Tuesday, May 13, 2014

LOEB IS ALL YOU NEED: OVIDIO -- Le metamorfosi -- MELEAGRO

Speranza

   

 
Meleagro
Meleagro e il cinghiale. Copia romana in marmo (ca. 150) da un originale greco del IV secolo a.C. conservata al Museo Pio-Clementino
Meleagro e il cinghiale. Copia romana in marmo (ca. 150) da un originale greco del IV secolo a.C. conservata al Museo Pio-Clementino
SagaArgonautiche
Nome orig.Μελέαγρος
1ª app. inIliade
ParentiAres (padre), Altea (madre), Deianira (sorella), Eracle (cognato)
« Ella dunque, stirpe divina, l'Urlatrice, irata, gli mandò contro un feroce cinghiale selvaggio, zanna candida, che prese a conciar male la vigna d'Oineo; molti alberi alti stendeva a terra, rovesci, con le radici e con la gloria dei frutti. L'uccise Melèagro, il figliuolo d'Oineo, chiamando cacciatori da molte città e cani, ché vinto non l'avrebbe con pochi mortali, tant'era enorme, e gettò molti sulle pire odiose. »
(Omero, Iliade, libro IX)
Meleagro è una figura della mitologia greco-romana.

 


Meleagro era figlio del re degli Etoli di Calidone, Oineo, e di Altea, sorella di Leda, anche se la madre lo aveva concepito in una notte in cui aveva giaciuto tanto con il marito quanto con Ares. Quando furono passati sette giorni dalla nascita, le Moire si presentarono ad Altea e fecero ognuna una predizione: per Cloto il fanciullo avrebbe manifestato un'indole nobile; per Lachesi si sarebbe coperto della gloria riservata agli eroi; per Atropo, infine, sarebbe vissuto fino a quando fosse durato il tizzone che stava in quel momento ardendo sul camino. Altea si slanciò immediatamente a togliere il fatidico pezzo di legno dal fuoco e lo spense, conservandolo poi in un cofano con grande cura e segretezza.

Il giovane Meleagro si imbarcò con gli Argonauti. Fu lui a uccidere, in seguito a un equivoco, l'eroe Artace, considerato il più grande guerriero del suo tempo: costui era uno dei Dolioni che insieme al loro giovane re Cizico avevano in precedenza ospitato Giasone e compagni, i quali, in una notte senza luna, erano stati ributtati da una tempesta sulle coste di Arto, la penisola asiatica su cui il sovrano esercitava il proprio potere. Argonauti e Dolioni pugnarono gli uni contro gli altri senza riconoscersi (credendo i primi di essere stati attaccati da una popolazione di giganti, mentre i secondi avevano scambiato gli Argonauti per pirati), e tra le vittime di Meleagro vi fu appunto Artace, insieme al meno noto Itimoneo, mentre Cizico venne trafitto da Giasone. All'alba gli Argonauti presero tragicamente coscienza di quanto accaduto, e seppellirono le loro vittime con grandi onori e pianti.

Col passare degli anni, Meleagro divenne uno dei più valorosi lanciatori di giavellotto dell'intera regione e sposò Cleopatra, figlia di Idas; nel frattempo, il padre Oineo aveva offerto un sacrificio a tutte le divinità, dopo un abbondante raccolto, dimenticandosi però di onorare Artemide. La dea, indignata, aveva allora inviato contro il paese di Calidone un cinghiale di proporzioni spettacolari che devastava i campi e uccideva i sudditi del re. La gente spaventata non aveva più tranquillità e si nascondeva solo nelle città fortificate.
Quando Meleagro seppe dei tragici effetti causati dall'arrivo del cinghiale, si sentì in obbligo di liberare il paese dall'orrida creatura. Per questo, riunì un gran numero di eroi delle città vicine e da tutta la Grecia, molti dei quali avevano partecipato come lui alla spedizione degli Argonauti. Alcuni mitografi ce ne hanno tramandato la lista: Driante di Tracia, figlio di Ares; Idas e Linceo, i due figli di Afareo, che venivano da Messene; Castore e Polluce, anche detti Dioscuri, da Sparta (cugini dello stesso Meleagro); Teseo di Atene; Admeto, di Fere, in Tessaglia; Anceo e Cefeo, figli dell'arcade Licurgo; Giasone, di Iolco; Ificle, fratello gemello di Eracle, che veniva da Tebe; Piritoo, figlio di Issione e amico di Teseo, venuto da Larissa, in Tessaglia; Telamone, figlio di Eaco, giunto da Salamina; Peleo, suo fratello, giunto da Ftia; Eurizione, cognato di quest'ultimo, figlio di Attore; Anfiarao, figlio d'Oicle, venuto da Argo, insieme ai figli di Testio, zii di Meleagro.
Caccia del cinghiale calidonio, sarcofago romano, Roma, Musei Capitolini.
C'era anche una donna cacciatrice, Atalanta, figlia di Scheneco, venuta dall'Arcadia. Tutti questi cacciatori fecero festeggiamenti presso Oineo per nove giorni. Il decimo, partirono tutti contro il cinghiale, ma la partecipazione di Atalanta alla caccia si rivelò fin dall'inizio un elemento di disturbo da parte di un certo numero dei cacciatori, che rifiutavano di avere una donna nella loro schiera. Ma Meleagro riuscì a convincerli, poiché era innamorato della giovane; da lei desiderava anche avere un figlio, benché fosse già sposato a Cleopatra.

I cacciatori (secondo Apollodoro una ventina) sguinzagliarono i cani e seguirono le grandi orme della bestia, fino a quando snidarono il cinghiale presso un corso d'acqua, mentre si abbeverava. Il cinghiale scoperto si scagliò ferocemente in mezzo ai cacciatori, i quali a gara cercarono di ferirlo. Nestore trovò scampo a fatica, salendo su un albero mentre Giasone lanciò il proprio giavellotto, mancando il bersaglio. Telamone invece scagliò la lancia contro la bestia, ma colpì accidentalmente il cognato Eurizione, il quale stava tentando di scagliare i suoi giavellotti contro il cinghiale. Peleo e Telamone rischiarono però di essere caricati dalla belva che per fortuna fu colpita ad un orecchio da una freccia di Atalanta e fuggì. Anceo, spintosi troppo avanti per dare un colpo d'ascia al cinghiale, venne lacerato dalle zanne della bestia, cadendo a terra morto. Anche Ileo venne ucciso, insieme a molti dei suoi cani da caccia. Allora Anfiarao assestò al cinghiale una pugnalata a un occhio, accecandolo, e, quando Teseo fu sul punto di essere travolto, Meleagro conficcò il giavellotto nel ventre dell'animale e lo finì con un colpo di lancia al cuore.

Meleagro e Atalanta, in un dipinto di Jacob Jordaens, conservato al Museo del Prado, Madrid
Meleagro scuoiò l'animale e ne offrì la pelle ad Atalanta, perché fra tutti era stata la prima a ferirlo. Plessippo, fratello di Altea e quindi zio di Meleagro, che era fra quelli che più si erano opposti all'idea di maneggiare delle armi insieme ad una donna, protestò, appoggiato dal fratello, e propose criteri diversi per l'assegnazione del trofeo. Essi ribadirono quanto aveva promesso Oineo all'inizio della spedizione: la pelle e le zanne del cinghiale erano destinate al suo uccisore; se Meleagro voleva proprio rinunciarvi, avrebbe potuto farlo in loro favore, piuttosto che per Atalanta. Meleagro, in cui l'amore per Atalanta accentuò l'ira per essere stato contraddetto, rifiutò sdegnato l'offerta; gli zii, a questo punto, non esitarono a rubare vilmente il dono che la fanciulla aveva ricevuto dall'eroe, il quale, irritato per quest'azione, li uccise entrambi in un momento di furore. Ebbe per questo la maledizione della madre Altea; e si scatenò una guerra che i parenti superstiti dichiararono alla città di Calidone. Sua moglie, Cleopatra Alcione, si rifugiò allora presso di lui e gli fece presente quale sarebbe stata la sorte degli assediati se i nemici avessero riportato la vittoria. Al triste quadro che ella dipinse, finalmente si commosse e rivestì l'armatura. L'eroe non fece alcuna fatica a ristabilire la situazione, mettendosi tuttavia contro Apollo che proteggeva gli assalitori. In guerra Meleagro uccise altri suoi zii, ed a questo punto le Moire si recarono dalla madre di lui per invitarla a ributtare nel fuoco il tizzone serbato per anni. Altea, irata per la perdita, per mano del figlio, anche degli altri due fratelli, andò a riprendere la cassa dove aveva riposto il pezzo di legno collegato alla vita di Meleagro, e lo gettò nel fuoco. Meleagro, in pieno combattimento, si sentì bruciare dentro le viscere, ed il dolore provato permise agli avversari di ucciderlo. Una volta che Altea si calmò e si accorse di ciò che aveva fatto in un momento di collera, s'impiccò insieme con Cleopatra, divorata dal rimorso. Le altre donne della famiglia, invece, soppraffatte dal dolore, piansero tanto a lungo da impietosire gli dei, che le tramutarono in galline faraone, o meleagridi, ad eccezione di Deianira.

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