Tuesday, November 27, 2012

La clemenza di Tito -- Atto I

Speranza

DELLA CLEMENZA DI TITO ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Logge a vista del Tevere negli appartamenti di Vitellia.
VITELLIA e SESTO
VITELLIA
Ma che? Sempre l’istesso
Sesto a dir mi verrai? So che sedotto
fu Lentulo da te, che i suoi seguaci
son pronti già, che il Campidoglio acceso
5darà moto a un tumulto e sarà il segno
onde possiate uniti
Tito assalir, che i congiurati avranno
vermiglio nastro al destro braccio appeso
per conoscersi insieme. Io tutto questo
10già mille volte udii; la mia vendetta
mai non veggo però. S’aspetta forse
che Tito a Berenice in faccia mia
offra d’amore insano
l’usurpato mio soglio e la sua mano?
15Parla, di’, che s’attende?
SESTO
Oh dio!
VITELLIA
Sospiri!
Intenderti vorrei. Pronto all’impresa
sempre parti da me; sempre ritorni
confuso, irresoluto. Onde in te nasce
questa vicenda eterna
20d’ardire e di viltà?
SESTO
Vitellia ascolta.
Ecco io t’apro il mio cor. Quando mi trovo
presente a te, non so pensar, non posso
voler che a voglia tua, rapir mi sento
tutto nel tuo furor, fremo a’ tuoi torti,
25Tito mi sembra reo di mille morti.
Quando a lui son presente,
Tito, non ti sdegnar, parmi innocente.
VITELLIA
Dunque...
SESTO
Pria di sgridarmi
ch’io ti spieghi il mio stato almen concedi.
30Tu vendetta mi chiedi;
Tito vuol fedeltà. Tu di tua mano
con l’offerta mi sproni; ei mi raffrena
co’ benefici suoi. Per te l’amore,
per lui parla il dover. Se a te ritorno,
35sempre ti trovo in volto
qualche nuova beltà. Se torno a lui,
sempre gli scuopro in seno
qualche nuova virtù. Vorrei servirti;
tradirlo non vorrei. Viver non posso,
40se ti perdo mia vita; e se t’acquisto
vengo in odio a me stesso.
Questo è lo stato mio; sgridami adesso.
VITELLIA
No; non meriti ingrato
l’onor dell’ire mie.
SESTO
Pensaci o cara,
45pensaci meglio. Ah non togliamo in Tito
la sua delizia al mondo, il padre a Roma,
l’amico a noi. Fra le memorie antiche
trova l’egual, se puoi. Fingiti in mente
eroe più generoso o più clemente.
50Parlagli di premiar, poveri a lui
sembran gli erari sui.
Parlagli di punir, scuse al delitto
cerca in ognun. Chi all’inesperta ei dona,
chi a la canuta età. Risparmia in uno
55l’onor del sangue illustre; il basso stato
compatisce nell’altro. Inutil chiama,
perduto il giorno ei dice
in cui fatto non ha qualche felice.
VITELLIA
Ma regna...
SESTO
Ei regna, è ver, ma vuol da noi
60sol tanta servitù quanto impedisca
di perir la licenza. Ei regna, è vero,
ma di sì vasto impero,
tolto l’alloro e l’ostro,
suo tutto il peso e tutt’il frutto è nostro.
VITELLIA
65Dunque a vantarmi in faccia
venisti il mio nemico? E più non pensi
che questo eroe clemente un soglio usurpa
dal suo tolto al mio padre?
Che m’ingannò, che mi ridusse, e questo
70è il suo fallo maggior, quasi ad amarlo?
E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro
richiamar Berenice! Una rivale
avesse scelta almeno
degna di me fra le beltà di Roma.
75Ma una barbara, o Sesto,
un’esule antepormi! Una regina!
SESTO
Sai pur che Berenice
volontaria tornò.
VITELLIA
Narra a’ fanciulli
codeste fole. Io so gli antichi amori;
80so le lagrime sparse allor che quindi
l’altra volta partì; so come adesso
l’accolse, l’onorò; chi non lo vede?
Il perfido l’adora.
SESTO
Ah principessa
tu sei gelosa.
VITELLIA
Io?
SESTO
Sì.
VITELLIA
Gelosa io sono,
85se non soffro un disprezzo?
SESTO
E pure...
VITELLIA
E pure
non hai cuor d’acquistarmi.
SESTO
Io son...
VITELLIA
Tu sei
sciolto d’ogni promessa. A me non manca
più degno esecutor dell’odio mio.
SESTO
Sentimi.
VITELLIA
Intesi assai.
SESTO
Fermati.
VITELLIA
Addio.
SESTO
90Ah Vitellia, ah mio nume,
non partir; dove vai;
perdonami, ti credo, io m’ingannai.
Tutto, tutto farò; prescrivi, imponi,
regola i moti miei;
95tu la mia sorte, il mio destin tu sei.
VITELLIA
Prima che il sol tramonti
voglio Tito svenato e voglio...
SCENA II
ANNIO e detti
ANNIO
Amico
Cesare a sé ti chiama.
VITELLIA
Ah non perdete
questi brevi momenti. A Berenice
100Tito gli usurpa.
ANNIO
Ingiustamente oltraggi
Vitellia il nostro eroe. Tito ha l’impero
e del mondo e di sé. Già per suo cenno
Berenice partì.
SESTO
Come?
VITELLIA
Che dici?
ANNIO
Voi stupite a ragion. Roma ne piange
105di meraviglia e di piacere. Io stesso
quasi nol credo; ed io
fui presente o Vitellia al grande addio.
VITELLIA
(Oh speranze!)
SESTO
Oh virtù!
VITELLIA
Quella superba
o come volontieri udita avrei
110esclamar contro Tito.
ANNIO
Anzi giammai
più tenera non fu. Partì ma vide
che adorata partiva, e che al suo caro
men che a lei non costava il colpo amaro.
VITELLIA
Ognun può lusingarsi.
ANNIO
Eh si conobbe
115che bisognava a Tito
tutto l’eroe per superar l’amante.
Vinse; ma combatté. Non era oppresso;
ma tranquillo non era. Ed in quel volto,
dicasi per sua gloria,
120si vedea la battaglia e la vittoria.
VITELLIA
(E pur forse con me quanto credei
Tito ingrato non è). Sesto, sospendi (A parte a Sesto)
d’eseguire i miei cenni. Il colpo ancora
non è maturo.
SESTO
E tu non vuoi ch’io vegga,
125ch’io mi lagni o crudele... (Con isdegno)
VITELLIA
Or che vedesti?
Di che ti puoi lagnar? (Con isdegno)
SESTO
Di nulla. (Oh dio (Con sommissione)
chi provò mai tormento eguale al mio).
VITELLIA
Deh se piacer mi vuoi
lascia i sospetti tuoi;
130non mi stancar con questo
molesto dubitar.
Chi ciecamente crede
impegna a serbar fede;
chi sempre inganni aspetta
135alletta ad ingannar. (Parte)
SCENA III
SESTO e ANNIO
ANNIO
Amico ecco il momento
di rendermi felice. All’amor mio
Servilia promettesti. Altro non manca
che d’Augusto l’assenso. Ora da lui
140impetrar lo potresti.
SESTO
Ogni tua brama
Annio m’è legge. Impaziente anch’io
son che alla nostra antica
e tenera amicizia aggiunga il sangue
un vincolo novello.
ANNIO
Io non ho pace
145senza la tua germana.
SESTO
E chi potrebbe
rapirtene l’acquisto? Ella t’adora;
io fino al giorno estremo
sarò tuo; Tito è giusto.
ANNIO
Il so; ma temo.
Io sento che in petto
150mi palpita il core;
né so qual sospetto
mi faccia temer.
Se dubbio è il contento
diventa in amore
155sicuro tormento
l’incerto piacer. (Parte)
SCENA IV
SESTO solo
SESTO
Numi assistenza. A poco a poco io perdo
l’arbitrio di me stesso. Altro non odo
che il mio funesto amor. Vitellia ha in fronte
160un astro che governa il mio destino.
La superba lo sa; ne abusa; ed io
né pure oso lagnarmi. Oh sovrumano
poter della beltà! Voi che dal cielo
tal dono aveste ah non prendete esempio
165dalla tiranna mia. Regnate, è giusto;
ma non così severo,
ma non sia così duro il vostro impero.
Opprimete i contumaci,
son gli sdegni allor permessi;
170ma infierir contro gli oppressi!
Quest’è un barbaro piacer.
Non v’è trace in mezzo a’ Traci
sì crudel che non risparmi
quel meschin che getta l’armi,
175che si rende prigionier. (Parte)
SCENA V
Innanzi atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro parte del Foro romano, magnificamente adornato d’archi, obelischi e trofei; da’ lati vedute in lontano del monte Palatino e d’un gran tratto della via Sacra; in faccia aspetto esteriore del Campidoglio e magnifica strada per cui vi si ascende.
Nell’atrio suddetto saranno PUBLIO, i senatori romani ed i legati delle provincie soggette destinati a presentare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre TITO preceduto da’ littori, seguito da’ pretoriani e circondato da numeroso popolo scende dal Campidoglio, cantasi il seguente
CORO
Serbate o dei custodi
della romana sorte
in Tito il giusto, il forte,
l’onor di nostra età.
180 Voi gl’immortali allori
su la cesarea chioma,
voi custodite a Roma
la sua felicità.
Fu vostro un sì gran dono,
185sia lungo il dono vostro;
l’invidi al mondo nostro
il mondo che verrà. (Nel fine del coro suddetto giunge Tito nell’atrio e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
PUBLIO
Te della patria il padre (A Tito)
oggi appella il Senato. E mai più giusto
190non fu ne’ suoi decreti o invitto Augusto.
ANNIO
Né padre sol ma sei
suo nume tutelar. Più che mortale
giacché altrui ti dimostri, a’ voti altrui
comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio
195ti destina il Senato. E là si vuole
che fra divini onori
anche il nume di Tito il Tebro adori.
PUBLIO
Quei tesori che vedi
delle serve provincie annui tributi
200all’opra consagriam. Tito non sdegni
questi del nostro amor pubblici segni.
TITO
Romani, unico oggetto
è de’ voti di Tito il vostro amore;
ma il vostro amor non passi
205tanto i confini suoi
che debbano arrossirne e Tito e voi.
Più tenero, più caro
nome che quel di padre
per me non v’è; ma meritarlo io voglio,
210ottenerlo non curo. I sommi dei
quanto imitar mi piace
abborrisco emular. Gli perde amici
chi gli vanta compagni; e non si trova
follia la più fatale
215che potersi scordar d’esser mortale.
Quegli offerti tesori
non ricuso però. Cambiarne solo
l’uso pretendo. Udite. Oltre l’usato
terribile il Vesevo ardenti fiumi
220dalle fauci eruttò; scosse le rupi;
riempié di ruine
i campi intorno e le città vicine.
Le desolate genti
fuggendo van; ma la miseria opprime
225quei che al fuoco avanzar. Serva quell’oro
di tanti afflitti a riparar lo scempio.
Questo, o Romani, è fabricarmi il tempio.
ANNIO
O vero eroe!
PUBLIO
Quanto di te minori
tutti i premi son mai, tutte le lodi!
CORO
230 Serbate o dei custodi
della romana sorte
in Tito il giusto, il forte,
l’onor di nostra età.
TITO
Basta, basta o Quiriti.
235Sesto a me s’avvicini; Annio non parta,
ogn’altro s’allontani. (Si ritirano tutti fuori dell’atrio e vi rimangono Tito, Annio e Sesto)
ANNIO
(Adesso, o Sesto,
parla per me).
SESTO
Come signor potesti
la tua bella regina...
TITO
Ah Sesto amico
che terribil momento! Io non credei...
240Basta, ho vinto, partì. Grazie agli dei.
Giusto è ch’io pensi adesso
a compir la vittoria. Il più si fece,
facciasi il meno.
SESTO
E che più resta?
TITO
A Roma
togliere ogni sospetto
245di vederla mia sposa.
SESTO
Assai lo toglie
la sua partenza.
TITO
Un’altra volta ancora
partissi e ritornò. Del terzo incontro
dubitar si potrebbe; e finché vuoto
il mio talamo sia d’altra consorte,
250chi sa gli affetti miei
sempre dirà ch’io lo conservo a lei.
Il nome di regina
troppo Roma abborrisce; una sua figlia
vuol veder sul mio soglio
255e appagarla convien. Già che l’amore
scelse invano i miei lacci, io vuo’ che almeno
l’amicizia or gli scelga. Al tuo s’unisca
Sesto il cesareo sangue. Oggi mia sposa
sarà la tua germana.
SESTO
260Servilia!
TITO
Appunto.
ANNIO
(O me infelice!)
SESTO
(Oh dei!
Annio è perduto).
TITO
Udisti!
Che dici? Non rispondi?
SESTO
E chi potrebbe
risponderti o signor? M’opprime a segno
la tua bontà che non ho cor... Vorrei...
ANNIO
265(Sesto è in pena per me).
TITO
Spiegati, io tutto
farò per tuo vantaggio.
SESTO
(Ah si serva l’amico).
ANNIO
(Annio coraggio).
SESTO
Tito... (Risoluto)
ANNIO
Augusto io conosco (Come sopra)
di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme
270tenero amor ne stringe. Ei di sé stesso
modesto estimator teme che sembri
sproporzionato il dono; e non s’avvede
ch’ogni distanza eguaglia
d’un cesare il favor. Ma tu consiglio
275da lui prender non dei. Come potresti
sposa elegger più degna
dell’impero e di te? Virtù, bellezza
tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto
ch’era nata a regnar. De’ miei presagi
280l’adempimento è questo.
SESTO
(Annio parla così! Sogno o son desto?)
TITO
E ben recane a lei
Annio tu la novella. E tu mi siegui
amato Sesto. E queste
285tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte
tu ancor nel soglio e tanto
t’inalzerò che resterà ben poco
dello spazio infinito
che fraposer gli dei fra Sesto e Tito.
SESTO
290Questo è troppo, o signor. Modera almeno
se ingrati non ci vuoi,
modera Augusto i benefici tuoi.
TITO
Ma che, se mi niegate
che benefico io sia, che mi lasciate?
295 Del più sublime soglio
l’unico frutto è questo;
tutto è tormento il resto
e tutto è servitù.
Che avrei, se ancor perdessi
300le sole ore felici
ch’ho nel giovar gli oppressi,
nel sollevar gli amici,
nel dispensar tesori
al merto e a la virtù? (Parte)
SCENA VI
ANNIO e poi SERVILIA
ANNIO
305Non ci pentiam. D’un generoso amante
era questo il dover. Se a lei che adoro
per non esserne privo
tolto l’impero avessi, amato avrei
il mio piacer, non lei. Mio cor deponi
310le tenerezze antiche; è tua sovrana
chi fu l’idolo tuo. Cambiar conviene
in rispetto l’amore. Eccola. Oh dei!
Mai non parve sì bella agli occhi miei.
SERVILIA
Mio ben...
ANNIO
Taci Servilia. Ora è delitto
315il chiamarmi così.
SERVILIA
Perché?
ANNIO
Ti scelse
Cesare (che martir!) per sua consorte.
A te (morir mi sento) a te m’impose
di recarne l’avviso (oh pena!) ed io...
io fui... (Parlar non posso). Augusta addio.
SERVILIA
320Come! Fermati. Io sposa
di Cesare! E perché?
ANNIO
Perché non trova
beltà, virtù che sia
più degna d’un impero, anima... Oh stelle!
Che dirò? Lascia, Augusta,
325deh lasciami partir.
SERVILIA
Così confusa
abbandonar mi vuoi? Spiegati; dimmi,
come fu? Per qual via...
ANNIO
Mi perdo s’io non parto anima mia.
Ah perdona al primo affetto
330quest’accento sconsigliato;
colpa fu del labbro usato
a chiamarti ognor così.
Mi fidai del mio rispetto
che vegliava in guardia al core;
335ma il rispetto dall’amore
fu sedotto e mi tradì. (Parte)
SCENA VII
SERVILIA sola
SERVILIA
Io consorte d’Augusto! In un istante
io cambiar di catene! Io tanto amore
dovrei porre in obblio! No; sì gran prezzo
340non val per me l’impero.
Annio non lo temer, non sarà vero.
Amo te solo,
te solo amai,
tu fosti il primo,
345tu pur sarai
l’ultimo oggetto
che adorerò.
Quando è innocente
divien sì forte
350che con noi vive
fino alla morte
quel primo affetto
che si provò. (Parte)
SCENA VIII
Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino.
TITO e PUBLIO con un foglio
TITO
Che mi rechi in quel foglio?
PUBLIO
I nomi ei chiude
355de’ rei che osar con temerari accenti
de’ cesari già spenti
la memoria oltraggiar.
TITO
Barbara inchiesta
che agli estinti non giova e somministra
mille strade alla frode
360d’insidiar gl’innocenti. Io da quest’ora
ne abolisco il costume; e perché sia
in avvenir la frode altrui delusa,
nelle pene de’ rei cada chi accusa.
PUBLIO
Giustizia è pur...
TITO
Se la giustizia usasse
365di tutto il suo rigor, sarebbe presto
un deserto la terra. Ove si trova
chi una colpa non abbia o grande o lieve?
Noi stessi esaminiam. Credimi, è raro
un giudice innocente
370dell’error che punisce.
PUBLIO
Hanno i castighi...
TITO
Hanno, se son frequenti,
minore autorità. Si fan le pene
familiari a’ malvagi. Il reo s’avvede
d’aver molti compagni. Ed è periglio
375il pubblicar quanto sian pochi i buoni.
PUBLIO
Ma v’è signor chi lacerare ardisce
anche il tuo nome.
TITO
E che perciò? Se ’l mosse
leggierezza, nol curo,
se follia, lo compiango,
380se ragion, gli son grato; e se in lui sono
impeti di malizia, io gli perdono.
PUBLIO
Almen...
SCENA IX
SERVILIA e detti
SERVILIA
Di Tito al piè...
TITO
Servilia! Augusta!
SERVILIA
Ah signor, sì gran nome
non darmi ancora. Odimi prima. Io deggio
385palesarti un arcan.
TITO
Publio ti scosta
ma non partir. (Publio si ritira)
SERVILIA
Che del cesareo alloro
me, fra tante più degne,
generoso monarca inviti a parte,
è dono tal che destaria tumulto
390nel più stupido core. Io ne comprendo
tutto il valor. Voglio esser grata e credo
doverlo esser così. Tu mi scegliesti
né forse mi conosci. Io che tacendo
crederei d’ingannarti
395tutta l’anima mia vengo a svelarti.
TITO
Parla.
SERVILIA
Non ha la terra
chi più di me le tue virtudi adori;
per te nutrisco in petto
sensi di meraviglia e di rispetto.
400Ma il cor... Deh non sdegnarti.
TITO
Eh parla.
SERVILIA
Il core
signor non è più mio. Già da gran tempo
Annio me lo rapì. L’amai che ancora
non comprendea d’amarlo; e non amai
altri finor che lui. Genio e costume
405unì l’anime nostre. Io non mi sento
valor per obbliarlo; anche dal trono
il solito sentiero
farebbe a mio dispetto il mio pensiero.
So che oppormi è delitto
410d’un cesare al voler; ma tutto almeno
sia noto al mio sovrano;
poi, se mi vuol sua sposa, ecco la mano.
TITO
Grazie o numi del ciel. Pure una volta
senza larve sul viso
415mirai la verità. Pur si ritrova
chi s’avventuri a dispiacer col vero.
Servilia, oh qual contento
oggi provar mi fai! Quanta mi porgi
ragion di meraviglia! Annio pospone
420alla grandezza tua la propria pace!
Tu ricusi un impero
per essergli fedele! Ed io dovrei
turbar fiamme sì belle? Ah non produce
sentimenti sì rei di Tito il core.
425Figlia, che padre invece
di consorte m’avrai, sgombra dall’alma
ogni timore. Annio è tuo sposo. Io voglio
stringer nodo sì degno. Il ciel cospiri
meco a farlo felice; e n’abbia poi
430cittadini la patria eguali a voi.
SERVILIA
Oh Tito! Oh Augusto! Oh vera
delizia de’ mortali! Io non saprei
come il grato mio cor...
TITO
Se grata appieno
esser mi vuoi Servilia, agli altri inspira
435il tuo candor. Di pubblicar procura
che grato a me si rende
più del falso che piace il ver che offende.
Ah se fosse intorno al trono
ogni cor così sincero,
440non tormento un vasto impero
ma saria felicità.
Non dovrebbero i regnanti
tolerar sì grave affanno
per distinguer dall’inganno
445l’insidiata verità. (Parte)
SCENA X
SERVILIA e VITELLIA
SERVILIA
Felice me!
VITELLIA
Posso alla mia sovrana
offrir del mio rispetto i primi omaggi?
Posso adorar quel volto
per cui d’amor ferito
450ha perduto il riposo il cor di Tito?
SERVILIA
(Che amaro favellar! Per mia vendetta
si lasci nell’inganno). Addio.
VITELLIA
Servilia
sdegna già di mirarmi!
Oh dei! Partir così! Così lasciarmi!
SERVILIA
455 Non ti lagnar s’io parto
o lagnati d’amore
che accorda a quei del core
i moti del mio piè.
Alfin non è portento
460che a te mi tolga ancora
l’eccesso d’un contento
che mi rapisce a me. (Parte)
SCENA XI
VITELLIA e poi SESTO
VITELLIA
Questo soffrir degg’io
vergognoso disprezzo! Ah con qual fasto
465già mi guarda costei! Barbaro Tito
ti parea dunque poco
Berenice antepormi? Io dunque sono
l’ultima de’ viventi! Ogn’altra è degna
di te fuor che Vitellia! Ah trema ingrato
470trema d’avermi offesa. Oggi il tuo sangue...
SESTO
Mia vita.
VITELLIA
E ben che rechi? Il Campidoglio
è acceso? È incenerito?
Lentulo dove sta? Tito è punito?
SESTO
Nulla intrapresi ancor.
VITELLIA
Nulla! E sì franco
475mi torni innanzi? E con qual merto ardisci
di chiamarmi tua vita?
SESTO
È tuo comando
il sospender il colpo.
VITELLIA
E non udisti
i miei novelli oltraggi? Un altro cenno
aspetti ancor? Ma ch’io ti creda amante
480dimmi come pretendi,
se così poco i miei pensieri intendi?
SESTO
Se una ragion potesse
almen giustificarmi...
VITELLIA
Una ragione!
Mille ne avrai, qualunque sia l’affetto
485da cui prenda il tuo cor regola e moto.
È la gloria il tuo voto? Io ti propongo
la patria a liberar. Frangi i suoi ceppi,
la tua memoria onora,
abbia il suo Bruto il secol nostro ancora.
490Ti senti d’un’illustre
ambizion capace? Eccoti aperta
una strada all’impero. I miei congiunti,
gli amici miei, le mie ragioni al soglio
tutte impegno per te. Può la mia mano
495renderti fortunato? Eccola, corri,
mi vendica e son tua. Ritorna asperso
di quel perfido sangue e tu sarai
la delizia, l’amore,
la tenerezza mia. Non basta? Ascolta
500e dubita, se puoi. Sappi che amai
Tito finor, che del mio cor l’acquisto
ei t’impedì, che se rimane in vita
si può pentir, ch’io ritornar potrei,
non mi fido di me, forse ad amarlo.
505Or va’; se non ti muove
desio di gloria, ambizione, amore,
se toleri un rivale
che usurpò, che contrasta,
che involar ti potrà gli affetti miei,
510degli uomini il più vil dirò che sei.
SESTO
Quante vie d’assalirmi!
Basta, basta, non più; già m’inspirasti
Vitellia il tuo furore; arder vedrai
fra poco il Campidoglio e quest’acciaro
515nel sen di Tito... (Ah sommi dei qual gielo
mi ricerca le vene!)
VITELLIA
Ed or che pensi?
SESTO
Ah Vitellia.
VITELLIA
Il previdi;
tu pentito già sei.
SESTO
Non son pentito
ma...
VITELLIA
Non stancarmi più. Conosco, ingrato,
520che amor non hai per me. Folle ch’io fui!
Già ti credea, già mi piacevi e quasi
cominciavo ad amarti. Agli occhi miei
involati per sempre
e scordati di me.
SESTO
Fermati, io cedo,
525io già volo a servirti.
VITELLIA
Eh non ti credo.
M’ingannerai di nuovo. In mezzo all’opra
ricorderai...
SESTO
No, mi punisca amore,
se penso ad ingannarti.
VITELLIA
Dunque corri, che fai? Perché non parti?
SESTO
530 Parto ma tu ben mio
meco ritorna in pace;
sarò qual più ti piace,
quel che vorrai farò.
Guardami e tutto obblio
535e a vendicarti io volo;
di quello sguardo solo
io mi ricorderò. (Parte)
SCENA XII
VITELLIA, poi PUBLIO
VITELLIA
Vedrai, Tito, vedrai che alfin sì vile
questo volto non è. Basta a sedurti
540gli amici almen, se ad invaghirti è poco.
Ti pentirai...
PUBLIO
Tu qui Vitellia! Ah corri,
Cesare è alle tue stanze.
VITELLIA
Cesare! E a che mi cerca?
PUBLIO
Ancor nol sai!
Sua consorte ti elesse.
VITELLIA
Io non sopporto
545Publio d’esser derisa.
PUBLIO
Deriderti! Se andò Cesare istesso
a chiederne il tuo assenso.
VITELLIA
E Servilia?
PUBLIO
Servilia,
non so perché, rimane esclusa.
VITELLIA
Ed io...
PUBLIO
550Tu sei la nostra augusta. Ah principessa
andiam. Cesare attende.
VITELLIA
Aspetta. (Oh dei?)
Sesto?... Misera me! Sesto?... È partito. (Verso la scena)
Publio corri... Raggiungi...
Digli... No. Va’ più tosto... (Ah mi lasciai
555trasportar dallo sdegno). E ancor non vai?
PUBLIO
Dove?
VITELLIA
A Sesto.
PUBLIO
E dirò?
VITELLIA
Che a me ritorni,
che non tardi un momento.
PUBLIO
Vado. (Oh come confonde un gran contento!) (Parte)
SCENA XIII
VITELLIA
VITELLIA
Che angustia è questa! Ah caro Tito! Io fui
560teco ingiusta il confesso. Ah se fra tanto
Sesto il cenno eseguisse, il caso mio
sarebbe il più crudel... No non si faccia
sì funesto presagio. E se mai Tito
si tornasse a pentir... Perché pentirsi?
565Perché l’ho da temer? Quanti pensieri
mi si affollano in mente! Afflitta e lieta
godo, torno a temer, gielo, m’accendo,
me stessa in questo stato io non intendo.
Quando sarà quel dì
570ch’io non ti senta in sen
sempre tremar così
povero core.
Stelle che crudeltà!
Un sol piacer non v’è
575che quando mio si fa
non sia dolore. (Parte)
Fine dell’atto primo
Ballo di pantomimi che concertano fra loro la rappresentazione dell’Aulularia di Plauto.

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