Speranza
"Turandot" è un melodramma in tre atti e cinque
quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, lasciata incompiuta da
Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano.
La prima
rappresentazione di "Turdandot" ebbe luogo nell'ambito della stagione lirica del
Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, con
Rosa Raisa
Francesco
Dominici
Miguel Fleta
Maria Zamboni
Giacomo Rimini e
Giuseppe Nessi
sotto la
direzione di Arturo Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del
terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» (alla morte
di Liù), ovvero dopo l'ultima pagina completata dall'autore, rivolgendosi al
pubblico con queste parole:
"Qui termina la rappresentazione perché a
questo punto il maestro è morto."
La sera seguente, "Turandot" fu
rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, includendo anche il
finale di Alfano.
L'incompiutezza dell'opera è oggetto di discussione tra
gli studiosi.
C'è chi sostiene che Turandot rimase incompiuta non a
causa dell'inesorabile progredire del male che affliggeva l'autore, bensì per
l'incapacità, o piuttosto l'intima impossibilità da parte del maestro di
interpretare quel trionfo d'amore conclusivo, che pure l'aveva inizialmente
acceso d'entusiasmo e spinto verso questo soggetto.
Il nodo cruciale del
dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, è costituito dalla trasformazione
della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna
innamorata.
Lingua originale: italiano
Musica: Giacomo Puccini (finale
completato da Franco Alfano)
Libretto: Giuseppe Adami e Renato
Simoni
Fonti letterarie: "Calaf; ossia, i tre indovinelli della principessa Turandot" di Carlo Gozzi
Atti: tre
Epoca di
composizione; luglio 1920 - ottobre 1924
Prima rappr.: 25 aprile 1926
Teatro: Teatro alla Scala di Milano
Versioni successive: Un nuovo finale dell'opera
è stato composto da Luciano Berio
(2001)
**********************************************************
Personaggi:
Turandot,
principessa ---------------- soprano
Altoum, suo padre, imperatore della Cina ----------- tenore
Timur, re tartaro spodestato --------------------------- basso
Calaf, il Principe Ignoto,
suo figlio ------------------- tenore
Liù, giovane schiava, guida di Timur ----------------- soprano
Ping,
Gran Cancelliere ---------------------------------- baritono
Pang, Gran Provveditore -------------------------------- tenore
Pong, Gran
Cuciniere ------------------------------------ tenore
Un Mandarino -------------------------------------------- baritono
Il Principe di Persia -------------------------------------- tenore
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)
Guardie imperiali, servi del
boia, ragazzi, sacerdoti, mandarini, dignitari, gli otto sapienti, ancelle
di Turandot, soldati, portabandiera, ombre dei morti, folla
Autografo: Archivio Storico Ricordi, Milano
Il soggetto della "Turandot", ispirato
al nome dell'eroina di una novella persiana, fu tratto dall'omonima fiaba
teatrale di Carlo Gozzi, già oggetto di importanti adattamenti musicali, dalle
musiche di scena composte da Carl Maria von Weber nel 1809, all'opera di
Ferruccio Busoni, rappresentata nel 1917 e preceduta da suite orchestrale (op.
41) eseguita per la prima volta nel 1906.
Più esattamente, il libretto
della "Turandot" di Puccini si basa, molto liberamente, sulla traduzione di
Andrea Maffei dell'adattamento tedesco di Friedrich Schiller del lavoro di Carlo Gozzi.
L'idea per l'opera venne a Puccini in seguito a un incontro
con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel marzo
1920.
Nell'agosto dello stesso anno, quando si trovava per un soggiorno termale
a Bagni di Lucca, Puccini poté ascoltare, grazie al suo amico barone
Fassini, che era stato per qualche tempo console italiano in Cina, un carillon
con temi musicali proveniente da quel paese.
Alcuni di questi temi cinese sono presenti
nella stesura definitiva della partitura della "Turandot".
Alla fine della sua parabola
creativa, Puccini si cimentò con un soggetto fiabesco, d'impronta fantastica.
Non
era mai accaduto, se si eccettua la scena finale della sua prima opera, "Le
Villi".
Nel Natale del 1920 Puccini riceve la prima stesura in versi del
libretto del primo atto.
Nel gennaio del 1921 giunge a Puccini la versione
definitiva del testo del primo atto, e nell'agosto dello stesso anno la
partitura è completata.
In settembre Puccini scrive:
""Turandot" dovrebbe essere
in due atti, che ne dici? Non ti pare troppo, diluire dopo gli enigmi per
giungere alla scena finale?"
"Restringere avvenimenti, eliminarne altri, arrivare
ad una scena finale dove l'amore esploda."
Il vero ostacolo per Puccini fu, fin dall'inizio, la trasformazione del personaggio di Turandot,
da principessa fredda e vendicativa a donna innamorata.
Ancora Puccini scriveva:
"Il duetto tra Calaf e Turandot per me dev'essere il clou - ma deve
avere dentro a sé qualcosa di grande, di audace, di imprevisto e non lasciar le
cose al punto del principio."
"Potrei scrivere un libro su questo
argomento."
E ancora:
"Il duetto! Il duetto! tutto il decisivo, il bello, il
vivamente teatrale è lì!"
"Il travaso d'amore deve giungere come un bolide
luminoso in mezzo al clangore del popolo che estatico lo assorbe attraverso i
nervi tesi come corde di violoncelli frementi."
Puccini si lamentò spesso
della lentezza con cui i due librettisti rispondevano alle sue richieste di
revisioni del libretto, ma si può dubitare che questo sia il vero motivo per cui
la "Turandot" è rimasta incompiuta.
Nel giugno 1922 Puccini confermò a Casa
Ricordi che "Simoni e Adami mi hanno consegnato con mia completa soddisfazione
il libretto di Turandot finito."
Eppure i dubbi non erano scomparsi e sei
mesi dopo confessava ad Adami:
"Di Turandot niente di buono."
"Se io avessi
avuto un soggettino come da tempo lo cercavo e lo cerco, a quest'ora sarei in
scena."
"Ma quel mondo cinese!"
"A Milano deciderò qualcosa, forse restituisco i
soldi a Ricordi e mi libero."
I soldi non furono restituiti e nel dicembre
del 1923 Puccini aveva completato tutta la partitura fino alla morte di Liù,
cioè fino all'inizio del duetto cruciale.
Di questo finale egli stese solo una
versione in abbozzo discontinuo.
Puccini morì a Bruxelles il 29 novembre 1924,
lasciando le bozze del duetto finale così come le aveva scritte il dicembre
precedente.
L'azione della "Turandot" si svolge a
Pechino, «al tempo delle favole».
Nell'atto
I, un mandarino annuncia pubblicamente il
solito editto.
Turandot, figlia dell'Imperatore, sposerà quel pretendente di
sangue reale che abbia svelato tre indovinelli da lei stessa proposti.
Colui
però che non sappia risolverli, dovrà essere decapitato.
Il principe di Persia,
l'ultimo dei tanti pretendenti sfortunati, ha fallito la prova e sarà
giustiziato al sorger della luna.
All'annuncio, tra la folla desiderosa di
assistere all'esecuzione, sono presenti Timur che, nella confusione,
cade a terra e la sua schiava fedele Liù chiede aiuto.
Un giovane si affretta ad
aiutare il vegliardo: è Calaf, che riconosce nell'anziano uomo suo padre, re
tartaro spodestato.
Si abbracciano commossi e Calaf prega il padre e
la schiava Liù, molto devota, di non pronunciare il suo nome.
Ha paura, infatti,
dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre.
Nel frattempo il
boia affila la lama preparandola per l'esecuzione, fissata per il momento in cui
sorgerà la luna, la folla si agita ulteriormente.
Ai primi chiarori lunari,
entra il corteo che accompagna la vittima.
Alla vista del principe, la
folla, prima eccitata, si commuove per l'età della vittima, e ne invoca
la grazia.
Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e
con un gesto dà l'ordine al boia di giustiziare il principe.
Calaf, che prima
l'aveva maledetta per la sua crudeltà, è ora impressionato dalla regale bellezza
di Turandot, e decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi.
Timur
e Liù tentano di dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del
palazzo imperiale.
Tre figure lo fermano.
Sono Ping, Pong e Pang, tre ministri
del regno, che tentano di convincere Calaf a lasciar perdere, descrivendo
l'insensatezza dell'azione che sta per compiere.
Ma Calaf, quasi in una sorta di
delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di
Turandot.
Turandot appare quindi sulla loggia imperiale del palazzo e accetta la
sfida.
Nell'atto II È notte. Ping, Pong e Pang
si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad
assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre
preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.
Sul
piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi.
C'è una lunga
scalinata in cima alla quale si trova il trono in oro e pietre preziose
dell'imperatore.
Da un lato ci sono i sapienti, i quali custodiscono le
soluzioni degli enigmi, poi ci sono il popolo, il Principe ignoto ed i tre
ministri. ci sono anche Liù e Timur.
L'imperatore Altoum invita il principe
ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta.
Il mandarino fa dunque
iniziare la prova, ripetendo l'editto imperiale, mentre entra Turandot.
La bella
principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo
regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata
era finita nelle mani di uno straniero.
In ricordo della sua morte, Turandot
aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo,
aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai
risolti.
Calaf riesce a risolvere uno dopo l'altro gli enigmi e la
principessa, disperata e incredula, si getta ai piedi del padre, supplicandolo
di non consegnarla allo straniero.
Ma per l'imperatore la parola data è sacra.
Turandot si rivolge allora al principe e lo ammonisce che in questo modo egli
avrà solo una donna riluttante e piena d'odio.
Calaf la scioglie allora dal
giuramento proponendole a sua volta una sfida.
Se la principessa, prima
dell'alba, riuscirà a scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita.
Il
nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne, l'inno
imperiale.
Nell'atto III, È notte e in lontananza
si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella notte
nessuno deve dormire a Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto
a ogni costo, pena la morte.
Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere e
sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall'odio e
dall'indifferenza.
Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi
cosa per il suo nome.
Ma il principe rifiuta.
Nel frattempo, Liù e Timur vengono
portati davanti ai tre ministri.
Appare anche Turandot, che ordina loro di
parlare.
Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome
del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome.
Subisce
molte torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot.
Le chiede
cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore
a darle questa forza.
Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad
essere la solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire a tutti
i costi il nome del principe ignoto.
Liù, sapendo che non riuscirà a tenerlo
nascosto ancora, strappa di sorpresa il fermacapelli (che è anche un pugnale)
alla principessa e si trafigge a morte, cadendo esanime ai piedi di Calaf.
Il
corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che prega.
Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima lo
respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la prima volta che l'aveva
visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia ella è molto
orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono
della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il
nome, potrà perderlo, se vuole.
Il giorno dopo, davanti al palazzo reale,
davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe.
Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero: «il suo
nome è Amore».
Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona
tra le braccia di Calaf.
In realtà il lavoro sulla Turandot da parte dello stesso autore
non rimase effettivamente incompiuto.
Certamente a questo episodio contribuì
anche - e non poco - il fatto che Puccini stesso in quel periodo non godesse di
buone condizioni di salute, tanto che morirà prematuramente poco tempo dopo per
un tumore maligno alla gola. Puccini, dopo aver scritto l'ultimo coro funebre
(dedicato alla morte di Liù), in cui raggiunse "il massimo splendore" della sua
musica, non volle più continuare, ritenendo il lavoro già perfettamente
concluso. Il lavoro di stesura di un vero e proprio finale alternativo iniziò
praticamente poche settimane prima della morte, quando l'autore stava per essere
ricoverato, ma non rimasero che abbozzi più o meno compiuti.
Gli abbozzi sono
sparsi su 23 fogli che il Maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles in
cui fu ricoverato nel tentativo di curare il male che lo affliggeva. Puccini non
aveva indicato in modo esplicito nessun altro compositore per il completamento
dell'opera. L'editore Ricordi decise allora, su pressione di Arturo Toscanini e
di Antonio, il figlio di Giacomo, di affidare la composizione al napoletano
Franco Alfano (allora Direttore del Conservatorio di Torino), che due anni prima
si era distinto nella composizione di un'opera, La leggenda di Sakùntala,
caratterizzata da una suggestiva ambientazione orientale.
La composizione del
finale procedette lentamente a causa sia della malattia agli occhi di cui Alfano
soffriva che della richiesta da parte dell'editore Ricordi (sollecitato da
Toscanini che non ritenne all'altezza una prima versione consegnata) di rifare
il lavoro. In un primo momento Alfano compose integralmente una propria versione
del finale, incorporando nel miglior modo possibile i materiali rimasti negli
abbozzi pucciniani. Questa è la vera e propria versione integrale del finale di
Alfano, che oggi viene erroneamente considerata come "prima versione" ed
eseguita piuttosto raramente. Nella nuova versione (comunemente eseguita),
Alfano fu costretto ad attenersi più fedelmente agli schizzi e tagliò centodieci
battute degli appunti pucciniani e forse anche parte dei propri. L'effetto di
questi interventi, che l'autore eseguì molto controvoglia, è avvertibile nella
condotta armonica e drammatica, piuttosto vuota e a tratti irregolare. Inoltre
Alfano trascurò alcuni schizzi di Puccini e richiese la partitura d'orchestra
del resto dell'opera solo pochi giorni prima di consegnare il lavoro.
A
partire dalla scoperta della prima versione di Alfano, sono state studiate e
proposte varie soluzioni alternative. Una studiosa statunitense, Janet Maguire,
si è cimentata nello studio degli abbozzi per dodici anni (1976-1988) per
comporre una nuova versione del finale. La sua versione non è stata tuttavia mai
eseguita. Si dovette attendere il 2001 per ascoltare un nuovo finale di
Turandot, commissionato a Luciano Berio dal Festival de Musica de Gran Canaria,
basato anch'esso sugli abbozzi lasciati da Puccini e ufficialmente riconosciuto
dalla Ricordi.
Il punto più controverso del materiale lasciato da Puccini è
costituito dall'episodio del bacio.
È il momento clou dell'intera opera: la
trasformazione di Turandot da principessa di gelo a donna innamorata. Se
nell'abbozzo pucciniano le prime 56 battute del finale sono già ad uno stadio di
elaborazione avanzato, questo episodio appare forse abbozzato in un solo foglio,
secondo l'ipotesi di Harold Powers e William Ashbrook.
Se Berio ha
imbastito un esteso episodio sinfonico a partire da questa pagina, Alfano si
limitò a comporre sedici nuove battute, ridotte nella versione definitiva a un
solo accordo seguito da pochi colpi di timpano.
In un precedente schizzo di
Puccini, al medesimo episodio è abbinato un diverso materiale tematico. Sul
foglio 11 recto egli aveva infatti scritto le ultime due battute, seguite da una
battuta con un accenno del tema per il bacio, per poi cancellarle e riscriverle
sull'altro lato del foglio. Il tema in questione è lo stesso che poche battute
prima Turandot canta sulle parole «No, mai nessun m'avrà! Dell'ava lo strazio
non si rinnoverà!»: ciò sembrerebbe attestare come l'idea del compositore
lucchese potesse essere radicalmente diversa da quella dei suoi più giovani
colleghi. Un bacio su questo tema accentrerebbe infatti l'attenzione sul
cedimento della principessa, piuttosto che sul suo orgoglio ferito, come nella
versione di Alfano, o sulla trasformazione più interiorizzata della versione di
Berio.
La partitura
prevede l'utilizzo di 3 flauti (III anche ottavino), 2 oboi, corno inglese,
2 clarinetti in Sib, clarinetto basso in Sib, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni
in Fa, 3 trombe in Fa, 3 tromboni, trombone contrabbasso, timpani, triangolo,
rullante, grancassa, piatti, tam tam, gong cinesi, glockenspiel, xilofono,
xilofono basso, campane tubolari, celesta, 2 arpe, organo, violini (I e II),
viole, violoncelli, contrabbassi. Inoltre, sulla scena: 2 sassofoni
contralti in Mib, 6 trombe in Sib, 3 tromboni, trombone basso, tamburo di legno,
gong grave (o tam tam).
Brani celebri:
Atto
I
Gira la cote!, (coro del popolo e dei servi del boia)
Perché tarda la
luna? Invocazione alla luna (coro)
Là sui monti dell'est (coro di ragazzini
che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo Li
Hua).
Signore, ascolta!, romanza di Liù
Non piangere, Liú!, romanza di
Calaf
Concertato finale
Atto II
Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle
maschere
In questa reggia, aria di Turandot
Straniero, ascolta!, scena
degli enigmi
Atto III
Nessun dorma, romanza di Calaf
Tanto amore,
segreto e inconfessato [...] Tu che di gel sei cinta, aria (in due parti) e
morte di Liù
Citazione dall'aria In questa
reggia.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
William Ashbrook,
Harold Powers, Turandot di Giacomo Puccini. La fine della grande tradizione,
Ricordi, Milano 2006. ISBN 978-88-7592-823-0 (edizione originale in lingua
inglese, Puccini's Turandot. The End of the Great Tradition, Princeton,
Princeton University Press, 1991. ISBN 0-691-09137-4).
Jürgen Maehder,
Turandot (con Sylvano Bussotti), Pisa, Giardini, 1983.
Jürgen Maehder,
Puccini's Turandot – Tong hua, xi ju, ge ju, Taipei, Gao Tan Publishing, 1998,
287 pp. (in collaboratione con Kii-Ming Lo).
Jürgen Maehder, Puccini's
Turandot – A Fragment, in Turandot, a cura di: Nicholas John, London/New York,
John Calder/Riverrun, 1984, pp. 35–53.
Jürgen Maehder, Studi sul carattere di
frammento della «Turandot» di Giacomo Puccini, in: Quaderni Pucciniani 2/1985,
Milano, Istituto di Studi Pucciniani, 1986, pp. 79–163.
Jürgen Maehder, La
trasformazione interrotta della principessa. Studi sul contributo di Franco
Alfano alla partitura di Turandot, in Esotismo e colore locale nell'opera di
Puccini, a cura di Jürgen Maehder, Pisa, Giardini, 1985, pp. 143–170.
Jürgen
Maehder, Turandot-Studien, Deutsche Oper Berlin, Beiträge zum Musiktheater VI,
Spielzeit 1986/87, pp. 157–187.
Note[modifica | modifica wikitesto]
^ Cit.
in: Nigel Jamieson, Un'opera nel tormento, Amadeus, giugno 1997
^ a b c
Ibidem
^ William Ashbrook, Harold Powers, Turandot di Giacomo Puccini. La
fine della grande tradizione, Ricordi, Milano 2006, p.
209.
Discografia[modifica | modifica wikitesto]
Incisioni in
studio[modifica | modifica wikitesto]
Anno Cast (Turandot, Liù, Calaf, Timur,
Ping) Direttore Etichetta
1938 Gina Cigna, Magda Olivero, Francesco Merli,
Luciano Neroni, Afro Poli Franco Ghione Warner Fonit
1953 Inge Borkh, Renata
Tebaldi, Mario Del Monaco, Nicola Zaccaria, Fernando Corena Alberto Erede Decca
Records
1957 Maria Callas, Elisabeth Schwarzkopf, Eugenio Fernandi, Nicola
Zaccaria, Mario Borriello Tullio Serafin EMI Classics
1960 Birgit Nilsson,
Renata Tebaldi, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Mario Sereni Erich Leinsdorf RCA
Victor
1965 Birgit Nilsson, Renata Scotto, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti,
Guido Mazzini Francesco Molinari Pradelli EMI Classics
1972 Joan Sutherland,
Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Tom Krause Zubin Mehta
Decca Records
1977 Montserrat Caballé, Mirella Freni, José Carreras, Paul
Plishka, Vicente Sardinero Alain Lombard EMI Classics
1981 Katia Ricciarelli,
Barbara Hendricks, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik Herbert
von Karajan Deutsche Grammophon
1992 Éva Marton, Margaret Price, Ben Heppner,
Jan-Hendrik Rootering, Bruno de Simone Roberto Abbado RCA
Victor
Registrazioni dal vivo[modifica | modifica wikitesto]
Anno Cast
(Turandot, Liù, Calaf, Timur) Direttore Registrazione
1961 Birgit Nilsson,
Leontyne Price, Giuseppe Di Stefano, Nicola Zaccaria Francesco Molinari Pradelli
Wiener Staatsoper, 22 giugno
1989 Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola
Martinucci, Roberto Scandiuzzi Daniel Oren Teatro Margherita, 20-27
gennaio
2008 Maria Dragoni, Maria Luigia Borsi, Franco Farina Keri Lynn
Wilson Teatro dei Quattromila, Torre del Lago Puccini
2009 Maria Guleghina,
Marina Poplavskaja, Marcello Giordani, Samuel Ramey Andris Nelsons Metropolitan
Opera House, 3 novembre
DVD parziale[modifica | modifica wikitesto]
Anno
Cast (Turandot, Liù, Calaf, Timur) Direttore Etichetta
1983 Éva Marton, Katia
Ricciarelli, José Carreras, John Paul Bogart Lorin Maazel TDK
1983 Ghena
Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Ivo Vinco Maurizio Arena NVC
Arts
1988 Éva Marton, Leona Mitchell, Plácido Domingo, Paul Plishka James
Levine Deutsche Grammophon
1998 Giovanna Casolla, Barbara Frittoli, Sergej
Larin, Carlo Colombara Zubin Mehta Warner Classics
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Programma di Sala, con libretto e note, per
l'allestimento 2007 al Teatro La Fenice di Venezia
Turandot, registrazione su
Magazzini Sonori dal Teatro Comunale di Bologna diretta dal Maestro Fabio
Mastrangelo, 22 gennaio 2012.
(EN) Turandot, su AllMusic, All Media
Network.
Giacomo PucciniGiacomo Puccini automobilistaOpere di Giacomo
Puccini
Le Villi (1884) · Edgar (1889) · Manon Lescaut (1893) · La bohème
(1896) · Tosca (1900)
Madama Butterfly (1904) · La fanciulla del West (1910)
· La rondine (1917)
Il trittico: Il tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi
(1918) · Turandot (1926)
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