Sunday, March 31, 2024

GRICE ITALICO A/Z N

 

Grice e Nannini: l’implicature conversazionali dei corpi animati – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Grice: “Nannini has intuitions in Italian.” Grice: “I agree with Nannini about the naturalism: the ‘anima’ is there to ‘explain’ ‘spiegare’ the action, ‘l’azione’ – He is the Italian Muybridge!” – Grice: “The Nannini series is the equivalent of the Muybridge series” Studia a Firenze con Luporini e Landucci e, inizialmente, con Cesare Luporini. Ha accompagnato la sua attività di ricerca in campo filosofico ed i suoi impegni accademici con una intensa attività politica a Siena come militante del Partito Comunista Italiano. È stato Professore di Filosofia Morale all'Urbino e di Filosofia Teoretica all’Università Siena, dove ha insegnato per alcuni anni anche filosofia della mente ed è stato principale cofondatore e direttore di una scuola di dottorato interdisciplinare in Scienze Cognitive. È stato inoltre più volte, visiting professor presso le Osnabrück, North London, Bremen e Oldenburg. Attualmente in pensione, è ancora pro tempore Docente Senior presso l’Siena e dal  è direttore di Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia. I suoi studi giovanili si sono incentrati sulla filosofia delle scienze sociali, lo strutturalismo francese e la storia del pensiero antropologico. Successivamente, rivoltosi alla filosofia analitica ed in particolare alla teoria dell’azione, ha cercato di sviluppare il “naturalismo metodologico” criticando il ritorno di neo-wittgesteiniani come Wright alla distinzione storicistica tra scienze della natura e scienze dello spirito. Sempre muovendosi entro la filosofia analitica, ma rivolgendo il proprio interesse alla filosofia pratica, ha difeso il non cognitivismo in meta-etica. A partire dagli anni Novanta Professoresi è infine spostato dalla teoria dell’azione alla filosofia della mente. In una prima fase si è occupato soprattutto della storia del concetto di mente, per approdare ad una forma di naturalismo cognitivo basata su una soluzione fisicalistico-eliminativistica del problema mente-corpo.  Saggi: “Il pensiero simbolico” (Bologna, Il Mulino); “Cause e ragioni” -- Modelli di spiegazione delle azioni” umane nella filosofia analitica” (Roma, Riuniti); “Il Fanatico e l'Arcangelo” -- Saggi di filosofia analitica pratica, Siena, Protagon. “L'anima e il corpo” --  Una introduzione storica alla filosofia dell’animo, Roma, Laterza; “Naturalismo” cognitivo: Per una “teoria materialistica” dell’animo, Macerata, Quodlibet, “La Nottola di Minerva” -- Storie e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo” (Milano, Mimesis);“Educazione, individuo e società” Torino, Loescher ), L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena), SeB Editori. Saggi, Freud e l'antropologia, in La Cultura. Rivista di Filosofia, Letteratura e Storia, “ Il materialismo “primario”, in, Il pensiero di Luporini” ( Milano, Feltrinelli); “L'anomalia dell’animo «Rivista di filosofia», Corpi animati, nel dibattito contemporaneo, in  L’animo, Milano, Mondadori, I corpi animati e e società nel naturalismo forte, nella Civiltà delle Macchine», Realismo scientifico e ontologia materialistica, in «Giornale di metafisica»,  Nicolaci G., Perone U., Ontologia e metafisica, Il concetto di verità in una prospettiva naturalistica, in Amoretti, Marsonet, Conoscenza e verità” (Milano, Giuffré); “L’Io come Direttore Assente” (in Cardella V., Bruni D., Cervello, linguaggio, società: Atti del Convegno di Scienze Cognitive, Roma, CORISCO, Orologi, animo e cervello: Riflessioni preliminari su tempo reale e tempo fenomenico tra fisica teorica e filosofia dell’animo, in Amoretti, Natura umana, natura artificiale” (Milano, Angeli); Rappresentazioni naturalizzate, in «Sistemi intelligenti», Kant e le scienze cognitive sulla natura dell’Io, in Amoroso L., Ferrarin A., La Rocca C., Critica della ragione e forme dell'esperienza’ (Pisa, Edizioni ETS); Realismo scientifico e naturalismo cognitivo, La coscienza può essere naturalizzata?, in Nannini S., Zeppi A., L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena), SeB Editori,  In-conscio, co-scienza e intenzioni nel naturalismo cognitivo, in «Sistemi intelligenti», La svolta cognitiva in filosofia, in «Reti, saperi, linguaggi: Naturalismo cognitivo: Per una teoria materialistica dell’animo, Quodlibet,  Sandro Nannini, La Nottola di Minerva: Storie e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo, Mimesis. Nannini. Keywords: corpi animati, l’interazione dei corpi animati, l’ego come direttore assente, freud e il nos come dirretori assenti --. Luigi Speranza: “Grice e Nannini: il santo, l’eroe, il fanatico, l’arcangelo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Nardi: l’implicatura d’Alighieri -- dantesco – Alighieri -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Spianate di Altopascio). Filosofo italiano. Grice: “The Italians are fortunate: with Alighieri they can philosophise about him!” Primogenito di una famiglia benestante, composta di nove figli, viene avviato sin dalla tenera età alla carriera ecclesiastica. Entra nel collegio dei frati francescani a Buggiano e nel 1900, a sedici anni, diventa chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Uscì dal convento di Buggiano perché non aveva intenzione di continuare nella vita religiosa, avendone perduta la vocazione. Proseguì gli studi di filosofia e teologia frequentando il convento di Sant'Agostino di Nicosia in provincia di Pisa. Volendo proseguire gli studi, i genitori gli indicarono un'unica strada, quella di entrare in seminario e diventare prete. Venne ammesso al seminario di Pescia e diventò sacerdote. Qui si avvicinò fugacemente al movimento Modernista, condannato da papa Pio X con l'Enciclica Pascendi.  Nel 1908 Nardi sostenne l'esame di concorso per una borsa di studio triennale conferita dall'opera Pia Galeotti di Pescia al fine di frequentare un corso di perfezionamento filosofico presso l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio). Nel 1909 Nardi aveva da poco iniziato a frequentare l'Università Cattolica di Lovanio che già decise l'argomento della sua tesi di laurea Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Dante, che venne discussa con Wulf. La lettura dell'opera di Pierre Mandonnet, nella parte dedicata a Sigieri, non persuadeva N. sulla soluzione data al problema della presenza di questo averroista nel Paradiso dantesco. Due pregiudizi la inficiavano: il primo “consisteva in un'inesatta visione storica di quello che nel Medio Evo e nel Rinascimento era stato l'averroismo. Il secondo pregiudizio del Mandonnet era quello di ritenere il pensiero filosofico di Dante conforme in tutto e per tutto a quello d’AQUINO." Nel momento in cui N. Entra a Lovanio abbandonò il modernismo teologico, ma non abbracciò la filosofia neo-scolastica che quella Università belga stava elaborando. Non aveva senso per lui ripetere, sul finire dell'Ottocento, nell'epoca del positivismo, l'operazione culturale d’AQUINO che prevedeva l'unificazione di fede e ragione.  Il metodo di lavoro che Nardi seguì nel corso della sua vicenda di studioso e ricercatore, rimase sempre improntato al massimo rigore filosofico, risentendo come una traccia indelebile dell'esperienza di Lovanio, dove dovette affrontare studi scientifici. Per Nardi l'interpretazione del testo coincide con la libertà, ma tale atto libero non può attivarsi senza uno scrupoloso lavoro di scavo e ricerca del materiale documentario, l'esatta interpretazione filosofica dei testi.  Ottenuta un'ulteriore borsa di studio dall'Opera Pia di Pescia frequenta corsi di filosofia a Vienna, Berlino, Bonn. Oltre alla pubblicazione della propria tesi su Sigieri nella “Rivista di filosofia neo-scolastica”, N. vi pubblica altri interventi spesso critici con la linea editoriale del periodico. scritto ai corsi dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze perché voleva riconoscere in Italia la sua laurea in filosofia conseguita a Lovanio. A Firenze discuterà la tesi di laurea in filosofia dedicata alla figura del medico e filosofo padovano Abano. Collabora alla “Voce”, rivista fondata da Prezzolini con il quale mantenne per lunghi anni una fitta corrispondenza. N. volle abbandonare il sacerdozio. In una successiva lettera  indirizzata al vescovo Angelo Simonetti, spiegava che era stato l'ambiente familiare a spingerlo a chiedere la sacra ordinazione, con preghiere e minacce. Di trasferì a Mantova per insegnare filosofia presso il liceo classico Virgilio, dove vi restò fino al quando si trasferì a Milano. Ha da Giovanni Gentile un incarico per l'insegnamento della filosofia medievale presso la facoltà di lettere dell'Roma. Tuttavia non ottenne la cattedra universitaria (se non dopo molti anni), a causa dell'art. 5 del Concordato in base al quale la curia romana escludeva i sacerdoti secolarizzati dall’insegnamento. Gli fu assegnata la “Penna D’Oro” dal presidente del Consiglio Tambroni. Gli fu conferita la laurea honoris causa da parte dell’Padova e da parte di quella di Oxford.  Le opere e gli studi su Alighieri si è dedicato instancabilmente per di più in mezzo secolo allo studio del pensiero di Dante, anche quando si occupava di Virgilio, di Sigieri di Brabante, di Pomponazzi. Nardi ha saputo mettere in discussione schemi consolidati, ha aperto strade nuove, ha formulato proposte inedite che ci permettono di avere una più esatta comprensione dei testi danteschi. Una costante di Nardi è di aver conservato sempre una propria autonomia, se non un vero e proprio distacco, rispetto agli ambienti culturali in cui si era trovato ad agire, fossero Lovanio, Firenze o Roma. Il coraggio con cui seppe polemicamente ribaltare tesi consolidate negli ambienti accademici, gli fruttarono ingiustamente isolamento e non adeguata considerazione rispetto alle sue acquisizioni veramente anticipatrici. Basti pensare alle sue tesi sull'averroismo latino, all'importanza data alla figura di Avicenna, di Alberto Magno, al rifiuto del preteso tomismo di Dante. E se di Gentile parlava come di un "vero e grande maestro", dandogli ragione nella sua polemica con il De Wulf (relatore della sua tesi a Lovanio), Nardi pur tuttavia non aderirà al Neoidealismo, ma vi trarrà soltanto spunti e stimoli per le sue ricerche.  L'incontro con Dante costituisce per N. l'episodio decisivo della sua vita intellettuale e morale. Scriverà nel 1956: "in Dante trovai il vero e primo maestro, quello a cui debbo la maggior gratitudine". Il senso della sua ricerca è stato interrogare il "miracolo" della Divina Commedia, questo "singolare poema sbocciato all'improvviso contro tutte le buone regole dell'arte e del dittare". Secondo N. nella commedia è custodita la Verità, che si è manifestata ad un poeta ispirato da una profetica visione. La lunga fatica del Nardi è giunta a concludere che la filosofia di Dante non si riduce a nessun sistema codificato; è una sintesi complessa tendente a superare le antinomie e che mantiene intera la sua spiccata originalità, il suo personalissimo pensiero. Per arrivare a coglierlo occorre da una parte ristabilire il preciso significato delle parole in rapporto alla terminologia filosofica e scientifica del Medioevo, e ricostruire dall'altra l'ambiente culturale e l'atmosfera spirituale nelle quali Dante si muoveva per arrivare a determinare la fonte, il libro letto da Dante.  N. ha gettato luce su molti elementi e suggestioni che Dante derivava dalla filosofia araba e neoplatonica. Essenziali per comprendere Dante sono Alberto Magno e Sigieri più di Tommaso; così come il neoplatonismo e la cultura araba più dello scolasticismo aristotelico. A N. interessava particolarmente affrontare il tema della "visione dantesca", esperienza profetica che seppe tradurre come nessun altro nel linguaggio della Divina Commedia. La visione di Dante non è finzione letteraria, è rivelazione reale dell'aldilà, concessa da Dio in virtù di un supremo privilegio. Dante visse il rapimento mistico ed estatico al terzo cielo come esperienza reale. Dante credette di essere sceso veramente nell'Inferno, salito veramente al Purgatorio e al Paradiso. Per N. la Commedia si distacca dagli altri scritti di Dante, perché ne è il loro compimento. Tale culmine si realizza attraverso un'esperienza eccezionale, di origine mistico-religiosa a lui soltanto riservata, una rivelazione che ha il potere di trasformare e rendere nuove tutte le altre opere precedenti.  L'opera dantesca, secondo Nardi, si deve suddividere in tre fasi: la prima fase, che termina a venticinque anni, è sotto l'influsso di Guinizzelli, assente del tutto la filosofia. La seconda fase, quella filosofico-politico, coincide con le rime allegoriche, il Convivio, il De vulgari eloquentia e la Monarchia. La terza fase, quella della poesia profetica, coincide con la Divina Commedia, poema che segna il ritorno all'unità della filosofia cristiana. Dante vi compare come profeta che deve annunciare al mondo l'avvento di un inviato di Dio per la redenzione umana. La Commedia è "poema sacro", la sua è poesia religiosa. Nardi vede in questa terza fase finalmente riconciliarsi la speranza cristiana spezzatasi con l'aristotelismo e l'avverroismo. Per Nardi l'aristotelismo è inconciliabile con il cristianesimo, e il tomismo pertanto è "il più strano paradosso del pensiero umano". La Commedia testimonia della riunificazione della filosofia con la rivelazione di Dio. Dante visse una visione profetica, esperienza che mancò ad Aristotele. L’'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia.  Saggi:  “Flosofia dantesca” (Bari, Laterza) – ALIGHERI -- ; “Critica dantesca” (Milano,  Ricciardi); “Filosofia dantesca” (di Alighieri) (Firenze, Nuova Italia); “La filosofia medievale” (Roma, Ed. di storia e letteratura); “Alighieri” (Roma, Laterza).  Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,."Giornale Critico della Filosofia Italiana",  Premi Feltrinelli, su lincei,  Medioevo e Rinascimento,” Firenze, Sansoni, Alberto Asor Rosa, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, ad vocem Sigieri di Brabante e Alessandro Achillini, Di un nuovo commento alla canzone del Cavalcanti sull'amore, “Cultura neo-latina”, Noterella poetica sull'averroismo di Cavalcanti, Rassegna filosofica, Sigieri di Brabante e le fonti della filosofia di Alighieri, in “Rivista di filosofia neoclassica” Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Alighieri, Spianate, La teoria dell'anima o animo e la generazione delle forme secondo Pietro d'Abano, “Rivista di filosofia neoscolastica”, Vittorino da Feltre al paese natale di Virgilio, in “Atti del IV Congresso nazionale di Studi Romani”, Roma, Lyhomo (note al “Baldus” di T. Folengo), “Giornale critico della filosofia italiana”, “Nel mondo di Alighieri” (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “Sigieri di Brabante nel pensiero del rinascimento italiano” (Edizioni italiane, Roma); “Alighieri profeta, in Dante e la cultura medioevale; “Saggi di filosofia dantesca” (Bari, Laterza); “La mistica averroistica e Pico”; “L' aristotelismo padovano (Firenze, Sansoni) – i lizii -- già edita in “Archivio di filosofia, Umanesimo e Machiavellismo”, Padova); “Il naturalismo del Rinascimento, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, Roma,  Universitarie; “L'alessandrinismo nel Rinascimento, Corso di Storia della filosofia. Anno accademico,  I. Borzi e C. R. Crotti, Roma, “La Goliardica” La fine dell'averroismo, Gli scritti di Pomponazzi. “Giornale critico della filosofia italiana”, Le opere inedite di Pomponazzi. Il fragmento marciano del commento al “De Anima” e il maestro di Pomponazzi, Trapolino, Il problema della verità, soggetto e oggetto dell'conoscere nella filosofia antica e medioevale” (Universale di Roma, Roma); “La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano, Corso di storia della filosofia T. Gregory, “La Goliardica” Il commento di Simplicio al “De Anima” Archivio di filosofia”, Padova, La miscredenza e il carattere morale di Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Le opere inedite di Pomponazzi, “Giornale critico della filosofia italiana” Le meditazioni di Cartesio, Lezioni di storia della filosofia. “La Goliardica”, Roma, Pomponazzi e la cicogna dell'intelletto, “Giornale critico della filosofia italiana” Il dualismo cartesiano, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Il dualismo cartesiano degl’occasionalisti a Leibniz, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Ancora qualche notizia e aneddoto su Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Marcantonio e Zimara: due filosofi galatinesi,  “Archivio storico Pugliese” Un'importante notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del sec. XV, “Giornale critico della filosofia italiana”, Contributo alla biografia di Feltre, “Bollettino del Museo civico di Padova”, Letteratura e cultura del Quattrocento, in “La civiltà veneziana del Quattrocento” (Firenze, Sansoni); “Appunti intorno a Trapolin, In Miscellanea” (Edizioni di Storia e letteratura, Roma); “Copernico studente a Padova”; “Studi e problemi di critica testuale. Convegno di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi di Lingua, Bologna, L'aristotelismo della Scolastica e i Francescani, in Studi di Filosofia Medioevale” (Storia e letteratura, Roma); “Pomponazzi e la teoria di Avicenna intorno alla generazione spontanea dell'uomo” (Mantuanitas vergilana – (Ateneo, Roma); La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo Europeo e Umanesimo veneziano” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pomponazzi” (Monnier, Firenze); “I lizii di Padova” (Monnier, Firenze); “Corsi manoscritti di lezioni e ritratto di Pomponazzi, in Atti del VI Convegno internazionale di studi sul Rinascimento” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pietro Pomponazzi” (Monnier, Firenze); “Saggi e note di critica dantesca, Ricciardi, Filosofia e teologia ai tempi di Alighieri in rapporto al pensiero del poeta, in Saggi e note di critica dantesca” (Ricciardi, Milano); “Saggi e note sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova); “Saggi sulla cultura veneta del Quattro e del Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova, Divina Commedia, Treccani Enciclopedie,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un profilo biografico, Consulenza scientifica Società Dantesca Italiana. Bruno Nardi. Nardi. Keywords: dantesco, Alighieri, animo, Pomponazzi, Virgilio, Enea, inferno, il concetto d’animo, la filosofia romana nel secolo d’augusto – il secolo d’oro della filosofia romana – il secolo augusteo, pico, abano. Refs.: H. P. Grice, “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate,” The Swimming-Pool Library. – Luigi Speranza, “Grice e Nardi: il paradiso filosofico” --.

 

Grice e Nasta: la setta di Caulonia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide, “Vita di Pitagora.”

 

Grice e Natoli: l’implicatura conversazionale dell’uomo tragico – origini dell’antropologia romana -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Patti). Filosofo italiano. Grice: “I like Natoli. He philosophises on the ‘uomo tragico’ at the source of western civilisation, and also the experience of ‘pain’ at the source of it.” Si laurea a Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio Augustinianum. Insegna a Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano.  Attualmente è Professore di Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.  Attività accademica In particolare, Salvatore Natoli è il propugnatore di un'etica neopagana che, riprendendo elementi del pensiero greco (in particolare, il senso del tragico), riesca a fondare una felicità terrena, nella consapevolezza dei limiti dell'uomo e del suo essere necessariamente un ente finito, in contrapposizione con la tradizione cristiana.  Filosofia del dolore Una particolare e approfondita analisi sul tema del dolore è stata condotta da Natoli in diverse sue opere.  Il dolore è parte essenziale della vita e per gli antichi filosofi greci era l'altra faccia della felicità:  «I greci si sentono parte e momento della più grande e generale natura, crudele e insieme divina, si sentono momento di quest'eterno e irrefrenabile fluire, ove non vi è differenza tra bene e male allo stesso modo in cui il dolore si volge nella gioia e la gioia nel dolore»  La natura infatti dava la vita e nello stesso tempo crudelmente la toglieva. Il dolore in realtà fa parte della vita ma non la nega: il dolore può essere vissuto e reso sopportabile se chi soffre percepisce non la pietà dell'altro ma che la sua sofferenza è importante per chi entra in rapporto con lui e con la sua sofferenza. Se chi soffre si sente importante per qualcuno, anche se soffre ha motivo di vivere. Se non è importante per nessuno può lasciarsi prendere dalla morte.  Secondo Natoli l'esperienza del dolore ha due aspetti: uno oggettivo, il danno («Nel momento in cui la sofferenza è motivata attraverso la colpa, colui che soffre non solo patisce il danno, ma ne diviene anche il responsabile»); e uno soggettivo, cioè come viene vissuta e motivata la sofferenza. La stessa sofferenza è interpretata in modo differente da diverse culture: per alcune il dolore fa parte della contingenza del mondo fenomenico, dell'apparenza per altre invece, è vissuto intensamente come ad esempio nel cristianesimo dove al dolore viene associata la redenzione. Vi è una circolarità tra il dolore e il senso che fa sì che, pur essendo il dolore universale, ad ognuno appartenga un dolore diverso.  Vi è dunque un senso del dolore e un non senso che il dolore causa. Il dolore infatti contraddice la ragione che non sa darsi spiegazione del perché il dolore abbia colpito proprio quell'individuo e per quali colpe quello abbia commesso e, infine, perché il dolore travagli il mondo. Il tentativo di rispondere a queste fondamentali domande fa sì che l'individuo scopra nuove forze in lui che generino un vittorioso uomo nuovo che, partendo dall'esperienza del dolore, s'interroghi sul senso dell'esistere, tenendo sempre presente però, che il dolore può segnare anche una definitiva sconfitta.  Nel dolore l'uomo può scoprire le sue possibilità di crescita ma questo non vuol dire disprezzare il piacere, sostenendo che questo, invece, ottunde gli animi. Il piacere invece affina la sensibilità come accade per chi ascolta frequentemente una buona musica. Il piacere invece è negativo quando diventa «monomaniaco, eccessivo, quando, anziché sviluppare la sensibilità, la fossilizza in un punto di eccessiva stimolazione. E l'eccessivo stimolo distrugge l'organo.» A differenza del piacere, dell'amore che è dialogo tra due, che è espansivo e affabulatorio anche quando è silenzioso, l'esperienza del dolore chiude il singolo nella sua individualità e incomunicabilità, poiché «il corpo sano sente il mondo, il corpo malato sente il corpo. E quindi il corpo diventa una barriera tra il proprio desiderio, l'universo delle possibilità, e la realizzabilità delle medesime possibilità.»  Sebbene il dolore sia "insensato" si cerca di spiegarlo con le parole spesso inutili ed allora si cerca dapprima la parola "efficace" che offre la tecnica o la parola "efficace" della preghiera, della fede, che non annulla il dolore, ma dà una speranza nel miracolo. L'efficace uso della parola per spiegare il dolore fa sì che gli uomini trovino conforto nella comune sofferenza, in quella universalità del dolore dove però ognuno rimane nella sua singolarità di senso. La parola efficace della tecnica per un verso ha alleviato il dolore ma per un altro può creare delle condizioni di vita tali per cui la stessa tecnica controlla il dolore senza togliere la malattia, creando così un'esistenza prolungata senza futuro sotto la continua incombenza della morte:  «A partire dal Settecento, ma ancor più nel corso dell’Ottocento, la tecnica è stata sempre di più associata alle filosofie del progresso: infatti ha emancipato gli uomini dai vincoli naturali, ha ridotto il peso della fatica, ha attenuato il dolore, ha accresciuto il benessere, ha conteso lo spazio alla morte differendola sempre di più… ma la tecnica, oggi, è nelle condizioni di interferire in modo profondo nei processi naturali modificandone i cicli…»  Una soluzione all'inevitabilità del dolore può essere l'adesione a un nuovo paganesimo secondo l'antica visione greca dell'accettazione dell'esistenza del finito e della morte dell'uomo.  «Il cristianesimo ha alterato l'anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia vuole che ci sia.»  Anche il cristianesimo infatti teorizza l'uomo finito, ma non essere naturale destinato alla morte, ma come creatura di Dio. Per il cristiano la vita finita condotta secondo il dovere porta all'accettazione della morte come passaggio a Dio. Per il neopaganesimo la vita finita è degna di essere vissuta senza speranza di infinitezza ma vivendola secondo un ethos, che non è dovere di obbedire a un comando morale con la speranza di un premio eterno, ma buona e spontanea abitudine di una condotta consapevole dell'universale fragilità umana.  Saggi: “Soggetto e fondamento” -- studi su Aristotele e Cartesio (Padova, Antenore); “La critica del linguaggio” (Venezia, Marsilio); “Ermeneutica e genealogia -- filosofia e metodo” (Milano, Feltrinelli); “L'esperienza del dolore -- le forme del patire” (Milano, Feltrinelli); “Gentile” (Torino, Boringhieri); “Vita buona vita felice -- scritti di etica e politica” (Milano, Feltrinelli); “Teatro filosofico -- gli scenari del sapere tra linguaggio e storia” (Milano, Feltrinelli); “L'incessante meraviglia -- filosofia, espressione, verità” (Milano, Lanfranchi); “La felicità -- saggio di teoria degli affetti” (Milano, Feltrinelli); “I nuovi pagani” (Milano, Saggiatore); “Dizionario dei vizi e delle virtù” (Milano, Feltrinelli); “La politica e il dolore” (Roma, EL); “Soggetto e fondamento. Il sapere dell'origine e la scientificità della filosofia” (Milano, Mondadori); “Delle cose ultime e penultime” (Milano, Mondadori); “Natura, poesia, filosofia” (Milano, Mondadori); “Progresso e catastrophe -- dinamiche della modernità” (Milano, Marinotti); “Dio e il divino” (Brescia, Morcelliana); “La politica e la virtù” (Roma, Lavoro); “La felicità di questa vita -- esperienza del mondo e stagioni dell'esistenza” (Milano, Mondadori); “L'attimo fuggente o della felicità” (Roma, Edup); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Il cristianesimo di un non credente” (Magnano, Qiqajon); “Libertà e destino nella tragedia” (Brescia, Morcelliana); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Parole della filosofia o dell’arte di meditare” (Milano, Feltrinelli); “La verità in gioco” (Milano, Feltrinelli); “Guida alla formazione del carattere” (Brescia, Morcelliana); “Sul male assoluto -- nichilismo e idoli nel Novecento” (Brescia, Morcelliana); “I dilemmi della speranza” (Molfetta, La Meridiana); “La salvezza senza fede” (Milano, Feltrinelli); “La mia filosofia -- forme del mondo e saggezza del vivere” (Pisa, Ets); “L'attimo fuggente e la stabilità del bene – la Lettera a Meneceo sulla felicità di Epicuro (Roma, Edup); “Edipo e Giobbe -- contraddizione e paradosso” (Brescia, Morcelliana); “Dialogo sui novissimi” (Troina, Città Aperta); “Il crollo del mondo -- apocalisse ed escatologia” (Brescia, Morcelliana); “L'edificazione di sé -- istruzioni sulla vita interiore” (Roma-Bari, Laterza); “Il buon uso del mondo -- agire nell'età del rischio” (Milano, Mondadori); “Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (Milano, AlboVersorio); “Eros e philia” (Milano, AlboVersorio); “Nietzsche e il teatro della filosofia” (Milano, Feltrinelli); “Le parole ultime -- dialogo sui problemi del fine vita” (Bari, Dedalo); “I comandamenti: non ti farai idolo né imagine” (Bologna, Mulino); “Le verità del corpo” (Milano, AlboVersorio) – IL CORPO -- Sperare oggi (Trento, Margine); “Le virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa -- la salvezza senza fede” (Feltrinelli); “Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche. Il senso del dolore.  In L'esperienza del dolore.  L'esperienza del dolore nell'età della tecnica. Siamo finiti. E anche la tecnica lo è, da Europa,  I Nuovi pagani, Saggiatore, Milano, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Intervista per Il Rasoio di Occam, Video intervista su Asia, su asia. Dov'è la vittoria? “l'Italia civile che resta minoranza” intervista di, Il Fatto Quotidiano. Salvatore Natoli. Natoli. Keywords: uomo tragico, origini dell’antropologia romana, Gentile, corpo. Chora di Platone, antropologia degl’italiani, filosofia siciliana, Gentilefilosofoitaliano --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Natoli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Nausito: la scuola di Firenze, pre-romana -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. A Pythagorean – cited by Giamblico, “Vita di Pitagora.” He rescued Eubulo di Messina, another Pythagorean, from pirates.

 

Grice e Nearco: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, he played host to CATONE (si veda) Maggiore when Catone recaptured Taranto from the Carthaginians.

 

Grice e Nicoletti: quadratura ed implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine). Filosofo italiano – Grice: “His diagramme for ‘arbor porphyriana’ is also brilliant – ending with “Plato,” “Socrates.”” -- Grice: “I especially like his squaring the square of opposition!” -- Grice: “A veritable genius, this Nicoletti.” -- Not under ‘Venezia’! -- paolo di venezia: philosopher, the son of Andrea Nicola, of Venice He was born in Fliuli Venezia Giulia, a hermit of Saint Augustine O.E.S.A., he spent three years as a student at St. John’s, where the order of St. Augustine had a ‘studium generale,’ at Oxford and taught at Padova, where he became a doctor of arts. Paolo also held appointments at the universities of Parma, Siena, and Bologna. Paolo is active in the administration of his order, holding various high offices. He composed ommentaries on several logical, ethical, and physical works of Aristotle. His name is connected especially with his best-selling “Logica parva.” Over 150 manuscripts survive, and more than forty printed editions of it were made,  His huge sequel, “Logica magna,” was a flop. These Oxford-influenced tracts contributed to the favorable climate enjoyed by Oxonian semantics in northern Italian universities. Grice: “My favourite of Paul’s tracts is his “Sophismata aurea”how peaceful for a philosopher to die while commentingon Aristotle’s “De anima.”!” His nom de plum is “Paulus Venetus.”— Paolo da Venezia  Nota disambigua.svg Disambiguazione"Paolo Veneto" rimanda qui. Se stai cercando lo scrittore e vescovo nato a Venezia, vedi Paolino Minorita.  Paolo da Venezia in una stampa ProfessorePaolo da Venezia, o Paolo Veneto, vero nome N. (Udine), filosofo. Eremitano, studente all'Oxford e docente a Padova ove ebbe tra gli allievi Paolo Della Pergola. Divenne ambasciatore veneto presso la corte polacca. Per le sue idee teologiche e esiliato a Ravenna ma, due anni dopo, gli fu consentito di tornare a Padova.  Fu seguace di Guglielmo di Ockham e Sigieri di Brabante e autore di vari trattati, tra cui alcuni commenti ad Aristotele. Il suo trattato Logica magna fu utilizzato come testo di insegnamento della logica a Padova e può essere considerato la maggiore opera di logica formale prodotta dal Medioevo.  Opere: “Logica,” “Commenti alle opere di Aristotele” “Expositio in libros Posteriorum Aristotelis,” “Expositio super VIII libros Physicorum necnon super Commento Averrois,” “Expositio super libros De generatione et corruptione” “Lectura super librum De Anima” “Conclusiones Ethicorum” “Conclusiones Politicorum” “Expositio super Praedicabilia et Praedicamenta.” “Scritti sulla logica: Logica Parva or Tractatus Summularum, “Logica Magna”; “Quadratura”; “Sophismata Aurea. Altre opere: “Super Primum Sententiarum Johannis de Ripa Lecturae Abbreviatio,” “Summa philosophiae naturalis,” “De compositione mundi. Quaestiones adversus Judaeos. Sermones. N Dizionario di Filosofia Treccani, riferimenti in.  Vedi «Paolo Della Pergola» in Dizionario di Filosofia Treccani.  Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della Giulio Einaudi editore, Milano, «Paolo Veneto», in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, «Paolo Veneto», in Dizionario di Filosofia Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Alessandro D. Conti, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Alessandro D. Conti: Esistenza e verità: forme e strutture del reale in Paolo Veneto e nel pensiero filosofico del tardo medioevo. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, Nuovi studi storici, A. R. Perreiah: "A Biographical Introduction to Paul of Venice". In: Augustiniana.  Paolo Veneto, Logica, Venetiis, Bartolomeo Imperatore, Francesco Imperatore,  Enrico Gori, dal sito Filosofico.net (Alessandro Conti, Paul of Venice, in E. Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information,  Stanford.Filosofia. LOGICA PAVLI rectam atgemendatam. Additis quotationibus Postilis ad textus declaratione. Necnon Tabulao figuris. VENETI HABES INHOC ENCHIRIDIO summam totius Dialecticæ, mira quad a brevitatem atos facilitate ad utilitatem stude tium conscriptam ab eximioætatis suæ magistro Paulo Veneto Nupero diligenti studio cor Venetes EMANUELE ITECA NAZ GOMA ME YOLL .pkrior dla Lohan Somerilatarei long   COMO0Io (ICO? CO ? ri 1 1 ROMA ni logica OLUTELY A parva. A Pauli Veneti Heremita Onspiciens librorum quorundam magnitudinem redium constituentem in animo studerium nec non et aliorum nimiam brevitatem quibus nulla se ethica re est annexa doctrina. Ideo volens cap.s. et medium retinere utriusg sapiensnam 5.ethic, turam extremt, compendium utile construxi iuveni t.co.6. ВB bus pluribus diui sum tractatibus,  Quorum primus summularum tradit notitiam. Septimus contra primum obiicit, solutionem ad dens responfiuam. Quia ergo doctrina quecuncka communiori ut ait t-C.4 . PHILOSOPHUS in prohemio phylic. sumic exordsum , ideo Dislot tractatus primus terminum sic diffinies incipitapriori. miningp De definitione termini et eius divisione quide. i.  II suppositionum declarat mareriam. III consequentiarum ostendit doctrinam. IV terminorum vim instruir probativam. V ligandi regulam docet obligatiuam. VI insolubilia solvendi dar artem et viam. VIII tertium fortificat prationem argumentativa. cap. 1. prio. c. TERMINUS EST SIGNUM ORATIONIS CONSTITUTIVUM. Et BOEZIO ut pars propinquae iusdem , ut: “homo” ,lyani in. 1, de mal. Et notanter dicitur propinqua quia oratione vocatur “dictio”, remota vocatur litera vel syllaba, di 2. ecin. i Dstio igitur et non litera uel syllaba, est terminus. defyllo. Terminum quidam est per cate. T differē. Tio habet partes propinquas et remotas, propinquatop.c. 2    cius vide SIGNIFICATIVUS est ile qui per se sumptus nihil representat --: ut s. “me,” “te,” “omnis”, “nullus,” “quilibet”, “quicunque”, “alter”, et consimiles. Terminorum quidam si secunda significant naturaliter et quidam AD PLACITUM.Termi divisio p nus naturaliter si significans est ille qui apud omnes eius qua vide de m efd RE-PRAESENTATIVUS, sicut ly “homo“animal", in primor mente. Terminus AD PLACITUM significans est ille qui ye.c.i.et NON apud OMNES eiusdem est re-praesentativus sicut ille ipsum. Terminus “homo” in voce vel in scripto, qui apud nosft. B Paul. sin significat ‘hominem’, sed apud alias nationes nihil significant, ut sunt greci (“anthropos,” “aner”). Reefo.Terminorum quidam est categorematicus, et quida3 S.colū. SYNcategorematicus.Terminus categorematicus est pri. diui. ticularia particulariter. Præpositiones determinatsub certocafu. Aduerbiauerbum, et coniunctiones ha minum.i.rem quæ non est terminus datoque effet,ficut TRACTATVS Secunduz se significativus, quidamnon.Terminus perle signi Voety fancarious est ile qui per se sumptus aliquid re-praesen mologiã tasuely “homo,” ly “animal”. Terminus non per se signi ille quitam perle quam cum alio habet proprium fie Tertia significatum – ut: “homo”: siueen imponatur in oratio divisione, lieu extra, semper significar ‘hominem’. Terminus Dehac SYNcategorematicus est terminus habens officium qui vide la perfesumptus nullius est significativus. ut signa distric tiusilo.butiva – ut: “omnis”, “nullus”, et signa particularia – ut: ali mafo. 2. “aliquis”, “alter”, et præpositiones (“to”), et adverbial et coniuctiones. Signa namqz distributiua habent officium, fal.3.quia determinant distributive, universalia yłr, et par bent coniungere terminus vel orationes. Terminorum quidam est prime intentio Pau.lo.nis, et quidam secundæ intentionis. Terminus primæ ma, sol. intentionis est terminus mentalis significans non ter D“homo, significat sor. & pla. quorum nullus potest esse terminus. Terminus autem secunde intentionis est terminus mentalis significans solum modo terminum A vel propositionem, ut ili termini mentales, nomen, verbum, participium, propositio, oratio et huius modi. Nis est terminus vocalis vel scriptus significans solum B modo terminum vel propositionem utili termini vocales vel scripti, nomen, verbum participium, athuius modi. Terminorum quidam funcin complexi, et quidam complexi. Terminus in 6.diui complexus vocatur dictio – ut: lylapis,ly lignum. Sed fioVide terminus complexus est oratio – ut: “homo [est] albus”, lor. et Paul.in placo, deum effe. et huiusmodi. De nomine. liter considerat: ideo de his restat deffnitiones assignare. NOMEN est terminus significativus lo.ma.f. SINE TEMPORE cuius nulla pars aliquid significat separa dissintta – ut: “homo”.  In ifta definitione ponitur terminus lotionoie cogeneris, quia omne nomem est terminus. et non econ proqua verso: dicitur significatiuus, quia termini non significativi depri non funt nomina apud logicum, licet bene apud grammaticum – ut: “omnis”, “nullus”,  et similia. Dicitur ‘sine tempore’, ad differentiam verbi et participia, quæ significant *cum* tempore. Ponitur: ‘cuius D nula pars aliquid significant separata’ -- ad diferentiam orationis, cuius partes significant separate mo pyo er.c.c2  Terminorum quidam eat s.diuifio prime impositionis, quidam secundæ.Terminus prime impositionis est terminus vocalis vel sriptus signi Boe.in ficans non terminum -- ut “homo”, et  “animal” in voce vel in scripto.Terminus autem secundam impositio. In princ. L3 Via de nominee et uerbo ex quibus oratio с componitur et propositio, logicus principa . Defini. V uuset extremorum unitiuus, cuius nulla pars aliquid significar separata, ut “curre” c vel dispur i io b i. tar. Ec dicitur primo, temporaliter significativus, ad eric. i. tiw oro pin . p i disnes positum cum apposito sicut verbum. ceterg autem par trcuiæ ponuntur. Sicut in deffinitione nominis. Ratio est terminus significativus, cuius ali- B garlicant separatę. Orationum alia perfecta, alia hewide Dcoratione. qua pars aliquid significant separata, ut “homo [est] albus” deữeffe. Vltima particular ponitur ad Piroca Jüfferentiam nominis et verbiquorum partes non fi cite suz etc . cogeneris, quia omnis propositio est oratio et col.1. cipit quæ non sunt propositiones non obstante quod ilum generat IN ANIMO AUDITORI si – ut: “Homo currit.” Or a boviti imperfecta. Oratio perfecta est ila quæ perfectum len no Ide uim uce cio imperfecta est ila quæ imperfectum sensum gene. ferinõis rat, Notandum quò d tres sunt species orationis perfectæ quia orationum perfectarum. Alia INDICATIVA – ut: “Homo currit” . Alia est oratio imperativa – ut: “doceioannem.” Alia ed incelreligie ineis oratio optative – ut: “Utinam essem bonus logicus”. fint ap te nate. VERBUM est terminus temporaliter significati differentiam nominis quod significat sine tempore. Secundo dicitur, et extremorum uniciuus: ad differentia participium quod significar cum tempore, sed non unitfup 0 -3 gñare fectū sen bus vide ilo, ma. fol. Propositio eit oratio indicatiua verum vel falsum significans – ut: “Homo currit” -- ponitur oratio lo non e converso. Secundo dicitur indicativa. quia Cola indicari va est propositio, non autem imperativa nec optativa.Vicimoannectitur: verum vel falsum significans: propcer tales orationes. Cortes potest , plato in PS pro qui    alia categorica alia hypothetica. Propositio ca divisio. Categorica est ila quæ habet subiectum prædicatum et Vide in copulam tanquam principales partes fui – ut: “Homo est animal.” l o ,m a . f o animal. Subiectum est ly “homo”, prædicatum uero,101.col, ly “animal”. Copula illud verbum “est”: quia coniungit tum. Dicitur quod habet IMPLICATUM prædicatum. vide licet,ły “currens” quod patet in resolvendo illud uerbum “currit.” -- in: sum currens, es currens, est currens, et suum participium. Subiectum est de quo aliquid dicitur – ut: “homo”. Prædicatum vero quod dicitur de altero – ut: “animal.” Sed copula Quid (u bicctuz semper est verbum substantivum: “sum currens”, “es currens vel hom”, “est homo et currens.” De quidp. propositione hypothetica posterius dicetur ad cuius tum & C differentiam point urilla particula: principales partes quid co . D sint indicatiue. Quia non significant verum nec falsum. Diffini cum sint orations imperfectæ. Ca. 6. luifiones sub propositione contentas sequitur D numerare. Propositionum Prima subiectum cum predicato. B rir est propositio categorica et non habet prædica. Solutio Et si dicatur “homo cur . Dubo . fui.quia principales partes hypotheticæ non sunt pula, subiectum et prædicatum: sed plures categoricęut. Propoli diuifiotionum categoricarum alia affirmativa, alia negativa. Propositio categorica affirmatiua est ila in ligiex.i. qua verbum principale affirmatur, ut “Homo currit.” Propositio categorica negativa est illa in qua  er: Tertia bum principale negatur – ut: “Homo NON currit” S. Propositionum categori:Diffusi carumalia vera, alia falsa. Propositio categorica ue us&hac ra est ila cuius primarium et adequatum signifi-materia carð est verum – ut: “Tu es homo.” Hæc enim est uera. “Tu es vide in homo.” quiate esse hominem est verum.Voco filoma. divisio A tio. i. gi her. C. 5. . a4 1  mo. Cetera autem significate, utte esse animal, teelic substantiam, et huius modi, sunt significate secundaria, et pones illa non dicitur propositio vera nec falsa. Propositio categorica falsa est illa cuius primariam et adequatum significatum est falsum – ut: “Tu es asinus.” ria, alia contingens. Propositio necessaria est ila, cuius primarium et adequatum significatum est necessarium – ut: “Deus est.” Propositio contingens est illa cuius significatum primarium et adequatum est contigens – ut: “Tu es homo”. Et voco significatum contingens ilud C quod in differenter potesse se verum vel falsum. Propositionum categoricarum alia alicuius uide.i. quantitatis, alia nullius. Propofitio categorica alicu prior.n.ius quantitates est illa quæ est universalis, particularis, 2.in pri, indefinita, vel singularis. Propositio universalis est illa in qua subởcitur terminus communis signo universali determinatus – ut: “Omnis homo currit”. Terminum communem voco in presenti nomen appellativum et pronome pluralis numeri. Signa universalia sunt ista: “omnis,” “nullus,” “quilibet,” unus gfavteros, ncuter, quails D. :.libet, quantusliber, et huius modi. Propositio particularis est illa in qua subiicitur terminus comunis igno  4. diui afol.158 significatum primarium et adequatum propositionis, u r e a a d f. quod est simile orationi infinitive vel coniunctiue il 267.secundlius. undete esse hominem, vel q “Tu es homo.” , diciturfiA dępris. Significatum primarium et adequatum illius, “Tu es homo.” Propositionum categoricarum alia fio vide possibilis, alia impossibilis. Propofitio categorica por ilo.ma.fibilis eft illa cuius primarium et adequatum significatum est possible – ut: “Tu curris.” Propositio categorica et adequatūfi. usa ad impossibilis est illa cuius PRIMARIUM SIGNIFICATUM est impossibile – ut: “Homo est asinus.” Propositionum categoricarum alia ne cella   larem, nomen proprium aut pronomen demonstravi Suum singularis numeri, ut: “iste”, “ista”, “istud”. Ex quibus fe B quitur iam quæ est caregorica nullius quantitatis. Et dicitur quod illa quæ non est universalis, nec particularis, nec indefinita, nec singularis -- ut exclusive et exceptivæ et re-duplicative, videlicet, “Tantum homo currit, omnis homo preterfor. mouetur, “Omnis homo in quantum homo est animal”. Luxta primam secunda Qualis, ne, ue laf, u. Quanta, par, in, fin, Prima pars sic intelligitur, quod ad interrogationem de propositionc factam r Quæ respondetur categorica, vel hypothetica. Secunda autem asserit quod ad interrogatione factam per Qualis? Respondetur affirmatiua vel negatiua. Sed in tertia denotata a quod ad interrogationem factam g Quan tarmñdcatur, universalis, particularis indefinita, ucl singularis, et hoc fm exigentiam propositionis propositę. De duabus alijs pposition am divisionibus. Ræterfu pradictas diuisiones dugalią declaran- Prima cur. Propositionum categorica divisio – ut: “Homo currit.” Propositio categorica modalis est illa in qua ponitur aliquis modus -- ut possibile est sor, cur particulari determinatus – ut: “Aliquis homo disputant.” Si Idem in gna particularia sunt ista: “aliquis,” “quidam”, “alter”, reli7. tract. A quus, et huiusmodi. Propositio indefinita est illa in huius in qua subijcicur terminus communis SINE aliquo signo – ut: c.i.& in “Homo est animal.” Propositio singularis est ila inqua lo.ma. . fubijcitur terminus discretus, vel terminus comiscum 107. col. pronomine demonstratiuo singularis numeri. Exem :4. plumprimi. sor.currit. Exemplum fecundi: “Ille homo disputat.” Voco autem terminum discretum vel singu. с P. ultimam divifiones ponitur iste versus. Querca, uel ră alia dein efle, alia modalis. Propositio catego Dricadein efic est illa in qua non ponitur aliquis modus   1:  Figura de in effe.  r e r e .Modi autem sunt sex . c possibile, impossibile ne Seconda. necessarium, contingens verum et falsum. Propositionum modalium: quædam est in sensu diviso et quædam in sensu composito. Propositio modalis in sensu diviso est ila in qua modus mediat inter accusativum casum et verbum infinitivi modi – ut: “Fortem possibile est currere.” Propofitio modalis in sensu composito est illa in qua modus totaliter præcedit, vel finaliter sub sequitur – ut: “Deum esse est necessarium.” Impossibile est hominem esse asinum. Ex his divisionibus originantur tres figuræ. Quarum prima dicitur de in effe. Secunda modalis de sensu diviso fchabés admodum primæ. Tertia modalis de sensu composito: leda cæteris disperata. Quartum declarationes ha besin exemplo hic posito. A G libet ho currit. adaz hó ñ currit, Nurbo de currit. Lontraric. Contadictorie dictorie subalterne, subalterne Figura: demesse Gulltra gda3 ha cuifit,  subcontrarie   reasu diuisio  Contrarie Nullum hoie3 possibile est! curtcit . Contradictorie Sub-alterne Sub-alterne de sensu dictorie Lörra mine polee curitie . Modalis de sensu diviso. 6 sub-contraric Modalis de sensu composito. Nec currere est los. Impose est currere for sub-alterne Contra sub-alterne dictorie Aliquem, ho Contrarie de sensu composito 3 : Fig. Loncra . dictonic Contingens et por, non currere 2. Figura Que libet ho minepole? currere . Pole for currtre , A liquê home minē ñ pole est currere, sub-contraric   Secunda præcise proeodemuelpro eisdem, sunt contrariæ in figura – ut: “Quilibet homo currit,” “Nullus homo currit.” Particularis affirmatiua et  particularis negativa de consimilibus subiectis prædicatis et copulis, supponentibus precise proeodemuel pro eisdem sunt sub-contrariæ in figura – ut: “Quidam homo B Tertia currir, etquidā homo non currit. Universalis affirmativa et  particularis negativa, ucl universalis negativa et particularis affirmativa. de consimilibus subiectis predicatis et copulis, supponentibus. precisepro eodem vel pro cisdem , fu Tabula omnium capitulorum huius logicæ primus est de mentis summulis quiconti De syllogismo: Tractatus secundus est determis. Car.Ź Cap. primă de definitioc De verbo 3 6 De diuifione propofi 8. De figuris propositio pothetica po. copu. ne ciusdem. cn ūt materialiter etqñ PERSONALITER De propositione hy. 8 De ampliatiõibus 28 po. disiuncti. 15 De praedicabilibus Tractatus tertius. de eiusdem di relativorum net De oratione De propositione norum quando fuppo num deuppolitionibus có De cognitione termi De appellationib De converfionetibus supponis et  de diuisio De suppositione per de natur appõnuz sonali tractatus divisa De nomine tionum  De duabus alös diui De supposition ma. de equipollentős de signis confunden de propositione hy de relativis proqui bussupponunc De propositione hy. De modo supponen  cinens C fionibus propõnuzs teriali et de diuisione DE DECEM PRAEDICAMENTA de decem prædica, consequentősconti. de resolubi de propositionibus Tractatus quintus est tionc obligationis et De obiectionibus co tradictasreg. TABVLA uo tionc consequentiæ et De hypo. descriptibio eorum divisionibus De regulis generalibus consequentiæ for  De gradu pofitiuocô malis De regulis con. for. q De gradu comparati  De regulis poenespropositiones quáras Delydiffert positions non quan De exceptivis De ly necessario et contingenter parabiliter sõpto poncs superius, atq  De gradu superlati -minos pertinentes et De ly incipit et defi : impertinentes  nir  nens. De officialibus pro De defini libus. po. de reg. eius.  inferius De regulis poncs pro De exclusiuis universalibus De convertibilitate uo. tas Dedecem lis alñsregu De ly totus positioncs hypotheticas De ab æterno De infinitum de probationibus ter obligatory artis: De reduplicativis De regulis poencster De immediate De semper De regu.pancs pro tinens minorum continens. De deffic go cioc insolubilib? et di s Obiectiones cöcrare tra insolubilia Obiectiones contradi  milibus propositioni bus regulas huius de defin De obiectionibus có finitioncs .hui?  De exclusivis insolu De insolubili difiun- ulti. ca.contra modos mi. De insolubili particu  huiuspri De insolubilibus no é de obic Obiectiones contra Obiectiones addicta est de obiectionibus contra De obiectionibus factis contra re propositionum huiusprimitrac. De Amilibus et diffig Obiectiones contra pr De deposition ibuster Obiectiones contra re minorum Tractatus Sextus De insolubili uniuer Cali bus bilibus riuo ctivo figurarum apparentibus Obiectio. Gulasprimo et gulas huiuspri de insolubilibus Obiectiones contra dif  habens. .huius uifioncciusdem. Gulas huiuspri lari vel indefinito  mitra. de predicabili. De insolubili copula. trac.in maceria syllogismorum n a contra dicta huiuscertñ.tra, inm a Štionibus factis con   car . las.huius terti las. huius terti tracta. Venetijs ExpensisheredumLucæ TABVLA teria consequentiară, tracta. tëtracta. Obiectacontraregu Obiectacontraregu tracta. las, huiustertij las. huiusterto tracta Antonñ Iunte Florentini  Registrum illaiquaiferi predicaturde terrogatoez factapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvťplatopueniéterrñ Predicatio eéntialiséillai deturq rifibiť totaratio quafuperi’pzedicaturdein quareficpdicaturdeilliseq? feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini dictiévľoriadealiquod illon bomo cum quo conucrtitur. Si predicatio accítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. Dicabilisdeplib ieoquod caturde generefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuoidiuiduoautepuerfo Eréplüpzimi:vtbóèrifibil dirurindecepdicasca. Quo Paialéalbu. exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial.Etpfiľr státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me teri’lb alubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė mi? coup”.subcocpozecosp? praedicatio terminoz eiusdez saiatu sub cozpoze aiato a dicamentivtbóestaial.pze, aialifpes specialis simahoľ dicat ioautaccica est piedi afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze foztesz plato.bzunellus fa dicamentorumvthomoéale uellus. Secundum predicame bus.Termin superioradre tu est pdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon Lui'generalisfimúeftquäti. tinerillúznecóuerfoficutli tasfubý sunt duo genera aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius qz fignificat quicgdile?cuz adreliquúvz continuuz?di bocaliquidvltra. Lermin’in scretu primi generisiftefür feriozad reliquú dicitur effe fpetieslineasuperficiescoz illequi continent urabeo. nnó pustempus locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi iftiustermini bomo. hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties. f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius et cetera. Redicamentu zestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinario pluriuztermi, qualitas. Quartuzestforma nozuFmsubzlupza. Etdiui, vetcircaaliquidpitasfigura  us trinarius quaterna rizë Animatum Jnanimatuz indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicament z qualitatiscu iusgeneraliffimum est quali Lozpus insensibile Rationale irrationale. Tas fubquofuntquattuo: ge Animal rationale nera subalterna: non sebabe Socrates Plato rio. Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia. Ier Substantia tia secundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus Primi generis speties fune Quintum predicament em grāmaticalogicazrhetorica dicamétuació iscuiusgener quaq individua sunt becgrå rasubalteznafuntfer quozu matica logicab rbetorica. Nullu ėsuperiusad reliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt. generarehoiez redoamaritudo.albunigruz cozrupere equáquayindir calidúzfrigidubuidum zfic uidua funtficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorruperee quum Iertijz dulcedobiamaritudohocal quartigeneris spessuntau. bumhocnigp buius modi. Gere in longudi minuereila Quarti generis species sut tum. quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra auger eilögumficdiminuer gulus2 huiufmodiquarúidi inlatu. Quiti generisspés uidua funt. biccirculus.bicfunt cale facerez frigefacere triangulushicquadrágulus. quaridiuiduafuntficcalefa Quartiipredicamétü Ċpdi cerefic frigefacer. Sertigo, camerurelatóis. Lui'gene. Neris speciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. Súmo ueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu alterailebita,zsup2 ficmoueredeorfum. Sertus Primum est caparatio.Se predicamétaé predicaméruz cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu generatiffimu supposition primigenerisfpe estp  dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue modus mediatiteractumca tur. Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi timam diuifionesponitifte vtfoztempoffibileé currere versus. Quecavelip.qualif propositio modatisisenfu nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i taliter pcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe fegturvtdeumef Teénecessa facta gquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica. Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibus origináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe. Seci, fpondetur affirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habens admoduprime.ter, qad interrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2 quantare spodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularis indefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. Uifiones duealie decla    Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer.  -- Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo. non currit Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibile eft soz. currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne   Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit fecunde figurebere ptnll? bócurrit. necieptra  gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda tita. Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit. neciftefubala zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7 quida b?fubiectis7predicatisfup bomocurrit. qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponunt precisepzoeodevĽp proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez. Znona. n.fbinfuppóit ra. vtglibzbó  currit. 2nllur provtroq; reru.Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et pro masculino tantum Scutqua tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup. fituantur propofitoea infiguraitaquattuoz ponétib?pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdez suntcontrarieifigu fciturlerseu natura. quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo prima eftianonestpossibile nócurrit. Lertiaregľaviuě duo ztraria effefimulvera falis affirmatiuaapricularis benefimulfalsa.Primapars negatiavelvlisnegatiazp patzinductiei nomnibus. Et ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectisz pdicatisfupponen funt fimulfalfa.Quilibzboè tib?pcirepeodezvelpejsó albus znullusboestalb”.Et sunt tradictoneifigura,vt iafimiliter Dmne animaleft quilibzbócurriteqdábóñ bomocnulluzaialefthomo curritP.ull'bócurrit?qui Secunda regula eftiftanon dåbócurrit.Quartaregla eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa. fedbenefim culari saffirmatia. Etviuer, vera.Patetparsprima ifin salisnegatiuaa particularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probaturquoniamistafuntfi 2predicatis fupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal se peodez velpeisdezftit16 bus. Aliquis bononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó Aliquod animal eft homo. Et currit gdambó currit.Dar aliquod animal non eft homo lus homo currit. gdazbol Tertia regulaeftifta. Honė mononcurrit Expdictis fegturgilenó effefimulveravelfimulfalf.  L madiuifio eftiftaterminori vocaturlravelfyllaba.Pzie distributi abiitofficiuq2dtē 25boral definitio,sebutcomienicu damagnitudiez caritus eftilequipermitesperjeigranasoatione. Tedium cóftitué aligdrepritatveuboliaial. kupindistan'tbeineciligaya tezinajoftudentiuznecno terminiple fignificatius Pericarioneperforsales aliornimia; breuitatez.gbɔ eftilequiperfefumptusni,beit perqúemymim nulla fereeftaneradoctrina. Bil representatproisnulluseftpermainang Ideo volensmediuftinere 7files.Secundadiuifioeft, vtriusq zsapiésnäzertremi. iftatermiogquidazsignifi, ppendium vtilecostruriiuue cantnaturalrzquidãadpla nibɔplurib, diuisuztractati, citum. Lerminusnatural'rfi bus.quorprimusfuimularu gnificansestile quiapooés traditnotitia. Secud fuppo . eiusdeestrepsentatiuusficut firionú declaratmateriá.ter ti-pregntia non dit doctrina. Po ad placitu fignificanséil Quartusterminoqviistruit lequinóapudoéseiusdez é pbatiua. Quint’ligidiregu, representatiu'ficurilletermi lazdocetobligatiuaz.Sert? nusbó in voce vel in scripto isolubiliafoluendidarartem apud nos fignificatboiem.via. Septimusatraprimú apoaliquascertasnatoer obijcitfolutione zaddensre, nibilfignificatvtf untgreci: fpófiuaz. Dct aubotertium bebrei. Zertiadiffinitoéifta fodificarpróem argunitati, Qterminokquidaeftcatbe uá. Quiag doctrinaque cun, gozematiczgdáfincathego acoiozivtaitphusinpzo rematic termi’cathegoze, bemio physicozum füiteros, maticuseftillegtampiezz duuideotractatuspzim’ter/ cialiob3 ppziùfignificatum mũiico funitsicipapioi otlibófue.v. ponarinó eft tibölianimalinte. Lermi? Gential uitdiferenmis.ut box Florin simp prout firepmimusi Cedex gramaticaj. Lorical   minátdistributiverparticu! complerus eftozó vthomo lariaparticulariterÕpofitio alborozes platodeuzeffe nesdeterminatfbcertocâu 2buiusmodiic. Aduerbia verbúzcõiúctóes Uia noier verbo er biitcõiungere terminosvel quibus ozatio compoi ozóes quarta diuifio est ia tur ppofitiologicus pzici. g terminoxquidaz eftpziei paliter cófiderar. Jdeo'dbil tentiois.7quidábeitencois reftat diffinitionesaffignare Terminuspeintentóniseft Homéest terminus fignift terminusmentalis fignificaf catiu? Fineté pozecuiusnulla nonterminu. i. réānonéter parsaliquidfignificatseper minusdatoq effetficutlibó ratavthomo.In iadiffinite fignificatsoztem zplatoné.å poifterminuslocogencris. ruinulluspoteffeterminus. q2ocnomen estterminus.e Lerminusaütbe itentóisé nóego. diciturfignificatinis terminusmentalisfignificát quia termininó fignificatui solimoterminilppofitone nófuntnoia apudlogicilicz ptiliterminimentalesnon bi apud grāmaticivtomis verbti participiúppofio nullus similia. Tertio di, zbuiusmodi.Qüitadiuifio citurfietemporeaddiffere, est istag terminozquidãcst tiñverbiaparticipüafignis peimpofitionisquidife.ter ficantcumtempore. Duar minuspeimpositois estteri toponit cuiusnullaparsali nusvocaťvèlscriptusfigni quidfignificata ddifferentia ficansnoterminu.vtlibóz orationis cuiuspartesfigni, liaialivoceveliscripto.ter ficät.(Uerbúeftterminato min’autéfe impofitioniseft požaliter figificatiu?zertre terminusvocalisvelfcript? monvnitiuuscuiusnullap8 fignificas solúīmodoterminu aliquid fignificat separatave velpropositionevtilitermi currit vel disputato icifpria nirocalesvelfcriptinomen mo temporaliterfignificati, verbtiparticipitizhuiumói uusad differentiam nominis Sertadiuifioeftifta.Termi quodfignificat finetempore nonquidifuntincópleri29 Secundodicitur ertremo damcompleri.Terminusin rumvnitiuusaddifferentia complerus vocaturdictiovt participü quodfignificatcií lilapislilignum.Izterminus tempože. sednonvnitfuppo fituscum appofitoficurvero quenonfuntppofitionesno · bum.cetereatparticťepo obftáteqa fintindicatie q?i nuiturficur toenois. fignificantverumnecfalsuz . P Ropofitioeftoratioi dicitur.vtbomo predicatuz, puma,plicare Progofito catbegozicaet"prodicaria,madevenirate Alia iperfecta . Diario pfec bignier parte dignins e.me,ose ista quebetßbiectuzzpiedichuo ublitt taeftila queperfectu fenfi catucopula generat animo auditous. partes tanöspzincipaler,peplicireutimplicie. vtbomocurrit. sui.vthomo eltaial. i), Etfidicarurbomo currite Horá dumotresfuntspe propofitiocatbegozicaznon Dratioefttérmin'lignifi cumfintozationesiperfecte catiu? cuiusaliqua pars ali quidfignificat.vtboalb?de uz effe. Ulria particula poni turaddifferentianominis? Propofitionu zaliacaibego verbi.grumpartesnonfigni rica:Aliaypothetica. ficant. Dzationuzaliapfecta ibiectumes tubomo predica Diarioimperfectaestilla tum verolianimal.7copula aiperfectuzfenly;generari illud verbumestq:coniungit animo audito us vt bomoal fbiectum cumpzedicato. busdeumeffe d Juisiones1 opposito ne contentas segtur nuerare Pria eft ifta 5 cies orationis perfecte Drationuzperfectar.alia indicatiuavthomo currit babz predicatum dicitur qa babz implicicumpredicatuz v z li currens quod patzinreroí alia imperatiua. ptooce joannem . Aliaoptatiua. Desum eseltasuum participiu uendo illud verbum curritin vtinameffembonus logicus Subiectuz estoe& aliquidadfubiecit”alori fal veroqd fümfignificás.vtbô animal. Sed copulafempererspularerreigitpilianca. currit. poniturozatolocoge verbuzfbftátiuü. l.luzeseltveteteaiomm neris.q:oisppofitioestoza De propofitione yporbeti-inwirtelde eius. tioetnoneguerro. Secundo capofteriusdiceruraddif, dicitur indicativa quod sola diferentiam cuius ponitur il la catiuaeitppofitio.nonátim particulaprincipalespartes peratianecoptatiua.Ulrimo fui. annectitur verumvelfalsuz Secundaoiuifioeftifta. fignificansproptertalesoza Propofirionuzcabegozi, tiones foztespór. platoicipit car.Aliaaffirmatiuaaliane facit, egineris,matiuaeftilaiquaibupäin num cathegozicarum aliane kleinesitimplicies  apaleaffirmat öcbócurrit. ceffariaaliacontingens,ppo diferencia Presidurijgezo pzopoçatbegozicanegatifitionecefariaeftilacuius artean = uaeftillai qobiipricipalene primariumzadequarumfigi gáf.vtbónocurrit. Tertia ficatumeft neceffariumvtoe diuifio eft iappofitouzcatheus est.popofitiocontingens goricaralia veraaliafalsa. Eftilacuiu sfignificatumpzi, Propocatbegozicaveraéila mariumza dequatumeftcó tui? pzimariuzadeqtuligni tingensvttues bomo. Etvo ficaruié verúztuesbobecco fignificatumcontingensil n. Eltperatues hóq2reeffe lud quodindifferenterpotest boiezcftveru.Uocosignifi esseverumvelfalsum.Sex catu primaritiza deq tuppo tadiuifiopropofitionumca! fitionisqó eftfimileorationi thegozicaruzaliaalicui'quă ifinitiuevel piúctie illius. vn ' titatis alia nullius.P2opo ca deteeffeboiem velqotues 'thegozicaalicuiusquantitati bódicitfignificatu;primari estillaque évniuersalispar uza de quatúilliustuesbó ticularisindefinitavelfingu ceteraåtsignificatavtteeffe laris. Flop. vniuersalise aialteefe Tbstantia7huiul, ilainquafubijciturerminosnasdistri mõisuntfignificatasecuidaria comunis figno vniuersalides  gacia.Prop cathegõicaaffer Quintàdiuifio.propofitior burinemobil 7penesillai diciep povera terminatusvtomnisbócursliepy. necfalla.Propocathegorica rit. Terminuzcómunemvoco falfa eft illacui? pzimarius7 inprentinomenappellatiuuz adequatü fignificatum estfal fumvttuesarinus pionomen pluralis numeri Signa vnüerfaliafuntiaoil Quarta diuisioppónuzca nullus quilibet vnus quis qz thegou caşialiapoffibilisali vterq; neuter qualislibzquá aipossibilir.ppocathegorica tufliberzhuiuf modi. pzopofi poffibiliseftilacui'paimari tioparticularis eftillainqua uz?adeqrufignificatúépor iubijcitur terminuscóisfigno fibile vt tu curris particulari determinatus vt Propofitio cathegoricai, aliquisbo difputat. Signap, poffibiliscst¡la cuiuspama ticularia funeiaaligs gdå al rium7 ad equariifignificatus terreliqu’rbui?mór.pzopo eftiposibilevebóěafinus indcfinitacfiillaiqualbijcie feprobatio: ctfromloco Fifolo terminuscómunisfinealiafip Reterfupiadictasdi gno:ytbomo estanimal. Propofitio fingulariséil, rantur.Primaeiftappofiti lainquafubijciturterminus onucatbegozicap.altadeief discret? velterminoconiunif realiamodalis. Propofitio cumpnomine demostratiuo cathegozica deielleèillaiä fingularis numeri. Ermprimi non ponituraliquis modus. ut  Toutescurrit. ermfiillebo vtbỏcurrit. Diopofitioca disputar.Uocoautemtermi, thegorcamodali scillaina num discretumpelfingularé ponituraliquismod?vtpof nompoziùautp nomenomo fibileefoxtemcurrer. Modiy Scromodi ftratiuúfingularisnumerivt autem funtferscilicetporsi, ifteiftaistud. Erquib? fequi biler impossibileneceflariu turiamqueécatbegozicanĽ contingensverum falsum liusquantitaris 7diciturgil Secundadiuifio p:opositi laanoévniuersalisnecpar onum modaliumquedamcst ticularisnecidefinitanecfin infenfudiuiso quedazifer gularisvterclu fiue ercep sucomposito Propositio motiue vztantumbocurrit.om dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue modus mediatiter actumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumz verbúinfinitiuimodi timam diuifionesponitifte vtfoztempo ffibileécurrere versus. Quecavelip.qualif Propofitio modatisisenfu* nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16 terrogatione depłopolinóe fegturvtdeumefTeénecessa facta gquerespondeturcar rium. Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica.Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibusorigináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci, fpondetur affirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habensadmoduprime.ter, qad interrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2 quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularis indefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie decla    Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer C Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo. non currit Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibileeft soz. currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne   Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit fecundefigurebere ptnll? bócurrit. necieptra  gulegeneralespriaé dictorie. Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit. neciftefubala zvniuerfalıf negatiadepfitt terne. Disbó currit7quida b?fubiectis7 predicatisfup bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp proeisdé funtatrarieifigu, eisdez. Znona.n.fbinfuppóit ra. vtglibzbócurrit. 2nllur provtroq; reru. Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et pro masculino tantum Scutqua tuozfgula particularis negatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea in figura ita quattuoz ponétib? pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu fciturlerseu natura.quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile nócurrit. Lertia regľaviuě duoztraria effefimulvera falisaffirmatiuaa pricularis benefimulfalsa. Primapars negatia velvlis negatiazp patzinductiei nomnibus. Et ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectisz pdicatis fupponen funtfimulfalfa. Quilibzboè tib pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”. Et sunt tradictonei figura,vt iafimiliter Dmneanimaleft quilibzbó curriteqdábóñ bomocnulluzaialeft homo curritP. ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon dåbócurrit.  Quartaregla eft poffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa.fedbenefim cularis affirmatia. Etviuer, vera. Patetparsprima ifin salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probatur quoniamistafuntfi 2predicatis fupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal sepeodezvelpeisdezftit16 bus. Aliquis bononeftalby alterneinfigura. vt glibzbó Aliquodanimalefthomo.Et currit2gdambócurrit. Dar aliquod animalnonefthomo lusbomocurrit. 2gdazbol Tertiaregulaeftifta. Honė mononcurrit Expdictis fegturgilenó effefimulveravelfimulfalfa poffibileouo contradictoria patetifta reguladifcurrédo alter. Hecranonfoludefuit Pfingťaptradironia. Quar primevelfecüdefigureimo taregulaeft14. Sivniuerfaľ tertie.Etvocoibinegatio eft vera fuapticularisvelin ne prepofitaquandocolligit definitafibifubalternaeftde modofuemod?pzecedarfi ralnego. Unfib effetvera uesequatur.7 postpofitaqui gizboestalb?6fikreffzver coniungiturverboinfinitiui raaligshoestalbosznóez modi. eréplüpzimi.nópofsi. q:iadefactobeveraaliquis bileésoz.curreredelsoz.cur hoéalbɔ.znóiaquilzboeft rerenóépoffibileereplúfi albɔ.Eteodémódicodenei possibileésoz. nócurrerevel funtregule. quorpria reequiuale tiftiptingenscft eftia. Hegpäepofitafacitz foz. nócurrergpumă regula quipollerefuocótradictozio EthneceffeeTo2. noncurrer viinoquil; bocurritequalet equiualetiftiimpossibileest isti.Aligshónócurrit.Etnó soz. Currerr recundam regur nullus homo currit equiualz isti lam zifta non nece f l e e soz . ni aliquishomo currit. Eurrer cquiual; huic possibi Secundaraeftistanegató leésoz.currergtertiamrei poftpofitafacitegpoller fuo gulamzita dicaturdecete contrariopbaf. näiftaquils risquibuscunq3quare7c. bomo noncurritequipollet SDnuerfioeitcranspofi uftinullusbomo currit. 2nul tiosubiectiinpzedicar lushomononcurritequipol rum7 econuerfo:vtbomoé ictifti quilibethomocurrit. animalanimalébomo.Etlý Lertiaregulaeftistanega diuiditurinconuersionefimi rio prepofitazpostpositatai plicemperacciisopercorra cit equipollere suofubalter, pofitionem. Lonuerfiofim no. Vnde bnonquilibethoñ pleresttranspositiosubieci curritequipolletistialiquis in predicatú 7e2°manentee bomocurrit. Etifta nonnul: Adem qualitateaquantitate lusbomononcurritequipol vtnulluanimalcurritnulluz letifti aliquis homo non cur curr ése animal. Lonuerfiog rit.Undeversus. Precótra, acadésetranspofitiosubiec dic. Post contraprepostaz.sb tiipredicatu epomanteca gatiuisquare 7c. roz. nó currere èpossibile .6 Quipollentia rumtres ergo non neceffeesoz. curre demqlitarefzmutataquanti uerfavera?Querfensfalfa. tate. vtoishó estaialaliqd Håbé per aaliqrolanoné aialébo. Lóuerfiopptrapo fbftárianullarojaernte7ti fitioneeträf posiectiipdica befalsaaliqui fubstätianon tiirecóuerfomanéteeadem énonrosaq2 suutradictori qualitaterquitirate. kmura uzé vertivžoisnonfubftan tistermisfinitisiterminosi tia ;estrora. finitosvtquoddaaialficurs Lotradictiopuerfiõefim ritqodano currensnóénon pliciarguiťpaiofic'becéve aialUtatfciafáfponóhis ranullusbõémuliē.zbecē puerhonib? puertatponun falfanullamulierébóigif, furistiosus, Fecifimpliciter Secuidobecéveranull?ce puertifeuapacci. Altopcon cusvid; ens:7becefalfanul traficfitpuerfiotota.Jng? lumensvidetcecúergorc. ponúťquattuorlrevocales Lertio ßéveranuloom ? S.a.e.1.0.2fignificatplezar éibbiezljéfatfanullusbó firmatiaz. 2vlemnegatiuaz éidomogac. Adpzim DICIE i.pticularezvelidefinităaf, giftanó suapuertens.fzia firmatiua.o.veropticulare; nulla mulieré aligfbó.qioz velidefinitanegatiua. Luš effephilis limitatioipuerté dicitfecifimplr.i.plisnega teripuersa.Ad63picogi tiua7pticularisaffirmatiua fitdesbiectopdicatu.qziicft puertütfimplr.puertiťeua p:edicatúlyens13lyvidens pacci.i, vlis negariazplis ens.ióficpuertiéšnullüvi affirmatiuapuertufp accñs densensécecii.Ad tertium Artopara. i.vlis affirmatia difimiliterquiaiépuertens zpticularisvelidefinitane ei?Izianullüensiboiecdo gatiuacouertuntpoponem. m?. vľiainullobõieédom? Harzuerfionúsimplerévti quianon debétterminimuta lioz.q2vniuerfaliterfipuerfa recafumquarerc. é vera puertens é vera 7 eco plures cathcgoricar ipuerfióepaccñsestpuerfa coniunctaspnotam conditio falla. vtbeaialchó.2pueri nis copulationis difiunctiois tensveraboéaisl. Jnquer velalicuiistarumequiualen fioneveropatrapènemécó tez.Vttuesbóituefanimal  uerfo.lzñéita i puersione p accideiis velpatraponez:ná р Ropofitioypothe, ticaeftillaģb abet   Iresigitfuntfpesypotheti Deimpoffibilitatepossibly CARnoequälentesifigifica, litate neceffitatezcoringen, do'ozaditionaťcopulatia  tiaeiusdemnonopzdicerea difitictia. Alievero vt localiterqzoiscóditionilisvera cális ztörať nó funtypotheeftneceffariazoisfalraéim tice. fzcathegorice.Propofi poffibilis.Hulla atitestque tioaditionalisèillaiäjiun fitcótigens.iftereguledicte gun&plurescatbegoziceper suntdecóditionalidenomia noriaditionisvtfituesbó taalyfiquarezi. tuesaial. Propofitionü con ditionalium alia affirmati uaalianegatia.Propoaditic Dpulatiua eftillaque onalis affirmatiua éillaiqua babetplures cathego 5nórepared afirmaturnotaəditoiserel ricas gnota copulationisiui plüpofitúest. Londitionalis cemcõitictas.vttuesboiz negatiuaestillaiquanotacó ditionisnegatur vtnonfitu eshotuesafinus 7brempp batperaffirmatiua.Adveri ratezcóditional affirmatiue requiriťzfufficitg oppofitú tusedes. Dzopofitionúcopu latiuarumaliaaffirmatiuaa lianegatiua. Affirmatiuae illainquanotacopulationis affirmatur eremplumpofitu eft. Hegatiua per oeltillai quanotacopulationisnegaE pritisrepugnetåtecedentivt fitues bótuesanimal.bec vt non tues bomoztuesasi veraeftquistarepugnanttu nus. csbomo tunoessial. An Et semper negariua proba tecedés vocatillappoqim turperaffirmatiuam. mediate sequiturnotãcóditi Åd veritatem copulatiue onis: cófequesveroeftalta. afirmatiuerequiriturquam f'meibad itaotuesboeftafcedens? Libet partemerreveramvtcu tuesaialest consequens.Ad eshomoatuesanimal. falfitatezconditionalis affir, Et adf alfitatem copulati, matiuer equirit. 2fufficitque affirmatiue fufficitvnam "sistemahor oppofitum cófequentis ftét partemeffefalsa; vttues behurinefrom cumancedentevifituesbó atucurris.  tu sedes. Hec aut ftant fimul Bd possibilitatem copula tuesbomoztunofedes.ió tiuerequiriturqualibetpar itaconditionaliseftfalfa. técepossibiléznll'äaltériiz tatomagis welalijs   Jhiunctiuaeftillaique Deus évelfoztesmouef. Ere coñitigüturplescathe pltiftvttues P'tunones.Et itbegorica. gozicepnotazdifunctionis; adcótingentiaeiusdemrege Detuesbomoveltuesafin? Ritur qualibet partemeffeco Propositionúdifuciuarú tingentezznullaalterirepu alia affirmatiuaalia negatia gnarenecét cótradictoriail; Difiuctiuaaffirmatiuaéil, laqvtantirpseftalbɔl'ipfe a inquaaffirmaturnotadi currit. Ponitur tertiapartir litctóisvtpatuit. negatiade culaqebecdifiunctiuaeftne roeftillai quanota difiuctó ceffariatunoesbóveltues aditsiplānisnegaturprñtuesboľ aial.ztinullapsalterirepu notá quodtuescapza. zbecsemppbat gnatzõlibyéatigés. lzboc firdresinsme affirmatiuagneceffetnega ióqzcötradictoriaptiuzre, Lisantca tiuanifipponeretnegatóvt pugnátvzt uesbó7tunes Forrit pattunonesafinusveltunoes aial. veldicatomeliusqad foipropofitioneapza. Affirmatiua estq2nul neceffitates difilactiverequi laillannegationumtranfitin rifzfufficitcoplatiuafacta notam difiunctionis.  tropugnante poribilem.eremplüpzimivt tuesafinus. Etadfalfitatem tuesbo ztucurris. Szadi, eilisre quiritur qualspartem possibilitatemei?fufficitvna effefalfamvttucurrisl'nul partezeffeipossibiléautvná lusbaculusstatinangulo. alteriicopoisibilez.eremplu Mdposibilitatemdifüctie-figutcomkepartesplenepost primivttu curris. 7tuésafi, affirmatiuefufficitvnaj par tilesramom nus.erempluzkivttuésztu temeffepossibilem. Vt homo ferposibilisetideopom nes.Adneceffitatez.copla eftafinusvelantichristuseftfuficitermedpogriner tiueregrit quamlib; premer Sed adimpoffibilitateeius ludvorbi uficiompor seneceffaria; vtboestaialz requirif qualibetpartéeffe tot dimimurront14éria de’eit. Etadarigentiazip impoffibilem vt homoeftafialiudfornogri. husregriť zfufficitynapzar nusvelnullusdeuseft. tezelleptingentez.alteraatt Adneceffitatemdifiunctie ni pofsibilez neceidéicópofi affirmatiuefufficitvnazpar bilemvttucurris7tuesbó temeffeneceffaria;veliuicé pel deus eftz tucurris. cótradici. Eréplum pzimivt de partibɔcontradictozijser} Ad veritatezoifiuctiueaf, feimpoffibilez. Etadcontin Röme ftiguduozycótrario afirmatiuefuficitvnazparte gentiamcopulatiuafacta siune imposfibilealiud effeveram. pttu.cshomop gtib oppofitisfitcótiges, metafarim #coco scadcon coinout:fed quo hoc eftueru, cuno filin ilascopilgrimur, fatke porousopofiris,codicarilkidekie Erionisdifnightutplan qnoradiinch omnis,Admiños vilpropofiriones, congle:fed l Frelsabond murgiipropa Mit Saint Erine & filace prolaindaoimportinisdefinitivaentrare difusique fignificatia'sseéincóueniensa Popu-rarios gudwors contrariozeliuniecorigens unum idiom conigat&difiurgatriper Sadcuila copulatiua falton Iparibusopofieasofusdeles in diversors Et iceforcimoodradilosiaoliikaepoksidaéestimat arhdheof magister bisin coligititommdig ogdifinitivaerit Drinsers. viétime quod propria fueimpropriauide itq,amibe“pareddfentnene ožnnimado props liéefetwimmign ruenhomo neltuesani   bec.n.éneceffariatunocur iusmodi, ris. vel tu moueris . q becco Lermin e quoc e termin ? pulatia éipoffibiťtucurrif fimplerplura fignificarFzdi tunomoueris.Etbecéptin uerfasrationes ficutlicanis géstucurrisvľtunomoue ghignificatcanelatrabilefi ris.q2 beccopulatiuaéptin, duscelestez piscémarinuz. Genstunócurris tumoue zbocdiuerfisrationibus. risfecúduregulasdatasde Paedicabile fecúdomó fti copulatiuis. mifvideliczcóiterzp ergoétermin?vnwoc?pze. priePredicabilecóiterfup túiterminoaptus. natusde aliquopdicari.zfictātermi nuscõis finglaristacói dicabilisingddeplerib?ori tibus(pe. ptaialpredicatur deboiezdeafinogorritfpe ineoqdquidqzaditerroga plerusqizplerusdiciepze tionezfacta; perquideftbo dicabile. Sippziesicfumen velafin?rndeturqeltaial. do difinit. Paedicabilee ter Ben'oiuiditur. naquodda minouiuoc'apt nat deplu estgenus gnälifsimu. zquod rib?pzedicari.ficnull?ieri damgenussbalternum nusfingularisnec tráfcedes Benus generaliffimúéter autpofit?diciturpzedicabiming ficégen?qd nopot lefeuvniuersaleqóidéė.q2 essespecies. ytfubftátia. 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Boieieoqd qualeaccicale vtanimal. qzaditëroğröezfactaequa Spésspecialiffimaéteri lisehódlafin?pótpuenien nusqcum fitfpesnópóteê terrñderiqdalb?.2bocno genus. vt bóvel aliter conuertibiliter. Quia nó con Spės spalissimaétermin? uertiturlialbuaialiq°illoz, vniuocuspdicabilisigdde Suffitientiapdicabiliūbe plurib'orñtıb nuerofolum turistomó quoë vleautest znotáterdiciturfoluiq2liai piedicabile effentialiteraut alnéspéss pálissima.ztúert accíítaliter termin?vniuoc?predicabilir Si effentialrautigdauti igddeplib’orntib?núero quale. Siiqualeilludéoria 22defostezplacóeiznofoi Siigd autdeplurib'orīti, làdeorñtib?nuero.qzitd e b?sperilludeitgen?.autde orñtib’spé.vtdeboierlebe přib?orritib?nuero Toluet: Differentiaéterin’viuoc? illudéspés. 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Si predicatio accítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze iqua  ppuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod caturde generefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuo idiuiduo autepuerfo Eréplüpzimi: vtbóèrifibil dirurin decepdicasca. Quo Paialéalbu. exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial. Etpfiľr státiecul generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me teri’lbalubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė mi? coup”.subcocpozecosp pdicatio terminoz eiusdez saiatu sub cozpoze aiato ať dicamenti vtbóestaial. pze, aiali fpesspecialissimahoľ dicatioautaccicaťeftpiedi afinuszlbiftisfuaidiuidua cario terminoxdiuerfozpze foztesz plato. bzunellusfa dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame bus. Termin superioradre túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon Lui' generalisfimúeftquäti. tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera aialrespectuisti'terminihó alternaär nulluestsuperius qzfignificat quicgdile?cuz adreliquúvzcontinuuz?di bocaliquid vltra. Lermin’in scretu.primigenerisiftefür feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequi cótineturabeo. nnó pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi iftiustermini bomo. hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius et cetera. Redicamentu zestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi, qualitas.Quartuzestforma nozu Fmsubzlupza. Etdiui, vetcirca aliquid pitasfigura  us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz indiuidua vero funt hicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz qualitatiscu iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale Jrrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna non sebabe Socrates Plato rio. Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier Substantia tia fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo cies. boc cozpusboc rempus Primi generis spetiesfune Quintumpredicamétoem grāmatica logicaz rhetorica dica métuacióis cuius gener quaqindividuasuntbecgrå rasubaltez nafuntfer. quozu matica logicab rbetorica. nulluėsuperiusadreliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt. generarehoiez redoamaritudo. albunigruz ?cozrupereequáquayindir calidúz frigidubuidum zfic uiduafuntfic generare boiez cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz dulcedo biamaritudohocal quarti generis(pessuntau. bumhocnigpbuiusmodi. gereinlongudiminuereila Quartigeneris fpeciessut tum. Quozum indiuiduafffic circulustriangulusquadra augereilögumficdiminuer gulushuiufmodiquarúidi inlatu. Quiti generis spés uidua funt.biccirculusbicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus. Quar idiuiduafuntficcalefa Quartiipredicamétü Ċpdi cereficfrigefacer. Sertigo, camerurelatóis. Lui'gene. Neris fpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuidua funtficmo uerefurfu alterailebita, 16zsupa ficmoueredeorfum. Sertus Primum estcaparatio. Se predicaméta é predicaméruz cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu fuppofitio.primigenerisfpe estpassio. Etb fi Ľrfergene tiessuntvicinusequale?li, rafbalternarisebūtia ;sub milequarumindiuidua sunt. zsupaav; generari corrupia hicvicinusbocequalezboc ugeridiminuialterari7fzlo fimile dñszmagister. qxidiuidua quúconīpiäri diduasütir, süthicprbiconszbicmagi tuboiezgenerariftueqmco Tertijgeneris (péssútfili? rūpi. Iertüzquarti generis fuus discipľ? quaruiidiui; spetiessuntaugeriinlon duasuntbicfili? bicferubic gúdiminuiilatu quani diui. piscipulus. dua funtficaugeriilogu fic cumouči. primi7figeneris, Secridi generis spēsfuitpr fpessúthominez generarie Secundi generisspėssunt v3generarecourtīge augere OU Rzmolle. quarüindiuidua diminuerealterare. cfmlo, funt hoc durumboc molle. Cu mouere.Primiz figener -- b Nicoletti. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Paolo da  Harborne, and Paolo da Venezia,” lecture for the Club Griceiano Anglo-Italiano, Bordighera. Luigi Speranza, “Grice e Nicoletti: quadratura ed implicatura” – The Swimming-Pool Library. 

 

Grice e Negri: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mercato San Severino). Filosofo italiano.Allievo di Aliotta, con il quale si è laureato a Napoli prima in Lettere e poi in Filosofia, ha sempre considerato come suo maestro Giovanni Gentile, di cui tuttavia non è stato direttamente un discepolo.   L'intensità con cui Negri ha approfondito il pensiero gentiliano si è concretizzato dapprima nello studio dell'allontanamento di Michele Federico Sciacca dall'attualismo poi in testi quali: “Giovanni Gentile,” “L'estetica di Gentile,” e “Gentile educatore.”  Innumerevoli sono gli scritti dedicati all'idealismo hegeliano, tra cui i saggi “La presenza di Hegel,” “Ricerche e meditazioni hegeliane,” e “Hegel nel Novecento,” e le traduzioni di opere hegeliane come “La vita di Gesù” e “Le orbite dei pianeti.”  A queste traduzioni si aggiungono anche quelle di grandi classici del pensiero filosofico, economico e sociologico.   Ha ricevuto il Premio San Gerolamo.  A N. si deve anche la valorizzazione di alcune grandi personalità della cultura italiana, come quelle di Emo, Michelstaedter ed Evola.   La sua carriera lo ha visto professore di Storia della filosofia in alcune delle più importanti università italiane: Bari, Perugia e Roma, dove ha lavorato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata fino alla fine del suo incarico universitario.  Nel corso della sua esperienza intellettuale è stato impegnato in un'intensa attività saggistica e pubblicistica, scrivendo sulle più importanti riviste culturali italiane e straniere, tra le quali: il «Giornale Critico della Filosofia Italiana», il «Giornale di Metafisica», «I Problemi della Pedagogia», «Rinascita della Scuola», «Dix-Huitième Siècle», «L'Enseignement Philosophique», «Studia Estetyczne», «Idealistic Studies». Collaborato con molti dei maggiori quotidiani nazionali: «Il giornale d'Italia», l'«Avanti», «Il Messaggero», «Il Sole 24 Ore», «Il Tempo» e «il Giornale».  Inoltre, ha diretto varie collane di testi filosofici per la Marzorati («Ricerche filosofiche», «Testi e interpretazioni»), la Seam («Filosofi italiani del '900», «Sentieri del giorno e della notte») e la Pellicani («La storia e le Idee») e riviste come gli «Studi di storia dell'Educazione» della Armando Editore.  Gli è stato assegnato, a Palermo, dall'Associazione internazionale di studi e ricerche Nietzsche fondata da Fallica, il «Premio Nietzsche».  Saggista sempre molto prolifico, ha continuato a pubblicare opere originali non solo nella scelta degli argomenti ma anche dei contenuti: il Discorso sopra lo stato presente degli italiani, il De persona. L'indomabilità dell'individuo e Problema Europa: Unità politiche e molteplicità culturali. N. Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità, Edizioni di Ethica, Forlì.  Collegamenti esterni  «Négri, Antimo», la voce in Enciclopedie, Treccani L'Enciclopedia italiana. Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Ultima modifica 1 anno fa di un utente anonimo Bertrando Spaventa filosofo italiano Michele Federico Sciacca filosofo italiano Idealismo italiano Corrente filosofica predominante in Italia nella prima metà del XX secolo Antimo Negri.

 

Grice e Negri: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Padova). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy a philosopher philosophises on Pinocchio!” -- Grice: “I like his idea of a new ‘grammar of politics,’ even if he uses the extravagant metaphor, delightful though, ‘fabbrica di porcellana’. He has a gift for metaphor, sure!” – Grice: “’la lenta ginestra’ to qualify Leopardi’s ontology is genial!” -- Grice: “Negri reminds me of ‘pinko Oxford’!” Tra gli anni sessanta e gli anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli anni ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di Baruch Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla sua riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto libri molto influenti nella Teoria politica contemporanea.  Accanto alla sua attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica, come co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7 aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire condannato a XII anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale nella rapina di Argelato. Saggi: “Stato e diritto -- la genesi illuministica della filosofia giuridica e politica” (Padova, Milani); “Lo storicismo” (Milano, Feltrinelli); “Forma giuridica” (Padova, Milani); “Flosofia del diritto” (Bari, Laterza); “Il concetto di partito politico” (Padova, Moderna); “Lo stato piano e il comune” (Milano, Feltrinelli); “Il concetto d’integrazione nella storia di Italia” (Milano, Giuffrè); “Il concetto di stato” (Milano);  “Il capitale e lo stato”, “Della ragionevole ideologia” (Milano, Feltrinelli); “Incidenza di Hegel. Napoli, Morano, Enciclopedia Feltrinelli Fischer); Scienze politiche, (Stato e politica), Milano, Feltrinelli); L’organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); Partito operaio contro il lavoro, in S. Bologna, P. Carpignano, N., “Crisi e organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); “I proletariato” Proletari e Stato. L’autonomia operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli); “La fabbrica della strategia” Padova, “Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova, Collettivo editoriale librirossi, La forma Stato, per la critica dell'economia politica della Costituzione italiana” (Milano, Feltrinelli); “Il problema dello stato e sul rapporto fra demo-crazia e sociali-smo” Milano, Unicopli-Cuem, “Il dominio e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale,” Milano, Feltrinelli,  “Manifattura, società borghese, ideologia: Una polemica sulla struttura e la sovra-struttura,” Roma, Savelli, Marx oltre Marx [Grice, “Grice oltre Grice”]. Quaderno di lavoro sui Grundrisse, Milano, Feltrinelli, “ Dall'operaio massa all'operaio sociale. sull'operaismo, Milano, Multhipla, “Comunismo e guerra,” Milano, Feltrinelli, Politica di classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri, “Otto Dix,” Milano, Studio d'arte Grafica, “L'anomalia selvaggia: potere e potenza in Spinoza” (Milano, Feltrinelli);“Macchina tempo. Rompicapi, liberazione, costituzione,” Milano, Feltrinelli, Pipe-line. Lettere da Rebibbia, Torino, Einaudi,  Boutang, Diario di un'evasione, Cremona, Pizzoni, Le verità nomadi: lo spazio di libertà” (Roma, Pellicani); “Fabbriche del soggetto: profili, protesi, transiti, macchine, paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", “Lenta ginestra: l'ontologia di Leopardi, Milano, Sugar, “Fine secolo. Un manifesto per l'operaio sociale. Milano, Sugar,” “Arte e multitude” (Milano, Politi, “Il lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano, Milano, Sugar); “Il potere costituente. Ssulle alternative del moderno, Carnago, Sugar, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali” (Roma, Pellicani, “Dioniso, o lo stato postmoderno” (Roma, Manifestolibri);  L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione negata” (Roma, Castelvecchi); “I libri del rogo, Roma, Castelvecchi); Partito operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione materiale; La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e liberazione comunista” (Roma, Manifestolibri); Spinoza (Roma, DeriveApprodi, Contiene: S Democrazia ed eternità in Spinoza); “Sogni Incubi”, L’incubo, Visioni. Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro” (Milano, Lineacoop, La sovversione” (Roma, Liberal, Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni impartite a me stesso” (Roma, Manifestolibri, Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio alla politica, a cura di e con Fadini e Wolfe, Roma, Il manifesto, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Hardt, Milano, Rizzoli,  Europa politica. [Ragioni di una necessità], a cura di e con Friese e Wagner, Roma, Manifestolibri, Luciano Ferrari); “Bravo ritratto di un cattivo maestro. Con alcuni cenni sulla sua epoca” (Roma, Manifestolibri); “L'Europa e l'impero. Riflessioni su un processo costituente, Roma, Manifestolibri); “Moltitudine e impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il ritorno. Quasi un'autobiografia” (Milano, Rizzoli, Guide); “Impero e dintorni” (Milano, Cortina); “Moltitudine. Guerra e democrazia nell’ordine imperiale” (Milano, Rizzoli); “La differenza italiana” (Roma, Nottetempo); Movimenti nell'impero. Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, Global. Biopotere e lotte” Roma, Manifestolibri, Goodbye Mr Socialism, Milano, Feltrinelli, Settanta (Roma, Derive); Approdi, Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica, Milano, Feltrinelli, Dalla fabbrica alla metropoli” (Roma, Datanews,  Il lavoro nella Costituzione” (Verona, Ombre Corte, Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti ai movimenti della governance” (Verona, Ombre Corte,  Comune. Oltre il privato ed il pubblico, (Grice: “Cf. Grice on ‘common language’ and ‘private language’”) Milano, Rizzoli,  Inventare il comune, Roma, Derive Approdi, Il comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte (Verona, Ombre Corte); “Questo non è un Manifesto” (Milano, Feltrinelli); “Spinoza e noi, Milano-Udine, Mimesis); “Fabbriche del soggetto. Archivio (Verona, Ombre corte); Arte e multitudo (Roma, DeriveApprodi); “Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Galera ed esilio. Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Assemblea, Milano, Ponte alle Grazie, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Milano, Ponte alle Grazie. Antonio Negri. Keywords: implicature, potere-potenza, l’incubo, la differenza italiana, grammatica politica, assemblea, Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Negri," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Neri: l’implicatura conversazionale dell’aporia della realizzazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “Neri is an interesting philosopher – he speaks of the aporia of the realization, which is intriguing, and considers that ‘objectivism’ started with Galileo, which is realistic!” Professore a Verona. Allievo di Banfi e Paci, rappresenta una delle ultime sintesi della Scuola di Milano, di cui riprende alcuni dei temi portanti: ricerca fenomenologica, analisi storico-politica, studi estetici. Rispetto ai suoi maestri, del cui pensiero è stato uno dei maggiori interpreti, sviluppa un percorso di ricerca originale, caratterizzato da una critica delle ideologie del Novecento e dei loro fallimenti, e da una lettura non dogmatica della storia contemporanea, volta a metterne in luce discontinuità e aporie. Forte di un'indole scettica e fedele al principio dell'epoché fenomenologica, Neri ha ripercorso le vicende della dialettica marxista, focalizzando in particolare la sua attenzione sull'Europa centro-orientale, e sulle varie forme di controcondotta e dissenso che, a partire dagli anni sessanta, sono andati germinando in quel contesto storico. I suoi autori di riferimento Husserl e Merleau-Ponty, Bloch e Lukács, Kosík e Kołakowskirivelano la tensione intellettuale tra ricerca teoretica e storica che ha caratterizzato il lavoro di Neri, dalle principali monografie, ai saggi su aut aut e Il filo rosso, fino al materiale inedito conservato presso l'Archivio N., da pochi anni istituito presso l'Università degli Studi di Milano.  Durante gli anni universitari, trascorsi tra Pavia e Milano, Neri ha l'occasione di frequentare gli ultimi corsi di Antonio Banfi, ormai lontano dalla fenomenologia e intento a perfezionare (e radicalizzare) il suo umanesimo di stampo marxista, e dell'ancor giovane Enzo Paci che, in quegli stessi anni di dopoguerra, intraprende un confronto innovativo con gli esiti della ricerca husserliana, e in particolare con i contenuti della Crisi delle scienze europee, oggetto di numerosi corsi. Proprio questo "apprendistato fenomenologico", secondo l'espressione di Fausti, ha consentito a N. di acquisire un metodo di ricerca che lo ha accompagnato, non solo nei suoi studi delle opere di Husserl, Merleau-Ponty, Patočka (dei quali traduce e cura varie pubblicazioni), ma, più in generale, nell'analisi del pensiero storico e politico novecentesco. A questi interessi va ad aggiungersi quello per l'arte e l'estetica, decisivo in questi primi anni, e dovuto in particolare agli insegnamenti di Formaggio, con cui N. si laureò. Neri continuerà a interessarsi a questi temi anche negli anni successivi, dedicando diversi scritti a Panofsky (della cui Prospettiva come forma simbolica cura nell'edizione) e a Caravaggio, e interrogandosi sul rapporto tra fenomenologia ed estetica.  Agli anni di studio, segue una fase di ricerca che lo porterà nei primi anni sessanta a Praga, ospite dell'Accademia delle Scienze della Cecoslovacchia e, in seguito, negli Stati Uniti d'America, dove è visiting scholar a Pennsylvania. A Praga, Neri entra in contatto con la giovane generazione di intellettuali cechi che, in questi anni cruciali, portano avanti l'idea di riformare il socialismo dal suo interno, a partire da una profonda reinterpretazione del materialismo e della prassi marxiana. È grazie a N. che in Italia si diffondono le opere di Kosík e di Patočka che, pur così profondamente diversi, condividono con Neri l'interesse per la fenomenologia e la politica. Durante la sua esperienza americana, N. dedica a Marx una serie di lezioni e conferenze, i cui testi inediti, facenti parte del Fondo N., sono conservati presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Analizzando il pensiero di Marx, N. si rifà in particolar modo, oltre che all'insegnamento di Kosík, agli scritti di Petrović e alla scuola jugoslava legata alla rivista Praxis. Tornato in Italia, inizia un lungo periodo di insegnamento a Verona, durante il quale incentra i suoi corsi sulla fenomenologia post-husserliana, su Bloch, sull'idea filosofica di Europa e la sua eredità, a seguito del fallimento dei principali progetti politici novecenteschi. Escono in questi anni le sue opere più note: “Aporie della realizzazione”, sulla filosofia e l'ideologia dei paesi del socialismo realizzato, e “Crisi e costruzione della storia”, dedicato, ancora una volta, al maestro Banfi.  In più occasioni, manifesta il suo debito nei confronti dei suoi maestri milanesi, per averlo iniziato allo studio della fenomenologia. In tal senso, il passaggio dall'insegnamento di Banfi a quello di Paci è decisivo. «Al centro non era piùscrive Neri poco prima di morire, ricordando quegli anniil "disperato razionalismo" del fondatore della fenomenologia: il fuoco della rilettura era diventato il "mondo della vita" e la critica dell'obbiettivismo moderno». Un pensiero che ben si presta a una generazione di giovani studiosi che, durante gli anni sessanta, si raccolgono intorno a Paci, desiderosi di affinare un pensiero che consenta di riguadagnare un sguardo disincantato, ma non indifferente, sulla realtà sociale e culturale circostante, contro «l'asfissiante razionalismo» di Banfi e, più in generale, contro l'impronta culturale del PCI.  Neri rientra in questa nuova leva di studiosi e in questi termini si possono interpretare anche i suoi studi fenomenologici. «Con il tema del mondo della vitaribadisce N., in un altro tra i suoi scritti più tardila fenomenologia mostrava di saper affrontare i problemi posti dalle scienze storiche e sociali, dall'antropologia culturale e infine anche dal pensiero marxista». L'esempio di Paci, tuttavia, che cercò a tutti gli effetti di coniugare metodo fenomenologico e dialettica marxista, è seguito dall'allievo solo parzialmente, lasciando la sua impronta più visibile nel volume Prassi e conoscenza, una cui parte è dedicata ai critici marxisti della fenomenologia. Col passare del tempo, tuttavia, Neri adotta una posizione di sempre più evidente rottura, prediligendo a qualsiasi tentativo conciliatorio una critica fenomenologica del socialismo realizzato e delle sue distorsioni. A tal proposito, il confronto con Kosík e il dissenso, all'interno del socialismo reale, giocano un ruolo di primo piano.  Come si evince dalla sua “Aporie della realizzazione,” distingue due fasi e due generazioni di filosofi, all'interno della complessa crisi del socialismo in costruzione. Da una parte, la prima generazione è rappresentata da Lukács e da Ernst Bloch. Proprio al pensiero di quest'ultimo, alle sue concezioni di storia e di utopia e ai suoi numerosi ripensamenti, Neri dedica una lunga analisi, che tornerà periodicamente anche negli anni successivi, come testimoniano i programmi dei suoi corsi universitari. A Bloch è ispirato, d'altronde, il titolo del libro, che N. ricava da una pagina di Principio speranza. È all'interno della dialettica tra realtà e realizzazione, tra condizione presente e speranza futura, che N. individua l'andatura del socialismo reale, della sua filosofia e della sua ideologia. Solo con la seconda generazione di filosofi, tuttavia, le aporie della realizzazione socialista vengono veramente al pettine; la malinconia di Bloch cede infatti il passo allo sguardo scettico di Kołakowski e al tentativo di Kosík di rileggere la dialettica marxista in termini concreti, al di là di ogni deriva ideologica. Dello stesso tenore è anche il libro su Banfi, Crisi e costruzione della storia, di pochi anni successivo, in cui N. si confronta con lo stesso tema della realizzazione, inteso stavolta nei termini del tentativo banfiano di costruire un percorso storico su basi razionali, oltre la crisi della civiltà moderna, verso una nuova prospettiva umanistica. Alla luce del ritratto offertoci da Neri, che si concentra in particolare sugli anni trenta, intesi come momento cruciale per lo sviluppo della teoria banfiana, emerge un'immagine di Banfi particolarmente complessa, nella quale la svolta ideologica e l'adesione al comunismo non offuscano il perdurare di uno spirito critico e di una prospettiva europea, che si sviluppa al di là dei particolarismi delle filosofie nazionali.  L'Archivio N. -- è stato creato presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano l'Archivio N. In tale archivio è raccolta un'imponente quantità di materiali inediti, che comprendono riflessioni, appunti per corsi e seminari, annotazioni di viaggio, corrispondenze. Sono considerati di particolare rilievo, in vista di futuri studi sul pensiero filosofico di N., i 149 quaderni, contenenti le riflessioni del filosofo, dalla metà degli anni cinquanta, fino alla sua morte. Attraverso la lettura di questi scritti, ora completamente consultabili e in corso di digitalizzazione, è possibile chiarire il rapporto e gli scambi di Neri con altri rappresentanti della filosofia milanese: da Banfi a Paci, da Dal Pra a Preti. Grande importanza rivestono anche i commenti in presa diretta su alcuni tra i più rilevanti avvenimenti storici del Novecento: dall'invasione sovietica dell'Ungheria, alla Primavera di Praga, fino al crollo del socialismo reale. A ciò si aggiungono le riflessioni sul ruolo della filosofia nella società, sul modo e l'opportunità di insegnarla, e sulla sua tenuta, di fronte alle scosse della storia.  Saggi: : “La fenomenologia della prassi  (Milano, Feltrinelli); “Il partito socialista italiano” (Milano, Feltrinelli); “Crisi e costruzione della storia” (Napoli, Bibliopolis); “Il sensibile, la storia, l'arte” (Verona, Ombre Corte, F. Tava, su Open Commons of Phenomenology. G. Scaramuzza, Presentazione, in Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente, Milano, Materiali di Estetica, Archivi. su sba.unimi. degli scritti di in aut aut, n. Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente, Milano, in Materiali di Estetica, Quando tra noi  Ricordo, amici, colleghi e studenti, Pizzighettone, Viciguerra, L. Fausti, Tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Milano, UNICOPLI,. L.Frigerio e E.  Mazzolani, Iin Sistema Università,  A. Vigorelli, Fenomenologia e storia. A partire da Patocka: itinerario filosofico, in Leussein,  F.  Tava, Open Commons of Phenomenology. sba.unimi. Fondo librario. Grice: Mussolini used to say that Garibadi spoke of the ‘popolo’ while he speaks of the ‘nazione’ – and a nazione has a plusvalue over popolo. Il popolo e l’asino, l’asino e il popolo utile paziente e bastonato. Grice: “Neri made a great contribution or the spreading of Husserl’s interpretation of their own Galileo n Italy. Who is this Jew to tell us anything about our glorious Pisan? Husserl saw Gailei as a Platonist. Neri made a translation of Husserl’s essay on Galileo and included in a saggio with the title GALILEO in it – in this way, he gathered the attention of every Italian philosophical Galileian!” Grice: “Perhaps the best introduction to Italian socialist politics are the commentaries Neri made to the cartoons in the asino, which he entitled, bitingly, the bite of the ass!” Grice: “Oddly, bite is an attribute of ass – when a retrospective of the cartoons was held, the cliché journalese when ‘satira morente’ -- -- estetica di Diderot, senso e sensibile, il sensibile, la sensazione, il Galileo di Husserl. –Guido Davide Neri, su sba.unimi. Neri. Keywords: aporia della realizzazione, il mordo dell’asino, -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Neri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Nerone: il melodramma di Boito -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo epicureo e imperatore romano. Demetrio Lacon dedicated a philosophical essay to Nerone, making it extremely like that Nerone was himself a follower of the doctrines of The Garden. BOITO: “NERONE” IL MELODRAMMA.

 

Grice e Nesi: l’implicatura conversazionale – adulescentuli oratiuncula – Sono dalle celeste sphere Venere: perche  amore inspiro: dagl’elementi fuoco: perché  d’amore accendo da uoi con vocabul greco CHARITÀ chiamata: perché col mio ardore della GRAZIA della salute viso degni -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “I once had a fight with Nowell-Smith; he was saying that a philosopher should not be a moralist; I told him that by that token Nesi wasn’t one!” – “De moribus” Figlio di Francesco di Giovanni e di Nera di Giovanni Spinelli, si dedica interamente agli studi filosofici. Strinsge stretti rapporti con i principali umanisti fiorentini dell'epoca, tra cui Acciaiuoli e Ficino. Influenzato dall'operato di Savonarola, ricopre anche diverse cariche politiche.  Saggi: “Adulescentuli oratiuncula”; “Orazione del corpo di Cristo”; “Orazione de Eucharestia” “ Orazione sull'umiltà” “Sulla carità”; “De moribus”; “De charitate”; “Oraculum de novo saeculo, Canzoniere, Poema. Treccan Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Obviously, Nesi is not having Davidson in mind. But Nesi is wrong in identifying GRAZIA with CHARITA, ‘greco vocabull” – this is an etymological blunder. The charities were indeed three – Eglea, Eufrosina, e Talia – and they danced mainly to eroticse Mars, or more frequently Giove and Mars together --. Of course the expression ‘gratia’ is not cognate! – For Davidson, charity is what the Italians refer to ‘carità’, formed out of ‘carus’ – the spelling with ‘ch’ is a French corruption! So to be charitable, in Davidson’s interpretation, is to be kind, caro. Not graceful! --. Grice: “If Davidson doesn’t know his Greek mythology, that’s not my fault --. Instead of his singular principle of charities, I will take the liberty to sub-divide it into three maxims – The first maxim refers to the first charity, Aglae: splendour; thes second maxim refers to the second charity, Eufrosina, mirth; the third maxim refers to the third charity, Talia, cheer. In Kantian format, these counsels of prudence become: be splendorous – or try to make your conversational move one that is splendorous; be merry – or try to make your conversational move one that will carry mirth to your co-conversationalist; and ‘be cheerful’, try to make your conversational move one as if it was spawned by Thalia!” -- Giovanni Nesi. Nesi. Keywords: adulescentuli oratiuncula, principle of charity, Davidson on charity on Grice. Who was the first Englishman to use ‘charity’ as a hermeneutic principle? Butler. Grice speaks of self-love and benevolence. Benevolence – and charity? Grice is not so much concerned with Beneficenza or Malificenza, but with Benevolenza, and Malevolenza – where does charity fit? What was Ciceronian for charity. What is pre-Christian about charity? Charisma, charitas, folk etymological confusion here – caritativo – carita – caro, “le tre carità in armónico conubio” “tre carità”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nesi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Nicolao: l’implicatura conversazionale -- Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Among his pupils are the two sons that Marc’Antonio has with Cleopatra. He writes a biography of Ottaviano, and the two became friends.

 

Grice e Nifo: l’implicatura conversazionale ludicra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sessa Aurunca). Filosofo italiano. Grice: “I like Nifo; first, because he wrote a treatise he called ‘ludicrous rhetoric;’ second, because he tried to refute Pomponazzi against the mortality of the soul – surely the soul is ‘mortal’ is a category mistake --.” Alla corte di Carlo V (L. Toro, Sessa Aurunca). Studia Padova sotto Vernia. Insegna a Padova, Napoli, Roma e Pisa, guadagnando una fama tale da essere incaricato e pagato da Leone X di difendere l’immortalità dell’animo di Leone X contro gl’attacchi di Pomponazzi e degli alessandristi. Ricompensato con la nomina a conte palatino con il diritto di assumere il cognome del Papa, Medici. La sua prima filosofia si ispira ad Averroè, modifica poi la propria visione giungendo a posizioni più vicine al domma romano. Pubblica un'edizione delle opere di Averroè corredate di un commento compatibile con la sua nuova posizione. Nella grande controversia con gli alessandristi si oppose alla tesi di Pomponazzi per il quale l'animo razionale non e separabile dal corpo materiale e, dunque, la morte di questo porta con sé anche la scomparsa dell'anima. Sostenne, invece, che l'animo di Leone X, quale parte dell'intelletto assoluto, non e distruttibile e alla morte del corpo di Leone X si fonde in un'unità eterna. Tra i suoi allievi, presso Salerno, tra gli altri, ricordiamo, Rosselli, filosofo calabrese autore di un testo molto controverso, Apologeticus adversos cucullatos (Parma), in cui cerca di affermare le sue dottrine che tendono a discostarsi da quello del suo maestro. Lo si ritiene protagonista di un curioso episodio. Pubblica il trattato “De regnandi peritia” (la perizia di regnare), che alcuni ritengono essere un plagio del più noto “Il Principe” di Machiavelli del cui manoscritto e venuto in possesso. Gli e conferita la cittadinanza onoraria di Napoli ed iessa e estesa ai figli ed agli eredi in perpetuo.A lui è dedicato il Convitto Nazionale di Sessa Aurunca, della quale e anche sindaco. Saggi:“Liber de intellectu”; “De immortalitate animi”; “De infinitate primi motoris quaestio” [cf. Bruno, Galilei, Novaro, infinito]; “Opuscula moralia et politica”; “Dialectica ludicra,” “De regnandi peritia.”  Furono poi più volte ripubblicati, in quanto ampiamente diffusi, i suoi numerosi commentari su Aristotele, di cui i più importanti sono “Aristotelis de generatione et corruptione liber N. philosopho Suessano interprete & expositore”; “Expositiones in libros de sophisticos elenchis Aristotelis”; “Expositiones in omnes libros de Historia animalim, de partibus animalium et earum causis ac de Generatione animalium, In libris Aristotelis meteorologicis commentaria” (Venezia, Ottaviano Scoto); Physicorum auscultationum Aristotelis libri octo”; “Super Libros Priorum Aristotelis”; “Commentarium in tres libros Aristotelis De anima”; “Dilucidarium metaphysicarum disputationum in Aristotelis Deum et quatuor libros metaphysicarum”. “Dialectica ludicra”. Biblioteca del Convitto, Dialectica; “Dialectica ludicra”; “In libris Aristotelis meteorologicis commentaria”; “In libros Aristotelis De generatione et corruptione interpretationes et commentaria, Biblioteca del Convitto Nifo di Sessa Aurunca; “In libros Aristotelis de generatione et corruptione interpretationes et commentaria.  G. Gabrieli, "Raccolta Storica dei Comuni", Istituto di Studi Atellani, Sant'Arpino, C.  De Lellis, Discorsi delle Famiglie Nobili del Regno di Napoli, Napoli, G. Paci, G. Marco, I sindaci della città di Sessa, Sessa Aurunca, Zano. La filosofia nella corte (Milano, Bompiani). Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Marco, G. Parolino, Incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche di Sessa, Minturno, Caramanica, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. De Bellis, Il pensiero logico, Galatina, Congedo, Ennio De Bellis, Aspetti storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, E. ellis,  Collana Quaderni di “Rinascimento”. Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze, Olschki); A. Poppi, I liceii di Padova, Dizionario biografico degli italiani, Ratisbona. Grice: “I enjoyed Nifo’s rambling on dreaming – quite an complement for Descartes on clear and distinct perception!” Grice: “Part of my cooperative principle is based on Nifo – echoing Aristotle rather than Kant. Or rather echoing Kantotle. In this case, it’s Aristotle’s key concept of a ‘virtue’ – a collective virtue, like solidarity, lies at the bottom of my conversational principle of cooperation. The virtue is ONE of course, which is good. Each maxim then attends to some virtue. Nifo is better than Castiglione in that his Italian is better. He relies on Cicero, rather than on this or that court poet! So there’s VERITAS, HONESTAS, CARITAS, and the rest. Each is seen as a virtue, and the point is to find the ‘middle point’ or mesotes. A bore is a bore but if you include this or that ‘implicatura ludicra’, two gentlemen can enjoy a nice conversation. Nifo is having the Northern Italian courts in mind, away from that nefarious influence of the Pope, who had paid him to demonstrate the immortality of his soul! The virtue model of conversation is an interestin gone – “De re aulica” is the way Nifo considers this, and he makes interesting observations on how to attain a middle way, i.e .how to win frineds and lose enemies!” –Of course there are overlaps. My model is Kantian, but what is a counsel of prudence if not a nod to Aristotle’s virtue of prudentia – the principle is thus a principle of conversationl conviviality, urbanity --. There are conceptual problems with a purely Aristotelian model, rather than Ariskantian one. One is not after VIRTUE, but the MESOTES – So the ideal is not to be searched for. It’s not pure HONESTAS, but that which fits civil conversation. Oddly, Italians were more concerned with ‘vitii’, which due to their Roman dogmatic assumptions, they correlate with ‘vice’. For each vice, we should not look for the VIRTUE, but to the MESOTES --. Kant could not make head or tail of this! Agostino Nifo. Nifo. Keywords: ludica, ludicra, intellectus, animo intelligere, nous, intellectus passivus, intellectus activus, intellectus agens, intellectus possibilis, intellectus passibilis, what is so ludicrious about dialectis?– Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nifo: la dialettica ludrica”, Grice, “Dreaming” – Malcolm, “Dreaming” --. – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Nigidio: l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Cicerone. He enjoys a great reputation for learning. However, he is on the wrong side of the civil war between Pompeo and Giulio Cesare, and Cesare sends him into exile. He is particularly interested in Pythagoreanism and is a leading figure in its revival in Rome. He specialises in the mystical side of Pythagoreanism and is credited with occult powers. Publio Nigidio Figulo.

 

Grice e Ninone: la diaspora di Crotona e la sua causa -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Ninon was one of the leaders of the anti-Pythagorean movement in Crotone. He claims that the Pythagoreans are elitist and anti-democratic. He also claims to have a knowledge of their secret teachings and published it in a book. However, according to Giamblico, Ninon knew nothing of what the sect taught and the book is ‘a work of pure invention.’

 

Grice e Nisio: il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Samnium). Filosofo italiano. A pupil of Panezio. Nisio.

 

Grice e Nizolio: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescello). Filosofo italiano. Grice: “I read Nizolio and it’s like reading myself!” – Insegna a Brescia e Parma. Pubblica il lessico “Observationes in M. Tullium Ciceronem” (Brescia), il Thesaurus Ciceronianus” (Venezia, Facciolati) e il “Lexicon ciceronianum” (Venezia, Facciolati). Ha una lunga polemica con Maioragio per una critica portata da quest'ultimo a Cicerone che, iniziata con la Epistola ad M. A. Majoragium, prosegue con l'Antapologia e si conclude con i “De veris principiis et vera ratione philosophandi contra pseudo-philosophos” (Parma), scritto contro gli scholastici, che interessarono Leibniz al punto che questi li fece ristampare premettendogli il titolo “Anti-barbarus Philosophicus, sive Philosophia Scholasticorum impugnata” con una prefazione ed una lettera a Thomasius sulla dottrina di Aristotele, Francofurti (Roma, Bocca). E chiamato da Gonzaga a Sabbioneta. Contemporaneamente alle critiche di Ramo alla logica dei lizii, anche per lui occorre sostituire all'astrattezza di quella logica un pensiero che sia concretamente legato al reale, e a questo scopo la strada maestra sta nel ritrovare i processi del pensiero direttamente nella struttura grammaticale dell’italiano. Individua cinque principi per fare della buona filosofia. Il primo principio generale della verità e della buona filosofia consiste nella conoscenza della lingua romana, in cui sono espressi quei saggi filosofici. Il secondo principio è la conoscenza di quei precetti che si trovano nella grammatica e nella retorica di Cicerone, sostituendo la grammatica e la retorica alla metafisica, ontologia, o filosofia speculativa, dal momento che il metafisico si e preoccupato solo di ricercare il vero, senza occuparsi dell’utile, il necessario, o il pertinente delle cose trattate. Il terzo principio consiste nell’interpretare il filosofo antico come CATONE IL CENSORE, o Cicerone, o Antonino, e nello sforzarsi di comprendere il modo con il quale il popolo romano si esprime, essendoci verità in quella schiettezza – Grice: ‘slightness” -- di linguaggio. Il quarto principio generale del vero è il libero, e la vera licenza delle opinioni e del giudizio su qualunque argomento, in contro ogni domma, come richiede il vero e il naturale. Non devono essere dunque CICERONE o ANTONINO  nostril maestri, ma i cinque sensi, l'intelligenza, il pensiero, la memoria, l'uso e l'esperienza delle cose.  Il quinto principio afferma che, oltre a esporre ogni tesi con la chiarezza della lingua comune – l’italiano volgare, senza introdurre nel discorso oscurità (avoid obscurity of expression, be perspicuous [sic], avoid unnecessary prolixity [sic] o sottigliezze, occorre non trattare problemi che non hanno realtà. Esempi di invenzioni filosofichi prive di oggettività sono la “idea” platonica e la tesi del reale dell’universalie. Infatti, il reale è costituito soltanto da singoli individui e questi devono essere indagati non attraverso la loro natura propria e privata, ma attraverso la loro comune e continua successione. Si fa filosofia non astraendo, ossia togliendo da una singola realtà quel quid che viene poi analizzato come se esso fosse reale, ma comprendendo, ossia considerando insieme il singolo reale. L'universale è una vana e finta astrazione che deriva invece dalla comprensione di ogni singolare di ogni genere, accolto insieme con un atto solo, senza astrazione intellettiva, ma con il solo ausilio di un'intelligenza che comprende il singolare. In sostanza, noi non possiamo distaccare, con un'operazione dell'intelletto, un universale da ogni singolare, ma semmai passare dall'individuale al collettivo. L'operazione consiste nel sostituire alla dialettica la retorica e alla logica la grammatica ma, pur mettendo in rilievo i difetti della logica classica, non riesce a fondare una nuova logica efficace e persuasiva. Saggi: Garin, Rossi, Vasoli, “Testi umanistici su la retorica”; “Testi editi e inediti su retorica e dialettica di N., e Ramo, Milano, Bocca  N. in M.T. Ciceronem observationes Caelii Secundi Curionis labore et industria secundo atque iterum locupletatae, perpolitae et restitutae. Ejusdem libellus, in quo vulgaria quaedam verba et parum Latina, ad purissimam Ciceronis consuetudinem emendantur, ab eodem Caelio, s.c. limatus & auctus”. Dizionario Biografico degli Italiani. Ballestri, Massimiliano. Milano, Cosmo editore, Battistella, umanista e filosofo, Treviso, L. Zoppelli, Il rinnovamento scientifico moderno, Como, Meroni, Rossi,  “La celebrazione della rettorica e la polemica anti-metafisica del "De Principiis" in La crisi dell'uso dogmatico della ragione, A. Banfi, Milano, Bocca); W. Fink, Logica aristotelica Universale Idea. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. G. Calogero,  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Grice: “I was slightly disappointed when I got hold of Nizolio’s overadvertised masterpiece, the “Lexicon Ciceronianum;” while Urmson liked it, I found it more to be a common-or-garden dictionary. I did not care for philosophical concepts, seeing that he starts wih “A”, ‘the first letter of the alphabet,’ as N. defines it. So, I went straight to the third tome – heavy as they are, and reprinted in London for use at public schools –‘adolescens’ – to ROMA, ROMANVS, ROMVLVS. As for his advice as to deal with the longitudinal unity of philosophy and his rhetorical, ‘Plato is my friend but a better friend is truth,’ I can’t believe it coming from one who dedicated his life to TRACE every little ‘diom’ (slogans as the London edition has it) uttered by Cicero! WhileI would expect praise against the barbarian scholastic from Roger Bacon, it sounds hypocritical coming from Leibniz. By N.’s standard, Leibniz was a barbarian his self. The scholastics actually saved the books from the flames of the Longobards and the Eastern Goths (earlier on) Roma, Contr. RuJ.  Romain montibus posita, et convalUbus, ccenacolis  sublata atque suspensa.1. de Div.. Certahant, Urbem  Romam  Uemamne  vocdrent, Post  led. in  Sen. Roma  arx omnium terrarum. De Pet Cons. Roma civitas CK nationnm conventu constituta. 1. de Onu. Roma domus virtutis, imperii et dgnitatis. Roma domid Uum imperii et gloris. Roma luxorbisterraruhi, et  arx onuuum gentium. Div. Bmoul sexenniojpost Veios  captos a  GaUis capta.  Rome et reges augnres, et postea privati eodem sacerdotio prsediti, lem pub. regionum autoritate rexemnt. Qu. Fr. Roma, ubi tanta arrogantia est, tam immoderate libertas, tam infinita hominum centia. Redu Romam Fonteu cansa .Idns Qu. de Nat. Roma in terries nihU meUns. Inoer. Romam conditam 01 vmpiadis sestss anno tertio. Romani. Pro Leg.Man. Romani  pn»ter ctiteras gentes laudis et glori» avidi. Romani cives facti Siculi lege Antoni L9. Fara. Romani veteres atque urbau sales. Tus. Romani serius quam GffKci poeticam acceperant 1. Di.  Romaia nihU in bello sineextis agebant nihU d<»B& sine auspiciis. Off. Romani Toscoianos, Equos, Volscos, Sabinos, Hemicos, victoria parta non modo conservarunt, sed etiaro in ciritatem acceperantPro Mur. Romani tempora voluptatis laborisque dispelrtiunt, etc. Tus. Romani omnia aut invenerant per se sapientius, quam Greciaut accepta ab illis fcicerant meUora. Div. Romani omnibut rebus agendis, quod bonnm, faustum, felix, fortunatnmque esset prefabantur. Pro Cnc . Romani eos vendere solebant, qui mUites facti non essent 3. de Ora. Romani minos qoam liitm Utteris stndebant Pro Leg. Man. Romani omnibus navalibus puffuis Carthagienses vicerant Aoad. Romanorum antiqua jurisjurandi formulaet consuetudo. de Or. Romanoram ingenia raultnm csBteris liomiaibos omnium gentium prsstiterunt Snavitassemkonis  Atticoram  et  Romanomm  propiia. Tosc. Apod  priscos Romanos morem honc epolaram fiijsseantor est Cato in Originibos, ut  deincepi, qui aocobaient, canerent ad tibiam virorom daroram Uodes atqoe virtutes Romanos, a, uro. 1. de Nat Romana  RO JaiioteIbBoa«t,<f«aUs8oif2li« $.S.Fo^ paU RoaiaBi ovnk religio in ftcrt etin anspida diyia.  . Popalnm Boaunun nan DJ saasnon Sn defendenda ropnb.sed Sn pUndendo cooso Bieie. Bum non nodo Romano bomini, sed ne Perse qwden coiqaam tolerabile. Fam. Bomaoo nsoae oommendare. Romano more feqni.1. de Orat et Ver. Romani ladL Att. Nu Bc Romanas res aedpe. Romilla, iribus. t. cont Ral. Respondit, Romilla tribo se initiam esse £se-tnram. I^,Tribos. Romalos, li, Qutnntti.   Romalam» qu banc aibem condidit, ad deos immortales benerolentia famaqae sastulimas.de L.  Roawhis post exoessum suum dixit Proculo Jolio, se deom esse,  et Qaoinum vocartem plumaae sibi dedicari ia eo loco jussit  Romuhis  quem  iaauratum m Capitolio pamun ac lacttntem, uberibos lopiais inhiantem fuisse meministis.  OfF. Peccavit igitar, paoe vel Qoirini toI Bomali  du Eerim.1. de D. Romuhis  puldier. Ih, Romulus urbm auspicato oodidit Roamlus non solom aospieato Romam condidit, sed etiam optimos augur feit de N. Romnlos  auspicBs,  Numa  sacris  constitatb,  fandamenta  jeeit  ostiSB  dTitatii. Off. Romjlus, cum ci visom csset utilios solum, quam cum altero regnarefiratrem interemit De Or. Roma Jns consitto magis et sapientfaqaam doqueotia usns est S. Div. Romolas et Remus com altrice bdhui vi folminis idi oooddeiant Romulis et Remus ambo augures fberant Roorali  stataa  decoelo taeta. Som. Ronmlo  moriente deficere sd  bommibas  eatingaiqao visus est. Summatim quanam fine principia generalia veritatis investigande, recteque philosophandi. Item in summa quanasmint princigpeianeralia pseudo-philosophorum et perverse philosophandi. De generali omnium nominum divisione in substantiva, adjectiva propria appellativa, deq; eorum proprietatibus et differentia, nginguam facisusque inbuncdicmab ullo traditisaut cognitis, contra pseudophilosophos. De nominibus propriis et appellativis, tam cole&li vis quam simplicibus non cola Letivis, ac decorum proprietatibus et diferentis, contra philosophastros. s.De  us)0(sem (falsis. De denominativis reliquis capitibus Ante predicamentora, vel supervalaneis vel. Universalia realia etiam five raese concedantur, tamen non fuisse facienda quin. Que numeross ed velunumtantum, hoc est, GENUS, vel plura quam quinque hoc est, septem veloflo, adiecto communi, simils, contrario, arque substantia. De nominibus substantivis et adiectivis. De eorum proprietatibus ac diferentis, contra pseudo-philosopos. De generaliomnium rerum divifione oratoria pera & deila pseudo-philosophorum falsa, simul quede voce universi anni versalis et in summa de falsirate universaslium realium ut vocant. Universalia realia nec propter scientias artes quetradendas, nec propter syllogismos eocateras argumentations formandas, nec propler predications superiorum de inferioribus faciendas necessario ese ponenda contra pseudo-philosophos. Universalia realta vere in rerum naturaese non posse. Co propter canone c, uirea Etiffime dicunt nominales. Cintra sultam illam realium opinionem de universalibus realibus, quorum rationes omnes plusquam in aneslabefaltaneur. um suffi.ientia ,quamvocant. De toris,& corum divisionibus, compositionibus quepere, contra falsissimam dialecticorum de his omnibus doctrinam. De vere philosophico e oratorio genere et de vera eius definitione. Contra falsum genus dialecticum et falsam cius definitionem. De vera specie oratoria et vera ejus definitione, contra falsam speciem dialecticam & falfam illius definitionem. De vera diferentia & vero proprio philosophicis oratoriis do simulde eisdem adversariorum vel falfsis vel inutilibus. De accidente vero quid esmedin constanter definite et simul pauca quadam de falsis universalibus, eorum vanis questionibus in universum. De preceptis dividendi et definiendi oratoriis veris et dialecticis falis. De homonymis et synonymis grammaticorum veris quid vere sint et quis verus eoru mufus, contra ftultaila aquivocado analoga dialecticorum. Ele tantum modo unum et summum et verum á generalisimum genus oralo rium, quod est, genus rerum sex autem s a transcendentia Dialecticorum, decem pre dilamenia Aristotelis et tria Laurentii Vallaele falsa. Quam ob levem causam Aristoteles CATEGORIAS fore predicamenta decemponenda ex iftima verii et quam non re et tetriatantum Vallusta rucrit, fimul quopactonosar borem generica ma Porphyri analonge diversam, faciendam arbitramur. GENUS rerum vere in duasrantum species divide in s ubstantias et qualitates, omnia alia accidentium dialecticorum pradicamenta sub qualitate generalitan quamo verascius specie sper econtineri. Simul de falsa universali. De o sem. De qualitale generali et omnibus e iustam comparata quam absoluta speciebus, praferrimquede qualitate speciali, quantum different a speciebus accidentium dialectic corum ,& fingillarim quærario de causa diversitatis. De nominibusscientia“ arris quid APUD LATINOS communite rad proprie significe ne, u quormo dis virum que corum accipiatur et deniq; quibus differentis attes elit entia mnter sediftinguantur, contra falas scientias et artes pseudo-philosophorum, (falla. De generalı scientiarum do atrium divisionenoftrarera, et pseudo-philosophorum. De errales Peripateticorum in generalı philosophia divisione admflis. Dialectica minter scientias ariesnecut universalem nec ut particularem ul lumomninolo cum habere pose sed tanquam non modo falsams ed etiaminutslem de sua pervacuam ex omni artinm do scientiarum numero ejiciendam. Metaphysicam inter scientias Cartesnecut universalem nec ut parricularem ul lumomninolo, um habere pofe, sed tanquam partim falsam, parliminutlım, partim super vacnam ab omni artium scientiarum numero removendam. De comprehensione universo rufmingularium vere philosophica de oratoria et simul de abstractınoe universalium pseudo-philodophia et BARBARA contrafallam Ardo stotelis doctrinam falsode ceniis, abstrahentiam non efemendacsum. Oratoriam esse facultatem vere generalem, grammaticam sub se primo, deinde reliqua somnesarl es fcrentias vere continentem, iumpartese jusmajores breviter ex ponuntur omnes, ở cidem, quaà Pseudophilo fophis unique fuerunt ablatare stituuntur. De sophisticis Elenchis ab Anstoelein Rhetoricam non recte introductis et delio brofophifticorum elenchorum quid senciendum, Que et quot fintea, quarequiruntur cascientise artibus, ex quibu spendetac fitomnis eorum dividio definition o distinclıo, contra falfam de eisdem rebus Pjendophialosophorum doctrinam. De utilibus & veris argumentis de que utılı vero eorum iam tradendorum, quam usurpandorum modo, conira partım fulumpurtom inutilem ipsorum doctrinam ab Aristotele traduam in libro Topicorum. De definitionibus nominis et verbido orarionis grammaticorum veris. Pseudo-philosophorum falfis, códealis, queab Aristorele falso vel inutiliter in libro Sepiépenveids traduntur. Dentılıbus et veris argumeniationibus, de queutilido verocarumufu, contrainu tolemdo vanā Aristotelis decudem rebus doctrmamtraditam in libris Analyticorum. De falfa demonftratione & falfafcientia & falsa sapientia pseudo-philosophorum simul de inutili falsoque posteriorum analyticorum libro. De vanitate eorum, quaà recentioribus dialedicis appellantur parva logicalia. Libros qushodiefub Arif. Nomine leguntur plerosque non vere eflesri Roselicos, sed subdititioscon adulterinos, contra communem pseudo-philosophorum opinionem. De Platone, Aristotele, Galeno, Porphyrio. Deomnibus Arifterelis interpretibus Grucis, LATINIS e Arabibus: reviter quid fentiendum re&te philosophaturis. De ratione philosophandi o de corrigendis instaurandisq; Philosophia studis, qua nunc maxima exparte perveriae corruptfaunt. Nizzoli. Mario Alberto Nizolio. Nizolio. Keywords: Cicerone, lexicon ciceronianus, Antonino, Leibniz’s ‘anti-barbaro’. – Refs.: Luigi Speranza: Grice e Nizolio: il thesaurus ciceronianus” – The Swimming-Pool Library. 

 

Grice e Noce: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo italino. Grice: “Only in Italy, philosophy and history are so connected; it would be as if we at Oxford after the war would be only concerned with understanding Churchill!” Grice: “For us, to do linguistic philosophy was to get away from post-tramautic stress disorder acquired during what Winthrop stupidly called the ‘phoney’ war!” – Grice: “It’s not difficult to understand why Noce’s notes on Gentile were only published posthumously!” -- essential Italian philosopher. «Certo i cattolici hanno un vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e ignorare come questa modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la trascendenza religiosa, attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta anche da certi scrittori laici.»  (Risposte alla scristianità, da Il Sabato). Ttitolare della cattedra di "Storia delle dottrine politiche" all'Università La Sapienza di Roma.  Studioso del razionalismo cartesiano e del pensiero moderno (Hegel, Marx), analizzò le radici filosofiche e teologiche della crisi della modernità, ricostruendo con cura le contraddizioni interne dell'immanentismo.  Argomentò l'incompatibilità tra marxismo, umanesimo, ed altri sistemi di pensiero che propugnavano la liberazione secolare dell'uomo e la dottrina cristiana (affermò: "solo il Redentore può emancipare"). Sostenne tenacemente, per tali motivi, l'impossibilità del dialogo tra cattolici e comunisti e previde il "suicidio della rivoluzione". Studioso del fascismo, sostenne che tale ideologia fosse peraltro in continuità con il comunismo e fosse anch'esso un momento della secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre, l'esistenza di molti punti di contatto tra il fascismo e il pensiero dei sessantottini.  Filosofo della politica, preconizzò la crisi del socialismo reale, mentre esso viveva la sua massima espansione a livello mondiale. Argomentò che tale sistema, da una parte applicava coerentemente la filosofia di Marx, ma dall'altra negava le premesse del marxismo: ciò in quantomostrava N. lo stesso sistema di Marx si basava sulla contraddizione tra dialettica e materialismo storico. Ribadiva infine la necessità dei valori di verità e di moralità.  Figlio di un ufficiale dell'esercito e di Rosalia Pratis, savonese discendente di una famiglia nobile savoiarda. L'anno dopo la madre si trasferisce con il figlio a Savona e, allo scoppio della guerra mondiale, a Torino, presso una zia materna. A Torino, Augusto svolge tutta la sua carriera di studi: dapprima al noto liceo D'Azeglio, frequentato da alcuni dei futuri protagonisti della vita politica e culturale della città e della nazione (Bobbio, Mila, Pajetta, Pavese, Balbo e altri), poi all'Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, allievo di Faggi, Juvalta e Mazzantini con il quale si laurea con una tesi su Malebranche. Inizia quindi a insegnare presso istituti superiori (Novi Ligure, Assisi, Mondovì), mentre sviluppa la sua attività di studio anche con soggiorni all'estero. Legge con entusiasmo Umanesimo integrale di Jacques Maritain, che rafforza in lui, tra l'altro, una sempre più convinta opposizione al fascismo. Cerca invano di farsi trasferire a Torino e di accedere qui alla carriera universitaria. Si trasferisce a Roma per un distacco propostogli dall'amico Castelli. A Roma frequenta Franco Rodano che, con Felice Balbo e altri, anima l'esperienza di «Sinistra Cristiana», un tentativo di conciliazione di comunismo e Cristianesimo da quale Del Noce resta per breve tempo affascinato. Viene accolta la sua richiesta di trasferimento presso un istituto superiore di Torino, dove torna a risiedere. Accompagna all'insegnamento un'intensa attività di studio e di collaborazione a diversi periodici, tra cui Cronache Sociali che gli dà occasione di incontrare Giuseppe Dossetti.  Scrive e pubblica il saggio La non filosofia di Marx, che ripubblicherà vent'anni dopo nella sua opera maggiore (Il problema dell'ateismo) e nel quale fissa i termini complessivi della sua interpretazione del marxismo. Nello stesso anno cura l'edizione italiana di Concupiscentia irresistibilis di Lev Isaakovič Šestov. Inizia la collaborazione alla Enciclopedia filosofica del Centro Studi Filosofici Cristiani di Gallarate, diretta da Luigi Pareyson. Distaccato a Bologna presso il centro di documentazione diretto da Giuseppe Dossetti. Nel capoluogo emiliano frequenta Matteucci e collabora stabilmente al neonato periodico «Il Mulino». Scrive su Ordine Civile, rivista animata da Bozzo, e altri alcuni saggi, uno dei quali, «Idee per l'interpretazione del fascismo», sarà all'origine delle future revisioni storiografiche di Felice e Nolte. Partecipa al convegno organizzato dalla Democrazia Cristiana a Santa Margherita Ligure con una relazione intitolata L'incidenza della cultura sulla politica nella presente situazione italiana: sugli stessi temi N. intratterrà per anni un rapporto difficile con il partito cattolico (altri interventi nei convegni di San Pellegrino e di Lucca. Partecipa a un concorso a cattedra a Trieste, ma non ottiene il posto. Pubblica Il problema dell'ateismo e l'anno successivo Riforma cattolica e filosofia moderna, Cartesio. Partecipa alla «Giornata rensiana» con una relazione intitolata Giuseppe Rensi fra Leopardi e Pascal. Ovvero l'autocritica dell'ateismo negativo in Rensi, nella quale espone la sua fondamentale fenomenologia del pessimismo come pensiero religioso. Nello stesso anno vince il concorso per una cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea a Trieste, dove divenne Professore. In quell'anno esce L'epoca della secolarizzazione, che raccoglie molti dei saggi e degli interventi degli anni sessanta. Si realizza il tanto atteso trasferimento a Roma, dove, all'Università "La Sapienza", insegna prima Storia delle dottrine politiche e poidal 1974Filosofia della politica.  Si infittisce la sua collaborazione a riviste e periodici, sui quali interviene anche riguardo all'attualità politica e culturale. Diresse la collana «Documenti di cultura moderna», dell'editore torinese Borla (poi passata alla Rusconi) proponendo al pubblico italiano autori come Corte, Burkhardt, Pelayo, Sedlmayr e Voegelin. Partecipa vivacemente al dibattito sul divorzio. Dopo la metà degli anni settanta inizia il rapporto con gli universitari di Comunione e Liberazione partecipando a convegni e incontri promossi dal Movimento Popolare. Pubblica il saggio Il suicidio della rivoluzione, dedicato al compimento e alla dissoluzione del marxismo. Con Il cattolico comunista chiude i conti con l'esperienza di Rodano (che nel frattempo ha lasciato la DC per il PCI) e dei teorici della conciliazione tra Cattolicesimo e marxismo. Inizia anche la collaborazione continuativa con il settimanale «Il Sabato» e contribuisce alla creazione della rivista 30 giorni, di cui rimarrà stabile collaboratore. Nello stesso anno viene candidato come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana per il Senato: primo dei non eletti, entrerà in Senato l'anno successivo a seguito della morte di un collega. Viene insignito del «Premio Internazionale Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica. Riceve il premio Nazionale di Cultura nel Giornalismo: la penna d'oro. Viene premiato dal Meeting di Rimini. Muore a Roma. È tumulato nel Famedio del cimitero di Savigliano. Esce “Gentile”, che raccoglie diversi saggi sul padre dell'attualismo, sul fascismo e sul suo significato nella storia, frutto di decenni di studi e rielaborazioni. L'archivio del filosofo e la sua biblioteca sono custoditi a Savigliano dalla fondazione Centro Studi N., sorta nei primi anni novanta, diretta prima da G. Ramacciotti, poi da Francesco Mercadante, da Giuseppe Riconda, e E. Randone. In “Il problema dell'ateismo” N. inizia l'analisi della storia della filosofia moderna invertendo il paradigma storicistico e positivistico che nel progressismo aveva la sua cifra comune. Il filosofo afferma infatti che tale paradigma di illuministica origine ha come prima condizione d'esistenza la postulazione dell'ateismo come necessità del progredire dei sistemi filosofici e delle scienze a prescindere dalla teologia cristiana, cioè a prescindere dalla Scolastica, anzi in più o meno esplicita opposizione alla Scolastica.  La tesi che Del Noce intende dimostrare in questa sua opera è -come evidenzia appunto il titolo- la considerazione dell'ateismo non più come «necessità» bensì come «problema» della modernità, il cui ultimo, coerente e necessario sbocco è appunto il nichilismo post-nietzscheano distaccato ormai da qualsiasi riflessione filosofica e sfociato in una pura forma di vita, in puro way of life di distruzione e auto-distruzione dell'uomo. Del Noce pone quindi innanzitutto una distinzione fra tre diverse forme di ateismo, ovvero fra l'ateismo positivo o politico diurno, i cui esempi perfetti sono stati l'illuminismo di un Diderot o l'umanesimo di un Feuerbach, l'ateismo negativo o nichilistico («notturno»), esemplificato invece dalla filosofia di Schopenhauer, e infine l'ateismo tragico, detto anche «follia filosofica», cioè la forma più rara e particolare di ateismo che N. trova solo in due casi in tutta la storia della filosofia, ovvero in Nietzsche e in Jules Lequier.  Posta questa propedeutica distinzione, Del Noce inizia l'anamnesi del pensiero filosofico moderno per rintracciare la genesi di ogni forma di ateismo, impossibile da pensarsi per la filosofia antica come dimostra il fatto che anche la filosofia epicurea -considerata comunemente come ateistica- ammetteva in realtà l'esistenza degli dèi. Per N. appare evidente che la crisi della Scolastica medievale non ha costituito un processo necessario per il semplice fatto che proprio colui che aveva intenzione di riformarla -cioè Cartesio- fu invece colui che in realtà la tradì e se ne allontanò: è nelle celeberrime Meditazioni metafisiche che il filosofo francese -allievo dei Gesuiti- tentò di riproporre una nuova prova dell'esistenza di Dio da opporre al naturalismo libertinista del Seicento, che predicava relativismo etico e che sostituiva il dio-logos con la Natura impersonale e senza ordine.  In realtà però Cartesio, nel suo sforzo apologetico, compì il definitivo tradimento della filosofia cristiana riattingendo ad un agostinismo privato di platonismo e considerando così le idee dei semplici «contenuti della mente». In altre parole se l'idea di Dio, quantunque logicamente necessaria, non è il riflesso intellettivo di una realtà ontologica esterna al soggetto ma è una semplice struttura logica, allora vale realmente la critica kantiana della prova ontologica di Sant'Anselmo secondo la quale non è lecito aggiungere il predicato dell'esistenza alla perfezione dell'idea se non per un paralogismo. N. in sintesi ha mostrato come il tradimento e la perdita della Scolastica, attuata innanzitutto da Cartesio, ha come punto centrale l'idea di Idea, che è passata ad essere da struttura del reale a struttura del razionale, passando quindi dal dominio dell'ontologia a quello della psicologia. Per questo non vi è alcuna spiegazione se non il rifiuto pregiudiziale di riconoscere uno statuto ontologico all'idea, cosicché non vi sarebbe appunto alcuna necessità di trapasso della Scolastica né tantomeno alcuna necessità di genesi del razionalismo; in tal senso la famosa critica di Kant varrebbe quindi solo contro Cartesio e non contro Sant'Anselmo, il cui platonismo gli permetteva ancora di inferire necessariamente la «perfezione» dell'esistenza dall'idea dell'Essere con ogni perfezione, cioè dall'idea di Dio. Prosegue la sua analisi mostrando quindi come in Cartesio, che pur nelle sue intenzioni voleva essere un defensor Fidei, già sussisteva in nuce ogni forma di illuminismo che avrebbe poi dominato nel Settecento, per questo egli parla di un pre-illuminismo cartesiano e aggiunge inoltre che proprio Cartesio, fiero avversario del libertinismo dilagante nel suo tempo, fu colui che tradusse l'ateismo libertinistico e irrazionalistico nella sua forma razionalizzata, cioè nell'illuminismo, che sarebbe stato appunto un libertinismo razionalistico. Si noti che Del Noce non pone giudizi sulla persona di Cartesio, e anzi sottolinea come al suo tempo egli si poteva davvero credere il grande condottiero vincitore della battaglia culturale del Cristianesimo contro il libertinismo, ma ciò perché non era riuscito a prevedere una forma di ateismo non-irrazionalistico e non-relativistico quale fu appunto l'illuminismo settecentesco, che non si limitò più ad opporsi alla Scolastica ma che formò una propria dogmatica visione della storia in cui il Cristianesimo, rappresentato dalle leggende nere del Medioevo, era stato solo un ostacolo per lo «sviluppo» e l'«emancipazione» dell'umanità (si tenga presenta la definizione kantiana di illuminismo).  Da Cartesio in poi sono comunque due i percorsi filosofici che partono e che sviluppano i due aspetti compresenti in Cartesio, ovvero l'illuminismo e lo spiritualismo: da una parte infatti Condillac, Kant, Condorcet, fino a Hegel e Marx riceveranno il lascito propriamente razionalistico e sensu lato materialistico di Cartesio, dall'altra invece Pascal, Malebranche, Vico e infine Rosmini saranno gli eredi del suo patrimonio spiritualistico, inteso questo come filosofia di accordo fra ragione naturale e fede cristiana, posta la distanza epistemologica dalla Scolastica; famosa ed illuminante è a questo proposito la teoria della «visione in Dio» di Malebranche, nonché la distinzione pascaliana fra il divino dei filosofi e Dio padre (IVPITER) dei romani. Andando comunque alla radice del problema del tradimento della metafisica cristiana (Tomismo) da parte di Cartesio e del conseguente illuminismo, N. individua come unica possibile condizione per tale tradimento il rifiuto del peccato originale come male metafisico e quindi il rifiuto dello «status naturae lapsae» di cui proprio il Cristo sarebbe il redentore: senza alcuna natura umana da redimere, cioè senzanecessità di alcun redentore, il razionalismo ha sostituito il peccato con l'ignoranza e Dio con la ragion critica, rifacendosi così ad un pelagianesimo laicizzato che da solo rende possibile una qualsiasi forma di ateismo. Egli nota, infine, che avendo rifiutato la radice metafisica del male se ne è dovuta cercare quella fisica o psicofisica, secondo gli schemi ideologici che nel Novecento avrebbero reso la psicanalisi e la psicologia gli elementi complementari allo scientismo per una completa e non riduttiva visione del mondo senza Dio, e per una definitiva «ateologizzazione» della ragione.  Compimento e dissoluzione del marxismo Riguardo al marxismo e alla sua interpretazione Del Noce scrisse due opere, ovvero Il cattolico comunista e Il suicidio della rivoluzione, che costituiscono la continuazione de Il problema dell'ateismo in quanto in esse il filosofo analizza più dettagliatamente solo una delle linee filosofiche originate da Cartesio, quella razionalistica, cioè quella che nella storia moderna fu vincente nella sua estensione politica, nel tentativo di trovare e di dimostrare la continuità necessaria fra razionalismo, materialismo, marxismo e infine nichilismo, quest'ultimo inteso come cifra problematica della civiltà postmoderna.  La giustificazione epistemologica di questa analisi è data dal fatto incontestabile che la storia del Novecento inizia da un fatto filosofico, ovvero dal passaggio della filosofia marxiana in azione politica, ovvero dalla coerentizzazione di quella che Del Noce definisce la «non-filosofia di Marx»: da ciò appare non solo giustificato ma anche necessario portarsi sul piano storico della filosofia per comprenderne il suo portato teoretico, e così disinnescarne il suo sostrato ideologico. Si affianca a diversi filosofi, quali ad esempio Voegelin, per rintracciare l'inizio della cosiddetta secolarizzazione, il cui compimento sarebbe stato appunto il marxismo e poi il nichilismo, nel sequestro della nozione di «progresso» da parte di filosofie laiche dalla teologia di Gioacchino da Fiore, o meglio dall'interpretazione di tale teologia: ben nota è infatti la distinzione gioachimita nelle tre età della storia, l'Età di Dio-Padre (Ebraismo), l'Età di Dio-Figlio (Cristianesimo) e infine l'Età di Dio-Spirito che avrebbe dovuto superare i «limiti» del Cristianesimo ed estendere l'elezione e la salvezza in modo universale.  Di tale teologia mistica e profetica si appropriò lo gnosticismo sviluppatosi in seno al Cristianesimo stesso ed estesosi pian piano oltre i confini delle filosofie razionalistiche del Settecento e soprattutto dell'Ottocento. N. nota infatti una sorta di dialettica nata all'interno dell'illuminismo settecentesco non tanto fra atei e deisti bensì fra rivoluzionari e conservatori, ovvero fra il puro giacobinismo ghigliottinatore dell'«ancien Régime» e il progressismo che caratterizzò invece la fase dell'illuminismo dopo la degenerazione della rivoluzione francese in Terrore, ovvero la fase dei cosiddetti ideologues, fra i quali Cabanis e Condorcet. Il punto attorno a cui si sviluppava tale dialettica fu appunto la differente filosofia della storia che aveva caratterizzato l'illuminismo pre-rivoluzionario e l'illuminismo post-rivoluzionario, in quanto il primo aveva escluso una qualsiasi evoluzione storica e necessaria dell'umanità e aveva anzi condannato il Medioevo con la storiografia della leggenda nera, mentre il secondo aveva invece rivalutato l'intera storia pre-illuministica (sia pagana che cristiana) considerandola come momento dialettico necessario pur se negativo della storia universale.  In questo senso N. ha potuto mettere in parallelo l'opposizione fra illuminismo giacobino e spiritualismo in Francia e quella fra kantismo e hegelismo in Germania, ove spiritualismo e hegelismo sono state filosofie vincenti in quanto hanno assorbito in sé il momento rivoluzionario e negativo dell'illuminismo per poi superarlo nella formazione di quella filosofia della storia che ebbe certo in Hegel il suo culmine. Riguardo al binomio illuminismo-spiritualismo la critica vincente del secondo sul primo è stata quella di un estremo e insostenibile riduzionismo rappresentato dal sensismo di Condillac, in altre parole è stata la critica di ridurre la comprensione del mondo al pari di ciò che lo stesso illuminismo aveva accusato la religione di aver fatto. In questo contesto è la nascita della visione sociologica del mondo a rappresentare il tentativo di superare questa aporia illuministica senza tuttavia dover ritornare alla metafisica tradizionale: N. insomma sostiene il trapasso dell'illuminismo in socialismo, non a caso nato in Francia, intesa questa come dottrina che dell'illuminismo mantiene il carattere utopistico (socialismo utopistico) e quindi anti-tradizionalistico, ma ne sconfessa invece il deprecabile riduzionismo che ancora non permetteva un'adeguata analisi della società ai fini della rivoluzione politica.  In Germania invece la dialettica fra kantismo e hegelismo, con netta vittoria dell'hegelismo, ha come punto di svolta la riconsiderazione hegeliana della storia come storia dell'Assoluto -- storia di Dio --, secondo il ben noto schema gioachimita che vedeva in ogni momento storico un grado dimanifestazione dell'Assoluto, e quindi «necessario» pur nella sua negatività. In questo senso Hegel è colui che diede forma alla corrente tradizionalistica dell'illuminismo, ove la tradizione non è più peròcome per Tommaso d'Aquinol'insieme delle verità eterne e immutabili che solcano trasversalmente la dimensione temporale mediante il passaggio delle generazioni, ma è bensì la struttura dialettica eterna che necessita l'evoluzione delle verità, e quindi la sua temporalizzazione.  Per questo N. afferma che l'idealismo hegeliano ebbe nei confronti del kantismo la medesima funzione che in Francia ebbe il positivismo comtiano nei confronti del socialismo utopistico: egli ricorda la critica di Comte nei confronti dell'illuminismo settecentesco, la sua rivalutazione della tradizione (in senso dialettico), nonché la celeberrima teoria degli stadi che costituisceancora una voltauna forma secolarizzata della teologia gioachimita. È dopo questa dettagliata analisi che Del Noce innesta il discorso sul marxismo, il quale appunto si configuròper stessa ammissione di Marxcome ripresa critica di Hegel attraverso la filtrazione di Feuerbach e della sinistra hegeliana (celebri sono le marxiane Tesi su Feuerbach) e come fusione fra la dialettica hegeliana e la politica del socialismo utopistico: alla base del cosiddetto socialismo scientifico rimane ancora il desiderio di palingenesi politica propria di Saint-Simon o di Fourier, ma onde evitare il risibile utopismo di questi ultimi ad esso Marx applicò la dialettica hegeliana con cui solamente si sarebbe potuto analizzare il capitalismo e prevederne così il necessario fallimento.  A tal punto però l'analisi marxiana di come potrà nascere la società comunista introduce l'elemento di distacco non solo dall'idealismo hegeliano ma anche dalla filosofia stessa, ovvero la necessità di tradurre il pensiero analitico in azione politica e di affidare alla storia invece che alla ragione il compito di dimostrare la verità delle tesi marxiane. In questo Del Noce si riallaccia a una lunga storiografia socialista, uno dei cui esponenti più noti è per esempio Lukács, che afferma la stretta e necessaria continuità fra filosofia di Marx e di Engels, politica di Lenin e politica di Stalin, senza concedere alcuna differenza né alcuna opposizione fra socialismo reale e socialismo ideale (quasi a guisa di giustificazione storica). Il fattore fondamentale di continuità fra Marx e Lenin è infatti quella struttura tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il bene alla conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli ignoranti e la ristretta cerchia degl’lluminati, che nella riflessione leniniana erano gli intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza dal resto della borghesia avrebbero potuto e dovuto guidare la rivoluzione; in questo senso la politica leniniana, poi proseguita coerentemente nella politica staliniana, sarebbe stata l'incarnazione perfetta nonché l'unica incarnazione possibile della filosofia marxiana, e non invece -come è tesi di una certa apologetica socialista- un tradimento di Marx.  Ancora una volta si rifà a una lunga storiografia critica nel considerare il marxismo non come una filosofia ma come una religione, ma a ciò egli aggiunge la dimostrazione non del suo carattere di religione civile bensì di religione gnostica: in tal modo il marxismo leninista sarebbe davvero il compimento del razionalismo ove quest'ultimo è inteso come gnosticismo laico, religione non di Dio ma dell'Idea/ideale che non ha bisogno dell'Incarnazione di un Dio-Uomo in quanto l'uomo stesso avrebbe potuto e dovuto far incarnare tale Idea nel mondo attraverso la sua azione. Questo è il senso dell'appellativo delnociano di «non-filosofia» per il marxismo, giacché la contemplazione metafisica in esso viene interamente assorbita dall'azione politica, in quanto per Marx la politica è la vera metafisica al pari di come per Nietzsche lo è la morale.  Eppure è proprio questo punto a costituire secondo N. la contraddizione fondamentale interna al marxismo e quindi la causa prima del suo fallimento storico: se infatti la «riconciliazione con la realtà» iniziata da Hegel, proseguita da Feurbach a portata a compimento da Marx deve rivoltare l'intera comprensione del mondo in trasformazione del mondo, cioè in rivoluzione, allora in ciò non rimane giustificato il riferimento ideologico all'avvenire come sede immaginifica della società comunista, ovvero non rimane giustificato il carattere ancora religioso del marxismo per cui esso ha sostituito il futuro all'eternità e il lavoro dell'uomo alla redenzione del dio-uomo. Il fallimento storico del comunismo, quindi, sarebbe stato non solo la dimostrazione sperimentale della falsità delle teorie marxiane ma anche il coerente compimento del marxismo come auto-distruggersi nella sua forma di religione. Con ciò si spiegherebbe per N. l'attivismo comunista nonché la graduale decadenza del socialismo nel mondo fino alla sua profetizzata fine, simboleggiata dalla caduta del Muro di Berlino. È propria di lui infatti la teoria secondo cui il compimento e la dissoluzione del marxismo non siano due momenti separati o addirittura opposti, ma siano bensì il medesimo momento dispiegato coerentemente nel tempo.  L'interpretazione del fascismo Sul fascismo e sulla sua interpretazione in stretta relazione al marxismo dedicato gran parte dei suoi studi e delle sue opere, partendo appunto dalle opinioni comuni e molte volte ideologiche degli storici nei confronti del fascismo e delineando una struttura paradigmatica tanto controversa quanto precisa e fondata. È a partire dalla definizione data dallo storico tedesco Nolte di ogni movimento fascista come «resistenza contro la trascendenza», intesa come trascendenza storica e non metafisica, che N. sottolinea la continuità fra questo serio giudizio e la communis opinio del fascismo come movimento reazionario, per questo tradizionalista e nazionalista, e per converso di ogni forma di tradizionalismo e di nazionalismo come rimando implicito e forse inconscio al fascismo.  Di questo fa una critica serrata, facendo notare innanzitutto le origini culturali dei due fondatori del fascismo, cioè Gentile e Mussolini, come antitetiche rispetto a ogni forma di politica reazionaria, tradizionalista e nazionalista e come invece affini rispetto al socialismo, del quale Mussolini in particolare fu un esponente. Si noti che l'obiettivo che N. intende colpire e abbattere è quella generale concezione del fascismo come momento singolare e controcorrente rispetto all'intera storia moderna, dalla rivoluzione francese in poi, mentre ciò che intende mostrare è la continuità quasi necessaria che è posta fra l'hegelismo, il marxismo e il fascismo come tre momenti dell'unico processo di secolarizzazione. Il filosofo inizia quindi dall'analisi della figura storica di Mussolini e della sua formazione culturale, notando il suo giovanile anticlericalismo, il suo spontaneo confluire nel socialismo, e il seguente superamento di quest'ultimo per l'evoluzione fascista del suo pensiero. È in particolare sul concetto di «rivoluzione» che pone l'accento, essendo questo un concetto base del marxismo che però, attraverso l'incontro mussoliniano con la tedesca «filosofia dello Spirito» risorgente in Italia, dovette radicalmente trasformarsi e portarsi dal livello sociale della «classe» a quello personale del «soggetto».  È insomma l'incontro intellettuale di Mussolini con la filosofia di Gentile ad aver reso necessaria la trasformazione della rivoluzione in un senso non più finalistico o escatologico (come era nel marxismo puro, il cui fine è appunto la società comunista) ma in un senso propriamente attivistico e lato sensu solipsistico, in termini gentiliani cioè attualistico. Con ciò N. può connettere la psicologia di Mussolini con il vero e proprio formalismo pratico del fascismo, il quale non aveva in realtà alcun contenuto definito, ma proclamava bensì una forma di azione tanto vaga e generale da poter attrarre a sé ogni sorta di ceto sociale (anche il proletariato) e di frangia ideologica, in alcuni momenti persino quella marxistica.  Il concetto di «rivoluzione» infatti contiene in sé già un termine finale ben preciso verso cui lo stato attuale del mondo andrebbe rivoluzionato, mentre nella politica fascista il termine rivoluzione deve necessariamente essere sostituito dal termine «riforma» (si pensi appunto alla riforma Gentile) in senso non più tradizionale, cioè come ri-formare ciò che è stato de-formato, bensì in senso creazionale, cioè come dare una nuova forma (indefinita) alle antiche cose, perciò rimane un concetto molto affine a quello di marxistico di rivoluzione, e permette l'affiancamento ideale dell'attualismo gentiliano al modernismo teologico fiorente a quel tempo e condannato come eresia dalla Chiesa. Saggi: “Teologia della storia” (Torino, Filosofia); “La solitudine di Faggi” (Torino, Filosofia); “L'incidenza della cultura sulla politica italiana, Cultura e libertà” (Roma, 5 lune); “A-teismo” (Bologna, Mulino); “Riforma e filosofia” (Bologna, Mulino, Brescia); “In contra del domma cattolico-romano” (Torino, Erasmo); “Contra il domma cattolico-romano” (Milano, UIPC); “L'amore di Dio” (Torino, Borla); “Il secolare” (Milano, Giuffrè); “Il partito comunista italiano” (Roma, Europea); “Il suicidio di un rivoluzionario” (Milano, Rusconi); “I comunisti” (Milano, Rusconi); “L'interpretazione trans-politica della storia contemporanea,” Napoli, Guida, “Secolarizzazione e crisi della modernità” (Napoli, Benincasa); “Gentile: per una interpretazione FILOSOFICA del fascismo” (Bologna, Mulino); “Da Cartesio a Serbati” -- Scritti vari di filosofia,” Milano, Giuffrè); “Esistenza e libertà.” Spir, Chestov, Lequier, Renouvier, Benda, Weil, Vidari, italiano Faggi, Martinetti, italiano Rensi, italiano Juvalta, italiao Mazzantini, italiano Castelli, italiano Capograssi” (Milano, Giuffrè); “Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione”; Scritti su l'Europa e altri, Milano, Giuffrè); “I cattolici e il progressismo,”  Milano, Leonardo, “Fascismo e anti-fascismo: errori della cultura” (Milano, Leonardo); “Il laico”; Scritti su Il sabato (e vari, anche inediti), Milano, Giuffrè); Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Roma, Studium); “Verità e ragione nella storia. Antologia di scritti, “ I. Mina, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli); “Modernità. Interpretazione transpolitica della storia contemporanea” (Morcelliana, Brescia.). N. insegna nel capoluogo piemontese. Bozzo. N., il filosofo della libertà politica). N., «Idee per l'interpretazione del fascismo», Ordine Civile. E tra i componenti del comitato promotore del referendum abrogativo antidivorzista) e più tardi sull'aborto.  premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii. wordpress. Armellini, Razionalità e storia, in Il pensiero politico, Roma, Aracne editrice, Borghesi, N.. La legittimazione critica del moderno. Marietti, Genova-Milano.[collegamento interrotto] Luca Del Pozzo, Filosofia cristiana e politica, Pagine, I libri del Borghese, Roma, Fumagalli, Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi di Samek Lodovici ed N., PUSC, (scaricabile in PDF dal sito sergiofumagalli) Gian Franco Lami, La tradizione, Angeli, Milano, Marietti, Genova-Milano. Enciclopedia ItalianaV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ratto, Ipotesi sul fondamento dell'essenza dissolutiva del marxismo e del fascismo, in Boscoceduo. La rivoluzione comincia dal principio, Sanremo, EBK Edizioni Leudoteca, Riili, N. interprete del Marxismo. L'ateismo, la gnosi, il dialogo con Volpe e Goldmann, in Centotalleri, Saonara, il prato, Tibursi, Il pensiero di N. come Teoria sociale, in Andrea Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana, Societas, Roma, Nuova Cultura, Xavier Tilliette, Omaggi. Filosofi italiani del nostro tempo, traduzione di Sansonetti, Brescia, Morcelliana, Natascia Villani, Marxismo ateismo secolarizzazione. Dialogo aperto con N., in Pensiero giurdico. Saggi, Napoli, Editoriale Scientifica,  Augusto Del Noce, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Repertori Bibliografici, su centenariodelnoce). La metafisica civile: ontologismo e liberalismo dalla rivista telematica di filosofia Dialeghesthai. P. Ratto, Laicità e Democrazia: da N. a Giotto, su Bosco Ceduo,  Democrazia e modernità in N., articolo dal mensile 30Giorni. L'inseparabilità dei Tre. La modernità, di Andrea Fiamma Centro Culturale,//centrodelnoce. Fondazione //fondazione augustodelnoce.net. centenariodelnoce. Articoli di N. «Il dialogo tra la Chiesa e la cultura moderna» da Studi Cattolici. «L'errore di Mounier» da Il Tempo. «Risposte alla scristianità» da Il Sabato. «La sconfitta del modernismo» da Il Tempo. «La morale comune dell'Ottocento e la morale di oggi», tratto da Il problema della morale oggi. «Rivoluzione gramsciana», tratto da Il suicidio della rivoluzione. «Origini dell'indifferenza morale» da Il Tempo. «Le origini dell'indifferenza religiosa» da Il Tempo. «Religione civile e secolarizzazione» da Il Tempo. «Un dramma europeo: il dissenso cattolico» da Corriere della Sera. «Questi poveri cattolici minacciati dal suicidio» da Il Sabato «In stato di porno-assedio»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «La più grande vergogna del nostro secolo» da Il Sabato. «Fu vera gloria? La resistenza 40 anni dopo»[collegamento interrotto], tratto da Litterae Communionis. «Una colomba, non un santo (caso Bukarin)» da Il Sabato. «Intensità d'una gran illusione (Dossetti e dossettismo)»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «L'antifascismo di comodo» da Corriere della Sera. «Togliatti? Un perfetto gramsciano. Polemica su Gramsci»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «Il nazi contagio» da Il Sabato. «La morale catto-comunista» da Il Sabato. «Abbasso Mazzini» da Il Sabato. «I lumi sull'Italia»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «Recensione del romanzo di Benson "Il Padrone del mondo"» dal mensile 30Giorni. «Filo rosso da Mosca a Berlino (Hitler-Stalin)» da Il Sabato. «Le connessioni tra filosofia e politica»[collegamento interrotto] da Il Tempo. «Pci, l'impossibile conversione» tratto da Prospettive nel mondo. Grice: “Unfortunately, Noce is a philosopher, like me. We cannot lay word on history. Had Hitler won, I wouldn’t have joined Austin’s Play Group. Being Italian, Noce thinks different. He thinks history is guided by philosophical principes. It wasn’t Mussolini’s charisma that led the populace, but Gentile’s attualismo puro. He makes a good point about the distinction between Hitler and Mussolini. Hitler is a Protestant, Mussolini ain’t! Most in Mussolini’s circle were just as heathen as those in Hitler’s circle – different heathenism, though. No Odin, but Giove. Not Siegrfied, but Enea! Noce does not know the first thing about this. He never socialized with any of the people he is philosophizing about. In any case, there’s Garibaldi, which is a stain to Italian history. Italians, and a Ligurian friend of mine can testify to this, never wanted the UNITY. It was forced ON them. So it’s only natural that Gentile and Noce regard the UNITY brought by Risorgimento (alla Fichte Hegel, and the idea of the NATION) that was furthered by Mussolini. Mussolini did use Garibaldi imagery – saying that his movement was ‘garibalismo puro’ – but although he (Mussolini) did write a little thing about Nietzsche, you won’t find his name in ‘dizionari di flosofia’!” Augusto Del Noce. Noce. Keywords: saggio su Gentile e il fascismo, Faggi, Serbati, Spir, Vidari, Rensi, Martinetti, Juvalta, Massantini, Catelli, Capograssi. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Noce," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Noferi: l’implicatura conversazionale della setta di Firenze – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Important Italian philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e. Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” alla Strozzi   Palla e Lorenzo Strozzi. Dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia, il padre puo far istruire il figlio da filosofi, e grazie all'interesse e all'intelligenza, divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini. Ricco e colto, commissiona numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella N. nella Basilica di Santa Trinita, opera di Brunelleschi e Ghiberti. La cappella, progetto irrealizzato da N., venne fatta erigere in la sua memoria e ne ospita la sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissiona l'Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a L. Monaco, terminata poi da Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori. Collezionista di libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trova nvischiato nell'opposizione strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo e l'uomo che per la prima volta si e di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della repubblica di Firenze. Davanti a lui solo due strade sono possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale. Forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, e a capo della fazione anti-medicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Albizi. La fortuna arriva alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di de’ Medici, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio da Firenze. Il suo obiettivo comunque non e tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della “liberta”. In questo e diverso d’Albizi.  Intanto de’ Medici manda già segni di prepararsi a un ri-entro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l’esilio del filosofo e d’Albizi. In questo de’ Medici e favorito anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si sono saputi conquistare. Quindi parte per Padova. Il suo palazzo a Padova e un ritrovo di filosofi, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più importante della stessa Firenze. Si pensi ai capolavori lasciati proprio da due fiorentini come Giotto o Donatello.  Lascia la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Muore a Padova nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Sepolto nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Cavaliere dello Speron d'oro nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dello speron d'oro  Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton, Palmarocchi, La famiglia Strozzi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “His main claim to philosophical fame is in his character- unlike Alibizi’s and indeed Medici. He loved freedom, and chose to settle in Padova, although his roots were well in Firenze. He built hiw palace in Padova in Prato del Vallo to gather philosophers, since what’s the good of knowing the classics if you cannot converse? He never touched a university! His ‘bibliotheca’ is legendary! Strozzi-Noferi. Noferi. Keywords: “Beautiful painting (by Gentile da Fabriano) of Noferi. Very Italian in an exotic sort of way!” – Grice. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi-Noferi -- Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Nola: l’implicatura conversazionale dell’urina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Gice: “At Oxford, we are proud of our philosophy, at Bologna, and in Italy in general, they are proud of their physicians, as they call them – students of nature!”. Di origini napoletane e zio di Molisi, insegna per lungo tempo a Napoli. Discepolo di Altomare, divenne noto per suo saggio, “Quod sedimentum sanorum, aegrorumque corporum non sit eiusdem speciei adversus Ferdinandum Cassanum et alios contrarium sentientes.” Cf. Marruncelli, Elementi dell'arte di ragionare in medicina” (Napoli, Gabinetto); S.  Renzi, “Storia della medicina” (Napoli, Filiatre-Sebezio); Adalberto Pazzini, La Calabria nella storia della medicina, Roma); Lavoro critico (Bari, Dedalo). La Famiglia dei Nola. Molise, Archivio storico di Crotone.  1, quem ad modum Ciuitates tunc optime gubernātur, (vt inquit Platoin lib. de Philo. cùm iniustidant pænas: perin so& impudenter, impugnant, accontra dicunt, optimèquoquereor, & scientiæ, et artesse haberent. Nam veras CLARISS. ALTIMARI discipulo, Auctore. Med. Doctore scientias ac artes perfetè, et breui cuns et isaffequiliceret: at queitaetia muerè scientes, acoptimos artifices fieri. Nuncueròcumlex falso contradicentibus statuta nullafit, no immeritòe inoptimosuiros, arbitror, impurissimum quen queac in eruditum iuuenem inuehiandere et admodum paucos vere scientes, artifices quereperiri, cum& passim scribere omnibus liceat, & unicuique sententiam ferre apud vulgus. Adde, quòdnefcio quo fato datum etiam fit quibusdam, easdem docere artes, ac publicè profiter i , qui uel omnino inertes fint, aut parumeas intelligant: cùm ueròne sciant, scire autem seputant, mirum non est fidgeipfierrent, & alios aberrarecogant. Quandoquidem oporteret (utinquitidem Plato in Alcib.) eos qui aliquid doftursiunt, priufquam doceant, intelligere, fix OVOD SANORVM AEGRORVMQVE SEDIMENTVM IOANNE Andrea Nola Crotoniata Artium et bique   fuoq; martese dimenti ueritate mueftigauitad Hippo. es Gal. sententiam quemadmodumo non nulla alia nonminu sad artem medicam utilia quàm necessaria, ut in reliqus fuis scriptis palàmestuidere:) Sedcum hacfole clariorafint, pateant quecun&tis artis medicæ candidatis, quirenera medicisunt, nedum in uniuersa Italia, uerum etiam into tafere Europa in colentibus; mea approbationenon indigent. Attem puseft ut adiftorum ignorantiam castigandam, ac in numeros errores patefaciendos, accedamus. Nos uero eo, quo scriptifunt, ordine, eos animaduertemus, etiam fiad sedimentorum naturam manifestandam non conferant; ut discant studiosiquam maxime', nedum Artis medis ca, sed philosophia, et dialeticæ fe imperitosese oftendant; quanto veliuore impulsitali ascribere conatifuerint. Cum vero futurun fitut hominem reprehendamin doctum, ftolidum, opinione sua sapientem, nugis interin erudite siuuenes uersatum in uniuersauita, queso, candidiß. lector, liceat mihi uerbis huius ignorantiam castigare asperio nibus, quibus ego ut ialioquinon foleo. Cum primimin prima pagellahicuirdă nassettum Plusquam commentatoris, tum etiam Neotericorum opinionem de sedimento quiz whipseait, quamuis. Iaftenturf copumattigile, longèalijs falluntur Sedimentum SANORUM ægrorumý; corp. biqueconsentire, e nondissidere: hæcetenim bonos decet præcepto ses utipfeait. quod sita fieretnequehic incognitus nescio quis Cassanus, tam fuisse taudaxs atque impudens, ut feuerisoppo neret, nifiexilis esset, quiomnem funditus pudorem exuerunt, neque afuis præceptoribus male eruditusac impulsus, eorumtamen opinio ne sapientibus totausus fuissetscriberenugas. Quas omnes passimin minibus artis medicecandidatis, seclusoliuore, manifestare conabor, quod huiu suiri ignorantia, simul quete meritas castigetur. difcantque reliquiin posterum quàmmalum sitoptimis, aceruditiß. uirisindies utilia, Artisg; medicæ apprimè necessaria, et verissima scribentibus; O ut summatim dicam, universam pene medicinam illustrantibus, falso contradicere. Non autem, uteaquæa doctissimoac Clariss. Alti maro præceptore meo de sedimenti in urinis scripta sunttuear, sunt et enim ad eòscitèacdo Et é conscripta, ég hæc, et reliquaomniaque hactenus in luce medidit, acualidiß. auctoritatibus et rationibus comprobata, ut nedumiftorum uirorumnugas non curent, sed quorumuis etiam aliorum do tiffimorum, fi quæ essent contradictiones paruifaciant, ipsea; primus omnium quosuiderim, propria inuentione cumque 1 cumque neutri, fuo optimo iudicio, ueritate mattigerint, et fimulli. Uore percitus eosdem recentiores scriptores calumniasset, quorumnca quidem calciamentasoluere dignus esset, eisque falso tribueret cunéta quaibitemerenarrat cõfestim, utipfeait. In fecüda ueritatë protulit quam desedimentosentit, quæquantiss catea terroribus, quantumus averitatealienafit, et Gal. sententia demonstrabimus, ubialios prius ciuserroresin eadem secunda pag. conscriptos, manifeftauerimus: Aitetenim {senolle tempus conterere circa urine generationis modă. Giovanni Andrea de Nola. Nola. Keywords: Crotone, Plato, Nola-Molise, corpus sanum, focal unification, Owen, Pantzig, brennpunktbedeutung, Grice, Aristotle, Metafisica, ‘unificazione focale’ – universale: ‘sanitas’ instantiazione: corpus sanum, corpi sani. Refs.: “Grice e Nola” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Noto: l’implicatura conversazionale di IVPITER – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pollina). Filosofo italiano. Grice: “Italian philosophers, must be for St. Peter, who DIED there – are obsessed with God – Noto wrote his thesis on that, evidence and lack thereof for God – the part concerining the refutation for those who deny evidence is fascinating! And typically of an Italian philosopher, he narrows down his research to ‘secolo XIII,’ where we at England and Oxford hardly existed!”Fa gli studi ginnasiali al Convento di Giaccherino e al Convento del Bosco ai Frati. Vestì il saio francescano a Fucecchio e professò. Studia filosofia a Lucca, Bosco ai Frati, il Convento di San Vivaldo, Fiesole, Siena e il Convento di Sargiano. Emise i voti a Fiesole e fu ordinato sacerdote a Siena. Andò a Parigi e frequentò l’Istituto Cattolico, la Sorbona e il Collège de France. Conseguì il Dottorato in filosofia e il Diploma di studi superiori alla Sorbona. Essendo andato a Londra per alcuni mesi ebbe il Diploma di lingua inglese che in seguito perfezionò tornando ogni anno a Londra nel periodo estivo. Pubblicò la tesi di laurea “L’evidenza di Dio nella filosofia" (Ed. MILANI, Padova). Si imbarca per l’Egitto e si stabilì a Ghiza dove insegnò. Lì ricoprì gli incarichi di Guardiano e Maestro dei Chierici. Torna in Italia e fu per un anno direttore di un grande hotel di Montecatini Terme. Si trasfere a Figline Valdarno per l’insegnamento all’Istituto “Marsilio Ficino”. Si iscrisse alla Università Cattolica dove conseguì il Dottorato in filosofia valido in Italia. Aveva iniziato l’insegnamento della lingua inglese alla scuola per infermieri dell’ospedale di Figline e un corso serale per adulti. Crea un laboratorio linguistico per facilitare e perfezionare l’apprendimento delle lingue. Deceduto nell’Ospedale di Figline Valdarno per edemapolmonare acuto da miocardite in diabetico. Affetto da grave forma di diabete, si era sentito male nella notte dell’11 novembre, ma dopo aver prolungato il riposo mattutino aveva tenuto lezione fino a mezzogiorno. Prese allora poco cibo e tornò a riposarsi. Alle 18 andò alla preghiera comune e alle 18.30 tenne il corso di lingua inglese per adulti. Alle 20 mentre era a tavola fu chiamato il medico cardiologo che ordinò il ricovero urgente in ospedale. Qui la sua vita è stata stroncata da un complesso attacco cardiaco polmonare.  Ai funerali, presieduti dal Padre Provinciale nella Chiesa di San Francesco in Figline erano presenti tanti religiosi e sacerdoti, i parenti, molte suore oltre che un grande pubblico di studenti e popolo che riempiva la chiesa. È stato sepolto nel cimitero di Montemurlo. Convento di Giaccherino Convento del Bosco ai Frati Convento di San Vivaldo Convento di Sargiano Montemurlo  L'evidenza di Dio nella filosofia del secolo XIII. Grice: “Noto is playing with his surname. There’s no ‘significare’ in Italian. They use ‘notare’ – Now, how is God signified? When Cicero said ‘god’ he meant Jupiter. Ask Ganymede: The literal truth is Ganymede was killed in self-inflicted accidental with a boomerang. Her mother said: “His corpse is here, but he was raped by Giove --. Taking this narrative literally – Ganymede was RAPED, so the rape is the way the god gets ‘noted’. Noto. Keywords: IVPITER -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Noto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Novaro: implicatura conversazionale ligure -- l’infinito del ponente – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diano Maria). Filosofo italiano. Grice: “Novaro comes from my favourite area in Italy, “La riviera ligure”!” Grice: “Novaro wrote a nice little treatise on the nature of the infinite – a concept which fascinates me!” --Fratello di Novaro, nacque da famiglia economicamente agiata e dopo aver condotto brillantemente gli studi liceali, ottenendo la laurea a Torino. Si stabilì a Oneglia dove fu assessore comunale per il partito socialista. Dopo avere per breve tempo insegnato nel locale liceo, con i fratelli si occupò dell'industria olearia intestata alla madre Paolina Sasso.  Pur dedito all'attività imprenditoriale fece parte attiva della vita letteraria dei primo anni del Novecento e fondò la rivista “La Riviera Ligure,” da lui diretta fino alla sua cessazione. Ospitò nel suo giornale filosofi come Pascoli, Roccatagliata, Jahier, Boine e Sbarbaro.  Scrisse saggi di carattere filosofico e raccolse tutte le sue poesie, che hanno come tema principale il bellissimo paesaggio ligure, in un volume intitolato Murmuri ed echi che vide le stampe. Fu anche il curatore dell'edizione delle opere di Boine che sentiva affine negli interessi soprattutto di carattere etico.  Saggi: “Finito ed iinfinito” (Roma, Balbi), “Murmuro ed echo” (Napoli, Ricciardi) – cf. Grice, “Implicatura ecoica” --; “All'insegna del pesce d'oro” (Genova, Devoto). Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La Riviera Ligure Nicolas Malebranche. Tra Diano Marina e Oneglia: i luoghi dei fratelli Novaro, su parchiculturali. Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Scheda biografica nel sito della Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Se il concetto di “infinito” è stato dal sorgere della filosofia italiana, uno degl’oggetti più costanti degl’uomini, il progresso verso una definitiva soluzione delle difficoltà che esso presenta non e tuttavia che straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contribuito il rilegare, come a priori, l’infinito fuori del campo appunto della filosofia e si considera il regresso all’infinito una fallacia. Poiché quando si ammette senz’altro che, essendo l’uomo finite, non si può pretendere eh' esso arrivi a comprendere l’infinito. Hobbes, De corpore; Descartes, Principien, ediz. Kirclimann, GALILEI, Opere (Milano); Locke, Essay on humane Underslaning, ediz. Ward, World Library, Hume, Treatise, ediz. Selby-Bigge, cfr. anche Jevons, Principia of Science. S’è già troncata la questione senza neanche avei’la posta. S’è lasciato intatto il mistero che sembra  involgerla. Già tutti i concetti che in qualche modo ha una stretta attinenza con altri concetti ontologici dovettero per questo attendere a lungo prima di venir  trattati in corretto modo analitico. La oscurità misteriosa del concetto di “infinito” si ripercorse naturalmente negli oggetti nei quali esso poteva trovare applicazione, come il tempo, lo spazio, la materia, l’universo, l’essere. Anzi si comincia dapprima ad accorgersi delle difficoltà del concetto di “infinito” non cosi in astratto, ma nell’esame degli oggetti ai quali la infinitezza pare doversi attribuire. Tanti secoli prima della ripresa della questione per  Locke, trattarono il problema con sommo acume dialettico i veliani de Velia. Sugli veliani e la loro importanza, vedi specialmente la “Kritische Geschichte der Philosophie” di Dùhring. Le difficoltà che conduceno al veliano a negare la realtà dello spazio non sono punto illusori. Cantor, “Geschichte der Matematik”. Bei ihnen [i tropi  dei veliani] handelt es sich um Schwierigkeiten, denen in der That-wcder der Philosoph noch der Mathematiker in aller Strenge gerecht  werden Kann Zwei Jakrtausend und mehr haben an dieser zàhen Speise gekaut, und es ware unbillig von den Veliani des funften vorcbristlichen Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit gewesen seien iiber Dinge, welche freilich anders ausgesprocben noch Streitigkeiten unserer Gegenwart bilden. Nò altre furono quelle che spinsero poi Kant ai risultati  della estetica trascendentale. Sebbene più d’uno storico della filosofia davanti ai tropi di quell’ acutissimo filosofo sentendo l’imbarazzo suo a confutarli, stima poterli chiamare sofismi o false sottigliezze che chi le esaminasse da vicino e colla necessaria acutezza non dovrebbe tardare a riconoscere evidentemente per tali. E più  d’uno nel confutarli à seguito, come Zeller, Aristotele che in questo se in altro mai fu infelicissimo. Aristotele crede di confutare il veliano (V. anche  Apelt, Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie, Leipzig) col dire che la dimostrazione data dal veliano riposa sulla falsa  &  i matematici, i quali spaventati dalle contraddizioni  svelate dai veliani avevano dovuto per forza rinunciare  a far uso del concetto di “infinito” e lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di Antifontem continuarono a  lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare alla rigorosa esattezza delle loro dimostrazioni, Cosi il concetto d’”infinito” non compare mai esplicitamente nella geometria degl’antichi. E Archimede ha seguaci anche dopo che il calcolo infinitesimale ha chiaramente mostrati i suoi  cosi fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò e il non  avere l’autore stesso del concetto di “infinitesimo”, saputo mai nè pienamente giustificarlo, nè dargli  un denotato preciso, si che egli molte volte ha a espri supposizione che il tempo consti di singoli momenti (ex -J 5 v aio Èrtovi  come se la critica del velino non valesse indifferentemente tanto per  il continuo dello spazio che per quello del tempo stesso. Cfr. Cantor. Er (Aristotele) lòst das Paradoxon der Duschlaufung dieser unendlich vielen Raum-punkte in endlicher Zeit, durch das neue Paradoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit unendlich viele Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. Sul concetto di “infinito” in Aristotele vedi specialmente “Phys.”, De Coelo, I, 5. Aristotele dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre  0 spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di concetti. Inoltre è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Aristotele non accetta che l’infinito *potenziale*, il quale nasce dal non trovar la  nostra immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiungere. Rifiuta l’infinito attuale. L’infinito, dice Aristotele, non è grandezza  nè à parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non  esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attribuirsi. Ma la contraddizione che Aristotele crede dover evitare rigettando il  concetto dell’infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo. Altrimenti Aristotele non avrebbe così leggermente creduto di aver superate le difficoltà dei veliani. li Montucla, Histoire cles recherches sur la quadrature du eercìe. Paris,  p. 44. (2) Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi Alterthum und Mitelaltcr.  juersi sulla sua nozione in modo affatto contradittorio. E se i filosofi non riuscirono a chiarire i loro concetti  riguardanti l’infinito trascurando la maggior parte di  aiutarsi con un esame accurato dalle difficoltà che incontrano anche i matematici, questi dal canto loro si  sono del pari in grau parte appagati dei risultati, senza sentire troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto dei concetti dei quali hanno a fare un continuo uso. Che anzi per le difficoltà, oscurità o contraddizioni dell infinito tranquillamente si rimettevano Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente ambiguità sulla natura generale del concetto di “infinito”. Lascia infatti  alla ontologia, senza risolverla Leibniz stesso, la questione se si diano  propriamente degl’infinitamente piccoli rigorosi. E cosi tiene pure per indifferente considerare per tali gl’infinitesimi o soltanto per arbitrariamente piccoli. Leibniz inclina però più a tenere l’infinito rigoroso per una finzione. Leibniz, Opera omnia, ed. Dutens e Leibniz; il/af/iema</se/»e Schriften, Gerhardt  I' , dove Leibniz pare considerare gli infinitesimi come quantità finite variabili e cfr. Gerhardt, Erdmann, dove egli parrebbe ammettere l’infinitesimo *attuale*. In altri luoghi, Leibniz è affatto incerto; ed. Dutens, Gerhardt, III, e vedi specialmente un passo  ivi. Infatti dopo l’adottamento del calcolo, una delle prime accademie d Europa, quella di Berlino, presieduta  da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva un concorso sul concetto dell’infinito. Dice tra altro ai concorrenti. On demande […] une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle ‘influì en mathcmati jue. On sait que la haute geometrie fait un usage  continuel des infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les  geomètres et meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut  ce qui approche de l’infini, et des grands analystes modernes avouent  que les termes grawleur infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou-  haitc donc qu’ on explique comment on a déduit tant de theorèmes  vrais d une supposition contradictoire. Nouveaux Mémoires de l’Acad.  des Sciences. Berlin. come molti si rimettono tuttora, all’ongologia. L’unico filosofo dal quale si sarebbe potuto aspettare qualche  dilucidazione definitiva, Corate, il quale era tanto versato nelle matematiche e che di esse à dato una cosi  bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale,  non solo non fa fare un passo alla questione, ma neppure seppe bastantemente apprezzare i grandi meriti del lavoro di Carnot, il quale prepara la soluzione definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi che fecero verso di essa un passo decisive. Kant però si direbbè che lo fece in senso reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato  li suo metodo empirico e psicologico con un metodo critico, come egli in realtà è qualche volta inconsapevolmente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ultimo futto della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di  Locke, oltre aver risolto l’infinitamente piccolo e grande  nel processo formale dell’animo, l’aver dimostrato come  un tale concetto sia solo propriamente applicabile a grandezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni  nebuloso abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua applicazione ad altro che a concetti di grandezze diventava una pura metafora. Rilacendosi da Locke e approfittando della luce che Carnot getta sulla natura dell’infinitesimo, il  Duhnng à finalmente completata la razionalizzazione di  [ Leibniz, passo citato, Gerhardt e Montucla, Histo!re  des mathématiques. Quanto alle questioni che la ontologia può  sollevare sul concetto dell’infinito, il matematico “a droit de ne  s en pas plus embarasser que des disputes des physiciens sur la naure de 1 etendue et du movement.” Locke, On human Umlerst., questo concetto. L’infinito assoluto ha però Diihring  costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione in tutti i suoi saggi filosofici. Soltanto-  nell’ultima suo saggio filosofico arriva egli ad una luminosa distinzione dell’infinito *assoluto* dal infinito relativo. La  sua dimostrazione è però geometrica, e non  insieme algebraica. Manca quindi di generalità. Cosi si  spiega come Diihring ritenga ancor ora inammissibile l’applicazione dell infinito al tempo, che egli à assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel passato (2). Diihring vide che ove il concetto di infinito  non viene dapprima reso chiaro e incontradittorio nella  matematica, la rocca in apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante concetto. La nozione di infinito non è però specificamente formale. Il concetto d’infinito appartiene a quel campo della filosofia ‘speziale’, in cui anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica. La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa, ove esso venga formulato con la dovuta astrazione ed esattezza, sia che la si cerchi nel campo piu astratto dell’ontologia della concezione universale dell’*essere*, sia  che la si cerchi nel campo dell’algebra. Non   [Nat Uri iche Dialéktik -- questo libro d’oro di puro criticismo, la cui prima edizione è esaurita da molti anni senza che Diihring si decida a ri-pubblicarlo, malgrado il viro desiderio di molti  suoi ammiratori, quali per un esempio v. Gizicky e Riebl. Vedi  specialmente dello stesso, nei “ Xeue Grundmitteln u. Erfindungen zur  Analysis, ecc. „ il capitolo terzo. L’analisi critica dell’infinitesimo ivi  data riassumiamo noi brevemente nel numero seguente, modificandola  però nel senso della corretta legge del numero determinato. V. sotto. Cursus der Philosophie; Logik und KVssenschaftstheorie, 191 segg.  è un differente problema quello di Senone di Velia, da  quello che occupa a cosi grande distanza di tempo i matematici dal seicento in poi.   2. In tutti i problemi riguardanti il concetto di “infinito”, le difficoltà ànno la loro comune radice nella contraddizione fondamentale nascente dalla posizione di un infinito numericamente dato e compiuto nel *finite* stesso. Cosi l’infinitesimo, e già prima  l’indisivibile di CAVALIERI, e pensato assurdamente quale  risultato di una infinita divisione, o come l’elemento più  piccolo d’ogni grandezza assegnabile, di cui si integra  ogni grandezza finita. Più piccolo di qualunque quantità  data e pensato l’infinitamente piccolo, e maggior d’ogni  data grandezza l’infinitamente grande, arrivando anche  qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile per via di una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque  piccola grandezza dovrebbe dunque esistere qualcosa di  intermedio. Questa ibrida quantità non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata quantità per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser minore d’ogni quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo irraggiungibile grado di piccolezza immaginabile e prima dello zero (1). Minore d’ogni quantità assegna-  (1) Modificando la nozione di GALILEI di “momento”, già Ilobbes define il conatus (concetto che doveva poi diventare il fondamento  della teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di qualsiasi  assegnato. Hobbes conserva, però, malgrado l’equivoca definizione, come dell infinitamente grande (De Corpore) cosi dell’infinitesimo un giusto concetto. Di quest’ultimo haa intesa infatti  a essenziale relatività. V. De Corpore.  Delimemus CONATUM esse motum per spatium et tempus minus q’uam quarn  bile è però soltanto lo zero (1); una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile grandezza. Tra  la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda finzione.  A meno che il dire “minor d’ogni data quantità” abbia quod datar, id est determinatur, sine expositione vel numero assignatur  ìaest per punctum. Ad eius definitiouis explicationem meminisse oportet  per punctum non intelligi id quod quantitatcm nullam habet, sive quod  nulla ratione potest dividi (niliil enim est eiusmodi in rerum natura)  sed id cuius quantità non consideratili-, hoc est cuius neque quantitas neque pars ulta inter demonstrandum computatur. Ita ut punctum non  habeatur prò IN-DIVISIBILI. Sed prò IN-DIVISO. Sicut edam instans sumendum est prò tempore IN-DIVISO non prò IN-DIVIS-IBILE. Similiter Conatus ita  mtelhgendus est, ut sit quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt  neque lineai per quam fit quantitas, ullam comparationem habeat in demonstratione cum quantitate temporis vel line cuius ipsa est pars. Quanquam  sicut punctum cura puncto, ita conatus cum Canata comparaci potest et  unus altero maior vel minor reperiri.Poisson ammette invece nel modo più esplicito l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è parola. Un infiniment petit est une grandeur moindre que toute grandcur donnée de  la meme nature. On est conduit naturellement a ridde des infiniment  petits, lorsqu’on considère les variations successives d’une grandeur  soumise à la loi de continuiti. Ainsi, le temps croit par des degrés  mo.ndres qu’ aucun intervalle qu’on puisse assigner, quelque petit  quii soit. Les espaces parcourus par le différents points d’un corps  croissent aussi par des infiniment petits, car chaque point ne peut  fi er d une posdion à une autre, sans traverser touts les positions  intermédiaires, et l’on ne saurait assigner aucune distance, aussi petite  qu on voudrn, entre deux positions successives. Les infiniment petits ont donc une existence rielle, et ne sont pus seulement un mo.ven d’investigation imagini par les giometres. Traile de mécanique, Bruxelles) l’er questa ragione non pochi matematici, quali Bernouille  “oto^amente Eulero, pensarono l’infinitesimo come assolutamente nullo. Anche GALILEI, sebbene con altro linguaggio, scompone il  continuo esteso in infiniti punti inestesi o nulli senza però trovar  poi il modo di farlo generare da quelli. V. GALILEI Opere. Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz, Galileis Thieorie der  Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. Philosph. XIII,  a riferirsi non a qualcosa di effettivo o di dato, ma al nostro animo -- il nostro volere -- come ragione della infinita divisibilità, potendo noi sempre supporre una quantità più piccola di ogni qualunque piccola quantità data.  Come nella serie dei numeri noi possiamo (prova Peano) farci un concetto dell’infinito aggiungimento di unità a unità, cosi  possiamo farcene uno della possibile divisione dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai senza contraddizione considerarsi come eseguite. Non si può con un salto oltrepassare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che esiste o è dato numericamente quale totalità non può esser che in numero determinato. Un numero infinito come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un CONCEPTO IMPOSSIBILE perchè vorrebbe porre ciò che insieme viene a negare. Ammesso dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni possibile quantità data, ciò potrà solo razionalmente indicare che è pur sempre possibile suppor quella come ancor più pioti) È questa la legge formulata da Diihring sotto il nome di legge del numero determinato (Gesetz der bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn.  edizione Kirchmann. Sohald etwas als quantum discretum  angenommen wird, so ist die Menge der Einheiten darin bestimmt,  daher auch jederzeit einer Zahl gleich. Diihring però, e qui sta  il grave errore della sua teoria dell’infinito, à tralasciato come iKant di aggiungere che tale legge à valore appunto, come diciamo  noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano concepire come totalità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra limiti. cola di una qualunque data comunque già piccola per  sè. La illimitatezza riposa sul concetto della infinita  possibilità della ripetizione, non è dunque un concetto di effettività, ma di mera possibilità.  Il moto nevi realizza come si crederebbe l’assurdità di una infinita divisione o di una infinità di parti nel  finito. Moto non è che il concetto di ciò che la stessa cosa si trova seguentemente prima in un luogo e poi in un altro. Nostro APPARATO SENSORIALE non fa che abbracciare un dato numero di posizioni diverse, e l’animo non trova altro che il fatto ossia la cangiata posizione. Noi non possiamo formarci nè pretendere altro chiaro concetto che quello del passaggio da un punto all’altro. Possiamo solo, ove ce ne sia l’animo, INTER-POLARE delle posizioni intermedie a piacere senza limite alcuno. Ma effettivamente  nè la natura nè noi possiamo fis:arne altro che un numero determinato. È una illusione il credere che un punto, ad esempio, nel muoversi in linea retta vei’so un altro  punto fisso, e trascorrendo secondo il concetto comune di un movimento assolutamente continuo, per ogni posizione, trascorra con ciò effettivamente, se posso dir cosi, per ogni grado di piccolezza. La posizione di infiniti punti distinti in una determinata estensione è sempre e solo una possibilità ma non mai un fatto compiuto. Di due punti immediatamente aderenti NOI ABBIAMO ASSOLUTAMENTE CONCETTO ALCUNO. Punti inestesi o coincidono,  o hanno una posizione diversa, e allora anche una determinata distanza. 11 punte non può che passare da uno ad un altro punto, comunque noi idealmente possiamo astrarre da cotesti trapassi e considerare unicamente la infinita possibilità (li posizioni diverse. La stessa illusione  è nel dire che una quantità cresce per gradi minori di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che m  matematica le quantità continue crescono per gradi e che  ogni nuovo incremento elementare possiamo immarginarcelo già per sè stesso composto di ancor più piccoli incrementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella realtà  bisogni. Che esistano dei limiti a questa illimitatezza che  è solo della facoltà del nostro ANIMO, è anche vero che le  quantità non constano di elementi per sè esistenti, e che  invece noi solo distinguiamo in esse delle divisioni e stabiliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il concetto di continuità ne involge uno infinitesimale che però inchiude solo la possibilità di un infinito porre di limiti,  ma non una infinità di limiti posti. Esso è quindi come  quello dell’infiuitamente piccolo un concetto di pura posibilità.  La illimitatezza nella scomponibilità in parti che possono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una  qualunque piccola grandezza data, e dunque ciò che di  razionale s’ à a sostituire al concetto nebuloso dell’ infinitamente piccolo. Con ciò viene evitata quella ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di azione  del nostro animo, o di una mera possibilità, la quale è inchiusa nel falso concetto della grandezza minore di  ogni altra assegnabile, come di qualcosa realmente esistente quasi mèta irraggiungibile ma pur reale di una  infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo o  infinitesimo, ma solo una infinita possibilità di rimpicciolimento.  1 Si deve dunque pensare che il differenziale è nel calcolo una grandezza finita relativamente piccola, la quale-  nel complesso delle operazioni può e deve rappresentare  ad arbitrio ogni grado di piccolezza. Si tratta per eempio, dice Diihring, di una lunghezza. Può questa, come  infinitamente piccolo, essere secondo le circostanze un  milionesimo di millimetro ovvero una distanza solare.  L’essenziale non istà in queste eventuali determinazioni,  ma nel pensiero che in luogo di quella grandezza, scelta in relazione a un tutto come parte insignificante, possano  nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza limite  alcuno sempre più piccole verso lo zero. L’ infinito  o la illimitatezza non è dunque ipostasiata nel differenziale, si bene sta nel nostro animo che questa grandezza rappresenta qualunque grado di piccolezza oltre il suo. Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del  calcolo, non à più ragione quella ripugnanza che i migliori matematici anno sempre sentito per quella oscura ipotesi o idea falsa, come la chiama Lagrange, dell’infinitamente piccolo. L’analisi è dunque, dice Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma si noti bene-  non di semplice approssimazione, bensì di approssimazione infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità  insignificanti che loro NON SONO più PERCETTIBILI, e se fatti  più acuti procederebbero del pari in analoghe proporzioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che nelle   [l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul. Cfr. Carnot : Reflexions sur la métaphysique du calcili infinitesima!, Comte: Cours de philosophie positive , I, 263. loro funzioni darebbero in ultimo per risultato una grandezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza  alcuna. Accanto a quantità finite si trascura nel risultato  e con ragione, un infinitamente piccolo, poiché è nella  sna natura di poter venire senza fine rimpicciolito verso  lo zero. Idealmente c’ è dunque un abisso tra l’infinitesimo  e lo zero. Non quello ma questo è il limite dell’ infinito  rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono che quantità in realtà sempre finite, comunque possano secondo il bisogno venir supposte sempre più piccole verso  di esso. D’altra parte nella direzione opposta dell’ infiniitamente grande si à analogamente a distinguere tra   [Non altro significava il luminoso concetto di Carnot delle equazioni imperfette. Tuttavia Carnot non arriva a dar l’ultima chiarezza alla  nozione dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi fosse  bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza soltanto approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considerazione dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della compensazione degli errori. Comte poi frantese affatto ciò che  di veramente importante e duraturo conteneva lo scritto di Carnot,  e ravvisa così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensazione degli errori (V. Cours de philosophie positive), la  teoria invece dell’arbitrarietà del’infinitesimo la trova più sottile che solida (id. 2(57). l concetto della rigida uguaglianza degl’antichi venne definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però  non venne schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli  dispute a cui diede luogo il calcolo differenziale, e un giusto concetto di ciò che avesse a indicare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infinitamente piccolo. Dopo Carnot la relatività del concetto del differenziale s’è sempre più fatta strada nelle menti dei matematici. Ma non  basta questo a razionalizzare l’infinitesimo. Dove colla relatività di  esso si ammette però ancora (v. ad es. Montucla : Histoire des maih.) che questo possa divenir minore d’ogni quantità assegnabile, s’è pur sempre lontani da una esatta concezione.  questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui come¬  ta si à una differenza qualitativa: nell’ un caso si à ancora a fare con delle grandezze, nell’ altro il concetto  proprio di grandezza è scomparso.  Il non aver distinto questi due concetti non à forse  meno contribuito della contraddizione di un infinito compiuto nel finito stesso, implicato nel falso concetto del  differenziale e del continuo, a rendere cosi pieno di supposte insolubili difficoltà il problema di cui ci occupiamo. All’infinitamente piccolo risponde perfettamente l’infinitamente grande. Abbiamo qui un accrescimento senza  fine come là un illimitato rimpicciolimento. In entrambi  i casi ci è data la norma di un’operazione che non deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa  deve rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione-  del nostro animo, con la quale dunque non c’è grandezza per quanto piccola o grande di cui non si possa  sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infinitamente grande non indica quindi altro che essa, comunque già grande, può senza fine venir considerata  ancor sempre più grande secondo il bisogno. In ogni  aso non sarà però ella mai altro che finite. Come la  nostra sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può  -- Chiamo infinito assoluto o trans-finito – tras-finito, a distinzione dell't/t/unVo  relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che Diihring dice illimitato (Unbegrcnzt) [LIMITATO/NON-LIMITATO] e Cantor, e dietro lui Wundt e Lasswitz  chiamano appunto transfinito o tras-finito (<o ). Del resto una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di adoperare anche solo e indifferentemente l’espressione “infinito”, lasciando al contesto conversazionale l’ulteriore  specificazione. mai esercitarsi che nel finito. Anche l’infinitamente grande  è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività. Non è quindi propriamente applicabile ad alcuna grandezza determinata. La serie progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare  ad un ultimo membro delle serie, perchè la possibilità  di aggiungerne altri riman sempre la medesima. E nella  natura dell’infinitamente grande di non poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data oggettivamente, ma sta invece in questo che la grandezza infinitamente grande può rappresentare ad arbitrio una  grandezza sempre maggiore oltre la sua. Inteso cosi è senz’altro chiaro che rinfinitamente  grande non è un infinito in atto e non può senza contraddizione venir scambiato con questo. L’aver confuse l’infinito assoluto o transfinito o trasfinito o illimitato coll’infinitamente grande  è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto   (1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. [O]ur idea of infinity  being, as I tbink, an endless growing idea, biit the idea of any quantity our soul kas being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it  as great as it will, it can be no greater than it is), to join infinity to it, is to adjust a standing measure to a growing bulk. We can bave no more the positive idea of a body infinitely little than we have thè idea of a body infinitelv great. Our conception of infinity being, as I may so say, a growing and “fugitive” concept, stili in a boundless  progression that can stop nowhere. Our conception of the infinity [...] return at least to that of number always to be added. But  thereby never amounts to any distinct idea of actual infinite parts. We bave, it is true, a clear idea of division, as often as we will  think of it. But thereby we have no more a clear idea of infinite parts  in matter than we have a clear idea of an infinite number, by  being able still to add numbers to any assigned nember we have. E chiaro concetto di quest’ultimo a rifiutare risolutamente  il primo, dopo averlo trovato incompatibile colla nozione  di quello. Mentre l’infinitamente grande esprime una illimitata possibilità, il transfinito o trasfinito esprime invece una effettività compiuta cui l’infinitamente grande non arriva  mai. Nel transfinito o trasfinito ogni grado di ingrandimento è già  anticipatamente dato. Esso è realmente maggiore di ogni  assegnabile grandezza, e dal finito non c’è modo di farlo  originare, sebbene ogni finito sia in esso. La facile obbiezione che nessuna grandezza è la più grande perchè  le possono sempre venir aggiunte altre unità, non tocca. L’infinito assoluto, ma solo una NOZIONE IRRAZIONALE  dell’infinitamente grande, partendo ella da un falso concetto  del transfinito o tras-finito, secondo il quale si avrebbe questo a lasciar  pensare come un tutto, ossia, contrariamente all’assunto, come finito. Il concetto di totalità applicato al transfinito o tras-finito è trascendente, benché tale non sia il transfinito o tras-finito per sé. Se l’infinito assoluto non può venir esaurito dalla sintesi empirica di nostro animo, non è questa una ragione per rifiutarne  il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in ciò di NON POTER VENIR RAPPRESENTATO come una totalità ossia esaurito per mezzo di una sintesi empirica di nostro animo -- successiva delle sue  parti. – Cf. Speranza, ‘mise-en-abime’ – come violazione del prinzipio conversazionale – be brief. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da un  capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto  tale, ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano endless divisibility giving us no more a clear and distinct idea of actuallv infinite parts than endless addibility, if I may so speak, gives us a clear and distinct idea of an actually infinite number, both  being only in a power stili of increasing thè nuinber, be it already as great as it will” ia esso le proprietà che dal suo concetto sono precisanente escluse. Mentre nell’infinitamente grande la sintesi empirica di nostro animo è  quella che aggiunge membro a membro. Nell’infinito assoluto troviamo noi sempre ogni ulteriore membro come già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo abbia  raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il numero infinito, se “numero” può questo ancora chiamarsi – “As far as I know there are infinitely many stars” --, che è in realtà la negazione di esso e con ciò  di ogni determinazione nel grande. Il “numero” infinito  non è più nè ‘pari’ nè ‘dispari’, e neppur quindi aumentabile più, nè diminuibile. Esso è dunque qualcosa di affatto compiuto, al contrario dell’infinitamente grande che è in un continuo'flusso; e sta a questo come all’infinitamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più  possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di ingrandimento nel transfinito o tras-finito. Questo è la negazione della  grandezza misurata nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò della grandezza  nella direzione deH’infinitamente piccolo. Lo zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto per qualità diversi da ogni altra grandezza. L’infinitamente piccolo e grande sono in un continuo flusso,  lo zero e il transfinito sono invece forme fisse ; il prin¬  cipio generativo dei primi non è applicabile ai secondi.  DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente  grande all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto. Duhring: Neue Grundmlttel, ecc. Lo zero e l’infinito assoluto o trasfinito si fanno dunque riscontro. Ed erra  «quindi Lasswitz che nega esserci qualcosa di corrispondente a que-   Nel primo caso il passaggio sta non nel rimpiccilire all’infinito per successive divisioni la quantità piccola in modo che avanzi pur sempre un resto, ma nell’ultimo atto risolutivo col quale si sottrae interamente  il resto stesso. Nell’un caso si riman sempre nel campo dell’infinitamente piccolo, nell’altro si salta propriamente dalla quantità al nulla di essa. Una quantità non viene  mai esaurita col sottrarre ripetutamente anche all’infinito una nuova parte del sempre nuovo resto. Bsogna  togliere in ima volta l’intero resto altrimenti si avrà  una convergenza continua verso l’irraggiungibile zero, ma non mai propriamente lo zero. E solo in quest’ultimo caso sarebbe veramente esaurita la grandezza. Non  bisogna prender per esaustione reale una infinita approssimazione. Ciò che e l’ESAUSTIONE è solo tale fino ad un infinitamente piccolo. Ma  questo vien da essa lasciato inesaurito. L’saustione non à luogo che con un salto alla Peano, ossia con un vero  passaggio. La inter-polabilità infinita di posizioni tra  punto e punto non toglie che da posizione a posizione  il passaggio debba rimanere E come v’è un salto da un  punto a un altro in una linea, cosi v’è da un punto al  punto ultimo col quale la grandezza finisce. Solo col   st’ultimo. (Lasswitz: Zum Problem der Continuitdt, Philosoph. Monats -  hcfte); come pure e più erra Wundt che crede cadere nel differenziale ogni differenza essenziale tra l’infinito e il transfinito o trasfinito. Wundt: Kants Kosmologische Antinomien u. das Problem der  Unendlichke.it Philos. Studien II, 527: (che) das Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer unendlich zudenkenden Abnahme einer gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits vollzogenen Processes-  dieser Abnahme gedacht werden kann. Hier fàllt niimlich ein wesen-  tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten vollig hinweg. -- passaggio allo zero si à però un risultato differente non tanto per quantità quanto per qualità dagli altri. D’altra parte lo stesso risultato qualitativamente differente si à nel secondo caso del passaggio dall’infinitamente grande al transfinito o tras-finito. Praticamente si può concliiudere è vero dal caso dell’incoutro di due rette a distanza infinitamente grande al caso delle parallele, in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo, e si  pone come identico il risultato solo infinitamente approssimativo. In realtà però mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente all’vvicinarsi delle due rette al  parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita estensione della linea LA NEGAZIONE DELLA POSSIBILITa d'uu punto d’incontro, poiché questo le farebbe finite. Ed à luogo  allora quella illimitatezza od infinità assoluta della retta,  la quale è la negazione della grandezza misurata nel  grande, come lo zero è la negazione della grandezza in  generale. Un indubitabile significato si lascia dare al  transfinito o trasfinito, come vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei processi del tempo passato. Il nostro regresso che assume qui la forma dell’infinitamente grande, procede in base al transfinito o trasfinito della realtà, poiché esso trova  e suppone necessariamente come dati sempre piu membri  della serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬stretti a pensare l’universo infinito in estensione si avrebbe una seconda applicazione reale del nostro conti) Diihring , luogo citato.       «etto ; ma rimanendo insolubile la questione se la natura o L’UNIVERSO  o il numero dei stelle sia o no infinita, non si à che l’applicazione di esso  allo spazio puro. Ed ecco la dimostrazione che dà di questa Dtihring, colla quale egli stabilisce appunto la distinzione dell’infinito relativo dall’infinito assoluto. La tangente di un angolo che differisce da 90°  di una infinitamente piccola differenza, è come la rispettiva secante infinitamente grande. Ad ogni grado di riin-piccioliinento della differenza risponde un grado di ingrandimento della tangente e della secante dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si tagliano si fa sempre più  lontano. Rimane però sempre dato un incontro reale delle  linee fin che sia data una per quanto piccola divergenza  da 90°. Se si à invece una differenza uguale a zero ossia se non se ne à alcuna, non si à nemmanco più  propriamente una SECANTE nè una propria TANGENTE. Entrambe le linee loro corrispondenti non si tagliano più. Nel caso dello zero o, ciò che sarebbe lo stesso, per la  CO-SECANTE e la CO-TANGENTE di 0 non esiste più alcuna  grandezza, allo stesso modo che nello zero medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già una quantità della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determinazione quantitativa. In tal modo allo zero dall’una parte  corrisponde dall'altra l’illimitato non quanto (das grossenlose Unbegrenzte). Il caso dell’infinitamente grande  si distingue da quello dell’infinito assoluto per questo, che  la possibilità (della illimitata estensibilità) non figura  come per sè data, ma vien 'riferita alla nostra attività. Vedi sotto n. 5.  Di pio quest’ultima possibilità vien sempre rappresentata coinè dipendente di un’altra, in modo che dall’infinito  rimpicciolimento e dal grado di questo dipende l’infinito  ingrandimento e rispettivo grado costantemente corrispondente Una distinzione simile a quella di Diihring à  fatto in riguardo all’infinito Cantor, seguito in ciò da Wundt e seguito pure, sebbene con qualche riserva,  da Lasswitz. Ad essa fa però assolutamente difetto quella spiccata razionalità che è la caratteristica della filosofia di Diihring. Crede Cantor che la serie dei  numeri si lasci pensare non solo come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità. Cantor stima che si  lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo (3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del concetto di totalità al transfinito o tras-finito è la cagione dell’assurda  nozione che s’è fatto Cantor di questo. Infatti perciò  à e Cantor potuto credere che il transfinito o trasfinito pnssa trovarsi  nel finito stesso quasi come suo sostrato, e servire cosi  alla spiegazione del continuo e del NUMERO IRRAZIONALE. Ma qui non si ferma Cantor : chè anzi la vera originalità della sua dottrina vede egli nelle differenze essenziali da lui trovate nel campo stesso dell’infinito assoluto. Si tratta infatti per lui sopratutto dell’ampliazione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri  Duhrinq.   Logik. Cantor: Grundlagen einer Mannichfaltigkeitslehre;  Zur Lehre vom Transfinite.] oltre l’infinito medesimo. Egli non ottiene solo un unico  numero intiero infinito, si bene una infinita serie di tali  numeri come benissimo tra loro distinti. Vi sarebbero cosi infinite classi di numeri ; la l a classe sarebbe la  serie dei numeri finiti 1. 2. 3... v..., ad essa terrebbe die¬  tro la 2 a classe composta di successivi numeri intieri infiniti in ordine determinato. Dopo la 2 a si verrebbe alla  3 a e alla 4 a classe e cosi all’infinito. In tal modo naturalmente l'infinito propriamente detto (“das eigentlicbe  Unendliche”) non sarebbe ancora il vero infinito (“das walire Unendliche”) o l’assoluto. Chè anzi Cantor espressamente fa notare che in tal guisa non si arriverà  mai a un limite ultimo, e neppure a una sia pur soltanto approssimativa comprensione dell’assoluto, il quale solo  è un infinito non più oltre aumentabile. Con ciò il transfinito o trasfinito, quantunque determinato e maggiore d'ogni finito,  avrebbe assurdamente comune col finito il carattere della  illimitata aumentabilità. Cantor dà per esempio del transfinito o trasfinito la totalità dei numeri finiti, confessa però  non darsi, o almeno pel nostro animo, una totalità dei numeri transfiniti, ossia l’assoluto o il vero infinito  non poter venir concepito, quantunque necessariamente  postulato. Qui dunque ritorna la difficoltà del problema, e questa volta Cantor confessa di non saperla sciogliere. Con ciò dà Cantor stesso involontariamente la miglior critica della sua teoria dell'infinito. Il suo transfinito o trasfinito del resto non è in fondo altro che l’infinito dell’animo di Spinoza e BRUNO [ Grundlagen. Zur Lehre. Illusorie come la infinita totalità sono le altre proprietà clie Cantor crede dover attribuire ai suoi immaginari  numeri della nuova serie al  DI là DELL INFINITO. Cosi il non esser questi più soggetti alla LEGGE DI COMMUTAZIONE (p e q = q e p) (1)  è una evidente ASSURDITà che rivela una inesatta concezione dell'infinito assoluto. Questo infatti è indifferente  in riguardo al più e al meno. Ad esso non si può nè aggiungere nè togliere, come quello che non si lascia originare per via di operazioni. Per poter ad esso aggiungere qualche cosa converrebbe pensarlo dato quale compiuta totalità. Dia è falso che l'infinito si lasci concepire in tal guise. Cosicché invece di operare con esso si opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il concetto formulato da Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia dell’ONTOLOGIA del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui fatta dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a  quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra  a quella di Carnot, che non si lasci questa sua nuova  distinzione rannodare a’ suoi precedenti storici (3). Vera¬    ci) Cantor: Grundlagen. Bradwardinus distingue nel suo trattato “De Continuo”, come espone Cantor (Geschichte d. Mathematik), “ zwei Unendlichkeiten, die “kathetische” und die “synkathetische”. “Katlietisch” oder  einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat.” Syn-kathetisch”  unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche Gròsse giebt  und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser als  jenes Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes den  Abschluss bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt wenn  es mit Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das kathe-  tisck Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder Transfinite     ‘mente l’INFINITO POSITIVO di Descartes, di GIORDANO BRUNO e di Spinoza è un concetto che tradisce un’origine quasi del tutto-  ancora scolastica. L’infinito inteso coinè attributi necessario dell’essere è una concezione comune a BRUNO, e mostra chiara la sua derivazione da un altro concetto. Quantunque esso non ha in BRUNO questa sola origine ‘divino’ (1).   unserer neuerer Philosophen ist, dem von Anfang an das Merkmal der Begrenztheit, welches deu endlichen Gròssen zukommt fehlt, wàhrcnd  das “synkathetisch” Unendliche mit den Endlosen oder Infinitcn ùbercin stimmt, welches aus der endlichen Grosse durcli unbegrenztes Wa-  chsen hervorgelit.   BRUNO capovolge la dottrina di Aristotele. Risolve arditamente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde liberarsi dalle contraddizioni svelate da SENONE DI VELIA, come farà poi anche ma meno felicemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal TOCCO, Le opere di  BRUNO, p. liti: De Minimo). Devcsi però avvertire che il minimo è per BRUNO ancora una grandezza che ei pensa giustamente, come fa anche Hobbes, relativamente trascurabile nel calcolo. Il progresso infinito nelle divisioni è solo una continua possibilità  dell’animo, mai un’effettività. BRUNO non nega all’animo, all’immaginazione o alla ratio, a distinzione della mensì di poter ulteriormente suddividere il minimo all’infìnito, -- dum non promere subiectae credat con-  formia rei. — Intìnitae progressioni IMAGINATIONIS seu mathesis NATURA non respondet neque ullus usus ARTI-FICIALIS obsecundat.  De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla matematica vorrebbe BRUNO dare una base atomistica, facendo valere pel concetto del corpo  matematico ciò che vale per quello del corpo fisico. In questo anzi  non sa BRUNO liberarsi dalla influenza dell’aristotelismo, pel quale ciò che vale della materia doveva naturalmente valere dello spazio. Il suo strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle linee indivisibili  o atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per evitare le stesse contraddizioni del continuo messe in chiaro dalla critica dei veliani (V. nello scritto -epì à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte d.  Griech. Philosoph. dove ne è anche data la traduzione, p. 271 e seg.)  Della dottrina atomistica di BRUNO riconosce giustamente il merito Lasswitz (“ Bruno und die Atomistik”, Viertelsjahrsschift f. icissensch. Tuttavia alcune importanti considerazioni sono comuni al Cusano (1) e a quest’ultimo sulla natura dell’infinito ossia sull’esistenza di un unico infinito in riguardo  al quale non possa esservi divisione possibile uè disuguaglianza se misurato immaginariamente da misure differenti (2). L’infinito assoluto considera poi Spinoza come dato nei noti due cerchi l’uno dei quali è dentro all’altro e che non si toccano nè sono concentrici, esempio  ricavato da Cartesio (Principii) e da Spinoza medesimo già illustrato nella esposizione dei principii cartesiani della filosofia. Ma come è impossibile che  la materia mossa tra due cerchi possa realmente dividersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un concetto di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata  dalla relazione di quelli. Poiché data questa infinità non  è nè può essere. Altrimenti la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque segmento di linea da’suoi  punti infiniti. Una tale infinità non può cosi che venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fondamento ; non può esser che un caso di infinita possibilità  come lo è quello dell'infinitamente grande. Philos. Vili, 33): “BRUNO hat darci» (lcn erkenntnisstheoretiscben Ausgangspunkt seiner Monadologie sicli das bleibendc Verdienst erworben,  den Atombegriff klar und wiederpruchslos dargestellt zu haben. So  lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt, blcibt es immer fraglich, ob man auf ein solches Kommen masse. Erst die Einsicht, dass  es ein Krfordcrniss dcs Erkennens istein Erstes der Znsammcnsetzung  zn liaben, macht den Atombegriff za einem nothwendigen.  Cusano, Dada ignoranza. Già Aristotele tiene per inapplicabile ad ogni grandezza l’intìnito attuale, ma perciò appunto ne aveva rifiutato  il concetto. Il caso (lei due cerchi si lascia ricondurre a quello d’ogni grandezza continua. Ora l’esame del continuo non  può per sè mai darci l’infinito assoluto ; il continuo riceve i termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi  però mai esaurire da successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il campo di una regola d’operazioni infinite, rimanendo pur sempre finiti i risultati di queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere con alcun numero (nullo numero explicari possunt) indica solo che sarebbe, contradittorio pensare come raggiunto  il risultato d’una operazione infinita ossia da ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che l’infinito  relativo. E così ciò che Spinoza distingue dall’infinitamente grande non è in realtà l’infinito assoluto. Esso è  soltanto lo stesso infinito relativo nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione del piccolo (1). Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto può esser suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel finito? (2) e non dice egli altrove (3) che  (1) SPAVENTA, Saggi critici, p 256-7, seguendo Hegel trova la  distinzione dello Spinoza dell'infinito della immaginazione da quello dell’ANIMO veramente profonda, e ravvisava in questo ultimo fissato il concetto dell’infinito assoluto che trascende ogni determinazione. Infatti però esso non può rappresentare che lo stesso infinito della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In complesso questa importante lettera parmi mostrare molta incertezza malgrado il tono suo dommatico e tanto sicuro. I due unici esempi che Spinoza porta dei molti che ei dice  avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’ANIMO, non sono omo-genei. La infinità dei moti che furono, e la infinità delle disuguaglianze dei due cerchi non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso abbiamo  notato del transfinito o trasfinito di Cantor, il quale dovrebbe del pari esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e il complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I, prop. XV.  è un assurdo che un infinito possa essere il doppio di  un altro? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che pensano potersi DARE L’INFINITO NEL FINITO medesimo. Di Locke s’è visto qual razionale concetto egli ha dell’infinitamente piccolo e grande. Locke non sa tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e divisibilità, per cui non intese l’infinito assoluto. Locke analizza con una grande acutezza soltanto  le funzioni dell’ANIMO in riguardo all’infinito, non però il riscontro loro oggettivo. Infatti e questo per Locke ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro ANIMO coll’illimitato progresso, riempiva  tanto l’infinito del tempo che quello dello spazio (1). Ed  è cosi che Locke puo pensare esser l’idea positiva di infinito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra (2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che incontra Locke nell’esame dello spazio (3), e fissa  l’idealità di questo. Una idealità che se è conseguenza  delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria ai veliani, à però, un significato e una giustificazione scientifica di gran lunga superiore. Ma quanto al concetto  proprio di infinito Kant non fa un passo oltre Locke. E neppure Hume e andato più oltre sulle tracce di  quest’ultimo. E’ non sa anzi per il metodo suo empirico apprezzare la bella trattazione lockiana dell’infinito,  in cui la funzione SINTETICA dell’animo trovava una cosi    Locke : Essay on Human Under ai.  giusta e importante bencliè non del tutto consapevole  applicazione. Hume, senza esaminare particolarmente l’infinitamente grande, si volge in special modo a considerare  l’infinito nel piccolo. Ciò che più, come già GIORDANO BRUNO, imbarazza il grande scozzese è la considerazione della infinità nel continuo, ossia della infinita divisibilità, la quale egli non distingue dall’infinito esser diviso, ossia dalla infinita divisione effettuata (2). Il suo empirismo, confondendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo spazio come composto di punti visibili e sensibili (meno risolutamente però nella “Inquiry”) ; e il tempo della  somma dei minimi delle sensazioni. Come può, si domanda egli, un infinito numero di infinitamente piccoli  non dare una grandezza infinitamente grande? o, come  può un tal numero esser compreso allo stesso modo in  una data grandezza che in una doppia di quella? Come  può passare il tempo da un punto all’altro per un numero infinito di parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in conclusione le stesse contraddizioni svelate dapprima da Senone di Velia, l’amato di Parmende. Senone conclude col negare lo spazio e il moto. Hume invece accusa L’ANIMO STESSO senza dare soluzione alcuna definitiva. L’aver confuso la forma col reale, e il non aver più acutamente  esaminate le funzioni sintetiche dell’ANIMO sono la ragione della infruttuosità delle sue ricerche sull’infinito. Locke è insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o alti) Treaiise; Essays, edizione World Library. Exsai/s, pag. 379.   (4; Hume: Essai/s.  meno sino a Diiliring, che segna un notevolissimo progresso nella razionalizzazione del concetto di infinito. D’altra parte tra’ matematici, dopo le lunghe discussioni sulla  natura dell’infinitesimo, si fa strada, è vero, con Carnot,  e con Cauchy, in séguito, l’opinione della arbitrarietà del differenziale, ma riman pur sempre come sfondo oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i matematici dichiarano spettare AL ONTOLOGO di interrogare. E con ciò la mente è  ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss  poi, e dietro a lui con Riemann e con Steiner e con  tutti i geometri anti-euclidèi, la nebbia che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più fitta, e rimarrà cosi quale  indizio dello spirito mistico dell'epoca nostra, la quale  non sente quel bisogno vivo e quell’amore della chiarezza  che cosi grande aveva il secolo decimottavo Nfe i filosofi del nostro secolo sono certo fatti per confortarci della mistica incertezza dei matematici e sbugiardare così il notato  carattere generale dello spirito del decimonono dicontro al secolo  precedente. (V. più sotto di Hamilton e Spencer n. 8). Dove l’universo, come presso Democrito e gl’epicurei, o presso GIORDANO BRUNO e Spinoza si stabilisce dommaticamente infinito, l’ONTOLOGIA non s’è ancor spogliata di  tutti gli elementi puramente poetici. Col criticismo mo¬  derno la questione della reale estensione dell’universo si  è fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della no¬  stra concezione dello spazio non ci garantisce una infinità oggettiva materiale. Empiricamente non si lascia  dimostrare nè la finitezza nè la infinità dell'universo;  È chiaro che chi volesse supporre un riscontro materiale assolutamente completo della nostra concezione infinita dello spazio correrebbe dietro una chimera. La nostra rappresentazione dello spazio  il la sua spiegazione nella costante unità della coscienza e nella sua  libertà del porre e dell’oltrepassare continuamente il posto. Ora a  questa funzione de nostro ANIMO non si deve attribuire senz’altro un carattere oggettivo. Al contrario fa il Urtino infinito il mondo appunto perchè  è infinito lo spazio, ritenendo che la materia stia allo spazio come  questo a quella: “ e se non v’ha differenza tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che solo quel breve tratto occupato dal nostro  sistema planetario sia pieno e tutto il resto dell’immenso spazio vuoto. „  Cfr. Schopenhauer (Die Welt als Wille ecc.). il quale commenta  gli argomenti affatto ineritici di BRUNO e vorrebbe farli servire a  dimostrare anche la infinità del tempo.  altro che il finito noi non possiamo raggiungere e non  possiamo mai giudicare se altro non vi sia più oltre da  raggiungere nella realtà. Se essa stessa abbia o no dei  limiti come gli à costantemente la nostra RAPPRESENTAZIONE. L’infinito COME TALE non può diventar oggetto DELLA NOSTRA ESPERIENZA. Ma se questa è per la sua natura limitata, non perciò dobbiamo pensar limitata la realta inconscia. Il concetto nostro dell’universo sarebbe dunque sempre solo comparativo. Certo è però che praticamente l'universo sarà per noi costantemente finito, poiché altro che in limiti finiti non può venir da noi conosciuto. Il principio della costanza della materia e della forza  non basta, come crede Rielil (1), a dimostrare la finitezza della massa dell'universo. Seia massa si fa infinita,  dice Riehl, verrebbe a mancarle con ciò ogni determinazione quantitativa, il che è incompatibile col concetto stesso di massa. Ogni determinazione le mancherebbe però naturalmente se considerata solo nella sua trascendente totalità, non mai invece nel finite. Nè d’altro che di  masse finite può aver ad occuparsi l’uomo. Il grande  principio della costanza della materia e della forza, nota ancora Riehl, diventerebbe una mera e inutile TAUTOLOGIA, data la infinità loro. Non potendo evidentemente l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur questo è giusto. Il principio in discorso sarebbe tautologico se stabilisse appunto la costanza della materia infinita come  tale. Non se, come esso fa, stabilisce quella del finito in essa datoci. Infatti la conservazione costante del finito [Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus.  non è (lata analiticamente colla inalterabilità quantitativa dell’infinito, poiché come l’infinito non è toccato da  addizione o sottrazione, cosi potrebbe, posta infinita la materia, il finito in essa assolutamente crearsi o annichilarsi senza contraddizione alcuna. G. Mentre la estensione e la massa dell’universo sono presumibilmente finite, ma nessuna necessità apriorica od empirica ci sforza a pensarle piuttosto finite che infinite. In riguardo al tempo concorrono invece necessità  dell’esperienza e dell’ANIMO a farlo nel REGRESSO assolutamente infinito. Il problema cosmologico del tempo non à tuttavia avuto sinora una soluzione definitiva. A il tempo reale mai avuto principio? Vi fu nell'universo o nell’essere un primo cangiamento? E se il tempo non à avuto principio, ed è nel passato infinito, come  può senza contraddizione venir pensata cotesta sua infinità? Che il cangiamento abbia una volta cominciato è, per  il principio di causalità, impossibile ammettere. La ausa  di un cangiamento deve cercarsi a priori in un cangiamento anteriore e cosi via all’infinito. Un cangiamento  assoluto è empiricamente impossibile e a priori inconcepibile. Vi sono nell’essere ultime ragioni dei processi, ma  non ultime cause. In ogni punto del tempo è esistita la  serie delle variazioni. Non che nel concetto di sostanza  si trovi unita necessariamente coll’esistenza l’azione, come  crede il Rielil, e che non lasciandosi quindi  disgiungere il fare dell’essere dalla sua esistenza, venga  ad esser perciò inconcepibile la sostanza scompagnata dal  cangiaménto. Inconcepibile sarebbe solo una esistenza vuota, ossia scompagnata dalla essenza. La forza potrebbe  però concepirsi ovunque come in equilibrio stabile, e con  ciò l’universo come privo di ogni mutamento. Vi è una condizione del divenire cbe non entra mai  come membro nella serie causale -- è questa il fondamento  ultimo d’ogni fenomeno, la ragione della loro possibilità. Un tal fondamento riman quindi come fuori del tempo ossia veramente ETERNO, senza origine nè fine. Non è cosi dei cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere. Lo stato precedente a un DATO momento nella serie molteplice dei cangiamenti, se fosse sempre esistito, non avrebbe  mai prodotto un effetto cbe si origina solo nel tempo;  auche quello deve dunque aver avuto una causa, e cosi  all’infinito. Delle cause non ve ne può essere una cbe da  sè inizi assolutamente una serie; ogni causa di cangia¬  mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con ciò  un’altra causa, un altro stato cbe la spieghi. Tutto è seguenza nella serie, e un principio assoluto è un assurdo. Una prima causa del cangiamento per cui avvenga qualcosa cbe anteriormente non era, non è in alcun modo a  connettersi coll’esperienza. La fine della primitiva quiete nell’ essere senza una causa che la faccia cessare è  un pensiero irrealizzabile. Esprimerebbe una spontaneità incomprensibile, anche formalmente, cbe noi non  possiamo accettare sensa derogare alle leggi della conoscenza e della natura. Come la legge della causalità non conduce fuori della causalità empirica (all’Assoluto), cosi non conduce fuori del cangiamento. Esenti da mutazione rimangono soltanto la sostanza  e le sue qualità originarie, ossia in generale gli elementi, per cui solo sou possibili le variazioni. La causalità è  applicabile unicamente ai cangiamenti, di modo che causa  di un cangiamento non può mai esser che un altro can¬  giamento, non una cosa come tale. E quindi unicamente  l’ideniico che sta a base del vario FENOMENICO che non  à nè causa nè ragione, se non quella almeno che con Schopenhauer potremmo chiamare la ragione dell’essere,  o di identita. La medesimezza con sè stesso è infatti la  ragione della sua eterna esistenza. Dove non c’è variazione non c’è causa da ricercare. Poiché causa non è  che la ragion reale del cangiamento. Una variazione che  non procedesse in base a qualcosa di stabile è un assurdo.  Degli elementi non si dà quindi nè generazione nè corruzione alcuna. L’essere non è mai causa; le cause che  la scienza rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono la  uniformità e costanza del loro succedersi. Tanto l’essere  universale quanto la materia e la forza sono fuori della  catena causale. Nn sono per sè causa, si bene la ragione  della connessione stessa causale. E cosi l’essere non si  può porre quale ultimo anello della causalità. Tanto il  più remoto fenomeno immaginabile quanto il presente  presupponendo l’essere, il fare dell’essere. Un sistema dinamico non può mai per sè stesso originarsi da un sistema STATICO, come neminanco può a  questo passare. Sempre le forze si son misurate a vicenda, ed elementi di esse si son fatti equilibrio ed altri ànno  prodotto dei cangiamenti col lavoro meccanico; ed equilibrio e lavoro sono sempre stati necessari da una parte  per conservare i cangiamenti lenti concretatisi, ossia in  generale le forme durevoli, e d’altra parte per alimentare la vicissitudine o la vita nell’essere. Il voler dunque tro¬  vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso che  credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬  gere della coscienza a un dato momento nell'universo,  che il momento innanzi noi possiamo immaginare come  affatto privo di vita conscia, non è uua creazione assoluta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi della conoscenza dell’animo. Perchè quell’apparizione della vita conscia noi  non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi, nè di elementi v'è creazione, poiché essi esistono eterni. Pensare la combinazione come occasionata  dallo svolgersi delle variazioni non à nulla di sovrannaturale. Certo la coscienza nella sua natura generale  non à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni  realtà è applicabile soltanto ciò che s’è detta la ragione  dell’essere. Altra è però la questione della sua fenome¬  nologia- In questa come nella fenomenologia generale la  causalità à il suo regno. Se la coscienza al pensiero si  presenta come originata dal NULLA, gli è perchè le sue  cause, nella loro natura oggettiva materiale, non possono  in essa evidentemente comparire. Gli elementi di coscienza, o meglio le disposizioni alla coscienza nella realtà  inconscia sono ora come latenti o neutralizzate: una data  combinazione materiale ecco ne suscita la luce subitanea. Il sorgere del cangiamento in generale implicherebbe  invece una derogazione alla legge fondamentale dell’ANIMO; noi non lo possiamo in modo alcuno concepire, e la realtà empirica ci costringe ad ammettere il contrario. Il variabile non è per sè stesso intelligibile senza  un identico a sostrato. La identità dell’io come dà origine alla ragione logica cosi la dà a quella del cangiamento reale. Le diiferenze come tali non possono farsi  contenuto della coscienza. Per esserlo anno a venir riferite a una totalità identica. Ammesso che cangiamenti  potessero avvenire senza conseguire ad altri, verrebbe a mancare la connessione dei fenomeni secondo leggi costanti. Il concetto di natura perderebbe la sua unità e l’ONTOLOGIA con ciò ogni fondamento. Le leggi dell’animo si incontrano invece con quelle della realtà. È chiaro che come l’animo è la condizione inevitabile  della esperienza, e con ciò del nostro mondo fenomenico,  cosi le sue leggi o funzioni generali devono anche di  quello esser leggi a priori, o assolutamente valide indipendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie tuttavia che coteste leggi possano venir trovate, come vengono in realtà, consone alla natura propria delle cose, ossia  non imposte loro direi quasi arbitrariamente, perchè nelle  cose sono le stesse leggi quantunque impensate. Che anzi  in riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo alla unità sistematica dell’essere e dell’ontologia, potrà trovarsi  necessario di veder nelle leggi che la coscienza applica a priori alle cose nuli’altro che un riverbero o meglio  null’altro che l’espressione soggettiva delle determinazioni autonome della stessa realtà inconscia. Ponendo un principio del tempo reale e con ciò un  cominciamento delle causalità non si sfugge d’ altronde  alla domanda. E perchè non prima? Se il primo cangiamento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa? È vero che non si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma nemruanco si dice che qualche cosa l’abhia impedito di  nascere prima. Per questo, per quanto lo si allontani dal  presente, esso riesce sempre troppo vicino. Richiamarsi  alla originarietà dell'essere come fa Duliring, alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni  ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero non può mai ricevere completamente in  sè stesso, mai fondare in senso assoluto, ma soltanto ammettere come fatto, non è permesso quando intanto alla  stessa effettività della natura impensata dell’essere evidentemente si contraddice. Si contraddice, dico, poiché,  lasciando da parte l'analogia del pensiero che ammesso  il cangiamento non sa vedere come esso possa originarsi  in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà conoscenza  alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ogni cangiamento che apparentemente si presenta come  tale — il nuovo nell’evoluzione — noi lo riduciamo è  vero alle forze o forme, agli elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare. Ma il perchè della  loro manifestazione appunto in un tale momento e non  in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occasionai e in rapporto a quello. Ben possiamo invece richiamarci noi alla assoluta autonomia della realtà, che  nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi, quando  diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del  perchè quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia  già stato in passato o non abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo suo essere  Logik. il, Wiscnschaftsftheorsie, presente che della esistenza stessa universale : dacché  come questa non à inai avuta fuori di sè la ragione del  suo essere, così nemmanco il suo fare, il suo divenire interno.   In qualunque punto del tempo noi fissiamo l’essere,  non lo troviamo mai privo di determinazioni, perchè queste sono autonome; e dal suo stato in dato momento dipende ogni sua ulteriore evoluzione ; come però non c’ è  un momento in cui l’essere non sia, nemmanco ve n’è uno  in cui esso non abbia un suo stato determinato. E cosi  che del divenire v’ è sempre la ragione in un divenire  anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è tanto  poco un perchè quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che esiste è la ragione di ciò che esisterà ; in ciò  che à esistito la ragione di ciò che esiste. Nella origina¬  ria nebulosa è la ragione dell’attuale disposizione del sistema nostro solare, ed in altri processi cosmici ebbe  essa stessa la sua origine, i quali se la scienza non può  oggi rintracciare, non è però assolutamente impossibile  che un giorno ella trovi, e che ad ogni modo sono necessariamente avvenuti. Il cangiamento non à dunque avuto principio. Ed  ecco appunto dove sorgono specialmente gravi, e a molti  filosofi son parse insormontabili, le difficoltà del problema cosmologico del tempo. Si è sempre trovato, e  Cusanus, Opera, Complementura theologicum, Si  enim numerare possumus decem revolutiones praeteritas, et centum,  et mille, et omnes. Si quis dixerit non omnes esse numcrabiles, sed  practeriisse infinitas, et dixerit imam futuram revolutionem in futuro  anno, essent igitur tunc infinitae et una, quod est impossibile.  Bacone, Novum Organimi , odi/.. Fcllow, Ne-     Kant è il filosofo che più vi à attira’ o l'attenzione, che  ponendo la mancanza d’ogni principio nella serie regressiva delle cause, si viene conseguentemente ad ammettere che un’infinità di cause si sia esaurita, una infinità  di cangiamenti sia realmente tutta trascorsaci che contraddice al concetto di infinito, ed è quindi assurdo accettare. Non solo Kant, ma anche, tra gli altri, il più  acuto forse dei filosofi post-kantiani, Duliring (1) trova qui una insuperabile contraddizione, ed è stato da essa spinto a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia ad un dato punto cosi casualmente senza ragione  alcuna avuto un assoluto principio nell’essere, cosa evi-   quc.cogitari potest quomodo seternitas dofluxerit ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi consuerit. quod sit infinitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò possit; quia  inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius, atque ut consumetur infinitum et vergat ad finitum. Hobbes, il quale  dichiara insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema  cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel  passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito maggiore di un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a momenti diversi della serie temporale. Non sa però pensar l’infinito assoluto in modo razionale poiché crede di vincere quella supposta  contraddizione obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex co  quod numerorum parinm numerus sit infinitus, totidem esse conclu-  deretur numeros pares quod sunt simpliciter numeri, id est pares  et impares simul sumpti ». De corpore La impossiblità del “regressus in infinitum in causis efficienticibus” REGRESSUS IN INFINITUM -- e un principio riconosciuto della scolastica. È vero però che gli scolastici lo facevano ancor più che a dimostrare un principio del tempo, o, secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo Aristotele nella sua  dimostrazione del PRIMO MOTORE) la necessità di una prima causa assoluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo Idella “Metafisica” di Aristotele, secondo il quale non solo la serie delle cause nel passato, ma anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. Cursus der Philosophie, Logik. luoghi citati. dentemente assurda, e tanto più per chi come lui è sur  un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al contrario che la illimitatezza della serie regressiva dei cangiamenti si lascia senza contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente, assolutamente infinita. Dtlliring, non à compreso come l’infinito assoluto possa attribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi  alla infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’unico caso dove una tale applicazione sia necessaria, egli  à fatto invece quella ingiustificata della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me superata sta in questo, cui nessuno, per quanto io mi sappia, à mai badato sin’ora (I). I cangiamenti infiniti di cui si discorre non involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’ammettesse tacitamente un principio del cangiamento. Di  fatti altrimenti nell’assenza d’ ogni principio come si può dire. Ora, in questo momento si è esaurita uua serie infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque?  Si pensa con un tratto indefinito di tempo di avvicinarsi di più all’ infinito del passato, mentre in-   -- Questa soluzione è gù brevemente enunciata nella mia “Lettera  filosofica” a I Simirenko” (Torino, Roux). Schopenhauer, Parcrga u. Paralipomena: Wenn  cin erster Anfang nicht gewesen wure, so tornite die jetzige reale  Gegenwart nicht erst, jetzt seyn, sondern wiire schou liingst gewesen,  dcnn zwischen ihr und dem ersten Anfange miisscn mir irgend einen.  jedoch bestimmten und begriinzten Zeitraum annehmen, der min aber,  wenn wir den Anfung liiugnen, d. h. ihn ins Unendliclic hinaufruckén,  mit hinaufriickt, ecc. ecc. E vece noi ne rimangbiaino sempre alla medesima distanza.  Qualunque punto del tempo si scelga, anche milioni di  milioni di secoli addietro nel passato, noi siamo sempre tanto vicini lo stesso all’infinito di prima. Come noi  per quanto risalghiatno addietro non possiamo esaurire  l’infinito che fu, cosi non dobbiamo inavvertentemente  ammettere che l'essere sia ne’ suoi cangiamenti partito  da un punto per quanto distante da noi. Poiché in realtà  ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre avuti  dietro a sè una stessa infinità di altri. Non è che l’essere avendo dovuto compiere i cangiamenti in senso inverso di quello che noi tenghiamo nell’abbracciarli venga con ciò ad aver esaurito una infinità di variazioni. Il tempo nella sua durata bisogna considerarlo analogamente a una retta che in una direzione è assolutamente  infinita e nell’altra in ogni momento terminata, ma prolungabile a piacere all’infinito. Come non implica contraddizione far terminare a un punto una linea assolutamente infinita, cosi non la implica il passato assolutamente infinito che si termina nel presente e può prolungarsi senza limite nel futuro. L’errore di Kant e di Diiliring e di tanti altri sta  nel credere che posta la serie regressiva infinita si abbia con ciò una totalità infinita. L’infinito passato invece non è nè può essere un tutto, e non ammette quindi  alcuna determinazione numerica, pur contenendo in sè ogni  numero. Tale infinità non involge, come crede Diihring,  l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe Kant) serie infinita (“den Widerspruch einer abgezàblten unendlicher Zalilenreihe”). In qual modo potrebbe una tal serie esser contata? Non s’accorge Diihring che con ciò  egli ammette già quello che ei vorrebbe dimostrare, ossia un principio del tempo reale? In verità è quella  serie non contata, ma innumerata e innumcrabile, ciò  che detto di un infinito non inchiude punto contraddizione. Il moto non à principio nel tempo, e: sino a un  punto qualunque del tempo è trascorsa una infinita serie di cangiamenti — non si equivalgono esattamente. Con  è trascorsa si vorrebbe tacitamente porre come dato ciò  che è impossibile a darsi. Di fatti la contraddizione  scompare subito che si dice: la serie dei cangiamenti nel passato è infinita. É trascorsa sembra rinchiudere l’idea di un punto iniziale della serie, dove (die  i cangiamenti non si possono considerare un tutto o come serie completa senza contraddire al concetto di ogni  assenza di principio. Una infinità di cangiamenti, una infinità  di momenti del tempo non è trascorsa, sibbene l’infinito  trascorre sempre, e in ogni momento è esistita la serie dei  processi. La successione perpetua è appunto la forma  della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è trascorso si scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto, ponendo  in vece sua quello del finito, o almeno si combinano insieme due concetti incongruenti. Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è trascorsa o s’è esaurita nel  passato, noi raduniamo in un tutto ciò che per sua  natura non può mai venir radunato. Il concetto di infinito e quello di totalità sono incommensurabili.Una totalità è sempre raggiungibile con una sintesi successiva delle sue parti, non cosi l’infinito. Diciamo invece. Le serie dei cangiamenti del passato è infinita — quale  contraddizione nel pensare che ogni cangiamento avvenuto è stato preceduto da un altro? Dov’è qui l’assurdo  di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momento del tempo? I fenomeni per sè non suppongono se non  i fenomeni che immediatamente li precedono ; e come non c’è qui contraddizione, cosi per quanto noi ci trasportiamo addietro nel tempo, mai la troveremo. Come à fatto il tempo reale a giungere all’ora  presente dall’infinito? È potuto giungere dall’ infinito  perchè non è mai partito. Se fosse a un dato punto partito non sarebbe potuto giungere. E tanto concepibile l’infinito verso il quale tende la serie che quello dal  quale essa procede. Nell’un caso e nell’altro si deve solo  avvertire di non fare un insieme o un complesso di ciò che non è mai dato come tale, ossia un insieme in cui ogni momento dell’ infinito fosse anticipatamente compreso. Kant nella prima ANTINOMIA spiega dapprima egli stesso che l’infinità di una serie consiste nel non poter questa venir mai compiuta per mezzo di una sintesi successiva  e che il CONCETTO di fatalità non è altro che la rappresi) Schopenhauer crede di sciogliere il sofisma Kantiano  con un altro sofisma, distinguendo tra assenza di principio e infinità  del tempo. Schopenhauer cosi infatti obbietta alla tesi della prima ANTINOMIA. Uebrigens besteht das Sophisma darin, dass statt der Anfangslosigkeit der  Reihe der Zustànde, ivovon zuerst die Rede, plutzlich die Endlosigkeit  (Unendliclikeit) derselben untergeschoben und nun bewiesen wird, was  Xiemand bezweifelt, dass dieser das Vollendetsein logisch widerspreclie  und dennocb jede Gegenwart das Ende de Vergangenheit sei. Das Ende  einer anfangslosen Reilic làsst sich aber immer denken, oline ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich aneli umgekehrt der Anfang einer endlosen Reihe denken làsst. “Die Welt als Wille” ecc. “Kritik der reinen Venunft”, ed.  Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G  sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dunque anche secondo lui dovrebbe il concetto di totalità  non esser applicabile ad una serie infinita. Tuttavia per  dimostrare che le cose coesistenti non possono essere infinite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il concetto contradittorio di un tutto infinito. Ed à bel giuoco  nel rigettare quindi un tale assurdo. Ecco la sua dimostrazione . un tutto infinito per venir pensato tale dovrebbe  lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successive. Ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque  una totalità infinita di cose coesistenti non può considerarsi come data. Insomma dice Kant : una infinità  non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser  finita, dunque non può esser data; vien rigettato  l’infinito semplicemente perchè è altra cosa che il finito. Non l’nfinito per sè, solo l’infinito nel finito è realmente  un assurdo, poiché come tale dovrebbe esser necessaria¬  mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò con¬  tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma  quanto al temilo non c’è ragione di negarne la infinità ;  numerabili sono i processi da un punto a un altro della  serie, non la serie stessa in senso assoluto, perchè ella  non è mai data come un tutto,   Is eli infinito assoluto o transfinito che è proprio del  tempo, non abbiamo più veramente una grandezza ma  1 assenza di essa, poiché è data la necessità della man¬  canza di un limite nel regrèsso, ed una tale mancanza  è oggettivamente mallevata come nello schema spaziale  della mente essa lo è soggettivamente. La ragione della  infinità dello schema spaziale, come di quella della serie dei numeri sta nel soggetto ; la infinità invece della serie causale à la sua ragione nell’ oggetto o nella realtà  estramentale. E appunto solo nell’infinito del tempo passato che si lascia necessariamente attuare un significato  reale del transfinito. Poiché una simile illimitatezza assoluta è bensi anche dello spazio, ma soltanto dello spazio ideale o matematico, in quanto questo viene ogget-  tivato e lo possibilità che realmente è solo nella funzione  mentale vien naturalmente considerata come oggettiva e  per sé esistente indipendentemente da noi. L’infinità del  passato non à, come tale, determinazione alcuna quantitativa, non si lascia esprimere col numero ; in essa è  invece ogni numero e può porsi ogni determinazione rimanendo ella assolutamente indeterminata. Cosi la distanza di due punti nel tempo, per quanto grande la si  immagini, se si à riguardo alla sua relazione all’infinito  del tempo anteriore, non significa nulla per questo appunto che l’infinito assoluto essendo propriamente la  negazione di ogni grandezza nel grande non può venir  posto in relazione con altre grandezze. La nostra fan¬  tasia non può correre che all’ infinitamente grande del  passato. SOLO L’ANIMO ne intende la infinità assoluta.  Della seriedel tempo non possiamo ottenere una assurda totalità ; per padroneggiare quella bisogna uscire  dal cangiamento e volgersi al fondamento della infinità  temporale, ossia all’essere come presente in ogni momento e come fonte d’ogni possibile.   Meravigliarsi che la più grande grandezza immaginabile non sia più vicina all’infinito assoluto che la più  piccola, è analogo al meravigliarsi che la più ampia conoscenza dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in  sè che la conoscenza più limitata. Qui come là si tratta  di una differenza qualitativa che nou si lascia esaurire  pei aiiazioni di quantità. L’apparente paradosso che con una comunque grande grandezza non s’è mai più  vicini che con altra infinitamente minore al transfinito, riposa in questo, che le due grandezze vengono riferite  a quello senza mantenere di esso il giusto concetto, ma  consideiandolo invece come una quantità determinata;  nel qual caso sarebbe veramente un assurdo dire che da  esso disti ugualmente un dato punto e un altro che fosse  prima o dopo di questo. Come nel transfinito del passato  non c è assolutamente un termine, cosi esso non è raggiungibile in alcun modo; dunque tutte le grandezze  sono per riguardo ad esso insignificanti. Parimenti è un  assurdo credere di poter addizionare una unità al transfinito o trasfinito. Si può solo addizionarla al finito. L’accrescimento esisterà pertanto in riguai do ad un segmento finito di retta, ma non in riguardo alla retta stessa nella  sua infinità. In una retta infinita nelle due direzioni è  indifferente il far la divisione più in un punto che in un  altro da quello lontanissimo ; le due rette risultanti sono  sempre lo stesso transfinito e con ciò sempre uguali. Nella retta co’_a _b _m rx - A — Aoo e oo’B   ossia ( co’A-H AB ) — B oo uguale cioè (A oo — AB).  Si vede cosi contrariamente alla dottrina di Cantor. Dice Cantor. Zu einer unendlichen Zalil, wenn sie als  bestimmt und vollendet gedacht wird, selir «ohi cine endliche hinzu-  gelugt und mit ihr vereinigt werden kann, oline dass kierdurch eine  Aufhebung der letzeren bewirkt wird ; nur der umgekerte Vorgang, die  llinzufugung einer unendlicker Zahl zu einer en dlicbcn, wenn diese che oo-t-1 ( <> —J— 1 secondo la sua notazione) non è maggiore di <», nè 1-f-o è differente da essendo   co’A + A B = A B + oo. Non v’è infinito maggiore d'altro infinito: tanto sarebbe infinito il tempo ritroso se la  serie dei cangiamenti fosse terminata migliaia di secoli  fa, quanto se esso continui all’infinito a trascorrere an¬  cora. Il passato si può misurare tanto a minuti che a  secoli, e dirlo eguale, se fosse lecito così esprimersi, a  numero infinito di minuti o a uno infinito di secoli; non  pertanto sarebbe sempre lo stesso infinito nè più nè  meno. E la ragione di ciò è che la quantità transfinita  non è misurabile. La immensità supera ogni numero,  come direbbe Spinoza.   Nella infinita serie delle cause è da pensarsi un numero di esse (se tale può chiamarsi), maggiore di ogni  numero assegnabile ; oltre ogni raggiungibile anello la  natura ne offre costantemente altri ulteriori. Nella na¬  tura la contraddizione non può esistere ella non ef¬  fettua il passaggio che da un momento a un altro ; e  questo passaggio non può farsi attraverso l’infinito. Per  quanto noi risalghiamo all’indietro nella serie causale,  come non troviamo contraddizione pel pensiero, cosi non la troviamo nella realtà. Essa ci offre sempre e solo un   ziierst, gesetzt wird, bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne dass eine  Modification der ersteren eintritt. (Grundlagen ecc.); e più oltre: “Ist co die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so iiat man:  1+01=10, dagegen u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von co durchaus verschiedene Zahl ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes also alles an. Una tale inapplicabilità della LEGGE DI COMMUTAZIONE ai numeri transfiniti o trasfiniti dovrebbe per Cantor servire inoltre a dimostrare come tali numeri debbano poter essere e pari e dispari insieme o anche nè pari  nè dispari. . 5dato cangiamento e la sua causa. II fenomeno non richiede per la sua spiegazione la totalità della serie delle  cause anteriori, si bene soltanto la causa immediata¬  mente antecedente; e il principio di ragione domanda uni¬  camente la immediata condizione e non una totalità di  condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge suc¬  cessivamente alla causa della causa e cosi via all’infi.  nito, si viene a domandare costantemente una nuova con¬  dizione e questa è un nuovo membro della serie e niente  di più. Al tempo è essenziale la posizione in atto di un  solo momento.   Fatta astrazione dai cangiamenti, e supposto l’essere  affatto immoto in una rigida stabilità assoluta, noi lo  poniamo però sempre in qualunque punto del tempo ideale  che noi fissiamo ; la sua esistenza la poniamo cosi necessariamente infinita nel passato. Or come può nascere  la contraddizione se noi in uno qualunque di questi punti  pensiamo invece l’essere universale nel flusso del cangiamento? Assurda è la posizione di un tutto infinito,  quale non può qui esser dato, poiché la successione perpetua è la forma dell’infinito del tempo; noi abbiamo  qui una serie che in riguardo al nostro procedere a ritroso nel tempo da fenomeno a fenomeno è infinitamente  grande, e per sé è transfinita come la tangente dell’angolo di 90° -- Wundt è condotto a credere (Philos., Stadie. Kant’s kosmologichen Antinonien n. das Problem des Unendl.) che l’applicazione  de concetto di transfinito non sia possibile nel problema cosmologico  del tempo. Egli crede un tal concetto trascendente, che invece non è  e cosi gli viene a mancare un concetto che esprima la infinità oggettiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il concetto limite del     in.   Kant crede che la sua dottrina della idealità  del tempo e dello spazio o della transcendentalità in  generale, spiegasse la supposta antinomia del problema  cosmologico, e rendesse con ciò inutile e vana la ricerca  di una soluzione. Ma appartenga o no il tempo e lo  spazio al reale in sè, riman sempre tuttavia la questione  se questo, che Kant non può a meno di accettare, si  abbia a pensai’e come fondamento di un mondo fenomenico finito ovvero di uno infinito. Non vale rispondere  che la serie regressiva delle percezioni nostre non può  essere realmente infinita perchè come tale impossibile, e  neppure finita perchè nessun limite dei fenomeni può venir  concepito come assoluto, e dichiarare con ciò insolubile  la questione. Dacché l’oggetto trascendentale condiziona  realmente, come egli ammette un determinato regresso  empirico, per un esempio nell’ordine dei corpi celesti ;  doveva Kant pur ammettere che rimaneva sempre a ve-  regresso infinito (o a dir proprio infinitamente grande) non è già un  concetto trascendente della creazione quale dovrebbe, secondo il  Wundt, accettare ogni spiegazione filosofica della natura (v. Wundt,  “Ueber das Kosmolog. Problm, Yiertelsjahrszeitscb.); quel suo  concetto limite nuli’ altro è invece appunto die l’infinito assoluto  del tempo oggettivo, in base al quale è possibile il nostro infinito (infinitamente grande) regresso. Il non aver considerato l’eternità  del fare della natura, e specialmente il non aver badato die l’infinito regresso è in realtà per la natura un perpetuo progresso, il cui concetto non può venir altrimenti pensato che per via del transfinito,stata la causa per cui Wundt concepì il tempo passato  sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando in fondo col  Kant, come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui. (Ein  Beitrag zum Kosmol. Proli. Viertels. Kritik der reinen Vermnft.  dere se l’oggetto trascendentale determinasse un possibile  regresso finito od infinito (11. Perchè se per lui tuttii  processi compiutisi da tempo remotissimo ad ora non significano altro che la possibilità deirallungamento della  catena dell’esperienza dalla percezione attuale indietro  alle condizioni che la determinano nel tempo; pure egli,  per ciò che s’è sopra citato, non può negare che il possibile regresso delle nostre percezioni secondo le sogget¬  tive leggi della mente, non supponga un regresso ogget¬  tivo determinato dalla realtà inconscia indipendente¬  mente da ogni esperienza. Trasportati a indefinita  distanza dal nostro sistema solare, avremmo noi sempre  ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati indefinitamente addietro nel tempo vedremmo noi necessariamente  sempre nuovi cangiamenti? Poiché la nostra necessaria  produzione dello schema dello spazio e del tempo, non  potrebbe per sè far si che noi avessimo nuove percezioni  dove l’oggetto trascendentale non le condizionasse e si  mostrasse con ciò finito. Lo spazio e il tempo ideali non  sono per sè garanti di una corrispondente possibile PERCEZIONE. Non una necessità del nostro concetto a priori del  tempo, ma il principio di causalità richiede la infinità  della serie regressiva dei cangiamenti. Poiché non si  può conchiudere la mancanza di un principio del tempo -- Cfr. Schopenhauer, Parerga. Die wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm transcendentaien Gegenstand der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir mieli  nur Gegenstànde und in der vergangenen Zeit wicklich, sofern als  ich ecc.). Saranno però dunque sempre non null’altro, come dice Kant poco sotto, ma qualcosa di più della possibilità  dell’allungamento della catena dell’esperienza dalla presente percezione  indietro alle condizioni che la determinano nel tempo. ]da questo, che ogni limite è necessariamente da noi  pensato come relativo. La relazione di termine e terminante è infinita come quella di soggetto e oggetto ; perciò appunto vuota ; essa nulla può aggiungere al contenuto reale cui viene applicata. Come il pensiero dell’es¬  sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo il  reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della  cosa, allo stesso modo la relazione mentale di limite e  limitante non può evidentemente mettere nella realtà il  suo secondo termine se nella realtà non è dato. Questo  secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae da  ogni altra considerazione, un puro complemento ideale. Riehl non seppe neppur egli superare o scio¬  gliere la falsa contraddizione che Kant e Dtihring, per  non dir che di loro, credettero inchiusa nella concezione  di una serie regressiva infinita di cangiamenti. Visto  che la contraddizione stava nel concetto di una infinità  la quale quei filosofi avevano pensato necessariamente   [Hamilton il quale (“Lectures un Metaphysics”, lettura; On logic) segue Kant nelle antinomie, non giunge che a questo risultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello spazio,  che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una parte  nè dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere o  finiti o infiniti. (Cfr. del resto l’acume del Mill nella sua confutazione di Hamilton, La philosnphie de IL). Ho Spencer  poi, che à fatto la sua più alta educazione filosofica presso di Hamilton appunto e del suo scolare Mansel, professore di metafisica a OXFORD, seguendo il maestro dichiara questioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e dello  spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora. Egli  pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto, di  materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci lascino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, “First Principles”, la quale io stimo  certo l’opera più infelice del filosofo inglese. 54data come totalità, egli pensò di sfuggirla col negare  la numerabilità o la reale distinzione e indipendenza numerica nella catena delle cause e delle variazioni.  Numerabili, dice egli, sono le cose, non i processi. In  quanto le cose sono od appaiono spazialmente divise,  deve è vero valere ciò die il Duhring à formulato come  legge del numero determinato; ma altrettanto, séguita Kiehl, è certo che quella presupposizione non vale per i  processi temporali. Questi non sono, secondo lui, per sé  stessi distinti numericamente : è solo per la nostra distinzione mentale che essi ottengono una tale determina¬  tezza. Un argomento dunque che vale per il numero non  può senz’altro venir applicato al tempo, poiché mancano  in questo per sé considerato e non riferito allo spazio,  degli effettivi processi indipendenti, separati l’uno dal¬  l’altro, o posti insomma come numerabili. Noi possiamo  distinguere dei processi nel tempo soltanto in determi¬  nato numero finito, nessun processo è però indipendente  [Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus) inclinava dapprima decisamente a porre con Duhring un principio del cangiamento. Soltanto nella seconda parte del secondo tomo, tormentato dalla necessità del principio di causalità cangiò opinione (quantunque non lo abbia fatto notare egli stesso esplicitamente);  ma per uscire dalla presunta contraddizione dell’ infinito regresso,  pensò, al contrario di prima, i processi come assolutamente, e con ciò  assurdamente continui. Si vede del resto evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato  di parere, non ò nemmanco ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬  ria; poiché la tratta troppo brevemente e troppo alla larga, come se  gli scottasse di dover render più minuto conto di ragioni che a lui  stesso non possono parere troppo convincenti Ciononostante l'opera  sua e specialmente la seconda parte del secondo tomo è un lavoro  filosofico non solo di grande valore, ma anche molto attraente, il che  è una cosa assai rara.  1C  e distinto da quello che immediatamente lo precede o  segue. Rielil, non sapendo come uscire dalla supposta contraddizione à dunque rinunciato a concetti di  cui l’esatto pensiero scientifico non sa nè può lare a meno,  senza che ciò del resto gli abbia giovato per la elimi¬  nazione della temuta assurdità come più innanzi vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il tempo che  lo spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza  loro ideale ; cioè il loro schema mentale, e la loro esi¬  stenza reale. Non numerabile possiamo noi solo pensare  lo spazio ideale, lo spazio o l’estensione materiale dobbiamo invece necessariamente porla numerabile. Poiché  estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta  non può essere reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa  inchioderebbe la contraddizione dell’infinito compiuto nel  finito, chè senza parti è solo il continuo della rappresentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva è  non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, rinunciando a comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo  soltanto rilegare negli atomi sia dello spazio che del  tempo reali. I tropi degli Eleati non valgono meno contro il continuo del tempo che contro quello dello spazio;  non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in  una oscillazione, che contro il tempo in questa impiegato. In parti ultime non si può dividere il tempo nè  lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti nè si originano da una sintesi di parti, come in fatti non possono venire analiticamente scomposti in ultimi elementi  semplici, e sono conseguentemente l’uno e l’altro divisibili all’infinito ; ma non è cosi del tempo e dello spazio  leali, dove la natura viene necessariamente aH'atto. Dice Diehl che solo il nostro intelletto scompone  l’accadere temporale in singoli processi, e che questi solo  per ciò ci appaiono indipendenti, che partono da cose  spaziali e si trasmettono ad altre cose nello spazio. Un processo secondo lui può  aver indipendenza solo perchè vien riferito alle cose nello spazio e non al tempo unicamente. Ma è naturale  che tutti i processi siano nel mondo materiale (e non  vengano soltanto da noi) schematizzati per dir cosi nello  spazio, poiché essi non sono altro che cangiamenti della  realtà spaziale, e unicamente i processi della coscienza  in sè considerati possono venir riferiti al tempo come tale senza riguardo allo spazio. Difatti non pensa ora Rielil che sia concepibile una materia assolutamente  continua come lo spazio mentale, ossia non costituita  da atomi ? Anche  della materia allora si dovrebbe dire che gli elementi  distinti solo la nostra mente li pone. Come può egli dunque affermare ripetutamente che soltanto la riferenza dei  processi temporali allo spazio ci faccia considerar questi  come distinti e per sè numerabili? Voler negare la numerabilità nel tempo reale o ne’ suoi processi dovrebbe  al contrario anche secondo il Riehl esser lo stesso che  negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli aggruppamenti durevoli degli atomi.   Ogni grandezza nella realtà à parti elementari, non  esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di cangiamento è  una somma di successivi cangiamenti minimali. Ma il  pensiero come per istinto sembra rifuggire dalla concezione dell’atomo o minimo temporale, perchè colla determinatezza scompare quel che di vago e di nebuloso  E ir, rdie altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e per  cui la mente non avverte o avverte assai meno la inin¬  telligibilità di quello. Colla posizione dell'atomo o minimo,  la natura non più oltre scrutabile del tempo si affaccia  bruscamente all’intelletto. Il tempo come rappresentazione rimane naturalmente strettamente continuo pur essendo discreti i processi reali, cliè la sua continuità assoluta ideale è una proprietà necessaria dipendente dalla  natura della coscienza, la quale tra due processi per  quanto infinitamente vicini interpola pur sempre la sua  unità. Non c’è un minimo concettuale del tempo come  c’è invece e si richiede il minimo reale. I n minimo nella  rappresentazione del tempo sarebbe un punto inesteso, e  considerarlo come elemento della durata tanto varrebbe  quanto rendere impossibile il concetto di questa.   Non deve più urtarci l’accettar gli atomi, o meglio  la concessione atomistica, per la materia, che accettarla  in riguardo alla forza e al cangiamento. Non crediamo  siano più intelligibili gli elementi materiali che quelli  del divenire. La facoltà nostra mentale di pensare gli Lo Schopenhauer trattando nella quadruplice radice del principio di ragione del tempo del cangiamento, mette in piena  e con ciò stridentissima luce il concetto ch’egli à della continuità  assoluta del tempo, quale egli trova acutamente espresso presso Aristotele. “ Come tra due punti v’ è ancor sempre una linea, dice egli,  così tra due ora vi è ancor sempre del tempo. È questo il tempo del  cangiamento ; esso è come ogni tempo divisibile all’ infinito e per conseguenza il cangiamento percorre in esso un numero infinito di gradi  per i quali dal primo stato nasce a poco a poco il secondo. Egli  conchiude con Aristotele dalla infinita divisibilità del tempo, che ogni  contenuto di esso e con ciò ogni cangiamento, o il passaggio da uno  stato all’altro deve essere infinitamente divisibile, e che dunque tutto-  ciò che diviene s’origina in fatti da punti infiniti.  atomi come ulteriormente divisibili vale per tutti e due  gli ordini senza diminuire perciò la necessità che à la  mente di ammetterli. Quel sentimento direi quasi di disagio  clic par darci questa necessità, non è in fondo che ca¬  gionato da quella nostra come ripugnanza a riconoscere  che l’analisi mentale della realtà deve a un dato punto  arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad elementi  i quali non sono più oltre scomponibili, altrimenti il  reale potrebbe sciogliersi nel pensiero.La divisibilità ideale  non porta con sè una reale divisione. Solo il tempo ideale  può venir diviso a piacere all' infinito, e non à quindi  elementi numerabili, ma il tempo reale col suo vario contenuto fenomenico è di sua natura numerabile; quantunque noi, come ci accade per gli atomi della materia, non  arriviamo direttamente a’ suoi elementi. Non meno delle  cose o degli elementi delle cose sono anche i processi numericamente distinti. E se in astratto la grandezza non  à divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir  esattamente concepita che come risultante di una immediata ripetizione numerica d’uno stesso identico. L’assenza  di elementi reali è solo nel nostro pensiero che può a-  strarre da ogni divisione nel considerare una grandezza,  ed è pienamente libero di dividerla o accrescerla all’ infinito, allo stesso modo che esso procede co’ numeri. Tanto la natura che il pensiero ànno del resto la possibilità dell’infinito accrescere e interpolare ; ma ne’ loro  prodotti non possono dare che il determinato : l’infinito  si riferisce solo al loro operare, non al loro operato. Il concetto del continuo assoluto applicato al tempo  reale sarebbe del resto affatto inutile anche quando fosse giustificato. Poiché empiricamente un tal continuo noi  non lo incontreremmo mai. Il fatto che noi della sintesi  della natura (come dice Diihring in qualche luogo della “Dialettica”), non abbiamo altro che rappresentazioni di  effettività, non ci dà il diritto di fare delle possibilità  del nostro pensiero la misura della realtà. Come in sé  sia fatto il passaggio da un punto del tempo all’ altro,  non può venir inteso. Tanto varrebbe domandare perché  esiste il tempo o magari l’essere stesso nella sua -effettiva natura Voler ancora spiegare gli elementi del tempo è uno sconoscere la natura del pensiero ; noi non li  possiamo ridurre ad altro perchè il tempo non è un prodotto della mente, è condizione anzi dell’esperienza, e  non à una natura puramente logica. Il passaggio è una  determinazione della realtà che noi non possiamo che  riflettere. Sarebbe lo stesso voler spiegare gli atomi della  materia; noi non possiamo che ammetterli o riconoscerli;  una pretesa spiegazione di essi è assurda poiché il pensiero non è tutta la realtà, ma vien confinato da qualcosa  che se pò dare ad esso un contenuto formale, non può  però dare il suo essere. Da un grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio in quanto il cangia¬  mento stesso ci si mostra come fatto compiuto. Noi  non dobbiamo quindi illuderci col concetto misterioso del  continuo assoluto di penetrare più addentro nel fare della  natura, nel divenire dei fenomeni. Noi non possiamo mai  altro che constatare gli avvenuti cangiamenti, nuH’altro  possiamo. E cosi in realtà non conosciamo come il cangiamento, ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando ora alla soluzione di Riehl, nemmanco col fare la serie dei cangiamenti assolutamente continua  sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta contraddizione dell’infinito compiuto od esaurito. E 1' errore suo si fa più stridente e palese quando egli sostiene che la infinità del tempo si mostrerebbe esaurita  se si dovesse pensare ad un suo fine nel futuro. Ei  crede che solo in tal caso, per evitare la contraddizione, si dovrebbe ammettere un principio assoluto del  tempo. E così fa dipendere, cosa enorme, la infinità del  regresso dalla infinità del progresso nel futuro. Ma la fine  del tempo non è invece punto contradditoria. É questa  una questione di natura empirica; e cosi secondo lui non  dovrebbe esser allora inconcepibile e contraddittorio neppure un principio del tempo. Il tempo reale, ove fossero  date le condizioni di un equilibrio universale, potrebbe  finire ad ogni momento senza assurdità alcuna. Poiché  ad ogni modo nella natura ogni fine non è della serie  infinita ma dell’ultimo cangiamento. Del resto, sia pure,  ammettiamo che i processi non siano per sé distinti e  numerabili, ma siano invece assolutamente continui. Dice Riehl che le oscillazioni di un pendolo sono  senza dubbio determinate numericamente (id. Ili, 309). Ora come risponderebbe egli alla domanda — nè vi può  in modo alcuno sfuggire — se si debba pensare che insieme sommate le oscillazioni dei pendoli che possono  dall’eternità esser mai esistiti in infiniti mondi, possano  venir compresi da un numero finito ? E se no sotto quale  concetto una tale somma o regola di somma dovrà venir  pensata? A ciò non à egli risposta.  E più ancora come risponde Riehl a quest’altra, la domanda. Il numero delle terre dall'eternità ad ora nate e morte è egli infinito o finito ? Poiché qui manifestamente  abbiamo delle esistenze separate, indipendenti, numerabili  anche secondo lui. L’unica giusta risposta è che un tal  numero è necessarianente infinito, o, propriamente, transfinito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è contraddittorio, sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti (dato che le moderne teorie cosmiche  siano, come pare, inevitabili) abbia gradatamente avuto  nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo cangiamento, nemmanco vi fu una prima terra. Il concetto dell’infinito assoluto o transfinito è applicabile solo alla serie regressiva dei cangiamenti, non  alla progressiva. La natura di questa consistendo appunto nel crescere suo continuo verso il futuro non può  cadere, se infinita, che sotto il concetto dell’infinitamenfe  grande. Poiché in nessun punto iminaginabi'e del futuro  non si sarà compiuta, a partire da un punto qualunque  del tempo precedente, una infinità assoluta di cangiamenti. E ciò che si avrà sarà solo la continua possibilità  di sempre nuove mutazioni. La questione però se realmente nella natura dell’essere sia la disposizione a qnes'.o infinito futuro è affatto empirica, non essendoci, come s’è visto sopra, alcuna difficoltà che a priori ci impedisca di pensare possibile un termine d’ogni cangiamento in un qualunque momento avvenire. Il concetto del tempo per sé non ci dà alcuna soluzione; la questione  è puramente di fatto. La soggettiva possibile anzi necessaria illimatezza dello schema spaziale non porta seco  necessariamente un infinito riscontro nella esistenza materiale oggettiva. Allo stesso modo neppure la illimitatezza del tempo ideale porta con sè quella del tempo  reale ossia una serie infinita di reali cangiamenti. Essa  non ci impedisce in modo alcuno di considerare come possibile un limite del mondo nel tempo. Se noi siamo sforzati di pensare ad un tempo vuoto non è però il pensiero  di esso che gli dà un contenuto reale in ogni suo momento. Essendo che per sè stesso la vuota durata tanto è  del reale come del nulla ; sebbene la durata non rimane  mai nel nostro pensiero priva adatto di contenuto, in quanto la permanenza dell’essere, indipendentemente dallo svolgersi o no esso in fenomeni, non può mai mancare di  farle riscontro. Ed è in questo una grandissima differenza tra la rappresentazione dello spazio e quella del  tempo. Mentre a niun punto arbitrario del tempo viene  a mancare il contenuto materiale, non così necessaria¬  mente ad ogni punto dello spazio. A parte i cangiamenti  in cui l’universo si svolge è evidente che non può ad.  esso venir applicato il concetto di una determinata durata. Come esso è sempre quello che è, cosi il tempo non  à a suo riguardo significato alcuno. In un qualunque  momento inesteso del tempo 1’ essere è completo, è  tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà. Se dunque nel futuro venisse realmente a mancare ogni mutazione nell’essere, questo potrebbe solo impropriamente  venir considerato come nel tempo; la durata dal punto  in cui il cangiamento sarebbe cessato à soltanto senso  perchè noi la immaginiamo misurata da quella piena di  cangiamenti della nostra coscienza.  Intanto la meccanica non ammette assolutamente la possibilità del passaggio di un sistema da uno stato dinamico ad uno statico. E cosi il tempo futuro è indubbiamente infinito nel senso di una progressione senza  fine – V. anche le considerazioni di Sleyer, “Mechanick iter l Verme”. Tra le due infinità del passato e del futuro sta il momento presente, il quale inchiude la realtà eterna,  la realtà che fu e che sarà. La pienezza dell’essere non  ci sfugge come parrebbe a considerarlo nella infinita sua  fenomenologia. L’essere è sempre tutto presente, non c’ è  elemento di cui possa dirsi che sia stato o che abbia a  originarsi. Certamente l’interesse nostro va al suo svolgersi ne’ cangiamenti per cui solo ci si svela la sua na¬  tura e per cui solo noi ci commoviamo e viviamo. Che  per la coscienza l’essere immoto in una rigida inerzia  non avrebbe valore alcuno. Tuttavia la infinita possibilità del cangiamento è tutta nell’essere in un qualunque  punto matematico del tempo. E cosi T importanza del  tempo finito non si perde di contro alla infinità passata  e futura del processso: ogni momento del tempo ci  dà l’essere sub specie aeternitacis, nè altra mai è stata  la esistenza della realtà che quella del momento.  Solo in questa considerazione della permanenza  eterna del reale possiamo noi comprenderne la infondata e infondabile natura sistematica. Lo sguardo alla incessante evoluzione può troppo facilmente far considerare le interne determinazioni dell’ essere come transitorie. Che l’evoluzione sia tale quale noi l’andiamo scoprendo non è altrimenti a intendersi. Giova quindi, per  la concezione universale dell’esistenza, oltre che aver  riguardo allo svolgimento di un sistema parziale nel  tempo considerare gli altri sistemi parziali del cosmo  nel loro coesistente diverso grado di svolgimento, per  cui si lascia forse quasi pensare come in ogni momento  attuata nello spazio la evoluzione temporale dei singoli  mondi. Nello spazio e nel tempo, da cosa a cosa, da processo  a processo, per il filo della causalità materiale spiega  l’essere la sua unità. Alla necessaria necessità logica rispondi la effettiva unità materiale della esistenza. L’unità dello spazio e del tempo nella rappresentazione non  basterebbero per sè a escludere una radicale disparità  nel reale. Se lo spazio e il tempo fossero puramente  forme ideali nascerebbe il problema del come la realtà  non possa dare origine a duplicità di sorta. E la questione si scioglie solo in quanto si riconosce che l’unità  stessa del reale è che crea quella dello spazio e del  tempo. Le proprietà dello spazio sono esse stesse di na¬  tura meccanica, nè altrimenti potrebbero le leggi della  natura esprimersi in relazioni di spazio ; nelle necessità  spaziali è la logica immanente delle forze della natura. Due spazi differenti sono un assurdo non solo avuto  riguardo al pensiero, ma anche in riguardo alla oggettiva realtà materiale. Il pensiero per sè non trova alcun  impedimento a riunire ogni spazio in uno spazio unico  nel vuoto schema spaziale e non può trovar quindi ragione di considerarlo come disuniforme. Nella realtà poi  la pluralità degli spazi vorrebbe dire pluralità di  esseri. Ora una tale pluralità non solo non può mai  venir oggetto del nostro pensiero e per noi non può quindi   assolutamente esistere, ma è dalla realtà smentita, perchè anche l’esperienza colla omogeneità universale della  materia mostra esser l’essere uno. Le posizioni delle  distanze nello spazio reale non sono che rapporti di  forza. Ogni elemento dell’ esistenza materiale è quindi  nello stesso unico spazio. Non esistendo cosi elemento alcuno fuori d’ogni relazione cogli altri. Analogamente è del tempo reale ; la sua unità suppone quella  dello spazio materiale e dipende insieme dalla universalità del cangiamento. Per la natura radicalmente omogenea delle cose e per la temporalità d’ogni cangiamento  è uno anche il tempo oggettivo. E cosi che i principii meccanici si estendono presumibilmente e con sempre maggior certezza ad ogni massa  dell’universo, a ogni sistema di stelle fisse e gruppo di sistemi. Poiché la base dell’esistenza è di natura meccanica. Solo la sensazione come tale o il campo della coscienza ne resta fuori e riceve dalla spiegazione meccanica una eterogenea sebbene costante e parallela illustrazione. L’unità dell’essere non à riscontro in una fantasticata e contraddittoria unità cosciente universale; rifrange invece per dir cosi la sua unità in quella di molteplici  coscienze individuali. L’unità oggettiva estramentale e la  unità della coscienza: due abissi del pari inscrutabili ma  rispondentisi. Albana e all’altra sta a base e direi quasi  a tergo quella che noi non possiamo concepire che col  concetto formale di ragione o di fondamento unitivo e  subfenomenico dei due fatti. Non è meno inscrutabile  l’una unità dell’altra, sebbene quella della coscienza implica per sé quella materiale oggettiva. Infatti che cosà  di meno oltre analizzabile dell’unità radicale che con la  mutazione si appalesa esistere negli elementi dell’essere? Come spiegare la effettiva comunione delle sostanze, il  fatto che lo stalo di un atomo porti seco un dato altro  stato di un altro? Queste riflessioni ci richiamano alla  infondata originarietà delle cose, e alla natura per così  dire superficiale della conoscenza e del pensiero. Quelli  sono resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già per difetto del nostro istrumento, ma per la necessaria natura stessa del conoscere, chè altrimenti la realtà dovrebbe cessare di esistere come distinta dal pensiero. La  analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non anno  però bisogno d’esser limiti della conoscenza nel modo in  cui falsamente per lo più vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di contro a una sia pur solo logicamente possibile conoscenza superiore. Come non è incondizionatamente applicabile al reale  il principio di ragione, tanto meno lo sono altri concetti  essenzialmente relativi quali quelli di grandezza e di  scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente per  ciò stesso determinazione alcuna quantitativa; se finito  è vero però che in relazione ad una sua parte esso à  una grandezza determinata, sebbene nell’estenzione variabile da un momento all’altro. E che possiamo quindi  dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente  superiore alla sua ; che anzi possiamo anche considerarlo  infinitamente piccolo in relazione all’infinito assoluto dello  spazio ideale. Ma in sè non si potrebbe dirlo propriamente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso non vi  è nulla che possa darci una unità di misura. E del pari  è affatto relativo il concetto di durata e inapplicabile  perciò in modo incondizionato all’essere. Questo non  dura nè tanto nè poco; e la ragione di ciò è che esso  non è nel tempo. Considerando però la serie dei cangiamenti, al contrario di quanto ci accade per lo spazio,  lo schema ideale del tempo riceve necessariamente un  contenuto reale perfettamente corrispondente. E sciogliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi è  parsa sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto  che come per mezzo del tempo si fa possibile il cangia¬  mento, il quale altrimenti sarebbe contraddittorio, cosi  per il cangiamento trova una necessaria applicazione alla  realtà oggettiva l’infinito assoluto o trans-finito. Mario Novaro. Novaro. Keywords: implicatura ligure, ‘la riviera ligure’, Grice echoing Kant, echo, implicature ecoica, Strawson’s ditto-theory of truth, Strawson’s echoic theory of truth, Skinner on echo – ecoico, eco, implicature ecoica, infinito, Lucrezio – Luigi Speranza, “Grice e Novaro” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Riviera Ligure.

 

Grice e Novato: il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Seneca’s brother. He was adopted by Lucio Giunio Gallio. Seneca dedicates two of his philosophical dialogues to him. Seneca’s exhortations suggest that if Novato was not a follower of the Porch, he was a the very least a sympathiser.  Lucio Anneo Novato. Novato.

 

Grice e Numa: l’implicatura conversazionale e la logica del regno – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza  (Etruria) The second king of Rome. A book was discovered. It wasn’t written by Numa, but the Romans said it was. It was very philosophical. The Roman senate ordered that it should be burned. It was! But most Italians can recite by heart all the indiscriminate teachings it contained. The big polemic came from Cicero. He didn’t want Roman philosophy to have a start other than in Rome, so he denied the school of Crotone and much more any Etrurian influence via Numa. Still…  Numa Pompilio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.Pompilio Numa Pompilio dal Promptuarii Iconum Insigniorum di Guillaume Rouillé 2º Re di Roma PredecessoreRomolo SuccessoreTullo Ostilio NascitaCures DinastiaRe latino-sabini ConiugeTazia Figli Pompilia Numa Pompilio, Cures Sabini, -- è stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò 42 anni. Numa Pompilio, di origine sabina, per la tradizione e la mitologia romana, tramandataci grazie soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrive anche una biografia, era noto per la sua pietà religiosa  e regna dal 715 a.C. fino alla sua morte, ottantenne, dopo quarantatré anni di regno, succedendo, come re di Roma, a Romolo. Numa e un re pio, e in tutto il suo regno non combatté nemmeno una guerra. L'incoronazione di Numa non avvenne immediatamente dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo, i senatori governarono Roma a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità di governo, dopo un anno, i senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re. La scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori romani che proponevano il senatore Proculo ed i senatori sabini che proponevano il senatore Velesio. Per trovare un accordo si decise che i senatori romani avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, che abita nella a Cures ed era sposato con Tazia, figlia di Tito Tazio. Sembra che Numa fosse nato nello stesso giorno in cui Romolo fondò Roma. Numa, concittadino di Tazio, e noto a Roma come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine, tanto da meritare l'appellativo di ‘pio.’  I Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome. Furono dunque inviati a Cures Proculo e Velesio, i due senatori più influenti rispettivamente fra i Romani ed i Sabini, per offrirgli il regno. Inizialmente contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei costumi di Roma, Numa vi acconsente solo dopo aver preso gl’auspici degli dei, che gli si dimostrarono favorevoli. Numa fu quindi eletto re per acclamazione da parte del popolo. La leggenda afferma che il progetto di riforma politica e religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale, ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al punto da renderlo suo sposo. A Numa viene attribuito il merito di aver creato una serie di riforme tese a consolidare le istituzioni di Roma, prime tra tutti e quelle religiose, raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae, che andarono perduti nel sacco gallico di Roma. Sulla base di queste norme di carattere religioso, i culti cittadini erano amministrati da otto ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici. Numa stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e le tradizioni dei Romani per eliminare le divisioni e le tensioni, riducendo l'importanza delle tribù e creando nuove associazioni basate sui mestieri. Appena divenuto re nomina, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio Quirino, gli dei più importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui diede precise regole ed istruzioni. Numa proibe ai Romani di venerare immagini divine a forma umana e animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con tali immagini. Durante il regno di Numa non furono costruite statue raffiguranti gli dei. Istituì il collegio sacerdotale dei Pontefici, presieduti dal Pontefice Massimo, carica che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito di vigilare sulle vestal, sulla moralità pubblica e privata e sull'applicazione di tutte le prescrizioni di carattere sacro. Istituì poi il collegio delle vergini Vestali assegnando a queste uno stipendio e la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro della città. Le prime furono Gegania, Verenia, Canuleia e Tarpeia. Anco Marzio ne aggiunse altre due. Istituì anche il collegio dei Feziali, i guardiani della pace, che erano magistrati-sacerdoti con il compito di tentare di appianare i conflitti e di proporre la guerra una volta esauriti tutti gli sforzi diplomatici. Nell'ottavo anno del suo regno istituì il collegio dei salii, sacerdoti che avevano il compito di separare il tempo di pace e di guerra -- per i romani il periodo per le guerre anda da marzo ad ottobre. Era, questa funzione, molto importante per gli abitanti di Roma, perché sanciva, nel corso dell'anno, il passaggio dallo stato di cives -- cittadini soggetti all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive -- a milites -- militari soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e dediti alle esercitazioni militari -- e viceversa per tutti gli uomini in grado di combattere. Numa migliora anche le condizioni di vita degli schiavi, per esempio permettendo loro di partecipare alle feste in onore di Saturno, i Saturnalia assieme ai loro padroni. La tradizione romana rimanda a Numa Pompilio la definizione dei confini tra le proprietà dei privati, e tra queste e la proprietà pubblica indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica dei confini a Jupiter Terminalis, e l'istituzione della festività dei Terminalia. Nel Foro, fa costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece costruire la Regia e lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le cui porte potevano essere chiuse solo in tempo di pace -- e rimasero chiuse per tutti i quarantatré anni del suo regno -- Secondo Marco Verrio Flacco, riportato da Sesto Pompeo Festo, il re Numa, ordinando la costruzione del tempio di Vesta, volle che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè della stessa forma del mondo, in quanto Numa e un convinto sostenitore della sfericità della terra, tesi dunque evidentemente già in voga in quei lontani tempi. Secondo Dionigi di Alicarnasso, il re Numa poi incluse a Roma il Quirinale, anche se questo a quell'epoca non era ancora cinto da mura. A Numa e ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355 giorni -- secondo Livio invece lo divise in 10 mesi, mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo -- con l'aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo dicembre. L'anno iniziava con il mese di marzo. Da notare la persistenza dei nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre. Il calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e ne-fasti, durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re N. segue i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste decisioni. Atque omnium primum ad cursus lunae in duodecim menses discribit annum; quem quia tricenos dies singulis mensibus luna non explet, desuntque sex dies solido anno qui solstitiali circumagitur orbe, intercalariis mensibus interponendis ita dispensavit, ut vicesimo anno ad metam eandem solis unde orsi essent, plenis omnium annorum spatiis, dies congruerent. Idem nefastos dies fastosque fecit, quia aliquando nihil cum populo agi utile futurum erat. Anzitutto divise l'anno in dodici mesi secondo il corso della luna, ma poiché i mesi lunari non arrivano a trenta giorni, e complessivamente mancano alcuni giorni per fare l'anno intero, che corrisponde al giro del sole, inserì nel calendario dei mesi intercalari, ordinandoli in modo che ogni venti anni i giorni concordavano, tornando allo stesso punto dell'orbita solare donde era partito il ciclo ventennale del calendario. Egli fissò pure i giorni fasti e nefasti, ritenendo cosa utile che in qualche giorno non si potessero discutere le questioni politiche davanti al popolo. (Livio, Ab Urbe condita)  L'anno così suddiviso da N., non coincideva però con il ciclo lunare, per cui ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze politiche. Floro racconta che Numa insegna i sacrifici, le cerimonie ed il culto del sacro ai Romani. Crea anche i pontefici, gli auguri ed i salii. La tradizione vuole che Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la festa di Quirino e la festa di Marte. La festa di Quirino si celebra a febbraio. La festa dedicata a Marte si celebra a marzo, e venne officiata dai salii. Numa partecipa di persona a tutte le feste religiose, durante le quali e proibito lavorare.  A queste riforme di carattere religioso corrispose anche un periodo di prosperità e di pace che permitte a Roma di crescere e rafforzarsi, tanto che durante tutto il regno di Numa le porte del tempio di Giano non furono mai aperte. Numa muore ottantenne e non di morte improvvisa, ma consunto dagl’anni (per malattia secondo Livio), quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, ha solo cinque anni, circondato dall'affetto dei romani, grati anche per il lungo periodo di prosperità e pace di cui avevano goduto. Alla processione funebre parteciparono anche molti rappresentanti dei popoli vicini ed il suo corpo non fu bruciato, ma seppellito insieme ai suoi libri in un mausoleo sul Gianicolo. Dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua saggezza fornire un saldo equilibrio alla nascente città. Durante il consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, due contadini ritrovarono il luogo della sua sepoltura, contenente sette libri in latino di diritto pontificale, ed altrettanti di filosofia. Per decreto del senato, i primi furono conservati con cura. I secondi furono pubblicamente bruciati. Il senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia Pompilia, si candida alla successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si lascia morire di fame per la delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio e nato Anco Marzio che diverrà re dopo Tullo Ostilio. Alcune fonti raccontano di un secondo matrimonio di Numa Pompilio con una certa Lucrezia da cui sarebbero nati quattro figli: Pompone, Pino, Calpo e Memerco dai quali avrebbero avuto origine le casate romane dei Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci. L’esistenza di Numa Pompilio, come accade per quella di Romolo, è discussa. Per alcuni studiosi la sua figura sarebbe principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo, teso a creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla guerra e ai disordini, diametralmente opposto al suo predecessore, il re guerriero Romolo. L'origine stessa del nome (secondo alcuni Numa viene da Nómos = "legge" e Pompilio da pompé = "abito sacerdotale") indicherebbe l'idealizzazione della sua figura. Strabone, Geografia, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, Livio: Ab Urbe condita. Qui cum descendere ad animos sine aliquo commento miraculi non posset, simulat sibi cum dea Egeria congressus nocturnos esse; eius se monitu quae acceptissima dis essent sacra instituere, sacerdotes suos cuique deorum praeficere. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum, Tacito, Annali, Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Sesto Pompeo Festo, De verborum significatione. Budapest, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Plutarco, Vite Parallele: Licurgo e Numa; Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium Plutarco, Vita di Numa Antonio Brancati, Civiltà a confronto, Vol. I, Firenze, La Nuova Italia, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. Eutropio, Breviarium historiae romanae (testo latino), I . Livio, Ab Urbe condita libri (testo latino) ; Periochae (testo latino) . Plutarco, Vita di Numa. Fonti storiografiche moderne A.A. V.V., Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Roma in Italia, vol.13, Milano, Einaudi, 2008. Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, Bologna, Pàtron, 1997. Andrea Carandini, Roma il primo giorno, Roma-Bari, Laterza, 2007. Emilio Gabba, Dionigi e la storia di Roma arcaica, Bari, Edipuglia, 1996. (EN) Philip Matyszak, Chronicle of the roman republic: the rulers of ancient Rome from Romulus to Augustus, Londra & New York, Thames and Hudson, Mommsen, Storia di Roma antica, Firenze, Sansoni, 1972. Massimo Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, Milano, Rusconi, Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano, Il Saggiatore, Howard H. Scullard, Storia del mondo romano, Milano, Rizzoli, Voci correlate Gens Pompilia Gentes originarie Età regia di Roma Rex (storia romana) Lex regia Flamini Salii Pontefice (storia romana) Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Numa Pompilio Collegamenti esterni Numa Pompìlio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Gaetano De Sanctis., NUMA POMPILIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935. Modifica su Wikidata Numa Pompilio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Numa Pompìlio, su sapere.it, De Agostini. Numa Pompilius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Numa Pompilio, su Goodreads. PredecessoreRe di RomaSuccessoreRomolo a.C.Tullo Ostilio V · D · M Storia romana V · D · M Plutarco  Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Mitologia Categorie: Sovrani dell'VIII secolo a.C.Sovrani del VII secolo a.C.Romani Nati a Cures SabiniPersonaggi della mitologia romanaRe di RomaOracoli classici[altre] Cassius Hemina, vetustus auctor annalium, in quarto libro tradit Cneum Terentium scribam in Ianiculo effodisse arcam, in qua Numa, qui Romae regnaverat, sepultus erat. Addit etiam in arca repertos esse libros a rege Numa scriptos quingentis et triginta annis ante. Fuisse e charta Numae libros Cassius etiam scribit, refertos multis rebus obscuris. Cassius etiam tradit libros in arca integros repertos esse magno cum stupore omnium et a scriba senatui portatos esse. Quoniam omnes notabant libros, in terra infossos, permansisse integros, Cassius Hemina ipse suam rationem praebebat: dicebat enim eos libros in arca sub lapide quadrato positos esse et propter hoc integros mansisse; praeterea, quod libri citrati fuerant magna cum cura, tineae illos non tetigerant. Tamen, lectis libris, multa scripta inventa sunt de Pythagorica philosophia et propter hoc a praetore ussi sunt. Hoc idem tradit Piso quoque in libro primo commentariorum suorum, sed libros VII iuris pontificii, totidem Pythagoricos fuisse narrat. Valerius Antias autem in opera sua etiam senatus consultum tradit quo eos uri iussum est. Cassio Emina, antico autore di annali, nel quarto libro tramanda che lo scrivano Gneo Terenzio avesse disseppellito nel Gianicolo il sarcofago, nel quale Numa, che aveva regnato a Roma, era stato sepolto.  Aggiunge inoltre che nel sarcofago erano stati trovati i libri scritti dal re Numa cinquecentotrenta anni prima.  Cassio scrive anche che i libri di Numa erano di carta, pieni di molte cose misteriose.  Cassio tramanda anche che i libri nel sarcofago fossero stati trovati integri con grande stupore di tutti e che fossero stati portati dallo scrivano al senato.  Poiché tutti notavano che i libri, sepolti sotto terra, erano rimasti integri, Cassio Emina stesso fornisce la sua spiegazione.  Dice, in effetti, che questi libri erano stati posti nel sarcofago sotto una pietra quadrata e per questo erano rimasti integri.  Inoltre, poiché i libri erano stati cosparsi con grande cura di olio di cedro, i tarli non li avevano toccati.  Tuttavia, letti i libri, furono trovati molti scritti sulla filosofia pitagorica e per questo furono bruciati dal pretore.  Questa stessa notizia la tramanda anche Pisone nel primo libro dei suoi commentari ma narra che i sette libri del diritto pontificio fossero stati altrettanto pitagorici.  Valerio di Anzio inoltre nella sua opera tramanda anche la consultazione del senato nella quale fu ordinato che essi fossero bruciati. The “original Romans” were the ones who did the choosing part. They didn’t select anyone from the Sabine senators but found a man in the Sabine city of Cures, the birthplace of the former king Titus Tatius, famous for his justice, wisdom, and piety. His name was Numa Pompilius. The people, happy with this choice, accepted their new king quickly. Only one small problem now occurred – the man who was chosen to rule after so much effort and such a lengthy and difficult process was not really keen on reigning at all. When a delegation from Rome approached him, he humbly refused. It required much much persuasion from his father and brothers with arguments about honour too great to refuse, but in the end, Numa finally agreed and became the king of Rome. Numa.

 

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