Sunday, March 31, 2024

GRICE E MUSONIO: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DEL MUSONIO DI GENTILE -- ROMA -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

Grice e Musonio: l’implicatura conversazionale del Musonio di Gentile -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Bolsena) Gaio Musonio Rufo esercita un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia di Nerone. Segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma (71), ma poi lo esiliò per la seconda volta ; però Tito, che già lo aveva conosciuto, lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane sembra che non fosse più in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti, anzi sembra che si sia servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale, però, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri apoftegmi e trattazioni filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto nel suo insegnamento-È e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte più estesa dei frammenti. È verosimile che provengano da uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato e che si deve ritenere la fonte più importante dello Stobeo. Un’altra è Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di Musonio e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da uno scritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica. Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Plauto, Sorano e Minicio Fundano. Musonio si avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia finalità radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei crotonesi. Ma nel complesso dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascura le esercitazioni logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli dei, designati con le denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero comune e non ha carattere filosofico determinato. Invece riporta al Portico l'affermazione della necessità universale, che equivale alla teoria del fato. Però l'interesse di M. si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che è assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi dai Cinargo) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle donne non meno che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e alla realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di molti discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male, dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca. Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè, essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico, esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto mediocri e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo romano.   Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia (presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens, e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”.  E capo a Roma di un circolo o gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,  in concomitanza della congiura di Pisone, e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros, inospitale e rocciosa nel Mar Egeo.  Indicativi della sua integrità morale e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era, infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale. Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»  Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si apprende che egli non era più in vita.  Si proclama suo discendente il poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario, sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?” “Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto rivolto alla schiettezza della vita.  Ci restano, inoltre, frammenti minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione). Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M. rappresenta, con Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente, cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti.  Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più utile, in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere sono un bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di studiare filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come conoscenza teorica. Piuttosto, M. insiste sul fatto che la pratica è più importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico esperto, un musicista , studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle abilità senza errori.  In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo, utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è proprio il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità, capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva M., è l'unica disciplina che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re aderisse ai principi stabiliti.  Musonio sosteneva che, poiché l'essere umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro, all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito. Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà, le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla vita lussuosa si estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile nella sua mancanza di autocontrollo.  M. difende l'agricoltura come un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative. Crede che padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione è buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità con essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini.  Suda μ 1305: «Figlio di Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico, vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri. Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14. Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c), inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in "Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik".  L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense: sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia  al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi, che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico, non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The Incomplete Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J. Sihvola, Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia, Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon,  M. and Education in the Good Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B. Irvine. Create Space. DOTTARELLI, M. l'etrusco. La filosofia come scienza di vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library, Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi del II secoloRomani del II secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito – “Titus M. Rufum philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e Nerone – Grice e Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di maggior grido in quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior numero di seguaci per l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo infatti, lodando le virtú singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per esse ei merito che a C. M. ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener adsumeretur. E di Volsinio, in Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto Claudio o sotto Caligola. Benché sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne all'ordine equestre. L'incontriamo la prima volta in Roma, quando ne è mandato in esilio da Nerone in quella serie di condanne che segui alla sventata congiura di Pisone. A lui, come a Verginio Flavo, celebre maestro di retorica, nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam Verginius studia iuvenum eloquentia, Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se, adunque, il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale vedremo con che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che egli dove esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con Rubellio, che al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni consecutivi d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo nominis che fu madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura pisoniana trova tra i congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a quanto pare, e Lucano. Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico del suo odiato Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e trasfondeva in tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono Tacito e Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e timori e fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba all'impero. A Roma, M. si trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori. Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina disserens, armatos monere. Id plerisque ludibrio, pluribus taedio: nec deerant qui propellerent propulsarent-que, ni admonitu modestissimi cuiusque et aliis minitantibus omisisset intempestivam sapientiam. Ci si sente Tacito ammiratore del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni che l'aveva sentito più volte a fare circa il suo amore per la filosofia - ultra quam con-cessum Romano ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto ex sapientia modum: e pare che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e pietoso della fatuità d'un filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito si scorge chiaramente un quadro, che è eloquente testimonianza dell'atteggiamento morale e sociale di questo stoi-cismo: nei seguaci del quale vedi l'anima piena di fede, ardente degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo speculativo inesperto della vita, ma un'anima infiammata da profonde idealità, non comprese dai molti. Un'anima compagna a quella dei martiri coetanei della religione novella. Sotto la pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco, dopo il trionfo di Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa volta con un atto, che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del tempo, come sotto l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore, cosi sotto l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che occupa gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro tutti i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale Trasea Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che nel suo proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle speranze sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato anche la giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore filiale, s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre (delitto anche questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e propositi ribelli di novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza della sua Servilia: e accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori frappostisi glielo impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a deporre contro il padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta per il responso desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di Publio Egnazio Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P. Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po' ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto, ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo:  quippe Sorani sancta memoria; Celer professus sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione di M., risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile che il Gaio M. di q. 1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della lettera a me non pare che lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci generis”; Ab excessu; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche la città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI, 587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo, Epist. et M., socerum eius (sc. Artemidori), quantum licitum est per aetatem, cum admiratione di-lexi deve far pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni quando Plinio era ancora giovane; che perciò intorno all'80 avesse una cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di lui tra il 20 e il 80 d. C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27. SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è ucciso: ma questo è certo un errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO l'Apostata, riferito da Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio, questi occupa una pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed. Bernardy). Ma non è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro Musonio, o al Musonio vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art. seguente di Suida. Тас., Аб ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona con lo scrittore di questo nome ricordato da PliNio tra le fonti della Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index historicus, s. v. Coeranus nella sua ediz. di Tacito) sospetta che sia da sostituire Cornutus nel detto luogo Ab exc.; perchè la lezione è sicura; e d'altra parte Cornuto in quel tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER; TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v. Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il Coeranus dovesse con lieve mutazione di lezione identificarsi con quel Claranus, condiscepolo di Seneca, di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero la probabile data di questa lettera  (Hu-GENFELD) e il dirsi in essa che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos combinano con l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può riferire la notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che avrebbe detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe toccato di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA, TIS i Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste., Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico EPITETO (Diss.) dice: POÚpO TIS ElEYE, l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi yap dyú ool tot', egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il concetto di Calba accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non a Roma, dopo essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo assai mite inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind. plin.) Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello di Girolamo, all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata Musonio fu eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST, Gesch. d. griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto Trajano! -Molto probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III, 80,Tac., Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente un legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE EraßEpostquam pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo stoicismo dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di quel senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le insegne pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo onde Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto; mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4). Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo Baream Soranum falso testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come s'è visto più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e traditore vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum officium [Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la condanna della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33. - TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius defendisset Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico, onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat., Tac., 1. c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et artes vel maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio devono essere state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch. d. junger. Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con aggiunte nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris, Franck, Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND, ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F. VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et belles lettres. Rufo (si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Musonio.

 

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