Monday, August 15, 2011

Riforma del governo di Goneva: Andrea Doria

Riforma del governo.

Ma il Doria non si ristette all' unione territoriale dello stato genovese, chè volle altresì l'unione nel governo; epperò seguendo il concetto che già altri aveva avuto in passato, ma circoscrivendolo in più stretti limiti, fece operare una riforma negli Alberghi, i quali vennero elevati al numero di 28 accentrando in essi la suprema potestà dello Stato.

Gli Alberghi esistenti si chiamavano: Calvi, Cattaneo, Centurioni, Cibo, Cicala, Doria, Fieschi, Gentile, Grillo, Grimaldi, Imperiale, Interiano, Lercari, Lomellini, Marini, Negro, Negroni, Pallavicini, Pinelli, Salvago, Spinola, Vivaldi, Usodimare appartenenti alla nobiltà feudale, e Fornari d' origine popolare; ai

quali si aggiunsero gli alberghi dei Giustiniani, Promontorii, Sauli e Defranchi popolari.

Ora a beneficio di coloro che per merito di nascita, d'ingegno e di ricchezza venivano aggregati a uno di tali Alberghi per renderli idonei al governo, venne stabilita la creazione d'un nuovo ordine di nobiltà che fu detta di S. Pietro, perchè era usa radunarsi presso S. Pietro di Banchi, mentre l' altra nobiltà vecchia, dal luogo ove si radunava, venne detta di San Luca.

Si stabili altresì che a quest' ordine di nobiltà il Senato aggregasse nel principio di ciascun anno sette abitanti della città e tre delle riviere, scegliendoli tra gli qnesti di nascita e di costumi; che messi poi i nomi di tutti questi nobili vecchi e nuovi in un' urna se ne estraesse ogni anno a sorte 300, i quali eleggessero a voti altri 100 in misura proporzionata fra i 28 Alberghi. Questi 400 uniti costituivano il Gran Consiglio, munito di piena autorità e dignità nella repubblica, con tutte le distinzioni e prerogative del Principato. Da questi 400 del Gran Consiglio si dovean trarne a sorte 100 che formassero il Minor Consiglio. Il doge si elegesse dal Gran Consiglio e durasse in carica due anni; che in lui e in otto senatori scelti dal consiglio stesso risiedesse il potere legislativo. La cura del pubblico erario fosse affidata ad otto procuratori; fosse poi costituito un magistrato, che fu detto dei Censori o Sindicatori, composto di cinque individui, incaricato di vigilare sull' osservanza delle leggi e di sindacare

F. DONAYER. 18

tutti i magistriti e ufficiali della repubblica, infliggendo loro le pene prescritte, quando fossero trovati colpevoli.

Per sommi capi, è questa la riforma delle leggi e del governo voluta nel 1528 dal Doria e subito adottata, che passò Genova dal reggimento democratico a quello aristocratico, dandole forse un carattere conservativo e vitale che l' altro, per sua natura più turbolento e vivace, non poteva darle; ma che certamente contribuì non poco, checchè ne dicano taluni in contrario, alla decadenza della repubblica genovese.

Questa infatti, se per l'ingrandimento della potenza Ottomana ebbe a perdere le sue colonie di Levante e per le discordie intestine a soggiacere alla signoria straniera, per opera dell' accennata riforma ebbe a perdere altresì quello spirito d'iniziativa e d'ardimento che fino allora era stato suo principalissimo merito e fattore massimo della sua grandezza. È giuocoforza però riconoscere altresì che Genova dopo il consolidamento delle monarchie francese, inglese, spagnuola ed austriaca non poteva più conservare quell' importanza che aveva nell'evo medio, in cui tutte le nazioni erano divise in tanti piccoli stati; e che se la nostra repubblica, dopo la morte del principe Doria, potè mantenersi in vita per oltre due secoli, lo deve appunto al suo governo aristocratico e conservatore e a quel supremo principio d' equilibrio europeo che è la base di tutta la politica dal XVI secolo in poi.

Approvata così la riforma del governo, venne stabilito, per onorare il Doria, ch'egli fosse Priore perpetuo

del magistrato dei sindacatori, che sedesse in Senato dopo il decano, che fosse esente egli e suoi successori da tutti i pesi e gravezze pubbliche, che col pubblico denaro si comperasse e gli si donasse una casa da S. Matteo colla iscrizione: S. C. Andrene de Auria 'Patriot Liberatori Munus Publicum, e che gli fosse eretta una statua; la quale cosa fu fatta nell'anno seguente nel cortile del pubblico palazzo colla seguente iscrizione:

Andreae Auria Civi Optimo felicissimo Vindici, Atque Auctori Publicae Libertaiis, Senatus Genuensis posuit.

Costituiti i Consigli, venne eletto doge Oberto Lazzaro dell' albergo de' Cattaneo, che fu il primo della nuova serie dei dogi biennali.

Il re di Francia tentò nel dicembre del 1528, a mezzo del Saint-Pol, di ricuperare Genova; ma accortosi in tempo il Doria dell' avanzarsi dei nemici, oppose loro fiera resistenza, di guisa che furono costretti a tornare addietro, non senza però aver incendiato prima il palazzo di Fassolo di recente acquistato da Andrea.

Stipulata l'anno seguente addì 3 agosto la pace in Cambrai tra Francesco I e Carlo V, vi venne compresa la repubblica genovese; tuttavia i francesi continuarono per lunga pezza a predare le navi e le robe dei genovesi; e nel 1536 un esercito francese comandato da Cesare Fregoso e Barnaba Visconti si spinse sino a Fassolo e sotto le mura del Bisagno, ma dal valore dei cittadini venne respinto. Quali tentativi, aperti o segreti, di ricuperare il dominio di Genova, il re di Francia proseguì ancora per molti anni, sebbene senza effetto.

V.

Doria e Barbarossa.

La storia della marina nella prima metà del XVI secolo, scrive Jurien de la Graviére, non è, a voler ben considerare, che la storia di due grandi armatori Doria e Barbarossa; entrambi valorosi ed abili, audaci ed ambiziosi in eguale misura.

Aroudj Barbarossa figlio d'un soldato rumelioto che s'era stabilito nell'isola di Metelino quando Maometto II se ne rese padrone, datosi a corseggiare, cadde dapprima in mano dei cavalieri di Rodi che lo misero al remo; ma sfuggito loro poco appresso nelP infuriare d'una tempesta, ripigliò il mestiere di corsaro con una nave datagli dal fratello del sultano Selim I e questa volta con prospera fortuna. Resosi terribile ai cristiani sulle coste pugliesi e in tutto il Mediterraneo, s'impadronì d'Algeri per formarsi uno stato a ricettacolo delle prede che andava facendo, ma in quella fu colpito dalla morte, e la sua bandiera di corsaro raccolse in eredità il fratello Khaireddin non meno di Aroudj abile e valoroso, ma più accorto.

Dell'Algeria rimaneva libera ancora la città capitale sotto la protezione di Spagna, ma il Barbarossa se ne rese padrone dopo accanito combattimento nel maggio del 1530. Nei primi di giugno giungevano in vista d'Algeri nove vascelli con 2700 soldati spagnuoli stati spediti a soccorrerla; e tutti caddero prigionieri del turco. Poco appresso la flotta spagnuola, forte di dodici vascelli, comandata da Roderigo Portundo usciva da Cartagena per punire gli audaci corsari; ma la fortuna li secondava, chè il Portundo cadde combattendo e, dei dodici vascelli, uno solo riuscì a salvarsi.

Allora Andrea Doria ebbe ordine dall' imperatore di recarsi colle sue galere a fare una ricognizione sulle coste della Barberia, onde organizzare poscia una forte spedizione contro i Barbareschi. Il Barbarossa avvertito degli armamenti che contro di lui si eseguivano in Genova, preparava valida difesa, radunando più di quaranta navi.

Da Cercelli traeva egli la maggior parte dei suoi approvvigionamenti, per il che il Doria con venti galere piombava su quella terra, sbarcava i propri soldati e se ne impadroniva abbandonandosi al saccheggio. I Barbareschi che si erano ritirati nella fortezza, non sì tosto videro i cristiani sparsi e ingolfati nel bottino, uscirono loro addosso con tanto impeto che il Doria radunati quanti potè de' suoi fu costretto a imbarcarsi, lasciando 400 soldati tra morti e prigionieri.

Il Doria non rimase ad attendere la numerosa flotta del Barbarossa che sapeva essere in viaggio, ma si ritirò verso Tunisi, dove incontrati quattro vascelli algerini se ne impadronì d'uno, liberando gli schiavi cristiani che stavano al remo. Tornato in Ispagna Carlo V, in segno di gradimento, sebbene non avesse fatto gran cosa, gli conferì il principato di Melfi e l' ordine del Toson d'oro.

Nel 1531 Khaireddin con trentasei galere percorreva da padrone tutto il mare compreso tra la penisola iberica e la costa di Barbèra. Approdava di frequente sulle coste d'Andalusia pigliando di pieno giorno i Mori che vi stavano sottomessi, senza che nessuno osasse contrastargli il passo. La costa settentrionale d' Africa s' andava meravigliosamente popolando e di pari passo all' opulenza d' Algeri cresceva la potenza del Barbarossa che oramai teneva il Mediterraneo terribilmente, con rapide e felici scorrerie fin sulle coste di Provenza.

Il Doria era intanto nella Grecia a combattere contro gli Ottomani che minacciavano d'invadere tutta Europa. Dimostrò in quella campagna un' abilità veramente rara, a giudizio dei competenti nelle cose marittime, principalmente nella presa e ripresa di Coron e di Patras, tanto che il sultano Solimano reputò conveniente chiamare a Costantinopoli il Barbarossa, al quale conferì la nomina di Capitan Pascià.

In tale qualità nell'estate del 1534 devasta e saccheggia tutta la costa meridionale d'Italia, e quindi tornando sull' Africa, s' impadronisce di Tunisi. Allora fu compresa la necessità di combattere a tutta oltranza quel fiero corsaro, e una spedizione fu organizzata con attività meravigliosa e segretamente tra Carlo V, Andrea Doria e il marchese del Vasto.

Il 29 maggio 1535 Carlo V s'imbarcò a Barcellona col fiore della nobiltà spagnuola sulla flotta composta di 62 galere e 150 navi comandata dal Doria e il 16 giugno l' esercito sbarcò a Portofarina. La pugna fu breve, ma sanguinosa.

Il 21 luglio Carlo V entrò in Tunisi vittorioso, e ristabilì nel trono Mulei-Hassan cacciato dal Barbarossa. Frutto di questa spedizione fu la liberazione di 30 mila schiavi cristiani; ma il Barbarossa, quasi a pigliarsi la rivincita, sbarca a Maiorca e fa prigionieri 5700 cristiani che conduce schiavi in Algeri.

Due anni dopo avendo l'impero ottomano mossa guerra alla repubblica veneta, per mediazione del papa, si strinse una lega tra Venezia e Carlo V; ma nella guerra che seguì Andrea Doria, che comandava gli aiuti imperiali, si comportò con poca lealtà lasciando che i turchi riuscissero vittoriosi a Prevesa sui veneti il 27 settembre 1538, mentre egli avrebbe potuto validamente soccorrerli.

Nel 1540 Giannettino Doria per ordine dello zio Andrea s'impadronì di Dragut, corsaro turco che aveva recato non pochi danni ai genovesi e in genere ai cristiani; e mentre tutti s'attendevano di vederlo punito, Andrea per una cospicua somma gli concesse la libertà.

Una spedizione voluta da Carlo V contro Algeri, sebbene sconsigliata dal Doria, non ebbe che infelice

risultato e poco mancò che lo stesso imperatore vi perisse per naufragio.

Dopo cinque anni vediamo il Barbarossa all'assedio di Nizza sotto gli ordini di Francesco I, e lo vediamo in Vado ove si trattenne a provvedersi d'acqua, complimentato e donato dal senato genovese e da Andrea Doria; ma fra loro alle prese questi due valentissimi marinai non li vediamo: quasi si direbbe che mutuamente s'intendessero e si accordassero.

Queste, in breve, le lotte del Doria coi Barbareschi che taluni vollero qualificare di gloriose.

VI.

Genova neutrale.

Cacciati da Genova i francesi e riformatone il governo, Andrea Doria recossi in Ispagna a pigliare l'imperatore Carlo V che desiderava visitare l'Italia, oramai, in forza del trattato di Cambrai, in piena sua balia, ed ivi ebbe luogo il primo incontro fra i due grandi uomini.

L'imperatore ricevette l'ammiraglio coi massimi onori e affettuosamente; e poichè i suoi cortigiani sospettavano della fede di chi aveva abbandonato Francesco I, egli una mattina salì sopra la nave del Doria e andò assieme a diporto, dimostrando così quanta fiducia avesse nel genovese.

Finalmente le flotte del Doria e di Spagna salparono da Barcellona e il 12 agosto 1530 sbarcarono in Genova Carlo V e il suo seguito. Qui gli fu fatto un ricevimento entusiastico. La plebe lo salutava come il liberatore della città e di tutta Italia, non pensando che al predominio francese aveva sostituito lo spagnuolo ancor più di quello nefasto. L'imperatore scese a terra sotto un arco di trionfo, ov' era rappresentato Andrea Doria che con una mano rialza Genova e nelF altra tiene una spada. Gli fu donato un mulo, chè le vie di Genova erano allora poco praticabili a cavallo; e traversò la città sotto un baldacchino, seguito dal Doria, dal gran cancelliere, e dalla folla dei cortigiani, recandosi prima nella chiesa di San Lorenzo e quindi nel palazzo ducale ov'ebbe alloggiamento, non essendo, come osserva il Guerrazzi, il palazzo di Fassolo, incendiato dai francesi, stato ancora riedificato.

Carlo V rimase in Genova quarantaquattro giorni, e vi ritornò il 28 maggio 1533 reduce dalla Germania, dimorando questa volta per dodici giorni nel palazzo di Fassolo regalmente preparato; ed ivi sempre alloggiò quante volte fece ritorno tra noi dal 1536 al 1541.

La repubblica intanto, riordinata colle leggi del 1528, sotto la suprema signoria del principe Doria, sebbene non ne avesse il titolo, e la tutela di Spagna, viveva in un'apparente neutralità che la rendeva disprezzabile. Francesco I, ora amichevolmente ora minaccioso, cercava di riattacarla al proprio regno, e il governo genovese non aveva in sè abbastanza energia da rispondere recisamente alle pressioni di quel re, cui non voleva disgustare, e d'altra parte non voleva pure incontrare lo sdegno dell' imperatore. Onde ambascerie, promesse, cortigianerie per avere amico il re di Francia senza compromettersi; atti che a nulla valevano, poichè apertamente si dimostrava ostile a qualunque ritorno sotto Francia. Infatti, dice PAccinelli, nel 1534 fu decapitato Tommaso Sauli per discorsi pregiudiziali alla libertà della patria fatti in Bologna col re di Francia; epperò questi non trascurava di secondare i Fregoso che tentavano di rientrare in Genova, sebbene senza risultato, e, in quei modi che più poteva, di travagliarla.

E qui è doveroso ricordare l' atto veramente patriottico di Cesare Fregoso che nel 1541, sebbene esiliato dalla sua città nativa, indusse il re di Francia a riattivare il commercio con Genova, penuriando questa di grani, affinchè non le si rinnovasse la terribile carestia che due anni prima l' aveva afflitta.

Genova del resto conduceva un' esistenza grave ed ingloriosa, a tutti spiacente, concentrando nel proprio seno odi di casta e di famiglia dai quali generò quella continuata serie di congiure che forma la parte principale della sua storia fino alla metà del XVIII secolo.

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