Speranza
Il segreto di Paolo Sorrentino
Ti piace «La grande bellezza»?
Dopo il
Golden Globe e verso l'Oscar: esprimete il vostro parere commentando questo
articolo.
Vi è piaciuto il film «La grande
bellezza»?
Perché?
Dopo l'annuncio del Golden Globe a Paolo Sorrentino si è
scatenato sui social network e tra gli spettatori appassionati di cinema un
nuovo dibattito sul lavoro felliniano del regista vomerese, in corsa per gli
Oscar.
Si propone dunque ad intellettuali, artisti,
professionisti e a tutti i lettori di esprimere la loro opinione.
Si comincia
con i quattro pareri raccolti in questa pagina, poi la discussione proseguirà
anche sul web.
COME FERITO A MORTE.
Esistono due
grandi famiglie a cui si può appartenere in qualità di cinefili. I godardiani e
i viscontiani.
Alla prima genealogia appartengono tutti quei cineasti che hanno
predicato un cinema di «messaggi», magari sporco nella realizzazione,
volutamente impreciso ma eticamente corretto.
L'altro, di converso, tecnicamente
impeccabile e stilisticamente sontuoso ma che può rasentare l'algido.
Paolo Sorrentino appartiene sicuramente alla seconda fazione, con un
cinema fatto di luci particolari, con tagli di inquadrature vertiginosi e
scenografie sfarzose.
I suoi film si sono connotati da subito con lo stigma
della perfezione tecnica che ha fatto gridare allo scandalo i seguaci di Dogma e
del cinema «guerrigliero» e disturbante.
E La grande bellezza è il punto di non
ritorno di una carriera piena di successi come poche negli ultimi anni.
Paragonato fino allo sfinimento a La dolce vita, è invece da accostarsi più
all'altro grande capolavoro felliniano.
Di Otto e mezzo c'è il bilancio
dell'intellettuale che ha raggiunto la piena maturità e l'accumulazione di temi
visionari (magari non tutti pienamente risolti) che sfociano nel grottesco.
Ma
non è solo e tanto al cinema che rimanda questo affresco preciso e al tempo
eccessivo.
Nella riflessione civile, nella polifonia elegiaca, nel pedale spinto
sullo struggimento e sulla nostalgia c'è il ritorno a cui noi napoletani
dobbiamo, prima o poi, fare riferimento.
Quel Ferito a morte che mezzo secolo fa
ha costretto tutti a confrontarsi con l'insoddisfazione e il pessimismo senza
prospettive, all'impegno e al rigore.
Jep Gambardella è insomma l'indolente
Massimo de Luca di Raffaele La Capria cui questi cinquant'anni hanno lasciato in
eredità disincanto e cinismo cui la «grande bellezza» dello sfondo fa risaltare,
per contrasto, tutta la sua miseria.
UNA PASSIONE PER LA VITA.
Ho visto La grande bellezza.
È un rito che si svolge ogni tanto di domenica, quando mia moglie
ha qualche impegno e che amo moltissimo.
Da quando poi ho scoperto che Benedetto
Croce usava andare al cinema con sua figlia Silvia la cosa mi piace ancora di
più, ma io e mia figlia cerchiamo di non montarci la testa.
Ci sono andato
francamente con qualche prevenzione, avevo sentito parlare di un film f
elliniano e d'altra parte l'ambientazione romana rendeva perfettamente
credibile l'idea e, in linea di massima, sono sfavorevole ai remake, soprattutto
quando riguardano grandi autori e quindi film che sono entrati in maniera
decisiva nella cultura e nell'immaginario del secolo scorso.
Invece il film mi è
piaciuto moltissimo per molte ragioni tra cui ne indicherò una soltanto, molto
particolare e perfino personale, resa possibile dallo straordinario rapporto
soprattutto tra il regista e il suo attore principale.
Il film si svolge
nell'atmosfera di una Roma senza ideali e decadente, eppure il muoversi un po'
dinoccolato di Antonio Servillo e di molti altri attori nei frequenti «balletti»
che chiudono molte serate di Jep al ritmo serrato che Bob Sinclair ha dato al
vecchio successo, e alla stessa voce, di Raffaella Carrà in «A far l'amore
comincia tu», sembra dare corpo ad una straordinaria passione per la vita fisica
degli uomini, capace di prevalere su tutte le maschere culturali e non che gli
uomini si danno.
Insomma è come se, mentre tutto sembra finire in un languore
senza senso, la vita ricominciasse ogni volta da quella musica, da quei corpi
che non si fermano.
Uomini che diventano quasi animali senza valori che vogliono
agitandosi ritornare uomini.
Certo il film è felliniano, ma, anche per questa
via, ho capito che la grandezza di Fellini è stata anche quella di interpretare
un modo di essere dell'uomo e della nostra cultura.
Si può amare la vita anche
fingendo di non amarla e perfino senza sapere di amarla.
Poi la musica riparte e
c'è qualcosa che supera tutti noi e i nostri orpelli culturali.
Alla fine lo
smidollato Jep Gambardella, scrittore di un solo libro, ricomincia a scrivere, e
la Carrà ripete «a far l'amore comincia tu».
SOLO UN AFFRESCO DI ROMA -
È un film sicuramente bello, ma a me La
Grande Bellezza non è piaciuto.
Non mi è piaciuto perché vedermi sbattere in
faccia questo spaccato romano, questo cinismo molto anni Ottanta mi ha
francamente infastidito.
Sono andato a vedere il film dopo averne sentito
parlare per un bel po'.
Ero curioso, avevo sentito tanti commenti e ho voluto
capire e verificare di persona.
Detto questo, e chiariti i motivi per i quali
non ho amato quest'opera, direi che siamo di fronte ad una straordinaria
promozione per Roma, che ne viene fuori languida ed irresistibile.
È
meraviglioso l'affresco della città che viene raccontata per quello che è: una
grande opera d'arte realizzata nei secoli che è arrivato a noi bellissima e
sfrontata.
Ma non è solo la città a funzionare.
Meritano lodi Antonio Servillo e
tutti quelli coinvolti, anche solo per un cameo.
Paolo Sorrentino ha messo
insieme un bel concorso di talenti e spero che sia stata solo l'emozione a
fargli dimenticare di ringraziare quanti hanno contribuito alla buona riuscita
del film.
So che la mia è una posizione non allineata con l'entusiasmo generale
ma, al di là del parere personale, devo riconoscere che questo film è un'opera
apprezzabile per la sua universalità.
Quando la porti in giro per il mondo
racconta l'Italia, che è una cosa che i cinesi non possono replicare.
È un film
che svela il nostro fascino e la nostra storia, che poi sono il nostro petrolio.
Gli Stati Uniti hanno tante cose, ma a loro manca la grande bellezza del nostro
Paese.
QUEL FASCINO
PERTURBANTE - E chi l'ha detto che una storia, per essere bellissima, debba
necessariamente comunicare soddisfazione e beatitudine?
Chi mai l'ha scritto che
una storia per essere arricchente e profonda debba avere un fine lieto, o uno
scopo etico?
La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è un cammino ondivago tra i
vicoli nei quali abbiamo perso l'anima, inseguendo vanità e superfluo,
superficialità ed effimero.
Seguendo i passi di un Antonio Servillo semplicemente
gigantesco, Sorrentino ci accompagna a guardare il panorama del nostro inverno,
della stagione in cui si è probabilmente completata la decadenza totale della
nostra vita sociale e di ogni processo etico.
La stagione del silenzio e dei
sorrisi di plastica, della musica a palla e dei fiumi di liquidi e polveri che
ci possano far dimenticare quello che siamo diventati, sballandoci del grande
futuro che ci siamo lasciati alle spalle e di un passato che portiamo addosso
come un marchio d'infamia.
Migliore è lo specchio in cui ci guardiamo, più
pulito e limpido è, più sarà spietata l'immagine che rimanderà ai nostri occhi.
Se non ci piace quello che vediamo, è solo il gran merito dello specchio.
Siamo
vecchi.
Totalmente, irriducibilmente vecchi.
E poveri, e secchi.
Colti,
intelligenti e disperati, come Jep Gambardella.
La Grande Bellezza è uno
straordinario, fantastico prodotto di un'inventiva cinematografica geniale, ed è
interpretato da un Genio della scena.
Quello che racconta di noi, ovviamente,
non può che darci paura e sofferenza.
UN'ITALIA
CHE NON C'È PIU'
Uno spaccato di una Italia oramai superata, di una vecchia
opulenta Italia che non esiste più, con tutti i suoi pregi e difetti: così mi è
apparso in tutta la sua vivacità «La grande bellezza» di Paolo Sorrentino.
Il
film rappresenta pienamente e fedelmente l'Italia di qualche decennio fa, cui in
troppi, ancor oggi, sono rimasti ancora legati.
Quell'Italia fatta di feste,
banchetti, di una vita mondana che non appartiene più ai tanti come un tempo, ad
un'Italia che, con molta probabilità, ha minato la nostra società di oggi, le
cui conseguenze della futilità di tante azioni, la continuiamo a pagare ancor
oggi.
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