Saturday, April 27, 2013

GLI ORAZI ED I CURIAZI nella scena operistica -- Babini, tenore eroico degli "Orazi" di Cimarosa -- SALIERI -- MERCADANTE

Speranza

La leggenda di Orazio sulla scena operistica in Italia nei secoli XVI e XVII

Sin dall’Antichità, la leggenda romana degli Orazi e dei Curiazi ha interessato storici e retori, giuristi e poeti.

Filosofi e letterati hanno riflettuto, nel corso della storia, sulla figura di Orazio, eroe guerriero reso celebre dalla grandezza d’animo e dal coraggio dimostrati nella difesa di Roma, non meno che dall’inflessibile rigore del giustiziere.

Già lo storico romano Tito Livio evocava il combattimento degli Orazi e dei Curiazi, affermando
che non vi è vicenda più nota nell’antichità.

Altri storici, come il greco Dionigi di Alicarnasso, raccontano con passione gli eventi accaduti alla famiglia degli Orazi, con le loro mirabili e strane peripezie.

Ripresa dai commentatori della storia romana e nelle raccolte di exempla, la celebrità dell’episodio non si attenua in età moderna.

Montaigne nei suoi Saggi e Bodin ne I sei libri della repubblica, rendono omaggio alla felice vittoria dei tre Orazi gemelli, per non parlare dell’Encyclopédie di Diderot et d’Alembert, che presenta una ventina di voci nelle quali la figura di Orazio è menzionata.

Nel corso dei secoli, questo guerriero antico ha fornito ai filosofi e ai moralisti, ai politologi e agli artisti, un modello per illustrare l’amore della gloria e della patria.

Ma l’eroismo esibito da Orazio nella sua prodigiosa vittoria contro i tre Curiazi non è scevro di ambiguità.

La guerra tra Romani e Albani vede fronteggiarsi due famiglie alleate e, dopo aver ucciso i Curiazi in nome di Roma, Orazio sacrifica anche la propria sorella, Orazia, macchiandosi di un crimine per il quale sarà tradotto in giustizia ma per il quale non sarà condannato. I principali interpreti dell’episodio offrono dell’avventura di Orazio

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Tito Livio, Ab urbe condita, I, 24, 1. Dionigi di Alicarnasso, Le antichità romane, III, 22, 9, 10. Montaigne, Essais, II, 27. J. Bodin, Les six livres de la république (1576), V, 4. I titoli degli articoli nei quali Orazio è citato ( « Bataille », « Homicide », « Rois », « Sublime », « Épopée »,
« Tragique », « Déclamation théâtrale »), danno un’idea della molteplicità degli aspetti sotto i quali la
leggenda è stata affrontata dagli enciclopedisti. 5 C.-A. Helvétius, De l’Homme (1773), cap. III : De la bonté de l’homme au berceau ; J.-F. Senault, De l’usage des passions (1641), Discours II : « Du mauvais usage de l’amour » ; J. J. Rousseau, Fragments.

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almeno tre letture diverse, talvolte persino opposte.

C’è chi ha messo in risalto la straordinaria prodezza guerriera, riscontrandovi il segno della divina provvidenza (Dante, Petrarca).

c’è chi ha stigmatizzato la crudeltà del suo fratricidio, riconoscendo in Orazio una volontà di potenza criminale e sacrilega (Agostino e Pascal).

Vi è chi, poi, si è interessato al suo processo, ora per elevarlo al rango di paradigma giudiziario (Cicerone, Quintiliano, Guicciardini), ora per fare dell’assoluzione di Orazio l’esempio di un
pragmatismo politico contrario agli interessi di una repubblica fondata sul rispetto delle
leggi (Machiavelli).

Se Georges Dumézil ha indicato i legami che uniscono l’epopea romana di Orazio con quei miti antichi che vedono un solo eroe battersi trionfalmente contro tre avversari, la molteplicità delle tradizioni ermeneutiche ispirate dalla leggenda romana non fa altro che mettere in evidenza le due proprietà fondamentali che l’apparentano al mito : le sue potenzialità esemplari, didattiche, morali, e la sua attitudine alla plurivocità, ovvero il suo prestarsi a diverse interpretazioni.

Non appena il racconto di Tito Livio diventa un soggetto letterario in età moderna, è nell’ambito della scena che farà la sua apparizione.

La trasposizione teatrale della leggenda di Orazio si effettua in Italia nell’arco di un secolo, tra il 1546 e il 1640.

Tale soggetto esce allora dalle nebbie insanguinate ed eroiche delle origini di Roma
per venire a drammatizzare la situazione di un’Europa lacerata.

In quest’epoca, la
ristrutturazione delle forme artistiche sui modelli dell’antichità trova nel teatro il suo mezzo
di espressione privilegiato.

Luogo di incontro tra autori e pubblico, tra tradizione e
innovazione, tra storia e attualità.

Il genere drammatico è, più di ogni altro, sensibile agli
orientamenti del potere e alle evoluzioni delle mentalità.

Per questo, nel loro lavoro di
creazione, i drammaturghi si ispirano spesso ad una realtà socio-politica determinata,
associandola ad un soggetto letterario che acquisisce, in tal modo, una dimensione
profondamente storica.

Dietro le sembianze mitiche degli Orazi e dei Curiazi si affrontano,
nel 1546, Carlo Quinto e i prìncipi riformati tedeschi ; nel 1596, i cattolici e gli ugonotti ;
politiques, s.d., XIV, 8 ; G. B. Vico, Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni
(1744), I, II, Degnità LXXXIV ; II, V, chap. VI ; IV, X, chap. II et III.


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G. Dumézil, Horace et les Curiaces, Paris, Gallimard, 1942 et Heur et malheur du guerrier, aspects
mythiques de la fonction guerrière chez les Indo-européens, Paris, PUF, 1969.
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nel 1640, Louis XIII, il re très chrétien, e suo cognato, il re cattolico di Spagna1.

Altrettanti
scontri fratricidi che conferiscono alla vicenda antica un valore altamente attuale. Il
soggetto romano trova, pertanto, un fertile terreno di sviluppo nel clima socio-culturale
dell’Europa post-rinascimentale, in cui cresce, con un vigore che non ha precedenti, il
potere delle monarchie nazionali e la distanza tra le diverse religioni, e proprio mentre si
prefigurano le durezze dell’assolutismo a scapito di un vecchio ordine aristocratico che
ancora coltiva il sogno di un eroismo impossibile.

Nulla è allora più eloquente, nella
cornice della Francia di Richelieu, dell’impresa di quel grande e sventurato nobile divenuto,
in seguito alla clemenza del re, un comune « servitore » dello Stato.
Sennonché, non è tanto l’aneddoto, per fascinoso e istruttivo che sia, a suscitare
l’attenzione dei drammaturghi e a costituire l’aspetto essenziale del soggetto letterario.


Sono soprattutto le diverse poste in gioco – quella politica della ragion di Stato che fa leva
sull’arbitrarietà del sovrano, e quella morale di una nuova teologia incardinata sul libero
arbitrio individuale – di un conflitto che solleva ovunque dei quesiti capitali. Che posto
ricopre la libertà d’azione degli individui in seno ad un sistema politico rigido ed esigente?
In che modo fare un uso morale di questa libertà quando le consegne del potere e
dell’eroismo esigono il sacrificio ? E ancora, occorre seguire il dettato della propria
coscienza anche quando esso sembra in palese contrasto con gli imperativi della legge?

Sin
dove può estendersi la sfera della soggettività nell’esercizio del potere ? Quali esili
frontiere separano la giustizia dalla crudeltà, la passione e il dovere dalla follia omicida,
l’equità di una prudenza indulgente dall’arbitrio dello Stato ? Le difficoltà e i problemi che
solleva l’avventura di Orazio in ambito teatrale rivestono una portata universale che esclude
ogni anacronismo. In virtù dell’elaborazione poetica, l’avventura particolare assume, in
effetti, il valore di simbolo : ed è forse questa la ragione per cui una antica leggenda come
quella degli Orazi e dei Curiazi ha fatto breccia nell’immaginario dei poeti europei del XVI
e XVII secolo e che essa può, ancor oggi, continuare a sedurci o a indignarci, a emozionarci
o farci meditare.

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1 Si veda P. Larivaille, « L’Orazia de l’Arétin, tragédie des ambitions déçues » in Les écrivains et le pouvoir
en Italie a l’époque de la renaissance, Paris, Centre de Recherche sur la Renaissance Italienne, 1973, pp. 279-
360 ; L. Bergel, « The Horatians and the Curiatians in the Dramatic and Political-Moralist Literature before
Corneille », Renaissance Drama, III, 1970, p. 226 et G. Couton, « Horace et les problèmes contemporains »,
O. C. I, pp. 1542-1549.

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Per illustrare la trasposizione della leggenda di Orazio sulla scena moderna abbiamo
privilegiato un corpus di tre pièces:

-- L’Orazia di Pietro Aretino (1546)


-- El honrado hermano di Lope de Vega (1598-1600)
-- l’Horace di Pierre Corneille (1640).

La scelta di
queste tre opere, concepite in momenti diversi, in paesi diversi e da drammaturghi rinomati,
obbedisce al proposito di analizzare in profondità i vari contesti ideologici ed estetici, allo
scopo di portare uno sguardo più consapevole sugli universi drammatici di questi tre grandi
autori.

Per questo motivo, la pièce coeva di un poeta « minore » quale Laudun d’Aigaliers,
quasi contemporanea de El honrado hermano, non è stata, in un primo momento, presa in
considerazione.

Tuttavia, la prospettiva nella quale abbiamo inteso esaminare il corpus di
opere in questione ha permesso, in larga misura, di oltrepassare i limiti che una scelta così
ristretta avrebbe potuto imporci. Nel corso dell’esplorazione del nostro soggetto, infatti, ci
siamo interessati tanto ad una serie di dettagli puntuali quanto a certe questioni di ordine
teorico, politico o culturale più generali, spostandoci da una riflessione approfondita
concernente le tre pièces verso il contesto più ampio della mentalità e della drammaturgia
post-rinascimentali.

La nostra ambizione era di situare queste tre trasposizione teatrali della
leggenda di Orazio all’interno dell’universo culturale dal quale traggono ispirazione e del
quale restituiscono, al contempo, un’immagine idealizzata e problematica.
Il segmento cronologico che corrisponde alla scelta del nostro corpus è, del resto,
particolarmente interessante, sia da un punto di vista storico, sia da un punto di vista
squisitamente letterario. Queste prime trasposizioni teatrali della leggenda di Orazio
vengono alla luce in un’epoca in cui il teatro europeo conosce la sua fase più intensa di
dibattiti teorici e di attività scenica. Esse maturano egualmente in un secolo estremamente
ricco, situato, sul piano religioso, tra Riforma e Contro-riforma ; sul piano culturale, tra
Rinascimento e Barocco ; sul piano politico, tra l’affermarsi degli assolutismi e il declino
dell’egemonia aristocratica. Malgrado alcune specificità nazionali e cronologiche che la
nostra analisi cercherà di far emergere, questo secolo conosce, nei tre paesi considerati, un
clima culturale piuttosto omogeneo: ciò ha permesso di riunire le pièces del nostro corpus
all’interno di una riflessione unitaria riguardo all’eredità antica e ad una tradizione cattolica
comuni, ma anche riguardo ad un aristotelismo rinnovato che il Rinascimento italiano ha
trasmesso a tutta l’Europa.


Nello studio di questo corpus ristretto, un ruolo importante è accordato alle fonti.
Quelle primarie, fornite dalla storiografia e dalla letteratura antiche, ovvero i passaggi
consacrati alla leggenda di Orazio nelle opere di Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso,
Cicerone e Quintiliano, costituiscono dei punti di riferimento costanti per la nostra analisi.


È, invece, nella terza parte che abbiamo considerato le fonti secondarie, esaminando le
interpretazioni che altri autori medievali e rinascimentali (Agostino, Dante, Petrarca,
Machiavelli e Guicciardini1) hanno proposto dell’episodio narrato da Tito Livio.

Esse
arricchiscono notevolmente il nostro esame, che si dispiega allora in un’ottica diacronica,
volta a sondare la molteplicità di prospettive offerte ai drammaturghi moderni nella loro
personale trasposizione della leggenda romana.

La constatazione dell’abbondanza e della varietà di manifestazioni che l’episodio ha
conosciuto sulla scena tra il Rinascimento e la Rivoluzione francese, ci ha condotto,
nell’ultima porte della tesi, ad estendere il nostro campo di ricerche ad alcune versioni
drammatiche e liriche posteriori a Corneille.

Nell’ambito di uno studio più ampio,
finalizzato alla ricostruzione di un possibile « mito letterario di Orazio », abbiamo preso in
considerazione altre versioni drammatiche, in particolare tre pièces del XVIII secolo, che
abbiamo riprodotto come annessi alla tesi, e alcuni libretti d’opera.

 Il segmento cronologico
tracciato dal nostro corpus di base si allarga, allora, sino ad abbracciare l’intero periodo
dell’Ancien Régime, in seno al quale affiora una coerenza culturale che consente di
iscrivere l’insieme delle pièces considerate in un corpus unitario.


L’originalità del nostro approccio comparativo non si riduce al fatto di ritornare su
un corpus solo parzialmente esplorato in passato, ma consiste nell’abbordarlo sotto nuovi
profili, che vanno dalla storia delle idee e dei generi letterari all’analisi drammaturgica e
mitopoietica. Tre diverse assi di ricerca presiedono alle tre grandi articolazioni del nostro
studio : nella prima parte si è cercato di ricollocare le opere di Aretino, Lope de Vega e
Corneille nel loro contesto culturale dei secoli XVI e XVII, esaminando l’adattamento
moderno del soggetto degli Orazi e dei Curiazi, inteso come una « tragedia del potere » e
come un « dramma d’onore » ; nella seconda parte, abbiamo analizzato le tre pièces in


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1 De civitate dei, III, 14 ; Convivio, IV, 4-5 et De Monarchia, II, 9 ; De viris illustribus [III. De Tullio
Hostilio tertio Romanorum rege] ; Discorsi sulla prima Deca di Tito-Livio, I, 21-24 ; Considerazioni intorno
a « Discorsi » del Machiavelli, I, 23-24.
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relazione ai presupposti teorici della drammaturgia moderna ; infine, nella terza sezione
abbiamo esteso le nostre ricerche ad alcune delle principali mutazioni sceniche che la
leggenda romana subisce nei secoli successivi, tentando di ricostruire le linee generali di un
possibile « mito di Orazio ».


Prima parte
 RIATTUALIZZAZIONE DELLA STORIA DI ORAZIO:
CONTESTO IDEOLOGICO
E CULTURALE, la prima parte della tesi ha inteso situare le prime trasposizioni teatrali della
leggenda romana nell’universo culturale in cui sono apparse.

A questo scopo, sono state
individuate ed esaminate le problematiche sulle quali il soggetto romano richiedeva una
riflessione di natura politico-sociale, politico-giuridica ed etico-teologica, prendendo in
considerazione, da un lato, il contesto storico, puntualmente interrogato attraverso l’esame
delle fonti (trattati, pamphlets, opere apologetiche) e, da un altro lato, il contesto
propriamente teatrale, attraverso il passaggio in rassegna delle diverse tradizioni
drammatiche in vigore all’epoca : la tragedia senecana, la tragedia classica francese, la
tragi-commedia spagnola. In una prima fase, abbiamo tentato di ricostruire la storia di una
« tragedia del potere » in Europa, all’interno della quale il soggetto di Orazio avrebbe
potuto esprimere i suoi caratteri politici non meno che il conflitto pubblico che esso
sottende tra il re o il popolo e la figura guerriera di Orazio, divenuta, agli occhi dei
drammaturghi moderni, l’icona dell’aristocrazia. In una seconda fase, abbiamo
riconsiderato il ruolo del genere « dramma d’onore » a livello transnazionale ed esaminato
il nostro corpus sotto un aspetto socio-etico e teologico-morale, facendo emergere le poste
in gioco di un conflitto privato che riguarda, questa volta, la dignità del protagonista.

La
tematica teatrale dell’onore funge, qui, da prisma analitico per uno studio di tipo semanticostrutturale.
L’obiettivo di questo primo approccio comparativo è duplice: per un verso, si
tratta di mostrare la solidarietà esistente tra la riflessione politica e morale che il soggetto di
Orazio ha potuto suscitare in età moderna e i mezzi di espressione offerti dal teatro; per un
altro verso, i modi in cui i modelli drammatici forgiano anch’essi il soggetto e imprimono
su di esso dei tratti semantici e formali caratteristici.

 LA TRAGEDIA DEL POTERE
Nel nostro primo capitolo, siamo andati alla ricerca dei presupposti culturali e
drammatici che intervengono nella trasposizione teatrale delle figure del potere. In un
primo momento, lo studio della tematica monarchica ha permesso di cogliere i modelli
convenzionali secondo i quali la figura reale investe il teatro in età moderna. In un secondo
momento, si è cercato di cogliere i mezzi di espressione attribuiti al popolo, attore politico
che partecipa attivamente al destino di Orazio, anche tenendo conto del fatto che l’universo
tragico, espressione privilegiata delle classi dominanti, lo esclude per definizione.

1. Immagini e rappresentazioni del re

Sono state individuate tre figure reali che corrispondono a tre diversi modelli
teatrali. Per contrasto rispetto alla figura eroica del buon principe, rispettoso del diritto e più
incline alla clemenza che non alla vendetta, si profila la figura del tiranno, immagine
rovesciata del ritratto precedente. All’espressione tragica di queste due opposte figure del
potere, corrispondono due correnti tragiche ben distinte : un tragico dell’orrore, che affonda
le radici nel tragico greco-romano, sopratutto Seneca ; e un tragico d’ascendenza epica,
costruito sulla storia. Il Secolo d’Oro spagnolo, con le sue particolarità, fa sua questa
distinzione e vi aggiunge una terza modalità rappresentativa. Mirando a simboleggiare le
forme del governo tirannico, senza per questo portare pregiudizio alla natura divina del
potere reale, il teatro spagnolo introduce un nuovo modello drammatico: le pièces
“politiche” più importanti di Lope de Vega presentano il loro principale conflitto
drammatico nelle figure rappresentative di una nobiltà ribelle, di un signore locale che
esercita un potere dispotico sul popolo e di un monarca che, spesso, appare nelle vesti di
giudice, la cui funzione principale è quella di ristabilire l’ordine sociale.
Per creare la loro versione del re Tullo Ostilio, i drammaturghi fanno appello a una
duplice caratterizzazione del personaggio : la costruzione della figura di Tullo sulla scena
dipende, al contempo, dalla continuità di una tradizione storica e dall’applicazione di un
modello drammatico determinato. Abbiamo analizzato il modo in cui la rappresentazione
teatrale del re supera gli apparenti paradossi tra la figura guerriera della tradizione epica e il
re magnanimo e giustiziere della convenzione teatrale. Abbiamo constatato che se vi è una
parentela ideologica stretta tra i re del teatro europeo, è soprattutto perché la figura
letteraria del re si ispira agli stessi dibattiti e alle correnti di pensiero transnazionali
trasmesse alla posterità essenzialmente sotto due forme : i trattati giudiziari che vertono
sulla teoria dell’origine divina della sovranità e la tradizione panegirica dello speculum
principis.

2. Immagini e rappresentazioni del popolo

Se il ritratto del principe è un autentico topos letterario, che permette di ritrovare
nelle tre pièces un’immagine omogenea del re, la caratterizzazione del popolo è, invece, di
natura strettamente politica. La nostra ricerca si estende dalla Venezia repubblicana degli
anni 1540 alla Francia assolutista degli anni 1640. Se la topica panegirica dei grandi e dei
re era comune a tutta l’Europa, la percezione del popolo varia notevolmente a seconda del
tipo di organizzazione politica che la considera. Il popolo rappresentato nell’Orazia e
l’immagine che ne offrono l’Horace di Corneille o El honrado hermano di Lope de Vega,
non hanno proprio nessun punto in comune: si tratta di concezioni della res publica
antitetiche e opposte. Da un lato, l’aspirazione repubblicana (espressa, come è noto, da
Machiavelli nei suoi Discorsi) concepisce un modello dello stato basato su un
compromesso tra le diverse parti del mondo politico, che cerca un equilibrio, garantendo la
libertà del popolo attraverso il rispetto delle leggi. Da un altro lato, il pensiero assolutista
vede nell’aspirazione della libertà del popolo una minaccia permanente per il sistema.
Il Popolo, che l’Aretino presenta nell’Orazia come un personaggio e come un vero attore
politico, riflette un modello repubblicano simile a quello esposto da Machiavelli. Il
protagonismo accordato a questo personaggio è verosimilmente il segno della sua visione
politica. Essa assume la forma di un regime ibrido, in cui s’intrecciano elementi ereditati
dalla storia ed elementi della vita politica italiana contemporanea. La Roma dell’Orazia
non è una monarchia ereditaria ma una monarchia elettiva, più vicina alla Roma
dell’antichità, del papato o del dogato veneziano che non alle monarchie francese o
spagnola. D’altra parte, l’equilibrio dei poteri che l’Aretino auspica nel suo sviluppo
tragico, è meno tributario di una speculazione politica realistica che dell’ideale del vivere
civile e dell’influenza che sul pensiero rinascimentale hanno avuto le teorie del governo
misto (Aristotele, Polibio, il Machiavelli dei Discorsi).
L’universo politico rappresentato nelle pièces spagnola e francese corrisponde alla
visione della politica propria dei regimi autoritari e fortemente gerarchici delle monarchie
europee post-rinascimentali. Nella realtà sociale, così come nella rappresentazione
drammatica, il popolo resta in secondo piano : non essendo considerato come un attore
politico esso è costantemente tenuto a distanza dalle istanze del potere, dal principe e dai
personaggi nobili. Ne consegue, sul piano teatrale, un allontanamento del popolo dalla
scena.

Tuttavia, il popolo svolge un ruolo di prim’ordine nello sviluppo storico della
leggenda di Orazio. Antecedente mitico di una istituzione repubblicana, la provocatio ad
populum costituisce l’esito dell’episodio di Orazio così come Tito Livio lo racconta. Tra le
versioni teatrali che hanno conservato la conclusione originale, solo l’Orazia include il
personaggio del popolo. Se nella pièce rinascimentale si riscontra la presenza di un
personaggio “collettivo” chiamato Popolo, gli autori drammatici dell’assolutismo hanno
scelto di non mostrarlo. Corneille si accontenta di evocarlo, mentre, nella pièce di Lope de
Vega, nella quale esso concorre allo sviluppo drammatico, risuonerà la sua voce ma non lo
si vedrà. Queste diverse scelte estetiche, che consistono nel rappresentarlo, nel celarlo o
semplicemente nell’escluderlo dalla scena rivelano volta per volta una scelta politica ben
precisa.

I processi di Orazio

La messa in scena del processo di Orazio offre, al teatro moderno e al genere tragico
in particolare, la possibilità di rappresentare dei grandi conflitti politici e morali attraverso
magnifici dialoghi che argomentano, sul modello della retorica giudiziaria, i motivi degli
atti, il peso delle decisioni e la gravità delle colpe.

Alla messa in scena delle passioni si
aggiunge quella delle idee e si sovrappone quella delle ideologie. Ricche di potenzialità
semantiche, le due rivoluzioni politico-giuridiche che la leggenda di Orazio avrebbe
tradotto in termini epico-storici, vale a dire il consolidamento dell’autorità reale a scapito
dei patres e l’istituzione della provocatio ad populum (preludio di un futuro sviluppo del
potere del popolo sotto la Repubblica), incontrano nel teatro delle problematiche sociopolitiche
moderne come la crisi dell’aristocrazia e la centralizzazione del potere negli stati
monarchici (Francia e Spagna), o il desiderio di partecipazione dei cittadini nelle
repubbliche italiane che avevano allora tendenza a diventare dei regimi oligarchici.

Così, il
cittadino della Serenissima Repubblica, Pietro Aretino, mette l’accento sull’importanza
della provocatio ad populum, ampiamente drammatizzata, laddove il suddito di Richelieu,
Pierre Corneille aspira, per un verso, a illustrare la superiorità della giurisdizione reale ai
danni del diritto consuetudinario e delle vendette private e, d’altra parte, la sottomissione
all’autorità monarchica del potere aristocratico delle grandi famiglie, ignorando ogni
riferimento al popolo. Se gli storici antichi hanno segnalato due evoluzioni maggiori nel
pensiero giuridico di Roma, i drammaturghi moderni hanno saputo leggere e interpretare i
loro corollari politici, rilevando in modo tragico le loro contraddizioni più acute. In questa
ultima sezione abbiamo inteso mettere in risalto la semantica profonda di questo processo
leggendario nel teatro, la sua elaborazione formale attraverso la retorica antica (che si è
sopratutto avvalsa dell’eredità ciceroniana) e la sua trasformazione ideologica mediante le
dottrine politiche della modernità, nell’intento di restituire un’interpretazione politica
dell’episodio degli Orazi e dei Curiazi in ambito teatrale.

IL DRAMMA DI ONORE

La questione dell’onore è centrale nei drammi di Orazio, al punto che è possibile
ricondurre il soggetto di Orazio a una drammaturgia dell’onore.

Nel nostro secondo
capitolo abbiamo affrontato il tema dell’onore considerandolo dapprima come mentalità e,
in un secondo momento, come tematica specificamente teatrale.

Concezioni dell’onore nei secoli XVI e XVII

L’onore è un fenomeno sociale, etico, giuridico e letterario costitutivo delle società
dell’età barocca. Questo sentimento di auto-stima è percepito e vissuto in modi diversi a
seconda delle situazione storiche e dei diversi paesi. Nell’Italia del XVI secolo, l’origine
della concezione dell’onore rimanda soprattutto all’etica greco-romana della magnanimità,
adottata e adattata dal nuovo pensiero rinascimentale. In Spagna esso è l’esito, da un lato,
delle reminiscenze del codice feudale e cavalleresco, che ancora animava la lotta dei
cavalieri spagnoli contro i mori, dall’altro, dei dibattiti a proposito della « purezza di
sangue » che introducono, nella penisola iberica, certe abitudini sociali caratterizzate dalla
sfiducia nei confronti della pubblica reputazione. La Francia dell’inizio del XVII secolo
ripensa il lascito culturale antico e l’influenza dell’onore tipicamente spagnolo, nel senso
della nozione di generosità, nozione che recupera gli antichi presupposti elitari superandoli
in virtù dell’intermediario di un razionalismo e di un volontarismo nuovi. Fatte salve talune
puntuali specificità socio-culturali e giuridiche, nel corso dei secoli XVI e XVII viene
sviluppandosi un’etica aristocratica della grandezza, centrata sull’idea di onore maschile e i
cui tratti principali si ritrovano in tutta Europa.

Orazio e la drammaturgia dell’onore

Considerate e l’importanza della nozione di onore nel clima culturale del periodo di
cui ci occupiamo e le caratteristiche del nostro soggetto, che mette in scena il castigo che il
nobile Orazio si arroga il diritto di esercitare sulla propria sorella, rea di aver oltraggiato
l’onore dell’eroe e di Roma, ci è sembrato fruttuoso esaminare i drammi di Orazio come dei
drammi d’onore. Questa decisione è giustificata dal fatto che si tratta di una modalità
drammatica specifica al barocco spagnolo ma suscettibile di essere facilmente estesa ad
altre letterature. Avvalendoci della definizione che Alfonso de Toro stabilisce per illustrare
il dramma d’onore in Europa e dei codici drammatici che lo connotano, abbiamo
interrogato la struttura del soggetto di Orazio nelle sue diverse espressioni, nell’intento di
chiarire il trattamento drammatico del soggetto romano in età moderna, considerandolo
come una manifestazione particolare e complessa di un certa drammaturgia dell’onore.
Ora, perché possa essere applicato al di là delle frontiere letterarie iberiche, il
criterio definitorio del dramma d’onore doveva essere sufficientemente largo per poter
rappresentare un ricco corpus a carattere transnazionale, suscettibile di evolvere all’interno
di diversi sistemi di formalizzazione dal Rinascimento al Classicismo. Tale criterio doveva
egualmente poter comprendere certe pièces contenenti degli intrecci tematici complessi,
espressi sotto forme tragiche o tragicomiche. Se abbiamo scelto di servirci della definizione
di Alfonso de Toro è perché essa riesce a soddisfare queste esigenze: « siempre que un
personaje se siente herido en su honor, con derecho o sin él, y quiere restablecerlo,
estamos ante un drama de honor, y el conflicto consecutivo adopta la forma de
manifestación de una determinada estructura de personajes y de acción, así como una
retórica típica1 ». I termini di questa definizione possono soddisfare bene anche le
caratteristiche del soggetto di Orazio, se si intende l’assassinio commesso dall’eroe come
un mezzo di riparazione del suo onore (e di quello di Roma), vilipeso dall’attitudine
oltraggiosa di sua sorella e se si interpreta il processo di Orazio come un modo di ristabilire
nella sua dignità il giovane campione, caduto in disgrazia dopo essersi reso colpevole di un
omicidio. Da un punto di vista strutturale, il soggetto di Orazio sembra rispondere alla

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1 A. de Toro, De las similitudes y diferencias. Honor y drama en los siglos XVI y XVII en Italia y España,
Madrid, Iberoamericana, 1998, p. 245.

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dinamica (offesa / vendetta – restaurazione) caratteristica dei drammi d’onore. Questa
dinamica colloca l’eroe al centro del conflitto in quanto disonorato-vendicatore e in quanto
disonorato-offenditore. Ora, la sua illegittima vendetta lo situa in una condizione
estremamente ambigua : nella sua attitudine riparatoria, egli trasgredisce i limiti imposti dal
codice d’onore e si rende responsabile a sua volta di una grave offesa ai danni di suo padre
e di Roma. Uccidendo sua sorella, Orazio precipita in una situazione paradossale : è allo
stesso tempo disonorato, vendicatore e offenditore. I motivi di questa complessità si
spiegano alla luce delle insufficienze rispetto alla norma dei “codici” drammatici
dell’onore, in cui il soggetto di Orazio può inserirsi in un regime di composizione e di
trasgressione.

Orazio e l’etica della grandezza.

Principio morale generatore di grandi azioni, la magnanimità, categoria filosofica
che ingloba quella dell’onore, si rivela una nozione indispensabile per mostrare le
implicazioni morali che i drammaturghi hanno ricavato dal soggetto di Orazio. L’analisi
delle fonti antiche alle quali gli autori hanno attinto la loro concezione della grandezza, ci
ha permesso di spiegare in che modo, a partire da certe considerazioni filosofiche, essi
hanno forgiato, sulla scena, un’immagine proteiforme ma coerente dell’eroe leggendario,
orientandola in una prospettiva morale.

La nozione di magnanimità attraversa i tre grandi momenti dell’azione nelle
tragedie di Orazio: il combattimento, il parricidio, l’assoluzione. Essa è consustanziale
all’eroe guerriero, il quale fa prova di forza e di coraggio (e dunque di grandezza d’animo,
nella misura in cui la forza e il coraggio sono delle modalità della magnanimità), vincendo
la guerra solo contro tre avversari. Essa muove il braccio dell’eroe vendicatore, che
assimila ad un atto di giustizia il sacrificio della sorella, compiuto all’insegna della ragione
e del dovere patriottico. Essa caratterizza, infine, il verdetto del sovrano-giudice (sia esso
rappresentato dal popolo o dal re), il quale riconosce, magnifica e perdona, l’« eccesso » di
magnanimità del suo suddito, correggendolo e superandolo in virtù della sua propria
clemenza, sorta di grandezza d’animo di livello superiore.
Questi tre momenti dell’azione mettono in scena tre concezioni diverse della
magnanimità. L’eroismo di Orazio, cosciente della nobiltà della propria natura e della
necessità di non indietreggiare di fronte all’occasione di fare grandi azioni, sembra riflettere
l’ideale aristocratico della magnanimità che Aristotele descrive nell’Etica a Eudemo e
nell’Etica a Nicomaco. Il rigorismo morale del vendicatore, che pretende di farsi giustizia
da solo, gli conferisce dei tratti nettamente stoici : il guerriero diventa giustiziere, sorta di
semi-dio incline a subordinare ogni cosa ai doveri di una ragione astratta e autarchica.
Infine, la clemenza del sovrano-giudice, interprete in terra della volontà divina, rappresenta
la magnanimità cristiana, priva di ogni orgoglio, sguarnita di ogni eccesso. Il sovranogiudice
incarna il più alto grado della grandezza, quella che risiede nell’anima di quello che
esercita il perdono. La grazia che il popolo o il re accordano a Orazio è, simultaneamente,
un effetto drammatico, un coup de théâtre e un atto dotato di una portata morale e politica
profonda, che rivela tutta una filosofia dell’esistenza e conferisce al dramma una finalità
edificante.

In conclusione di questa prima parte, poiché il soggetto di Orazio si presta ad essere
esaminato nella sua natura di caso, giuridico certo, ma ancor prima morale, ci siamo
proposti di considerare le sue trasposizioni drammatiche alla luce delle teorie del
probabilismo facenti capo al metodo della casuistica della teologia morale post-tridentina.
Senza pretendere che i drammaturghi abbiano direttamente applicato il metodo casuista ai
drammi di Orazio, né che l’argomentazione che essi sviluppano, specialmente nella messa
in scena del processo, obbedisca perfettamente a dei principi teorici riconducibili in toto a
questa dottrina, abbiamo inteso misurare l’influenza che l’idea che essi hanno potuto farsi
di questo metodo di argomentazione morale e della concezione dell’uomo e della sua
libertà, del peccato e della salvezza che la giustificano, hanno potuto avere sul trattamento
drammatico dell’episodio romano. Due aspetti hanno particolarmente catturato la nostra
attenzione: in primis, la soggettività morale che presuppone la tesi probabilista secondo la
quale è sufficiente essere convinti della giustezza di un’azione perché questa abbia un
fondamento morale accettabile; in secundis, il carattere probatorio della retorica nel metodo
casuista, essendo la casuistica una scienza nella quale si tratta di dimostrare la moralità di
una certa azione in ragione della verosimiglianza degli argomenti che si possono addurre
per difenderla. Attraverso questo prisma etico, la vendetta e il processo di Orazio
guadagnano una nuova via interpretativa e si rivelano intelligibili nei termini di una messa
in scena di una riflessione sugli aspetti più problematici legati ai dibattiti contemporanei sul
libero arbitrio.


Un’inchiesta sulle forme drammatiche non poteva fare l’economia di
un’interrogazione specificatamente teatrale, ovvero di un’analisi degli usi e delle strategie
poetiche che le concernono. Tale inchiesta è l’oggetto della seconda parte della tesi
intitolata

I DRAMMI DI ORAZIO E LA DRAMMATURGIA MODERNA.

Per cominciare, abbiamo
riunito le tre pièces del nostro corpus riguardo ad una tradizione letteraria condivisa
(capitolo 3), ora studiando il rapporto che esse intrattengono con l’eredità dell’antichità e
con gli orizzonti di attesa del pubblico teatrale (capitolo 4), ora analizzando il rinnovamento
operato nel soggetto antico attraverso l’introduzione della tematica amorosa (capitolo 5).
Questa prima indagine si è rivelata necessaria per affrontare l’importante questione di come
l’episodio storico sia riconsiderato e rielaborato in vista della sua trasformazione in chiave
drammatica. Affrontata questa prima trasformazione riguardante il soggetto teatrale, ci
siamo spostati verso il quadro teorico nel quale si iscrive la scrittura di ognuna delle
versione sceniche della leggenda di Orazio (capitolo 6). Nel caso delle trasposizioni teatrali
del soggetto di Orazio, questo esame è apparso tanto più fecondo e interessante in quanto il
momento in cui le pièces vengono concepite coincide con alcune tappe chiave
nell’elaborazione della poetica moderna.

 ADATTAZIONE DELLA MATERIA EPICA

Analizzando il racconto che Tito Livio redige nella sua Storia romana antica, abbiamo
messo in luce le notevoli potenzialità drammatiche presenti nel testo antico, che occorre
concepire, innanzitutto, come un opus oratorium.

Le caratteristiche di questa fonte
permettono ai drammaturghi di soddisfare le esigenze della scena e di applicare le regole
della loro arte senza imbattersi nelle difficoltà che una materia ingrata o ribelle pone alla
trasposizione drammatica.

A partire dalla distinzione formale tradizionalmente irriducibile
che, dai tempi di Aristotele, separa il genere epico dal genere drammatico, abbiamo
osservato come affiorino delle risonanze epiche nei drammi, non solo rispetto al soggetto
che i due generi hanno in comune, ma anche alle modalità di formalizzazione. L’esame
delle modalità che assume la forma narrativa nel teatro, forma generalmente epica, ci a
condotto a distinguere le trasposizioni tragiche di tipo “classico” dalle forme della comedia,
reticenti alla narrazione.


Abbiamo, infine, costatato come i drammaturghi abbiano trovato nell’imitazione di
Tito Livio un’ispirazione epica che persiste nelle loro pièces.

A questo proposito, ci siamo
interrogati sui meccanismi che rendono possibile il passaggio da un registro all’altro.
L’esplorazione delle fondamenta epiche delle pièces moderne si è rivelato propedeutico ad
un triplice chiarimento : la messa in evidenza dell patrimonio liviano che le tre opere hanno
in comune; la valutazione dell’originalità delle scelte effettuate nella materia antica ;la
misurazione, infine, della distribuzione di questa materia nei drammi secondo diversi
processi dispositivi di adattamento. Questa triplice ricognizione ci ha permesso di portare
uno sguardo più penetrante sulla materia di Orazio, e di cogliere le motivazioni delle scelte
estetiche adottate nelle varie circostanze. La comparazione dei diversi adattamenti alla
scena della materia guerriera e degli aspetti religiosi che derivano dalla fonte latina ha
permesso di comprendere meglio il modo in cui avviene, in un primo tempo, la
trasposizione teatrale della leggenda di Orazio, semplicemente recuperando certi materiali,
in origine epici, per conferire a questi una forma adatta e una funzione appropriata
all’interno della struttura drammatica.


RIFORMULAZIONE DEL SOGGETTO ANTICO

La prima tappa nel processo di trasposizione drammatica coincide con la scelta del
soggetto.

Ci siamo interrogati, a questo proposito, sulla maniera in cui gli autori moderni
hanno letto e interpretato la fonte antica, avendo come obiettivo comune quello di estrarre
dalla materia epica un soggetto teatrale.

Questo soggetto sarà l’esito di una laboriosa
composizione, realizzata a partire da elementi comuni, modellati diversamente in virtù
dell’ottica propria ad ogni autore, sia essa tragica o eroica. Sotto questo profilo, la teoria
drammatica diventerà non solo una guida di lettura, ma anche il punto di partenza di
un’interrogazione di fondo, concernente direttamente il soggetto degli Orazi e dei Curiazi e
la sua elaborazione poetica.

È legittimo fare del patriota romano, resosi deliberatamente
carnefice della propria sorella, un eroe di teatro nei confronti del quale lo spettatore è
chiamato ad identificarsi ? Attraverso quali strategie i drammaturghi cercheranno di
favorire questa identificazione ? Sino a che punto si può dire che essa abbia avuto successo
o meno?

Sono questi alcuni degli interrogativi con i quali ci siamo confrontati in questo
capitolo.

Applicando sul racconto di Tito Livio i parametri del metodo aristotelico della
composizione, abbiamo osservato, in primo luogo, che l’episodio storico, nella sua
formulazione latina, già si prestava ad una rilettura tragica del mito guerriero.

Ma, da
questa analisi scaturisce anche la difficoltà principale che i drammaturghi hanno
verosimilmente riscontrato quando hanno inteso fare dell’eroe antico un personaggio
tragico : si tratta della natura e della portata del crimine che egli ha commesso, il quale alla
luce delle categorie della Poetica, deve intendersi come hamartía (colpa tragica).

La messa
in scena di un eroe criminale in epoca post-rinascimentale presupponeva, in effetti, una
rielaborazione del soggetto antico che tenesse conto, allo stesso tempo, delle esigenze della
cultura cristiana e delle prescrizioni della nuova teoria poetica.

Poiché la trasposizione
drammatica della leggenda di Orazio è contemporanea alla formazione di questa poetica
teatrale, non possediamo nessuna testimonianza che attesti il problema fondamentale posto
dalla sua elaborazione poetica, né possediamo alcuna testimonianza di soluzioni che
avrebbero potuto essere suggerite dai teorici.

Così, ci siamo determinati a stabilire un
parallelo tra l’antico mito di "Oreste", eroe matricida, e quello del parricida Orazio, allo
scopo di comprendere meglio l’uno alla luce dell’altro.

Questo parallelo trae una
giustificazione, tra le altre cose, nel fatto che i due soggetti esibiscono delle componenti
narrative analoghe.

Alla luce del dogma moderno della colpa perdonabile (faute excusable), il soggetto
degli Orazi e dei Curiazi subisce ancora delle trasformazioni degne di nota.

Senza alterare
le diversi componenti dell’azione, i drammaturghi modificano il soggetto applicando sulla
materia trasmessa dalla tradizione il dispositivo retorico della translatio criminis, che
permetteva, nel discorso giudiziario, di attribuire alla vittima la responsabilità del crimine.


Quando il trasferimento di responsabilità è totale il soggetto si presta a essere considerato in
una prospettiva eroica per la quale il crimine di Orazio viene ad identificarsi ad una
vendetta legittima.

Quando, invece, questo
trasferimento è solo relativo,
 il soggetto è considerato
in una prospettiva tragica
per cui la
responsabilità del crimine
sarebbe condivisa, attenuando
di fatto la colpa dell’eroe: è il caso
delle tragedie italiana.

Un’ultima difficoltà di principio è stata, infine, affrontata : quella di un soggetto che si
presenta nel suo essere etico a priori.

Esaminando il finale della leggenda abbiamo
osservato come l’eroe sia invariabilmente assolto, non perché egli sia stato riconosciuto non
colpevole ma a causa della sua virtù, ovvero del suo ethos.

Questa caratteristica intrinseca
al soggetto collide con il principio aristotelico della composizione, per il quale l’azione
precede sempre i caratteri : e ciò potrebbe spiegare talune contraddizioni che la critica ha
spesso rimproverato ai drammi di Orazio, in particolare a quello di Corneille.

 INTRODUZIONE DELLA TEMATICA AMOROSA

Estranea all’episodio epico narrato da Tito Livio, la tematica amorosa è una
prerogativa delle versioni drammatiche della leggenda.

L’illustrazione dell’amore è un
elemento indispensabile al teatro in quanto risveglia l’emozione e, in ciò, contribuisce agli
effetti catartici di purificazione e d’istruzione morale cui aspira; concorre al piacere dello
spettatore, che è l’altro fine principale della rappresentazione ; e, in ultima istanza, orna la
pièce, forte della sua retorica delicata che contrasta con la gravità del discorso politico,
giudiziario o morale. Ma non è tutto. Avvalendosi della tematica amorosa, i drammaturghi
moderni hanno egualmente trasformato il soggetto epico apportandovi degli elementi
inediti, suscettibili di creare nuove peripezie o di consolidare la struttura delle pièces, di
corroborare la lezione dell’avventura antica o di sfumarla. Essa interviene quindi
direttamente nella composizione del soggetto teatrale.

Del resto, abbiamo osservato che l’introduzione della sfera dell’amore è essa stessa
generatrice di invenzioni : essa dà impulso a nuovi intrighi, concepisce nuovi personaggi o
modifica i legami tra quelli già esistenti.

Abbiamo considerato a questo proposito, due
schemi fondamentali di invenzione drammatica di cui i poeti potevano servirsi.

Il primo, di
origine antica, è quello che Aristotele chiama nella sua poetica « la lotta tra prossimi », la
violenza compiuta nell’ambito di un’alleanza. Il secondo, di origine moderna, è quello che
si chiama comunemente « la catena degli amori », la rete di legami affettivi che
moltiplicano i conflitti tra i protagonisti dell’azione, e che si esprime notoriamente nella
commedia mediante il triangolo amoroso. Attraverso l’analisi dell’attuazione di questi
schemi di invenzione legati alla tematica amorosa, abbiamo potuto studiare il rapporto che
intercorre tra la materia ricavata dalle fonti e la struttura dei personaggi che presenta la
forma drammatica.

In un secondo momento, abbiamo focalizzato la nostra attenzione non più sul
soggetto bensì sul conflitto drammatico creato dai poeti moderni.

Le esigenze della
passione amorosa, confrontate con i rigori del fervore patriottico, con le necessità della
pietà familiare o con le intransigenze dell’onore, producono delle opposizioni
eminentemente drammatiche, che portano a termine il processo di trasposizione del registro
epico nell’ambito teatrale.

Si è trattato soprattutto di gettare luce sulle fonti alle quali i
drammaturghi hanno attinto l’ideale sentimentale che essi presentano nelle loro pièces e di
vedere se si potevano dedurre, dalle diverse concezioni della passione amorosa, le basi dei
singoli conflitti drammatici.

Infine, in virtù dell’importanza della tematica amorosa ai fini
della composizione del soggetto, la visione di insieme del complesso reticolo di tensioni
drammatiche che esibiscono le diverse trasposizioni del soggetto di Orazio ci ha indotto a
considerare la portata del protagonismo dei personaggi femminili nelle pièces. Mentre il
genere epico tende a riservare il ruolo di personaggi principali agli eroi maschili, il dramma
mette in rilievo le sofferenze della donna innamorata, portando sulla scena, secondo gradi
diversi, il dolor e il furor tragici, specificatamente femminili.

L’universo epico,
contrassegnato, già nella tradizione omerica, dai valori eroici e maschili della gloria e del
coraggio, viene sconvolto dalla presenza di un conflitto sentimentale.

L’elemento patetico,
suscitato dall’esibizione della sofferenza della giovane vittima.

La promozione di questo
personaggio, che passa da una semplice allusione in Tito Livio al rango di personaggio
centrale, hanno permesso di riflettere sullo statuto del protagonista teatrale.

Nello stesso
tempo, abbiamo cercato di dimostrare che se il soggetto tragico di Orazio produce tanti
paradossi e alcune debolezze (quelle che abbiamo rilevato soprattutto nel capitolo 4) è
perché il suo trattamento drammaturgico ricopre una duplicità prospettica legata
all’applicazione di certi modelli preesistenti.


 LA MESSA IN FORMA TEATRALE

Abbiamo presentato, in questo capitolo, la trasposizione scenica del soggetto di
Orazio come il risultato dell’espressione di un’idea generale del teatro, e di una
applicazione particolare di essa. Il nostro obiettivo è stato quello di analizzare la struttura
drammatica che condiziona le riprese moderne della materia di Orazio, basate sugli
strumenti teorici o, se si preferisce, sulla filosofia estetica che, esplicitamente o
implicitamente, ha influenzato i diversi autori e le diverse epoche.

A questo fine, ci siamo
rivolti a coloro che erano i principali soggetti di riflessione poetica nel momento in cui il
genere drammatico ha conosciuto la sua più grande vitalità : la questione dell’imitazione,
destinata a rendere una certa immagine della realtà storica secondo i canoni della
verosimiglianza e del decorum, da un lato; l’esigenza di unità e di coerenza nella
costituzione dell’intrigo della sua impalcatura spazio-temporale, dall’altro. Nel primo caso,
abbiamo principalmente tenuto conto delle convinzioni del pubblico; nel secondo caso,
delle particolarità e dei limiti della scena.

Le pièces dell’Aretino, di Lope de Vega e di Corneille, vengono alla luce a distanza
di mezzo secolo l’una dall’altra, in un’epoca che ospita alcune tappe fondamentali
nell’elaborazione della poetica moderna. Per situare gli adattamenti teatrali nell’itinerario
evolutivo di questo contesto estetico, abbiamo interpellato il pensiero teorico sul teatro,
sviluppato dai trattatisti italiani dei secoli XVI e XVII.

Nell’intento di
rendere possibile un’analisi autenticamente comparativa, abbiamo sottoposto le pièces in
questione ad una riflessione riguardante in primo luogo la ricezione della teoria aristotelica
nei tre paesi. È misurando lo iato tra l’eredità della teoria antica e la novità di certe pratiche
sceniche che è stato possibile rilevare puntualmente le specificità proprie ad ogni letteratura
e ad ogni autore. Nell’articolazione di questo capitolo abbiamo fatto leva sull’idea che la
finalità ultima di una pièce teatrale consiste nell’avere un contatto diretto con il pubblico
attraverso l’intermediario di una prestazione fisica. Il pubblico, destinatario
imprescindibile, e la scena, luogo materiale della rappresentazione, condizionano la
scrittura teatrale e intervengono nel processo di creazione sin dalla composizione stessa
dell’opera scritta.


Scrivere per il pubblico

Tra i principi da applicare nell’imitazione drammatica, il primo è certamente quello
della verosimiglianza. Prescritto dalla ragione, fondato sulla finalità edificante della poesia,
esso concerne tutti i problemi essenziali della drammaturgia e interviene, in qualità di
garante della coerenza interna dell’opera, sin dalla prima fase della creazione, la scelta del
soggetto. La prima questione che è stato opportuno affrontare è stata quella di sapere che
cosa occorra intendere per verosimiglianza. In seguito, abbiamo cercato di determinare il
rapporto che intercorre tra il concetto di verosimiglianza e le nozione di vero, probabile e
possibile, a cui essa può essere ricondotta. L’uso che i drammaturghi fanno della verità
storica contenuta nel soggetto di Orazio e le trasformazione necessarie a una nuova
coerenza che tenga conto della scena non meno che delle attese degli spettatori, dipendono
da questa definizione e divergono sensibilmente da una letteratura ad un’atra.

D’altra parte,
abbiamo notato che se il rispetto della verosimiglianza è una garanzia di coerenza, la realtà
rettificata, stilizzata secondo i canoni della verosimiglianza che le conferiscono un carattere
più accettabile, la rendono anche meno eclatante e più banale. Mentre la poetica classica
orienta il teatro verso la rappresentazione di azioni universalmente accettabili, quelle con le
quali ci si può abitualmente imbattere nell’esperienza quotidiana, il soggetto di Orazio
sembra corrispondere meglio ad un’altra concezione del teatro, piuttosto barocca, sensibile
al carattere straordinario dei “grandi soggetti”.

Il secondo grande principio dell’imitazione che abbiamo considerato, è quello che il
classicismo ha designato con il nome di decorum (bienséance), concetto estremamente
complesso che concerne la teoria dei costumi, incorpora la regola della verosimiglianza
nella sua applicazione ai caratteri (decorum interno) e traspone, nella poetica, degli scrupoli
di ordine morale riguardanti certe situazioni, sentimenti o spettacoli (decorum esterno).

 Il
suo fondamento poggia su un’esigenza di armonia globale della composizione, al contempo
interna, inerente al poema drammatico, e esterna, tra il poema drammatico e il pubblico. Il
pubblico impone, quindi, sotto la dicitura di decorum, il rispetto degli usi contemporanei
nella composizione dei caratteri, ma anche, più generalmente, la sua concezione
dell’onestà, introducendo una nozione morale indipendente dal concetto tutto intellettuale
di verosimiglianza. Nel corso del capitolo, abbiamo preso in considerazione solo il decorum
esterno, basato su criteri fondamentalmente morali, applicato non già alla creazione dei
singoli personaggi ma, più in generale, alle azioni rappresentate.

Siamo partiti dal principio oraziano del decorum così come esso è esposto nella Poetica di
Bernardino Daniello (1536) , il quale indica tre ordini di cose che debbono essere proscritte
dalla scena : l’impossibile, lo spaventoso, il disonesto. Certe azioni cozzano, in effetti, con i
limiti dei mezzi scenici ; certe altre, con la sensibilità dello spettatore; certe altre, ancora,
con i valori etici comunemente ammessi. Volendo trasporre la leggenda degli Orazi e dei
Curiazi sulla scena, tre aspetti principalmente dell’avventura epica fanno problema e
richiedono un trattamento sufficientemente meditato : la rappresentazione dello scontro
armato che oppone i romani agli albani, la crudeltà dell’omicidio, la messa in scena della
femminilità e dei rapporti affettivi.

Scrivere per la scena

In questa seconda parte abbiamo esaminato non la messa in scena fisica delle pièces
medesime, ma piuttosto il modo in cui il soggetto è stato concepito per la scene nello spirito
dei drammaturghi, essendo il loro approccio creativo centrale ai fini del nostro studio. Così,
ci siamo interessati all’influenza che in questa scrittura può avere la teoria poetica, intesa
come l’esito di una riflessione di fondo a proposito dei condizionamenti specifici alla forma
drammatica. Le regole proprie al genere tragico e, in particolare, le prime pratiche e
codificazioni della poetica umanista, quelle della tragedia classica francese, così come le
caratteristiche proprie a quel genere misto che è la comedia spagnola, insomma tutte queste
strutture teoriche vengono sollecitate nel corso della nostra esposizione e utilizzate come
strumento concettuale nell’analisi delle trasposizioni teatrali. Tenuto conto delle
particolarità del soggetto si è preferito non fare entrare a tutti i costi i drammi di Orazio
nelle strettoie delle singole dottrine, essendo queste in generale troppo rigide e spesso in
contrasto con la produzione drammatica stessa. Per descrivere le pièces nelle loro
specificità abbiamo adottato lo schema tripartito della regola delle tre unità (azione, tempo,
luogo), che hanno funto da quadro teorico e da struttura speculativa.
La nostra riflessione sull’azione drammatica nei drammi di Orazio si è articolata
attraverso tre problemi : la sua duplicità, la sua struttura ibrida, il suo carattere istantaneo.
In primo luogo, abbiamo costatato che dal teatro classico del Rinascimento, passando
attraverso la comedia sino al teatro regolare francese, tutti aspirano a una forma di unità o,
per lo meno, ad una coerenza dell’azione che il soggetto di Orazio sembra, a prima vista,
incapace di soddisfare, in quanto comporta un’azione duplice, che presenta due pericoli
successivi, il combattimento dell’eroe contro i Curiazi e il processo che potrebbe
condannarlo a morte in seguito all’omicidio di sua sorella. L’altro problema fondamentale è
che questa azione duplice presenta un carattere ibrido in quanto rimanda a due pericoli di
natura diversa. Nell’episodio di Orazio si susseguono brutalmente il ritorno dell’eroe
trionfante e il suo atto criminale. Se è vero che l’intensità di questa brusca transizione dal
trionfo all’ignominia spiega certamente la bellezza di un soggetto straordinario, è anche
vero che qui risiede il problema principale legato all’unità di azione e alla coerenza
strutturale che la composizione drammatica reclama. Infine, l’azione principale dei drammi
di Orazio, vale a dire l’omicidio della sorella per mano del fratello, è problematica in
quanto si tratta di un’azione istantanea, e ciò entra in contraddizione con la teoria
aristotelica secondo la quale ogni azione ha una certa estensione: un inizio, uno
svolgimento e una fine. Fondata su un’azione momentanea, la composizione della struttura
drammatica può farsi unicamente per amplificazione.

Per quanto riguarda la temporalità, siamo partiti dalla necessità, inerente alla forma
teatrale, di stabilire un tempo limitato per l’esposizione degli eventi che compongono
l’azione. Abbiamo osservato che la quantità di tempo che l’autore si dà per raccontare gli
eventi della storia e il modo in cui l’azione è distribuita in questo quadro cronologico, sono
altrettanti elementi che concernono l’ideazione stessa dell’opera. Abbiamo, dapprima,
ricostruito il dibattito dei teorici a proposito della limitazione temporale indispensabile al
teatro e l’evoluzione speculativa che genera l’istituzione della regola delle ventiquattro ore.
Abbiamo, in seguito, analizzato le pièces e scoperto importanti differenze tra il tempo della
(tragi)-commedia e il tempo della tragedia: la concezione barocca del tempo che permette
di dilatare l’azione su più giornate conferisce un ritmo estremamente vivo alla
composizione, laddove il tempo delle tragedie è ritmato da pause e attese, e rasenta talvolta
la dimensione del tempo epico.

Infine, abbiamo esaminato lo spazio in una sezione che tratta, nello stesso tempo,
dello spazio scenico e delle peculiarità di distribuzione spaziale sottese dalla scelta di un
luogo per accogliere l’azione rappresentata. Senza confondere questi due aspetti, abbiamo
analizzato insieme lo spazio teatrale e il luogo dell’azione, essendo il luogo una scelta
spaziale determinante per il significato delle azioni che vi si svolgono, per la scelta delle
azioni che si possono o meno rappresentare nello spazio della scena, e anche per la
temporalità, in quanto si possono rappresentare delle azione simultanee in due luoghi
presentati successivamente. Tutte queste implicazioni, che tendono a misurare l’importanza
nell’azione e nella concezione spaziale di ogni universo drammatico, sono state prese in
considerazione in tre momenti diversi, secondo la divisione che corrisponde alle nostre tre
pièces.

VERSO IL MITO LETTERARIO DI ORAZIO, la terza parte della tesi investe il
soggetto degli Orazi e dei Curiazi in un’ottica mito-critica.

Vi affrontiamo questa matteria
letteraria mediante un approccio diacronico che si stende dalle origini leggendarie arcaiche
alle manifestazioni sceniche del periodo rivoluzionario. Articolata in due sezioni, questa
parte della tesi distingue il mito eziologico dal mito letterario : da un lato, abbiamo
condotto un’inchiesta a proposito delle sue origini culturali, nel tentativo di cogliere il
significato profondo che questo mito ricopre all’interno delle civiltà indo-europea e
successivamente romana; da un altro lato, abbiamo esaminato le sue manifestazioni
letterarie, elaborate a partire da alcune filosofie della storia e diversamente tradotte sulla
scena in opere drammatiche e liriche.

 IL MITO EZIOLOGICO

Associando le gesta di Orazio alla funzione guerriera di cui Tullo Ostilio sarebbe il
rappresentante nell’epica romana, Georges Dumézil compara, nella sua opera del 1942
Horace et les Curiaces, un complesso di miti, leggende e riti legati alla medesima funzione
in altri popoli indo-europei.

Qualche anno più tardi, nell’opera Heur et malheur du
guerrier, il comparatista ritorna sull’episodio romano per spiegarlo, questa volta, alla luce
della tradizione indo-iraniana, nella quale egli rileva delle corrispondenze suscettibili di
restituire il senso religioso arcaico della medicazione purificatrice applicata all’eroe
macchiato dal crimine.

Le conclusioni di Georges Dumézil forniscono alla nostra ricerca il
principale punto di partenza : sulla scia di questo autore ci siamo interrogati, in primo
luogo, sulle origini della leggenda di Orazio, concepita come una rielaborazione romana di
temi che rimandano alla funzione guerriera di certi popoli indo-europei.

Questa prima
indagine comparativa ci ha permesso di misurare il modo in cui la leggenda antica ha
saputo veicolare dei contenuti antropologici, costitutivi della figura di un Orazio guerriero.


Le analisi di Georges Dumézil ricostruiscono gli aspetti principali che la materia
mitica ha ripreso dai romani, restituendo loro il significato che avevano nella cultura
pelatina.

Tuttavia, è possibile che questo racconto
delle origini abbia potuto avere, per i
romani, un significato mitico diverso
rispetto ad un rinvio più o meno consapevole ai miti
ancestrali della funzione guerriera.

In uno studio del 1970 Enrico Montanari, partendo da
una ricerca sulla storia di Roma dalle origini
ai primi secoli della Repubblica, si interroga
sul significato propriamente romano che può essere attribuito alla leggenda di Orazio.

Ai
suoi occhi, quella patria del diritto che fu la
Roma dell’antichità, ha trovato nella figura
leggendaria un prototipo di "civismo" delle origini, l’espressione
per così dire arcaica di
questo ideale.

E, nel suo processo, un esempio
della giustizia del popolo, che conoscerà
nella "provocatio ad populum" repubblicana la sua manifestazione storica.

Il re Tullo Ostilio,
sotto l’egida del quale si situa questa avventura mitica, non
si limiterebbe quindi a
rappresentare la funzione guerriera.

Egli ricoprirebbe anche, nell’immaginario romano, una
funzione riformatrice nei confronti della
quale i suoi campioni, gli Orazi, hanno partecipato
attivamente.

Da parte nostra abbiamo adottato il punto di vista di Enrico Montanari per
suggerire l’ipotesi di un Orazio civico.

IL MITO LETTERARIO

La leggenda di origine arcaica, una volta configurata nei suoi tratti salienti, è
trasmessa dall’antichità mediante numerose fonti.

Ogni autore cimentatosi con questa
narrazione ha conservato la memoria dell’episodio aggiungendovi la propria « percezione
mitica ».

Nel corso di questo capitolo abbiamo rievocato alcuni momenti chiave della
tradizione interpretativa dell’episodio romano che hanno segnato la storia delle idee, allo
scopo di mostrare che le trasposizioni drammatiche si iscrivono in una linea di continuità
rispetto ad essa.

Dopo aver esposto le prime trasposizioni letterarie degli storici romani Tito
Livio e Dionigi di Alicarnasso, abbiamo interpellato i loro principali commentatori.

Al
termine di questo primo percorso sono stati passati in rassegna le tre direzioni interpretative
fondamentali della leggenda di Orazio di cui gli adattamenti teatrali sono tributari.

Le
concezioni di Agostino, Dante, Petrarca, Machiavelli e Guicciardini convergono e
cooperano alla formazione di una controversia filosofica che la polifonia inerente al genere
drammatico recupera e riorienta secondo finalità diverse.

Il secondo nucleo del nostro studio sul mito letterario di Orazio ha inteso ricostruire
l’itinerario di questa leggenda romana, divenuta soggetto letterario, in seno ad un intervallo
cronologico che va dalla seconda metà del secolo XVI alla fine del secolo XVIII. Al fine di
fornire un’esposizione delle nuove proposte interpretative, ideologiche ed estetiche che
vedono la luce nel corso dell’Antico Regime, abbiamo misurato la loro importanza, la loro
specificità nella configurazione generale della materia di Orazio prestando attenzione ai
fenomeni di diffusione e d’influenza.

Alcune opere, spesso trascurate in sede critica, sono
state oggetto di un esame particolare.

Per un verso, le versioni drammatiche di
Saverio Pansuti (1719)
Benedetto Giorgio Bravi (1742)
William Whitehead (1750) .

Per un altro
verso, i LIBRETTI delle opere di

Antonio Salieri (1786)
Domenico Cimarosa (1796) [tenore: Babini, ORAZIO]
Saverio Mercadante (1840).

Ciò
che abbiamo potuto costatare è il modo in cui la forma teatrale ha plasmato uno scenario
quasi invariabile, secondo modalità diverse.

Il modo in cui le trasposizioni drammatiche
hanno stabilito, simultaneamente, la loro identità e la loro originalità (formale, ideologica,
teleologica) proprie, riproponendo, attraverso le categorie della finzione, un dibattito
interpretativo radicato, al contempo, nella contingenza di un contesto storico e culturale
particolare e nella necessità di certi parametri antropologici.

PER UNA MITOPOIETICA DI ORAZIO
La ricchezza delle ricezione del soggetto antico ci ha incoraggiati a supporre
l’esistenza di un mito di Orazio di cui si potrebbero fissare le invarianti e analizzarne le
modalità di rappresentazione.

Si tratta di ciò che abbiamo tentato di fare nella parte
conclusiva del nostro lavoro, tratteggiando le linee generali di una possibile mitopoietica di
Orazio.

Abbiamo individuato, in un primo momento, un numero limitato di invarianti – di
elementi distintivi indispensabili ad uno scenario permanente – che corrispondono alla
struttura profonda sulla quale riposa l’insieme delle attualizzazioni del mito di Orazio.


Questa struttura rimanda ad un dispositivo ternario di unità costitutive che abbiamo
designato mediante tre espressioni: l’alleanza infranta, la femminilità sacrificata e
l’autorità restauratrice. L’eroe medesimo, lungi dall’esserne escluso, partecipa
implicitamente di queste tre componenti : della prima in quanto « oggetto », della seconda
in quanto « agente », della terza in quanto « soggetto passivo ».

La loro disposizione
determina egualmente un ordine cronologico, dal momento che queste componenti
strutturali corrispondono più o meno direttamente alle tre componenti narrative del mito di
Orazio (duello, omicidio e assoluzione), schema diegetico di base il cui ordine non può
essere alterato.


Per ritrovare la semantica profonda della natura mitica di Orazio, l’abbiamo
esaminata alla stregua di una figura archetipica, non già in quanto rappresentazione
primaria legata ad un inconscio collettivo, ma come una di quelle immagini, o uno di quei
simboli, ricorrenti che coniugano e integrano l’esperienza letteraria, e che sono
necessariamente a contatto con la dimensione nello stesso tempo sociale e convenzionale
della poesia.

Nella suo statuto archetipico, topico, universale, Orazio può spiegarsi secondo
un duplice versante interpretativo che si ricollega al duplice paradigma mitico che abbiamo
messo in evidenza risalendo alle sue origini.

Un paradigma guerriero, relativamente
atemporale e un paradigma civico, storicamente e ideologicamente determinato.

Il paradigma guerriero
colloca la figura di Orazio nella sfera letteraria dei « guerrieri epici » (Achille, Enea,
Rolando).

Il paradigma civivo, invece, gli restituisce il suo significato storico che lo caratterizza in
virtù del suo ruolo di « patriota » all’interno di un paradigma culturale che procede dal
cittadino-guerriero spartano e romano, al rivoluzionario.

Con ciò non abbiamo voluto
esaurire tutti i risvolti del soggetto letterario, né preteso di aver risolto il paradosso
fondamentale che esso racchiude.

Il nostro fine era piuttosto quello di stabilire alcune
costanti formali e semantiche suscettibili di delucidare la figura di Orazio, assegnandogli il
posto che merita nell’alveo culturale dell’immaginario europeo

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