Speranza
La leggenda di Orazio sulla scena operistica in Italia nei secoli XVI
e XVII
Sin dall’Antichità, la leggenda romana degli Orazi e dei
Curiazi ha interessato storici e retori, giuristi e poeti.
Filosofi e
letterati hanno riflettuto, nel corso della storia, sulla figura di Orazio,
eroe guerriero reso celebre dalla grandezza d’animo e dal coraggio dimostrati
nella difesa di Roma, non meno che dall’inflessibile rigore del giustiziere.
Già
lo storico romano Tito Livio evocava il combattimento degli Orazi e dei
Curiazi, affermando
che non vi è vicenda più nota nell’antichità.
Altri
storici, come il greco Dionigi di Alicarnasso, raccontano con passione gli
eventi accaduti alla famiglia degli Orazi, con le loro mirabili e strane
peripezie.
Ripresa dai commentatori della storia romana e nelle raccolte
di exempla, la celebrità dell’episodio non si attenua in età moderna.
Montaigne
nei suoi Saggi e Bodin ne I sei libri della repubblica, rendono omaggio alla
felice vittoria dei tre Orazi gemelli, per non parlare dell’Encyclopédie
di Diderot et d’Alembert, che presenta una ventina di voci nelle quali la
figura di Orazio è menzionata.
Nel corso dei secoli, questo guerriero antico
ha fornito ai filosofi e ai moralisti, ai politologi e agli artisti, un
modello per illustrare l’amore della gloria e della patria.
Ma l’eroismo
esibito da Orazio nella sua prodigiosa vittoria contro i tre Curiazi non è
scevro di ambiguità.
La guerra tra Romani e Albani vede fronteggiarsi due
famiglie alleate e, dopo aver ucciso i Curiazi in nome di Roma, Orazio
sacrifica anche la propria sorella, Orazia, macchiandosi di un crimine per il quale
sarà tradotto in giustizia ma per il quale non sarà condannato. I principali
interpreti dell’episodio offrono dell’avventura di Orazio
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Tito Livio, Ab
urbe condita, I, 24, 1. Dionigi di Alicarnasso, Le antichità romane, III,
22, 9, 10. Montaigne, Essais, II, 27. J. Bodin, Les six livres de la
république (1576), V, 4. I titoli degli articoli nei quali Orazio è citato
( « Bataille », « Homicide », « Rois », « Sublime », « Épopée »,
« Tragique
», « Déclamation théâtrale »), danno un’idea della molteplicità degli aspetti
sotto i quali la
leggenda è stata affrontata dagli enciclopedisti. 5 C.-A.
Helvétius, De l’Homme (1773), cap. III : De la bonté de l’homme au berceau ;
J.-F. Senault, De l’usage des passions (1641), Discours II : « Du mauvais
usage de l’amour » ; J. J. Rousseau, Fragments.
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almeno tre letture
diverse, talvolte persino opposte.
C’è chi ha messo in risalto
la straordinaria prodezza guerriera, riscontrandovi il segno della divina
provvidenza (Dante, Petrarca).
c’è chi ha stigmatizzato la crudeltà del suo
fratricidio, riconoscendo in Orazio una volontà di potenza criminale e
sacrilega (Agostino e Pascal).
Vi è chi, poi, si è interessato al suo
processo, ora per elevarlo al rango di paradigma giudiziario
(Cicerone, Quintiliano, Guicciardini), ora per fare dell’assoluzione di
Orazio l’esempio di un
pragmatismo politico contrario agli interessi di una
repubblica fondata sul rispetto delle
leggi (Machiavelli).
Se Georges Dumézil
ha indicato i legami che uniscono l’epopea romana di Orazio con quei miti
antichi che vedono un solo eroe battersi trionfalmente contro tre avversari,
la molteplicità delle tradizioni ermeneutiche ispirate dalla leggenda romana
non fa altro che mettere in evidenza le due proprietà fondamentali
che l’apparentano al mito : le sue potenzialità esemplari, didattiche,
morali, e la sua attitudine alla plurivocità, ovvero il suo prestarsi a
diverse interpretazioni.
Non appena il racconto di Tito Livio diventa un
soggetto letterario in età moderna, è nell’ambito della scena che farà la sua
apparizione.
La trasposizione teatrale della leggenda di Orazio si effettua
in Italia nell’arco di un secolo, tra il 1546 e
il 1640.
Tale soggetto esce allora dalle nebbie insanguinate ed eroiche delle
origini di Roma
per venire a drammatizzare la situazione di un’Europa
lacerata.
In quest’epoca, la
ristrutturazione delle forme artistiche sui
modelli dell’antichità trova nel teatro il suo mezzo
di espressione
privilegiato.
Luogo di incontro tra autori e pubblico, tra tradizione
e
innovazione, tra storia e attualità.
Il genere drammatico è, più di ogni
altro, sensibile agli
orientamenti del potere e alle evoluzioni delle
mentalità.
Per questo, nel loro lavoro di
creazione, i drammaturghi si
ispirano spesso ad una realtà socio-politica determinata,
associandola ad un
soggetto letterario che acquisisce, in tal modo, una dimensione
profondamente
storica.
Dietro le sembianze mitiche degli Orazi e dei Curiazi si
affrontano,
nel 1546, Carlo Quinto e i prìncipi riformati tedeschi ; nel
1596, i cattolici e gli ugonotti ;
politiques, s.d., XIV, 8 ; G. B. Vico,
Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni
(1744),
I, II, Degnità LXXXIV ; II, V, chap. VI ; IV, X, chap. II et III.
---
G.
Dumézil, Horace et les Curiaces, Paris, Gallimard, 1942 et Heur et malheur du
guerrier, aspects
mythiques de la fonction guerrière chez les Indo-européens,
Paris, PUF, 1969.
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nel 1640, Louis XIII, il re très chrétien, e suo
cognato, il re cattolico di Spagna1.
Altrettanti
scontri fratricidi che
conferiscono alla vicenda antica un valore altamente attuale. Il
soggetto
romano trova, pertanto, un fertile terreno di sviluppo nel clima
socio-culturale
dell’Europa post-rinascimentale, in cui cresce, con un vigore
che non ha precedenti, il
potere delle monarchie nazionali e la distanza tra
le diverse religioni, e proprio mentre si
prefigurano le durezze
dell’assolutismo a scapito di un vecchio ordine aristocratico che
ancora
coltiva il sogno di un eroismo impossibile.
Nulla è allora più eloquente,
nella
cornice della Francia di Richelieu, dell’impresa di quel grande e
sventurato nobile divenuto,
in seguito alla clemenza del re, un comune «
servitore » dello Stato.
Sennonché, non è tanto l’aneddoto, per fascinoso e
istruttivo che sia, a suscitare
l’attenzione dei drammaturghi e a costituire
l’aspetto essenziale del soggetto letterario.
Sono soprattutto le diverse
poste in gioco – quella politica della ragion di Stato che fa
leva
sull’arbitrarietà del sovrano, e quella morale di una nuova teologia
incardinata sul libero
arbitrio individuale – di un conflitto che solleva
ovunque dei quesiti capitali. Che posto
ricopre la libertà d’azione degli
individui in seno ad un sistema politico rigido ed esigente?
In che modo
fare un uso morale di questa libertà quando le consegne del potere
e
dell’eroismo esigono il sacrificio ? E ancora, occorre seguire il dettato
della propria
coscienza anche quando esso sembra in palese contrasto con gli
imperativi della legge?
Sin
dove può estendersi la sfera della soggettività
nell’esercizio del potere ? Quali esili
frontiere separano la giustizia dalla
crudeltà, la passione e il dovere dalla follia omicida,
l’equità di una
prudenza indulgente dall’arbitrio dello Stato ? Le difficoltà e i problemi
che
solleva l’avventura di Orazio in ambito teatrale rivestono una portata
universale che esclude
ogni anacronismo. In virtù dell’elaborazione poetica,
l’avventura particolare assume, in
effetti, il valore di simbolo : ed è forse
questa la ragione per cui una antica leggenda come
quella degli Orazi e dei
Curiazi ha fatto breccia nell’immaginario dei poeti europei del XVI
e XVII
secolo e che essa può, ancor oggi, continuare a sedurci o a indignarci, a
emozionarci
o farci meditare.
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1 Si veda P. Larivaille, « L’Orazia de
l’Arétin, tragédie des ambitions déçues » in Les écrivains et le pouvoir
en
Italie a l’époque de la renaissance, Paris, Centre de Recherche sur la
Renaissance Italienne, 1973, pp. 279-
360 ; L. Bergel, « The Horatians and
the Curiatians in the Dramatic and Political-Moralist Literature
before
Corneille », Renaissance Drama, III, 1970, p. 226 et G. Couton, «
Horace et les problèmes contemporains »,
O. C. I, pp. 1542-1549.
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Per
illustrare la trasposizione della leggenda di Orazio sulla scena moderna
abbiamo
privilegiato un corpus di tre pièces:
-- L’Orazia di Pietro Aretino
(1546)
-- El honrado hermano di Lope de Vega (1598-1600)
-- l’Horace di Pierre
Corneille (1640).
La scelta di
queste tre opere, concepite in momenti
diversi, in paesi diversi e da drammaturghi rinomati,
obbedisce al proposito
di analizzare in profondità i vari contesti ideologici ed estetici,
allo
scopo di portare uno sguardo più consapevole sugli universi drammatici
di questi tre grandi
autori.
Per questo motivo, la pièce coeva di un poeta «
minore » quale Laudun d’Aigaliers,
quasi contemporanea de El honrado hermano,
non è stata, in un primo momento, presa in
considerazione.
Tuttavia, la
prospettiva nella quale abbiamo inteso esaminare il corpus di
opere in
questione ha permesso, in larga misura, di oltrepassare i limiti che una scelta
così
ristretta avrebbe potuto imporci. Nel corso dell’esplorazione del nostro
soggetto, infatti, ci
siamo interessati tanto ad una serie di dettagli
puntuali quanto a certe questioni di ordine
teorico, politico o culturale più
generali, spostandoci da una riflessione approfondita
concernente le tre
pièces verso il contesto più ampio della mentalità e della
drammaturgia
post-rinascimentali.
La nostra ambizione era di situare queste
tre trasposizione teatrali della
leggenda di Orazio all’interno dell’universo
culturale dal quale traggono ispirazione e del
quale restituiscono, al
contempo, un’immagine idealizzata e problematica.
Il segmento cronologico che
corrisponde alla scelta del nostro corpus è, del resto,
particolarmente
interessante, sia da un punto di vista storico, sia da un punto di
vista
squisitamente letterario. Queste prime trasposizioni teatrali della
leggenda di Orazio
vengono alla luce in un’epoca in cui il teatro europeo
conosce la sua fase più intensa di
dibattiti teorici e di attività scenica.
Esse maturano egualmente in un secolo estremamente
ricco, situato, sul piano
religioso, tra Riforma e Contro-riforma ; sul piano culturale,
tra
Rinascimento e Barocco ; sul piano politico, tra l’affermarsi degli
assolutismi e il declino
dell’egemonia aristocratica. Malgrado alcune
specificità nazionali e cronologiche che la
nostra analisi cercherà di far
emergere, questo secolo conosce, nei tre paesi considerati, un
clima
culturale piuttosto omogeneo: ciò ha permesso di riunire le pièces del nostro
corpus
all’interno di una riflessione unitaria riguardo all’eredità antica e
ad una tradizione cattolica
comuni, ma anche riguardo ad un aristotelismo
rinnovato che il Rinascimento italiano ha
trasmesso a tutta
l’Europa.
Nello studio di questo corpus ristretto, un ruolo importante è
accordato alle fonti.
Quelle primarie, fornite dalla storiografia e dalla
letteratura antiche, ovvero i passaggi
consacrati alla leggenda di Orazio
nelle opere di Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso,
Cicerone e Quintiliano,
costituiscono dei punti di riferimento costanti per la nostra analisi.
È,
invece, nella terza parte che abbiamo considerato le fonti secondarie,
esaminando le
interpretazioni che altri autori medievali e rinascimentali
(Agostino, Dante, Petrarca,
Machiavelli e Guicciardini1) hanno proposto
dell’episodio narrato da Tito Livio.
Esse
arricchiscono notevolmente il
nostro esame, che si dispiega allora in un’ottica diacronica,
volta a sondare
la molteplicità di prospettive offerte ai drammaturghi moderni nella
loro
personale trasposizione della leggenda romana.
La constatazione
dell’abbondanza e della varietà di manifestazioni che l’episodio
ha
conosciuto sulla scena tra il Rinascimento e la Rivoluzione francese, ci
ha condotto,
nell’ultima porte della tesi, ad estendere il nostro campo di
ricerche ad alcune versioni
drammatiche e liriche posteriori a Corneille.
Nell’ambito di uno studio più ampio,
finalizzato alla ricostruzione di un
possibile « mito letterario di Orazio », abbiamo preso in
considerazione
altre versioni drammatiche, in particolare tre pièces del XVIII secolo,
che
abbiamo riprodotto come annessi alla tesi, e alcuni libretti d’opera.
Il
segmento cronologico
tracciato dal nostro corpus di base si allarga, allora,
sino ad abbracciare l’intero periodo
dell’Ancien Régime, in seno al quale
affiora una coerenza culturale che consente di
iscrivere l’insieme delle
pièces considerate in un corpus unitario.
L’originalità del nostro approccio
comparativo non si riduce al fatto di ritornare su
un corpus solo
parzialmente esplorato in passato, ma consiste nell’abbordarlo sotto
nuovi
profili, che vanno dalla storia delle idee e dei generi letterari
all’analisi drammaturgica e
mitopoietica. Tre diverse assi di ricerca
presiedono alle tre grandi articolazioni del nostro
studio : nella prima
parte si è cercato di ricollocare le opere di Aretino, Lope de Vega
e
Corneille nel loro contesto culturale dei secoli XVI e XVII, esaminando
l’adattamento
moderno del soggetto degli Orazi e dei Curiazi, inteso come una
« tragedia del potere » e
come un « dramma d’onore » ; nella seconda parte,
abbiamo analizzato le tre pièces in
---
1 De civitate dei, III, 14 ; Convivio,
IV, 4-5 et De Monarchia, II, 9 ; De viris illustribus [III. De
Tullio
Hostilio tertio Romanorum rege] ; Discorsi sulla prima Deca di
Tito-Livio, I, 21-24 ; Considerazioni intorno
a « Discorsi » del Machiavelli,
I, 23-24.
7
relazione ai presupposti teorici della drammaturgia moderna ;
infine, nella terza sezione
abbiamo esteso le nostre ricerche ad alcune delle
principali mutazioni sceniche che la
leggenda romana subisce nei secoli
successivi, tentando di ricostruire le linee generali di un
possibile « mito
di Orazio ».
Prima parte
RIATTUALIZZAZIONE DELLA STORIA DI
ORAZIO:
CONTESTO IDEOLOGICO
E CULTURALE, la prima parte della tesi ha inteso
situare le prime trasposizioni teatrali della
leggenda romana nell’universo
culturale in cui sono apparse.
A questo scopo, sono state
individuate ed
esaminate le problematiche sulle quali il soggetto romano richiedeva
una
riflessione di natura politico-sociale, politico-giuridica ed
etico-teologica, prendendo in
considerazione, da un lato, il contesto
storico, puntualmente interrogato attraverso l’esame
delle fonti (trattati,
pamphlets, opere apologetiche) e, da un altro lato, il contesto
propriamente
teatrale, attraverso il passaggio in rassegna delle diverse
tradizioni
drammatiche in vigore all’epoca : la tragedia senecana, la
tragedia classica francese, la
tragi-commedia spagnola. In una prima fase,
abbiamo tentato di ricostruire la storia di una
« tragedia del potere » in
Europa, all’interno della quale il soggetto di Orazio avrebbe
potuto
esprimere i suoi caratteri politici non meno che il conflitto pubblico che
esso
sottende tra il re o il popolo e la figura guerriera di Orazio,
divenuta, agli occhi dei
drammaturghi moderni, l’icona dell’aristocrazia. In
una seconda fase, abbiamo
riconsiderato il ruolo del genere « dramma d’onore
» a livello transnazionale ed esaminato
il nostro corpus sotto un aspetto
socio-etico e teologico-morale, facendo emergere le poste
in gioco di un
conflitto privato che riguarda, questa volta, la dignità del protagonista.
La
tematica teatrale dell’onore funge, qui, da prisma analitico per uno
studio di tipo semanticostrutturale.
L’obiettivo di questo primo approccio
comparativo è duplice: per un verso, si
tratta di mostrare la solidarietà
esistente tra la riflessione politica e morale che il soggetto di
Orazio ha
potuto suscitare in età moderna e i mezzi di espressione offerti dal teatro; per
un
altro verso, i modi in cui i modelli drammatici forgiano anch’essi il
soggetto e imprimono
su di esso dei tratti semantici e formali
caratteristici.
LA TRAGEDIA DEL POTERE
Nel nostro primo
capitolo, siamo andati alla ricerca dei presupposti culturali e
drammatici
che intervengono nella trasposizione teatrale delle figure del potere. In
un
primo momento, lo studio della tematica monarchica ha permesso di cogliere
i modelli
convenzionali secondo i quali la figura reale investe il teatro in
età moderna. In un secondo
momento, si è cercato di cogliere i mezzi di
espressione attribuiti al popolo, attore politico
che partecipa attivamente
al destino di Orazio, anche tenendo conto del fatto che l’universo
tragico,
espressione privilegiata delle classi dominanti, lo esclude per
definizione.
1. Immagini e rappresentazioni del re
Sono state individuate
tre figure reali che corrispondono a tre diversi modelli
teatrali. Per
contrasto rispetto alla figura eroica del buon principe, rispettoso del diritto
e più
incline alla clemenza che non alla vendetta, si profila la figura del
tiranno, immagine
rovesciata del ritratto precedente. All’espressione tragica
di queste due opposte figure del
potere, corrispondono due correnti tragiche
ben distinte : un tragico dell’orrore, che affonda
le radici nel tragico
greco-romano, sopratutto Seneca ; e un tragico d’ascendenza epica,
costruito
sulla storia. Il Secolo d’Oro spagnolo, con le sue particolarità, fa sua
questa
distinzione e vi aggiunge una terza modalità rappresentativa. Mirando
a simboleggiare le
forme del governo tirannico, senza per questo portare
pregiudizio alla natura divina del
potere reale, il teatro spagnolo introduce
un nuovo modello drammatico: le pièces
“politiche” più importanti di Lope de
Vega presentano il loro principale conflitto
drammatico nelle figure
rappresentative di una nobiltà ribelle, di un signore locale che
esercita un
potere dispotico sul popolo e di un monarca che, spesso, appare nelle vesti
di
giudice, la cui funzione principale è quella di ristabilire l’ordine
sociale.
Per creare la loro versione del re Tullo Ostilio, i drammaturghi
fanno appello a una
duplice caratterizzazione del personaggio : la
costruzione della figura di Tullo sulla scena
dipende, al contempo, dalla
continuità di una tradizione storica e dall’applicazione di un
modello
drammatico determinato. Abbiamo analizzato il modo in cui la
rappresentazione
teatrale del re supera gli apparenti paradossi tra la figura
guerriera della tradizione epica e il
re magnanimo e giustiziere della
convenzione teatrale. Abbiamo constatato che se vi è una
parentela ideologica
stretta tra i re del teatro europeo, è soprattutto perché la
figura
letteraria del re si ispira agli stessi dibattiti e alle correnti di
pensiero transnazionali
trasmesse alla posterità essenzialmente sotto
due forme : i trattati giudiziari che vertono
sulla teoria dell’origine
divina della sovranità e la tradizione panegirica dello
speculum
principis.
2. Immagini e rappresentazioni del popolo
Se il
ritratto del principe è un autentico topos letterario, che permette di
ritrovare
nelle tre pièces un’immagine omogenea del re, la caratterizzazione
del popolo è, invece, di
natura strettamente politica. La nostra ricerca si
estende dalla Venezia repubblicana degli
anni 1540 alla Francia assolutista
degli anni 1640. Se la topica panegirica dei grandi e dei
re era comune a
tutta l’Europa, la percezione del popolo varia notevolmente a seconda
del
tipo di organizzazione politica che la considera. Il popolo rappresentato
nell’Orazia e
l’immagine che ne offrono l’Horace di Corneille o El honrado
hermano di Lope de Vega,
non hanno proprio nessun punto in comune: si tratta
di concezioni della res publica
antitetiche e opposte. Da un lato,
l’aspirazione repubblicana (espressa, come è noto, da
Machiavelli nei suoi
Discorsi) concepisce un modello dello stato basato su un
compromesso tra le
diverse parti del mondo politico, che cerca un equilibrio, garantendo
la
libertà del popolo attraverso il rispetto delle leggi. Da un altro lato,
il pensiero assolutista
vede nell’aspirazione della libertà del popolo una
minaccia permanente per il sistema.
Il Popolo, che l’Aretino presenta
nell’Orazia come un personaggio e come un vero attore
politico, riflette un
modello repubblicano simile a quello esposto da Machiavelli. Il
protagonismo
accordato a questo personaggio è verosimilmente il segno della sua
visione
politica. Essa assume la forma di un regime ibrido, in cui
s’intrecciano elementi ereditati
dalla storia ed elementi della vita politica
italiana contemporanea. La Roma dell’Orazia
non è una monarchia ereditaria ma
una monarchia elettiva, più vicina alla Roma
dell’antichità, del papato o del
dogato veneziano che non alle monarchie francese o
spagnola. D’altra parte,
l’equilibrio dei poteri che l’Aretino auspica nel suo sviluppo
tragico, è
meno tributario di una speculazione politica realistica che dell’ideale del
vivere
civile e dell’influenza che sul pensiero rinascimentale hanno avuto le
teorie del governo
misto (Aristotele, Polibio, il Machiavelli dei
Discorsi).
L’universo politico rappresentato nelle pièces spagnola e francese
corrisponde alla
visione della politica propria dei regimi autoritari e
fortemente gerarchici delle monarchie
europee post-rinascimentali. Nella
realtà sociale, così come nella rappresentazione
drammatica, il popolo
resta in secondo piano : non essendo considerato come un attore
politico esso
è costantemente tenuto a distanza dalle istanze del potere, dal principe e
dai
personaggi nobili. Ne consegue, sul piano teatrale, un allontanamento del
popolo dalla
scena.
Tuttavia, il popolo svolge un ruolo di prim’ordine
nello sviluppo storico della
leggenda di Orazio. Antecedente mitico di una
istituzione repubblicana, la provocatio ad
populum costituisce l’esito
dell’episodio di Orazio così come Tito Livio lo racconta. Tra le
versioni
teatrali che hanno conservato la conclusione originale, solo l’Orazia include
il
personaggio del popolo. Se nella pièce rinascimentale si riscontra la
presenza di un
personaggio “collettivo” chiamato Popolo, gli autori
drammatici dell’assolutismo hanno
scelto di non mostrarlo. Corneille si
accontenta di evocarlo, mentre, nella pièce di Lope de
Vega, nella quale esso
concorre allo sviluppo drammatico, risuonerà la sua voce ma non lo
si vedrà.
Queste diverse scelte estetiche, che consistono nel rappresentarlo, nel celarlo
o
semplicemente nell’escluderlo dalla scena rivelano volta per volta una
scelta politica ben
precisa.
I processi di Orazio
La messa in scena
del processo di Orazio offre, al teatro moderno e al genere tragico
in
particolare, la possibilità di rappresentare dei grandi conflitti politici e
morali attraverso
magnifici dialoghi che argomentano, sul modello della
retorica giudiziaria, i motivi degli
atti, il peso delle decisioni e la
gravità delle colpe.
Alla messa in scena delle passioni si
aggiunge quella
delle idee e si sovrappone quella delle ideologie. Ricche di
potenzialità
semantiche, le due rivoluzioni politico-giuridiche che la
leggenda di Orazio avrebbe
tradotto in termini epico-storici, vale a dire il
consolidamento dell’autorità reale a scapito
dei patres e l’istituzione della
provocatio ad populum (preludio di un futuro sviluppo del
potere del popolo
sotto la Repubblica), incontrano nel teatro delle problematiche
sociopolitiche
moderne come la crisi dell’aristocrazia e la centralizzazione
del potere negli stati
monarchici (Francia e Spagna), o il desiderio di
partecipazione dei cittadini nelle
repubbliche italiane che avevano allora
tendenza a diventare dei regimi oligarchici.
Così, il
cittadino della
Serenissima Repubblica, Pietro Aretino, mette l’accento sull’importanza
della
provocatio ad populum, ampiamente drammatizzata, laddove il suddito di
Richelieu,
Pierre Corneille aspira, per un verso, a illustrare la superiorità
della giurisdizione reale ai
danni del diritto consuetudinario e delle
vendette private e, d’altra parte, la sottomissione
all’autorità monarchica
del potere aristocratico delle grandi famiglie, ignorando ogni
riferimento al
popolo. Se gli storici antichi hanno segnalato due evoluzioni maggiori
nel
pensiero giuridico di Roma, i drammaturghi moderni hanno saputo leggere e
interpretare i
loro corollari politici, rilevando in modo tragico le loro
contraddizioni più acute. In questa
ultima sezione abbiamo inteso mettere in
risalto la semantica profonda di questo processo
leggendario nel teatro, la
sua elaborazione formale attraverso la retorica antica (che si è
sopratutto
avvalsa dell’eredità ciceroniana) e la sua trasformazione ideologica mediante
le
dottrine politiche della modernità, nell’intento di restituire
un’interpretazione politica
dell’episodio degli Orazi e dei Curiazi in ambito
teatrale.
IL DRAMMA DI ONORE
La questione dell’onore è
centrale nei drammi di Orazio, al punto che è possibile
ricondurre il
soggetto di Orazio a una drammaturgia dell’onore.
Nel nostro secondo
capitolo
abbiamo affrontato il tema dell’onore considerandolo dapprima come mentalità
e,
in un secondo momento, come tematica specificamente teatrale.
Concezioni dell’onore nei secoli XVI e XVII
L’onore è un fenomeno sociale,
etico, giuridico e letterario costitutivo delle società
dell’età barocca.
Questo sentimento di auto-stima è percepito e vissuto in modi diversi
a
seconda delle situazione storiche e dei diversi paesi. Nell’Italia del XVI
secolo, l’origine
della concezione dell’onore rimanda soprattutto all’etica
greco-romana della magnanimità,
adottata e adattata dal nuovo pensiero
rinascimentale. In Spagna esso è l’esito, da un lato,
delle reminiscenze del
codice feudale e cavalleresco, che ancora animava la lotta dei
cavalieri
spagnoli contro i mori, dall’altro, dei dibattiti a proposito della « purezza
di
sangue » che introducono, nella penisola iberica, certe abitudini sociali
caratterizzate dalla
sfiducia nei confronti della pubblica reputazione. La
Francia dell’inizio del XVII secolo
ripensa il lascito culturale antico e
l’influenza dell’onore tipicamente spagnolo, nel senso
della nozione di
generosità, nozione che recupera gli antichi presupposti elitari
superandoli
in virtù dell’intermediario di un razionalismo e di un
volontarismo nuovi. Fatte salve talune
puntuali specificità socio-culturali e
giuridiche, nel corso dei secoli XVI e XVII viene
sviluppandosi un’etica
aristocratica della grandezza, centrata sull’idea di onore maschile e
i
cui tratti principali si ritrovano in tutta Europa.
Orazio e la
drammaturgia dell’onore
Considerate e l’importanza della nozione di onore nel
clima culturale del periodo di
cui ci occupiamo e le caratteristiche del
nostro soggetto, che mette in scena il castigo che il
nobile Orazio si arroga
il diritto di esercitare sulla propria sorella, rea di aver
oltraggiato
l’onore dell’eroe e di Roma, ci è sembrato fruttuoso esaminare i
drammi di Orazio come dei
drammi d’onore. Questa decisione è giustificata dal
fatto che si tratta di una modalità
drammatica specifica al barocco spagnolo
ma suscettibile di essere facilmente estesa ad
altre letterature. Avvalendoci
della definizione che Alfonso de Toro stabilisce per illustrare
il dramma
d’onore in Europa e dei codici drammatici che lo connotano,
abbiamo
interrogato la struttura del soggetto di Orazio nelle sue diverse
espressioni, nell’intento di
chiarire il trattamento drammatico del soggetto
romano in età moderna, considerandolo
come una manifestazione particolare e
complessa di un certa drammaturgia dell’onore.
Ora, perché possa essere
applicato al di là delle frontiere letterarie iberiche, il
criterio
definitorio del dramma d’onore doveva essere sufficientemente largo per
poter
rappresentare un ricco corpus a carattere transnazionale, suscettibile
di evolvere all’interno
di diversi sistemi di formalizzazione dal
Rinascimento al Classicismo. Tale criterio doveva
egualmente poter
comprendere certe pièces contenenti degli intrecci tematici
complessi,
espressi sotto forme tragiche o tragicomiche. Se abbiamo scelto di
servirci della definizione
di Alfonso de Toro è perché essa riesce a
soddisfare queste esigenze: « siempre que un
personaje se siente herido en su
honor, con derecho o sin él, y quiere restablecerlo,
estamos ante un drama de
honor, y el conflicto consecutivo adopta la forma de
manifestación de una
determinada estructura de personajes y de acción, así como una
retórica
típica1 ». I termini di questa definizione possono soddisfare bene anche
le
caratteristiche del soggetto di Orazio, se si intende l’assassinio
commesso dall’eroe come
un mezzo di riparazione del suo onore (e di quello di
Roma), vilipeso dall’attitudine
oltraggiosa di sua sorella e se si interpreta
il processo di Orazio come un modo di ristabilire
nella sua dignità il
giovane campione, caduto in disgrazia dopo essersi reso colpevole di
un
omicidio. Da un punto di vista strutturale, il soggetto di Orazio sembra
rispondere alla
---
1 A. de Toro, De las similitudes y diferencias. Honor y drama
en los siglos XVI y XVII en Italia y España,
Madrid, Iberoamericana, 1998, p.
245.
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dinamica (offesa / vendetta – restaurazione) caratteristica dei
drammi d’onore. Questa
dinamica colloca l’eroe al centro del conflitto in
quanto disonorato-vendicatore e in quanto
disonorato-offenditore. Ora, la sua
illegittima vendetta lo situa in una condizione
estremamente ambigua : nella
sua attitudine riparatoria, egli trasgredisce i limiti imposti dal
codice
d’onore e si rende responsabile a sua volta di una grave offesa ai danni di suo
padre
e di Roma. Uccidendo sua sorella, Orazio precipita in una situazione
paradossale : è allo
stesso tempo disonorato, vendicatore e offenditore. I
motivi di questa complessità si
spiegano alla luce delle insufficienze
rispetto alla norma dei “codici” drammatici
dell’onore, in cui il soggetto di
Orazio può inserirsi in un regime di composizione e di
trasgressione.
Orazio e l’etica della grandezza.
Principio morale generatore di grandi
azioni, la magnanimità, categoria filosofica
che ingloba quella dell’onore,
si rivela una nozione indispensabile per mostrare le
implicazioni morali che
i drammaturghi hanno ricavato dal soggetto di Orazio. L’analisi
delle fonti
antiche alle quali gli autori hanno attinto la loro concezione della grandezza,
ci
ha permesso di spiegare in che modo, a partire da certe considerazioni
filosofiche, essi
hanno forgiato, sulla scena, un’immagine proteiforme ma
coerente dell’eroe leggendario,
orientandola in una prospettiva morale.
La
nozione di magnanimità attraversa i tre grandi momenti dell’azione
nelle
tragedie di Orazio: il combattimento, il parricidio, l’assoluzione.
Essa è consustanziale
all’eroe guerriero, il quale fa prova di forza e di
coraggio (e dunque di grandezza d’animo,
nella misura in cui la forza e il
coraggio sono delle modalità della magnanimità), vincendo
la guerra solo
contro tre avversari. Essa muove il braccio dell’eroe vendicatore,
che
assimila ad un atto di giustizia il sacrificio della sorella, compiuto
all’insegna della ragione
e del dovere patriottico. Essa caratterizza,
infine, il verdetto del sovrano-giudice (sia esso
rappresentato dal popolo o
dal re), il quale riconosce, magnifica e perdona, l’« eccesso »
di
magnanimità del suo suddito, correggendolo e superandolo in virtù della
sua propria
clemenza, sorta di grandezza d’animo di livello
superiore.
Questi tre momenti dell’azione mettono in scena tre concezioni
diverse della
magnanimità. L’eroismo di Orazio, cosciente della nobiltà della
propria natura e della
necessità di non indietreggiare di fronte
all’occasione di fare grandi azioni, sembra riflettere
l’ideale
aristocratico della magnanimità che Aristotele descrive nell’Etica a Eudemo
e
nell’Etica a Nicomaco. Il rigorismo morale del vendicatore, che pretende di
farsi giustizia
da solo, gli conferisce dei tratti nettamente stoici : il
guerriero diventa giustiziere, sorta di
semi-dio incline a subordinare ogni
cosa ai doveri di una ragione astratta e autarchica.
Infine, la clemenza del
sovrano-giudice, interprete in terra della volontà divina, rappresenta
la
magnanimità cristiana, priva di ogni orgoglio, sguarnita di ogni eccesso. Il
sovranogiudice
incarna il più alto grado della grandezza, quella che risiede
nell’anima di quello che
esercita il perdono. La grazia che il popolo o il re
accordano a Orazio è, simultaneamente,
un effetto drammatico, un coup de
théâtre e un atto dotato di una portata morale e politica
profonda, che
rivela tutta una filosofia dell’esistenza e conferisce al dramma una
finalità
edificante.
In conclusione di questa prima parte, poiché il
soggetto di Orazio si presta ad essere
esaminato nella sua natura di caso,
giuridico certo, ma ancor prima morale, ci siamo
proposti di considerare le
sue trasposizioni drammatiche alla luce delle teorie del
probabilismo facenti
capo al metodo della casuistica della teologia morale post-tridentina.
Senza
pretendere che i drammaturghi abbiano direttamente applicato il metodo casuista
ai
drammi di Orazio, né che l’argomentazione che essi sviluppano,
specialmente nella messa
in scena del processo, obbedisca perfettamente a dei
principi teorici riconducibili in toto a
questa dottrina, abbiamo inteso
misurare l’influenza che l’idea che essi hanno potuto farsi
di questo metodo
di argomentazione morale e della concezione dell’uomo e della sua
libertà,
del peccato e della salvezza che la giustificano, hanno potuto avere sul
trattamento
drammatico dell’episodio romano. Due aspetti hanno
particolarmente catturato la nostra
attenzione: in primis, la soggettività
morale che presuppone la tesi probabilista secondo la
quale è sufficiente
essere convinti della giustezza di un’azione perché questa abbia
un
fondamento morale accettabile; in secundis, il carattere probatorio della
retorica nel metodo
casuista, essendo la casuistica una scienza nella quale
si tratta di dimostrare la moralità di
una certa azione in ragione della
verosimiglianza degli argomenti che si possono addurre
per difenderla.
Attraverso questo prisma etico, la vendetta e il processo di
Orazio
guadagnano una nuova via interpretativa e si rivelano intelligibili
nei termini di una messa
in scena di una riflessione sugli aspetti più
problematici legati ai dibattiti contemporanei sul
libero
arbitrio.
Un’inchiesta sulle forme drammatiche non
poteva fare l’economia di
un’interrogazione specificatamente teatrale, ovvero
di un’analisi degli usi e delle strategie
poetiche che le concernono. Tale
inchiesta è l’oggetto della seconda parte della tesi
intitolata
I DRAMMI DI
ORAZIO E LA DRAMMATURGIA MODERNA.
Per cominciare, abbiamo
riunito le tre
pièces del nostro corpus riguardo ad una tradizione letteraria
condivisa
(capitolo 3), ora studiando il rapporto che esse intrattengono con
l’eredità dell’antichità e
con gli orizzonti di attesa del pubblico teatrale
(capitolo 4), ora analizzando il rinnovamento
operato nel soggetto antico
attraverso l’introduzione della tematica amorosa (capitolo 5).
Questa prima
indagine si è rivelata necessaria per affrontare l’importante questione di
come
l’episodio storico sia riconsiderato e rielaborato in vista della sua
trasformazione in chiave
drammatica. Affrontata questa prima trasformazione
riguardante il soggetto teatrale, ci
siamo spostati verso il quadro teorico
nel quale si iscrive la scrittura di ognuna delle
versione sceniche della
leggenda di Orazio (capitolo 6). Nel caso delle trasposizioni teatrali
del
soggetto di Orazio, questo esame è apparso tanto più fecondo e interessante in
quanto il
momento in cui le pièces vengono concepite coincide con alcune
tappe chiave
nell’elaborazione della poetica moderna.
ADATTAZIONE DELLA MATERIA EPICA
Analizzando il racconto che Tito Livio redige
nella sua Storia romana antica, abbiamo
messo in luce le notevoli potenzialità
drammatiche presenti nel testo antico, che occorre
concepire, innanzitutto,
come un opus oratorium.
Le caratteristiche di questa fonte
permettono ai
drammaturghi di soddisfare le esigenze della scena e di applicare le
regole
della loro arte senza imbattersi nelle difficoltà che una materia
ingrata o ribelle pone alla
trasposizione drammatica.
A partire dalla
distinzione formale tradizionalmente irriducibile
che, dai tempi di
Aristotele, separa il genere epico dal genere drammatico, abbiamo
osservato
come affiorino delle risonanze epiche nei drammi, non solo rispetto al
soggetto
che i due generi hanno in comune, ma anche alle modalità di
formalizzazione. L’esame
delle modalità che assume la forma narrativa nel
teatro, forma generalmente epica, ci a
condotto a distinguere le
trasposizioni tragiche di tipo “classico” dalle forme della
comedia,
reticenti alla narrazione.
Abbiamo, infine, costatato come i
drammaturghi abbiano trovato nell’imitazione di
Tito Livio un’ispirazione
epica che persiste nelle loro pièces.
A questo proposito, ci
siamo
interrogati sui meccanismi che rendono possibile il passaggio da un
registro all’altro.
L’esplorazione delle fondamenta epiche delle pièces
moderne si è rivelato propedeutico ad
un triplice chiarimento : la messa in
evidenza dell patrimonio liviano che le tre opere hanno
in comune; la
valutazione dell’originalità delle scelte effettuate nella materia antica
;la
misurazione, infine, della distribuzione di questa materia nei drammi
secondo diversi
processi dispositivi di adattamento. Questa triplice
ricognizione ci ha permesso di portare
uno sguardo più penetrante sulla
materia di Orazio, e di cogliere le motivazioni delle scelte
estetiche
adottate nelle varie circostanze. La comparazione dei diversi adattamenti
alla
scena della materia guerriera e degli aspetti religiosi che derivano
dalla fonte latina ha
permesso di comprendere meglio il modo in cui avviene,
in un primo tempo, la
trasposizione teatrale della leggenda di Orazio,
semplicemente recuperando certi materiali,
in origine epici, per conferire a
questi una forma adatta e una funzione appropriata
all’interno della
struttura drammatica.
RIFORMULAZIONE DEL SOGGETTO ANTICO
La
prima tappa nel processo di trasposizione drammatica coincide con la scelta
del
soggetto.
Ci siamo interrogati, a questo proposito, sulla maniera in cui
gli autori moderni
hanno letto e interpretato la fonte antica, avendo come
obiettivo comune quello di estrarre
dalla materia epica un soggetto teatrale.
Questo soggetto sarà l’esito di una laboriosa
composizione, realizzata a
partire da elementi comuni, modellati diversamente in virtù
dell’ottica
propria ad ogni autore, sia essa tragica o eroica. Sotto questo profilo, la
teoria
drammatica diventerà non solo una guida di lettura, ma anche il punto
di partenza di
un’interrogazione di fondo, concernente direttamente il
soggetto degli Orazi e dei Curiazi e
la sua elaborazione poetica.
È legittimo
fare del patriota romano, resosi deliberatamente
carnefice della propria
sorella, un eroe di teatro nei confronti del quale lo spettatore è
chiamato
ad identificarsi ? Attraverso quali strategie i drammaturghi cercheranno
di
favorire questa identificazione ? Sino a che punto si può dire che essa
abbia avuto successo
o meno?
Sono questi alcuni degli interrogativi
con i quali ci siamo confrontati in questo
capitolo.
Applicando sul
racconto di Tito Livio i parametri del metodo aristotelico
della
composizione, abbiamo osservato, in primo luogo, che l’episodio
storico, nella sua
formulazione latina, già si prestava ad una rilettura
tragica del mito guerriero.
Ma, da
questa analisi scaturisce anche la
difficoltà principale che i drammaturghi hanno
verosimilmente riscontrato
quando hanno inteso fare dell’eroe antico un personaggio
tragico : si tratta
della natura e della portata del crimine che egli ha commesso, il quale
alla
luce delle categorie della Poetica, deve intendersi come hamartía (colpa
tragica).
La messa
in scena di un eroe criminale in epoca post-rinascimentale
presupponeva, in effetti, una
rielaborazione del soggetto antico che tenesse
conto, allo stesso tempo, delle esigenze della
cultura cristiana e delle
prescrizioni della nuova teoria poetica.
Poiché la trasposizione
drammatica
della leggenda di Orazio è contemporanea alla formazione di questa
poetica
teatrale, non possediamo nessuna testimonianza che attesti il
problema fondamentale posto
dalla sua elaborazione poetica, né possediamo
alcuna testimonianza di soluzioni che
avrebbero potuto essere suggerite dai
teorici.
Così, ci siamo determinati a stabilire un
parallelo tra l’antico
mito di "Oreste", eroe matricida, e quello del parricida Orazio, allo
scopo di
comprendere meglio l’uno alla luce dell’altro.
Questo parallelo trae
una
giustificazione, tra le altre cose, nel fatto che i due soggetti
esibiscono delle componenti
narrative analoghe.
Alla luce del dogma
moderno della colpa perdonabile (faute excusable), il soggetto
degli Orazi e
dei Curiazi subisce ancora delle trasformazioni degne di nota.
Senza
alterare
le diversi componenti dell’azione, i drammaturghi modificano il
soggetto applicando sulla
materia trasmessa dalla tradizione il dispositivo
retorico della translatio criminis, che
permetteva, nel discorso giudiziario,
di attribuire alla vittima la responsabilità del crimine.
Quando il
trasferimento di responsabilità è totale il soggetto si presta a essere
considerato in
una prospettiva eroica per la quale il crimine di Orazio viene
ad identificarsi ad una
vendetta legittima.
Quando, invece, questo
trasferimento è solo relativo,
il soggetto
è considerato
in una prospettiva tragica
per cui la
responsabilità del
crimine
sarebbe condivisa, attenuando
di fatto la colpa dell’eroe: è il
caso
delle tragedie italiana.
Un’ultima difficoltà di
principio è stata, infine, affrontata : quella di un soggetto che si
presenta
nel suo essere etico a priori.
Esaminando il finale della leggenda
abbiamo
osservato come l’eroe sia invariabilmente assolto, non perché egli
sia stato riconosciuto non
colpevole ma a causa della sua virtù, ovvero del
suo ethos.
Questa caratteristica intrinseca
al soggetto collide con il
principio aristotelico della composizione, per il quale l’azione
precede
sempre i caratteri : e ciò potrebbe spiegare talune contraddizioni che la
critica ha
spesso rimproverato ai drammi di Orazio, in particolare a quello
di Corneille.
INTRODUZIONE DELLA TEMATICA AMOROSA
Estranea
all’episodio epico narrato da Tito Livio, la tematica amorosa è
una
prerogativa delle versioni drammatiche della leggenda.
L’illustrazione
dell’amore è un
elemento indispensabile al teatro in quanto risveglia
l’emozione e, in ciò, contribuisce agli
effetti catartici di purificazione e
d’istruzione morale cui aspira; concorre al piacere dello
spettatore, che è
l’altro fine principale della rappresentazione ; e, in ultima istanza, orna
la
pièce, forte della sua retorica delicata che contrasta con la gravità del
discorso politico,
giudiziario o morale. Ma non è tutto. Avvalendosi della
tematica amorosa, i drammaturghi
moderni hanno egualmente trasformato il
soggetto epico apportandovi degli elementi
inediti, suscettibili di creare
nuove peripezie o di consolidare la struttura delle pièces, di
corroborare la
lezione dell’avventura antica o di sfumarla. Essa interviene
quindi
direttamente nella composizione del soggetto teatrale.
Del resto,
abbiamo osservato che l’introduzione della sfera dell’amore è essa
stessa
generatrice di invenzioni : essa dà impulso a nuovi intrighi,
concepisce nuovi personaggi o
modifica i legami tra quelli già esistenti.
Abbiamo considerato a questo proposito, due
schemi fondamentali di invenzione
drammatica di cui i poeti potevano servirsi.
Il primo, di
origine antica, è
quello che Aristotele chiama nella sua poetica « la lotta tra prossimi »,
la
violenza compiuta nell’ambito di un’alleanza. Il secondo, di origine
moderna, è quello che
si chiama comunemente « la catena degli amori », la
rete di legami affettivi che
moltiplicano i conflitti tra i protagonisti
dell’azione, e che si esprime notoriamente nella
commedia mediante il
triangolo amoroso. Attraverso l’analisi dell’attuazione di questi
schemi di
invenzione legati alla tematica amorosa, abbiamo potuto studiare il rapporto
che
intercorre tra la materia ricavata dalle fonti e la struttura dei
personaggi che presenta la
forma drammatica.
In un secondo momento,
abbiamo focalizzato la nostra attenzione non più sul
soggetto bensì sul
conflitto drammatico creato dai poeti moderni.
Le esigenze della
passione
amorosa, confrontate con i rigori del fervore patriottico, con le necessità
della
pietà familiare o con le intransigenze dell’onore, producono delle
opposizioni
eminentemente drammatiche, che portano a termine il processo di
trasposizione del registro
epico nell’ambito teatrale.
Si è trattato
soprattutto di gettare luce sulle fonti alle quali i
drammaturghi hanno
attinto l’ideale sentimentale che essi presentano nelle loro pièces e
di
vedere se si potevano dedurre, dalle diverse concezioni della passione
amorosa, le basi dei
singoli conflitti drammatici.
Infine, in virtù
dell’importanza della tematica amorosa ai fini
della composizione del
soggetto, la visione di insieme del complesso reticolo di
tensioni
drammatiche che esibiscono le diverse trasposizioni del soggetto di
Orazio ci ha indotto a
considerare la portata del protagonismo dei personaggi
femminili nelle pièces. Mentre il
genere epico tende a riservare il ruolo di
personaggi principali agli eroi maschili, il dramma
mette in rilievo le
sofferenze della donna innamorata, portando sulla scena, secondo
gradi
diversi, il dolor e il furor tragici, specificatamente femminili.
L’universo epico,
contrassegnato, già nella tradizione omerica, dai valori
eroici e maschili della gloria e del
coraggio, viene sconvolto dalla presenza
di un conflitto sentimentale.
L’elemento patetico,
suscitato dall’esibizione
della sofferenza della giovane vittima.
La promozione di questo
personaggio,
che passa da una semplice allusione in Tito Livio al rango di
personaggio
centrale, hanno permesso di riflettere sullo statuto del
protagonista teatrale.
Nello stesso
tempo, abbiamo cercato di dimostrare che
se il soggetto tragico di Orazio produce tanti
paradossi e alcune debolezze
(quelle che abbiamo rilevato soprattutto nel capitolo 4) è
perché il suo
trattamento drammaturgico ricopre una duplicità prospettica
legata
all’applicazione di certi modelli preesistenti.
LA
MESSA IN FORMA TEATRALE
Abbiamo presentato, in questo capitolo, la
trasposizione scenica del soggetto di
Orazio come il risultato
dell’espressione di un’idea generale del teatro, e di una
applicazione
particolare di essa. Il nostro obiettivo è stato quello di analizzare la
struttura
drammatica che condiziona le riprese moderne della materia di
Orazio, basate sugli
strumenti teorici o, se si preferisce, sulla filosofia
estetica che, esplicitamente o
implicitamente, ha influenzato i diversi
autori e le diverse epoche.
A questo fine, ci siamo
rivolti a coloro che
erano i principali soggetti di riflessione poetica nel momento in cui
il
genere drammatico ha conosciuto la sua più grande vitalità : la questione
dell’imitazione,
destinata a rendere una certa immagine della realtà storica
secondo i canoni della
verosimiglianza e del decorum, da un lato; l’esigenza
di unità e di coerenza nella
costituzione dell’intrigo della sua impalcatura
spazio-temporale, dall’altro. Nel primo caso,
abbiamo principalmente tenuto
conto delle convinzioni del pubblico; nel secondo caso,
delle particolarità e
dei limiti della scena.
Le pièces dell’Aretino, di Lope de Vega e di
Corneille, vengono alla luce a distanza
di mezzo secolo l’una dall’altra, in
un’epoca che ospita alcune tappe fondamentali
nell’elaborazione della poetica
moderna. Per situare gli adattamenti teatrali nell’itinerario
evolutivo di
questo contesto estetico, abbiamo interpellato il pensiero teorico sul
teatro,
sviluppato dai trattatisti italiani dei secoli
XVI e XVII.
Nell’intento di
rendere possibile un’analisi autenticamente
comparativa, abbiamo sottoposto le pièces in
questione ad una riflessione
riguardante in primo luogo la ricezione della teoria aristotelica
nei tre
paesi. È misurando lo iato tra l’eredità della teoria antica e la novità di
certe pratiche
sceniche che è stato possibile rilevare puntualmente le
specificità proprie ad ogni letteratura
e ad ogni autore. Nell’articolazione
di questo capitolo abbiamo fatto leva sull’idea che la
finalità ultima di una
pièce teatrale consiste nell’avere un contatto diretto con il
pubblico
attraverso l’intermediario di una prestazione fisica. Il pubblico,
destinatario
imprescindibile, e la scena, luogo materiale della
rappresentazione, condizionano la
scrittura teatrale e intervengono nel
processo di creazione sin dalla composizione stessa
dell’opera scritta.
Scrivere per il pubblico
Tra i principi da applicare nell’imitazione
drammatica, il primo è certamente quello
della verosimiglianza. Prescritto
dalla ragione, fondato sulla finalità edificante della poesia,
esso concerne
tutti i problemi essenziali della drammaturgia e interviene, in qualità
di
garante della coerenza interna dell’opera, sin dalla prima fase della
creazione, la scelta del
soggetto. La prima questione che è stato opportuno
affrontare è stata quella di sapere che
cosa occorra intendere per
verosimiglianza. In seguito, abbiamo cercato di determinare il
rapporto che
intercorre tra il concetto di verosimiglianza e le nozione di vero, probabile
e
possibile, a cui essa può essere ricondotta. L’uso che i drammaturghi fanno
della verità
storica contenuta nel soggetto di Orazio e le trasformazione
necessarie a una nuova
coerenza che tenga conto della scena non meno che
delle attese degli spettatori, dipendono
da questa definizione e divergono
sensibilmente da una letteratura ad un’atra.
D’altra parte,
abbiamo notato
che se il rispetto della verosimiglianza è una garanzia di coerenza, la
realtà
rettificata, stilizzata secondo i canoni della verosimiglianza che le
conferiscono un carattere
più accettabile, la rendono anche meno eclatante e
più banale. Mentre la poetica classica
orienta il teatro verso la
rappresentazione di azioni universalmente accettabili, quelle con le
quali ci
si può abitualmente imbattere nell’esperienza quotidiana, il soggetto di
Orazio
sembra corrispondere meglio ad un’altra concezione del teatro,
piuttosto barocca, sensibile
al carattere straordinario dei “grandi
soggetti”.
Il secondo grande principio dell’imitazione che abbiamo
considerato, è quello che il
classicismo ha designato con il nome di decorum
(bienséance), concetto estremamente
complesso che concerne la teoria dei
costumi, incorpora la regola della verosimiglianza
nella sua applicazione ai
caratteri (decorum interno) e traspone, nella poetica, degli scrupoli
di
ordine morale riguardanti certe situazioni, sentimenti o spettacoli (decorum
esterno).
Il
suo fondamento poggia su un’esigenza di armonia globale della
composizione, al contempo
interna, inerente al poema drammatico, e esterna,
tra il poema drammatico e il pubblico. Il
pubblico impone, quindi, sotto la
dicitura di decorum, il rispetto degli usi contemporanei
nella composizione
dei caratteri, ma anche, più generalmente, la sua concezione
dell’onestà,
introducendo una nozione morale indipendente dal concetto tutto
intellettuale
di verosimiglianza. Nel corso del capitolo, abbiamo preso in
considerazione solo il decorum
esterno, basato su criteri fondamentalmente
morali, applicato non già alla creazione dei
singoli personaggi ma, più in
generale, alle azioni rappresentate.
Siamo partiti dal principio oraziano del
decorum così come esso è esposto nella Poetica di
Bernardino Daniello (1536)
, il quale indica tre ordini di cose che debbono essere proscritte
dalla
scena : l’impossibile, lo spaventoso, il disonesto. Certe azioni cozzano, in
effetti, con i
limiti dei mezzi scenici ; certe altre, con la sensibilità
dello spettatore; certe altre, ancora,
con i valori etici comunemente
ammessi. Volendo trasporre la leggenda degli Orazi e dei
Curiazi sulla
scena, tre aspetti principalmente dell’avventura epica fanno problema
e
richiedono un trattamento sufficientemente meditato : la rappresentazione
dello scontro
armato che oppone i romani agli albani, la crudeltà
dell’omicidio, la messa in scena della
femminilità e dei rapporti
affettivi.
Scrivere per la scena
In questa seconda parte abbiamo
esaminato non la messa in scena fisica delle pièces
medesime, ma piuttosto il
modo in cui il soggetto è stato concepito per la scene nello spirito
dei
drammaturghi, essendo il loro approccio creativo centrale ai fini del nostro
studio. Così,
ci siamo interessati all’influenza che in questa scrittura può
avere la teoria poetica, intesa
come l’esito di una riflessione di fondo a
proposito dei condizionamenti specifici alla forma
drammatica. Le regole
proprie al genere tragico e, in particolare, le prime pratiche
e
codificazioni della poetica umanista, quelle della tragedia classica
francese, così come le
caratteristiche proprie a quel genere misto che è la
comedia spagnola, insomma tutte queste
strutture teoriche vengono sollecitate
nel corso della nostra esposizione e utilizzate come
strumento concettuale
nell’analisi delle trasposizioni teatrali. Tenuto conto delle
particolarità
del soggetto si è preferito non fare entrare a tutti i costi i drammi di
Orazio
nelle strettoie delle singole dottrine, essendo queste in generale
troppo rigide e spesso in
contrasto con la produzione drammatica stessa. Per
descrivere le pièces nelle loro
specificità abbiamo adottato lo schema
tripartito della regola delle tre unità (azione, tempo,
luogo), che hanno
funto da quadro teorico e da struttura speculativa.
La nostra riflessione
sull’azione drammatica nei drammi di Orazio si è articolata
attraverso tre
problemi : la sua duplicità, la sua struttura ibrida, il suo carattere
istantaneo.
In primo luogo, abbiamo costatato che dal teatro classico del
Rinascimento, passando
attraverso la comedia sino al teatro regolare
francese, tutti aspirano a una forma di unità o,
per lo meno, ad una coerenza
dell’azione che il soggetto di Orazio sembra, a prima vista,
incapace di
soddisfare, in quanto comporta un’azione duplice, che presenta due
pericoli
successivi, il combattimento dell’eroe contro i Curiazi e il
processo che potrebbe
condannarlo a morte in seguito all’omicidio di sua
sorella. L’altro problema fondamentale è
che questa azione duplice presenta
un carattere ibrido in quanto rimanda a due pericoli di
natura diversa.
Nell’episodio di Orazio si susseguono brutalmente il ritorno
dell’eroe
trionfante e il suo atto criminale. Se è vero che l’intensità di
questa brusca transizione dal
trionfo all’ignominia spiega certamente
la bellezza di un soggetto straordinario, è anche
vero che qui risiede il
problema principale legato all’unità di azione e alla coerenza
strutturale
che la composizione drammatica reclama. Infine, l’azione principale dei
drammi
di Orazio, vale a dire l’omicidio della sorella per mano del fratello,
è problematica in
quanto si tratta di un’azione istantanea, e ciò entra in
contraddizione con la teoria
aristotelica secondo la quale ogni azione ha una
certa estensione: un inizio, uno
svolgimento e una fine. Fondata su un’azione
momentanea, la composizione della struttura
drammatica può farsi unicamente
per amplificazione.
Per quanto riguarda la temporalità, siamo partiti dalla
necessità, inerente alla forma
teatrale, di stabilire un tempo limitato per
l’esposizione degli eventi che compongono
l’azione. Abbiamo osservato che la
quantità di tempo che l’autore si dà per raccontare gli
eventi della storia e
il modo in cui l’azione è distribuita in questo quadro cronologico,
sono
altrettanti elementi che concernono l’ideazione stessa dell’opera.
Abbiamo, dapprima,
ricostruito il dibattito dei teorici a proposito della
limitazione temporale indispensabile al
teatro e l’evoluzione speculativa che
genera l’istituzione della regola delle ventiquattro ore.
Abbiamo, in
seguito, analizzato le pièces e scoperto importanti differenze tra il tempo
della
(tragi)-commedia e il tempo della tragedia: la concezione barocca del
tempo che permette
di dilatare l’azione su più giornate conferisce un ritmo
estremamente vivo alla
composizione, laddove il tempo delle tragedie è
ritmato da pause e attese, e rasenta talvolta
la dimensione del tempo
epico.
Infine, abbiamo esaminato lo spazio in una sezione che tratta, nello
stesso tempo,
dello spazio scenico e delle peculiarità di distribuzione
spaziale sottese dalla scelta di un
luogo per accogliere l’azione
rappresentata. Senza confondere questi due aspetti, abbiamo
analizzato
insieme lo spazio teatrale e il luogo dell’azione, essendo il luogo una
scelta
spaziale determinante per il significato delle azioni che vi si
svolgono, per la scelta delle
azioni che si possono o meno rappresentare
nello spazio della scena, e anche per la
temporalità, in quanto si possono
rappresentare delle azione simultanee in due luoghi
presentati
successivamente. Tutte queste implicazioni, che tendono a misurare
l’importanza
nell’azione e nella concezione spaziale di ogni universo
drammatico, sono state prese in
considerazione in tre momenti diversi,
secondo la divisione che corrisponde alle nostre tre
pièces.
VERSO IL MITO LETTERARIO DI ORAZIO, la terza parte della
tesi investe il
soggetto degli Orazi e dei Curiazi in un’ottica mito-critica.
Vi affrontiamo questa matteria
letteraria mediante un approccio diacronico
che si stende dalle origini leggendarie arcaiche
alle manifestazioni sceniche
del periodo rivoluzionario. Articolata in due sezioni, questa
parte della
tesi distingue il mito eziologico dal mito letterario : da un lato,
abbiamo
condotto un’inchiesta a proposito delle sue origini culturali, nel
tentativo di cogliere il
significato profondo che questo mito ricopre
all’interno delle civiltà indo-europea e
successivamente romana; da un altro
lato, abbiamo esaminato le sue manifestazioni
letterarie, elaborate a partire
da alcune filosofie della storia e diversamente tradotte sulla
scena in opere
drammatiche e liriche.
IL MITO EZIOLOGICO
Associando le gesta
di Orazio alla funzione guerriera di cui Tullo Ostilio sarebbe
il
rappresentante nell’epica romana, Georges Dumézil compara, nella sua opera
del 1942
Horace et les Curiaces, un complesso di miti, leggende e riti legati
alla medesima funzione
in altri popoli indo-europei.
Qualche anno più tardi,
nell’opera Heur et malheur du
guerrier, il comparatista ritorna sull’episodio
romano per spiegarlo, questa volta, alla luce
della tradizione indo-iraniana,
nella quale egli rileva delle corrispondenze suscettibili di
restituire il
senso religioso arcaico della medicazione purificatrice applicata
all’eroe
macchiato dal crimine.
Le conclusioni di Georges Dumézil forniscono
alla nostra ricerca il
principale punto di partenza : sulla scia di questo
autore ci siamo interrogati, in primo
luogo, sulle origini della leggenda di
Orazio, concepita come una rielaborazione romana di
temi che rimandano alla
funzione guerriera di certi popoli indo-europei.
Questa prima
indagine
comparativa ci ha permesso di misurare il modo in cui la leggenda antica
ha
saputo veicolare dei contenuti antropologici, costitutivi della figura di
un Orazio guerriero.
Le analisi di Georges Dumézil ricostruiscono gli aspetti
principali che la materia
mitica ha ripreso dai romani, restituendo loro il
significato che avevano nella cultura
pelatina.
Tuttavia, è possibile che
questo racconto
delle origini abbia potuto avere, per i
romani, un
significato mitico diverso
rispetto ad un rinvio più o meno consapevole ai
miti
ancestrali della funzione guerriera.
In uno studio del 1970 Enrico
Montanari, partendo da
una ricerca sulla storia di Roma dalle origini
ai
primi secoli della Repubblica, si interroga
sul significato propriamente
romano che può essere attribuito alla leggenda di Orazio.
Ai
suoi occhi,
quella patria del diritto che fu la
Roma dell’antichità, ha trovato nella
figura
leggendaria un prototipo di "civismo" delle origini, l’espressione
per così dire arcaica di
questo ideale.
E, nel suo processo, un esempio
della
giustizia del popolo, che conoscerà
nella "provocatio ad populum" repubblicana
la sua manifestazione storica.
Il re Tullo Ostilio,
sotto l’egida del quale
si situa questa avventura mitica, non
si limiterebbe quindi a
rappresentare
la funzione guerriera.
Egli ricoprirebbe anche, nell’immaginario romano,
una
funzione riformatrice nei confronti della
quale i suoi campioni, gli
Orazi, hanno partecipato
attivamente.
Da parte nostra abbiamo adottato il
punto di vista di Enrico Montanari per
suggerire l’ipotesi di un Orazio
civico.
IL MITO LETTERARIO
La leggenda di origine arcaica,
una volta configurata nei suoi tratti salienti, è
trasmessa dall’antichità
mediante numerose fonti.
Ogni autore cimentatosi con questa
narrazione ha
conservato la memoria dell’episodio aggiungendovi la propria «
percezione
mitica ».
Nel corso di questo capitolo abbiamo rievocato alcuni
momenti chiave della
tradizione interpretativa dell’episodio romano che hanno
segnato la storia delle idee, allo
scopo di mostrare che le trasposizioni
drammatiche si iscrivono in una linea di continuità
rispetto ad essa.
Dopo
aver esposto le prime trasposizioni letterarie degli storici romani
Tito
Livio e Dionigi di Alicarnasso, abbiamo interpellato i loro principali
commentatori.
Al
termine di questo primo percorso sono stati passati in
rassegna le tre direzioni interpretative
fondamentali della leggenda di
Orazio di cui gli adattamenti teatrali sono tributari.
Le
concezioni di
Agostino, Dante, Petrarca, Machiavelli e Guicciardini convergono e
cooperano
alla formazione di una controversia filosofica che la polifonia inerente al
genere
drammatico recupera e riorienta secondo finalità diverse.
Il
secondo nucleo del nostro studio sul mito letterario di Orazio ha inteso
ricostruire
l’itinerario di questa leggenda romana, divenuta soggetto
letterario, in seno ad un intervallo
cronologico che va dalla seconda metà
del secolo XVI alla fine del secolo XVIII. Al fine di
fornire un’esposizione
delle nuove proposte interpretative, ideologiche ed estetiche
che
vedono la luce nel corso dell’Antico Regime, abbiamo misurato la
loro importanza, la loro
specificità nella configurazione generale della
materia di Orazio prestando attenzione ai
fenomeni di diffusione e
d’influenza.
Alcune opere, spesso trascurate in sede critica, sono
state
oggetto di un esame particolare.
Per un verso, le versioni drammatiche di
Saverio Pansuti (1719)
Benedetto Giorgio Bravi (1742)
William Whitehead
(1750) .
Per un altro
verso, i LIBRETTI delle opere di
Antonio Salieri (1786)
Domenico Cimarosa (1796) [tenore: Babini, ORAZIO]
Saverio Mercadante (1840).
Ciò
che abbiamo potuto costatare è il modo in
cui la forma teatrale ha plasmato uno scenario
quasi invariabile, secondo
modalità diverse.
Il modo in cui le trasposizioni drammatiche
hanno
stabilito, simultaneamente, la loro identità e la loro originalità (formale,
ideologica,
teleologica) proprie, riproponendo, attraverso le categorie della
finzione, un dibattito
interpretativo radicato, al contempo, nella
contingenza di un contesto storico e culturale
particolare e nella necessità
di certi parametri antropologici.
PER UNA MITOPOIETICA DI
ORAZIO
La ricchezza delle ricezione del soggetto antico ci ha incoraggiati a
supporre
l’esistenza di un mito di Orazio di cui si potrebbero fissare le
invarianti e analizzarne le
modalità di rappresentazione.
Si tratta di ciò
che abbiamo tentato di fare nella parte
conclusiva del nostro lavoro,
tratteggiando le linee generali di una possibile mitopoietica di
Orazio.
Abbiamo individuato, in un primo momento, un numero limitato di invarianti –
di
elementi distintivi indispensabili ad uno scenario permanente – che
corrispondono alla
struttura profonda sulla quale riposa l’insieme delle
attualizzazioni del mito di Orazio.
Questa struttura rimanda ad un
dispositivo ternario di unità costitutive che abbiamo
designato mediante tre
espressioni: l’alleanza infranta, la femminilità sacrificata e
l’autorità
restauratrice. L’eroe medesimo, lungi dall’esserne escluso,
partecipa
implicitamente di queste tre componenti : della prima in quanto «
oggetto », della seconda
in quanto « agente », della terza in quanto «
soggetto passivo ».
La loro disposizione
determina egualmente un ordine
cronologico, dal momento che queste componenti
strutturali corrispondono più
o meno direttamente alle tre componenti narrative del mito di
Orazio (duello,
omicidio e assoluzione), schema diegetico di base il cui ordine non
può
essere alterato.
Per ritrovare la semantica profonda della
natura mitica di Orazio, l’abbiamo
esaminata alla stregua di una figura
archetipica, non già in quanto rappresentazione
primaria legata ad un
inconscio collettivo, ma come una di quelle immagini, o uno di quei
simboli,
ricorrenti che coniugano e integrano l’esperienza letteraria, e che
sono
necessariamente a contatto con la dimensione nello stesso tempo sociale
e convenzionale
della poesia.
Nella suo statuto archetipico, topico,
universale, Orazio può spiegarsi secondo
un duplice versante interpretativo
che si ricollega al duplice paradigma mitico che abbiamo
messo in evidenza
risalendo alle sue origini.
Un paradigma guerriero, relativamente
atemporale
e un paradigma civico, storicamente e ideologicamente determinato.
Il
paradigma guerriero
colloca la figura di Orazio nella sfera letteraria dei « guerrieri
epici » (Achille, Enea,
Rolando).
Il paradigma civivo, invece, gli restituisce il suo
significato storico che lo caratterizza in
virtù del suo ruolo di « patriota
» all’interno di un paradigma culturale che procede dal
cittadino-guerriero
spartano e romano, al rivoluzionario.
Con ciò non abbiamo voluto
esaurire
tutti i risvolti del soggetto letterario, né preteso di aver risolto il
paradosso
fondamentale che esso racchiude.
Il nostro fine era piuttosto
quello di stabilire alcune
costanti formali e semantiche suscettibili di
delucidare la figura di Orazio, assegnandogli il
posto che merita nell’alveo
culturale dell’immaginario europeo
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