Monday, March 26, 2012

Folco, tenor role in Mascagni's "Isabeau" (1911)

Speranza

ISABEAU: LEGGENDA DRAMMATICA IN TRE PARTI
DI LUIGI ILLICA
MUSICA DI PIETRO MASCAGNI
Milano
Casa Musicale Sonzogno
12 – Via Pasquirolo – 12
Copyright 1912 by Edoardo Sonzogno


L'EPOCA A' bei dì lontani quando la Leggenda correva il mondo, quando, al caldo soffio di una primavera di idealità, su da tutte le terre pullulava il fiore della Fantasia e sbocciava l'Eroe o l'Eroina, giù nei tuguri o su in alto nelle aurate Reggie, tra i figli della gleba e del bosco o tra le bionde pulzelle incoronate: Poesia di Popolo e Poesia di Re

I PERSONAGGI


ISABEAU
ERMYNTRUDE
ERMYNGARDE
GIGLIETTA o GIGLIERETTA
FOLCO ........ (tenore) ...... Antonio Saludas
RE RAIMONDO
MESSER CORNELIUS
IL CAVALIER FAIDIT
L'ARALDO MAGGIORE
ARUNDEL DI WESTERNE
ETHELBERT D'ARGILE
RANDOLFO DI DUBLINO
UBALDO DI GUASCOGNA
DIGNITARI E CONSIGLIERI DEL TRONO
PAGGI –
FAMIGLI –
DONZELLI
SCUDIERI –
ARALDI –
ARMIERI
GENTE DI POPOLO E DI VASSALLAGGIO

PRIMA PARTE: IL MATTINO

LA SCENA

Dove ha sua reggia il vecchio Re, piuttosto che un Castello, è un palazzo aperto poiché, invece che muri, intorniato da corsie a larghe arcate su colonne binate che lasciano libere passare aria e luce e insieme sguardi, suoni, voci, clamori e giubili, tutte le espressioni di vita infine di un popolo e di una città.

La magnifica «Rotonda» — la gran sala a Reggia che si disnoda obbediente seguendo la curva che le impone l'ampio scalone a spirale che ne forma la vertebra — domina alto tutta la città; la piazza turrita le si allarga innanzi; dove dovrebbe cadere o sollevarsi un ponte levatoio, o stridere saracinesca e catena, una larga gradinata, per la maggiore arcata che un ricco e pesante cortinaggio chiude, si stacca e scende giù nella piazza.

Così la Reggia penetra dentro nella esistenza del suo Regno! Il ponte levatoio — così come fu de' muri intorno e de' fossati — amore di Re e di popolo l'hanno soppresso.

Questa gradinata che unisce la Città alla Reggia è dunque il simbolo di un saldo e forte abbraccio fra popolo vassallo e Re Raimondo.

Dalla piazza sguisciano, diffondendosi capricciosamente, strade che per altre vie, per viuzze, per viottoli corrono per tutta la Città; cosicché dalle arcate, dalle ampie finestre colonnate in alto, dal suo giardino pensile e dalle ogive di una cappella votiva che lo fronteggia, il meraviglioso spettacolo di tutta la Città, fino al mare da un lato, fino ai monti dall'altro, è sempre aperto innanzi agli occhi del vecchio Re.

Non atrii, non vestiboli quindi; la gradinata per la arcata maggiore introduce subito nella Sala che è Sala di Trono e di Giustizia, di Editti e di Convivii, di Corti Bandite e di Adunanze, sala a tutto, per tutto e di tutti.


SCENA I

Come Rimondo Re — mortigli nelle lotte per il Regno i suoi due figli maschi — nella assenza della unica figlia Isabeau, la casta e sempre velata Reginotta, ita colle due fide ancelle Ermyntrude ed Ermyngarde in pio pellegrinaggio a un santo eremo tra i monti, avendo dato ascolto finalmente ai consigli per alta ragion di Stato suggeritigli dal suo Cancelliere CORNELIUS: Sulla suprema necessità di essere finalmente più «il Re» che «il Padre!», udisse al ritorno degli araldi ripetere il bando della «Lizza aperta per una Tenzone di Amore» onde, nel vittorioso cavaliero, trovare un marito ad Isabeau casta ed al Trono un successore:

Sta IL VECCHIO RE in atto di supremo scoraggiamento seduto in trono, il capo abbandonato sul petto. In diversi atteggiamenti lo intorniano, muti, i suoi Dignitari, il suo Cancelliere Cornelius, uomini di scienza, di religione, d'arme e di giustizia. Ed ecco, dalla sottostante piazza, un clangore improvviso di clamanti tube. E di nuovo e più squillanti le tube convocano! Or ecco; tuona una voce solenne e grave: E' la voce di

ROGER ARALDO, MASTRO DI CAVALLERIA:

Oggi, dì quinto del Fiorito Maggio —
nel–
l'anno del Signor mille e dugento —
nel nome
del possente nostro Re —
apro la Lizza a una
«Tenzon d'amore»!
5«Per gli occhi al Core» è il Motto:
e indìce l'armi!
La voce dell'Araldo si fa ora più enfatica ed anche più solenne nell'esporre le condizioni della Lizza Cortese che spiegano il Motto:
Non con ferro ferir di lance, stocchi,
azze o pugnali, ma ferir «cogli occhi:»
Non sorte d'armi ma l'umano ardore
d'una pupilla che riveli: Amore!
10Avrà in soave premio il Vincitor:
«d'Isabeau casta la persona e il cor!»

E più energicamente trionfali concludono le tube. Gli araldi si allontanano per altri crocicchi della Città traendosi dietro il tumulto delle voci e della curiosità umana. Sempre silenziosi i Dignitari del Trono, i Consiglieri della Corona, Messer Cornelius sopra tutti, il Cancelliere del Regno — l'uomo politico, il cortigiano necessario, il consigliere di ogni giorno, di ogni ora — stanno innanzi al vecchio Re, immoto sempre, come se non ne avvertisse la presenza, come se non li vedesse!
MESSER CORNELIUS:

con la sua voce si frappone e arditamente scuote il Re dalle sue meditazioni:
Squillan le tube e vociano gli Araldi!
Erette innanzi alla Città già stanno
le colorate tende a Motti e Imprese
15che la Bellezza Casta d'Isabeau
qui radunò! Da' monti già, dall'Eremo
dove pietà la fè pellegrinare,
l'Unica Figlia Vostra torna...


RE RAIMONDO:

ora sì che si scuote tremante di emozione!:
Torna?...

Fra la canzone silvestre e la nenia religiosa, lontana ancora, si fa sentire una musica tenue, dolce, blanda; viene da quei monti che sull'orizzonte alto si disegnano e fanno da due lati corona alla Città.
MESSER CORNELIUS:

In punto! Udite?...
E avvicinatosi alla più vicina arcata vi solleva il cortinaggio perchè più evidente quella musica possa penetrare nella Reggia.
20E udite?... Glorie ed Inni!


Clamori festosi infatti sorgono per incanto dalla Città.
[p. 8]

VOCI D'UOMINI, DI DONNE, DI BIMBI:

di lontano sussurrano laudi festose di gioia popolare, ma mite e soave come una carezza o una preghiera:
Sulla fida chinea
bianca e stellata
ritorna Reginotta
dal pio pellegrinaggio.
25Lungo il viaggio,
per il monte e per vallea,
l'ha il suon d'una villotta
accompagnata!
e in un immenso impeto di amore tutte le voci inneggiano:
«Gioia di cuori e d'anime, Isabeau,
30alfine fai ritorno!...»


e gli occhi del vecchio Resi velano di lacrime.
MESSER CORNELIUS:

se ne avvede e con voce in apparenza sommessa:
Mio Sire, è il giorno
che inizia un avvenir!...
e per meglio spiegare il suo pensiero:
Unica figlia?
Nell'Utopia di castità racchiusa?
Dunque?
e dopo breve pausa arditamente:
Un marito a lei, a Voi un successore!

RE RAIMONDO:

sotto lo stimolo aspro di queste parole, come se ritrovata ancora l'antica energia:
35Isabeau venga!... Ed io le parlerò.


Allora, ad un rapido accennar degli occhi di Messer Cornelius, il Gran Cerimoniere fa subito portare da paggi, sopra un cuscino di velluto, la Corona e lo Scettro.
MESSER CORNELIUS:

piegando un ginocchio presenta egli stesso questi emblemi; con voce solenne:
Obliate il Padre! — Siate solo il Re...
il Re!, il Re!


[p. 9]

RE RAIMONDO:

commosso, posata la mano sulla Corona e sullo Scettro:
Soltanto il Re sarò.

MESSER CORNELIUS:

rapido afferra la mano del Re; rispettosamente la bacia; poi, sollevandosi, trova modo di insinuare nell'animo di Re Raimondo un consiglio che può essere un sospetto:
Non già ch'io pensi a una fattucchieria!
e guardandosi intorno, e visto che nessuno può udirlo:
Fate che svesta il manto...
e conclude il suo intimo pensiero:
è troppo pia.

Con triplice inchino i Dignitari del Regno si accomiatano ed escono tutti. E Re Raimondo rimane solo.
SCENA II
Come Isabeau, tornata dall'eremo fra monti, invece che il padre, sempre troppo proclive ad esaudire desiderï e capricci, si ritrovasse di fronte un Re risoluto e inflessibile:

Dall'alto dello scalone irrompe vivido il sole proiettando giù per i gradini e sul pavimento della sala, disegnandola con contorni precisi, l'ombra di una fanciulla. È Isabeau. Come sempre, tutta chiusa in un manto fatto di un denso velo tutto bianco, celebre oramai per tutta la cristianità, Isabeau si sofferma e guarda. Tenuto fermo da un cerchietto d'oro, che sulla fronte lascia piovere la lagrima porpurea di un rubino, il gran manto incornicia, nascondendo la biondissima chioma, il puro ovale del viso, e scende, e avvolge tutta la persona come dentro ad una vaporosa nuvola candidissima. E non un riccio ribelle della chioma d'oro sfugge alla severità delle pieghe! La fanciulla è ermeticamente chiusa dentro il suo candore.
ISABEAU:

su l'alto dello scalone, visto il Re suo padre, con profonda dolcezza di voce lo avverte della sua presenza chiamandolo:
Mio padre...


[p. 10]

RE RAIMONDO:

subito con inusata severità:
...il Re!

ISABEAU:

...e Re!...
e discende sempre irradiata dal sole rivolgendo sempre il suo parlare carezzevole al Re suo padre:
...e Re saggio!...
Re di Virtù!... Re Pio!...
Re fatto per la gloria,
5ma, per l'amor, Re fatto padre mio!
e, giuntagli vicina, protende la fronte alle labbra di lui. Ma, oggi, nessun bacio sfiora la bianca fronte.


RE RAIMONDO:

Ma, soprattutto, il Re!


ISABEAU:

guarda allora con pupilla sorpresa; e rimane interdetta; e facendosi anche più pallida, tutta in corruccio:
Se voi volete ch'io mi genufletta,
ditelo, padre... e Re!,
e sono a' Vostri piè.
e così fa; e si genuflette non lasciando al Re suo padre il tempo di impedirnela; e, genuflessa:
10Ma poi, come fa il Sole all'orizzonte,
dite, volete ancora
ch'io faccia Aurora?,
che, mi levando,
chiami, passando
15pel vostro core un bacio alla mia fronte?
e la Fanciulla si solleva; e sollevandosi bacia dove dentro batte affannoso il cuore di suo padre, protendendo ancora alle sue labbra insistendo la fronte. Ma nessun bacio ancora corrisponde al bacio suo!


RE RAIMONDO:

compreso della necessità di una severità regale, sa dominarsi imponendosi un contegno apparentemente grave e solenne:
Vassalla tu non sei! Legge fatale
anco regge il volere de' monarchi.


[p. 11]

ISABEAU:

guarda, soffocando un rapido grido d'angoscia. Poi le balena un vago sospetto, il volto le si infiamma e scolorisce rapido:
Che vuolsi qui da me?


RE RAIMONDO:

Prima di padre fui e sono il Re.
E passa un lungo silenzio. Fiera lotta nell'animo di un vecchio fra dovere ed affetto! Ma la Ragion di Stato vince nei Re il sentimento. L'oro di una corona e il ferro di un anello non sono forse che gli opposti capi della lunga catena che inceppa anime, menti, volontà, e la vita.
20Già per le terre e castella fei bandita
la bionda tua bellezza.
Oggi inaurora in te una nova vita;
finì la fanciullezza.
Or oggi e qui, da Feudi e Reami,
25d'ogni lontan paese
accorsi son bei Siri a stormi, a sciami,
alla Lizza Cortese.
e parlando rapido, Re Raimondo, sollevando i cortinaggi delle arcate, mostra ad Isabeau l'accampamento delle tende de' cavalieri accorsi.
Dell'avvenir la porta misteriosa
così schiudo per te;
30e tu, Figlia di Re, sarai la sposa
e la madre di Re.


ISABEAU:

ora non più tremante, ma calma e pallida, raccogliendosi tutta entro il suo manto:
Voi siete il Re... Io suddita?... Obbedisco!
e fa per allontanarsi.


RE RAIMONDO:

punto a questo contegno, perché Isabeau non esca così, si frappone:
Oggi, alla Lizza, qui, tu apparirai
in veste aperta; non in chiusa tonaca;
35senza quel manto che ti sforma in monaca
e tutta ti nasconde...


[p. 12]

ISABEAU:

dà in un grido di sdegno e sempre più racchiudendosi stretta nel manto:
No! Giammai!
Giammai!
e, poi che suo padre con occhio corrugato la fissa, anche più veemente:
Giammai!
poi sono le lagrime che le velano gli occhi:
Impormi, o padre mio,
puoi sorte di torneo... E obbedirò,
il manto padre?...
e sollevando al cielo le braccia:
Io mi rifugio in Dio!,
40io qui lo invoco!, e qui rispondo: No!
poi gli occhi balenano di una subita fierezza:
Questo mio bianco manto
è l'alta gloria che mi fa sicura
e mi fa forte quanto
un cavalier in ferrea armatura.
e fissando coraggiosa negli occhi suo padre il Re:
45Il fior d'ogni Arte a Voi,
Guerra, Dottrina, Imperio e Libertà;
solo l'Amore a noi
e, in sua difesa, sol la Castità,
onde nel pensier mio
50dissi al mio manto:
«Tutta in te m'ascondi
e contro ogni desio
fa immuni tutti i miei misteri biondi!»
poi, tutta trasformata, la bella persona eretta, forte in questa sua energia verginale, lasciandosi cadere ai piedi del Re suo padre:
Solo una grazia, o Re, voglio impetrar.


[p. 13]

RE RAIMONDO:

commosso:
Chiedi, Figlia!...
e fa l'atto di volerla rialzare.


ISABEAU:

con rapido gesto ne lo trattiene e così, sempre ginocchioni, indicando il manto:
Se questo mio candor
55o Destino, o Poter osasse disfiorar,
sia Destino o Poter solo d'Amor!
e sollevandosi lentamente:
Allor da questo puro manto mio
saprò umanamente uscirne fuor
sì come a Maggio verso il cielo e Dio
60dal grembo della Terra n'esce il fior.


e mentre Re Raimondo, vinto da suprema ammirazione, non potendo per la grande commozione parlare, accenna: «Che sì!» «Che il suo volere sarà rispettato!» Isabeau sale lentamente verso l'Oratorio. La segue Re Raimondo con occhi umidi di lagrime, in preda ad un'angosciosa emozione; e scomparsa Isabeau scoppia allora in dolorosissimi singhiozzi e si rifugia nella intimità del suo appartamento perché nessuno sorprenda un Re che piange.
Rapida la Sala si trasforma; paggi, donzelli, famigli in un lampo vi danno assetto per prepararvi l'avvenimento della «Lizza Cortese». Ecco di fronte al Trono del Re, dove per lo scalone si apre in nicchia, il faldistorio per Isabeau! Ecco dall'alto, fra gli intercolonni pendere arazzi, zendadi, drappi! Poi, la Sala pronta, ecco d'un lampo dileguarsi tutti per addobbare fuori tutto intorno la Reggia!

[p. 14]

SCENA III
Come la vecchia boscaiola Giglietta, o Giglieretta, presentendosi vicina a morte, non avendo più di tutta la sua vita che un nipotino, Folco, garzoncello fantasioso e bizzarro, pensando alla popolarità, di già fatta leggenda quasi, e alla fama di grande pietà e di affabile generosità di Reginotta, nella speranza di una sorte, di un avvenire di fortune e di grandezze per Folco, proprio in questa incoraggiante alba rosea di giorno sereno, risolvesse, uscendo per la prima volta dal suo bosco, di portarsi alla Città con Folco, di presentarsi a Reginotta e di pregarla per farne del selvaggio boscaiolo sognatore di caccie un azzimato paggio o, meglio, un destro falconiere di Corte:

GIGLIETTA:

a Folco che, vinte le prime esitanze, osa entrare e guardare arditamente:
Entrar così?...


FOLCO:

Vorreste zazzeare,
o nonna, tutto il dì?


GIGLIETTA:

vedendo il giovinetto ad un tratto come preso egli pure da soggezione, soffermarsi:
Or tu perché t'arresti?


FOLCO:

vergognoso e facendosi tutto rosso per essere stato colto in fallo di timidezza:
5Io? Per guardare!


E nonna e nipotino continuano ad osservare intorno ogni cosa riguardosi e ammiratori pel grande splendore e la ricchezza:
GIGLIETTA:

E non anima!...


FOLCO:

Stiamo
ed attendiamo
calmi ed onesti!


E stanno così un po' in attesa, in silenzio, calmi ma perduti là dentro come se inanimati.
[p. 15]

GIGLIETTA:

Del nostro bosco in fondo
10ben io vorrei
trovarmi ancor!... laggiù!...
ove declina
a valle, pei
meandri ombrosi,
15o per i gioghi su
de l'alto monte,
dove goccia la fonte, parla la calandrina
a' pettirossi ascosi...
...o in capo al mondo!


FOLCO:

20Non muterei!...
e guardando intorno, anche più forte:
Non muto
per oro o gemma!,
ché se più guardo attento
e con gli sguardi agogno
fregio, cortina o stemma
25io tutto mi rammento!...
Qui tutto ho già veduto!
Qui tutto io già conosco!
Qui già son io venuto!


GIGLIETTA:

Or quando?


FOLCO:

Non lo so!

GIGLIETTA:

30E dove?


FOLCO:

Là!... nel bosco!...
dentro il mio sogno!


GIGLIETTA:

Ancor?... Sempre?...

FOLCO:

Sapete
che cosa è il sogno?


[p. 16]

GIGLIETTA:

incollerita:
Il sogno è quella strana
mattana umana
35che a fin del dì
non posa ma travaglia
e dà battaglia
e, pure, s'anco annotta
niuna dà tregua a lotta...


FOLCO:

40No, nonna! Il sogno è Dio;
rivelazione sempre o profezia!
È Dio che mi rivela un mio desio
o del destin mi svela la mia via?
e rimane assorto gli occhi affascinati ancora rivivendo la sua visione, il suo sogno.
Sogno se poso; se non dormo è Dio
45che con carezza d'aria, melodia
di luce e sole, del fuggente rio
col murmure o de' fior la poesia
nell'Invisibil parla!... L'occhio è cieco
al gran guardar; ma il core l'ha sentita
50la voce del mistero che in me reco...
si arresta un momento... poi:
Ecco il mio sogno!
addita intorno a sé e, tendendo l'orecchio come se udisse:
Ascolti?... «È la tua vita!»
È Dio che parla!... La sua voce è l'Eco
dei cieli!...


[p. 17]

Ma una voce severa bruscamente lo interrompe; è
MESSER CORNELIUS:

sorpreso di veder questi intrusi:
Voi, chi siete?

GIGLIETTA:

inchinandosi umile:
Giglietta o Giglieretta!... A Reginotta
55porto colombe bianche e un nipotino...
Apre il cesto che ha con sé, mostra le due colombelle e indica Folco:
E tutto per la grazia d'un destino!


MESSER CORNELIUS:

Via in fretta!... Il tacco alzate!...


SCENA IV
La speranza di Giglietta o Giglieretta in un avvenire di fortune e di grandezze per Folco suo ecco improvvisamente, come se per arcano volere di un destino, presentarsi di colpo nella persona appunto della pia e casta Reginotta:

È ISABEAU!

Esce appunto ora dalla Cappella avvertita la voce di Cornelius, ascolta; e vedendo la vecchierella faticosamente ritirarsi traendosi abbracciato il fanciullo accorato, interviene:
Messer, lasciate!
Scende; e rivolgendosi a Giglietta con voce che riesce a incoraggiare la vecchierella:
Son io la Reginotta!
Or dunque dì quel che ti ha condotta.


GIGLIETTA:

O Reginottabionda, moribonda
5ho fatto molta via
per rovi, covi e spine
— credi? — per far così:
[p. 18]

si prostra e le bacia i piedi:
«baciarti i piè!»
Due colombelle bianche ti vuol dare
10la vecchia vagabonda
perché tu, buona, voglia riguardare
con tue luci turchine
quanto mi resta della vita mia.
Presenta colombelle e Folco:
Ecco!... È qui tutto!... E m'è rimasto solo!...
15È nato boscaiolo;
ma avvenne un giorno,
ch'ei vedesse una nobil cavalcata
pel bosco intorno
cacciare!... e fu finita!
20Da quel dì la sua vita
mutò! Poi?... Pensa e pensa!,
e agogna!...
e sogna!...
Oh, la vita agitata!
25Io, un po' melensa,
con Folco (è il nome suo)
mi sono detto allotta:
«Andiam da Reginotta
per dirle: Fallo tuo!»


FOLCO

che dal momento che gli è apparsa Isabeau non ha più battuto ciglio, né ha quasi respirato; rimane come uno cui d'improvviso manchi il senso della vita. Pallido in viso, poi subito di fuoco e, finalmente, insofferente, a mala pena lasciata finir la nonna, come se vergognoso del piccolo dono delle colombelle:
30Non colombelle!... Il dono mio chiamare
voglio dal cielo; e spazio vincerà;
e sotto il sole lo vedrai passare
al trionfal mio grido... e scender qua!


ISABEAU:

sorpresa alla foga ardimentosa del dire di Folco:
Un tuo dono?... Dal cielo?...


FOLCO:

Sì, dal cielo!
[p. 19]

e corre all'aperto; e con grido di falconiere, acuto e vibrante, emette tre lunghi richiami, come provetto strozziere, ed ai richiami vi aggiunge l'eccitamento della voce sua:
35Tu ch'odi lo mio grido,
scruta la via del cielo con lampo d'iri nera,
e con fremiti d'ala gonfia la tua gorgiera,
e abbandona il tuo nido!
Ti eleva e, ancor selvaggio,
40non anco incappucciato ma domo al mio pensiero,
orsù, vieni al mio grido!, t'apri in cielo un sentiero!,
vinci la nube e il raggio!
Dalla montagna brulla
ver' l'alto cielo ascendi!, appronta sproni e artiglio!,
45protendi acuto il rostro e scendi al bianco giglio
d'una regal Fanciulla!
Fuori del bianco vel
essa la man già tende!, e tu rafforza il vol!,
portale in don la Gloria d'un raggio tolto al Sol,
50cavaliero del ciel!


E come se venisse dal sole, ecco, al richiamo di Folco, attraverso a boschi e campi, alto passando pel cielo, volare, scendere, e posarsi sul pugno che il giovane gli stende, un magnifico falco selvaggio ancora, eppur già domo. Piegato il ginocchio, orgoglioso, Folco presenta a Isabeau il dono di quel falco obbediente, domato senza cappuccio, senza ghiera, attrezzo od utensile di falconiere o di strozziere.
ISABEAU:

stende la mano inguantata; il falco, posandovisi, vi imprime una piccola macchia rossa, è una goccia di sangue:
Macchia di sangue?...


FOLCO

sorridendo:
Il mio!
e mostra trionfalmente, sollevandola, la mano graffiata:
Lieve ferita!
Goccia di sangue che rifulge e brilla
come il rubin che in fronte ti scintilla?
Chi tenta il sol dovrebbe dar la vita.


[p. 20]

Ad una delle sue ancelle, Ermyntrude ed Ermyngarde, seguite da un paggio, Isabeau affida le colombelle, e il falco al paggio.
ISABEAU

a Giglietta:
55O vecchietta, sia fatto il tuo voler;
accetto le colombe e il falconier!


E Isabeau, a quei suoni che le annunciano già la «Lizza Cortese», risale alle sue stanze.
SCENA V
Così avviene dunque — come fu ed è di bel nuovo ancora annunciata a suoni di tube e di timballi e a grida d'araldo — che i contendenti, attratti dalla fama della beltà di Isabeau, si presentassero alla «Lizza Cortese» in questa ampia sala gaia di sole, di colori, di trionfi, di balenii, di sfolgorii di gemme, meraviglie, dovizie, tumultuosa di popolo festante ed ansioso. E così anche avviene che, nella furia di curiosità dal popolo sospinti, Giglietta e Folco assistessero ad un magnifico spettacolo: e come invece rimanessero in ultimo delusi e il Re, e Messer Cornelius, e i contendenti tutti:

Ecco l'ora della «Lizza Cortese»! La «Folla» che si stipa giù nella piazza nei pressi della Reggia, mormora, strepita, acclama. Echeggiano tube e brontolano i timballi. Scalpitano cavalli per le vie tortuose della città sui lastrici della piazza.

LA FOLLA:

erompe in un tumulto di grida festanti all'apparire del Corteo de' Contendenti:
Onde di polve — si elevano pe' campi
su dell'aperta piana!
Guizzan faville, lampi,
fulgori ed ori!
5Tutto sconvolve — l'Amorosa Gualdana
anime e cori!


Ora son LE DONNE che inneggiano affascinate:
In cor la brama, Amor cavalca in groppa
e li sospinge qua,
e dietro a un sogno ognun d'essi galoppa,
10un sogno di Beltà.


[p. 21]

E da TUTTI, tumultuando, scoppiano grida di meraviglie alla vista della Città, della Reggia e della Sala pavesate:
A festa palvesata tutta abbaglia
la Città bianca...


E la folla si rovescia nella Sala, dentro a sé sospingendo Giglietta e Folco... Appare Messer Cornelius intorniato da tutti i Dignitari.
MESSER CORNELIUS:

vede quel tumulto di popolo; con voce irosa, con tutta forza di polmoni:
Indietro la canaglia!

A calci di ronconi, a punzoni di labarde corsesche e picche d'armieri che accorrono, la folla è sospinta e stipata alle pareti e cacciata su per le scale che mettono alle gallerie e a corridoi. Giglietta e Folco riparano dietro una colonna.

FOLCO:

alla nonna:
Che avvien qui dunque, nonna?


GIGLIETTA:

più sorpresa e intontita di lui:
Non lo so.

ALCUNE DONNE:

Si fa sposa Isabeau...


FOLCO:

con gioia repressa:
(La rivedrò!)

Ed ecco il Re. E, subito dopo, ecco il Corteo de' Contendenti. Ognuno è preceduto da due famigli e seguito da scudiero, mastro di casa e paggi. Improvvisamente, in ultimo, in armi nere, senza seguito, solo, collo scudo coperto da un drappo nero, indizio di impresa, motto e stemma vietati o rinnegati, senza cimiero e corona l'elmo che egli tiene penzoloni a spalle, avanza un cavaliero. È un Cavaliero Faïdit. Corre un grido di stupore, e di sdegno!
MESSER CORNELIUS:

gli si avvicina e lo affronta...
15Scudo coperto?...
Niego la contesa.

[p. 22]

IL CAVALIER FAIDIT:

M'appello al Re!


E in mezzo al più profondo silenzio ed alla più ansiosa curiosità il Cavalier Faïdit si avvicina al Trono, piega prima il ginocchio, e, più rapido ancora, solo per il Re, solleva il drappo che copre lo stemma. Al Re sfugge un grido di suprema sorpresa; ed a Cornelius che lo guarda interrogandolo, accenna di sì, che il Cancelliere gli dia diritto di campo. Or ecco Isabeau. Reginotta si presenta fra le due fide ancelle Ermyntrude ed Ermyngarde. Si avanza lenta, chiusa in un manto ricco di ricami e costellato di gemme bianche, la perla e il diamante. Isabeau non siede; ritta innanzi al faldistorio sta la fanciulla calma, eretta la bianca persona, immobile, gli occhi semichiusi, in attesa. Già sul tavolone dal tappeto stemmato gli scudi, i blasoni, gli stemmi a fascie, lionati, stellati, a bande, a sbarre, a fascie, grembiati, inquartati, partiti, spaccati, interzati, a croci, a simboli sono in bell'ordine. Or ecco squillano le trombe. È il segnale. Il Re con un cenno di mano apre la «Lizza Cortese». Squillano di nuovo le trombe. L'Araldo Maggiore prende posto nel mezzo della Sala e col bastone ricoperto di velluto dirige. Ecco il primo Contendente. Tutto chiuso in armi si avanza, si inchina al Re.
I paggi portano e ne presentano lo scudo a MESSER CORNELIUS, che ad alta voce rivela il nome del Cavaliere Contendente:
Ubaldo di Edimburgo.


e con un gesto accenna all'Araldo che, a sua volta, grida e palesa i diritti di cavalleria, la nobiltà, i pregi di nascita, di casato, di valore, i fatti d'arme del Contendente.
L'ARALDO:

Terre, Castella, Feudi, cento cofani d'or.


UBALDO DI GUASCOGNA: solleva la visiera, sta muto e immobile dinanzi ad Isabeau guardandola.
ISABEAU:

dopo un breve silenzio, con voce sicura e calma all'Araldo guardando Ubaldo di Guascogna:
Questa è dovizia, Sere, non Amor.


[p. 23]

Un lungo mormorio accoglie le parole di Reginotta.
FOLCO:

alla nonna:
20Oh, le saggie parole!...


UBALDO DI GUASCOGNA: cavallerescamente si inchina e si ritira. Un secondo Concorrente gli succede.
MESSER CORNELIUS:

Arundel di Westerne.


L'ARALDO:

Guerre! Tornei! Guardane...


Anche ARUNDEL di WESTERNE:fisso e silenzioso guarda Isabeau. ISABEAU: dopo aver guardato con breve gesto niega.
FOLCO:

alla nonna:
Non risponde?...


ARUNDEL DI WESTERNE si ritira. Un terzo Concorrente prende il suo posto.
MESSER CORNELIUS:

Ethelberto d'Argile.


L'ARALDO:

Alte gesta d'Onore!

ISABEAU: ancora non profferisce motto.
FOLCO:

25Anco si tace?


ETHELBERTO D'ARGILE si ritira. Eccone un quarto!
MESSER CORNELIUS:

Randolfo di Dublino.


L'ARALDO:

con enfasi:
Vinse il Soldano ad Acri.


ISABEAU:

Valor non è Amore.

FOLCO:

Verità profonde!


[p. 24]

RANDOLFO DI DUBLINO: cede il posto ad un nuovo Contendente. È il CAVALIERE FAIDIT: non presentando stemma, non soccorso da imprese, motto, nome, inchinatosi innanzi al Re, prende posto innanzi a Reginotta.
Così, ritto,il CAVALIER FAIDIT guarda e con voce dolcissima, voce dove anela il mistero di un profondo dolore:
L'inadorno cimier
30corona porterìa... per mio voler
fu tolta via.
Son Faïdit non per ignavia mia.
e con voce che implora pietosissima:
Io cerco un cuore!...
Invoco una pietà.

FOLCO:

improvvisamente a disagio:
O nonna... o nonna...


GIGLIETTA:

Ebben?... Che mi vuoi dire?

ISABEAU: ha attentamente guardato e guarda ancora impietosita il Cavaliere Faïdit, poi si toglie dal dito un anello e lentamente glie lo stende.
ISABEAU:

35Cavalier di Dolore,
il muto stemma
ravvivi questa gemma.
Luce il mio cor vi dà...
e dà l'anello;


FOLCO:

angosciato:
Vorrei, nonna, fuggir!... Vorrei morire!...


ISABEAU:

40Amore?... No. Pietà non è Amore.


Il CAVALIER FAIDIT bacia l'anello e si ritira in disparte. Isabeau ha respinto tutti i Contendenti. Un silenzio di sorpresa accoglie la inaspettata soluzione di questa «Lizza Cortese».
[p. 25]

Ma rapide parole a bassa voce i Contendenti hanno intanto fra di loro susurrate. Or eccoli in monomio, seguiti dai loro scudieri e paggi, avanzarsi fino innanzi al Trono.
I CAVALIERI

giunti di fronte al Re:
Con armi o no, Tenzone
significa: «Vittoria»!
Or se d'Amor la gloria
non sorride a un campione
45fu il bando fellonìa!...
e rapidamente tolta via la manopola della mano destra, in atto di sfida, la gittano innanzi a' piedi del Re.


Un grido di sdegno scoppia nella Sala. Il Re si è sollevato pallido d'ira.
Ma IL FAIDIT rapido si frappone fra il Re e i Cavalieri e invoca ancora l'intervento reale presentando lo scudo:
Re, datemi poter di stemma!


IL RE:

con entusiasmo:
Sia!
ed egli stesso strappa via dallo scudo il drappo che cela impresa, motto, nome del Cavalier Faïdit.


SCENA VI
Come invocando un «Giudizio di Dio», fosse proclamato, glorificandolo, il «Diritto della Vergine»:

Nello stemma ora scoperto con sorpresa sono apparse le medesime armi simboli e impresa del Re. Il nome del Faïdit corre ora sussurrato sulle labbra di tutti. È Ethel, figlio del fratello di Re Raimondo, che, facendosi Cavalier Faïdit, ha voluto fare ammenda di cavalleria sconfessando così la condotta di suo padre verso quello di Isabeau nella lotta sleale per la successione del Regno.
ETHEL:

salito sul primo gradino del Trono fieramente e solennemente rivolto ai Contendenti, e accennando a Reginotta, snudando la spada.
Invoco qui il «Diritto della Vergine»
e il «Giudizio di Dio»;
e, contro tutti voi, campion son io!
e fa dagli Scudieri raccogliere i guanti gittati a piè del Trono dai Cavalieri.


[p. 26]

I Cavalieri contendenti si ritirano fieramente seguiti dai loro scudieri e paggi...
UOMINI E DONNE:

ora si dànno ad inneggiare, dimentichi del luogo dove si trovano, malgrado Cornelius e l'etichetta:
Gloria ad Ethel e Gloria ad Isabeau!
5Sangue di Re non mente!
Gloriosi entrambi Ethel ed Isabeau,
gloriosi umanamente!


SCENA VII
Un consiglio, che l'Alta Ragion di Stato ispira come scaltra e meravigliosa idea al Cancelliere Cornelius, consiglio da questi subito confidato al Re e dal Re accettato, per irrisione di sorte (la quale sovente manda a vuoto e sbugiarda tutti i più perfetti ed alti calcoli delle menti più profondamente dotte in scienza politica) anziché concludere a un matrimonio tra Isabeau e il Cavaliere FAIDIT, mette a dura prova il buon senso di un Re, il buon cuore di un padre, la fierezza di una Reginotta, la castità di una figlia virtuosa e la pace di tutto un popolo felice:

MESSER CORNELIUS: salito fino al Re, indicandogli l'aitanza magnifica della persona di Ethel, parla con rapide sommesse parole. Il Re ascolta scosso dapprima, poscia turbato pare voglia respingere il consiglio del suo Cancelliere, certamente perverso, Messer Cornelius ora insiste nel suo pensiero additando tenacemente le due belle persone di Isabeau e di Ethel.
IL RE:

mentre il popolo suo, in preda a grande entusiasmo inneggia, si solleva ritto dapprima poi, animandosi, scendendo minaccioso, con voce ad arte resa anche più terribile:
Mentre piango tu inneggi?... E come spada
o popolo, su te,
dunque ricada
il dolore di un Re!
e stendendo le mani, avanzando sempre minaccioso verso il popolo:
5Diritto d'antrustione!...
Chiuso porto!...
Balzelli come in tempo di battaglia!...
Viete Chiese e Feste!...
Rappresaglia!...
Città di gente morta in Regno morto!


[p. 27]

E così — come l'astuto Cornelius ben prevedeva — nella pania di una sottigliezza di politicante la Fanciulla è colta:
ISABEAU

interrompe con un grido di dolore!... Scende e, rapida, si frappone fra l'ira del Re suo padre e il popolo:
No, padre e Re!...
Non contro il vostro popolo!...
10Io sola qui colpevole!... Punitemi!
E si lascia cadere ginocchioni.


IL RE:

come se a stento dominasse il suo corruccio:
Colpevole è il tuo orgoglio!
E in questa vanità punir ti voglio!...


Un profondo angoscioso silenzio si fa in tutta la Reggia.
IL RE

con voce fatta solenne, con dire apparentemente imperioso, impone ad Isabeau la perversa severità del suo Cancelliere:
Allor che il Sol sia giunto a mezza via
sulla bianca chinea cavalcherai
15traverso alla Città...
e il vecchio Re esita; ma il perverso sguardo fisso, tenace, imperativo, fatale di Messer Cornelius governa qui il destino!


RE RAIMONDO

gli obbedisce, e però prosegue a dire:
«ignuda tutta, a ingiuria d'occhi e rai,
di popolo e di Sole»!...


Corre un fremito di orrore in tutta quella folla...
ISABEAU:

si fa in fronte e in viso di fiamma, poi, pallidissima! poi fissando suo padre il Re, lentamente, con voce ferma:
Così sia!

E il popolo si prostra ginocchioni e bacia dove lenta passa la Fanciulla chiusa nel candore del suo manto come dentro ad una vaporosa nuvola candidissima.
[p. 28]

SECONDA PARTE

IL MERIGGIO

[p. 29]


LA SCENA

Quella parte del castello di Re Raimondo dove gli antichi baluardi e spalti, inutile opera di difesa, ridotti a ridenti e vivacissimi giardini pensili, formano semicerchio bastionato piombando a picco giù, dominando le vie e le viuzze sottostanti, il magnifico panorama della Città decorrente lenemente a gradi dai monti fino al mare, confondendo insieme e il verde dei boschi e l'azzurro profondo delle onde.

[p. 30]

SCENA I
Come il perverso consiglio di Messer Cornelius — per saviezza di popolo — facesse concludere un patto di generosa alleanza di anime e di cuori fra popolo e Re.

IL POPOLO:

inginocchiato innanzi al Re tremante di commozione, pregando impone un suo desiderio:
non quale già di popolo un desìo
ma un Editto di Re
che come un'alta ispirazion di Dio
emanasse da Te!...


IL RE:

5Sia fatto! È il tuo voler Editto mio!


IL POPOLO:

si leva prorompendo in grido di gioia vociando dalle aperte arcate alla Città il suo desiderio ora diventato Editto di Re:
Finestre cieche!
Feritoie spente!
E piazze e vie deserte d'ogni gente!
Campane a storno in suo viaggio pio!
Bandiere sventolanti!
10In terra preci e trionfali canti!
In cielo il Sole e Iddio!


E la Città fuori risponde: è la voce tremula di UN VEGLIARDO: che dal sommo della torre del Palazzo di Città decreta:
Che s'occhio umano per frode o per ventura
guarderà fuori da finestra, porta,
feritoia, veletta od apertura,
15abbia per noi la sua pupilla morta.


e IL POPOLO:

a rispondergli urlando:
Sì! Dia in quegli occhi ognun aspra feruta
finché la luce dentro vi sia muta.


[p. 31]

e LE DONNE:

avviandosi, discendendo per l'ampia gradinata, seguite da tutto il popolo, osannano:
La Vergine cavalchi senza velo,
nuda ma casta, nuda e immacolata,
20chiusa in un manto pio di sol e cielo
come se ancor nel manto suo ammantata!


e Re Raimondo, sostenendosi colla mano alla spalla di Messer Cornelius, seguito da tutti i Dignitari, si ritira lentamente.
Dalle arcate aperte sulla discesa della Città, ora tutta immersa e come se fusa in oro nella luce del sole a mezzodì, ecco in un baleno, come esseri animati, case e chiese, palazzi e torri, piazze e strade ornarsi di fiamme, orifiamme, pennoni ad aste stemmate, vessilli e bandiere, drappi e zendadi, veli e tessuti! Poi è uno stridere di serrature, di catene tese, di catenacci, uno sbattere di porte e di imposte sbarrate e chiuse! Ed è un rapido e profondo silenzio che succede così che, ben distinto, si può sentire il battere delle zampe ferrate della chinea di Isabeau condotta da due palafrenieri a piedi della gradinata, legata all'anello di cavalcata, ed ivi lasciata.

Sull'alto dello scalone mani femminili schiudono il pesante cortinaggio. Sono Ermyntrude ed Ermyngarde e, in mezzo i bei capelli d'oro puro non più costretti da bende e da giri di perle, ma liberamente sciolti giù per le spalle e sui seni ricoprendo come un manto d'oro tutta la bella persona, ISABEAU! Tiene la Fanciulla stretto a sé il manto che ricopre il fiero, eroico sacrificio della sua nudità, ora rivelata soltanto dal candore delle braccia e dei piedi. E si sofferma! — E aspetta l'ora!
ERMYNTRUDE ed ERMYNGARDE:

O Reginotta, gli angioli dal cielo
discenderan per intrecciar coll'ale
l'iridiscente aureola d'un velo,
25e il tuo bel corpo casto e trionfale
espanderà divine luci intorno
come a meriggio il Sol dà luce al giorno.


[p. 32]

Ed eccola l'ora! La campana maggiore domina sola squarciando l'aria densa di luce coi suoi dodici rintocchi che si espandono alti e dovunque afferrati e susurrati dagli echi montanini e silvestri. Ed Isabeau si avvia lenta, calma, alta la fronte, impavida. Fino a capo della gradinata che scende sulla piazza la seguono le due ancelle; giuntavi la Fanciulla vi si sofferma un attimo ancora esitante, ma vince e, bruscamente con un rapido moto delle braccia sciolto il manto che lascia cadere nelle mani di Ermyntrude e di Ermyngarde, scende scomparendo giù per l'ampia gradinata. Le due ancelle col manto di Isabeau si allontanano per la piccola scala nella attesa del suo ritorno.
SCENA II
E come avvenisse che, tornando dall'avere accompagnata la nonna fino alla più vicina barriera, rientrando in Corte per la porta di soccorso, Folco, sentendo la voce del vegliardo dall'alto della torre bandire il Desiderio di un Popolo fatto Editto di Re e le voci della folla tumultuante di ebbrezza rispondere con urli di gioia minacciosa, sentisse la sua piccola anima di fanciullo ancora sobbalzare di sdegno dentro di sé, non solo non sentendo ammirazione alcuna per questo falso eroismo e vana ostentazione di affetto popolare per Reginotta, ma interpretandola invece non già come la saviezza di un popolo ma soltanto una ferocia e, perfino, una viltà. E come avvenisse che, tutto compreso di questo suo ragionamento, allo scalpitìo della chinea che gli annuncia il ritorno di Isabeau, salito sull'alto giardino pensile, gittasse di lassù fiori e parole inneggianti alla gloria ignuda di Reginotta rendendosi così reo per colpa dei suoi occhi di quella morte così feroce bandita dall'alto della torre da un vegliardo:

FOLCO:

tutto acceso in viso, tremante d'ira. Steso il pugno contro la Città:
O popolo di vili!... O Città vile!...
Vili gli occhi che treman di guardare
la gloria ignuda della sua pietà!
Così e per voi il Fior di sua bellezza
5la Fanciulla regal prodigherà?...
[p. 33]

e si arresta muto, quasi atterrito, gli occhi larghi, la fronte corrugata tutto compreso nell'asprezza del suo pensiero severo; poi, come se per un'offesa patita, pensa:
Or solo intorno inanimate cose!,
la luce senza palpiti del Sole!,
la terra muta!, l'erbe silenziose!,
non anime, non vite e non parole!
e di nuovo tace come se le parole che gli prorompono fuori dall'anima sdegnosa gli aprissero, uscendo, ferita dolorosissima... Ma il silenzio gli è anche più doloroso, come una viltà. E Folco si commuove, e in pena con voce dolorosa:
10E passerà la viva creatura
entro il silenzio delle cose morte?
Nessun le griderà: «Gloria a te, pura
in tua nudità severa e forte!»?
E non tumulto di commosso core
15palpiterà a tua visione intorno,
Gloria d'umanità, Gloria d'amore...
ma un muto sole e l'ironia del giorno?
E, nel dire, prorompe in singhiozzi. Ma un alito di vento dal giardino pensile, colle fragranze dei fiori gli arreca lo scalpitio della chinea di Isabeau, ma vedendo il sole irradiare il giardino e trionfare tra i fiori, preso dal baleno improvviso di un'idea:
Se vili tutti qui, vile non io!
e come se ancora rivolgesse nel suo pensiero la parola ad Isabeau:
Or ben io ti farò tutta fiorita!
20e se son gli occhi i rai che all'uom diè Dio...
e Folco mentre così forte parla, sale!, penetra nel giardino!, rapido strappa fiori!, e già sentendo giù in basso lo scalpitìo della chinea nel ritorno radere le mura alte della Reggia, si affaccia fuori e gitta a piene mani fiori:
fiori!...
e i miei occhi!... e tutta anche la vita!
[p. 34]

e sempre più esaltato continua inneggiando e gittando sempre fiori:
Gigli al bel giglio della tua bianchezza
ed alle rose del tuo seno rose!
E freschezza di fiori alla freschezza
25delle tue forme pure e gloriose!


Fuori alto echeggia come un gemito il grido di sdegno della Fanciulla offesa. Le accorrono incontro le due fide ancelle mentre dalla Città urla feroci di plebaglia scoppiano! Si aprono tutte le case e sembrano rovesciarsi giù nelle vie! E sono urli e bestemmie!
«Occhio malvagio ha visto!

Dove?
A Corte?»
E la Reggia è invasa! Ed è in mezzo a quel giardino che Folco è investito da
UNA FOLLA

ruggente:
Che non ci sfugga!
Ammazza! Ammazza! A morte!

A tempo il Faïdit, il Siniscalco, il Connestabile e il Gran Prevosto accorrono e strappano Folco da quelle mani omicide! Ed ecco il Re! Ed ecco tutti anche della Corte!
MESSER CORNELIUS

sorpreso:
Il boscaiolo!


Or ecco anche Isabeau! È una Isabeau stranamente trasformata! È una Isabeau tutta bella per le fiamme dello sdegno, i capelli ancora disciolti e sconvolti pel veloce cavalcare della chinea libera per la Città deserta! E vede Folco!
ISABEAU:

Folco?...

FOLCO:

con profonda dolcezza di voce:
Per morire!

[p. 35]

[p. 36]

TERZA PARTE

LA SERA

[p. 37]


LA SCENA

Dove il castello di Re Raimondo nella sua parte inferiore mette in comunicazione le prigioni e gli accasermamenti degli armigeri colla piazzetta della Città dove vengono eseguite le alte opere di giustizia. In alto è l'Oratorio regale che fronteggia il giardino pensile. La porta de' sotterranei che conduce alle prigioni è in basso e si apre entro ad una volta tetra sopra una scala tortuosa e oscura. L'entrata signorile è al lato opposto.

[p. 38]

SCENA I
Non sempre, alle preghiere che un'anima rivolge a Dio, la implorata sapienza divina scende a portare luce nelle profonde tenebre della incertezza umana:

È un vespero alto; un sole obliquo e rossastro infuoca dove può libero irradiare pinnacoli, loggette, baluardi. L'Oratorio pare avvampi di fiamme. Ermyntrude ed Ermyngarde inginocchiate sul piccolo largo sembrano due visioni d'anime in purgatorio così come, ora, le anime del purgatorio sono immaginate dai pittori sui muri de' chiostri e dei camposanti. Dall'estremo dell'Oratorio viene un soave e tenue gemere di clavicordo.

ERMYNTRUDE ed ERMYNGARDE:

vi si accompagnano leggendo e sussurrando sul loro Libro delle Ore «Cantilena sacra in forma di cuore»:
A Te
umile mente
preghiam grazie implorando
la tua magnificenza laudando.
5La Cantilena in sue cadenze lente
varchi del ciel l'immacolata neve
e a Te con dir soave
mormori lieve
un Ave
Maria!


ISABEAU: appare nel vano della porta dell'Oratorio; la Isabeau ancora tutta chiusa le belle forme virginali nel suo manto e la chioma nelle bende claustrali. Sulla fronte le sfavilla ancora più intensamente, sotto il sole occiduo, la lagrima di sangue del rubino regale.
[p. 39]

Così assorta appare la Fanciulla che, Ermyntrude ed Ermyngarde, non osando distoglierla dalle sue meditazioni, si allontanano.
E ISABEAU:

scende lentamente. E ripensa ai rapidi avvenimenti! E un brivido le corre in tutta la persona alla imminente tragica fine di così rapida e strana giornata:
Venne una vecchierella alla mia Corte;
10con tarda voce e tremula implorò,
e del mio cor così schiuse le porte
m'affidò Folco e al bosco suo tornò.
Con occhi dove un'anima tremava
Folco ne' miei tremante s'affisò;
15con occhi dove un'anima sognava
nella pietà de' miei si rifugiò.
E gli occhi miei d'ignota umanità
vider la luce trionfale e forte;
io da un desìo fui vinta di pietà...
20E questa mia pietà gli dà la morte!
Ah, questo solo: questo è il triste ver
che in me tortura l'anima, il mio cor,
tutto il mio sangue, tutti i miei pensier?...
Ed è colpa! È rimorso? Ed è dolor!


Improvvisi acuti strilli di donna salgono su dalla piccola piazza. Invano trattenuta da armigeri che vorrebbero impedirle di entrare.
GIGLIETTA, o GIGLIERETTA:

entra correndo e, veduta Reginotta disperatamente:
25Reginotta, ridammi la sua vita!
e nella voce della vecchia vibrano, più che la mitezza o l'umiltà di una preghiera, un rimprovero e il corruccio:
No, tu non lascerai
quegli occhi di fanciullo, quegli sguardi
miti morir
sotto i mille ferir
30di spade, lance e dardi!
Di mille morti Folco all'agonia
tu così pia
abbandonar potrai?
[p. 40]

e, con occhi fissi, la vecchia guarda severamente la Fanciulla.


E ISABEAU:

essa pure inorridita:
Orrore!...
È orror!...
È orror che offende Iddio!

ETHEL:

che si è poco prima frapposto tra Giglietta e gli armigeri, intervenendo:
35È l'Editto del popolo!...
Per vendicarti...


Infatti orrende grida di popolo che reclamano il prigioniero salgono violente. Ad un gesto di orrore di Isabeau, Ethel, comparendo fuori innanzi al popolo in furore, ne doma e acqueta la furia.
ISABEAU:

coglie l'occasione di Ethel sceso nella piccola piazza fra il popolo e solleva la vecchietta:
Non pianger più!...
Già l'ora invita
e fugge via:
e traendola con sé, guardandosi intorno inquieta, le addita la piccola scala che conduce alla porta di soccorso:
40Scendi!...
e la sospinge dolcemente:
...e laggiù
aspettalo!...


GIGLIETTA:

afferrandosi stretta a Reginotta, guardandola ancora fisa negli occhi con occhi dove sono tutte le morti e tutte le vite:
Gli salverai la vita?

ISABEAU:

con impeto:
Sì.


GIGLIETTA:

Giura!...

ISABEAU:

alza la mano verso il cielo, con voce fatta solenne e ferma:
Giuro sulla vita mia!

[p. 41]

L'ultimo sole vibra l'ultimo suo raggio rossastro strappando al rubino regale sulla candida fronte di Isabeau ancora più intensa la favilla sanguigna! Giglietta scende via rapida.
ISABEAU:

Son dolorosa: ed il perché non so.
È la coscienza inquieta?...
e, vedendo il cugino Ethel tornare dalla piccola piazzetta, così si rivolge a lui:
Deh, vi prego!...
e additando verso le prigioni:
45Vorrei vederlo!...
e soggiunge quasi timorosa di un rifiuto:
Qui gli parlerò...
Non datemi diniego!...


ETHEL:

per diritto di stemma riconosciutogli da Re Raimondo e per quello di nascita, Gran Connestabile, con voce dove trema una rispettosa e profonda ammirazione:
Oh, no! Nulla saper
io voglio...
e accennando che obbedirà al suo desiderio, interrompendo il suo dire:
So ben io
che ne' vostri pensier
50sempre v'è Iddio.


Fatto cenno agli armigeri scende per la vòlta bassa, oscura, giù nelle prigioni dove Folco fu rinchiuso. Alto è già il tramonto; imminente la sera. Isabeau in silenzio aspetta.
[p. 42]

SCENA II
E come nel sentire da Ethel che, in attesa della sua imminente e tragica morte, Folco abbia potuto nella prigione addormentarsi, cada sull'anima inquieta di Isabeau siccome un nuovo fatto così impenetrabile e misterioso da rimanerne, se fosse possibile, anche più sorpresa, più torturata e, quasi, offesa anche:

ETHEL:

Dormiva


Ed Isabeau rimane colpita anche più profondamente da quel «dormiva»! Ed i suoi pensieri in gran tumulto tornano impetuosamente ad affannarla. Una campana suona lenti rintocchi gravi e mesti.
ETHEL:

guardando al mare ed ai monti gli ultimi agonizzanti palpiti del sole:
È il coprifoco.
Batte l'ala pel cielo l'ora della pace.


Un capo d'arme seguito da due armieri viene a fissare in un portatorce murale una torcia accesa.
UNA VOCE LONTANISSIMA:

Or tutto tace; nel domestico lare
sol canta il focolare
5le canzoni del foco.


ALTRA VOCE:

dalla barriera della Città:
Giù le saracinesche
d'ogni barriera!...


VOCE DI COMANDO:

dalle velette:
Rinnovate le scolte alle bertesche!...


ETHEL

allontanandosi per la porta signorile del Castello:
Ecco la sera!


[p. 43]

Il silenzio è ora profondo. Ed ecco Folco, gli occhi ancora assonnati, fra due armigeri seguendo il Capo d'arme che poi lo lascia solo con Isabeau.
SCENA III
E come, finalmente, dalle profondità misteriose delle anime e dalle tenebre della incertezza umana sorgano la verità e la luce, e, su dai cuori per le labbra, — finalmente — anche il grido trionfale dell'amore:

ISABEAU:

Dormivi?!


FOLCO:

al rimprovero della Fanciulla risponde con dolcezza:
Sognavo!

ISABEAU:

Sognavi?... Coscienzia
non dunque rimorde né turba il tuo cor?


FOLCO:

Sognavo felice!


ISABEAU:

Non tremiti?... lagrime?...

FOLCO:

Sognavo felice!


ISABEAU:

Non ansie?... terror?...

FOLCO:

5Non tremiti!... pianto!... non ansie e terror!


ISABEAU:

Sai tu la tua sorte?


FOLCO:

Dolcissima sorte!
Nel sogno appariva, tra luci e fulgor,
trionfo di stelle, trionfo di fior...


ISABEAU:

Sai tu la tua morte?...


[p. 44]

FOLCO:

Dolcissima morte!
10Trionfo di stelle! Trionfo di fior!


ISABEAU:

Non d'anima dubbii?...
e con voce dove singhiozza tutto il tumulto della sua anima in pena:
Tu sogni e non senti
rimorsi per l'onta che ancora mi crucia?...


FOLCO:

Tu senti che menti.


ISABEAU:

Ancora mi brucia
l'ingiuria, e la neghi?


FOLCO:

Tu senti che menti.
15Né ingiuria o vergogna...


ISABEAU:

lo interrompe:
Viltà!

FOLCO:

Né viltà.
E sotto la ingiuria che gli ritorce la Fanciulla, trova accento e forza per difendersi:
Fu vile l'Editto che vili fè gli uomini,
che il dì soffocato ha in notte affannosa,
che spento ha la vita e creato il silenzio
intorno al trionfo di vergin gloriosa.
e, gli occhi vibranti di una luce nuova, occhi palpitanti, occhi di anima:
20Il Sol ti ha guardata e baciata col raggio,
lo sguardo e il suo bacio t'ha forse ingiuriata?
E il fior che d'effluvi in vita ha esalata
sul bianco tuo seno fu dunque un oltraggio?
sempre fissandola:
Qui sola, tu sola eroina?
con grande entusiasmo nella voce, che si è a poco a poco trasformata divenendo chiara, limpida, squillante, trionfale:
La sorte
25che i forti soccorre ha me scelto e chiamato.
[p. 45]

fieramente:
A te la tua Gloria! A me la mia morte!
ritrovando improvvisamente ancora l'accento di dolcezza di prima:
Quest'era il mio Sogno...
Perché m'hai svegliato?

ISABEAU:

palpitante, gli occhi lagrimosi ancora ma dove è penetrata e si è transfusa una luce di dolcezza dalla dolcezza del dire di Folco, presa da un dolcissimo languore in muta contemplazione di quegli occhi d'anima che la guardano, la rimproverano e la penetrano tutta, si trasforma, si trasfigura:
I tuoi occhi!... Gli aperti
occhi soltanto
30colpevoli!
La colpa è de' tuoi occhi
che invano pianto
purifica!
Luce è memoria! Gli occhi
35son la memoria!
Rimembrano!
Arditi e vivi guardano
e, peggio ancora,
rinarrano!


FOLCO:

40Giusto dunque è l'Editto!
Sol morte oblìa
che è tènebra!


ISABEAU:

No!
e avvicinandoglisi:
Fuggirai! — Lontani
da me quegli occhi
45che narrano!


[p. 46]

FOLCO:

Dove?
Ch'io varchi terre,
lande, montagne,
océani
tu sei qui, dentro, ignuda,
50audace, bella
e gloria
sempre! — Ch'io fugga? E meco
tu fuggi, immagine
ed anima!
55E tu mi segui ovunque;
non morto!
Morto?
Sei libera!


ISABEAU:

in un singhiozzo:
Non voglio che tu muoia!


FOLCO:

Perché?


ISABEAU:

Ti prego
60di vivere!
e scoppia in pianti lunghi e dolorosi.


FOLCO

all'improvviso dolore che gli viene dalle lagrime di Isabeau, si lascia cadere ginocchioni ai piedi di lei:
Io sol che implori!... Lasciami
morir!...
Son io
che supplico!
e trascinandosi ginocchioni fin presso a lei:
Un'ultima preghiera...
65Perdona gli occhi
colpevoli!


[p. 47]

ISABEAU:

improvvisamente assorta in un pensiero, non lo ascolta. Di sùbita gioia risplende tutto il suo viso: l'enigma che ha angosciata la sua anima umanamente si dissipa:
Sol gli occhi d'uno sposo
non dànno offesa
e ingiuria...


FOLCO:

si solleva rapido, quasi sdegnato e respingendo la pietà che gli viene offerta dalla Fanciulla Regale, risponde ad Isabeau le parole colle quali, durante la «Lizza Cortese» essa ha risposto al Cavalier Faïdit:
70No! No!... Questa è pietà!...


ISABEAU:

strappandosi le bende claustrali, di dosso il manto, offrendosi tutta al giovane, con larghe le braccia tese, invocandolo:
Pietà?... Non vedi?...
È amor!


FOLCO:

gli occhi felici immersi in quelli della Fanciulla:
Il mio Sogno!...
Il mio Sogno!... Amore!... Amore!...
La profezia di Dio!... La gran parola
75dal mistero d'un sogno rivelata!...
Io vivo in te, trionfalmente, o amor!


ISABEAU:

Sogno di core che s'avvera! — E in core
io t'entro! E, stanca d'esser sempre sola,
chiedo asil al tuo cor che m'ha sognata!
80Io vivo in te, trionfalmente, o amor!
poi si stacca da Folco e tutta sorridente, trasformata:
Qui attendi, Folco!...
Amor mi dà grand'ali...
e, interrompendosi, senza altro dire, la Fanciulla, arditamente, sale la scalea che mette alle stanze regali per gridare al Re suo padre la novella di «essersi finalmente Isabeau piegata ai suoi comandi scegliendosi uno sposo».


[p. 48]

SCENA IV
Come «l'avvenire di fortune e di grandezze» per «Folco suo» intravveduto da Giglietta o Giglieretta, nell'alba rosea di un giorno sereno, quasi già realtà, improvvisamente, per bizzarrìa di eventi, finisca stroncato da una sanguinosa tragedia al tramonto.

Dietro di una colonna dove ha potuto non visto celarsi, di dove ha potuto in tempo udire gli impetuosi entusiasmi degli amanti, ed ha potuto comprendere l'intenzione della Fanciulla,
MESSER CORNELIUS

concitato:
Ah, per mia fè,
giammai!
e mentre il giovane boscaiuolo è assorto nella dolcezza trionfale del suo sogno avverato, scende rapido verso il corpo di guardia:
Salviamo trono e Re?


Di nuovo scoppiano le orribili minaccie; e si avvicinano:
IL POPOLO:

È nostro?... È nostro?...
E IL VEGLIARDO ecco apparire tenendo aperto l'Editto e agitandolo trionfalmente. Pochi audaci dapprima lo seguono; osano penetrare; entrano! Altri sopraggiungono:
Fuori! Fuori!
Uno osa afferrare Folco; poi tutti osano! E cento braccia atterrano il giovane boscaiolo! E d'un colpo violentemente Folco è spinto e trascinato fuori, giù nella piazzetta che torcie rossastre illuminano sinistramente.
Al nero
5trave leghiamolo! Morte! A la gogna!...
Pria la vergogna!...
tutte le morti poi al falconiero!
Colpi di martello accompagnano le orribili grida.


LA VOCE DI ISABEAU:

voce vibrante amore e felicità:
Folco!... Mio Folco!...


[p. 49]

ISABEAU:

entra! guarda! cerca!
Folco?
Ed ode il tumulto di fuori:
Oh, grida orribili!...
Un brivido prima, un sospetto atroce, poi subito!... e corre!, apre la cortina!, e vede!, e vede!:
Ah le feroci belve!... Folco! Folco!...
e scende!, rapida!, correndo!, gridando!, forte! con voce quasi non più umana!:
10Son Isabeau!... Son Isabeau!... Son io!...
Con te!... Con te!...
e un gemito trionfale poi:
Così!... Per sempre!...

Su dalla piazzetta UN GRIDO terribile di orrore nel popolo:
Orrore!
Reginotta è ferita!


FOLCO:

Tu ferita?...

ISABEAU:

Per sempre tua, così!... Così!... Mi senti?...


FOLCO:

Io ti veggo Isabeau!...
15Ho gli occhi spenti,
ma veggo il Sogno d'or... il sogno mio!


Le due voci si affievoliscono e si spengono dolcemente:
ISABEAU:

O Folco mio!...


FOLCO:

Mio Amore!

ISABEAU e FOLCO:

L'anima!...
E gli occhi!... E tutta anche la vita!
e le voci si acquetano per sempre felici nel destino del loro trionfo umano ma immortale.


Sale dalla sottostante piazzetta e si espande pei larghi vani delle arcate la rossastra sanguinosa luce delle torcie; dalle finestre che, su colonnine binate, in alto, aperte, corrono seguendo l'ordine delle arcate, appare fuori la parte alta della Città tutta bianca nel plenilunio e, sopra il cielo intensamente sereno scintillante di stelle.

[p. 51]

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