverla, e senz'altri indugi ordinò, si cedesse all' Assarotti un de' soppressi conventi per educarvi i sordomuti dalla nascita, de'quali dodici vi fossero mantenuti a spese del Governo colle rendite dei confiscati beni religiosi; il Ministro dell' Interno rimanesse incaricato dell' eseguire il decreto. Di tale esecuzione però l'Imperatore potè bene incaricare il Ministro, ma il Ministro non se ne tolse gran briga. Il presidente del Corpo legislativo supplicato per lettera dall'Assarotti a darsi cura di codesto negozio se ne scusava con garbo, rimettendolo all'ottimo patrizio Girolamo Serra presidente dell' Accadedemia Imperiale di Genova; il Serra molto si adoperava ma con niuno profitto, non vi era insomma apparenza alcuna di venirne a capo. Una tanta trascuratezza dovea sciogliersi alla perfine. Venne il giugno dell' anno 4809, ed ecco l'Assarotti offrire al pubblico un terzo esperimento. Dissi male esperimento; era piuttosto una pruova accademica, poichè non solo si rispose scrivendo in carta od in tavola, e valendosi d' un ordigno appellato Tachìfenografo * ad un'infinità di quesiti di storia, di filosofia, d' aritmetica, ma venne eziandio rappresentata sovra un piccolo teatro e tra musicali concerti un'azione mimica col titolo La morte di Abele; oltredichè fu pur recitato a voce un breve dialoghero fra due alunni s; le quali cose e per lo impegno e per la franchezza con cui furono eseguite non è a dire se incontrassero l' approvazione e gli applausi di tutti gli astanti. Uno fra questi, monsieur Bonrdon, prefetto di Genova, rimase colpito per forma a tale spettacolo, ch'egli stesso risolse di scrivere in loro favore al Ministro dell'interno a Parigi: né questi si ricusò dal proteggerli, ma insorta contesa fra lui e il Gran maestro degli studi intorno alla presidenza di tale stabilimento, la cosa rimase per alquanto tempo sopita. A queste contese aggiungi che sinistramente s' udì tal novella in Parigi, e forse recandosi ad onta che una città italiana volesse in questo pareggiare la Francia, s'andava da molti macchinando come contrariare alla santa istituzione, predicando altri non dover Genova mirare tant' alto, ed altri adoperandosi con inique arti per eludere le concepite speranze. Tuttavia prevalse questa volta la miglior causa, poichè aggiudicata al Ministro la soprintendenza, ai 43 di settembre dell' anno 48l0 Napoleone emanava un secondo decreto, nel quale instituiva in Genova una scuola pei sordomuti, e quindi un terzo ai 21 di novembre 4844 col quale autorizzava il Prefetto ad assegnare a quest' uso il convento delle Brigidine, detto altrimenti della Misericordia 1. Poich' ebbe il Prefetto per mezzo

1 Madre di S. E. il marchese Brignole Sale, ambasciatore di 8. M. il Re di Sardegna presso la Corte di Francia, Presidente dell'ottavo Congresso degli Scienziati Italiani tenuto in Genova nel 1846 ec. ec. ec.

1 Questa macchinetta trovata ed eseguita dal sordomuto Castello (scrivo l'erudito Matracci) ha la proprietà d'istituire si da Ticino che da lontano una corrispondenza di discorso, presentando le lettere dell' alfabeto in maniera che rapidamente si succedano, e appena ravvisate scompaiano. Vedi V elogio suaccennato a pag. 134.

1 Di questo dialogo e del Pantomimo fa una lunga menzione il Marcacci, che li espose amendue per disteso nel nolo elogio (pag. 154 e 135).

1 Ecco il decreto ch'io trascrivo dall' abate Marcacci.

NAPOLÉON Eie. Eie.

Art. 1. Le Préfet de Gène» est autorise' à affecler à Vetablissement de l Ecole des sourds et muets crée dans la ville de Gènes par notre Déeret Imperiai du 15 septembre 1810 le eouvent des Brigidines, connu sous le nom de notre Dame de misericorde. Les re'parations de tout genre que pourra ne'cessiter cet établissement, seront enJLiirement supportées par les administrée*.

di lettera annunziato ali* Assarotti i voleri dell'Imperatore, la deliberazione che avea fatta il Ministro di nominarlo a direttore in capo dello stabilimento, e consigliatolo a prendere le opportune deliberazioni coll'architetto Cantoni per mettere in ordine di scuola il monastero suddetto, giungevano da Parigi istruzioni, colle quali davansi le necessarie provvidenze sulla fondazione dell' Istituto. A sostenerlo creavasi una deputazione composta dei marchesi Gio. Carlo Dinegro, Nicolò Grillo Cattaneo, abate Brignole Sale, Giacomo Spinola ed abate Eustachio Degola. Den terminavasi il numero e la mercede de' principali impiegati e degl'inservienti; i posti gratuiti non oltrepassassero i dodici, metà per ogni sesso. Alla città venisse imposto Io sborso di millefranchi per l'acquisto delle grosse mobilie, e fosse rinnovato l'edificio a spese del Governo. Ciò fatto, l'Assarotti ebbe il sospirato locale ove si portò cogli alunni il 2 dicembre dell' anno 4842.

Giunti finalmente a quel punto che fu l'epoca più memorabile del benemerito Assarotti noi ci riposeremo dal raccontare sciagure ed avversità

Ari. 9. Not ministre* de Vlntirieur et des Finanees tont charge's de l'exe'cution du présent décret.

Signé Napoleon Etc. Etc.

per venire alla narrazione di cose più liete. Sebbene, e' non v' è qui sulle prime argomento alcuno da rallegrarcene, anzi a vero dire, secondo l' ordine cronologico, ci occorrono avvenimenti non punto propizi ali' Istituto, il quale, cessato nel 484-4 il Governo francese e succeduto il provvisorio, dovette rimanersi privo di riguardevoli somme arretrate, e ricadere di nuovo in una condizione precaria. E se non era che il prelodato march. Girolamo Serra sorgesse a difenderlo in pieno consiglio, ov'era presidente, contro a certi rovinosi detrattori che il dicean dannoso al comune ben essere, e doversi per conseguenza deprimere, non so se più a lungo sarebbe durato. Ma le vicende de'tempi, più ch'altro, disciolsero quest'assalto di mali, poichè venuto al reggimento di Genova il Re Vittorio Emamjele di Savoia ebbe in quel benefico Principe un sostegno che fermò la sua totale prosperità. Stringeremo in poche linee quel poco che ci rimane della parte istorica. Venuto a Genova il Re VitTorio Emanuele, non isdegnò di recarsi alla visita dell' istituto, d'intrattenersi molto col P. Ottavio, di provare d'alcuna domanda l'abilità degli alunni e di rimunerarli quindi in maniera splendidissima. E Y Assarotti gratificando al ricevuto benefizio volle offerire al Monarca e alla consorte di lui Maria Teresa un accademico trattenimento il cui principale soggetto era la sto» ria dei Reali di Savoia, non omessi i quesiti sull'aritmetica, parecchie dimostrazioni d'algebra e di geometria, e un pantomimo col titolo: I tre fanciulli ebrei nella fornace di Babilonia. Le zitelle sordomute presentarono i Sovrani di molti ricami eseguiti con grande esattezza e leggiadria, e l'esercizio fu compiuto da un ringraziamento recitato a voce da due condiscepoli. I coniugi reali fecero a gara in quel giorno nel rimunerare l'istituto e gli alunni; nè molto andò che dal Re venne creata una Commissione amministrativa, decretandosi: il direttore P. Ottavio Assa rotti ne restasse membro perpetuo ed avesse l' annua pensione di Ln. 800, i posti gratuiti s'aumentassero fino ai diciotto, undici dei quali fossero devoluti a' maschi e sette alle femmine, e si conferisse al collegio il titolo di reale siccome tutelato dall'immediata protezione del Sovrano. Più tardi la Città di Genova volle a sue spese fondarvi due nuovi posti gratuiti dando il potere al P. Assarotti d' usarne a suo talento. — Col succedere che fece in appresso il Re Carlo Felice al governo, ebbero i sordomuti un novello protettore: laonde sotto il regno di lui, tranne le dicerie di qualche malcontento, non sofferirono travaglio di sorta, anzi prosperarono, poiché per tacere d'un saggio eseguito a mera

viglia com' ogni altro anteriore, fu aperta scuola agli esterni ed aggrandito il locale, e più sarebbesi allora operato se la morte non avesse troncati i giorni dell' immortale Assarotti. Al quale sostituito per ordine regio e per richiesta d'Ottavio1 il sacerdote Luigi G. Francesco Boselli, e calmata finalmente la costernazione prodotta dalla morte dell' istitutore, si ripigliarono nuovamente le cose nel primitivo sistema. Il giovine direttore cresciuto per cosi dire sotto gli auspici e le regole di quel sommo, rispose in ogni tempo con tutta sollecitudine alle fiduciose espressioni con cui l'Assarotti raccontandogli morendo la coltura de' sordomuti, ad imitazione di lui consacrandovi tutti gli studi della vita, seguitandone le gentili maniere ed il metodo3.

1 Veggasi il testamento del P. Assarotti rogato addi 4 ottobre del 1828 io atti del nolaro Gius. Maria Falcone. - "Al Boselli va debitore l'Istituto di molli e molli benefìzi che lo fecero d'anno in anno prosperare. Per sua curii nel 1836 s'ottenne dietro supplica della Commissione amministrativa d'istituire una sottoscrizione di socii onde accrescere colle loro contribuzioni il numero degli allievi gratuiti, la qual cosa venne non pur concessa dal benigno Sovrano per la provincia di Genova, ma estesa eziandio per tuUi i regii dominii di terraferma. S'inviarono dal Ministro dell' interno e lettere e commendatizie aftinché le Intendenze e i Vescovati si desser cura di promuovere cosiffatta intenzione, per forma che a' ebbe tra non molto una somma baslevuiu a mantenervi di soprappiù ben ondici alunni. Inoltre debbcsi al Boselli il provvido pensiero di procacciar loro l'apprendimento delle arti che diciam belle, com'anco delle meccaniche, giudicando egli saviamente che la loro istruzione non fosse compiuta, se non addivenissero quandocbessia capaci di rendersi in alcun' opera profittevoli alla società. A questo «uo disegno mal non corrispose l'effetto, poiché sappiamo aver molti sortita non mediocre perizia nel dipingere, nel trattar bulino e cesello, e tutti nelle opere specialmente manuali , e le femmine ne' lavori donneschi esser riuscite abilissime. E per tacere d'un saggio eseguito nel 1833 sopra tulli quanti gli studi dinanzi alla Maestà del Re Carlo AlBerto colla rappresentazione del Giuseppe riconosciuto, olii e alla recita del ringraziamento fatta da un sordomuto, chi è che non sappia aver egli avuta gran parte nella fondazione che si fece quivi nel 1840 d'una stamperia?

Del quale noi non daremo più che un rapido cenno, dappoichè lo stenderci in un minuto esame dei modi onde si fece scorta l'Assarotti nel malagevole arringo, oltrechè ripugnerebbe alla nostra brevità, riuscirebbe forse inopportuno in quest' ora che noi consacriamo all' ammirazione d' un' opera così insigne. L' Assarotti medesimo solea dire: consistere il proprio metodo nel non avere alcun metodo; espressione d'un genio potente che tutto confida in se stesso. Il non giurare sulla parola del maestro, antico adagio vantato da molti, da pochissimi praticato, era la sentenza di lui, nè alcuno meglio di lui lo mise in opera. Neil' intelletto dell' uomo grande che

intendeva a rivendicare alla società una parte de'suoi figli, a rannodare al civile consorzio una prole che gli antichi filosofi teneano per istradera ad ogni virtù, in una parola che meditava a supplire il più grave difetto che la natura potesse imprimer sull'uomo, la grammatica vesti nuove forme, cercò altri mezzi, spogliò le astrazioni , si spinse colia filosofia più profonda fino all' infanzia delle umane idee per creare un linguaggio (diciamolo così) bambino, che penetrando in quegli animi vergini d' ogni coltura, crescesse con loro e poco a poco li mettesse in rapporto cogli esseri più felici, co' loro fratelli. Carità somma e penetrazione didattica oltre il credibile procacciarono all' Assarotti la palma; il ragionamento si sminuzzò in quanti gradi ha l' analisi, per rapida e facile successione di precetti si vide il sordomuto concepire le sintesi, e raccozzare senza stento e senza vizi le parti d' un discorso. Tanta semplicità fece prevalere il metodo d' Ottavio Assarotti a quello di de l' Epée, primo istitutore de'sordomuti in Francia, e dell' abate Sicard caldo seguace di lui, nel primo de' quali, sì tosto brillò quella stella, si riconobbe non so quale arbitrario e materialità di teoria, nell'altro un soverchio metafisicume che nascondeva agli allievi il precetto in quello stesso che sudava ad inculcarlo. Ma il più autorevole elogio alla mente dell' Assarotti fu l'esame dell' Istituto nazionale, e il rapporto che ne faceano i deputati nel 4804, quand' egli tenea per anco gli alunni nelle private sue stanze: —

« Pochi mesi appena ( son parole de' due depu

« tati) che il chiarissimo Assarotti istruisce, e

« di già i suoi allievi hanno imparato a leggere,

« di già sanno scrivere, e forse anche con or

« tografia più corretta di quella che apprender

« suole il comune degli scolari. Essi conoscono

« e formano i numeri, li accrescono, li dimi

« nuiscono, ed aleuni di loro sono anche esperti

« nella più breve e men facile maniera di som

« mare, vo'dire nella moltiplicazione. Col mezzo

« di pitture a penna il saggio istitutore inse

« gna loro a conoscere gli oggetti più ovvìi è

« familiari Colpito e dirozzato lo spirito con

« delle azioni e degli oggetti scientiflci, l'isli

« tutore passa a far loro concepire delle idee

« astratte. Tutti convengono che una tale intra

« presa è in estremo diffìcile. Ma una pazienza

« che i più lunghi tentativi non istanchino, può

« molto; e che non può inoltre un'attività, ed

« un acume di mente, che vinta la tardità pur

« troppo naturale di cotesti allievi, penetri nel

« loro spinto, e discerna e dirigga la maniera

* lor propria di sentire e di ragionare?.... Essi

« ricevono e comunicano le idee, le associano, « le paragonano, finalmente le astraggono, e « con una sottigliezza tanto maggiore, quanto « maggiore si è l' attenzione con cui può appli

« carsi il loro spirito a siffatta operazione

« I nostri sordomuti intanto imparano a connet« tere le idee, e ad esprimerle con quell'ordine « stesso, con che debbono connettersi; è qui in « acconcio a conoscere il nome, il verbo, l'atti tributo, a distinguere il sostantivo dall' addie« tivo, le proposizioni dagli avverbi, a sapere « come si formi, e di che consti una proposi« zione, quali inversioni ella subisca, come si

« cangi, e si modifichi Una serie di tante

« idee e cognizioni è tessuta coll' analisi più « esatta, e vien comunicata non solo coll' alf'a« belo manuale, ma colla scrittura eziandio, e « con altre operazioni, direm così, meccaniche, « che lungo sarebbe il qui descrivere ». Altri personaggi riguardevoli visitarono in appresso o celebrarono in epoche diverse con grandissime lodi l'istitutore genovese, tra'quali son celebri il Cuvier, Degerando, il Giordani, Vincenzo Monti e l'abate Antonio Cesari che compose a tal proposito un elegante discorso, stampato nel Giornale ligustico dell' anno 4828. > Innanzi di portarci alla descrizione della chiesa non sarà disutile rivolgere il passo alla Sala di rice^mento, che si trova al pianterreno, per osservarvi un busto del valente scultore Santo Vamij innalzato a Vincenzo Manieri unico tra' cittadini che abbia in morte beneficato il nascente istituto. La sottoposta iscrizione è lavoro del Ch. avvocato Lorenzo Costa = Benedizione dJ amore — a te Vincenzo Mantcri genovese — che primo i sordomuti dotando — di mezza eredità — porzione più che virile -r- del comune debito — hai fatto non lieve cenno — alla virtù degli antichi. = E noi facciam voti percli'altri si muova ad imitarne l'esempio, che certo son pochi in Genova gli stabilimenti che più di questo sica'utili all'avanzamento civile, che meno di questo stieno a cuore de' ricchi.

Con breve tragitto ci condurremo alla chiesa. L'intiero locale, come abbiam detto di sopra, era innanzi all' istituzione del collegio un monastero di religiose sotto la regola di santa Brigida innalzato nel 4667 a spese del patrizio Gio. Batta Defranchi assieme all'annessa chiesa dedicata a Nostra Donna di Misericordia, nè senza forti opposizioni da parte delle Domenicane di S. Giacomo e Filippo quivi confinanti, come può vedersi ne' Consilii del cardinale De Luca al titolo delle Servitù. La chiesa fu conseerata nel 4743 da monsignor Marco Gandolfo vescovo di Noli ad istanza di Maria Agnese Lomellini abbadessa, e coli' assenso del cardinale Lorenzo Fksebi arcivescovo di Genova. Soppressa nel 48-10 addì 23 settembre, conservò nondimeno le tavole de'suoi altari; non più di due, ma pur degne d'osservazione. Quella dell'altare a sinistra con S. Lorenzo in contemplazione della Vergine è opera di fra Bernardo Stroxxi. Se il Soprani non l' avesse taciuta nella vita di emesto pittore , noi sapremmo forse da qual' altra chiesa pervenisse alla presente, essendo certo che non potè eseguirsi per questa dal Cappuccino, morto in Venezia molti anni prima ch'essa si fondasse; e il confermano le aggiunte fatte in giro alla tela. È bizzarro più assai che gentile lo scherzo di que' putti che fan pruova di reggere la pesante graticola del Santo, concetto rubato al Cambiaso nella Cattedrale, ma fatto più ignobile dallo Strozzi, ch'ebbe forse ogni elemento di gran pittore tranne la nobiltà. INè mancali quivi le doti di meraviglioso colorista; se non che gli anni ofluscaron la tela, ed io misuro il danno dalla bozza che un mio amico ne conserva, sì fresca che ne sembra rimosso da pochi giorni il pennello. Conservatissima è l'altra di Giovanni Andrea Carlone ov' è figurata santa Brigida che medita sul crocifisso. Non so qual lampo di colorito, o qual effetto di luce sia in questa che la fa superiore a tant' altre del medesimo autore o più gradita almeno sui primi sguardi. Non

cade però il giudizio per esaminarla che si faccia; anzi a quel brio di tinte che scalda il fondo e distacca le figure, troviamo opportunamente associato un dintorno più corretto, un comporre più sobrio, e un espressione più gentile che non hanno d'ordinario i quadri di Gio. Andrea. A lui pure si ascrivono i quattro misteri di N. D. affissi a' pilastri della chiesa; cose tenui per se stesse, indegne di lode presso a quella tavola. AH' aitar maggiore non manca ricchezza di marmi e di statue; ma de' primi è superfluo il discorrere, delle altre ci riesce impossibile il dir l' autore, poichè non han nome in alcun libro, nè fama tra i cultori dell' arte. Lo stile di Bernardo Schiaffino mi vi par chiaro, non così nella figura della Madonna titolare che occupa la nicchia, come ne'molti putti distribuiti all'esterno .di essa; ma ho fermo ^in ogni dubbio di non fidar solo in me stesso, si d' unirmi all' esame de' conoscitori, e riferirmi alle loro sentenze. -—* Un oggetto ben più pregevole è l'urna che vedesi incastrata nella destra parete del presbiterio che servì prima nel Duomo a tomba dell' illustre Matteo Senarega ed ora del grande Assarotti. V'è collocato al disopra il busto di lui, scolpito dall' esimio Gagginij lavoro degno di tanto artefice benchè riesca pigmeo su queil ' urna. Il celebre latinista Gagliuffi è l'autor dell'epigrafe: = Octavio Assaroto — Genuati — sodali scholarum piaricm — functo diem suum — ìx cai. feb. ann. chr. Mdcccxxix — aet. suae Lxxvi — sacerdoti dottissimo modestissimo — qui — surdis mutis in clientelam receptis — singulari cavitate et constantia — collegium huic tempio adiectum fundavit — novas disciplinae rationes — sapienter excogitavit mirifice adhibuit — domi forisque — summo in pretio habitus est — quatuor viri curatores — Rege Carolo Felici annuente — hoc sepulcrum — extra ordinem dedicarmi. = Poco è a dirsi sulla materiale distribuzione dell' istituto. Il pianterreno ha la sala di ricevimento, la chiesa, le scuole per gli esterni e quelle de'convittori,.varii lahoratorii per arti e mestieri. Di sopra è la tipografia, il bigliardo, una sala d'insegnamento per le alunne esterne, il refettorio e le infermerie per ciascun sesso. Gli ultimi due piani contengono l'uffizio della Commissione amministrativa, le camere del Direttore e de'maschi, la scuola delle interne e i loro dormitorii, un locale a custodia delle robe, e una stanza per le manifatture femminili. — La somma totale degli allievi, tra maschi e femmine, ascende attualmente ad una cinquantina circa, i più de' quali vi son mantenuti per regia munificenza, molti per le contribuzioni de' socii ed a spese delle loro famiglie, altri col prodotto de' propri lavori ovvero co' lasciti del benefattore Manteri, ed altri finalmente co'sussidii del Corpo Civico e della Regina Maria TeResa vedova del Re Carlo Felice. — l1 governo è devoluto alla Commissione amministrativa presieduta dall' Arcivescovo prò tempore. Al presente fa parte di questa commissione il Direttore, al quale spetta il moderare l'interna disciplina. È a lui soggetta l' economa che ha la sopraintendenza delle fanciulle; un direttore spirituale ed altri ecclesiastici ministrano le cose religiose; l' ammaestramento de' maschii è affidato ad un istitutore e a due ripetitori, quello delle femmine a diverse maestre. — Secoudochè loro aggrada, molti di quelli si danno a diversi mestieri, come di ebanista, sarto, e calzolaio, e taluno all'arte tipografica nell'annessa stamperia; pochi si dedicano a quella del dipingere, perchè è legge di natura il concederne rare volte X attitudine e l'ingegno. Il maneggio dell'ago è la principale occupazione delle fanciulle, le quali riesc ono a meraviglia nel racconciare il guasto alle biancherie, nch" eseguirne di nuove, nel far pizzi ed altre cose di simil natura. — Per aver lode di esatti non dobbiamo tacer dell' esterno. Neil' apertura della strada Serra che corre sulla destra, convenne rovinare da questo lato porzione dell'istituto, uè il prospetto della chiesa potè sai

varsi 1.Fu rifatto lo scorso anno con disegni di G. B. RcsascOj il quale tentò anche un rimedio alla lunga facciata laterale, aprendovi grandiose finestre e ponendovi con sollecitudine da capo a fondo persiane, per coprire a chi passa le sconcerie architettoniche rimaste nell' interno a seguito di quello strazio. Giuseppe Isola e Candido Leonardi s'accinsero all'opera di far meno ingrata questa fronte con pulti e ornamenti a chiaroscuro, e un lavoro di si lieve momento non andò senza incagli; è condotto a metà. Del resto si direbbe che i nostri tempi mal si curino della dignità in fatto d'architettura, nè molti architetti bastino a cavarsi di pastoie quando lo stretto spazio e l'irregolarità dei locali esigerebbero un ingegno pronto, e ferace di ripieghi. Se poche sono le cose che riescon buone quando il campo è libero, com' è a sperare che sieno almeno mediocri quando la mente dell' artista è stretta in catene?

Non v' incresca una breve visita al Collegio Degli Orfani che succede a questo per chi indietreggia sul lato orientale. Il patrizio Oliverio Demarmi coadiuvato da una società di cittadini cospicui, gli die' cominciamento nell'anno -1538. A tale effetto si fece acquisto d' un locale in Bisagno, poco discosto dall'antico convento della Consolazione, ove nel 4540 allogossi un discreto numero d'orfanelli sotto la direzione de'PP. Somaschi, e fu dedicata la casa a S. Giovanni Battista , titolo che si ritenne poi sempre per mutar che si facesse d'abitazione e di regole. L'anno 4584 riformati gli statuti, fu ricevuto lo stabilimento sot o la tutela del Governo, il quale subentrò nel diritto che aveva prima la società preaccennata, di nominar cioè tra' suoi membri quattro protettori deputati alle cure dell' amministrazione. — Durante la peste del 4656 il collegio fu convertito in lazzaretto o a dir meglio fu incorporato a quello della Consolazione, come leggesi nell' opera / Lazzaretti del P. Antero Maria da S. Bonaventura, che ne loda l'ampiezza e la maestosa disposizione dicendolo fabbricato in forma d'ospitale con spaziose infermerie. Cessato il disastro fu restituito all'uso primitivo, ma non durò lungamente, poichè nel 4684 volendo la Repubblica in alcuna parte rinnovare le mura per renderle più sicure, decretò, s'atterrasse l' edificio, e si pagassero in compensazione 4500 scudi d'argento; comprossi allora il locale presente. Cresciuti poi mano a mano i

1 Al sommo di questa facciata leggesi l'iscrizione latin», posta a testimonianza de' benefizi del Re Vittorio EmaNuele — Victorius Emmanuel — Sardiniae Rex — Sabnudiae, Genuae Dux — Galliae subalpinae Princeps — A suraitate mutis — Informandis, erudiendis — Anno Mdcccxviii.

soccorsi de' pii genovesi fu ampliato il collegio ed aumentati gli allievi, cosicchè nel succeder degli anni l'istituzione degli orfani potè gareggi ire con quante u' esistevano in Genova di simil ii ttura. Ma sorsero a funestare codesta felicità le rivoluzioni del secolo scorso, ond'ebhesi a sostenere un crudele ladroneccio, e le finanze Iròvaronsi ridotte a meschino partito. Pur finalmente si ricomposero i tempi e con essi le fortune dell'orfanotrofio, dappoichè ristorate le perdite, di nuovo s'avviarono le cose sulle costumanze primiere, ed il numero degli allievi potè crescere in breve sino ad uguagliare l'antico. Vi convivono attualmente da settanta circa orfanelli a spese i più dell' istituto: il Corpo Civico ne mantiene a proprio conto e n'elegge sei, altrettanti le Dame di Misericordia per disposizione testamentaria della marchesa Isola-Marana, venti i fidecommissarii del duca Grimaldi, e due quelli del q. Gio. Maria Boasi. V hanno ammissione i fanciulli non minori di sette, nè maggiori di anni dodici, nati di legittimo matrimonio nella città di Genova da padre e madre genovesi; ma non è ricevuto chi non abbia all' uscirne alcun parente o protettore che lo raccolga e ne invigili la condotta. I nominati dalle Dame partono dallo stabilimento agli anni dieciotto, a sedici gli altri, e tutti portano seco un sussidio di lire

nuove 50, senza dire di certe altre giunte e distinzioni che si fanno da' protettori in esecuzione delle volontà del setaiuolo G. Luigi Curletto che lasciò a quest' opera la somma di centomila lire, e del prete Domenico Maria Roncallo già rettor del collegio, che gli fece legato d' una parte non lieve del suo patrimonio. Que' che mostrano ingegno sagace sono indirizzati agli studi letterarii, gli altri si danno a'mestieri stabiliti nel collegio per cura del fu marchese protettore Gio. Carlo Serra, dal quale ebbe poi l'istituto una lascita di Ln. cinquantamila, come ci annunzia il piccolo monumento in marmo erettogli da' protettori con disegni dell' egregio Vami. — Ogni anno s'offre al pubblico un saggio sopra tutti quanti gli studi, si dispensano i premii, ed il giorno 29 d'agosto, sacro alla decollazione di S. Giambattista, s'espongono i migliori lavori eseguiti dagli orfanelli. — Sopraintendono a questi un rettore e un vice-rettore, tre prefetti invigilano al buon ordine de' medesimi. ."

Alle cose artistiche degne d'osservazione nel presente collegio bastano poche linee. Sull' altare della cappella, angusta ma pulita per recenti restauri, fa degna memoria del titolo una tavola rappresentante S. Giovanni Batlista decollato, pittura A'incerto autore., benchè non difficile a giudicarsi nello stile che cerca l' effetto,

Aurati. Guida di Genova Voi. li. ti

e, sia detto a lode di quest' ignoto, senza perdere al tutto di mira la nobiltà. V ha non so quale impronta del Caravaggio o di altro naturalista iniziato a' suoi principii, proporzioni grandiose, tinte robuste e vere, evidenza di volti, che tondeggiano e risaltano da un campo tenebroso, sul carattere di quella scuola. Nella sacristia vedesi appesa una tela con N. D. del Rosario di Gio. Andrea Defferrari, non so se recatavi da altro luogo, ma certo sfuggita o sconosciuta ad ogni descrizione di questo ospizio. Oltre alle bellezze che sortì dal pennello di Gio. Andrea piace la freschezza che le serbò il tempo, pregio raro per ogni quadro, per questo autore rarissimo. — Sulla porta antica si lodava una sacra famiglia colorita sopra ardesia di forma ovale dal filippino Antonio Haffner^ non così pel merito dell'opera, quanto per esser unica di questo bolognese che diede l'ingegno agli esercizi dell'ornatista. Rovinata quella porta, ed aperta una nuova sulla linea di questa via, s' ebbe ricorso a Giuseppe Isola perchè ripetesse il soggetto in più vaste dimensioni, come da più anni annunzia la preparata cornice; ma il lavoro dell' Haffner si custodisce nondimeno ne' locali interni.

U ordine delle descrizioni ci distolse fin qui dal consecrare un cenno alla nobile strada su cui moviam passo, tuttochè ci venisse sott'occhi da più ore la sua ampiezza, e il degno aspetto dei palazzi che le fan limite ai lati. Il marchese Gio. Carlo Serra d' onorata memoria, il cui nome ha un tributo di lode non solo presso gli orfanelli ove ci occorse di registrarlo, ma in ogni cuore cittadino, intorno al 4840 ordinava a proprie spese l'apertura di questa strada, che agevolasse le comunicazioni tra il popoloso quartiere di S. Vincenzo e l'inferiore Acquasola, per dove s' ha tragitto comodo e breve alle contrade più riguardevoli della città. Yolea che la strada si fiancheggiasse d' abitazioni, non già costrutte e messe a lusso signorile, ma in acconcio per le famiglie meno agiate; pensiero d'animo civile che più guarda a' bisogni del popolo che ad innalzare se stesso. Col suo privato tesoro ebbe effetto il disegno, senonchè non si tenne l'ordine di lui, che pianto dai buoni morì sul progredir dei lavori. Sette, meglio palagi che case, resi più ameni da giardini d'aranci e d'aiuole di fiori, furono innalzati con disegni di Gio. Battista Resasco tra il largo stradone del Refugio e questa salita degli orfani, alla quale soppresso l'antico titolo fu sostituito il nome di Strada Serra a ricordo di quel benemerito. D' una di queste fabbriche ha fatto suo soggiorno il marchese Gian Carlo nipote al suddetto, e studiò ad abbellirla secondo l'avito splendore. Non dirò del prospetto ore alle linee del Resasco alternò plastiche di figura e d'ornamento Gerolamo Centanaro; poichè le brevi parole che il tempo ci consente di dedicare al palazzo si voglion tutte ad opere di maggior Iena o a dir meglio a frutti di più eletti ingegni. I due Giuseppe Frascheri ed Isola ebbero incarico di parecchie medaglie per decoro delle stanze, Ire delle quali toccarono al primo, una quarta al secondo: gli argomenti son disparati ma il merito eguale, come può attendersi da due artisti, l' un de' quali studia a somma grazia, l'altro a vivacità d'affrescante. Vi composero gli ornati Giacomo Forese, il Morgani ed il Leoncini, e il primo singolarmente vi lasciò prove di fecondissimo genio. Altri dirA più diffusamente le bellezze di queslo palagio, al quale se i tempi odierni non permettono di emulare la magnificenza degli antichi, gli si dee pero il vanto di riuscir decoroso alla famiglia per le cose sovraccennate e pei giardini che il proprietario sta ordinandovi con forte dispendio, quando le opere sien ridotte a compimento secondo i desidcrii di lui; a me fa violenza la copia dei monumenti che restano a descriversi, tra'quali, tostoché mi rifaccio in cammino, occorre sui primi passi la Chiesa E Il Monastero De SS. GiaMbo E Filippo.

In questo sito, che secondo le antiche deuo

mina&ioni era quasi il punto intermedio fra le contrade di Luccoli e le falde di Multedo, fu per lo spazio d'anni quarantaquattro (innanzi che l' occupassero le Domenicane che tuttora vi durano ) una piccola chiesa o cappella intitolata a S. Pellegrino. Un Giovanni di Promontorio la innalzò nel 4224 per isfogo di sua devozione in mezzo a quest'area, solitaria a quel tempo, e lontana di qualche tratto dal recinto delle mura; e comunque il suo modesto santuario andasse in rovina al costrursi dell' attuai chiesa, pare le sollecitudini de'nuovi costruttori, ci serbarono intatta la lapide ch' egli a perpetua memoria vi avea collocata, di questo tenore: Hòc opus fecit fieri loannes de Promontorio g. Jacobì in Mccxxiv. — Queste solitudini parvero acconce per la fondazione d' un monistero ad alcune Vergini che professavano la regola di S. Domenico; il perchè assistite nell'impresa da fra Nicola di Antiochia priore de' Domenicani, e ( come vuole lo Spotorno ) confortate a ciò dal B. Giacomo da Varagine dell'ordine istesso, chiesero all'arcivescovo Gualtiero il consenso d'intraprenderne la fabbrica. Se consideriamo attentamente le parole della concessione che Gualtiero diede loro nel 4268, le istanze delle nove monache componenti quel corpo non andarono senza opposizione; ma vinse la loro costanza, e l'arcivescovo, oltre il

permesso, cedette loro la cappella di S. Pellegrino, caduta in sua giurisdizione, perchè la nuova chiesa riuscisse più ampia. A loro fu imposto l' annuo censo di una candela all' Arcivescovo ed al Capitolo di S. Lorenzo, come consta dalle stipulazioni fatte pel notaro Brignano Masullo dalla priora di dette vergini suor Giulia di Parma, e da' preti Bernardino e Rolando delegati dall' arcivescovo, nella casa che provvisoriamente abitavano dette religiose in questo luogo medesimo 1. Dopo il che, Andrea di Lavagna arcidiacono della Cattedrale, a ciò deputato, pose la prima pietra in nome dell'arcivescovo, presente un gran numero di popolo, e i suddetti personaggi, e le monache, le quali vollero dare alla chiesa il titolo de' santi Giacomo e Filippo apostoli. Ciò avvenne il 46 settembre del 4268. Come la congregazione di queste vergini si aumentasse nel corso degli anni, il veggiamo dagli atti che fecero posteriormente. In uno che lia la data del 4277 se ne contano venticinque, e le cessioni e gli acquisti di cui si fa cenno ne' lor contratti, specialmente sotto il priorato di Sibillina Streggiaporco e di suor Giulia, mostrati chiaro che la pietà de' fedeli o le ricchezze lor proprie impinguavano le rendite del monastero. Mantenevano pei manuali servigi del convento, e per la coltura delle terre attigue uomini prezzolati , i qunli locavan lor' opere in perpetuo 1. Per l'amministrazione eleggevano procuratori tra i sacerdoti, e ha nome specialmente nel numero di costoro un prete Pagano da Parma per molte controversie che intorno alla elezione di lui in* sorsero tra le monache. Filippa Doria e Tommasa Gambacurta fondatrici poscia del monastero di S. Silvestro, venute di Pisa ebbero stanza in S. Giacomo e Filippo, e la prima nel -1447 ne era priora. Esse furono principali contrarie alla suddetta elezione, ed è curioso il vedere come il prete da Parma, recandosi alla casa ov' esse abitavano sulla piazza di S. Matteo protestasse quivi nel portico con atto notarile, che la Gambacurta gli avesse data la porta in faccia, non volendo nè ella nè la Priora riconoscere in lui la qualità confertagli dalle altre suore. Gonosciamo da quest'atto, che le religiose arbitravansi di lasciare il convento a lor comedo, e il vedrem meglio dal Breve che il Papa emanò per ovviare alla crescente corruttela. Questo ci conduce a segnar l'epoca della riforma che ne venne fatta, omettendo una serie d'atti od inutili al nostro scopo, o di troppo lieve interesse.

1 In nomine Domini. Amen. — Cum ex parte Prioritsae, et sororum quae dkuntur de ordine Praedicatorum diu etpluries supplicatum fuistei venerabili patri D.no Gualterio Archiepiscopo januensi, ut concederet eis licentiam aedìficandi et construendi eccUsiam unam prope Januam loco qui dicitur Lucuti seu Mulledum, et quod in ipso aedificatione dignaretur primarium lapidem imponere, tandem praefatus D.nus Archiepiscopo*, supplicante F. fficolao de Antiochia Priore fratrum Praedicatorum de Janua prò ipsis Priorissa et sororibus inclinatus supplicationibus praedictis concessit Dom. Prioritsae et sororibus licentiam postulatam, committendo D.no Andraee de Lwania Arcidiacono januen. ut vice sua accedat ad dictum locum et in aedificatione praedictae ecclesiae primarium lapidem imponat; atque cum ipso D.no Andrea misit Sernardinum Vicedominum palata arehiepiscopatus januen., et presbiterum Jiolandum capellanum ecclesiae sancti Laurentii januen., ut nomine tt vice diclae ecclesiae januen. reeipiat promissionem a dictis Priorissa et sororibus de certo censu dando et reddendo de catterò singulis annis dicto placito tt ecclesiae praedictae in signum domimi et subicctionis; quae Priorissa et sorores, videlicet soror Giulia de Parma Priorissa, toror Egidia de Parma, soror Alda Auricula, soror Barda Ac Nigro, soror Argenta Boniza, toror Luixia de duce, soror Calherina de Migro, soror Moysella Castagna, soror Barberina Auriae simul congregatae in domo quam habent in loco

praedicto se et monasterium et conventum ipsius

obligarunt dare et reddere eie. eie et statim post

dictam promissionem praefatus D.nus Andreas primarium lapidem imposuit in aedificatione praedictae ecclesiae, praesentibus praedictis superius nominalis, et multitudine fiiielium,

quam ecclesiam aedi/icari et fieri voluerunt ad honorem

Dei et sancti Philippi et Jacobi; anno Dominicae nativitatis milesimo ducentesimo sexagesimo octavo, indictione xi, die xvi septembris. Ego Brigoanus Masullo* sacri palalii noi.' rogatili scripsj.

1 la uà contratto di locazione d'opere che ba la data dei 1324 Giovannino de Itirualdo de Valle promette alla Priora suor Diana Camilla, quod foto tempore vilae mene stubo et perseverato vobiscum prò vestro famulo in diclo monasterio,

et quod faciam omnia vestra servitia et quod laborabo

terrai vestras live dicti monasterii nec a diclis servitili

foto tempore vitae meae non me separabo teu lecedam line vostra expressa lieentia, nec aufugiam eie.

Dietro i richiami di probi cittadini, e le relazioni d' un delegato apostolico, il Pontefice Alessandro VI commise al maestro Generale de' frati Predicatori l' incarico di tale riforma con breve del 4497 1; usasse ogni mezzo, purchè finisse il disordine. E il maestro Generale, fra Gioachino Tornano da Venezia, con sua lettera del 27 aprile stesso anno, rimise il negozio nel Priore di santa Maria di Castello in Genova, che era un frate Angiolo veronese e a tutti i frati in solidum ordinò di provvedere senza indugio. Concesse loro di valersi, caso che bisognasse, del braccio secolare; purgassero della zizzania il

1 Nam moniales ipsae ( son paiole del Breve Ponti Gcio ) abiecta religioni! honestate, extra dictum monasterium prò libito et desiderio suo per lotam urbem vayantur, et inhonestam vilam ducunt in ipsius religionis oprobrium, animarum earumdem periculum, et totius pupuli januensis scandulum non modicum, unde Gubernalor et nonnulli eiues januen

ses ad hoc deputati prò adhibendo opportuno rimedio

recursum habuerunl.

mina&ioni era quasi il punto intermedio fra le contrade di Luccoli e le falde di Multedo, fu per lo spazio d'anni quarantaquattro (innanzi che l' occupassero le Domenicane che tuttora vi durano ) una piccola chiesa o cappella intitolata a S. Pellegrino. Un Giovanni di Promontorio la innalzò nel 4224 per isfogo di sua devozione in mezzo a quest'area, solitaria a quel tempo, e lontana di qualche tratto dal recinto delle mura; e comunque il suo modesto santuario andasse in rovina al costrursi dell' attuai chiesa, pare le sollecitudini de'nuovi costruttori, ci serbarono intatta la lapide ch' egli a perpetua memoria vi avea collocata, di questo tenore: Hòc opus fecit fieri loannes de Promontorio g. Jacobì in Mccxxiv. — Queste solitudini parvero acconce per la fondazione d' un monistero ad alcune Vergini che professavano la regola di S. Domenico; il perchè assistite nell'impresa da fra Nicola di Antiochia priore de' Domenicani, e ( come vuole lo Spotorno ) confortate a ciò dal B. Giacomo da Varagine dell'ordine istesso, chiesero all'arcivescovo Gualtiero il consenso d'intraprenderne la fabbrica. Se consideriamo attentamente le parole della concessione che Gualtiero diede loro nel 4268, le istanze delle nove monache componenti quel corpo non andarono senza opposizione; ma vinse la loro costanza, e l'arcivescovo, oltre il

permesso, cedette loro la cappella di S. Pellegrino, caduta in sua giurisdizione, perchè la nuova chiesa riuscisse più ampia. A loro fu imposto l' annuo censo di una candela all' Arcivescovo ed al Capitolo di S. Lorenzo, come consta dalle stipulazioni fatte pel notaro Brignano Masullo dalla priora di dette vergini suor Giulia di Parma, e da' preti Bernardino e Rolando delegati dall' arcivescovo, nella casa che provvisoriamente abitavano dette religiose in questo luogo medesimo 1. Dopo il che, Andrea di Lavagna arcidiacono della Cattedrale, a ciò deputato, pose la prima pietra in nome dell'arcivescovo, presente un gran numero di popolo, e i suddetti personaggi, e le monache, le quali vollero dare alla chiesa il titolo de' santi Giacomo e Filippo apostoli. Ciò avvenne il 46 settembre del 4268. Come la congregazione di queste vergini si aumentasse nel corso degli anni, il veggiamo dagli atti che fecero posteriormente. In uno che lia la data del 4277 se ne contano venticinque, e le cessioni e gli acquisti di cui si fa cenno ne' lor contratti, specialmente sotto il priorato di Sibillina Streggiaporco e di suor Giulia, mostrati chiaro che la pietà de' fedeli o le ricchezze lor proprie impinguavano le rendite del monastero. Mantenevano pei manuali servigi del convento, e per la coltura delle terre attigue uomini prezzolati , i qunli locavan lor' opere in perpetuo 1. Per l'amministrazione eleggevano procuratori tra i sacerdoti, e ha nome specialmente nel numero di costoro un prete Pagano da Parma per molte controversie che intorno alla elezione di lui in* sorsero tra le monache. Filippa Doria e Tommasa Gambacurta fondatrici poscia del monastero di S. Silvestro, venute di Pisa ebbero stanza in S. Giacomo e Filippo, e la prima nel -1447 ne era priora. Esse furono principali contrarie alla suddetta elezione, ed è curioso il vedere come il prete da Parma, recandosi alla casa ov' esse abitavano sulla piazza di S. Matteo protestasse quivi nel portico con atto notarile, che la Gambacurta gli avesse data la porta in faccia, non volendo nè ella nè la Priora riconoscere in lui la qualità confertagli dalle altre suore. Gonosciamo da quest'atto, che le religiose arbitravansi di lasciare il convento a lor comedo, e il vedrem meglio dal Breve che il Papa emanò per ovviare alla crescente corruttela. Questo ci conduce a segnar l'epoca della riforma che ne venne fatta, omettendo una serie d'atti od inutili al nostro scopo, o di troppo lieve interesse.

1 In nomine Domini. Amen. — Cum ex parte Prioritsae, et sororum quae dkuntur de ordine Praedicatorum diu etpluries supplicatum fuistei venerabili patri D.no Gualterio Archiepiscopo januensi, ut concederet eis licentiam aedìficandi et construendi eccUsiam unam prope Januam loco qui dicitur Lucuti seu Mulledum, et quod in ipso aedificatione dignaretur primarium lapidem imponere, tandem praefatus D.nus Archiepiscopo*, supplicante F. fficolao de Antiochia Priore fratrum Praedicatorum de Janua prò ipsis Priorissa et sororibus inclinatus supplicationibus praedictis concessit Dom. Prioritsae et sororibus licentiam postulatam, committendo D.no Andraee de Lwania Arcidiacono januen. ut vice sua accedat ad dictum locum et in aedificatione praedictae ecclesiae primarium lapidem imponat; atque cum ipso D.no Andrea misit Sernardinum Vicedominum palata arehiepiscopatus januen., et presbiterum Jiolandum capellanum ecclesiae sancti Laurentii januen., ut nomine tt vice diclae ecclesiae januen. reeipiat promissionem a dictis Priorissa et sororibus de certo censu dando et reddendo de catterò singulis annis dicto placito tt ecclesiae praedictae in signum domimi et subicctionis; quae Priorissa et sorores, videlicet soror Giulia de Parma Priorissa, toror Egidia de Parma, soror Alda Auricula, soror Barda Ac Nigro, soror Argenta Boniza, toror Luixia de duce, soror Calherina de Migro, soror Moysella Castagna, soror Barberina Auriae simul congregatae in domo quam habent in loco

praedicto se et monasterium et conventum ipsius

obligarunt dare et reddere eie. eie et statim post

dictam promissionem praefatus D.nus Andreas primarium lapidem imposuit in aedificatione praedictae ecclesiae, praesentibus praedictis superius nominalis, et multitudine fiiielium,

quam ecclesiam aedi/icari et fieri voluerunt ad honorem

Dei et sancti Philippi et Jacobi; anno Dominicae nativitatis milesimo ducentesimo sexagesimo octavo, indictione xi, die xvi septembris. Ego Brigoanus Masullo* sacri palalii noi.' rogatili scripsj.

1 la uà contratto di locazione d'opere che ba la data dei 1324 Giovannino de Itirualdo de Valle promette alla Priora suor Diana Camilla, quod foto tempore vilae mene stubo et perseverato vobiscum prò vestro famulo in diclo monasterio,

et quod faciam omnia vestra servitia et quod laborabo

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Dietro i richiami di probi cittadini, e le relazioni d' un delegato apostolico, il Pontefice Alessandro VI commise al maestro Generale de' frati Predicatori l' incarico di tale riforma con breve del 4497 1; usasse ogni mezzo, purchè finisse il disordine. E il maestro Generale, fra Gioachino Tornano da Venezia, con sua lettera del 27 aprile stesso anno, rimise il negozio nel Priore di santa Maria di Castello in Genova, che era un frate Angiolo veronese e a tutti i frati in solidum ordinò di provvedere senza indugio. Concesse loro di valersi, caso che bisognasse, del braccio secolare; purgassero della zizzania il

1 Nam moniales ipsae ( son paiole del Breve Ponti Gcio ) abiecta religioni! honestate, extra dictum monasterium prò libito et desiderio suo per lotam urbem vayantur, et inhonestam vilam ducunt in ipsius religionis oprobrium, animarum earumdem periculum, et totius pupuli januensis scandulum non modicum, unde Gubernalor et nonnulli eiues januen

ses ad hoc deputati prò adhibendo opportuno rimedio

recursum habuerunl.

monastero, v'introducessero altre monache, rinnovassero la disciplina, tenessero quelle vie, che egli terrebbe presente per cosa di tanto rilievo. Non rimanevano più che dieci suore in S. Giacomo e Filippo mentre il nuovo monastero del Corpo di Cristo (volgarmente S. Silvestro) andava prosperando di numero e d'osservanza. Fu imposto alle superstiti d' acconciarsi alle nuove regole o di sfrattare, e tante passaron quivi dal suddetto monastero quante parvero necessarie a farlo rifiorire nel culto. Leggesi ne' zibaldoni del Muz'o l'inventario che nel 44 luglio si fece di tutti i beni della chiesa; ricca suppellettile per un ricetto di claustrali 1.

Così presero nuova forma le Domenicane, e da quell' epoca incomincia una serie di falli che non potrebbero narrarsi senza loro encomio. Fiorì tra le nuove religiose suor Tommasa Fieschi, congiunta di sangue a santa Caterina, cultrice della pittura e delle lettere, morta quivi nel -1534 in odore di santità. Per loro istanza fu consecrata la chiesa nel 4568 da fra Arcangelo arcivescovo di Tebe, siccome attesta lo Schiaffino. Non trovo memoria della riedificazione; ma parecchi indizi mi fan credere ch' essa si eseguisse nel -1640 o in quel torno; nè mancarono in progresso di abbellirla con quella liberalità che conveniva alla grandezza del loro istituto. Benchè s' annunzi all' esterno così modesta ha gran ricchezza d'affreschi, e di tali pittori che primeggiavano in patria, e che quivi posero ogni sforzo a far bene. E certo di soverchio vi si ostinò il prete savonese Bartolommeo Guìdobono, il primo che quivi s'incontri, e forse il primo che vi mettesse pennello, del quale abbiamo sull'ingresso figure d' angioli e di putti in atteggiamenti di festa. Tale è la fortuna de' manieristi, che meglio piacciono le cose loro quando meno vi si stillano il cervello, dacchè nell'esagerato cercano d' ordinario il perfetto. Nel proverbia lo stesso Ratti che pure in fatto di questi vizi non guarda al sottile, accusando nel presente affresco l'abuso de'panni svolazzanti, e un certo color pavonazzo che se in altre sue opere è soavità ricercata, quivi è ricercata monotonia. Loda però, e non a torto, que' puttini che son ne'lati, tutti sparsi della grazia e della leggerezza del Correggio che molto consultò negli studi suoi giovanili, e trova in essi un compenso alla general pittura, che oltre i sovraccennati difetti , ha pur quello d' una composizione sparpagliata ed insulsa. Con simil gusto colori il Guidobono la gran vòlta della chiesa in quel tratto che stendesi a tergo dell' aitar maggiore, figurandovi la risurrezione di Cristo; ma la lontananza e l' altezza di quel luogo vietato al pubblico non ci permetterebbe il discendere ad altri esami. Ove cessa il suo affresco esce in campo Gregorio Defferrarij che istoriò nel vòlto sovrastante a chi guarda il presbiterio l' assunzione di Maria: vastissimo spazio, che sol riempiuto con senno darebbe prova di genio immaginoso e fecondo. È computata fra i migliori suoi frutti, e il debbe specialmente a quelle artificiose degradazioni di luce, a quel vaporoso, a quell' energico che trae l'occhio e l'abbaglia, dirò cosi, perchè non divaghi in cerca de' difetti. Con quel che dispose ne'lati, cioè al disopra del fregio, è completa l'istoria. V han gli apostoli in atto di ammirazione, figure che portano in ogni tratto i caratteri dello scorretto, ma pur si vivide nell'impasto e tanto succose e brillanti, che paiono attestarci la virilità di Gregorio. Il vedere così dappresso due studiosi della scuola correggesca ci porge un curioso documento del come nell ' arte si vegga con diversi occhi; l' uno freddamente vi cerca le grazie, l'altro vuol rapirne l' energia che tutto ardisce, e poco teme di riuscir licenzioso purchè giunga a ritrarre almeno in abbozzo il suo tipo. Anche le prospettive che aiutano la fantastica scena sono invenzioni del Defferrari, eseguite da Francesco Costa negli anni più teneri, quando s'era acconciato col suddetto maestro per apparar la pittura. Il suo ingegno prevalse negli studi dell' ornato e delle quadrature, e ben ccl dicono questi fregi ove l' esecuzione è diligente e pulita, tuttochè non vi si vegga quella prontezza di mano e quella maestrevole intonazione che fanno il merito delle opere sue posteriori. . .

'Esso è intitolalo: Inventarium rerum et honorum monatlerii lanctorum Jacobi et Philippi existentium in camera sacristiae dirti monasterii. — Factum ad insiantias domini Prioris tanctae ilariae de Castello, et dominorum quatuor officialium.

E questa chiesa rivide più tardi il Costa maturo nell' arte far prove migliori in compagnia di Paolo Gerolamo Piota chiamato a dipingere sotto il coro delle Reverende monache. Non sa-> prei dire quale dei due v' abbia più gran parte, nè giova il dirlo, così bene s' affratellaron nell'opera. Fra i partiti del prospettico, che son logge e gallerie sfondate con bello artifizio, compose il Piola figure di Virtù e leggiadre schiere d'angioletti, e nelle pareti finse di bronzo entro nicchie tre statue di santi Domenicani con tale apparenza di rilievo che il descriverle sarebbe un nulla. Nelle suddette figure è poi oltremodo lodevole la freschezza, l'amenità, l' effetto del chiaroscuro: nè so in qual' altra pittura si potesse lodarnelo siccome in questa. Ciò nondimeno per consenso de' periti avanzò se slesso in quella medaglia ovale che guarda diritto alla porta di ingresso, in cui rappresentò l'estasi di S. Domenico nella contemplazione di Maria. E ognuno intende ch'io parlo del colorito; nel quale è tanta la schiettezza, la fusione, l'ingenuità delle tinte, e in ispecie delle carni, che l'apprezzarle secondo il merito è forse riserbato all'artista, il quale sa quanto costi l' accoppiare sul fresco tal nerbo a tale semplicità di colori. Se è lecito a me lo spiare in quest' arte, direi che le industrie del chiaroscuro, attinte da Paolo Gerolamo sui meravigliosi affreschi d'Annibale Carracci, soccorrano non poco all' effetto accennato; non però cesso dal meravigliare com' egli mantenesse quel limpido impasto ove l'arte predomina, o meglio, come celasse l' arte per mostrarsi naturale e modesto.

Altri pennelli si adoperarono all' ornamento della chiesa; ma dopo le cose descritte, non potrei diffondermi in lodi senza taccia di parzialità. Gio. Andrea Carlone dipinse il coro delle monache, figurandovi alcuni santi dell' ordine Domenicano in adorazione dell' augustissima Trinità , ma è opera ( se non ci gabba l'altezza ) uè da raffrontarsi alle suddette, nè da sottrarsi al numero delle sue mediocri. Anche il Boni vi ebbe mano in parecchie figure d'angeli intorno alla chiesa, fatte piuttosto a decorazione delle

pareti che a niuu altro ufficio; com'è pure uno spazio oblungo rappresentante le sponsalizie di .IN. D. e alcuui putti, il tutto a chiaroscuro. Questi lavori appartengono a Gregorio Defferrari, e se fu in noi dimenticanza il tacerli più sopra ove si parlò di Gregorio, vi c'indusse il loro stile sprezzato e temerario, per quanto il Ratti si talenti di scoprirvi bellezze.

Non è duopo il dire ciò che ognuno ha veduto al primo entrai' nella chiesa, la ricchezza cioè de'marmi, delle dorature, degl' intagli che progressivamente si fecero per compimento a' dipinti e per decoro degli altari. Ma non deve tacersi quel tanto ch' ha nome o indizio d'autore: nè doveva tacersi dalle guide, come la distribuzione architettonica, e i marmorei fregi dell' aitar principale spettino a quel Rocco Pennone lombardo, che il serenissimo Senato prescelse a decorare il presbiterio della Metropolitana. Nè fu giusto il condannare al silenzio le due statue de'santi titolari collocate ne'fianchi; poichè se il loro autore non s'ha con certezza, è agevole però il supporlo tra que' lombardi che sulle tracce del Carlone empieron Genova delle loro sculture. Scioltomi dal debito, non negherò per questo, che le prime osservazioni e le lodi debbansi alla tavola dell'altare, in cui Giambattista Paggi dipinse l'Assunta. Castità, grazia, novità di concetto paionmi i caratteri principali di questa tela, per non dire il soave e il delicato delle tinte che sono d' ogni sua opera. Ho detto casta l'idea, perchè espressa con estrema sobrietà di figure, e nuova per quel volo slanciato che ha Maria senza alcun ministero di forza altrui, e ho detto graziosa (se pur bisognava il dirlo di questo pittore ) in vista de' begli angioletti, che pieni d'un riso tutto cielo, fati festa alla nuova Regina del Paradiso. A questa e ad ogni altra pittura della chiesa vorrebbe anteporsi il Crocifisso dell' altare a sinistra, se la mano d' un petulante ( non sappiamo in qual' epoca ) volendo nettarla d'alcun sudiciume, non ne portava colle immondezze i colori. Qual danno ci venisse da questo petulantissimo, vel dica, meglio d'ogni parola, il nome dell'autore, Paolo Cagliari da Verona, e l'autorità dello Scaramuccia, che poneva questa tavola tra il fiore de' dipinti esistenti in Genova. La barbara lavatura fattane con lisciva od altro mordente di cui vi restano i tristi vestigi ha risparmiato dell'originale pittura le parti di maggior corpo: svanirono al tutto le tinte più leggere, e svanirono ad un sol tocco quante v' aveano velature, sublime artifizio della veneta scuola. Il quadro insomma, cosi qual'è, passa inosservalo alla moltitudine, usa ad arrestarsi all'effetto; peggior sorte ba presso gl' intelligenti, i quali dal poco che vi resta argomentano le perdute bellezze, e misurano con un senso di pietà le presenti ferite. — La tavola dirimpetto con N. D. del Rosario e i santi Domenico e Rosa è di G. B. Merano j non indegna d' un rapido sguardo, come quell'altra che troveremo all'uscir di chiesa sull' altare di sant' Orsola 1, rappresentante il martirio di questa santa, e delle undicimila compagne. Ogni mezzano conoscitore vi scuopre da lungi lo stile del Cambiaso, ma chi ha dimestichezza con quella scuola non resta preso all' apparenza. £ men di leggeri s'inganna chi ha fisse in mente le date istori che; poiché l'anno -1586 scrittovi sotto è quello che succedette all' anno della morte di Luca. Io direi francamente che quest' opera ci venga da Bernardo Castelloj e rammenti l'epoca in cui stava saldo all' imitazione del suddetto maestro, sia perchè quella data non mi consente. di attribuirle altro alunno, sia perchè in molti tratti del dipinto vi ha il gusto e il disegno di Bernardo, come a cagion d'esempio ne' guerrieri che scaglian frecce sulle vergini.

1 Nel silo di questa cappella era anticamente un oratorio col tìtolo di detta Santa incorporato alla chiesa e diretto da Una confraternita laicale, come scrive l'Accinelli, e com4 attesta una lapide incastrata nel vicino pilastro, che dico cosi: — Mcccclsxv die ni maij — Batic cappellam fecerunt fieri Joannes de Valletari tinctor, et fiicolaus de Solario lanerius priora consortiae sanclae Vrsulae de voluntate tororum moneiterii dictae consortiae — e v' è aggiunto con caratteri posteriori — Manetterii impenni refecta 1561.

L'epigrafe che tien memoria della primitiva chiesuola innalzata da Giovanni di Promontorio in onore di S. Pellegrino può vedersi da chi ne abbia vaghezza all' uscir di chiesa sul muro esterno che chiude la piazza. È sovrapposta ad un antico quadro di Maria commesso nel muro stesso sovra un quasi altarino chiuso di fitta e robusta invetriata. Anche questa imagine ha le sue memorie. Fu posta nel luogo attuale l'anno 4539 per cura d'alcuni cittadini, e perchè le monache non voleano consentire all' opera, fu "mestieri indurvele con offerte e guadagni sproporzionati a ciò che si chiedeva. L'atto fu rogato a nome di Battista Spinola, e delle monache rappresentate dalla Priora Stefana-Basadonne il 3 dicembre dell' anno suddetto. Ma dal contesto del medesimo atto si ricava, che il quadro esisteva già per lo innanzi in un muro vicino alla pubblica strada, non molto lungi da questa chiesa, e ne fu tolto in occasione che il Senato ordinò la rovina di detto muro. I presenti luoghi trovansi nominati nelle antiche scritture Prato degli archia ed archi dice il volgo tuttora a quel tratto di terreno che dalla Porta detta anch'essa dell' arco, viene a far capo in questa contrada. E ciò serva a spiegare il perchè in antichi libri e documenti, la chiesa da cui partiamo, sia detta con vocabolo corrotto Ecclesia sancti Jacobi et Phitippi de Irchis.

Per tornare un istante a cose di beneficenza, non si vuole omettere un Conservatorio che non tarda ad occorrerci sulla destra, appellato Delle Interiane dal nome del benemerito fondatore.

P. Giambattista Interiano sul cominciare del secolo xvu fecesi fabbricare nelle circostanze di Fontana Amorosa un' abitazione con attigua chiesuola per accogliervi le donzelle orfane della città. Poco appresso nel suo testamento rogato dal notaio Ambrogio Rapallo il 28 giugno 4600 convalidò la propria istituzione di molti regolamenti, prescrivendo le qualità delle zitelle da riceversi, la disciplina da tenersi rispetto alla loro educazione, legando insieme un capitale di trentamila lire fuori banco pel mantenimento delle medesime. Ordinò primieramente si ricettassero le orfane di padre e madre, generate di legittimo matrimonio, e derivanti da genitori ed avi paterni e materni genovesi. Si limitassero dalle quindici sino alle venti; non fossero minori d'otto anni nè maggiori di dieci; varcato ch'avessero i tredici fossero congedate o tutt' al più rimanessero fino all'anno quattordicesimo, si veramente che


elò venisse loro concesso da' signori Governatori. A ciascheduna si dovesse annunziare prima d'ini biennio cotesta dimissione, al punto della quale potesse recarsi via tutti i vestimenti posseduti al tempo della sua dimora nello stabilimento. Si comprendessero nel novero delle ricoverate una governatrice ed alcune maestre; si scegliesse la prima fra le cittadine più idonee e moderasse l' interna gestione; le seconde oltre all' esser yergini non fossero minori de' Tenti anni e si prestassero agli insegnamenti com' anco a' servigi tutti, necessarii al buon' ordine del conservatorio. Raccomandata in seguito quest'opera alla protezion del Governo perchè volesse difenderla da chiunque osasse turbarne il riposo o variarne lo scopo, nominò diversi patrizi a fedecommissarii o governatori, a'quali affidò l'alta sopraintendenza, e concesse illimitate facoltà nel contesto del suo testamento.

L'anno 4625, per cura de'protettori, comprato ed abbellito il locale presente furonvi trasferite le alunne della casa di Fontana Amorosa. Trovo in un manoscritto di mia spettanza, che io credo dell'Accinelli, l'iscrizione che leggevasi ne' tempi addietro sulla porta, ch'accennava all' epoca dell' istituzione dello stabilimento — .Ex pietate Pauli Baptistae lnteriani, Lodixii fitti, viri patritii, ad inopes puella» sublevanda» Direttrice ed altre maestre presso a poco secondo che ordinò l'Istitutore. Il giorno s' alterni tra le preghiere, le ricreazioni e i consueti lavori di biancheria il cui prodotto è diviso fra tutte le collaboratrici, e per lo più vien loro somministrato totalmente all' epoca della partenza dal conservatorio.


Nella cappella che porta il titolo dell'Annunziata esiste ancora di tal soggetto una tavola dello Strozzi, ma condotta dall' umidore a sì misero stato, che non possiamo oggimai, raccomandandola a'buoni, salvarla dall'estremo danno che la minaccia.

Però senza smarrirci in parole inutili riprendiamo il cammino sulla linea stessa che s' erge in salita, e corre tra l'Acquasola e le ville, ove da non molti anni fu eretto il Teatro Diurno. Se a taluno può nascer desiderio di saperne le origini, dirò che fino dal -1826 s' erano stabiliti nell' attuai sito i giuochi di slittas detti altrimenti delle Montagne russe, graditi sul bel principio dal popolo che sempre ama le novità, ma presto negletti sia per essere stranieri al gusto nostrano, o perchè, dicasi pure, sembrassero pur finalmente un insipido e pericoloso trastullo. L'anno stesso vi fu costrutto un piccolo teatro postucio ove si recitarono con fantocci commediole * drammi, che si alternavano alle slitte, e ad altri giuochi di poco momento. Con migliore avviso s'innalzò gli anni appresso il presente teatro diurno, che venne aperto il 4.° giugno del 4832. Debbesi il pensiero della fondazione a certo signor Luigi Bruni, il disegno e la direzione della fabbrica a Luigi Prato che delineo in robusto ordine dorico un palco scenico largo 48 metri, ed alto 48. 50 sovrastante ad una platea del diametro di metri 29 e capace di circa 3000 persone. Ai fianchi della medesima s ergono a mo' di scala due terrapieni che servono di lubbione; in faccia al proscenio v' han due file di palchi che inoltrano breve tratto sui lati. Si schiude nella primavera alle truppe drammatiche, e talvolta a giuochi equestri, ginnastici o ad altri spettacoli di simil genere, e si richiude nella stagione autunnale.

Pochi passi, e siamo al sommo d'un poggio, ove gli antichi segnavano i confini di Luccoli, ed ove (se crediamo a parecchi scrittori) sorgeva una torre di questo nome. Ma la strada piegando a destra, prosegue infino a'monti, ed incontra non molto prima delle mura di cinta il nobile tempietto di Sasta Maria Della Sanità', che vagheggia dall' allo le belle contrade dell'Acquasola. Inteso com' io sono a' ragguagli artistici non condurrò il mio collega fin colassù, nulla essendovi di raro in tal genere; nulladimeno, poichè molti mi porrebbero a difetto il tacere affatto di quella chiesa, ne dirò brevemente le origini e le vicende.

Per maggiore chiarezza di questo cenno, e per rendere un nuovo servigio ai cultori delle antichità, mi giova il far principio da'tempi che ne precedettero la fondazione. Sul vertice della montagna, coronata nel secolo xvu della nuova muraglia, esisteva per lo innanzi una chiesuola o cappella intitolata a S. Bernardino, la quale sebbene distrutta più tardi, die' nome a' luoghi, e il lasciò alle porte istesse che per questo lato danno adito alla città. Essa fu costrutta da un notaro nominato Giovanni da Santo Stefano, nè senza molte opposizioni a lui mosse dal rettore di S. Vincenzo, Andrea di Levanto, che stendeva la sua giurisdizione parrocchiale fino a queste eminenze. Nel 4457 fu sedato il litigio, fattone compromesso nel P. Gerolamo Montenegro Domenicano, il quale sentenziò, che il fondatore e i discendenti di lui pagassero in perpetuo al rettore l' annuo canone di lire 2. 40 nella festa di S. Bernardino. Ma i successori si sgravarono presto di tali brighe; perchè Giuliano da Santo Stefano a' 20 maggio del 4487 ( come in atti ili Andrea De-Cairo ) cedette la cappella al cardinale Paolo da Campofregoso arcivescovo e doge di Genova, e questi a' PP. Basiliani di S. Bartolom

meo. Costoro vi duravano ancora nel 4582, quando la chiesa fu visitata da monsignor Francesco Bossio vescovo di Novara e visitatore apostolico 1. Venne da ultimo ( non sappiano come ) in proprietà del Capit. Stefano Mari q. Gio Batta; il quale avendo deliberato d'innalzare una chiesa sulle falde del colle nell' area de' suoi poderi, chiese al Pontefice di mettere a terra l' antica chiesuola di S. Bernardino, e gli fu concesso.

Cosi dalla rovina di questa cominciano la vita e le memorie di santa Maria della Sanità. Fin da principio ebbe titolo di abbazia, e la famiglia del fondatore pose nella nuova fabbrica i proprii stemmi in segno di giuspatronato; diritto che rimane tuttora ne' discendenti. Per gli uffizi del culto v' introdussero i PP. Carmelitani scalzi, stabiliti in Genova fin dal 4584, come ripeteremo ne' cenni del lor monastero di sant'Anna, che siede sull'opposta collina, e ci attende fra poco. In guisa che i frati di questo ordine possedeano due conventi e due chiese, regine di due promontorii egualmente deliziosi e per postura e per salubrità d'aria; e dall'una .all' altra avean facile comunicazione traversando i ridenti vigneti che forraan valle a queste colline. Cominciarono a stanziarvi nel 4644; cessarono nel -1798, epoca delle soppressioni-, finchè vi stettero, fu noviziato del loro ordine per la provincia di Genova.

1 Negli adi delle sue vìsite si legge questa particella. — Ecclesia simplex S. Bernardini fratrum S. Bartholomaei de Armenis. — Altare majus solidum fiat, et instructum retincatur de praescriptis; alia tria altana in ipsa ecclesia diruantur, sedilia amoveantur etc.

Alizeri. Guida di Genova Voi. II. 48

Fu riaperta la chiesa nel 4822, e il convento acconciato a monastero di vergini, ridotte in clausura nel 1738 per cura dell' arte de' mereiai 1, sotto la regola di S. Francesco di Sales. Tal benefizio dovettero al piissimo sacerdote e patrizio Agostino M. De Mari, poi vescovo di Savona e Noli, che ottenne a tal'uopo il consenso dagli altri patroni, ritenuto però nella famiglia il gius abbaziale. E queste suore vi restano tuttavia; nè tacerò ch' esse tengono e dirigono un convitto d' educazione per le zitelle di stato civile.

La chiesa architettata, come s'è detto, ne principii del 1600 non può a meno di presentarci lo stile de' lombardi che non manca nè di solidità nè di certa eleganza: è di forma ottagona con isvelta cupola nel centro, quale la prescrisse il fondatore. Ha sette altari, se vi comprendi il principale. Ne' due primi la tavola di sant'Anna è di Anton M. Viola, e l'altra della Assunta d'un RaffettOj se non m'inganna il nome scrittovi dal pittore; men che mediocre lavoro. Dei secondi, l' uno è sacro a S. Bernardino, avendo il Cap. Mari ordinato che nella nuova chiesa si tenesse memoria dell' antica; l' altra a santo Stefano per alludere al nome di lui. Le Jor tele, annerite dal tempo, si potrebbero ascrivere alla scuola d' Orazio e di Gio. Andrea Defferrari. Una quinta sul terzo altare a destra con S. Francesco di Sales che dà le costituzioni alla Chantal, venne eseguita da Santo Taglia fico quando la chiesa fu dischiusa alle monache. A questa povera messe potrebbesi aggiungere un affresco di N. D. adorata da' devoti ch' è sulla porta all'esterno e sente lo stile del Fiusella; ma tali opere non bastano, il ridico, ad invogliarci del cammino. Per questo non mi son mosso da' luoghi segnati a traccia del nostro giro; salga "chi vuole, e a compenso di bellezze artistiche traverà delizie di natura; s'io pure noi dicessi Io direbbe il sorriso di questa collina sparsa di ville, di giardini e di palazzi, e allegrata da sì puro cielo, che il (itolo della chiesa non poteva essere nè più vero nè più opportuno.

1 V. (omo primo — chiesa di «anta Margherita, pag, 256.

È antica fama, che nel sito della torre di Luecoli si edificasse la Chiesa Dell' Ibimacolata ConCezione, che abbiamo in fronte sovra una breve piazzetta fiancheggiata di grossi e fronzuti cipressi. Se il melanconico aspetto di queste piante par contraddire all'amenità del colle ed all'ilarità delle circostanti vedute, desta però nella mente, e vi dipinge le cagioni perchè la chiesa venne eretta sul finire del sestodecimo secolo. La pestilenza del 4579 desolava la città e le riviere; ben olire a ventottomila vittime si numeravano entro il cerchio delle mura, e lo spavento regnava sulla faccia della nostra Liguria, quando Ire Cappuccini del convento di S. Barnaba, tra' quali il provinciale dell'ordine, P. Agostino da Vcntimiglia, recivansi al Doge e a'Senatori, promettendo, per non so quale ispirazione o zelo, che Genova sarebbe oggimai salva dal flagello, dove la Repubblica votasse a N. D. Immacolata un tempio, e culto annuale, e processioni e vigilie. Tanto afferma il biografo anonimo de' Cappuccini liguri 1; dicono altri che il Governo decretasse questi onori a Maria, per essere scemata sensibilmente la furia del morbo nel giorno «acro alla concezione di lei. Comunque sia, non discredo al tutto le parole di quel religioso; poichè l'attuai chiesa, non appena costrutta, venne assegnata a' Cappuccini che tuttavia la posseggono.

1 V. Saggio iella viti de' Cappuccini liguri illustri in virtù, dottrina t tantilà; disposto per ordine cronologico da un religioso dello stesso ordine t provincia. — Geaon, 1822, pel Dellepiaae.

Bastò ad ogni scrittore di guide il dire di questa chiesa, ch' ella è votiva a Maria pel cessato contagio del 4579; ma non isfugge al lettore come il pubblico voto si sciogliesse già molto innanzi colla erezione del S. Pietro in Banchi, ove dedicossi un altare alla Immacolata con una epigrafe che attesta le cagioni del voto. Si voleva aggiungere il perchè quest' altra chiesa per decreto del Senato e per le oblazioni del popolo sorgesse da' fondamenti. In questa ricerca di cui sento spontaneo il bisogno mi compiace la Liguria Sacra dell' abate Accinelli. Parecchi anni dopo la fabbrica e la dedicazione del S. Pietro, nacque e pullulò ne'magistrati la pia contesa , se coll' altare eretto in quel tempio a N. D. dovesse credersi sciolta la promessa a Lei fatta d' una chiesa. La quistione rimessa alle dispute de' teologi accrebbe le controversie, e tornò vergine al Senato; il quale per isgravarsi de'dubbii si attenne al più sicuro partito, e soscrissc la fabbrica d'un' altra chiesa. Nondimeno le somme necessarie al lavoro non vennero (come ho già accennato ) interamente dal pubblico erario; il lavoro stesso andò lento, o meglio non potè aver principio se non dopo molti sussidii raccolti nel popolo, a cura specialmente del già nominato P. Agostino da Veutimiglia che mori senza veder l' opera nel 45S5. Sotto F anno seguente


scrivono molli la fondazione della chiesa, ed io lascerò ch' altri il creda; contuttociò m' arride assai più l' avviso del suddetto Accinelli che la pone sotto il 4593, essendo certo, nè pur contrastato da que'primi, che l'ordine de'Cappuccini vi celebrò la prima messa il primo novembre del 4596. Come supporre che in fabbrica sì modesta corressero dieci anni 1?

Dalla fondazione in poi, non so qual' altro avvenimento possa scriversi di essa, se non fosse la sacra, che nel 4620 il 49 d'ottobre ne fece l'arcivescovo di Genova Mons. Domenico Demarini. Di questa solennità si fece memoria in una lapide commessa ad una parete della sacristia. — D. 0. M. — Anno Domini Mdcxx die xix octobris — Illustr. domimi» De Marinis archiepiseopus genuensis ccclesiam hanc in honorem Dei et immaculatae Conceptionis B. V. consecravìtj reconditis in altari relùjuiis SS. martirum Latirendij Sebastiani et Bonifacii; et anniversario consecrationis die ipsam visitatitibm indulgentiam xxxx dierum concessit.

'Va argomento decisivo io favore di questa opinione è una supplica del 1593, colla quale i PP. Cappuccini, non avendo in Genova altra chiesa che 1' angustissima di S. Barnaba, domandavano a'Ser.mi Colle»" la cessione di due ville e case in Carbonara per costamene un' altra. I fondi furono concessi; ma i Cappuccini non ne profittarono, attesa la fabbrica della Concezione che I' anno stesso si cominciò. — V. articolo di S. Nicola da Tolentino.

Ma le opere che i Padri Cappuccini ondarono procacciando alla lor chiesa ultimata appena , e quelle che di tempo in tempo ne accrebbero il lustro sono un elogio continuo ed eloquente al loro ordine. Ed è bello il vedere come astenendosi da quelle pompe straniere alla povertà che esemplarmente professano, studiassero a rifarsene per decoro del tempio con la modesta ricchezza che danno le arti a' luoghi sacri mentre giovano a fomento di pietà religiosa. Debbono stimarsi contemporanee o posteriori di poco alla fondazione le tavole de' singoli altari, come dice per sè il nome degli artefici a' quali furono commesse. Neil' elenco che siamo per tessere non vuol negarsi il primato a Bernardo Strozzij che nel 4598 abbracciò la regola di questi padri, e dopo il noviziato abitò questo chiostro. È frutto del suo pennello il S. Felice da Cantalice che prende il bambino Gesù dalle braccia di Maria; tavola della prima cappella a man dritta. Non si saprebbe contarla tra le migliori di questo ardimentoso colorista, nè tra le più conservate; e a dir vero, presso una religione che prese poscia in disdegno, e da ultimo fuggi a suo gran rischio, non dovea restare di lui miglior memoria di questa. — Le tavole de' tre altari che compiono il numero al di qua del santuario furono dipinte da Bernardo Castello con questi soggetti: sant'Antonio di Padova visitato da Gesù bambino, il Crocifisso, e S. Francesco d'Assisi che veste dell' abito monastico santa Chiara. Durano al loro posto le due prime, nelle quali ho creduto di vedere la miglior'epoca di questo pittore; espressioni severe, disegno cercato in natura, tinte vigorose ed amene, quantunque le ombre ricresciute ne scemino l'effetto. La terza venne tolta, son pochi anni, dal secondo altare a destra e locata, a quel che m'è detto, nel convento; piacendo sostituirle nella cappella oltre a varie imagini sei quadretti di Santo Panario, una scultura d'Anton M. Maragliano j che rappresenta le stimmate di S. Francesco, esistente in addietro nell' oratorio di questo titolo. — Giambattista. Paggi colorì finalmente per l' aitar maggiore la Immacolata, gentile composizione, e arricchita di graziosi angioletti che fan corona a Maria, e ne simboleggiano le virtù. Non basta l'altezza a cui è posto il quadro per occultarne i danni e i ritocchi; ma poco che vi resti de! dipinto originale parrà sempre miracolo; dacchè la tela destinata a sipario della nicchia, or si cala, or s'innalza a talento de' PP. nelle feste solenni. Scuopre allora un' imagine in legno del medesimo argomento, scolpita modernamente da Bartolommeo Correa^ statua pregevole, ma non tanto che l' opera d' un Paggi debba servirle di copertoio. D' altre sculture fu ornato l' altare in epoche precedenti, come delle imagini de' SS. Francesco ed Antonio, lavori d'un Giulio Casanova artista di niuu grido, e timido ingegno a vedersi in quest' unico saggio. Ma certo merita quivi più lodi ciò ch'è men facile a vedersi: dico i bassorilievi di Gerolamo Pittaluga che descrivono sul tabernacolo la risurrezione di Cristo. Lor prima dote è la diligenza, die in cose picciole suole doppiamente apprezzarsi, ed è certo che a'minuli intagli dovette costui la sua fama. Uscì dalla scuola del Ciurlo, nativo com' egli di Sampierdarena, e visse fino al 4743, ricercato da' cittadini e da'forestieri di siffatti gioielli. Noi non conosciamo se non quest' mio, bastante però a largii nome nella storia della nostra scultura.


Per rifarmi ai dipinti, vorrei potermi convincere , che le ultime turbolenze civili bandissero da questa chiesa le sei tavole dello spagnuolo Morillo, che vi notano le guide auliche; singoiar tesoro per sì modesto tempio, e certo da invidiarsi ai più illustri. Ma paion dirmi il contrario le copie fedelmente eseguitene da un P. Venanzio di quest' ordine, e fedelmente sostituite al posto degli originali. Gli argomenti sono: il Presepio, la fuga all'Egitto, la Maddalena, la Immacolata, Giuseppe venduto, e S. Tommaso da Villanova che dispensa limosine ai poveri. Il Ratti aggiunge a questa nota un picciol quadro del Battista locato a' suoi tempi nella sacristia; le suddette avean posto nel coro. Ma non reggo all' uffizio di lamentar tanta perdita, nè posso confortarmene punto colle copie che rimasero, ora sparse nella chiesa e nel coro; poichè male potea veder nel Morillo quel buon religioso che dipingendo del proprio riusciva anzi spiacevole che mediocre.


Sfuggirono alla suddetta fortuna quante istorie o grandi o piccole lavorò per questa chiesa Giuseppe-Palmieri uomo devotissimo a'Cappuccini; poichè le cose men buone son le ultime a perdersi. Con lieve conforto ne ingrosso il catalogo che ne porge il Ratti, anzi il raddoppio; non curo però d'indicarne il posto, giacchè a mia memoria non istettero mai ferme in uno qualsiasi. Per chi voglia cercarne basteranno di scorta ì soggetti. Le più vaste han miracoli di sant'Antonio, quando risana la gamba all'infermo, e quando libera dal supplizio il padre innocente; composizioni ridondanti di figure senza scelta e dignità. Mi riesce più temperato nel martirio di S. Fedele da Sigmaringa, e nel B. Serafino da Montegranaro che guarisce un paralitico, tavole

da anteporsi alle suddette per merito. E proseguendo si migliora. Non mancano di gentilezza due altri suoi quadri col miracolo della mula che s'atterra all'ostia recata da sant'Antonio, e coll'Angelo che mostra a S. Francesco la mistica ampolla; ne' quali è anche un certo artifizio di luce e d'ombra, e un colore sì nitido da far Ti va e gaia la scena quanto l' occhio desidera. Ad ognuno di questi suolsi preferire quel S. Felice in atto di vezzeggiare il bambino che si vede ad un altarino della porteria, per le grazie (credo) che v' han qualche parte, mentre paion matrigne ad ogni concetto di lui. Una tela della Samaritana appesa nel coro non troverebbe luogo ( tanto è mediocre ) in questo numero, se non ci convenisse recarci colà per veder altro, e specialmente una tela con Cristo alla colonna di Luca Cambiaso, affissa in cornice sul tergo dell' aitar maggiore.

Non è picciol vanto de' Cappuccini il possedere gli unici dipinti che in Genova mettesse al pubblico quel severo intelletto di Angelo Banchero. Son due busti di santi dell' ordine in tele ovali, ch' ora han luogo sull' esterno dei pilastri attigui al Sanata Sanctorum. Il magistero e il giudizio d' un grande artefice non si perdono in campo angusto; vive ed animate son quelle teste, i pochi panneggiamenti larghi e risoluti, il disegno e il colore ugualmente studiati e veri. Direi più encomii se il fermare l'intelligente con sì picciole tele non fosse per lui quasi un epilogo di lodi. Parecchie altre d' egual dimensione ma d'autori diversi son qua e là per le cappelle, come un bel S. Giuseppe del FranceschiTM', una Madonna col putto d' alcun de' Piola, un'altra di Raffaele Badaraccoy e due finalmente con Cristo all' orto e alla colonna, piene del gagliardo stile d'Andrea Ansaldo. Nè tacerò un S. Francesco dello Strozzi appeso sovra l' uscio della sacristia, in cui le forme volgari han compenso nel vigore delle tinte; piceiolissimo quadro che facilmente sfuggirebbe a' nostri occhi, sebbene tutt' intorno vi s' accrescesse la tela per aggrandirlo.

Ognun vede qual messe di cose egregie si racchiuda nell' umile chiesa de' Cappuccini; e dico umile perchè il vuole la loro povertà, nè cercan' essi di mentire all' istituto. Ma questa istessa modestia, e l'assiduo culto, e dirò anche le amenità del colle, paion fomento alla pietà dei fedeli, nè v'ha luogo in Genova sì prediletto da' cittadini per accogliervi in pace le ossa de' suoi più cari. Da questa gara ebbe origine un altra ricchezza ch' io non posso fraudare alla descrizione della chiesa; intendi i cenotafii marmorei, che grado a grado si consacrano da faraiglie agiate alla memoria de' loro defunti. Donde si schiude eziandio una nobile palestra agli ingegni, pochi essendo i nostri scultori a' quali non desse occasione di segnalarsi quel tenero uffìzio di congiunti e d' amici. Non so quanta posterità s'abbiano a ripromettere quest'opere, tramutate spesso di parete in parete per far luogo a nuove richieste; basta a me ch' esse sien degne di lunga vita per tessere in questo articolo un rapido sì, ma diligente catalogo delle migliori. II Prof. Santo Varni, e pel numero e per la bellezza delle proprie vuol esser primo in cotesta schiera. Fiancheggiano l'altare del Cristo due monumenti ch' egli scolpiva per le ceneri della contessa Claudia Cobley, e di Genovino Paulucci, moglie e figlio di Sua Eccellenza i' attuai Governatore della Divisione di Genova; l'una espressa in atto di volare all' immortai seggio de' beati, l' altro di ritornarsi al paradiso sulle braccia del suo angelo tutelare. Men ricchi di questi ( ne' quali è profusione d' ornati compostivi da lui ) ma pur leggiadrissimi in diverso concetto sono altri due col nome di Josephine Monteiro Edlmann, e di Giuseppino Collano; nel bassorilievo che fa specchio al tumulo della prima veglia la Religione, figura di aspetto venerando, ravvolta in funereo paludamento; il secondo mostra in breve lapide lì anima dell' estinto putto volante a Dio nel bacio degli angeli. Di più mole e d'egual bellezza son le urne di Francesco Ronco ove il Varni simboleggiò Li pietà de' figli nella Concordia che abbraccia il vaso cinerario, e di Lamba Doria ove figurò la Speranza d'un bene eterno, e di Gio. M. Cambiaso che ha un genio piangente, e un' ultima coll' imagine della Rassegnazione. A sinistra della porta d'ingresso si va formando, mentr' io scrivo, una nicchia destinata ad accogliere il monumento della contessa Piuma, il quale mi piace annunziare perchè d' una bellezza non comune, e fuor di dubbio superiore a quante ne pose quivi il suddetto artista. Alle spoglie di Vittorio Fontana compose un sarcofago Carlo Rubatto, sovra cui sta in atto di preghiera lo spirito del defunto; figura gentile e condotta con molto effetto. Le sta di contro la tomba di G. B. Carignani sovra cui Giuseppe Chiappori, che ne è autore, finse il cadavere ravvolto in funereo lenzuolo, e la vedova che prega e veglia al sepolcro. Nondimeno gli procaccia maggior lode il cenotafio sul destro lato della porta, di Francesca Gromo Rosazza, ch'egli espresse in sembianza di beatitudine sullo specchio mezzano; del resto si deve il merito a più ingegni, com' è il Pittaluga che ne tracciava le linee generali, il Varese che disegnava gli ornati, e XArduino che li produsse nel marmo con invidiabile accuratezza. Nè lascerò senza lode due giovani scultori che muovono i primi passi nell' arte, e promettono bei frutti avvenire. L' uno è Felice Vassallo, di cui non mi fermerò ad osservare quel putto che giganteggia sul sepolcro del Dott. G. B. Campanella, poichè gli viene miglior suffragio dal bassorilievo posto ad Ernesto Defferrari fanciullo lattante, che mostra la madre in atto d' offerire a Dio l' estinta creatura, con una tale espressione di dolore che scende all' anima. L'altro è Francesco Canale, del quale abbiamo entro una nicchia a sinistra una figura di donna che piange sull' urna di Caterina Rossi Barabino; concetto grazioso, ed eseguito con garbo.


Così gran parte de' cittadini sono stretti ad amar questa chiesa per legami di religione e di sangue, e fanno una pietosa vista tanti sepolcri e tante imagini coronate di fiori e di cipresso quando l'anno rimena la solenne commemorazione de' morti. Anche i PP. recano allora questo tributo alle ossa de' lor confratelli che raccolgono in depositi sotterranei alla chiesa ov'è pure una cappella e un altarino con l'imagine del Deposto, in tela semicircolare dipinto dai Piota. Il tempietto edificato sul manco lato della piazza è recentissimo lavoro eseguito per soddisfare a richieste d' altri tumuli. Il valente gio

vane Gaetano Vittorio Pittaluga ne disegnava Io spartimento, ch' è un tempietto nel centro, e sui fianchi una doppia ala pei depositi. Un quadro colla sepoltura di Cristo, opera del CambiasOj comprato sulla pubblica strada ebbe luogo al picciolo altare, e quivi fa testimonio della sollecitudine onde cercano i PP. che i minimi arredi della lor chiesa sian degni di lode.

E noi lodandoli come sappiamo meglio inoltriamo ad altri luoghi, tenendoci sulla destra, per una ripida discesa che lungo gli antichi bastioni cammina al Portello. Non siamo a metà che cade sui nostri passi la Chiesa Di S. Giovanni Battista coll' attiguo convento di monache dette le Romite , o più volgarmente le Battutine dal nome della fondatrice. Ella chiamossi Maria Antonia Solimani finchè stette al secolo, poi suor Giovanna Battista cinto ch' ebbe il velo monastico. La vita di lei è una cosa coll' istoria di questa chiesa; e noi ci sciorremo dal debito di descriverla toccandone rapidamente i fatti principali.

Nacque nel 1688 a' 42 maggio nel delizioso sobborgo di S. Martino d'Albaro da Gio. Giuseppe Solimani ed Angela M. Belandi, e i suoi primi trastulli ne presagirono la santità. Fatta adolescente mostrò forte desiderio del chiostro, e come destinata a fondar -nuove regole, si dilettava di raccorre fanciulle in sua casa, ed esercitarle in atti di devozione e di penitenza. Ci si racconta che giovinetta e digiuna di lettere mettesse in iscritto le costituzioni del futuro ordine, le quali da' congiunti e dagli attinenti venivano prese in dileggio come sogni di puerile fantasia. Ma la serva di Dio vincendo ogn' intoppo colla fermezza dell' animo trovò conforto ed aiuti nell'abate Matteo Franzoni, ed orecchio dall'arcivescovo Nicolò Maria De Franchi; e toccava appena il trentesimo anno allorchè fidata a sì valevoli patrocinii si accingeva a ridurre in forma di monistero una casa lasciatale per testamento dal genitore. Questo primo tentativo andò a vuoto, o per non esser maturi i destini, o per iscarsezza di mezzi, grande scoglio ad ogni nascente istituto. Ripetè la prova, assistita dal Rev. Domenico Olivieri arciprete di Moneglia; e convennero che si fondasse il reclusorio in quella terra dell'orientai riviera; nè corse assai tempo che impetrate dall' arcivescovo le opportune licenze, congedatasi dal Franzone e dalla madre che teneramente l' amava veleggiò per Moneglia colla scorta di due dabben sacerdoti Alessandro Grillo e Gio. Benedetto Bollo, deputati a ciò da quel comune.

Afferrò quella spiaggia il 7 giugno del 4730, e con lei certa Maria Teresa Assereto di Recco, che per cammino avea presa in nave, e che fu sua prima compagna nell' istituto. Colà trovarono accoglienze dall' arciprete e dagli anziani, ed ospitalità nella casa d' un Giuseppe M. Multedo; ma fu anche mestieri che alla degna coppia soccorresse la pietà de'terrazzani, non sapendo esse nè come acconciarsi in quell'ospizio, nè come sostenersi col vitto. In breve aggiuntesi due altre suore ed una conversa, la Solimani diede principio all' osservanza propostasi, curando insieme ogni uffizio di carità, ammaestrando le fanciulle del borgo, ministrando agl'infermi; di guisa che gli abitanti ne furon presi di tenerezza e di rispetto. Io non potrei tener dietro al numero delle zitelle che grado a grado popolarono il modesto reclusorio; bastimi il dire che dopo quattr' anni convenne provvedersi di più vasto locale, che fu una casa venduta loro dal Sig. Cesare Tagliaferro, e racconciata dall'entusiasmo dei borghigiani, ove si posero' in miglior ordine, e costrussero una cappelletta pei divini uffizi.


Superate queste prime difficoltà, Maria Antonia spinse i desiderii all' approvazione pontificia, formale stabilimento d' un monastero. Tornò a Genova nel dicembre del 4736, e preso alloggio nella casa delle Medee, cominciò le istanze presso l'arcivescovo e presso il Doge regnante allora, Nicolò Cattaneo. Questi ed altri personaggi a' quali raccomandò la sua causa fecero avviso che Moneglia non fosse luogo opportuno a tal fondazione, e l' esortarono a ridursi in patria, ed ella non dissentendo, cercava frattanto d'aver commendatizie dal Doge onde aprirsi una strada al Pontefice. Tai mezzi non ottenne giammai 1; ed oltracciò tentavano di scorarla i rimbrotti della propria famiglia, clic imitando un esempio frequente quanto reo, le stava a'panni per distorla donde l'animo imperiosamente la trascinava. Tornò dunque a Moneglia; ma in questo mezzo due officiosi sacerdoti feano ricerca d'un locale, e il trovarono in breve assai comodo , ed acconcio a vita eremitica sul promontorio degli Angeli. Fermati i patti colle monache celestine della Chiappella che ri erano proprietarie, e l'atti que'lavori che bisognavano, la Solimani colle suore vi si traslocò nel dicembre del 4737, non senza grave e giusto cordoglio de'monegliesi. La seguitò, rinuuziata la carica, l' arciprete Olivieri, e tutto si diede alla spirituale direzione di esse. Non dirò la penuria e le avversità ch' ebbe a sofferire la pia Madre in questo nuovo asilo, ove primamente celebrò la festa di S. Giovanni Battista, tutelare ch' ella si avea scelto dall' infanzia; piacerai seguirla a Roma per dove s'incamminò finalmente col permesso del confessore e del vicario generale.


Fidatasi al mare toccò di volo Sestri e Viareggio; poi dentro terra per Pisa, Siena e Viterbo raggiunse la capitale del mondo cattolico. Quivi trovò adito alla principessa Piombini, per cui mezzo il memoriale di fondazione fu sottoposto alla sapienza di Benedetto xiv, e da lui rimesso all' esame del P. Mario Maccabei barnabita suo confessore. Dopo molte indagini e molti esperimenti per tastare la virtù e la costanza della serva di Dio, le furono consegnati i brevi d' approvazione dal detto P. Maccabei a' 7 febbraio del -1744; nella sacristia di S. Carlo a' Catinari.

Tali furono le origini delle Romite, e gli atti di santità praticati dalla fondatrice. La quale restituitasi a Genova, presentò a monsig. Domenico Saporiti arcivescovo le costituzioni, assunse il nome di suor Maria Giovanna Battista, e guadagnato l' animo del Doge Lorenzo Demari e di altri cospicui uomini, si volse ad ordinare viemmeglio l'istituto, e a fabbricarsi una chiesa con più capace chiostro. Mentre era in Roma avea fatto rifiuto d' un palazzo che il nobile Carlo Giustiniani le offeriva in dono sul colle di Carignauo j ritornata accettò i giardini e le case eh' ei

le profTersc in vicinanza del primo reclusorio siill' altura degli Angeli; ma quando vide il patrizio amareggiarsi dell' usatale larghezza, gli abbandonò di presente il fondo, e diessi a cercare d'un nuovo. Fermò l'attenzione sopra una casa di cerio Sig. Bartolommeo Mussola situata quivi lungo la salita de' Cappuccini, ove abitavano ancora terziarie Domenicane sotto il titolo di Figlie di santa Rosas già risolute però di sloggiarne. Per atto rogato il \.' settembre del -1745 se ne conchiuse il prezzo in lire 48000, delle quali si pagarono di presente 45000, e ben presto fu estinto il debito mediante l'offerta d'un ricco mercante che die'cento filippi, e una tenue somma che si tolse ad imprestito. Con altre limosino che di mano in mano venivano da'cittadini si fecero i primi lavori necessari alla clausura, e il -10 marzo dell' anno seguente le monache con modesta cerimonia vi si trasferirono dal convento degli Angeli; e nello aprile presero l'abito di S. Gio. Battista dalle mani del suddetto arcivescovo Saporiti.

Come poi s' accrescesse il monastero secondo che il numero delle zitelle, e dirò anche le limosino, aumentavano è cosa che ognuno può congettarare di per sè. La chiesa era angusta in que'primordi]', nè il coro bastava oggimai alle suore, nè avean capitolo pe' loro uffizi. A ciò uon si provvide prima dell'anno -1752. In quest' anno a' 21 di agosto l' arcivescovo pose la prima pietra della nuova fabbrica, la quale durò un triennio, e fu compiuta per le offerte dei pietosi, e cogli scarsi sussidii che le monache traevano dal quotidiano lavoro. Come Dio volesse lasciare sulla terra la venerabil donna quanto bastasse a mandare ad effetto gli ardenti voti della sua gioventù, ella non sopravvisse lungamente a quest' opera. Eletta ad ogni rinnovarsi di suffragi abbadessa del monastero, ammirata da' cittadini, compianta dalle suore morì settuagenaria l' ottavo giorno d' aprile del 4758. Il cadavere fu riposto in cassa di piombo, e depositato nel muro che cinge il capitolo sul sinistro fianco dell'aitar maggiore, e sotto il suo ritratto marmoreo si scolpì quest' epigrafe: Joannae Mariae liaptistae Solimani>'j primac huius mona&terii matris abbatissac depositum. 1/1. et Rev. .D. D. Josepho Maria de Saporitis januensi archiepiscopo filiarum precibas annuente conditimi anno Mdcclvih tertio idus aprìlis.

La fondatrice prescrisse, vivendo, la povertà; nè volle che il decoro del tempio si cercasse <1' altronde che dalla modestia e dalla pulitezza. Il precetto fu mantenuto dalle superstiti e rispettato dalle suore , che d'allora in poi si elessero questa clausura per emulare le virtù della Solimani, e meritarsi ugual premio da Dio. Di buona e certa pittura non ha I' interno se non una tavola coll'Annunciata di Domenico Piola, nò questa può dirsi eseguita per la lor chiesa, se guardiamo alle epoche, ed alle aggiunte che si fecero alla tela per adattarla alla cornice. Un'altra che pende al disopra della porta è di autore incerto, e dono (mi vien detto) d'un generoso patrizio. Non ripugnava a modestia, anzi era pregio di pietà, il dipingere al difuori l'imagine di S. Giovanni Battista titolare, come s'è fatto negli anni scorsi. Al buon desiderio delle Romite soddisfece degnamente il giovine pittore Giacomo Ulisse B orzinoj al quale io mi congratulo, perchè in una figura ch'altri avrebbe dipinta a gran fretta e come cosa di puro effetto , egli mettesse studio di coscienzioso artista, e non pago abbastanza de' primi tratti, distrutto in parie l'intonaco, ricominciasse il lavoro. Tai modi sono un elogio al pittore, ed io non dubito di porlo in iscritto, anche a costo di fraudar poche linee all' ottimo disegno, al succoso colorito alla destra esecuzione, che lungamente si potrebbero lodare in quest' opera.

Compiuta la discesa infino al Portello rasente le mura dell' antica cerchia, abbiamo sulla destra un altro colle, a cui non dobbiamo ricusarci malgrado la lunga e ripida salita, se pur ci aggrada esaurire ogni visita. Questo colle, o questa falda, a dir meglio, del monte Pcraldo che sovrasta maestosamente e per lungo tratto alla città, diceasi anticamente Bachcrnias e a' tempi del Giustiniani, che sotto tal nome ne fa cenno, era popolata di case quante poteano aspettarsene in solitario sobborgo. Chiusa che fu Genova in più largo recinto, questi luoghi si gremirono d'abitazioni urbane e villerecce; onde l'intralasciarli non sarebbe picciola perdita alle nostre osservazioni.


Però lentamente ascendendo fin presso a metà, riposeremo un tratto alla modesta Chiesa Del Bion Pastore, e cercheremo notizie dell'attiguo Moinastero fondato da pochi anni a diversi oggetti. Contuttociò l'istituto che vi mise radici non è nuovo nè oscuro, poichè da due secoli sussiste in Francia, approvato da'Papi, e da Gregorio XVI insignito del generalato fin dal 9 gennaio 4855. Due religiose ( per quanto mi vicn detto ) della congregazione stabilita in Angers sotto il medesimo titolo, suor Maria Teresa di Gesù vedova Canespel, e suor Maria di sant'Eleonora Bonnebarbe vennero a Genova sulla metà del iSAi col pio desiderio d'introdurvi gli uffizi di pietà e di beneficenza che formano lo scopo del loro ordine; la prima reggea gli uffizi dì superiora, e le si deve il nome di fondatrice. Sprovvedute di tutto, non fidavano che nella carità di questo pubblico, e nella utilità delle opere ch' esse intendevano di far quivi, secondo gli statuti della lor fondazione; nel 4842 era aperta la casa, e a'22 di luglio contava già ben quindici ricoverate. Delle quali opere si dava nel 4845 caparra a' cittadini con un manifeslo firmato dalla seconda superiora suor Maria di san Raffaele di Robineau: « riceverebbero nella nuo« va casa quelle infelici che avessero avuta la « disgrazia di deviare dal retto sentiero, e da« rebbero ricetto eziandio a quelle fanciulle, le « quali o per essere rimaste orfane, o per la « posizione de' proprii parenti non fossero in « grado di avere un' educazione abbastanza cri« stiana ». Frattanto poncano in ordine, previo il Regale assenso ed il placet dell'Arcivescovo, il presente conservatorio, diviso secondo i bisogni delle accennate due classi, e sperando nelle private sovvenzioni, e ricorrendo alla comune pietà provvedevano al loro stato col lavoro e colla pazienza.

L'esito chiari ben presto, che in città come è Genova non può mancare alimento ad una pianta che prometta tai frutti. Colle raccolte limosine, e col prodotto della tenue pensione sborsata dalle prime alunne diedero forma di stabilimento alla loro casa, e prevenendo i mezzi colla fiducia Auzebi. Guida di Genova Voi. II. i

Michele Carlo 1 Danielli di fingere una gloria di putti in uno spazio lasciatovi dall'ornatista. Quel nobilissimo pennello di Giuseppe Frascheri ha compiuta una tela con santa Filomena da porsi ad un degli altari, ed è presso a compiersi una statua del Buon Pastore colla pecora in collo, leggiadra e degna figura di Giambattista Cevasco che avrà luogo sull'aitar maggiore.

Possiamo a grado nostro proseguir la salita fino all'eminenza di sant'Anna.

Questa balza del monte Peraldo fu gremita in addietro (mi si conceda l'iperbole) di santuarii o cappelle innalzate dalla pietà cittadina, delle quali s'han memorie scarse, nè molto giova l'investigarne, avendo ognuna di esse ceduto all' urto de' secoli. Se possono riuscir grati alcuni cenni, si deve il primato a quella de'santi Bernardo e Guglielmo nominata negli annali del Giustiniani sotto il 4548, ma assai più antica, e, stando alle tradizioni, la prima che nel mondo cattolico portasse il titolo del santo abate di Chiaravalle. Fu sempre di spettanza del Duomo, che vi preponeva un rettore, finchè venuta in possesso del canonico Andrea Grimaldi, costui latto vescovo di Nebbio la rinunciò di bel nuovo al Capitolo, e questo ai monaci armeni di S. Bartolommeo co' locali attigui sotto l'onere d'un annuo censo di soldi 40, e della celebrazione degli uffizi divini. Cessato quell'Ordine nel 1850 ricadde ne'canonici della metropolitana, e non molto dopo venne in possesso di privati; poich' essi la cedettero in locazione perpetua a'signori Merello nel 4692, e riavutala per caducità di que' signori, nel 4756 la trasferirono con simile atto ne' nobili Sartorio. D' un' altra cappella intitolata a sant'Erasmo si conosce e l'autore e l'epoca, essendo certo che la fondò nel 4474 fra Gerolamo da Quarto, e che la unì al convento di sant'Agostino colf obbligo di celebrarvi messa ogni giorno festivo dalla Pentecoste insino al novembre. Ma niuu'altra memoria se ne può scrivere, se pur non vogliamo aderire ad una tradizione che la faceva antichissimo romitaggio di monache.


D'una terza col titolo Di Saht'anna costrutta in tempi remoti nel sito ove sorge attualmente la nobile Chiesa de' PP. Carmelitani Scalzi non si ricava dalle vecchie carte se non T esistenza; e fors'anche di questa si dubiterebbe a' dì nostri ove que' frati edificandosi quivi una chiesa e un convento non avessero perpetuato nella novella fabbrica il titolo dell'antica. Questa oscurità di notizie mi permette di cominciare senza altro indugio i cenni dell' Ordine che venne ad abitare nel xvi secolo quest' amena pendice, e della chiesa che quivi costrutta vagheggia sovra un'opposta collina il tempietto di santa Maria della Sanità, posseduto fino al tramonto del passato secolo da' medesimi religiosi. Fra i primi alunni della Regola istituita in Ispagna da Teresa di Homada fu Nicolò Doria nobile genovese, il quale dopo la morte dell'istitutrice avvenuta in ottobre del 4582 venne scelto a preposito. Da' conventi di Castiglia ove stanziava il buon patrizio si ricordò della sua Genova, e s'accese del desiderio d'introdurvi quella riforma, che fin dal 457-1 per beneplacito di Papa Gregorio XIII era stata prosciolta dall'obbedienza de'Carmelitani, ed eretta in separata provincia sotto il titolo di sant'Elia. Egli fece ritorno alla terra natale l'anno 4584, traendo seco un'eletta de' suoi frati spagnuoli, ed ottenuta dal vicario arcivescovile la cappella od oratorio di sant'Anna, vi s'acconciò il 4.° dicembre di quest'anno per proseguirvi insieme a' colleghi l'osservanza delle costituzioni di santa Teresa. Nomavasi nella religione fra Nicolò da Gesù e Maria, e nel -1588 fu innalzato alla carica di vicario, poi di generale nel -1599. La fama che avea precorso a Genova l'arrivo di questi Padri, la estimazione che già n'era nata fra i cittadini, e i validi aiuti della nobile famiglia onde usciva il provinciale, diedero ben presto i mezzi di alzare da'fondamenti questa chiesa colf annesso monastero sulle rovine della vecchia cappella, e di ornarla con sufficiente decoro.



Mori il Doria nel -1600 in concetto di venerabile , e col conforto di veder propagata in Genova la riforma ch' egli v' avea introdotta con tanta sollecitudine. In altro luogo di questa guida vedemmo come Suor Maddalena Centurioni di nobilissima stirpe e genovese anch'essa, ri stabilisse contemporaneamente la regola medesima, guidando di Spagna alle nostre contrade un numero di suore che aveano colà vestito l'abito della Istitutrice, e fondasse due monasteri in vicinanza dell'Acquaverde. Queste chiese de'Carmelitani Scalzi, già note e predilette da'cittadini per l'osservanza che vi si professava, crebbero nel loro affetto quando la fondatrice dell'Ordine fu ascritta da Gregorio XV al catalogo de'santi, insieme a'beati Ignazio di Lojola, Francesco Saverio, Filippo Neri ed Isidoro Agricola, cioè nel marzo del 4622. La fausta occasione fu celebrata c>n grande solennità in tutte le chiese de'Carmelitani, e s'udirono tre oratori di bella fama recitar le lodi della nuova santa, cioè Monsig. Agostino Mascardi vescovo di Sarzana in questo tempio, Monsig. Paolo Aresi di


Tortona nella chiesa di Gesù e Maria, e il sacerdote Lorenzo Grossi in quella di santa Teresa. Anche i dipinti onde s'adornano gli attari della presente chiesa sono un elogio a chi n'ebbe in seguito il governo. Prima d'ogni altro artista dovette servire a' Carmelitani Aurelio Lomi, del quale trovo due imagini, di Cristo e della Vergine, ai lati della porta, ed altri divoti quadri di minor dimensione entro il chiostro e la sacristia. Ma qual che sia l'epoca in cui fu richiesto da loro il nostro Domenico Fiasella, egli è certo che niuno lo vince di quanti o prima o dopo lavorarono per questi Padri. Le due cappelle più vicine all'ingresso vantau'opere di lui benchè troppo dispari di merito; luna a sinistra ha il martirio di sant'Orsola, l'altra sant'Andrea che adora la croce nell'incamminarsi al supplizio. Della diversità de'due quadri meraviglia il Soprani medesimo, e l'attribuisce alle intermittenze a cui soggiaciono talvolta i più valenti artisti; ma chi potrammi asserire che il Fiasella le facesse in un tempo? Amo di starmi al probabile, nè v'ha titolo che basti a farmi credere un pittore ad un'ora medesima eccellente e mediocre. L'esecuzione più ch'altro tradisce l'età degli autori, e chiunque s'affisa nella sant'Orsola crederà di trovarvi la vecchiezza di Domenico ne' contorni stentati o men facili, nel tinger men vario, nell'impasto men gagliardo. Comunque sia, la tavola del sant'Andrea le rapisce ogni lode, e toglie a me la facoltà d'aggiunger parola che miri ad altro. Il grandioso soggetto è reso con grande eloquenza in poche figure: il santo che vista da lungi la croce del suo martirio, innalza le stanche mani a benedirla; tre o quattro satelliti che mentre lo sospingono da tergo paiono stupefatti di quella devota calma dell'apostolo, e ne ragionano tra se; ed una donna tutta compresa di pietà, con un suo putto che torce il viso allo spettacolo. Non vidi mai più nobilmente adottato pei modi del comporre il precetto de' Caracci; benchè nella loro scuola mi convien pure muovere in cerca del tipo, a cui il Sarzana (imitator sempre quantunque libero) deferiva in quest'opera. M'arresto al Guerrino, e scendendo a'confronti, mi vi par tanto di quel sommo, che il dirlo a parole sarebbe un nulla verso quello che l'occhio può giudicarne. Ma niuno s'adonti perch'io dia nome di imitatore al Fiasella; com'egli imitasse ho procurato di scriverlo altrove. I pregi sostanziali non sono mendicati d'altra fonte nel presente martirio; non s'hanno che dal proprio ingegno quelle forme severe e nobili che scorgo in ogni figura, nè l'arte altrui può insegnare quella giustezza di contorni, quella verità, quella finitezza, quell'armonia che si lodano in ogni parte del quadro. Se fosse in mio arbitrio il diffondermi in ciò che più mi diletta, vorrei lungamente analizzar questi pregi; ma ciò si lasci agi'intelligenti, e a me basti il conchiudere, che la tavola di sant'Andrea è chiara prova di quanto il Sarzanese stia sopra a tutt' altri della nostra scuola in ciò ch'è natura ed evidenza.



Segue la cappella dedicata a S. Giuseppe e una tavola con questo santo ammonito dall'angelo, di Agostino Ciumpelli fiorentino, e discepolo di Santi Titi. Presso a quel nostro mi par l'uomo che si studi a piacere, mentre l'altro vuol persuadere e commuovere. Quanto alla maniera di lui, le parole del Lanzi ne fanno il ritratto; lo chiama men profondo, meno inventore, meno compositore che il Titi, ma pittore di belle idee, disegnator buono e lieto coloritore oltre il costume della scuola fiorentina, se non che tiene alquanto del crudo, e abusa talora del rosso senza accordarlo a sufficienza. In quell'epoca, che i pittori toscani traevan dietro a'lor maestri procacciandosi d'aggiunger vezzi all'arte, i genovesi aspiravano a mutar gusto e chiamarsi naturalisti; cagione, cred'io, perchè le tavole fatte da costoro sulla prima metà del secolo xvu stan vittoriose al confronto di molti stranieri, essendo giusto che la natura prevalga

all' arte. Ond' io non so posporre al Ciampelli una tela di Castellino Castello che gli sta ri lupetto sull'altare di santa Teresa, entrovi la seryfina incoronata per mano di Gesù. Allievo del Paggi, come vedemmo ne' cenni istorici, condiscese da ultimo a' naturalisti, e tuttochè ne scapitasse come ognuno che abiura il primo stile, ha nondimeno que'pregi che si trovano sul vero, e compensa con questi la soavità delle opere giovanili. Basti accennare la massima del panneggiare , maestosa, larga, e spontanea , il disegno severo, il chiaroscuro risentito,ma giusto e rac- collo in bella massa.

Nelle terze cappelle son disadorni gli altari se l'ornamento si misuri dalla bellezza delle opere. Quella a sinistra è sacra a N. D. del Carmine e n'ha l'imagine nella nicchia oltre a figure d'angioli nella mensa, mediocrissime sculture che rappresentano l'infimo grado delle officine carlonesche. Con più affetto si notano quivi due tele semicircolari dipinte da Anton Maria Vassallo per commissione di Claudio Spinola, poichè oltre a certe grazie di colore e di concetto che vi si trovano, le fece preziose la brevissima età dell'autore, che non lasciò più di tre opere al pubblico.

Nello scorso secolo Francesco Schiaffino eseguì per l'aitar maggiore la statua in marmo della santa titolare, a cui null'altro manca per ornar degnamente un gran tempio, se non l'essere frutto di buona scuola, o piuttosto di buona età. Senio dirmi che le manca il meglio per non dire il tutto; nè ardisco rispondere. Se tra le opere di quest'ultimo e sfrenato manierista ha forse il primato della mole, e dal Iato della meccanica può far le meraviglie de' mediocri osservatori, certo è che i difetti dello stile vi sovrabbondano; le pieghe son più che mai svolazzanti e contorte a capriccio, ed ogni parte modellata con cgual raziocinio. A questi artefici usi ad appagarsi della corteccia e a servirsi d'una sesta, basterebbe un giudizio in tutto il corso del libro; pur non so come, mi trovo ad ogni ora invescato ne' loro biasimi. Per tormi dal pericolo, tronco il ragionamento ed esco di chiesa. Un quadro nel coro che in istrano modo figura gli sponsali di Maria, recato forse di Spagna all'epoca della fondazione, e le quattro statue in plastica dei santi Giuseppe, Giovanni della Croce, Teresa ed Elia, modellate, son circa due lustri, da G. B. Garaventa j non bastano a farmi mutar proposito. Ma suU'uscire non negheremo uno sguardo a quel quadro che ci si offre in prospetto al disopra della cantorìa. È il solo che ci rimanga di Francesco Merano detto il Paggio, scolaro del Sarzana, vittima prematura della pestilenza.

Tai titoli, capaci ognuno per sè a mantenerlo nella stima de'venturi, non bastarono a conser\arci il dipìnto, che pur da lungi si vede miseramente screpolato e guasto in mille parti da negligenza continua. A me piacque l'osservarne d'appresso quel poco che ne resta, e mi vi parvero i semi d'artista che matura le idee, e cerca di riuscir castigato e diligente olire l'uso de' giovani. Compose in esso i martini di parecchi carmelitani; ma, ripetiamolo, non vi si scopro oggimai se non il martirio di questa povera tela, che debitamente custodita poteva compensare ne' posteri l'amara perdita dell'aulore.

Tornati una volta al piano, saliremo un altro colle che sorge al lato di Bachernia, al quale dà nome la temuta Fortezza Del Castelletto. Poche parole intorno a questa ci allevieranno lo Menio e la noia del cammino, nè in tal discorso saremo più lunghi di quello che duri sui nostri passi il minaccioso aspetto di questa rocca. La breve pianura di Montesanoj d'ond'essa signoreggia ed aggioga la città, spettava anticamente a' dominii del Vescovo, che poi ne fece donazione all'abbazia di S. Siro nel cui territorio si comprendeva. Ricuperolla in seguito il Comune, « ne cesse di bel nuovo nel 4145 a' suddetti monaci l'uso, con facoltà di costrurvi case, o spianarvi giardini ed orti a lor placito, purchè non s'alienasse il fondo a qualsivoglia titolo. Ma piacesse al Comune d'aver libera quest'altura, o già si ruminasse in mente l'importanza del sito, Guglielmo Boccanegra, primo capitano e primo tiranno di Genova, nel 4261 ricomperava l'area dall'abate, e la incorporava nuovamente ai beni del Governo. La fortezza poi, nata da lievi principii, crebbe sotto il dominio dei re, e divenne terribile arnese a contenere le intestine sommosse. Sugli albori del secolo Xy non era più che una torre imminente alla chiesa di sant'Onorato, e nelle vicinanze di S. Francesco de' Conventuali. Carlo VI di Francia, chiamato appena alla protezione di Genova, conobbe l'opportunità di quel modesto propugnacolo, disegnò d'ampliarlo e cingerlo di muraglia, e per mezzo del suo luogotenente Giovanni Lemengle o Buccicaldo (come il dicevano) maturava il lavoro. La penna di Giovanni Stella generoso istorico della Liguria, tenea memoria dell'opera con alcuni versi che furono incisi in lapide marmorea sull'ingresso de'nuovi baluardi 1; ma le lodi prodigate al costruttore non bastavano a consecrare nella mente de' cittadini quel primo simbolo di schiavitù. Con questi lavori che si cominciarono nel -1404, distrutta la chiesa di sant' Onorato, fu ampliata la torre, e due altre si alzarono sulle estremità del recinto, entro cui fu eretta una cappella col titolo della rovinata chiesuola. La felicità augurata a quel baluardo da Giovanni Stella durò appena ott'anni, perchè venuto in uggia a'nostri il governo di Francia, elessero a presidente e capitano della città Teodoro Paleologo marchese di Blonferrato, e il presidio francese, visto puntellarsi la torre che guardava a Fontana Marosa, e il popolo risoluto a far urto, si rese a patti. Peggior crollo, anzi estrema rovina toccò nel 4443, quando Genova cacciato il marchese, mosse i primi passi a libertà colla demolizione della superba fortezza. S'avvicendano i restauri e le rovine, come i nomi di libertà e di signoria. Filippo Maria Visconti duca di Milano rimise in assetto le sfasciate muraglie, e il popolo nel 1455, ucciso il governatore di lui, rivendicati i propri diritti, le adeguava al suolo. Risorsero in piedi per cura di Giano Fregoso doge nel 4448, e nel 4476 fu ad un pelo che non s'ampliassero smisuratamente dall'ambizione del duca Galeazzo Sforza, al cui dominio s'era commessa la divisa repubblica. Già buona parte di muri era aggiunta agli antichi, già si allineavano i fondamenti per protrarre la fabbrica insino al mare traverso a case e palagi; ma prima Lazzaro Doria con dispettoso atto, poi Francesco Marchisio con generose parole, mostrarono al duca, che migliore partito era il rimanersene, e tanto fu gittato a terra quant'erasi accresciuto. Così durò sino al 4528, quando dal prode Andrea Doria liberata la patria dal giogo di Francia, fu schiantato da radici il propugnacolo, nè bastò a ricostrurlo nel 4547 l'astuta politica di Cesare Figuera ambasciatore alla repubblica per Carlo V; tanto vegliava l'eroe perchè non si rinnovasse quel geloso strumento del dispotismo. Mutati i tempi, il governo aristocratico provvide, col rifabbricarlo, alla comune tranquillità, e i domimi che succedettero non rifinirono dal seguirne l'esempio, ampliando il Castelletto, e viemmeglio fornendolo di munizioni e presidii. Un notabile accrescimento fu quello del 4849, ordinato dalla Casa di Savoia, la quale per continui atti di paterno reggimento ci rende accorti, che un sì temuto propugnacolo può essere strumento di pace o di discordia secondo l'animo di chi l'adopcra.

1 Francorum regis titulos et jura reservans Arx excelia loco libi Janna praesidet isto Mille quadringentis uno currentibus anni» Condita magnanimo nunc sub Lemenigle Joanne Scgius hic marescalcus tua sepia gubernat Trans hominem solers et pacis cullar et aequi Ergo diu gaude sub tanto rege beata. Tocchiamo il piano; e dacchè fu mestieri ascendere fin qui per secondare l'ordine del nostro giro, non c'incresca il dar breve attenzione a parecchie cappelle o chiese ond'è sparso il luogo. lo debbo farlo per officio d'esattezza, ma con lieve fdica iui sciolgo del debito. Bastano pochi cenni alla Cappella E al Conservatorio Delle FiGlie (così dette) Di S. Gerolamo fonditi lo scorso secolo per ricetto di povere fanciulle da Nicoletta Levoli riminese, aiutata con buoni sussidi dalla duchessa di Uzeda. Una imagine di Cristo flagellato promuove il concorso e la devozione de'fedeli nella chiesuola di cui fo menzione. Fino a questi ultimi anni essa non era che una semplice sala rettangolare con un' ara modestissima al sommo. Ora, per industre restauro fattovi dall'architei lo Celestino Foppianij ha miglior forma , e più adatta a' bisogni dell' annesso conservatorio; è fornita d'una sacristia, s'accrebbe d'una cappella sfondata, d'un doppio coro a tribuna in que' limiti ch'erano concessi all'artista, e l'aitar principale migliorò nelle proporzioni, e riusci decoroso d'eleganti balaustri. Queste lodi non doveano fraudarsi ad un santuario, che mentre ha grandi suffragi nel cuor de' pietosi, è al tutto ignoto a' ricercatori de' nostri monumenti.

Il titolo di questo ricovero annunzia una Chiesa poco distante, nominata Di S. Gerolamo. Le angustie della fabbrica, e la poca importanza le

ban forse procacciato !' ignoranza in cui siamo delle sue memorie. Una lapide riportata dall' Accinelli in questi termini: Mccccv die Xxvii sept. Hoc opus fieri fecit Nicolaus de Monelia ha fatto attribuire a questo patrizio il merito della fondazione; ma chi sa dirmi a qual'opera accenni l' epigrafe? Essa fu smossa dalle pareti e forse distrutta lo scorso secolo dagli abitanti di queste circostanze, i quali non senza buone ragioni sostenevano, che la chiesa venia fabbricata in più remoto secolo da' loro antichi. Viene il Giscardi in loro appoggio, affermando d'averne trovate testimonianze in vecchie scritture, comechè non gli riuscisse di fissar l' epoca esattamente. Forse i signori Moneglia v' ebbero un loro altare come la famiglia De Franchi nel secolo Xvii. Il marchese Gio. Maria di questo cognome fornì la gentilizia cappella d' una tavola di Valerio Castello colla gloria di santa Rosalia, ch' è X unico ornamento della chiesa. Vi si vede il ritratto del devoto, testa vera ed animata che aggiunge pregio ad un dipinto già riguardevole per molte bellezze di quell'ardito pennello. Sulla porta all'esterno è un affresco semicircolare con la Vergine adorata da' santi Rosalia e Gerolamo. In sì picciolo lavoro posero mano due artisti, Francesco Baratta e Giuseppe Isola, poichè il primo sopraggiunto dal Gholera del 4835 non poto compierlo. Nè so qual cosa ini resti ad aggiungere di questa chiesuola, se non forse che anticamente solea chiamarsi S. Gerolamo della Rocchetta, che v'abitarono in diversa epoca gli Scolopii e i Chierici della Madre di Dio prima d'avere stanza in città, e che il Custode che l'amministra serve di coadiutore al parroco della Maddalena.


Più diffusa memoria darò ad una Chiesa Sotto Il Titolo Di Sasta Teresa, ch'entra nuova, e fors' anco inaspettata nel catalogo de' nostri luoghi religiosi, perchè obbliata fin qui, o non conosciuta dagli scrittori. Ha l'ingresso poco discosto dalla suddetta, in capo alla Salita dell'agonia d'infausto nome. Occupa l'area che fu innanzi alla rivoluzione grancìa de'Padri Cordoncini di Castelletto od Agostiniani neri, la consorzia de' quali è fama che l'acquistasse da due fratelli dell'Ordine quivi stanziati, coll'onere di celebrare per le anime loro una messa quotidiana all'altare del Cristo nell'insigne tempio de'Conventuali. Dopo il -1797 cotesto fondo, che era una villa d'un terzo di miglio iu circuito con decorosa fabbrica a un lato, fu compro da' marchesi Gentili, poscia da'signori Ferro, che nel 4842 lo cedettero alle Monache Carmelitane Scalze, proprietarie attuali. Dalla soppressione insino a quest'epoca, la fabbrica fu messa ad abitazioni civili, e la villa che facea parte della grancìa mostrava tuttora bei fregi architettonici, colonne doriche oltre a duecento che disegnavano i suoi viali, e fean sostegno a' pergolati disposti con elegante disegno. Ma questa nel 4821 fu destinata ad ampia latomìa per le ampliazioni della fortezza del Castelletto, e bastò a somministrare quanto pietrame ingoiarono i fondamenti e le mura delle nuove caserme. Poi ricolmi i vani con terreno e gettito, il suolo tornò villa comune: e solo d'intorno a'lembi non tocchi dallo scavamento rimasero le tracce di quella gaia distribuzione in parecchi colonnati, in qualche rimasuglio di comici a membrature di bel profilo, in alcun brano d'affresco, e nella porta che vedemmo sulla piazza delle figlie di S. Gerolamo adorna a bozze di pietra (malese, che fa ingresso ai viali.

Le monache Teresiane quivi raccolte sono di quell'ordine stesso, che altrove dicemmo recato a Genova da suor M. Maddalena Centurione, e ch' ebbe fino al secolo scorso la chiesa di Gesù e Maria e di santa Teresa nelle circostanze dell' Acquaverde. Congedati nell' autunno del -1842 gl'inquilini dell'antica grancia, esse affidarono al cavaliere Celestino Foppiani la costruzione del presente monastero, del quale in febbraio del -1843 si gittarono le fondamenta, e dentro Ud biennio sì ultimaron le opere sovra un area quattro volte maggiore della vecchia fabbrica, che al meglio possibile fu incorporata nel nuovo edifizio 1. Al sommo d' un viale fu locata una statua in marmo di santa Teresa, tolta al tempo della soppressione dalla chiesa di questo titolo sopra l' Acquaverde, e che dicesi dono della fondatrice, lavoro finissimo e di molta evidenza, ma d' ignoto scalpello. S'entra alla chiesa per un vestibolo, nel quale il Foppiani disegnava un colonnato che avrebbe aggiunto non lieve splendore all'ingresso, ma che non ebbe ese


1 II monastero consta di tre piani oltre a qualche locale sotterraneo; la porzione specialmente abitata è di soli due piani, lungo i lati d'un'ampia squadra, coii lunghi corridoi di circa 33 metri, fiancheggiati dalle celle, dal refettorio, e dalle sale di lavoro. A settentrione le abitazioni del custode, della fatlora, e a sinistra di questo ramo la chiesa, il coro, e la sacristia. Piace sorratlutto in questa nuora fabbrica l'infilata de'corridoi all'angolo della squadra, il loro arieggiamento e sfogatezza. I modi di fondazione adottati nella chiesa e nel monastero mentre fauno lode al Foppiani giustificano l'utilità [del metodo americano riferiti da Romey, e prescelti dall'architetto. Nella parte che volge a ponente, come in quella che fa quasi centro alla cava egli non avea platea stabile, onde senza quel ripiego sarebbe convenuto di scavare oltre a 13 metri in profondità, o di ricorrere a palafitte e calcestruzzi con lunga fatica e dispendio. Laddove col metodo americano basò stabilmente le opero con modica spesa e al livello di soli quattro metri al disotto della superficie.

cuzione. Nè tutto si compiè nell'interno a seconda del progetto, specialmente nel cornicione, nelle lesene, nelle porte e negli altari; ma nel complesso può giudicarsi l'ingegno dell'artista dall' online corinzio, che accenna senza imitazioni servili allo stile del gran Vignola, dal tono di luce che vi domina, e dalla assennata postura del coro superiore, o notturno, che in niun modo ingombra la nave su cui s'appoggia. Altre bellezze vi troveranno gli esperti; a me basta aver cominciate le notizie d' un nuovo monumento, e dischiuso il campo a migliori descrizioni.

Fra le colline di Castelletto e di Carbonara serpeggia una melanconica valle, ardua sui fianchi di brune rocce e dirupi; dai lati ha le falde sassose d' ambo i promontorii, in alto le mura dell' antica cerchia rese fosche dagli anni, qua e la brani di terra colta, e verzura che aggiunge cupezza a' luoghi. Dall' aperto ed amenissimo piano del Castelletto discende il nostro cammino sulla sinistra, giù per sentieruoli formati sul dorso di rocce vive, salutando le ridenti vette di Montesano, che dall'alto co'suoi mille casini fanno invidia a questo profondo, ove i ripidi calli ci portano in breve ora. Così la natura provvede a quello che non potrebbero le mie parole, le quali dovrei volgere a severo stile, e dis


porre a gravi ragionamenti se mi bastasse l'ingegno, o se la grandezza delie opere che ci rechiamo a visitare, fosse men potente sul cuore d ogni uomo benna'to.

Già varcato un rialzo di terra che succede all' ima vallèa di Castelletto, tocchiamo le gole di Carbonara, e misuriamo i lembi del fossato, che anticamente da' dirupati gioghi che ci sovrastano precipitava alle contrade del Guastato, di là al mare. Il più grandioso stabilimento che la pubblica e privata pietà de'genovesi edificasse giammai, il meraviglioso Albergo De' Povebi mutò faccia alle solitudini; e un palagio grandioso oltre ogn' idea fronteggia que' luoghi ove non eran prima che nude balze irrigate da un torrente. Or ci sta innanzi lo smisurato edifizio, nè però s' arresta il pensiero a considerarne il lavoro che prima non istupisca delle difficoltà che la natura oppose a sì gran disegno. Se uno sguardo a' circostanti burroni non vel dice abbastanza, leggiamo l' epigrafe posta a memoria de' fatti sul prospetto della fabbrica '. Essa ci narra le foti

1 Auspice Deo — civiuin provirirutia et liberalilate — montet dniecti, valli* coaequata — fluentum concameralum .— alveui derivatui — eyenis — cogendis, alendit — opificio piviale itutituendit — aedes extruclae — anno talutii Jinr.i.v. — La seconda e la terza linea vi furono sostituite nella rivoluzione del 1797 alle antiche, li! quali dicevano: — Serenittimo Sennlu (avente — Magi/tratti pavperum fovente.j


che durate innanzi che del colosso si mettesse pur pietra; i monti squarciati sui fianchi a gran sudore di manovali, uguagliato con lunga opera il piano della valle, il torrente costretto in sotterranei condotti, deviato il corso delle acque; cose tutte facili e brevi ad enumerarsi, ma quanto lunghe e dispendiose ad eseguirsi chi noi comprende? Più tardi, risalendo alle alture di Carbonara , porrem l' occhio sulla pianta dell Albergo, e meglio ne potremo misurar l'importanza; per ora, non più indugi al racconto de'fatti che ne consigliarono l'erezione, ed alle lodi de'benemeriti che profusero nell' opera e tesori e sollecitudini.

Fra i mali che tribolarono nel corso de'secoli la città nostra si conta la carestia del 4539, chc ridusse a mal termine i meno agiati, e generò tale una moltitudine di accattoni, che il muover passo per via era un nulla senza l' assedio di quella gente. Alla quale (convien pur dirlo) siccome a' dì nostri si mischiava una razza di ciurmadori, pro;tti a mentire miseria e morbi per nutrire una vita infingarda a spese della cittadina pietà, con forte discapito de'veri bisognosi. Al comune disastro, e al tristissimo giuoco di costoro altamente si commosse il Governo, e decretò l'istituzione dell'Uffìzio de* poveri , al quale commise di soccorrere al popolo e sban


deggiare gl' impostori, conferendogli privilegi senza fine, e il titolo di molto illustre e di prestantissimo, ed autorizzandolo a catturare chi si ostinasse a mendicare in pubblico. Il novello Magistrato rispose collo zelo che si desiderava alle sollecitudini del Senato; perchè ragunata di presente una folla di vecchi, di fanciulli e di femmine, tutti li raccolse n«l Lazzaretto alla Foce; locale, a dir vero, non punto adatto a tal'uso, ma l'unico di que' tempi che bastasse a tanto esercito di gente raccogliticcia. E durò la cosa fin oltre al 4600; ma cresciuta poi fuor di misura questa famiglia di poveri, convenne partirla in tre schiere; l'una delle quali mandossi ad abitare il luogo della Rocchetta sul promontorio di Castelletto, un altra quello della Bregara in Carignano, la terza si contenne nel primo ospizio. Se non che dal savio pensiero pullularono altri incomodi; collo smembrarsi de' ricoverati crescevano i disagi e i dispendii, e spiaceva la pluralità de' locali come un inciampo all' unità e al buon ordine dell' opera. Non fu tardo l' Uffizio a' rimedii: deliberò la fabbrica di un solo ricovero, e supplicato il Governo del consenso e di aiuti, vinse in Senato una provvisione che derogava una somma in S. Giorgio a favore della proposta fabbrica. Comprata l'area quivi sotto il colle di Carbonara, quanto

parve sufficiente al vasto disegno, intorno al 1655, sotto la vigilanza de'deputati Oberto Torre, ed Emanuele Brignole, e la direzione degli architetti Pier Antonio Corrodi, Gerolamo Gandolfoj Antonio Torriglia e Gio. Batta Griffo ebbero cominciamento i lavori. Abbiamo nel Soprani, che tutti costoro, due de' quali son lombardi e due liguri ebbero incarico di formare un disegno dell'Albergo, e che tutti ottennero del pari l'approvazione del prestantissimo Uffizio: laonde fu concluso, che di lor comune consenso un quinto se ne delineasse, come fecero, ottenendone pur comune la gloria ne'posteri. Gittate le fondamenta, e dichiarata dal Governo opera pubblica la nascente fabbrica, X Uffizio supplicò per l'apertura d'una porta rettilinea all'Albergo attraverso delle vecchie mura, onde avessero più spedito e comodo tragitto le carra destinate al trasporto de' materiali. Nè la domanda, tuttochè giusta e necessaria, andò senza molte opposizioni, poichè suggerito dal Magistrato di Guerra che aprendosi questa porta, si chiudesse l'altra vicina che riesce alle contrade dell' divella, se ne richiamarono altamente non solo i possidenti, ma le monache stesse che abitavano quel colle. Andò lenta la controversia, ma nel 4658 fu vinta per l'Uffizio, e co' disegni del Gandolfo venne formata la porta atAlizebi Guida di Genova Voi. II. -47

tuale, e spianata la via, o piazza a cui fan lato frondosi alberi ed acconci sedili.

Tornando all'edifizio, ferveano i lavori dietro le incessanti cure del generoso Emanuele Brignoli', e già si misuravano cogli occhi i profondi scavi, e le poderose muraglie innalzate olire il suolo sulla prefissa pianta, quando il tremendo contagio del 4656 sopravvenne a turbare si degni principii. Chi avrebbe creduto che quel terreno dovesse nel corso d' un anno o poco più tramutarsi in cimitero? Riboccando di cadaveri le fosse, quante se n'erano scavate in città, convenne supplire a'bisogni comunque fosse, e si fecer tumuli di queste fondamenta, le quali è fama che ingoiassero meglio di nove mila vittime di quel flagello. Ed è tenerissima istoria, che quel Brignole poco innanzi intento a'lavori, ora mutato uffizio porgesse mano alla sepoltura di quegl'infelici con fortezza d'animo più che umana, e tale da crescergli grandezza nell'opinione de' posteri. Cessata la morì i, ripigliaronsi le opere, e si proseguirono con altri sussidii del Governo fino al 4661; quando l'Ufficio esausto di tesoro, dovette soprassedere. Ma il Brignole sovvenne alle angustie, versando del proprio cento mila lire, a patto che ad ogni povero, genovese o straniero, di qualunque sesso o grado; e sino alle donne gravide si schiudesse,

una volta compiuto, l'Asilo; benchè il caritatevole pensiero, maggiore,. dirò, del suo secolo, fosse poscia ingiustamente violato dal Governo medesimo. Con quelle somme fu perfezionato il locale, almeno in quanto era necessario per farlo abitabile; chè l'attuale magnificenza è frutto di molti anni e d'altr'opere. Una giunta di tre rami di fabbrica fu intrapresa nel -1667 per cura del Brignole, e presso a questa van registrate le ampliazioni del 4677, del 4689, del 4702, del 4740, e per ultimo del 4835 allorchè sotto i nostri occhi fu protratto il braccio che guarda a ponente, e agguagliato l'intero edifizio ad un perfetto quadrangolo. Mori nel 4678 il magnanimo patrizio di cui pronunziammo più volte il nome 1, e non contento d'aver sacrificati in vita i sudori e le sostanze a favore di quest'opera,, volle in morte suggellare le beneficenze, legando ad essa dieci venteni sugli annui frutti de' proprii beni, e quante suppellettili avea poste nello stabilimento per agevolarne i progressi. Una delle condizioni apposte al legato ( chè delle altre è superfluo il discorrere) fu l'espresso divieto, che mai gli venisse cretto simulacro in riconoscenza de' benefizi, sotto pena di decadimento; singolare modestia, che più de'fatli medesimi fa grande la memoria di lui.


L'anno 4672 tornò in acconcio l'Albergo ai

«cadi d'argento per le spese della guerra contro il Duca di Savoia. La Repubblica, conoscendo 1' indole magnanima e pia di questo egregio patrizio, più Tolte lo adoperò in casi di pubblica sciagura, rome ad esempio, nel soccorrere la mendicità del contado e delle riviere, senza dire dell'istituir die si foce ad istanza di lui un uffizio destinato a provvedeie le chiese di villa, che si trovassero mancanti degli arnesi indispensabili al cullo. Morì il giorno 8 gennaio 1C78, e ordinò nel testamento che il suo cadavere fosse tumulato nella chiesa di questo Albergo presso all'aitar maggiore (son parole del testamento ) nella parte per dove sogliono scendere i poveri nel salone alle loro devozioni, affinchè il su» cadavere giaccia sempre sotto i piedi de' poveri, che grandemente amò in vita. — // suo funerale ordina si faccia con ogni umiltà, « nel modo tegnente: si vestirà il suo cadavere con (' abito da'poveri, cioè dell'opera, sarà accompagnalo da' BR. Parroco e Cappellani dell' Albergo, da simil numero dei religiosi della parrocchia con torchia accesa per ognuno a" essi, e da' narzonetti e vecchi della casa con candela accesa ec.

bisogni della Repubblica, poichè vi furono rinchiusi intorno a due migliaia di soldati piemontesi , e nel 4746 un quattro mila di tedeschi fatti prigionieri da' bisagnini e da' polceveraschi. Ma grave percossa fu la rivoluzione del -1797, che uocque ad ogni pio stabilimento; per essa vennero assottigliandosi le entrate, si dissiparono i beni in gran parte, e disciolto l'antico magistrato, subentrarono altri uffizi con nomi e titoli democratici. Questa decadenza lo seguito fino all'anno 4844 che può segnarsi come l'epoca del risorgere che fece sotto il benigno reggimento de' Monarchi di Sardegna. Mercè le paterne cure del Re Vittorio Emamele si riordinarono i crediti colla Francia, si liquidarono in S. Giorgio molte somme arretrate, e s'istituì nuovo corpo di amministrazione composto di facoltosi cittadini, onde l'ospizio vide tornata in fiore l'antica disciplina, ed accresciuta la famiglia de' poverelli. Negli anni appresso andarono vieppiù migliorando le condizioni di esso all'ombra della protezione Sovrana e per lo zelo di cospicui personaggi preposti alla direzione, talchè è gran conforto pel nostro secolo il vedere l'Albergo dei Poveri, nonchè uguale ma superiore ali antica prosperità. Presidente dell'Amministrazione è da gran tempo S. E. il March. Gio. Curio Brignole, pronipote ed emulo di quel


grande Emanuele che tanto beneficò l'istituto. A lui va debitrice l'opera non solo di molti miglioramenti economici, ma eziandio di soccorsi pecuniarii, poichè sappiamo aver egli donato alla medesima una somma non lieve all' epoca delle ultime ampliazioni, e a chi noi sa vieu manifesto dalla epigrafe postagli nel -1838 entro la sala delle adunanze che noi riportiamo siccome una dolce testimonianza che la virtù degli avi non è al tutto spenta fra noi 1.

Ho procurato di ridurre a sommi capi l'istoria di questo insigne stabilimento, sii per far guadagno di brevità, sia di chiarezza, perchè l'opprimere chi legge con un mondo di notizie accessorie, e bene spesso superflue, ben lungi dall'accrescere importanza a ciò che si descrive, ingenera noia, e confonde le cose più memorabili con quelle che son proprie d'ogni famiglia e d'ogni opera pia. Se può nascere desiderio di conoscere più chiaramente lo scopo di questa, innanzi ch' io ponga mano alia descrizione artistica, io son pronto a sciormi dal debito, alternando i cenni sulle persone ricoverate a quelli che riguardano la distribuzione de' locali destinati al loro asilo, od agli uffizi amministrativi. L'epigrafe murata sul prospetto, che ci porse un'idea delle ingenti fatiche sostenute in preparazione della fabbrica, c'insegnerà con poche ma succose parole a qual meta di pietà si destinasse compiuta. Triplice fu lo scopo nel raccogliere i poveri; dar loro ricovero e nutrimento, strapparli all'ozio ed alla volontaria accattoneria , impiegarli nel lavoro e negli atti di pietà cristiana. Di tal gente v'han presso a 1800 individui d'ogni età, separati secondo i sessi, e distribuiti in que' doveri che si affanno alla capacità di ciascuno. L'cdifizio quadrilatero fondato sovra un'area di presso a 20,000 metri è partito in cinque ripiani, ognun de' quali ha vasti e puliti dormitorii, e un numero infinito di stanze; un'infermeria serve a ricevere temporaneamente i malati che vengono poscia trasferiti agli spedali, e stabilmente coloro i quali non potrebbero uscir dall'ospizio senza pericolo di salute. Apronsi ne'frammezzi quattro spaziosi cortili a diporto de' ricoverati nelle ore prefisse. Parecchie sale son ridotte ad officina; nè puossi tacere come i poveri riescano a



molti lavori, e specialmente ne'tessuti di lana e cotone , da disgradarne assai fabbriche straniere e nostrane. I prodotti della loro industria si dispongono bellamente in altre sale a vendita: ed ogni anno nel dì festivo della SS. Trinità se ne fa pubblica mostra, e si premiano i più valenti artigiani. I frutti del lavoro sono in parte devoluti all'operano, in parte a benefizio dell'opera. Ad un Rettore è fidata la direzione dello stabilimento; alle femmine sovrintendono fin da' tempi d'Emanuele Brignole le Suore di santa Maria del Rifugio, agli uomini un sacerdote col titolo di Prefetto. Un parroco e quattro cappellani han le cure dello spirituale, e i fanciulli prendono i rudimenti delle lettere, e della storia sacra da' benemeriti confratelli della Dottrina Cristiana. Il cibo è frugale, e qual conviene a gente tolta dallo squallore e dalla miseria, ed alle sostanze d'un' Opera che alimenta sì sterminato esercito di poveri 1.

Ha la migliore istoria ne' monumenti di cotal fatta sono le imagini dei benefattori, poichè esse ci descrivono eoa muta eloquenza un lungo e continuo esercizio di carità, e propongono a tutti i secoli un imitabile esempio di vera grandezza. Su queste orme andrò tessendo la mia rivista, non avendo l'Albergo, dal lato dell'arte, maggior ricchezza di queste statue; poche parole bastano alla facciata che ancor ci tiene in sospeso. Il corpo mezzano dell'edificio si regge in apparenza sopra un ripiano a cui si monta per doppia rampa; si compone d'un ordine toscano, che fa base colle robuste sue bozze, d'un corinzio a gran lesene che raggiunge la cornice, e d'un frontispizio composito che spingendosi ben oltre la linea del tetto, piramideggia sopra lo specchio centrale. Nel vano che resta fra il timpano e l'inferiore cornice del tetto Gio. Batta Carlone dipinse nel 4663 i santi Protettori di Genova in adorazione di N. D.; e dell'affresco si scerne ancora quanto basti a scoprirvi lo stile di lui; ma qual tempra di colori sarebbe stata più salda contro le intemperie che sferzano cotesto comignolo? Venne col Carlone il suo prediletto ornatista Paolo Brozzij e colorì tra i due ordini delle finestre lo stemma della Repubblica. Di questo non resta vestigio, poichè la rivoluzione del 4797 non potè sofferire un emblema di antico governo neppure sul prospetto d'un luogo pio. Fu ridipinto lo scorso anno dal valente Giacomo Varese s non però con tal gusto che ci tolga di mente il gaio e morbidissimo impasto del bolognese. Delle bellezze architettoniche è vano il parlare ove ogni bellezza cede al comodo e all'utilità della fabbrica; e d'altra parte dopo tante opere che vedemmo di maestri lombardi, private e pubbliche, il perderci in questa sarebbe uno scherno all'impazienza de' lettori.


Per certo non è tra voi chi non aneli a por piede entro quest'aula, a visitare il santuario della cittadina munificenza, ad interrogare le imagini de'benemeriti, a contemplare i frutti perenni della loro pietà. Nè si lascia cercar gran pezza il commovente spettacolo, sì copioso numero di statue han le scale, e il maggior ripiano. Il Barberim plasticatore lombardo, portato a Genova dalla speranza o dal caso quando la fabbrica dell'Albergo avea toccato il suo fine, venne tosto occupalo a modellare i simulacri di coloro a cui l'opera andava debitrice di forti sussidii. Non vi mauca un'allegoria alla Provvidenza, titolo della colonna in S. Giorgio sulla quale il Senato concesse nel 4657 una seconda derogazione a favore delle costruzioni; espressa sotto sembianza di matrona scettrata che versa tesori da un cornucopia, con sotto il testo: Me

tjtu dìcas non est providentia. Ci occorrono allo sguardo su per le ampie scale i ritratti di Gerolamo Grimaldi il quale erogava a benefizio dcli'Albergo 60,000 scudi d'argento, d'Angelo Gio. Spinola, primo benefattore, come accenna la pianta dell'edifizio postagli in mano, e di quello eroe di carità, Ettore Vernazza, al quale i fondatori tributarono questo onore, in memoria delle cure e de' dispendii che nel secolo xv avea profusi nel congregare ed istruire i dispersi fanciulli. Altrettante statue in plastica ha l'atrio a cui le scale mctton capo, cioè di Francesco Borsotto, di Giacomo Filippo Durazzo, di Gio. Francesco Granello, e di Anton Giulio Brignole Sale, prima senatore poscia gesuita nel 4652; tutti promotori dell'opera ne'suoi principii. Mi si consenta una lode all'artista, benchè la renda inopportuna il discorso che tutto par dovuto all'encomio di quegl'illustri; ed è la pulita esecuzione, la destrezza dello stecco, la pratica insomma della materia, dote che forse dovremmo più a lungo analizzare nel Barberini se da' passali secoli infino a' nostri tempi non sembrasse patrimonio di quanti lombardi trattarono o trattan la plastica.

Niuno mi darà colpa del passare in silenzio la maggior parte de' generosi che legarono all'Ospizio le proprie sostanze; chè a tesserne l'elogio impinguerei di soverchio il volume, e il registrarne i nomi non riuscirebbe che un insipido e noioso catalogo. Basterà il sapere, che dalla fondazione in poi si succedono cotesti esempi con ordine non interrotto, che ogni secolo ed ogni età può vantare i suoi proprii, e quelle statue ch'io debbo notare siccome opere d'autore certo ne faran prova. Sullo scorcio del secolo che vide nascere l'Albergo trovo eseguito un simulacro da Monsieur Onorato francese, ed è quello del marchese Filippo Ferretto innalzato nel 467$ nell'antichiesj; si nomina un Fabio Carrusi massese, cattivo scultore, innanzi alle statue di Maria Vittoria Spinola Grillo, e di Giuseppe Maria Durazzo, eretta l'una nel suddetto luogo l'anno 4703, l'altra nel laboratorio delle donne nel 4723; ma quantunque le date c'inducano a crederlo vissuto lungamente in Genova, il reo gusto de'suoi scalpelli non mi lascia meravigliare dell'obblio a cui lasciollo l'istoria. Il peggior difetto (se stiamo alle generali) di queste e delle altre sculture lavorate per istabilimenti di beneficenza, è la sprezzata esecuzione, onde moltissime si direbbero fatte per figurare un uomo anzi che per ritrarre un generoso e trasmetterne le sembianze a' nipoti. Ma ci si mostra un contrario esempio in due bassorilievi di Giacomo Antonio Ponsonelli a' due fiati

chi dell'atrio, coll'effigie del marchese Marcantonio Grillo e di Lavinia Centurioni Grimaldi. Il secondo ha la data del -1720, nè crederei più antico il primo, a cui specialmente si dà lode d'accurato e paziente lavoro. Ogni accessorio che porta con sè il vestir di quell'epoca e la senatoria divisa; i merletti, la inanellata chioma che scende alle spalle, i ricami e simili cose che fan l'impazienza dell'artista sono condotte con una fmezza e con un garbo che scusa all'autore le pecche del manierista. Ma siccome in epoche più recenti non mancarono benefattori all'Albergo de'poveri, così non è privo il locale di statue che accennino al risorgimento dell'arte, e ci portino sulle labbra il nome d'artefici egregi. Per ragione di età si conviene il primo luogo ad Andrea Casaregi che pose all' ingresso della chiesa l'imagine di Settimia Gentile Pallavicini nel 4768, bella e diligente figura che prelude il rinnovamento operato indi a non molto da Nicolò Traverso nella genovese statuaria. Nè di questo insigne va ignoto il nome nell'ospizio, anzi vorrai preferirlo ad ogni altro se porti lo sguardo alla figura di G. B. Paganino da lui modellata in plastica nel 4794 lungo l'androne a sinistra, figura che par muoversi, e di cui lungamente ho vagheggiato il modello nella scelta collezione che lo scultore medesimo legò in morte

al patrizio Marcello Luigi Durazzo suo amico ed ammiratore. Conchiudo degnamente la nota colla statua del giureconsulto Giuseppe Gandolfo scolpita dal vivente Gaggìni e collocata nel 4829 in poca distanza dalla suddetta, augurando per l'avvenire altri pietosi allo stabilimento, altrc occasioni agli artisti.

La chiesa, a cui ragion vuole che si diriggano ormai le nostre osservazioni, surse da' fondamenti per voto fatto dalla Repubblica nel fervere della accennata pestilenza. Vero è che i disegni dell'Albergo portavano la fondazione d'un tempietto o cappella nel centro; ma fu saggio avviso de' Magistrati di sciogliere la promessa a N. D. Immacolata crescendo splendore e scemando spese allo stabilimento. ll decreto usci dal Senato il 6 dicembre del 4656, se non m'ingannano i documenti 1, e furono assegnate all'opera lire 30,000 da raccogliersi per tasse ed offerte da' cittadini. Deputato a questo nuovo lavoro Emanuele Brignole, ne sollecitò i principii, talchè il 28 aprile dell'anno seguente si pose la pietra augurale ne' fondamenti dal doge Giulio Sauli alla presenza de' Collegii Serenissimi venuti processione dalla Cattedrale con gran numero di religiosi, e gran concorso di popolo 1. E rallegravansi questi luoghi, poc'anzi funerei tumuli, delle armonie che moveano i musicali strumenti dille vette circostanti, e la gioia rifletteva sul volto de'popolani, quanto poteva in quegli avanzi di lungo e terribile flagello.

1 1056 die 6 decemb. — Leye utriusque Concila ad impetrandiim Uberaliunem a grassatione pesti» votalum fuit aedificari facere quamprimum ecclesiam in hospilio novi Albergi sub Ululo sanctus Conceplionis; ut in adii secretarii Joannis Bcnedicti Grilla, ut in libro 14 e. 290 penes legum Conservatorti — Da! ms. Sbortoli: Genuensis Rcipublicae leges eie.

Nondimeno corsero sette anni prima che la chiesa fosse in tale assetto da celebrarvi i divini uffizi, o perchè tardassero le oblazioni da un popolo raro ed afflitto da tanta sciagura, o perchè l'opera dell'Albergo volea per sè la maggior parte delle fatiche. Nel -1664, mentre fu aperta alla cittadina pietà, i Deputati per mezzo dell'arcivescovo cardinale Slefauo Durazzo sup

1 A rendere più solenne la festa Tenne eretto nel luogo delle fondazioni un tempio posticcio e un aliare addobbato di serici drappi; il Preposito della Metropolitana benedisse la pietra, e il P. Alberto della Compagina di Gesù recitò un eloquente elogio alla pietà della Repubblica. Fu posta sotto la prima pietia una medaglia d'argento che portava da un lato l'imagine di Maria e de'santi Protettori, collo scritto: Immaculaeae Conceplionis Deiparae templi ad avertendoti» p«stem publico aere devoti fundamenta loeabant; dall' altro lo stemma del Comune, e i caratteri: Dux, gubernatoret et procuratores serenissimae Reipubl. Genuens. Alexandre Tu l'p. Slephano Card. Vuratio Archiepiscopo. Anno' salutii 1657.

plicarono a Papa Alessandro VII perchè venisse eretta in parrocchia dell'Ospizio, e l'ottennero, previe le opportune convenzioni co'Priori di sant'Agnese, e di S. Sisto, che aveano su questo territorio la parrocchiale giurisdizione.

Il corpo della chiesa è diviso in due parti, decorate l'una e l'altra d'un elegante ordine composito; la prima, per cui s'entra, Ange una quasi galleria con colonne d'alto rilievo reggenti la cornice, ed ha in molte nicchie simulacri di benefattori; la seconda che rinchiude gli altari ed il coro s'alza di pochi scalini dalla suddetta, è schiarata da svelta cupola al sommo, e guarda a' fianchi due vasti oratorii, ne' quali si radunano a preghiera i ricoverati d'ambo i sessi. Fra le tavole che adornano i quattro altari minori non si nota che quella dell'Ascensione perchè sola di certo autore, ch'è Domenico Piola; ma è pur chiaro che le altre son fatte contemporaneamente , parte nella scuola di lui, parte del Merano. Ad ogni modo non debbono tardarci l'esame delle sculture, che fanno il principal pregio degli altari medesimi; e perchè niun altro oggetto ci distragga dal considerarle, scriverò di volo le statue in plastica recentemente eseguite per otto nicchie laterali da G. B. Drago e Carlo Rubatto, che figurano gli evangelisti e i santi Giorgio, Caterina, e Bernardo, e la B. Vittoria Defornari Strata. Opera dello scorso secolo e di Francesco Bìggi allievo di D. Parodi sono i santi Battista e Lorenzo modellati alle spalle dell' aitar maggiore, da passarsi con egual brevità.

Corre l'attenzione al marmoreo gruppo dell'Immacolata che posa sui gradi. Nè dee tacersi in principio, che il generoso Brignole, terminata appena la chiesa, commise questo lavoro al francese Pietro Pugetj e ne fece dono all'Albergo (se non mentono gli scritti) col sacrificio di mille pezze d'argento. Non voglio speculare sui pregi e sui difetti di questa imagine, censurata in molte parti dal severo Cochin connazionale dell'autore, e lodata a cielo dal Ratti, nel quale le scorrettezze del gusto non mossero mai scrupolo. Dello stile di costui s'è detto in più luoghi, e non v'h:i maggior noia che lo spesso giudicar d'un artista che per iscuola e per indole usi ripetersi nelle bellezze e ne' vizi. Quel tanto ch'io posso scrivere senza superfluità della presente statua onora del pari e l'autore e il committente, poichè nel novero di quelle che il Puget lasciò in Genova ninna può contenderle i primi encomii se non forse il S. Sebastiano ch'è nella basilica de' Sauli; nè il Brignole potea cercare tra noi chi meglio del francese rispondesse al suo zelo. Potrei fors' anche senza taccia d'inutile lodar la composizione, fermarmi al gentile aggruppamento degli angeli che fan base alla statua, ed alla energica espressione della figura principale; ma lo spettatore m'ha prevenuto nella lode. Ond'io passo oltre, e dalle sculture che mi vengon sott'occhio nell' inferior parte dell' altare prendo argomento, che a questo si facessero aggiunte e restauri, e fregi nel secolo scorso. ll nome dell'artefice impiegato in queste decorazioni, dico di Francesco Schiaffinoj me ne fa prova; degne di lui son le opere, ma chi vorrebbe tesserne un esame e un elogio dopo aver detto sì poco del valente oltramontano che succhiò al fonte quello stile che il secondo attinse già stanco di lunghi errori, e che a sua posta degradò fino all'ultimo passo della licenza?

Per ristoro al buon gusto e per varietà alle osservazioni cade opportuno un picciol mezzorilievo di forma rotonda locato in cornice di bronzo sul primo altare a sinistra. Di ninna opera si vanta l'Albergo come di questo marmo, che rappresenta in due men che busti la Divina pietà, e suolsi additare come fattura di Michelangelo Buonarroti. Udii però chi ne dubitale specialmente tra gli statuarii: e il solo dubbio in fatto di tali nomi è gran danno. Io, spettatore imparziale fra i contendenti, porrò in campo le ragioni che d'ambo i Iati si allegano; giudichi pòscia chi vuole. I sostenitori del si muovono dalla tradizione, e più dal testamento del cardinale Nicolò Spinola, che legò nel 4735 il mezzo-rilievo al suo nipote Gio. Domenico, il quale intorno alla metà del secolo lo trasmise colla eredità nell'Albergo de'Poveri. Ivi è scritto Michelangelo siccome autore, ed è certo che la tradizione ebbe origine nel traslocar che si fece il marmo da stanza privata in luogo pubblico. Onde i contrarli non vogliono sudar gran fatto a combattere un'asserzione uscita da un proprietario che tende mai sempre ad esaltare le cose proprie, e iu un'epoca lontana due secoli da quella del Buonarroti. Dicono che in fatto di belle arti gran giudice è l'occhio, e questo li avvisa come nella scultura manchi sovrattutto quel far risoluto, deciso, magistrale ch'è la somma dote di quel divino, senza dir delle pieghe mal composte e dure sul capo di N. D., e le minute ed ignobili forme del viso. Cercano per tanto ne' seguaci di Michelangelo un nome probabile, e non a torto s'arrestano al Montorsoli e al Francavilla, ambo vissuti in Genova, ed ambo devoti a quello stile. Quel che monta, alla dubbiezza del nome suppliscono gl'innumerevoli bellezze dell' opera, ond' essa è altamente lodata da cittadini e forastieri, e riprodotta dal gitto nelle pubbliche accademie nonchè nelle stanze degli artisti.


Io fatto di pittura il miglior tesoro dell'Albergo è quello che sta nascoso agli sguardi del pubblico. Del ragunarvelo non ebbe merito se non la soppressione de'Regolari avvenuta dopo il 4797 i epoca funesta a'patrii monumenti, de' quali sarebbe doloroso il contare le perdite. Il conservarlo però, dacchè una stella propizia ha raccolte quivi alcune spoglie di que' tempii, sarà cura de' benemeriti amministratori dello stabilimento, e farebbero cosa degna della loro saviezza se ristorate le tavole di cui prendo a dar cenno, le ponessero in luogo più ovvio di quel che non hanno, e le tornassero in quella luce che loro invidiò la fortuna de' tempi. Visitando i locali, non meno di otto mi restarono impresse nella memoria, e d'ognuna ho scoperto la provenienza. Dall' insigne chiesa di Castelletto usciron le opere d'un bel triumvirato d'artisti, cioè di Gio. Andrea Deffcrrarij di Gio. Batta Paggi e del suo allievo Castellino Castello. Due quadri del primo che trovatisi appesi nell'oratorio degli uomini rappresentano la morte del giusto e del reprobo, e si notavano nell'antica lor sede tra le migliori opere di questo pittore studioso della natura, specialmente il secondo, in cui l'arte è vòlta ad espressioni d'orrore e di spavento. In questo o nell' altro oratorio ( chè ben noi ricordo) trovai di Castellino il martirio di san

t'Andrea, tavola copiosa, di chiarissime tinte, e nello stile assai vicina a quello del maestro; da credersi perciò fattura giovanile. La sala dell'eccellentissimo magistrato ha due tele del Paggi, ma non deriva dalla suddetta chiesa de' Conventuali se non la bellissima che mostra la prodigiosa comunione di S. Bonaventura, e ho detto bellissima, singolarmente per la nobiltà degli affetti, e per la tenera evidenza, che guadagnano con eguale prontezza e gli sguardi ed il cuore. L'altra del presepio ornava un altare in santa Caterina de'Cistercensi; come la santa Gelirnele a cui Gesù porge la eucaristia, di Gio. Butta Carlone, locata nel suddetto oratorio degli uomini. Ma di costui vuol conoscersi in ispecial modo in quello delle donne il martirio di S. Benigno, recato dalla chiesa del suo titolo già ufficiata da' Benedittini sul promontorio della Lanterna; scena si vera, e si commovente, che niun altro suo quadro ha maggior vanto dopo quell'altro martirio di S. Clemente al Guastato. Nuovo elogio per lui, che come c'insegna la data scrittavi sotto del 4672 era a quel tempo tanto vecchio d'anni quanto giovine ed ardente d'ingegno. S'aggiunga a questo un altro presepio d'Orazio Defferrari. del quale non posso notare con certezza le origini, se forse non apparteneva alle monache di santa Chiara in Carignano, nel cui tempio leggo indicata una tavola di questo soggetto e di questo autore,


La descrizione, tuttochè breve, delle cose artistiche m'ha costretto a fraudar qualche cenno alle glorie dello stabilimento. Suppliranno i lettori con un'attenta disamina de'locali, ove l'ordine, la pulitezza e il decoro fanno un encomio a'presenti moderatori, come le statue eie lapidi commendano la generosità degli antichi. Pieni la mente ed il cuore di tante grandezze ripigliamo il cammino su pel colle di Carbonara sul destro lato dell'Albergo, a cui volgeremo un ultimo sguardo tostochè dominiamo la valle. E un desiderio sentiremo destarcisi nell'animo a quella vista; che dalla pubblica beneficenza si raccolga una somma che basti a demolire il fianco della montagna che da ponente s'indossa, per così dire, all'edifizio, e coll'umido della terra, e delle piogge turba la salubrità dell'interno, e nuoce alla fabbrica.

Prima che la pietà de' fedeli coronasse queste alture di tempii devoti, i luoghi che per noi si passeggiano non erano che un chiuso di ville seminate di case campestri, che davano un aspctto di coltura alle falde della scoscesa montagna di Carbonara. Innanzi al secolo diciassettesimo il solo romitaggio di S. Barnaba, che ne tiene il sommo, prestava gli uffizi del culto agli abitanti di questa pendice. Nel 4592 i PP. Cappuccini, recenti possessori di quella chiesuola solitaria, fecero pensiero di ridursi al basso in convento meno angusto e più vicino alla città, e a' 23 di marzo supplicarono i serenissimi Collegii per la cessione di due poderi con casa e villa, che pareano acconci a tal uopo, situati a un dipresso ove sorge attualmente la chiesa che prendiamo a descrivere. Ma vedemmo come nel corso dell'anno suddetto si ponesse mano a quella della Immacolata Concezione che i cittadini destinarono fin da principio ad asilo di questi frati, ond' essi desistettero dall' impresa tuttochè il Senato annuisse benignamente alla supplica.

Profittarono del caso altri religiosi, cioè gli Agostiniani scalzi, riforma degli Eremitani portata nel 4593 di Spagna a Genova dal P. Andrea Diaz, i quali da un lustro circa stanziavano in sauta Margherita della Rocchetta alle radici di Carignano. Chiesero a lor posta i fondi suddetti , e n' ebbero la cessione sotto il giorno G maggio del 4566 il P. Gio. Paolo da Genova, ed Agostino M. da Savona lor vicario generale. Laonde misero tosto in assetto una picciola chiesa, o com'altri vuole, occuparono una cappella già quivi esistente col litolo di S. Gerolamo, cambiatole il nome in quello di S. Nicola.

Tra i proprietarii delle ville circonvicine si


contavano i fratelli Giovanni, Benedetto e Paolo Moneglia, per nobiltà di sangue, ma più di costume ragguardevoli tra i cittadini. Essi presero a favorire l' Ordine che volea stabilirsi nel sobborgo di Carbonara, e in particolare il Giovanni che noi troviamo nell' antecedente supplica dei Cappuccini come loro intercessore presso il Senato. Nè gli Agostiniani scalzi trovarono in lui minore appoggio; n'ebbero anzi tanti benefizi quanta fu l'ingratitudine con cui nel ricambiarono in diverse epoche i frati successori. Egli non istett* pago a spogliarsi della proprietà di una villa per innalzarvi una chiesa più nobile e degna ad uso degli Agostiniani, ma si obbligò di far questa a sue spese, di fabbricare un convento attiguo, e di mantenervi dodici Padri, null' altro salvando per sè che il giuspatronato, e il diritto alle insegne gentilizie, ed alle lapidi in memoria della fondazione 1. Rifece del proprio la via pubblica per agevolare l' accesso a' devoti, aggiunse comodi al monastero, ornamenti alla chiesa; in una parola non cessò, finchè visse, di beneficarli per ogni guisa, e se nel testamento da lui consegnato nel 4609 al notaro G. B. Valdettaro rinnovò severa memoria degli obblighi a loro imposti, ciò venne per avventura dal desiderio che i superstiti imitassero il suo esempio, o perchè la sconoscenza de'beneficati cominciasse a trapelare da molli indizi.

1 Le qnistioni insorte io varii tempi intorno a questi fatti per la continua pervicacia de' VP. vogliono che si accerti fin d'ora la verità con un brano del testamento di Giovanni lloneglia, rogato il 2 settembre del 1609. — Item quia ipse tettalor fabbricavit ecclesiam cwn dormitorio ei Iota fabbrica qua* est ad commodum diclae ecclesiae, et etiam accommodart fecit viam publieam prò commodo diclae ecclesiae sub Ululo S. Nicolai de Tolentino in villa Carbonariae extra muros Ja

nuae expensis omnibus ipsius teslatoris e più sotto:

vult et ordinai ut in omnibus locis dictae ecclesia* et totius ejus fabricae, compraehenso etiam dormitorio ac in refelorio, lavalorio et cameris reponi debeant etiam in piclura insignia ipsius Joannis curn verbis ipsis: Joannes Monelia filius Jacobi suo aere lolam fabricam ipsnm fecit el fieri fé- cit, ut semper sit et stet sub ejus nomine etc. eie. — L'atto in cui si contengono le convenzioni co' PI', è del 1596 in etti del notaro Agostino Romairone. Ivi sono indicati i confini della villa sovra la quale pose i fondamenti della nuova

La chiesa fu principiata nel 4597: monsignor Matteo Rivarola arcivescovo di Genova vi pose Ja prima pietra. JNè gli Agostiniani scalzi ricusarono di aderire ai patti conclusi col pio benefattore ; locarono sulle designate pareli io stemma de'Moneglia, e vi affissero le lapidi indicanti con precisione e chiarezza i favori di Giovanni.

chiesa di S. Nicola: possessionem cum domo posila

in villa Carbonariae, cui cohaeret superius via vicinalis, ab occidente via publica, ab oriente fossatus, inferius parlim via publica, el partim Bapli&lae Marinelli.

Alizeri. Guida di Genova Voi. IL 48

Riporto le più brevi: Joanni Mondine lacobi/ìlio ecctitsiae et monaslerii aedificatori preces. Si leggeva questa sotto il busto del fondatore nella vecchia sacristia; ma con maggior diffusione testimoniava i fatti una seconda incasirata sovra la porta all'esterno: Summo Deo et Divo Nicolao de Tolentino sacrum. — Templum s sacrariumj claustrum j areum et viam, ornamenta et instruMenta loannts Moneliu lacobi filila suo aere a (undamentis coepit, extruxit, dedicuvit pittati* et poster itati» ergo. — Anno a Christo nato Mdxcvu. Arroge, che il loro cronista fra Gio. Bartolonimeo da Milano conferma questi avvenimenti, e non lascia d'accennare, che i Padri appena ultimata la fabbrica del convento nel 4602, vollero occuparlo ad insaputa de'signori Moneglia, e se non erano i buoni uffizi de' loro amici, ne sarebbero stati espulsi per sempre dal fondatore giustamente irritato di sì mostruosa ingratitudine. Non mi regge la pazienza a narrare in quante guise e in quant'epoche studiassero essi a cancellare le tracce de' benefizi ricevuti da Giovanni Moneglia, poich' egli passò di vita. Non v'ha generazione succedutagli nel patronato a cui non toccasse por freno e colla ragione e colla forza a siffatti agguati, nè forse havvene alcuna che placandosi a preghiere e promesse non colmasse i padri di novelli favori. Tra questi

discendenti non posso tacere la signora Eugenia Balbi Moneglia, che mossa da'giuramenti che gli Agostiniani rinnovarono per atto pubblico, e dalle penitenze addossatesi persino nelle ore del refettorio, ad istanza del lor priore fra Valeriano da sant'Agostino adornò la chiesa di ricche suppellettili, e ristorò con molta spesa il convento nel 4680 o poco appresso. Come si mantenessero le proteste il dichiarano i fatti d'Agostino Saivago succeduto ai Moneglia nel diritto di patrono; venuto in cognizione che gli obblighi impostisi da' frati eran caduti da molto tempo in assoluta negligenza, ottenne a'25 ottobre 4728 mandato dell'arcivescovo Nicolò De Franchi di espellere gli Agostmiani, e introdurre altri religiosi nel chiostro di S. Nicola, facoltà riservatasi dal testatore. I frati se ne appellarono alla curia romana, la quale provvide con buoni temperamenti; ma la Repubblica, vedendone leso il privilegio concessole da varii Papi, che cioè niun cittadino possa astringersi a stare in giudizio presso corti straniere, addo echio tra i Padri gli autori della mena, e quattro ne cacciò prima dal convento, poscia dallo stato. Simili brighe toccarono a' figliuoli del Salvago nel 4742 quando i suddetti religiosi sotto il priorato di P. Arcangelo dell'Epifania, tolsero dalle pareti ogni stemma, e bisognò l'autorità del Senato per rimetterle al primo luogo. Questi fatti. siccome sovrabbondanti alla narrazione, e forse d'incresciosa memoria all'Ordine che uffizia anch'oggi esemplarmente la chiesa di S. Nicola , avrei taciuti, se di mezzo a tante controversie non potesse riuscir dubbiosa a'meno cauti la generosa opera di Giovanni Moneglia. Oltrechè l'appurare una verità non è sempre fatica gittata, e a ques!o ho mirato eziandio coi presenti cenni, giovandomi de' documenti stampati in-Genova nel -1828 all'epoca de'litigi col marchese Sai vago.

Coll'aiuto di tali scritture comincio del pari l'esame artistico della chiesa e del convento. Quel ch' io trovo degli architetti ch' ebber mano nella fabbrica non è tanto prezioso alla descrizione ch'io imprendo, quanto alla storia delle nostre arti. Poche notizie e confuse s'han nel Soprani di Bartolommeo Bianco lombardo, e a legger quel poco si crederebbe chiamato a Genova per opere pubbliche, cioè all'epoca delle nuove mura, e trattenutovi poi da privati. Ma io veggo non solo Bartolommeo adoperato fra noi fin dal 4644, ma scuopro come il padre di lui fin dal 4599 esercitava in Genova l'arte medesima , e aggiungo un grado a questa famiglia d'artisti, che abitaron quivi finchè non la spense il memorando flagello della peste. A' 22 ottobre dell'anno suddetto per atto rogato da Giulio Bomairone nella casa di Gio. Moneglia situata sulla piazza de' mercanti Cipriano Bianco si obbligava verso quel patrizio a costrurre noi termine d'un anno il convento degli Agostiniani scalzi, e un Battista Bianco interveniva alla stipulazione come fideiussore per lui. Bartolommeo Bianco che si qualifica fdius D. Cipriani comparisce in una scrittura del 4614, nella quale conviene col priore fra Bartolommeo da santa Maria Maddalena e con tutta la congregazione de'frati d'aggiungere un braccio al convento dal lato orientale mediante lo sborso di lire 43,000. Potrebbe supporsi che co' disegni di Cipriano, o d'un maestro Andrea Ceresola che nel nominato contratto gli è aggiunto come soprintendente alle opere, venisse alzata la chiesa; ma nè per l' uno nè per l'altro si trovano sicuri indizi. Di quel ch'è certo, dico del convento, non è mestieri il dir altro; basti l'aver conosciuto che la famiglia Bianchi onde uscirono parecchi valentuomini erasi stabilita in Genova fin dal secolo Xvl

L'interno d'ambedue queste fabbriche non deve lasciarsi con un nudo catalogo d'opere, non poche essendo le mutazioni fattevi, parecchie le aggiunte, nè dispregevoli le cose fin qui dimenticate. Per la chiesa eseguì una tavola Bartolommeo Guidobonoj ed è quella sul primo altare a sinistra con sant'Agostino che riceve da Maria

s la cintura, ma non è da tacere, che nel sopprimersi il convento della Visitazione già posseduto da questi Padri, ne accolse un'altra del medesimo auiore, la quale rappresenta N. D. confortata dagli angeli ne' suoi dolori, ed è collocata nella cappella di fronte. E il tacerla sarebbe fallo più grave se consideriamo' quanto la seconda prevalga in sì vicino confronto, non dirò per arditezza e velocità di pennello che son pregi d'ogni suo lavoro, ma per certo sentimento e sapore di grazia che mai non s'attende in pittore manierista. Eguale temperamento ai -difetti non so trovare in Già. Andrea Carlone di cui si notano due vasti quadri nella prossima cappella di S. Nicola, e lascio al Ratti l'uffizio di lodarle ampiamente siccome ei fa, posponendo ogni dote di verità e di ragione a' vezzi d' una pratica cieca e temeraria. I.soggetti ch'egli vi figurò sono, la peste cessata al recarsi processione l'imagine del santo, e questo stesso che giacendo infermo ricusa di cibarsi d'un pollo. Senza che li direi viziosi anche in quelle parti che vi cerca il suddetto scrittore a titolo di lode, dico nella composizione che mi riesce affatto disordinata e capricciosa, e ne' modi d'esprimere meno suggeriti dalla meditazione che da una fantasia che disdegna ogni freno. Se lodiamo in costoro un far vivace e libero non è oltraggio al lor nome; poich' essi

medesimi non voller altro. Potrebbonsi attribuire alla scuola di lui gli affreschi che fingono nella vòlta la gloria del santo, e forse a lui stesso, quando si tengano per ristorati da mano altrui. Comunque sia, li liscio senza rimorso all'antico obblio; nè so rammaricarmi del non sapere da fonte sicura chi scolpisse il gruppo in legno dell'altare. Ch'esso derivi da'successori del Maragliano non mi par dubbio, e s'io' dovessi cercargli un nome m'atterrei al Navone; benchè il distinguere un imitatore fra molli imitatori sia fatica d'esito incerto, e di leggier frutto. Nella seconda cappella a mancina non si scrissero se non due piccioli quadretti di G. B. Paggi che esprimono il convito di Cana, e i profanatori del tempio, deboli cose per tale artista, danneggiale dal tempo, degne appena di nota. Io non posso lasciare al silenzio la statua in marmo di N. D. della Misericordia ch'è dentro alla nicchia, poichè, se non mi fallano i documenti, ùsci dallo studio di Taddeo Carlone 1. Lo stile però viene in conferma di quel che asserisco, e poco mi grava la mediocrità dell' opera, che fatta intorno al 4609 ci mostra quel lombardo già decrepito e bisognoso d' aiuti.

1 Lo raccolgo da una particella del testamento di Giovanni

Moneslia rogalo, come dicemmo nel 1609 vultque

etiam et mandai ipse lestafor quod sui haeredes (eneantur et debeant fabricari facere in dieta ecclesia capellom sub Ululo B. M. V., et in dieta capello reponere statuam marmoream dictae B. M. V. fubricatam per magistrum Thadeum Carlonum, et quae est in apolheca ejusdem mngistri Thadei, quem magistrum Thadeum solvit sua mercede ipse lestalor.

Alcuni affreschi di poco momento si accennino colla dovuta brevità. Sente del Tavarone quel quadrilungo sopra l'ingresso, con sant'Agostino che porge ai frati la regola, e de' minori Semini quell' ovale ch' è nel vòlto colla figura del titolare. Gli angeli e le Virtù sull' allo del presbiterio debbonsi a Giuseppe Passano^, e gli ornati a Giac. Picco; lavori modernamente eseguiti, cioè nell' epoca in cui si pose sull' aitar principale una statua in legno di Maria venerata prima nella chiesa della Visitazione, toltone un sant'Agostino dipinto dal Boni che fu appeso in un andito del chiostro.

La sacristia ci mette innanzi un pittore, ignoto in tutt' altri luoghi o privati o pubblici di Genova. E Tommaso Lodovico Languasco nativo di S. Remo, che nel 1690 prese in questa chiesa l' abito degli Agostiniani e mutò nome in quello di Tereso Maria. Studiò al secolo sotto G. B. Carlone; ma quanto profittasse degli esempi di lui è facile a conoscersi quivi da ben dodici tavole che dipinse per ornamento delle pareti. Dieci di queste han martini od altre glorie dell'ordine, quella dell'altare l'imagine di S. Nicola , l' ultima che sovrasta alla porta le dispute di sant' Agostino ne' concilii. Questa mi par buon documento a conchiudere, che il Languasco, abbastanza felice in iscarse composizioni, fosse mal atto o per natura o per istudio alle copiose. Nelle altre appena si scorgono indizi del maestro; ma della franchezza e dell' energia che gli manca si studia a rifarsi con altre doti, come sono una certa diligenza e una soavità di colori assai grate allo sguardo.

La rappresentazione de' martirìi sostenuti dagli Agostiniani per la fede, continua in varii quadri entro la nobile biblioteca de' PP. Non meno di sei mi parvero frutto dello stesso Languasco de'quali non dirò i soggetti, piacendomi distinguer gli autori che v' hanno il minor numero. È degno di speciale memoria, benchè non si colleghi alle istorie, un quadro ivi locato di Gio. Andrea Defferrari col transito di S. Giuseppe. Quando ho chiesto per gentilezza di visitar quel locale, io non ignorava che Gioachino Assereto lasciò nel convento di S. Nicola alcun saggio del suo spiritoso pennello; ma una sola tela io vi trovo che non mi lasci dubbioso dello stile di lui, ed è quella del B. Bonifazio crocifisso ed arso da'saraceni; sì bella però, e piena di tanta evidenza, da compensarmi la pochezza del numero. Un' altra co' supplizi del B. lirnando mi rammenta lo stile di G. B. Carlone, e le credo più volentieri dncch' egli trovò commissioni presso questi religiosi, come già ci ha persuaso il succoso affresco, che quivi nel vòlto della biblioteca rappresenta sant' Agostino vittorioso delle eresie. V' è sottoscritta la data del 4643, epoca della virilità di lui; di che verrebbe un bel suffragio all' opera, ove non si sapesse che questo insigne dalla gioventù agli anni decrepiti fu sempre eguale a se stesso. Un Tommaso Ferro discepolo di lui figurò nelle lunette alcune scienze ed arti; unico saggio che ce ne resti, incapace a dargli nome, e che in vicinanza del maestro non può conciliargli se non dispregio.

Null'altro mi resta ad aggiungere intorno a questa chiesa; benchè molto rimanga agli onori degli Agostiniani scalzi. Proseguendo noi per un' ardua salita che ritenta l' altura sul fianco sinistro, non tarderemo a scoprire un'altra chiesa da lor posseduta col titolo di Santa Maria AsSunta , o volgarmente della Madonnetta. Ne attestano il culto molti indizi di pietà, e singolarmente una cappella che occorre per via, nella quale pare che si gareggiasse a radunare ornamenti , poichè vi si trovano spoglie di più antico altare, com'è il paliotto con bassorilievi di Cristo e d'apostoli, improntati dello stile montorsolesco. Ma tronco ogn indugio e veDgo a dir della chiesa.

Un giovine padre di quest' ordine e di questa casa di S. Nicola, Marino Sangoineli, nato in Genova nel 4658, poi nominato nella religione Carlo Giacinto di santa Maria, passeggiando un bel dì lungo la villa aonessa al convento in compagnia d'altri padri, accennava loro quella eminenza che si leva a tergo della chiesa or descritta, e diceva che un giorno si vedrebbe sorgere colà non oscuro tempio in onore di Maria. Nutriva egli da gran pezza cosiffatto pensiero, ardentissimo com' era d' affetto per la gran Donna, nè sapea, meditando all'opera, staccar l'occhio da questo sito in allora selvaggio, dove ancora si lasciavan discernere gli avanzi d'un'umile chiesetta disfatta dal tempo e da lunga incuria '. Nè potè distornelo il contrario giudizio di molti, che dicevano già soverchio il numero de' santuarii intitolati a Maria su questi monti che fan cerchio alla città; oltrechè i padri vorrebbero recarsi con debita frequenza ad uffiziare in questo nuovo, mentre il disagio del salire,

1 Era questa anticamente dedicata a santa Margherita. Nel 1590 gli Agostiniani scalzi ne fecero sua prima dimora, e ristoratala alla meglio, ne cambiarono il titolo in quello di S. Giacomo apostolo. Si ardi mettere in istauipa ch'essa esistesse Un dal 584, e che in tal'anno fosse visitata da santa Monica in un suo tragitto per Genova; pietose invenzioni da lasciarsi ai più credali.

p la distanza avevano procacciato alla suddetta chiesa l'abbandono e la rovina? Altri allegavano l'incomodo che verrebbe a' divoti quando pure s'invaghissero di trascinarsi fin colassù; gran sudare e trafelare sotto il sole d'estate, d'inverno sarebbe un intirizzire tormentoso a voler poggiare su questa altura, ove sbuffa un impetuoso rovaio che si versa dall' imminente Castellaccio , e di primo urto la ferisce.

Ma umano consiglio noi ritrasse dal primo divisamento, anzi avvenne cosa che più e più lo invogliò di compirlo. Un Giambattista Cantone savonese che attendeva alla mercatura in Trapani risolvette di tornarsene l' anno -l(586 alla vòlta di Genova, e come il viaggio non era breve nè immune di pericoli, e dovea commettere al mare la sua diletta famiglia, portò seco una statuina di N. D. col putto, comperata da uno scultore di quella città, tenendosi abbastanza sicuro contro le insidie dell' elemento ove sol si vedesse l'imagine di sì benigna patrona. Diffatto afferrò sano e salvo le nostre spiagge, tuttochè più d'una fortuna lo avesse còlto durante il cammino, e a quanti l'interrogavano del viaggio venia narrando delle ricevute grazie , e del picciolo simulacro. Giunte tai nuove all' orecchio della nobil donna Eugenia Moneglia , venne in gran desiderio di avere il prezioso pegno, e avutolo dopo molte e fervide istanze, lo fe' riporre nel suo palazzo in decorosa nicchia, recitandovi ogni di, non ch' ella, ma tutti i suoi domestici a coro rosarii e giaculatorie. Venuta a morte questa pia dama, e rimasta erede delle sue facoltà la figlia, Isabella Moneglia-Salvago, il P. Carlo Giacinto che da qualche tempo struggeasi di possedere la divota imagine, non durò gran fatto ad ottenerla in dono da quest'ultima, e la destinò in suo cuore a regina del tempio che iutendea di costrurre. Privo qual' era d'ogni mezzo, e contraddetto da molti si commise del tutto a Dio per l' esecuzione del suo pensiero; ed ecco tra non molto gli è data ogni facoltà dal priore dell'ordine, e da un dabbene signore tanto denaro che bastasse a mettere in piedi un' umile cappella, di cui si gittarono i fondamenti nel -1689 entro il recinto della cadente chiesuola di S. Giacomo. Il volgo le diede il nome di cappelletta, e veramente era così angusta che i soli sacerdoti poteano starvi al coperto per celebrare i divini uffizi; il popolo era forza che si stesse a' cancelli o alla grata di ferro che chiudeva X ingresso. E nondimeno il concorso de' fedeli fu prodigioso infin da'principii; e parve bell'augurio a'futuri destini del santuario queil ' afFollarvisi che faceano i cittadini nel più fitto della vernata a venti e piogge, e 'l restar quivi più ore alle intemperie, quasi godendo, che il merito tornasse loro maggiore da' disagi che spontaneamente affrontavano.

Furon questi gli esordj della chiesa presente, la quale non tardò molto a vantaggiare sia nella mole, sia nel cullo per le sollecitudini del fondatore. Neil' anno 4692 e nel seguente egli fece solenne incoronazione della statua la vigilia dell'Assunta onde le rimase questo titolo; e già prima d'allora avea cresciuta la cappelletta di uno stanzino per uso di sacristia. Ma a ciò non era pago lo zelo di Carlo Giacinto, che divisava di consecrare a Maria un tempio di non ignobili forme, e di sufficiente contegno, e deve attribuirsi ad effetto di sì religioso trasporto ciò che lino da que'principii disse un giorno all'architetto Anton Maria Ricca: Siate certo, che non volgeranno cinque anni, che in questJ area sorgerà una chiesa più vasta del nostro S. Nicola, e voi ne darete il disegno.

E i fatti avverarono il pronostico, poichè spianate ad un tratto le difficoltà che di bel nuovo insorsero, potè locarsi a'4 di maggio del 4695 la prima pietra dell'edifizio, che nel febbraio dell' anno seguente fu in tale assetto da traslocatisi l'imagine, e si vide compiuta nel successivo agosto; onde il 45 di tal mese, giorno della Titolare se ne fece solenne apertura, e vi si celebrò la prima festa. Il che parve prodigioso per uomo privo d'ogni aiuto, dal suo zelo in fuori, e per sovraggiunta scorato, anzi combattuto d'ogni parte. — A me non tocca il tener dietro a questi particolari; essi s'hanno per disteso nella vita del fondatore, scritta da un padre Giacinto dello stesso ordine, dalla quale io ricavo quanto fa al mio bisogno.

Il nome dell'architetto, già riferito di sopra, mi fa entrar di volo nella descrizione. Questo Anton M. Ricca sconosciuto del tutto ai biografi, non vuol confondersi con queil ' altro del medesimo nome che a proposito d' alcuna fabbrica ci occorse di nominare nel contesto dell' opera. Ci vieta di pur sospettarlo l'epoca di costui, che fioriva ancora sulla metà del secolo appresso, e torrebbe ogni dubbio la diversa fine dell'uno e dell'altro, poichè l'Anton Maria giuntare morì al secolo tormentato dalle sciagure e dai debiti; il vecchio, terminata appena questa chiesa, domandò 1' abito monastico, e si rese frate in questo convento di S. Nicola. A giudicare dal disegno ch' ei die'della chiesa, si direbbe istrutto nell' arte da maestri lombardi, o sui loro esempi; certo è che egli, aggiunto che fosse alla storia, crescerebbe onore alla natale Liguria e alla propria famiglia. Fu padre per avventura del Giacomo Ricca ed avolo dell'Anton Maria che in Genova gli succedettero nell'esercizio architettonico; mei fa credere l'ordine degli anni, ed il costume d' allora che facea le bell' arti quasi ereditarie ne' parentadi.

Non son molti nell' interno gli oggetti d' arte, e pochissimi tra questi son tali da meritar lungo esame; ma se cerchiamo diligentemente nella chiesa e ne' luoghi annessi, non ci dorrà della visita. Parecchi di questi furono procurati al santuario dal fondatore medesimo; altri da chi Io seguitò nell'amministrazione e nello zelo. È dei primi queil ' ovale dell' Eccchomo posto ad un altarino incavato nel muro sull' un fianco di chi entra, nel quale intraveggo così tra la luce ed il buio lo stile di Giuseppe Palmierij e fors'anche l'altro rimpetto dell'Addolorata, quantunque noi dicano le memorie del P. Carlo Giacinto. Di bellissima imagine avea decorato il primo altare a destra, ch' or ne mostra una meu che mediocre; e quella passò, non so quando, alla sacristia che per ciò solo ci tratterrà lunga pezza. Forse fu allora, che a Sebastiano Galeotti si commise una tela del medesimo soggetto, ch' è l' annunciazione di Maria, collocata sul terzo altare da questo lato; tavola a cui non mancheranno osservatori per quel bagliore che a prima giunta rapisce. È facile il vedere, come sia an

teriore alla fondazione queil ' altro quadro ch' è siili' altare di mezzo ed esprime la madre de' Zebedei nell' atto di presentare a Cristo i due figli, perchè opera di Giambattista Paggi. e ragionevole il supporre, che nell' epoca della costrutta chiesa si comperasse, come acconcio alla nicchia, da più antichi possessori. Se non è de' migliori che uscissero da quel nobilissimo pennello, chi'l direbbe però de'suoi mediocri? Nè tutte vi si veggono le originarie bellezze; chè siccome a molti de' suoi dipinti nocque l' umido e l'oscurità del sito, così nocque al presente la troppa luce assorbendone e disseccandone le tinte più leggere. Cosa strana, ma vera; en'è prova il continuo scolorire d' una bella scultura in legno figurante N. D. col putto che pose quivi sui gradini il vivente Stefano Falle. Alle origini del tempio può riferirsi senza tema d' errore la tela del Crocifisso di Raffaello Badaràcco, unica che meriti d'esser notata sulla parte sinistra.

Era disegno del venerabile Carlo Giacinto di formare una cripta sotto il pavimento a metà della chiesa, e quivi riporre un'imagine di Maria Addolorata con in grembo l'estinto Redentore; ma sopraggiunto da morte non potè mandarlo ad effetto. Nè il lavoro avea per anco avuta esecuzione l'anno 4728 quando si stampò la vita dì lui, ove è scritto a proposito di tal' opera, chc dovrà essere pensiero de'Padri il compirla. Ora vi si veggono e la cripta e le statue, che allo stile debbono giudicarsi d' Anton M. Maragliano; ond' è a supporre che i successori non tardassero gran fallo ad appagare i voti del fondatore.

Del resto sappiamo di lui, che bastògli la vita non solo ad innalzare e porre in ordine la chiesa, ma ben anco a decorarla secondo il suo zelo, e a fornirla degli arredi che esige la dignità del culto. Sua cura speciale fu d'abbellire lo scurolo o cappella sotterranea ch'è in capo, e lien l'area inferiore ciell'aitar principale, ove disegnò di porre e pose infitti la miracolosa imagine di Maria di cui s'è fatto cenno più sopra. Bei marmi di vario colore la incrostano all'esterno e al di dentro insino al vólto, il quale fu dato a dipingere al prete Guidobono savonese. Egli vi figurò l'incoronazione di N. D. simboleggiando le virtù di lei con molti putti all'intorno che ne tengono gli allusivi; lavoro copioso quanto il comporta la strettezza del luogo, e corretto quanto permettea il secolo e il gusto dell'artefice. Il venerabile P. Carlo Giacinto, cessato ai vivi nel -1724 fu sepolto innanzi a questo divoto altarino, oggetto delle sue più calde sollecitudini, colla seguente iscrizione: Jacet hic intus hnmilis Pater Carolus Hfacinthus: Obiit anno 4724 die 23 aprilis. Troppo modesta memoria, e troppo inferiore al merito, se non parlassero efficacemente in lode di quest'uomo le opere presenti. Alle quali aggiungo, ch'egli nel 4700, la notte del Santo Natale incoronò la statua con corona d'oro e di gemme, e procurò che lo scurolo medesimo fosse consecrato da monsig. Borelli vescovo di Noli a' A9 giugno del 4707, cioè un anno dopo la consecrazione della chiesa solennizzata dal vescovo di Sagone Mons. G. B. Costa, come certifica un'epigrafe al destro lato della porta.

Altre testimonianze ed nitri frutti della sua pietà ci porgeranno l'aitar maggiore ed il coro; benchè non v'ha pietra costi che non ci ragioni di lui. Il primo è ricco e celebrato per un gran numero di reliquie ch'egli stesso vi deposito, recategli in dono, la maggior parie, da persone divote. Dal -1727 in poi se ne solennizza l'uffizio la quarta domenica dopo Pasqua per indulto speciale del Pontefice Benedetto XIII. In prospetto del coro son due imagini della Vergine (tante ei fu vago di esporne alla comune adorazione) dì merito diverse. La prima, che ne dà poco più del viso è in un picciolo ovale dipinto da quel Carlo Dolci fiorentino, il cui pennello parve solo animato dalla religione e dal cuore. A chi non usci di Genova, o non fre« quentò le private gallerie può solo farne pruova questa preziosa Madonna tutta spirante candore e modestia, e d'un affetto così spontaneo e celeste, che ripetuta in mille copie, non si direbbe abbastanza intesa da alcuno. È l'altra una statua in legno che la rappresenta col divin figlio in collo, opera del veneziano Domenico Bissarti, ma di quelle molte che fan torto alla sua fama. Tenea da principio il bel mezzo della parete; ma il P. Carlo Giacinto la trasportò in una nicchia ovata sul cornicione, e il luogo stesso sembra occultarla allo spettatore. Prima che in questa chiesa stette ad un' altare de' padri Serviti , ove egli da giovinetto solea recarsi ad ossequiarla; onde ci si racconta d'un suo motto proferito (allorchè fu portata quivi) colla tranquilla ilarità dell'uomo religioso: Mentre io era fanciullo, o Signora, io venni a visitar voi; ora che sono cagionevole ed infermo vi compiacete di visitar me.

S'io non mi resi ingrato a chi legge, alternando alla descrizione di questa chiesa le memorie di chi la innalzava, farò bella conclusione all'articolo colla maggior sacristia formata sulla manca del coro, ove ogni oggetto ci parla di lui, e de' suoi fatli. Non pongo in questo numero una vasta tela col presepio, affissa ad una delle pareti, dipinta, a quel che pare, fa' fratelli del Guidobono; ma niuno vorrà guardarla se non quanto vi s'imbatton gli occhi, nè la vedrà senza gridarla vero aborto di pittura, vero ingombro del luogo. Se non che v' ha pure tal quadro da rifarcene ampiamente, ed è un' Annunziata colorita in tavola, e posta al disopra degli scaffali. Uscì senza dubbio da maestro fiammingo sui principii del secolo xvr o poco innanzi, ed è cosa di tempra si gentile, di tale e tanta espressione , di magistero sì diligente, che di questa sola potrebbe la chiesa vantarsi a ragione. Non mi meraviglio che d'una imagine cotanto ripiena di celeste candore andasse perduto il P. Giacin;o, egli che vedeva sì addentro nelle cose celesti. L'ottenne in dono dalle monache di S. Sebastiano che ab antiquo la possedevano; ove la ponesse allora, e quando sia da supporre che essa si traslocasse alla sacristia, s'è detto di sopra, nè giova il ripeterlo. Quivi sul destro angolo è la povera celletta ove il buon padre traea la vita fra le orazioni e le penitenze, e sovra l'uscio della medesima l'effigie di lui penuelleggiata dal JVaymerj e riprodotta col bulino del Rossi in fronte alla sua vita. Gli fanno corteggio intorno alle pareti altri ritratti d'uomini chiari nell' Ordine degli Agostiniani scalzi, e parecchi di questi improntati del medesimo stile; fra i quali diseerno agli arnesi dell'arte, il Ricca ar

chitetto, che vestì l'abito, siccome dicemmo, terminata ch'ebbe la fabbrica. Qual'altra chiesa ha tante memorie, e sì eloquenti del fondatore?

Nè qui finirebbero le cose degne d'osservazione se il tempo ci premesse meno, tra le quali non potrei a meno d'arrestarmi ad un affresco rappresentante la cena in Emaus che il Guidobono dipinse nel refettorio, e ad un grazioso modellino di Nicolò Traverso figurante l'Immacolata che si vede entro piccola nicchia nella sacrista inferiore. Un alto rilievo in marmo della Pietà, scolpito da Domenico Parodi per la piazza ch'è d'innanzi alla chiesa, opera non dispregevole, e eerto ingegnosa se guardi alle angustie del luogo per cui fu eseguita, può vedersi sull'uscire, se già non fu considerata da chi m'è compagno, sul primo giungere.

Passando la valle che s'approfonda sulla mancina , e risalendo il prossimo colle, scopriamo da lungi l'antico romitaggio Di S. Barnaba, ChieSuola e noviziato fin dal secolo xvi, de'padri Cappuccini, e quanto angusta e disadorna, altrettanto riguardevole per antiche memorie. Taccio quelle che non troverebbero base se non in oscure ed improbabili tradizioni, com'è l'affermare che prima di .questa fosse quivi altra chiesa col titolo stesso, che l'abitassero monache di S. Domenico, che cessate queste venisse iu possesso de' padri Predicatori, e simili altre novelle da non ammettersi senza pericolo. Le notizie certe incominciano dal 4244, ch'è la data di un atto col quale l'abate e i monaci di S. Siro concedono a Giacomo Bestano, ad Ansaldo Giudice , a prete Giacomo di Piazzaluuga canonico di S. Donato, e a Durante Caligaro chiedenti in solidum una porzione di terra nell' attuai sito per costrurvi una cappella a nome di Bonifazio eremita 1. Tal soprannome par che venisse a questo Bonifazio dalla vita solitaria a cui spontaneamente si diede su questo colle, prima che implorasse per mezzo de' suddetti stipulanti un terreno ed un convento da rimanervi in forma monastica. Il luogo stesso onde si diè nome al nuovo oratorio o chiesa, trovasi diversamente indicato nelle antiche scritture. Il più comune fu quello di Carbotiara, appellativo generico di queste alture; ma rilevasi dal documento ch'io scrivo in nota, che l'area o villa ove s'innalzò la cappella per l'eremita Bonifazio chiamavasi Jirolo; e vedremo più sotto alternarsi questa denominazione a quella di Cardeneto indicata dal'.'Accinelli nella sua Liguria sacra.

1 In nomine Domini. Amen. — Ad honorem Dei et licatae Maria» Virginit et omnium sanctorum et monasterii S. Syri Januen. Pfos Matthaeus ubbas monatlerii supradicti et ( seguono i nonni degli aldi monaci ) vobis Jacobo Besta

gno, et Ansaldo Judici [dio Buphini Judicis, et presbitero Jacobo de riatia longa canonico S. Donali, et Duranti Cailegario fundatoribus seu fundare volentibus, consentimvs atque conadimus, et damus auctoritatem et bailiam et licenliam construendi et ardifieandi ad honorem et vocabulum B. Barnabite vel allerius sancti oratorium sivi ecclesiam in parrochia dicti monasterii loco ubi dicitur Ayrolus iuxla Carbonariam, et praediclam ecclesiam aedificutam tenendi sine contradiclion» nostra et dicti monasterii; ita tamen quod fratres ibi commorantes vitam regularem observare teneantur haeremitarum non inclusorum (sic) et servare regulam B. Benedicti, et quod praedicta eccletia sive oratorium praed. monast. sit subiccla tamen (nfrascriplis, videlicet; quod fr. Bonifacius haeremita possit ibi manere, et ibi esse in vita sua priorem sive ministrum, et fratres quos et quanlos voluerit eligere et recipere in dieta ecclesia praedictam regulam observantes (seguono gli oneri imposti dall'abate per la fatta concessione, e l'annuo canone di una libbra di cera da recarsi all'abbazia nella fetta di S. Siro) Adum Janua» in claustro

Ma corta esistenza ebbe questa società di frati, e terminò forse colla vita di Bonifazio, poichè leggiamo che otto anni appresso, cioè nel 4252 fu data a monache cisterciensi. Non s'ha scrittura che certifichi questo trapasso, ma se scendiamo al 4286 non ce ne lascia dubitare una lapide incastrata sulle mura del convento, dalla quale si chiarisce che Leona Usodimare abbadessa delle suore dava opera alla costruzione del monastero. L' epigrafe è del tenore che segue: Mcclxxvi. Domina Leona Ususmaris abbatissa monasterii S. Barnabae de Carbonaria fecit fieri hoc opus. E un' altra iscrizione rinnovata nel 4622 quando fu ristorata la chiesa, accennava i ristori fatti al medesimo nel 4362 mentre n'era abbadessa suor Cidiana Bestagna — Mccclxh die xv mensù novembris reparatum fuit hoc monasterium tempore dominae Cidianae Bestagnae abbatissae huius monasterii. Ma senza queste memorie basterebbero parecchi atti, che ci rimasero in antichi manoscritti, a provarci non soloT esistenza delle Bencdittine in questo chiostro, ma ben anche le costituzioni con cui si regolavano. Delle quali è vano il discorrere, sia perchè non fanno al nostro scopo, sia per essere uguali o simili a quelle d'ogni altro reclusorio monacale. La più antica scrittura (per atto d'esempio) ch'io mi trovo d'innanzi, rogata nel 4563 sotto la badessa Corradina figlia del q. Rufo Stancone accenna ad una consuetudine che pute di barbarismo, e che duole di veder praticata da persone religiose. In forza di quest' atto le suore manomettono e liberano dalla servitù una giovane schiava 1 sui 25 anni per nome Divizia, e

S. Syri, anno Dominicat nativitatis Mccxliv. Indictione i. die ultima junii ante nonam et vesperas, et duo instrumenta huiut tenoris fieri voluerunt. — Jacobus de Castelletto notarius.

1 tmanimiler et concorditer (cosi si esprime quel

documento ) ex certa scienlia et non per errorem ac eliam ex Alizeri. Guida di Genova Voi. II. 49

la assolvono dal rimanere a' loro servigi perpetuamente, mediante lo sborso di lire 25 di giallumi. Lascio due instrumenti con cui le monache nel 4385 sotto la badessa Francesca Marocella e nel 4423 sotto Isabella di Fazio si costituiscono un sindaco o procuratore. Più interessante alla nostra narrazione è un altro del 4455, donde ricaviamo che il monastero di S. Barnaba de Cardeneto dipendeva da quello di S. Tommaso abitato pur esso da suore Cisterciensi. Secondo il tenore di quello scritto, la chiesuola era a tal'epoca in istato di rovina, e l'attigua terra piantata di pochi ulivi, di fichi e di castagni in assoluta sterilità ed abbandono. 11 perchè Francesco di Lisana rettpre di essa a nome delle monache di S. Tommaso ne concedeva porzione per abitarvi, ad un frate Nicolò degli Arcangeli del terz'ordine di S. Francesco, il quale si offeriva a ristorare la chit-sa, e a rimettere in buona cultura il terreno. Costui v'intraprese, come già Bonifazio, una vita contemplativa e solitaria, onde al suo nome si vede aggiunto l' appellativo

gratta speciali manumiserunt et liberuverunt Divitium sclaiam tt anciliam earum et dirti monasterii de progenie tartarorum

aetatis annorum vigintiquinque vel circa /lieta Divilia

promiiit et concerni ipsis dominabus in fine trium annorum iiiclis dominabus vel earum procuratori librai vigintiquinque januinorum in pecunia numerala etc. eie.

chitetto, che vestì l'abito, siccome dicemmo, terminata ch'ebbe la fabbrica. Qual'altra chiesa ha tante memorie, e sì eloquenti del fondatore?

Nè qui finirebbero le cose degne d'osservazione se il tempo ci premesse meno, tra le quali non potrei a meno d'arrestarmi ad un affresco rappresentante la cena in Emaus che il Guidobono dipinse nel refettorio, e ad un grazioso modellino di Nicolò Traverso figurante l'Immacolata che si vede entro piccola nicchia nella sacrista inferiore. Un alto rilievo in marmo della Pietà, scolpito da Domenico Parodi per la piazza ch'è d'innanzi alla chiesa, opera non dispregevole, e eerto ingegnosa se guardi alle angustie del luogo per cui fu eseguita, può vedersi sull'uscire, se già non fu considerata da chi m'è compagno, sul primo giungere.

Passando la valle che s'approfonda sulla mancina , e risalendo il prossimo colle, scopriamo da lungi l'antico romitaggio Di S. Barnaba, ChieSuola e noviziato fin dal secolo xvi, de'padri Cappuccini, e quanto angusta e disadorna, altrettanto riguardevole per antiche memorie. Taccio quelle che non troverebbero base se non in oscure ed improbabili tradizioni, com'è l'affermare che prima di .questa fosse quivi altra chiesa col titolo stesso, che l'abitassero monache di S. Domenico, che cessate queste venisse iu possesso de' padri Predicatori, e simili altre novelle da non ammettersi senza pericolo. Le notizie certe incominciano dal 4244, ch'è la data di un atto col quale l'abate e i monaci di S. Siro concedono a Giacomo Bestano, ad Ansaldo Giudice , a prete Giacomo di Piazzaluuga canonico di S. Donato, e a Durante Caligaro chiedenti in solidum una porzione di terra nell' attuai sito per costrurvi una cappella a nome di Bonifazio eremita 1. Tal soprannome par che venisse a questo Bonifazio dalla vita solitaria a cui spontaneamente si diede su questo colle, prima che implorasse per mezzo de' suddetti stipulanti un terreno ed un convento da rimanervi in forma monastica. Il luogo stesso onde si diè nome al nuovo oratorio o chiesa, trovasi diversamente indicato nelle antiche scritture. Il più comune fu quello di Carbotiara, appellativo generico di queste alture; ma rilevasi dal documento ch'io scrivo in nota, che l'area o villa ove s'innalzò la cappella per l'eremita Bonifazio chiamavasi Jirolo; e vedremo più sotto alternarsi questa denominazione a quella di Cardeneto indicata dal'.'Accinelli nella sua Liguria sacra.

1 In nomine Domini. Amen. — Ad honorem Dei et licatae Maria» Virginit et omnium sanctorum et monasterii S. Syri Januen. Pfos Matthaeus ubbas monatlerii supradicti et ( seguono i nonni degli aldi monaci ) vobis Jacobo Besta

gno, et Ansaldo Judici [dio Buphini Judicis, et presbitero Jacobo de riatia longa canonico S. Donali, et Duranti Cailegario fundatoribus seu fundare volentibus, consentimvs atque conadimus, et damus auctoritatem et bailiam et licenliam construendi et ardifieandi ad honorem et vocabulum B. Barnabite vel allerius sancti oratorium sivi ecclesiam in parrochia dicti monasterii loco ubi dicitur Ayrolus iuxla Carbonariam, et praediclam ecclesiam aedificutam tenendi sine contradiclion» nostra et dicti monasterii; ita tamen quod fratres ibi commorantes vitam regularem observare teneantur haeremitarum non inclusorum (sic) et servare regulam B. Benedicti, et quod praedicta eccletia sive oratorium praed. monast. sit subiccla tamen (nfrascriplis, videlicet; quod fr. Bonifacius haeremita possit ibi manere, et ibi esse in vita sua priorem sive ministrum, et fratres quos et quanlos voluerit eligere et recipere in dieta ecclesia praedictam regulam observantes (seguono gli oneri imposti dall'abate per la fatta concessione, e l'annuo canone di una libbra di cera da recarsi all'abbazia nella fetta di S. Siro) Adum Janua» in claustro

Ma corta esistenza ebbe questa società di frati, e terminò forse colla vita di Bonifazio, poichè leggiamo che otto anni appresso, cioè nel 4252 fu data a monache cisterciensi. Non s'ha scrittura che certifichi questo trapasso, ma se scendiamo al 4286 non ce ne lascia dubitare una lapide incastrata sulle mura del convento, dalla quale si chiarisce che Leona Usodimare abbadessa delle suore dava opera alla costruzione del monastero. L' epigrafe è del tenore che segue: Mcclxxvi. Domina Leona Ususmaris abbatissa monasterii S. Barnabae de Carbonaria fecit fieri hoc opus. E un' altra iscrizione rinnovata nel 4622 quando fu ristorata la chiesa, accennava i ristori fatti al medesimo nel 4362 mentre n'era abbadessa suor Cidiana Bestagna — Mccclxh die xv mensù novembris reparatum fuit hoc monasterium tempore dominae Cidianae Bestagnae abbatissae huius monasterii. Ma senza queste memorie basterebbero parecchi atti, che ci rimasero in antichi manoscritti, a provarci non soloT esistenza delle Bencdittine in questo chiostro, ma ben anche le costituzioni con cui si regolavano. Delle quali è vano il discorrere, sia perchè non fanno al nostro scopo, sia per essere uguali o simili a quelle d'ogni altro reclusorio monacale. La più antica scrittura (per atto d'esempio) ch'io mi trovo d'innanzi, rogata nel 4563 sotto la badessa Corradina figlia del q. Rufo Stancone accenna ad una consuetudine che pute di barbarismo, e che duole di veder praticata da persone religiose. In forza di quest' atto le suore manomettono e liberano dalla servitù una giovane schiava 1 sui 25 anni per nome Divizia, e

S. Syri, anno Dominicat nativitatis Mccxliv. Indictione i. die ultima junii ante nonam et vesperas, et duo instrumenta huiut tenoris fieri voluerunt. — Jacobus de Castelletto notarius.

1 tmanimiler et concorditer (cosi si esprime quel

documento ) ex certa scienlia et non per errorem ac eliam ex Alizeri. Guida di Genova Voi. II. 49

la assolvono dal rimanere a' loro servigi perpetuamente, mediante lo sborso di lire 25 di giallumi. Lascio due instrumenti con cui le monache nel 4385 sotto la badessa Francesca Marocella e nel 4423 sotto Isabella di Fazio si costituiscono un sindaco o procuratore. Più interessante alla nostra narrazione è un altro del 4455, donde ricaviamo che il monastero di S. Barnaba de Cardeneto dipendeva da quello di S. Tommaso abitato pur esso da suore Cisterciensi. Secondo il tenore di quello scritto, la chiesuola era a tal'epoca in istato di rovina, e l'attigua terra piantata di pochi ulivi, di fichi e di castagni in assoluta sterilità ed abbandono. 11 perchè Francesco di Lisana rettpre di essa a nome delle monache di S. Tommaso ne concedeva porzione per abitarvi, ad un frate Nicolò degli Arcangeli del terz'ordine di S. Francesco, il quale si offeriva a ristorare la chit-sa, e a rimettere in buona cultura il terreno. Costui v'intraprese, come già Bonifazio, una vita contemplativa e solitaria, onde al suo nome si vede aggiunto l' appellativo

gratta speciali manumiserunt et liberuverunt Divitium sclaiam tt anciliam earum et dirti monasterii de progenie tartarorum

aetatis annorum vigintiquinque vel circa /lieta Divilia

promiiit et concerni ipsis dominabus in fine trium annorum iiiclis dominabus vel earum procuratori librai vigintiquinque januinorum in pecunia numerala etc. eie.

anni, mostra sul dinanzi un affresco di Filippo Alessio rappresentante la miracolosa traslazione della santa casa. Gli altri dipinti di qualche pregio che ornarono in principio la chiesa , son limitati a due tele di Gio. Maria Dellepiane e di Gio. Andrea Carlone, che fan bella comparsa sui due altari di fianco alla cupola. Del primo è l'angelo custode che guida l'anima al paradiso, fattura di gaie tinte e di pennello leggero, la migliore che sia in città di questo ritrattista; del secondo è S. Giuseppe con Gesù fanciullo, a cui gli angeli recan doni ed omaggi; composizione non certo corretta , ma non ispoglia di grazie, e forse delle più temperate ch' egli eseguisse giammai.

Convien profittare della brevità che ci è permessa dalla chiesa d'Oregina, e partendone, novellare tra via d'altri fatti che la riguardano. È noto a' presenti come il doge della cessata Repubblica si recasse quivi annualmente per render grazie solenni a Maria il giorno decimo del dicembre. La pia consuetudine ebbe principio l'anno 4746, d'eterna fama per la cacciata da Genova delle armi tedesche. E per dirne il come, si narra che il buon servo di Dio, il padre Candido Giusso di questi Osservanti ispirato da una visione di Maria profetasse allora il riscatto dell'afflitta città, e chiamato alla Signoria promovesse in pien Senato col racconto de'fatti la protesta del voto. Così non va priva d'onorevoli memorie la chiesa d'Oregina, nel cui sito fu per lo innanzi una cappella, ricetto di pochi fmatici o furfanti, de' quali darò per conclusione alcune bizzarre notizie.

Sull' uscire del 4634 capitarono a Genova quattro uomini in sembianza ed abiti d'eremiti. Il lor capo o priore era un Guglielmo Musso nativo di Voltri, sfuggito alla forca su quel di Venezia , com' egli diceva, per essersi votato a religione. Un altro compagno si nominava Giambattista Raffo da Chiavari, il terzo era un prete di buona pasta; di lui e del quarto non s'hanno i nomi. Vestivano fino al tallone una tunica di rozzo arbagio con sopra le spalle un mantello, e un cappellaccio sul capo. A spese dell'altrui sciocca credulità fecero acquisto d'una villa su questo colle, e una casetta compresa nel fondo misero ad uso di oratorio per cominciarvi un istituto eremitico. Già vagheggiavano col pensiero le forme e gli statuii dell'ordine: l'abito si direbbe dell'Ecce homo, tunica gialla, mozzetta rossa, e per compiere la somiglianza, una canna tra mani: il titolo sarebbe del Sequere me. Ma il tribunale della santa Inquisizione ne seguitò davvero ogni passo, e viste le stranezze che brulicavano nel cervello di Guglielmo, lo imprigionò insieme al Musso, tolse loro il possesso della casetta, ed emanò sentenza che li privava di quel vestire eremitico, e proibiva ogni comunanza tra loro. Per tal guisa fini l'istituto del Sequere me innanzi di nascere, e i quattro romiti ebbero a gran ventura d'andarsene liberi alle lor case.

L'ilarità del racconto ci è tosto temperata da severi oggetti, che occorrono allo sguardo ed alla mente sugli ultimi tratti di questa discesa. Non parlo de' monumenti che lungo la sottoposta pianura ci aspettano a non brevi osservazioni; ma delle rovine d'un tempio col titolo di S. Michele, che mostra i suoi miseri avanzi sul poderoso bastione di S. Tommaso. I canonici di S. Rufo presero ad abitarvi fino dal -M58, nè s'ha di tal chiesa più remota notizia. La loro congregazione era già estinta nel 4484, e il S. Michele incorporato alle dipendenze della metropolitana. A'tempi del Giustiniani istorico si computava tra le parrocchie di Genova più illusili per vetustà, e più vaste di territorio; si stendeva su pel colie delle Chiappe, comprendeva Bachernia, inoltrava a'luoghi alti di Lucoli e dell' Acquasolu, e terminava a Mvltedo. Il recinto di mura ordinato dalla Repubblica nel 1530 diè fine lenta e inaspettata alla chiesa e al monastero, dovendosi costrurre il baluardo ove poggia va la balza di S. Michele, detta più anticamente nelle scritture la costa cornianelli Mutiluto l'edifizio già stanco di lunghissima vita, non parve acconcio oggimai alle cure parrocchiali; nella visita di monsig. Bossio ne fu privato, e Mario Cicala arciprete di S. Lorenzo cedette il territorio che ne rimanea su pe' monti ai terziarii francescani di Granarolo. Sotto la chiesa era uno scurolo o cappella denominata di S. Igino (presso il volgo S. Zino) ove si costumò, fin anco nello scorso secolo, d'interrare i bimbi morti senza battesimo. Ora non restano di quella fabbrica che poche e nude mura, altre in pietra da taglio, avanzi dell'antica, ed altre di costruzione moderna. Sappiamo infatti che l'arciprete del Duomo D. G. B. Gallo ristorava nel 4640 il cadente edifizio per solo zelo di conservarlo , e forse è di lui tutto il merito se a' nostri giorni non è spenta ogni traccia del S. Michele di Fassolo.

Questi cenni io stringo nella massima brevità per timore ch' altri m' incolpi del tener dietro alle cose antiche e perdute mentre sovrabbonda il numero delle nuove o moderne. Nè in questo luogo potrei di leggeri scusarmi, ove d'ogni lato s'affacciano oggetti novelli, non tanto lungo la nobile strada che percorre il sestiere di Fassolo, ma nelle fauci eziandio di questi monti battute dal fossato di S. Tommaso, o com'altri il domandano, lagaccio. Tale appellativo cominciò nel 4652, quando il Magistrato di Guerra formò di questa vallata un ampio bacino, innalzandovi sui fianchi una muraglia grossa di palmi dieci, che chiude tutto il fossato e riceve le acque delle adiacenti montagne. Si lungo ed arduo lavoro fu decretato a comodo di tre Polveriere costrutte lungo il torrente, le quali durarono infino a noi, e da non molti anni veggonsi rifabbricate per cura dell'attuale Governo. A queste mi piace unire la recente opera del Pubblico Ammazzatoio decretata dall'Illustrissimo Corpo di Città, e fondata sui primi passi di chi inoltra nella valle. È il secondo che noi troviamo nel giro di quest'ultima giornata, e ci serbammo fin qui alle notizie di tali lavori, poichè questo è condotto a termine, mentre il primo è poco oltre alle fondamenta. I pensieri del Municipio vagheggiavano più vasti lavori pel bisogno degli ammazzatoi pubblici. L'architetto civico cavaliere Carlo Bambino delineava d'ordine della Commissione a ciò eletta non meno di quattro disegni da eseguirsi ne'più antichi quartieri della città; l'uno sulla piazza di Ponticello, l'altro su quella del Molo, un terzo fuor del Portelloj e l'ultimo nelle adiacenze di santa Brigida. Il progetto e li scelta de'luoghi veniva approvata con

R. Patenti del A agosto 4835; correan pochi giorni, e il benemerito architetto cresceva un numero alle vittime del Cholera-morbus. In progresso di tempo mutossi parere, e a due soli ammazzatoi fu posta mano , non più ne' popolosi quartieri, ma in quelli formati dal moderno recinto. Questo è piantato sovra un'area di metri cento in lunghezza, e trentacinque di larghezza, e metà della fabbrica posa sovr'esso il fossato in base di vivo scoglio, scansando opportunamente le vòlte che fan chiavica alle acque del torrente. S'apre il prospetto con grande arco coronato da un nudo attico, il quale introduce a un quasi vestibolo, ove si ricavarono stanze pel custode e pei sergenti municipali, e al disopra le abitazioni del veterinario, e degl'inservienti. Un atrio di seguito apre gli aditi alle diverse parti della fabbrica. L'arco mezzano si lasciò a forma di piazza con vasca d'acque nel mezzo da servire ad ogni necessità, e un decente porticato all'intorno sotto a cui son distribuiti i locali per beccheria de' diversi animali, e per deposito delle carni. La macellazione de' maiali ha luogo distinto in capo all' area suddetta, e in quest'altra porzione di fabbrica è comodità per l'acconciatura delle carni porcine , per serbatoio delle guaste; un sotterraneo le riceve in serbo nella calda stagione, e le preserva d'ogni infezione; i locali superiori clan ricetto ad altri inservienti. E per ultimo una seconda piazza copiosa d'acque ha le stalle, i fenili, le rimesse, e quanto può abbisognare per la custodia de'carri e degli animali, ch'entrano per questa parte al macello.

Accennate le membra principali dell'edifizio lascerò che i periti vadano cercando le minori, e date le debite lodi al primo architetto, facciam ragione del merito di G. B. Rezasco successore del Barabino ai servigi del Corpo Civico, e direttore di quest'opere.

Io seguo il corso propostomi, e con grave fatica di gambe; poichè l'ordine mi spinge su per l'ardua salita che in prospetto di quella d'Oregina s'arrampica al colle di Granarolo. Pure le delizie campestri che vi si trovano fan parer dolce il cammino, e se parli di vedute imponenti e varie , non udrai pronunziare altro nome innanzi di questo. Non so se il volgo usi distinguere, come faceano gli antichi, il Granarolo sottano dal superiore; ma v'ha tuttora egual ragione di farlo, poichè la vetta più sublime della collina è dominata, come la bassa, da un borghetto, il dirò cosi, di palazzetti e case, e da una Chiesa sotto il titolo Di Sasta Maria Di GraNarolo. V'ha chi s'ingegna d'indagarne le origini fin nel secolo vili dell'era nostra, ma niuno è giunto a dar pure indizio con buoni documenti di sì remota fondazione. I più cauti s'appagano di fissarne i principii nell'anuo 4492, fidati ad una scrittura del notaro Guglielmo Cassinense, ove è detto che la chiesa era stata poc'anzi fondata da certo Benissa ; e v'han queste parole: D. Iacobus Praesbiter de GranaroliOj et Dominus Benissa fundator ecclesiae de Granarono ec. 1. Che i canonici mortariensi di S.

Teodoro la possedessero con titolo di priorato si raccoglie da più d'un atto; ma nel 4448 vi era già cessato quest'ordine. Passò dopo quel tempo in varii commendatori., primo de'quali fu Antonio Spinola, nè durò molto, chè nel 4476 venne unita alla dignità dell'arcipretura di S. Lorenzo. Ne' pochi cenni dati testè sul S. Michele di Fassolo, vedemmo come uno degli arcipreti la cedesse a' terziarii di S. Francesco nel 4583; fino a qual' epoca vi rimanessero non è ben certo. Altre dubbiezze insorgono circa i principii della parrocchialità , che molti vorrebbero concederle dal 4200; essa vi durò sino all'anno 4824 in cui si trasferì nell'inferior chiesa di S. Rocco. L'amministrarono dopo d'allora gli Agostiniani, quindi i padri Crociferi, ora la governano i Passionisi , recentemente introdottisi in Genova.

1 II emulatore Benissa nel 1300 si obbligava a prestare un' annua mpzzarola di vino siccome compenso alla terra cedutagli da Baldovino Guercio. La promessa è fatta in nome di quest'ultimo a Ermila abbadessa delle Cisteicieosi in claustro S. l'homae.

Noterò due quadri che mi vennero veduti colassi}; una Madonna di Belvedere di Domenico Parodi colorita a tempra, e locata ad un lato dell'aitar maggiore, ed un quadro con quella del Rosario di Pantaleo Calvi sul secondo altare a sinistra. Questo nome d'autore io ricavo dalla sottoscrizione: Pantaleon Calvus faciebat 4622, e la nuova scoperta m'è solo stimolo a registrar la pittura, che in ogni parte è mediocre. Il Pantaleo fratello di Lazzaro non è pittor nuovo per noi, ma come concedere che sia desso, sol che si guardi o lo stile o la data? Taluno potrebbe sospettare che il dipinto fosse rifatto d'altra mano , conservando il nome del primo artista ; ma il dubbio m'è tolto da un altro scritto onde raccolgo che l'anno suddetto faceva colorir l'imagine uno Stefano da Bargagli. Non sarebbe strano che questo Pantaleo fosse nipote all'antico, cioè nascesse d'alcuno tra i figli di lui nominati nell'istoria; indagine che oltre ad esser difficile e lunga, tornerebbe al nulla, e forse sarebbe una nausea l'accrescere un membro a questa famiglia di artisti che venne in fiore e decadde co' progenitori.

Laonde non mi regge l'animo a guidare il lettore fin su quell'erta, se già non mi fo scudo delle delizie che la natura v'ha sparse a larga mano. Vedresti tra l'alto e il basso Granarolo alternarsi a' giardini, a' boschetti, a' luoghi colti eleganti palazzi, che da questo seggio di verzure dominan la città, vagheggiano il mare, e sorridono ad un cielo purissimo. Han fama tra' più gentili quelli de' marchesi Lomellino e Cambiaso, il secondo de' quali s'innalza superbo di mezzo a fosco albereto, ed avrebbe un comodo accesso dalla parte del fossato, se più lunga vita arrideva al patrizio Michelangelo Cambiaso d'illustre memoria, che già ne disegnava l'apertura. La cortesia de' possessori mi fe' conoscere che lieto soggiorno siano due altri palazzetti lunghesso la costa, abitati da due figli di quell'Andrea Tagliatici», che ci occorse di menzionare più volte come il rinnovatore della genovese architettura. L'egregio sig. Domenico cultor felice dell'arte istessa ha la proprietà del superiore, e oltre a'disegni proprii, v'ha raccolto siffatto tesoro de' paterni, che per ciò solo gl'intelligenti dovrebbero chieder l'ingresso, e venerare il retaggio d'un grande artista a cui la tarda posterità darà forse quel tributo d'ammirazione che il secolo tuttora gli nega'. Il sottano appartiene alla coltissima signora vedova Rossi sorella di lui, e questa gentile, nata com'è di padre ar

Usta, e cresciuta all'amore del bello, si coni* piace a buon dritto d'alcuni dipinti che il marito procacciò al palazzo, già ridente di fioriti giardini e ricco di molti ornamenti. Il Vacca piemontese condusse a fresco nella sala la bella Psiche presentata da Mercurio al consesso degli Dei, e un Ganimede in una stanza in graziosissimo atto, e con tinte briose; il lombardo Peìagatta parecchie altre ne dipinse ad ornato con ottimo gusto, e il nostro Giulio Ballino compose sul prospetto un fregio di putti a chiaroscuro con vaghissimi intrecci.

Se questi doni di natura e d'arte non bastano a farvi superare le difficoltà del cammino, fermate il passo alla Chiesa Parrocchiale Di S. Rocco e rammemorandone l'istoria, e analizzandovi le opere d'arte, prendete riposo.

Circa l' origine di questa chiesa governata in principio da monache Agostiniane possiamo aderire alla sentenza di Bartolommeo Montatelo, che la dice costruita assieme al monastero nel 4300 o in quel torno 1; poichè nella prima scrittura che se ne trova, sotto il -13l6, suor Giacobina di S. Tommaso si qualifica per priora del nuovo monastero della costa di Granarolo. Fu dedicata ne' suoi primordii a santa Caterina martire, e in quell' anno il numero delle monache non passava le sedici. I pochi atti che ci è dato rinvenire di queste religiose non ci somministrano materia di protrarre oltre le loro notizie; l'ultima data è del 4509, e sappiamo che l'anno appresso in forza dell' ordine pontificio abbandonarono il monastero, ts fecero tragitto in quello di snnt'Andrea 1.

1 Monasterlum S. lìoohi, aliai sub voeabulo sanctae Margaritae oirca annum 1300 aedificatum : siquidem in actis Leonardi de Garibaldil ad annum 13I9 legitur: — Soror Jacnbina de S. Thama priorissa monasterii sanctae STargarilae Granaroiii monialium ordini» eremilarum S. Augustim — Monta Ida.

S'ha memoria d'un' altra chiesa col titolo di S. Giacomo posseduta da monache Cisterciensi poco lungi dalla presente, e d'una terza situata lungo la costa di Granarolo, in cui abitavano suore denominate di santa Maria della Trinità. Queste ultime cessarono presto; ma il convento di S. Giacomo durava a' tempi ne' quali i frati Apostolini vennero ad abitar questo colle, siccome, proseguendo la cronologia, ci apprestiamo a narrare. Soppresse le monache in santa Margherita, la chiesa e il monastero, col consenso dell' abate di S. Benigno fu donato dalle Agostiniane (già ricevute nel chiostro di sant'Andrea ) a'canonici Lateranensi di S. Teodoro per iscrittura rogata il 47 settembre 4510 dal notaro G. B. Celestino.

1 Nel 1453 suor Pietra Giustiniani priora, coti'assenso dette «lire monache faoea locazione per 9 anni iti certa terra fruìtiferà a Melchiorre de'Gradi milanese abitante in Genova, con patto che ristorasse il monastero reso inabitabile a segnilo dei danni patiti nelle guerre civili, ("Alti nel Muzio ) — Passò poi questa terra dal Gradi in Luca Grelerio, e finalmente in Barnaba Lompllino figliuolo di Marchisio per contratto di vendita consentitogli dalle monache a' i2 dicembre del 1143, la qual vendila fu comprovata da monsignor Giacomo Imperiale, — V. Schiaffino — Annali ecclesiastici^

Diremo adunque colla possibile brevità in qual guisa e in qual' epoca ne prendesse possesso l'ordine degli Apostolini. Tencano costoro la chiosa di S. Defendente nella contrada di Molcento loro ceduta da monache Cisterciensi che la possedevano, a quel che pare, d'antichissimo tempo. Ivi restarono fino al 4477, quando, comprata un' area sul territorio di Lucoli l, fabbricaronsi un'altra chiesa che intitolarono a S. Rocco; ma presto ne furono spropriati, dovendosi nel 4489 sulla linea occupata dalla medesima protrarre le mura di cinta. Distrutta che fu la lor nuova casa, non so dove stanziassero infino al 4555, sotto il qual' anno ricominciano le loro memorie. Convien dire però che quind' innanzi non avessero soggiorno stabile, o l'avessero assai disagiato, dacchè la Repubblica nell' epoca suddetta instò in lor favore presso i canonici di S. Teodoro per la cessione della chiesa e del convento di santa Margherita di Granarolo1. Ebbero l'intento, e s'aggiunse a'lor vantaggi la chiesa di S. Giacomo, la quale abbandonata dalle Bcnedittine, e caduta in proprietà delle suore di santa Maria in Passione ove queste si rifugiarono, fu lor data cortesemente in dono. Nondimeno gli Aposìolini (detti altrimenti Padri de'santi Ambrogio e Barnaba ad Nemus) si stabilirono nella prima in quell'anno stesso, mentr'era priore della congregazione un Simone Roccatagliata. II titolo della chiesa di Lucoli passò in questa ed estinse l'antico; benchè altri scrivano, esserle derivato da una statuina di S. Rocco esistente in essa da molto tempo, a cui ricorrevano i fedeli in occasione di pestilenza. Poco stante intesero ad ampliarla, al q nl'uopo i signori Francesco ed Agostino Viale concessero gratuitamente porzione

1 Comprarono questo sito nel quale era compresa una torre , dal Magistrato della Moneta, pel prezzo di L. 175 di gianuini, come in atti del cancelliere Francesco Vernazza, e questa vendita fu ratificata nel 1488 — come s' ha in nolaro Andrea de Cario. — (Schiaffino) — I religiosi Apostolini (scrive il Morigia ) viveano da principio dispersi, esercitandosi in orazioni, digiuni ed astinenze, ma il Pontefice Innocenzo Vili nel 1484 concesse loro il dir messa, e ordinò che facessero professione.

1 II Senato assegnò in compenso a' LateranPnsi ili S. Teodoro 3C luoghi di S. Giorgio, lire 8-8 e soldi 10. — (Schiaffino ).

d' una terra contigua, e a proprie spese costassero il presbiterio ed il coro, acquistandone così il patronato. Fu in seguito rifabbricata da' fondamenti nell' attuale capacità colle sovvenzioni d'altri pietosi, al qual lavoro era deputato il suddetto Agostino Yii>le insieme a Frauc. Monza e Luca Airolo.

Soppressi gli Apostolini nel 4643 per bolla d'Innocenzo X, la chiesa di S. Rocco si confuse ne'beni della mensa arcivescovile, e restò governata da un rettore. Nel -1660 fu venduta col deserto convento ai Chierici regolari minori, recentemente istituiti dal ven. Agostino Adorno, i quali rappresentati dal lor priore D. Angelo Squarciafico ne presero possesso il 40 marzo di tal' anno. Vi durarono fino alla rivoluzione del 4797, e la chiesa nel 4820 restava tuttora in istato di abbandono. Fu riaperta in quest' epoca, ed insignita della parrocchialità, confidata per lo innanzi, come s' è veduto, a quella di santa Maria di Granarolo.

Fatta più degna la chiesa del nuovo titolo, e riaperta a' divini uffizi non permise agli abitanti di questo colle il lamentare del lungo abbandono. Ogni sua ricchezza, almen quella ove potea stendersi con frutto il barbarismo e la rapina, era scomparsa da questi altari, ma per cura del parroco e de'più zelanti parrocchiani tenea il

luogo delle opere autiche un numero sceltissimo di quadri, sottratti in qucll' epoca infausta alle rovine di nobilissimi tempii. Rimaneanvi dell' antico le imagini e le storie del sauto titolare, perchè difficili od impossibili a togliersi; sien queste il primo soggetto delle nostre osservazioni.

Se vi piaccia dirizzarle alla vòlta del presbiterio che pare invitarvi con un abbagliante sorriso di pittura, non vorrete condannarmi di tal preferenza. Noi abbiamo in quella vòlta un affresco che non ha nome nella storia, uè cenno in guida veruna; eppure di tanta forza, gentilezza e maestria qu.inta potea mostrarne suli' intonaco il valente Giovanni Carlone. Quale scusa troveremo noi perchè ne tacquero sì scortesemente? Non la pochezza del lavoro, poichè l'abside e tutto lo sfondo ne pompeggiano, non l'altezza o X oscurità, poichè brilla in aperta luce, non la mediocrità, poich'io non so dove operasse con più amore questo insigne affrescante. La vaghezza di quei colori, che sulle prime ti corrono all' occhio, la varietà de' partiti ontl' lini diletto quanto più t'avvicini e t'arresti qui sotto, il vigoroso chiaroscuro, l'energia del pennello sembran richiamarsi dell' oltraggio a chiunque vi capita. Io compiansi assai volte alla fortuna del maggior Cartone sì male rimeritato da'posteri, ma in niun luogo come nel presente; e porto tra'miei desidcrii più intimi, che il tributo di molte lodi possa quandochessia compensarnelo. Argomento a questo dipinto è la gloria di S. Rocco, espressa nel mezzo, e fregiata all'intorno con varii fatti della sua vita, e parecchie figure di Virtù negli spazi intermedii.

La sua imagioe scolpita in marmo, e posta sul secondo altare a sinistra è di quel francese Monsieur Onorato che visse ed operò in Genova contemporaneo al Puget suo connazionale. Si direbbe anzi un imitator di costui a considerarne lo stile; ma tale rassomiglianza può esser fruito dell'avere attinto in Roma alle medesime fonti» Non regge però al confronto, o perch' ebbe minor genio, o perchè sprezzò al tutto quello studio sugli antichi, di cui pure rimase in qualche manierista alcun germe. Guai per cotesto oltramontano se non curava le meccaniche dcli' arte, speciale preeetto che dava il secolo. Per queste che molto conobbe ed accarezzò fu grato a'genovesi, e forse non sarà al tutto sgradito nella statua di cui parlo, che tra' suoi lavori avanzati a' rivolgimenti del tempo tien certo il primo luogo.

Un Marcello Spareo modellatore urbinate, che nella storia si fa istrutto sugli esempi delle ottime scuole romane, eseguì le statue e gli ornati in plastica, quanti se ne veggono su que« ste pareti. Anch' essi passarono inosservati alle guide; ma con minore sfregio di chi le scrisse, e con minor frode alla chiesa. Le imitazioni che di lui ci si narrano, come possono conciliargli lode, mentre le opere mentiscono ai detti? Anche i bei tipi, non intesi, ingolfano sotto gli stecchi d'un ingegno mediocre; e con questa sentenza il divin Michelangelo profetava una generazione d'errori. Restano dello Sparzo queste sole pruove, benchè non poche ne lasciasse in Genova. Quelle che non distrussero le ingiurie dell'età furon tolte di mezzo siccome ingombri di mura; nè udii che alcuno ne movesse lagnanza.

II coro e i due primi altari ci conservano tre quadri già esistenti a'Conventuali di Castelletto, che senza questa traslocazione sarebbero forse od obliali o perduti, e il terzo a mancina un S. Giovanni decollato di Gio. Batta Merano, esposto in addietro (se male non congetturo) in S. Pier della Foce oltre le mura. De'tre accennati , l'uno è d'Andrea Seminoj ed ha il martirio di santa Caterina V. e M. Ebbe luogo sul primo altare a man destra, in luce non propizia , il che parrebbe un oltraggio a sì bel nome. Ma perchè il nome non c'illuda soverchiamente, ricordisi innanzi tutto come Andrea dipingesse da

Alizeri. Guida di Genova Voi. II. 50

vecchio, quando alle bellezze della scuola romana mischiò non poco di quell'esagerato che fa il carattere de'successori. Non abbiamo per istoria che questo sia lavoro senile, ma ce ne avvertono i suddetti caratteri onde molto si slontana dalle sue più lodate, e la tela istessa tradisce l'artista, solito a colorire su tavola fino all'età matura. Gli sta rimpetto Gio. Andrea Defferrari con un de' suoi quadri più gentili e condotti jche si conoscano. Allude alla morte del giusto col beato transito di S. Giuseppe; e certo dove si volesse vendicare il merito di questo buon naturalista dal poco nome che ha in patria e fuori, non so qual' altro dipinto si dovesse porre innanzi per saggio, tra quelli almeno che trovansi in luoghi sacri. Ed io lascerò che ogn'intelletto gentile vada deliziandosi in queste figure, e contempli que'volti del moribondo, di Maria, del Salvatore e di Michele arcangelo che armato di lancia sta in guardia dell'anima pia; si pieni di dolcezza, ch' io scordo di tener dietro ai pregi dell'arte, quantunque abbondanti, e ad uno studio accurato della natura, che domina in ogni parte dell'opera. Per tali prerogative il Defferrari somiglia cosiffattamente a Domenico Fiasella che l'uno e V altro si confondono spesso. Par nondimeno che talvolta lo avanzi di nobiltà, e parrà forse anche quivi se paragoni il dipinto di lui a quel transito di N. D., che il Fiasella ha nel coro. Costui però se ne compensa con un colore più gagliardo, più ameno, più vario, e con una composizione più dotta e magistrale. Molto abbiam detto di questo artefice, il quale a chi visita palagi e chiese cadè sott'occhio ad ogni passo; onde basterà l'aggiungere, che la tela presente non è da porsi tra il numero delle sue mediocri. Che se a voi piaccia maturare il confronto, darete forse giudizio che ambidue studiarono ad una fonte, e sentirono un genio, e fors'anche poggiarono ad una meta, benchè suoni disuguale la fama.

Le pitture ornamentali che fregiano, escluso il presbiterio, la vòlta della chiesa intera furon commesse al professore Michele Canzio in questi ultimi anni, quando le s'aggiunse pure dovizia di marmi per liberalità del patrizio G. B. Lomelliuo. L'egregio ornatista vi pose quell'amore, che ad ogni sua linea concilia lode; ma il luogo defrauda, se non m'inganno, e lode all'autore ed applausi all'opera. I zelanti dell'artistica severità veggono a malincuore propagarsi la moda, che vuole decorati gli sfondi del santuario come la sala e il gabinetto de'privati. Veggono a malincuore allargarsi e signoreggiare quest'arte, destinata solo a temprare la gravità della pittura istorica, e tener campo ove tutto dee spirare re

ligione, ove non si comportali le veneri dell'arte se non quant'è mestieri all'effetto delle storie medesime. Altri vorrebbe aggiungere, che in questo-vastissimo spazio, i bei lacunari, e i rosoni che in varii ordini vi si composero, dovean cadere necessariamente, siccome caddero, nel monotono per quantunque eseguiti con maestria, ed ordinati con senno. Ma basti aver detto con sincera franchezza quella prima verità, se pure è tale nel consenso dei dotti; chè il vero eziandio dee dirsi con riserva quando può scemare encomio ad un altissimo ingegno com'è quello del Canzio.

Poco discosto è un sentiero, che attraverso di luoghi còlti ci guida alla Chiesa Di Gesù e Maria, sul promontorio che chiamossi anticamente Co/detto, forse dalla mitezza del clima; uno de' più ameni per varie ed imponenti vedute. E l'aria salubre procacciògli altro titolo in età più moderna; essendo fama che tra il volgo si dicesse JUontesano a seguito della pestilenza del 4657, la quale menando strage grandissima in ogni contrada di Genova non potè mietere su questo colle che rare vittime. Se prestiam fede al P. Lanorio e ad Isidoro Toscano, S. Francesco di Paola passando su Genova alla vòlta di Francia, come fu giunto per nave in faccia del porto, volgendosi alla pendice di Cai

detto, pronunziò, che sorgerebbe costassù un convento del proprio ordine. Nè lungo tempo tardò ad avverarsi quel detto; poichè Ludovico Centurione caldissimo eslimatore del santo condusse di Francia alcuni frati Minimi, e diessi a cercar loro su questo poggio un degno sito per albergarli; non senza pericolo, conciossiachè insospettito il Governo di quella-gente straniera, e temendo di novità, imprigionò il Centurione, e noi fe'libero se non quando ebbe miglior contezza de'nuovi ospiti. Comprò dunque il pio benefattore un'angusta e mezzo rovinata casipola intorniata d'un solitario boschetto da certo Martino Chiavica, e risulta dall'atto di compra e vendita rogato nel 1487 a'22 d'ottobre dainotaro Francesco Camogli, ch'egli procedeva a questi atti come procuratore del santo di Paola f. Acconciatisi i frati, come poteron meglio, in quel modesto ricovero, non mancarono generosi , che in progresso di tempo ampliassero il loro soggiorno, ed innalzassero una chiesa pe' loro uffizi. Si contano per benefattori principali i Doria, signori in gran parte del soggetto borgo di Fassolo, e -Antonio Beccaria, e un marchese Spinola, e quel nostro Gio. Agostino Balbi, che stanziando poscia in Anversa, ebbe il merito di introdurre ne' Paesi Bassi d'Olanda la religione de'Minimi.

1 Ludovico Centuriono ementi nomine

et vice fratris Franasti de Paula de Calabria et sociorum ejus haeremitarum quamdam domunculatn dirtiptam cum nemore posilam in villa Granarolii loco ubi dicitur Cadelo, cui cohaeret itiferius terra ecclesiae S. Lazzari, quam ad praesens pottidet iiaptista de Ajrolo, ab uno latere via pubblica eie.

Ma delle opere antiche non resta pur orma dacché la nobil donna Veronica Spinola rifece con suo grave dispendio il convento e la chiesa. Atto liberale, che le valse presso i padri il titolo di fondatrice, come appare nella lapide posta con rozzo stile in sacristia sotto il suo ritratto colorito ad olio, la quale io riferisco distesamente perchè mi scusi il dir più a lungo di questa insigne benefattrice. — A gloria dell'altissimoj et ad onore del gran patriarca deJMinorij f effigie dell'eccellentissima signora Donna Veronica Spinola principessa di Moffétta., matrona che su la base dell'impareggiabile pietà e munificenza stabilisce eterna vita in cielo e nella memoria degli uominij fondatrice di questo convento di Gesù Maria j e generosa benefattrice di Francesco Ravetta suo creato s il quale in segno di ossequiosa e perfetta gratitudine di consenso di questi RR. padri qui dedicava. — 4688 44 febbruarii. —

Incomincia da due mediocri il ruolo delle opere d'arte procurate in varii tempi alla chiesa, se vogliamo seguir l'ordine degli altari; ma le ottime noa si faranno attender gran pezza, e di queste non è scarso il numero. Vedremo adunque di volo la statua di N. D. incoronata che s'attribuisce a Tommaso Orsolinoj e il quadro con S. Gio. Battista di suor Angiola Airoli canonichessa lateranense che visse nel monistero di S. Bartolotumeo dell'Olivelli, ambidue locati nella cappella che vien prima sulla destra di chi entra per la porta maggiore. Di questa pittrice a cui il Fiasella apprese i rudimenti dell'arte, non esiste altro saggio in pubblico, nè in privato se n'ha notizia; e credo che a quest'unica nocesser molto i restauri ed il tempo, quasi invidiando alla modesta claustrale ogni posterità.

Segue l'altare di S. Gerolamo, il cui viatico si vede espresso in una tavola di Giambattista Paggi, a mala pena godibile tra le ombre ch' ei si compiacque di versarvi largamente, e il buio che gli anni v'impressero. Nondimeno il risentito contrasto di luce che volle porvi l'autore non manca di poesia, perchè accresce mistero e venerazione a quella scena di solenne mestizia. Se ne impronta ogni volto ed ogni atto de' circostanti, fin le gentili sembianze d'un paggio che rischiara col pallido lume d'una fiaccola la povera cella e le coltrici del santo infermo. lo penso che a tali doti d'espressione si debba in gran parte la fama che novera quest' opera tra le migliori di Giambattista, e l'uso che la facea proporre in addietro all'esempio de'candidati; studio incauto, da condannarsi in tempi di massime più schiette.

Non m'increscerebbe il veder copie del Presepio onde s'adorna la terza cappella, squisitissimo lavoro di Luca Cambiaso non copiato giammai, per quanto io ne so, nè riprodotto in istampc. Lo stile della seconda sua epoca ch'è la più semplice insieme e la più gentile, si riconosce a mille bellezze di pennello e di composizione , le quali crescerebbero forse a' nostri occhi , sceverata che fosse la tavola delle viziose aggiunte fattevi nell'ima parte ond'eguagliarla alla nicchia. Il desiderio de'committenti dee fare scusa al pittore dell'avere introdotti in questa scena con aperto anacronismo il Battista già virile, e S. Paolo, e il S. Francesco istitutore de' Minimi. Egli stesso se ne fa scusa colla pietà, colla modestia, coll'affetto che stampò in quelle figure, onde si direbbe che non vi prendano parte se non come uomini in contemplazione dell' augusto mistero. Il quale nel resto è d' unità meravigliosa, o si guardi a Maria che devotamente è intenta al figlio, o Giuseppe che seduto per istanchezza senile raccoglie in lui solo

e l'occhio e il pensiero, o all'Eterno Padre che dall'alto sovra schiera di graziosi angioletti benedice al virgineo parto. È insomma un idilio religioso, se una volta sola può questo argomento celare la severa sua grandezza sotto il velo delle grazie; e a ciò forse mirava Luca, o paion dirlo almeno le tinte leggere e gaie, l'ameno paese, il pennello tenero e diligente, come s'usa in dipinto onde altamente sia commosso l'animo dell'artista.

Mi si perdoni questa prolissità; m' è facile il compensarla nel quadro di S. Francesco di Sales, che seguita sul quarto altare. L'autore, Francesco Camporaj ha quivi studiato più che mai di contraffare il Solimene; ma chi può arrestarsi a questo volgo di quadri dopo que'tipi di gentilezza?

Una bella tavola col mistero dell' Ascensione, traslocata, non ha guari, sulla vicina parete dal primo altare a sinistra, ci trattiene a lungo esame. Divenne preziosa nella comune opinione, dopo l' infausto onore che le resero i francesi col recarla a Parigi nel 1841; e par certo che per l'innanzi fosse 0 negletta o mal nota, poichè niuna guida la registrò ne' propri elenchi. Dopo quell'epoca s'intese ad esagerarne il merito con opposto errore; nè mancò chi ne amplificasse i pregi collo specioso nome del Reccafumi. I giudici mcn corrivi e più saputi credon vedervi lo stile d'Antonio Semino, ed io m'accosto alla loro sentenza, poichè di questo nostro v' han molti caratteri. Ma, come io soglio di tal fatta di quadri, lascio alla osservazione de'buoni conoscitori questa incerta pittura, alla quale non doveasi però perpetuare l' obblìo, ch' è il destino delle cose mediocri.


In capo alla navata è i ' altare di S. Francesco di Paola con una sua imagine che non ha nome nei libri, nè potrebbe avervene un certo. Ma il tacere, come s'è fatto, del quadro non va esente di colpa; se non altro per essere un tributo di pietà che diede al santo la famiglia de' principi Doria abitanti nel sottoposto Fassolo. Appiè della figura è ritratto un fanciullo di quella illustre prosapia, forse perchè salvato da malattia o da altro pericolo per intercessione del santo medesimo. Se in questa tela dovesse cercarsi uno stile, volerebbe il pensiero agli ultimi Semini o a'seguaci del Cambiaso; ma dubbio esito avrebbe l' esame, nè l' opera è tale da meritarlo. Quanto il comportavano le angustie, intesero i Padri ad ornare la cappella del lor fondatore, dandone prima a dipingere la vòlta a Giuseppe Palmieri., il quale vi colori la gloria di lui ed alcuni putti, poi fasciando di varii marmi ogni parete, forse al tempo e sotto la direzione di Francesco Schiaffino che vi lasciò parecchi angioletti per più ricchezza dell' altare. Se questi fregi attestano la devozione de' Minimi che vautano per loro capo quell' uomo d' insigne carità, non vi mancano preziosi arredi ed offerte a far testimonio della pietà cittadina, e de' voti che da una folla di gente si profferiscono innanzi alla imaginc del taumaturgo.

Fo passo alla navata sinistra, e non do più che uno sguardo alla cappella del Crocifisso, ove alcuni affreschi di Luigi Costa meritano appena d'esser veduti come saggi d'un bell'ingegno mancatoci in età prematura, e dove due quadri laterali con Cristo che lava i piedi a S. Pietro e porta la croce al Calvario hanno uno stile sì ambiguo da impacciare il giudizio de' più sagaci. S'io non vedessi che il primo, ne darei vanto al Palmieri e metterei questo tra' suoi meglio dipinti; X altro o non è da attribuirglisi, o fu ritocco dopo di lui da più vivace e risoluto pennello.

Sbrigandomi di tali incertezze, mi fermo volentieri al quadro d'Ognissanti locato sull'altare che indietreggiando succede. Non così pel merito dell' arte come per l' artefice che mi ritorna al peusiero, per quel Cesare Cortej vittima nel 4618 della santa Inquisizione. Sarà colpa il versare una lagrima sulla memoria dell' infelice? Questo sol quadro ci resta in patria a ragionarci dell' ingegno e delle sciagure di lui. Vi si scerne la maniera del Cambiaso; se non che il disegno è meno scelto e men franco, e assai più languido il colorito. Pecca eziandio dove il maestro non parve peccar giammai, dico nella composizione, afrollata e ridondante di figure, nè più felice per prospettiva di liuee. Piace nondimeno per la suddetta imitazione ., e per un pennello sì diligente e pulito, che per poco non è timidezza. Chi si diletta de' contrapposti guardi i due sportelli che nella seguente cappella servono a custodire le reliquie. Valerio Castello effigiò sovr' essi i santi Antonio e Martino con quel suo stile ch' è veramente uno specchio di fervidissimo ingegno, e perchè il lavoro si chiedeva a mascherare altre cose, diresti che il compiesse con maggior fretta di quella ch' ebbe naturalmente. Ma il genio non abbandona il pittor frettoloso , e questo dipinto non può lasciarsi senza lode se ci vengon sott' occhio le sue tinte briose, l'ardito chiaroscuro, l'esecuzione pronta, vivace, magistrale.

A fronte di tai nomi lascerei nel silenzio Francesco Zignago che dipinse i beati Gaspare e Nicolò de' Minimi per l' altare di questo titolo; ma l' esattezza propostami domanda pure ch' io il nomini, mentre m'impone d'avvertirne i difetti. Principali tra questi sono l'estrema durezza de'dintorni e la secchezza de'colori; altri vi cerchi i rimanenti se ha buon gusto e pazienza.

Maggiore scorno ha l' ultima cappella, poiché un cattivo quadro della Nunziata del suddetto Zignago subentrò in essa alla bella tavola dell'Ascensione che notammo altrove. Un'altra ve ne resta sulla parete laterale con sant'Agostino e'1 misterioso putto, da attribuirsi pure sì Semini, e più giustamente all' Ottavio. Paion dirlo 1' amena veduta di paese che fa campo alle figure, le tinte rosseggianli e liete, l'imitazione fedele della scuola raffaellesca. Se piacque rapire all' altare la prima ancona, io non so perchè questa non ne prendesse il luogo; certo è un oltraggio alla sua bellezza il lasciarla così come ancella al misero dipinto che vi fu posto.

In materia d'affreschi abbiamo opere antiche e moderne da notare, anzi da lodare presso questi Padri. Son' anzi recenti, e in parte non ultimate le medaglie, che per liberalità privata e per sollecitudine de' religiosi istessi faranno condegno ornamento alla chiesa. I primi ristori si fecero a spese del generoso patrizio G. B. Lomellino nel presbiterio e nel coro, e a questo accrebbe ricchezza una statua del Maragliano recatavi dalla sacristia e figurante l'Assunta, bel

lissima tra le sue molte di tale o somigliante soggetto fino a invogliare i francesi d'averla in Parigi colle altre spoglie della conquista. Giuseppe Isola per commissione del suddetto marchese colorì tre spazi, cioè l'incoronazione di N. D. nello sfondo dell'aitar maggiore, Gesù che disputa co' dottori sulla parete a mancina, e la predicazione del Battista su quella a destra, lavori franchi e di buon pratico. Il resto della principale navata fu saviamente allogato da'PP. al bell'ingegno di Giac. biute Borzino; chè il gioviue artista sente più viva la necessità di progredire nell'arte, e più cocente la brama di muovere i primi passi con lode. Dico il giovine che anela a buone fonti e conosce gli esempi sicuri; al qual giudizio non falliva l'accortezza de' committenti, i quali poteano tastar l'indole del prode alunno di G. Frascheri, già noto per altre opere ed encomiato. Egli espresse in due medaglie il Santo che guarisce appestati in Frejus , e Gregorio di Vico generale di Carlo Vili che uscito miracolosamente dalla battaglia di S. Albino domanda a S. Francesco lì abito de' Minimi. È sui principii una terza che dee rappresentare l' arcangelo S. Michele in atto di additare al Santo il mistico Charitas, e gì'impone d- assumerlo per impresa della sua religione con queste parole: Francisce, haec erunt msirjnia tui ordinis. Diverse figure di virtù campegginno nelle lunette, o meglio tra i belli ornati che due valenti giovani, il Leoncini e il Morgani aggiunsero alle istorie. Per le bellezze ond' è sparso ogni dipinto, io mi compiaccio, che tratto tratto esca in luce alcun saggio che torni ad onore del secol nostro, o ci mostri almeno zelanti del buono; chè troppo spessi son gli esempi contrarli. E mi giova sperare che le penne cittadine non frauderanno di migliore elogio questa eletta di giovani ad opera compiuta, e scuseranno la brevità che a me viene imposta dalla natura del libro e dalle leggi prefissemi. Conchiudo l'articolo col chiostro attiguo alla chiesa, dipinto a fresco da varii artefici e con vario esito sui principii del Xvh secolo, se non fallano le congetture. De' genovesi v' ebbero parte i figli di Pantaleo Calvi, Aurelio e Felice, e Lazzaro Tavarone il principe de'nostri affrescami; onde basta il nome ad annunziarci che strano paragone ci attenda su quelle pareti. Non dirò quanti soggetti vi figurassero i primi che n'empierono ben tre lati del chiostro; il tempo e mille insulti di ogni ragione li han guasti o coperti, e quel che vi resta di sano è una discolpa a'danneggiami, si reo stile e sì spensierato fu quello de' suddetti fratelli. Sul quarto lato del chiostro v'hanno di Lazzaro tre spazi: il morto risuscitato da S. Francesco di Paola, la guarigione del principe di Belmonte, e un terzo di tema incerto.


Mi asterrò dal far richiamo de' gravissimi mali che soffersero nel corso di più di due secoli, conoscendo che briga sia quella di preservarli dalle graffiature e dagli strapazzi d'un ragazzame che può a suo talento ficcarsi e scorrazzare per questi androni. È strano a dirsi come gli anni ci conservassero quella parte ove l'ignoranza non seppe metter la mano, mentre de'già notati han menato sì grave strazio: brillano le tinte siccome recenti, nè altrove può spiarsi il metodo e lo stile del Tavarone come facciam quivi a bell' agio. S'aggiunse a lui un pittore sanese che molto gli somiglia nelle massime, Ventura Salimbmij detto il Bevilacqua dal cognome d'un suo mecenate. Eseguì una medaglia presso quelle del genovese col miracolo dell' energumena, oltre a un semicircolo al disopra contenente un bimbo tornato a vita per intercessione del santo, e non so quali altri prodigii. Se dovesse istituirsi.un confronto tra i due vicini, prevarrebbe Lazzaro di compostezza, di temperanza, di maestria, ma il Salimbeni di varietà e di brio, prerogative, direi quasi, comuni alla sua scuola. Dacchè gli oltraggi toccaron più gravi alla medaglia di lui, non possiam giudicarlo che dallo spazio superiore, il quale presenta mille grazie nuove, e ci fa dolere che per troppo stima di sè partisse l'autore dispettoso da Genova non molto dopo d'esservi giunto. Di siffatto orgoglio ci lasciò senza avvedersene un documento in questa medaglia che ormai può dirsi unica, ritraendosi in ambo le istorie e con diverso abito. A qual prò? dimanderebbe taluno: per mostrarsi (rispondo) cavaliere di due ordini; e temendo di non esser tuttavia riconosciuto a questi segni, soscrisse il nome al superiore dipinto coll'aggiunta dell' eque» che tanto gli piacque.


Se non è stranezza che il Ratti notando nella sua guida quest'opera del sanese, lasciasse ncll'obblio le bellissime del Tavarone, ed ogni altra del chiostro, domanderò quali siano le stranezze ole negligenze di chi scrive una guida.

Una comoda strada discende dulia chiesa de' Minimi al sestiere di Fassolo, che noi visiteremo ne' suoi splendidi monumenti, dato prima uno sguardo all'Oratorio costrutto da non molti anni quasi in fondo alla discesa sotto l'invocazione Di Nostra Signora Del Rosario.

Salgono le origini della confraternita dalla quale è amministrato fino al 4504, e convien porla Ira quelle molte che si fondarono dopo che un padre Alano, degno seguace di S. Domenico, propagò colla voce e coll'esempio la devozione al Rosario di Maria. Diffatti essa fu diretta ne suoi principii, com'è tuttora, da'RR. Frati predicatori, e per le cure del P. Vincenzo Bandelli generale di queil ' Ordine ottenne nel 4504 la permissione di fondarsi un oratorio o cappella per celebrarvi gli uffizi. Sorse questa sulla spiaggia del mare, attigua alla chiesa di S. Teodoro disadorna ed angusta, nè molto visse; poichè il lavoro delle mura marittime Tatto poc'oltre la metà del secolo dovette inoltrare su quella linea. I confratelli, dolenti della perdita, riparavano nella chiesa suddetta, ottenuto da' canonici lateranensi il permesso di congregarsi nel loro chiostro; e la nobile famiglia de'Lomellini patrona di più cappelle in S. Teodoro, una ne donava loro nel 4602, come In atti di Lorenzo Pallavania, affinchè proseguissero decentemente in quegli esercizi di pietà che da due secoli commendavano il loro istituto. Con qual zelo l' adornassero si vedrà nella descrizione della chiesa; or mi conviene dire del secondo oratorio edificato non lungi dal primo, e tenuto dalla consorzia fino a questi ultimi tempi. Comprarono a tale effetto porzione d'un giardino spettante ai lateranensi sui fianchi della vecchia strada, lungo palmi 72, largo 43, e quivi il costrus6ero previo il permesso della Sacra Congregazione de' Riti in data de' 29 novembre 4659. Non

dirò la modesta ricchezza che in seguito vi adunarono, trattandosi di cose perdute, e a scanso di prolissità salto di piè pari all' oratorio attuale. Fu mestieri mettere a terra il suddetto nel 4820 quando fu spianata la strada di Fassolo; ma lo zelo de'con fratelli, e le largizioni cittadine poterono entro il giro d'un lustro rifabbricare co' disegui del Barabino l'elegante tempietto. Esso ha forma rotonda, e in prospetto un pronao sorretto da quattro colonne d'ottimo stile, comprate fra gli avanzi della distrutta chiesa di Castelletto; nel timpano è la seguente iscrizione: D. 0. M. Divaeque Rosarii Virgini antiquo FassoliSj ampliatione viae destructo sacello urbis procerum munificenza novum hic reedificare studebat sodalesque dicabant anno HDCCCXXV. Altri marmi s'adattavan nell'interno, parte recati dall'antico oratorio, parte acquistati da'canonici di S. Teodoro, cioè colonne smosse dal loro chiostro, mutilato nell'apertura della nominata strada.

Altre spoglie della vecchia cappella, quanto almeno appartiene a belle arti, non posso registrare, salvo lo stendardo rappresentante N. D. titolare, dipinto nel 4722 da Giambattista Parodi per la mercede di lire 300. Non è in buono stato dopo tanti anni, ma custodito quanto basta per salvarci qualche anno di più l'opera d'un pittore di cui s'hanno pochissimi frutti. La statua in marmo di Maria posta sull'altare fu data in dono alla confraternita dal fu principe Luigi Gio. Andrea Doria Pamphily il 47 giugno 4826. Non è di scalpello spregevole, ma vuole specialmente un cenno siccome monumento istorico. Esisteva anticamente nella picciola cappella che il grande Andrea Doria fece edificare nel 4532 sul molo vecchio a comodo de'propri equipaggi , impiegandovi parte del prezzo delle artiglierie prese a Corone e Patrasso castelli di Morea. Quel santuario sussisteva ancora nel 4583: iu tal'anno monsig. Bossio visitatore apostolico ne ordinò la demolizione, e da quell'epoca fino al 4826 stette il simulacro nel principesco palagio di Fassolo.

Questo sestiere, che circoscritto alle spalle da' gioghi di Granarolo, di Montesano e di S. Benigno si stende in forma di semicircolo da'baluardi di S. Tommaso fino alle scogliere di quest' ultimo promontorio, confine occidentale di Genova , è complemento ( siccome annunziammo ) dell' opera nostra; e ci aggrada il compirla colla descrizione d' un luogo che racchiude in breve spazio tali monumenti, e in si gran numero, da non portare invidia a qualsivoglia altro più nobile e più antico de' già percorsi. Dopo non corto cammino che ci convenne dirizzare per alterni saliscendi in cerca di chiese e palazzi seminati sulle vette■ di queste colline che vagheggian dall' alto la popolosa metropoli, non fia ingrato a' miei colleghi il ricondursi alla pianura, e risalutare la bella marina, che da un limpido orizzonte corre dopo sicuri grembi e tortuose riviere , a lambire le mura che ricingono la culla d'un Colombo e d'un Doria. Non puoi muover passo, tostochè tocchiam la pianura, che il dolce spettacolo non ti si rinnovi allo sguardo; nè troppo manderai l'occhio all'intorno, che non ti ferisca di meraviglia l'altissima Torre Del Faro la quale a guisa di minacciosa scolta pir seduta a guardia della città, sovra un cumulo di greppi, contro i quali s'infrangono con ispume or rabbiose or tranquille le onde del mar sottoposto.

La nuova veduta non consentirà a voi di portare altrove la meraviglia, nè a me di accennarvi altri monumenti di glorie antiche. Giova adunque, mentre facciam passo per considerarla d'accosto, e visitarne (ove piaccia) il didentro, il ricondurci a memoria le cose istoriche che van connesse alla vita di una mole cotanto ardimentosa. Fin da'tempi che Genova era stretta in cerchia angusta, quando i presenti luoghi non eran più che una spiaggia deserta, od appena abitata di poveri casolari, su quegli scogli torreggiava una fortezza, primo propugnacolo alle insidie degli esterni nemici, e triste recinto da custodirvi i delinquenti. V'ha chi afferma che su quell'arida halza morissero per forca i rei di capitale delitto, finchè i francesi nel 4507 sotto il governo di Luigi XII non eleggessero a luogo di supplizio l'eminenza del Castellacelo. Si raccoglie dal Giustiniani, che quivi lasciasse la vita un cotal'uomo da Savona nell'anno -1239 per reati non si sa quali. Non però si debbe accettare questa notizia siccome la più antica che riguardi i presidii del faro; chè ne esiste memoria fin del secolo innanzi in un atto in cui si discutono a censo le guardie sui varii punti della città.

Sotto il 4347 fii soggetto di memorabil fazione. L'assediavano i ghibellini che cacciati in esiglio da'guelfi vincitori spingevansi a'danni degli emuli rafforzati da gran nerbo di milizie lombarde guidate da Marco Viscónti; Tornò in vano l'assedio, perchè que'di dentro, steso un canape , con mirabile ardimento, da un capo della torre al vecchio molo spedivano alla città i lor messaggi éntro una gabbia sospesa al canape stesso, e quando i viveri furono esausti ne ricevevano per questo mezzo le provvisioni. I nemici delusi mutaron partito, e con iscavi sotterranei sospesa la gran torre a' puntelli, minacciarono d' incenerir questi e mandar tutto in rovina se persistevasi nelle difese. Vinse cosiffatta necessità; i sette rinchiusi nella fortezza si resero, salva la vita; ma questa con atto bestiale fu lor tolta da' cittadini, che con mangani ne balestrarono i corpi nel campo nemico. A tali atrocità si contrapponga la commovente istoria de'Lusignani, nella quale la rocca del faro ha gran parte. Vinto Pierino di questa famiglia regnante in Cipri dalle armi formidabili di Pietro da Campol'regoso, si venne a patti tra la nostra Repubblica e il soggiogato monarca, che offerse risarcimento dei danni, nuove franchigie al commercio, ed ostaggi. Venne statico, tra gli altri, a Genova Iacopo Lusignano zio di Pierino, e seco la dolente sua moglie; nè mollo andò, che violati i confini prefissi dal Governo alla lor dimora, ambiduc furon chiusi in questa torre, ove durante la prigionia nacque loro un figlio, che ebbe nome Giano dalla città de' suoi miseri natali. Così vissero intorno a due lustri, in capo a' quali, morto Pierino senza prole, cadde in Giacomo la successione al regno di Cipri. Non si rammenta senza un moto di tenerezza l'atto generoso di Leonardo Montaldo, doge allora della Repubblica, il quale recatosi alla torre del faro, sciolse i ceppi agli sventurati principi, donò loro e libertà e regno, e li

fece scortare a Cipri da Nicolò Manilio con dieci galee.

Quella rocca ch' era primo arnese e propugnacolo della nostra libertà divenne più tardi strumento di tirannide. Luigi XII di Francia, soffocati nel 4507 i germi della popolare sommossa , v' aggiunse un baluardo cui diede nome di Briglia s come volesse imbrigliar Genova a guisa di bestia. Ne fremette la terribil'anima di Giulio II ; dopo un lustro Giano Fregoso per consiglio di lui correva a queste spiagge con gran polso di gente, sforzava i francesi a rintanarsi nella Briglia, e a voce di popolo era assunto al dogato. L'incredibile ardire d'Emanuele Cavallo toglieva colle vittuaglie ogni speranza ai rinchiusi, ogni nervo all'insolenza straniera. E non molto dopo Ottaviano Fregoso, il santissimo de'cittadini, consumava l'impresa, snidando costinci ogni rimasuglio di Francia, e fatto doge ordinava si atterrasse il baluardo, azione generosa ma incauta.

La torre, smantellata durante l'assedio dalle nostre artiglierie, fu rimessa in assetto nel -1543 da'PP. del Comune, e ve n'è memoria nella scala interna: +J+ Anno a Christo nato Mdxliii restitutae libertatis xvi Petru de Cibo Clavicaj Jo. Baplkta Lercarius q. d. et Luciumts Spintila q. Georgii patres Communis instaurarunt hanc turrim quam olim majores nostri struxerunt et t/uae HDXll in oppugnatane arcis Lanternae tormentis diruta fuit. Se il computo delle misure può dare a' lontani una debole figura di questo colosso, non è inutile il dire, ch'essa si leva dulia superficie del mare cento ventidue metri e mezzo, e settantasei dallo scoglio sul quale si reg^e. Il nome di Lanterna, venutole dall'uffizio a cui fu destinata, non è moderno: fin dal 4526 la parte ghibellina vi stabiliva un fanale a comodo de'navigami. Nondimeno a'presenti era serbato il perfezionare quest'opera; oltre le marmoree scale, è da ammirarsi la fiamma che arde sul comignolo e s'ecclissa di minuto in minuto, e quando par quasi che s'ammorzi, i nocchieri la disceruono cinque leghe lontani, quando si ravviva e brilla in tutta la pienezza de'suoi raggi, la vedresti come vicina a doppia distanza. Il benemerito lavorq è raccomandato alla lode de' posteri con questo modestissimo scritto: Per cura degli Edili stabilito il nuovo lume alla Fresnel, rifulse il Faro ai 45 gennaio 484-1.

Ma dovunque io mi volga abbondano le pubbliche opere vuoi antiche o moderne, vuoi destinate a comodo o a difesa della città, che da questo luogo ti si mostra in tutta la svariata sua pompa. Dilatato nel 4630 il recinto di essa, surse in piedi la nuova porta, sulla quale siede

Auzeri. Guida di Genova Voi, II. 51

regina Maria, tutelare di Genova, scultura di Bernardo Carlone postavi nel 4G33, e in progresso fu ornata con bozze di travertino in bell' órdine dorico dal Ponsonelli. Altra aggiunta si fece nel 4830 sotto il regno di Carlo Felice; fu protratta la cinta fin rasente le scogliere del Faro, e quivi costrutta co'disegni del generale Giovanni Chiodo una porta a doppi archi di carattere robusto e militare, che si congiunge alle mura per sicuri ed irti baluardi, spaventosi a mirarsi e per altezza e per mole. Se guardo a sinistra sull'ampio bacino del porto, mi chiama ad altri cenni il Molo movo, proposto nel 4637 al gran Consiglio delle Compere di san Giorgio, ed approvato malgrado la cospicua somma di §00m. scudi che si chiedeva a tanta opera. Il i.° maggio dell' anno appresso sei senatori ascesa la capitana, si recavano a questo luogo, e poneano la prima pietra; presente alla cerimonia sinsaldo De-Mari architetto insigne a cui era stata commessa la fabbrica. La pergamena racchiusa, giusta l'uso, nel tubo conteneva la seguente memoria: D. 0. M. — Nova libertatis moenia vìmm Patribus struwissc parum nisi novam et molem fundarent annnnae, nec alium sccundi operis molitorem querendutn rati
1 È strano che Ansaldo De' Mari che vediamo impiegato nella fabbrica del nuovo Molo non trovasse un luogo nella storia delle arti patrie; e tanto più strano se si considera che a lui venne affidata la costruzione del nuovo recinto di mura, opposto nel 1630 alle minacce del Duca di Savoia. Di quest'opera lo fanno autore alcuni libri ebe ne parlano por incidenza, tra' quali il Calcagnino nella sua Imagine Edessena, ma la migliore testimonianza son le parole dell'iscrizione surriferita. Il Ratti nota come architetto del Molo il piemontese Giacomo Aicardi, ma convien dire, ch'egli s'aggiungesse al De'Mari per aiuto, o dirigesse le opere posteriori.

stauri di grave momento, e si notano Ira i principali quelli che si eseguirono negli anni 4645, 4669 e 4670. Il regno della Casa di Savoia ha sua parte di gloria nel nuovo molo; per cura del provvido Governo esso fu accresciuto nel 4844 di ventidue metri, e un'altra aggiunta di trentadue fu testè deliberata, e se ne vedono i principii in un'enorme cassa stabilita all'estrema punta, e ne' macigni che tuttodì vi si recano dalla prossima cava per assicurare le fondamenta dall'urto de'flutti.

Per siffatto lavoro, degno di potente e ricca città, il porto riuscì più sicuro, e i navigli trovarono un nuovo riparo contro la furia de' venti. Servì anche fin da principio a stazione sanitaria di que' legni che tornano da luoghi lontani e sospetti; ma nell' attuai secolo si disegnava di ridurla a forma ed ordine di stabilimento. Nel 4820 sotto la direzione e co' disegni del valente Domenico Tagliafwhi capitano ingegnere, e regio architetto fonda vasi una calata lungo la spiaggia, e sovr' essa si costruivano dieci parlatorii per agevolare senza pericolo le comunicazioni co'marinai trattenuti in quarantena. Altre stanze per gli uffiziali, e per bisogno ( che può nascere) d'infermerie furono alzati sovra la pianta istessa; lavoro modesto ma saviamente ordinato e disposto. Sorge nel centro un tempietto

circolare intorniato di colonne corinzie, e schiarato da un elegante calotta, in vista del quale mi sentii portato a lodare altamente l'autore, che nato da insigne architetto potè dall' infanzia iniziarsi alle forme del bello, ed erudirsi nell'arte dietro i paterni esempii. Sull'alture fu collocata un'imagine marmorea di S. Rocco, da cui la chiesuola ebbe titolo; scultura dì Ignazio Peschiera, lodevole per concetto e proporzioni se pur lascia desiderio dal lato della finitezza. Questa cappella fu solennemente aperta e consecrata il 46 agosto del 4824, come dichiara la epigrafe murata sulla porta, che tien' anche memoria dello stabilimento, e delio scopo a cui serve: — D. 0. M. — Religionis praeceptis tenendis — hospitalitatis muneribus advenarum colloquiis tuto perficìcndis — nautarum commodo — aquis perenniti* hauriendis — aedificium ex» tructum — ex I. R. M. Sanitatis consulto — Divo Rocho Patrono — commendabatur — anno Domini Mdcccxxi — consecrationis templi xvi augusti. Costrutte che furono le porte nuovissime della Lanterna si chiuse il passaggio alla Quarantena; ma fu supplito con doppio e men difficile accesso, sul destro lato per le carra che attraversano i sotterranei della porta, sul sinistro mediante una scala onde i pedoni vi scendono con agio e prestezza.

Dopo tante opere, naie e cresciute co'secoli, non incresca salutare da lungi un monumento che gli anni e le vicende politiche han pressochè distrutto con grave rammarico de' cittadini. Se da' luoghi ove siamo corre lo sguardo a settentrione, l'opposta pendice di S. Benigno v'insegna il titolo della chiesa ch' io piango. S'affollano al pensiero le memorie della sua antichità; ma che giova il riandarle» se non ad accrescer dolore? Le principali però non si vogliono tacere finchè rimane un sasso di quell' antica ed augusta basilica; non dovendo l'amor di patria prender legge dal tempo o dalle rovine. I Cisterciensi venuti di Frati noria nella Savoia la edificarono sugli albori del xu secolo sovra il terreno d'un certo Visdomini, e Siro l1 vescovo e poscia arcivescovo di Genova la consecro nel -1432. Ampliarono in seguito il convento, giocandosi del suolo intero, già proprietà del Visdomini, che Guglielmo Porco nipote e successore di lui donava graziosamente nel 4-155. Uno spedale costrutto da loro in vicinanza della chiesa avea nome tra i principali, e come dipendente dall' abbazia sfuggì al decreto di Sisto IV che incorporava ogni ospizio a quello di Pammatone, quantunque, a dire dello Spotorno, non si mantenesse dopo quella bolla in egual fiore. Ma il monastero salì di corto a gran fama, e vi si mantenne, avendo soggette le abbazie fondate in Corsica, cioè di Talkrvo, di Corsigallia, di Bonifacio e di Ginarca. Le sacre spoglie del ven. Beda confidente e ministro di Carlomagno concorsero ad illustrar questa chiesa, di che ebbe merito un Giovanni Bevilacqua che ne fe'dono, e n' ebbe in ricompensa il titolo d' ab:ite nel cenobio di Giuarca. Nel -1431 Papa Martino V incorporò il S. Benigno ( o meglio S. Benigno e Paolo come nominavasi) all'abbazia di S. Gerolamo della Cervara sul promontorio di Portofino; soggezione che non durò più d' anni tredici.

Più funesti alla basilica riuscirono il dominio di Francia, e i mali che sempre l'accompagnarono fra noi. Parve pronostico della moderna rovina l'usurpazione fattale nel 4507 da Luigi XII, il quale fondò sul territorio de' monaci la temuta fortezza della Bri
Il Governo francese, e l'attuale trassero «guai partito dalla sua torre o campanile; dimezzato dopo quella sommossa servì ad viso di telegrafo che rispondeva da Ponente a quello di Savona, da Levante al semoforo delle alture di Sori. Ora un custode armato di poderoso cannocchiale va spiando dal pinacolo le vele che spingonsi al nostro porto, e dà i segnali, e li riceve dal telegrafo della R. Darsina. Della chiesa non ci avanzano che le mura di cinta formate a pietre quadrate secondo lo stile del lor secolo; l'intèrno è magazzino d'artiglierie le quali stanno al coperto sotto un vólto di pozzolana che tien luogo di tetto. In parte distrutto, e qua e là travisato è il chiostro, superbo oggimai di quel solo pregio che non può togliergli nè mano d'uomo-, nè ingiuria di secoli. Accenno alla postura; accenno alle sorprendenti vedute che vi si godono ad ogni muover d'occhio; di fronte il ricco sobborgo di S. Pier d'Arena co'suoi cento palagi, e colle amene sue ville; a destra i verdeggianti colli di Granarolo; a mancina una stesa di mare sul cui fondo azzurro campeggia la torre del Faro; alle spalle il panorama di Genova, che pare miracolo d'illusione a'pedoni stessi che la scuoprono per questa parte dal piano. Non ho mvitato i mici colleghi ad ascendere l' eminenza di S. Benigno temendo che lor gravi il salire; ma forse giunti colà non mi rimproverebbero l'invito.

v A poca distanza, sulla cresta del promontorio che corre ad unirsi alla collina degli Angeli fu spianalo e chiuso di mura un Cimitero per gli Inglesi che muoiono in queste contrade. Sorgeva per l'addietro sull'area stessa una cappella dedicata a santo Stefano, la quale donata per Regia munificenza alla detta nazione, mutò faccia. Giacomo Sterling console inglese presso S. M. il Re di Sardegna uguagliò il suolo scosceso di greppi, e lo fe' ridurre all' uso presente, come dice una lapide all'ingresso: Britannis his in oris vita defunctis Me locus sepulturae R. munìficentia dalits et in formarti coemetcrii cura Jacobi Sterling Reg. Mag Britan. Comulis redactus nunc dedicatur.

A. D. MDCCCXIX.

È tempo di retrocedere, e d'esplorare in ogni suo monumento la contrada di Fassolo. Ma ci tardano un istante il piacevole esame le notizie dell'Ospitale Militare Divisionario che grandeggia sulla parte sinistra di questa strada nominata tra il volgo della Chiappella. La grandiosa sua fabbrica, fondata sul dorso di questo colle che si congiunge al promontorio degli Angeli, e s'incurva a S. Benigno serviva ancora sul tramonto del passato secolo a stanza di monache Turchine, alle quali il patrizio e dottore Orazio Torre nel -1659 l' aveva innalzata del proprio insieme ad una chiesa intitolata alla Natività del Signore. La rivoluzione del -1797 intimò alle religiose l'abbandono di quel tempio e di quel

chiostro, i quali indi a pochi anni dal Governo francese venuto al possesso di Genova furono messi in assetto per curarvi i soldati feriti o travagliati da altro morbo. Chi vuol conoscere quanto s' apponesse nella scelta, salga quest' altura; sì bella e sana aria vi spira, e tal vista vi si fruisce del porto e della città, che s'aprono incantevolmente in ampia scena allo spettatore. Seguitarono l'esempio i Reali di Sardegna, da'quali nel 183,1 fu destinato l'edifizio alla cura delle milizie di questa Divisione, e fornito lo stabilimento d' una formale e bene ordinata amministrazione. Presiede a questa un Consiglio, di cui è capo l' uffiziale primario dello Stato maggiore. L' ordinaria direzione è raccomandata ad un uffìziale contabile di prima classe che ha privata abitazione ncll' ospizio. Provvedono alle cure un medico ed un chirurgo principali , formanti parte del Consiglio amministrativo, e secondati ne'benemeriti uffizi da parecchi altri dottori di chirurgia e di medicina, e da non pochi candidati della scienza, i quali contemporaneamente agli studi frequentano lo stibilimento, e vi prestano i servigi di minore difficoltà. È stabilita pe'bisogni degl'infermi un» decente e copiosa farmacìa ne' locali attigui al cortile, diretta attualmente da un valente chimico, nel quale alla dottrina va del pari la genlilezza dell' animo. Le cose dello spirito son fidate a due padri Cappuccini, e le suore della Cirità ministrano a' malati, e sorvegliano alle faccende economiche. A tutti costoro fan muto elogio ma continuo ed efficace la pulitezza delle infermerie, la prontezza de'rimedii, l'ordine, la decenza e la gravità che spira in ogni atto degl'inservienti, e che degnamente risponde alle sollecitudini del Sovrano Governo che ordinava a durabil forma quest'asilo della soffrente umanità. Non mi fermo, pressato dal tempo, a più lunga analisi; e chiudo questi cenni, forse troppo brevi all'importanza dello stabilimento, con poche parole sul pochissimo che v'è d'artistico. Una statua di N. D. ch'è sull'ingresso non merita cenno, se non in quanto un'epigrafe che v'è sotto, salvata insieme al simulacro dall'antica chiesa, tien memoria della primitiva fondazione. La nuova chiesuola ha recenti pitture di Giuseppe Passano decorate dal Ballino j le quali rappresentano beati della Casa di Savoia ed altre istorie, alle quali la mediocrità del lavoro non mi lascia dar nome uè descrizione. Ma può venire in opportuno compenso la tela dell'altare figurante Cristo che risuscita Lazzaro, opera di autore ujnoto, ma sì piena della forza e della evidenza del Caravaggio che mi sento condotto ad attribuirla alla scuola di lui.

Tra non molto la strada si parte in due; l'una è l'antica che corre tutto il borgo, e raggiunge l'ardua salita di S.w M.a degli Angeli; l'altra è traccia moderna, come vedremo, e seconda le mura marittime. Son divise dalla Chiesa- Di S. Lazzaro , dall' Ospedale De' Lebbrosi , e dalle fabbriche seguenti sulla linea medesima. La suddetta chiesa e lo spedale deono fermarci assai più di quello che non chiede l'esterno; non per numero ma per importanza di monumenti. E quando i secoli avesser daio di morso in questi, pur ci fermerebbe l'antichità delle memorie, e il pregio dei fatti a considerare un luogo che si mostra con sì meschina apparenza.

Ne'tempi remoti, allorchè non era quivi se non una spiaggia di mare con poche ed oscure abitazioni, passava scopertamente attraverso di quest'area il torrente che precipita dalle alture degli Angeli, e che fondata la chiesa, prese il nome di S. Lazzaro; e un ponticello nominato il Clericolo metteva dall'una all'altra riva i passaggeri. Lunghesso la sponda fu costrutto l'ospizio di cui ci apprestiamo a riandar le memorie; non per decreto e dispendio pubblico, siccome scrissero l'Accìnelli e ii Federici, ma per consiglio e liberalità d'un privato, che la storia ha taciuto ai posteri. Ma come le belle azioni non debbono perire nella mente degli uomini, restò il nome di lui nelle antiche carte dell'Opera, passate nel 4646 al Magistrato de'Poveri,a cui ne fu addossata in queil ' anno 1'amministrazione. In una di esse è scritto, che essendosi presentato (MiO) allo Comune di Genova quell'Intorno detto il buon Martino j gli chiese licenza di fabbricare uno hospitale per rifugio de' poveri infermi lebbrosis e che questo gli diede benigna annuenza, et ne prese la protezionej et gli diede tutta quella comarca. La verità del fatto, a chi ne dubitasse, è confermata dall'atto consolare che fa parte del preziosissimo libro de'giuri. Per esso i consoli di Genova Lanfranco Pevere, Ansaldo Mallone, Guglielmo Lusio e Rodoano concedono al buon Martino una porzione di terreno, proprietà del Comune, quant'è il tragitto dal ponte Clericolo ingiù fino al mare, e dall'una all'altra proda del torrente fino al sasso segnato di croce. E ciò a patto, ch'egli v'innalzi una chiesa in onore di Dio e di S. Lazzaro, e sovra ambe le rive formi una strada da calar diritti alla marina; farebbe poscia a suo talento altri edifizi dove ne abbisognasse l'ospizio. Poich'egli offerivasi pronto anzi voglioso di attendere alla cura de'miseri lebbrosi, il crearono amministratore della futura Opera, e de' beni della chiesa; e dove il caso o alcun danno glielo impedisse, avesse dritto egli e la moglie in perpetuo al vestito e al nutrimento sulle sostanze dello spedale, come fosse de' principali congregati. Il numero di questi venia limitato a cinquanta tra i sani e gl'infermi, data all'arcivescovo balìa d'accrescerlo, dove stimasse utile nonchè necessario 1.

1 Quest'atto è riportato dal benemerito avvocato Carlo Cuneo nelle sue Memorie sopra la Banca di S. Giorgio, ed è di tale interesse eh' io non istimo snperUuo il riferirlo nelle mie note. — In ecclesia S. Lawentii in praesentia domini Syri januensis archiepiscopi et Consilio et praecepto. Consules Lanfr. Piper, Bodoanus, Guillelmus Lusius, A. Malonus laudaverunt et afflrmaverunt quod Bonus Martìnus secundum consuetudinem Consulum et Communis januensis et omnium personarum per eis habeat totum id quod Commune Januae habet a ponte Clericolio in jusum versus mare a ripa fossati usque ad aliam, et usque ad lapidem illum in quo crucem designaverunt, tali ordine ut aedificet ibi ecclesiam in honorem Dei et B. Lazzari, ita videlicet quod ex utraque parte fossati faciat vias quae ad mare descendant, et searium quod in ripa remansit sit Communis januensis, facto ecclesia possit aedificare domos et omnia aedificia eidem ecclesiae necessaria. Ita laudaverunt quod Bonus Martinus dum vixerit et poterit habeat procurationem et duminium procurationis praedictorum pauperum et ecclesiae, et si ad hoc pervenerit quod praedictas procurationes exercere non possit, habeat lamen ipse et uxor ejus dum vixerit de bow's praediclae Congregationis viclum et vestitum sicuti unus ex majoribus fratribus in praedicta congregatione commorantibus. In praedicta congregalione possint esse fratres inter sanos et aegros L, et plus in ordinatione domini archiepiscopi si et visum fuerit. Liane

Le controversie che insorsero fra il preposita de' canonici Mortariensi, e l'arcivescovo Siro nel 4153 ci palesano come la chiesa in quest'anno si cominciasse a fabbricare sovresso il ponte di Clericolo. Fu portata la causa al Pontefice, il quale rimise l'incarico di comporre i litigi all'amichevole in Ottone preposito di santa Maria delle Vigne e in Ugo arcidiacono della cattedrale. Si convenne, che il prete e i ministri di S. Lazzaro non dovessero immischiarsi e cavar profitto dalle primizie, e dalle oblazioni solite farsi da'parrocchiani nella lor chiesa di S. Teodoro, nè dalle sepolture de'medesimi, quando non fosse per volontà testamentaria, purchè i preti di quella chiesa non vi traessero i testatori con seduzioni e raggiri. L'arcivescovo per sua parte accordò a' canonici il benefizio d'un censo consistente in una libra di cera da pagarsi loro dal prete ciascun anno nella solennità di S. Teodoro.

Da antiche lapidi e memorie abbiamo, che il sacerdote a cui venia commessa la cura dello spedale di S. Làzzaro, a somiglianza di quelli che governavano ogni altro ospizio, diceasi Pruecr.ptor mansionis. Le attribuzioni di lui non erano però illimitate, poichè gl'infermi quivi ricoverati, non che le persone pie ascritte all'Opera, componendo per certa guisa una confraternita, come vedemmo, a numero fisso, avean diritto a' suffragi in ogni istrumento ed atto che si stipulasse negl' interessi dell' Ospizio, e più tardi ebbero facoltà da Papa Nicolò V d'eleggersi per voti il precettore, cioè nel 4483 1.

cero lauderà isti Conmles fecerunt, quoniam Bonus Martinus divina inspiralione commotus in consorcia praedictorum pauperum ministraturum se suppostiti, et se et sua eidem congregalioni dedit, et praediclam ecclesiam in ordinationem domini archiepiscopi aedificari promisit.

Questa specie d'indipendenza non andava immune però di molli e gravi disordini, a'quali si pose un rimedio col soggettare l'ospitale nel 4548 al magistrato di Misericordia. Nel 4662 l'amministrazione di esso, per decreto del Senato, passò a'moderatori dell'Albergo de'Poveri, ne'quali si mantiene tuttavia. Io credo che la natura del morbo che vi si cura, lo facesse sopravvivere alla estinzione de' molti spedali incorporati a quello di Pammatone sulla fine del secolo xv.

1 A' tempi di questo Pontefice avvenne cosa degna di riferirsi. Il precettore di S. Lazzaro, che reggeva a que'giorni lo stabilimento, indettatosi cogP infermi, vendette nascostamente alcuni stabili di proprietà dell'ospizio; di che giunta notizia al Papa, deputava i reverendi abati di S. Benigno, di S. Michele della Porta, e di S. Fruttuoso ad esaminare e riferire su tal ladroneccio. Chiarita la verità dell'accusa, sco immicava il sacerdote, cacciava gl'infermi, e dava incarico a un prete Gio. da Savignone di mettere in possesso della chiesa li rev. Francesco di Castelletto. Neil' atto che lien memoria di questa trasmissione di possesso si fa verbale della cerimonia: et V abbiamo portato in chiesa, et li abbiamo fatto abbracciare il coro, et tirare la corda

Ma le presenti condizioni di questo spedale di S. Lazzaro vanno assai lungi da quella prosperità che gli arrise ne' primi tempi. La pietà citi* tadina che ne'secoli di mezzo vedea ne'nosocomii non solo un precetto di cristiana filantropia ma si ancora un debito di civiltà, ne ingrossò i redditi, e vieppiù li aumentarono le donazioni degl'infermi, che d'ogni condizione e fortuna vi capitavano. Yiveano allora in comune, e spesso seduti ad una mensa profittavano del bizzarro costume che aveano le confraternite laicali così dette Casacce. di venire in certi giorni dell'anno processione allo spedale, e d'imbandire in apposita sala un suntuoso pranzo agl'infermi 1.

1 Secondo le primitive istituzioni, questi confratelli si recavano all'ospedale, e ministravano le lor cure a'lebbrosi. Coli'andare de'secoli, e col guastarsi delle antiche discipline, mutarono quel filantropico uffizio in un'imbandigione assai ghiotta di vivande. La sala de' pranzi è ridotta attualmente a magazzino di granaglie, ma vi restano ancora le lapidi che fanno memoria delle Casacce le quali intervenivano a compiere siffatta usanza. Non di rado parecchie di esse incontravansi il giorno medesimo a questo uffizio di gastronomia, e ne sorsero disordini gravi e quistioni di precedenza. Laonde fu m.stieri assegnare a ciascuna diversi giorni, nò bastando forse un tale statuto, dovette il Magistrato de' Poveri nel 1663 richiamarle a questa osservanza, e sancire la legge colla pena di cinquanta scudi a' trasgressori.

Ora han celle separate, e il permette lo scarso numero minore dei dieci; vivono del tenue assegnamento che loro porge il Magistrato de' Poveri, e di qualche guadagno che ritraggono dal proprio lavoro. È loro interdetto l'uscire dallo spedale, essendo provata la contagiosa natura /lei morbo; specie di lebbra, o di scabbie, nota sotto il nome di malattia di S. Lazzaro, dal titolo forse de' primi ospizi che si edificarono alla cura di questi infelici.

Il già detto sullo stato e l'economia dello stabilimento è forse troppo verso il molto che dovremmo dire intorno al fondatore, e al prezioso monumento che ancor ci rimane della pietà di lui. Fu errore necessario di parecchi l'affermare che i consoli della Repubblica ergessero il presente ricovero de'lebbrosi, e ogni gentile spirito cittadino dee godere, che diradate un tratto le tenebre dell'antichità si ridoni questo vanto a un privato, che diede le proprie sostanze, e consacrò la sua vita al vantaggio della travagliosa umanità. Che se i tempi fossero men negligenti delle patrie memorie, o meno antica l'opera del Buon Martino, il nome di costui si udrebbe celebrare sulla bocca del popolo insieme a quelli d'un Bosco e d'un Vernazza. Benchè, quanti sono fra il popolo che sappiano pronunziar questi nomi?

Nè so sperare che l'ingiusta fortuna del Buon Martino si raddolcisca punto a compenso del lungo oblìo, e ad aumento delle glorie cittadine. Il tempo ha rispettato più che non fecero gli uomini l'opera della di lui carità. E noi che viriamo in secolo civile, e pronto ad esaltare ogni filantropico trovato, ripariamo forse l'oltraggio degli antenati, pensiamo al giudizio che di noi faranno i nipoti? La chiesa e l'ospizio innalzati dal Buon Mirtino sformati in addietro da mutilazioni ed aggiunte, servon'ora a'più vili usi, e non è chi se ne commuova. Noi non ci lasceremo per dio, non ci lasceremo far jiausea dui tristissimo aspetto de' luoghi pe' quali è pur forza inoltrare per ispingersi fin dentro all' antichissimo tempio di S. Lazzaro. Chiederemo a'mozzi o a chi altri ci venga innanzi il permesso; poichè l'ingresso o il vestibolo che dir si voglia, imponente ancor oggi a malgrado di tante miserie è messo ad uso di stalla, e a vece d'uomini vi stanno al coperto cavalli e bestie da soma.

Questo ingresso risponde sulla pubblica via che sovrasta al mare sul destro lato della chiesa moderna. Rimase alla stalla per cui s'entra l'appellativo di Santa Caterina dacchè (assicurano

le tradizioni) la serafina de'Fieschi esercitò in questo ospedale l'ardente suo amore del prossimo, acconciandosi per qualche tempo in una delle sue stanze a servigio de'lebbrosi. Innanzi r di penetrare alla chiesa, troviamo adunque quest'andito, costrutto a vòlte pesanti e solide in pietre da taglio, lavoro più moderno, in alcuna parte, poichè sappiamo che le vòlte stesse furono ristorate nel 4442 da un benemerito preceUore dell'ospedale. Cel dicono i caratteii incisi sulla porta che quinci introduce alla chiesa: In Christi nomine — Anno Mccccxii — Mas voitas reparari fecit Presbiter Gherardus de Parma praeceptor huius mansionis Sancti Lazari de Janna. È probabile che questo locale servisse anticamente d'^ospizio, e comunicasse, come ora comunica , alla chiesa per comodo de' malati, mentre un' altra porta sulla via pubblica che corre a sinistra serviva agli abitanti del sobborgo. Nel 4582 quando monsig. Bossio visitava S. Lazzaro, era già ridotto ad uso di stalla; ma la chiesa riteneva ancora alcun vestigio di luogo sacro, come la sepoltura, e l'altare, essendo prescritto dal suddetto visitatore apostolico, che sinum quod retinetur in oratorio subterraneoj ubi altare s sepultura et alia loci sacri »igna adhuc cxtantj infra mensem amoveaturs et ostium quod e stabulo in ipsum oratorium respondet obstruatur intra dies dccem , scd ostium quod antiquitus erat versum viam publicam aperiatur, ut imjressus ad pios quandoque usus fidelibus pateat.

Inoltrando nel sotterraneo o chiesa antica non tarderemo ad avvederci, come dopo il xvi secolo venisse deformata da riempimenti di terreno che rubano oltre a metà della primitiva altezza. È anche facile il congetturare che le fondamenta di essa venissero basate sulla spiaggia del mare come quelle d'ogni altra chiesa dell'epoca medesima costrutte lungo il littorale. Nè mi si opponga, che dal suolo presente al li vello del mare è tale una profondità da non potersi misurare colla porzione del tempio che resta nascosa nel terreno ammontichiatovi progresHvamente. Risponda per me l'espressione dell'atto consolare, il quale accorda al buon Martino quel tratto di terreno che stendesi dal ponte di Clericolo in giti (?'« iusum) fino alla marina; indizio manifesto che le adiacenze della riva si alzavano a forma di terrapieno ben oltre li linea del mare. Tal congettura prende forza dalle parole che seguono in quel documento, onde s'impone al fondatore quod ex utraque parte fossati faciat vias quae ad mare descendant; non avendosi a discendere ove non sia un suolo ineguale e vòlto in pendìo. E finalmente è più che facile il far ragione come la chiesa attuale di

S. Lazzaro fosse innalzata in età posteriore sull'impiantamene) dell'antica, in conseguenza delle strade che per correre di secoli andarono spianandosi a più alto livello; necessità che subirono altri tempii fondati in quelle epoche sul lido, come a cagion d'esempio S. Vittore, S. Sisto , S. Giovanni, e N. D. delle Grazie, ove si veggono o si vedevano le primitive chiese sottostare alle nuove, e formare un quasi scurolo o sotterraneo.

In questa adunque tanto si scopre e si passeggia della fabbrica quanto il consentono le fattevi mutazioni. Le strade allineate a molta altezza , le case e le botteghe costruite sul nuovo cammino insegnarono col tempo a riempire di terra o gettiti il vano della chiesa, che rimanea mezzo sepolta, fin quasi all'altezza della linea moderna per acconciarla a qualche uso. Ma la originaria distribuzione delle parti è tuttora evidente a malgrado del colmarla che s'è fatto, e delle porte o finestre che vi si apersero in tempi moderni. I muri che le fanno recinto son formati di pietre irregolari nelle dimensioni, ma riquadrate a gran cura, estratte, come argomentano molti, da vicine cave ond' è ricco il colle degli Angeli, e specialmente in quella parte per dove precipita al basso il fossato di san Lazzaro. Dal suolo attuale ove per sopraggiunta si stendono talvolta paglia e fieno a gran fasci pel bisogno dell'attigua stalla, escono non più che a mezzo otto colonne, le quali partono in quattro navi la chiesa, e due altre se ne scoprono al fondo, di forma e materia più rare, tuttochè celate nella maggior parte dall' intonaco. Porzione di queste navi fu destinata in secoli più recenti ad ossario o sepoltura della chiesa superiore; onde fu mestieri il dividerla dal corpo della chiesa per mezzo d'un muro che deforma l'aspetto del sotterraneo sebbene non basti a distruggerlo. Non gioverebbe il diffondersi nell'esame delle suddette colonne di pietra bruna, e discutere il perchè quattro abbiati forma ottagona, le altre sieno di fusto cilindrico, e tutte o quasi differiscano tra sè nello stile de' capitelli; nè merita d'aver cenno lo sciocco dubbio che nacque in certuni, d' un tempio romano esistente in antichissima epoca nel sito medesimo, per ciò solo che le ultime due mostrano nelle proporzioni l'eleganza latina, e sono scolpite, l'una di marmo pario, l'altra di granito còrso. Suppliscano (se pur v'ha cui bisogni uno schiarimento) le nozioni storiche da me premesse alla guida, ov'io scrissi che l'usanza di connettere avanzi di più antico edifizio a fabbriche nuove era comune circa il mille e nel secolo appresso, ed è gran fatto che il buon Martino cercasse marmi per la sua chiesa, simmetrici almeno e di ugual dimensione, mentre in cert'altre (a cagion d'esempio nella cripta di S. Tommaso) non solo si trascurò la forma, sì ancora la grossezza e la misura, onde parecchie delle colonne vi si veggono discordanti, e tali altre segate e tronche per acconciarle all'altezza. E questo ci rassicuri sulla diversità de'materiali dal lato della conservatezza, essendo corrose e guaste le colonne, e in ottimo stato il catino od abside; la qual cosa fe' pensare a più d'uno che il secondo fosse ristorato o fatto di nuovo in eià posteriore alla fondazione. La maggiore vetustà delle colonne è pur forza che si tradisca a tali segni senza dire che essendo esposte alle ingiurie d'ogni stallone o garzoncello che vi capiti, ebbero certo più rischii, o dirò meglio più danni. Ora poichè toccammo dell' abside si continui con esso la descrizione. La sua forma è semisferica, e la costruzione in pietre di breve misura, ma congegnate l'una all'altra con tanta diligenza, che a vederle è un diletto. Questo sfondo semicircolare che fuor di dubbio era il coro o presbiterio della chiesa, è diviso dalle quattro navi per un arco a sesto compresso sulla foggia de bocca a"opera de'moderni teatri, e fatto di pietre non più larghe di tre palmi genovesi, sì conservate che sembrai! venute pur

ora dallo scalpellino. L'arco stesso appoggiandosi all' imposta di due muri prodotti d'ambo i tati verso il d'innanzi, ruba una parte del coro medesimo a chi guardi dalle navate che più si accostano alle pareti di cinta; ond'io consentirei di buon grado s'altri opinasse che tra le navi e l' aitar maggiore si vietasse l'adito con un cancello raccomandato alle due imposte. Chi non vide altri monumenti di quell'epoca farà meraviglia sulla disposizione delle navate, le quali essendo in numero di quattro, è mestieri che la serie delle colonne che divide la seconda dalla terza cada sulla linea centrale del coro, e ne tronchi per mezzo il prospetto. Ma l'esempio non è unico, benchè sia strano e ripugnante al buon gusto. Il suolo che attualmente si passeggia adegua la prima linea del concavo formato dall' abside, donde io veggo assai chiaro quanta parte d'altezza fosse tolta da'riempimenti al sotterraneo , il quale palesa oltre a ciò in ogni sua proporzione una sveltezza non ordinaria.

Accennate così le membra principali di questo antichissimo oratorio, darò un succinto ragguaglio d'altri particolari di minor conto. Secondo il precetto che osservavasi ne' tempii antichi, la postura di questo è vòlta ad oriente. Non so ammettere che formasse un letticolo per le ossa o i cadaveri queil ' arco di cui si veg

Alizefu. Guida di Genova Voi. II. 52

gono le tracce sulla destra del coro, è che i vani lasciati qua e là nel fondo fossero altrettanti ripostigli di cose preziose, s'io considero che nello stato primitivo quest'arco e questi vani erano a troppa altezza perchè i fedeli pensassero di portare fin colassù con iscale le reliquie de'santi e le spoglie de'morti. Ed è pur d'uopo il rinunziare a gran parte di curiosità; chè niuno potrà giungere ad ogni più minuta nozione di questo edifizio, finchè il destino lo vuole in sì misero stato. Io ne scrissi in quel modo che mi sembra più probabile, od almeno più lontano da stiracchiature e da sogni, avvertito dall'esperienza, nulla esser più ficile che il fantasticare sugli antichi monumenti, e nulla più incerto e soggetto a contraddizioni. Restami a dire della chiesa superiore indossata alla presente.

Comincierò dal rifiutarmi al giudizio di coloro che ne stimano la costruzione contemporanea a questa, tuttochè stretti dalla necessità suppongano ch'ella servisse ad altro uso. Ho già detto non esser cosa nuova che alzandosi il livello delle strade, nascesse in que'tempi remoti il bisogno di fondare più alte chiese sulle mura e sui vòlti delle antiche. Ora aggiungo, che se dovessero credersi fatte ad un tempo l'una e l'altra di queste fabbriche converrebbe ammettere nel corpo intero dell' edifizio una si sformata altezza, che oltre al ripugnare allo stile di que'secoli tendenti al rozzo anzi che no, ripugnerebbe eziandio al gusto de' tempi moderni, anzi al buon senso d'ogni gente e d'ogni eta. Senzachè ogn'indizio par venire in confutazione di tale sentenza. E innanzi tutto le vòlte della chiesa sottana, le quali si riconoscono posteriori di molto alla fondazione di essa, sia nella forma delle lunette, sia nella qualità del lavoro, che mostrasi fatto al bisogno per sorreggere la nuova fabbrica. L'esser questa per sua parte costrutta eziandio con pietre da taglio infino al sommo ( come si scerne a malgrado d'un intonaco generale sovrapposto alle pareti in secoli moderni ) può agevolmente condurre in errore. Ma ognuno sa che nel secolo xiv e fin nel xv non s'era dismesso questo genere di costruzione, e s'io dicessi che la nuova chiesa di S. Lazzaro fu innalzata circa questi tempi, verrebbe in mio appoggio l'arco di sesto acuto che sovrasta alla porta, e tuttora è visibile malgrado le riforme che vi si fecero. Con maggiore prontezza si risponde (se non erro) a chi crede essere stata questa la chiesa antica, e il sotterraneo non più che una di quelle cripte o confessioni di cui si veggono mille esempi ne' santuarii italiani del medio evo. Se al S. Lazzaro, come s'ha nell'atto, e come dice la ragione, si posero le basi

poco più alte della spiaggia marittima, se al fondatore imponeasi l'obbligo di far due strade che andassero al mare, ond' è chiaro che in sì corto tragitto la postura della chiesa non poteva essere a gran pendìo, io non so come possa ammettersi la contemporanea esistenza di questa chiesa, che tanto si leva oltre il livello del mare quanto possiam misurare coll'occhio dalle mura di cinta.

: Delle quali quistioni non farò più lunga dicerìa, poichè stimo assai duro lo scioglierle mentre le mutazioni fatte all'edifizio, e la mancanza delle memorie lasciano intero il campo a chi volesse contendere. Quanto d' antico ha S. Lazzaro è racchiuso in ciò che ho detto fin qui: non resta se non che il lettore approvi o corregga le mie congetture. Fra le cose antiche non ardisco di noverare le due campane locate sopra il letto, poichè se furono gittate nel 4299 da un maestro Bonaventura, è pur certo che due volte fu rifuso il metallo, e cambiata la forma in epoca moderna, e la seconda fu nel 4676. Del primo e dell' ultimo fonditore v' è il nome ne' caratteri che vi si leggono intorno: — >& Pria» conflata fuìt Mcclxxxxix per magistrum Bonaventuram, modo refecta denuo conflata per magistrum Joannem Baptistam Cassionem anno

Altri potrebbe dubitare se all' antica o moderna pittura si debba l'onore d'aver prodotta la tavola affissa nel coro, singolar tesoro dell' interno , col quale m' è grato il conchiudere la presente descrizione. Ma se que' titoli si misurano dalla coltura o dalla rozzezza del dipinto, mi sia lecito il porre tra i moderni il presente quadro, mentre sono egualmente stupeudi il decoro, la verità, e l'espressione delle figure in esso composte. Ciò nondimeno direi temerario chiunque volesse spingerne l'epoca più in là del secolo xiv, e se piacesse supporlo di scuola genovese sarebbe mestieri scemarne vieppiù l'antichità, considerando che Genova fu meno spedita d'ogni altra nazione al perfezionamento dell'arte, apzi quand'ella vi giunse, le altre scuole cominciavano a sviare dal semplice. Per parte mia, non sarò così tenero della patria, nè sì cieco alla evidenza eh' io ascriva a' concittadini la tavola di cui parlo. La sua forma è di trittico; nel campo di mezzo è Maria sovra un seggio col putto sulle ginocchia, nel destro S. Lazzaro vescovo e titolare della chiesa, nel sinistro il Lazzaro della parabola, l'emblema a così dire de' lebbrosi. Non si vogliono confondere con queste figure i due angeli della predella, nè il Crocifisso della cimasa; pitture aggiuntevi posteriormente , e pennelleggiate ( se non mente lo

stile ) da' Semini per accrescere mole ed ornamento all'ancona. Temo che in occasione di queste giunte perissero in parte i fregi dorati che le fanno cornice, e potrebbero giovare a fissar l'epoca più esattamente, e forse andò perduto il nome dell'artista che sarebbe indicibile guadagno alla nostra storia. Ora siam limitati alle congetture, ed havvi appena chi dinanzi a tanta bellezza d'arte ardisca congetturare. Niun de' pittori stranieri occupati (a nostra scienza) in Genova di quella età, non par nome che basti a salir tanto alto; ma se dovesse cercarsi chi primo abbia dritto d'aspirarvi, non so qual'altro verrebbe in mente dal Sacchi in fuori. Ne' dubbi è prudenza il tenersi al più probabile; ond' io preferisco d'attribuire quest'opera a'lombardi più che ad altre scuole. Nè ripugnano a tale avviso i caratteri del dipinto; allegre vedute di paese in ogni campo, sembianze gaie più che severe, tiute sobrie e grand'arte di chiaroscuro. Non so perchè nel complesso mi vi paia alcunchè del suddetto pavese, specialmente nella figura del lebbroso, che a mio vedere è la più espressiva e meglio condotta; che se il disegno è quivi troppo grandioso e largo per quel maestro, dobbiam ricordare che una tavola sola ci resta di lui, e che mal si giudica da un' unica pruova d'un artista, che lungamente visse ed operò in Genova. Ma forse ho già trascorso olire il debito, gittandomi ad indagini che i buoni conoscitori tentano appena; nè proseguirò a cercar bellezze in quest' opera sublime, la quale può mostrarle di per sè all' occhio men còlto. Per conforto di chi legge dirò che la tavola, malgrado l'obblio che la copre, è si intatta, che il maggior danno a temersi sarebbe lo zelo di chi volesse sottoporla a ristori.

Fra questa ed un' altra chiesa a cui 1' antichità e le belle arti danno ugual pregio, m'impongono un rapido cenno alcune opere private e pubbliche. Quanto alle prime si sa che la strada da noi percorsa dal Faro in qua, e da percorrersi fino alla meta del nostro cammino prese I'attuale aspetto mediante i lavori di due epoche diverse. Nel 4632 fu spianata una via, che dalla porta di S. Tommaso riusciva alla Lanterna; ma questa ben lungi dall'inoltrare per dritta linea, seguiva ogni gomito ed ogni sinuosità delle mura marittime. A questo incomodo o sfregio che dir si voglia fu posto rimedio nel -1820, quando per opera del cav. Barabino s'aperse la nuova strada di Fassolo, piantata sui fianchi di opportuna verzura; strada nobile e degna del forestiero che mette piede in città , se tuttora non le si desiderasse un selciato. Attiguo alla chiesa Di S. LazZaro è un Portofrasco o sosta edificata nel 4645, e sott'essa un ponte a fior d'acqua per comodo delle merci che si mandano all' estero. In tal guisa, crescendo i bisogni coll'ampliarsi della città, i padri nostri estesero i pubblici lavori ad un borgo, che innanzi al xvn secolo era luogo di delizie, direi quasi, camperecce. Quanto lo amassero i Doria non è pagina o voce d'uomo che noi dichiari, e quando fosse muta ogni lingua ne farebbero testimonianza le superbe moli che già scopriamo da lungi.

Ma niuno s'aspetta a veder registrato fra i riguardevoli monumenti di Fassolo il Palazzo che dopo il portofranco ci sta sulla sinistra, già posseduto da quella insigne famiglia, ora recente acquisto Delle Sorelle Byrtu inglesi. Non mi curo delle tradizioni che gli danno il primato della vetustà sovra quante case ebbero i Doria in queste circostanze; chè troppo nuocerebbe alla mia brevità il tener dietro alle cose dubbie, quando il campo basta appena alle certe. Se questa fabbrica testè ristorata dalle nuove proprietarie trova luogo ne' miei volumi, ne son causa quattro de'suoi salotti, ove mi si additarono altrettante medaglie ch' io non trovo menzionate in alcuna stampa. Il nome degli autori m'impone di correggere il difetto, e lodare il liberale dispendio che tornava all'antico splendore e le medaglie e i locali. Domenico Fiasella e (*. B. Carlone v' ebbero ugual parie, ma dispari è forse il inerito. l soggetti sono attinti dalla storia di Giacobbe; v' ha del primo la primogenitura venduta, e la benedizione d'Isacco: del secondo gl'idoli nascosti da Rebecca, e i fratelli di Giuseppe che- mostrano a Giacobbe le insanguinate vesti del figlio, briosi dipinti che fanno scapito all'onor di Domenico. L'uno e l'altro son facili a riconoscersi dallo stile; e mi conviene il dirlo a chi volesse proverbiarmi del giudicar con tanta franchezza pitture ignote.

Fra gli ameni soggiorni che ne'bei tempi dell'arte si fabbricarono in questi dintorni i patrizi genovesi, fu celebre per più titoli il PaLagio di Orazio De Negri, che poi trapassando nel dominio d'altre famiglie, venne ultimamente ne'Dirazzo. È noto pel sovrannome dello Scoglietto che gli si aggiunge; nè si perdette il nome del costruttore per mutar di padroni, poichè resta alla piazza l'appellativo de'Negri. Sotto gli attuali possessori cambiò forma ed ornimenti; onde non sapresti se più l'onorino le opere antiche o le moderne. Quel cavaliere, coltissimo estimatore degl'ingegni, ordinate quante bellezze potea cavare dal sito, non isdegnò di chiamar pittori ad abbellire non che le sale, ma i bei casini frammischiati al verde di contigui boschetti; e se il tempo invidiasse meno alla posa*

sterità le cose gentili, noi vedremmo in uno di questi le belle vedute di marina e di paese che vi eseguiva Agostino Tassi da Perugia tanto valente nel dipinger siffatte leggiadrie quanto reo pe' costumi che lo segnalarono nella storia. Nè mancano alla sala affreschi di quell'epoca, sebbene il dipinto che a tutta prima ricorda il Tavarone, lasci veder poi tanti difetti che l'attribuirlo a un allievo o ad un seguace di lui par già soverchia lode. N'è anche escuro il soggetto; ma forse non vo lungi dal probabile se traendo argomento dal cognome del fondatore ho creduto di scoprirvi l'erezione della statua d'Ambrogio Di Negro nelle scale di S. Giorgio.

Delle nuove bellezze dobbiamo il merito alla famiglia degli attuali signori, che invitò sui principii del secolo i migliori ingegni a ringentilire il palazzo, e ad ordinare i giardini quanto il comportano i siti angusii ed ineguali. Andrea Taglie/fichi variò le forme del prospetto, e le improntò di tal varietà, di cosi semplice eleganza, che non ci lasciano pur desiderio di conoscere qual fosse l'antico disegno. Nè sapremolagnarci che perissero con questo alcuni affreschi fattivi dall'Ansaldi, mentre in parecchie medaglie distribuite dall'architetto sulla nuova facciata abbiamo eleganti plastiche di Nicolò Traverso d'argomento simbolico. Ma nulla rende forse

onore al Tagliafieni quanto l'arte che adoperò nello spartimento de'giardini suddetti, e il senno che ebbe Dell'usare d'ogni mezzo più tenue che lasciasse in suo arbitrio la natura de' luoghi. Ad ogni passo hai viste nuove e liete, se muovi dall'interno del palazzo che sui fianchi si bea di lunghi e cupi filari di piante, o se ascendi la collina ridotta in gradi e pianerottoli, che da lungi fa campo al palazzo medesimo, e gli accresce bellezza. Quivi aiuole di piante e fiori, e in mezzo ad esse or fontane or piramidi or vasche con bei zampilli, e in ogni cosa una simmetria che non lascia veder X arte, sono a' periti una testimonianza della feconda immaginazione di quel sommo. Più in alto i foschi e chiomati boschetti compiono la scena; alla quale (il dirò pure) sorride di si bel riso la natura, che molti soggiorni campestri potranno gareggiargli di vetustà e di ricchezza, pochi d'amenità e di postura. Vagheggia di fronte quanto mare s'accampa d'innanzi a Genova, e di questa città superba scuopre ogni torre, ogni vetta, ogni promontorio. Se non è vita ove l; più schietta imiigine della rustica semplicità può specchiarsi, dirò così, nell'azzurro d'una tranquilla marina, io non so qual fantasia di poeta valesse a fingere più bello incanto.

Che se vogliami memorie che lo illustrino,

gioverà l'accennare la visita che Pio VII fece nel 4815 alla sventurata principessa di Galles che quivi ebbe stanza più mesi. E se cercasi del presente mi compiaccio di ricordare nel marchese Lorenzo Pareto che abita il palazzo, una gloria di Genova nostra. Egli ha raccolto, e va raccogliendo in queste stanze preziosi oggetti ili scienze naturali, ond' egli è cultore sì profondo e celebrato, che l'aggiunger motto mi verrebbe messo a superfluità.

A queste delizie è contiguo il fondo tenuto dai RR. Signori Della Missione, delizioso anche esso e per postura e per sorriso di circostanti 'yerzure. Lo stabilimento di questa congregazione in Genova è un altro elogio alla pietà ed alla munificenza di quel cardinale Stefano Durazzo, che noi scriviamo tra i più grandi arcivescovi della patria nostra. Gli alunni di Vincenzo de' Paoli, uomo di carità insigne, e poscia sublimato all'onor degli altari non poteano sfuggire alla vigilanza di questo prelato, indefesso nel promuovere tutto che potesse giovare la religione e la patria. Giunto a questa città un sacerdote de' Missionarii, e chiesta f icoltà di predicare, potè il Durazzo confermarsi nell'opinione; e deliberò di far sì che il novello istituto mettesse radici fra noi. In\itolli a Genova, e coll'invito profterse del proprio i mezzi onde vi si stabilissero. Nel sito presente, avita possessione di lui, sorse a spese dell'ottimo arcivescovo la Chiesa che fu intitolata a S. Vincenzo De' Paoli, e un magnifico palagio fu ridotlo in breve ad uso di convento. Tai fatti io rinvengo sotto il -1645, ed altre memorie m'istruiscono, com'egli, non contento di siffatte pruove d'affetto verso la novella congregazione de'Missionarii, ampliasse la lor casa di Roma, ed aiutasse valevolmente quella di Bastìa. Di tanti benefizi gli fecero i religiosi grata testimonianza ne' posteri colla seguente lapide incastrata nella maggior sala del convento: Stephano Cardinali Duratio — archi' episcopo vigilantissimo — quod domum hanc aedificaverit — Romanam auxerit — Basticnsem pròmoverit — totam congregationem perpetua charitate dilexerit — Anno Mdclvii. L' onorarono eziandio d' un busto marmoreo che si vede sovra la lapide, ma in epoca più tarda, se pur la scultura dee credersi del Ponsonelli quale ce la dà il Ratti.

Presero nel secolo scorso ad ornare la chiesi); del che si commisero del tutto a Giacomo Antonio Boni, pittore fortunatissimo presso i genovesi, che pur non mancavano d'alcun pennello valente. Nella vòlta principale egli compose la gloria di S. Vincenzo, e la colorì con un garbo che non va molto lungi dal Frauceschini

. suo maestro, sia per la morbidezza dell' impasto, sia per l'intonazione aggiustata, larga, ar-« moniosa. Il molto numero delle opere di lui che ci occorse di vedere in chiese e palazzi, mi scusa dal tessergli altre lodi; nè qui sarebbe il luogo ove gli si dovessero tributare specialmente. Più volte ho creduto di scoprire in questo bolognese il pittore che affretta l'opera secondo è copiosa, e, secondo il costume de'pratici, curato il maggior campo, si sbriga degli accessorii o colla propria impazienza o coll'aiuto altrui. Quest'ultima volta lascerò giudicarlo ai periti; quanto a me, feci avviso, che gli affreschi del presbiterio ov'è il santo che porge la Regola, e disputa familiarmente con prelati e cardinali, e così quelli delle cappelle, d'argomento straniero a' titoli, non sieno da recarsi a lui se non in quanto ne desse l'idea; nel resto sien frutto d'altra mano, e se cercasi quale, corre a mente il minor Galeotti col rossiccio delle sue tinte, e eolla poca fermezza delle sue linee.

Usando il Boni della facoltà fattagli da'committenti, condiscese, e forse troppo, all'amor di patria. Trasse con sè pel bisogno delle decorazioni due bolognesi, Tertulliano Taroni ed angiolo Zaccarinij prospettici ed ornatisti sconosciuti alla storia, e a Genova stessa, ove pure è da credere che avesscr mano in altre opereNon si confondono i due pennelli, nè studiar ort essi a confondersi; l'uno cerca partiti dall'architettura, e ne usa con un gusto che molto risente degli Haffner, più sparso però e minuzioso; l'altro sul fare del nostro Mustacchi prediligge i fiori, e in vasi e ghirlande uè zeppa ogni spazio serbato alla sua mano.

Per tanta profusione di pitture, e per le aggiunte fattevi di stucchi e d'oro, la chiesa è povera o ricca, secondo che l'osservatore ama nelle arti l'abbondanza o la bellezza, o a dir meglio secondo ch' egli è còlto o mezzano intelligente. Il voto de' primi a cui solo è da aver fede, saprà condonare al secolo siffatto abuso di ornamenti, nè alcun cittadino saprà lagnarsi che taccia quivi ogni nome di cittadino. Ma schietto oltraggio parrà quello del Boni, che da Bologna chiamava a modellare di plastica quattro statue un Angelo Piò, scultor mediocrissimo, anche a fronte del nostro Parodi, anzi di quanti viveano in Genova a quell'epoca. Esprimono esse la Fede, la Speranza, la Carità ed il Silenzio, o meglio quattro figure, che si studiano di riempire le nicchie con lor gesti o contorcimenti.

Ma lo sdegno si volta in riso, a vedere un pittore che al tempo medesimo, o poco appresso mescea colori ad olio per questa chiesa. ll Ratti lo chiama Michelis di patria lombardo, di prò

fessione sncerdote. La storia o noi conobbe, o noi volle ne'suoi fusti, e gli abecedarii stessi gli negarono un posto ne' lor cataloghi. A lui si può contrastare ogni dote, meno quella della prestezza; tnnto si manifesta e dal numero e dalla esecuzione di queste tavole e quadretti d'ogni forma e misura. In ciascuno si vede un fatto del santo de'Paoli; e principali tra questi son la predicazione e la limosina, descritte nelle tele laterali all'aitar maggiore, ove il suo pessimo stile si può meglio conoscere. Deriva, se non erro, dalle scuole napoletane, che nel passato secolo prevalevano nell'opinione degl'italiani mediante que' giuochi di luce onde tentavano di avvivare le loro scene; metodo bizzarro e stucchevole, poichè non s'appoggia e non si collega ad altri precetti; nè il Micheli lo dovette attingere alle fonti, sì goffamente lo adopera. Non esamino il resto, poichè ogni linea, ogni tocco di lui mi sconfida di potergli dar pure un'ombra di vita, e nulla è più vano e più sciocco che il provarsi a risuscitare persone morte. Le guide non dieder nome al quadro della seconda cappella a man destra figurante la Sacra Famiglia; ma il reo gusto del prete Micheli non varrebbe a nascondersi, visti che s'abbiano que'primi dipinti; nè gli vale esser quivi un tal poco migliore, o men dispiacevole a mirarsi. I primi altari han due tele da consolarsene ogni spettatore dopo que' tipi di brutta licenza. A destra la santa Caterina da Genova espressa nelle amorose sue estasi è del nostro Domenico Parodi; a mancina il S. Francesco di Sales è del Boni già nominato, ed in tanta freschezza quanta egli stesso potrebbe desiderare al proprio lavoro. Vorrei lodarvi per giunta una certa diligenza e tenerezza di pennello non comune a' suoi quadri; ma il dice per me l'istoria quando afferma, che questo gli fe' sperare, e gli valse infatti da Missionarii la commissione de' già descritti af» freschi.

Tenga dietro a questa la vicina Chiesa Di S. Teodoro , di ben altra antichità e di memorie più illustre. Ogn' indizio ci porta a noverarla fra i tempii di più remote origini che sieno in Genova , e se stringiamo l' esame a quelle che sorgono nelle circostanze di Fassolo, s'han buone prove per assicurarle il primato. Infatti gli storici non dubitarono d'asserirne l' esistenza sul decimo secolo, fidati a scritture di compra e vendita che si conservavano presso i canonici Lateranensi, amministratori della chiesa di san Teodoro da quattro secoli. Ma ch'essa contasse a tal' epoca oltre a dugent' anni di vita cel fanno supporre le controversie (accennate dal cronista Jacopo da Yaragine) onde le chiese più antiche di Genova si disputavano l'onore d'avere accolte le spoglie di sant'Agostino quando il re Luitprando, come piamente fu creduto, le trasportava di Sardegna a Pavia 1. Poichè sebbene la pietosa disputa non possa sciogliersi in favore d'alcuna con pruove calzanti, pure non è a credere che il suddetto scrittore vivente nel xiv secolo, e dopo lui lo Stella e mons. Giustiniani istoriografi esatti e coscienziosi involgessero in tai dubbi la chiesa di S. Teodoro ove ad essa non avesse arriso fin d' allora' un' opinione di remotissima vetustà. A nostra notizia i primi regolari che v' avesser dimora sono i canonici Mortuariensi, i quali l' ebbero per avventura non molto dopo la lor fondazione, scritta dal Fenoto sotto il 4080 circa. Le prime memorie del loro possesso non vogliono ritardarsi, co:ne dissero alcuni, fino al 4434; mentre abbiamo nell'Accinelli la testimonianza d'una pergamena del 4401, con cui Prete Richero di Devoto, Hiso Ghisolfo chierico, ed altri facevano certa rassegnazione al preposito de' Mortuariensi di S. Teodoro 3. Documenti posteriori di poco a quella data non mancano a chiarirci della dimora che faceavi l' ordine suddetto, tra i quali, per non tradire la brevità, starò pago a ricordare le convenzioni fatte nel 4453 tra il suo preposito e l' arcivescovo Siro per la fabbrica dello spedale di S. Lazzaro super pontem Clericolum, da noi meniovate nell'articolo riguardante lo spedale medesimo. È pur certo che questi canonici si erano diffusi ne'contadi vicini, e V'avean conventi non pochi, come sono il priorato di santa Maria d'Albaro, S. Giovanni di Paverano, santa Maria del Priano in Sestri, santa Maria delle Cassinelle, S. Pietro de Prato, e santa Maria di Granando, che non è molto registrammo in questa guida.

1 V. a pag. 293 del primo volume.

* La scritiura è firmata da AiralJo vescovo di Genova, e seminuo i Domi di Lcodigaiio aliate di S, Siro, d'Eriberlo arciprete, di Pietro abaio di sant'Andrea di Sestri, e d'altri parecchi.

Nel 4449 avendo Papa Nicolò V soppresse le prepositure de' Mortuariensi ed unitele alla congregazione de' canonici regolari Lateranensi di S. Salvatore, anche questa ne divenne membro, e forse in tal'epoca s'aggiunse alla chiesa il titolo di S. Salvatore, che insieme a quello di S. Teodoro trovasi espresso in antiche seritture. Da questa mutazione tornò lustro e profitto al monastero, ove non rimanevano che quattro de' canonici di Mortara; e a'Lateranensi ne fu confermato il possesso con bolla speciale nel 4454, mentr'era lor priore Giovanni de'Gatti, e dopo Irent'anui il Pontefice Sisto 1Y conferiva alla chiesa il titolo d' abbazia. La nuova religione intese ad ampliare il convento nella direzione del mare, e in seguito a ristorare ed abbellire il chiostro co'sussidii di benemeriti cittadini, tra i quali particolarmente si lodano Angelo Lercari e Simone Calvi, onorati da' canonici con lapide marmorea. Al primo dieder segni di riconoscenza assegnando un sepolcro per lui e pe' suoi successori, come si legge nella epigrafe medesima in cui sono scolpiti di bassorilievo due vaghi angioletti: Canonici Regulares Angelo Larchario ob pluria in construendo monaslerio collata beneficia ut salutis ejus memores sint sepulchrum hoc misque haeredibus dicarunt anno Mcccclxxxih die xvm novembris. Niuna memoria ci guida a credere che per loro si riducesse a più nobile forma la chiesa, ma pare indicarlo lo stile architettonico. La basilica (tale si nominava) è costrutta a tre navi con pilastri angolati che reggono vòlti d'intero sesto a crociera, e decorati al sommo di belle nicchie ed ornati che ricordano la venusta della teutonica architettura poco anteriore al risorgimento dell'arte.

Se tra le chiese sopravvissute al turbine delle civili fazioni dovessi cercarne sol' una che pareggiasse la presente nei sofferti danni, non saprei trarmi facilmente d'impaccio. Che questa fosse costrutta da principio sulla spiaggia del

mare l'attestano i documenti 1, e che a poco maggiore altezza si fondasse nel ricostrurla il mostra l' attuale postura. I progressivi alzamenti della via pubblica che le passa sovr' ambo i fianchi le han formato all'ingiro un interrato, che oltre al nuocerle coll'umidore che ne filtra, deforma l'aspetto d'un tempio cosi illustre per antichità, e così maestoso nelle sue proporzioni. I lavori del 4820 mutilarono il chiostro decoroso di un colonnato di bello stile, e di quadrangolare lo han fatto sghembo, e di mcn grata apparenza. Vedremo in seguito altri mali ed altre perdite senza molta fatica, ma quelle di cui non rimase vestigio vorrcbbonsi enumerare in questo luogo, come a cagion d'esempio i bei monumenti della famiglia Franzoni esistenti per l'addietro nel sancta sanctorum, e distrutti nel 4797. Mi scuso però volontieri da questo ingrato uffizio, se non altro pel sospetto che tai perdite fossero volontarie ne' possessori. Sospetto che mi s'accresce dal veder tolta dal chiostro un'urna sepolcrale di romano stile, che unita a tanti altri indizi afforzava le congetture d'una venerabile antichità in favore della chiesa: dacchè tali avanzi si rinvengono per lo più ne'luoghi di remotissima origine. Il sarcofago di cui parlo non si discosta gran fatto dall'ordinario; è striato sullo specchio principale, ed ha in ispazio rotondo un ritratto di femmina. Lo scritto che a malgrado de' secoli è in gran parte leggibile ci insegna che un Annlus compose in esso le spoglie d' una Julia Vrbica. e maggiori nozioni pos6on cercarsene nello Spotorno che ne dà cenno nel suo giornale ligustico. Nel 4820 quest'urna fu donata al padrone d'una vicina locanda, il quale la destinò ad abbeveratoio di cavalli, e dura tuttavia a quest'uso profano, facile nondimeno a vedersi sol che si.chiegga per cortesia ai mozzi d'una stalla poco discosta dalla salita che ascende alla chiesa de' Minimi.

1 in ecclesia quae sancti dìcilur Theodori et sancti

Salvatori!, quae est construcla juxla litus maris prope h.anc urbem januensem, in loco qui dicilur Fassolum.

Stanco di segnalare barbarismi, passo alle cose nonchè esistenti, ma tenute in onore nell'interno del tempio. Per soffermarmi più lungamente ad una tavola, che per sè sola dà fama e ricchezza a questa chiesa, mi giova enumerar sulle prime quanti altri quadri vi si contengono meritevoli d' esame, tenendomi secondo il costume all' ordine delle navate. Vien prima sulla destra una tela dell'Angelo Custode all'altare di questo titolo1, che nella storia e nelle guide ci è data per opera di Stefano Mugnasco. Nè trovo ragione per contraddire; se non che il vorrei per l' aperta diversità dello stile tra questo e gli altri pochi lavori che del Magnasco ci rimasero in pubblico. Discepolo ed imitatore di Valerio Castello, pare un ritratto del maestro, o se talvolta se ne scosta, egli è per accrescere correttezza a'dintorni, forza e temperanza a'colori. Quivi è tutt'altro artefice; studia il brio sovra tutto, ama i toni lucidi, chiari e fioriti, cerca insomma le grazie sull' esempio di quanti videro, e copiaron l'Allegri. Scrive il Soprani, che lasciate le stanze del Castello, egli visitò Roma, e ne divenne più maturo artista, ma quella scuola non poteva insegnargli un tal gusto di pennello che in molte parti lo fa simile al prete savonese, lo lascio intero il campo alla critica; ma so che non di rado i giudizi fallano benchè consecrati dalla storia e dalla fede di cieche scritture; e più tardi ne darò prova incontrastabile, perchè ninno m'incolpi d' audacia contro i passati scrittori. — Proseguendo, addito due quadri sui quali non può cader controversia; cioè una Vergine con parecchi Santi di Gio. Lorenzo Bertolotto locata prima ad un degli altari, ora appesa alla

1 Sul pavimento di qnesta cappella leggevasi in addietro l'epigrafe mortuaria dello scultore Filippo Parodi che vi ebbe sepoltura. Dopo lui v'ebber riposo le ceneri di Domenico pillore e scultore figlio di lui, e di Giac. Ani. Pousonelli lodato statuario e genero di quel primo. La lapide è scomparsa , essendo forse il sepolcro passato in altra proprietà.

parete di questa navata, e l'altro del Presepio entro la cappella di fronte, lavoro di Gio. Andrea Carlone, e lodato tra' suoi più graziosi.

In capo alla sinistra è la cappella di IN. D. del Rosario, ceduta da'marchesi Lomcllini a'confratelli di questo titolo, come vedemmo ne'cenni del loro oratorio. Gli affreschi che dentro e fuori l'adornnno sono una testimonianza dello zelo con cui la benemerita confraternita intese a profittare del dono, e a promuovere la pietà verso la gran Vergine sotto i cui auspici tenean quivi i propri uffizi. Ebbero le prime pitture da Bernardo Castello, che figurò sul vólto esteriore la natività di Maria, e l'annunciazione entro il semicircolo che sovrasta all'attigua porta, oltre ad alcune figure di profeti e di sibille alternate alle istorie. E veggo in esse il suo stile più gagliardo, e s'anco vuoisi più temperato e conforme a natura, senza dire del buono stato in cui si mantengono. N'hanno invidia i quindici misteri del Rosario dipinti tutt'intorno all'altare con altro stile che si direbbe del Guidobono, non so se guasti dall' umidore o d'altra ingiuria, onde convenne rifarne parecchi. Talchè i più vicini allo spettatore non vogliono guardarsi se non come sconciature di pennello mal pratico.

Segue una statua in legno del crocifisso tosto che ripieghiamo verso il fondo della chiesa. Se debbo trarre indizi dall'opera, l'attribuisco senza timore a Bernardo Schiaffino, di cui vedemmo alla Consolazione un' imagine -del medesimo soggetto, e quel che monta, di maniera somigliantissima a questa. Ad ogni modo ripeterò quell'adagio frequente ne'dilettanti e traflìcatori di belle arti: doversi stimare più di quello che ha nome d'autore, ciò che si raccomanda allo sguardo con rare bellezze, sapendo che nel presente simulacro ne son molte dal lato dell'espressione, primo vanto d'ogni artista. Le congetture possono avere più merito circa la tavola che succede, in cui son figurati i santi Agostino, Ambrogio e Chiara. Ma debbono andare innanzi alle congetture alcuni avvertimenti assai facili a chi 4e dirige uno sguardo. E prima di tutto si rendono visibili le aggiunte fatte per ogni verso all'antico dipinto, e n'è spia liberale la gloria del Padre Eterno dipinta al sommo da moderno pennello e non del tutto spregevole. Un'altra contraddizione di pUtore e d'epoca è nel campo istesso della vecchia tavola, ove le figure hanno la secchezza de'primi tempi, e i panneggiamenti son messi ad oro giusta il costume del secolo xiv o de'prineipii del %v; mentre la cattedra su cui siede quel primo santo, e i partiti di prospettiva che servono di fondo son condotti col gusto e colle forme della rinnovata architettura. Dal Alizeiu Guida di Genova Voi. //. 55

che mi viene spontaneo e necessario il supporre che il fondo antico, lavorato per certo a dorature come il rimanente della tavola, fosse ridipinto in età posteriore, quando cominciavano a dispiacere quelle sembianze d'anticaglia; ed avendo a giudicare comechessia dell'opera originale mi limito alle tre figure che campeggiano con sì diverso stile in quel fondo. E opportunamente mi corre a memoria quel ch'io lessi già nel Soprani, d'una tavola eseguita nel 4,00 per la chiesa di S. Teodoro da Nicolò da Voltri, il quale, a dir del biografo, fu primo tra i nostri a panneggiare con ragionevolezza le figure, e ad atteggiarle con dignità. Egli è gran danno che il suddetto scrittore facendo menzione del dipinto non ne indicasse (cosa insolita in lui) l'argomento, che conosciuto varrebbe a dileguare ogni dubbio. Nondimeno il Soprani con quel silenzio, e più colla lacuna che lasciò ove dovea «criversi il soggetto della tavola, mi fa supporre ch'essa fin da'suoi tempi fosse tolta di chiesa, alla quale tornò Dio sa quando colle aggiunte avvertite di sopra. Se a tempi del Ratti vi avesse luogo non è facile a dirsi, nè basta per la negativa l'averla egli taciuta, abborrente com' era da' dipinti antichi, o mal curante di registrarli. Malgrado di tanta oscurità ci sarà caro l'attribuire al pittor da Voltri questi tre santi, e conira coloro che dubitan sempre ci farà scudo il carattere della pittura paragonato alle lodi che da lo storico a quel progenitore della scuola genovese. V'ha infatti nelle pieghe, ne'gesti, nelle espressioni, nelle fisonoraie certa giustezza di sentire, certa nobiltà, certo decoro che paion precorrere di gran lunga il duro contorno e la mal sicura meccanica.

Niun quadro di epoca moderna può contendere in questa chiesa il primato a quello de'santi Teodoro, Agostino, Bernardino, Teresa ed altri che fan corteggio a Maria, posto in principio nel coro, da non molto trasportato ed affisso al di sopra della cantoria. Il Ratti Io diede per opera d'Orazio Defferrari dietro l'esame (credo io) dello stile, anzi che sulla fede d'alcuno scrittore. Dicasi a discolpa di lui, che se v'ha pittore tra i genovesi, collo stile del quale possa confondersi la tela presente, egli è certo Orazio; nè per me avrei sognato di dover mentire a quella guida, com'ora io debbo fare, avvertito dal caso. Se nulla può far dubbiosa l'asserzione suddetta a chi guarda il dipinto, è uno studio d'evidenza e di natura spinto ad un segno che il Defferrari non attinse giammai, donde alcuna figura e parecchie teste si direbbero anzi ritratti di persona viva che forme ed atteggiamenti immaginarli. Nel resto non è tocco che non risenta di quel maestro, ed io, ripeto, mi sarei con tutta fede acconciato alla sentenza del Ratti, seguitata da quanti dopo di lui compilarono elenchi. Ma per vaghezza di meglio osservar l'opera in ogni sua parte, volli salire fin presso alla tela, e l'occhio mi corse immantinente ad una soscrizione che dice: B. Carbomca faciebat 1663. Tale scoperta mi fa lieto oltremodo, poichè aggiunge un documento alla vita di Bernardo Carbone, di cui non potevamo additare in pubblico se non un dipinto di storia, dico il S. Luigi al Guastato. È però tale la scoperta da torre ogni baldanza ai più esperti battezzatori di quadri, tanto è il divario che passa tra l ' uno e l'altro. Un sol pregio è comune ad entrambi, la dignità, la vivezza de'volti e de' gesti; pregio che meglio di ogni altro potè avere questo valente ritrattista, sempre intento al vero per consuetudine, anzi per necessità.

Ho lasciato addietro la cappella, o a dir meglio il sito dell'antica cappella de'Lomellini che è in fondo alla sinistra navata, ma non senza ragione; poichè le notìzie di essa collegansi strettamente all'esame della tavola ch'io serbo a conclusione dell'articolo. E siccome non posso trattar di questa senza muovere controversie e dispute , cosi mi giova rifarmi alla cappella, dirne le origini, descriverne gli avanzi, dacchè ogni cosa può venire in aiuto alla critica, che io primo sento il debito di opporre alla troppo facile credulità de'passati. Restarono quivi un Dio Padre colorito a dorature con istile che sa di tedesco sopra il vòlto ch'ora risponde ad una tribuna appiccicata in alto della deserta cappella, e nelle pareti di fianco due monumenti sepolcrali della suddetta famiglia, eccellenti lavori e ricchi di finissimi intagli che annunziano il risorgere dell' arte sul tramonto del xv secolo o sugli albori del xvi. I lavori e le mutazioni fattevi per iscorno del nostro secolo, o il precetto de'democratici, o l'uno e l'altro insieme congiurati cancellarono e tolsero ogni lapide ed ogni scritto; dell'altare scomparvero perfìn le tracce. Ma non invano ricorsi ai mss. del Piaggio, ove mi vien Ietta un'epigrafe che tenea memoria della fondazione con queste parole: Ad honorem et cultum Omnìpotentis Dei Firginisque màtrls, beatiss. Precursorisque Joan. Baptistae sanctiss. hanc aram et locis totum conseptum cum sepulchro Baldasar Lomellinus Stephani filius sibi atque sui» faciendam ornandamque curavit Mcccclxxxxii die xv dee.

A quest'ara serviva d'ancona la tavola che siam per descrivere, locata dopo quel tramestio sulla destra parete dell'aitar maggiore f. Ebbe 1 $ u questo aliare fu posta da non molto una statua io questa l'onore di andarne colle altre spoglie nel 48-14 ad ornare l'imperiale galleria di Parigi; onore funesto, che or può vantarsi, ritornate te opere, con vera gioia. Nondimeno perdette un membro fra que' trambusti, se già l'avarizia privata noi trafugava: intendo la predalia ov'era espresso l'usato argomento della Pietà. Il rimanente è intatto, se non contiamo fra i danni il restauro che fecero i francesi ad ogni quadro rapito; nel semicircolo che sovrasta al maggior campo è N. D. con angioli: in questo i santi Battista , Sebastiano e Bernardino in vago fondo di paese. Il nome dell'autore è scritto a caratteri d'oro sulla sinistra del santo martire: Philippinus Florentinus faeìtbat; donde venne la comune denominazione, o come a me sembra, il comune errore delle guide. Le lettere lmp. Dio. et Max. scritte nella base su cui posa S. Sebastiano voglion leggersi Imperatoribus Diocletiano etMaximianoj sotto il regno de' quali fu eseguito il martirio.

Non so se il Ratti fosse primo a darci questa tavola per fattura di fra Filippo Lippi de' Carmelitani, ma egli vivea sì confidente di tal sentenza che la millantò siccome lavoro d'un ar

legno dell'Assunta di scuola del Maragliano, ch'io scrivo io noia perchè indegna d'interrompere il corso di più gravi

Usta nato 402 anni avanti Raffaello. Se coloro che gli vennero appresso non fecer conto di queste inezie, adottarono però quel nome; ed il quadro venne fino a' dì nostri col battesimo di fra Filippo, conicenè lo stile ne sia in molte parti diverso. Chi vede in Toscana ed iu Umbria i costui dipinti non dura gran pena a conoscer l'equivoco; ma nostro è lo scorno dell'asserir francamente a'forastieri quel ch'essi possono contraddirci con mule r?£V\ni artistiche. Nè a me soccorrono, da pochi in fuori, altri argomenti che questi per cessare l'antico errore; ma son tali, o m'inganno, da non lasciar molti dubbi sul vero. Basta un rapido sguardo a' caratteri ch'ebbe nel dipingere Filippo Lippi giuniore, figlio naturale del suddetto frate per conoscere che a lui, non al padre, s'ha da recare la tavola. Allievo di Sandro Botticelli, ne seguì le pedate, come possiamo veder quivi a grand'agio: le teste sou più vere che nobili, e così i gesti e le mosse, e ritrae nel complesso più che molto del mantegnesco, a cui Sandro deferì per forma da confondersi spesso col Mantovano. Il Vasari gli diè merito d'aver prima usato nel dipingere svariati accessorii di vasi, di trofei, di prospettive tratte dall' antichità, lode che il Lanzi rivendica allo Squarcione; e qui ve n'ha esempio opportuno in ogni parte del quadro, e specialmente ne' ruderi di romana fabbrica sui quali è locato il S. Sebastiano. Non poco onore gli fece anche il 'bel modo con cui dipinse i paesi, arte poco carenzata dal vecchio Lippi, che imitator di Masaccio tendeva meglio a nobilitare i soggetti che a dilettarsi in acccssorii. Ma, se non bastano quest'indizi, non abbiamo nel suddetto Vasari che il minor Lippi mandò suoi lavori a Genova, mentre del frate non se n'ha pur cenno? E non sappiamo ch'egli usò sottoscriversi, come in questa tavola, Filippino Fiorentino per distinguersi dal genitore con cui avea comune la patria ed il nome? E i principii della cappella a cui seni la tavola non ci dicono assai chiaro ch'essa non potè esistere in S. Teodoro prima del 4492, cioè 23 anni dopo la morte di Fra Filippo, e i3 innanzi a quella di Filippino?

Dopo questi argomenti io lascio a cui piaccia l'attenersi alla vecchia opinione 1. E poichè accennata questa tavola giustamente ascritta fra le più rare che s'abbiano in pubblico, null'altro mi resta a notare.nella chiesa presente, continuo senza più il mio cammino.

1 Scritle ch'io ebbi le presenti cose sul quadro del Lippi, ri scopersi, ripetendo gli esami, la data del 1503, scritta in caratteri d'oro (non ben visibili da lungi) alla destra del santo Precursore. Essa è argomento decisivo in favore delle nostre opinioni, sol che si dia mente alle epoche sowa notate dei due Lippi, e abbastanza ci autorizza a correggere le guide antiche.

Non lascerò senza un cenno il Ridotto Delle Penitenti occupato nel 1808 da queste femmine, stanziate per lo innanzi nel borgo di Prè; al quale s'entra per nobile porta in vicinanza della salita di Gesù e Maria. Questa istituzione si deve (e fu accennato altrove) alla pietosa Marida di Negro; l'epoca è del -1551. Attualmente vivono in esso un cinquanta di penitenti dirette nella disciplina da tre suore di S. M. del Rifugio, e governate con istatuti composti, o meglio modificati sugli antichi da' protettori nel 4828.

E tornando per poco, secondo vuole il debito della prestezza, a' palazzi, dirò che le circostanze di Fassolo, e Fassolo stesso ne furono in addietro ricchissimi. Altri ne sfregiarono i secoli, ed altri le opere pubbliche sui luoghi piani, e frequenti di popolo; miglior sorte ebber quelli edificati sulle circostanti colline. Toccammo in breve le delizie di Granaiolo; ma il colle degli Angeli che sorge a settentrione non ha scorno da siffatto vicino. Soggiacque colassù ai torbidi civili l'antica chiesa de' Carmelitani, della quale non si scernono oggimai se non le tracce; ma i privati miraron sempre ad abbellire i loro palazzetti, e la villeggiatura degli Angeli non cessa d'aver nome tra le più rìdenti di Genova. Alcune pitture non indegne di nota mi consigliano a far cenno di quello che la famiglia dirotto rifabbricò circa il -1810; salvando dell'antico due medaglie con Ester e Mosè attribuite al Tavarone, e aggiungendone altrettante nelle nuove stanze colorite dal Paganelli, l'incendia di Sodoma e il sacrifizio d'Ifigenia. S'ha per tradizione che gl'Imperiali, i Francavilla, e per iscritto che i Giustiniani e gli Adorni, cospicue famiglie, avessero nel sobborgo di Fassolo magnifici alberghi; ma da più secoli, passati i primi a feudi stranieri, caddero i lor palazzi nell'abbandono; de'secondi sussistono i vestigi e nulla più. Non può mirarsi senza un tal mote* di compassione quello che fu nel xvi secolo de' Giustiniani, di cui sulla sinistra del vecchio borgo, e poco discosto dalla salita di Gesù e Maria s'incontra la poria (da molti anni chiusa) ornata di bei stipiti e di termini in travertino. Dopo que'signori lo possedettero i Durazzo, poscia i Brignole fino al declinare dello scorso secolo, ed è a supporre che il misero stato a cui è ridotto cominciasse dal cessare che fece il dominio di que'gentili. Ma finchè resterà sasso di quest'edifizio (malamente indicata dal Ratti in fronte alla chiesa di S. Benedetto) avran vita le memorie e lo splendore che gl'impresse Gabriello Chiabrera colla frequente ospitalità che v'ebbe da'Giustiniani. Il nome di costoro e quello del poeta basteranno ad onorarne eziandio le rovine, e pare che alle due famiglie succedute nella proprietà increscesse il toglierne di mezzo le testimonianze, poichè fiuo a'giorni nostri stette sul frontispizio della porta il titolo inciso in marmo Jo. Franciscus Justinianus Petri Josephi filius. Se non che il tempo affrettò quel danno da cui s'astenne la gentilezza de'suddetti possessori; cadde il marmo nel 4844, nè si trovò d'allora in poi chi si togliesse la briga di restituirlo ai suo posto. Simile negligenza unita ad ignoranza od avarizia ha sconciate le stanze e le sale, ove il Pindaro savonese dettava le sue belle anacreontiche fra le cortesie del Mecenate, di cui son noti i versi che fe'scrivere sulla cella silenziosa del poeta 1 con iperbole scusabile all'affetto d'amico. Intorno al 4760 il piano superiore del palazzo, anzi la stanza che ricettava quell'ospite egregio era abitata dal chiaro abate Giuseppe Vespasiano Berio raccoglitore de' libri ch' or fanno gran parte della Civica Biblioteca, e credo che il distico vi fosse tuttora leggibile. Anche i pubblici lavori cospirarono alla

1 Intuì agii Gabriel, sacram ne rumpe quieterà Dura strepi$, ah periit nil minut Iliade.

rovina di questo campestre soggiorno de' Giustiniani, essendosi nell'apertura della strada spianato il giardino che da tergo si allungava fino a cavaliere del mare. Eran quivi i sotterranei recessi che dal palazzo scendevano alla riva per refrigerio a' calori estivi, e per uso di bagni. Il Chiabrera ne fa spesso ricordo nelle sue lettere col nome di grotte di Fassoloj e abbastanza dimostra che lieto vivere fosse il suo nella stagione autunnale fra le delizie del palazzo e de' giardini Giustinianei, e nelle consuetudini d'una famiglia che teneva uffizio di vera nobiltà l'intrattenersi amichevolmente co'begl'ingegni. Quando le amene grotte di cui fo cenno restassero neglette o sepolte non è a mia notizia; ma nel 1817. avendo la furia del mare forato il muro di cinta in linea de'giardini, e internatosi per lungo tratto nel vano, si credette di scoprirne le vestigie in alcun frammento di vòlto e di pareti fabbricate artificiosamente a caverna, e in una scala che da questo livello saliva agli appartamenti. Della quale scoperta (se pur non mentì l'apparenza) m'è liberale un ottimo amico, abitante di questo sestiere, ed accurato investigatore delle sue memorie 1.

1 II Sig. Francesco Falcone, dal quale riconosco non poche notizie riguardami le contrade e le adiacenze di Fassolo.

Anche i marchesi Adorno, come ho detto più sopra, avean palagio campestre in queste circostanze, con magnifiche logge in vista del porto; ma fin dal passato secolo era messo ad uso di locanda, e le opere della nuova strada il mutilarono. Le tradizioni gli dan vanto d'avere albergata santa Caterina poichè fu impalmata a Giuliano di questa famiglia, e gli attuali possessori ne mostrano con nobile orgoglio la stanza, salvata por bella ventura dalle distruzioni. Se piace il conoscere quest'altro edifizio che ha perduta ogni sembianza d'antichità, sappiasi esser quello che non molto lungi dal Giustiniani parte in due la contrada di Fassolo, e mostra sul prospetto un Alcide al bivio, dipintovi a chiaroscuro da Filippo Alessio nell'epoca de'restauri.

L'ordine tenuto in quest'opera mi fa chiudere l'elenco de'luoghi religiosi colla Chiesa Gentilizia Di S. Benedetto; nè so dolermene, s'io penso alla antichità di essa, principal pregio che aver possano nell'opinione degli uomini i monumenti. Le ricerche intorno alla sua storia si spingerebbero invano oltre il 4129, nel qual'anno è accennata in iscritture siccome dipendente dall'abbazia di sant'Andrea di Sestri; ma non potrebbesi negare ad essa un'esistenza anteriore, nè mentire a chi la vantò tra le prime che in Genova si fondassero per l'ordine Benedittino 1. Imperocchè fin da que' tempi la veggiamo occupata da monache Cisterciensi, e per ciò ch' è de' secoli posteriori abbondano gli atti. Ho sott' occhio una scrittura del 4503, per cui la badessa suora Ilaria di Promontorio attesta di ricevere l'estinzione di un debito dal notiro Andreolo di Rapallo, e una seconda del 4370, in forza della quale suor Caterina Grillo abbadessa e le monache cedono in locazione a un Obertino di Buzalla una casa od ospizio con sua mobilia ed arnesi domestici, situata presso la chiesa di S. Tommaso2, e due altre dove le badesse Cicalina Cicala nel 1393 e Serafina di Levante- nel 4512 costituiscono procuratori , e ratificano contratti. Il numero delle suore che scrivonsi in ognuno di questi atti giustifica quel che dicono gli annalisti circa il decrescimento e l'abbandono del monistero; non più di sei compariscono nell' ultima carta da me accennata. Ed io passerò alla seconda epoca dell;» chiesa; chè tale io chiamo l'acquisto patronale che ne fecero i Doria, e la venuta d'altri religiosi che per loro invito ne presero l'amministrazione , e la tennero fino al tramonto del secolo scorso. Ma prima che si tocchino i tempi moderni è bello il sapere d'un ospedale che era in vicinanza di S. Benedetto3 costruito dalla famiglia Sacchi (poi Defranchi) di cui si ha memoria del 4129, nonchè d'un fatto che onorò questa chiesa durante il soggiorno delle Cisterciensi. Dico l'ospitalità che vi ebbe il Pontefice Urbano V nel 4367 sbarcato appena alle nostre spiagge colla scorta d'otto cardinali, finchè per maggior sicurezza della sua persona non gli fosse mutato alloggio nella Commenda de'Cavalieri gerosolimitani.

1 II Muzio che raccolse gli atti delle Cisterciensi di S. Benedetto confonde a (orto con essi una scrittura di liceluta fatta da suor Consolata abhadessa di tanta Maria delle Grazie di Fasso'o a un'Alda moglie di Valente Osbersario pel pagamento d'un legato inscritto al monastero medesimo nel testamento di certa donna Violante nel 1205. Da un ■strumento del 1008, esistente (secondo l'Accinelli) nelt'archivio de' notari si convince, che non molto discosto da S. Benedetto era anticamente un'altra casa di monache sotto il titolo di santa Maria dell4 Grazie.

* Mccclxx. — In nomine Domini. Amen. Venerabilis et religiosa ac honesta domina domina soror Catlalina Grilla abbatissa monasteri! et conventus ecclesiae sancti Benedica de

Faxolo et dominae sorores et moniales in praesentia

consensii auctoritate diclae dominae earum abbalissae

locaverunt, et tilulo localionis livellano jure concesserunt Obertino de Buzalla filio l1etri sartoris praesenlis et stipulantis quamdam domum seu hospilium iticti monasterii et convento*, posilam seu posilum extra portam sancii Thomas suburbii* Januae, cui cohaeret antea sfrata publica, retro strato publica, ab uno latere terra diali monasterii, et ab alio latere ilumus Anlonii de Fegino. Segue I inventario degli cffclli mobiliari.

'

Adunque il principe Gio. Andrea Doria prese cura di ristorare la chiesa deserta e in istato di rovina, e nel 4593 per apostolica autorità ne prese possesso; le ottenne il titolo d'abbazia, e quello di parrocchia pei suoi palazzi circonvicini. Nell'epoca medesima la diede ad amministrare ai PP. Trinitarii del riscatto degli schiavi, già da parecchi anni chiamati dì Spagna per cura di Zenobia moglie di lui, ed acconciati prima in Pcgli nella chiesa di santa Maria delle Grazie, poscia in certe stanze quivi attigue a S. Benedetto. Di questi fatti e della pietà che il Principe tributava nel 4593 alla già defunta consorte coll' adempierne i voti verso que' PP. fa cenno un'epigrafe riportata dallo Schiaffino: — Joannes Andreas Juria princeps Melphi ac marchio Turtii., Turillue, S. Stephuni, comes Lodarli, regni Neapoletani magnus protonotariusj Caravanae ord. D. Jacobi commendalarius ac Hispaniae regis. class, praefectus — Individuile Trinitatis monacis huc a D. Zenobia ejus uxore dum viveret deductìs aedem hanc instauravit exornavitquej ut cujus vivae votis sempcr anriuit, ejusdem quoque mortur/e pia desiderio perficeret. — Anno S. Mdxciii. E finalmente nel i6 17 Giovanna Colonna vedova d'Andrea Doria figlio del suddetto Gio. Andrea ristorò quel che rimanea dell' antica.fabbrica, e la rese più comoda eoa opere

nuove: di che s'ha memoria in una iscrizione sul muro esterno: — D. Joanna Auria Columna principia Andreae coniugi* animae pie prospiciens has aedes extruxit A. D. Mdcxvii. L'ordine de' Trinitarii cessò in questa chiesa, anzi in Genova dopo gli sconvolgimenti politici del 4797.

Non mancano a questa chiesa, tuttochè paiano dirlo e l'apparenza e la mole, pregevoli frutti d'arte che ci trattengano a visitarla. Non ce ne sconsigli il poco numero; ha pochi quadri ma buoni, e per gli autori che offre al nostro esame , troveresti in Genova assai difficilmente un dipinto da pareggiare a questi. Anche il Ratti disse buona la tela che pende in prospetto del coro, e rappresenta nella parte superiore la Trinità con numeroso corteggio di beati, al basso i SS. Rocco e M. Maddalena co'ritratti de'patroni; ma ci tacque l'artefice, e protestò d'ignorarlo. Io non gliene fo colpa, essendo lodevole che niuno si affidi troppo al proprio giudizio quando non ha più sicuri mezzi a sentenziare d' un' opera, o tempo che basti a lungamente considerarla innanzi di scrivere. Nè certo dai fratelli Cesare ed Alessandro Semini j de'quali v'è apertamente Io stile, usci mai altra tela condotta con eguale amore; tantochè il più avvezzo alla nòstra scuola temerebbe di se stesso nell' attribuirla a costoro. A me toglie ogni dubbio il trovare questi fratelli occupati per altri dipinti in casa Doria, e più la bozza (venutami sott'occhio in casa privata) di mezzo il quadro, sottoscritta de' lor nomi a grosse lettere. Lascerò ad altri lo spiegare cotesta stranezza, come i due Semini, usi a segnare ogni lor quadro men felice, se ne astenessero in questo di cui non conosco il migliore.

Le tavole de'secondi altari (che non più di quattro ne ha la chiesa sui lati, e i due primi mancanti di cose stimabili) alludono al Titolare, e all'ordine religioso che stette quivi fino a'tempi nostri. In quella a sinistra il cav. Domenico Passignani espresse S. Benedetto che torna alla luce un fanciullo a vista di molto popolo. Dopo aver veduto nelle nostre lunghe perlustrazioni non più che due tele dell' illustre fiorentino , e queste sì malmenate dal tempo o da' ristori da farcelo cadere in dispregio, paiono tali le bellezze della presente, che Yocchio non se ne sazia, e l'animo ne prende conforto. Quanto allo stile, noi direi seguace de'veneti a tale, che i begli esempii di più severe scuole, e la natura stessa non v'abbiano lor parte, e se debbo dir quale, noterò la sobria composizione, le pieghe maestose e vere, la filosofica evidenza de'volti, e un dintorno accurato; cose tutte che acquistano efficacia da un colorito che confina al paoleSco. — Neil' altra, ch' è del nostro Domenico Parodi si veggono S. Felice di Valois e S. Giovanni di Mattia in atto di supplicar Maria pel riscatto degli schiavi; nè si dubiterebbe di porla tra i lavori della di lui gioventù, sì vivace è la tinta, sì prossima al fonte l'imitazione di Carlo Maratta. Se altrove è più largo e fluito, mi si lasci lodarlo quivi d'una gentilezza che dimentica spesso per istudiare il grandioso; e ognun sa che il Parodi fu meglio sollecito di cogliere e professare le buone massime che non costinte nel profittarne.

La sacristia ha un quadretto di questo medesimo argomento, graziosissima fattura di Gio. Andrea Defferrari. Come sia conservato e nitido non è agevole a credersi; e ne do grazie al tempo, avversario inesorabile d'ogni cosa gentile, che poteva impunemente rapirci anche questa , picciola com' è e sfuggita ad ogni penna. — Tornando in chiesa, ed avviandoci per uscirne, s'avverrà forse lo sguardo a un ultimo pittore che ornò e dentro e fuori gli sportelli dell'organo, i quali riuniti mostrano due profeti a chiaroscuro, dischiusi l'annunciazione di N. D. a vivaci e bizzarri colori. È questi il lucchese Benedetto Brandimarte\y nè mi chiederete il come mettesse pennello in questa chiesa de'Doria, se pur vi rammenta, che l'Araolfini secretano del Principe lo ebbe in grazia e gli fece adito al proprio signore. Ma questo favore noi poteva alzare in fortuna: egli giungeva in città fiorente di buoni artisti, presso gente educata a stimare e proteggere il vero merito, e in palazzo recentemente illustrato da splendidi saggi della scuola romana.

Tocchiamo il lembo orientale di Fassolo, ultimo segno delle nostre osservazioni. Questo, già ridente sobborgo, ora popoloso sestiere di Genova avea per confini (secondo Mons. Giustiniani) la chiesa di S. Lazzaro, presso alla quale s'entrava per una porta all'antica strada, e i bastioni di S. Tommaso che davan' adito alla città; nè il giro di più che tre secoli ha mutate le denominazioni. Colla potenza de'principi Doria crebbe la fama al luogo; gli stupendi palagi edificati da quella famiglia gli aggiunsero splendore, i giardini e le ville amenità e delizie. Dinanzi a cosiffatti monumenti di ricchezza e di gloria si smarrisce il mio stile, debole per se stesso e spossato da tante descrizioni, benchè la volontà mi consigli ad enumerarne con quanto ho di lena e le memorie e le bellezze, e a chiudere meno indegnamente questi volumi disadorni di ogni eleganza, come accade d'ogni opera che dee crescere a prezzo di fatiche e di sacrificii. Ma nel por mano a'cenni di questi palazzi, di

questi giardini e di queste ville mi conforta per altre lato un pensiero: che s'io Terrò notando con diligenza le pregevoli cose che ragunovvi la generosa opulenza di que'magnanimi, e svolgendo i fatti de' quali furon teatro in diversi tempi avrò raggiunta la meta senza alcuno studio di forbite parole: tale è il numero, tale l'altezza degli ornamenti e delle geste. Nè frauderò le presenti contrade di quello che lor si attiene in grado di storia, purchè mi si conceda il serbarlo a conclusione dell'opera, anzi a soggetto delle ultime lince.

Per appigliarmi a un retto ordine in sitT.ilta materia m'è duopo ordire la narrazione dal principale Palazzo posseduto oggi dall' EccellentisSimo Principe D. Filippo Doria Pampihlv Laudi, che corre a dilungo sul destro fianco della via pubblica. Innanzi al xvi secolo, anzi a notizia nostra fin dal xiv sorgea quivi un nobile edifizio, ma in tutt'altra forma, e con diverso apparato di natura all' intorno. Ove attualmente verdeggiano i foschi mirteti e sorridono le aiuole de'sottoposti giardini, non era a quell'epoca che un nudo terreno con poche ed umili casette di pescatori i quali gittavan le reti nel mare che lambiva la deserta spiaggia; e il terreno stesso era corso obliquamente da un torrentello o fossato che prcndea nome dalla vicina chiesa di S.

Tommaso, e per direzione di ponente mettea foce nella marina. Quel palazzo nel -1573 era proprietà del Comune, ma passò tosto ad un privato; poichè troviamo che nel 4376 n'era già signore quel Pietro da Campofregoso, che per l'insigne vittoria ottenuta sul Re di Cipri era stato rimuflerato l'anno innanzi dalla Repubblica con 40m. fiorini d'oro, e con ogni esenzione da' pubblici aggravii 1. L' anno stesso v'ebbe alloggio Gregorio XI Papa, e vi stette undici giorni, finchè rabbonacciato il mare potè navigare per Roma, né altra contrada o palazzo di Genova il vide. Da questa epoca potrebbesi cominciar la serie de'chiari ospiti che onorarono il palagio di Fassolo, potenti e magnifici sotto i Doria, ma grandi per sublimi virtù sotto i Fregosi; de' quali s' è detto più sopra che sullo scorcio del secolo xv v' albergarono Francesco di Paola fondatore de' Minimi mentre dalle native contrade tragittava alla Francia. Del quale avvenimento resta perenne memoria negli abitanti del borgo, e se interroghi le tradizioni udrai asserirti che una fincstruola esistente nella galleria sia quella stessa ove ;!facciavasi il sant'uomo per compartire le proprie benedizioni all'affollata moltitudine.

1 Alcuni recenti scrittori affermano cbe la Repubblica donasse al Frcgoso anche il palazzo di cui si fa parola, non so a quale argomento affidati. Gli annalisti antichi non mi dan mezzo di credere a tale asserzione, anzi it Giustiniani che tìen dietro fedelmente allo Stella ed al Cipiico m'induce in opinione contraria. Poiché dopo avere scritto sotto il 1375 de' regali fatti dal Comune al vincitore di Cipri senza far motto del palagio, nomina poi questo sotto l'anno seguente,

e lo dice palazzo di Pietro da Campofregoso, il quale

già era italo della Repubblica. Possibile cbe egli dimenticasse di accennare questa particolarità del dono, e al pari di lui la dimenticassero gli antecessori?

Dopo il -1522, quando la generosa famiglia de' Fregosi soggiacque al tradimento ed alle armi della gente spagnuola, il palazzo venne in dominio del prode Andrea Doria insieme al circostante podere, ed egli s'invogliò di formarne un soggiorno di delizie per sè e pe'siioi successori, argomentandosi di trovar quivi in ozi beati un compenso alle fatiche della guerra già sostenute sotto le bandiere di due principi. L'opera fu compiuta', o ridotta almeno a buon termine nel 4529, come palesa uno scritto inciso sovra una listella di marmo lungo il prospetto: Divino munere Andreas D'Oria Cevae F. S. R. ecclesiae Caroli Imperatori» catholici maximi et intierissimij Francisci primi francorum Regis, et patriae classis triremium HIT praefectus ut maximo labore jam fesso corpore otio quiesceret aedes sibi et successoribus instauravit. Mdxxviiii. Ma i restauri, benchè ordinati da magnanimo e ricco signore mossero lenti e si maturarono a bell'agio; necessaria condizione se vuoisi un'opera eccellente. Nè mancarono anticipate difficoltà, che fu mestieri il vincere prima di metter mano agli ornamenti ed alle ampliazioni. Dovendo spianarsi un rideute giardino sulla deserta e ineguale spiaggia de! mare, il cui sito (quanto bisognava a' progetti ) fu donato dal Comune ad Andrea, si deviò con molta spesa il corso del torrente di S. Tommaso e si diresse sull'attuai linea, ove poi nel 45-40 fu costrutto un acquedotto di circa 600 metri. Del resto, per le cose di pittura d' architettura e di statuaria colle quali voleva ingentilire e far ricco il suo nuovo soggiorno, non seppe il Doria, uso a sublimi fatti, accontentarsi di mediocrità. Ebbe a' proprii servigi artefici insigni, altri offertigli dal caso, altri scelti e chiamati per suo consiglio da varie scuole d'Italia. I genovesi non v'ebbero parte, forse perchè Andrea stimava con Ottimo avviso, che l'amor di patria debba tacere quando si tratti de'monumenti ; e di vero la nostra scuola occupata da gente straniera, imitatrice mai sempre , e sempre inferiore a' suoi tipi, non potea preferirsi da un committente qual' era il Doria a tante altre, che ci precorrevano con giganteschi passi sulle orme dello stile moderno. Fors'anche giudichiam male, e quel magnanimo, come già Ottaviano Fregoso per opere pubbliche, intendeva a trattenere nelle private sue stanze un'eletta di sommi ingegni perchè i cittadini vieppiù si accendessero all'amore dell'arte, e trovassero ne'frutti di quelli stranieri le forme del bello stile. Comunque sia, questa mela fu raggiunta da lui; poichè quanti erano pittori in Genova si rivolsero attoniti alle logge del palazzo Doria, e le additarono a' successori; benchè non saprei con quanto vantaggio al gusto, mentre il divino intelletto dell'Urbinate cominciava ad adulterarsi per convenzioni da colui che ne introdusse le massime tra noi.

Ora il discorso m'ha stretto a tale che mi conviene il dire in succinto i nomi degli artisti o invitali od accolti da Andrea Doria; e l'importanza de' fatti merita pur troppo ch' io li registri quivi sul bel principio per non disconoscere in quel principe il merito, nel palazzo la rinomanza, e nella storia delle arti nostre l'epoca più memorabile. Venne prima d'ogni altro Gerolamo da Trevigi giovinetto sui venti anni, pittar libero e ardito, e vivido colorista secondo la natia scuola. Al sopraggiungere di Pierino del Vaga fuggì questi insalutato ospite da Genova, punto d'invidia e di scorno. Pietro Buonaccorsi conosciuto col suddetto soprannome derivatogli da un mediocre pittore che lo accolse e pro

Amzeui. Guida di Genova Voi. II. 54

tesse adolescente vivea in Roma nel -1527 quando le armi del Borbone la posero a sacco. Sfreno dalla miseria, e afflitto da sospetti trovò un appoggio in Nicolò Veneziano esimio maestro di ricami a' servigi del principe Doria, il quale lo condusse a Genova, e gli procurò dal proprio signore benevolenza e guadagni. L'intero lavoro venne affidato a questo raro genio educato agli antichi esempi, a' precetti del Sanzio, ed alle opere di Michelangelo, tuttochè parecchi altri vi s'impiegassero di seguito. Egli chiamò per aiuto Giovanni e Silvio Cosini zio e nipote da Fiesole per la statuaria e le decorazioni, e Lucio Romano, e un Guglielmo milanese, e certi altri lombardi di nome ignoto per lavori d'affresco. La fama del Pordenone, o più propriamente di Gio. Antonio Licinio, gran pennello della veneta scuola invogliò il principe d'averlo ai dipinti del suo palazzo; ma poco vi rimase, adombratosi d'un toscano che sopravveniva ad accrescere il numero degli emuli. Dico Domenico Beccafumi nominato il Mecherino da Siena, che Andrea Doria passando per quella città in compagnia di Carlo V vide operare con tal magistero, che s'accese del desiderio d'avere nel suo palazzo alcun saggio del valent' uomo. Nè costui fermossi a lungo presso il principe, abborrente per natura dal vivere cortigianesco, e cosi te

nero della sua patria, che lontano (diceva egli) non gli riusciva di segnar linea che fosse buona. Se crediamo al Vasari, fu accorgimento del Doria l'opporre questi competitori a Pierino, il quale nell'opera andava a rilento, e fors'anche per ispronarlo a superar se medesimo.

Il frate Gh. Angiolo Montorsoli fiorentino, se non fallano gl'indizi, fu il primo artista che servisse alla famiglia de'Doria, e fu l'ultimo a promuoverne lo splendore ne'lavori di questo magnifico edifizio. Sappiamo dalla sua vita, che tra le statue del duomo, e le opere fatte quivi, passò un intervallo di tempo impiegato da lui nel sepolcro del Sannazaro in Napoli. Tornato a Genova secondo la promessa fattane al Doria non solo ebbe commissioni di statue, ma fu adoperato siccome architetto nella chiesa e nel palazzo della famiglia. A questo diede nuova forma ed ampiezza protraendo sui fianchi due logge «di semplice ed elegantissimo stile, ed altre con ringhiere e balaustri ne prolungò sul tergo che domina il mare, e in capo al vasto piano ridotto a giardino, ove è un terrazzo imminente alle acque con portico sotterraneo ch'esce immediato alla riva. Per lui mutò aspetto la fabbrica d'antico in moderno; talchè assai meglio che ristoratore gli converrebbe il nome d'architetto, se guardiamo alla riforme ed alle aggiunte. Quel ch'ci vi fece per cenno del grande Andrea non bastò a' desiderii e ai comodi de' successori, onde le forme del prospetto son travisate per finestruole e inferriate aperte qua e là senz'ordine; gran danno per lui se l'opera primitiva fosse men facile a segregarsi dalle nuove; Come scultore, gli daremo lode nel corso della descrizione, ch'or va ordinata e timida per sospetto di smarrirsi in questo labirinto di cose insigni.

Ma prima di lui fece uffizi d'architettore Pierino del Vaga, del quale si accenna il bel portico siccome esempio di quel leggiadro e ricco stile ch'egli aveva adontato facendo ingegnosa miscela del raffaellesco e del michelangiolesco. Ebbe aiuti nel lavoro i due Cosini, al primo de' quali affidò le quadrature, al secondo le statue; egli porse i disegni, e diresse le esecuzioni. La porta è ornata d'un frontispizio sorretto da colonne striate d'ordine dorico, sul quale seggono due figure di femmina che tengono lo stemma dei Doria, e presso a queste due putti in atto di reggere ghirlande di frutta e fiori. Il nome di Giovanni Cosini ignoto in altre opere, ha un bel suffragio ne' finissimi intagli che adornano le basi, i capitelli, l'architrave, i fregi, ed ogni membro; de'quali se non possono attribuirgli con certezza i disegni, è certo suo merito l'esecuzione diligente, nitida, e magistrale. E dove a Silvio autor delle statue non bastasse il voto de'biografi- che il dicono fiero e vivo maestro sul fare d'Andrea Feriucci di cui fu allievo, tornerebbe opportuna la testimonianza di questi marmi, ne' quali la risolutezza e l'energia paiono contendersi il primato colla maestà e l'eleganza. I rabeschi e le corr nici da lui fatte in plastica nell'interno, ci mostreranno quanto valesse a sua posta nel magistero delle decorazioni, che da quell'epoca in poi divenne patrimonio de'migliori artisti iniziati a' precetti od al gusto della scuola romana. Molti di questi e somiglianti particolari ci converrà toccare appena quant'è richiesto dall'esattezza , per tener dietro ai dipinti verso i quali han nome oscuro le restanti opere. L'Eccellentissimo principe Doria Pamphily dimorante in Roma con pari saviezza e liberalità ordinava non ha molto un generale restauro degli affreschi che rendono famoso il palagio di sua proprietà; e cosi oltre . al decoro che restituì a tal monumento ovviava a'danni del tempo, ed alle ingiurie non lievi che avrebbe sovra questo accumulate l'incuria de'guardiani, e l'assenza degli illustri possessori. Egli intese, più che a riabellire le avite sale, a custodire i mirabili frutti che radunò in esse il magnifico talento d'un anfenato, al quale ogni opera vale un encomio; e n'« pruova la scelta ch'ci fece del ristoraiore in Annibale Angelini perugino, già noto a Roma pei risarcimenti delle terse logge vaticane, ed accetto all'ottinio principe a seguito di alcune pitture eseguite colà nel sontuoso palazzo di lui. Questo giovane valoroso si mise allarJua impresi sulla «età del -1844, e a tutto il 484G ebbe non solo compiuti i ristori d'ogni affresco di Pierino, ma non poche stanze colorite di sua invenzione a prospettive ed ornati, nella qual' arte si mostra erudito sugli esemplari dell'aureo secolo. Ho sott' occhio un libercolo da lui stampato in Genova co' tipi del Pellas, ch'è un rendiconto delle proprie fatiche e de' rimedii portati alle antiche piaghe di questi dipinti; giustificazione che si vorrebbe da chiunque restaura le cose ottime, poichè troppo spesso i rimedii son peggiori del male. Golia scorta di quelle pagine proseguo la descrizione, toccando solo dell'Angelini quanto vuole la nostra riconoscenza, o meglio quanto la brevità mi permette.

Già il portico, mentr'io bazzicava in digressioni, v'ha colmi di meraviglia, e v'ha imposto nuovi debiti di ammirazione a Pierino del Vaga, che tutto n'ha il merito. Nello spartimento architettonico abbiamo il tipo degl'innumerevoli che si fecero in Genova da'nostri affrescanti, istruiti alle logge del Doria, come que' di Roma alle vaticane. Il grande spazio di mezzo diviso in quattro oblunghi per una crociera ornata di cornici e fregi in istucco rinchiude altrettanti trionfi militari, forse que' di Scipione, se non mentono i caratteri. Certo s'allude a romane istorie, poichè nelle venti lunette che corrono intorno v'han le geste de'setle re. * Romolo fino a Tarquinio superbo. Le usate deità mitologiche riempiono i triangoli, e grosse teste di venti ogni peduccio; s'altro rimane, è sparso di grotteschi e di invenzioni fantastiche. L'autore de' restauri non si tenne dal manifestarci i melodi co'quali è dipinto cotesto sfondo ch'egli potè considerare a bell'agio; nè senza stupore udiam da lui, che questi trionfi, delizia degli artisti, ed argomento a'bravi intagliatori sien fatti a due riprese d'intonaco, le figure de' triangoli ad un sol tratto. Nè son condotti a corpo di tinta, ma come usa chi dipinge in carta a pastello, che si giova del fondo pei lumi e con dilicati passaggi li armonizza a'colori; le carni finite per tratti spessi come chiede il rilievo e il tondegr giar d'ogni membro. Tali fatture in cui credi di rivedere l'ammirabile pennello dell'Urbinate non vennero intatte fino al nostro secolo, o consunte da'sali del viciu mare, o da umido che filtrasse dall'impalcato delle stanze superiori. E

i danni eran tali, clic nel 4805 volendosi alloggiai' quivi Napoleone Buonaparte, stimossi deforme l'aspetto del portico, e fu chiamato il Paganelli a ridipingere le parti più offese. Non so se il benemerito perugino ignorasse il nome del suo predecessore o saputo lo dissimulasse; ma sento quant'ei dovesse smaniare por trovar linea dell'antico sotto i nuovi colori, che il Paganelli non impastò sull'imitazione di Pierino, ma direi coll' imitazione di se stesso, sì rea vista facevano. Non meno di nove triangoli, le sottolunette e sette quadri in semidiametro dovette rifar l'Angelini distratti i restauri; nè dirò quali perchè il perito rintracciandoli coll' occhio gll''"dia lode di valente imitatore. I quattro bassirilievi incastrati sulle- pareli son opera del Montorsoli, e come il caso donasse due di questi all' attuai posto s'è detto nella chiesa di S. Matteo 1. Son putti che tengono trofei di guerra, e spoglie di nemici; allusioni alle imprese di casa Doria. Par bella sovrattutto l'energica è destra esecuzione, onde gli scultori più amanti della semplicità pur ne vogliono i getti.

Un quinto bassorilievo è in capo alla scala che ascende agli appartamenti, di forma e merito uguale ai suddetti, e messovi per avven

1 Voi. il. pus. cor. 'i tura n compimento di simmetria quando i primi si destinarono al vestibolo. Dobbiam noverare tra le cose perdute i raffaelleschi onde Pierino allegrò le scale, encomiati dai Vasari col titolo di divini; nel 4780 quando il Ratti ristampò la sua guida cran pur anche in buono stato, e l'Angelini il quale studio a ripeterle su quel gusto mal non congettura che quelle amenità soggiacessero ad imbiancature nelle feste napoleoniche. Ma di queste perdite ci ristori la loggia a cui mettiam piede appellata degli eroi da'dodici guerrieri della famiglia che Pierino effigiò sulla parete in proporzioni colossali. Nè so come a lui si potrebbe negare il merito della distribuzione architettonica, onde la loggia ha per cinque archi sorretti da colonne l'incantevol vista de'soggetti giardini e del mare, e nell'interno un aggregato di parti le quali mirabilmente s'accordano alle suddette. Conciossiachè il soffitto sia partito in altrettanti spazi arcati con volticella costrutta a vela in ognuno di essi, sulla quale v'han decorazioni e quadrature vuoi di pitture, vuoi d'oro o di plastica che tutta la cuoprcno, meno un campo di forma ottagona, in cui l'artista lasciò arbitrio alla storia. Delle quali dirò francamente, che se in Genova puossi avere un ritratto delle sorprendenti lunette che dipinse Raffaello nelle logge vaticane non dovrebbesi

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cercare da questa vòlta in fuori, ove, benchè colla recente memoria di quelle, mi sembra tornare un tratto dinanzi al divino Urbinate. Ugual suffragio dà loro il Lanzi scrivendo, esser problema se più raffaelleggi o Pierino in Genova o in Mantova Giulio. l soggetti non son chiari abbastanza, e si vogliono scolpar del silenzio gii scrittori che accennaron solo i men dubbi, cioè Muzio Scevola che mette la mano sull' ardente brace, e Orazio Coclite al ponte, medaglie che siccome avanzan le compagne in chiarezza di tema così le vincono in eccellenza, e da'copisti son preferite. Ma dovunque si guardi occorrono all' occhio altre leggiadrie compostevi dal feracissimo ingegno del Vaga, che volle essere oltre il costume ameno e vario ove il campo gli vietava di mostrarsi grandioso in un solo subbietlo. Entro le mezzelune prodotte da' volticciuoli in capo al muro acconciò vaghissimi scherzi di putti con ghirlande di fiori e trofei, cosi studiati e condotti che se in altri palazzi si guardano appena tali aggiunte siccome puri accessorii, quivi ognuna d'esse è creduta un bello esemplare da imitarsi agli studiosi in cartoni e copie. Maggiori difficoltà vinse nei nudi che tengono il semicircolo delle quattro porte, altri di maschio ed altri di femmina, ne'quali il Vasari non si tenne dal notare la nuova invenzione del collocarli l'uno in prospetto, l'altro colle terga allo spettatore. Benchè, più che bizzarria d'inventore v'ebbe causa il desiderio di mostrarsi valente anatomista e disegnator del nudo, pregio massimo dell'artefice; sull'esempio di Michelangelo a cui deferì non poco in quest'arte come dicono i biografi, e meglio le opere. Aggiunge prezzo alle otto figure, già somme per tal magistero una fiera evidenza e ne' volti e nelle mosse che invita e trattiene i meno esperti; e una varietà nelle carni e negli abiti che par prodigio d'affresco. Annibale Angelini trovò la loggia in quello stato che il tempo e la salsedine , e l'imprudenza de' custodi, e l'ignoranza de'molti a'quali era l'adito aperto poteano serbarle. Rifece gli ornati o coloriti o messivi ad oro in principio, danneggiati dalla natura; ravvivò l'ultimo ottagono dal lato d'Est oscurato da stufe sovrapposte al solaio, e ricoperse i panni d'alcune figure sulla picciola porta 1. Cose tutte meno ardue che non sia il ravvicinare le tinte e risarcire i vuoti d'un affresco; al quale sperimento di pazienza e d'ingegno si pose ne'

'Si osservi però che i panneggiamenti non erano in(eramente originali, poiché essendo le figure alquanto immodeste i Doria le fecero coprire in qualche parte da Domenico Parodi nel secolo scorso, e svaniion certo sì presto per esser dipinti sul secco.

restauri de'dodici eroi che giganteggiano, siccome dicemmo, nella parete. Basta a noi tutti la memoria per misurarne i mali ed apprezzare il rimedio. Sappiamo come i curiosi per lungo corso d'anni recandosi a visitar questi luoghi usassero con barbaro diletto di scrivervi non altrimenti che in locanda o bettola con punte e graffi il lor nome, o per dirla coll'Angelini la loro ignoranza: dal quale flagello troppo lungamente e ciecamente tollerato da'possessori non dirò che strazio toccasse la parie sottana di questi nobilissimi dipinti. Tantochè per confessione del ristoratore medesimo il trovare gli antichi dintorni sarebbe riuscito impossibile senza le copie che se ne rinvennero nel palazzo Doria in Pegli; sulle quali egli potè se non iscoprire, indovinare almeno le parti graffiate, e ripristinar la pittura; con quanto senno è facile a vedersi, lo dirò anche, esserne tornato non lieve guadagno alla gloria del parentado, che fin dal xvi secolo potea senza menzogna scrivere sopra una dozzina de'suoi gentili: Magni virij maximi duecsj optima fcccre prò patria s e dipingerli all' ombra della Fama immortale che spiega il motto Ben emeren tibus.

Segue a man dritta la Sala, in cui Pierino ebbe facoltà di mostrarsi compositore fecondo, ardito, sicuro quanto potea bramare il genio di

lui. Anche al prediletto studio de'nudi si porgea l'argomento prescelto a campeggiare nello sfondo vastissimo, Giove che atterra il folle orgoglio dei gigantis ond'ha titolo la sala, lo mi farò scudo de'finissimi intagli che se ne fecero per iscansarmi da una descrizione, che se tornerebbe difficile in tanta brevità, riuscirebbe impossibile al mio ingegno. D'altro lato, meglio ch'io non potrei vi parlerà questa scena d'orrore nella quale è fierezza michelangiolesca sì degna del soggetto, che niun poeta varrebbe a rappresentarvi fra l'empia turba de'titani i corpi di Tifone e d'Encelado arsi e rovesciati al suolo dal fulmine del Tonante, nè il consesso degli Dei che assistono alla comune vendetta più vivamente di quel che facesse co'suoi pennelli il Buonaccorsi. S'è trovato in questa medaglia (che corre in lunghezza nove metri, e sei e mezzo in larghezza) altro stile ed altro metodo: in ogni linea è ricerca di forza e di robustezza assai più che di grazia, e l'esecuzione è di tutto corpo, è d'artista che sicuro a cartoni ed istudi va sicuro de' propri fatti, e a' primi colpi decide. Come il pittore nel condurla, così dovrebbe fare chi la descrive; poche ed eloquenti parole. Più che la natura v'ha parte l'ideale, e più che il dettaglio vuol guardarsi il complesso. Pure non mi darà meraviglia, che Genova innamorando ili Pierino preferisse ad ogni opera i giganti, mentre l'Italia avida di sottrarsi alle passate timidezze agognava ad esser libera, allentando il freno a' pensieri ed alla mano. Sconsigliata imitazione, che tra'nostri sviò dal retto la gioventù di Luca Cambiaso e ne guastava l'ingegno se i consigli de'più savi noi ritraevano a migliori principii. Questo dee dirsi, perchè nel palazzo Doria s'impari una volta a distinguer l'allievo di Raffaello d'Urbino dal Buonaccorsi ispirato al gagliardo di Michelangelo, e lasciato a se stesso. Che se a taluno giungano inattese ed ingrate le nostre osservazioni, sarà bello il ripetere, che la critica non dee smarrirsi innanzi alle opere per quanto insigni, e che quei caratteri che tornali perniciosi ad imitarsi sono talvolta ne'grandi artefici l'espressione d'un genio potente. Il forte impasto ha conservata fino a noi la medaglia, e l'acqua che per cieca negligenza de'custodi vi filtrava dal tetto potè in due punti macchiarla, e nulla più. Con lieve fatica riparò l'Angelini a que'danni, rinnovando però sui pochi avanzi dell'antico i rabeschi ad oro e a colori onde son zeppe le cornici di stucco e le lunette. Vuoisi (o volle almeno il Ratti) attribuire a Silvio Cosini il sontuoso camino che vediamo in prospetto della sala, ricchissimo d'intagli e sculture in marmo; così un altro di poco dissimil forma che troveremo continuando la \isita. Può darne sospetto lo stile gagliardo e fiero; ma tale indizio mi parve poco per non attribuire questi lavori ad epoca più recente e più vicina alla corruzione, se ne eccettuo il bassorilievo incastrato nel mezzo, scultura di quel tempo, e fors'anco di Silvio.

Alcune stanze di minor conto compensino il lettore della lunghezza che fin qui ci si rese necessaria. Abbiamo a tergo una camera isolata, da scriversi qui brevemente, poichè non comunica ad altri locali. Al benemerito ristoratore si devono grazie di quel tanto che v'ha di pittura antica, e di ciò che v'aggiunse di nuovo. Egli ci avverte che i secoli avean danneggiata la stanza, e il misero aspetto a cui ne' nostri tempi era condotta fu cagione per avventura che il barbaro zelo del custode vi passasse lo scialbo. L'artista fece pruova di staccarne la calce, ma la trovò si resistente che dietro le veniano i colori di minor nerbo, come degli ornati e de' fregi. Questi rifece sul vecchio disegno che vi rimase a malgrado di tanto strazio; la medaglia rappresentante la carità romana lasciò qual'era tuttochè oscurata dagli anni, fattovi alcun ritocco indispensabile all'armonia del dipinto.

Se dalla sala inoltriamo sul lato occidentale troviamo quattro camere adorne di pitture, ed alire assai messe a stucchi con disegni di Pernio da Lucio Romano j autore di quanti se ne veggono per entro al palazzo, già sfolgoranti per doratura. La prima stanza ha il vólto diviso in quattordici lunette con favole di Perseo partite l'una dall'altra per eleganti cornici, le quali lascian nel mezzo uno spazio contenente in quadretti di varie forme le nove muse, e parecchie figure allusive. Quest'altro lavoro del Buo~ naccorsi non fu salvo dalle ingiurie del tempo; convenne rimetter l'oro e ravvivar le tinte sui grotteschi e sui fregi, e ne'fianchi, specialmente verso il muro esterno, ridipingere i semicircoli. Al gabinetto che segue bisognò maggior cura, poichè i mali da esso patiti avean consigliato per l'addietro i possessori a velarne le decorazioni con fogliami ed intrecci di tutt' altra maniera. Per buona ventura l'opera moderna non si ostinò contro le lavature dell'Angelini, che rimessa in luce la vecchia s'astenne dal rinvigorirne i colori, dolendosi forse, che niuna di queste gentili stanze avesse a rimanersi originale. Così annerrlte, ma intatte da profano pennello durano anche le mezze lunette istoriate colle vicende di Cadmo. Poco discosta è unaì.erza camera , che vince ogni altra in ricchezza di stucchi dorati, e dirò pure in gentilezza d'affreschi. A somiglianza della prima mostra quattordici spazi semicircolari, in cui veggonsi sacrifizi in onore de'falsi Dei, de'quali le principali imagini son composte ne'triangoli sovra un fondo di porpora e d'oro; il campo mezzano è alternato di figurine e di bizzarri accessorii, fatti con quel gusto che il nome di Perino può ricondurci a mente più di qualsivoglia descrizione. Ma il vago sfondo è rimprovero di nuovi peccati; che tali vorran chiamarsi i danni dell'acqua la quale da un serbatoio sovrapposto vi gocciò mollo tempo innanzi che persona al mondo si curasse di rasciugare il muro che tutto ne trasudava. D'onde metà del soffitto perdette stucchi, pitture ed intonaco, e s'altro vi fosse stato soccombeva allo stillicidio; il rimanente scapitò dal maligno influsso, ma fu salvo al sopraggiungere del ristoratore. Il quale avendo rifatto le cose perdute suil ' esempio di quelle che rimasero può venire in giudizio assai meglio che altrove, o a dir meglio ottener qui specialmente l'encomio di sagace imitatore, che già gli dobbiamo per tanti saggi. Poco ci fermeremo all' ultima delle annunciate stanze, doviziosa anch'essa di fregi e di plastiche e d'oro, e ristorata con egual senno, per condurci ad una Gallerìa sul manco lato di questo appartamento.

Una fama e due pulti di molta bellezza Soq dipinti in alto fra lince di prospettiva che divi

dono il vólto in cinque scomparti. Ma tortamente si ascrivono al Vaga, e stupisco che F esatto Angelini non combattesse se non con parole di dubbio l'errore. Tornerebbe senza fruito l' indagare se quel sommo vi colorisse in principio cotai soggetti, e s'altri pennelli si adoperassero a ridipingerli; benchè il silenzio del Vasari, diligentissimo nel registrarne quivi ogni linea mi fa stare per la negativa1. Comunque sia, l'attuai dipinto non dee togliersi a Domenico Fia»e/la di cui v' ha si chiaro lo stile da non lasciar dubbio sul nome di lui, e dovremmo pure tributargli assai lodi pel grandioso disegno e '1 Unger succoso, se ogni nome non si osservasse' ove suona quello del Buonaccorsi. Nondimeno debbo soggiungere d'alcuni buoni indizi, i quali ci mostrano il Fiasella bene accctto a' Doria, ed impiegato in qualche opera. Trovo in questa galleria un ritratto da lui sottoscritto, ed un quadro ad olio bellissimo e conservato oltre ogni credere nel quale è N. D. col putto in atto di raccogliere sotto il manto un fanciullo vestito coll'abito dei Trinitarii, nato forse di questa insigne famiglia. Altri pittori genovesi operarono pei Doria, caldi amatori in ogni età delle arti leggiadre, e paion dirlo altri quadri affissi a queste pareti, come la flagellazione di Cristo e 1* Santa famiglia, l' una di G. B. Paggi, l'altra di Bernardo Castello, d' egual misura, ed ambedue colla data del 459-1, la Carità romana di Luciano Borzonej il martirio di sant'Andrea di Domenico Piotaj e quattro tele con putti e trofei del medesimo segnate del 407-1, e finalmente un crocifisso de' fratelli Semini, che vedemmo non ha molto chiamati ad altre opere.

1 Mi tenera in gran dubbi la lettura del Soprani in cai troro registrate questo figure come opere di Pierino, e niun cenno che fossero ridipinte per altra mano; cenno ch'ei senz' altro ci avrebbe dato, poiché viveva a'tempi in cui si mostrano pennelleggiate lo figure medesime. Bla un felice sospetto mi condusse a riscontrare la prima edizione della Vite impressa in Genova quattro anni dopo la morte dell'autore, e in quella non rinvenni pur linea che mi parli di que'dipinti, e m'avvidi essere nella moderna edizione un'aggiunta del Ratti, ciò che mi pose ne'suddetti dubbi. Simili arbitrii non son rari in quest'ultimo, a cui talvolta non bastò l'invilupparsi in errori proprii, se non inviluppava con sciocche aggiunte e postille gli scritti altrui. Se la ristampa da lui fatta nel 1767 ba il merito d'essere io alcune parti più ricca di notizie, vuol'esser letta però con ■tolta cautela, e smratlullo colla scorta dell'edizione aulica.

Eguale magnificenza volle Andrea Doria negli appartamenti a sinistra della loggia, o sul lato di levante. Mi in parte i secoli, in parte il caso non permisero a questi di competere fino a' nostri giorni co'già descritti, nè il volle o seppe volerlo Pierino stesso, come ci affrettiamo a dimostrare. La disti ibuzione de'locali non uè multo diversa; v'hanno stanze e gabinetti in bell'ordine, preceduti da una Sahj capace quanto l'altra de' giganti di vastissima medaglia. Quivi dipinse quel famoso naufragio d'Enea, che riscosse sovra ogni altra istoria l' ammirazione de' cittadini, o per esser la prima a cui si mettesse dopo il suo arrivo in Genova, o veramente perchè in ispecial guisa vi aguzzasse l'ingegno. Di che ci persuade senz' altro la ragione che dovette consigliare al fuggiasco e bisognoso artefice di farsi strada alle grazie del principe con ottimi saggi di pittura, e a confermarlo soccorrono i fatti. Che altro significava quel lungo faticar in cartoni, che la storia ci narra di lui, prima di metter pennello sull'intonaco? Del quale studio come di lentezza e servilità lo andava proverbiando Gerolamo da Trevigi: a che tanto intisichire sui dintorni? io porto il disegno sulla punta del pennello, così dee far chi dipinge. Ma Pierino senza parole insegnòlli a tacere; poichè un bel giorno inchiodati i disegni sul vòlto, e lasciata facoltà di vederli a chiunque accorresse, il Trevisano tra per lo stupore che gli venne dalla mirabile composizione e dal magistero delle linee, tra per le lodi che da una moltitudine di gente uscivano al novello pittore, n'ebbe siffatto scorno, che, siccome dicemmo in principio , partì da Genova ad insaputa d'ognuno. Noa si saprebbe trovar ragione perchè il Buonaccorsi eseguisse poi la medaglia ad olio, metodo sì straniero alle pareti, se non fu il desiderio di colorire con più forza che non dà l' affresco ciò che avca disegnato con tanta accuratezza. 0 non previde l'effetto; che la natura dell olio, e i doppieri accesi nella sala in occasione di pompe e di feste oscurassero anzi tempo il frutto di tanti sudori. Il Soprani ed il Ratti van numerando, a così dire, i gradi della infermità; tenebre schiette copriano il dipinto innanzi al -16G0 quando il primo dettò le vite; nel -1G66 quando il secondo pubblicò la sua guida era al tutto perduto, e lo scialbo ne avea tolta ogni traccia nel 4680 allorchè egli postillava la ristampa del Soprani. Perchè la sala non restasse ignuda fra tanti confronti, Annibale Angelini s riprodotli come potè meglio i grotteschi e gli ornamenti delle lunette, purgate le plastiche dal nuovo ingombro della imbiancatura, deeorò Io sfondo con un sottinsù di prospettiva, o loggia interna sorretta da quattro piloni negli angoli, ornata di ringhiera a balaustri, e intorniata da colonne corinzie. Entro il finto soffitto posa lo stemma de'Doria, e due allegorie al Tevere ed all'Eridano, fiumi principali d'Italia. Egli protesta di aver còlto siffatto partito onde la sala guadagnasse apparentemente in ampiezza; e l' opera fa muto elogio alla scelta.

Le quattro Camere che le fan seguito distinte con soggetti scelti nelle metamorfosi d'Ovidio, dopo una lunga serie di mali tornarono a discreta dignità per le cure dell' Angelini. Nella prima entro i semicircoli veggonsi le trasformazioni di Giove, velale in addietro da un ignorante pennello con tinte ad olio, ed imngini delle scienze in dodici rombi campeggiati di verdognolo. Tutto il resto è ornamento vuoi di rilievo o di pittura; cioè un ventaglio a colori e ad oro nel mezzo, negli spazii del quale, formanti un trapezio, brillan grotteschi in fondo giallo, poi fasce e cornici che allacciano e compongono le suddette parti. —- La seconda avea quattordici lunette colla fi vola di Fetonte, altre annerite non si sa per qual causa, altre cassate con pomice; onde di ciò che vi resta ha gran merito il ristoratore che salvò gli avanzi riparando i difetti. — Poco è dissimile la terza dalla prima per noi notata quanto allo spaitimento, anzi potrebbe dirsi eguale, meno la cornice giallastra che limita i rombi. I casi di Psiche tengono le lunette, e genii e veneri sono alternate a gentili grotteschi. La cieca manii del rinnovare non risparmiò questa stanza che l'Angelini trovò sconciata per giunte fattevi d' alberi e di panni; uè la quarta ridipinta a chiaroscuro in epoca vicina a noi. Le rimanenti son decorate a

stucchi d' eià posteriore, fantastici, varii, e di bella esecuzione, ma indegni di fermarci dopo tante visite, e di frapporre indugio a quelle che tu!tora ci attendono. Anche agli affreschi dello quattro camere ho dato non più che un breve discorso, tornendo di riuscir noioso colla eguaglianza delle descrizioni, e col ripetere al perugino quegli encomii che ogni fatto per se gli procaccia. Oltrechè ne' dipinti non ha Pelino se non il disegno, spettando l'esecuzione agli aiuti di lui, tra'quali son noti per iscritto Luzio 7{omano e Guglielmo Milanese. Gli altri non han nome, e doveano (dice il Lanzi) essere poco abili e condotti a vii prezzo, vedendosi quivi figure che han del pesante e del rozzo. Macchia non lieve alla fuma d'un tal pittore, che più s'aggrava per l'onoratezza di Raffaello suo maestro, e di Giulio suo competitore: artefici irreprensibili nella scelta degli aiuti e diligenti in ogni ritocco.

V ha chi attribuisce a- Gerolamo da Trevigi il merito de' grotteschi e delle figure che adornano i locali del pianterreno; ma sembra negarglielo f autorità del Vasari, in cui leggo che la mu~ raglia terragniola in tutte le stanze e fin sotto le volte ha fregiature molto ornate j e così le sale, e l* camere e le anticamere fatte della medesima mano, cioè di Perino o de' giovani. Niuno fra quanti Irattaron pennello o prima o dopo di costui nel palazzo, ebbe mano nell'interno, o la storia e le apparenze mentiscono. Giunto che fu Pierino e reso noto co' primi sperimenti al Principe, non parve da stare in bilico tra lui e Gerolamo; onde gli venne affidata ogni sala, e quelli che giunsero appresso non ebbero incarico se non di proseguire sul prospetto da tergo, ciò clie Gerolamo avea cominciato e il Buonaccorsi accresciuto. Del restante non si può senza ingiuria rapir la lode a quest' ultimo, cosi accetto ad Andrea Doria che il dimandava di consiglio, se nulla occorreva da disegnare od eseguire per le stanze o per le galee, finchè noi prese vaghezza di riveder la Toscana. Ove non trovando gli emolumenti che Genova gli dava a larga mano si rifece per mare, e con molto rischio, alle nostre spiagge, e trovò nuove accoglienze dal mecenate, a cui servì da quel punto disegnando or gli stendardi, or le poppe delle galee che furono egregiamente intagliate dal Carota e dal Tasso fiorentini, or disegnando le drapperie per ornamento de'navigli, or finissimi arazzi storiati, che stimavansi a que' tempi i più riguardevoli di tutta Italia. Trattenne anche gli statuarii in opere minori, dal Montorsoli volle esser ritratto due volte in marmo, ed altrettante volle che ritraesse Carlo V, e a Silvio Cosini allogò un busto del medesimo imperatore, che a dir del Soprani riuscì cosa singolare.

Ma tali fatture o si perdettero coll'andar de' secoli o passarono ad altre contrade; onde il sol nominarle è già troppo, dovendosi continuar l'esame ai giardini e all' esterna facciata che guarda il mare. Non ho coraggio di sottrarre all'elenco delle cose perdute i dipinti di questa, a'quali la salsedine che continuo vi spira e l'ignoranza de'muratori chiamati spesso a racconciare i tetti, han tolto poco men della vita. Se ne posson vedere gli avanzi uscendo all' aperto dalle sale alle logge che in doppia fila corrono sulla metà dell'edifizio, e dirò anche esaminarli se la devozione a'monumenti, e la coltura dell'arte ci dian buon occhio e pazienza. Fu pensiero del Doria il decorar questa fronte con un lungo fregio di putti, e sott' esso le favole di Giasone in diversi campì, che giusta il disegno riusciron quattro; e fu questo l'arringo ove si compiacque di provare l'ingegno 0 promuovere l'emulazione di varii artefici. Primo vi dipinse Gerolamo da Trevigi del quale si notano due istorie, e buon tratto del fregio, e forse il lavoro si compieva da lui se l'eccellenza del Buonaccorsi noi consigliava a fuggirsene. Pierino protrasse a buon dato l'opera de'putti che servì Ai.17.eri. Guida di Genova Voi. IL 55

eli modello a quanti in Genova ne composero di seguito; ma non pose mano ne' quadri, distratto da'colossali affreschi dell'interno. Ripigliò il Pordenone la bambocciata d'onde s'era fermato l'antecessore, e finse con grazioso scherzo una folla di putti intesi a scaricar deHe merci un vascello; poi nella medaglia al di sotto figurò Giasone che si congeda dallo zio per incamminarsi alla conquista del vello d'oro. Ultimo venne Mecherino da Siena, e compiuto il fregio eseguì pure in un de'quadrati il suddetto eroe, che uscendo dal tempio s'incontra in Medea e le obbliga con giuramento la propria fede. Chi ha discernimento che basti, scerna tra qucgl'informi vestigi l'epoca de'quattro pennelli. ll tempo, gli elementi, e l'ignoranza degli uomini non ebbero mai più lieto trionfo che in questo luogo, ove un'eletta di valentuomini soggiacquero ad eguale strazio. Come il valore di Pierino nell'interno del palazzo, cosi quello di Gio. Angiolo Montorsoli vuol'esser misurato ne'giardini che dal lato di mezzogiorno si stendono insino al mare, allegrati dall'imponente vista decolli d'Oregina, di Granarolo, di Montesano e di S. Benigno che sul fianco opposto si distendono intorno in forma di verde anfiteatro, sparso ad ogni poco di devoti tempietti, e di ridenti casini. Quanto splendore egli accrescesse alla fabbrica non po

mia bellezza, e composti con quella spontanea armonia di linee che forma un de'migliori pregi del fiorentino.

Il suolo ineguale che s'abbassa fin quasi alla marina secondando il discendere dell'antica spiaggia consigliò all'architetto la doppia rampa che poco oltre sul mezzo di questa area discende a giardini inferiori. In capo alla lunga spianata che mostra in aiuole partite da mortelle nuovi fiori e nuovi arbusti si riascende per altre rampe a un terrazzo che siede a cavaliere del mare, »; domina il seno co' bei promontorii che lo fiancheggiano. Da questo ripiano si prolungano ai lati due gallerie, gemelle per forma e dimensioni, le quali sporgono anche un tratto all'infuori per un corpo di fabbrica indossato a mo' di mensola sulla muraglia esterna. Ma il prinxipale terrazzo si spuige buon dato oltre la linea del recinto, e s'apre al disotto in una log-gia coperta, o dirò meglio , in un porticato ricchissimo di colonne distribuite al di dentro in più file, e decoralo dentro e fuori, e sopra e sotto di balaustri ad uffizio di ringhiera. Che il Montinoli spianasse al suo protettore le delizie de'presenti giardini non mi par dubbio se prendo norma da'fatti accennati in principio di questo articolo; ma non saprei con egual sicurezza farlo autore delie parìi decorative or ora descritte; sia perchè la storia non ne fa motto, sia perchè in esse v'han membra che svelano un'età posteriore, e uno stile invalso co'lombardi comechè vi si vegga apertamente l'imitazione delle logge da lui disegnate e costrutte alle spalle dell'edifizio. Sappiamo d'altra parte che i successori d'Andrea Doria, e forse il Gio. Andrea ordinarono non lievi aggiunte all'opere dell'avo, e n'abbiamo esempio nella smisurata fontana che tiene il mezzo di quest'ampio giardino. Nelle statue che la fregiano si volle dar lustro alla famiglia, e specialmente al famoso ammiraglio; poichè il colosso di Netunno scolpito a metà del bacino in atto di domar l'elemento, e di reggere il freno a' cavalli marini è un allusivo a quel Grande che tenne lo scettro de'mari, oltrechè le sembianze del Dio sono un ritratto di quelle d'Andrea. Fu chiamato a questo lavoro il lombardo Taddeo Carlone architetto e scultore celebratissimo in Genova sulla seconda metà del secolo xvi che avea dato al palazzo tante opere egregie. Ma l'arte volgeva a decadenza, e quel ch'ivi manca a Taddeo paragonato a'suoi predecessori si scusa a gran pena al magnifico ed al vario della suntuosa fontana. Per aiutare il subbietto ed arricchire la mole egli scelse vaghi accessorii d'animali, di testuggini, di delfini, di conchiglie che alternò a rabeschi, a cartelle, a musaici; e ad ogni pilastro o quadratura della conca esteriore sovrappose le aquile, emblemi del principe. Non si debbono più diffuse parole a questa scultura; chè sarebbe un oltraggio alle migliori delle quali si parlò con tutta brevità; basti ad essa la sorte che han te opere di gigantesca struttura vicine a quelle di gentile e modesto concetto: alle une la maraviglia delle moltitudini, alle altre l'esame e le Iodi del dotto, E fu tempo nel quale alle moltitudini si dava accesso per questi luoghi deliziosi, che ora con gelosa cura (e forse con migliore avviso) si custodiscono. Se pubblica festa venga sul labbro de'cittadini, corre tosto a memoria il giardino de'Doria che tante n'ebbe e d'inenarrabile giocondità. Nel 1805 faceva il diletto di Napoleone Imperatore accollo al suo arrivo in questo palazzo, nè vi mancavano artificiosi passaggi onde il monarca tragittasse quinci ad un maestoso tempio che sul mare sottoposto lo attendeva per condurlo come in trionfo nel porto. Ridotto a mercato o fiera, di simili tripudi ed ossequi allegrò indi a due lustri il re Vittorio Emanuele di Savoia, eletto dopo tante vicende di guerra, a reggere i destini della patria nostra che tuttor ne rammenta le virtù.

Ma in queste narrazioni non mi consente di fermarmi la natura del libro, nè l'ordine delle

descrizioni che mi richiama ad Andrea Doria. Non si limitano alle suddette (benchè sian molte) le opere ordinate da quel principe per ornamento del suo podere di Fassolo. Lascio in silenzio la grandiosa strada ch'egli facea spianare per quanto si dilungava il territorio di esso, e taccio il lungo bastione che sul lato destro si ergeva a contenere la falda di Granarolo per ridurre in forma più regolare ed ornata le ville che s'indossano al promontorio. Gli storici, troppo avari nel far parola di questi operati, non dicono quale artefice s'impiegasse ne' lavori a' quali fo passaggio, ma troppo chiaro s'appalcsan essi di. per sè. La bella maniera del Montorsoli panni impressa in quell'ordine di colonne canalale che al sommo della muraglia sostengono un pergolato, ne'pilastri formati a nicchia che s'alternano con graziosa varietà alle medesime, e sovrattutto negli ornamenti, ne'trofei, ne'rabeschi ond'è gremito ogni spazio che basti a capirne. E prende forza il giudizio se consideriamo che Gio. Àngiolo poco più in alto modellava in plastica una figura di Giove in gigantesche proporzioni, onde tra il volgo le derivò il soprannome di gigantej che s'estese a tutta costiera posseduta dai Doria. Non è cosa da vedersi d'appresso, sia perchè l'occhio si perde a tale altezza, sia perchè cercandone i detiagli escon fuori esagerazioni e deformità. Ma lo scultore, uso alla difficile arte de'colossi, misurava i bisogni della distanza, poichè la statua dovea signoreggiar questa balza a vista di chi esce da' baluardi di S. Tommaso ed innoltra sulla piazza del Puiiieipe. Di colaggiù la sterminata imagine ti si mostra in tutt'altro aspetto; i profondi e risoluti solchi dello stecco prendon carattere di morbidi e facili dintorni, le gonfie membra piegano e tondeggiano soavemente, e il gesto licenzioso e strano si tramuta in posa naturale e dignitosa. Se il Vasari non lasciava per iscritto che questa figura si debbe al frate, noi noi sapremmo con certezza, e il silenzio del nostro Soprani ci metterebbe in dubbi; il che m'è argomento di meraviglia, parendomi che il simulacro per le accennate ragioni basti a dar fama di valentuomo a chi 'l metteva in piedi. Per certo bizzarro affetto, se non per domestica vanità , fu sepolto nel 4615 appiè di questo Giove un cane di nome Roedano, donato al principe Gio. Andrea Doria da Filippo II re di Spagna, non da Carlo V come anacronizzando ci afferma il Ratti. Un'iscrizione in lingua volgare lien memoria delle strane esequie 1; e per consolazione di quegli antichi che vollero tributarle a un cane principesco, scriveremo che ancor vi restano le ossa del benemerito animale, dissotterrate nel 4838, e racconciate uell'orrevol tumulo dall'attuale proprietario.

1 » Qui giace il gran Roedano, cane del principe Andrea H Doria, il quale per la molta sua fede, e benevolentia fu

Il cavaliere Domenico Doria, fratello 0Efc PrinCipe abita l'Altro Palazzo che siede accanto alia villa, e guarda in fronte la chiesa gentilizia di S. Benedetto. Nascosto finora agli occhi di chi passa da una importuna muraglia, e da alberi piantati senz'ordine sul terreno che gli è dinnanzi fmo alla pubblica strada, torna ora all'antico splendore per liberale dispendio del locatario, che atterrali quegli ingombri, e spartito il suolo in simmetriche aiuole, diede imponente prospetto a' passaggieri, e delizioso ingresso a chi ascende. Non può dirsi con sicurezza a quale artefice se ne debba il disegno; nè m'adagio all'opinione dell'Angelini che il fa dell'Alessi, mentre (s'io pur dovessi supporre) lo stile s'accosta a Giovami'Angiolo, specialmente nella scelta dell'ordine e delle membrature, e

» meritevole di questa memoria, e perchè servi in vita sì ii grandemente ad ambidue le leggi fu anco giudicato in morte » doversi collocare il suo cenere appresso del sommo Giove, * come veramente degno della reale custodia.

» Visse xi anni e x mesi — Morse in settembre del 1016 » giurn. 8 ora 8 della notte ».

nella disposizione delle gallerie laterali 1. Qualche mutazione s'è fatta al palazzo, ma nel complesso non è travisato a segno che il giudizio riesca impossibile. Alla porta s'è fatto ornamento di due putti in marmo, esistenti per lo innanzi sull' ingresso del viale, opere, a quel che si crede, di Silvio Cosini. Piacque eziandio far decoro alla facciata con pitture di prospettiva e d'ornamento, le quali seguitassero l'ordine delle loggte, e delle cornici, e aggiungessero magnificenza all'edifizio; e a'desiderii non venne meno Annibale Angelini, che disegnò e diresse il lavoro. Non mi faro a paragonare la magnificenza degli avi nostri col desiderio de'presenti, comechè ne'due palazzi che fan suggello alle nostre visite sia così vicino e spedito il confronto. Oggi, sia gusto o sia calcolo si presceglie la minor pittura ad ornare le stanze signorili, e forse verrà tempo che i dipinti fatti nel nostro secolo a richiesta de'privati cresccran prezzo a'più autichi nell'opinione de'cittadini. Pur che a me non si rimproveri l'aderire a tal costume che ci fa piccioli appetto agli antecessori, entro difilato al nobile appartamento di questo palazzo e do lodi ampie all'Angelini, il quale avuto incarico di colorirne ogni vólto a partimenti e decorazioni fece tali pruove d'ingegno ferace, vario, e diligente da promettergli la stima e la memoria di noi genovesi, che pure nel magistero di quest'arte non possiamo invidiare à qualsivoglia più colta città d'Italia. Deesi vanto all'ottimo giovane non solo d'avere eseguito con facile e forbito pennello i suoi rabeschi e i suoi fregi, ma d'aver mutato lo stile secondo i luoghi, e certo con una versatilità, che in ognuno di essi il fa parere maestro. E percli' altri noi creda men vago o perito delle figure alternò storie a simboli agli ornamenti, siccome fece nella Sala, ove tra le linee architettoniche serbò un rettangolo all'apoteosi d'Andrea Doria dipintavi a chiaroscuro. Con egual metodo si veggono condotte le singole parti dello sfondato, come i trofei militari posti negli angoli a significare la virtù dell'eroe, i grifoni della genovese Repubblica ad indicarne la patria, e il ritratto è lo stemma gentilizio sopra l'andito che riesce al giardino. Seguono due camere j la prima delle quali per allusioni di diversa ragione esprime un concetto

1 É cosa certa che il principe Gio. Andrea Doria faceva ristorare ed ampliare questo e il già descritto palazzo, e a chi noi coogellurasse dalle opere il direbbe l'epigrafe colla data del 1615 che fa cenno di tali aggiunte, trastocata recentemente dall ingresso del viale alla porta del palazzo. Ma è pure indubitato che lino dai tempi di Pierino del Vaga esiste» nel sito istesso un palagio appartenente a Gianettino Doiia, ed abbiamo nel Vasari, che il suddetto pittore vi coudusse a fresco più medaglie.

tanto nuovo e grazioso quanto potrebbe farlo nn pittor di storia con iscene copiose. Brilla nel mezzo lo sfolgoreggiante carro d'Apollo rinchiuso entro un fregio di satiri e centauri marini in lotta, negli angoli s'annicchiano allegorie alle quattro parti della terra, e sotto a'peducci i segni del zodiaco; cosicchè diresti compreso in un simmetrico giuoco di bizzarrie i tre regni della natura. Mostrò pure ne' grotteschi che illegiadriscono il palco com' egli innamorasse dello stile ornamantale che procacciò tanto onore alla scuola romana dell'aureo secolo, e come studiasse ad imitarne gli esempi. Ma più largo suffragio gliene assicura un altro affresco che vedremo tra poco, visitata che abbiamo la seconda delle annunciate stanze ed una terza che le succede. In quella si accostò alle forme de' secoli nien puri o, come altrimenti si dice, bar rocchi, forme abborrite oggidì come peste esiziale, ma che pure non dispiacciono all'occhio anzi il sorprendono coll' effetto e col brio. V ha forse una via di mezzo tra la sfrenata licenza del seicento e la timida bellezza de' puristi, v' ha forse un temperamento per allettar l'occhio senza offendere la ragione. Annibale Angelini, o m' inganno , ne gitlò i semi mentre protestava pure di non amar quello stile, e di tenersi ad esso per non mentire troppo apertamente al gusto della mobilia; poichè veggo ne'presenti chiaroscuri tentata una modestia che fa meno scorretto quel gusto senza punto tradirne i caratteri. L'attigua camera da Itilo ha nel vólto lunette in campo giallastro con isvariato intreccio di giotteschi, e due figure di Venere e di Cupido entro uu ottagono al centro; ma i desiderii volano alla Sala da pranzo divisa da questa per un angusto gabinetto. Poche opere «li moderno ornatista mi paiono da raffrontare a questa sala per finezza d'esecuzione, pochissime per novità ed eleganza di concetto. Meno un Ebe che versa ambrosia colorita nel mezzo per alludere ( cred' io ) all' uffizio della stanza, e un combattimento di centauri in fregio dorato a compimento di varietà, ogni cosa accenna all'anno, e ne svolge i periodi. V'han le parti del giorno, il mattino, il mezzogiorno, il vespro e la notte, non espresse per que'simboli che somministra l'iconologia ad ogni timido inventore, ma colla faccia della più schietta natura in altrettanti quadrati, o diresti meglio paesaggi d'una verità che diletta. Similmente in ispazi più vasti hai le stagioni; quivi li sorride la primavera coll' incauto delle sue verzure; quivi l'estate col vaporoso de'suoi cieli ti chiama a meriggiar ne' boschetti; quivi il pampinoso autunno, e il canuto inverno ti rapiscono a diverse imagini. Come ciò non bastasse, varii mazzi pendenti di frutti d'ogni stagione campeggiano in fondo azzurro sui pilastri, tutti coniati a quella gentilezza che rende ammirabili fino a' tempi nostri i dipinti eseguiti in tal genere da Raffaello, da Giulio, da Perino, e dall'inimitabile Giovanni da Udine. Quel ch'io vorrei aggiungere in lode del pittore m'è interdetto dalla brevità, e a questa fo violenza per gratificare all'Angiolini de'bei saggi che lasciò tra noi all'imitazione di quanti mirano a custodire il buon gusto, e a propagarlo in questo secolo discorde e capriccioso.

1 rinnovamenti ordinati dall'egregio cavaliere nel palazzo e ne' giardini ch' egli scelse a suo nuovo soggiorno, posero anche in miglior vista una bellissima grotta che contemporaneamente alla fabbrica o poco appresso fu costrutta nell'attigua villa. Ne fa menzione il Vasari nella vita di Leon Leoni col nome di Fonte del capitano LercarOj e ne dà lode a Galeazzo Alesai come di cosa notabilissima; pochi dopo di lai tra i genovesi, niuno tra i forestieri ne hanno fitto cenno. Senza l'autorità di quel biografo pur sarebbe ovvio il giudizio onde quest' opera si reca al perugino, l' unico che in Genova volgesse l'ingegno a questa ragione di delizie, nata colla maguificeuza patrizia nel secolo xvi, e cessata con esso dacchè i posteri al grazioso e all' elegante preferirono il vasto e l' appariscente. Ho detto che alla bella fontana migliorarono le condizioni a seguito de'ristori, conciossiachè dove prima convenia cercarla pei tortuosi sentieri della villa e tra l'ingombro d'alberi e di siepi, ora schiantata l'inopportuna piantagione e raso per d'innanzi il terreno, essa fa bella mostra di sè nel mezzo d'un'area spaziosa che stassi mettendo a giardino con vago disegno di campiceli! e d'aiuole. Rè vogliamo credere che all'illustre possessore paia bastante il già fatto o si appaghi della propria liberalità prima di tornare all'antico lustro quest'opera d'architettura, che a buon dritlo possiam dire il più gentile ornamento del luogo, ed insieme il più prezioso, dacchè a simili lavori non basterebbe ogn' ingegno.

Se il descriver brevemente un oggetto d'arte che ha fama assai minore del merito può tornare a decoro della patria e dei Doria, ed anticipare la cittadina gratitudine al generoso dal quale ne speriamo il restauro, ci gode l'animo nel notarne per la prima volta, in abbozzo almeno , le membra primarie. Vi s'entra per un portico o picciol vestibolo adorno di nicchie ne' fianchi, e reso più vario da certe aperture traverso alle quali veggonsi contrapposte alle linee architettoniche leggiadre apparenze di grolta, ove da muschii e stallatiti trapelati' acque artificiosamente condotte, le quali stillano in sottoposti bacini, e sov,ra ruderi di statua sparsi qua e là siccome per caso. L'interno è di formi ottagona, e a' due lati fa centro una vasca acconciamente ideata, di fronte all'ingresso una quasi caverna con suo laghetto e zampilli i quali si incontrano all'acqua che d'alto vi goccia. Ciascuno degli otto specchi è partito da termini eseguiti a rilievo di pietre e coralli e parte di mosaicisti, nonchè di conchiglie e di schiume e di quanto somministra li natura all' uopo di tai leggiadrie. Le pareti medesime son tutte un mosaico, poichè intessute delle stesse materie presentano fini ornati, e decorazioni sì diligenti che poco meglio farebbe il pennello. Se guardi al sommo, la fonte d'ottagona si fa rotonda mediante una svelta calotta che termina in lanternino schiarato da finestruole e adorno con eguale tarsia di figure fantastiche, e dell'aquila, stemma de'Doria, sull'apice. Anche il rotondo o concavo della cupola risponde all' idea della parte inferiore mediante otto spartimenti a triangolo che vanno ad unirsi al comignolo, entro i quali eoa egual magistero son figurate diverse favole; talchè nell' intera fabbrica non è palmo clic si mostri nudo di tali bellezze. Alle quali non lieve oltraggio ha fatto il tempo smovendo le pietr»

e le gemme dal loro intonaco, e più ancora la innocente incuria de' coloni che dentro questo gaio recesso ammonticchiavano paglie, stipe e legname. Ma l' opera non è contraffatta, e i danni accennati mentre non bastano a torci l' aspetto della fonte, paion dirci che ricca cosa sarà questo interno quando piaccia al generoso Locatario vendicarlo dalla lunga trascuratezza.

Stanco non sazio di descrizioni s'invoglia il pensiero di riandare i fatti che si collegano al borgo di Fassolo, e in ispecial guisa alla stirpe de' Doria che messavi sua stanza gl' impresse tanto di splendore e dignità. E cel consente la esaurita materia delle cose artisliche; ma le prime memorie degne a riferirsi di quello epoche ci parlano di rovine, di lotte, di sangue. A'baluardi di S. Tommaso (ognun sei prevede) facean urto quanti nemici venian sopra Genova; nè si ricorda senza un fremito la soldatesca spagnuola che nel 4522 s' aperse quinci un varco alla rapina ed al sacco. Su queste mura saliva il prode Andrea nel 1529, quando assaltato improvvisamente il borgo da' francesi, e chiuse invano le strade da' valorosi abitanti, convenne riunir le difese a quest' ultimo riparo. Nel 4536 venne a nuovi tradimenti la Francia spalleggiata da'Fregosi, e riusci n piantare il vessillo su questa cortina malgrado il valore del capitano Farina Corso che ne stava alle difese; ma dileguò il nembo «no Spinola, che sovraggiunto sbaragliava gli assalitori, e tolta di mano al nemico la bandiera precipitava dagli spaldi l'ardimentoso che ve l' avea conficcata. Vuoisi che alludesse alla fazione delio Spinola una statua di guerriero in plastica della quale non si scernono oggimai che gli avanzi, ritta in piedi sul baluardo, e coll'arme della Repubblica entro allo scudo. Opinione, qual ch'essa sia, più probabile al certo delle tradizioni che ascrivono il simulacro a quel capitano di Corsica che manifestava al Doria i suoi sospetti sulla congiura di Gio. Luigi Fieschi, o la spacciano per una figura generica onde s'intimasse ai Fregosi di non protrarre a soverchia altezza il palagio acquistato poscia, come scrivemmo, dal Principe. Ora, distrutta in parte la robusta muraglia per aprire un retto e spazioso ingresso alla via carreggiabile, vedesi deserta e chiusa l'antica porta, monumento e teatro di fatti diversi. Tra i quali vienmi a memoria l'uccisione di Giannettino Doria consumatavi da'seguaci del Fiesco che l'avevano occupata al primo bollire della congiura, mentre il valoroso giovine accorso al tumulto mettea piede a'cancelli e chiedeva l'entrata. Nè posso tacere le pruove di virtù fattevi da'nostri per cacciar di citta la ciurmaglia tedesca nel -1746, poichè se

ne tenne ricordo con una lapide (ora smossa nè so dove recata) sotto l' imagine di N. D. Immacolata dal cui patrocinio riconoscevano i genovesi la ricuperata libertà della patria 1.

Tornando co' pensieri al palazzo Doria, non diremo l' ospitalità che sotto i successori del grande Andrea v'ebbero alcuni principi stranieri, come, a cagion d'esempio, Massimiliano Re di Boemia e Margherita d'Austria consorte a Filippo li di Spagna, nè la splendida accoglienza fatta nel 4805 al più temuto de' moderni Regnanti, Napoleone Imperatore. Delle feste a lui tributate si è detto abbastanza nella descrizione dei giardini perchè se ne appaghi il più amante della esattezza; senzaclio tornerebbe a me grave e importuno ai lettori il rifarci ad uno spettacolo , il quale se promosse f ilarità e il diletto nei cittadini, lasciò nel palazzo miserevoli tracce di danno. Io dirò eziandio, che le cose avvenute ai tempi del magnanimo Principe non comportano ch' io mi smarrisca in altri racconti fraudando loro quel poco spazio che ancor mi lasciano i limili del volume, già presso al suo termine.

1 L'epigrafe dettata da Boni. Richeri vuole■ riprodursi in queste pagine siccome un documento di gloria al valor genovese: — Dei Maire auspicante — portis vindicatis — ab~ s.idione soluta — voluntarii ex civibus milites — Patrona» Qjìt. Max. — Armo Mdccxlix.

Nè per quell'epoca mancan notizie di popolari tripudii, nè d" apparecchi ordinati in quelle sale a principesco ricevimento. Nel 4533 l'invitto ed accorto Imperatore Carlo' V scendea per la Polcevera nlla vòlta di Genova scortato da ben venti ambasciatori della Repubblica spediti ad ossequiarlo fino a Pontedecimo, e ricevuto a foce del torrente dal doge Battista Lomellino, dal Senato e dai Padri. Cesare con siffatto cortèo, fiancheggiato da due cardinali legati del Papa, a cavallo d' un superbo corsiero giungeva a vista della città, e sostava coli' orrevole comitiva all' ingresso di S. Lazzaro. Quivi un ricco padiglione od arco trionfale gli facea trono: nè fu appena seduto, che da parte del Comune incominciarono le salutazioni e gli omaggi. È strano a narrarsi, che l'arringa si confidasse a giovinetta non anco bilustre, Simonetta Partenopeo; la quale ritta fra gl'intercolonnii dell'arco, in vesta candida ornata di seta, disciolte giù per gli omeri le chiome se non quanto erano strette per auree anella e virgulti d'alloro, coronata di rose, con ramicelli di palma e d'ulivo, insegne di vittoria e di pace, nella mano sinistra, attirava a sè gli sguardi dell'Imperatore non che della circostante moltitudine, pure innanzi di muover labbro. Quanto se ne compiacesse il padre di lei, lo storico delle cose nostre Paolo Francesco Partenopeo è facile a conoscersi da' suoi annali, ove riportata l'orazione di Simonetta, e il distico che alla fine di questa indirizzo al popolo stupefatto ', seguita a dire della accoglienza chè Cesare accompagnato sotto aureo baldacchino trovò nel palazzo d'Andrea Doria; a coi torno un istante per conclusione dell'articolo. Nè sarà fuor di luogo l' accennare le sorprese e le feste che il grande capitano apprestò al Monarca finchè rimase tra noi, lautamente trattandolo insieme alla famiglia ed al codazzo di principi e cavalieri che traea seco, e che sommava ad un migliaio di persone. Le tradizioni ci conservano memoria d'un lautissimo pranzo imbandito sul mare. Correa dal palazzo al 'preparato naviglio messo a forma di sala una galleria posticcia, sontuosa di seriche paramenta con frange d'oro; la quale formando come un seguito alle stanze, e congiungendosi al palco della nave occultava artificiosamente il passaggio. La mensa risplendcva di stoviglie e vasellame d'argento, strana suppellettile a que' tempi per un privato, e della stessa materia erano i piatti, che ad ogni mutar di vivande lanciavansi per le finestre nel mare, con gran meraviglia di Carlo, il (male

1 « At vos, o cives, tanto de numìne laeti

« Plaudite; nec cessent carmina, pìectra, lyrae.

non sapea d'una rete distesa sott'acqua a raccorre quel gitto. Ma, stando alle enfatiche parole del suddetto annalista, tutto era nullo appetto agli addobbi del palazzo, che già per le pitture e pei fregi brillanti di recente esecuzione, potea dirsi degno albergo d'Imperatore. Le opere che il giro di tre secoli non bastò, malgrado tanti danni, a sottrarre alla nostra ammirazione, brillavano allora in tutta la natia bellezza, e crescevano di maestà fra tanto apparato di festa. Poichè le sale ammantate sovra ogni parete d'aurei veli e di preziose cortine, e i pavimenti lucidi per rosseggiante bitume, e i tappeti e gli arazzi pendenti da'muri, e i veli porporini intrecciali in festoni per ogni stanza, e i letti ricchissimi d'intagli e d' oro con padiglioni trapunti ad ago e screziati delle tinte più vivaci, e cento altre squisitezze di fasto signorile aggiungevano un non so quale incanto alle opere di pittura da cui Pieriuo avea pur allora spiccata la mano.

Non so se il nostro intelletto possa trasportarsi al tempo che questi insigni prodotti d'un fervidissimo ingegno mostravansi senza gli oltraggi che il tempo e la noncuranza procacciane loro fino a' giorni nostri. La descrizione che ne tessemmo colla diligenza permessaci dalla brevità dovette alternarsi a quella de' restauri e ai! un tristo racconto di danni; ma tali son le opere e sì grande la copia, che il palazzo Doris è pur anche degno albergo di Principe1, e so\ra ogni altro dee porre suggello a un volume descrittivo della nostra superba città. Ond'io, scioltomi alla meglio da quest'ultimo debito, chieggo commiato al lettore; lieto abbastanza dell' opera mia se scortandolo alla visita de'singoli monumenti ho soddisfatto a'desideri» di lui un tal più che non facessero i pochi che mi precorsero nel faticoso servigio. Ch' io mirassi a tal fine, vel persuada, o benigni lettori , l'esattezza se non altro e l' ordine a cui mi attenni in tu:to il cammino da noi percorso. E l'onesto desiderio mi faccia scusa nell'animo vostro, se talvolta trascesi per avventura in parole combattendo i passati errori, o rampognando le omissioni, conoscendo che quelli e queste derivano il più spesso dalla fretta, ed avvisando io che presso le persone colte e gentili ed amanti del bello e del vero tanto valga il correre da spensierati quanto il disporsi ad ingannarle. De' ricopiatori non parlo: gente cieca e facile a contentar se medesima sulla cui bocca il vero ed il falso hanno egual pregio. Nondimeno io mi parto da Voi con altri desiderii nel cuore: dacchè mi par poco l'avervi additato quel che rinchiude la cerchia di queste mura se la sorte non mi conceda l'avervi compagni quandochessia per gli ameni sobborghi e le incantevoli riviere di Genova. Mille palagi (e chi potrebbe ignorarlo?) sontuosi e ricchi al pari de' già veduti sorgono in mezzo a boschetti e a ville , o lunghesso le spiagge marittime, o sulle balze di ridenti colline , e dovunque l'imagine della religiosa pietà che profonde tesori nell'ornamento de'tempii, in ogni luogo la pubblica e la privata magnificenza: di guisa che movendo passo per lunga via da qual lato vi piaccia non v' avvedreste di aver lasciata la città se non in quanto ne usciste le porte e volgeste il tergo alle mura. Ma l'opera è lunga, e tale da moltiplicare in Voi fatiche, in me le sollecitudini e i sacrifizi. Farò voti al cielo perchè ci dia vita e costanza eguale a'desiderii, e ci ricongiunga in dilettevoli perlustrazioni , quando ci venga a noia il riposo ch'ora con tante lusinghe c'invita.

1 Fu chiesto, non ha molto, e concesso in affilio a S. A. S. il Pbihcipb Eugenio Di Savoia Caruìnano Comandante Generale della R. Marina.

FINE.

APPENDICE

Palazzo Defornari voi. 1.' pag. 133.

All'elenco delle cose artistiche da me notate presso quest' egregio Marchese, parecchie se ne vogliono aggiungere, alcune delle quali vennero a far più ricco il soggiorno di lui dopo che io ebbi chiesto per cortesia di ricavarne la nota. Aggiungi adunque: una caccia dello Snjrders — Quattro ritratti di casa Doria, proprietaria ne' tempi addietro del palazzo — Due ritratti, l'un di dama d'Antonio Wandik, l'altro di gentiluomo di Bernardo Carbone — Gesù Cristo nell' orto di maniera del Reni — Ritirata delle armi francesi dalla Russia del cav. Migliarci ■— Ritratto della nobil donna Camilla Defornari Spinola di Matteo Picasso — Dne paesi con figure di Federico Peschiera — La sepoltura di Cristo, picciol gruppo in avorio che sembra del Bissoni — Scena d'un mercato del Michaù — Quattro ritratti di scuola genovese — Un altro Alizeri Guida di Genova Voi. II. 56

della Marchesa Costanza Raymondi Defornari, eseguito a pastelli da pittore i/jnoto — Tre fanciulli ritratti in una tavoletta dal JVandik — Un Crocifisso in avorio di Monsieur La Croix — Tavola grande con Cleopatra del cav. Liberi. — Due ritratti che paion dell' Olbeinsj e un quadro con bestiami del Grechetto.

Sant'Andrea voi. 1.° pag. 928. INel numero delle aggiunte onde si compone la presente appendice non sarà discaro il trovare alcuni cenni intorno agli avanzi dell'antichissima chiesa e monastero di Sant'Andrea ridotti modernamente ad uso di carceri, e perciò travisati in ogni lor parte. L'inserirli nel contesto dell'opera non sarebbe stato nè bello nè opportuno, giacchè di quel tempio, siccome io dissi, non rimane sembianza alcuna, ne a tutti potea piacere l'interrompere il cammino per recarsi ad un luogo di triste imagini, e ricercarvi quel tanto d'antico e di riguardevole che sopravvisse alle strane mutazioni. Ora, lasciando in arbitrio del lettore la visita, non farò lunghe parole d'alcuni affreschi di Domenico Viola che tuttora si mantengono in mediocre stato sulle pareti della chiesa; ma non debbo con eguale brevità registrare all'attenzione del dotto il chiostro delle monache canonichesse che ne' passati

secoli vi abitavano, o a dir meglio il cortiletto che faceva ingresso ed ornamento al lor monastero.

Vada innanzi ad ogni discorso l'esatta descrizione di un monumento rarissimo per l'epoca che gli si può assegnare, e doppiamente degno di memoria per essere giaciuto finora nell'obblìo. Questo cortiletto che viene sui primi passi di chi entra la porta del convento di sant'Andrea è un paralellogramma di metri 43. 44 per 7. 58 di lato costituenti un'area scoperta di metri quadrati -101. 87. Ciascun fianco è corso da una loggetta coperta a vòlto della larghezza di metri 2. 50 per 4 00 di altezza. I muri di questa loggia verso il cortile sono indossati ad archetti di sesto acuto di metri 0. 70 di corda e 0.44 di saetta, i piedritti de' quali son formati da colonnette di marmo bianco poste a binato in senso della grossezza del muro, e sugli angoli a gruppi di sei per ciascuno. 1l numero complessivo di queste ascende alle 88; hanno in base il diametro di metri 0.45 circa, l'altezza di 4.38, pari a 9 dei suddetti diametri. I capitelli sentono l'ordine composto vuoi nella forma, vuoi nelle proporzioni; la base è attica, e poggia sur un muro continuato a guisa di zoccolo elevato dal piano metri 0. 50, e largo un egual misura. Tanto gli archetti quanto l'attico che corre sovr' essi in larghezza di metri 4. 48 son costrutti di pietra nostrana, conosciuta fra gli artisti e gl' intelligenti sotto il nome di pietra di Promontorio, e con tal precisione e fmitezza da non invidiare a qualsivoglia fabbrica eseguita ne' secoli Xiii o xiv, de'quali vedemmo altri frutti. Sull'attico finalmente proseguono i muri dell' edilizio in metri 42.00 d'altezza media.

Non ho trascurato di consultare le antiche scritture riguardanti il monastero di sant'Andrea, sulla speranza di trovarvi alcun cenno del presente cortile onde mi venisse fatto d'afforzare con date certe le congetture che posso u farsene a considerare lo stile. E quantunque niun atto ci dia le origini o faccia descrizione veruna del chiostro, nondimeno non sono da rifiutarsi le indicazioni del luogo che leggonsi in fondo ad ogni scrittura, poichè talvolta (se non erro) alludono ad esso. In una del 4222 sta scritto: Actum lanuae in porticu dicti monasterii, e in una seeonda del 4228: Actum Januae suo porticu caminatat dictae Abatissae, ed altre volte in claustrOj ed altre in logia: denominazioni ripetute assai volte nel corso di que'documenti, le quali posson persuaderci di leggeri che il cortile già esisteva nel secolo xm, come pare eziandio dallo stile architettonico.

È facile però il discernere in esso due diverse epoche di costruzione, ed ovvio il congetturare, Che il cortiletto fosse ristorato ed accresciuto ili età più recente di quella che ci viene indicata da alcuue parti del medesimo. Più ch'altro ne son prova evidente i capitelli delle colonne, i quali voglionsi distinguere in due classi. I più antichi sono specialmente degni d'osservazione per la varietà degli oggetti che Ji compongono, e li fanno rassomiglianti a'pochi monumenti dell' arie conosciuti in Genova, de' primi secoli che succedettero al mille. È bello il vedere come le figure sovr' essi scolpite, tuttochè all' estremo capricciose e bizzarre, formino un complesso che non nuoce punto all'armonia dell'ordine. Tengon' esse colle lor teste il luogo de'soliti caulicoli, e s'alternano a strani animali con volto umano; v'han carri tratti da buoi, leoni, cavalli , e gladiatori con pupilla formata di piombo incassato nel marmo, aquile fiori, frutti, ed altri ghiribizzi in luogo delle foglie d'acanto. I rimanenti capitelli, a' quali è necessario assegnare un' epoca più moderna son foggiati di quelle semplicissime e grossolane foglie che dan forma costante a quanti se ne lavorarono nel decimoquarto secolo, e debbon credersi aggiunti assieme alle lor colonne in occasione di restauri e di ampliazioni fatte al chiostro.

Introdotte recentemente le suore della Carità in questi locali al ministerio de'carcerati, convenne acconciare «'bisógni delle nuove ospiti il deteriorato convento. Tal restauro ben lungi dal nuocere al gentil cortiletto, come accade sovente allorchè le opere si lasciano a cura d' uomini incalti, gli assicurò anzi più lunga vita di quella che non gli fosse lecito sperare in tanto abbandono. Lo scorso novembre S. E. il Cav. Des Ambrois Ministro dell'Interno, e il Conte Giacinto Avct dirigente la Grande Cancelleria e Ministro di Grazia e Giustizia onorando d'una lor visita i lavori anzidetti, conobbero l'utilità che tornerebbe alla nostra patria dal conservarle questo prezioso monumento, e ne ordinarono immantinente il ristoro. Come d'ogni aliro che vassi eseguendo nell'antico monastero, n'ebbe incarico l'egregio sig. Domenico Delpino, alla cui gentilezza vo debitore de' dati artistici riferiti più sopra intorno al chiostro. Non dirò le fatiche durate da lui per tornare in buono aspetto il colonnato e le pareti di quel quadrangolo, i capitelli del quale, per testimonio d'antica barbarie , vedeansi intonacati di cemento bianco e tenacissimo che al tutto ne occultava le forme. Le nosire parole anzichè a lamentare i vecchi danni debbon rivolgersi ad encomio degli efficaci rimedii onde si provvide all' estrema rovina che minacciava questo avanzo di antichità. E debbesi conchiudere coll'asseverare, che se fu generoso il pensiero ne'Suddetti Personaggi di serbarci si bella parte delle arti nostre, non fa minore nell'architetto lo zelo di corrispondere degnamente alla loro generosità, e al decoro della patria comune.

Chiesa e monastero delle Crocifisse di Gesù, rol. 1.» , pag. 2*9.

Posteriori notizie intorno a questo monastero, ed un accurato esame dei documenti che lo riguardano, e che gentilmente furon messi a mia scienza. mi fecero accorto di alcuni particolari che mentiscono apertamente alla volgare credenza riguardo al fondatore di questo stabilimento religioso.

Oltracciò un'appendice al N.° 428 della Gazzetta di Genova (anno 4846) sottoscritto dai Protettori dell'Istituto, gl'Illustrissimi sigg. Marchesi Alessandro ed Ignazio Alessandro Pallavicini, venne a confermarmi nelle nuove opinioni, e ad impormi più grave il debito di rettificare quelle notizie che fidando soverchiamente alla pubblica voce ho scritte nell' articolo relativo alle suddette claustrali. Ed eccomi pronto a sgravarmi, e presso il pubblico, e presso le suore dell' involontario fallo.

Apprendo dalle carte surriferite che il Pieve*

rendo Domenico Boccardo il quale è detto in quest'opera istitutore delle Crocifisse, fa invece il procuratore, e se vuoisi anche altro dei protettori di questa pia comunità fondata colle elargizioni dei benefattori e colle doti delle zitelle aggregatesi a formarne parte, avendone anche il detto Rev. Boccardo diretto lo spirituale go~ terno. Del resto mi convinco che la istituzione di essa è merito di Maria Maddalena Gardella fu Pasquale, Madre attuale di queste suore or ridotte in clausura, la quale sin dal i819 si unì iid altre otto zitelle, e cominciò con esse ad abitare una casa presa in affìtto da particolari, ed a provvedere alla comune sussistenza con lavori di ricamo. Nel 4826 questa eletta di pietose donzelle dirette dalla signora Gardella comprarono colle elargizioni di pii benefattori, e co'prodotti della loro industria la chiesa, e porzione del monastero di santa Chiara in Carignano, e quivi trasferitesi, proseguono in quella esemplare osservanza che spontaneamente avevano intrapresa con tanta lode ed estimazione de' cittadini.

E questa meritò loro l'indulto Pontificio che nel 4845 dietro lor supplica le stringeva in clausura sotto la invocazione di Gesù Crocifisso, e Maria Vergine Addolorata; onde hanno il titolo di Crocifisse di Gesù. Dietro sì belli auspici, e sotto la provvida tutela della benemerita istitutrice van continuando nella perfezione claustrale, e nei suddetti lavori che a loro son gran parte di sussistenza, e le fan pregiate non che in Italia, oltremonte; e si occupano del pari in una scuola gratuita a vantaggio delle povere fanciulle che abitano nelle vicinanze del monastero.

Tanto e' incombeva di scrivere per rimedio all'errore, e per tributo alla verità.

S. Giacomo di Carignano voi. l.° pag. 251.

Al destro lato della porta laterale è murata Dell' interno una vasta lapide contenente una supplica che nel 4458 diede Ambrogio Scnarega cittadino e cancelliere della Repubblica al Senato, affinchè gli si accordasse facoltà di far guerra del proprio a certi rei uomini di Valachia, i quali avean poco innanzi preso e smantellato iniquamente un castello che i Senarcga possedevano nel Mar maggiore. I particolari di questo fatto ignorato forse dagli storici, e certo lasciato in silenzio da ognuno di essi, si hanno diffusamente nella medesima lapide. Questa non fu ignota allo Spotorno, che debbe averne cavata notizia da qualche collezione manoscritta de'monumenti pa trii; se non che, mal cauto neli'informarsi de fatti, asserì nel Dizionario statistico dell'ab. Ca sali, essere stato venduto da pochi anni que marmo, come si fa d'inutili rottami, a un mai

mcvaio. Tale gratuita etl erronea asserzione fu riprodotta sulla fede di lui nella Descrizione di Genova e del Genovcsato impressa nell' occasione dell' Vili Congresso, e offerta in dono agli Scienziati Italiani. Ma fu smentita dalla nostra Gazzetta , la quale rivendicò l' onore di chi è al governo della chiesa di S. Giacomo, a gran torto oltraggiato dalle parole dello Spotorno, e facilmente l'avrebbe smentita chiunque si fosse recato in quella chiesa, ove l' epigrafe e per le sue dimensioni, e pel luogo che occupa non ha mestieri, per esser veduta e letta, d'occhi molto acuti. Per queste ragioni, e per l' importanza storica del monumento, ho deciso di riferirla per la prima volta ne'miei volumi, comechè sia lunga oltre l'ordinario delle lapidi: contento di portare un rimedio alla suddetta inesattezza, e di mettere un riparo a quelle che i venturi potrebbero per avventura aggiungere sull'autorità di que' libri. È da notare che lo scalpellino incaricato d'incidere la lapide (e fu, se non m'inganna la forma de'caratteri, in epoca posteriore alla data della supplica) avendo commessi non pochi errori nel ricopiare lo scritto, fu costretto a supplirvi con aggiunte o correzioni fatte d'inchiostro, se già non fu sua frode per risparmiarsi fatica. Ad ogni modo chi guarda sottilmente nel marmo vi scopre i vestigi dell' inchiostro che s'è ridotto a uno sbiadito giallognolo, e non è impossibile il cavarne un' esatta lezione. Tanto confido d'aver fatto colla pazienza che mi piacque usarvi, e trascrivo senz' altro l'intera supplica, sceverandola però d'alcuni errori di ortografia che spettano chiaramente alla ignoranza dello scalpellino. Nel resto m' attengo severamente all' originale, mantenendo per più fedeltà l' ordine delle linee.

Magnificentiis vestris mpplicatur ac exponitur per Ambrosium de Senarega civem et cancelkiriutn communis Januae

tamquam fratrem , et conhinctam personam Thomae j ìlieron., Gregorii et Joannis de Senurega fratrum suorum quod , cum praenominati fratres

ipsius Ambrosii in partibus Ponti, quod Mare maius vulgo diciturj paci/ice tcncrent costruttij quod illicis nuncupatur a(/uisitum per eos a Tartaris summis

luboribus et maxima impensa reaedificatum in quo j quasi refugium omnium qui christianam religionem in ea regione confitentur, ipsi fratres constituerant, ut vexatis aut captis a Tartaris, qui eas parles incolunt, in eo loco, et redemplionisj et subsidiorum remedia plurima praestarentur; evenit his supcrioribus annu, scilicet de mente mail, quod cum nonnulli homincs et incolae Macastri partium Valachiae a Tartaris capti fitistea I, et opera

frutrum praedictorum ipshts Ambrosii, et de ipsoram pecunia prò tribus millibus quadringcntis ducatis in Mpcastro currentibus redempti , atque ab

eh humanissime in castro praedicto recepti donee dieta pecunia rcstitueretur , nonnulli homines Mocastri de scientia immo , ut vulgo creditur, commissione rectorum

loci illiuSj quos Jupanos vocant ac scniorum sub simulatione piscandi ad castrum praedictum «o cesserunt, et, habito colloquio, dolisque compositis cum bis Valachis qui obsides intra castrum donec prctium redemptionis suae redderetur morabantur , cum ipsi qui sub pretexiu piscatorwn venerant Ulne, essent sexaginta, redempti vero intra castrum

quatuordecim , existentibus Gregorio, et q. Petra de Senarega in castro nil tuie timentibus, ab illia potissime, cum quibus sub optima pace exctlsum Communé Januae

et omnis Janucnsis natio , seposita omni suspitione, vivebat, minusque ab itlis, quibus continue ipsi fratres praedicti beneficia, commoda, et reliqua quaecumque sunt umanitàtis officia confcrebant, et qui a Tartari*

pridie ipsorum fratrum pecunia redemptì pie clementerque fuerunt, a quibus nedum dolm timeri, aut ea crudelitas

quae narrabitur non debuit, quae omnem inter homincs unquum barbaros acta sit ferocitatem vin~ citj sed potius dignam pii offìcii remunerationem sperari ac reddi omnis

ratio bene vivendi suadebat, evenit, ut, postposita omni christiani nominis j religionisve memoria , omnibus beneficiis, hospitalitate humanitatibusque supradictis oblivione

datis dicti homines redempti, ordine composito cum piscaloribus falsis, ut ipsi intra castrum existentes custodias castri, captato tempore interficerentj cum ipsum

castrum j si interior hostis abfuisset paucis custodibus indigeretj idque fecerunt; et necato custode turrisj signo dato, falsi piscalores ad portam castri cum ausilio

eorum qui turrim occupaverant s armi* colla tis, paucis defensoribusj et intra castrum hostibus, et aids ab extra oppugnantibus, non valcntibus resistere, castrum ipsum j cum pluribus mercibus in eo existentibus et omni suppellectile sub hac proditoria fraude rapuerunt , et Gregorium praedictum resistentem j quatuor' decim vulneribus confossum comprehenderuntj ac Petrum praedictum, et quie- r

quid ipsi fratres in eo castro hubuerunt, in prac

dam dedcrunt; ac ne celaretur haec res ornnis a

JupanUj et rectoribus Mocastri

senior ibusque eiusdem loci cogitataj in eorum vimj

potestatemque castrum daturn est, et Gregorius

ipse pracdictus Mocastrum deductus est semivivus,

ubi tanc/uam grave aliquod scelus

commisisset, in ludibrium ductus, ac vtrbcribus

affectus, tandem turris fundo careeratus inclusus

estj ubi triduo tentus sine medicamine vulnerum,

ita ut ab illuvie in foetorem

intolerabilem ea vulnera converterenturj inkuma

nissime iacuitj reliquo Petro semper in carcere

dicti castri retento ., et filia eius naturali in eo

posita; ea praeda ipsum Ambrosium, et

fratres eius antedictoss ut nikil mentiatur, decem

millium ducalorum venetorum damno affecit, ita

ut omnium ipsorum substantiam. amiserint prae

ter eas iniurias et

vulnera ac ludibriaj dolorum incrementa maxima

quac eo graviora videntur quo ab his illata suntj

a quibus potius commoda expectanda erant. Haec

cum ita sintj et eo tempore

Thomas alter ex fratribus, qui apud Mocastrum

foret a Jupanis captus et carcere conclusus fuit,

ut nil inhumanitatis omitteretur quo paucula quae

dam pecunia ex pretto

redemplorum praedictorum recepta ab eo extorqucretur, qui tandem vix eorum manibus evasit; non tamen petentibus restitutioncm castri, ac pecuniae hactenus aures Jupanorum Mocastri apertae fuere, ita ut, quodammodo se nil dcliquisse mocastrenses existimare videantur. Exponitur etiam quod d'ictus Gregorius per Mocastrenses

vinctus et vulneratus ad III. D. Petrum Vaivodam ductus j'uit, qui D. Petrus, fatta prius per ipsum Gregorium fide de dumnis suis, pittate et ztlo justitiae ipsum Gregorium libcrari fecit, et praeter hoc patentes litteras ei concessit quibus consequi posset solutionem contra Mocastrenses prò pretio et valore tantum honorum suorum

amissorum in dicto castro, de ducatis quatuordecim millibus turcicis, et quod ob id non intelligeretur Communitas Januae habcre bellum cum eo, prout latius in ipsis

littcris coram Magnificentiis vestris exhibitis continetur; nam etiam ex ipsis litteris ipsc III. D. Petrus poUititus fuit dictis fratribus castrum smun restituì faccre.

Itaque cum ex inhumanitatibus, quae in ea re praeter hominum opinionem, sine ullo Dei timore, omni postposita humanitate factae tunt, obmittantur plurima, ne longior fiat oratio, supplicai antedictae dominationi, ut tum iustitiae intuì tu qua M. vestrae prò suis fide' lissitnis civibus ministrare consucvcrunt, et jure meritoquc tcneantur, tum

cantra homines et bona Mocastri ac subditos ipsorum prò ea summa pecuniae, de qua ab ipsis damnificati, ac praedati fuerunt, ac etiam imperni* et interesse, vel dictis fratribus licentiam concedere, ut ipsi sumptibus suis bcllum facere possint dictis hominibus de Mocastro, Mcccclviu die xiv martii Scriptum est expedienter

ut in manuali litterarum contineturj et cum litleris missa copia huius supplicationis 1//. D. Petto Faivodae domino Valachiae inferioris, et M. ac Sp.

Dominis Jupano j et senioribus Albicastri. Copia q. Accursius de Borlasca M. Comperarum sancti Georgii cancellarius.

Chiesa di S. Giorgio voi. I.' pag. A2i.

Sulle osservazioni dello stile ho attribuiti a Luca Catnbiaso due quadri con martini del santo titolare, affissi lateralmente nel presbiterio di questa chiesa, e taciuti negli scritti del Soprani e del Ratti. Piacendomi torre di mezzo (quanto mi riesce possibile) ogn'incertezza, non tralascio ora di notare come il Marchese Raggi discendente da'patroni di quell'altare, anzi da quel Nicolò che nel secolo xvi la decorava a sue spése, m'avverte, conservarsi tuttora nel privato suo archivio le carte di ricevuta con cui il Cambiaso certificava il pagamento avuto delle tavole suddette da quel benemerito patrizio. E do grazie al Cortese che vuole per mio mezzo far certo al pubblico quel ch'io non potei scrivere se non dubitando.

Oratorio di S. Tommaso voi. i.* pag. 60S. A riguardo di questo oratorio, stimo d'aver fatta non lieve omissione, tacendo l'origine e i fasti della venerabile arciconfraternita che attualmente lo uffizia, e che subentrò nel possesso del locale all'antica consorzia. È questa sotto l'invocazione di sant'Antonio abate, e sotto gli auspici delle cinque piaghe di G. C., e sarebbe per essa bastante elogio il prestarsi che fa (quando il caso lo esigga) in soccorso a'pietosi uffizi dell'oratorio, esistente quivi rimpetto, della Morte ed Orazione. Per tesserne un adeguato cenno, muovo sulle tracce d'una memoria ma, noscritta, di cui mi compiace il benemerito Segretario della medesima, tanto più ch' io la conosco distesa accuratamente sovra i libri che ne compongon l'archivio. Leggo quivi che la sua fondazione rimonta al xvi secolo, che fino dal 4465 fu stabilita canonicamente, e che tenne il

suo primitivo oratorio annesso alla chiesa abbaziale di sant'Antonio di Prè, del quale conserva tuttora l' assoluta proprietà. Soppresse le Confraternite laicali nel -1805, e tra queste la Casaccia di S. Tommaso apostolo, il presente oratorio che descrivemmo sotto questo titolo, venne aggiudicato alla fabbriceria della chiesa parrocchiale di santa Fede, come situato sul territorio di essa. Finchè stette in questa nuova proprietà fu concesso in fitto a privati, e ne'due anni anteriori al 4830 serviva a deposito di legname. la quel tempo la Consorzia delle cinque piaghe che tuttora uflìziava nell'antico oratorio chiese alla Santità di Papa Leone XII, e alla Maestà del Re Carlo Felice di traslocarsi in questo, come in luogo più ampio e decoroso all'esercizio de'propri riti, e l'ottenne per breve pontificio del 24 dicembre 4828, e per R. Patenti del 44 agosto 4829. A seguito di tal concessione, i confratelli con istrumento d'enfiteusi rogato innanzi all'eccellentissimo e R. Senato di Genova, il 23 settembre 4829 acquistavano l'utile dominio del presente oratorio e locali annessi, coll'onere di un annuo canone di Ln. 600 da pagarsi in perpetuo al priore prò tempore di santa Fede. Senza indugio posero mano a un generale ristoro, il quale cominciò nel gennaio del 4830, essendo capo e governatore della confraterutita Monsig. Agnino, preposito allora alla Collegiata delle Vigne, or vescovo di Sarzana, e finirono col finire dell'anno medesimo, e col dispendio di 20 mila franchi. Comprarono dalla cessata Casaccia di S. Tommaso le tavole di cui parlammo nella descrizione dell'oratorio, meno il transito di sant'Antonio abate che a bella posta fecero dipingere , e collocarono sull' altare a sinistra per alludere al proprio titolo. La solennità della traslocazione si tenne il 48 luglio del 4830, e ne fece la rituale consecrazione Mons. Antonio Podestà vescovo allora di Saluzzo, confratello tabulano, e già governatore della società. Non è più antico del 3 agosto 4830 il titolo d'arciconfraternita conferitole dalla f. m. del Pontefice Pio Vili. Essa nel 4824 modificò gli statuti del 4688 senza però mutarne lo spirito, e ne aggiunse de' nuovi, e 'l novello corpo venne approvato dall' eminentissimo Luigi Lambruschini arcivescovo di Genova, e protettore dell'arciconfraternita. Per non ometter cosa che torni a gloria ed onore di essa, conchiuderò col dire che da tenui proprietà in fuori, non possiede fondi stabili, e si regge e s'aumenta coll'annue ofTerte de'numerosi confratelli, che tanto a ragione riscuotono la pubblica stima per zelo di religione, e per continui atti di cristiana pietà.

Palazzo de' M.si fratelli Serra voi. 1.» pag. 890.

S'aggiungano alla descrizione alcuni pregevoli oggetti a'arte posseduti dal march. Francesco, e ordinati in bella mostra nell'appartamento di lui; una testa di S. Gerolamo dello Strozzi —> L'addolorata con Gesù morto di Lud. Carocci — Due tavole di scuola fiamminga col Salvatore condotto al Calvario e deposto dalla croce — Lo stesso che appare a Maria di scuola veneziana — Una testa della Vergine del Sassoferrato — Due ritratti di dama del PFandik — La nascita del Battista di Giulio Bugiardini — L'incoronazione di spine di scuola veneziana — N. D. col putto di scuola Leonardesca .— Un filosofo dello Spagnoletta — Una caccia, quadro grande dello Snyders — Un viaggio d'israeliti con «landre del Castiglione — Una lotta di villani di pittore olandese — La Sacra famiglia di Carlo Maratta — La storia della moneta presentata a Cristo di G. C. Procaccino — L'adorazione de' Magi di autore fiammingo — Mosè che trae acqua dalla rupe di Pietro Buonaccorsi — Un mazziere del Doge à'A. Wandik — Due miniature di Battista Castello con Cristo flagellato e deposto dalla croce — Narciso al fonte, di Michelangelo da Caravaggio — Due paesi di Salvator Rosa — Quattro quadretti con bestiame del Grechetto — Orfeo cogli animali del Rosa da Rivoli. — È degno eziandio di molta osservazione un Presepio con molte figure modellate in cera dall'abate Gactani, e più ancora un'urna cineraria de' secoli dell' impero Romano dedicata ad una Sergia come dice lo scritto; da aggiungersi al breve elenco che abbiam dato di questi monumenti poco noti in Liguria a pag. 484 del pre» sente volume.

Regia Università voi. 2.' pag. Oi.

Dopo le lagnanze da noi mosse in quello stabilimento intorno a parecchie mutazioni, ragion vuole che si notino le novità onde si pose rimedio allo sconcerto reso necessario da'restauri, affinchè niuno ci creda più amanti del biasimo che della lode. Le lapidi tolte dalla parete in capo della prima scila che succede al cortile, furono traslocate su quelle che fiancheggiano l'ingresso all'orto botanico, già gremite, come dicemmo , di epigrafi e memorie genovesi; e ciò per deliberazione dell'lll.mo Presidente Marchese Vincenzo Serra, non ha mollo cessalo ai vivi. Con migliore consiglio egli ordinò pure che la statua del doge Boccanegra fosse posta giacente sovr'esso i leoni, secondo che volea la ragione di que'marmi, é il buon senso. Riconosciamo da lui le ampliazioni fatte alla scuola di fisici, cioè un laboratorio, ed una seconda sala per allogarvi le macchine. L'orto botanico fu anche provveduto d'un elio-camino esteso per oltre a 60 metri di lunghezza, altro presso a 5, per riporvi in serbo ed a spalliera le piante. Non minori benefizi a questo giardino s'attendono dal novello Presidente, il Marchese Tommaso Spinola, uomo in cui van del pari la coltura dell' animo e lo zelo per l'incremento d'ogni utile studio. Ognun sa con quanta sollecitudine egli vada affrettando il compimento della stufa suddetta, alla quale dee procacciarsi il riparo d'una doppia invetriata; e forse anche l'area tutta dell'orto botanico sarà ampliata notabilmente, coll'unirvi il tratto di terreno attiguo posseduto attualmente da'PP. Gesuiti, da'quali si spera d'ottenerlo in affitto.

Chiesa e Conservatorio di N. S. della Provvidenza volume 2.° pag. 174.

Debbo alcune rettificazioni ed aggiunte ai cenni della chiesa e del conservatorio nominati qui sopra. Gli attuali protettori sono, S. E. il Marchese Antonio Briguolc Sale Presidente, il Marchese Gio. Batta Negrotto, e i sigg. Giuseppe Cataldi ed Antonio Quartara. In forza di nuove costituzioni fu abolito l'uso di ricettar vedove in questo pio stabilimento. Non vi ti accolgono

che zitelle di civil condizione, di provati costumi, e fregiate di mediocre ingegno, le quali sborsano pel loro collocamento la dote di lire nuove 2500 alla cassa della comunità, e van soggette a noviziato, in capo al quale si consacrano a Maria SS. con una solenne e pubblica protesta che fanno, assistente il Deputato della casa, di mantenersi ubbidienti e devote agli statuti del conservatorio. In esso si ammettono pure fanciulle di-tenerissima età e di civil rango per esservi educate fino al loro anno diciottesimo. Accresce benemerenza a questo conservatorio l'istruzione che dà gratuitamente alle povere zitelle del quartiere di Prè sia ne' doveri della nostra religione, come ne'lavori più convenienti al lor sesso. E ciò sia detto per rendere omaggio alla verità.

II picciol quadro contenente l'imagine di Maria che dà titolo a questa chiesa, e vi attira sì grande concorso di fedeli fa quivi trasportato nel 4756 ad aumento di devozione dal reverendo Barnaba Leone con gran pompa e solennità dal colle di Pietraminuta. È antica tradizione che la divota effigie fosse recata da Palermo per opera d'un capitano di nave mercantile che professava un fervoroso culto alla Gran Donna. Certo si è ch'essa è copia d'un'altra esistente in quella città sotto il titolo medesimo della Provvidenza, che i devoti Palermitani riconoscono da un Teatino fra Giuseppe Scarpati, il quale l'ebbe, com'essi attestano, per vero prodigio. Il suddetto Barnaba Leone mori nel 4767, come risulta da un quadro che si conserva nella sacristia in memoria di questo benemerito. A buon dritto le ottime suore della Provvidenza considerano in molti privilegi una speciale protezione di Maria, com' è il culto pacifico che fino dalle accennate origini ebbe quivi l'imagine a malgrado delle turbolenze che in progresso di tempo tribolarono fra noi ogni più lodevole e santo istituto, e degli sforzi di chi volea ridurre ad altri usi il sito ov'è eretta la chiesa, opportuno qnant'altro mai fosse a militari fortificazioni, mai sempre stornati e resi inutili, e finalmente il non essersi perduta questa santa opera a fronte degli scemati redditi e delle angustie che minacciavano d'avvolgerla nel turbine delle discordie e delle guerre.

Chi prendesse ad iscrivere gli annali della genovese pietà, rammentando le sciagure e le glorie del popol nostro nel 1746, non negherebbe forse a questa chiesa una pagina di gloria, e un titolo ne'miglior fasti della patria. Cacciati a furia di popolo i tedeschi usurpatori, si credette debito pubblico il ringraziarne la divina Protettrice, che siede su questa eminenza come in guardia della sua città prediletta. L'ultimo giorno di quell'anno una moltitudine di donne raccoltasi in uno da' varii quartieri si recava processionalmente a questo altare, e v'intuonava l'inno di grazie in uome della ricuperata libertà; e ai A di marzo dell'anno venturo partivano dalle contrade de' santi Cosma e Damiano una schiera di signore del second'ordine con gran traino di gente per compiere all' ufficio medesimo. E ai 40 del mese stesso vi si recava una congregazione eretta nella chiesa di S. Ambrogio con gran seguito degli abitanti di que' luoghi popolosi, e due giorni dopo con maggiore solennità vi traeva il Magistrato del maggiore ospitale, scortato da'Padri Crociferi, dalle figlie esposte, e dalle suore di santa Maria del Rifugio, non che da un'eletta di nobili cavalieri, e da numeroso popolo. Nè più di quattro giorni tardavano gli abitanti della Marina e di Portoria, congiunti in una causa; tanto sentivasi ne'cuori cittadini il prezzo della grazia ricevuta.

Queste notizie sono estratte da'libri del Conservatorio per cura del R. Custode e dell'ottima Superiora, che per ispontanea gentilezza me ne fan parte. Da' libri stessi risulta che le due statue in legno entro le nicchie della chiesa, rappresentanti la Fede e la Speranza, son' opere di Domenico Parodi. Quanto alla statua del bene

Alizkri. Guida di Genova Voi. II. 57

fattore David Brignardello locata all'esterno, è voce colà ch'essa sia frutto di Francesco Schiaffino- ma poichè cotai voce è dubbiosa, non mi Sia messo a colpa il dubitarne, e il rimanermi «elle opinioni già da me esternate nei brev, cenni della chiesa.1

Chiesa di S. Giovanni Evangelista, voi. 2.» pag. 193.

Nell'articolo che riguarda quest'antichissima chiesa e commenda ho fatto giustizia alle cure dell'attuale Rettore, il quale (contro l'esempio di molti) non solamente è sollecito di custodire quel poco che trovò in essa di cose artistiche, ma eziandio d'accrescerne il numero per decoro del tempio e delle arti patrie. A quel ch'io dissi debbo aggiungere notizia d'alcune tavole da lui comperate, ed appese a queste pareti dopo che io ebbi distesa e messa a stampa la descrizione. Di queste tavole ho fatto cenno altrove, cioè m una nota alla chiesa di S. Bartolomeo dell Olivelia ufficiata oggi dalli confraternita de'santi Giacomo e Leonardo , e le piansi come perdute, sapendo per prova qual fortuna tocchino . quadri una volta lasciati all' incuria, e tolti ali originario posto. Laonde e incombe un doppio debito di gratitudine al benemerito Rettore di S. Giovanni, che oltre ad illustrare di nuove bellezze la chiesa, strappò a un quasi certo abbandono quelle opere. Quattro, per merito di lui, se ne veggono tra in fondo e tra in capo alla chiesa, e sono fuor d'ogni dubbio le migliori che potessero trascegliersi in quel numero; cio$ Cristo che lava i piedi agli apostoli di Andrej Ansaldoj il medesimo che prega nell' orto attribuito dal Ratti.allo stesso autore, ma più plausibilmente di Gio. Andrea Defferrari, la madre de'Zebedei che presenta Giacomo e Giovanni al Redentore, ascritto al Paggi, ma più vicino allo stile di Lazzaro lavorone, e finalmente S. Leonardo che libera certa regina dai dolori del parte di Simone Bardino, pregevole specialmente per la sua rarità, non rimanendo di lui se non questo, e il bellissimo S. Diego al Guastato. Per cura del Rettore medesimo, il primo altare a destra, nudo in addietro di tavole, ha ora un Presepio non mediocre di Carlo Giuseppe Ratti. Non darò fine a questa nota seza far motto di un ostensorio lavorato a cesello sulla forma antica, e custodito nella sacristia siccome unico di questo stile, e di magistero elegantissimo. La data islessa postavi nel rovescio cel mostra lavorato nell'epoca in cui fiorivano in Genova- le officine del Groppi, e d'altri valenti orefici. Che questo fosse ordinato dalla Congregazione quivi esistente sotto il titolo del Sacramento eucaristico, n'è prova una rozza e sgrammaticata iscri

zione scolpitavi ne'seguenti termini: Non tantum hoc bone Jesu sed corda cuncta societatis sanctissimae Eucharistiae Sacramenti in ecclesia sancti Joannis. 4642 mensis decembris— Tempore pria ratus Jeronimus Grandis et Petrus Frane. Topegianus.

Palazzo Di S. E. Il Marcii. Nicolò Crosa Di VgnGagni — Via di Canneto il lungo.

Son da notarsi in questo palazzo da noi dimenticato nel giro della terza giornata un buon numero di quadri di sceltissimi autori. Per far più leggera la mia omissione, mi procurai la nota de'più rimarchevoli; ma più altri ne troverebbe l'amatore presso quel degno Patrizio, che oltre al ragunare nelle proprie sale siffatti capolavori dell'arte, li conserva con quello zelo, e con quell'affetto che s'addice al merito delle opere e alla signorile dignità. = La coronazione di spine di Gherardo dalle Notti — Una Sacra famiglia, ed un Eccchomo del Cappuccino — Andromeda di Paris Bordone — Due marine di Manglard — Un Crocifisso di scuola di Guido — Piccolo Presepe del Cignoni—Una Madonna con varii Santi del B. angelico — La Sacra famiglia, di Jordaens — Quattro paesetti fiamminghi — Una danza di putti di F. Albani — La comunione di Santa Maria Egiziaca di Ben, Luti — Due leste, abbozzo di Rubens — S. Bininone di Diego Velasquez — S. Francesco di Guido — Sant'Alfonso de'Liguori del Nocchi — La Sacra famiglia di Andrea da Salerno — La cena in Emaus di Paolo Veronese — S. Francesco del Cav. d'Arpino — S. Pietro di Gio. Lanfranco

— Una battaglia del Borgognone — Il Deposto di croce del JFandik — Due trionfi del Petrarca di Sandro Botticelli — Quattro paesaggi fiamminghi — Uu bozzetto, pasce oves meaSj di JV. Pussino — Una marina di Vernet — Altra di Fidanza — Una figurina di Rembrandt — Una testa di putto di Velasquez — Le tre Virtù, di P. da Cortona — Una villanella del Caravaggio

— Due paesaggi del Brii — Una Madonna di C. Maratta — La Madonna del fiore di scuola Raffaellesca — Ritratto di S. M. Carlo Alberto di Orazio Vernet — Una cena di pellegrini, quadro graude moderno di Cavalieri.

Nè potrei senza colpa tacere al tutto della bella raccolta di quadri fatta dal Cav. Mameli nel suo Palazzo in Via Carlo Alberto. Ho trovate in essa parecchie delle tavole di Francesco Floris che la guida del Ratti accennava come esistenti presso i marchesi Balbi di Canneto, e mi rallegrai che quelle opere uscite dalla proprietà d'una splendida e ricca famiglia trovassero egual cura in un signore coltissimo, e passionato delle arti gentili. Delle molte poi che compongono la collezione non darò nota per disteso , lasciando la ricerca a chi otterrà da quel benemerito di poter visitare, com'io feci, a bell'agio gli appartamenti di lui. Ma tra queste v' han due tavole che non si debbono lasciare in silenzio, perchè degne d'esser conosciute ed esaminate anche dopo gli stupendi e innumerevoli dipinti da noi registrati ne' presenti volumi. Nella prima, in cui i periti riconoscono la scuola di Leonardo da Vinci, è Gesù bambino col santo Precursore stretti in amorevole amplesso; lavoro sovrattutto ammirabile per fusione, verità e lucentezza di colori, e per espressione tutta celeste. La seconda esprime il risorgimento di Lazzaro, e ad encomio di essa può bastare il nome che le viene attribuito, di Luca d'Olanda. Viene in giustificazione di tal giudizio il ritratto di quell'insigne, che scuopresi in uno de' personaggi componenti la scena. A quelli poi che non s'appagano a siffatti indizi parlano efficacemente le bellezze del quadro, l'esecuzione accurata e nitidissima, le vive e dignitose espressioni, il disegno castigato, ed i caratteri della scuola olandese spinti a sublime grado. Sarebbe cosa onorevole alle arti, alla Patria, al Possessore, che questa coppia di quadri venisse propagata coll'intaglio,

e raccomandata all'attenzione dei dotti con tm cenno adeguato al merito. A noi le strettezze del libro permettono appena di notarne l'esistenza.

Palazzo del Marchese Giacomo Filippo Durazzo in via Balbi. Voi. 2.° pag. 55. Aggiungo queste poche linee ad un palazzo nel quale andrebbe smarrito ogni più accurato scrittore, e a cui par breve e male ornato ogni discorso. Alla sollecitudine onde la famiglia Durazzo vi raccoglieva quel tesoro di cose d'arte che fa l'ammirazione de' cittadini e de' forestieri corrisponde lo zelo e la dignità degli attuali possessori, ed è si bello ed opportuno l'esempio che ci vien da loro, che m'impone il debito di consecrare un'appendice al palazzo, ed un encomio ai suddetti Marchesi. Se a mio malgrado ho dovuto notare certi restauri che ad alcuni quadri recaron danno ne' tempi andati, con vera gioia accennerò il rimedio che per cura di que'generosi si portò agli squisiti dipinti a cui alludo, pochissimi in numero, ma per eccellenza d'arte ragguardevolissimi. Fu dato all'egregio Orlandi l'incarico di tor via dall' originale pittura ciò che il mal vezzo d'antichi ristoratori avea sovrapposto allo squisito ovale di Andrea del Sarto da noi registrato nel i.° salotto a sinistra e al quadro di Tiziano che ha luogo nel A.0 a destra; talchè brillanti decornativi colori paiono dar grazie a chi li rivendicava da un lungo oltraggio. Nella Maddalena dello stesso Vecelli che pende ad una parete del 2.° salotto a sinistra si è osservato con più maturo esame, come quella leggera velatura che in qualche parte la offusca sia piuttosto effetto d'una men pura vernice, che il frutto di passati restauri, e m'è grato l'annunziare, che i proprietarii intenti con ogni pensiero al decoro della lor quadreria, si propongono di sceverare la tela eziandio di questo male, tuttochè facilmente tollerabile ai discreti osservatori.

Mentre sciolgo questo debito che m'incombe verso la colta e generosa famiglia de' Durazzo, prendo occasione per dare intera la nota de'dipinti onde va ricca la lor piccola galleria j che dischiusa a pochi, ebbi agio di visitare da pochi giorni per loro cortesia. Stupendi oltre ogni credere son due quadretti d' Annibale Caracci, rappresentanti il Deposto dalla Croce, e una Sacra famiglia, e singolarmente il secondo, nel quale è tale un sorriso celeste da potersi più facilmente ammirare che descrivere. Dello stesso è un martirio di santo Stefano, a cui s'accoppia la sepoltura del santo Levita dipinta dal cugino di lui Agostino Caracci con mirabile dili

genza e magistero. Perchè non manchi alcun saggio di quella dotta famiglia di bolognesi v'ha un quinto quadretto di Ludovico Caracci lor zio, nel quale è figurata con tutta evidenza la caduta di S. Paolo. In questa onorevole schiera si mostra onorevolmente un delizioso dipinto della santa conversazione di Pellegrino da Imola j bell'ornamento della scuola raffaellesca, ridente di colori, ed infiorato d'ogni grazia. A tali nomi fan corteggio una N. D. col putto del Franceschini. — Un presepio d'antica scuola lombarda — Una carovana, e un paesaggio con bestiami del Castiglione, e un bozzetto di Carlo Maratta col mistero della Visitazione.

Parecchi altri quadri recentemente collocati nel Salotto a Levante per accrescere il numero ed il prezzo della magnifica pinacoteca debbono aver luogo in questa aggiunta; dico il ritratto d'Ambrogio Spinola, testa di singolare evidenza attribuita al Rubens; un pranzo campestre, che vuoisi di Paolo Veronese, ma che forse spetta ad alcuno di que' fiandresi che operarono in Venezia sugli esempi di lui e degli altri sommi, e per ultimo una festa in costume di gentil pennello fiammingo.

Ad un andito che passa dall'uno all'altro appartamento fanno ricchezza invidiabile due vasi d'argento cesellati con sommo artifizio ad istorie: nell' uno colla storia di Enea, nell' altro con varie metamorfosi della mitologia. La finezza che si vede in ogni parte di quest'opere ci consiglia a far eco al giudizio degl' intelligenti che le contano tra le migliori fatture di Benvenuto Celimi.

Se più largo campo ci fosse concesso nel nostro lavoro, o se i termini d'un'appendice comportassero lunghe narrazioni, si vorrebbe tessere non breve ragguaglio della biblioteca che questa nobile famiglia custodisce nel superiore appartamento. Essa conta 44,000 volumi, tutti di scelte materie, e di splendide edizioni; ma non minor tesoro sono i 322 manoscritti che ne fan parte, molti in pergamena con fregi e dorature , non pochi ricchissimi di leggiadre miniature, delizia dell'artista; e parecchi arabici e cinesi in carta bombacina. I cultori della storia patria vi troverebbero pure gran messe di cose nuove e rarissime in codici e pergamene che rimontano fino all'undecimo secolo. Gli amanti poi delle rarità tipografiche farebbero meraviglia d'una collezione di volumi del xv secolo, la serie delle quali incomincia dal Catholicon (4460 Moguntiae editto princeps in fogl. cart. max. ) e si continua fino al 4500 in numero di 470, terminando coll'Esopo pubblicato in Venezia dal Giustinopolitano. Tra questi si coniano 29 edizioni senza data. Fan seguito a questa raccolta presso che tutte le stampe degli Aldi dal 4494 al 4596; le Giuntine dal 4482 al 4670; le Cominiane, le poche di Basckerville e di Elzevir, e tutte quelle di Didot fino al 4795, non che le Bodoniane (ino al 4808.

In questa dovizia vive l' imagine dell'avita grandezza de' Marchesi Durazzo, e sarà per vivere lungamente se pari al generoso animo degli attuali proprietarii sarà quello de'successori. INDICE DEGLI ARTICOLI

V. C. GRAFFAGNI Re». Artiv.

V- per la Slampa

G. C. GANDOLFI

lìea. per la Grande Cancelleria.
NELLA SECONDA PARTE DI QUESTO SECONDO VOLUME

CHIESE

Sant'Anna (Carmelitani Scalzi) 108i.

S. Barnaba ( PP. Cappuccini) 1150.

S Barlolommeo ( PP. Baruabili ) 948.

S. Benedetto (gentilizia dei Doria ) 1261.

S. Benigno (soppressa) 1206.

Buon Pastore (chiesa e monastero) 1080.

SS."" Concezione ( PP. Cappuccini ) 1059.

S. Gerolamo di Castelletto (soccorsale) .... 1096.

Gesù e Maria ( PP. Minimi) 1180.

Santi Giacomo e Filippo (Monache Domenicane) . 1036.

S. Giovanni Battista (Monache dette le Romite) . 1072.

S. Lazzaro ( V. Ospedale di S. Lazzaro ).

Santa Maria Assulita, volgarmente la Madonnetta

(Agostiniani Scalzi) 1138.

Santa Maria di Consolazione ( parrocchiale — Padri

Agostiniani ) 849.

Santa Maria di Granaiolo ( PP. Passionisi!) . . " 1166.

Santa Maria Maddalena e sant'Ignazio (Monache Agostiniane ) 983.

Santa Maria d'Oregina ( PP. Minori Osservanti) .. 1159.

Santa Maria della Pace ( PP. Minori Riformati) . 818.


Santa Maria del Rifugio (conservatorio) .... 909.


Santa Maria della Sanità (Monache Salesiane). . 1055.


S. Nicolò da Tolentino ( PP. Agostiniani Scalzi) . 1127.


S. Rocco (parrocchiale) 1170.


Santo Spirito ( scuola di carità ) 900.


S. Teodoro ( parrocchiale — Canonici regolari Late-


ranensi ) 1241.


Santa Teresa ( Monache Teresiane ) 1098.


S. Vincenzo de' Paoli ( RR. signori della Missione) 1236.


ORATORII


Santa Maria del Rosario (a Fassolo) 1195.


MONUMENTI PUBBLICI


Albergo de'poveri 110?.


Ammazzatoio nel sestiere di S. Vincenzo . . . 896.


Idem a Fassolo 1164.


Casa delle Penitenti a Santo Spirito ..... 908.


Idem a Fassolo 1257.


Cimitero degl'Inglesi 1209.


Castelletto (fortezza del) 1092.


Collegio degli Orfani 1030.


Conservatorio Brignole ( V. santa Maria del Rifugio
nell'indice delle chiese).


Conservatorio Fieschi 925.


Conservatorio Interinuo 105<.


Istituto R. de' Sordo-Muti 1007.


Manicomio 885.


Molo nuovo 1202.


Ospitale di S. Lazzaro 1212.


Ospitale militare divisionario 120!).


Portofranco di S. Lazzaro 1231.


Scuola di Carità ( Saolo Spirilo ) ( V. Sanlo Spirilo
nelle chiese)


Teatro Diurno 1054.


Torre del Faro o Lanterna 1197.


PALAZZI PRIVATI


Byrlh signoro sorelle (a S. Lazzaro) 1232.


Doria Pamphily Laudi Principe D. Filippo (a Fassolo) 1269.


Idem (al Gigante) 1305.


Durazzo March. Gio. Luca (salita S. Bartolommeo) 991.
Durazzo march. Marcello (al Zerbino) .... 941.
Durazzo marchesa vedova (piazza de'Negri ) . . 1233.
Pallavicini march. Francesco (salita di S. Bartolom-
meo) 995.


Sauli march. Costantino (via S. Vincenzo) . . .' 896.


Serra march. Gio. Carlo (strada Serra) .... 1035.


Villa sigg. (salila di S. Bartolommeo) .... 987.


ERRATA CORRIGE


Errori Correzioni


TOM. 1.°
Pag. lin.


xr.u. 27. Nacque nel 1647 Nacque uel 46(7


Tom. 2." Parte 1.«
33. 28. Bernardo Carioia Bernardo Carbone


425. 14. l'opera del lavoro l'epoca del lavoro


684. 3. quet marmo un biancheggia quel marmo che biauchrg^ia


Tomo 2° Parte 2.'
1023. 17- degli oggetti scientifici degli oggetii sensibili


1055. 3. il 1.« giugno del 1832 il 10 giugno del 1832


1200. 3. Quella rocca ch'era primo Quella rocca ch'era prima


I»i 26 Petra de Cibo Vetrai de Cibo.



1. S. Lorenzo Cattedrale Pag. 1.

2. Palazzo Ducale » 78.

3. Teatro Carlo Felice » 153.

4. Antica porla degli arcati, o sant'Andrea » 228.

5. Santa Maria di Carignauo » 'ili'.

6. Veduta del Porto di Genova » 405.

Vol. 2.° Parie 1.»

7. Chiesa della SS."'» Annunziata .... » 5.

8. Monumento di Cristoforo Colombo ... > 169.

9. Porticato alla piazza di caricamento . . > 259.

10. Palazzo Doria Tursi — Strada Nuova . . » 405.

Vol. 2.» Parte 2.»

11. Manicomio » 885.

12. Palazzo Pallavicini detto dulia Peschiere , • 995.

13. Albergo dei poveri » 1103.

14. Palazzo e' giardini del Principe Doria. . » 1299.

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