Monday, April 8, 2024

GRICE E CARCHIA: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DELL'ARS AMANDI -- SIGNI D'AMORE -- EROTICA DEL BELLO -- COMUNICAZIONE DEGL'AMANTI PRIMITIVI -- FILOSOFIA ROMANA -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

 

Grice e Carchia: l'implicatura conversazionale dell'ars amandi – signi d’amore – erotico del bello – comunicazione degl’amanti primitivi -- filosofia romana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo Italiano. Grice: “I once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication  (“nome e immagine”, “interpretazione ed emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e bellezza; L'estetica antica, ecc.  Si è anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano: L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg & Sellier); prefazione e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi, Torino: Rosemberg & Sellier); Erotica. Saggio sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida); Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen, Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari: Laterza);  L'estetica antica, Roma-Bari: Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin, Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura, Kant e la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, 2006  88-7325-151-X introduzione a Walter Friedrich Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione come orizzonte nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità dell’immaginazione nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini. La notte delle immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come autotrasparire dell’apparenza rappresentativa. Naturalismo simbolico e simbolica naturale. Angelologia. Alighieri: spiritus phantasticus e alta fantasia. Gemellarità dell’immaginazione gnostica. L’immaginazione speculativa. Simbolismo e imagismo. Il fantastico come ideologia. Il romantico. L’immaginazione come dimora del padre. Demone e allegoria. La forza del nome. Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e metessi. La nuova accademia: l’estetico. Paradigma, schema, immagine.  1 Ovidio. Arte amatoria. Chi peregrin nell’amorosa scuola  Entra , me legga, se vuol esser dotto.  Non usansi senz’arte e vele e remi;   Non senz’arte guidar si puote il cocchio;  Non senz' arte si può reggere Amore.   Ben sapeva condurre Automedonte (i)   Co’ focosi, destrieri il caiiro , e Tifi r  Sedea maestro \sair emonia poppa.   Ne’ mister} d’ Àmot me fece esjperto  V enere bella , e ben dirmi poss’ io  D’Aniore un altro Tifi e Automedonte.  Ch^ ei sia crude!, noi niego » e spesse volte  Contro me stesso si rivolta ; pure  Egli è fiinciullo , e l’immatuTa' etàde  Atta si rende al fren. Docile e mite  Rese Chiron l’ impetuoso^ Achilie (2)    (i) Automédonte , figlio di Dioreo,fu il Cocchierò  d*lAchille , Tifi condusse gli Argonauti in Coleo sul-  la nave Argo , che qui dicesi emonia , perchè era su  <mella Giasone figlio del Re di Tessaglia , e perchè la  Tessaglia si chiamala Emonia dal monte Emo.   (a) Chirone figliuol di Fillira fu il Precettore d’A’^  chille^il qual nen chiamato ^acides fia Eaep suo Avo,    Digitized by Google      Col dolde suon della canora cetra^   Ed ei, che fu il terrore e lo spavento  De^suoi compagni spessore de’nemici.  Dicesi che temesse il vecchio annoso;   E quelle mani , che dovean un giorno  Gettare a terra il forte Ettor , porgea, ( 3 )  Quando Chirone le chiedea,alla sferza.   Ei fu d’ Achille, io son d’ Amor maestro;  L’uno e 1^ altro è fanoiul feroce, e traggo  L’ un e r altro da Diva i suoi natali • (4)  Come r aratro il toro, e come il freno  Doma il cavai focoso ; io cosi Amore  Render placido voglio ancor che il petto  Con r arco mi ferisca , e con la face  Tutte ro’ abbruci le midolle e T ossa.  Quanto più Amore hammi ferito ed arso.  Tanto più voglio vendicarmi . Apollo,   Non io, ché mentirei , dirò che appresi <  Da tl» quest’ arte, o che fui reso dotto  Dal canto degli .augelli • A me non Clio,  Né le Sorelle sue , come al Pastore  Della valle d’ Ascrea , compatver mai ; (5)  Me un lung’ uso feMstrutto ; e fè pròstate  Air esperto Poeta . <Ió cose vere  Canto : Madre d* Amor.^, siimi propizia.  Gite lungi j o Vestali., e voi Matrone,   Che i piè celaté sotto lunga veste.    J3Ì Achilie uccise Ettore al assedio di Troja*   ^ (4) Achille nacque dalla Dea Tetide , Amore dalla  Dea Venere,   a Mentre Esiodo , cugino e quasi contemporaneo  nero , pascolava in Elicona le pecore di suo pa*  dre ^ fu dalle Muse condotto al fonte Ippocrene , e Col  hefer 4i quell* acqua divenne Poeta,    Come seguir sensa periglio Amore  Si possa, eA i concessi furti io canto;  Nullo i miei carmi chiuderan delitto.   Tu, che novel nell’ amorosa schiera  Entri soldato, le tue cure volgi  Prima a trovar de’ voti tuoi 1’ oggetto.  Indi a farlo per te amoroso, e infine  Onde lunga stagìon 1’ amor si serbi.   È questo 11 modo, è questo il campo, in cui  Scorrere il nostro cocchio debbo ; è questa  Del corso nostro la prescritta meta.   Or che il tempo è propizio , or che si puote  Andare a briglia sciolta , una ne scegli,  Cui dir tu possa ; a me tu sola piaci.  Questa dal Ciel non già pensar che scenda.  Ma qui trovar la dei con gli occhi tuoi.  Onde tender le reti al cervo debba.   Sa bene il caccìator , e non ignora  La valle , ove il cignal s’asconde : i rami  L’ UGcellator conosce, onde si gettano  61 ’incauti augelli, e al pescator son note  L’acque, che maggior copia hanno di pesci.  Tu , che d^on lungo amor cerchi materia.  Impara i luoghi, ove frequenti veggonsi  Le vezzose donzelle . Io non ti dico,   Che dar le vele ti fia duopo al vento.   Né córrer lunga e faticosa strada.   Perseo dall’Indie ne condusse Andromeda,  E .Paride rapì di Grecia Eléna. .   Ma in Roma , in Roma ritrovar potrai  Fanciulle, che in beltà portino il vanto  Più che del Mondo in altra parte . Come (6}  Gargaro, Castello sul monte Ida era celebre   V abbondanza delle sue biade , e Metinna , Città nek»   V Isola di Lesbo , per V abbondanza d^ suoi vini.    Digitized by Google     6   La gargara contrada abbonda in biade»   In uve la metinnia » in pesci U mare»   In augei il bosco s e còme nell* Olimpo  Splendono stelle; così in Roma ammiransi  Amabili Fanciulle : qui sua sede  Pose del grand’ Enea la bella Madre.   Se a nascente beltà ti porta il genio»  Tenera donzelletta eccoti innante;   Se già formata giovine desideri»   Mille ti piaceranno » e fian costretti  A rimaner sospesi i voti tuoi;   Che se a te figlia più matura e saggia  Piaccia » ne avrai, mel credi, un folto stuolo.  De’ portici pompeii all’ ombra i lenti (7)  Pàssi rivolgi, allor che Febo i campi  Dall’erculeo Leon saetta ed arde,   O a quel che adorno de’ più scelti marmi  Da lontani paesi a noi venuti,   LaMadre aggiunseindonoa’don delFigHo.(8)  Nè quello lascerai » ohe tragge il nome  Da Livia, ornato delle pinte tele (9)   De’Pittori più celebri ed antichi;   (7) Uno de'piU dtliziosi Portici di Roma ora cer^  tornente ^uet di Pompeo . Giaceva questo in vicinanza  dtl suo Veatro , « i Romani lo frequentavano moltis'^  simo in tempo d* estate,   ( 8 ) Augusto sotto il nome d* Ottavia fabbricò un  portico in vicinanza del Teatro da lui dedicato a Mar^  cello figlio della medesirrsa ^ e però dice il Poeta , che  la Madre , cioè Ottavia , a^iunse il dono del portico  al don d^figlio , cioè al Teatro a lui innalzato da  Augusto,   ( 9 ) R questo il portico che Livia moglie d* Augusto  fabbricò nella Via sacra ; ne fa menzione Svetonio , e  vien riputato da Strabono uno d^più be* monumenti  di Roma,    Digitized by Google     Visiterai pnr anco i Inoghi, dove (io)   In atto di far strage de’ Consorti  Effigiate son P empie Danàidi;   E il lor Padre crudel, che nudo tiene  L’acciajo micidial nell’ empia destra;   Nè il Tempio oblia, u’ Venere la morte  Plora del caro Adon , nò il giorno Sabbato  Sacro al culto giudeo • Sarà tua cura  A’xneiifitìcì templi esser presente (ii)  Della liniger’ Iside ; seconda  I voti questa Dea delle fanciulle»   Che desian donne diventar, coni’ essa  Lo fu di Giove ^ Fra i clamori alterni  Del Foro strepitoso ( e chi mai fede  Prestar ci puote ? ) Amor rivolta trova  Atto alle fiamme sue pascolo ed esca.   In quella parte ove s’innalza al cielo (la)  L’ onda d’Appio » che giace appiè del Tempio  Di ricchi marmi adorno , a Vener sacro^  Prigioniero d’ Amore è 1 ’ Avvocato,   (10) Il portico d*Apollo palatino fabbricato da Au^  gusto in una parte della sua casa era adornato di fiin^   ts immagini rappresentanti la strage^ che de*pro-  prj Mariti fecero le Danaidi per comando di Danna  loro padre.   (11) Si adorala Iside figlinola d*Inaco in Menfi  Città d^Egitto, donde furono trasportati in Roma i  suoi sacrificj . Fu questa amata impudicamente da  Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in una  Giovenca j e poi la restitm agli Egiziani nella sua pri^  stina forma . B^la e i suoi sacerdoti andavano coperti  di lino e però si chiamava linigera.   (la) Appio Censore condusse V acqua nel Foro di  Cesare; e d* architettura d* Archelao fu ivi innalzato  a Venere un Tempio , che per somma fretta poi rimase  imperfetto.    Digitized by Google     8   Che attento alla difesa altrui, se stesso  Guardar non sa • Oh quante volte, oh quante  In quel loco gli manca la favella,   E deir amor che V agita ripieno,   Non della caiìsa altrui, ma della propria  S’occupa solo ! Dal propinquo Tempio  Ride la Dea di Pafo, e il difensore  Trasformato veder gode in cliente.   Ma più che. altrove ne'curvi Teatri  Troverai da far paghi i voti tuoi:   Ivi mille bellezze lusinghiere  Si oifrìranno al tuo sguardo, e tal potrai  Per stabile passion scegliere, e tale  Onde Tore passare in gioco e in festa.  Come frequente la formica in schiera  Vanne al granajo a far preda di cibo;   E come Papi in olezzante suolo  Volan sul timo e sopra i fior ; le culte  Donne in tal modo in folto stuolo assistono  Agli scenici ludi * È cosi grande  11 numero di questo, cho sospeso  Mille volte rimase il mio giudizio.   Non a’ Teatri per mirar, soltanto,   Come per far di lor superila mosffa  Vanno non senza del pudor periglio.   Tu questi giochi strepitosi il primo,  Romolo , instituisti; allor che il ratto (i 3 )    (iS) NeW anno del mondo 3a3i. fabbricò Romolo  nei monte Palatino una Città o sia Fortezza , che dal  suo nome chiamò Roma. Per accrescere il numero dei  Cittadini ^ aprì un asilo fra il Palatino e il Campi*  doglio , in cui si ricevevano i Servi fuggitivi^, i De*  hitori y i Malefici . Siccome i Popoli confinanti , e per  conseguenza i Sabini nor^ volevano con tal gente col*    Digitized by Google      Segui delle Sabine • Ancor non marmi^   E non tappeti ornavano i Teatri,   Nè il palco vago era per piote tele;   Ivi semplicemente allor far posti   I virgulti eie foglie, che recava   II bosco palatino, e non si vide  Decorata la scena allor con V arte*   Sopra i sedili di cespugli infesti  Assistea il popol folto , uhe all’irsuta  Chioma di fronde sol cingea corona*   Col cupid’occhio ognuno intanto nota  Quella, che far desia sua preda, e molti  Pensieri nel suo cor tacito volge.   Mentre d’agreste flauto il suono muove  Grottesca danza, ed il confuso plauso  Ferisce il ciel, ecco che il Re dà segno  Onde alla preda sua ciascun sì volga.  Rapido il proprio loco ognuno lascia,  Fanne co’ gridi il suo desio palese,   E le cupide mani addosso slancia  Sulle Vergin d’insidie ignare , come  Fogge la timidissima Colomba  Dall’ Aquila , e de’ Lupi il fiero aspetto  Agna novella ; di spavento piene  Volean cosi le misere Sabine  De’ rapitori lor schivar gli amplessi;*   Ma da Ogni patte senza legge inondano^  Ninna serba il color , che aveva innante;  ' ' a z    lòcar U lor Donne , Romito gli ' inoitò insieme con Ì 0  sorelle ,'7e moglie e le figlie a unof spettacolo, che fe^ce*  ìebrare in onore del Dio Conso , ossia di Nettuno^ €  comandò d* suoi Romani che cigscun ri rapiste fr0  quelle femmine una Consòrte.    Digitized by Google     IO   Tutte assale il timore ^ e in Tarj modi:  Questa il petto peroote^ il crin si straccia;  Quella riman priva di sensi ; alcuna  Non {>er il duol fa proferir parola;   Altra la cara madre appella invano;   Chi quale statua immobile rimane;   Chi fugge, e chi di grida il cielo assorda.  Ma le rapite Oiovani condotte  Son via, qual preda geniale e cara.   Dì pudico rossoj tinsero molte  Le delicate guance, e vìe più piacquero.  Se troppa ripugnanza alcuna mostra,   £ seguir nega il suo compagno, questi  La porta fra le sue cupide braccia,   E si le dice : a che d’amaro pianto  Da begli occhj tu versi un fiume? teco  Sarò come alla Madre è il Genitore.  Romolo, fu il primiero a’tuoi soldati  Vera recar felicità sapesti;   Se tal sorte goder potessi anch’io, >   Io pur non sdegnerei esser soldato.   Però da quell’esempio anco a’dì nostri  Trovan le Belle ne’Teatri insidie..   D’esser presente ognor cerca e procura ^  Alle corse de’rapidi destrieri.   Di gran popol capace il ;Circo augusto  Molti a te rechei!à comodi ; d’ uopo ^   Onde spiegare i tuoi pensieri arcani  Non avrai delle dita ; nè co* cenni  Intendere dovrai. Franco t’assidi,^   Che ninno il vieta, alla* tua donna accanto.  Quanto più puòi t’accosta al di lei fiaheo\  lE procura che il loco a.nzi ti sforzi  A toccarla, quand’eUa ancor non ! voglia.    Digitized by Google     Onde seco parlar cerca materia,   E da’ discorsi pubblici incomincia.   Quando i cavalli appariranno, tosto  Di chi sieno richiedi, e quello, a cui  Dirige i voti suoi, tu favorisci;   Macon frequente pompaallor che giungono  Le statue degli Dei, fa plauso a Venere (14)  Quale a tua Diva tutelar. Se mai  Della tua bella sulla veste cada  Polve, la scoti con la mano , e fingi *  Scoterla quando pur netta si serbi;   E sollecito ognor prandi motivo  Da leggiere cagion d’esserle grato.   Se la sua veste strascinasse , pronto  Sii tosto a tòrla dalP immonda terra;   Per cosi tenui cure avrai in mercede,   Ch^ ella poi soffrirà, che le sue gambe  Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero,   Che quei , che sono assisì al vostro tergo,  ^ ginocchi al di lei dosso,  Non le rechin molestia. I lievi ufBcj  L^alme fiscili adescano : fu a molti  Util Fa ver con destra man composto  Il coscino, agitar con piccol foglio  Il volubile vento, e saper porre  Sotto tenero piè concavo scanno.   Farà la strada al nuovo amore il Circo,    (14) Solevano i Romani portar per ih Circo le Sta¬  tue degli Dei e degli Uomini sommi , quando ivi da¬  vano lo spettacolo della corsa de^ Cavalli 0 d^ altri  giochi'. V* era fra aueste Statue ancor quella di Ver»  nere , cui vuole il Poeta che si faccia un gran plauso*  Si veda la seconda Elegia del Libro III, degli amori  scritti dgl modesimo Autore^     E la sparsa nel foro infausta arena*   Ivi pugnò spesso il Fanciul di Venere,   £ chi andò per mirar altri piagato,   Ferito pur rimase. Ah quante volte  Mentre un la lingua a ragionar discioglie^  HoWà. la mano , tiene il libro, e cerca  II; vincitore del proposto premio.   Il .volatile strai senti nel seno,   Gemè piagato , e accrebbe pregio al gioco!   fu bello il mirar quando con pompa  Solenne Cesare introdissse il primo (i 5 )  Non avvezze a pugnar in finta guerra  E le persiche navi e le cecropie!   Da questo e da quel mar vennero allora  Giovani vaghi, amabili donzelle,   E la Città racchiuse immenso mondo.   Fra tanta turba di leggiadri oggetti  Chi non tigvò da far paghi i suoi voti?  Oh quanti e quanti a forestiero laccio  Porsero il piè! Ma Cesar s’apparecchia (i6)   (15) Cesare Augusto fece presso il Tevere rappre^  sentore una battaglia navale detta Ncumachia. Intro^  dusse in questa a combattere le flotte che Marc* An-^  ionio aveva raccolte contro di lui nell* Oriente ^e le  navi ateniesi denominate Cecropie da Gecrope primo  Re d* Atene y che seguirono il partito di M. Antonio^  Furono queste armate navali vinte tutte da Azio , e  servirono nella Neumachia d* un brillante spettacelo  a futta Roma.   (16) Augusto destinò una spedi^àon per V Oriente   contro Frante, e vi mandò il suo Nipote Cajo nato  da Agrippa e da Giulia. Marco Crasso e Publio suo  figlio avidi delle ricchezze de* Parti intrapresero con¬  tro i medesimi una guerra, in cui furono poi essi  miseramente trucidati con undici Legioni . Per far a  Cesare un encomio, dice ora il Poeta , che deve Cajo  riportar vittoria di que* popoli , e riacquistar la  ^ne romane da loro tolte Crassi* ^    Digitized by Google     i5   Già il restò a sog^ogar del Mondo inter#^  E già Taltiino Oriente è nostro ancora.   La pena avrai dovuta , o Parto audace,   £ voi godete, ombre deaerassi estinti,   E con voi godan le romane insegne  Di barbarica destra a ragion schive.   Ecco il vindice vostro , ognun racclama  Invitto Duce nelle schiere prime;   Giovin sostiene perigliose guerre  Quasi invecchiato fra le stragi e Parmi.  Deh non vogliate, o timidi, il valore  Dagli anni loro argomentar de’Numi;   E la virtù ne’Cesari preepee.   Degli anni Suoi più assai rapido sorge  Celeste ingegno, e mal tollera Ponte  D’una pigra dimora. Era bambino (17)  Ercole allor che ì due serpenti oppresse.  Ed èra in fasce pur degno di Giove.   O Bacco^otu che ancor fanciullo sei, (18)   Essendosi Giove innamorato perdutamente d^Alc^  mena , si presentò a lei vestito delle sembianze d*An^  fitrione suo maritoy quando questi trovavasi alla guer¬  ra di Tehe.Da Giove e da Alcména nacque Ercole, che  fu allevato in Tirinta Città in Marea vicina ad Ar¬  go , e però fu detto Tirinzto . Intenta per ciò la ge¬  losa Giunone a vendicarsi delP infedeltà di Giove,  suscitò contro d* Ercole due serpenti ; ma egli li uc¬  cise valorosamente, benché fosse di tenera età,   (18) Bacco armato, d^ una lung^ asta , e seguito da  Ufi esercito d* Uomini e di Donne , corse intrepido nel*  VOriente,e soggiogò quVpaesi che allor tutti,si com¬  prendevano sotto il nome d* India . Essendo quelV asta  così acuta, che imitava la conica figurai del Pino, fu  detta dagli antichi Poeti il Tirso , giacché Thirza ià  lingua ebraica nuW altro significa, se non se un ramo  di Pino^ •Intrecciavano le Baccanti sul tirso V uve e  i pampini cotk P edera p perché Bacco insegnò affli    Digitized by Google     i4 ,   Qoanto fosti mai grande allor che i tuoi  Tirsi dovè temer l’India domata!'   E tu prode Garzon sotto gli auspiej (ly)  Del Padre , Tarmi tratterai vincendo.  Sotto un nome sì chiaro aver tu dei  I primi erudì menti, e come il Prence (ao)   uomini la maniera di coltivar la vite . Alcuni Eruditi  poi fChe ricercan la moralità nelle favole ^ pretendono  che dipìngasi sempre giovine questo divino coltivator  della vigna ^perche gli uomini si rendon col vino in  lor vecchiezza amorosi e lascivi , come lo furono in  gioventù ,. Mons„ de Lavaur con molti altri , i quali  hanno^ attentamente 'considerato le imprese di Bacco  e l* etimologia stessa del Tirso, porta verisimilmente  opinione y che sia questa favola tratta in origine da  que^libri della sacra Scrittura, che parlano di Mosè.  e di JVoè,   (19) Si rivolge il Poeta a Cajo,che fu adottatò   figlio da Cesare Augusto.   Romolo dalle tre Tribù, nelle quali aveva di^   stribaito il popolo romano y raccolse per ciascheduna  cento uomini, che fer nascita , per ricchezze, e per  altri pregi ^^^no i più riguardevoli. Furono questi  chiamati Cavalieri y perchè trascélse quésoli , che fes¬  ser meritevoli d* un Cavallo , su cui dovean combat¬  tere in difesa di lui ; e si distribuirono in tre Ceti*  turie, che conservando il nome delle Tribù, dov*erano  sfate raccolte, si chiamavano é/e^Rammensi da Romo¬  lo , dei Tasienzi da Tazio Re dé Sabini, e dei Lace¬  ri Lucomone JRe d'Etruria , che fu , come dicono.,  il fondatore della Città di Lueca . Da Tarquinio  Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accre--  sciati di numero y senza mutar però il nome di Cen*  iurte ; esercitarono poi varie luminose incombenze ; e  JU'denominato il loro ordine Senatus Seminarium,  perchè in esso scieglievansi i Senatori • i 5 . Lu*   Jglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente  in lor rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che  era situato fuori della città , andavano al campìdo*   coronati d* ulivo , cinti d^ una purpurea veste det-      Or de’Giorani sei, sarai col tempo  L’oroamento miglior do'rccchj Padri.  Vendica ofFesi i tuoi fratelli, e i dritti (ai)  Del Genitor sostieni : della Patria  £ Padre 6 Dlfensor Parcne ti cìnse;   Ed or che l’inimico i regni invola,   Cruccioso alla vendetta egli t’invita.  Scellerati di lor saran gli strali.   Pietà e Giustizia i tuoi vessilli, e Parrni  Della causa miglior sostenitrici.   ' ta trabea, t assisi sopra i loro cavalli . 0 §ni cinque  anni poi appena giunti al Campidoglio , scendevano  da Cavallo , e presolo per mano lo guidavano avanti  al Censore ivi assiso sopra una sedia curale ; ed egli  comandava di ritenere il Cavallo , se bene aveva il  Cavaliero adempiuto a* suoi doveri ^e di venderlo , se  aveva malamente eseguito le sue incombenze. Leg^  geva il Censore in tale occasione il catalogo de^ Ca¬  valieri yC si chiamava il Principe de* Giovani o della  Gioventù quello che era da lui nominato il primo ; e  ciò non perchè fossero attualmente tutti gióvani , ma  perchè lo fàrono nella prima istituzione^ e perchè Veta  giovanile si estendeva pressò i Romani fino a qua¬  rantacinque anni.   Principe de’Senatori o del Senato ne*primi tempi del¬  la Repubblica si chiamava quello che il primo tra*Sena-  tori viventi era stdto Censorey poi quel che dal Censore  fosse stato nominato ili primo nel leggere il catalogo  d^ Senatori y e nell\ anno dalla fondazione di   Roma quel , che dal Censore era riputato degnissimo.   (al) Pompeo y domato il Re Tigrane y costrinse gli  Armeni a ricevere da* Romani in segno di servitù i  Rettori. Si liberarono essi da un tal giogo y ma Cajo  li obbligò nuovamente a soffrirlo , e vendicò in tal  guisa i dritti d*Augusto y che dal Senato e dal Po^  polo romano fu per mezzo di Valerio onorato del lu¬  minoso titolo di Padre della pAt<‘ia, ^   (^a) I Parti tentavano di farsi padroni delV Ar-  mersia*    Digitized by Google      i6   Ora il mio Duce alle latine aggiunga  L*eoe ricchezze. E voi j Cesare e Marte,  Entrambe Padri soccorrete il Figlio,   Che in difesa di Roma espon sua vita;  Come già Marte^or tu, Cesar, sei nunie* (a 3 )  Ecco raugurio mio; tu vìncerai;   Sciorrò co’ carmi allora il voto ; degno*   Tu allor fatto sarai d’alto poema.   Porrai le squadre in ordinanza, e all’ armi  Co’ versi miei 1 ’ esorterai : tenaci  Di me nel tuo pensiero i detti imprimi.  11 petto forte de’ Romani, il tergo (24)   Io canterò de’ Parti , e l’inimico  Telo, che vibran dal cavallo in fuga.  Mentre tu fuggi, o Parto , e cosa al vinto,  Oude sia vincitor, tu lasci ? Il tuo  .Marte recò finora infausto augurio.  Dunque quel dì verrà, Cesare, in cui  Tu di natura la piò amabìl opra  Di lucìd’ oro adorno andrai tirato  Da quattro^ candidissimi cavalli ?   Or mal sicuri nella fuga i Regi  Partici andranno innanzi , il collo carco  Dì pesante catena • Insiem confusi  Giovani lieti e tenere Donzelle,   D* un’insòlita gioja il cor ripieno,   Mireran lo spettacolo gradito. "   Se una di quelle a te richiegga i nomi  Di que’ Re, di que’ monti, di que’ fiumi,    (a3) Fu Cesare Augusto ascritto in aita fra i Dei ,  $d ebbe perciò onori diHni. ’   (a4) Avevano i Parti in ' costume di guerreggiar  fuggendo , ed anzi si rendevano formidàbili , mentre  ^ibravan le lor saette^ da wjt cavalle rivoltp in fuga.    Digitized by Google     ^7    Di que* paesi 9 a tatto ciò' rispóndi;   £ non richiesto ancora il; tutto narra,   E le cose puf anco a te mal note.   Cinto di canna il crin l’Eufrate è questo, (aS)  11 Tigri è quel colla cerulea chioma.   Ecco gli Armeni^, e Perside che tragge (a6)  Da Perseo il nome suo ; nell’ achemenie  Valli questa Città si giacque . Il nome  Dirai di questi e di que’Re, se il sai,   O almen 1 ’ adatta . L’imbandite mense  Facile danno ed i conviti accesso,   Ove da far contenti i tuoi desiri  V’ è cosa anc’ oltre i vini : ivi sovente  Calcò di Bacco l’orgogliose corna  Con le tenere mani il bel Cupido,   Di cui se intrise sien 1 ’ ali nel vino  Più non puote fuggir : grave s^ asside;   Tu umide penne , è ver, veloce Scote.   Ma non vola per questo, anzi novelli  Desta incendj nelP alme, che dal vino  Sono disposte e rese atte al calore.   Ogni atra cura e molce e fuga il vino;  Allora il riso ha loco ; allor l’abietta  Mendica gente pure il capo innalza;  Fuggon le cure, il duci ; le crespe fronti  Vengono liete ; e la si rara in questi  Tempi semplicitade i più secreti  Pensier dell’alma svela, che il Dio Bacco   (a 5 ) UEufrate ed il Tigri, avendo , secondo Vo^  pinione d*alcuni, la lor sorgente nei Monti armenii  si prendono qui dal poeta per li principali fiumi del»  V Armenia,   (a6) Persìde è una famosa città , che vuoisi fab.-»  bracata da Perseo figlio di Danae nelle valli persiar  ne, dette achemtiiie dal Re Achemene*    Digitized by Google      id   Ogni mistero svela e l’arte infrange • (27)  De’ Giovanetti il cor ivi ben spesso  Rapiron le Fanciulle ; Amor nel vino  Fu foco a foco unito • Ma non troppo  A lucerna ti fida ingannatrice;   Mal nella notte , e fra i bicchier ricolmi  Della beltade si può far giudizio.   Allo splendor del giorno, a cielo aperto  Paride rimirò le Dive allora  Che alla Madre d* Amor disse : tu vinci  L’ una e 1 ’ altra in beltà , Venere bella.   S’ asconde nella notte ogni difetto;   Ad ogni vizio si perdona , e allora  Ogni donna sembrare alPuom può bella;  Consulta il di guai gemme e quali lane,  Tinte di tìria porpora, sien atte  A fsLjp bella la faccia e il corpo ^ Come  Io delle Donne numerare il ceto  Di non ardua conquista ? E assai maggiore  Dell’ arene del mar . Come di veli (28)   Di Baja. i lidi narrerò coperti.   E per calido zolfo acque fumanti?  Riportando talun ferito il petto  Da queir.onde, non son , ( come racconta  La fama ) dice , salutari ognora.   Ecco di Cinzia suburbana il tempio    Ì ayl Alludesi al pros^erhio latino in vino veritas.  Baja in Campania , o com'oggi dicesi in ter-^  ra di Lavoro i era un amenissimo Castello^ che con-  teneva entro di se degli ottimi bagni caldi, e alcuni  laghi in cui rrnvigavan gli antichi con diverse barche  variamente dipinte, sulle quali facevano ancora de^  gli allegri conviti.   Questa Dea, che si chiama Lucina in Cielo,  Eeate neW inferno, e Diana in terra , ha ancor fra      Silvestre» ed ecco ì conquistati Regni.  Perchè vergifte ella è » perchè ella in odio  Ave d’Amor gli 8tijali,.al popol diede»   £ mai sempre darà mille ferUè. ^   Fin qui Talia sopra ineguali rote( 3 o)  Come tu debba scer T amato oggetto»   E dove tender t’insegnò le reti.   Della tua Bella onde adescare il cére  Preparo or io delF arte opra speciale.  Uomini» voi chiunque » e donde siate,  Porgete al mio parlar docili menti»   E le promesse mie ptopizj udite.   Tosto nell’ alma tua scenda la speme  Di conquistarle» e vincitor sarai;   gli altri nomi quello di Cinzia » perchè essa ed Apoi*  lo nacquer nelVIsola di Deio » ov^ è il Monte Cinto.  I popoli del Chersoneso » o com* ora chiamansi » della  Crimea » le immolavano gli ospiti ivi spinti dalle  tempeste, he femmine romane » dopo Vavere ottérsuto  ciò che htamavun co" voti, andavano a* d*Agosto   con le. faci ardenti in mano, e la corona eul capo\  al Tempio suhurbano di questa Dea situato in Arì^  eia. Quivi frequentemente i Sacerdoti succedevano gli  uni agli altri » mentre , non godevano di questa di*  gnità solamente gV ingenui, ma se la contrastavano  anche i servi e i fuggitivi in una guerra particola*  re » in cui chi riportava la vittoria , otteneva a un  tempo stesso il Sacerdozio » che apprezzavano come  un Kegno. Una tal Dea peraltro y quantunque sten*  desse dal cielo per godere del suo Pastorèllo Endi--  mione » fu sommamente gelosa della propria pudici*  zia, giacché trasformò in Cervo Atteone \ perchè osò  di guardarla quando era nuda in un bagno.   (3o) Talia è quella Musa » che presiede principale  mente a* Canti piacevoli e amorosi. Dice Ovidio ^ che  dia insegnò sopra inegnali rote ec. alludendo al diè  stico latino » il di cui Esametro ha » com* è noto ^ sA  piedi, e cinque il Pentametro^   Ma intanto tender dei T insidie : prima  Gli augelli taceran di primavera,   Le cicale in estate , e il can d^Arcadia  Incontro a lepre prenderà la fuga,   Che dolcemente Femmina tentata  A Giovine resista ; e quella ancora  Tu vincerai, che ti parrà ritrosa.   Come il piacer furtivo è grato alF Uomo,  £ grato alla Donzella . Asconde questa  Le brame sue, T nomo le cela invano;   Ma se tu possa* vincerla una volta,  Preverrà con le sue le tue preghiere.   Ne’ molli prati al suo Torello accanto  La giovenca muggisce ; e la Cavalla  Col suo nitrir fa lusinghiero invito  Al cornipede maschio . In noi pkt forti^  Ma non però cosi furiosi, sono  Gli stimoli d’ amor i lodevol fine  Ha la fiamma delP Uomo. A che di Biblì ( 3 i)  Ricorderò, che d’ un vietato amore  Arse pel suo Fratello , e pon un laccio  Vendicò da se stessa il suo misfatto?   Non, come Figlia dee,Mirra amò il Padre,( 3 a^    (3i) BiUi nata da Mileto e dalla Ninfa. Gianczf ,  amò perdutamente Canno suo fratello. Siccome non  Ve riuscì di renderlo à sitò riguardo amoroso ^ si die  in preda a un pianto così dirotto ( se si presti je e  al libro IX. delle Metamorfosi ) che fu convertita  VI un fonte yo( se si crede al libro presente ) si prò--  curò ella etessa con un laccio la morte.   (3a) Avendo Mirra concepito un immenso amore per  Cinìra suo padre , gli fu posta in letto da  me nutrice in luogo della consorte. Accortosi Cinira  del fallo , tentò di uccìderla } ma essa fuggì  bay ove fu cangiata in albero , e diede alla luce il  bellissimo Adone , che fU V ‘unico frutto d un st fu  nesto incestuoso accoppiamento.    Digitized by Google    ai   E oppressa ora si cela in chiasa scorza:  Delle lagrime poi, che dal suo tronco  Odoroso essa elice ^ ungiam le membra.   Che s^ban quteste stille il primo nome,  Del frondos’Ida nelVombròse valli. (33).  Era forse la gloria e la delizia  Deir armento un Torel candido , solo  Negro segnale avea fra corno e corno:   Una sol f^u la maccbìa, e latteo il resto.  Questo bramaron sostener sul tergo  Le giovenche ginosie e di Canea.   Oodea di farsi adultera Pasifae (34)   Del Toro., e'nel ano ooj geloso sdegno  Nutria contro le amabili giovenche:   Io cose note canto; e ciò non punte  Creta negar, quantunque siai*iqendace.  Creta, cui son cpnto Città soggette.   Con r inesperta man ; Pasifae ali Totro  Dicesi recideste or verdi frondey S 1  Or r erbe tenerissime de’ prati.2  Erra compagna dèli’st>nentOì,;e invano-  Del maiitoy pensier T arresta j vinto.   Era Minos da-un hove ^ A rche* tu vesti, .  Donna , preziose spoglie ? Il tuo Diletto  Mà è un mont 0 ^ Creta ; nè deéù qui còn^  fondere cpl Monta, Ida^ pqiaao , ope seguii la famgsa  lite fra Venere y Pallade e Óit^none.   (34) Sdegnata Venere contro il Sole y perchè Vavea  fatta sorprèndete da^*Numi det letto con Marte ffe*  à che Pasifae figlia del .medesimo , e moglie di Mi-»  nos Re di Creta, ^ innamorasse ardentemente d* un  Toro. Essendosi questa racchiusa in una Giovenca di  legno coitmtta da Dedìdà y si congiunse col Toro  diletto, e diede al Sole, in nipote il celebre Minotaio-  To , che fu ucciso da Teseo nel famoso làbcrkito»   Di tai ricchezze non conósce il pregio.  Mentre vai di montano armento io traccia,  A che giova lo specchio , a che le chiome.  Lassa, adornar si spesso ? Ah I presta fede  Pare allo specchio 4 che bovina forma  Ti nega ; invan veder sulla tua fronte  Desideri le cornac Se ti piace  ' Minos, a che un adultero ricerchi P  E se brami ingannarlo , a ché noi fai  Con un Uomo? Per boschi e per foreste  Oià la Regina , il talamo lasciato, ^  Vanne quasi fiaccante , a cui furore  Spiri P aonio Dio . Oh quante volte  La giovènca «rivai con volto iniquo  Mirò, e fra se, perchè tu piaci, disse,  Al mio Signor ? Ve^com^* in facciala lai*  Scherza sull’erbe tenere , ed esulta,,   E tài fóIlié/-non dubito non credai ^   Per lei decenti : mentre in suo pensiero:  Volge tai còse , ordina che sia tolta* ^ •   Dal gregge immenso , è immeritevol venga  Al curvo giogo strascinata, o vuole  Di snperstizion sacrai * fra-l’are • •   Vittima cada;!e nella fi^ta dtwtr^ , •   Gode tener .le.:.viscero fumanti — - -   Dell’uccisa rivai. AHI quante voke ?  Gon le uccise rivaV placando i NUìiii, ^  Disse, tenendo'visceri\-'piacete '   Al mio Dilettov e quante volte ancora  Chiese in Europa èsserconversa e in Io, (35)    (35) Europa figlia di Agenorg Re di Fenicia , ^  éorella di Cadmo , era dotata di^ sorprendente^ bellez¬  za. Aree Giòvo per Ui. di un amore così violento,  aS   Che questa è una Giovenca, e quella ìMotso'  Premè d’ un Bovo . Fè le strane voglie  Paghe Pasifae ascosa in lignea vacca,   Onde il parto alla luce uscì biforme.   Se sapeva piacere ad un sol uomo^ (36)   E foggia di Tieste il turpe amore  D’ Atreo la Sposa, non avrebbe Febo  Il cammino sospeso in mezzo al corso,   E rivoltato il carro, i suoi destrieri  Mossi incontroairAurora. Anco la Figlia,( 37 )  Che i purpurei capelli involò a Niso,  Coprì del corpo suo le parti estreme  Con la sembianza de’ rabbiosi cani.    thè trasformatosi in Toro, la portò sul suo dorso in  quella parte di Mondo , che dal nome della medesu  ma si chiama Europa.   Io y o Iside fu , come Si è detto al numerò ii.  epnoertita dallo stesso Giove in una Giovenca.   (36) Erope moglie d* Atreo giacque con Tieste fra^  tello del medesimo, e nacquer da essi due figlj, che  avendo Atreo dati a mangiare al lor padre medesimo  in un convito, il Sole per celare un tanto misfattò  tornò indietro , e corse incontro aWAurora.   ( 87 ) Scilla, figlia di Niso Re di Megara s^ inva^  ghì di Minos Re di Creta , che le assediava la pa^*  trìa, e a lui recò il purpureo capello del padre,  dal qual dipendevano i fati di quella Città. Essa fu  jj^i disprezzata harharamente dalV ingrato Minos , e  fu , secondo le metamorfosi, cangiata in uccello. Vi  fu però un^altra Scilla figlia di Eorci , la quale ,  avendo bevuto un^acqua per lei avvelenata da Circe ,  venne subito trasformata in un mostro, la di ciS  parte inferire era simile a quella di un Cane. Con-^  eepì la medesima tanto orror di sé stessa , che si get>»  tò in un golfo del mar di Sicilia , che ha preso da  ^ella il suo nome» Ovidio ha qui confuso fseste due*^    Digitized by Google      a4   Il Figli uolo d^Atieo, che in terra e in mare (SU)  Di Marte e di Nettuno evitò V ira.   Cadde vìttima poi della Consorte.   Chi di Creusa sull’inìqua hamma (Sq)  Non sparse il pianto, e sulla Strage orrenda  Che fe* de’proprj figli un* empia Madre ?  Frivo degli occhi pur pianse Fenicio, (4o)  E voi, oarallì spaventati, il vostro ( 4 i)    (38) Agamennone è veramente figlio di Filistene ,  ma da Ornerò^ e da tutti gli antichi poeti gli vien dato  per padre Aireo suo aco come un personaggio più  celebre» Fu dichiarato Agamennone per le sue mira^  bili imprese il Re deTle di Grecia, e per tradimento  di Clìtennestra sua moglie ucciso da Egisto , dal  quale era ella amata impudicamente,   ( 39 ) Giasone j abbandonata Medea, sposò Creusa  figlia di Creonte Re di Corinto, Medea per vendicarsi  di tafe infedeltà , f^ strage di due teneri fanciulli  nati da lei 4 da Giasone, e ridusse con fuoco ariifi-  doso in cenere ì* infelice Creusa e tutta la famiglia  e la Reggia di Cleonte,   (40) Furono tratti gli occhi a Fenicio figliuol d^A^  mintore, perchè una concubina del padre Vaccusò  falsamente d'acerle tolto Vonore, Ricuperò egli la vi¬  sta per i farmaci a lui apprestati da Chirone , il qual  gli die poi in custodia il giovine Achille, con cui  andò aWassedio d,i Troja,   (41) Ippolito figlio di Teseo disprezzo Vamorosa  corrispondenza che gli esibì Fedra sua matrigna, Sde¬  gnata ella fieramene di ciò , disse al padre , che le  aveva il medesima insidiato V onestà ^ e Teseo lo ab¬  bandonò al furor di Nettuno, Essendo per ciò com¬  parso un orribil mostro marino^ mentre Ippolito se ne  andava sul suo, carro lungo la spiaggia del mare , i  cavalli per lo spavento preser la fuga, marciarono  il legno in pezzi ^ e trucidarono miseramente il lor  Cgxìdottii^o, >   Condottier tracidaste.E perchè» o Pinco, (42)  Gli occhi tu togli agPinnpcenti figlj ?   Ah che la atessa ^eaa. il tuo delitto  Un dì vendicherà. Tali infortunj  ^ Da uno sfrenato aq^or trasse sorgente  Delle lubriche donpe . Ornai t’ affretta,   £ non temer di ritrovar contrasto  Nelle Donzelle ; appena, una fra molte  * Ne incontreraiepe. a te neghi vittoria.  E r indulgènti e, le ritrose pure  lì Goì^qu esser pregata; pna ripulsa  I Non ti spaventi ^ è questa ingannatrice.  iMa perchè ingannatrice Y ognor pip grata  INuova per esse voluttà riesce.   |E l’alma loro adescan facilmente  |l novelli amatori ..'Il vici^ campp  Ci sembra più .ijber^^so ,^0 il gregge altrui     ^-,*• /• -   Vedi che a parte sia della Padroni    I    )    Ov, Arte (Tarn. b    (4a) Fineo figlimi Agenore Re Arcadia yO co¬  me ad altri piaqe, di Tracia , o di Paflagonia y spo¬  sò Cleopafi^a figlia di Bqrea, e‘. n*ehbe due figli.  O sia che questa morissero che fosse da lui ripudia¬  ta y prese il medesimo in moglie Arpài ice , e cornane  dò , che fossero ioltìr gli occhi a* due figlj della sua  prima eoniorte, perché temè che aiiesjser avuto un il¬  lecito commercio con Ija novella sua sposa. Fu da  Borea vendicata V innocenza do* nipoti con Vacciecof-  mento di Fineo , e Giunone e Nettuno gli mandaro¬  no sulle mense le Arpie y che a lui macchiavano tur¬  pemente quelle ‘ vivandé y che non mangiavano essa  stesse* •    Digitized by Google       26   De’ nascosti consiglj, e de’ piaceri  Suoi più segreti. Con promesse e prieghi  Corrompi la sua fi; tutto otterrai,   Quand’ ella voglia, e non ti sia contraria,  Dalla facil. tua Bella • Il tèmpo scelga.  Come i Medici sogliono , propìzio.   Onde il tuo amor nel dodi cor le infonda.  Ella il tuo amor le infonderà nel core,  Quando per lieti eventi andrà giuliva  Come lussureggiare in pìngue campo '  Suole la biada. Quando r alma è scarca  Dalle pallide cure , e lieta esulta.   Si spande allora , e dà facile accesso  ÀH’arti lusinghevoli d’amore.   Mentre fra i neri affanni involta visse "  Troja , con V armi si difese ; e lieta (43)   Il cavai di soldati e insìdie pieno  Àccolèe entro le mòra. Ancor si tenti,   £ non rimanga inyendicata , quando  Si dorrà , chè riceve ingiuria e scorno  Dall* impudica Amante del Marito.   La punga a sdegno la fedele Ancella,  Quando col pettin mattutin compone  Gl* indocili capelli, ed alle vele.   L’ ajuto aggiùnga anco de’ remi, e dica,  Sospir seco tràehdo, in bassa vocè:   Tu noli potrai, cred’io » come si merta.  Rendergli la pariglia. Allor le parli  Di te con detti insinuanti , e.giuri  Che tu brugi per lei d’immenso amore.  Mentre il tempo è propizio , ella s’ affretti   ( 43 ) Alludesi al cavallo di Ugno ^cht il perfido  Sinone introdusse pien di soldati in Troja , quando  tra assediata da* Greci» Virgilio Endde IÀh»lÌ»v»    Digitized by Google      Che non cadan le vele, e cessi il vento.  Come sì scioglie il gel, V ira , indugiando^  Si dilegua così. Forse mi chiedi.   Se la servente innamorar ti giovi ?   Tai cose ammesse, il rischio é manifesto^  Una rende V amor più diligente,   L’ altra più tarda e meno attenta : questa  Alla Padrona sua ti serba in dono,   Quella a se stessa • esito dipende  Dalla fortuna, che quantunque arrichì  Agli audaci ^ a te do fedel consiglio.   Che d’ un’ impresa tal lasci il pensiero.  Non per scoscese perigliose strade  Andrò, nè, duce me, verrà ingannato  Alcun Giovine amante * Ma se poi,  Mentre riceve e assiduamente porta  L’innamorate cifrerà te non solo  Per la sua fedeltà piaccia, com’ anco  Per la beltà del corpo ; allor procura  Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi  Questa la segua: l’amoroso gaudio  Non dall’ Ancella incominciar tu dei*   Se all’arte mia si crede, e i detti miei  Non portano pel mar rapaci i venti,  Questo consìglio mìo nell’alma imprimi:  Non mai tentar 9 se non compisci l’opra»  Se a parte ella verrà del tuo delitto.   Non la temere accusatrìce • Invano  Invischiato l’angel tenta la fuga.   Nè riesce già uscir dalle allentate  Reti al cinghiale • Il pesce all’ amo colto  Si scota invano ; tu la premi e assedia.   Nè la lasciar , se vincitor non sei.   Se a una colpa comune ella soggiace,    Digitized by Google     a 8   Non temer tradimenti ; a te saranno  Note della Padrona opre e parole.   Se cauto celerai 1’ accusatrice.   Sempre, contezza avrai della tua Amica.  Folle è colui che in suo pensier si crede  òhe sol debban del cielo osservar gli astri  Della terra il cultore ed i nocchieri.   Non a’ campi fallaci ognor sì debbe  Cerere abbandonar, nè alle tranquille*^  Cerulee onde del mar la curva prora.   Ah 1 che non sempre assicurar ti puoi  Il cor di vincer delle Belle; spesso  Ciò s’otterrà, se il tempo sìa propìzio.   Se deir Amica il natalizio giorno (44)   (44) Era presso gli Antichi in gran venerazione il  giorno natalizio : e gli Amanti celebravano ‘ con feste  e con doni quello^ in cui eran nate le Donne che ama^  vano . Si dee preferir certamente questa lieta costui  manza a quella che hanno adottato i Messicani e i  Cinesi, i quali riguardano un tal giorno come infausto  e doloroso . Alcuni di essi invece di ricevere con ac¬  clamazioni di gioja la nascita d^ un figlio , gli rispon¬  dono ai suoi primi singulti , mio figlio tu sei venuto  al mondo per soffrire \ soffri ^ e t’acquieta . Si fab-  hrican altri di buon^ ora la tomba, e vanno ogni  giorno a renderle omaggio come al termine consola¬  tor é d^.lor giorni . Non poco influisce, a dir vero, un  tal uso a fomentare il barbaro costume d^ uccidere i  proprp figli in un popola ^ il guala non gli Ottimi suoi  libri classici illustrati dall* immortai Confueio e con  le savissime leggi, su cui ha stabilito il suo pacifico  Impero, cerca di rendersi virtuoso ed illuminato.   Èra presso i Romani nel suo pieno vigore P uso  delle visite e de* doni nel principio dell* anno, il qua-  le incominciava anticamente col mese di Marzo , le  di cui Colende eran consacrate al Dio Marte . Cele-  hravand in Roma nel primo giorno d*un tal mese  alcune feste dette matronali in memoria della pace    Digitized by Google      SLg    Ricorra , o le Calende che seguito  Abbiaa quelle di Marte, a Vener piace,   O sia che il Circo sì rimiri adorno, (45)  Non come in altre età, di statue lievi.   Ma per le spoglie ivi de i Re deposte,   L’ opra differirai : sovrasta allora  Con le piovose Plejadi P inverno;   Allor nella marina onda s’immerge  Il Capro tenerello ; allora giova  Deporre ogni pensier . Chi al mar s’afSda  Del lacero naviglio appena puote  1 miseri campar naufraghi avanzi.   Tu se in quel dì incominci , in cui si vide    che le Sabine avevano appunto in tal di stabilita fra  i loro SpoH , ed i loro Padri , i quali volevano con  V armi vendicare il ratto delle medesime . Le persone  maritate avevano solamente diritto a queste feste /  ed OraT^io nell* Ode ottava del Libro III. si scusa,  perchè vi prende parte anch? egli , essendo celibe.   Siccome il mese d* Aprile è sacro a Venere , e suc^  cede a quello di Marzo dedicato a Marte , dice il  Poeta che Venere gode che abhian le sv^e Calende  seguito quelle di Marte per alludere alVamorosa cor^  rispondenza che ella aveva coi Dio della guerra . Le  Ihnne e le Matrone romane facevan nelle Calende  d*Aprile gran festa a questa lor Pea tutelare ; e gH  Amanti contribuivano alle medesime con le donazioni.   (45) Non vuole il Poeta, che si studino i Giovani  per adescar le Donne nel lor giorno natalizio , nel  principio dell* anno , e in occasione de^trionfi celebrati  nel Circo , perchè essendo le medesime allora occupate  in adornarsi , incontrerebbono qiiP gravi pericoli , che  sono qui espressi con l* allegoria dell* Inverno , e con  quella delle Plejadi e del Capro , le quali stelle sorgon  sull* orizzonte nel mese d* Ottobre , che è un tempo  pieno di pioggia e di tempeste , e perciò non propizia  a* Naviganti.. Scorrer sanguigno umor la flébìl Allia (4($)  Per le piaghe latine, o in quello in cui  Torna la festa settima, che è sacra  Al Palestin siriaco, e in cui s’ astiene  Ognun dalla fatica, avrai mai sempre  Culto superstizioso al di natale  Delia tua Bella ; pur funesto giorno  Sia quello , in cui tu offrir dono le debba;  Ma a te lo rapirà , se tu gliel nieghi,  Che a Femina mancar non puote 1’ arte  Per carpir le ricchezze a Giovin caldo.  Del Mercante il Garzon verrà discinto  Alla vogliosa ed avida Padrona,   E porrà le sue metti in vaga mostra,  Mentre tu giungi, e al fianco suo t’assidi.  Essa ti pregherà, che tu le osservi  Per additarne il prezzo ^ e liberale  Ti sarà di preghiere e ancor di baci,  Perchè le compri , e giurerà contenta  D’ esserne per molt’ anni , e che non puoi  Comprarle cosa che le sia più accetta.   Se poi ti scusi che non hai denaro,   Ti chiederà il tuo nome , e turpe fia  Per scusa addur , che tu firmar noi sai.  Rinasce poi, quando le fa bisogno,   (46) A ih. Agosto ebbero i Romani una sconfitta  da* Galli sul fiume Allia non lontano da Roma , onde  come infausto e di pessimo nome fu condannato un  tal giorno . Crede il Poeta , che debbano i Giovani  onorare il dì natalizio delle lor Belle , e vuole che  intraprendano V amorose loro conquiste 0 in que* ma--  linconici tempi qui figurati sotto il giorno alliense,  CUI aman le Donne d* esser rallegrate, o in que^giorni  festivi simili a* sabbati giudaici , ne* quali non è alle  medesime permesso 4 * occuparsi in alcun lavoro. Che dell* offerte natalizie il giorno  Rìeda y e di pianto sa bagnare il volto  Per la supposta perdita di pietra.   Che le ornava 1’ orecchio . D* altre cose  L’ uso ti chiedrà , che date poi  Renderle nega ; tu le perdi , e invano  Speri per ciò che grata ti si mostri.   No , quando avessi dieci lìngue e dieci  Bocche , io già non potrei dell’ impudiche  Donne n^^rare le sacrìleghe arti,  li guado tenti un ben vergato foglio;   E della mente tua la prima volta  Sia nunzio ; le carezze, e le parole,   Che imitino il linguaggio d’ un Aliante  Rechi , e fervide aggiungi anco preghiere.  Donò da’prieghi mosso a PriamoAchille (4?)  Di Ettor l’esangue spoglia; e Iddio sdegnato  A voci supplichevoli si piega. .   Prometti pur , che nuocer già non ponno  Mai le prorjaesse ; ognun può farai ricco  Con semplici parole. La speraD 2 $a  Data una volta , lungo tempo dura:   C' inganna , è ver , ma Diva utile è a noi.  Se liberal con lei fosti di doni,   Avrà ragion d* abbandonarti ; quello,   Che già le desti, è suo , nò può timore  Di perdita nutrir . Ognor tu devi    (47) Achille dc^ aper ttraseinato tre volte intorno  alle mura di Troja il corpo d* Ettore da lui ucciso  alV assedio di quella Città y lo rese finalmente y 0 a dir  meglio , lo vendè\ a- ^Priamo Padre del, medesimOy che  prostrato a* suoi pièdi > lo pregava di ciò caldamente^  Exanimumaue amo oorpns vendebat Achillea.   1 Virgil,    Digitized by Google     82   Finger di dar quel che non desti; spesso  Fu deluso così di steril campo  II credulo Padron • Così, perdendo  A perder segue il giocator, nè lascia  Per questo il gioco ; e il lusinghiero dado  Nelle cupide mani agita ognora.   Questa è Tiinpresa, e qui il Valore è posto;  Ascolta ; senza doni il suo cor tenta  La prima-volta, ancor che ì doni apprezzi;  Se lor liberal ti sia, 8«^rallo Ognora.   Vada dunque il tuo foglio , ma vergato  Con detti lusinghieri ; della Bella  La mente esplori ,*e primo il caihmin tenti.  Cidippe ingannò un pomo, in bui rincue(48)  Note leggendo, fu di queste preda.   O Giovani romani , io vel consiglio.   Deh coltivate le bell’ arti ; solo  Non utili Saran per la difesa '   De^ paurosi Rei ; ma dalla forza  Del facondo parlar, vinta la mano  A voi daran col Giudice severo.   Con lo scelto Senato , e ilPopol folto  Ancor le culte amabili Donzelle.    (48) Da Zea una delle Isole Clclàdì andò Acanzio  in Deio per assistere a* sacrifici di- Diana , che là si  celebravano splendidamente. Ivi ei concepì uìà^ immenso  amore per Cidippe, ma non ardiva di chiederla in is-  posa . Stette molto tempo dubbioso nello scegliere lin  mezzo per appagare la sua passione ^ ma in lui ces^  sarono i dubbj quando intese che vigeva in Deio una  legge , per cui restava concluso tutto ciò che si diceva  nel tempio di Diana ; è però gettò a* jùedi della sita  Bella un pomo y in cui erano scritti i versi seguenti*  Juro tibi sane per mystica sacra Dianae  He Ubi venturam comitem sponsamque futuram: Ascosa V arte resti, e da principio  Non sii eloquente. Da’vergati, foglj  Vadan lungi parole aspre e ricerche.   Chi mai, se non. di senno affatto privo»   In tuono volgerà declamatorio . < ;   Alla tenera Amica il suo discorso?   Oh quante volte fu giusta cagione  Di grave sdegno un foglio ! 1 detti tuoi  Meritin fede , e adopra usati accenti»   Ma sempre, lusinghieri » onde l,e sembri^   D’udirti ragionare . Se ricusa, •.   Di ricevere il foglio , e sena’ averlo , .   Letto a te lo rimandi » |a speranza  Però non t’abbandoni » e ,il mio consiglio ,  Serba in memoria , II. collo al giogo piega  Il Giovenco difficile col tempo»   E a soffrir s’ammaestra il lento freno  Col tempo anco il Cavallo. Un ferjreo anello  Dal cootinao nso si consuma » e il vomere*  Dal continuo rivolgere la terra  Che del sasso è più duro? e che più molle '  Avvi dell’ onda ? eppure il duco sasso  Dall’ onda molle vieu scavato . Ancora»   Se sii costante» vincerai col tempo  Penelope med^sma : » A vero» ,,   Caddero al suolo le trojatie.^muri^»   Ma pur caddero alfin 1 ìtiglj tuoi ,   Leggerà anch’ oasa » e non darà risposta»   Cui tu non debbi violentarla : solo  Fa che ognor legga lusinghieri accenti»   £ di risposta alba sarà cortese  A ciò che l^sse ; a gradi e con misura  Succedefansi questi ufficj ; Forse /   Verrà da. prima A tc foglio dolente»,   à a    Digitized by “Google     34   Con cui ti pregherà, che r amoroso  Linguaggio cessi ; nia desia il contrario  Entro il suo core, e vuol che tu prosegua.  Continua danque;e alfin resi contenti  Saranno ì voti tuoi . Quando supina  Vien trasportata sulle molli piume.  Fingendo indifferenza, ti presenta  Della Padrona alla lettiga ; e canto,   E in cifre ambigue quanto puoi favella.  Onde qualchfe importuno udir non possa  Il vostro ragionar 7 Sé’ volge il piede  Negli spaziosi portici , tu quivi  Trattienti fin eh* ella^ vi fa dimora.   Or la precedi ed or la segui a tergo:   Or lento movi il passo , ed or t* affretta.  Nè d^ inoltrarti iU ntezzb alle colonne  Abbi rossor, nè di sederle al fianco.   Non ne’ Teatri senza te si trovi,   E segnai póVti al teigo , onde la vegga.  Giacch* ivi il puoi, contemplala , e le dici  Quanto brami co’segni è con lo sguardo.  Alla saltante applaudisci l e sii  Favoirevole a quei che rappresenta  Personaggio amoroso . S* ella sorge,   Sorgi ; e ti assidi pur, s’ ella s’assida;   £ a suo ^piacere il tèmpo tuo consuma.   Ma non volere innanelìare il crine  Coiì’càldo ferro, e con lUordacè pomice '  Stropicciarti le gambe ; il che tu lascia  A’molli Sacerdoti di Cibale. ( 49 )    ( 49 ) Oj9e , o Vesta , che ancor dicevi Rea yC la Dea  Buona, è Madre degli Dei, e si chiama Cibale ; per^  che nel monte Gibele dU Frigia U furono la prima    Digitized by Google      33    Beltà negletta agli uomini conviene:   Vinse Teseo; Afianna » e la rapio  Disa.doroo le<t;onipie , il cria scompQsto;( So)  Arse pe}*:FiglÌQ:Fe.drtt., ed era incolto;  Cura e deli^^ia. della Dea ;d’. Amore .   Fu Adon ,:che fra le selve i di traeva.  S’ann^grin pur le membra al marzio Campo,  Ma si^o monde, e monda sia la ve8te.(Si)  Aspra non sia la lingua, e netti sieno.i  Dalla lug^e i denti; il mobil».piede . >  Non nuoti ih larga pollo ;^*ed ìne6perta    i>olta kelel^ati i sacrificj » T suoi Sacerdòti" éràtio ew.-  nuchi , e ogni giorno ,ger comparir moftdi , si raschia^  van membra, t   ( 5 o) Ari^nay figlia del Re Minos , s* innamorò per¬  dutamente di Teseo , che fu da* Greci mandato con al-  tri giovani in Creta per esser divorato dal Ii/Iinotauro~,  Etsa gV insegnò la maniera d*'uscir dal làbérinto quàn^  do avesse ucciso quel mostroe in compagnia di  dra sua sorella s*.iifcamminò con. VAmante^ che dpmato  il Minofauro y tornava in Grecia vittorioso . Teseo chi  nel viaggio orasi gik invaghito di Fedra ^ lasciò bar-'  Caramente in Nasso Arianna , .e andò con la sorella  Ì2i Atene sua patria . Ivi questa dioonne , come si è  detto, amante d*Ippplito nato da Tesele da Ippoli¬  ta Regina duello Amaz%oni.   Venere amò ardehtemente Adone ^figlio di Cinirq,  e di Mirra , quantunque vivesse continuamente né^ bos¬  chi intento a caccksre le fiere. Pianse ella amaramert’^  te perchè questo giovinetto fu ucciso da un cinghiale^  e nony avrebbe mai reso a Proserpina , se Giove non  comandava', che per otto mesi avesse Venere il posses¬  so d* Adone , e per gli altri quattro sei godesse Pro¬  serpina .   '( 5 i) Nel Campo martió d facevano in Roma al¬  cuni giochi, pe*quali i giocatori si snudavano intera¬  mente , « si dngevan le membra con degli unguenti,  che rendeano a* medesimi nera la pelle.    Digitized by Google    •36   Forbice non ti renda il crin deforme t  Ma da maestra iuan^ ti sia recisa  E la chioma e la barba i $enza macchie  Sian r unghie, nè soverchinoi le dita;   Nelle concave nari non si scorga ^ ^   Alcun pelo; nè esali nn tris^to fiato* - '  La bocca; e il naso non rimanga olfeilO  „ Da che il fetido becco ognora sape^ '   A lasciva Fanciulla il resto lascia,   £ alla bardassa . Ma già Bacco òhiama  Il vate suo : soccorre ei pur gli amanti;   E, la fiamma che learde ei favorisce. „  Furente errava la creten.^ Ppnna (Sa)   Pcjr di Nasso ignota arena, .   Che flagellano ognor T onde dei mare»   Ella coperta con discinta veste  Come nel sonno , nudo il pjede e sciolte  Le crocee chiome, al sordo mar si volge;.  E bagnando di lagrime le gote,   Teseo chiamava in alto suòli : gridava,   E in un piangea la mìsera, ma in lei  Era tutto decente ; nè men bella  Fu di lagrime aspersa « di dolore.   Mentre di nuovo con le man fa ingiuria  Al delicato petto, a che fuggisti t  É cosa fia.di me, perfido? dice^   Di me che fia, ripete ; e intanto il lido  De* cìtnbali e de’timpani p^cossi'   Da un* attonita mano il suono assorda.   ( 5 2) Quando Arianna si vide aèhandonata nell*  sola di Dfasso^si diede in preda all* ultima dispera^  sùone . Bacco ivi accorso con le Baeeànti e Cón Sileno ,  sfio pedagogo, la prpse in sposa y e collocò la. di hi  chioma in Cieìp prenQ ad 4 rtur ^t \ v.t    Digitized by Google      Ca<l’ ella al suolo 4a timor sorpresa;   Le mbucaa le iparole ; e piik pon scorro  Per le;geliAe} oppresse membra il sangue.  S’ appreesan ile ^eoauti^ U<cfia disciulto^  Ed opQO;i liéyl 3iltiri soiio  Previa turbo del DiOi*;£coo sul dorso  D* uo< pasciuto asinel V ebrio Sileno  Carico d’ anoi.y^^che :si reggo appena,   E profiumo aspirare>i )brevi crini.   Meiìftr eglit seguei'le! Saeeanti, e queste  Lo cfaiadianp /oggende ; l’inesperto .  Cavaliere il qjUadrtipedo, suo si^za.   Deir aaiào orecchiuto al capo scorre,   E a terra cade : i Satiri griderò;   Sorgi V deh sorgi y o Padre . Intanto giunge  11 Dio ^ che d’ uva al carro adorno accoppia  Le tigri, a ouircoh le dorate briglie  11 freno regge, • Partì : Teseo , e insieme  D’ Arianna, fa voce ed il dolore.   Tentò tre volte di fuggir , ma invanoy  Chè il timor la trattenne, e inorridita  Tremò qUal steril spiga al vento,e com#  Leggiera canna in umida palude;   Allora il Dio le disse : * ogni timore,  Cretease 'Donna , dal tuo cer disgombra;  In me tu* vedi un più fedele amante;   Di Baceo anzi sarai la dolce sposa.   Tu spazierai nel ciel ; la tua corona  Lucida stella in ciel sarà di scorta  Air incerto Nocchiero in suo cammino.  Di^se , e dal carro scese, onde non debba  Seatir paura delle tigri, e il piede  Sulla docil arena impresse Torme.   Eapilla poscia, e se la strinse al seno>     Chè tentato avria id van forgi! contralto^  Mentre fonile a un Dio tutto si rende.   De’suoi segnacr imen cantd una parte,  L’altra ripetè in alto snon gli evviva.  Cosi al letto nuziale il 0io 4 la Sposa '  Furon guidati^ e s’annoSdaro insieme.  Quando tu sederai con donna a mensa,   E di Bacco a te offerti i doiii siedo, >   Tu a Bacco,èa‘*NunJi che^han fa cena in euri  Porgerai voti, onde (dal Vrn non venga  Offeso il capo ’ tuo ; Quivi* tu puoi ‘ ‘   Con ambigue parole a lèi far iloti’ " ;  I segreti del cor, ma per6^in modo '  Che ben s’ accorga esser a lei dirette.  Potrai tu ancor con gocmole di vino  Teneri accenti esporre, onde conosca,   Ch’ ella assolnto ha nel tuo core impero.  Co’ tuoi s’incontrin jgli oocbi suoi ,<ed il fòco  Che t’arde il sené , a lei foccian palese;  Parla talora col silenzio il volto.   Procura il primo di rapir la tazza.   In cni bevv’ ella , e dove i labbri impresse.  Bevi tn pur : qualunque il cibo sia  Bichieder dei, che tocco avrà col dito; *   E mentre il chiedi, a lei strìngi la mano.  Volgi i tuoi voti pure, onde tu piaccia  Della Bella, al Marito . Assai ti puoto *   Util recar, se a te sia fatto amìcoi  Se dai la legge al bere, a lui la mano (53)   i   ( 53 ) Solevano i Rfìmarù appena posti a mensa eleg^,  gere il maestro della cena y che da Orazio {lib. i.od^  9. ) li chiama il Taliarco\ Prescriveva il medesimo  U leggi del convito e la manieM di^ becere y'e ordi^   Ce^i, e riponi dal tuo capo tolta  La corona sul suo. Sia a te inferiore,  Egual sia pur, si serva in tutto il primo;  E seconda parlando il suo linguaggio.   Col Telo d’amistà tessere inganno  È vìa sicura e frequentata , pure  Non è senza delitto. 11 Talìarco  Ancor che troppo generoso appresti  I moltiplici vini e le vivande;   £ benché creda di dover più assai  Veder di quel che fu ordinato, certa  Avrai nel ber da noi legge e misura.  Onde la mente e il piè si serbin atti  A’ loro ufficj : d’ evitar procura  Gli alterni detti e gV ingiuriosi accenti,   £ vìe più ancor se sien dal vin prodotti;  E troppo faeil non indur la mano    napa alle Polte Commensali che ognuno , bevuto il  suo bicchiere di pino, proponesse qualche amena que^  stione . Auguravansi spesso tanti anni quanti bicchieri  di vino bevevano, e spesso ne bevean tanti quante e-  ran le lettere che formapano il nome della Beliamo  deW Uomo insigne , a cui facevano un tale onore . Se  molti erano gli anrd augurati , o se molte erari le leU  tere componenti il nome della persona in onore di cui  heveano ; mescepano allora il vino in una tazza assai  grande , e compensavan così i molti bicchieri che apreb’^  ber doputo puotare . Era poi in uso al termine della  mensa il vibrare in aria con le due prime dita i semi  d* una mela fresca : si credepano fortunati in amore  quando toccapan con quelli il soffitto della camera  ov*era apparecchiata la tavola^ e si riputavano infe*  ìici quegli amanti , che non li facean sorgere a queU  V altezza, De^moÙi altri giochi ^ che i Romani usa^  vano in queste circostanze, non ne è a noi perve^  nuta che un* oscura notizia.    Digitized by Google      4o   A perigliosa rissa. Al suol trafitto (54)  Euritone cadéo, perchè soverchio  Bebbe i vini apprestati. A* dolci scherzi  Atta è la mensa e il vìu: 8*hai bella voce^  Non ricusa cantar ; salta s’ hai molli  E pieghevoli braccia ; e finalmeute  S’hai doti onde piacer, piaci. La vera  Ebrietà nuoce ^ può giovar la finta.  Balbetti in tronco suon l’astuta lingua^  Onde di ciò che tu ragioni, o fai  Oltra ’l dovere , il vino sol s'incolpu  Augura alla Padrona ed al Marito  Una notte felice ; ma per questo  Fa tacito nel core opposto voto^   Tolta la mensa, allor che i Convitati  Saranno per partir, tra lor ti mischia ;   ( La turba e il loco ti daran T accesso )   A lei che fogge t’ avvicina, e il fianco  Le premi dolcemente , e il piè col piede •.  Abbia ora il conversar libero campo,   E tu lungi , o pudor rustico, vanne.   Che la fortuna e Venere propizj  Sono agli audaci. De’ precetti nostri  Or r eloquenza tua non abbisogna;  Principia pur che ben sarai facondo.  Imitare il linguaggio dell’ amante  Debbi , e mostrar d’ aver ferito il core;   E onde ti presti fede ogni arte adopra..  Ardua impresa non è 1’esser creduto.    {Sii^ ElurUone è quel Centauro^ che reso caldo dab  vino y tentò nelle nozze dì Piritoo di rapire Ippoda»^  mia : Teseo lo percosse perciò così fortemente , che fw  costretto y.come dice Ovidio nelle Metamorfosi, cu vo^  nàtar V anima e il vino    Digitized by Google      4i   Mentre Donna non v’ha, che sè non stìmi^  Sia, quanto imn^agìhar ài può, deforme.  Atta a piacer ; e aémprè inver non epiace.  Quante vòlte in^amor chi sol fingendo  Incominciò , d’ un vera amòr fu preda!  Siate indulgenti pur, vezzose Donne,   «Con questi menzogner, se voi bramate  Che in sincerò si cambi un falso amore.  Con accorte lusinghe ora si tenti  Di guadagnar le Belle, come Tacque  Sa penetrar la sottoposta riva.   Deh non t’incresca ora lodar la faccia,  Ora i capelli, i lunghi è ì rotondetti  Diti, ed il breve piè. Le più ritrose  E le più caste godono alle lodi  Della loro bellezza ; e son pur grate  ^T innocenti Vergini i anzi il primo  È la beltà d* ogni lor cura oggetto.   Percliè tuttora di rossor la faccia  Tingon Palla c Giunca volgendo iti mente  Le frigie selve ed il fatai giudìzio f (551  L’augel sacro a Gìunon le penne ostenta (56;  Se tu le lodi ; e le nasconde allora  Che tacito le miri» Anco il destriero.  Quando contrasta il rapido cammino.    (55) Péllade e Giunone ^vergognandosi d^essere stc^  te da Paride giudicate .met^ belle di Venere , tentare  Tono di ripagare una tate infamia col ^ procurare n  questa Dea vincitrice del Pomo tutti que*danni , eh%  sono resi ormai cèlebri' da' Virgilio e da Omero z   .... Manet i^ha Bueat# repo^tuiu'   Judicium Faridis spretaeqtte ipjuria fbrmae.   . i^rgiL Eneid.   (56) I Paooni ^(hrisi ^li at^elH di Giunone, pospr  che solcpano'essLHinàfe ibìqarroidi fonta Dea*,    Digitized by Google      4»   Gode vedersi il crine adorno , e il collo  Accarezzato. Franco pur prometti,   E tutti chiama in testimonio i Numi,  Che alle promesse pedon facilmente  Le tenere Donzelle. Su dal Paltò  D*un spergiuro amator Giove si ride,   £ comanda che sien per l’aria spersi  I giuramenti dagli eolii venti.   Solea per l’onda stigia a Giuno il falso  Giove giurar ; utile è un tale esempio.  Giova de^ Numi resistenza e giova  Che noi pur la crediamo ; incenso e vino  Lor su gli antichi focolari offriamo:   No, non è ver che una secura quiete!   A letargo simil gli occupi; i Numi  Veggon r opere nostre. Innocua vita  Si tragga adunque ; ad altri il suo si renda;  Sii religioso in consesrYar la fede,   Stia la frode lontana, ed abbi ognora  Vacua la dostra* dalle stragi. Solo  È permesso ingannar, se siete saggi,   Le donne impunemente. Abbi rossore  D’ogni altra frode pur , ma non di questa.  Le ingannatrici inganninsi, che sono  La maggior parte di profana stirpe;   Cadan ne* lacci , cbt^ da lor far tesi,  l^àrrasi che restasse un di l’Egitto ^  DelFacqua a* campi salntevol privo  Per ben nov*anni ; allor che al Re Busiri  Trasio si fece innante , e mostrò come  Possa Pira placar di Giove il sangue  D^un ospite; la vittima tù il primo  Sarai di Giove, a lui disse Busiri,   Ed ospite darai Pacqua all’ Egitto. Falarìde cosi nell’ infocato  Toro arder fè le membra di Perillo, ( 87 )   E T infelice autore il primo empiéo  L’opera sua. Fu 1’uno e l’altro giusto^   Nè vi puote esser mai legge più equa  Di quella y che a morir l’autor condanna  Del tormento inventato. La tradita  Donna si dolga che col proprio esempio  Spergiurando s’ingannan lé spergiuro  Meritamente. Utili a te saranno  Le lagrime; con queste anco il diamante  Ti ha dato ammollir. Fa , se lo puoi^   Che di pianto bagnate ella rimiri  Le guancie tue; se il pianto a te non scende,  Che non si versa sempre a grado nostro^  Tu con la mano inumidisci il cìglio.   Chi mai alle dolci parolette i baci  Saggio non mischierà ? S’ ella ricusa  Darli, tu li rapisci,In prima forse  Combatterà ; di scellerato il nome  Avrai da lei; ma pur ella desia  Pugnando che la vinca. Sìa tua cura,   Che da' rapiti baci i tenerelli  Labbri non sian offesi, o non si dolga  Che furon duri. Quei che i baci tolse.   Se il resto non procura, è degno invero  Di perder ciò che a lui fu dato. Quanto    (87) Perillo fabbricò un Toro di bronzo , e lo dor  nò a Falaride crudelissimo Tiranno de'Grigeati in  Si cilia , perchè collocandolo pieno di rei sopra il fuo*  co ) potesse intendere d^ lamenti simili a' muggiti  de'booì. Falaride accettò il dono y e volle che subito  w entrasse Perillo per incominciar da lui il proposto  esperimento»  Mancò a far paghi dopo i baci i voti!   Ciò non pador, rusticità s’appella.   Benché si chiami forza, è questa grata  Alle donzelle ) che amano sovente  Esser forzate a dar quello che giova.   1 piaceri d’amor, se sian rapiti,   Gode la Donna, e la franchezza ha il premio.  Ma quella che poteva esser forzata.   Ed intatta rimase, ancor che in volto  Mostri allegrezza, ha mesto in seno il core.  Soffrir violenza Febe e la sorella, (58)   Ma fu grato ad entrambe il rapitore.   La donzella di Sciro ìnsiem congiunta ( 59 )  Con l’emonio Guerrier, favola è invero  Nota , ma degna pur d’esser narrata.   Dopo la lite della valle Idea  Per la lodata sua bellezza il premio  Già la Diva avea dato. A Priamo giunta  Dall’ opposta regio Deaera la nuova,   E già viveva nell’ iliache mura  Come un’argiva sposa. I Greci”tutti    ( 58 ) Castore e Pollice rapirono le due sorelle Fe-  be e ilavra, che Leucippo padre delle medesime aoea  date in spose a Ida e Linceo,   (59) Venere per premio del Pomo da lei ottenuto,  promise a Paride Èlena moglie di Menelao ^ e Pa^  rìde la rapì , e la condusse in Troja sua Patria. Sia-  come i TVojani ricusarono di render Piena Greci ^  che la richiescr più volte, questi intrapresero contro  quelli un formidabU assedio. Tetide adendo inteso ,  che il suo figlio Achille sarebbe morto se andava al*  la guerra di Troja, per assicurargli la vita lo man¬  dò in abiti femminili a Licomede Re di Sciro. Ivi   s* innamorò perdutamente di Deidamia Princi*  possa reale, ed ebbe dalla medesima in figlio il ce*  Icóre Pirro.    Digitized by Google      45    Deir offeso marito avean giurato  Di vendicar V oltraggio, e fero allora  D^'un sol uomo il dolor causa comune.  Se noi forzava^ le materne preci.   Eterna infamia coprirebbe Achille,  Perchè con lunga veste ascose Tuomo.   , Che fai, nipote d^Eaco ? Non sono  Atte a filar le mani tue la lana.   Con arte ben diversa ora tu dei  Volger la mente alla palladia gloria.   A che questi cestelli ? Il braccio tuo  Deve portar lo scudo; e in quella destra.  Per cui un giorno cadrà Ettore, io veggo  Or la conocchia ? Del filato stame  I fusi carchi getta , e Pasta impugna.   Un letto sol la Vergine reale  E Achille accolse ; ed ivi ella conobbe  Che di femmina avea solo la gonna.   Con la forza fa vìnta ; almen sì crede;  Soggiacere alla forza a lei fu dolce.  Quando soverchio s’affrettava Achille,  Che altr’armi avea che la deposta rocca.  Spesso gli disse : per pietà t’ arresta.  Qual valore or dov’è ? Perchè trattieni  Con lusinghiera supplichevol voce  Li’autore,o Deidamia,di tua sconfitta?  Di pudico rossor copre la gota.   Se dee la donna far la prima offerta,  lilla Tè grato il soffrirs*altri incomincia.  Ah I nella sua beltà troppo si fida  Quel giovine, che aspetta che primiera  Ella lo preghi. Deve sempre 1* uomo  Essere il primo ad accostarsi a lei;   Ju uom le sue preci esponga, e le sue r    Digitized by Google     46   Riceverà cortesemente. Fréga   Che ti voglia accordare il suo possesso;   Ella ha piacer d’ esser di ciò pregata.   Fa lor palese il tuo desio, che Giove  Supplichevol si fece ognora innanzi  AlF antiche Eroine, e non fanciulla  Offrì preghiere , benché grande , a Giove.  Ma se t’ accorgi che alle tue preghiere  Si fa vie più superba, allora l'opra  Abbandona, ed il piè rivolgi altrove.  Molte amano chi fugge ^ ed odian quello  Che troppo le frequenta; impara dunque  A non tediarle. Nè chi prega sempre  Dee del delitto palesar la speme,   Ma sotto il manto d’ amistà velato   insinui Amor. Con questo mezzo vidi  Deluse rimaner ritrose e fiere  Donzelle, e divenir T amico amante.   Non dee il nocchier, che le marine spume  Solca soggetto alla solare sferza,   Candido avere il volto , e pur disdice  Al cultore de* campi, chfe rivolge  Col vomer curvo , e con pesanti rastri  Le dure zolle , e per te turpe fia  Candide aver le membra , che il tuo crine  Cerchi adornare del palladio ulivo.   Sia pallido ogni amante ; è questo il suo  Proprio color ; tinto di questo il volto  Sarai creduto infermo. Fra le selve  Pallido errò per Lirice Orione (6o),   (6o) Giops, Mercurio , e Nettuno furono henisd*  mo accolti in casa d* Iréo uomo assai povero* Aven¬  do questi domandato medesimi un figlio , che non  dovesse ad alcuna donna la nascita, i tre Ospiti di-    Digitized by Google      E per ritrosa Najado fu Dafni (6i)   Pallido L^almà discopra il volto  Estenuato ; nè a schifo; avrai di pórre  Sulla nitida ^chioma un pìcòiol manto ( 6 a).  Le cure ^ il duolo ^ le vegliate notti.   Che origin traggon dà nn Violento amore,  I Giovanetti estenuai! ; non tf incresca  Comparire infelice , se tu brami  Di far paghi-ì tuoi voti,'onde ognun dica  Che ti rimirà : è (Questi unWeto amante.  Mi dorrò fbrsè , 0 pur' ti farò dk>ttò  A usar rarti pt^rmessé e le vietate?   Ah che amicizia è fè^^on^nòmf vani i  Lodar quella , che adori, al tuo ^compagno,  E perigliosa imprésa , ché se crede  Alle tue Iodi , gli verrà vaghezza  D'entrar nél posto tuo. L'atto rea prole (63)  Non cercò profanai* d-Achillé 11 letto,   ■ “ n !"*- 7—ri — -——   vini hagnàti^no della ptopHa ofina la pelle del Toro  da lui ucciso per Viàrio loro in cidoy é assicurarono  che da mtella nascerebbe un fanciullo: JVé nacque  infatti Orione ^ che fu un ottime Cacciatore. Non si  sa chi sia Lirico da lui : amata Vedansi le note faU  te a questo libro dal Ckier Néiruio.^   (6i) Dafni figlmel di Merèurio rtacque in Sicilia,  ed k VAutore de^virsi buìieeliei. Amando egli una'  Ninfa , da cui era ^matà egualmente, ottenne dal  Cielo, che divenisse cieco chi di loro oiolasse il primo  la fede giùtata,Immemore Dafni del voto fatto,  j* mnémo rò d^ uha ritrosa Nomade , e divenne cieco.   (6a) Q uando i Romard soffrivano qualche incorno^  do di sai ute , si coprivano il capo con un piccol maa-  to da loro iifè/to Piu li alani.   ( 63 ) Patroclo nipote d^Attore € figlio di Mentàpo  fu amicissimo Achille. Non cercò Fedr^ di sedar T amico (64) .  Di Teseo Piritoo ;aè in altra guisai [  Pilade la consorto af«(ò à' Oreste , ( 6 S) 3  Che come Fcho Palla ^ od il tuo  O Tindaro ,gemeUo amò ia suora^ ( 66 )   Ma non sperato rionofvatì spesson J (o r )  Sìmili esempi, se non spe^ri ancora ;  Veder spuntar dal tramarisco i pomi,   E in mezzo al huine ritroTare ,il mele. . >  Quello che è turpe :giova > e ognun ricerca  Il piacer proprio > che divien più grato.   Se altrui costa dolor . Do^e, 8 !:intese  Scelleraggin piA grande ? Pel nemico  Non debhi .amante: paventar .soltanto,   Ma fuggir dei, se vuoi viver, sicuro,; .  Quei che credi fedeli, e siimi amici. <   Il Fratello, il Cognato ,, ed il diletto ;  Compagno temi ; questa tufba tutta; , ;   Vera ti recherà cagion d^ angoscia.   Già toccavo la meta ; ma diversi.   Sono cosi delle Fanciulle^ \i i ^ ^ ’u   Che varj mezzi ancora usar si 4enno,   (64) Piritoo e Teseo concepirono V uno per Poltro   una stima si f^rànde, ohe giurarono di non àhhan^\  donarsi giammai , o itifMi si prestarono vicendevole  mente soccorso in tutte U occtìrrettoo^ Pirotop ^ querie  tunque frequentasse taaasa di Teseo, limita sèmpre  la sua beneoolenaa per Fedra a* sentimenti d* amìci"\  aia e di stima. : • .. > > ; 0 i . .   (65) Pilade figliuolo di. Strofa ^ ehbé per Oreste   un*amicizia con sincera^ ^le.nonjo abbandonò nel-  le più pericolose circostanze a rischio di perder anche  la vita. ’   (66) Castore e Polluce figli di Tindaro amaron la  lor sorella Elena con quell* amore, con cui debbono  i fratelli amare le sorelle.    Digitized by Google     49    Per adescarle. Non la stessa terra  Ogni cosa produce ; atta alle viti  £ questa ; quella vuol gli olivi ; e in altra  Lussureggian le biade. I nostri affetti  Varian come nel mondo le figure.   Piegar si sa chi ha senno ad ogni umore;  E come Proteo , si farà nell’ onde ( 67 )  Sottile ; ed or sarà leone, ed ora  Àlbero 9 ed or cinghiale irsuto. I pesci  Altri si piglieran col dardo, ed altri  Con r amo ^ e alcuni ancor saranno tratti  Àir ampie reti con la corda tesa.   Nè giova ad ogni età lo stesso modo;   La vecchia cerva scorgerà da lungi  Le insidie . Se s’accorge l’ignorante  Che tu sii dotto, e ardito una modesta,   Si porranno in difesa, onde avvien spesso  Che quella che di darsi a un uom d’ onore  Ebbe temenza , fra gli amplessi vili  Giaccia d’ un servo . Parte avanza ancora.  Parte ebbe fin dell’ opra intrapresa ;  Fermo qui tenga l’ancora il naviglio.    Arte ^am. c    (67) Proteo figliuol di Nettuno era un Dio mari-^  no , che si solwa cangiare in ^alsivoglia forma y e  di qui ha origine il proverbio : Proteo mutabilior.   I3ite e ridite lodi al delio Nome:   La desiata preda è alfin caduta  In queste reti. A’versi miei ramante  Lieto conceda rigogliosa palma;   Al Vale ascreo ed al meonio Omero (i)  Son Dreferito. Tal di Priamo il figlio (a)  Con la rapita^ a Menelao consorte  Trionfante spiegò le bianche vele  Dair armifera Amìcla, e tal pur era   (i) Il Vate ascreò è Esiodo ^ e ph si è veduto al»  V annotazione 5 del Lib, /. perchè gli venga dato uts  tal nome. Critei de , ad onta della custodia che ne ave¬  va Vargivo Creonte^ senza divenir moglie d*alcuno^  divenne madre d^un figlio, che chiamò Meletigene  dal jwmt Me]e«^ in vicinanza del quale parton. Si  sa , che essendo Melesigene accieeato , fu sopranno¬  minato Omero, perchè i Cumani chiamavan con tal  nome tutti i ciechi ; ma non si sa se questo inimita»  ìfil Poeta dicasi meonio perchè Meone fosse suo pa»  dre , o perchè da Meone Re de^Lidj fu poscia adot»  tato in suo figlio.   (a) Paride figlio di Priamo rapì Elena moglie di  Menelao nella Città d*Amicla, donde la condusse  trionfante in T^oja sua patria,^    Digitized by Google      5a .   Pelope allox che te vinta traeva (J)   Sul carro peregrino, o Ippodamia:   Perchè, o giovin t’afFretti ? in mezzo alPonde  Naviga il tuo naviglio, e lungi è,il poxto  Più dt quello ché bramo* A te non’basta  Che tratta t’abbia la fanciulla innanzi  Io tuo poeta: presa fu con l’arte;   Con l’arte ancora conservar si debbe.   Non vi bisogna già niìnor virtude  Perchè non fu^gan^ritroVatè : è quella  Opra del caso , e questa sol delParte.  Siimi propizio , o Amore , e Citerea;   E tu , Er^tp pur V qhe* il ncfme pqrti ' :  D’Àmor , m’assisti» pra a cantar m’accipgo    (3) Enomao Re Elìde e^ di Pisa senti  coloy, ohe sarebbe eglt-uodid nel ygiorno^  da avesse presoi in isposa la sua figlia Ippodan^a^  Per allontanare dalla medesima à molti giovani , che  ambivano d'acquistarsi una 5 I belici fttnóiulia in con^  sorte , gV invitò tutti un giorno a far ^secè il gioco  d'una corsa , col patto che. sarebbe^ irpmancabilmente  trucidato chi fosse rimasto vinto da lui , e che do-^  vesse > chi aveva la fortuna di vincerlo^ sposare Ip->  podamia. Pelope fu vincitore con Vajnto di bfirtilo ,  a cui promise , che. nella prima notte de^ suoi spon¬  sali gli avrebbe in ricompensa accordato }L dolce pos¬  sesso 4dla sposa novella. Immernorè egli però della  data parola, e del segnalato servigio a lui reso ^ con^  dusse sul carro vincitore in trionfo la bellissima Ip-  podamia , e quando Mirtilo gli richiese Vadempirnento  delle sue lusinghiere promesse , lo gettò barbaramente  in .mare. . .   . (4) Da EpMT« , che in greco idioma significa Amo-,  re , ha preso il suo nome la Musa Erato. Fu essa,  madre di Tamita ^ che cantò il primo di tutti i versi^  amorosi , ed a lei si attribuisce da alcuni greci ùom-^  mentatòri V invenzion della Éiusica c del BaUf^    Digitized by Google     53   Cose stupende : con qual arte Amore  Tener si possa io vi dirò, bench’ abbia  In Vasto mondo ei di vagar diletto.   Egli è leggiero , © doppio p^rta al tergo *  OrdÌB‘'*di'jpènbo , Onde' riniporgli legge  È difiScfr impresa. Àvea'aMa fuga  DelP ospito Mibos ckiusa Ogni via, (5)   Ma ntì'àmdace sentier trovò con Tali.  Poiché Dedalo chiuse il Minotauro,  Giustissimo Minos, disse, abbia £ne  Ora'il’mio esilio , ed il paterno suolo  11 ceder mio riceva. Io non potei.  Perseguitato ogUór da iniqui fati,   Vivore in patria, almen morir vi possa.   Se a me ricusi un tal favor , che sono  Carico d*anni ^ lo concedi al figlio,   E se al figlio .noL vuoi ^ lo dona al padre.  Queste e molt^ altre ancor cose dicea, •   Ma a lui Minos hón permettea il ritorno.  Di sua eVentura cèrto», a se medesmo  Allor Dedalo disse, hai tu materia  Onde mostrar Pingegno; e terra e mare  È in poter di Minos : e mare e terra  Or ci vieta la foga ; a me rimane  Il cammino del ciel ; questo si tenti*   — l^tdato , come già si è accennato , fabbricò irs  Creta il celebre Labirinto, in cui fu racchiuso il  Sfinoiaiiro. A^endògli' Minos vietato d* uscir da quel^   ' io' f non trovò altro mezzo per ritornare alla patria y  se non se di fabbricar dell* ali congiungendo insieme  varie penne d* aòcelii , ed accingersi in tal guisa a  ' 'Volar per il cielo in compagnia d'Icaro suo figlio.  Questi per altro innalzò troppo il suo volo, e preci^  pkò miseramente in quel mare , che prese da lui ii  nome Icario.    Digitized by Google      54   Sommo Giove *, perdona ^ questa impresa:  DelP Empireo stellato non aspiro  Già le sedi a toccar ; sol questa strada  Onde fuggir dal mio Signor mi resta*   Se Io stìgio sentiero a me si mostri,   10 r onde stigie varcherò • Debh’ ora  I dritti rinnovar di mia natura.   I mali aguzzan 1* intelletto. E quando  Si avrebbe dato fà che un uom potesse  Premer le vie del cielo.? In ordìn vario  Dispon le penne , che per V aria sono   11 remo degli augelli ; e unisce insieme  Con del ritorto Un 1’ opera lieve.   Con cera al foco sciolta insieme accoppia  Le parti estreme ; e già della nuov’ arte  Era venuta la fatica a fine;   Ma intanto che trattava e penne e cera.  Rideva il figlio , ignaro che quell* armi  Sarian la sua difesa al tergo unite.   Con tal naviglio, a lai diceva il Padre,   Si può alla Patria far ritorno ; in questa  Guisa fuggir Minos, che ogni altra chiude  Fuor che T aerea via « Tq che lo pupi,  Con questa ch’io inventai arte novella^  Fendi gli aerei spazj ; ma la vista  Della Vergin tegea, e del compagno (6)   (6) Calisto i Licaone Ra d* Arcadia ^ è   soprannominata Tegea, da una Città di tal nome  soggetta alV impero del padre della medesima. DaU  V illecito commercio , che ebbe essa con Giope , diede  alla luce un figlio chiamato Arcade , e fu da Giu¬  none per ciò tra^ormata in Orsa ad oggetto di ven*  dicarst deW infedele suo sposo ^ il quale la collocò in  oielo fra le stelle col nome , che ancor oggi conserta,  d’Orsa Maggiore. Di Boote Orion cinto di spada --—   Tu dei fuggir • Con V apprestate penne  Mi segui ; io ti precedo, e sia tua cara  Batter^ V isteasa via ; da rae guidato  Incolume sarai, li’aeree strade  Se calcherem troppo vicini al Sole,   Al suo caler si scioglierà la oera;   Se al mar propinqui batterem le pennei  Da’ vapori del mar saran bagnate.   Spiega il tuo voi fra ^1 Sole e il mare; i venti  Pur anco temi, o figlio ; e all’ aure in preda  Dà le tue vele allor che sian propizie.  Mentre in tal modo V istruisce ^ ài figlio  Il lavoro dispone, e mostra come  Muover lo debba : in guisa tal la madre  La pennuta ammaestra inferma prole.  L’àJe poi di sua man per se costrutte  Accomoda al suo tergo, e nel novello  Cammin timido libra, in aria il - corpo..  Allor che al volo si accingeva, al figlfo  Diò molti baci, e le paterne gnauce  Furon di calde lagrime bagnate.   Sorgea sul piano un colle assai minore  Del monte, e quivi V uno e l’altro corpo  Si diede in preda a perigliosa fuga.  Mentre le penne sne Dedalo move.   Quelle osserva del figlio, e ognor sostiene  In aria il corso • Icaro si diletta  Del novello sentiero, e ornai deposto    Orione figlio Ireo ( annot, 6o del Lib, I. ) Untò  di dare un disonesto assalto alla casta Diana ; ma  essa lo fece uccìdere da uno scorpione , e poi mossa a  pietà lo trasmutò presso a Boote in una costellazione  fatta a guisa di spada^    Digitized by Google      56 I   Ogni timor ^ con arte audace vola  Più ibrtemente. Un che insidiava a’ pesci  Con la tremula canna, alzato il guardo,   Li vide in ariane abbandonò P impresa.   Già da sinistra avean passato Samo,   E Nasso e Paro e Delio al clario Dio  Sommamente gradita ^ ed alla destra  Si lasciar dietro Labioto, e Calìnna  Per selve ombrosa, e Stampaglia di guadi  Feraci in pesci cinta, allor che il figlio  Temerario con troppo incauto ardire  Spiegò senza ìL suo duce in alto il volo*   S’allentano i legami ; al Sol vicina  Liquefassi la cera , e i .tenui venti  Male sostengon le commosse braccia.   Dal sommo cielo spaventato il guardo  Rivolse al mare, e dal timor già sorta  Si offro al suo sguardo tenebrosa notte.   Si liquefò la cera, e i nudi braco!   Dibatte ; trema ; e ìnvan ricerca il modo  Di sostenersi *« Cadde , e o padre , o padre  Gridò cadendo, via son tratto , e T onda  Cerulea chiuse al suo parlare il varco.   Ma Pinfeiice Padre.(ah non più padre!)  Icaro , grida , Icaro , dove sei?   Sotto qual asse voli ? Icaro grida,   £ nuotanti sul mar mira le penne*   Copre P ossa la terra , è prende il mare  Il nome suo • Minos già non poteo  D’ un uoni frenarle penne ,ed io m’accingo  Un Nume alato a trattener? S* inganna  Cfii fa ricorso all’ arti emonie, e appresta  Dalla tenera fronte del cavallo    Digitized by Google     '^7 -   Lo svelto a forzalppomane. Non Verbe ( 7 )  Pon di Medéa far viv*?re l’amore;   Non 1 Tharsfejj^ncàntesmi . Se potesse  Una tal'arte ptolàligàrto , avria '   Medea Giasbn', Cfrcfe teénto Ulisse . ( 8 ^   Nè i pallidi apprestati* éill%*dónzelle  F'iTtri* Valséro { aU’alrne Son nòcivi, ( 9 )   Ed inspirai) farot .'Ogni delitto  Vada put lungi ; se attti essere amato,  Amabile ti- ttióstraf I a: ciò^ nTort giova *   Solo’ le^ menibtk àlve'r’by^^ e là-faècia. ^  Sii pur Nireó tfaro^ ^11’ aiitibd^ Omero ; ( io)   ' ^. t L ; >( 7 ) Q^^àevano gli an tichi , e fra questi ancora Pii-   nio ea Aristotile , che si potesse còncìliar l*amore per  mezzo éAl^lppòinsLne, cioè di qtàel pézzetté rotondo  di carrie .nera ^ che han\ sulla , fronte iì cavalli nati  di fres^qp, Jfa Mars^ figlio^^efia/venefica Circe^^ t^aj-  ser l a lo ro orig ine i M ar si. Abitarono questi popoli m  lidlia non fontani ,àa Uòma ^e Jfùrorio~reputati , èc-  celleràPneWarte dellc^ ' niagìq: “ * '   (8) ,iÌÌe«/èa \e Circe fdronp dii^ ihsiAni Ma^he ^ je  insieme due a^passioriaté 'mài. cohisposte dmànii\  poicHè 'fiorì pótérono có'loro magici incanti trattenere  Ùiasoné\d Utisse i che amavano tèneramente, ‘ ’   (^) t Filtri preparati dalle Maghe , eran composti  di fichi salvatici ^ éP uòva e di penne di civetta, di  * sangue e di. pòlfnone di ranocchie , e d*os5Ì di cani e  'di serpenti'Sventrati. Lèggasi ài Libro quinto V Ode  'd*Orazio cprìlró Canidia. * ^   (io) Nireo], nafo dd Aglajd e dal Re Cecrope,  andò alt*assedio di Trojq ; e vien da Omero nel Li-*  hro secondo dell*Iliade lodato per la sua sorprenden^  te bellezza. Ercole amò sommamente Ila figliuol di  ‘Teodamahte , c lo condusse con se, quando navigò  alla volta di Coléo. MetltP era iri viaggio lo mandò  un giórno ad attinger Vacq.ua dal fiume Ascanio nel’»  la Misià ma essendo ivi disgraziatarkente caduto^  han finto i poeti , che fosse rapito dalle Nufadi Dea  de*fiumu 1    Digitized by Google      58   O il tenerello un giorno Ila rapito  Dalle callide Najadì : se brami  Conservarti Y amor della toA donna,   E non vederti abbandonato , aggiogni  Deir alma i preg) alla beltà del corpo.   È la beltade un ben caduco e frale,   Che con gli anni decresce, e a un fisso tempo  Fugge mai seiupre • Le violette^ e i gigij  Non fioriscono ognor;Ia spina , ^ cui  Colta la rosa sìa , rigida viena*,^ ^ '  Vago garzon , i tuoi capelli un giorno  Verranno bianchi, e il corpo tuo le rughe  Ti solcheranno . Formati ed aggiungi  Alla beltade un animo che ^uri:   Sol ei riman fino agli estremi roghi*   Ni sia rultima ina cura con Farti  Ingenuo Padornarlo ^ e di due lingua  Renderlo dotto . Non fu bello Dlisso,(ii)   (il) Colisse t figlia , come credono alcuni, delVO*  etano e dì TeHde, accolse cortesemente il naufrago  Ulisse nell* ìsola Ogigia , ov* essa regnala. Dimorò  questi per sette anni con la Ninfa suddetta , da cui  ebbe varj figli , e poi fu costretto a dividersi da lei  per comando de*Numi , quantunque non lasciasse elìa  alcun mezzo intentato per ritenerlo sempre appresso  di se. Reso Re dei Traci detto odrisio perchè cornane  dava alla Traqia nazione degli Odrini, e sitonio^  perchè anticamente la Tracia ^si chiamava Sithon ,  fu ucciso da Ulisse e da Diomede, mentre andava  con un esercito in soccorso di Troja. D* ordine de*suoi  Troiani si portò Dolone ad osservar gli andamenti  dell*armata de* Greci ; ma incontratosi con Diomede  td Ulisse , che pure osservavano la condotta del cam^  po Trojano , svelò a*meiesimi , dopo d*aver preso Vim^  punita y tutte le più segrete determinazioni de* suoi  concittadini. Volendo egli poi per premio i cavalli  emonj d*Achille , fu ba^aramente trucidato da Ulio^  se e Diomede uccisori di Reso.    Digitized by Google      59   Ma facondo ; c per lui ferito H petto  Portar* r equoree Dive. Oh quante volte  Di sua partenza si lagnò Calisso^   E dicea che non atte erano a* remi  L’onde del mar! Oh quante volte udire  Bramò di Troja i casi , ed ei sovente  Narrò lo stesso con diversi modi I  Stavan sul lido insiem , quando la bella  Calisso ehiese la dolente istoria  Del Duce odrisio; ed ei con tenue verga  ( Mentre a caso la verga in man teqea )  Finge Popra richiesta in sull’arena.  Questa» le^disse, è Troja (e fe’sul lido  I muri) . È questo il Simoe,e queste fingi  Che« sieno le mie tende . Il campo osserva  (E intanto lo disegna) che col sangue  Sì sparse di Dolon, quando gli emonj  Cavalli scaltro d’ involar procura.   Fur del sìtenio Reso ivi le tende;   In questa uotte da i deitrier rapiti ^  Fui strascinato . Dipingea più cose,   Ma improvvisa del mar onda furiosa  Via trasse Troja , e col suo Duce ancora .  Le trinciere di Reso. Allor la Diva,   Vedi quai nomi s’inghiottiron Ponde^   £ vuoi che al tuo cammiò sieno propizie?  Ardirai dunque di fissar tua speme  In fallace fij^ura? e più del corpo  Altro tu non avrai solido e degno?  L’accorta compiacenza a noi concilia  Gl’ animi, ma l’asprezza e le severe  Parole contro noi muovon lo sdegno.   Si ha in edio lo sparvier , perchè tra V armi  Traggo sua jriU, e i lupi che assalire   \    Digitized by Google     6o ^   Hanno in costume il timoroso gregge.   Mite è la rondinella , e innocua vive  Dall’insidie dell’uomo ; e l’alte torri  Abita là colomba a lei gradite.   Vadali lungi le liti e i detti amari;   Con soavi parole amor si nutre.   Stia la discordia tra marito e moglie;   Si faggan questi, e credano a vicenda  Di difender lor dritti • Ciò conviene  Alle tnògli/che ognor funesta dote  Recan di lìti . Il dolce suono ascolti  Degli • accenti bramati ognor V amica;  Legge non havvi per gli amanti ; in loro^  Ìj amore è legge • Parolette grate  Reca , e dolce lusinga à lei 1’ orecchio.  Onde alla vista tua lieta si faccia.   Non io d^ Amor maestro a’ ricohì parlo.  Che chi pnote donar > dell’ arte mia  Non abbisogna • Chi quando a lui piace,  Prendi j può dir, non manca mai d’ingegno.  Cedere a Ini dobbiam, che più gradito  Sarà dell’opra nostra. Il vate io sono  J>e’ poveri, dhe ognor povero amai.   Dar doni non poteva, e diei parole.   Cauto ognor sìa povero amante , e tenga  La lìngua a freno, e soffra quel che un ricco  Non soifrirebbe . l^el ponsier mìo torna,  Che irato aia di delia mia Bella feci  Al crine oltraggio . Un tale sdegno ah quanti  Giorni mi fe’ passar pallidi e tristi I  Noi credo, e noi compresi , che la vesta  Io le stracciassi allor, ma lo diss’ ella,   £ comprarne altra a me fu d’ uopo. O voij  Che avete ingegno, del Maestro vostro    Digitized by Google     6i   Fuggite il fallo, e né temete i danni.   J8ia la guerra co’ Parti , e ognor la pace  Con l’Amica diletta'. Usa gli scherzi,   E tutto quel che favorisce Amore.   Se a te che l’ami, docil non si mostra  Qual vorresti e cortese, il suo rigore  So^ri costante , e diverrà benigna.   La forza usando, il curvo ramo frangi,  Che con dolcezza addirizzar potevi.  Varcasi 1’ acqua cón pazienza, e malo  Vìnconsi i fiumi, se pigliar tu tenti  Contrarie Tonde rapitrici k nuoto.'   I numidi leon , le fiere tigri  Pan le lusinghe mansuete e miti;   Ed al rustico aratro la cervice /   A poco a poco sottopone iJ toro.  Dell'arcade Atalanta e chi più fiera.(ia)  Mostrossi mài? Eppur quella crudele  Soggiacque anch’essa al mèrito d* un uomo,  Narra la fama , Melamon piangesse, (i3)  Sotto un arbor giacente all’ombra, spesso  Suoi tristi casi e la crudel Fanciulla.  Spesso* portò le ingannatrici reti  Sul vinto collo, e con spietato ferro    (la) L’arcade Atalanta, figlia di Jasio o d’Aban^  te , fu un.’eccellente cacciatrice ,e si fe* compagna di  Diana per consertare illibato il candore della sun  verginità, Finta essa p<ù dalla fedele e lunga servitù  prestatale da Meleagro o da Melanione , si abbando^  nò finalmente in braccio ni medesimo , ed ebbe in fi^  glio il celebre Partenopeo,   ' (i3) Sono tra loro cod diverse le memorie .a- noi  lasciate dagli antichi scrittori riguardo a Melanione  0 aid Atalanta , che è impossibile il dar de’ medesimi  «Hit distìnta notizia*    Digitized by Google     6 a   Uccise spesso i barbari cinghiali.   L’arco teso d’Ileo soffri piagato,   Ma conoscea più ancor 1’ arco d’ Amore.  Non vo’che armato le menalie selve  Tu salga, e che le reti al collo porti;   Hò già t’impongo il petto alle vibrate  Saette espor • Dolci più assai saranno,   Se udir mi vuoi, dell’ arte mia le leggi.   A lei che è ripugnante , ognora cedi;   E vincitore partirai cedendo.   Eseguisci fedel ciò eh’ ella impone:   Biasma Quello che biasima, ed approva  Quel che le piace , e il suo parlar seconda.  Di rider ti ricordo al riso suo.   Di piangere al suo pianto , e i moti ancora  A suo piacer del vento tuo componi.   Se giocale nella man P eburneo dado ( 14 )  Agita , tu ancor l’agita, e lo getta    (14) Oltre il gioco de* dadi era presso i Romani in  uso quello dclVAlìosso detto da loro Talut, che con^  sistema in piccoli quadrati d*osso j ne* quattro lati de*  quali erano notati separatamente i numeri uno, tre,  quattro, sette. Doleva pagar senza lucr^o una mone^  ta chi avesse gettato l* uno, che chiamatasi Ganis o  Òanicula. Guadagnata sei monete e ciò che ateta  perduto nel gettare il Cane chi scoprita la parte op*  posta all* uno ^ cioè il sette che ateta il nome di  * Yenns o Gons,* ne guadagnata tre chi gettata il  Seniofper cui intendetasi il tre, e quattro chi ates^  se rappresentato U Ghio, che esprimeva il numero  quattro. Si rileva da**latini Scrittori che fu VAliosso  giocato anche ditersamente ; ma basta per la chiara  intelligenza di questi versi U sapere che erano i Cani  dannosi ^ mentre esprimevano l* ano ^per cui si dote^  va senza lucro pagare una moneta. Il Gioco , ohe  rasfvmbra a guerra , è , come facilmente ri QQtnprew*  dp ^ qugllo degli Scacchi,    Digitized by Google     In modo cV«lIa vinca. L’Àliosso  Se trae, farai in maniera cbe la pena  Non soffra d’ ^sser vinta, e tuoi saranno  Sempre i dannosi cani ; e s’ ella' pone  Opera a gioco « che rassembri a guerra,   Fa cbo perisca dal nemico vinto  Il tno soldato. Sulle verghe steso  Tieni r ombrello , e, nella densa folla  Per dove idee passare , il varco l’apri;  Vicino al letto non t’incresca porre  Lo scanno, e fai piede dilioato togli  E riponi la scarpa .iDei sovente.   Benché ti prenda orror , della Padrona  L’algente,mano riscaldare al seno.   Non creder turpe, henchè a te rassembri.  Con destra ingenna sostener lo specchio,   Se a lei ciò piacerà. Chi ’l fiero sdegna (i5)  Otaneb.della matrigna in domar mostri.  Che ora è nel Ciel , ohe primo egli sostenne.  Si crede , tra Ife joniche Fanciulle  Che tenesse il cestello, e che filasse  Rnstiche lane . Si l’Eroe tirinzio  Servi all’impero d'una Bella ; or dnnqne   Dubiti di soffrir ciò eh’ei sofferse?   Se ti comanda esser presente al Foro  -Previeni 1’ ora del comando , e sempre   ^eoU ' mnst valorosamente ( Annoi. 17. del  Lib. I. ) tutu s mostriyche contro di lui suscitò la  tua rnatngna Giunone, e sostenne sulle sue spai-   ad Atlante affa-  incarico. Innamoratosi egli poi dH)n-  '‘iff reale della Lidia, vestì abiti femi-   mh, e m qualità d’ancella iella medesima filò vil¬  mente l»inne con quella man valorosa, con cui per  le rmrabilt sue gesta s’ era colmato di gloria. ^    Digitized by Google     Ne partirai più tardi • Se ^t* impoiàfe  Di gire in altro loco’, ogni altra cura  Lascia da parte , corri ^ uè la turba ''  LMutrapreso cammìti trattenga , e còma ‘  Servo, sé vuol, tu Taccompagna a Casa^-  Tolte le mense , e^già sorta^ la liOtte; > *   Se fosse in villa,*e tf dicesse: vr<eni> ^ ^  Col piè premi la via , se manca il eocebiò,  Che Amor odia gl’inerti . Il btiitasoosò  Tempo nè la Canicola assetàtai ^ ' n /  Nè per scaduta nòve il sentìev biénco - ^  p’ ostacolò ti aien ^ Simile a gòfei/ra * ^  E r amore , da cui vadano lungi ' ‘ ^ '•   I codardi . Nò , sotéo tali itìsegné*   II timid’ uòmo guerreggiar tiòu' debbe*   La notte, il verno, disastrose strade, ' ’  Dolor cocenti, e ogni altr’aspra fatica  Racchiudono que’mòlli ttccampaihetttli*   Di pioggik dalle untole tìiscioitu'^ * ‘ ‘ *   Ben spesso intrisa avrai la -veste,-è‘Spesso  Gelato giacerai sul nudo suolo." ^   Dicesi che dì Cinto il'Nume' nu giorno (i 6)  Pascesse le ierée vacche d’ Admeto,   £ s’ascondesse in umil capanna.'   A chi non converrà ciò che coriTenné ‘  Apollo, che dicesi i/-Nuine- 4 ì'Cinto fper^hè  ( Ànrvot. 1^9. del Lib, /. ) nacqueove giace  4 in tal monte y sentì il pin, intenso, dolere ^ quanda  Giove fulminò Esculapio di , lui figlio , perchè faceva  rivivere i morti con V ajuto della -Medicina. Per veti^  dicenrA pertanto in qualche maniera d* una tale ingiur-  ria , egli uccise i. Ciclopi y che fabbricavano le saette  a quel Nume supremo , il quale lo spogliò per ques to  della divinità, e lo costrinse a pascolar le vacithe  4 * Admeto Re de* Ferei in te staglia^    A Febo ? O ta, che in lungo amor ^impegni,  Il fasto lascia • Se un cammiii seeuro  £ facil ti si nega, e se alla porta  Ritrovi impedimento, allor t’insinua  Dal precipizio d’ùn aperto tetto,   O da ascoso sentier d’ alta finestra.   Lieta ne fia, quando del tuo periglio  Intenda la cagion ; di certo amore  Sarà per la tua Bella un grato pegno.  Spesso potevi dalla tua Diletta  Star lontanerò Leandro, ma varcavi ( 17 )  L’ onda del roar, perchè le fosse noto  L’ amante core • Guadagnar l’ancelle  Non abbi a vile, e in special modo quella.  Che sarà favorita , e ancora i servi.   Non temer d’ avvilirti : ognun saluta  Col proprio nome, e alle lor destre umili,  Ambizioso , d'unir cerca la tua;   Ma al servo che ti prega ( è lieve spesa)  Porgi piccoli doni, ed in quel giorno  Pure air ancella, in cui restò ingannata ( 18 )   (17) Leandro amò Con tal forza Ero Sacerdotessa  di venere , che spesse volte varcò VEllesponto per visi^  tarla. Essa accendeva Una fiaccola sopra una torre,  affinchè potesse il suo Amante camminar piu sicura^  mente , e quando intese , che era il medesimo misera^  mente annegato , si diede in preda aW ultima dispe-*  razione , e slanciossi intrepida nel mare,   {ìÒ) Ai q di Luglio celebravasi in Roma splendi--^  damente una festa, a cui concorrevano le Servé‘ ve^  stile a Matrone romane , in memoria delV util servii  gio che avevano esse in tal giorno prestato alla Pu^  tria. Ecco ciò che ne dice il Macrohio, Post Urbe in  captam , cum aedatus esset gallicus motus, res vero  publica esset ad tenue reducta, Finìtimi opportuni-    Digitized by Google      66   Da veste maritai gallica truppa,   E che pagò d’ un folle ardire il fio.   Ti fida a me ; fa tua la plebe, e sempre  Sia fra (juesta V ascierò , e quel che giace  Sulla porta del Talamo . Io non voglio  Che ricchi doni appresti alla Padrona;  Piccioli sian, ma convenienti e accorti.  Mentre è ferace il campo , e mentre i rami  Piegan pel peso di mature frutta.   Porti fanciullo in un cestel gli agresti  Doni , e dir ben potrai che da una villa  Suburbana ti vengano, quantunque    tatem invadendi romani nominis aucupati praeferant  sibi Postlmmium Livium, Fideoatiam Dictatorem ,  qui, mandatis ad Senatum misis, postalayit , nt si  yelleut reliquias suae ciyitatis manere , matres fa*  Hiilias sibi et yirgines dederentur . Cumque Patres  esseat in ancipiti deliberatione suspensi, ancilla no¬  mine Phìlotib teu/ Tutela , poilicita est se cum cae-  teris ancillis sub nomine Dominarum ad hostes ita-  ram : habituqae matrnm familiat et yirginum sumpto,  hostibas cum prosequeatium lacrjmis ad iidem do¬  lorii iogestae sunt. Quae cum a Livio in castris di-  stributae faissent, viros plurimo vino proyocarunt ,  diem fbstum apud se esse simulantes. Quibus sopo-  ratis , ex arbore caprifico, quae castris erat proxima,  signum Romania dederunt, qni oum repentina incur¬  sione snperassent ; memor beneficii Senatus, omnet  ancillas manu jùssit emitti, dotemque eis ex publico  fecit, et ornatum quo tunc erant usae, gestare cou-  cesfit, diemque ìpsum Nonas Gaprotinas nuncupa-  yit ab illa Caprifico , ex qua signum yictoriae coe-  perunt, sacrificiumque statuit annua solemnitate ce<-  lebrandum, cui lac, quod ex Caprifico manat, propter  memoriam facti praecedentis adhibetur. Questa è la  fedele esposizione del fatto, d cui non pare che si  uniformi il Poeta»    Digitized by Google      Tu gli abbi compri nella laera via. ( 19 )  Rechi pur Tu ve » e le aastagne care  Un giorno ad Amafilli, e che ora a vile  Parehè dono legger avrebbe anch* esso,  Co’t^rdi pure e con ghirlanda mostra  Che memor vivi della tna padrona.   Si compra turpemente con tai mezzi  D’orbo vecchio l’affetto, e la speranza  Di godere i suoi beni. Ahìperan qnelli  Che Così vii disegno a donar move.   E che ! t’insegnerò teneri versi  Io diluviar Fa me lo credi, i carmi  Non ton molto graditi ; e benché Iodi  Ottengano talor, maggior lusinga  Han gli splendidi doni : Un ricco piace  Ancor che nato in barbara contrada.   Questa è per vero dir l’età dell’oro^  Giacché con Voto compransi gli onori,  Criacchè con V oro piegatisi le Belle.   Se tu medesmo con le Mute, Omero,  Venga privo di doni, ab ! tu seaeciato  Sarai di casa. Di fanciulle dotte ^   Havvi turba rarissima , ed un’altra.   Che sé reputa tal benché ignorante,   L’une e l’altre s’encomino co’versi^   Che ottengan dal lettor lodo pel suono  Facile e lusinghiero \ a queste e a quelle  Tenue e da aVersi a vii sembrerà dono  In loro onore vigilato carme. ^   Usa in maniera ché V amica ognora    (19) VendéQasim Ronia ogni torta di frutti e d*al^  tri generi nella Via sacra, che acquistotti un tal nó¬  me , perchè furono ivi conclusi con gran^ sagrifizf i  patti fra Romolo e Tazior     68   A far ti preghi quel che util ti sembra,   E che far già volevi. Se promessa  Abbi ad alcun de’ Cuoi' la li ber Cade, (ao)  Fa pur elisegli la chiegga alla padrona.   Se ta rimetti al servo il suo delitto,^   Se le catene sue dure disciogU, ;   Te ne sia debitrice. ^ A lei la •gloria>   A tediatile venga. Sul:tuo eore  Mostra ohe elFabbia un prepotènte impèro^  Ma illesi serba ognora i dritti tuoi.   Tu che nutrì desio della tua cara ' ^ ^   Consfetvarti V amor , fà oh’ ella pensi  Che tu getonito sei di sua Heltade.*   Se le sue menàbra in vtiria veste avvolga,  Le sii largo (U lodi, e se le doe ' .  Cinge, dirai che accrescono i suoi Veazi.  Se poi s* adorna con aurata veste, *   Dille che più splendente èli’è dell’ oro.   Se prende la pelUcela , e tu T approva; *  Se la tomita lieve , allora, esclama '   Che, desta incendj, e con ièmmes^a voce  Pregala che schivar proeuii il. freddo.   Sia il orine in duo diviso, oppur da oaldo  Ferro ritorta, tu dirai : mi piace.   Di lèi, se.danai, ammirerai le,braccia,   Di lei, ^ canta, 1* armoniosa voce,. •   ' E a lei dimostra con dolèntii note^   Perchè fpresto diè fine, il tuo scontento.  Loda gli abbmcciamenti ,:e in suon piètoso  E querulo ie mostra con KJUéiI foraa ..   (ao) Presso i Homani eruno cortamente i servi in  una condizione sì miserache (^iputavansi fortuna^-  a , quando i padroni per un effetto di^somma cUmon^n  accordavano loro la liberty, ^ -,    Digitized by Google    6p   D’insolita jilaowrfe: il. cor t’inonda.   Gon questi- un4incoc che-|}iù. violenta  Foss’ ella di Medusa ^ e indite: e giusta (ai)  Dìvetrài.co», l’ ansante,* Sia .tua cura -  Di non sembrane -iagantiatore ; e il volto  Kon distrugga i tnoi> detti. Ascosa Térte  Giova j e svelata la vergogna apporta,   E Ii^ tfe. 00» ragiOp j toglie per. sempre.  Spesso Sotba l’ÌAu)tjnA0tì,( iiti quella bella  Parte dall’sanitOf,-^ cui vosaeggia Priva  Del purpureo, lioór ; rieolnta » quando  Il freddo,«cura la?f»reiuej ed era il «aldo  La soioglie,). Pìncostante. aere d cagione  Di languore, alle-metubra,* Elhi^pur viva  Sana, masO'.inat giaceja-in, letto in ferma.  Soffrendo. ..drd tmaligqogciol V Infinstoi  La tua pìetade:;ecP AQt^ctW> palese  Sia alloca .alla fanqiullaj^ fi getta il aenae  Di ciO .cbe mieter, debbi, a larga falce.'  Nè del liingaauo mal poja',ti, prenda^ ,   E faccia» le tue man cid che permette.  Te rimiri piangente, ed i .tuoi baci :   Non r.inore«qa;S<^l-Ìr,;'flon arse labbia ,  Beva il tàO ;piantp,. 4 Ì» .ciel voti farai.   Ma ognor,.palesi,,e di narmr: ti .piaccia  Be» spesso,fausti' sogni..:Àn| sua'magione  Guida la-ivacohiarella , che con ?ìolfo iaa)   (ai) ]ffedasa figlia di Forci^'ed ufl'a delle tre Gor-  goni, incontrò-lo tdogn» di Minerva , perché à prestò  all’ impudiche iooglie, di Nettuno • nel Tempio della  medesima* Questa Dea le trasformò^ pertanto i capelli  in serpenti, e fece si che fosse convertito in -sasso  chiunque ardiva di riguardarla.   (ìa) ponducivàn gli antichi le vecchiarelle nello  àuse d^gV frifermi , affinché con le lor preghiere di^    Digitized by Google       Purifichi la stanza e insieme il letto,   E con tremola man T ova le rechi.   Di tua premura avrà cosi 1* amica  Kon dubbj segni, e con tai mezzi molti  Far dalle Belle istituiti eredi.   Ma deir inferma per soverchia cura  Deh non volerti procacciar lo/sdegno;  Àbbian tuoi dolci uffioj il lor confinej  Non le vietare il cibo ; il tuo rivale, •   E non la destra tua* pòrga la tazaa  Colma de* succhi amari. Or che n^ll* alto ^  Del mar solca la nave, usar non dei  Lo stesso vento, con cui già dal lido  Le vele hai sciolto. Mentre Amor va errando  Novello ancor, con Taso forza acquisti;  Stabil verrà, se lo saprai ' nutrire.   Ebbe vitel le tue carezze il toro,   Che or è de'tuoi timori oggetto, e Talbore,  Sotto cui posi , un di fu tenue ^etga.  Nasce povero d'acque il fittnré , e forza  Acquista nel suo corso, e dà Ogni parte  Gli vien tributo di novello umore.  S’accostumi con te, che nulla puote  Più di tal cosuetudiue giovarti.   Mentre l’adeschi, a te grave* non sia  Di soffrire ogni tedio • Abbia te sempre  Dinanzi al guardò ; ognor tuoi détti ascólti;  La notte e il di le pinga il volto tuo*   Ma quando poi sicura avrai fiducia  Di poter esser ricercato, allora   Scacciassero Sa quelle, gli spettri. Epicuro deve soffrire  i rimproveri degli Stoici, e VOratore Eschino quei di  Demostene , perchè avevano le lor madri Ulk   simile impiego che riputavasi vile*    Digitized by Google    7 ^    Vanne pur lungi, che la cura sua  Sarai benché lontan . Prendi riposo;   Ciò che s’afBda al campo riposato  Bende ei ben generoso e l’arsa terra  Bey e l’acqua del ciel. Finché pxesente (a 3 )  Fa a Filli Demofonte, il di lei seno  Senti mediocre amor , ma in vasto incendio  Arse allor che le vele ci diede^’ venti.  Mentre vivea lontan l’astuto UÌìsse (a 4 )  Penelope soffriva cura mordaeCr  Tu ti dolesti pur, Laodamla, (aS)   Lontan Protesilao. Brieve tardanza  £ mai sempre sicara. Allevia il tempo  11 dolor dell’assenza ^ e dal pensiero   > e dà loco a nuovo amor 1’ assente*  Mentre tu , Menelao, stavi lontano (26),   (a 3 ) Fillidt, figlia di lÀcurgo He di 'Tracia , rice*  Vè cortesemente nella Reggia e nel letto il naufrago  Demofoonte figlw di Teseo. Quandi egli partì per %  Città d* Atene ., colera chiamato dalla cupidigia di  regnare , le diede parola di ritornarsene a lei dentro  un mese . Aspettò Fillide lungo tempo il suo caro  sposo, e poi afflitta e disperata per la tardanza di  lui , si tolse da se stessa crudelmente la vita.   È noto il verace affetto che aoea Penelope pet  Ulisse suo spesole però si può facilmente compren¬  dere quanto fosse vivo il suo dolore per la lunga di¬  mora che fece fi medesimo alV assedio di Troja.   ^uS^ Laodamia amo sì ardentemente Protesilao detto  in latino Phyllacides daFilaco.4uo avo, che fu sem¬  pre occupata dal più vivo dolore mentre era esso al-  V assedio di Troja , e fece far del medesimo dopo la  sua morte , una statua di cera , che ogni notte pone-  vasi nel letto quando vi andava a dormire.   Menelao trovavasi in Vreta , ove .l* aveano ri¬  chiamato i suoi affari , quando Paride di lui confi-  mcpte gli rapì la bellissima E.lena pia consorte.    Digitized by Google    7 ^   Sulle piume giacer sole non volle  Siena, e nella notte al caldo seno  l)eir ospite fu striata. E chi mai puote  Di ciò nutriremo Menelao, stupore?   Solo partivi, e nel medesmo tetto  Era la moglie e T ospite. In custodia  T,ii folle le colombe al. falco fidi,   Ed al montano lupo il pieno ovile?   Siena non ha colpa, e non commise  L’adultero delitto ; ei fece quello  Che tu faresti, e che farebbe ognuno.   Ad esserti iiifedel la donna sfórzi^.j   Se il tempo e il loco a lei concedi. Quale   Oonsiglio ella usò mai se non il tuo?   Che dovea far ? Il suo marito è lungi,   Ed un amabil ospite presente,   E giacer sola teme in vacuo letto.   Ciò a Menelao era noto. Io dal delitto  Siena assolvo ; usar volle di quella  Libertà, che il marito a lei concesse  Cortese c umano. Non così feroce  Flavo cinghiai si mostra in mezzo all’ira  Contro i rabidi cani, allorché il dente  Fulmineo rota , nè così lionessa  Che a’cari figli suoi porga le mamme,   Nè da piè ignaro vipera calcata ;   Coni’ àrde e mostra 1 ’ agitata mente  Donna che la rivai trovi nel letto  Del suo consorte : e corre , e dà di piglio  Al ferrò e al foco, e ogni decor deposto,  Rassembrà una Baccante. La spietata (27)  Medea nel sangue vendicò de’figlj  ^-   fay) Vedaii V annotaz. 89 del Lib, /.    Digitized by Google      73    Del marito il misfatto ^ ed i violati  Dritti di sposa. Àltr^empia genitrice, (28)  Mirala in rondinella trasformata.   Or di sangue macchiato il petto porta.  Tali delitti sciolgono V amore  Meglio composto e più costante ; e cauto  Gli dee r uomo fuggir, gli dee temere.   Nè ad una sola donna io ti condanno;  Portin migliore augurio i sommi Dei !   Così rigida legge appena puote  Seguir sposa novella. Abbiano pure  Loco gli scherzi, ma celar ti piaccia  Sotto furto modesto il fallo tuo.   Da cui già non voler cercar la gloria.  Altra non mai conosca i doni tuoi;   Nè prefigger tu dei 1 * ora medesma  Agli amori furtivi, e in un sol loco  Condur le belle, onde non le sorprenda  La donna tua ne’ noti nascohdiglj ;   E quante volte scrìvi , i fogli osserva;  Che molte leggeran più assai di quello  Che tu loro scrivesti. Amante offesa  Move bene a ragion Tarmi, e sovente  Come a lei desti, a te di duol dà causa.  Mentre il figlio d'Atréo fu d’ una sola (29)  Ov. Arte d^am. d    (a 3 ) Progne figlia di Pandìone, e moglie di Teseo ^  fu dagli Dei cangiata in Rondine, perchè vendicane  dosi deW ingiuria recata da Teseo a Filomena di lei  sorella , uccise Iti suo figlio ^e lo apprestò al Padre  barbaramente per cibo,   (39) Agamennone rapì Criseide figlia di Crise  cerdote d*Apollo , il quale in abiti sacerdotali si portò  inutilmente dal medesimo per ricuperarla j tolse Bri*  seide ai Achille ; e condusse poi in Grecia Cassandra    Digitized by Google     74   Contentò e pago, quella visse casta.   Ma per i vìej del marito poi  Divenne infame. Inteso avèa che Crise,  Le fasce in capo e il lauro in man portando,  Ottener non potè 1* amata figlia.   Inteso avea il tuo ratto, il tuo rossore,   O Briseide, e per quai turpi dimore  Fosse la guerra prolungata. Queste  Cose la fama a lei narrava. Vide  Con gli occhi prhprj poi la figlia stessa  Di Priamo : vincitor fosti ad un tempo  E preda, o Agamennon , della tua preda.  Nel cor , nel letto ricevè ella poscia  Il figlio di Tieste, e vendicossi  Così de’falli del marito infido.   Gli amori tuoi tener cerca nascosti.   Ma se fian noti e manifesti, sempre  Però li nega , nè ti mostra allora  Nè più sommesso o più giocondo : reo  Ti fa ria ciò scoprir. Novelle prove  Le dà deir amor tuo. Queste il sostegno  Son della pace. La tua prima amante  Fa che di ciò non abbia unqua contezza.  Havvi chi la nociva erba consiglia  Santoreggia di prender; ma ciò stimò  Atro veleno. Mischian altri il pepe  Nel seme dell’ortica , e nell’ annoso  Vino tritano il callido pilatro. ,   figlia di Priamo , la qual fu a luì concassa nella di*  Vision della preda. Clitennestra sua moglie, e figlia  di Tindaro non potè reggere a tanta infedeltà , e /?«-  rò accolse nel letto Egisto figlio^ di Tieste , da cui '  { Annotaz. 88 del I*) uccidere il suo   marito.    Digitized by Google      7S   La Dea che sul ombroso Érice monte ( 3 o)  Ave il suo tempio, no , soffrir non puote  Che siau forzati i suoi piacer. Si prenda  Pure il candido Bulbo che a noi manda  La Città di Megara, e la salace  Erba che cresce ne’giardini. L’ova,   L’imetto mel, del pin le acute noci  Si prendan pur. Perchè alla medie’ arte,  Erato , or tu ti volgi f II cocchio nostro  Debbe più da vicin toccar la meta.   Tu che celavi per consiglio mio  Poc* anzi i tuoi delitti , or altra strada  Batti, e per mio consiglio i furti scopri.  Nè di volubil già merto la taccia:   Non col medesmo vento i passeggieri  Porta la curva nave ; ora si corre  Col tracioBorea, ed or con Euro, e spesso( 31 )  Dal Zeffiro si fan goiihe le vele,   Talor da Noto. Osserva come in cocchio  L’auriga ora le brìglie allenta , ed ora  Frena con l’arte i rapidi cavalli.  Compiacenza servii le rende ingrate,   E amor senza rivale illanguidisce.   Se la fortuna sia propizia, Talme  Divengono lascive , e faci! cosa    ( 3 o) Venere aveva un magnifico Tempio in Sicilia  sul monte Erice , donde fu detta firicina. ,   Sotto il nome di Bulbo iniendonsi tutte^ le radici  rotonde come agl) e cipolle , che i Romani facevan  venire dalla Città di Megara fabbricata da Alcatoo  figlio di Pelope.   {jòi) Il vento Borea f spirando a Settentrione , vien  qià dette treicio perchè la Tracia è più settentrional  della Grecia y e dell* Italia, Euro spira da Levante  [ Zeffiro da ponente, e Noto da Mezzogiorno,    Non è serbare in mezzo allieti eventi  IL cor tranquillo. Come lieve foco,   Che perduto abbia a gradi il suo vigore,  Ascpndesi , e nell’ ultime faville  La cenere biancheggiale se v’unisci  Zolfo , Testinta fiamma manifesta,   E a splender torna il consueto lume;   Così ove pigra e torpida si giaccia  L’alma, destar cop forti e lusinghieri  Stimoli è d’uopo in essa allor Tamore.   Fa che di te paventi : ognor riscalda  L’intiepidito core, e impallidisca  Al, solo udir che tu infedel le sia.   Oh quattro volte e quante io non so dire  Felice quei, di cui si lagna offesa  La sua fanciulla, e che giugnendo annunzio  D’un tal delitto alle sue triste orecchie  Cade, e il color le manca e la favellai  Ah foss’io quello, a cui furente straccia  Il crine ! ah foss’ io quello a cui con l’unghie  Sgraffia le gote, che or piangente mira  Or con bieco ciglio, e senza cui  Vorria , ma non può vivere ! Se chièdi  Il tempo , onde di te la lasci offesa  Lagnarsi, io ti dirò : sia questo breve.  Perchè lo sdegno suo forza maggiore  Con dimora soverchia non acquisti.   Con le tue braccia il bianco collo cingi^  E piangente nel tuo seno l’accogli;  Asciuga co* tuoi baci il . pianto suo,   E i piaceri di Venere concedi  A lei che piange. Già la pace è fatta;  Con questo mezzo sol cessa lo sdegne.   Se feroce divenga, e a te rassembri    Digitized by Google     77    Veramente nemica » allor le chiedi  Un dolce amplesso , e la vedrai placata.   Ivi déposte Varmi è la concordia^   £d in qael loco » a me lo credi , nacque  La tenera amistade. Le colombe.   Che già fecero guerra , i rostri insieme  Dolcemente congiungono ; di quelle  11 mormorio son voci, e son carezze.   Fu il mondo in prima una confusa mole;  Non ordine regnò, non vi fu legge ;   £ stelle e terra e mar solo una faccia  Mostravan ; sulla terra il ciel fu posto  E fu dal mar la terra circondata,   £ diviso cessò l’inane caos.   Presero ad abitar le fiere allora  Entro le selve ; a star gli augelli la aria;  £ s’ascosero i pesci entro dell* onde.  L’uomo errò allor ne^aoUtarj campi.   Ma rozao 9 inerte corpo, e senza genio*   T'u il bosco la sua casa ; il cibo l* erba;  Lie frondi il letto ; e già per lungo tempo  Visser fra loro sconosciuti. Dicesi,   Che le feroci loro alme piegasse  La dolce voluttà. Lo steiso loco  Abitarono insiem Tuoibo e la donna;   Non da maestro furon fatti dotti  Di ciò che dovean far ; Venere loia  La dolce opra compì senz’arte alcuna.  Trova da amar Paugel dolce compagna,   E in mezzo all’acqae pur con chi s’accoppj  Non manca al pesce. Il maschio ainato segue  La cerva, ed il serpente a’dolci inviti.  Della femmina cede. Insiem congiunta  La cagna al can s’annoda. Il suo montone    Digitized by Google     78   Soffre lieta Tagnella; la giovenca  Gialiva è col torello, e la stizzosa  Capra 1* immondo becco non disdegna.  Parenti le cavalle i maschj segnono  Per lungo spazio , e varcan fino i fiumi  Che li tengon divisi. A che più tardi ?  T’affretta dunque , e alla sdegnata porgi  Il bramato sollievo ; questo calma  L’ atroce suo dolore, e questo vince  I succhi d* Esculapio • Il fallo tuo  Dei con ciò cancellar , tornarle in grazia.  Mentr’ io cantava queste cose, Apollo  apparve » e mosse dell’ aurata lira  Col pollice le corde • In man tenea  L’ alloro, di cui cinta avea la chioma;  ^Queir ammirando vate allor mi disse:   O de’ lascivi amor maestro , guida   1 tuoi scolari alfine al tempio mio; (3a)  Ivi sta incisa la famosa legge,   Che conoscer se stesso a ognuno impone.  Amar solo potrà prudentemente  Quegli che se medesmo appien conosce,   E alle sne forze sa adattar Tìmprese.  Procuri che la Bella ognor Io guardi  Quel cui Natura diè leggiadra faccia.   Si mostri spesso con le spalle ìgnude  Chi candide ha le membra ; parli pure  Quei che lo fa soavemente, e canti,   E beva quel che a bevere e a cantare  Con arte apprese, ma non mai interrompa      (3a) Alludtd al Tempia consacrato in Delfo ad  Apollo ove era scritta a caratteri à* oro qaest^ aurea  legge: nosco te ipiam.    Digitized by Google     . ^9   L’altrui discorw P eloquente, e in mezzo    Al ragionar non reciti importuno  I suoi carmi il Poeta . In questa guisa  Febo i^egnomnii, e. voi di Febo adesso  Seguit^e i precetti. Ah no ! non ponno  Mancar di fe gli oracoli d’ Apollo.   Or son chiamato a più'vicini oggetti.   Chi sagace amerà ; chi la nostr’ arte  In uso saprà porre f avrà vittoria.   Non sempre i campì rendon con usura  Le biade seminate, e a dubbia n^ve ,   Non sempre fausto è il vento. Ah! sono brevi   I piaceri d’ amor , lunghe le pene.   Onde Amante a soffrire il cor disponga:  Quante in Ato son lepri , e quante in Ibla  Pascolan api, quante olive accoglie   II verd' arbor di Palla, • quante il lido  Del mat conchiglie ; tanti son gli affanni  Che soffrenti in amor , tanti gli strali  Jlal felo intrisi che ci passan V alma.   A te diran che usci fuora di casa  Quando con gli occhi tuoi forse la vedi.  Ma creder dei che uscì, che vedi il faUo.  Mella notte promessa a te la porta  Forse chiusa sarà ; soffri, e le membra  Riposa e adagia sull’immonda terra.  Mendace ancella forse in tuon superbo  Dirà; perchè le nostre porte assedjf  Cortese e supplichevole stropiccia  Il limitar della crudel Fanciulla, ^   E al capo tolte ivi le rose appendi.  Quando vorrà, t'appressa, e quando il vieta  Tu vanne lungi. Uomo non dee sincero  Di sua presenza far soffrir la noja.    Digitized by Google     8o   Non sempre con ragion ti potrà Jirer  A me fuggir costui non è permesso*   Non creder turpe di soffrir ingiurie,   Nè d* esser dalla tua Bella battuto,   Nè sul tenero piè d’imprimer baci.   Ma a che mi fermo nelle tenui cosef  Or subietto maggior m’agita l’alma.   Io canterò prodigj ; il volgo attonito  Ascolti i detti miei, mi sia propizio.   A difficile impresa ora m’accingo.   Che nel difficil sol glòria si merca.   Dall’arte una si chiede ardua fatica.   Soffri il rivai pazientemente ; teco  Starà vittoria , e n’otterrai trionfo.   Non già un mortai, male pelasghe querce(33)  Ti dieron tai precetti . Ah i iio, non puote  Dir r artè mia di ciò cosa maggiore.   Farà un cenno amoroso al tuo rivale,   E tu lo soffri ; sctiverà , e t’ astieni  Dal toccar le sue carte ; e venga e tomi  Senza le tue doglianze ove le piace*   Con legittima moglie usi il marito  Quest’indulgenza pure, alior che notte  Le tenebre distende, e il sonno regna.  Non io, Io debbo confessar, non sono  In quest’arte perfetto. E che far deggiof  Io de’ precetti miei minor mi trovo.   Io soffrirò che, me presente, un segno  Si faccia alla mia Bella, e il freno all’ira  Io potrò por ? Ah mi ricordo ancora   ^3) Fabbricarono i Pelasgi un Tempio dedicalo  a Giovò , in vicinanza del quale era situato un bosco  di querce , da cui davano le colomba risposta umana*    Digitized by Google      Bi   Che il suo marito nn di le diede un bacio,  Ed io del bacio a lei feci querela;   Abbonda il nostro amor di crudeltade.   Non una volta sol mi fu nocivo  Un vizio tal ; piti dotto invero è quello  Per cui, lieto il marito, in casa ingresso  Hanno altri amanti. Ma saria più grato  L’esser di questo ignari. Ah lascia dunque  D’amore i furti ascosi , onde non fugga  Dal vinto labro, confessando i fallì,   Lungi il pudor. Deh risparmiate, o amanti.  Di sorprender colpevoli le amate.   Schetzino pur , ma almeno a se medesme  Perauadan che il fer’ solo in parole.  Sorprese, in esse pel rivai maggiore  Si fa r affetto ; e dove egual la sorte  Fa di due, 1* uno e Paltro son costanti  La causa in sostener del danno loro.  Favola iu tutto il elei nota si narra:  Venere e Marte dagP inganni presi  Pur di Vulcan. Ferito il petto avea  Marte per Vener da un apaore insano,   E divenuto di guerriero amante.   Nè rustica o difficile mostroàsi   (Non v’è di questa Diva altra jpiù molle)   Venere al suppliéhevole Gradivo (34).   Oh quante voltè la lasciva risé ^   da    (34) Marte si Marna Gradivo da apa/vav, ehe si^  grufiea in greco linguaggio vtbraziorfe d'AVta. Aven^  do Giooo preeijntaio Vulcano in Lenno 'per 1 la defar-^  mità del suo corpo, si tuppè questo misero Diojin  tal caduta una gamba ^ e così divenendo zoppo ^ di^  canne ancorst mSgiortncnU deforme.    Digitized by Google     Sa ^   Di Valcano pei piedi e per le mani  Nere e incallite pel lavoro e il foco.  Contraffaceva pur di Marte in faccia  Sempre piena dì grazie il suo marito^   Ma solean ben celare i primi amplessi,   E coprian col pudore il fallo loro;   Ma il Sol che tutto vede ( e chi ingannare  11 Sol può maif ) fece a Vulcan palesi  L’ opre della Consorte • Ah quai ne porgi  Funesti e perigliosi, o Sole, esetuplit  Perchè del tuo tacere a lei non chiedi  Un dono , eh* avrebb* ella il tuo silenzio  Potuto compensare in mille modi.   Vulcan sopra e d’intorno adatta al letto  Un* invisìbil rete , e finge a Lenno  Di far viaggio : a’ noti abbracciamenti  Tornan gli amanti, e nudi entrambe sono  Ne^ lacci avvinti. Quegli i sonimi Dei  Convoca, e fanno L prìgiohier di loro  Vago spettacol. Potè appena il pianto  Venere allora trattener sul ciglio;   Non alla loro nudità potere   Oppor la mano, e non coprir la faccia*   Uno de’ numi allor ridendo disse :   O fortissimo Marte, in me que’ lacci  Deh trasferisci pur^ se ti son gravi.  Nettuno , appena per le tue preghiere  Ebbero i prigionier le membra sciolte.  Chela Dea in Pafo, e Marte andonne in tracia.  £cco,o Vulcano, il tuo profitto: in prima  Celavano il Ipr fallo ; or senza freno  Lo commetton, fuggito ogni pudore.  Sovente, o stolto , confessar dovrai  Che tu dj^rasd da pazzo, e già ( la fama    Digitized by Google     83    Karra.) dell’ira tua ti aei pentito*   Quest’ io vietai. La 6glìa dionea (35)   Or vieta a voi di tender quelP insidie  Ch’ ella stessa soffrì. Nè voi cercate  Por ne’ lacci il rivai, nò legger quello  Che vergato ha^la bella in cifre arcane.  Faccian questo (se lor piace) i mariti  Che legittimi rese e T onda e il foco. (36)  Io'di nuovo, raffermo: in queste carte  Nulla vietato dalle leggi chiudo»   Nè a pudica Matrona i nostri scherzi  Recano ingiuria. Chi a’profani i riti  Osò di Cerere svelare, e i sacri ( 87 )   Misteri nati nella tracia Sanio f  Non nel' silenzio per coprir gli arcani  Gran; virtude abbisogna è colpa grave  Però dir'qnfello che (tacer si dehbe^ t  Ben a. ragion da Tantalo «loquace (38)  Venere , sepondo alcuni , eifbe in madre Dio^  ne 9 e però si chiama la Figlia dionea.   (36) Solevano i Romani nelle nozze solenni offerii   re alla Sposa V acqua ed il foco \ 'perchè pensavano  che si genesUts^ il tutto dall* umore -e dal icàhre ^ ed  anzi lavatiri^ Inacqua f stessa i piei^ Sposa  ed alla Sposo^ ' , I   (87) I Sagrifiz) di Cerere t)ea delle biade, ehe  furono , secondò Dtodoro , ' inventati Heltà' Samotrd»  eia , si celelfravanà dagli aw^ìd con tal \ segretezza g  che acqmdurono il nome di mister   (38) Tqntalo , figlio della Ninfa Piote , palesò agli  uomini le' supreme, determinazioni, che si manìfesta^^  reno scambievolmente gli Dei in un Convito, cui  fu ammesso e^i*pare.da^Giolve.,peTiitaleiempH-^  tà joacpiatO riell^ infermo , iOfl^ à cofitidftaeqMate ,cfudar^  io da una barbara fape, e^   chè è ,eireondatò dàìVacqua e da diversi ' phmi, ékà  fuggono àgnor shp'suòl Idìlli i^qmndo *viol*pré*a'^  arsene*    Digitized by Google     64 .   Fuggono i pomi; o all*assetato labfo  L'acqua mai sempre. Citerea comanda  In special modo di tener celate  Le sacre cerimonie. Io v’ammonisco  Che alcun garrulo'a quelle non s’accosti*  Se sepolti non restano fra’cesti  I mister] di Venere, se i bronzi  Per furiose percosse non risuonano,   Usi abbiam noi pih moderati, e in mòdo*  Che si voglion però tenére ascosi. /  Quando le vesti Venere depone,   La nudità con la sinistra copre.   Nella pubblica via spesso 1 * ugnella.   Si unisce al suo compagno, e la fanciulla^  Da tal oggetto altrove il guardo volgew  Atto è il talamo chiuso a’furti nostri  E a non mirar ciò che la veste > ascóndo* i  Non le tenebre noi, ma nube opacUi ì;  Cerchiamo, e i luoghi ove 1’ aperta luce -  Minor risplenda. Fin d’allor ché il tetto  Non difendea dal Sol, non dalla pioggia,  £ dava il cibo e in un la quercia albergò.  Gli uomini non gustar’ palesemente.   I piaceri di' Venfet ma negli antri ^ ' •   f i ne^bosqhi; cosi dell’onestade *   i preudea cura quella ro^sza gente** \  Ora gli atti si celebraa notturni, ,   £ nulla più si compra a caro prezzo  Che di poter’ parlar: or le donzellò  Ovniique cercherai solo onde dica , ' , /   Qiinsla ancora fo. nostra, ed onde .posniA ^  Mòsttktla ò' dito , e &r ohe sia deb vol^ , '  Dc^^b li pòssèsso^tuòVfev;òIa ^   r.«r. poco «iwiihe ^ini «dolSP* aU>Ì ,   Òose che nègherebbono accadute*   £ di favori vantatisi non veri ;   E se invàn di toccar, cercare il corpo.  Cercano àlmen d’offenderne P onore,   Che le accusi la fama ancor che caste.  Chiudi, o custode rigido , le porte ;   Guarda la tua fanciulla, e cento spranghe  A’durissimi stipiti ora opponi.   Cosa havvi di sicuro in faccia a questi  Adulteri di nome, che creduti  Esser desian ciò che tentare invano ?  Parchi in parlar noi siam de’veri ainori^  E fedelmente ognor tenghìam celati  Col velo deP mistero 1 furti nostri.   Deh non voler rimproverar giammai  Di nati^ra i difetti alle donzelle.   Che fù dissinìularli utile à molti. ^   Perseo che al piè portò le gemìn’ ali (3g) ,  Tlon del color d* Andromedà lagnossi.  Comparve a tutti Andromaca maggiore  D’ uim giusta statura , ed Ettor solo   (3g) iXèrcurió adatfò *U idi Ud ambedue i piedi di  J^érseo^ iluo amiiéo y e fi^ió di Danae e di Giope,  de qu§$iix AndrovaeduslegaiOKyad uno scoglio per  ra'deillcNeTcìdi,^e,\c]^pe, che dovea^esser dioorata da  Ceto mastro marin^, ,perchè Cassìope, madre della  medesima ebèè la vanagloria di dire ^ che la sua fi-*  glia vinceva > ir^ bellezza le stesse Nereidi, Mosso  Perseo a pietà, della' sventurata donzella , uccise il  mostro col jmrgli. davanti agli cicchi la testa di Me^  dusa f è dopo d^aveHa in tal guisa saLveta da un  tanto pericolo y V ottenne in isposa , he mai le riìf  fàpciÒ[ suo fosco colori, essendo ella nata in Etiopia,   " Andromaca è figlia di Elione . Re di Tebe e mo*  glià di Ettore j il qual chiamava medìo^e la sua  statura quantunque fosse veramente sproporziqnatq.    Digitized by Google     86   Mediocre la dicea. Quel che or ti lembra  Darò a soffrir, deh soffri; e verrà uà giorno  Che lieve impresa ti sarà il soffrire^  Mentre ogni pena raddolcisce il tempo.  Nuoyo arboscel che in verde scorza cresce^  Cade, se vento placido lo scote ;   Ma indorato dal tempo arbor diviene.  Resiste a* fieri Noti ^ e alfin s’ adorna ,  Degl* innestati fratti. Un giorno spio  Paò la bruttezza cancellar del corpo,^ ,   £ sempre il tempo fa sembrar minore  Ogni difetto. L* inesperte nari  Mal da principio pon soffrir 1* odore  Della pelle del toro, ma dalTuso  Dome non più risentono mólestia. ^   I vizj ricoprir con dolci nomi  Fa di mestier : bruna chiamar si debbo  Quella che piùehe pece ha negro il sangue»  Se ha gli occhi loschi, a Vener l!as 8 omiglia^^  E se bianchi, a Minerva. Sia 9 Ì scarna ( 40 ) ,  Che appena in piedi sostener si possa.  Gracile la dirai. Nana rassembri,   E tu svelta la chiama, e piena quellf .,.  Che è turgida oltremodo g, e asconder tenta.  Col bene non lontano il vizio ognora.   Gli anni mai non cercar , nè sotto quale \  Consol sia nata : al rigido Censore .   Tai cure lascierai. Maggior riguardo .   Usa per quelle che passate il fiore  Hanno di giovinezze » e i più bei giorni,   (4.0) Non si sa paacepire corno Ooidio chiami loschi  gli occhi di Venere , quando essa fu lodata da Pari^  de. Dubitano alcuni pertanto y che nelF originale la^,   ' ripe si 4tiba leggere leu invece di peU»    Digitized by Google     E cui incomincia a incanutir la chioma*  .Utile è questa o più matura etade,   0 giovani ; e aarà ferace in biade  Questo campo » ed arar però si debbe.  Mentre gli anni il permettono e le forze,  Soffrire la fatica. Ah già la curva  Vecchiezza con piè tacito s’accosta!   O il mar co’ remi solchisi, o la terra  Col vomere, o s^impugnin Tarmi fiere,   O si usi il fianco, T opra , e la forza  Con le fanciulle^è questa una milizia,   E con ciò pur s’ accumulan ricchezze.   S’ artoge a ciò che la prudenza in loro  Maggior sempre delT opere risiede,   E l’esperienza sol può far maestro.   San compensare dell’ etade i danni  Con la mondezza, e in opra e studio ed arto  Pongon per ricoprir la tarda etade.   Come più brami accarezzarti sanno  In mille guise ; in più diversi modi  Pittor non puote colorir le tele.   Non irritata voluttà per loro   Si gode , e danno e gustano il piacere;   10 se non è scambievole Tho in odio,   E però fuggo de’garzon P amore.   Odio il furor di quella che il concede.  Perchè a darlo è forzata, e pensa solo  All’ ntil proprio. A me non è gradito   11 piacer che mi dan sol per dovere;   Da questo io violentier le donne assolvo.  Godo ascoltar le voci che il diletto  Mi palesin di loro, e di frenarmi  Mi preghino ora, ed or perchè mi affretti.  Godo di rimirai languidi gU dicchi .    Digitized by Google     8 $   Della mìa bella , che mi dica : è assai.  Questi favor natura non concede  Air inesperta gìoventCì ; si godono  Quando il settimo lustro ornai si compie.  Chi soffre sete, il nuovo mosto beva;   Di vecchio vin ricolmo a me s’ appresti  Vaso che sotto i Consoli vetusti  Sia fabbricato. Al sol resiste vecchio  Il platano, ed offesi i nudi piedi  Sono da’nuovi prati; e chi potria  Ad Elena preporre Ermione? Altea (Era forse miglior della sua madre ?   Se tu t’ accosti a una noi^, giovin bella,   £ sii costante, avrai degna mercede.   Già riceve i dae.amanti il conscio lètto;  Fuof delle chiuse porte ora rimanti,   O Musa ; senaa te sapran ben essi  Trovar di che occuparsi, chè lor porge  Amore i mezzi. Il valoroso Ettorre (4a)   Di cui fu il brando a Troja util cotanto,  Giacque pur con Andromaca, ed Achille  Con la lirnessia giovine rapita,   Allorché dal nemico affaticato  Prese ristoro sulle molli piume.   Da quelle man di frigio sangue tinte  Ricevevi , o‘Brhcide , le carezze,   E perciò forse à te più assai gradito  Fu alla vittfice destra unir tue meuibra.    (4 A Ermione è figlia della famosa Elena moglie  di Menelao,   (4a) Achille # aseedìafa la Città di Lirnesso , uc¬  cise barbaramente Minete marito della bella Briseide^  che si prese egli stesso in isposa, e che dal noma  4 M(k iiMk Pàtria soprannominata iÀtuwia*    Di Venéfe i piaceri » a me lo credi ,   Non SI deniio affrettar; ma a lunghi torsi  Berli. La donnà , se vedrai diletto  Che abbia d’èsser toccata , a te non freni  Pudore allora inopportuno. Gli occhi  Suoi scintillar d*'un tremulo splendore  Mirerai , come dalle liquìd’ onde ^  Riflette il Sole i suoi splendidi raggia. ^  Udrai nn lamento e uh dolce mormorio^  Gemiti grati , ed amòtose note.   Quando thtte le Vele avrai spiegate,   Tu abbandonar non dei la tua diletta.   Nè preceder ti debbe ella nel corso.  Correte insieme alla prescritta meta.   Che il piacer vostro diverrà perfetto.   Se giacerete a un tempo stesso vinti.  Queste leggi seguir dovete quando  A voi concessi siano 02 ] tranquilli,   Nè ad iin furtivo oprar timor v* astringa.  Quando Tindugio è mal sicuro, allora  Tutti forzar si denno i remi, e il fianco  Premere del cavai d’acuto sprone.   L’opra è condotta al fin. Giovani grati,  A me la palma concedete , e il crine  Odoroso cìngetemi di mirto.   Non presso i Greci Podalirio tanto  Fu per la medie’ arte in pregio , Achille  Per il valore, e Nestor per pi'udenza;  Non fu Calcante così esperto e grande  Nel conoscer le viscere, nè Ajaco  Nel maneggio dell’armi , e Automedonte  Nel condur cocchj ; compio sono espCito  E grande nell’amor. Me celebrate,  Uomini tutti ; a me si dian le lodi;    Nel mondo intero il nome mio ti canti.  L* armi io vi porsi come già Vulcano  Le diede a Achille. Or con tal doni voi  Vincete pur, com’egli vinse un giorno;  Ma chi col brando mio potò le fiere  Amazzoni atterrar, sopra le vinte  Spoglie scriva: Nason ci fa Maestro.  Le tenere fanciulle a m^ le preci  Ecco che porgono, onde lor cortese  Sia de’ precetti miei. Ah t sì, sarete  Cura primiera de* futuri carmi.     DELL’ARTE AMATORIA  DI   P. OVIDIO nasone   SULMONESE  porsi contro lo guerriere donne   A’ Greci 1’ armi ; or dare a te le deggìo^  Pentesilea, e alle Amazzoni seguaci.(i)   Ite alla guerra uguali, e vincan quelle  Cui son propizi Venere e il Fanciullo,  Che in tutto il mondo ha di volar diletto.  Giusto non era il combatter nude  Contro gli armati ; e vincerle per voi.  Uomini , turpe mi sembrava. Alcuno  Dirà fra molti : perchè aggiunger cerchi   11 veleno alle serpi ? e perchè in preda  Lasci alle lupe rabide 1’ ovile?   Di poche il fallo non vogliate in tutte  Diffonder ; pe’ suoi merti ogni Donzella  Considerar si dee . Se Menelao  Ha di dolersi d’ Elena cagione^ (a)   (i) Pentesilea Regina delle Amazzoni andò contro  i Greci in soccorso d^ Trojani ,e fu dopo varie glo^  riose azioni uccisa da Achille. Sotto il nome di Greci  P intendono però- dal Poeta quegli uomini , che ^  cingono a conquistare le donne qui figurate sotto il  nome di Amazzoni.   (n) Vedasi V Annotaz, 5 q del Lib. I. e l*Annotaz,  ueuSdelldb.If.   Ved. Vannot. 38 del Lib. /. eVannot. ao del Lib. II.    Digitized by Google     9 ^   £ se di Clitennestra i rei costami  SoQ gravi ad Agamennon ; se d’Ecleo (3)   Il figlio scese co* cavalli vivi.   Dalla spietata Enfile^ tradito,   Vivo egli stesso a Stige^havvi pur anco  Penelope che pia serbossi e fida (4)   Al suo marito, benché senza lei  Due lustri errasse , e per due lustri ancora  Passasse i giorni suoi sempre alla guerra.  Protesilao rimira e la consorte, (5)   Che , come narran , pria degli anni suoi  Vide Testremo fatele scese a Dite  Ombra indivisa del marito . Mira  La Sposa pegasea dall*empia sorte (6)   (S) Anfiarao figlio di EcUo ed eccellente indovino  ^ ascose in un luogo segreto per non esser costretto  a portarsi alla guerra di Tebe, in cui sapeva di do-*  ver certamente morire* Eri file sua moglie allettata da  un aureo monile promessole, da Polinice, insegnò a  questo ov'egli sfava, celato* 4 n 4 à pertanto Anfiarao  forzatamente alla guerra^ ma appena giunse in Te¬  be , gli si spalancò sotto i piedi la terra , e rimase  in quella sepolto.   (4) Penelope è V esempio deWamor con fugale* Si  conservò essa sempre fedele al suo sposo Ulisse , ben*  che vivesse egli lontano da lei per lunghissimo spa*  zio di tempo , e benché fosse ella continuamente as¬  sediata da mille fervidi amanti.   (5) Protesilao andò aneW egli all*assedio di Troja,  e fu il primo tra* Greci , che vi perdesse la vitapoi*  che Ettore lo ferì mortalmente , nientre scendeva dal*  la sua nave. Desolata Laodàmia sua moglie da una  tale sventura , ottenne con le sue lagrime da* Numi  di poter veder V ombra del suo amato consorte , e  neWabbracciarla morì*   (6) Soffriva Admeto una malattia coà grave , che  secondo la risposta dell* oracolo ^ era necessario per  salvargli la vita^ che un uomo o una donmft^ morisse    Digitized by Google     9 ^   Admeto liberare , onde famoso  Rese il suo nome . Evadne a Capaneo ( 7 )  Disse : m* accogli ; il cener nostro insieme  Si confonda ; e slanciossi in mezzo al rogo;  È la Virtude d’abito e di nome ( 8 )   Femina, nè stupore è, se propizia  Si mostra e favorisce al sesso suo.   La nostr’arte però queste non chiede  Alme sublimi 9 e con minori vele  Naviga il legno mio • Per me soltanto  S’imparano a trattar amor lascivi.   Io insegnerò in qual modo amar si debba  La donna, che non face ed arco scote  Sempre crudeli ; agli uomini quest’armi  Nuoccìon più parcamente 9 io ben lo vedo:  Gli uomini più spesso ingannano di quello^  Che ingannin noi le tenere fanciulle;   E poche troverai , se cerchi , xee  Di perfido delitto. Il traditore (9)   Giason Medea lasciò già madre 9 e in braccio  Gittossi ad altra sposa. Oh quante volte  Per te 9 Teseo 9 Arianna abbandonata (io)    per lui4 Alceste sua moglie^ che dicesi sposa pagasea  dalla città di Pagasa in Tessaglia , volle essa stessa  liberar gen^osamente il caro suo spoeo, ed incontrò  con intrepidezza la morte. Quando Eoadne intese che era stato ucciso a/«  la guerra di Tebe il caro suo sposo Capaneo ^ conce»  pi nell*animo un dolor sì fiero ^ che corse valorosor  mente a morire sul rogo dell* estinto consorte.   (8) Adoravano i Romani la Dea Virtù vestita in  abiti femminili.   ^9) Annotaz. 89 del Lih. /•   (io) Arianna fu da Teseo abbandamata {Annoi.  So. del lÀb» I. ) nell*isola di Nasso j e però avrà te»  muto gli Augelli marini provenienti da quella pcffte di  mare, in cui viaggiava il suo perfido amante^    Digitized by Google     94   la solitaria t sconosciuta riva  Temè gli auge! marini ! E perchè Filli (ii)  Calcò per nove volte il sentier stesso.  Cerca, e perchè, la chioma lor deposta,  Piansero Filli le dolenti selve.   L’Ospite, che concetto ha di pietoso.  Porse la cauta e il ferro alla tua morte, ( 12 )  Misera Elisa. E che I narrar vi deggio  Delle vostre sventure io la sorgente?   Voi non sapeste amar ; mancò in voi l’arte,  Mentre con l’arte solo amor si eterna.  Sariano ignare ancor, ma Cìterea  Vuol che per versi miei sien fatte dotte.  Mentr’ella stessa innanzi al mio cospetto  Si fermò, e disse: di qual fallo mai  Si fecer ree le misere fanciulle.   Che inermi si abbandonano agli armati?  Tu con gemini libri bai resi questi  Nell’arte esperti ; or co’ precetti tuoi  Tu devi ancora ammaestrar le donne.  SteSicoro ohe in pria cantò i delitti (i3) Impaziente FUlide per la lontananza del suo  Demofoonte eorse per nooe volte al lido , dà cui do^  vetfa egli passare nel ritorno ; e alfine disperata cd  afflitta per la tardanza di lui ( Annoi, a 3 del Lib,  li.) si tolse da se stessa crudelmente la vita. Le  fabbricarono i suoi parenti un sepolcro , in vicinanza  di cui nacquer degli alberi , che in un certo tempo ,  secondo quello che han scritto i poeti , deposte le lor  foglie , piangevano la morte della medesima.   (la) Enea , che vien soprannominato il Pio, di^  sprezzando Vamore , che è il nome proprio di   Didone, fu causa cVella si precipitasse sulle fiamme  ohe ardevano la eittà e la reggia di Cartagine.   (i 3 ) Stesicoro siciliano è un poeta lirico ^ che doto-'  Sto ne* suoi versi Elena detta tersnoea dal castello ìa    Digitized by Google      D* Elena, poi con più felice lira  Disse le lodi sue. Se V indol bene  Io tua conobbi, no ^ non sei capace  offender Tamorose e culle donne.   Per fin che vivi a te tal grazia chieggo.  Disse, e di mirto (poiché avea le chiome  Di mirto ornate quando a me comparve )  A me una foglia diede e poche bacche.  Ricevuti i suoi doni, io mi sentii  Invaso dal suo nume, e Paer più puro  Splendermi intorno , e facile l’impresa  Comparirmi al pensier. Mentre l’ingegno  E desto , a me i precetti richiedete,   Che a voi, donne, ascoltarli ora è permesso  Dal pudor, dalle leggi e da ogni dritto.  Siate memori ognor della ventura  Vecchiezza, e per voi il tempo ozioso mai  Non passerà. Scherzate ora che lice,   Nè si consumi invano il fior degli anni,  Che come 1 onde fuggono veloci.   Tornar non puote alla sorgente il fiume.  Tornar non puote la passata etade.   Cadete dunque, che trascorre il tempo  Con frettoloso piè, nè lieto mai  Come il primiero siede. Or bianco miri  Questo stelo , su cui già in prima vidi  Io rosseggiar le viole, e questa spina  Grata al c^pe mi porse un di corona.  Stagion verrà che tu , che "fchivi adesso  L’amante , fredda e abbandonata in letto   cui, nacque y perche^ da essa ebbe erigine la rovina di  Troja. Ma i fratelli della medesima , Castore e Polluce  Vacciecarono crudelmente ; ed ei per ricuperare la  sta , fu costretto a comporre un poema in sua lode»    Digitized by Google     Giàf&ttsi vecchia giacerai. Notturna  Rifsa non fia che la tua porta atterri,   Nè sul mattino troverai di rose  II limitar della tua casa asperso.   Misero me ! come corrotti presto  VeggoDsi i corpi dalle rughe , e, come ^  Langue ih nitido volto il color primo!  Quei che sul capo tuo bianchi capelli  Si miran* or,che fin da’di più acerbi  Giuri che furon tali ; ah che ben tosto  Si spargeran per tutto il capo. Méntre (i 4)  La sua spoglia sottile il serpe lascia.  Ringiovanisce ; e rinnovando i cervi  Le corna, non rassembrano^ mai vecchi.  Fuggon senza speranza i nostri beni;  Cogliete il fior, che se non colto vegna,  Cadrà miseramente. A questo aggi ungi  Che fan più breve giovinezza i parti;  Invecchia il campo per continua messe.  Non di vergogna a te , Cinzia , fu causa (i5)  Il latmio Endimion , nè già doveo  Per il rapito Cefalo arrossire (i6)   I Serpenti si spogliane ogni anno della luto  scorza* I Cervi cangiano ogni anno le qorna ; ma ne *  rimangono privi se sian castrati mentre le hanno de~  poste , e più non le varifino, se soffrano una tale ope*  razione phma di deporle. Impiegano i medesimi cin^  que o sei anni nel crescere, e però tioono’ solamente  circa trentacinque o quarànta anni , ttd ortta di tutte *  le fuoole, che gli antichi hanno scritte sulla lunga  ìor vita. Buffon nella sua Storia naturale.   (15) Cinzia ( Annoi, del Lih, I. ) scendeva dal  cielo per godersi Endimione, che qui dicesi latmio per^  chè s^ascondeva ifi Latmo spelonca del monte, di Caria.   (16) S* innamorò la rosea Aurora di Cefalo figlio  di Mercurio, e però lo rapì « Prgcri sua moglie* ,    Digitized by Google    , i/ fc   La rosea Diva. Adori si lasci a parte,  Tuttor di pianto a Vetieré^ cagione,  Com’ebb’olla Antonia, cotii* ébbe Enea ? (r 7 )  Seguite" tiiir P esémpid delle Dive,   O bellezze tóót^aK , é a^ desiosi '   UomìAì noilitìegate il favor vostro.:   Siano essi ingannatori ; e che perdete?  Mille vi godan pur<;‘tutto rimane  Nello stato pritòiér. Gon Fuso il ferro*   Si consuma e la‘ pietra ; in Vói non pudte  Cosa alcuna peirir , ricever danno.   Chi ^vieterà cW dal vicino lùme*^   Il lume non si prenda ? e chi nel vasto  Seno del mar V onde serbar procura?   Tu mi dirai che non convien che a un uomo  Si dia la donna in preda ; ma che perdi  Altro che l’acqua che ricever puoi?   Non vogliono i mìei carmi o la mia vocb»  Al libero dell* uom commercio esporvi^   Ma vietanvi temer le cose inani;   Non posson soffrir danno i doni vostri.   Me un’aura lieve , mentre siamo in porto»  Spìnga, che ,al soffio dì più forte vento  Sono per cominciar maggior viaggio.   Dalla cnltura io do princìpio. Il vino  Ceneroso dan sol le calte vigne,   £ sol né’campiVcoltìvatì miri  Lussureggiar le biade. £ la bellezza  Dono del cielo , e come ah vien superba  OQ.Arteà'am. e    (17) La Dea Venere éhhe à(jL Arichise il figlio Enea ,  e da Marte la figlia Anmónia, Bastano . tàli esemp)  per provare che ella permise a molti di possederla .    Digitized by Google     pJbeU^z<i ogui danpa 1 1Ja «ran parte  Di voi prirs rù^.A quf»to 4ouo. .  Con U coltura la beiti ai 4CqWti   Cile si perdo nfgfct^ ^ apci^r cjio eguale  A gueili fosse dpU'idalia Diy*. (i8) ,   Se Io prische fasullo, il corpo Joì;a  Non coti custodirò ^ se gli autieri  Uomini incolti vissero , se cinse ;    Pesante gonna.AndroiMCjayìo non yeggo>(f 9 )  Bagjon 4i,,ayiglia^I es^SA d’un rezzo ,  Guerrier fu^^mpgli^. Fprsé a Ajace incontro  Adorna andap dpvea la sua consorte, (ao)  Se a Ini la^ pflle .poi di sette bovi  Servia di veste ? Ne^ primieri tempi  Rozza regnò semplìcitade, e immense  Ricchezze Roma del soggetto mondo  Ora possiede. Osserva quale adesso (ai) ^ \  Sia,il OampidogUo, e gual no’giorni andati^  E dovrai dir c]lie ,fa d'un altro Giove.  Ventre dicesi idalia dal monte Idale in Cif^ro  a lei consagrato,   (19) Andromaca fa moglie A*Ettore Capitano deU  VArmata Uroijana, Annótàz, 89 del Lih, li.   (ao) AJaae figli^di Telamone è oelebràto daOm'e^'  ro nella sua Iliade come uno piu valorosi Prine^  che andarono all*assedio di Trofa. Sposò egU an*an^  cella nominata Teemessa; e però dice Or ozio  Movit Ajacem Telamone natura ’   Fórina captiTflB Dominuin Teemessa.   La Curia fu anticamente , secóndo F’arrone,  distribuita in due parti, in una delle quali custodi^  vano i Sacerdoti le cose diwine , ’e neWaltra tratta^  vano i Senatori le cose umane. TaaUr fu un Re de*  Sabini così accorto 9 che seppe ottener da Rpmelaiina  parte del Regno dopo d*aver perduto un'atroce bai»  taglia. ’    Digitized by Google      La Curia, che di tanto ora' rasaembra  Concìlio degna, fu di Tazio a’tempi  Di rozza paglia intesta. Qoe'palagi-  Ch# ora risplendon sacri a Febo e a’Ooci;  Che furon maì^ se non pascolo un giorno  Agli aratori buoi f Piacciano ad altri  Le cose antiche ; io meco stesso godo  D* essere in questa età nato conrorme  A’ miei costumi, non perchè si tragga  Dalle vìscere cieche della terra  11 dutil oro, o perchè venga a noi  Scelta conchiglia da diverso lido;   Nè perchè i monti facciansi minori  Per i marmi scavati ^ o perchè altere *  Sorgano moli ove giaceva il mare;   Ma perchè regna or la cultura , e a’nostri  Tempi rusticitade agli avi antichi  Cara non giunse. non fate carchi  1 vostri orecchi di preziose pietre,   Che in mar lo scolorilo Indìan raccoglie;  Nè comparite già gravi per Toro  Tessuto sulle vesti, onde ben spesso  Le ricchezze cercate e le rapite.   Dalla mondezza noi sìam vinti. Il crine  Si disponga con legge; un pettin dotto  R dona e toglie a suo piacer bellezza.  Non r ornamento stesso a tutte giova;  Quello scelga ciascuna , in cui più splende^  E si consigli col fedel suo specchio.  Chiede una lunga faccia che sul capo (za)   {2.2) Augusto fabbricò nel suo palazzo un Tempio  consacrato ad Apollo Palatino. 1 Duci ^ a* quali ^ dim  cesi sacro il palazzo medesimo, sono Augusto e Tim  bario, mentre quegli vi nacque , e questi vi abitò»    Digitized by Google     loe   Siati ben divisi non velati i crini;   Così avea Laodàmia le chiome adorne*  Voglion le piene e ritondette guance^   Che della &onte sul confin vi lasci  Piccol nodo onde veggansi, gli orecchi,   D’an*altra il orin flagelli ambe* le spalle,^  Quale al canoro Apollo allor che in mano  Piglia la lira. Come Pagi! Diana  Altra gli .abbia legati, alLor che al bosco  Peiseguita le fiere pau^ròse.   Convien che questa abbia i capelli gonfj;  £ strettamente quella il crine implichi*  Altra s’adorni in guisa tal la ehioma,^   Che alla cilleuia cetera assomigli (aS);  Questa V increspi in modo ohe rassembri  Onda marina. Numerar non puoi  Quante sulla ramosa elea sian ghiande.  Quante in Ibla sian api, e quante fiere  S’ascondano nell’alpi, io pur non posso  A te narrare le diverse fogge  Di dar la legge al crin , mentre ogni giorno  Ne sorgono novelle. A molte giova  Che sia negletto : crederai che il capo  Quelle jerì s^ornasser , che con nuova  Cura testé si pettinar’la chioma.   Studia con l’arte d’imitar Natura.   Era Jole così, quando la vide ( 24 )   ^ (a 3 ) Mercurio inventò la Lira fatta a gedsa di te»  staggine , e questa dicesi cillenia ^ perchè egli nacque  nel monte Cillene in Arcadia, Se Ooìdio tornasse a  vigere in questo secolo , dorrebbe certamente veder con  Rubilo che le nostre Dame seguono con la massima  esattezza i suoi proietti nell* adornarsi i capelli.   * (a 4 ) Amò Èrcole ardentemente Jole figlia di Eu»  riio, il qual rìcue/ò di dargliela in isposa, quoMtun»  Ercole ; presa la cittade » e disse :  lo ramo; e tal Pabbandonata ; donna  Quando sai carro sosteneala Bacco»   E i Satiri gridare : evviva » evviva.   Quanto in favor della bellezza vostra  Fu Natura indulgente» o donne I Voi  In mille modi ricoprir potete  Z vostri danni. Invan noi ci asix^ndiamò;  Cadono per 1* etade i capei nostri  Come le foglie allor ebe Borea soffia.   Con le germanicb’ erbe asconder pnote (aS)  La donna la canizie » e può con Parte  Miglior del vero altro cercar colore.  Vanne la donna con la chioma folta    f 'glUVaotsu solennemente proméssa, frritmto  gli pertanto da una tal negativa, debellò la Città  d^Occatia » 09 e questi regnava » e gli rapì la sua di¬  letta denteila.   :(a&) si sa veramente auali si fossero quell^er-  he germaniche ^ del di egù amore eUrattivo compone-  vano gli antichi un medicamento » col quale i capel¬  li bianchi si riducevan neri o biondi. Si Sono però,  trovate a’ nostri tempi molte ricette, ohe compensano  largamente una tal mancanza. Cosi se i capelli sìan  bianchi, si posson ridut neri col far uso d*una po¬  mata, a cui siasi aggiunto una piccola porzione di  nero d*aoorio ben macinato » oooero di sughero bru-  glato unito all* azzurro di Berlino. Resta pm assai  difficile di ridurli biondi » se non si vogUono adope¬  rar polveri d^amido leggiermente torrefatte. La mi¬  glior ricetta che si può per quest* effetto accennare »  é la seguente : si faccia una forte liscioìa di cenere di  sarmenti ; vi si unisca una piccola quantità di ra¬  dice di brionia e di celidonia; si faccia il tutto bol¬  lire; ed in fine vi Raggiunga altra più piccola pdtr-  zione di zafferano dell* Indie , di fiorì di stecaae e  di ginestra. Si coli per tela, e si laoino con una tal  acqua piu volte i capélli.      fOft   Per i compri capelli , e col denaro  In mancanza de* saoi porta gK altrou  Nò il coidprar ciò palesemente teca  Ve^ogna i noi vediam che son venduti  D* Ercole in faccia e del virgineo coro. (a6)  Che dirò della veste f Oro ed argento   10 non ricerco ^ o che rosseggi tinta  La lana in tiria porpora. Se mille  A prezzo più leggier vi son colori,   ,, É qual è dì follia segno piò espresso  Che di portar sul corpo i propr} censìf  Ecco il color delFaria allor che searca  Si rimira di nubi, e il tepid*au8tro  Non apporta la pioggia : eccone un altro  Simile a te che sostenesti nn giorno  Come si narra, e Frisse ed Elle quando (27)  Fuggir* le frodi d* Inoe. Imita questo   11 cernleA mare ^ da ciò traggo   Il proprio nome, e di tal veste 10 credo  Si coprisser le Ninfe. Altro è simile (28)   Si rUeva di qui, che in faccia mi Tempia  fMrtcata in onore d'Èrcole e delie Muse , avevano  i Romani una bottega 9 in cui vendei ansi i capelli.   ' (a^) Frisso ed Elle figli dì Adamante Re di Tebe  fuggir dalle frodi d* Inoe loro matrigna, salirò*  no' sopra il montone ornato del Vello d^oro^ che  Mercurio diè in dono a Nefale madre d^ medesimi.  Frisso fu da quello felicemente portato in Coleo , ma  Elle'precipitò in quel mare , che prese da lei il nome  d^ Ellesponto. Con ^esta favola vuol però dire il Poe*  ta 9 che era presso i Romani in uso ( e lo è pure cd  di nostri ) il colore che si assomiglia a quello dell* oro^  - (aQ) Essendo il giovinetto Croco impaziente di poe*  cedere Snùlaoe sua dUetta amante 9 fu trasformato in  un fiore che dicesi volgarmente ZefBivano , o che da lui  Ica preso il nome di Croco.   £t Grocam ia parros yersam cum Smilace flore».   Ovid, Metam.    Digitized by Google      TOS   AI Croco, e qàaiido accoppia i Ittraihbsi  Destrier, con cròcea reste pur' si rela  La rugiadosa Dea. Di'Pafo a’mirti '  Questo assomiglia , e quello alle purpuree  Amariste , alle rose biancheggianti (29)  Uno‘^ ed tin altro aÈa'straniera grue.   Le ghiande tuè ti sod pure, o Ainarilli,  Nè ri tnancanr le mandorle, e il suo nome  Diede alle lane per la eera. Quanti  Fiori produce la norella terra ~   Allor che fugge iUpìgro rCrnò, e stilla  Gemme la rite ^ tanti beo la lana  Color dirersi, e quello scei tu dei>   Che col tuo rolto Si confà. Ogni reste  Non conriene a ciascuna. I neri ammanti-  Fan risplender le bianche. Assai più. bella  firiseide, allor che fu rapita, apparre,  Perchè le membra accolse in negra reste*.  Odora alle brune donne il color bianco:   E tu piaceri, o di Oefeo, ( 5 o)   In bianca resta allor che di Serifo  Passeggiar! le rie* Io diei consiglio  Che del capro il fetor sotto V ascelle  Non passi, e che non sian per duri peli  Aspre le gambe,. Ma non io già deggio  Delle caucasee rupi le £snciulle  Far dotte, o quelle che di Caico misio {ìi}   (29 ÀmaUsta è una gemma , il di. oui colore è-  quasi simile a quel della porpora.   (So) La figlia di Cefeo à Andromaca: avrà essa  probabilmente passeggiai per le vie di Serifo > perchè  è questa una piccola Isola del mare egeo , nella quàU  fu edueato Perseo suo liberatore.   ( 3 r) Gli abitatori del monte Caucaso furore antica--  menteiCome lo sono tuttora, ferocissitni. FI Caico-è unfiu^  me della Frigia e della Lidia ^ che proviene dalla JS/Lsia.  Bevano all*onde. Che non siano i denti  V*ammonirò per hidblenza foschi,   E che si lavin sul mattin 1 ^ guanoe  Con man dell’onda aspersa. Voi sapete  Pjocacciarvi il candor con distemprata  Cera; e con Parte divien rossa quella.  Cui non colora il sangue suo la. faccia:  Voi con Parte il confin nudo del ciglio  Fate ripieno, e voi con tenue pelle  Ricoprite talor |e vere gote.   Stropicciar gli occhi poi non è vergogna  Con la cenere tepida „ o col crocb  Che nasce presso te , lucido . Cinno. (3a)  Tengo un libretto picciolo, ma grande ^  Opra per il pensiero , in cui i rimedj - '   Qià v’insegnai per la bellezza vòstra»    ( 3 d) Con felice successo adoperarono le Dame Ro^  mane la cera distemprata per far fianca la peUe ; e  con faUe^ ti Adopera ancora in questi tempi   dalle nostre Dame . Ecco il modo di prepararla : ad  una parte di cera bianca di Venezia si uniscono otto  parti d* acqua , a cui si aggiunge una piccola porzione  d*alcali vegetale y e si di^cioglie il tutto finché non si  abbia una sostanza consimile al latte* he Dame ro^  mane solevano ancora adornare co* colori , e riempire  co*peli ben disposti quello spazio ài pelle nuda che é  fra il ciglio e il sopracciglio, s ! •   Il le •apercìlium magaa faligine tinctum  « Obliqua producit acu.   Giovenale.   Dalla Cilicia che è irrigata dal fasme Ciano fa»  cevano esse venire il zaffarono ed altre céneri atte a  purgar gli occhi dagli umori soverchp; e a renderli  per cònseguenza maggiormente^vivaci. Ha scritto Opì-  dio un piccolo libro de medicamiue faciei quale   inségna alle Donne tutti i rimedj, che possono contri»  buire a far bella la lor faccia e le loro membra. Quindi riparo alla figura offesa  Cercate, che non è per gli usi Vostri  Inefficace Farte mia. L’apiaìite  Non miri apertamente i vasi esposti.   Che Tarte ascosa giova alla beltade.   A chi non spiaceria mirar sul volto  Stendere quella feccia , e lentamente'  Cader pel peso suo nel caldo seno?   Quàl dall* immonda lana dell* agnella ( 33 )   €2    ( 33 ) Fahhricavasi in Atene con In lana sudicia e  molle un medicamento che i Greci chiamavano Etipo.  Le Donne facevano uso di questo per mollificare le  ulceri di qualche delicata lor parte. Vedasi Diosco*  ride y Plinio il Mattioli nel suo erbario ; che ne  parlano a lungo , ed insegnano la maniera di fabbri^  cario,   ' Non d può accennare qui il modo , con cui prepa^  radano gli antichi i midolli della Cerva yper averne  un composto atto a far bianchi i denti, era i molti  medicamenti che hanno per quesV effetto inventati i  nostri Chinùci , ci piace di riportar qui la polvere ,  V oppiata i e le spunghe ; di^ cui dà Mons, Beaumé la  ricetta nella sua Farmacia,   Ad un*oncia di pomice, di terra sigillata^ e di  corallo rosso s*aggiunga mexz*oncia di sangue di Dra^  go, un* oncia e mezza di cremar di tartaro^ se ne fac^  da una polvere sottilissima , e vi si unisca una pie-  cola porzione di garofani e di cannella.   Per compor quindi V oppiata > si prenda un* oncia  della polvere suddetta, due once di lacca rossa da  Pittori, quattro di mele di Narhonne, due di siroppo  di more ; a queste ù uniscano due gócce d* dio essen--  ziale di garofani, e si avràr un* oppiata , che S4^à op¬  portuna , come la polvere , a ripulire , imbianchire , e  preservare i denti da molti incomodi.   Una stessa virtà hanno le spunghe preparate , e  intrise in una tintura fatta con lìfibre quattro a^ua,  in cui abbina hoUUo quattVonce di legno del Bras^*  Daraiìne ing^rato odòrè- il 'sugo estratta^  Benché da Atene a noi si mandi t Inverò^  Lodar non so cl^ alla presenza altrui  Della cerva i midolli insìem mischiati  Piglinsi, e che palesemente i denti  Si faccian netti* Utili alla beltade  Sono. tai cose , ma deformi troppa  Agli occhi nostri* Molte cose fatte  Piacciono, e turpi son mentre si fanno»  Le statue di Mirone opre famose, ( 34 )  Furono inerte peso e dura massa,   Per farsi anello , Toro in pria si frange,   E quelle vestì, onde vi fate adorne,,  Furon. sordide lane* Era aspro marmo,.  Mentre erano a scolpirla intenti, quella  Statua nobile in cui Venere nuda  Trae fuor dall* onde gli umidi capelli. (35)*  Fa che pensar possìam che dormi allora  Che tu Vadornì, Io lusingl>ieTa forma  Sarai mirata se alla tua cultura   le, tre dramme di cocciniglia soppesta , e quattri) di  alume di rocca . Quando queste spunghe si sono, im¬  bevute d* una sufficiente quantità d* una tal tintura,  si fanno asciugare, si pongono per alcune ore nello-  spirito di vino, a cui siasi aggiunte una porzione di-  olio di cannella y di garofani,.e di spigo ec.; quindi  si spremono, e sì conservano per valersene al bisogno,  ih vaso di Oetre ben ehiuso.   (34J Mirone discepolo d^ Ageladé seppe formare in  bronzo còsi perfettamente le statue , che Petronio dite  aver egli compreso nel bronzo V anima degli uomini  e delle bestie,   ^ ( 35 ) Alludesi alla famosa statua di PrassiteU , che   rappresenta Venere nuda neW atto d^ uscir dal mora.  Fu questa collocata in Roma nel Tempio di Bruto  Callaico insieme col Colosso di Marte pvesso - il Circ¬  eo ffaminio»  Diligente darai T ultima mano.   Del talamo le porte ben raccbiudi.   Perchè vuoi far^ palese un’opra rozaaf  Molte COEC' ignorar gli uomini danno.   Di. cui gli ofiendón molte, se non copri  Ciò , che & d’uopor di tener , celato.   Vedi quelle che pendono^ da un culto>  Teatro aurate statue, a osserva bene  Qual lieve foglia il legno lor ricopra..   Ma come quelle al popolo* non lice  Veder ae non sien poste in vaga mostra^  Così se non elea gli uomini lontani,   Non si procuri d’acquistar bellezza.   Non vieteiò cbe al pettine abbandoni  Palesemente 1 tuoi capelli, quando  Scender potran per tutto il tergo aspersi.  Di non esser procura allor molesta, •  Ne aciorre spesso le mal calte chiome.  Sicura sìat quella che il crin t’adorna;  Odio colei che le ferisce il volto  Con l’un ghie liCi con rapito ago le punge  1 ( braccia Allor d’ancella là detesta.   Le tocca il capo, e sull’odiate trecce*   Col piaotn suo scende mischiato il sangue*  Quella che il capo.ha.quaai calvo ,ipoDga^  Sulla porta il oustode , o della Dea  Gibele al ten^pio ad adornar si vada. ( 56 )    ^ ( 36 )’ CibéU aveva in Roma un Tempio, in cui non  potevano aver gli uomM V accesso :   4 Sacra Bona maribas non adeunda Des.   Tibullo,   Insinua pmttauio Ovidio con questa frase Me Donne  di non pettinarsi alla pretenza^ degli uomini^ se non  so» Mli i ìorq capelli fui annunziato airimprovviso un giorno   A una -donzalla; e torbida i non suoi  Velò capelli. Uo tal ro 88 or > ricopra  La faccia alle nettiicbe, e questa^ infamia  Fra le particele Nuore abbia soggiorno.  Turpe è Tarmento senza corna, e turpe  Senza gramigna è il campo, Tarboscello  Senza le foglie, e senza i crini il ^apb»  Non-vennero ad udire i miei precetti  Semele, Leda ^ o la sidonia donna (37)  Che via portò pel tnar fallace Toro,   O la tua sposalo Menelao, cW chiedi  Bene a ragione, e che a ragion si tiene   11 Rapitor Trojano^Ecco una turba*'   Di belle donne e dì deformi a un tempo  ( Ahi sèmpre il ben dal male è snperato ! )  Che chiède i miei precetti, ma non tanto  Cercan questi le belle , e men dell^rfe  Procurano rajoto. Han quelle in dota  Beltade senza Parte assai possente.   Quando tranquillo è il mar, sicuro bessa^  Il nocchier dal lavoro, e mentre è gonfio  Si asside, e in opra pone ogni socConk).  Rara è beltà che senza macchie Sia; ^   Le cela , e i vizj del tuo jcorpo ascondi   {37) Semeie figlia di Cadmo He di TeÒe e.madre^  di Bacco , Leda figlia di Tindaro, e sorella di Ca-  stare e Pollice, Buropa figlia di Agenore He di Fe¬  nicia ove giace la città di Sidone , da cui élla vieti  detta Sidonia, furono dotate d*una tal bellezza , che  innamorarono vivamente lo stesso Giove, il quale non^  ebbe à vile di prender per esse le più strane sem^  hianze. Queste con Elena mogUè 'di Menelaosi pro» ^  pongono qui dal Poeta , come eiélnpi troppe rari dì:  perfetta bellezza. Quanta più puoi'« Se di statura breve  Tu sei, t’assidi, onde seder non sembri  Allor che in piedi stai. Se oltre misura  Però lo fo^si^ allor ti porca , e ascondi  Con le vesti su’piedi un tal difetto.  Quelle che sono gracili e minute  Debbon di grossi drappi ornarsi, i quali  Sciolti cader si lascin dalle spallo.   Tocchi il suo corpo con purpurea verga ( 38 ^  Chi è pallida ; e chi è nera abbia ricorso  Al fario, pesce. Un piò lungo e deforme  Sottu candida alunda pgnor si celi, ($9)  Nè secche gambe .sciolgansi da* lacci.    (38) È certo , gU onticfd aoéoano de* medica^  menti , co* quali ti coloravan la faccia ^, benché non d  sappia di qual natura^ quelli si fossero . Il belletto >  che si usa pretentemente è composto di rosso e di  biancone sarà forse pià efficace di quel che adopra*  vano le Daàte romane. Si è per qualche, tempo im-^  piegata Cernita il magistero di Bismuto^ detto  altrimenti bianco di spanna com« quello, che avendo  un leggiero color d* incarnato, era pià analogo aHa  pelle ; ma sì l* una che l* altro anneriscono e guasta¬  no la carnagione, mentre tutte le calci metallici^ ri¬  prèndono una parte del loro flogisto , e, si ripristinano*  Si è pertanto sostituita alla cerussa ed al bismuto  la pomata di spermàceti^e l* olio di mandorle dolci,  unendovi una porziànè di falco'biancò finissimo. Col  talco bianco ùmilmente barico ,della parte coloranto  de* fiori di Cqrt^mfi j a, ,cui si aggiungono poche goc¬  ce di olio di Beri, per renderlo pastoso è molle, si  compone il roiso y che ancor chiamasi-rosso di porto-  gallo o roSso'vegetale. ‘   Il /arto pesce é il Coccodrillo y degl* interiori e della  sterco del quote sh servivano i Homani e(f i Greci per  fare un composto atto a render bianca e splendida,  lo pellé.   (39) X’Alauda b una pelle moUissiuia,  Tenue eoscm conviene ad alte spalici  E se il petto sìk turgida, il circondi  Fascia, e lo stringa. Se le dità pin^ui^   E scabre T ùnghie avrai, allor di rado  Accompagna congesti i detti tuoi.   Chi grave dalla bocca esala oddte ' •  Digiuna mai non parli ^ e dalla bocca  Deir uom stia lungi. Negri, e troppo grandi  Se i denti siéno, o in non belFordin natii  Massimo il «iso allora apporta danno.   Chi ^1 crederiaMiC donne apprendon pure  Le. maniere del ti80 ,'e in qùesta parte  Nuovo per lor procacciano òtnatoeùto.  Non troppo-larga apri la bocca , e brievi  Sian le pozzette in ambedne le. gote,   E le radiche ognor copra de’denti  L’estremità de’labbri , e non bisogna.  Affaticar con smoderato riso .   Il fianco, mentre deve ancor nel riso. -  Dar proprio, delle donne urf dolce sùono'.  V’ è pur chi in mille guise il volto-  Con male acconce risa*, ed altra credi  Piangere allor che tutta allegra ride$  Quella tramanda un, rauco suono ; e stride  Cosi inamabilmente, che ^assembra ;  Asìnella che ragli, allor che intorue s 5  Alla macina gira.^E'do Ve l’arte ^   Non giugno ? Coù decòro itnpajfan )   A lacrimare, e come, e qhandò sembra, ^  Loro opportune. E che dirò di quelle.   Che niegano agli accenti intera forma,   E fan con studio balbettar la linguaf ^  Credon che sia lìa grazia ancor nel viziò^.  E pronunciano mal varie paròle^ •    Digitized by Google     rrii   E con arte studiata altre ne lasciano.   A tutto ciò, che ben giovar vi puote^  Ponete cura, e con femineo passo  Imparate a portare il corpo vostro^   Havvi nel portamento anco il decoro.   Con cui si fan fuggir , con cui si allettano^  Gii uomini ignoti. Muove questa il fianco  Con arte , ed ondeggiar lascia le gopne  Air aure in preda, e stesi i piedi porta  Con maniera superba. Altra cammina  Qual deir umbro marito la consorte (4o).  Rubiconda, e con piede in dentro volto  rapassi move smisurati •y in q^uesto  Serbisi, e in altro pur giusta misura»  Rustici ha questa i moti, e troppo quella^  E molli e ricercatk LMraa* parte  Della spalla, e r estrema ancor del braccio  Di nuda, onde chi posto è al manco lato  Veder la possa. -Hi special modo a voi  Gioverà che qual neve avete bianca  Ina pelle. Quando questa io mira, sem-pr^  Sulla spalla scoperta i bacci imprimo.   Col dolce suon della canora voce  Fermàr le navi più spedite al corso  Le Sirene* del mare iniqui mostri. (41)    {40) Condanna Ovidio a ragione come rozze le mo¬  gli degli Ultori popoli forti e a un tempo stesso /«-  voci f che abitarono in Italia sul monte Appennino,  (41) I>c Sìrerse sono tre barbari mostri che dimora¬  rono nel mar di Sicilia, Col suon lusinghiero deWar¬  moniosa lor voce'allettavano queste in tal maniera i  naviganti , che si lasciavano essi predar facilmente.  Ulisse per evitare un tanto pericolo , chiuse con la cera  ^^^cchie suoi compagni^ e si legò strettamente'^  M albero della na^e ^da cui si disciolse dopo    jia   Udite qneste, se medesmo sciolse  DalParbor della nave, e con la cera  Chiuse Ulisse accompagni ambe le orecchie.  È lusinghiero il canto . Le fanciulle  Apprèndano a cantar ; la voce a molte  Senza bellezza conciliò gli affetti.   Cantino quel che udirò ne’ marmorei  Teatri f ed or versi costrutti in metro (42)  Niliaco; e culta femina tenere  Sappia per mio giudizio or nella destra  11 plettro , ed or con l’altra man la cetra.  Il tracio Orfeo con la sua lira mosse ( 43 )  Le fiere, i sassi, le paludi stigie,   Ed il triforme Cane . O della madre  Giusto vendicatore al canto tuo  Cortesi i sassi fabbricar’ le nlura.   Benché sia muto, il pesce ( è nota al mondo  Favola) al suon del arionia lira( 44 )   sentito il dolce cànto di quelle . Le donne imparino  dunque a cantare ,se ooglionsi conciliare, come dice  Otfidio , P qmore degli uomini,   ( 4 ^) E!ran famigliari a* Romani le canzonette ame^  rose , e spesso lascile , ahe si cantavano in Egitto , ove  scorre il celebre fiume Nilo,   (43) Orfeo nato in Tracia da Apollo e da Calilo •  pe col suono armonioso della sua Lira fece sì che gli  corressero dietro per ascoltarlo , gli alberi , i sassi , i  fiumi , e le beloe feroci : Quand* egli intese la morte  d* Euridice sua moglie , scese con la lira all* Infernot  e con quella intenerì talmente gli Dei infernali, che  a lui la restituirono , purché non ardisse di riguar--  darla prima d* uscir dall* Inferno, Non p9té l* amo^  toso consorte obbedire a tal legge , e però ella dovè  involarsi a* suoi sguardi subito ch^ ei la mirò   ( 44 ) Anfione figlio di Giove e d*Antiope indusse le  pietre col suon della Lira a fabbricar le mura della  città 4i Tebe. Picesi vendicator della madre, perchè.  Si fe* pietoso . Anco a toccare impara  Con Tana e l’altra man le dolci corde  Del Salterio ; son atte a* cari scherzi*   Di Callimaco a te smn noti i carmi.   Quelli del eoo Poeta , e quei del tejo (45)  Vinoso Vecchio. A te Saffo sia nota  (Son più degli altri i carmi suoi lascivi)   E quel per cui viene ingannato il padre (46)  Del servo Oeta con la callid’ arte.   Del tenero Properzio i versi leggi,   O quei di Gallo, o quei del buon Tibullo,  O i velli insigni per le bionde fila (47)   insieme fratello Leto la vendicò dall* ingiurie ,  che recatale Ideo di lei marito y col trucidarlo nel  letto y ove lo sorprese con Dirce sua concubina y a cui  pure tolse la vita.   Atwne nacque in Metinna , e fu im eccellente Po&^  ta lirico , e nel tempo medesimo un ricco mercante.  Ufosid alcuni suoi comùttadini dal desiderio di godere  delle sue ricchezze fissarono di gettarlo in mare, men*^  tre egli se ne tornala alla patria. Accortosi di ciò  Arione cantò intrepidamente una canzonetta , ed un-'  Delfino , allettato da una sì dólce melodià , Vaccai^  se sulle sue spalle y e lo portò in Tanaro promontorio  della Laconia,   (45) Accenna ora Òoidio i Poeti che piacevano ai  suoi tempi , e per lo stile e per le materie galanti ,  come a* dì nostri piacciono Ariosto , Passo , Guaritù ,  è Metastasio ec.   Fiteta fiorì a* tempi d*Alessandro Magno per li suoi'  versi elio^afici , e dicesi eoo Poeta y perche Coo /if ia  sua patria. Anacreonte nacque in TeJo , e scrisse mol^  te canzoni veramente leggiadre in onore del buon vi¬  no , delle donne y e del giovinetto Batillo.   (46) Terenùo compose una commedia, in cui il  padrone , ed il fratello sono ingannati da Geta asti^^  to lor servitore.   .'(47) ^^^^one Àttacino cantò ne* suoi versi la spe^  dizione in Coleo degU Argonauti. Il vello d* oro , che    jbyGoo'gle      ii 4   Che far fanesti, ó Prisso ^ alla tua aaara  Cantati da Varrone, q il pio Trojano  Di coi non y’ha nel Lazio opra più chiara.  Ma forse un dì con 'questi andrà conginnto  H nome nostro, nè i miei scritti in Leta  Saran dispersi/Dirà aldino : leggi ,   I culti versi del maestro nostro^   Con cui poteo far dotti uomini c donne.^  Fra’suoi tre libri che hanno infronte scritto   II titolo d* amor 9 scegli que^ verai ( 4 j 3 )t  Che legger tu potrai con docil bocca  Più mollemente ; oppur con ferma voco ,  Canta P Eroìdi , ignota opera agli altri  Ch’egli compieo. Ahi cosi piaccia aFebo^  Pel corno a Bacco insigne/ ed allò Muse,  Numi che son propizj a noi Poeti.   Chi dubitar potrà ch^ìo la fanciulla  Non voglia al ballo istrutta, onde poi toltq  Il vino dalla mensa » ella le braccia  Volga in composte ed ordinato moto?  Amansi i danzator che della scena  Sonò spettacol, perchè san con arte :   V Saltare y e con decoro. Io mi vergogno  Di doverla ammonir di tenui cose, _   questi ivi andarono a conquistare , fu funesto ai Elle  sorella di Frisso y perchè ella , come si è accennato y  cadde miseramente in mare , mentre il Montone ador^  no d* un tal vello la portava insiem col fratello ih  Coleo,, Tl pio Trojsno h, come è noto y Enea, sulle  aùoni del quale ha scritto Virgilio quell* aureo Poe»  ma che porta il nome d* £aeidb.   {èfi) Ovidio fra l*altre sue opere annovera ancora  ire libri d* Elegie intitolati gli Amori, ed un libro  - intitolato V ^roidi , perchè comprende ventuno lettere  amorose y che fa scrioère scambievolmente dagli Eroi  all’Eroine^ e dalfEroioe agli £roi.  P’istruirla a gettare or l’aliosso,   £ a conoscer de’ dadi anco il valore.   Or tre numeri getti, ed ora accorta (49)  Pensi qual parte segua acconciamente  E qual richieda. Canta in finta guerra (5o)  Muova i soldati, che da duo assalito  Nemici uno perisce. Il Re sorpreso  Senza la sua compagna ^ si difenda  Da se medesmo , e f’emulo ritorni  Per lo stesso seotier.' La tasca è aperta^   E ornai son sparse le pulite palle; (5 i)  Quella che prendi sol muover tn dei.  Ravvi un: gioco diviso in tante parti (Sai  Quanti numera mesi il luhric^anno.   Breve tabella prende da ogni parte (S3)-  Tre tenni pietre, e il vincere consiste  Nel disjpor queste in una dritta  Mille giochi vi SOI» che turpe fia  A una donzella d* ignorar ; col gioco  Si può l’amore conciliar. Leggiera  Fatica è appreodero a giocar ; maggiore  Opra é il compmrre allora i suoi costumi.    C49) Non sappum Diramente per qual ragione si~  éovesse procurare tempi, in cui vivcóa Ovidio di  gettar tre numeri nel gioco d^ Dadi.   ^ 5 “^ •S£r»/erÌjco»o questi versi al gioco degli Scacchi.   (Si) questo un gioco, di cui non possiam dare  tucuna notula.   Sembraci f che sia questo il gioco, che r pure  * *** dell» Dama.   ( 53 ) Alludeu (d gioco del Filetto, che . or gioeano'  nule campagne i ragazzi. Così b decaduto un gioco -  0^ formava la delizia delle Dame romane, e coi»  aecaderanno ancor quelli che si hanno in pregio a‘ dk  nostri, ® '    Digitized by Google    Mentre s’applica al gioco, incanti siamo,   E i reconditi sensi alloc dell’ alma  Facoiam palesi. Ci deforma il volto ^ j   Il cieco sdegno, e sono ognot col gioco  Il desio del guadagno , le .pontese, »   11 sollecito duol, le stolte tìsse.^ j   Rinfaccìansi i delitti ; di clamori *   V aere risuona, e in sno favor s’invocano  Gl’ irati Dei. Non v’ è fede nel gioco  Il qual co’ voti non divìen secondo;   Vidi le gote ognor molli di pianto:   Da voi che amate di piacere all’uomo,  Giove tenga lontan questo delitto.   Diè la pigra natura allo fanciulle   Silaili giochi ; ad altri pii sublimi   S* applica l’ uom : per lui sono il paleo» ( 64 )   I dardi, 1 ’ armi , le veloci palle;   E il cavallo costretto a gire i^^no.   Voi non acosf^il’-campo.o'ra gelata ( 55 )  Vergin , nè voi sulle sue placid’ onde j  Porta il toscano fiume* Ah ! voi potete  Gire all’ ombre pompeje, anzi vi giova ( 56 ) 1  Quando i destrier del Sole ardono il capo    (5 4 ) H Paleo i urto strumento fatta a guisa Jt  trottola, eoi quale giocaoano i fanciulli romani fa-  tendalo con una sferza girare intorno.   ( 55 ) Nel Campo Marzio si esercitavano »  romani in tutti que’giuochi cU potevano «P***^"'^*   • renderli valorosi guerrien. Era ivi   ta Vergine dalla fanciulla che ne scopri la sorgente,   ed in quella si lavavano i giratori le   di polvere e di sudore. Il Tevere e qui detto fannie   tascsno, perchè dall’Appennino   la Toscana nel f<u-t il siSo corso alla wta di tioma.   ( 56 ) Annoi, q. del fàh. I, ^    Digitized by Google     Alla vergin celeste. I sacri a Febo (5^)  i’alagi visitate ; egli sommerse  In alto mar le paretonie navi.   I monumenti ancor» che fur costrutti»  Dovete frequentar, da Ottavia e Livia ( 58 )  Una suora del Ehjce, altra consòrte,   E quelli pur del valoroso Agrippa,   Che ha cinto il capo di navale onore.  Della menfitica Iside agli altari (69)   Siate frequenti , ov^ ardesi P incenso,   E ne’luoghi cospicui a’tie teatri.   Di caldo sangue le macchiate arene  Ite a mirare, e la prescritta meta.   Rapido intorno a coi si volge il cocchia.  Quel che si cela ò ignoto , e ciò che è ignoto  Nessun desio risveglia ; è lungi il frutto  Se manca il testimone a un bel sembiante.  Benché nel canto superi Tamira (60)   ( 5 ?) Dicé con Ovidio ancora Virgilio, che Apollo  nella guerra Azziaca prestò il suo soccorso ad Augu^  sto y il quale aveoagli innalzato un ternpio nel pro^  prio palazzo . Apollo in conseguenr^a , ^Hcondo questi  poeti , sommerse le navi egiziane deste paretonie da  Paretonio città marittima d*Egitto , che Pompeo avem  va armate contro d*Augusto.   ( 58 ) Ved^i l*annot, 8 e g del Libro /. Augusto  decorò A grippa suo generò della Corona navale dopo  d^aver debellato Pompeo ^ ed innalzò al medesimo un  portico y che fu chiamato il Portico d’A^rippa.   (59) Annoi, li del Lib, /. Dice Sirabone che gia¬  cevano tre superbi Teatri in vicinanza del Campa  Marzio.   (60) Fu Tamira un poeta tragico che ardì con la  sua lira di provocare le stesse Muse ^ credendosi a  quelle superiore nella dolcezza del cantoma\dalle  medesime fu vinto , ed in pena della' sua arrogwiza  gli furono tolti gli occhi.    Digitized by Google      ii8   Ed Àmebeo , sarà priva d’ onor«   L’ ignota cetra» Se di Coo il Pittore  Vener ritratta non avesse^ immersa  Sare^bbe ancor nelle mailne spume.   £ che ricercan maggiormente i sac^i  Poeti che la fama ? E questo il fine  Cui tendon tutte le fatiche nostre.   Fur de’Numi e de'Re delizia un giorno.  1 Poeti , ed immensi ottener premj  I cori antichi* Venerando allora,   £ d’ una santa maestà ripieno  Fu questo nome, ed ebbero sovente  Larghe ricchezze. Ennio che il suo natale  Trasse ne’monti calabresi , degno  Si fé’ d’esser unito al gran Scipione. (6i)  Or giaccion senza onor Federe, e il nome  Ha d’inerte colui, che i sacri studj  Cari alle Muse a coltivar s’accinge»   Giova cercar la fama, e chi d'Omero  Contezza avrebbe , se in obblió sepolta   Ateneo^ Plutarco ed altri parlano con somma lo^  de d*Amebeo ateniese , perchè sonava eccellentemen-  te la cetra, Apelle nativo di Coo dipinse Venere nel-  ratto di uscire dalVonde marine \ ed Augusto coliocè  una tal pittura nel Tempio dì Cesare suo Padre,   (6i) ÉrUiio è tra i Latini un poeta che si può da-  gV Italiani paragonare a Dante.   Ennius ingenio maximus , arte xudis.   Owd. Trist, Ub. IL EL I,   Fu egli, nativo di Rudia in Calabria , e visse som¬  mamente caro a Scipione Affricano il vecchio , ed a  molti altri insigni Cavalieri romani. Morì in età di  anni settanta , e dicevi che fu collocata la sua sta¬  tua di marmo nel sepolcro degli Scipioni. Cicerone  ^ro Archia Peata , così parla di ciò : Garas fuit Af-  iiricano superiori ngster Ennius ; itaque in tepulcro  ScipioQum putatur is esse constitutus e marmore.   L'Iliade o^ra imxnortal foase rimasa? ^  Chi Danae conosoiata avr^a , se ascosa (6a)  Posse étata mai sempre^ e «e già vecchia'  Si fo8a''ella lacchiusa eptro la torre?  Utile è a voi , bèllé e vezzose donne,   Di porre oltre le soglie il vago piede<   La lupa a molte agnello insidie tende  Per predarne una, e sopra molti augelli  Vola 1 Augel dj Giove. Il volto mostri  Sposa_ leggiadra ^1 P®poI<>> o fra molti  Un solo appéna rimai^rà sua preda.   In ogni loco ove si tro^ , attenda  Sempre a piacere; ed abi>ia special cura  Di sua bellezza. Puote in ogni incontro  Sempre molto la sorte. Getta l’amo,   Chè in quel gor^o, ovemen lo pensi, il pé^co  t alor SI trova . Erran sovente indarno  Per boschi montuosi i cani , e il cervo  Cade fra’ lacci, mentre uinn l’insegne.   D Andromeda l^ata a un duro scoglio ( 65 )   Il niT*** *Pf far, che a un uom piacesse   Il pianto sue ? ài cerca spesso un uomo  Ne funerali del marito ; i crini  Sciolti portar conviene, e sian la gote   Di lagrime bagnate . Ma fuggite   Gl, uomini che d’aver le ^mbra adorne   hi fanno un pregio ; della lor beltade   Vanno superbi, e portano le chiome  Con ricercata simmetria, disposte.   Ciò che dicono a vói, dissèro a m{llé;   D’ uno in un altro àmot Tàgando vanno ,  Senza restarsi in dmha "parte mai.   Che d’un tal uomo effemi,nato., a cui  Forse molti non mancano amatori.   Dee fer la donna ? 11 crederete appena.   Ma credetelo'pur , Troja' àncor ferma ( 64 )  Starebbé,se di Priamo avesse ih uso\ ‘  Posto gl* insegnamenti . H'a^yi di quelli  Che sotto il mantó di fallate amore ^   ■V* assalgono , e tiòèrcan coh‘ tai mezzi  Vergognosi guadagni . Ntìn la chioma  Per il liquido nardo nitidissima ^  V'inganni, o breve fascia con cui stringa  Le pieghe della veste ; nè v’ illuda  Toga che sia di tenue,fil tèssuta;^   O anel con cui s’adorni uno o più. dita.  Chi fra questi è più colto, è forse un ladro,  E d’ amore arde per la ricca veste.  Gridano spesso le spogliate Donne;   Il mio a me rendi, e il suon per tutto il foro  Rimbomba, e s’ode ; a me deh rendi il mio.  Tu da tuoi templi d’oro adorni miri  Con le femmine d’ Appia indifferente, ( 65 )  Venere, queste lìti , Ancor vi sono  Pessimi nomi'pei^'non dubbia, fama-.    ( 64 ) Priamo iruinuava «’ tuoi Trojatti di rtrtdtr   ^( 65 ) àoeva nella via appia   tomo al quale abitarono molte donne   sacrifici che queste rendevano a quella lor   lare , consistevano in prestar liberante tl lor corpo   alle voglie sfrtnatt desìi uomm Iwrnnio  E molte che rimasero ingjinnatp  Da molti amanti, or d’ un egual delitto  Si trovan .ree. Dalle quetele altrui;  Imparate a; temer le^ vostre ; chiusa,   Sia mai sempre la porta ad uom fi^lace.  Donne ateniesi, uon prestate fade (j66)‘   A Teseo ancor, che giuri • In testimonio»  Come invocolli nn giorno, i Numi invoca.  Tu del delitto, oJDemofonte , erede.   Di Teseo più non meriti credenza, (67)  Perchè ingannasti Fillide . Se molto  A te pròmetteran, loro prometti j *  Con eguali parale . So di doni,   Ti siano liberali, lor concedi   I promessi piacer, ma se gli nìeghi   II dono ricevuto, ancor potrai.   La fiamma estinguer deUa vìgil Vesta, (68)  Rapir da’templi dTside gli arredi,   E air uom porger T. aconito mischiato  Con la trita cicuta«tll mio desire ,   Mi spinge ora a ;fcenarmi, e: tu ritieni.  Musa , le brìglie : nè le mosse rote  * Ti dian.terror» Tentino in prima il guado  Ov..Arte d-am.    (66) Teseo abbandoni Arianna in Nassa,   (67) Demofe^nte non serbò a Fillide la premesti^  di ritornarsene a lei dentro due mesi,   (68) Con questi versi vuol significare il poeta che  è capace di commettere ogni sceUeratezza quella don~  na , che nega il favor suo a quegli uomini da* quali  ha ricevuto de^ doni, Riputavasi in fatti da* Romani  un enorme delitto il rapire il fuoco custodito dalle  Vestali, o i .sacri arredi del tempio d* Iside; e da  ogni nazione si è creduto sempre colpevole colui che  porge alVuQmo /^aconito con la cicuta , cioè il vet^no. Xrli scritti fogli, e T inviate cifre  Riceva accorta ancella . Apprendi e vedi  Dalle stesse parole che tu leggi,   Se finga, o par se son sinceri i prieghi.  Dopo breve dimora ognor rispondi^   Mentre , se è bre;i^e, è stimolo agli amanti.  Deh non prometti al giovin che ti prega  D’ esser docile mai, ma in duri accenti  Non.gli negar ciò che dimanda . Tema  E speri a un tempo^ e ognor che tu il licenzi  Sia minore il timor, maggior la speme.  Scrivi culto parole e consuete,   Che un famigliare stil più eh’ altro piace.  Ah quante volte arse per dólci note  II cor di dubbio amante , e fu nociva  Una barbara lingua a bella Donna!   Benché voi siate nell* ònor perdute.   Tutte le cure vostre or son dirette  A ingannate i Mariti . Idonea mano  D’esperto giovin, di fidata ancella  Rechi le dolci lettere , e tai pegni  Non sian fidati ad un novello amante.  Vidi ben spesso impallidir le donno  Per tal timore , e vìvere i lor giorni  Miseramente in sehìavitudin dura.   Perfido è quei ohe tali doni serba.   Che qual fulmine etnèo sono in sua mano.  Si può tener, se al vero io non m’appongo,  Lungi la frode con la frode ognora;  Contro gli armati impugnar 1 ’ armi, logge  Nissuna vieta . A imprimer sulla carta  S’accostumi la man diverse cifre.   Ah ! peran quelli contro cui vi deggio  Avvertir di tal cose. In foglio mondo    Digitized by Google     123   La risposta si scriva , onde non sembri  Da due mani vergato . Al suo diletto  Scriva la donna, .come un uòmo amante  Scrive air amata » ed usi V uom V opposto.  Ma da lieve materia innalzar V alma  Ora a me piace a più sublimi cose,   E le vele spiegar gonfie dal vento.   Opra è del volto i rabidi trasporti  Saper frenar : candida pace all* nonio  Convien come alle belve ira crudele.   Si fan per Tira tumide le guancie;  Vengpn nere le vene, e inocchio splende  Più truòemente del gorgòueo ‘fòco. (69)  Vanne lungi da 'metromba importuna^  Disse’Pallade ^ allór che il volto suo (*^0)  Mirò )iel fiume . Se voi iii mezzo all’ ira  Riguardate lo specchio ^ alcuna appena ^  liistinguére pbtm W figura. '   Nè dannosa a Voi supérbr^^ facòià j  TurgidJ il voltò ; có^ be^nigiii sguardi  Deèsi a^es9ar 1 ’ amóre ‘J Odiahio ( e voi  Già 1 fó^cre((efé che. ìie siete esperte) ‘   I fasti inambderatl^e spesso chiude  Deir odio 1 sómi taciturna faccia. /   Guard^ ^uel che ii mira , e ùi olle mente  Sorrmi 'a^ueì cjhe rid^ e se à te un cenno   §ia .   Gorgoni étart t^e mostri \^enimente orribili  per ìaHesta ^circonddia di serpi , e per Vocchio spaven^  tegole che ateoanò in: mezzo alla fronte . Chi fissava  occhi in faccia*'alle medesime , rimaneva di sasso,  (70) Pallàde / sécorido^alcuni y gettò via la tromba,  perdhè ^s’accorse chè ih sonarla si faceva troppo gòHf^  la faccia. ‘ ' Con tai preludj il favcitilletlo Amor»   Pose i rozzi da parte, e diè di piglio  A! dardi acuti della sua faretra.   Vadan lungi da noi le donne meste;   Ajace ami Tecmessa t noi sol puote  Tener ne’lacci suoi lemina allegra. (71)  Non fa giammai che a voi porgessi preci,  O Andromaca o Teome^sa , onde a me foste  O r una o Valtra amiche. Appéna posso  Creder che in letto maritar giaceste,  Quando, a crederlo astretto io son da^iiglL  Fprse ad Ajace la dolente sposa ‘  Avrà detto : mia luce, e gli altri accenti,  Cari agli uomin|^ tanto f £ chi mai Vieta,  Applicar gravi esempli a tenni cose,   E di guerrier non paventare il npmef  Cento soldati a questo^ il Duce esperto (72]^  Diè a regger cop la vite ,|è a quello cento  Cavalieri, e lasciò'T altro in custodia ^  Delle l^andiere A; qual vedete impresa  Atti noi siamo ; e^nel suo posto'o^gntipo ^  Venga locato. Un ricco a voi dia doni^ '  Vi sia propizi o, il Giudice , e ; il facondo ‘  Difenda i dritti vostri .'|loi poeti ,   Donp possiam far solo di carmi.   3a più degli altri amare il coro nostro;   (71} Andròniaca dopo ìa rnòrté ^&toré amato sud  sposo , r dopo V incendio di-Trofa-fpssssò for i rn i s uns nm  ti alle nozze di Pirro ^ e però vìsse con ^uosto/s^ssai  malinconicà. Teemessa , moglie di Ajace, er^ una  schiava y e però, secondo Ovidio y. doveva aver sempre  Vanirne occupato da una grave, tristezza*   (711) Da/ Comandante solevansi affidile^cento sol-  dati al Centurione il quale aveva per sua insegna U 9  ramo di vite. Uua grata beltà cott ampie lodi  Sappiamo celebirare , e va fainoso  Dì Nemesi per noi, di Cinzia il nome. (78)  E dove nasce, e dove muore il Sole  Conobbero Licori., e chieggon molti  Chi sia Corinna nostra. Aggiungi a questo  Che son T insidie ignote a" sacri Vati,   Che giova V arte nostra a^ lor costumi.  Kpa ambiziosa voglia, e non desio  D’aver ci punge . Noi sprezziamo il fòro  E son graditi a noi V ombra ed il letto.  Facili amiamo ognor con certa fede,   £ in vasto incendio, il nostro core abbrucia.  Con placid’arte docile T ingegno  Facciamo , e ben s* adattano co* nostri  Studj i postumi. A* Vati aonj, o donne.  Siate indulgènti, che gl^inspira un Nume,.  E lor son fauste le pierie uive. (74)   Ci agita un Dio.; abbiam col Cièl commercio;.  Ci vien lo spirto dall* eteree sedi. *  Chiedere il pre^o è scelléra^in grande  Ad ottimo Poeta . Oh me infelice.   Che scelle raggio tal piti non si teme  Dalle jauciulle • ALmen dissimulate,   Nè vi fate veder tosto rapaci.   No , non cadrà nella prevista rete  Un novèllo amatore . Il Cav^aliero    (y3) Nemesi fu amata a celebrata da Tibullo, Cia*  zìa da Properzio , tdcori da Gallo , a Ovidio ha^da^  to ne^ suoi versi alla propria amante il nome, di  Corinna.   (74) Le Muse si chiamavano le Dive pierie , 0 per^  chi abitarono nel monte Pierio in Tessaglia , o per--  che vinsero e trasformarono in gazze le figlie di Pierio.Non reggerà T indomito cavallo  Al par di quello che già al freno è avvezzo*  Nè lo stesso sentier batter tu dei  Per adescar la verde gìoventude,   E le menti già stabili per gli anni*   QuelP inesperto, che la prima volta  Sotto si pone all* amorose insegne.   Che preda nuova nel tuo letto giacque.  Te sol conobbe, e a te sia unito ognora;  Si cìnga d’ alte siepi una tal messe.  Schiva d’aver rìvjaì;ta vincerai,   S* ei r amor suo con altra non divide;   1 regni e amor non vogliono compagni.  Quel che invecchiò nell’ amoroso agone.  Con prudenza amerà, saprà soffrire  Ciò che invan soffrirla guerrier novello.  Non frangerà le porte, e non furente  Fiamma v’ applicherà. Non dell’ amata  Farà con 1’ unghie ingiuria al delicato  Volto ; e non straccerà della Fanciulla  Le vesti, e non le proprie ; e per dolore  Non svellerassi i crini • Questi eccessi  Convengon solo a’ Giovanetti acerbi  Caldi per poca età, per troppo amore.  Tranquillo ei soffrirà la cruda piaga;   Qual face inumidita a foco lento  Abbrucìerassì, o quale in giogo alpestre  Fresco ramo reciso : è quest* amore  Più certo , è quel più breve e più fecondo.  Con sollecita man cogliete i pomi  Che fuggon. Tutto ormai s* insegni; schiuse  Son le porte al nemico ; e siate fide  Mentre ingannate altrui. Facil Donzella  Puote mal conservare un lungo amore.  Sla la ripulsa rara » e venga sempre  Da lieti scherzi accompagnata • Giaccia  Alla porta nrosteso , alto gridi:   Porta crudele ; e molte cose umile  Faccia 9 e molt^ altre minaccioso. Il dolce  Noi mal soffriam ; ci sana il succo amaro;  Pere spesso la nave » e fausto ha il vento.  Ecco perchè non amansi le mogli;   Seco stanno i mariti a grado loro.   Chiudi la porta 9 e in aspro suon TuBciero  Gli dica f entrar non puoi ; escluso, in seno  Di lui per te si desterà l’amore.   Deh riponete i rintuzzati brandi;   Con gli acuti si pugni, ch^ io con l’armi  Mie già non temo d’ essere assalito.  Mentre ne^ lacci un amator novello  Cade, gli fa sperar xhe del tuo letto  Solo godrà ; poscia il rivai conosca  E i divisi piacer ; senza quest’ arte  Amor illanguidisce • Il generoso  Destrier,se venga dal suo career schiuso.  Corre velocemente , se il preceda  Altri nel corso, o se lo segua . Estinto  Ancor che sembri l’amoroso foco  Con nuova ingiuria si riaccende, ed io,  Lo deggio confessar, soltanto offeso  Nutro r amor . Non troppo manifesta  Sia la causa del duolo ; e ansioso creda '  L’ amante che maggior fia ancor l’offesa  Di quello che gli è noto ; ed or l’inciti  L’aspra custodia di fallace servo,  n geloso rigore or del marito;   E men grato il piacer senza contrasto*    Digitized by Google     I2S   Èeiichè tu sii di Taide più. }asciya,(75)  Fingi timpri ; e ancor che per la porta  Meglio il possa introdar , fa eh’egli venga  Dalla finestra, e nel tuo volto i segni  Mostra di Donna da timor sorpresa»   Venga l’ancella frettolosa, e dica:   Ah siam perduti 111 trepido Garzone  Allora ascondi; col timor si debbe  Mischiar piacer sicuro, onde 1’apprezzi»  Come il marito accorto e il vigli servo  Si possano ingannare i’avea taciuto*   Tema una Sposa il suo Consorte^ e viva  Certa che altri la guarda ; è ciò decente;  Vuol ciò il padoi:, la legge, e F equitade.  Chi soffrirà che custodita sii  Tu , che or la verga del Prétor redense? (76)  Odiose vuoi ingann^kT, miei sacri carmi»  T’ osservio puro occhi miglior di quei (77)  Ch’ebbe il guardiano d’io , sii risoluta,   £ tesserai l’inganno • E puote invero  Chi t’ ha in custodia a te vietar che scriva  Se non si vieta a te di gire al bagno?   E se potrà, de’tuoi segreti a parte,    (75) Terenzio ha dato il nome di Taide ad una  donna lasciva, che forma la parte principale della  sua Commedia intitolata /^Eunuco.   (76) Parla qui il poeta delle donne schiave y che  divenivano libere quando il Pretore aveva toccato al»  le medesime il capo con una vèrga detta yindiqta ,  e che occupavano nelle case delle Matrone Romane  unposto corrispondente a quello delle nostre Cameriere.   C77) (Giunone diede, cento occhi ad A^go custode  d'io, perchè potesse soddisfare esattamente al suo  incarico, ma il Dio Mercurio Pàìsdpì col suono del*  la lira , e gli recise la testa.    Digitized by Google     129   Recar V ancella i foglj ricoperti  Nel caldo seno da una larga fascia^   O nasconderli avvinti infra le gambe,   O sotto i piedi f Se a tè ciò il custode  Vieti , P ancella porgerà le spalle  Di carta invece, e porterà su queste  li^amorose tue cifre impresse. Un foglio  Con fresco latte scrìtto inganna 1’ occhio^  Con la polve l’aspergi del carbone, *   £ legger lo potrai • Del paro inganna  Lettera pura in cui sia stato scritto  Con la punta del lino inumidito,   E le note ‘segrete incise porta . (jB)  Intento Acrisie a custodir la Figlia, (*^ 9 )  In opra pose ogni più esatta cura:   Eppur col suo delitto il fece eli’ avo.   E che farà il Custode, se cotanti  Sono in Roma Teatri, e se a suo grado    (^8) Non mancano a^dì nostri degli inchiostri sìrw^  patiei y che superano ne^loro effetti la virtù degli  antichi. Con un^ oncia di Ut or girlo y e cinque d^ace»  to stillato si fa un composto , che chiamasi aceto di  Satarno. Con questo si scrioe sulla carta bianca , e  quando è asciutta non si scorgono in alcun modo i  caratteri. Si sparge quindi sopra la carta una picco^  la porzione d* un liquore fatto con un* oncia d* or pig¬  mento e due once di calce viva sciolta nell* acqua ;  éd allora compariscono i caratteri d*un coloraperfet’-  tamente nero.   Il calore e la luce coloriscono altresì i caratteri  scritti con alcune soluzioni metalliche allungate con  Vacqua , cioè con quella dell* oro , dell* argento , e  principalmenie del bismuto. La tintura di galla è  pure ì^n inchiostro simpatico , purché si faccia passar  sopra di essa una qualunque marziale dissoluzione,   ( 79 } Annota (a del lÀb. presente.    Digitized by Google     i3o   Può rimirar le corse de* destrieri f  Quando nel tempio d’Isi assister puote (8c)  Al concerto de* sistri, e p^pte in altri  Lochi ella gire » ove l’ingresso poi  È vietato a’ compagni ? Se da’ templi  Della Dea Buona può fuggir gli sguardi (8i)  D’ogni uom fuor di quel eh’ ella desia f  lyientre il Custode fuor del bagno serba  Gli abbigliamenti della sua Padrona,   Se può mrtivo nel; sicuro bagno  Celar 1* Aàotante ? Se ove 1’ uopo il chiegga  Per finto morbo giacerà 1’amica, ,   O se per vero , a lei cederà il letto? .  Quando la chiave adultera col suo  Medesmo nome cosa far c’insegna^   Nè sol la porta dà il bramato ingresso?   S’inganna pur con molto vin la cura  Di vigile Custode , ancor che colte  Vengan l’uve nell’aspro ispano giogo. (8a)  Vi sono ancora i farmaci che al sonno  Aggravan le pupille quasi vinte  Dalla notte letea • Nè mal trattiene  La non ignara ancella l’importuno  Con le tarde delìzie, end’ ella possa  Star col suo vago quanto più le piace.  Che far tante parole, e cosi lievi  .Gli uomini non potevano interpénire nel Tenu»  pio d'Iside , quando le donne celebravano le sue fo»  ste col serbarsi , almeno apparentemente, easte per  molti giorni,   (81) Era agli uomini vietato V ingresso nel Tem»  pio della Dea Buona o sia di Cibele.   (8fl) Denota il Poeta il vin poco generoso, che i  Romani facevano venire dalia Laleiania in  gna provincia di Spagna*    Porger precetti , se con picciol dono  Si corrompe il Custode ? A me lo credi.  Gli Uomini e i Dei guadagnansi co’doni,  £ i doni placan pur lo stesso Giove.   Che farà il saggio , se de’ doni ancora  Gode lo stolto ? Ricevuti i doni,   Si farà muto anco il marito istesso.   Per tutto Panno guadagnar si debbo  Una volta il Custode , e quelle mani  Che un di vi diede, vi darà sovente.   Feci querela , e l’ho ferma in pensiero  Che temer si dovessero i compagni;   Nè diretta soltanto all’ uomo è questa.   Se credula sarai, carpirann’altre  1 tuoi piaceri, e avrai cacciato il lepre  Per esse. Quella, che t’appresta il letto,   E che officiósa a te concede il loco.  Giacque più. volte , a me lo credi, meco.  Nè troppo bella sia l’ancella tua;   Sovente meco fe’della padrona  Ella le veci. Ah ! dove ora mi lascio  Io stolto trasportar ? Perchè contrasto  Col petto inerme contro il mio nemico,   Ed io da me medesmo mi tradiscof  Come pigliar si debba al cacciatore  L’auge! non mostra y ed a’ nocivi cani  Come inseguirla non la cerva insegna.   L’ utll vostro mi piace : io fedelmente  Vi spiegherò i precetti , ed alle donne Di Lenno io porgerò contro il mio fato   Lè Donne di Lenno in una notte, uccimo i  loro mariti , e però Ovidio sotto il nome di  tende quelle che con gli uomini sono troppo severe»    Digitized by Google      iSà   Da me stesso il coltello. Ahi fate in modo  ( Ardua non è V impresa ) che crediamo  D’ esser amati , mentre ogutìno crede  Farcii ciò che desia. La donna miri  Con infocato sguardo il fido amante,  Tragga dal sen sospir profondo, e chiegga  Perchè sì tardi venne. Aggiunga il pianto,  E finga gelosia della rivale,   £ gli percota con le mani il volto.   Tosto vivrà sicuro, e nel suo petto  Facile nutrirà per te pietade,   E dirà fra se stesso : ah si consuma  Questa per me d*amore i e specialmente  Se lo specchio consulta, e colto sia, ^   D’innamorar ei penserà le Dee.   Ma a te chiunque sii, grave disturbo  Non arrechin le ingiurie, e sbigottita  Non ti mostrar, della rivale il nome  Allor che ascolti, e facile credenza  Non presta aMetti altrui. Ah quanto nuoccia  Il creder facilmente, a te lo dica  Quello che adesso narrerò di Proori. ( 84 )  Scorre vicino del fiorito Imetto ^   A’ be’ purpurei colli un sacro fonte.   Di cui le sponde ognor fan grate e molli  Verdi cespnglj . Ivi non alta selva   (84) Procri figlia d* Eretteo Re Atene per sos-  petto di gelosia si portò segretamente nelle selve e  né* boschi ad osservar Cefalo figlio di Mercurio , sua  Sposo , ed ottimo cacciatore . Mentre egli prendeva ri-  .poso in un ombroso colletto , essa celandosi dietro alle  siepi , mosse disgraziatamente le foghe degli alberi»  Credè Cefalo che s* ascondesse fra quelle una fiera y e  però vi scagliò una saetta che gli uccise la lua dì*  letta consorte. Un l^co forma; gli arboscelli l'erba  Ricoprono, e un soave odore esalano  II rosmarin, l’alloro, il negro mirto.  Non il tenne citiso, il colto pino,   E il fragil tamarisco ivi già manca^   E non folto di foglie il busso. Scosse  Da dolci aeffiretti « e da salubre  Aura treman le foglie mnltiformi,   £ le cime dell^ erbe. Ama la quiete  Cefalo. Abbandonati i servi e i cani.   Ivi stanco il Garaon spesso s’adagia;  Solea cantar : mobil auretta , vieni  Onde t’accolga nel mio seno, e allevj  Il cocente càlor. Le intese voci  Da un malaccorto far recate intere  Alle timide orecchie della moglie.   Tosto che Procri il nome adì dell’aura,  Qnal fosse uua rivale, a terra cadde;  Ammutolissi pel dolor ; nel volto  Impallidid^ come le tarde foglie.   Se colte sieno dalle viti l’uve.   Sogliono impallidir dal verno offese,   O i maturi cotogni, i di cui rami  Piegansi, o le corniole ancor non atte  A* cibi nostri. Tosto che; rinvenne.  Straccia dal petto suo le tenui vesti.   Con V unghie impiaga le innocenti guance.  Jndugie non conosce, e qual Baccante  Mossa dal J'irso , furibonda vola  Per le pubbliche vie, sparsa i capelli.   Ma già vicina, in una valle lascia  I suoi seguaci ; intrepida e furtiva  Nel bosco con piè tacito s’innoltra.  QuaPera il tuo consiglio, allor che stolta.    Digitized by Google      i34   O Procri, t’ascondeyi ; e quale ardore  NelPattonito séno allor ti corset  Già tu pensavi di sorprender l’aura  Qualunque fosse, e di mirar co’proprj  Occhj P infedeltà del tuo Consorte.   Quivi d’esser venuta ora Rincresce;   Or la rivale di mirar ti piace,   Ed or ti penti ^ opposti affetti in seno  Destan tumulto. A creder la costringe  ( Che quel che tenie ognor crede l’amante )  L’accusatore, il loco , il nome. Quando  SulP erbe vide impresse Torme umane,  Balzolle il cor nel pauroso petto.   Già T ombre brevi aVea il meriggio strette,  E in spazio egual giaceva l’Occaso e l’Orto,  Allor che di Mercurio il figlio Cefalo  Dalle selve ritorna, e T innainmate  Guance delTacque di quel fonte asperge.  O Procri, tu t’ascondi ansiosa ; ei giace  Sull’ erbe consuete, e vieni disse,   ZefHro fucile, o molle curetta vieni.  Quando conobbe il dolce error del nome,  AlT infelice il cor tornò nel seno,   E il primiero color sul volto suo.   S’alza, movendo il corpo e move ancora  Le frondi circostanti ; e fra le braccia  Va per gittarsi del marito • Mosso  Credendo quel rumor da qualche belva,  Imprudente la man slancia sull’arco.   Ed ave i dardi già nella sua destra.  Infelice che fai? non è una fiera,  rw Deponi ì dardi.... Oimè la tua consorte  Dalle saette tue giace trafitta.   Oh me infelice i eéclamà ; in petto amico   Vibri il tuo dardOi o sposo. Ah che fa sempre  Da te questo trafitto! Io pria del tempo  La morte trovo « noa offesa almeno  Da un rivale .^h farà ciò la terra,   Ov* io riposi, a nae cara e leggiera.   Fra quest’aure ^ che odiai sol per un nome.  Già spazierà il mipspirto.. oh Dio!•• vacillo...  Mi chiuda i lumi quella destra amata.   Le membra moribonde egli sostiene  Nel mèsto seno, e la crudel ferita  Con le lagrime asperge^ Ella già spira,   E la bocca del misero marito  Lo spirto accoglie che dal petto incauto  Deir infelice, Porcri alfine eeala.   Ma sul sentier si torni. lo debbo adesso  Agir palesemente , onde il naviglio  Indebolito tocchi i porti suoi.   Ch* io ti scorga a conviti aspetti forse,   E ch^ io ti guidi in questo pure attendi ?  Non t’affrettar; vien tardi, e già sia posta  La lacerna i e decente i passi volgi.   Grato è a Vener Findugio, e molto giova.  Benché bratta tu sii, sembrerai bella,   Che coprirà la notte i tuoi difetti.   .Prendi co’ diti il cibo ; havvi pur Parte  Nel modo di cibarsi ; con l’immonda  Mano cerca n on ungerti la faccia;   Nò mangiar prima in casa, ma t’astieni  Dal farlo allor che avrai mangiato meno  Di quel che il ventre tuo capè, e tu brami.  Paride, se veduto avesse Elena  Cibarsi avidamente, avria per lei  Nutrito sdegno , e detto fra se stesso:   Ah fui ben stolto nel rapir costei!    Digitized by Google     i36   Meno disdice a donna il ber , che Bacco  £ di Venere il figlio uniti vanno.   Sì beva pur fin che il permetta il capo,  E Talma e ì piè siaxi atti a* loro nfficj ,  Nè raddoppiati sembrinti gli oggetti.  Donna che giaccia per soverchio vino,   £ turpe, e di soffrir merta ogni assalto.  Sparecchiata la mensa, è gran periglio  Cadervi per il sonno; in mezzo a quésto  Molte si soglìon far cose impudiche.   Io di stender più innanzi i^niiei precetti  Sento rossor. La figlia dionea  Mi disse : utile è a noi quelPòpra ìstessa  Che in se desta vergogna. A voi si sveli.  Donne, ogni fatto. I varj atteggiamenti  Noti vi sien , che a tutte non conviene  La medesma figura. Tu che sei  Pel volto insigne, giacerai supina»   Quella che ha bello il tergo, il tergo mostri.  Recava Melanion sulle sue spalle  Le gambe d’Atalanta ; se sian belle.   Si dee imitare allora un tale esempio.  Porti il cavai pìccola donna ; avéa  Statura immensa la tebana sposa; (85)  Suirettoreo cavai però non giacque.  Quella che può mostrare un lungo fianco^  Prema con le ginocchia il letto, e alquante  Ritorca la cervice. Chi le membra  Ha giovanili, e senza macchie il seno^  Mentre Puomo sta in piedi , ella corcata  Giaccia obliqua sul letto. Nè già turpe  Credete scioglier qual Baccante il crine.    (OS) XeSpoifk tsUoa ^ 4fl4rQmcé mQglk    E ondeggiando i capei, piegate il collo.  Tu pure, a cui la pronuba Lucana  :  Macchiò il ventre di rughe , imita il Parte  Quando combatte sul cavai fugace, ,   Ben mille son di Venere le foggie,.   Ma la piò facil, di minor fatica  È quella, in cui semisupina giace  Sul destro fianco, I Tripodi febei,,   O il cornigero Ammon cosa piò vera ( 87 )  Non conteran di quel che or la mia Musa-  Se Parte , che ci costa un lungo studio,  Merita fè, credete^, ancor che i carmi  Nostri eccedano forse ogni credens^à»  Venere abbrugi le ' midolle e V ossa  Delle donne, e sia caro ad ambedue  Lo scambievol piacer. Un mormorio  Dolce, e parole lunsin^hiere e grate  Non manchino, nè tacita si stia  In mezzo ascari scherzi unqua la donna.,  Tu , cui d’amor negò Natura il gaudio,  Finger lo devi con mendace suono;    Lucina è un nome di Giunone , la quale pre^  siede a^ matrìmon) ed apparti,  I Greci dopo d^ a^er ointo i Persiani nella  battaglia di Platea, levarono una decima suUe spo^  glie per fare un Tripode d^ oro eonsagrato ad Apollo,  Ateneo lo chiama il Tripode della verità , perchè si  ritrovavano verissimi gli oracoli di questo Dio,   Ammone è un soprannome di Giove, Quinto Curzio fa menzione del magnifico Tempio che gli fu edi¬  ficato nella Libia , La sua statua avea la figura d*a-  liete , e però si chiama cornigero Ammone. Dava essa  de* certi oracoli a chi la consultava , ed era a guisa  d* un automa, che crollava la testa per additare a*Sa^  cerdoti la strada, che dovean fare quando la porta^  vano in processione. Ben infelice e miseranda donna  È quella, che a sa stessa ìnntil tragga^  Inutile pèr Tuomo i giorni suoi.   Mentre e#ò fingerai, che non ti scofira  Cerca, é "col moto , fin con gli occhi stessi  Procura d’ingannar. Faccian palese  Un frequente respiro e dolci accenti  Quello , che giova. Termini novelli  Sa la donna inventare in quegristanti»  Quella, che chiede dopo il gaudio i doni,  Non sia molesta almen con le preghiere.  Nè il pieno giorno introdurrai nel talamo,  Chè giova a voi tener del corpo vostro  Molte cose celate. Ha fine il gioco;   È tempo ornai di scendere da’Oigni,   Che sul collo guidaro il nostro cocchio;   E come fero i giovanetti un giorno.   Così la turba delle donne scrìva  Sulle spoglie ; Nason ci fu maestro. Gianni Carchia. Keywords: ars amandi, erotica, il bello, la comunicazione dei primitivi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carchia” – The Swimming-Pool Library.

No comments:

Post a Comment