Wednesday, March 27, 2024

GRICE E POMPONAZZI: IMPLICATURA CONVERSAZIONALE MATERIALE -- L'AFFAIR POMPONAZZI -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

Grice e Pomponazzi: implicatura conversazionale materiale - l’affair Pomponazzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Flosofo italiano. Important Italian philosopher. Studia a  Padova sotto Nardò, Riccobonella e Trapolino. Insegna a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara, Mantova, e Bologna. Pubblica “De maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima” aristotelico del Lizio. Scrive il “Trattato dell’immortalita dell’anima” (Bologna), il “Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione” (Grataroli, Basilea) e il “De naturalium effectuum causis, sive de incantationibus” (Grataroli, Basilea) oltre a commenti delle opere di Aristotele. Il “Tractatus de immortalitate animae,” in cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può essere dimostrata razionalmente, fa scandalo. Attaccato da più parti, la pubblicazione è pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino per eresia, la difesa di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. É condannato da Leone X a ri-trattare la sua tesi. Non ri-tratta. Si difende con la sua Apologia e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al De immortalitate animae libellus di NIFO (si veda), in cui sostiene la distinzione tra verità di fede e verità di ragione, idea ripresa da ARDIGÒ (si veda). Evita ogni problema pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus animalium” e il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici del LIZIO, l'anima è l'atto – entelechia -- primo di un corpo che ha la vita in potenza. L’animo è la sostanza che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le funzioni dell'anima: la funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali, animali e umani si nutrono e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gl’esseri animali e umani hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gl’esseri umani comprendono.  La funzione intelletiva è la capacità di giudicare le immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto intelligibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità. L’intelletto possibile o passivo è la capacità umana di intendere. L’intelletto attuale o attivo o agente è la luce intellettuale. L’intelleto agente contiene in atto ogni intelligibile, e agisce sull'intelletto potenziale come la luce mostra, mette in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono in potenza. L’intelletto agente mette in atto una verità che nell'intelletto possibile e soltanto in potenza. L'intelletto agente è separato, non composto, impassibile, per sua essenza atto separato, esso è solo quel che è realmente. Questo è immortale ed eterno. Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la dis-soluzione del composto. Per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima intera. I parepatetici del LIZIO a Padova si sono divisi in due correnti: gli’averroisti e gl’alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni di Alessandro di Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una concezione influenzata dall’idealismo sosteneno l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche dell'intelletto possibile, che per lui non appartiene agl’uomini ma è unico e comune all'intera specie umana. Gl’alessandrini manteneno l'unicità dell'intelletto agente, che fano coincidere con il divino, ma attribuisceno a ciascun uomo un intelletto possibile individuale, mortale insieme con il corpo. Va ricordato che per AQUINO (si veda) nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura – simpliciter -- immortale, ma per un certo aspetto -- secundum quid -- mortale, in quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere umano.  Trae spunto da una discussione con RAGUSEO (si veda) il quale, avendo sostenuto che la teoria d’AQUINO sull'anima non si accorda con quella aristotelica del LIZIO, lo prega di provare le sue affermazioni mediante mezzi puramente razionali. Fanno bene gl’antichi a porre gl’uomini tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché gl’uomini, né puramente eterni né semplicemente temporali, partecipano delle due nature e stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie. Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non semplice ma molte-plice, non determinata ma bi-fronte – ancipitis -- media fra il mortale e l'immortale. Questa medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e una non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi. Gl’esseri vegetali hanno un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa immaginazione. Alcuni animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro. Vi sono animali intermedi fra la pianta e la bestia, come la spugna della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente l'anima intellettiva è media fra il temporale e l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti che hanno scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello sensitivo e con’AQUINO, ri-levando che l'anima, essendo unica, non può avere due modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni dei corpi. La dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta dai sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso destino di morte. È capovolta la tesi fondamentale d’AQUINO. L'anima è per sé mortale e secundum quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario, perché nobilissima fra le cose materiali e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma non in senso assoluto -- aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter. E ricorda che per Aristotele e il LIZIO l'anima non è creata dal divino. Gl’uomini infatti sono generati dagl’altri uomini e anche dal sole. Riguardo al problema del rapporto fra ragione e fede, solo la fede, non le ragioni naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e coloro che camminano per le vie dei credenti sono fermi e saldi,  mentre per quanto attiene i problemi etici che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e alle ricompense ultra-terrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena provoca comportamenti servili contrari alla virtù. Il Tractatus provoca clamore e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con l'apologia, dove risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino. Replica con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di NIFO (si veda), professore di filosofia a Padova. Panizza chiede a P. se possono esserci cause sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di Aristotele del LIZIO, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per spiegare molti fenomeniche si sono verificati.  Dobbiamo spiegare questi fenomeni con cause naturali, senza ricorrere al demonio. É ridicolo lasciare l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile. D'altra parte, poiché l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non puo esercitare un'azione qualunque su qualcosa di materiale. Uno spirito non puo entrare in contatto con il mondo. In realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere opera di santi o di maghi, com'è successo con ABANO (si veda) o con Cecco d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo che pensa avessero rapporti con gl’angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero tutto questo per ingannare il prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che fenomeni mirabolanti hanno la loro causa nell'influsso degli astir. È assurdo che un corpo celeste, che regge tutto l'universo non possa produrre un effetto che di per sé e nulla considerando l'insieme dell'universo. Cause naturali, comunque, secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa anche le religioni. Al tempo degl’idoli non c'è maggior vergogna della croce, nell'età successiva non c'è nulla di più venerato. Ora si curano i languori con un segno di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non è giunta la sua ora. Ogni religione ha i suoi miracoli quali quelli che si leggono e si ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono essere profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissima. Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali. L’astrologo che ha colto la natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che sembrano sopra-naturali che realizzare opere straordinarie che il popolino considera miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione, presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura inviati dal divino stesso. Se il divino crea l'universo ponendo su di esso leggi fisiche precise, è paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli. L’universo è controllato e determinato dall'agire degl’astri e il divino agisce indirettamente muovendo questi ultimi. Sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica. Se tale e la forze che governa il mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una spiegazione nell'esistenza della forza naturale così potente, esiste ancora una libertà nelle scelte individuali dell'uomo? Nel divino, conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero. Gl’uomini si esprimeno invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo degl’alessandrini, che salvano la libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né contingenza né libertà umana, è costretto dalla sua concezione strettamente deterministica, ove tutto è regolato dalla forza naturale superiori agl’uomini, a propendere per l'impossibilità del libero arbitrio. L’argomento è difficilissimo. Il portico sfugge facilmente alle difficoltà facendo dipendere dal divino l'atto di volontà. Per questo l'opinione del Portico appare molto probabile. Nel cristianesimo c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della predestinazione. Se il divino odia ab aeterno i peccatori e li condanna, è impossibile che non li odi e non li condanni. Così odiati e reietti, è impossibile che i peccatori non pecchino e non si perdano. Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro il divino? E questa è una posizione molto peggiore di quella del Portico. Il Portico dice infatti che il divino si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono. Secondo il cristianesimo, il fato dipende invece dalla cattiveria del divino, che puo fare diversamente ma non vuole, mentre secondo il Portico il divino fa così perché non può fare altrimenti. Espone la mortalita dell’animo con voce dolce e limpidissima. Il suo discorso è preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato nella polemica. Quando poi giunge a definire e a trarre le conclusioni, è grave e posato. Nulla tenero con gl’uomini di chiesa, isti fratres truffaldini, domenichini, franceschini, vel diabolini riassume il suo spirito ironico e motteggiante consigliando alla filosofia credete fin dove vi detta la ragione, alla teologia credete quel che vogliono i teo-logi e i prelati con tutta la chiesa, perché altrimenti farete la fine delle castagne ma e serio e senza compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel “De fato” che Prometeo è il filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la loro ricompensa. Epperò un filosofo è un dio terreno, tanto lontano dagl’altri come un uomo o e dalla sua figura dipinta e lui e pronto, per amore della verità, anche a ritrattare quel che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere eretico. Trattati peripatetici del Lizio  (Milano, Bompiani);  Nardi (Firenze, Monnier); Badaloni, Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Bari, Laterza); Zannier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del De Incantationibus” (Firenze, Nuova Italia);  Garin, Aristotelismo o lizio veneto, Peripatetici veneti” (Padova, Antenore);  Sgarbi, “Tra tradizione e dissenso (Firenze, Olschki); Vitale, “Un aristotelismo problematico: il «De fato», Aristotele si dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di filosofia. Petrus Pomponatius. Pomponatius. Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords: peripatetismo veneto. Pomponazzi. Keywords: paripatetismo veneto, lizio, corpore, materialismo, animo-anima, Aquino, Nifo -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi on the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

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