Sunday, February 9, 2014

LA SCHIERA DEL PRINCIPE IGOR: melodramma eroico in un prologo e quattro atti (La Scala, 26 dicembre 1915)

Speranza

 

        
 
Dipinto di Viktor Vasnetsov raffigurante il campo di battaglia dopo la sconfitta delle truppe di Igor

Il Canto della schiera del principe Igor (Antico slavo: Слово о плъку Игоревѣ; ucraino: Слово о полку Ігоревім; russo: Слово о полку Игореве) è un poema anonimo della letteratura russa scritto in Antico slavo e approssimativamente risalente alla fine del XII secolo.

È a volte anche conosciuto come Il Poema della Campagna del principe Igor o Il Canto della Campagna del principe Igor.

L'autenticità dell'opera è controversa, anche se la prevalente storiografia sembra oggi convergere in tal senso.

Il Canto della schiera del principe Igor è stato adattato in musica da Alessandro Borodine diventando uno dei più grandi classici del repertorio melodrammatico russo.

Intitolata "La schiera del principe Igor: melodramma eroico in un prologo e quattro atti", l'opera venne messa in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano nel 1915.

 

La trama ruota intorno alla

fallita campagna militare dello

knjaz Igor Sviatoslavič di Novhorod-Sivers'kyj

-- città facente parte del Principato di Černigov nell'antica Rus' di Kiev

-- contro i polovcy

-- anche conosciuti come cumani

-- che vivevano nella parte meridionale della regione del Don nel 1185 (Battaglia del fiume Kajaly).

Sono inoltre menzionate altre figure storiche della Rus' come

il bardo Bojan
il principe Vseslav di Polotsk
Jaroslav Osmomisl di Halyč, e
Vsevolod III di Suzdal.

L'autore si appella ai riottosi principi russi affinché cessino le schermaglie interne e facciano fronte compatto per contrastare le minacce provenienti dall'oriente turco.

Un interessante aspetto del testo è la commistione tra il Cristianesimo e l'antica Religione slava.

La principessa Jaroslavna, moglie del principe Igor, in una famosa parte dell'opera invoca le forze naturali dalle mura di Putyvl'.

Un'altra peculiarità che lo contraddistingue dai contemporanei poemi epici occidentali è la continua descrizione della natura come una forza che gioca un ruolo fondamentale nelle vite degli esseri umani.
riproduzione della prima pagina del Canto della schiera del principe Igor (nell'edizione del 1800)

 

L'unico manoscritto del Canto della schiera del principe Igor, che si ritiene essere stato scritto nel XV secolo, fu scoperto nel 1788 in una biblioteca di un monastero di Jaroslavl'.


I monaci lo vendettero a un proprietario terriero locale, Aleksej Musin-Puškin, come parte di una raccolta di dieci testi.

Intuito il valore dell'opera quest'ultimo la trascrisse per l'Imperatrice Caterina II, nel 1795 o 1796, e la pubblicò nel 1800 grazie all'aiuto dei principali paleografi russi del tempo, Aleksei Malinovskij e Nikolai Bantiš-Kamenskij.

Il manoscritto originale bruciò nell'grande incendio di Mosca del 1812 (durante l'occupazione delle truppe francesi), insieme con l'intera biblioteca di Aleksej.

Vladimir Nabokov pubblicò una traduzione dell'opera in inglese nel 1960.

Altre edizioni, compresa quella sovietica, furono edite con il commento di Dmitrij Lichačev.

 

La pubblicazione di tale opera provocò subbuglio tra i circoli letterari russi, poiché il Canto rappresentava la prima opera slava antica scritta senza alcuna mescolanza con lo Slavo ecclesiastico.

Gli studiosi ucraini residenti allora nell'Impero austriaco sostennero, dopo un'attenta analisi linguistica, che il documento conteneva un linguaggio di transizione tra la lingua dell'Antica Rus' e quella dei secoli immediatamente successivi a quelli della stesura del documento.

La dialettologia moderna ritiene che il "Canto della schiera del principe Igor" possa essere stato molto probabilmente scritto a Pskov o Polotsk.

La sua paternità fu attribuita a numerose persone, compresi il Principe Igor e i suoi fratelli.

 

Quando la prima edizione del Canto fu pubblicata sorsero molti dubbi sulla sua autenticità, soprattutto per quel che concerneva il linguaggio.

I sospetti furono alimentati dalle opere d'invenzione contemporanee (per esempio, i "Canti di Ossian" che furono composti da James Macpherson).

Oggi l'opinione corrente accetta l'autenticità del testo, basandosi sulla similarità con quello si altre opere coeve rinvenute dopo il Canto.

Illustrazioni al testo di Ivan Bilibin


All'inizio del XIX secolo tuttavia una corrente di pensiero, capeggiata dal giornalista ed orientalista Josef Sienkowski sostenne che l'opera fosse stata scritta dallo stesso Aleksei Musin-Puškin, o da altri scrittori come Anton Bardin e Aleksander Sulakadzev.

È opportuno tuttavia sottolineare che l'autenticità del documento non fu messa in dubbio da nessun esperto linguista.

Infatti, secondo l'opinione maggioritaria, l'imitazione del linguaggio del XII secolo sarebbe stato impossibile prima della scoperta del testo sulla corteccia di betulla, avvenuto solo nel 1951.

 

Il problema fu politicizzato nell'era Sovietica: coloro i quali tentavano di mettere in dubbio l'autenticità del Canto (per esempio, lo slavista francese André Mazon o lo storico russo Aleksander Zimin) così come chi proponeva interpretazioni non-standard, come il poeta ed intellettuale eurasista kazaco Olžas Sulejmenov (che considerava l'opera autentica ma riteneva, anche in virtù dei numerosi prestiti linguistici dalle lingue turche presenti nell'opera, che questa fosse di fatto la prova dei forti legami dell'epoca tra i Russi ed i popoli turchi della steppa), era condannato ufficialmente.

La dialettica e la contrapposizione su tale punto non avevano tuttavia unicamente presupposti ideologici.

Le opinioni di Mazon e Zimin furono contrastate, ad esempio, da Roman Jakobson, uno degli slavisti più famosi del XX secolo, i cui lavori furono banditi dall'URSS.

Uno dei punti cruciali della controversia furono le analogie riscontrate tra il Canto e Zadonsčina, un poema epico senza dubbio autentico, conservato in sei copie manoscritte e composto nel XV secolo per celebrare la vittoria di Dimitri di Russia nella Battaglia di Kulikovo.

Dall'analisi di quest'ultimo testo si riscontrano infatti passaggi pressoché identici tra le due opere.

Il punto di vista tradizionale ritiene che la Zadonsčina sia una tarda imitazione del Canto della schiera del principe Igor.

Altri invece ritennero che fu quest'ultima ad essere stata composta usando la Zadonsčina come fonte.

Recentemente le analisi di Jakobson e Zaliznjak hanno riscontrato che in quest'ultima opera tali passaggi differiscono dal resto del testo per un gran numero di parametri linguistici, altrove non presenti.

Questa circostanza è stata indicata quale prova dell'autenticità del Canto.

 

… Che il vate Bojan,
quando voleva comporre un canto a qualcuno,
balzava in pensiero sugli alberi,
o sul suolo a guisa di lupo grigio, o sotto
le nuvole a guisa d’aquila azzurra.
Poiché, come diceva, al ricordarsi
delle contese dei tempi andati, lanciava
dieci falchi su uno stuolo di cigni: chi ne coglieva,
quello per primo intonava il canto.
Però, fratelli, Bojan non lanciava
dieci falchi su uno stuolo di cigni;
posava invece le dita stregate
sopra le corde viventi, e quelle da sole
intonavano l’inno alla gloria dei principi…

 

  1. ^ Marlène Laruelle, Russian Eurasianism: An Ideology of Empire, p.174

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