Tuesday, July 3, 2012

Endimione: melodramma (Conracchioli, Roma, 1626)

Speranza

"DIANA SCHERNITA: favola silvestre"

Libretto di G. F. PARISANI.
Musica di Giacinto CORNACCHIOLI.
Prima esecuzione: 6 Giugno 1626, Roma.


Personaggi:
AMORE

DIANA

PANE satiro

ENDIMIONE  -- tenore

Due Ninfe di Diana.
Coro di Ninfe e di Pastori.


Argomento della favola
Viene Amor per cercar lo scherzo e 'l riso,
ma Diana in un antro il guida e scorge:
egli vi trova Pan, ch'ha mesto il viso
per amar quella dèa ch'a notte sorge.
Il riconsola Amore. Indi gli porge
il modo di goderla. Intanto, fiso
al sole, Endimion cantando assorge,
m'Amor gli fa di gelo il cor conquiso.
Ond'egli d'Atteon la forma piglia,
va per spiare il vero alla fontana
e la candida dèa fa far vermiglia.
Spruzzato divien cervo et a Diana
discopre il tutto Amor, Pan la consiglia:
di gigli e d'api il cervo ha forma strana.
ATTO PRIMO (PROLOGO)

Scena unica
Amore, con la sua facella accesa, nell'apparir della scena si mostra in una nuvoletta in cima ad un monte: espone come per aver le feste della sua madre, viene per ritrovare lo scherzo e il riso e, uscendo dalla nuvola, cala nei boschi della scena. È visto da Diana, che lo sgrida, poi per schernirlo lo guida nell'antro d'Egeria, indi si parte per ritrovar le sue ninfe.
AMORE
Mentre l'alba n'imbianca
il già imbrunito mondo
e fa ch'impallidisca
ogni notturna stella,
non fia mai che languisca
l'ardente mia facella:
io vibrerolla invece
della face che suole vibrar l'aurora
anzi che naschi il sole.
Della bella mia madre,
che nacque già dal mare,
anch'io vo' celebrare
il sovruman natale.
Però qui fermo l'ale
e vo vercando intorno
lo scherzo e 'l riso, i vezzosetti amori,
miei fratelli minori,
per far più lieto e più festoso il giorno.
Già tra gl'ostri e tra l'oro
delle superbe corti
invan cercai saper di lor novella,
poiché tra cure e sempiterni lai
sempre v'alberga ambizion rubella.
Qui certo, ove ne scherza e l'aria e l'onda
e ride il lieto prato,
nella fiorita sponda,
ritrovar spero il bel drappello amato.
DIANA
Vidi (né punto errai)
da lungi un strano augello
di miniate piume
adombrate le terga
ed or da presso scorgo
ch'è 'l ribaldello
d'amor, ch'al cieco volgo è cieco nume.
AMORE
Ohimè, che duro intoppo!
Questa è la mia nemica,
che finge la pudica,
ripudiando in ciel il dio ch'è zoppo.
DIANA
Che vai facendo tu
per questi boschi a me
sacrati? Colà su
non ti basta che se' disturbatore,
d'ogni dio, d'ogni core
senza che turbi queste
semplici e dilettissime foreste?
AMORE
Io cercando me n' vo
di qua, di su, di là,
né dove gir più so,
ché mi son stanco già,
i miei sì vari
a me fratelli cari,
riso e scherzo nomati,
né so in qual parte lor si sian celati.
DIANA
Tu, maestro di pianto
e fabbro di dolore,
vai ricercando i lieti pargoletti
per infiammar d'amore
di queste ninfe semplicette i petti?
Orsù, dammi la mano e vienne meco
là dentro in quello speco.
AMORE
E che farò là dentro?
DIANA
Là nel più cupo centro
è il fonte del diletto,
ove godé già in pace
il suo vago Salmace.
Quivi arsi i fanciulli
per dianzi entrorno
ai pueril trastulli.
AMORE
Guidami dunque solo,
tu dell'antro alla bocca.
DIANA
Ecco ti guido,
entra pur né spiegar tropp'alto il volo.
DIANA
(Quanto di lui mi rido.
Fa il sagace e l'astuto
e 'l veglio fanciullin pur v'è caduto.
Questo è l'antro d'Egeria,
nume di Numa,
ov'ella ognora versa
lagrime in abbondanza,
già in fontana conversa,
dove il pianto e il dolor hanno la stanza.)
Ma troppo qui dimora
col folle dio mi feci.
Io vonne or ora a trovar le mie seguaci
che fuggono d'amor l'ardenti faci.
ATTO SECONDO
Scena unica
Amore, Pane.
Esce Amor dall'antro tutto stizzito e con seco Pane; dispone servirsi del dio caprone e perciò l'esorta a tentar Diana con doni d'oro, imponendogli che con quelli tornasse all'antro dove ella sarebbe venuta a lavarsi con le sue ninfe. Pane parte e Amore rientra nell'antro per dar virtù all'acque di far arder la dèa di vilissimo amore.
AMORE
Dunque così schernire
mi può la dèa selvaggia?
Ed io non potrò l'ire
mie suscitare e far ch'arda 'l suo core
di vilissimo amore?
Ah sì potrollo.
Aspetta, perfida dèa, d'Amor l'alta vendetta.
PANE
Ben perfida fu Cinzia,
o cupidine,
ch'illudere e deridere
di Venere te,
germine dolcissimo, desidera!
AMORE
Ma tu, selvaggio dio,
nume de' boschi,
come là dentro stavi
tra 'l pianto e tra 'l dolore
in così cieco orrore?
PANE
Io ti dirò:
passo i miei giorni foschi
per la dèa che nemica è dell'amore.
Il giorno ella mi fugge;
io non ardisco,
quantunque arda, scoprire
il mio foco e patisco,
per lo mio poco ardire,
pene d'inferno, ond'io n'esalo intanto
un Etna di sospir, un mar di pianto.
AMORE
Ma tu, cui diè natura
snello il piè, forte il braccio,
velloso il petto e nerboruto il dorso,
perché lei che non cura
e disprezza il tuo laccio,
non stringesti e giungesti co' la forza e col corso?
PANE
Quegl'arti suoi modesti
e quel nome di casta e di pudica,
quasi nume al mio core,
quanto scemò l'ardir crebbe l'ardore,
e perciò mi restai farmela amica.
AMORE
Folle, deh quanto falli,
ché modestia tu vanti
in colei che si gode
furtivamente in queste stesse selve
Endimion pastore.
PANE
Oh che mi narri affé,
ch'io mi rincoro.
AMORE
Ma tu, se vincer vuoi più facilmente
la ritrosa sua mente,
corri con doni
e siano i doni d'oro.
Sai che con l'oro vinta
fu Danae, fu Atalanta.
PANE
Resister contra l'or niun si vanta;
io vo' ritrovar Mida,
onde mi tocchi alcuna bianca lana,
che fatta d'or ben vincerò, Diana.
AMORE
Sì, sì non ritardare.
Udito hai dire
che questa dea triforme,
Delia in ciel, Cinzia in terra
e nell'abisso Proserpina si chiama.
E i doni d'oro ognora
in cielo, in terra e nell'abisso ell'ama.
PANE
Io corro e giungo
e qui tosto me n' torno.
AMORE
Vanne e qui tosto torna:
io vo quest'acque,
dov'ella venirà oggi
a lavarsi con le sue ninfe,
invigorir cotanto
che per Amor ciascuna
avrà in core il dolor, negl'occhi il pianto.
PANE
Or celere e volubile vo' correre.
ATTO TERZO
Scena unica
Amore, e Endimione.
Amore, dopo d'aver data virtù all'acque di far ardere Diana di vile amore, dispone trovare Endimione, da lei teneramente amato, e ingelosirlo: il quale se n' viene cantando in lode della sua luna, avendo da essa ricevuto un occhialone dorato per poterla rimirare da lungi nel cielo. Ma Amore perturba le sue allegrezze col narrarle che la sua dèa sia fatta di Pan e che in quell'antro doveva indi a poco con lui ritrovarsi e l'esorta (se vuole accertarsi del vero) a pigliar la forma d'Atreone cacciatore. Esso desideroso se n' va con Amore per fare quanto egli vuole.
AMORE
Or che virtù di risvegliar gl'amori
nel più selvaggio cor diedi a quest'acque,
vorrei veder, per queste opache selve
e taciturni orrori,
di ritrovar omai Endimion,
di lei sì caro amante,
e ingelosirlo sì della sua dea
che quest'alme foreste
vedran di lei ben oscurati i rai.
Ma veggio che di qua move le piante.
Voglio prima ascoltarlo
furtivamente or sotto questo faggio
e poi con mio vantaggio,
improvviso assaltarlo
ch'uom colto all'improvviso
è tutto vinto nonché mezzo ucciso.
ENDIMIONE
Gran pianeta del ciel, occhio del giorno,
specchio del mio bel sol, Febo lucente,
se d'argento al tuo raggio indora il corno
nelle più oscure notti il nume algente,
fa' nel meriggio pur lungo soggiorno,
né inchinar il tuo carro all'occidente
ond'io possa di lei, che te rassembra,
goder l'intatte e luminose membra.
ENDIMIONE
Endimion felice,
fortunato pastore,
poi che goder ti lice
della candida dèa il più bel fiore.
A te l'anima e 'l core
discopre il giorno amoreggiando in queste
dolcissime foreste
ed acciò che la notte
tu possi vagheggiare il puro argento
del volto immacolato
ecco già t'ha donato,
composto di sua man questo strumento,
(per la gioia ch'io sento
son quasi di me fuore ed a me stesso
parlo lungi e d'appresso),
questo cannone aurato
fatto in forma di piva,
ch'a pena al cinto arriva,
da capo a piè di doi cristalli ornato.
Da queste basse valli,
mentre l'aer s'imbruna,
per mirar la mia luna
scorciar potrò lunghissimi intervalli.
Ma tu, deh, ferma il corso,
Febo, della mia dèa
(per cui detta è Febea),
biondissimo germano
né tuffar il tuo carro in oceàno,
poi ch'oggi meco in amoroso laccio
dentro questo boschetto,
essendo ella soletta ed io soletto,
vuol donarmisi in braccio.
AMORE
Endimion, quant'erra
la mente tua. Tu cerchi
a ragione ch'il sole
tardo si corchi all'oceano in seno
per non veder di macchie il bel sereno
volto di lei bruttato
dai baci di colui ch'è amante amato.
ENDIMIONE
Ohimè! Chi sei, che narri?
Ed io che ascolto?
Dunque di Cinzia al volto
altri ch'Endimione affissa i baci?
AMORE
Io son dio, narro il vero;
ascolta e taci.
La tua dèa, seppur tua
può chiamarsi colei che d'altri è fatta,
vidi io tra fratta e fratta
più d'una volta in quella
romita grotticella,
lasciata la feretra, il dardo e il cane,
trastullarsi con Pane.
ENDIMIONE
Pe 'l semicapro dio,
dunque, me lascia?
E fia ch'il creda?
Ohimè che 'l core
a questa ambascia
or mi si esamina
e fugge l'anima
lungi da me.
AMORE
Se tu stesso te n' vuoi
con gl'occhi propri
accertare, io farò
ch'altro volto ricopri,
onde comprendere possi
ch'è Venere, Cinzia no no.
ENDIMIONE
E chi vuoi tu ch'io finga
ed in qual modo potrò
veder colei che mi tradisce?
AMORE
Tu sei molto simìle
ad Atteone, il cacciator gentile.
Vorrò che di lui prenda
la giubba, il crine e l'arco,
poi fingendo ch'al varco
perdesti il can Licisca,
qui te ne venghi ad espiar del cane,
ché vedrai alla fontana
quanto Diana il satiro gradisca,
quanto gradisca il satiro Diana.
ENDIMIONE
Io farò quanto vuoi.
AMORE
Dunque vien meco,
ch'avrai per guida un cieco.
ATTO QUARTO
Scena unica
Pane, Diana con le Ninfe. Endimione in Atteone.
Torna Pane tutto allegro e saltante per aversi fatto toccare da Mida alcune bianche lane, sapendo con queste d'ottenere la grazia dalla dèa cacciatrice, alla quale –vedendola capitar con le Ninfe– non ardisce per allora scoprirsi, ma si nasconde in una parte dell'antro.
PANE
Le vellera biondissime che lucano
la candida mia Cinzia han da rendere
flessibile nell'animo qual Venere.
(piva)
PANE
Ma veggiola qua, discendere qui.
Nascondere là or vogliomi sì
che senza le due compagne sue
se n' resti sola,
ch'or non ardisco dirle una parola.
In mezzo alle due Ninfe viene Diana cantando ed entra nell'antro per lavarsi con intenzione, se ci trovava il dio d'Amore, di legarlo con le lor cinte.
DIANA
Qui rinfrescar potrannosi,
tra queste fresche linfe,
l'ignude membra, o ninfe.
Vedi come ben formano
questi rami frondosi
antri e lochetti ascosi.
Qui, certo il raggio fervido
del mio german lucente
penetrar non si sente.
Né verun di qua vedesi
ch'a noi possa le care
gioie pur disturbare,
e s'entro è 'l dio Cupidine
con le cinte ch'avemo
intorno il batteremo.
NINFE
Entriamo, o Delia, o Cinzia,
ch'i liquidi cristalli
or c'invitano ai balli.
Mentre le due Ninfe spogliano la Dèa, torna Endimione mutato in Atteone, vestito da cacciatore, con due cani a lato, s'accorge della Dèa e s'appiatta da una parte del monte per vagheggiarla ignuda. Ma ella aiutata dalle Ninfe, sdegnata d'esser vista, lo spruzza con quell'acqua ond'esso divien cervo e fuggendo è seguito dalle due Ninfe e Diana, mentre si ritira nel più oscuro dell'antro per rivestirsi, dal Satiro dio viene abbracciata, eccetera.
ENDIMIONE
(in Atteone)
Chi crederia che sotto
queste auree viste
io mi fossi Endimione?
Ma cagion sol n'è la dèa delle foreste.
Atteone mi fingo io,
poiché il rio mio destino così vuole.
Ma che veggio?
Son desto o veggio?
È qui il lavacro
a me sì caro
delle nappe e, oh meraviglia,
da far le ciglia
alzare e 'l labbro stringer più scabro?
Una di loro di luci d'oro
spande le chiome sull'auree forme.
Mi par Diana
alla fontana.
Già non son queste
l'Ide foreste?
Già non son io
Paride rio
che veder voglia
senza la spoglia
l'alte tre dèe?
Ma mi voglio accostare
ed espiare tra queste fronde
come il foco d'amor naschi dall'onde.
NINFE
O Delia, Cinzia,
siam discoperte.
Occhio furtivo,
occhio lascivo
ecco ci guata.
DIANA
Fatemi intorno or voi stretta corona,
o mie fedelissime ancelle,
ché farò che ridir non potrà mai;
Cinzia ignuda mirai.
NINFE
Copriam con questo vel
le membra belle.
ENDIMIONE
Si sono di me accorte
e a me il piede
disdegnose rivolgono sì ignude,
dispettosette e crude.
Come al core repente un gel mi riede!
DIANA
Piglia dell'ardir tuo
le meritate pene,
Atteone infelice.
Or fia che svene
la turba dei tuoi can
queste tue membra.
Impara oggi a tue spese e cervo sembra.
NINFE
Oh come tosto adorna
tesser la fronte le ramose corna!
DIANA
Voi che vestite siete,
sin ch'io mi vestirò, lui seguirete.
Tosto di voi ripigli
ciascuna l'arco e 'l dardo,
seguitate il codardo
co' propri cani
e 'l resto altrui si taccia.
Alla preda, alla caccia!
NINFE
Alla preda, alla caccia!
ATTO QUINTO
Scena unica
Diana, Pane, le due Ninfe con il cervo e Amore.
Riesce dall'antro Diana tutta vergognosa e afflitta e prega Pane a voler tacere questo suo fallo amoroso. Egli la conforta. Viene in questo mentre il coro delle Ninfe e di Pastori con il cervo morto.
DIANA
In quest'antro sepolto
eternamente stia,
Pan, il tuo error con la vergogna mia.
PANE
Non t'arrossir nel volto,
bellissima Diana, ché l'errore d'Amore
o non è errore, oppur è lieve errore.
Coro di Ninfe e di Pastori con il cervo morto.
Avendo le Ninfe con l'aiuto di alcuni altri Pastori ammazzato il cervo, cantando lo presentano a Diana, la quale, nell'allegrezza della vendetta, sente pur non so che di mestizia, onde il coro delle Ninfe e dei Pastori ripiglia un'altra volta il canto per rallegrarla. Ma Amore si scopre e le narra quel cervo morto essere il suo amato Endimione. La Dèa lo piange.
Il Coro dolente si meraviglia del caso; alla fine, a persuasione di Pan, fa mutar il cervo in un giglio giallo sopra il quale si vanno a posar tre api d'oro, che poi la Dèa comanda si trasportino in cielo e nel suo cerchio circondato da nuvolette d'argento si mirano tre aponi d'oro.
Alludono all'arme dei felicissimi Barberini.
CORO
di ninfe e pastori
Ecco morta la fera
o Cinzia, a' piedi tuoi
or presentiamo noi,
che dianzi in altra spoglia era sì altera.
DIANA
Oh come al cor mi sento
un non so che, che par che 'l cor mi tocchi!
Con la gioia il tormento
mi si mischia nel cor, se ridon gl'occhi.
CORO
di ninfe e pastori
Ecco morta la fera
o Cinzia, a' piedi tuoi
or presentiamo noi,
che dianzi in altra spoglia era sì altera.
AMORE
Ecco morta la fera
e nella fera ecco morto colui
che tu cotanto amavi:
Endimione è questi,
da cui baci suggesti
sì dolci e sì soavi,
che da me ingelosito
allor ch'al dio caprone
tu ti donasti, ei finse l'Atteone.
Or da te impari di schernire Amore
ogni superbo core!
DIANA
Ahi cieco e invidioso,
dio non già dell'amor ma dello sdegno,
forse perché geloso
che questi estinto mio
non ti togliesse
di bellezza il regno,
trasformar gli facesti
l'ammanto, il volto e i gesti,
me dando in preda al semicapro dio.
Questo è il duolo e la pena
che mi sviscera l'alma e 'l cor mi svena.
CORO
a 6
O caso orribile
e lacrimabile,
caso terribile
del mondo instabile.
DIANA
Endimione caro,
perdona, tu, perdona
alla mia mano ultrice
ed alla feritrice
che te, non conoscendo,
a morte spinse.
Che spettacolo amaro
agl'occhi miei si dona!
Il ferro che s'intinse
nel tuo sangue
il mio cor ferì così
che per dolor si muore.
Ahi rio dolore, ahi pena
che mi sviscera l'alma
e 'l cor mi svena.
PANE
Tu che in un parto di Latona a Giove
col sol nascesti, o dèa,
or come saggia il tuo dolore affrena,
che 'l dolore è pena,
nulla rilieva e men le Parche move.
Così il dolore assale
chi si mette ad amar cosa mortale.
Ma tu perché non fai
come t'insegna il proprio tuo fratello,
che in un bel fior novello
per sua cagione estinto
trasmutò 'l bel Giacinto?
Se poté Citerea
l'istesso far del morto e vago Adone,
perché tu non potrai
mutar in fior
l'estinto Endimione?
DIANA
Gran padre, o tu che puoi
lassù nel cielo assiso
ogni cosa mutar quaggiù fra noi,
poiché di Vener l'orgoglioso figlio
have da me diviso
il mio ben,
muta lui in aureo giglio.
PANE
Ecco pian pian la terra
dà tomba al trasformato Endimione
e solo lascia l'argentee corna
or sopra il suolo,
ove in mezzo è restato il core.
Ed ecco il core da sé disserra
pianta che mostra ai cigli
tra foglie di smeraldo
or d'or tre gigli.
CORO
a 6
Meraviglie son queste,
ma sotto le cortine
serbano ancora simbolo celeste.
DIANA
Ecco già sussurrando,
sopra i gigli volando,
si spiccano tre api
ch'han d'or le spoglie e d'or le penne e i capi.
Queste fra gl'ori e gl'ostri
ammirerà l'età barbari mostri:
son umani portenti:
fatte stelle lucenti,
su nel mio cerchio in fra stellati campi,
vibreranno di gloria eterni lampi.
CORO
a 6
Meraviglie son queste,
ma sotto le cortine
serbano ancora simbolo celeste.

S

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