Grice e Pomponazzi: implicatura conversazionale
materiale - l’affair Pomponazzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Flosofo italiano. Important Italian
philosopher. Studia a Padova sotto Nardò,
Riccobonella e Trapolino. Insegna a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara,
Mantova, e Bologna. Pubblica “De maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima”
aristotelico del Lizio. Scrive il “Trattato dell’immortalita dell’anima”
(Bologna), il “Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione” (Grataroli,
Basilea) e il “De naturalium effectuum causis, sive de incantationibus”
(Grataroli, Basilea) oltre a commenti delle opere di Aristotele. Il “Tractatus
de immortalitate animae,” in cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può
essere dimostrata razionalmente, fa scandalo. Attaccato da più parti, la
pubblicazione è pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino per
eresia, la difesa di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. É condannato
da Leone X a ri-trattare la sua tesi. Non ri-tratta. Si difende con la sua
Apologia e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al De
immortalitate animae libellus di NIFO (si veda), in cui sostiene la distinzione
tra verità di fede e verità di ragione, idea ripresa da ARDIGÒ (si veda). Evita
ogni problema pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus
animalium” e il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici del LIZIO,
l'anima è l'atto – entelechia -- primo di un corpo che ha la vita in potenza.
L’animo è la sostanza che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le
funzioni dell'anima: la funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali,
animali e umani si nutrono e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale
gl’esseri animali e umani hanno sensazioni e immagini; la funzione
intellettiva, per la quale gl’esseri umani comprendono. La funzione
intelletiva è la capacità di giudicare le immagini fornite dai sensi. L'atto
dell'intendere si identifica con l'oggetto intelligibile, cioè con la sostanza
dell'oggetto, ossia con la verità. L’intelletto possibile o passivo è la
capacità umana di intendere. L’intelletto attuale o attivo o agente è la luce
intellettuale. L’intelleto agente contiene in atto ogni intelligibile, e agisce
sull'intelletto potenziale come la luce mostra, mette in atto i colori che al
buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono in potenza. L’intelletto
agente mette in atto una verità che nell'intelletto possibile e soltanto in
potenza. L'intelletto agente è separato, non composto, impassibile, per sua
essenza atto separato, esso è solo quel che è realmente. Questo è immortale ed
eterno. Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la dis-soluzione
del composto. Per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio nel caso
dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì dell'intelletto,
poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima intera. I
parepatetici del LIZIO a Padova si sono divisi in due correnti: gli’averroisti
e gl’alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni di Alessandro di
Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una concezione influenzata dall’idealismo
sosteneno l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche
dell'intelletto possibile, che per lui non appartiene agl’uomini ma è unico e
comune all'intera specie umana. Gl’alessandrini manteneno l'unicità
dell'intelletto agente, che fano coincidere con il divino, ma attribuisceno a
ciascun uomo un intelletto possibile individuale, mortale insieme con il corpo.
Va ricordato che per AQUINO (si veda) nell'uomo è presente un'unica anima per
sua natura – simpliciter -- immortale, ma per un certo aspetto -- secundum quid
-- mortale, in quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere
umano. Trae spunto da una discussione con RAGUSEO (si veda) il quale,
avendo sostenuto che la teoria d’AQUINO sull'anima non si accorda con quella
aristotelica del LIZIO, lo prega di provare le sue affermazioni mediante mezzi puramente
razionali. Fanno bene gl’antichi a porre gl’uomini tra le cose eterne e
quelle temporali, cosicché gl’uomini, né puramente eterni né semplicemente
temporali, partecipano delle due nature e stando a metà fra loro, può vivere
quella che vuole. Così, alcuni uomini sembrano dei perché, dominando il proprio
essere vegetativo e sensitivo, sono quasi completamente razionali. Altri,
sommersi nei sensi, sembrano bestie. Altri ancora, uomini nel vero senso della
parola, vivono mediamente secondo la virtù, senza concedersi completamente né
all'intelletto e né ai piaceri del corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non
semplice ma molte-plice, non determinata ma bi-fronte – ancipitis -- media fra
il mortale e l'immortale. Questa medietà non è il provvisorio incontro di due
nature, una corporea e una non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è
la dimostrazione della reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi.
Gl’esseri vegetali hanno un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa
immaginazione. Alcuni animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi
civilmente tanto che molti uomini sembrano avere un'intelligenza molto
inferiore alla loro. Vi sono animali intermedi fra la pianta e la bestia, come
la spugna della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente l'anima
intellettiva è media fra il temporale e l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti
che hanno scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello
sensitivo e con’AQUINO, ri-levando che l'anima, essendo unica, non può avere
due modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni dei
corpi. La dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta
dai sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso
destino di morte. È capovolta la tesi fondamentale d’AQUINO. L'anima è per sé
mortale e secundum quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario,
perché nobilissima fra le cose materiali e al confine con le immateriali,
profuma di immortalità ma non in senso assoluto -- aliquid immortalitatis
odorat, sed non simpliciter. E ricorda che per Aristotele e il LIZIO l'anima
non è creata dal divino. Gl’uomini infatti sono generati dagl’altri uomini e
anche dal sole. Riguardo al problema del rapporto fra ragione e fede, solo la
fede, non le ragioni naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e coloro
che camminano per le vie dei credenti sono fermi e saldi, mentre per quanto attiene i problemi etici che
la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi
virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e
alle ricompense ultra-terrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi
afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la
considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena
provoca comportamenti servili contrari alla virtù. Il Tractatus provoca
clamore e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con l'apologia,
dove risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino. Replica
con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di NIFO (si veda),
professore di filosofia a Padova. Panizza chiede a P. se possono esserci cause
sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di
Aristotele del LIZIO, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per
spiegare molti fenomeniche si sono verificati. Dobbiamo spiegare questi
fenomeni con cause naturali, senza ricorrere al demonio. É ridicolo lasciare
l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile. D'altra
parte, poiché l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non puo
esercitare un'azione qualunque su qualcosa di materiale. Uno spirito non puo
entrare in contatto con il mondo. In realtà vi sono uomini che, pur agendo per
mezzo della scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti
ritenere opera di santi o di maghi, com'è successo con ABANO (si veda) o con
Cecco d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo che pensa avessero rapporti con
gl’angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero tutto questo per ingannare il
prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che
fenomeni mirabolanti hanno la loro causa nell'influsso degli astir. È assurdo
che un corpo celeste, che regge tutto l'universo non possa produrre un effetto
che di per sé e nulla considerando l'insieme dell'universo. Cause naturali,
comunque, secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa
anche le religioni. Al tempo degl’idoli non c'è maggior vergogna della croce,
nell'età successiva non c'è nulla di più venerato. Ora si curano i languori con
un segno di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non
è giunta la sua ora. Ogni religione ha i suoi miracoli quali quelli che si
leggono e si ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono
essere profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli
perché contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissima.
Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali. L’astrologo che ha colto la
natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che
sembrano sopra-naturali che realizzare opere straordinarie che il popolino
considera miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza
del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione,
presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura inviati dal
divino stesso. Se il divino crea l'universo ponendo su di esso leggi
fisiche precise, è paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi
utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli. L’universo è controllato e
determinato dall'agire degl’astri e il divino agisce indirettamente muovendo
questi ultimi. Sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica. Se
tale e la forze che governa il mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una
spiegazione nell'esistenza della forza naturale così potente, esiste ancora una
libertà nelle scelte individuali dell'uomo? Nel divino, conoscenza e causa
delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero. Gl’uomini si esprimeno
invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo degl’alessandrini,
che salvano la libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né
contingenza né libertà umana, è costretto dalla sua concezione strettamente
deterministica, ove tutto è regolato dalla forza naturale superiori agl’uomini,
a propendere per l'impossibilità del libero arbitrio. L’argomento è
difficilissimo. Il portico sfugge facilmente alle difficoltà facendo dipendere
dal divino l'atto di volontà. Per questo l'opinione del Portico appare molto
probabile. Nel cristianesimo c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema
del libero arbitrio e della predestinazione. Se il divino odia ab aeterno i
peccatori e li condanna, è impossibile che non li odi e non li condanni. Così
odiati e reietti, è impossibile che i peccatori non pecchino e non si perdano.
Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e
bestemmia contro il divino? E questa è una posizione molto peggiore di quella del
Portico. Il Portico dice infatti che il divino si comporta così perché la
necessità e la natura lo impongono. Secondo il cristianesimo, il fato dipende
invece dalla cattiveria del divino, che puo fare diversamente ma non vuole,
mentre secondo il Portico il divino fa così perché non può fare altrimenti. Espone
la mortalita dell’animo con voce dolce e limpidissima. Il suo discorso è
preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato nella polemica. Quando
poi giunge a definire e a trarre le conclusioni, è grave e posato. Nulla tenero
con gl’uomini di chiesa, isti fratres truffaldini, domenichini, franceschini,
vel diabolini riassume il suo spirito ironico e motteggiante consigliando alla
filosofia credete fin dove vi detta la ragione, alla teologia credete quel che
vogliono i teo-logi e i prelati con tutta la chiesa, perché altrimenti farete la
fine delle castagne ma e serio e senza compromessi nelle sue convinzioni
scrivendo nel “De fato” che Prometeo è il filosofo che, nello sforzo di
scoprire i segreti divini, è continuamente tormentato da pensieri affannosi,
non ha sete, non ha fame, non dorme, non mangia, non spurga, deriso,
dileggiato, insultato, perseguitato dagli inquisitori, ludibrio del volgo.
Questo è il guadagno dei filosofi, questa la loro ricompensa. Epperò un
filosofo è un dio terreno, tanto lontano dagl’altri come un uomo o e dalla sua
figura dipinta e lui e pronto, per amore della verità, anche a ritrattare quel
che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto di contrastare, mente. In
filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere eretico. Trattati peripatetici
del Lizio (Milano, Bompiani); Nardi (Firenze, Monnier); Badaloni, Cultura e
vita civile tra Riforma e Controriforma” (Bari, Laterza); Zannier, Ricerche sulla
diffusione e fortuna del De Incantationibus” (Firenze, Nuova Italia); Garin, Aristotelismo o lizio veneto, Peripatetici
veneti” (Padova, Antenore); Sgarbi, “Tra
tradizione e dissenso (Firenze, Olschki); Vitale, “Un aristotelismo
problematico: il «De fato», Aristotele si dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di
filosofia. Petrus Pomponatius. Pomponatius. Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords:
peripatetismo veneto. Pomponazzi. Keywords: paripatetismo veneto, lizio,
corpore, materialismo, animo-anima, Aquino, Nifo -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi
on the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
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