Grice e Carchia: l'implicatura conversazionale dell'ars amandi – signi
d’amore – erotico del bello – comunicazione degl’amanti primitivi -- filosofia
romana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo Italiano. Grice: “I
once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth
century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with
Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives
aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication (“nome e immagine”, “interpretazione ed
emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth
value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my
favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as
representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino sotto Vattimo
con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso di
filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed erotica; Dall'apparenza
al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e bellezza; L'estetica antica, ecc. Si è anche occupato, di arte e comunicazione dei
popoli 'primitivi' e di artisti contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo.
La casa editrice Quodlibet raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare
la filosofla, a porla in immagini -- nel solco della filosofia italiana
dall'Umanesimo a Vico. Minima immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione
italiana (Einaudi, 1954), Milano: L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino:
Rosemberg & Sellier); prefazione e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto,
Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo e tragedia. Il mito trasfigurato,
Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi,
Torino: Rosemberg & Sellier); Erotica. Saggio sull'immaginazione, Milano:
Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida); Dall'apparenza al mistero. La nascita del
romanzo, Milano: Celuc); Il mito in pittura. La tradizione come critica,
Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen, Quadri d'epoca. Sociologia e estetica
della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica del sublime, Roma-Bari:
Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione ed emancipazione. Torino:
Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl Löwith, Scritti sul Giappone,
Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola dell'essere. Commento al Sofista”
(Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari: Laterza); L'estetica antica, Roma-Bari: Laterza); L'amore
del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin, Roma: Bulzoni); Immagine
e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica Ferrando, prefazione di
Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura, Kant e la verità
dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, 2006 88-7325-151-X introduzione a Walter Friedrich
Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione
come orizzonte nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità
dell’immaginazione nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini.
La notte delle immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come
autotrasparire dell’apparenza rappresentativa. Naturalismo simbolico e
simbolica naturale. Angelologia. Alighieri: spiritus phantasticus e alta
fantasia. Gemellarità dell’immaginazione gnostica. L’immaginazione speculativa.
Simbolismo e imagismo. Il fantastico come ideologia. Il romantico.
L’immaginazione come dimora del padre. Demone e allegoria. La forza del nome.
Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e metessi. La nuova accademia:
l’estetico. Paradigma, schema, immagine. 1
Ovidio. Arte amatoria. Chi peregrin nell’amorosa scuola Entra , me legga,
se vuol esser dotto. Non usansi senz’arte e vele e remi; Non
senz’arte guidar si puote il cocchio; Non senz' arte si può reggere
Amore. Ben sapeva condurre Automedonte (i) Co’ focosi,
destrieri il caiiro , e Tifi r Sedea maestro \sair emonia poppa.
Ne’ mister} d’ Àmot me fece esjperto V enere bella , e ben dirmi
poss’ io D’Aniore un altro Tifi e Automedonte. Ch^ ei sia crude!,
noi niego » e spesse volte Contro me stesso si rivolta ; pure Egli
è fiinciullo , e l’immatuTa' etàde Atta si rende al fren. Docile e
mite Rese Chiron l’ impetuoso^ Achilie (2) (i) Automédonte ,
figlio di Dioreo,fu il Cocchierò d*lAchille , Tifi condusse gli Argonauti
in Coleo sul- la nave Argo , che qui dicesi emonia , perchè era su
<mella Giasone figlio del Re di Tessaglia , e perchè la Tessaglia si
chiamala Emonia dal monte Emo. (a) Chirone figliuol di Fillira fu
il Precettore d’A’^ chille^il qual nen chiamato ^acides fia Eaep suo
Avo, Digitized by Google Col dolde suon della
canora cetra^ Ed ei, che fu il terrore e lo spavento De^suoi
compagni spessore de’nemici. Dicesi che temesse il vecchio annoso;
E quelle mani , che dovean un giorno Gettare a terra il forte Ettor
, porgea, ( 3 ) Quando Chirone le chiedea,alla sferza. Ei fu
d’ Achille, io son d’ Amor maestro; L’uno e 1^ altro è fanoiul feroce, e
traggo L’ un e r altro da Diva i suoi natali • (4) Come r aratro il
toro, e come il freno Doma il cavai focoso ; io cosi Amore Render
placido voglio ancor che il petto Con r arco mi ferisca , e con la
face Tutte ro’ abbruci le midolle e T ossa. Quanto più Amore hammi
ferito ed arso. Tanto più voglio vendicarmi . Apollo, Non io,
ché mentirei , dirò che appresi < Da tl» quest’ arte, o che fui reso
dotto Dal canto degli .augelli • A me non Clio, Né le Sorelle sue ,
come al Pastore Della valle d’ Ascrea , compatver mai ; (5) Me un
lung’ uso feMstrutto ; e fè pròstate Air esperto Poeta . <Ió cose
vere Canto : Madre d* Amor.^, siimi propizia. Gite lungi j o
Vestali., e voi Matrone, Che i piè celaté sotto lunga veste.
J3Ì Achilie uccise Ettore al assedio di Troja* ^ (4) Achille
nacque dalla Dea Tetide , Amore dalla Dea Venere, a Mentre
Esiodo , cugino e quasi contemporaneo nero , pascolava in Elicona le
pecore di suo pa* dre ^ fu dalle Muse condotto al fonte Ippocrene , e
Col hefer 4i quell* acqua divenne Poeta, Come seguir sensa
periglio Amore Si possa, eA i concessi furti io canto; Nullo i miei
carmi chiuderan delitto. Tu, che novel nell’ amorosa schiera
Entri soldato, le tue cure volgi Prima a trovar de’ voti tuoi 1’
oggetto. Indi a farlo per te amoroso, e infine Onde lunga stagìon
1’ amor si serbi. È questo 11 modo, è questo il campo, in cui
Scorrere il nostro cocchio debbo ; è questa Del corso nostro la
prescritta meta. Or che il tempo è propizio , or che si puote
Andare a briglia sciolta , una ne scegli, Cui dir tu possa ; a me tu sola
piaci. Questa dal Ciel non già pensar che scenda. Ma qui trovar la
dei con gli occhi tuoi. Onde tender le reti al cervo debba.
Sa bene il caccìator , e non ignora La valle , ove il cignal
s’asconde : i rami L’ UGcellator conosce, onde si gettano 61
’incauti augelli, e al pescator son note L’acque, che maggior copia hanno
di pesci. Tu , che d^on lungo amor cerchi materia. Impara i luoghi,
ove frequenti veggonsi Le vezzose donzelle . Io non ti dico, Che
dar le vele ti fia duopo al vento. Né córrer lunga e faticosa strada.
Perseo dall’Indie ne condusse Andromeda, E .Paride rapì di Grecia
Eléna. . Ma in Roma , in Roma ritrovar potrai Fanciulle, che
in beltà portino il vanto Più che del Mondo in altra parte . Come
(6} Gargaro, Castello sul monte Ida era celebre V abbondanza
delle sue biade , e Metinna , Città nek» V Isola di Lesbo , per V
abbondanza d^ suoi vini. Digitized by Google
6 La gargara contrada abbonda in biade» In uve la
metinnia » in pesci U mare» In augei il bosco s e còme nell* Olimpo
Splendono stelle; così in Roma ammiransi Amabili Fanciulle : qui sua
sede Pose del grand’ Enea la bella Madre. Se a nascente beltà
ti porta il genio» Tenera donzelletta eccoti innante; Se già
formata giovine desideri» Mille ti piaceranno » e fian
costretti A rimaner sospesi i voti tuoi; Che se a te figlia
più matura e saggia Piaccia » ne avrai, mel credi, un folto stuolo.
De’ portici pompeii all’ ombra i lenti (7) Pàssi rivolgi, allor che Febo
i campi Dall’erculeo Leon saetta ed arde, O a quel che adorno
de’ più scelti marmi Da lontani paesi a noi venuti, LaMadre
aggiunseindonoa’don delFigHo.(8) Nè quello lascerai » ohe tragge il
nome Da Livia, ornato delle pinte tele (9) De’Pittori più celebri
ed antichi; (7) Uno de'piU dtliziosi Portici di Roma ora cer^
tornente ^uet di Pompeo . Giaceva questo in vicinanza dtl suo Veatro , «
i Romani lo frequentavano moltis'^ simo in tempo d* estate, (
8 ) Augusto sotto il nome d* Ottavia fabbricò un portico in vicinanza del
Teatro da lui dedicato a Mar^ cello figlio della medesirrsa ^ e però dice
il Poeta , che la Madre , cioè Ottavia , a^iunse il dono del
portico al don d^figlio , cioè al Teatro a lui innalzato da
Augusto, ( 9 ) R questo il portico che Livia moglie d*
Augusto fabbricò nella Via sacra ; ne fa menzione Svetonio , e vien
riputato da Strabono uno d^più be* monumenti di Roma,
Digitized by Google Visiterai pnr anco i Inoghi, dove (io)
In atto di far strage de’ Consorti Effigiate son P empie
Danàidi; E il lor Padre crudel, che nudo tiene L’acciajo
micidial nell’ empia destra; Nè il Tempio oblia, u’ Venere la
morte Plora del caro Adon , nò il giorno Sabbato Sacro al culto
giudeo • Sarà tua cura A’xneiifitìcì templi esser presente (ii)
Della liniger’ Iside ; seconda I voti questa Dea delle fanciulle»
Che desian donne diventar, coni’ essa Lo fu di Giove ^ Fra i
clamori alterni Del Foro strepitoso ( e chi mai fede Prestar ci
puote ? ) Amor rivolta trova Atto alle fiamme sue pascolo ed esca.
In quella parte ove s’innalza al cielo (la) L’ onda d’Appio » che
giace appiè del Tempio Di ricchi marmi adorno , a Vener sacro^
Prigioniero d’ Amore è 1 ’ Avvocato, (10) Il portico d*Apollo
palatino fabbricato da Au^ gusto in una parte della sua casa era adornato
di fiin^ ts immagini rappresentanti la strage^ che de*pro-
prj Mariti fecero le Danaidi per comando di Danna loro padre.
(11) Si adorala Iside figlinola d*Inaco in Menfi Città d^Egitto,
donde furono trasportati in Roma i suoi sacrificj . Fu questa amata
impudicamente da Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in
una Giovenca j e poi la restitm agli Egiziani nella sua pri^ stina
forma . B^la e i suoi sacerdoti andavano coperti di lino e però si
chiamava linigera. (la) Appio Censore condusse V acqua nel Foro
di Cesare; e d* architettura d* Archelao fu ivi innalzato a Venere
un Tempio , che per somma fretta poi rimase imperfetto.
Digitized by Google 8 Che attento alla difesa
altrui, se stesso Guardar non sa • Oh quante volte, oh quante In
quel loco gli manca la favella, E deir amor che V agita
ripieno, Non della caiìsa altrui, ma della propria S’occupa
solo ! Dal propinquo Tempio Ride la Dea di Pafo, e il difensore
Trasformato veder gode in cliente. Ma più che. altrove ne'curvi
Teatri Troverai da far paghi i voti tuoi: Ivi mille bellezze
lusinghiere Si oifrìranno al tuo sguardo, e tal potrai Per stabile
passion scegliere, e tale Onde Tore passare in gioco e in festa.
Come frequente la formica in schiera Vanne al granajo a far preda di
cibo; E come Papi in olezzante suolo Volan sul timo e sopra i
fior ; le culte Donne in tal modo in folto stuolo assistono Agli
scenici ludi * È cosi grande 11 numero di questo, cho sospeso Mille
volte rimase il mio giudizio. Non a’ Teatri per mirar,
soltanto, Come per far di lor superila mosffa Vanno non senza
del pudor periglio. Tu questi giochi strepitosi il primo,
Romolo , instituisti; allor che il ratto (i 3 ) (iS) NeW anno del
mondo 3a3i. fabbricò Romolo nei monte Palatino una Città o sia Fortezza ,
che dal suo nome chiamò Roma. Per accrescere il numero dei
Cittadini ^ aprì un asilo fra il Palatino e il Campi* doglio , in cui si
ricevevano i Servi fuggitivi^, i De* hitori y i Malefici . Siccome i
Popoli confinanti , e per conseguenza i Sabini nor^ volevano con tal
gente col* Digitized by Google Segui delle
Sabine • Ancor non marmi^ E non tappeti ornavano i Teatri,
Nè il palco vago era per piote tele; Ivi semplicemente allor
far posti I virgulti eie foglie, che recava II bosco
palatino, e non si vide Decorata la scena allor con V arte*
Sopra i sedili di cespugli infesti Assistea il popol folto , uhe
all’irsuta Chioma di fronde sol cingea corona* Col
cupid’occhio ognuno intanto nota Quella, che far desia sua preda, e
molti Pensieri nel suo cor tacito volge. Mentre d’agreste
flauto il suono muove Grottesca danza, ed il confuso plauso Ferisce
il ciel, ecco che il Re dà segno Onde alla preda sua ciascun sì
volga. Rapido il proprio loco ognuno lascia, Fanne co’ gridi il suo
desio palese, E le cupide mani addosso slancia Sulle Vergin
d’insidie ignare , come Fogge la timidissima Colomba Dall’ Aquila ,
e de’ Lupi il fiero aspetto Agna novella ; di spavento piene Volean
cosi le misere Sabine De’ rapitori lor schivar gli amplessi;*
Ma da Ogni patte senza legge inondano^ Ninna serba il color , che
aveva innante; ' ' a z lòcar U lor Donne , Romito gli '
inoitò insieme con Ì 0 sorelle ,'7e moglie e le figlie a unof spettacolo,
che fe^ce* ìebrare in onore del Dio Conso , ossia di Nettuno^ €
comandò d* suoi Romani che cigscun ri rapiste fr0 quelle femmine una
Consòrte. Digitized by Google IO
Tutte assale il timore ^ e in Tarj modi: Questa il petto peroote^
il crin si straccia; Quella riman priva di sensi ; alcuna Non
{>er il duol fa proferir parola; Altra la cara madre appella
invano; Chi quale statua immobile rimane; Chi fugge, e
chi di grida il cielo assorda. Ma le rapite Oiovani condotte Son via,
qual preda geniale e cara. Dì pudico rossoj tinsero molte Le
delicate guance, e vìe più piacquero. Se troppa ripugnanza alcuna
mostra, £ seguir nega il suo compagno, questi La porta fra le
sue cupide braccia, E si le dice : a che d’amaro pianto Da
begli occhj tu versi un fiume? teco Sarò come alla Madre è il
Genitore. Romolo, fu il primiero a’tuoi soldati Vera recar felicità
sapesti; Se tal sorte goder potessi anch’io, > Io
pur non sdegnerei esser soldato. Però da quell’esempio anco a’dì
nostri Trovan le Belle ne’Teatri insidie.. D’esser presente
ognor cerca e procura ^ Alle corse de’rapidi destrieri. Di
gran popol capace il ;Circo augusto Molti a te rechei!à comodi ; d’ uopo
^ Onde spiegare i tuoi pensieri arcani Non avrai delle dita ;
nè co* cenni Intendere dovrai. Franco t’assidi,^ Che ninno il
vieta, alla* tua donna accanto. Quanto più puòi t’accosta al di lei
fiaheo\ lE procura che il loco a.nzi ti sforzi A toccarla,
quand’eUa ancor non ! voglia. Digitized by Google
Onde seco parlar cerca materia, E da’ discorsi pubblici
incomincia. Quando i cavalli appariranno, tosto Di chi sieno
richiedi, e quello, a cui Dirige i voti suoi, tu favorisci;
Macon frequente pompaallor che giungono Le statue degli Dei, fa
plauso a Venere (14) Quale a tua Diva tutelar. Se mai Della tua
bella sulla veste cada Polve, la scoti con la mano , e fingi *
Scoterla quando pur netta si serbi; E sollecito ognor prandi
motivo Da leggiere cagion d’esserle grato. Se la sua veste
strascinasse , pronto Sii tosto a tòrla dalP immonda terra;
Per cosi tenui cure avrai in mercede, Ch^ ella poi soffrirà,
che le sue gambe Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero, Che
quei , che sono assisì al vostro tergo, ^ ginocchi al di lei dosso,
Non le rechin molestia. I lievi ufBcj L^alme fiscili adescano : fu a
molti Util Fa ver con destra man composto Il coscino, agitar con
piccol foglio Il volubile vento, e saper porre Sotto tenero piè
concavo scanno. Farà la strada al nuovo amore il Circo,
(14) Solevano i Romani portar per ih Circo le Sta¬ tue degli Dei e
degli Uomini sommi , quando ivi da¬ vano lo spettacolo della corsa de^
Cavalli 0 d^ altri giochi'. V* era fra aueste Statue ancor quella di Ver»
nere , cui vuole il Poeta che si faccia un gran plauso* Si veda la
seconda Elegia del Libro III, degli amori scritti dgl modesimo
Autore^ E la sparsa nel foro infausta arena* Ivi
pugnò spesso il Fanciul di Venere, £ chi andò per mirar altri
piagato, Ferito pur rimase. Ah quante volte Mentre un la
lingua a ragionar discioglie^ HoWà. la mano , tiene il libro, e
cerca II; vincitore del proposto premio. Il .volatile strai
senti nel seno, Gemè piagato , e accrebbe pregio al gioco!
fu bello il mirar quando con pompa Solenne Cesare introdissse il
primo (i 5 ) Non avvezze a pugnar in finta guerra E le persiche
navi e le cecropie! Da questo e da quel mar vennero allora
Giovani vaghi, amabili donzelle, E la Città racchiuse immenso
mondo. Fra tanta turba di leggiadri oggetti Chi non tigvò da
far paghi i suoi voti? Oh quanti e quanti a forestiero laccio
Porsero il piè! Ma Cesar s’apparecchia (i6) (15) Cesare Augusto
fece presso il Tevere rappre^ sentore una battaglia navale detta Ncumachia.
Intro^ dusse in questa a combattere le flotte che Marc* An-^ ionio
aveva raccolte contro di lui nell* Oriente ^e le navi ateniesi denominate
Cecropie da Gecrope primo Re d* Atene y che seguirono il partito di M.
Antonio^ Furono queste armate navali vinte tutte da Azio , e
servirono nella Neumachia d* un brillante spettacelo a futta Roma.
(16) Augusto destinò una spedi^àon per V Oriente contro
Frante, e vi mandò il suo Nipote Cajo nato da Agrippa e da Giulia. Marco
Crasso e Publio suo figlio avidi delle ricchezze de* Parti intrapresero
con¬ tro i medesimi una guerra, in cui furono poi essi miseramente
trucidati con undici Legioni . Per far a Cesare un encomio, dice ora il
Poeta , che deve Cajo riportar vittoria di que* popoli , e riacquistar
la ^ne romane da loro tolte Crassi* ^ Digitized by
Google i5 Già il restò a sog^ogar del Mondo
inter#^ E già Taltiino Oriente è nostro ancora. La pena avrai
dovuta , o Parto audace, £ voi godete, ombre deaerassi
estinti, E con voi godan le romane insegne Di barbarica
destra a ragion schive. Ecco il vindice vostro , ognun
racclama Invitto Duce nelle schiere prime; Giovin sostiene
perigliose guerre Quasi invecchiato fra le stragi e Parmi. Deh non
vogliate, o timidi, il valore Dagli anni loro argomentar de’Numi;
E la virtù ne’Cesari preepee. Degli anni Suoi più assai
rapido sorge Celeste ingegno, e mal tollera Ponte D’una pigra
dimora. Era bambino (17) Ercole allor che ì due serpenti oppresse.
Ed èra in fasce pur degno di Giove. O Bacco^otu che ancor fanciullo
sei, (18) Essendosi Giove innamorato perdutamente d^Alc^ mena
, si presentò a lei vestito delle sembianze d*An^ fitrione suo maritoy
quando questi trovavasi alla guer¬ ra di Tehe.Da Giove e da Alcména
nacque Ercole, che fu allevato in Tirinta Città in Marea vicina ad
Ar¬ go , e però fu detto Tirinzto . Intenta per ciò la ge¬ losa
Giunone a vendicarsi delP infedeltà di Giove, suscitò contro d* Ercole
due serpenti ; ma egli li uc¬ cise valorosamente, benché fosse di tenera
età, (18) Bacco armato, d^ una lung^ asta , e seguito da Ufi
esercito d* Uomini e di Donne , corse intrepido nel* VOriente,e soggiogò
quVpaesi che allor tutti,si com¬ prendevano sotto il nome d* India .
Essendo quelV asta così acuta, che imitava la conica figurai del Pino,
fu detta dagli antichi Poeti il Tirso , giacché Thirza ià lingua
ebraica nuW altro significa, se non se un ramo di Pino^ •Intrecciavano le
Baccanti sul tirso V uve e i pampini cotk P edera p perché Bacco insegnò
affli Digitized by Google i4 ,
Qoanto fosti mai grande allor che i tuoi Tirsi dovè temer l’India
domata!' E tu prode Garzon sotto gli auspiej (ly) Del Padre ,
Tarmi tratterai vincendo. Sotto un nome sì chiaro aver tu dei I
primi erudì menti, e come il Prence (ao) uomini la maniera di
coltivar la vite . Alcuni Eruditi poi fChe ricercan la moralità nelle
favole ^ pretendono che dipìngasi sempre giovine questo divino
coltivator della vigna ^perche gli uomini si rendon col vino in lor
vecchiezza amorosi e lascivi , come lo furono in gioventù ,. Mons„ de
Lavaur con molti altri , i quali hanno^ attentamente 'considerato le
imprese di Bacco e l* etimologia stessa del Tirso, porta
verisimilmente opinione y che sia questa favola tratta in origine
da que^libri della sacra Scrittura, che parlano di Mosè. e di
JVoè, (19) Si rivolge il Poeta a Cajo,che fu adottatò
figlio da Cesare Augusto. Romolo
dalle tre Tribù, nelle quali aveva di^ stribaito il popolo romano y
raccolse per ciascheduna cento uomini, che fer nascita , per ricchezze, e
per altri pregi ^^^no i più riguardevoli. Furono questi chiamati
Cavalieri y perchè trascélse quésoli , che fes¬ ser meritevoli d* un
Cavallo , su cui dovean combat¬ tere in difesa di lui ; e si
distribuirono in tre Ceti* turie, che conservando il nome delle Tribù,
dov*erano sfate raccolte, si chiamavano é/e^Rammensi da Romo¬ lo ,
dei Tasienzi da Tazio Re dé Sabini, e dei Lace¬ ri Lucomone JRe d'Etruria
, che fu , come dicono., il fondatore della Città di Lueca . Da
Tarquinio Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accre--
sciati di numero y senza mutar però il nome di Cen* iurte ; esercitarono
poi varie luminose incombenze ; e JU'denominato il loro ordine Senatus
Seminarium, perchè in esso scieglievansi i Senatori • i 5 . Lu*
Jglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente in lor
rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che era situato fuori della città
, andavano al campìdo* coronati d* ulivo , cinti d^ una purpurea
veste det- Or de’Giorani sei, sarai col tempo
L’oroamento miglior do'rccchj Padri. Vendica ofFesi i tuoi fratelli, e i
dritti (ai) Del Genitor sostieni : della Patria £ Padre 6 Dlfensor
Parcne ti cìnse; Ed or che l’inimico i regni invola, Cruccioso alla vendetta egli t’invita.
Scellerati di lor saran gli strali. Pietà e Giustizia i tuoi
vessilli, e Parrni Della causa miglior sostenitrici. ' ta
trabea, t assisi sopra i loro cavalli . 0 §ni cinque anni poi appena
giunti al Campidoglio , scendevano da Cavallo , e presolo per mano lo
guidavano avanti al Censore ivi assiso sopra una sedia curale ; ed
egli comandava di ritenere il Cavallo , se bene aveva il Cavaliero
adempiuto a* suoi doveri ^e di venderlo , se aveva malamente eseguito le
sue incombenze. Leg^ geva il Censore in tale occasione il catalogo de^
Ca¬ valieri yC si chiamava il Principe de* Giovani o della Gioventù
quello che era da lui nominato il primo ; e ciò non perchè fossero
attualmente tutti gióvani , ma perchè lo fàrono nella prima istituzione^
e perchè Veta giovanile si estendeva pressò i Romani fino a qua¬
rantacinque anni. Principe de’Senatori o del Senato ne*primi tempi
del¬ la Repubblica si chiamava quello che il primo tra*Sena- tori
viventi era stdto Censorey poi quel che dal Censore fosse stato nominato
ili primo nel leggere il catalogo d^ Senatori y e nell\ anno dalla
fondazione di Roma quel , che dal Censore era riputato
degnissimo. (al) Pompeo y domato il Re Tigrane y costrinse
gli Armeni a ricevere da* Romani in segno di servitù i Rettori. Si
liberarono essi da un tal giogo y ma Cajo li obbligò nuovamente a
soffrirlo , e vendicò in tal guisa i dritti d*Augusto y che dal Senato e
dal Po^ polo romano fu per mezzo di Valerio onorato del lu¬ minoso
titolo di Padre della pAt<‘ia, ^ (^a) I Parti tentavano di farsi
padroni delV Ar- mersia* Digitized by Google
i6 Ora il mio Duce alle latine aggiunga L*eoe
ricchezze. E voi j Cesare e Marte, Entrambe Padri soccorrete il Figlio,
Che in difesa di Roma espon sua vita; Come già Marte^or tu, Cesar,
sei nunie* (a 3 ) Ecco raugurio mio; tu vìncerai; Sciorrò co’
carmi allora il voto ; degno* Tu allor fatto sarai d’alto
poema. Porrai le squadre in ordinanza, e all’ armi Co’ versi
miei 1 ’ esorterai : tenaci Di me nel tuo pensiero i detti imprimi.
11 petto forte de’ Romani, il tergo (24) Io canterò de’ Parti , e
l’inimico Telo, che vibran dal cavallo in fuga. Mentre tu fuggi, o
Parto , e cosa al vinto, Oude sia vincitor, tu lasci ? Il tuo
.Marte recò finora infausto augurio. Dunque quel dì verrà, Cesare, in
cui Tu di natura la piò amabìl opra Di lucìd’ oro adorno andrai
tirato Da quattro^ candidissimi cavalli ? Or mal sicuri nella
fuga i Regi Partici andranno innanzi , il collo carco Dì pesante
catena • Insiem confusi Giovani lieti e tenere Donzelle, D*
un’insòlita gioja il cor ripieno, Mireran lo spettacolo gradito.
" Se una di quelle a te richiegga i nomi Di que’ Re, di
que’ monti, di que’ fiumi, (a3) Fu Cesare Augusto ascritto in aita
fra i Dei , $d ebbe perciò onori diHni. ’ (a4) Avevano i
Parti in ' costume di guerreggiar fuggendo , ed anzi si rendevano
formidàbili , mentre ^ibravan le lor saette^ da wjt cavalle rivoltp in
fuga. Digitized by Google ^7 Di
que* paesi 9 a tatto ciò' rispóndi; £ non richiesto ancora il;
tutto narra, E le cose puf anco a te mal note. Cinto di
canna il crin l’Eufrate è questo, (aS) 11 Tigri è quel colla cerulea
chioma. Ecco gli Armeni^, e Perside che tragge (a6) Da Perseo
il nome suo ; nell’ achemenie Valli questa Città si giacque . Il
nome Dirai di questi e di que’Re, se il sai, O almen 1 ’
adatta . L’imbandite mense Facile danno ed i conviti accesso,
Ove da far contenti i tuoi desiri V’ è cosa anc’ oltre i vini : ivi
sovente Calcò di Bacco l’orgogliose corna Con le tenere mani il bel
Cupido, Di cui se intrise sien 1 ’ ali nel vino Più non puote
fuggir : grave s^ asside; Tu umide penne , è ver, veloce
Scote. Ma non vola per questo, anzi novelli Desta incendj
nelP alme, che dal vino Sono disposte e rese atte al calore.
Ogni atra cura e molce e fuga il vino; Allora il riso ha loco ;
allor l’abietta Mendica gente pure il capo innalza; Fuggon le cure,
il duci ; le crespe fronti Vengono liete ; e la si rara in questi
Tempi semplicitade i più secreti Pensier dell’alma svela, che il Dio
Bacco (a 5 ) UEufrate ed il Tigri, avendo , secondo Vo^
pinione d*alcuni, la lor sorgente nei Monti armenii si prendono qui dal
poeta per li principali fiumi del» V Armenia, (a6) Persìde è
una famosa città , che vuoisi fab.-» bracata da Perseo figlio di Danae
nelle valli persiar ne, dette achemtiiie dal Re Achemene*
Digitized by Google id Ogni mistero svela e
l’arte infrange • (27) De’ Giovanetti il cor ivi ben spesso Rapiron
le Fanciulle ; Amor nel vino Fu foco a foco unito • Ma non troppo A
lucerna ti fida ingannatrice; Mal nella notte , e fra i bicchier
ricolmi Della beltade si può far giudizio. Allo splendor del
giorno, a cielo aperto Paride rimirò le Dive allora Che alla Madre
d* Amor disse : tu vinci L’ una e 1 ’ altra in beltà , Venere
bella. S’ asconde nella notte ogni difetto; Ad ogni
vizio si perdona , e allora Ogni donna sembrare alPuom può bella;
Consulta il di guai gemme e quali lane, Tinte di tìria porpora, sien
atte A fsLjp bella la faccia e il corpo ^ Come Io delle Donne
numerare il ceto Di non ardua conquista ? E assai maggiore Dell’
arene del mar . Come di veli (28) Di Baja. i lidi narrerò
coperti. E per calido zolfo acque fumanti? Riportando talun
ferito il petto Da queir.onde, non son , ( come racconta La fama )
dice , salutari ognora. Ecco di Cinzia suburbana il tempio Ì ayl Alludesi al pros^erhio latino in
vino veritas. Baja in Campania , o com'oggi dicesi in ter-^ ra di
Lavoro i era un amenissimo Castello^ che con- teneva entro di se degli
ottimi bagni caldi, e alcuni laghi in cui rrnvigavan gli antichi con
diverse barche variamente dipinte, sulle quali facevano ancora de^
gli allegri conviti. Questa Dea, che si chiama Lucina in
Cielo, Eeate neW inferno, e Diana in terra , ha ancor fra
Silvestre» ed ecco ì conquistati Regni. Perchè
vergifte ella è » perchè ella in odio Ave d’Amor gli 8tijali,.al popol
diede» £ mai sempre darà mille ferUè. ^ Fin qui Talia
sopra ineguali rote( 3 o) Come tu debba scer T amato oggetto»
E dove tender t’insegnò le reti. Della tua Bella onde
adescare il cére Preparo or io delF arte opra speciale. Uomini» voi
chiunque » e donde siate, Porgete al mio parlar docili menti»
E le promesse mie ptopizj udite. Tosto nell’ alma tua scenda
la speme Di conquistarle» e vincitor sarai; gli altri nomi
quello di Cinzia » perchè essa ed Apoi* lo nacquer nelVIsola di Deio »
ov^ è il Monte Cinto. I popoli del Chersoneso » o com* ora chiamansi »
della Crimea » le immolavano gli ospiti ivi spinti dalle tempeste,
he femmine romane » dopo Vavere ottérsuto ciò che htamavun co" voti,
andavano a* d*Agosto con le. faci ardenti in mano, e la corona eul
capo\ al Tempio suhurbano di questa Dea situato in Arì^ eia. Quivi
frequentemente i Sacerdoti succedevano gli uni agli altri » mentre , non
godevano di questa di* gnità solamente gV ingenui, ma se la
contrastavano anche i servi e i fuggitivi in una guerra particola*
re » in cui chi riportava la vittoria , otteneva a un tempo stesso il
Sacerdozio » che apprezzavano come un Kegno. Una tal Dea peraltro y
quantunque sten* desse dal cielo per godere del suo Pastorèllo
Endi-- mione » fu sommamente gelosa della propria pudici* zia,
giacché trasformò in Cervo Atteone \ perchè osò di guardarla quando era
nuda in un bagno. (3o) Talia è quella Musa » che presiede
principale mente a* Canti piacevoli e amorosi. Dice Ovidio ^ che
dia insegnò sopra inegnali rote ec. alludendo al diè stico latino » il di
cui Esametro ha » com* è noto ^ sA piedi, e cinque il Pentametro^
Ma intanto tender dei T insidie : prima Gli augelli taceran di
primavera, Le cicale in estate , e il can d^Arcadia Incontro
a lepre prenderà la fuga, Che dolcemente Femmina tentata A
Giovine resista ; e quella ancora Tu vincerai, che ti parrà
ritrosa. Come il piacer furtivo è grato alF Uomo, £ grato
alla Donzella . Asconde questa Le brame sue, T nomo le cela invano;
Ma se tu possa* vincerla una volta, Preverrà con le sue le tue
preghiere. Ne’ molli prati al suo Torello accanto La giovenca
muggisce ; e la Cavalla Col suo nitrir fa lusinghiero invito Al
cornipede maschio . In noi pkt forti^ Ma non però cosi furiosi,
sono Gli stimoli d’ amor i lodevol fine Ha la fiamma delP Uomo. A
che di Biblì ( 3 i) Ricorderò, che d’ un vietato amore Arse pel suo
Fratello , e pon un laccio Vendicò da se stessa il suo misfatto?
Non, come Figlia dee,Mirra amò il Padre,( 3 a^ (3i) BiUi
nata da Mileto e dalla Ninfa. Gianczf , amò perdutamente Canno suo
fratello. Siccome non Ve riuscì di renderlo à sitò riguardo amoroso ^ si
die in preda a un pianto così dirotto ( se si presti je e al libro
IX. delle Metamorfosi ) che fu convertita VI un fonte yo( se si crede al
libro presente ) si prò-- curò ella etessa con un laccio la morte.
(3a) Avendo Mirra concepito un immenso amore per Cinìra suo padre ,
gli fu posta in letto da me nutrice in luogo della consorte. Accortosi Cinira
del fallo , tentò di uccìderla } ma essa fuggì bay ove fu cangiata in
albero , e diede alla luce il bellissimo Adone , che fU V ‘unico frutto d
un st fu nesto incestuoso accoppiamento. Digitized by
Google ai E oppressa ora si cela in chiasa scorza:
Delle lagrime poi, che dal suo tronco Odoroso essa elice ^ ungiam le
membra. Che s^ban quteste stille il primo nome, Del
frondos’Ida nelVombròse valli. (33). Era forse la gloria e la
delizia Deir armento un Torel candido , solo Negro segnale avea fra
corno e corno: Una sol f^u la maccbìa, e latteo il resto.
Questo bramaron sostener sul tergo Le giovenche ginosie e di Canea.
Oodea di farsi adultera Pasifae (34) Del Toro., e'nel ano ooj
geloso sdegno Nutria contro le amabili giovenche: Io cose
note canto; e ciò non punte Creta negar, quantunque siai*iqendace.
Creta, cui son cpnto Città soggette. Con r inesperta man ; Pasifae
ali Totro Dicesi recideste or verdi frondey S 1 Or r erbe
tenerissime de’ prati.2 Erra compagna dèli’st>nentOì,;e invano-
Del maiitoy pensier T arresta j vinto. Era Minos da-un hove ^ A
rche* tu vesti, . Donna , preziose spoglie ? Il tuo Diletto Mà è un
mont 0 ^ Creta ; nè deéù qui còn^ fondere cpl Monta, Ida^ pqiaao , ope
seguii la famgsa lite fra Venere y Pallade e Óit^none. (34)
Sdegnata Venere contro il Sole y perchè Vavea fatta sorprèndete da^*Numi
det letto con Marte ffe* à che Pasifae figlia del .medesimo , e moglie di
Mi-» nos Re di Creta, ^ innamorasse ardentemente d* un Toro.
Essendosi questa racchiusa in una Giovenca di legno coitmtta da Dedìdà y
si congiunse col Toro diletto, e diede al Sole, in nipote il celebre
Minotaio- To , che fu ucciso da Teseo nel famoso làbcrkito»
Di tai ricchezze non conósce il pregio. Mentre vai di montano
armento io traccia, A che giova lo specchio , a che le chiome.
Lassa, adornar si spesso ? Ah I presta fede Pare allo specchio 4 che
bovina forma Ti nega ; invan veder sulla tua fronte Desideri le
cornac Se ti piace ' Minos, a che un adultero ricerchi P E se brami
ingannarlo , a ché noi fai Con un Uomo? Per boschi e per foreste
Oià la Regina , il talamo lasciato, ^ Vanne quasi fiaccante , a cui
furore Spiri P aonio Dio . Oh quante volte La giovènca «rivai con
volto iniquo Mirò, e fra se, perchè tu piaci, disse, Al mio Signor ? Ve^com^* in facciala
lai* Scherza sull’erbe tenere , ed esulta,, E tài fóIlié/-non
dubito non credai ^ Per lei decenti : mentre in suo pensiero:
Volge tai còse , ordina che sia tolta* ^ • Dal gregge immenso , è
immeritevol venga Al curvo giogo strascinata, o vuole Di
snperstizion sacrai * fra-l’are • • Vittima cada;!e nella fi^ta
dtwtr^ , • Gode tener .le.:.viscero fumanti — - -
Dell’uccisa rivai. AHI quante voke ? Gon le uccise rivaV placando i
NUìiii, ^ Disse, tenendo'visceri\-'piacete ' Al mio Dilettov
e quante volte ancora Chiese in Europa èsserconversa e in Io, (35)
(35) Europa figlia di Agenorg Re di Fenicia , ^ éorella di Cadmo ,
era dotata di^ sorprendente^ bellez¬ za. Aree Giòvo per Ui. di un amore
così violento, aS Che questa è una Giovenca, e quella
ìMotso' Premè d’ un Bovo . Fè le strane voglie Paghe Pasifae ascosa
in lignea vacca, Onde il parto alla luce uscì biforme.
Se sapeva piacere ad un sol uomo^ (36) E foggia di Tieste il
turpe amore D’ Atreo la Sposa, non avrebbe Febo Il cammino sospeso
in mezzo al corso, E rivoltato il carro, i suoi destrieri
Mossi incontroairAurora. Anco la Figlia,( 37 ) Che i purpurei capelli
involò a Niso, Coprì del corpo suo le parti estreme Con la
sembianza de’ rabbiosi cani. thè trasformatosi in Toro, la portò
sul suo dorso in quella parte di Mondo , che dal nome della medesu
ma si chiama Europa. Io y o Iside fu , come Si è detto al numerò
ii. epnoertita dallo stesso Giove in una Giovenca. (36) Erope
moglie d* Atreo giacque con Tieste fra^ tello del medesimo, e nacquer da
essi due figlj, che avendo Atreo dati a mangiare al lor padre
medesimo in un convito, il Sole per celare un tanto misfattò tornò
indietro , e corse incontro aWAurora. ( 87 ) Scilla, figlia di Niso
Re di Megara s^ inva^ ghì di Minos Re di Creta , che le assediava la
pa^* trìa, e a lui recò il purpureo capello del padre, dal qual
dipendevano i fati di quella Città. Essa fu jj^i disprezzata harharamente
dalV ingrato Minos , e fu , secondo le metamorfosi, cangiata in uccello.
Vi fu però un^altra Scilla figlia di Eorci , la quale , avendo
bevuto un^acqua per lei avvelenata da Circe , venne subito trasformata in
un mostro, la di ciS parte inferire era simile a quella di un Cane.
Con-^ eepì la medesima tanto orror di sé stessa , che si get>»
tò in un golfo del mar di Sicilia , che ha preso da ^ella il suo nome»
Ovidio ha qui confuso fseste due*^ Digitized by Google
a4 Il Figli uolo d^Atieo, che in terra e in mare
(SU) Di Marte e di Nettuno evitò V ira. Cadde vìttima poi
della Consorte. Chi di Creusa sull’inìqua hamma (Sq) Non
sparse il pianto, e sulla Strage orrenda Che fe* de’proprj figli un*
empia Madre ? Frivo degli occhi pur pianse Fenicio, (4o) E voi,
oarallì spaventati, il vostro ( 4 i) (38) Agamennone è veramente
figlio di Filistene , ma da Ornerò^ e da tutti gli antichi poeti gli vien
dato per padre Aireo suo aco come un personaggio più celebre» Fu
dichiarato Agamennone per le sue mira^ bili imprese il Re deTle di
Grecia, e per tradimento di Clìtennestra sua moglie ucciso da Egisto ,
dal quale era ella amata impudicamente, ( 39 ) Giasone j
abbandonata Medea, sposò Creusa figlia di Creonte Re di Corinto, Medea
per vendicarsi di tafe infedeltà , f^ strage di due teneri
fanciulli nati da lei 4 da Giasone, e ridusse con fuoco ariifi-
doso in cenere ì* infelice Creusa e tutta la famiglia e la Reggia di
Cleonte, (40) Furono tratti gli occhi a Fenicio figliuol d^A^
mintore, perchè una concubina del padre Vaccusò falsamente d'acerle tolto
Vonore, Ricuperò egli la vi¬ sta per i farmaci a lui apprestati da
Chirone , il qual gli die poi in custodia il giovine Achille, con
cui andò aWassedio d,i Troja, (41) Ippolito figlio di Teseo
disprezzo Vamorosa corrispondenza che gli esibì Fedra sua matrigna,
Sde¬ gnata ella fieramene di ciò , disse al padre , che le aveva il
medesima insidiato V onestà ^ e Teseo lo ab¬ bandonò al furor di Nettuno,
Essendo per ciò com¬ parso un orribil mostro marino^ mentre Ippolito se
ne andava sul suo, carro lungo la spiaggia del mare , i cavalli per
lo spavento preser la fuga, marciarono il legno in pezzi ^ e trucidarono
miseramente il lor Cgxìdottii^o, > Condottier tracidaste.E
perchè» o Pinco, (42) Gli occhi tu togli agPinnpcenti figlj ?
Ah che la atessa ^eaa. il tuo delitto Un dì vendicherà. Tali
infortunj ^ Da uno sfrenato aq^or trasse sorgente Delle lubriche
donpe . Ornai t’ affretta, £ non temer di ritrovar contrasto
Nelle Donzelle ; appena, una fra molte * Ne incontreraiepe. a te neghi
vittoria. E r indulgènti e, le ritrose pure lì Goì^qu esser
pregata; pna ripulsa I Non ti spaventi ^ è questa ingannatrice. iMa
perchè ingannatrice Y ognor pip grata INuova per esse voluttà
riesce. |E l’alma loro adescan facilmente |l novelli amatori
..'Il vici^ campp Ci sembra più .ijber^^so ,^0 il gregge altrui
^-,*• /• - Vedi che a parte sia della Padroni
I ) Ov, Arte (Tarn. b (4a) Fineo
figlimi Agenore Re Arcadia yO co¬ me ad altri piaqe, di Tracia , o di
Paflagonia y spo¬ sò Cleopafi^a figlia di Bqrea, e‘. n*ehbe due
figli. O sia che questa morissero che fosse da lui ripudia¬ ta y
prese il medesimo in moglie Arpài ice , e cornane dò , che fossero ioltìr
gli occhi a* due figlj della sua prima eoniorte, perché temè che
aiiesjser avuto un il¬ lecito commercio con Ija novella sua sposa. Fu
da Borea vendicata V innocenza do* nipoti con Vacciecof- mento di
Fineo , e Giunone e Nettuno gli mandaro¬ no sulle mense le Arpie y che a
lui macchiavano tur¬ pemente quelle ‘ vivandé y che non mangiavano
essa stesse* • Digitized by Google
26 De’ nascosti consiglj, e de’ piaceri Suoi più
segreti. Con promesse e prieghi Corrompi la sua fi; tutto otterrai,
Quand’ ella voglia, e non ti sia contraria, Dalla facil. tua Bella
• Il tèmpo scelga. Come i Medici sogliono , propìzio. Onde il
tuo amor nel dodi cor le infonda. Ella il tuo amor le infonderà nel
core, Quando per lieti eventi andrà giuliva Come lussureggiare in pìngue
campo ' Suole la biada. Quando r alma è scarca Dalle pallide cure ,
e lieta esulta. Si spande allora , e dà facile accesso
ÀH’arti lusinghevoli d’amore. Mentre fra i neri affanni involta
visse " Troja , con V armi si difese ; e lieta (43) Il
cavai di soldati e insìdie pieno Àccolèe entro le mòra. Ancor si
tenti, £ non rimanga inyendicata , quando Si dorrà , chè
riceve ingiuria e scorno Dall* impudica Amante del Marito. La
punga a sdegno la fedele Ancella, Quando col pettin mattutin
compone Gl* indocili capelli, ed alle vele. L’ ajuto aggiùnga
anco de’ remi, e dica, Sospir seco tràehdo, in bassa vocè: Tu
noli potrai, cred’io » come si merta. Rendergli la pariglia. Allor le
parli Di te con detti insinuanti , e.giuri Che tu brugi per lei
d’immenso amore. Mentre il tempo è propizio , ella s’ affretti
( 43 ) Alludesi al cavallo di Ugno ^cht il perfido Sinone
introdusse pien di soldati in Troja , quando tra assediata da* Greci»
Virgilio Endde IÀh»lÌ»v» Digitized by Google
Che non cadan le vele, e cessi il vento. Come sì scioglie il gel, V ira ,
indugiando^ Si dilegua così. Forse mi chiedi. Se la servente
innamorar ti giovi ? Tai cose ammesse, il rischio é manifesto^
Una rende V amor più diligente, L’ altra più tarda e meno attenta :
questa Alla Padrona sua ti serba in dono, Quella a se stessa
• esito dipende Dalla fortuna, che quantunque arrichì Agli audaci ^
a te do fedel consiglio. Che d’ un’ impresa tal lasci il
pensiero. Non per scoscese perigliose strade Andrò, nè, duce me,
verrà ingannato Alcun Giovine amante * Ma se poi, Mentre riceve e
assiduamente porta L’innamorate cifrerà te non solo Per la sua
fedeltà piaccia, com’ anco Per la beltà del corpo ; allor procura
Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi Questa la segua: l’amoroso
gaudio Non dall’ Ancella incominciar tu dei* Se all’arte mia
si crede, e i detti miei Non portano pel mar rapaci i venti, Questo
consìglio mìo nell’alma imprimi: Non mai tentar 9 se non compisci l’opra»
Se a parte ella verrà del tuo delitto. Non la temere accusatrìce •
Invano Invischiato l’angel tenta la fuga. Nè riesce già uscir
dalle allentate Reti al cinghiale • Il pesce all’ amo colto Si
scota invano ; tu la premi e assedia. Nè la lasciar , se vincitor
non sei. Se a una colpa comune ella soggiace,
Digitized by Google a 8 Non temer tradimenti ; a
te saranno Note della Padrona opre e parole. Se cauto celerai
1’ accusatrice. Sempre, contezza avrai della tua Amica. Folle
è colui che in suo pensier si crede òhe sol debban del cielo osservar gli
astri Della terra il cultore ed i nocchieri. Non a’ campi
fallaci ognor sì debbe Cerere abbandonar, nè alle tranquille*^
Cerulee onde del mar la curva prora. Ah 1 che non sempre assicurar
ti puoi Il cor di vincer delle Belle; spesso Ciò s’otterrà, se il
tempo sìa propìzio. Se deir Amica il natalizio giorno (44)
(44) Era presso gli Antichi in gran venerazione il giorno natalizio
: e gli Amanti celebravano ‘ con feste e con doni quello^ in cui eran
nate le Donne che ama^ vano . Si dee preferir certamente questa lieta
costui manza a quella che hanno adottato i Messicani e i Cinesi, i
quali riguardano un tal giorno come infausto e doloroso . Alcuni di essi
invece di ricevere con ac¬ clamazioni di gioja la nascita d^ un figlio ,
gli rispon¬ dono ai suoi primi singulti , mio figlio tu sei venuto
al mondo per soffrire \ soffri ^ e t’acquieta . Si fab- hrican altri di
buon^ ora la tomba, e vanno ogni giorno a renderle omaggio come al termine
consola¬ tor é d^.lor giorni . Non poco influisce, a dir vero, un
tal uso a fomentare il barbaro costume d^ uccidere i proprp figli in un
popola ^ il guala non gli Ottimi suoi libri classici illustrati dall*
immortai Confueio e con le savissime leggi, su cui ha stabilito il suo
pacifico Impero, cerca di rendersi virtuoso ed illuminato.
Èra presso i Romani nel suo pieno vigore P uso delle visite e de*
doni nel principio dell* anno, il qua- le incominciava anticamente col
mese di Marzo , le di cui Colende eran consacrate al Dio Marte .
Cele- hravand in Roma nel primo giorno d*un tal mese alcune feste
dette matronali in memoria della pace Digitized by Google
SLg Ricorra , o le Calende che seguito Abbiaa
quelle di Marte, a Vener piace, O sia che il Circo sì rimiri
adorno, (45) Non come in altre età, di statue lievi. Ma per
le spoglie ivi de i Re deposte, L’ opra differirai : sovrasta
allora Con le piovose Plejadi P inverno; Allor nella marina
onda s’immerge Il Capro tenerello ; allora giova Deporre ogni
pensier . Chi al mar s’afSda Del lacero naviglio appena puote 1
miseri campar naufraghi avanzi. Tu se in quel dì incominci , in cui
si vide che le Sabine avevano appunto in tal di stabilita
fra i loro SpoH , ed i loro Padri , i quali volevano con V armi
vendicare il ratto delle medesime . Le persone maritate avevano solamente
diritto a queste feste / ed OraT^io nell* Ode ottava del Libro III. si
scusa, perchè vi prende parte anch? egli , essendo celibe. Siccome
il mese d* Aprile è sacro a Venere , e suc^ cede a quello di Marzo
dedicato a Marte , dice il Poeta che Venere gode che abhian le sv^e
Calende seguito quelle di Marte per alludere alVamorosa cor^
rispondenza che ella aveva coi Dio della guerra . Le Ihnne e le Matrone
romane facevan nelle Calende d*Aprile gran festa a questa lor Pea
tutelare ; e gH Amanti contribuivano alle medesime con le
donazioni. (45) Non vuole il Poeta, che si studino i Giovani
per adescar le Donne nel lor giorno natalizio , nel principio dell* anno
, e in occasione de^trionfi celebrati nel Circo , perchè essendo le
medesime allora occupate in adornarsi , incontrerebbono qiiP gravi
pericoli , che sono qui espressi con l* allegoria dell* Inverno , e
con quella delle Plejadi e del Capro , le quali stelle sorgon sull*
orizzonte nel mese d* Ottobre , che è un tempo pieno di pioggia e di
tempeste , e perciò non propizia a* Naviganti.. Scorrer sanguigno
umor la flébìl Allia (4($) Per le piaghe latine, o in quello in cui
Torna la festa settima, che è sacra Al Palestin siriaco, e in cui s’
astiene Ognun dalla fatica, avrai mai sempre Culto superstizioso al
di natale Delia tua Bella ; pur funesto giorno Sia quello , in cui
tu offrir dono le debba; Ma a te lo rapirà , se tu gliel nieghi,
Che a Femina mancar non puote 1’ arte Per carpir le ricchezze a Giovin
caldo. Del Mercante il Garzon verrà discinto Alla vogliosa ed avida
Padrona, E porrà le sue metti in vaga mostra, Mentre tu
giungi, e al fianco suo t’assidi. Essa ti pregherà, che tu le
osservi Per additarne il prezzo ^ e liberale Ti sarà di preghiere e
ancor di baci, Perchè le compri , e giurerà contenta D’ esserne per
molt’ anni , e che non puoi Comprarle cosa che le sia più accetta.
Se poi ti scusi che non hai denaro, Ti chiederà il tuo nome ,
e turpe fia Per scusa addur , che tu firmar noi sai. Rinasce poi,
quando le fa bisogno, (46) A ih. Agosto ebbero i Romani una
sconfitta da* Galli sul fiume Allia non lontano da Roma , onde come
infausto e di pessimo nome fu condannato un tal giorno . Crede il Poeta ,
che debbano i Giovani onorare il dì natalizio delle lor Belle , e vuole
che intraprendano V amorose loro conquiste 0 in que* ma-- linconici
tempi qui figurati sotto il giorno alliense, CUI aman le Donne d* esser
rallegrate, o in que^giorni festivi simili a* sabbati giudaici , ne*
quali non è alle medesime permesso 4 * occuparsi in alcun
lavoro. Che dell* offerte natalizie il giorno Rìeda y e di pianto sa
bagnare il volto Per la supposta perdita di pietra. Che le
ornava 1’ orecchio . D* altre cose L’ uso ti chiedrà , che date poi
Renderle nega ; tu le perdi , e invano Speri per ciò che grata ti si
mostri. No , quando avessi dieci lìngue e dieci Bocche , io
già non potrei dell’ impudiche Donne n^^rare le sacrìleghe arti, li
guado tenti un ben vergato foglio; E della mente tua la prima
volta Sia nunzio ; le carezze, e le parole, Che imitino il
linguaggio d’ un Aliante Rechi , e fervide aggiungi anco preghiere.
Donò da’prieghi mosso a PriamoAchille (4?) Di Ettor l’esangue spoglia; e
Iddio sdegnato A voci supplichevoli si piega. . Prometti pur
, che nuocer già non ponno Mai le prorjaesse ; ognun può farai
ricco Con semplici parole. La speraD 2 $a Data una volta , lungo
tempo dura: C' inganna , è ver , ma Diva utile è a noi. Se
liberal con lei fosti di doni, Avrà ragion d* abbandonarti ;
quello, Che già le desti, è suo , nò può timore Di perdita
nutrir . Ognor tu devi (47) Achille dc^ aper ttraseinato tre volte
intorno alle mura di Troja il corpo d* Ettore da lui ucciso alV
assedio di quella Città y lo rese finalmente y 0 a dir meglio , lo vendè\
a- ^Priamo Padre del, medesimOy che prostrato a* suoi pièdi > lo
pregava di ciò caldamente^ Exanimumaue amo oorpns vendebat
Achillea. 1 Virgil, Digitized by Google
82 Finger di dar quel che non desti; spesso Fu deluso
così di steril campo II credulo Padron • Così, perdendo A perder
segue il giocator, nè lascia Per questo il gioco ; e il lusinghiero
dado Nelle cupide mani agita ognora. Questa è Tiinpresa, e
qui il Valore è posto; Ascolta ; senza doni il suo cor tenta La
prima-volta, ancor che ì doni apprezzi; Se lor liberal ti sia, 8«^rallo
Ognora. Vada dunque il tuo foglio , ma vergato Con detti
lusinghieri ; della Bella La mente esplori ,*e primo il caihmin
tenti. Cidippe ingannò un pomo, in bui rincue(48) Note leggendo, fu
di queste preda. O Giovani romani , io vel consiglio.
Deh coltivate le bell’ arti ; solo Non utili Saran per la difesa
' De^ paurosi Rei ; ma dalla forza Del facondo parlar, vinta
la mano A voi daran col Giudice severo. Con lo scelto Senato
, e ilPopol folto Ancor le culte amabili Donzelle. (48) Da
Zea una delle Isole Clclàdì andò Acanzio in Deio per assistere a*
sacrifici di- Diana , che là si celebravano splendidamente. Ivi ei
concepì uìà^ immenso amore per Cidippe, ma non ardiva di chiederla in
is- posa . Stette molto tempo dubbioso nello scegliere lin mezzo
per appagare la sua passione ^ ma in lui ces^ sarono i dubbj quando
intese che vigeva in Deio una legge , per cui restava concluso tutto ciò
che si diceva nel tempio di Diana ; è però gettò a* jùedi della
sita Bella un pomo y in cui erano scritti i versi seguenti* Juro
tibi sane per mystica sacra Dianae He Ubi venturam comitem sponsamque
futuram: Ascosa V arte resti, e da principio Non sii eloquente.
Da’vergati, foglj Vadan lungi parole aspre e ricerche. Chi
mai, se non. di senno affatto privo» In tuono volgerà declamatorio
. < ; Alla tenera Amica il suo discorso? Oh quante
volte fu giusta cagione Di grave sdegno un foglio ! 1 detti tuoi
Meritin fede , e adopra usati accenti» Ma sempre, lusinghieri »
onde l,e sembri^ D’udirti ragionare . Se ricusa, •. Di
ricevere il foglio , e sena’ averlo , . Letto a te lo rimandi » |a
speranza Però non t’abbandoni » e ,il mio consiglio , Serba in
memoria , II. collo al giogo piega Il Giovenco difficile col tempo»
E a soffrir s’ammaestra il lento freno Col tempo anco il Cavallo. Un
ferjreo anello Dal cootinao nso si consuma » e il vomere* Dal
continuo rivolgere la terra Che del sasso è più duro? e che più molle
' Avvi dell’ onda ? eppure il duco sasso Dall’ onda molle vieu
scavato . Ancora» Se sii costante» vincerai col tempo
Penelope med^sma : » A vero» ,, Caddero al suolo le
trojatie.^muri^» Ma pur caddero alfin 1 ìtiglj tuoi ,
Leggerà anch’ oasa » e non darà risposta» Cui tu non debbi
violentarla : solo Fa che ognor legga lusinghieri accenti» £
di risposta alba sarà cortese A ciò che l^sse ; a gradi e con
misura Succedefansi questi ufficj ; Forse / Verrà da. prima A
tc foglio dolente», à a Digitized by “Google
34 Con cui ti pregherà, che r amoroso Linguaggio
cessi ; nia desia il contrario Entro il suo core, e vuol che tu prosegua.
Continua danque;e alfin resi contenti Saranno ì voti tuoi . Quando
supina Vien trasportata sulle molli piume. Fingendo indifferenza,
ti presenta Della Padrona alla lettiga ; e canto, E in cifre
ambigue quanto puoi favella. Onde qualchfe importuno udir non possa
Il vostro ragionar 7 Sé’ volge il piede Negli spaziosi portici , tu
quivi Trattienti fin eh* ella^ vi fa dimora. Or la precedi ed
or la segui a tergo: Or lento movi il passo , ed or t*
affretta. Nè d^ inoltrarti iU ntezzb alle colonne Abbi rossor, nè
di sederle al fianco. Non ne’ Teatri senza te si trovi,
E segnai póVti al teigo , onde la vegga. Giacch* ivi il puoi,
contemplala , e le dici Quanto brami co’segni è con lo sguardo. Alla
saltante applaudisci l e sii Favoirevole a quei che rappresenta
Personaggio amoroso . S* ella sorge, Sorgi ; e ti assidi pur, s’
ella s’assida; £ a suo ^piacere il tèmpo tuo consuma.
Ma non volere innanelìare il crine Coiì’càldo ferro, e con lUordacè
pomice ' Stropicciarti le gambe ; il che tu lascia A’molli
Sacerdoti di Cibale. ( 49 ) ( 49 ) Oj9e , o Vesta , che ancor
dicevi Rea yC la Dea Buona, è Madre degli Dei, e si chiama Cibale ;
per^ che nel monte Gibele dU Frigia U furono la prima Digitized
by Google 33 Beltà negletta agli uomini
conviene: Vinse Teseo; Afianna » e la rapio Disa.doroo
le<t;onipie , il cria scompQsto;( So) Arse pe}*:FiglÌQ:Fe.drtt., ed
era incolto; Cura e deli^^ia. della Dea ;d’. Amore . Fu Adon
,:che fra le selve i di traeva. S’ann^grin pur le membra al marzio
Campo, Ma si^o monde, e monda sia la ve8te.(Si) Aspra non sia la
lingua, e netti sieno.i Dalla lug^e i denti; il mobil».piede . >
Non nuoti ih larga pollo ;^*ed ìne6perta i>olta kelel^ati i
sacrificj » T suoi Sacerdòti" éràtio ew.- nuchi , e ogni giorno ,ger
comparir moftdi , si raschia^ van membra, t ( 5 o) Ari^nay
figlia del Re Minos , s* innamorò per¬ dutamente di Teseo , che fu da*
Greci mandato con al- tri giovani in Creta per esser divorato dal
Ii/Iinotauro~, Etsa gV insegnò la maniera d*'uscir dal làbérinto
quàn^ do avesse ucciso quel mostroe in compagnia di dra sua sorella
s*.iifcamminò con. VAmante^ che dpmato il Minofauro y tornava in Grecia
vittorioso . Teseo chi nel viaggio orasi gik invaghito di Fedra ^ lasciò
bar-' Caramente in Nasso Arianna , .e andò con la sorella Ì2i Atene
sua patria . Ivi questa dioonne , come si è detto, amante d*Ippplito nato
da Tesele da Ippoli¬ ta Regina duello Amaz%oni. Venere amò
ardehtemente Adone ^figlio di Cinirq, e di Mirra , quantunque vivesse
continuamente né^ bos¬ chi intento a caccksre le fiere. Pianse ella
amaramert’^ te perchè questo giovinetto fu ucciso da un cinghiale^
e nony avrebbe mai reso a Proserpina , se Giove non comandava', che per
otto mesi avesse Venere il posses¬ so d* Adone , e per gli altri quattro
sei godesse Pro¬ serpina . '( 5 i) Nel Campo martió d
facevano in Roma al¬ cuni giochi, pe*quali i giocatori si snudavano
intera¬ mente , « si dngevan le membra con degli unguenti, che
rendeano a* medesimi nera la pelle. Digitized by Google
•36 Forbice non ti renda il crin deforme t Ma da
maestra iuan^ ti sia recisa E la chioma e la barba i $enza macchie
Sian r unghie, nè soverchinoi le dita; Nelle concave nari non si
scorga ^ ^ Alcun pelo; nè esali nn tris^to fiato* - ' La
bocca; e il naso non rimanga olfeilO „ Da che il fetido becco ognora
sape^ ' A lasciva Fanciulla il resto lascia, £ alla
bardassa . Ma già Bacco òhiama Il vate suo : soccorre ei pur gli
amanti; E, la fiamma che learde ei favorisce. „ Furente
errava la creten.^ Ppnna (Sa) Pcjr di Nasso ignota arena, .
Che flagellano ognor T onde dei mare» Ella coperta con
discinta veste Come nel sonno , nudo il pjede e sciolte Le crocee
chiome, al sordo mar si volge;. E bagnando di lagrime le gote,
Teseo chiamava in alto suòli : gridava, E in un piangea la
mìsera, ma in lei Era tutto decente ; nè men bella Fu di lagrime
aspersa « di dolore. Mentre di nuovo con le man fa ingiuria
Al delicato petto, a che fuggisti t É cosa fia.di me, perfido?
dice^ Di me che fia, ripete ; e intanto il lido De* cìtnbali
e de’timpani p^cossi' Da un* attonita mano il suono assorda.
( 5 2) Quando Arianna si vide aèhandonata nell* sola di Dfasso^si
diede in preda all* ultima dispera^ sùone . Bacco ivi accorso con le
Baeeànti e Cón Sileno , sfio pedagogo, la prpse in sposa y e collocò la.
di hi chioma in Cieìp prenQ ad 4 rtur ^t \ v.t Digitized by
Google Ca<l’ ella al suolo 4a timor sorpresa;
Le mbucaa le iparole ; e piik pon scorro Per le;geliAe} oppresse
membra il sangue. S’ appreesan ile ^eoauti^ U<cfia disciulto^ Ed
opQO;i liéyl 3iltiri soiio Previa turbo del DiOi*;£coo sul dorso D*
uo< pasciuto asinel V ebrio Sileno Carico d’ anoi.y^^che :si reggo
appena, E profiumo aspirare>i )brevi crini. Meiìftr
eglit seguei'le! Saeeanti, e queste Lo cfaiadianp /oggende ; l’inesperto
. Cavaliere il qjUadrtipedo, suo si^za. Deir aaiào orecchiuto
al capo scorre, E a terra cade : i Satiri griderò;
Sorgi V deh sorgi y o Padre . Intanto giunge 11 Dio ^ che d’ uva al
carro adorno accoppia Le tigri, a ouircoh le dorate briglie 11
freno regge, • Partì : Teseo , e insieme D’ Arianna, fa voce ed il
dolore. Tentò tre volte di fuggir , ma invanoy Chè il timor
la trattenne, e inorridita Tremò qUal steril spiga al vento,e com#
Leggiera canna in umida palude; Allora il Dio le disse : * ogni
timore, Cretease 'Donna , dal tuo cer disgombra; In me tu* vedi un
più fedele amante; Di Baceo anzi sarai la dolce sposa.
Tu spazierai nel ciel ; la tua corona Lucida stella in ciel sarà di
scorta Air incerto Nocchiero in suo cammino. Di^se , e dal carro
scese, onde non debba Seatir paura delle tigri, e il piede Sulla
docil arena impresse Torme. Eapilla poscia, e se la strinse al
seno> Chè tentato avria id van forgi! contralto^
Mentre fonile a un Dio tutto si rende. De’suoi segnacr imen cantd
una parte, L’altra ripetè in alto snon gli evviva. Cosi al letto
nuziale il 0io 4 la Sposa ' Furon guidati^ e s’annoSdaro insieme.
Quando tu sederai con donna a mensa, E di Bacco a te offerti i
doiii siedo, > Tu a Bacco,èa‘*NunJi che^han fa cena in
euri Porgerai voti, onde (dal Vrn non venga Offeso il capo ’ tuo ;
Quivi* tu puoi ‘ ‘ Con ambigue parole a lèi far iloti’ "
; I segreti del cor, ma per6^in modo ' Che ben s’ accorga esser a
lei dirette. Potrai tu ancor con gocmole di vino Teneri accenti
esporre, onde conosca, Ch’ ella assolnto ha nel tuo core
impero. Co’ tuoi s’incontrin jgli oocbi suoi ,<ed il fòco Che
t’arde il sené , a lei foccian palese; Parla talora col silenzio il
volto. Procura il primo di rapir la tazza. In cni bevv’
ella , e dove i labbri impresse. Bevi tn pur : qualunque il cibo sia
Bichieder dei, che tocco avrà col dito; * E mentre il chiedi, a lei
strìngi la mano. Volgi i tuoi voti pure, onde tu piaccia Della
Bella, al Marito . Assai ti puoto * Util recar, se a te sia fatto
amìcoi Se dai la legge al bere, a lui la mano (53) i
( 53 ) Solevano i Rfìmarù appena posti a mensa eleg^, gere il
maestro della cena y che da Orazio {lib. i.od^ 9. ) li chiama il
Taliarco\ Prescriveva il medesimo U leggi del convito e la manieM di^
becere y'e ordi^ Ce^i, e riponi dal tuo capo tolta La corona
sul suo. Sia a te inferiore, Egual sia pur, si serva in tutto il
primo; E seconda parlando il suo linguaggio. Col Telo
d’amistà tessere inganno È vìa sicura e frequentata , pure Non è
senza delitto. 11 Talìarco Ancor che troppo generoso appresti I
moltiplici vini e le vivande; £ benché creda di dover più
assai Veder di quel che fu ordinato, certa Avrai nel ber da noi
legge e misura. Onde la mente e il piè si serbin atti A’ loro
ufficj : d’ evitar procura Gli alterni detti e gV ingiuriosi
accenti, £ vìe più ancor se sien dal vin prodotti; E troppo
faeil non indur la mano napa alle Polte Commensali che ognuno ,
bevuto il suo bicchiere di pino, proponesse qualche amena que^
stione . Auguravansi spesso tanti anni quanti bicchieri di vino bevevano,
e spesso ne bevean tanti quante e- ran le lettere che formapano il nome
della Beliamo deW Uomo insigne , a cui facevano un tale onore . Se
molti erano gli anrd augurati , o se molte erari le leU tere componenti
il nome della persona in onore di cui heveano ; mescepano allora il vino
in una tazza assai grande , e compensavan così i molti bicchieri che
apreb’^ ber doputo puotare . Era poi in uso al termine della mensa
il vibrare in aria con le due prime dita i semi d* una mela fresca : si
credepano fortunati in amore quando toccapan con quelli il soffitto della
camera ov*era apparecchiata la tavola^ e si riputavano infe* ìici
quegli amanti , che non li facean sorgere a queU V altezza, De^moÙi altri
giochi ^ che i Romani usa^ vano in queste circostanze, non ne è a noi
perve^ nuta che un* oscura notizia. Digitized by
Google 4o A perigliosa rissa. Al suol trafitto
(54) Euritone cadéo, perchè soverchio Bebbe i vini apprestati. A*
dolci scherzi Atta è la mensa e il vìu: 8*hai bella voce^ Non
ricusa cantar ; salta s’ hai molli E pieghevoli braccia ; e
finalmeute S’hai doti onde piacer, piaci. La vera Ebrietà nuoce ^
può giovar la finta. Balbetti in tronco suon l’astuta lingua^ Onde
di ciò che tu ragioni, o fai Oltra ’l dovere , il vino sol
s'incolpu Augura alla Padrona ed al Marito Una notte felice ; ma
per questo Fa tacito nel core opposto voto^ Tolta la mensa,
allor che i Convitati Saranno per partir, tra lor ti mischia ; (
La turba e il loco ti daran T accesso ) A lei che fogge t’ avvicina,
e il fianco Le premi dolcemente , e il piè col piede •. Abbia ora
il conversar libero campo, E tu lungi , o pudor rustico,
vanne. Che la fortuna e Venere propizj Sono agli audaci. De’
precetti nostri Or r eloquenza tua non abbisogna; Principia pur che
ben sarai facondo. Imitare il linguaggio dell’ amante Debbi , e
mostrar d’ aver ferito il core; E onde ti presti fede ogni arte
adopra.. Ardua impresa non è 1’esser creduto. {Sii^ ElurUone
è quel Centauro^ che reso caldo dab vino y tentò nelle nozze dì Piritoo
di rapire Ippoda»^ mia : Teseo lo percosse perciò così fortemente , che
fw costretto y.come dice Ovidio nelle Metamorfosi, cu vo^ nàtar V
anima e il vino Digitized by Google 4i
Mentre Donna non v’ha, che sè non stìmi^ Sia, quanto imn^agìhar ài
può, deforme. Atta a piacer ; e aémprè inver non epiace. Quante
vòlte in^amor chi sol fingendo Incominciò , d’ un vera amòr fu
preda! Siate indulgenti pur, vezzose Donne, «Con questi
menzogner, se voi bramate Che in sincerò si cambi un falso amore.
Con accorte lusinghe ora si tenti Di guadagnar le Belle, come
Tacque Sa penetrar la sottoposta riva. Deh non t’incresca ora
lodar la faccia, Ora i capelli, i lunghi è ì rotondetti Diti, ed il
breve piè. Le più ritrose E le più caste godono alle lodi Della
loro bellezza ; e son pur grate ^T innocenti Vergini i anzi il
primo È la beltà d* ogni lor cura oggetto. Percliè tuttora di
rossor la faccia Tingon Palla c Giunca volgendo iti mente Le frigie
selve ed il fatai giudìzio f (551 L’augel sacro a Gìunon le penne ostenta
(56; Se tu le lodi ; e le nasconde allora Che tacito le miri» Anco
il destriero. Quando contrasta il rapido cammino. (55)
Péllade e Giunone ^vergognandosi d^essere stc^ te da Paride giudicate
.met^ belle di Venere , tentare Tono di ripagare una tate infamia col ^
procurare n questa Dea vincitrice del Pomo tutti que*danni , eh%
sono resi ormai cèlebri' da' Virgilio e da Omero z .... Manet i^ha
Bueat# repo^tuiu' Judicium Faridis spretaeqtte ipjuria
fbrmae. . i^rgiL Eneid. (56) I Paooni ^(hrisi ^li
at^elH di Giunone, pospr che solcpano'essLHinàfe ibìqarroidi fonta
Dea*, Digitized by Google 4» Gode
vedersi il crine adorno , e il collo Accarezzato. Franco pur
prometti, E tutti chiama in testimonio i Numi, Che alle
promesse pedon facilmente Le tenere Donzelle. Su dal Paltò D*un
spergiuro amator Giove si ride, £ comanda che sien per l’aria
spersi I giuramenti dagli eolii venti. Solea per l’onda
stigia a Giuno il falso Giove giurar ; utile è un tale esempio.
Giova de^ Numi resistenza e giova Che noi pur la crediamo ; incenso e
vino Lor su gli antichi focolari offriamo: No, non è ver che
una secura quiete! A letargo simil gli occupi; i Numi Veggon
r opere nostre. Innocua vita Si tragga adunque ; ad altri il suo si
renda; Sii religioso in consesrYar la fede, Stia la frode
lontana, ed abbi ognora Vacua la dostra* dalle stragi. Solo È
permesso ingannar, se siete saggi, Le donne impunemente. Abbi
rossore D’ogni altra frode pur , ma non di questa. Le ingannatrici
inganninsi, che sono La maggior parte di profana stirpe;
Cadan ne* lacci , cbt^ da lor far tesi, l^àrrasi che restasse un di
l’Egitto ^ DelFacqua a* campi salntevol privo Per ben nov*anni ;
allor che al Re Busiri Trasio si fece innante , e mostrò come Possa
Pira placar di Giove il sangue D^un ospite; la vittima tù il primo
Sarai di Giove, a lui disse Busiri, Ed ospite darai Pacqua all’
Egitto. Falarìde cosi nell’ infocato Toro arder fè le membra di
Perillo, ( 87 ) E T infelice autore il primo empiéo L’opera
sua. Fu 1’uno e l’altro giusto^ Nè vi puote esser mai legge più
equa Di quella y che a morir l’autor condanna Del tormento
inventato. La tradita Donna si dolga che col proprio esempio
Spergiurando s’ingannan lé spergiuro Meritamente. Utili a te
saranno Le lagrime; con queste anco il diamante Ti ha dato
ammollir. Fa , se lo puoi^ Che di pianto bagnate ella rimiri
Le guancie tue; se il pianto a te non scende, Che non si versa sempre a
grado nostro^ Tu con la mano inumidisci il cìglio. Chi mai
alle dolci parolette i baci Saggio non mischierà ? S’ ella ricusa
Darli, tu li rapisci,In prima forse Combatterà ; di scellerato il
nome Avrai da lei; ma pur ella desia Pugnando che la vinca. Sìa tua
cura, Che da' rapiti baci i tenerelli Labbri non sian offesi,
o non si dolga Che furon duri. Quei che i baci tolse. Se il
resto non procura, è degno invero Di perder ciò che a lui fu dato.
Quanto (87) Perillo fabbricò un Toro di bronzo , e lo dor nò
a Falaride crudelissimo Tiranno de'Grigeati in Si cilia , perchè
collocandolo pieno di rei sopra il fuo* co ) potesse intendere d^ lamenti
simili a' muggiti de'booì. Falaride accettò il dono y e volle che subito
w entrasse Perillo per incominciar da lui il proposto esperimento»
Mancò a far paghi dopo i baci i voti! Ciò non pador, rusticità
s’appella. Benché si chiami forza, è questa grata Alle
donzelle ) che amano sovente Esser forzate a dar quello che giova.
1 piaceri d’amor, se sian rapiti, Gode la Donna, e la
franchezza ha il premio. Ma quella che poteva esser forzata.
Ed intatta rimase, ancor che in volto Mostri allegrezza, ha mesto
in seno il core. Soffrir violenza Febe e la sorella, (58) Ma
fu grato ad entrambe il rapitore. La donzella di Sciro ìnsiem
congiunta ( 59 ) Con l’emonio Guerrier, favola è invero Nota , ma
degna pur d’esser narrata. Dopo la lite della valle Idea Per
la lodata sua bellezza il premio Già la Diva avea dato. A Priamo
giunta Dall’ opposta regio Deaera la nuova, E già viveva
nell’ iliache mura Come un’argiva sposa. I Greci”tutti ( 58
) Castore e Pollice rapirono le due sorelle Fe- be e ilavra, che Leucippo
padre delle medesime aoea date in spose a Ida e Linceo, (59)
Venere per premio del Pomo da lei ottenuto, promise a Paride Èlena moglie
di Menelao ^ e Pa^ rìde la rapì , e la condusse in Troja sua Patria.
Sia- come i TVojani ricusarono di render Piena Greci ^ che la
richiescr più volte, questi intrapresero contro quelli un formidabU
assedio. Tetide adendo inteso , che il suo figlio Achille sarebbe morto
se andava al* la guerra di Troja, per assicurargli la vita lo man¬
dò in abiti femminili a Licomede Re di Sciro. Ivi s* innamorò
perdutamente di Deidamia Princi* possa reale, ed ebbe dalla medesima in
figlio il ce* Icóre Pirro. Digitized by Google
45 Deir offeso marito avean giurato Di vendicar V
oltraggio, e fero allora D^'un sol uomo il dolor causa comune. Se
noi forzava^ le materne preci. Eterna infamia coprirebbe
Achille, Perchè con lunga veste ascose Tuomo. , Che fai,
nipote d^Eaco ? Non sono Atte a filar le mani tue la lana.
Con arte ben diversa ora tu dei Volger la mente alla palladia
gloria. A che questi cestelli ? Il braccio tuo Deve portar lo
scudo; e in quella destra. Per cui un giorno cadrà Ettore, io veggo
Or la conocchia ? Del filato stame I fusi carchi getta , e Pasta
impugna. Un letto sol la Vergine reale E Achille accolse ; ed
ivi ella conobbe Che di femmina avea solo la gonna. Con la
forza fa vìnta ; almen sì crede; Soggiacere alla forza a lei fu
dolce. Quando soverchio s’affrettava Achille, Che altr’armi avea
che la deposta rocca. Spesso gli disse : per pietà t’ arresta. Qual
valore or dov’è ? Perchè trattieni Con lusinghiera supplichevol
voce Li’autore,o Deidamia,di tua sconfitta? Di pudico rossor copre
la gota. Se dee la donna far la prima offerta, lilla Tè grato
il soffrirs*altri incomincia. Ah I nella sua beltà troppo si fida
Quel giovine, che aspetta che primiera Ella lo preghi. Deve sempre 1*
uomo Essere il primo ad accostarsi a lei; Ju uom le sue preci
esponga, e le sue r Digitized by Google
46 Riceverà cortesemente. Fréga Che ti voglia
accordare il suo possesso; Ella ha piacer d’ esser di ciò
pregata. Fa lor palese il tuo desio, che Giove Supplichevol
si fece ognora innanzi AlF antiche Eroine, e non fanciulla Offrì preghiere
, benché grande , a Giove. Ma se t’ accorgi che alle tue preghiere
Si fa vie più superba, allora l'opra Abbandona, ed il piè rivolgi
altrove. Molte amano chi fugge ^ ed odian quello Che troppo le
frequenta; impara dunque A non tediarle. Nè chi prega sempre Dee
del delitto palesar la speme, Ma sotto il manto d’ amistà
velato insinui Amor. Con questo mezzo vidi Deluse rimaner
ritrose e fiere Donzelle, e divenir T amico amante. Non dee
il nocchier, che le marine spume Solca soggetto alla solare sferza,
Candido avere il volto , e pur disdice Al cultore de* campi, chfe
rivolge Col vomer curvo , e con pesanti rastri Le dure zolle , e
per te turpe fia Candide aver le membra , che il tuo crine Cerchi
adornare del palladio ulivo. Sia pallido ogni amante ; è questo il
suo Proprio color ; tinto di questo il volto Sarai creduto infermo.
Fra le selve Pallido errò per Lirice Orione (6o), (6o) Giops,
Mercurio , e Nettuno furono henisd* mo accolti in casa d* Iréo uomo assai
povero* Aven¬ do questi domandato medesimi un figlio , che non
dovesse ad alcuna donna la nascita, i tre Ospiti di- Digitized by
Google E per ritrosa Najado fu Dafni (6i)
Pallido L^almà discopra il volto Estenuato ; nè a schifo; avrai di
pórre Sulla nitida ^chioma un pìcòiol manto ( 6 a). Le cure ^ il
duolo ^ le vegliate notti. Che origin traggon dà nn Violento
amore, I Giovanetti estenuai! ; non tf incresca Comparire infelice
, se tu brami Di far paghi-ì tuoi voti,'onde ognun dica Che ti
rimirà : è (Questi unWeto amante. Mi dorrò fbrsè , 0 pur' ti farò
dk>ttò A usar rarti pt^rmessé e le vietate? Ah che
amicizia è fè^^on^nòmf vani i Lodar quella , che adori, al tuo
^compagno, E perigliosa imprésa , ché se crede Alle tue Iodi , gli
verrà vaghezza D'entrar nél posto tuo. L'atto rea prole (63) Non
cercò profanai* d-Achillé 11 letto, ■ “ n !"*- 7—ri —
-—— vini hagnàti^no della ptopHa ofina la pelle del Toro da
lui ucciso per Viàrio loro in cidoy é assicurarono che da mtella
nascerebbe un fanciullo: JVé nacque infatti Orione ^ che fu un ottime
Cacciatore. Non si sa chi sia Lirico da lui : amata Vedansi le note
faU te a questo libro dal Ckier Néiruio.^ (6i) Dafni figlmel
di Merèurio rtacque in Sicilia, ed k VAutore de^virsi buìieeliei. Amando
egli una' Ninfa , da cui era ^matà egualmente, ottenne dal Cielo, che
divenisse cieco chi di loro oiolasse il primo la fede giùtata,Immemore
Dafni del voto fatto, j* mnémo rò d^ uha ritrosa Nomade , e divenne
cieco. (6a) Q uando i Romard soffrivano qualche incorno^ do
di sai ute , si coprivano il capo con un piccol maa- to da loro iifè/to
Piu li alani. ( 63 ) Patroclo nipote d^Attore € figlio di
Mentàpo fu amicissimo Achille. Non cercò Fedr^ di sedar T amico (64)
. Di Teseo Piritoo ;aè in altra guisai [ Pilade la consorto af«(ò
à' Oreste , ( 6 S) 3 Che come Fcho Palla ^ od il tuo O Tindaro
,gemeUo amò ia suora^ ( 66 ) Ma non sperato rionofvatì spesson J (o
r ) Sìmili esempi, se non spe^ri ancora ; Veder spuntar dal
tramarisco i pomi, E in mezzo al huine ritroTare ,il mele. .
> Quello che è turpe :giova > e ognun ricerca Il piacer proprio
> che divien più grato. Se altrui costa dolor . Do^e, 8
!:intese Scelleraggin piA grande ? Pel nemico Non debhi .amante:
paventar .soltanto, Ma fuggir dei, se vuoi viver, sicuro,; .
Quei che credi fedeli, e siimi amici. < Il Fratello, il Cognato
,, ed il diletto ; Compagno temi ; questa tufba tutta; , ;
Vera ti recherà cagion d^ angoscia. Già toccavo la meta ; ma
diversi. Sono cosi delle Fanciulle^ \i i ^ ^ ’u Che
varj mezzi ancora usar si 4enno, (64) Piritoo e Teseo concepirono V
uno per Poltro una stima si f^rànde, ohe giurarono di non
àhhan^\ donarsi giammai , o itifMi si prestarono vicendevole mente
soccorso in tutte U occtìrrettoo^ Pirotop ^ querie tunque frequentasse
taaasa di Teseo, limita sèmpre la sua beneoolenaa per Fedra a* sentimenti
d* amìci"\ aia e di stima. : • .. > > ; 0 i . .
(65) Pilade figliuolo di. Strofa ^ ehbé per Oreste
un*amicizia con sincera^ ^le.nonjo abbandonò nel- le più pericolose
circostanze a rischio di perder anche la vita. ’ (66) Castore
e Polluce figli di Tindaro amaron la lor sorella Elena con quell* amore,
con cui debbono i fratelli amare le sorelle. Digitized by
Google 49 Per adescarle. Non la stessa
terra Ogni cosa produce ; atta alle viti £ questa ; quella vuol gli
olivi ; e in altra Lussureggian le biade. I nostri affetti Varian
come nel mondo le figure. Piegar si sa chi ha senno ad ogni
umore; E come Proteo , si farà nell’ onde ( 67 ) Sottile ; ed or
sarà leone, ed ora Àlbero 9 ed or cinghiale irsuto. I pesci Altri
si piglieran col dardo, ed altri Con r amo ^ e alcuni ancor saranno
tratti Àir ampie reti con la corda tesa. Nè giova ad ogni età
lo stesso modo; La vecchia cerva scorgerà da lungi Le insidie
. Se s’accorge l’ignorante Che tu sii dotto, e ardito una modesta,
Si porranno in difesa, onde avvien spesso Che quella che di darsi a
un uom d’ onore Ebbe temenza , fra gli amplessi vili Giaccia d’ un
servo . Parte avanza ancora. Parte ebbe fin dell’ opra intrapresa ;
Fermo qui tenga l’ancora il naviglio. Arte ^am. c
(67) Proteo figliuol di Nettuno era un Dio mari-^ no , che si solwa
cangiare in ^alsivoglia forma y e di qui ha origine il proverbio : Proteo
mutabilior. I3ite e ridite lodi al delio Nome: La
desiata preda è alfin caduta In queste reti. A’versi miei ramante
Lieto conceda rigogliosa palma; Al Vale ascreo ed al meonio Omero
(i) Son Dreferito. Tal di Priamo il figlio (a) Con la rapita^ a Menelao
consorte Trionfante spiegò le bianche vele Dair armifera Amìcla, e
tal pur era (i) Il Vate ascreò è Esiodo ^ e ph si è veduto
al» V annotazione 5 del Lib, /. perchè gli venga dato uts tal nome.
Critei de , ad onta della custodia che ne ave¬ va Vargivo Creonte^ senza
divenir moglie d*alcuno^ divenne madre d^un figlio, che chiamò
Meletigene dal jwmt Me]e«^ in vicinanza del quale parton. Si sa ,
che essendo Melesigene accieeato , fu sopranno¬ minato Omero, perchè i
Cumani chiamavan con tal nome tutti i ciechi ; ma non si sa se questo
inimita» ìfil Poeta dicasi meonio perchè Meone fosse suo pa» dre ,
o perchè da Meone Re de^Lidj fu poscia adot» tato in suo figlio.
(a) Paride figlio di Priamo rapì Elena moglie di Menelao nella
Città d*Amicla, donde la condusse trionfante in T^oja sua patria,^
Digitized by Google 5a . Pelope allox
che te vinta traeva (J) Sul carro peregrino, o Ippodamia:
Perchè, o giovin t’afFretti ? in mezzo alPonde Naviga il tuo
naviglio, e lungi è,il poxto Più dt quello ché bramo* A te
non’basta Che tratta t’abbia la fanciulla innanzi Io tuo poeta:
presa fu con l’arte; Con l’arte ancora conservar si debbe.
Non vi bisogna già niìnor virtude Perchè non fu^gan^ritroVatè : è
quella Opra del caso , e questa sol delParte. Siimi propizio , o
Amore , e Citerea; E tu , Er^tp pur V qhe* il ncfme pqrti ' :
D’Àmor , m’assisti» pra a cantar m’accipgo (3) Enomao Re Elìde e^
di Pisa senti coloy, ohe sarebbe eglt-uodid nel ygiorno^ da avesse
presoi in isposa la sua figlia Ippodan^a^ Per allontanare dalla medesima
à molti giovani , che ambivano d'acquistarsi una 5 I belici fttnóiulia in
con^ sorte , gV invitò tutti un giorno a far ^secè il gioco d'una
corsa , col patto che. sarebbe^ irpmancabilmente trucidato chi fosse
rimasto vinto da lui , e che do-^ vesse > chi aveva la fortuna di
vincerlo^ sposare Ip-> podamia. Pelope fu vincitore con Vajnto di
bfirtilo , a cui promise , che. nella prima notte de^ suoi spon¬
sali gli avrebbe in ricompensa accordato }L dolce pos¬ sesso 4dla sposa
novella. Immernorè egli però della data parola, e del segnalato servigio
a lui reso ^ con^ dusse sul carro vincitore in trionfo la bellissima
Ip- podamia , e quando Mirtilo gli richiese Vadempirnento delle sue
lusinghiere promesse , lo gettò barbaramente in .mare. . . .
(4) Da EpMT« , che in greco idioma significa Amo-, re , ha preso il suo
nome la Musa Erato. Fu essa, madre di Tamita ^ che cantò il primo di
tutti i versi^ amorosi , ed a lei si attribuisce da alcuni greci
ùom-^ mentatòri V invenzion della Éiusica c del BaUf^
Digitized by Google 53 Cose stupende : con qual
arte Amore Tener si possa io vi dirò, bench’ abbia In Vasto mondo
ei di vagar diletto. Egli è leggiero , © doppio p^rta al tergo
* OrdÌB‘'*di'jpènbo , Onde' riniporgli legge È difiScfr impresa.
Àvea'aMa fuga DelP ospito Mibos ckiusa Ogni via, (5) Ma
ntì'àmdace sentier trovò con Tali. Poiché Dedalo chiuse il
Minotauro, Giustissimo Minos, disse, abbia £ne Ora'il’mio esilio ,
ed il paterno suolo 11 ceder mio riceva. Io non potei. Perseguitato
ogUór da iniqui fati, Vivore in patria, almen morir vi possa.
Se a me ricusi un tal favor , che sono Carico d*anni ^ lo concedi
al figlio, E se al figlio .noL vuoi ^ lo dona al padre.
Queste e molt^ altre ancor cose dicea, • Ma a lui Minos hón
permettea il ritorno. Di sua eVentura cèrto», a se medesmo Allor
Dedalo disse, hai tu materia Onde mostrar Pingegno; e terra e mare
È in poter di Minos : e mare e terra Or ci vieta la foga ; a me
rimane Il cammino del ciel ; questo si tenti* — l^tdato ,
come già si è accennato , fabbricò irs Creta il celebre Labirinto, in cui
fu racchiuso il Sfinoiaiiro. A^endògli' Minos vietato d* uscir da
quel^ ' io' f non trovò altro mezzo per ritornare alla patria
y se non se di fabbricar dell* ali congiungendo insieme varie penne
d* aòcelii , ed accingersi in tal guisa a ' 'Volar per il cielo in
compagnia d'Icaro suo figlio. Questi per altro innalzò troppo il suo
volo, e preci^ pkò miseramente in quel mare , che prese da lui ii
nome Icario. Digitized by Google 54
Sommo Giove *, perdona ^ questa impresa: DelP Empireo stellato non
aspiro Già le sedi a toccar ; sol questa strada Onde fuggir dal mio
Signor mi resta* Se Io stìgio sentiero a me si mostri,
10 r onde stigie varcherò • Debh’ ora I dritti rinnovar di mia
natura. I mali aguzzan 1* intelletto. E quando Si avrebbe
dato fà che un uom potesse Premer le vie del cielo.? In ordìn vario
Dispon le penne , che per V aria sono 11 remo degli augelli ; e
unisce insieme Con del ritorto Un 1’ opera lieve. Con cera al
foco sciolta insieme accoppia Le parti estreme ; e già della nuov’
arte Era venuta la fatica a fine; Ma intanto che trattava e
penne e cera. Rideva il figlio , ignaro che quell* armi Sarian la sua
difesa al tergo unite. Con tal naviglio, a lai diceva il
Padre, Si può alla Patria far ritorno ; in questa Guisa
fuggir Minos, che ogni altra chiude Fuor che T aerea via « Tq che lo
pupi, Con questa ch’io inventai arte novella^ Fendi gli aerei spazj
; ma la vista Della Vergin tegea, e del compagno (6) (6)
Calisto i Licaone Ra d* Arcadia ^ è soprannominata Tegea, da una
Città di tal nome soggetta alV impero del padre della medesima. DaU
V illecito commercio , che ebbe essa con Giope , diede alla luce un
figlio chiamato Arcade , e fu da Giu¬ none per ciò tra^ormata in Orsa ad
oggetto di ven* dicarst deW infedele suo sposo ^ il quale la collocò
in oielo fra le stelle col nome , che ancor oggi conserta, d’Orsa
Maggiore. Di Boote Orion cinto di spada --— Tu dei fuggir •
Con V apprestate penne Mi segui ; io ti precedo, e sia tua cara
Batter^ V isteasa via ; da rae guidato Incolume sarai, li’aeree
strade Se calcherem troppo vicini al Sole, Al suo caler si
scioglierà la oera; Se al mar propinqui batterem le pennei
Da’ vapori del mar saran bagnate. Spiega il tuo voi fra ^1 Sole e
il mare; i venti Pur anco temi, o figlio ; e all’ aure in preda Dà
le tue vele allor che sian propizie. Mentre in tal modo V istruisce ^ ài
figlio Il lavoro dispone, e mostra come Muover lo debba : in guisa
tal la madre La pennuta ammaestra inferma prole. L’àJe poi di sua
man per se costrutte Accomoda al suo tergo, e nel novello Cammin
timido libra, in aria il - corpo.. Allor che al volo si accingeva, al
figlfo Diò molti baci, e le paterne gnauce Furon di calde lagrime
bagnate. Sorgea sul piano un colle assai minore Del monte, e
quivi V uno e l’altro corpo Si diede in preda a perigliosa fuga.
Mentre le penne sne Dedalo move. Quelle osserva del figlio, e ognor
sostiene In aria il corso • Icaro si diletta Del novello sentiero,
e ornai deposto Orione figlio Ireo ( annot, 6o del Lib, I. )
Untò di dare un disonesto assalto alla casta Diana ; ma essa lo
fece uccìdere da uno scorpione , e poi mossa a pietà lo trasmutò presso a
Boote in una costellazione fatta a guisa di spada^ Digitized
by Google 56 I Ogni timor ^ con arte audace
vola Più ibrtemente. Un che insidiava a’ pesci Con la tremula
canna, alzato il guardo, Li vide in ariane abbandonò P
impresa. Già da sinistra avean passato Samo, E Nasso e
Paro e Delio al clario Dio Sommamente gradita ^ ed alla destra Si
lasciar dietro Labioto, e Calìnna Per selve ombrosa, e Stampaglia di
guadi Feraci in pesci cinta, allor che il figlio Temerario con
troppo incauto ardire Spiegò senza ìL suo duce in alto il volo*
S’allentano i legami ; al Sol vicina Liquefassi la cera , e i
.tenui venti Male sostengon le commosse braccia. Dal sommo
cielo spaventato il guardo Rivolse al mare, e dal timor già sorta
Si offro al suo sguardo tenebrosa notte. Si liquefò la cera, e i
nudi braco! Dibatte ; trema ; e ìnvan ricerca il modo Di
sostenersi *« Cadde , e o padre , o padre Gridò cadendo, via son tratto ,
e T onda Cerulea chiuse al suo parlare il varco. Ma Pinfeiice
Padre.(ah non più padre!) Icaro , grida , Icaro , dove sei?
Sotto qual asse voli ? Icaro grida, £ nuotanti sul mar mira
le penne* Copre P ossa la terra , è prende il mare Il nome
suo • Minos già non poteo D’ un uoni frenarle penne ,ed io
m’accingo Un Nume alato a trattener? S* inganna Cfii fa ricorso
all’ arti emonie, e appresta Dalla tenera fronte del cavallo
Digitized by Google '^7 - Lo svelto a
forzalppomane. Non Verbe ( 7 ) Pon di Medéa far viv*?re l’amore;
Non 1 Tharsfejj^ncàntesmi . Se potesse Una tal'arte ptolàligàrto ,
avria ' Medea Giasbn', Cfrcfe teénto Ulisse . ( 8 ^ Nè
i pallidi apprestati* éill%*dónzelle F'iTtri* Valséro { aU’alrne Son
nòcivi, ( 9 ) Ed inspirai) farot .'Ogni delitto Vada put
lungi ; se attti essere amato, Amabile ti- ttióstraf I a: ciò^ nTort
giova * Solo’ le^ menibtk àlve'r’by^^ e là-faècia. ^ Sii pur
Nireó tfaro^ ^11’ aiitibd^ Omero ; ( io) ' ^. t L ; >( 7 )
Q^^àevano gli an tichi , e fra questi ancora Pii- nio ea Aristotile
, che si potesse còncìliar l*amore per mezzo éAl^lppòinsLne, cioè di
qtàel pézzetté rotondo di carrie .nera ^ che han\ sulla , fronte iì
cavalli nati di fres^qp, Jfa Mars^ figlio^^efia/venefica Circe^^ t^aj-
ser l a lo ro orig ine i M ar si. Abitarono questi popoli m lidlia non
fontani ,àa Uòma ^e Jfùrorio~reputati , èc- celleràPneWarte dellc^ '
niagìq: “ * ' (8) ,iÌÌe«/èa \e Circe fdronp dii^ ihsiAni Ma^he ^
je insieme due a^passioriaté 'mài. cohisposte dmànii\ poicHè 'fiorì
pótérono có'loro magici incanti trattenere Ùiasoné\d Utisse i che amavano
tèneramente, ‘ ’ (^) t Filtri preparati dalle Maghe , eran
composti di fichi salvatici ^ éP uòva e di penne di civetta, di *
sangue e di. pòlfnone di ranocchie , e d*os5Ì di cani e 'di
serpenti'Sventrati. Lèggasi ài Libro quinto V Ode 'd*Orazio cprìlró
Canidia. * ^ (io) Nireo], nafo dd Aglajd e dal Re Cecrope,
andò alt*assedio di Trojq ; e vien da Omero nel Li-* hro secondo
dell*Iliade lodato per la sua sorprenden^ te bellezza. Ercole amò
sommamente Ila figliuol di ‘Teodamahte , c lo condusse con se, quando
navigò alla volta di Coléo. MetltP era iri viaggio lo mandò un
giórno ad attinger Vacq.ua dal fiume Ascanio nel’» la Misià ma essendo
ivi disgraziatarkente caduto^ han finto i poeti , che fosse rapito dalle
Nufadi Dea de*fiumu 1 Digitized by Google
58 O il tenerello un giorno Ila rapito Dalle callide
Najadì : se brami Conservarti Y amor della toA donna, E non
vederti abbandonato , aggiogni Deir alma i preg) alla beltà del
corpo. È la beltade un ben caduco e frale, Che con gli
anni decresce, e a un fisso tempo Fugge mai seiupre • Le violette^ e i
gigij Non fioriscono ognor;Ia spina , ^ cui Colta la rosa sìa ,
rigida viena*,^ ^ ' Vago garzon , i tuoi capelli un giorno Verranno
bianchi, e il corpo tuo le rughe Ti solcheranno . Formati ed
aggiungi Alla beltade un animo che ^uri: Sol ei riman fino
agli estremi roghi* Ni sia rultima ina cura con Farti Ingenuo
Padornarlo ^ e di due lingua Renderlo dotto . Non fu bello
Dlisso,(ii) (il) Colisse t figlia , come credono alcuni,
delVO* etano e dì TeHde, accolse cortesemente il naufrago Ulisse
nell* ìsola Ogigia , ov* essa regnala. Dimorò questi per sette anni con
la Ninfa suddetta , da cui ebbe varj figli , e poi fu costretto a
dividersi da lei per comando de*Numi , quantunque non lasciasse
elìa alcun mezzo intentato per ritenerlo sempre appresso di se.
Reso Re dei Traci detto odrisio perchè cornane dava alla Traqia nazione
degli Odrini, e sitonio^ perchè anticamente la Tracia ^si chiamava Sithon
, fu ucciso da Ulisse e da Diomede, mentre andava con un esercito
in soccorso di Troja. D* ordine de*suoi Troiani si portò Dolone ad
osservar gli andamenti dell*armata de* Greci ; ma incontratosi con
Diomede td Ulisse , che pure osservavano la condotta del cam^ po
Trojano , svelò a*meiesimi , dopo d*aver preso Vim^ punita y tutte le più
segrete determinazioni de* suoi concittadini. Volendo egli poi per premio
i cavalli emonj d*Achille , fu ba^aramente trucidato da Ulio^ se e
Diomede uccisori di Reso. Digitized by Google
59 Ma facondo ; c per lui ferito H petto Portar* r equoree
Dive. Oh quante volte Di sua partenza si lagnò Calisso^ E
dicea che non atte erano a* remi L’onde del mar! Oh quante volte
udire Bramò di Troja i casi , ed ei sovente Narrò lo stesso con
diversi modi I Stavan sul lido insiem , quando la bella Calisso
ehiese la dolente istoria Del Duce odrisio; ed ei con tenue verga (
Mentre a caso la verga in man teqea ) Finge Popra richiesta in
sull’arena. Questa» le^disse, è Troja (e fe’sul lido I muri) . È
questo il Simoe,e queste fingi Che« sieno le mie tende . Il campo
osserva (E intanto lo disegna) che col sangue Sì sparse di Dolon,
quando gli emonj Cavalli scaltro d’ involar procura. Fur del
sìtenio Reso ivi le tende; In questa uotte da i deitrier rapiti
^ Fui strascinato . Dipingea più cose, Ma improvvisa del mar
onda furiosa Via trasse Troja , e col suo Duce ancora . Le
trinciere di Reso. Allor la Diva, Vedi quai nomi s’inghiottiron
Ponde^ £ vuoi che al tuo cammiò sieno propizie? Ardirai
dunque di fissar tua speme In fallace fij^ura? e più del corpo
Altro tu non avrai solido e degno? L’accorta compiacenza a noi
concilia Gl’ animi, ma l’asprezza e le severe Parole contro noi
muovon lo sdegno. Si ha in edio lo sparvier , perchè tra V
armi Traggo sua jriU, e i lupi che assalire \
Digitized by Google 6o ^ Hanno in costume il
timoroso gregge. Mite è la rondinella , e innocua vive
Dall’insidie dell’uomo ; e l’alte torri Abita là colomba a lei
gradite. Vadali lungi le liti e i detti amari; Con
soavi parole amor si nutre. Stia la discordia tra marito e
moglie; Si faggan questi, e credano a vicenda Di difender lor
dritti • Ciò conviene Alle tnògli/che ognor funesta dote Recan di
lìti . Il dolce suono ascolti Degli • accenti bramati ognor V
amica; Legge non havvi per gli amanti ; in loro^ Ìj amore è legge •
Parolette grate Reca , e dolce lusinga à lei 1’ orecchio. Onde alla
vista tua lieta si faccia. Non io d^ Amor maestro a’ ricohì
parlo. Che chi pnote donar > dell’ arte mia Non abbisogna • Chi
quando a lui piace, Prendi j può dir, non manca mai d’ingegno.
Cedere a Ini dobbiam, che più gradito Sarà dell’opra nostra. Il vate io
sono J>e’ poveri, dhe ognor povero amai. Dar doni non
poteva, e diei parole. Cauto ognor sìa povero amante , e
tenga La lìngua a freno, e soffra quel che un ricco Non soifrirebbe
. l^el ponsier mìo torna, Che irato aia di delia mia Bella feci Al
crine oltraggio . Un tale sdegno ah quanti Giorni mi fe’ passar pallidi e
tristi I Noi credo, e noi compresi , che la vesta Io le stracciassi
allor, ma lo diss’ ella, £ comprarne altra a me fu d’ uopo. O
voij Che avete ingegno, del Maestro vostro Digitized by Google
6i Fuggite il fallo, e né temete i danni.
J8ia la guerra co’ Parti , e ognor la pace Con l’Amica diletta'.
Usa gli scherzi, E tutto quel che favorisce Amore. Se a
te che l’ami, docil non si mostra Qual vorresti e cortese, il suo
rigore So^ri costante , e diverrà benigna. La forza usando,
il curvo ramo frangi, Che con dolcezza addirizzar potevi. Varcasi
1’ acqua cón pazienza, e malo Vìnconsi i fiumi, se pigliar tu tenti
Contrarie Tonde rapitrici k nuoto.' I numidi leon , le fiere
tigri Pan le lusinghe mansuete e miti; Ed al rustico aratro
la cervice / A poco a poco sottopone iJ toro. Dell'arcade
Atalanta e chi più fiera.(ia) Mostrossi mài? Eppur quella crudele
Soggiacque anch’essa al mèrito d* un uomo, Narra la fama , Melamon
piangesse, (i3) Sotto un arbor giacente all’ombra, spesso Suoi
tristi casi e la crudel Fanciulla. Spesso* portò le ingannatrici
reti Sul vinto collo, e con spietato ferro (la) L’arcade
Atalanta, figlia di Jasio o d’Aban^ te , fu un.’eccellente cacciatrice ,e
si fe* compagna di Diana per consertare illibato il candore della
sun verginità, Finta essa p<ù dalla fedele e lunga servitù
prestatale da Meleagro o da Melanione , si abbando^ nò finalmente in
braccio ni medesimo , ed ebbe in fi^ glio il celebre Partenopeo,
' (i3) Sono tra loro cod diverse le memorie .a- noi lasciate dagli
antichi scrittori riguardo a Melanione 0 aid Atalanta , che è impossibile
il dar de’ medesimi «Hit distìnta notizia* Digitized by
Google 6 a Uccise spesso i barbari
cinghiali. L’arco teso d’Ileo soffri piagato, Ma
conoscea più ancor 1’ arco d’ Amore. Non vo’che armato le menalie
selve Tu salga, e che le reti al collo porti; Hò già
t’impongo il petto alle vibrate Saette espor • Dolci più assai
saranno, Se udir mi vuoi, dell’ arte mia le leggi. A
lei che è ripugnante , ognora cedi; E vincitore partirai
cedendo. Eseguisci fedel ciò eh’ ella impone: Biasma
Quello che biasima, ed approva Quel che le piace , e il suo parlar
seconda. Di rider ti ricordo al riso suo. Di piangere al suo
pianto , e i moti ancora A suo piacer del vento tuo componi.
Se giocale nella man P eburneo dado ( 14 ) Agita , tu ancor
l’agita, e lo getta (14) Oltre il gioco de* dadi era presso i
Romani in uso quello dclVAlìosso detto da loro Talut, che con^
sistema in piccoli quadrati d*osso j ne* quattro lati de* quali erano
notati separatamente i numeri uno, tre, quattro, sette. Doleva pagar senza
lucr^o una mone^ ta chi avesse gettato l* uno, che chiamatasi Ganis
o Òanicula. Guadagnata sei monete e ciò che ateta perduto nel
gettare il Cane chi scoprita la parte op* posta all* uno ^ cioè il sette
che ateta il nome di * Yenns o Gons,* ne guadagnata tre chi gettata
il Seniofper cui intendetasi il tre, e quattro chi ates^ se
rappresentato U Ghio, che esprimeva il numero quattro. Si rileva
da**latini Scrittori che fu VAliosso giocato anche ditersamente ; ma
basta per la chiara intelligenza di questi versi U sapere che erano i
Cani dannosi ^ mentre esprimevano l* ano ^per cui si dote^ va senza
lucro pagare una moneta. Il Gioco , ohe rasfvmbra a guerra , è , come
facilmente ri QQtnprew* dp ^ qugllo degli Scacchi, Digitized
by Google In modo cV«lIa vinca. L’Àliosso Se trae,
farai in maniera cbe la pena Non soffra d’ ^sser vinta, e tuoi
saranno Sempre i dannosi cani ; e s’ ella' pone Opera a gioco « che
rassembri a guerra, Fa cbo perisca dal nemico vinto Il tno
soldato. Sulle verghe steso Tieni r ombrello , e, nella densa folla
Per dove idee passare , il varco l’apri; Vicino al letto non t’incresca
porre Lo scanno, e fai piede dilioato togli E riponi la scarpa
.iDei sovente. Benché ti prenda orror , della Padrona
L’algente,mano riscaldare al seno. Non creder turpe, henchè a te
rassembri. Con destra ingenna sostener lo specchio, Se a lei
ciò piacerà. Chi ’l fiero sdegna (i5) Otaneb.della matrigna in domar
mostri. Che ora è nel Ciel , ohe primo egli sostenne. Si crede ,
tra Ife joniche Fanciulle Che tenesse il cestello, e che filasse
Rnstiche lane . Si l’Eroe tirinzio Servi all’impero d'una Bella ; or
dnnqne Dubiti di soffrir ciò eh’ei sofferse? Se ti
comanda esser presente al Foro -Previeni 1’ ora del comando , e
sempre ^eoU ' mnst valorosamente ( Annoi. 17. del Lib. I. )
tutu s mostriyche contro di lui suscitò la tua rnatngna Giunone, e
sostenne sulle sue spai- ad Atlante affa- incarico.
Innamoratosi egli poi dH)n- '‘iff reale della Lidia, vestì abiti
femi- mh, e m qualità d’ancella iella medesima filò vil¬
mente l»inne con quella man valorosa, con cui per le rmrabilt sue gesta
s’ era colmato di gloria. ^ Digitized by Google
Ne partirai più tardi • Se ^t* impoiàfe Di gire in altro loco’,
ogni altra cura Lascia da parte , corri ^ uè la turba ''
LMutrapreso cammìti trattenga , e còma ‘ Servo, sé vuol, tu Taccompagna a
Casa^- Tolte le mense , e^già sorta^ la liOtte; > * Se
fosse in villa,*e tf dicesse: vr<eni> ^ ^ Col piè premi la via , se
manca il eocebiò, Che Amor odia gl’inerti . Il btiitasoosò Tempo nè
la Canicola assetàtai ^ ' n / Nè per scaduta nòve il sentìev biénco -
^ p’ ostacolò ti aien ^ Simile a gòfei/ra * ^ E r amore , da cui
vadano lungi ' ‘ ^ '• I codardi . Nò , sotéo tali itìsegné*
II timid’ uòmo guerreggiar tiòu' debbe* La notte, il verno,
disastrose strade, ' ’ Dolor cocenti, e ogni altr’aspra fatica
Racchiudono que’mòlli ttccampaihetttli* Di pioggik dalle untole
tìiscioitu'^ * ‘ ‘ * Ben spesso intrisa avrai la
-veste,-è‘Spesso Gelato giacerai sul nudo suolo." ^ Dicesi
che dì Cinto il'Nume' nu giorno (i 6) Pascesse le ierée vacche d’
Admeto, £ s’ascondesse in umil capanna.' A chi non
converrà ciò che coriTenné ‘ Apollo, che dicesi i/-Nuine- 4 ì'Cinto
fper^hè ( Ànrvot. 1^9. del Lib, /. ) nacqueove giace 4 in tal monte
y sentì il pin, intenso, dolere ^ quanda Giove fulminò Esculapio di , lui
figlio , perchè faceva rivivere i morti con V ajuto della -Medicina. Per
veti^ dicenrA pertanto in qualche maniera d* una tale ingiur- ria ,
egli uccise i. Ciclopi y che fabbricavano le saette a quel Nume supremo ,
il quale lo spogliò per ques to della divinità, e lo costrinse a pascolar
le vacithe 4 * Admeto Re de* Ferei in te staglia^ A Febo ? O
ta, che in lungo amor ^impegni, Il fasto lascia • Se un cammiii
seeuro £ facil ti si nega, e se alla porta Ritrovi impedimento,
allor t’insinua Dal precipizio d’ùn aperto tetto, O da ascoso
sentier d’ alta finestra. Lieta ne fia, quando del tuo periglio
Intenda la cagion ; di certo amore Sarà per la tua Bella un grato
pegno. Spesso potevi dalla tua Diletta Star lontanerò Leandro, ma
varcavi ( 17 ) L’ onda del roar, perchè le fosse noto L’ amante
core • Guadagnar l’ancelle Non abbi a vile, e in special modo
quella. Che sarà favorita , e ancora i servi. Non temer d’
avvilirti : ognun saluta Col proprio nome, e alle lor destre umili,
Ambizioso , d'unir cerca la tua; Ma al servo che ti prega ( è lieve
spesa) Porgi piccoli doni, ed in quel giorno Pure air ancella, in
cui restò ingannata ( 18 ) (17) Leandro amò Con tal forza Ero
Sacerdotessa di venere , che spesse volte varcò VEllesponto per
visi^ tarla. Essa accendeva Una fiaccola sopra una torre, affinchè
potesse il suo Amante camminar piu sicura^ mente , e quando intese , che
era il medesimo misera^ mente annegato , si diede in preda aW ultima
dispe-* razione , e slanciossi intrepida nel mare, {ìÒ) Ai q
di Luglio celebravasi in Roma splendi--^ damente una festa, a cui
concorrevano le Servé‘ ve^ stile a Matrone romane , in memoria delV util
servii gio che avevano esse in tal giorno prestato alla Pu^ tria.
Ecco ciò che ne dice il Macrohio, Post Urbe in captam , cum aedatus esset
gallicus motus, res vero publica esset ad tenue reducta, Finìtimi
opportuni- Digitized by Google 66
Da veste maritai gallica truppa, E che pagò d’ un folle
ardire il fio. Ti fida a me ; fa tua la plebe, e sempre Sia
fra (juesta V ascierò , e quel che giace Sulla porta del Talamo . Io non
voglio Che ricchi doni appresti alla Padrona; Piccioli sian, ma convenienti
e accorti. Mentre è ferace il campo , e mentre i rami Piegan pel
peso di mature frutta. Porti fanciullo in un cestel gli
agresti Doni , e dir ben potrai che da una villa Suburbana ti
vengano, quantunque tatem invadendi romani nominis aucupati
praeferant sibi Postlmmium Livium, Fideoatiam Dictatorem , qui,
mandatis ad Senatum misis, postalayit , nt si yelleut reliquias suae
ciyitatis manere , matres fa* Hiilias sibi et yirgines dederentur .
Cumque Patres esseat in ancipiti deliberatione suspensi, ancilla
no¬ mine Phìlotib teu/ Tutela , poilicita est se cum cae- teris
ancillis sub nomine Dominarum ad hostes ita- ram : habituqae matrnm
familiat et yirginum sumpto, hostibas cum prosequeatium lacrjmis ad iidem
do¬ lorii iogestae sunt. Quae cum a Livio in castris di- stributae
faissent, viros plurimo vino proyocarunt , diem fbstum apud se esse
simulantes. Quibus sopo- ratis , ex arbore caprifico, quae castris erat
proxima, signum Romania dederunt, qni oum repentina incur¬ sione
snperassent ; memor beneficii Senatus, omnet ancillas manu jùssit emitti,
dotemque eis ex publico fecit, et ornatum quo tunc erant usae, gestare
cou- cesfit, diemque ìpsum Nonas Gaprotinas nuncupa- yit ab illa
Caprifico , ex qua signum yictoriae coe- perunt, sacrificiumque statuit
annua solemnitate ce<- lebrandum, cui lac, quod ex Caprifico manat,
propter memoriam facti praecedentis adhibetur. Questa è la fedele
esposizione del fatto, d cui non pare che si uniformi il Poeta»
Digitized by Google Tu gli abbi compri nella laera
via. ( 19 ) Rechi pur Tu ve » e le aastagne care Un giorno ad
Amafilli, e che ora a vile Parehè dono legger avrebbe anch* esso,
Co’t^rdi pure e con ghirlanda mostra Che memor vivi della tna padrona.
Si compra turpemente con tai mezzi D’orbo vecchio l’affetto, e la
speranza Di godere i suoi beni. Ahìperan qnelli Che Così vii
disegno a donar move. E che ! t’insegnerò teneri versi Io
diluviar Fa me lo credi, i carmi Non ton molto graditi ; e benché
Iodi Ottengano talor, maggior lusinga Han gli splendidi doni : Un
ricco piace Ancor che nato in barbara contrada. Questa è per
vero dir l’età dell’oro^ Giacché con Voto compransi gli onori,
Criacchè con V oro piegatisi le Belle. Se tu medesmo con le Mute,
Omero, Venga privo di doni, ab ! tu seaeciato Sarai di casa. Di
fanciulle dotte ^ Havvi turba rarissima , ed un’altra.
Che sé reputa tal benché ignorante, L’une e l’altre
s’encomino co’versi^ Che ottengan dal lettor lodo pel suono
Facile e lusinghiero \ a queste e a quelle Tenue e da aVersi a vii
sembrerà dono In loro onore vigilato carme. ^ Usa in maniera
ché V amica ognora (19) VendéQasim Ronia ogni torta di frutti e
d*al^ tri generi nella Via sacra, che acquistotti un tal nó¬ me ,
perchè furono ivi conclusi con gran^ sagrifizf i patti fra Romolo e
Tazior 68 A far ti preghi quel che util ti
sembra, E che far già volevi. Se promessa Abbi ad alcun de’
Cuoi' la li ber Cade, (ao) Fa pur elisegli la chiegga alla padrona.
Se ta rimetti al servo il suo delitto,^ Se le catene sue dure
disciogU, ; Te ne sia debitrice. ^ A lei la •gloria>
A tediatile venga. Sul:tuo eore Mostra ohe elFabbia un prepotènte
impèro^ Ma illesi serba ognora i dritti tuoi. Tu che nutrì
desio della tua cara ' ^ ^ Consfetvarti V amor , fà oh’ ella
pensi Che tu getonito sei di sua Heltade.* Se le sue menàbra
in vtiria veste avvolga, Le sii largo (U lodi, e se le doe ' .
Cinge, dirai che accrescono i suoi Veazi. Se poi s* adorna con aurata
veste, * Dille che più splendente èli’è dell’ oro. Se
prende la pelUcela , e tu T approva; * Se la tomita lieve , allora,
esclama ' Che, desta incendj, e con ièmmes^a voce Pregala che
schivar proeuii il. freddo. Sia il orine in duo diviso, oppur da
oaldo Ferro ritorta, tu dirai : mi piace. Di lèi, se.danai,
ammirerai le,braccia, Di lei, ^ canta, 1* armoniosa voce,. •
' E a lei dimostra con dolèntii note^ Perchè fpresto diè
fine, il tuo scontento. Loda gli abbmcciamenti ,:e in suon piètoso
E querulo ie mostra con KJUéiI foraa .. (ao) Presso i Homani eruno
cortamente i servi in una condizione sì miserache (^iputavansi
fortuna^- a , quando i padroni per un effetto di^somma cUmon^n
accordavano loro la liberty, ^ -, Digitized by Google
6p D’insolita jilaowrfe: il. cor t’inonda. Gon questi-
un4incoc che-|}iù. violenta Foss’ ella di Medusa ^ e indite: e giusta
(ai) Dìvetrài.co», l’ ansante,* Sia .tua cura - Di non sembrane
-iagantiatore ; e il volto Kon distrugga i tnoi> detti. Ascosa Térte
Giova j e svelata la vergogna apporta, E Ii^ tfe. 00» ragiOp j
toglie per. sempre. Spesso Sotba l’ÌAu)tjnA0tì,( iiti quella bella
Parte dall’sanitOf,-^ cui vosaeggia Priva Del purpureo, lioór ; rieolnta
» quando Il freddo,«cura la?f»reiuej ed era il «aldo La soioglie,).
Pìncostante. aere d cagione Di languore, alle-metubra,* Elhi^pur
viva Sana, masO'.inat giaceja-in, letto in ferma. Soffrendo. ..drd
tmaligqogciol V Infinstoi La tua pìetade:;ecP AQt^ctW> palese
Sia alloca .alla fanqiullaj^ fi getta il aenae Di ciO .cbe mieter, debbi,
a larga falce.' Nè del liingaauo mal poja',ti, prenda^ , E
faccia» le tue man cid che permette. Te rimiri piangente, ed i .tuoi baci
: Non r.inore«qa;S<^l-Ìr,;'flon arse labbia , Beva il tàO
;piantp,. 4 Ì» .ciel voti farai. Ma ognor,.palesi,,e di narmr: ti
.piaccia Be» spesso,fausti' sogni..:Àn| sua'magione Guida
la-ivacohiarella , che con ?ìolfo iaa) (ai) ]ffedasa figlia di Forci^'ed
ufl'a delle tre Gor- goni, incontrò-lo tdogn» di Minerva , perché à
prestò all’ impudiche iooglie, di Nettuno • nel Tempio della
medesima* Questa Dea le trasformò^ pertanto i capelli in serpenti, e fece
si che fosse convertito in -sasso chiunque ardiva di riguardarla.
(ìa) ponducivàn gli antichi le vecchiarelle nello àuse d^gV
frifermi , affinché con le lor preghiere di^ Digitized by
Google Purifichi la stanza e insieme il letto,
E con tremola man T ova le rechi. Di tua premura avrà cosi 1*
amica Kon dubbj segni, e con tai mezzi molti Far dalle Belle istituiti
eredi. Ma deir inferma per soverchia cura Deh non volerti
procacciar lo/sdegno; Àbbian tuoi dolci uffioj il lor confinej Non
le vietare il cibo ; il tuo rivale, • E non la destra tua* pòrga la
tazaa Colma de* succhi amari. Or che n^ll* alto ^ Del mar solca la
nave, usar non dei Lo stesso vento, con cui già dal lido Le vele
hai sciolto. Mentre Amor va errando Novello ancor, con Taso forza
acquisti; Stabil verrà, se lo saprai ' nutrire. Ebbe vitel le
tue carezze il toro, Che or è de'tuoi timori oggetto, e
Talbore, Sotto cui posi , un di fu tenue ^etga. Nasce povero
d'acque il fittnré , e forza Acquista nel suo corso, e dà Ogni
parte Gli vien tributo di novello umore. S’accostumi con te, che
nulla puote Più di tal cosuetudiue giovarti. Mentre
l’adeschi, a te grave* non sia Di soffrire ogni tedio • Abbia te
sempre Dinanzi al guardò ; ognor tuoi détti ascólti; La notte e il
di le pinga il volto tuo* Ma quando poi sicura avrai fiducia
Di poter esser ricercato, allora Scacciassero Sa quelle, gli
spettri. Epicuro deve soffrire i rimproveri degli Stoici, e VOratore
Eschino quei di Demostene , perchè avevano le lor madri Ulk
simile impiego che riputavasi vile* Digitized by
Google 7 ^ Vanne pur lungi, che la cura sua
Sarai benché lontan . Prendi riposo; Ciò che s’afBda al campo
riposato Bende ei ben generoso e l’arsa terra Bey e l’acqua del
ciel. Finché pxesente (a 3 ) Fa a Filli Demofonte, il di lei seno
Senti mediocre amor , ma in vasto incendio Arse allor che le vele ci
diede^’ venti. Mentre vivea lontan l’astuto UÌìsse (a 4 ) Penelope
soffriva cura mordaeCr Tu ti dolesti pur, Laodamla, (aS)
Lontan Protesilao. Brieve tardanza £ mai sempre sicara. Allevia il
tempo 11 dolor dell’assenza ^ e dal pensiero > e dà loco a
nuovo amor 1’ assente* Mentre tu , Menelao, stavi lontano (26),
(a 3 ) Fillidt, figlia di lÀcurgo He di 'Tracia , rice* Vè
cortesemente nella Reggia e nel letto il naufrago Demofoonte figlw di
Teseo. Quandi egli partì per % Città d* Atene ., colera chiamato dalla
cupidigia di regnare , le diede parola di ritornarsene a lei dentro
un mese . Aspettò Fillide lungo tempo il suo caro sposo, e poi afflitta e
disperata per la tardanza di lui , si tolse da se stessa crudelmente la
vita. È noto il verace affetto che aoea Penelope pet Ulisse
suo spesole però si può facilmente compren¬ dere quanto fosse vivo il suo
dolore per la lunga di¬ mora che fece fi medesimo alV assedio di Troja.
^uS^ Laodamia amo sì ardentemente Protesilao detto in latino
Phyllacides daFilaco.4uo avo, che fu sem¬ pre occupata dal più vivo
dolore mentre era esso al- V assedio di Troja , e fece far del medesimo
dopo la sua morte , una statua di cera , che ogni notte pone- vasi
nel letto quando vi andava a dormire. Menelao trovavasi in Vreta ,
ove .l* aveano ri¬ chiamato i suoi affari , quando Paride di lui
confi- mcpte gli rapì la bellissima E.lena pia consorte.
Digitized by Google 7 ^ Sulle piume giacer sole non
volle Siena, e nella notte al caldo seno l)eir ospite fu striata. E
chi mai puote Di ciò nutriremo Menelao, stupore? Solo
partivi, e nel medesmo tetto Era la moglie e T ospite. In custodia
T,ii folle le colombe al. falco fidi, Ed al montano lupo il pieno
ovile? Siena non ha colpa, e non commise L’adultero delitto ;
ei fece quello Che tu faresti, e che farebbe ognuno. Ad
esserti iiifedel la donna sfórzi^.j Se il tempo e il loco a lei
concedi. Quale Oonsiglio ella usò mai se non il tuo?
Che dovea far ? Il suo marito è lungi, Ed un amabil ospite
presente, E giacer sola teme in vacuo letto. Ciò a
Menelao era noto. Io dal delitto Siena assolvo ; usar volle di
quella Libertà, che il marito a lei concesse Cortese c umano. Non
così feroce Flavo cinghiai si mostra in mezzo all’ira Contro i
rabidi cani, allorché il dente Fulmineo rota , nè così lionessa Che
a’cari figli suoi porga le mamme, Nè da piè ignaro vipera calcata
; Coni’ àrde e mostra 1 ’ agitata mente Donna che la rivai
trovi nel letto Del suo consorte : e corre , e dà di piglio Al
ferrò e al foco, e ogni decor deposto, Rassembrà una Baccante. La
spietata (27) Medea nel sangue vendicò de’figlj ^- fay)
Vedaii V annotaz. 89 del Lib, /. Digitized by Google
73 Del marito il misfatto ^ ed i violati Dritti di
sposa. Àltr^empia genitrice, (28) Mirala in rondinella trasformata.
Or di sangue macchiato il petto porta. Tali delitti sciolgono V
amore Meglio composto e più costante ; e cauto Gli dee r uomo
fuggir, gli dee temere. Nè ad una sola donna io ti condanno;
Portin migliore augurio i sommi Dei ! Così rigida legge appena
puote Seguir sposa novella. Abbiano pure Loco gli scherzi, ma celar
ti piaccia Sotto furto modesto il fallo tuo. Da cui già non
voler cercar la gloria. Altra non mai conosca i doni tuoi; Nè
prefigger tu dei 1 * ora medesma Agli amori furtivi, e in un sol
loco Condur le belle, onde non le sorprenda La donna tua ne’ noti
nascohdiglj ; E quante volte scrìvi , i fogli osserva; Che
molte leggeran più assai di quello Che tu loro scrivesti. Amante
offesa Move bene a ragion Tarmi, e sovente Come a lei desti, a te
di duol dà causa. Mentre il figlio d'Atréo fu d’ una sola (29) Ov.
Arte d^am. d (a 3 ) Progne figlia di Pandìone, e moglie di Teseo
^ fu dagli Dei cangiata in Rondine, perchè vendicane dosi deW
ingiuria recata da Teseo a Filomena di lei sorella , uccise Iti suo
figlio ^e lo apprestò al Padre barbaramente per cibo, (39)
Agamennone rapì Criseide figlia di Crise cerdote d*Apollo , il quale in abiti
sacerdotali si portò inutilmente dal medesimo per ricuperarla j tolse
Bri* seide ai Achille ; e condusse poi in Grecia Cassandra
Digitized by Google 74 Contentò e pago, quella
visse casta. Ma per i vìej del marito poi Divenne infame.
Inteso avèa che Crise, Le fasce in capo e il lauro in man portando,
Ottener non potè 1* amata figlia. Inteso avea il tuo ratto, il tuo
rossore, O Briseide, e per quai turpi dimore Fosse la guerra
prolungata. Queste Cose la fama a lei narrava. Vide Con gli occhi
prhprj poi la figlia stessa Di Priamo : vincitor fosti ad un tempo
E preda, o Agamennon , della tua preda. Nel cor , nel letto ricevè ella
poscia Il figlio di Tieste, e vendicossi Così de’falli del marito
infido. Gli amori tuoi tener cerca nascosti. Ma se fian
noti e manifesti, sempre Però li nega , nè ti mostra allora Nè più
sommesso o più giocondo : reo Ti fa ria ciò scoprir. Novelle prove
Le dà deir amor tuo. Queste il sostegno Son della pace. La tua prima
amante Fa che di ciò non abbia unqua contezza. Havvi chi la nociva
erba consiglia Santoreggia di prender; ma ciò stimò Atro veleno.
Mischian altri il pepe Nel seme dell’ortica , e nell’ annoso Vino
tritano il callido pilatro. , figlia di Priamo , la qual fu a luì
concassa nella di* Vision della preda. Clitennestra sua moglie, e
figlia di Tindaro non potè reggere a tanta infedeltà , e /?«- rò
accolse nel letto Egisto figlio^ di Tieste , da cui ' { Annotaz. 88 del
I*) uccidere il suo marito. Digitized by Google
7S La Dea che sul ombroso Érice monte ( 3 o)
Ave il suo tempio, no , soffrir non puote Che siau forzati i suoi piacer.
Si prenda Pure il candido Bulbo che a noi manda La Città di Megara,
e la salace Erba che cresce ne’giardini. L’ova, L’imetto mel,
del pin le acute noci Si prendan pur. Perchè alla medie’ arte,
Erato , or tu ti volgi f II cocchio nostro Debbe più da vicin toccar la
meta. Tu che celavi per consiglio mio Poc* anzi i tuoi
delitti , or altra strada Batti, e per mio consiglio i furti
scopri. Nè di volubil già merto la taccia: Non col medesmo
vento i passeggieri Porta la curva nave ; ora si corre Col
tracioBorea, ed or con Euro, e spesso( 31 ) Dal Zeffiro si fan goiihe le
vele, Talor da Noto. Osserva come in cocchio L’auriga ora le
brìglie allenta , ed ora Frena con l’arte i rapidi cavalli.
Compiacenza servii le rende ingrate, E amor senza rivale
illanguidisce. Se la fortuna sia propizia, Talme Divengono
lascive , e faci! cosa ( 3 o) Venere aveva un magnifico Tempio in
Sicilia sul monte Erice , donde fu detta firicina. , Sotto il
nome di Bulbo iniendonsi tutte^ le radici rotonde come agl) e cipolle ,
che i Romani facevan venire dalla Città di Megara fabbricata da
Alcatoo figlio di Pelope. {jòi) Il vento Borea f spirando a
Settentrione , vien qià dette treicio perchè la Tracia è più
settentrional della Grecia y e dell* Italia, Euro spira da Levante
[ Zeffiro da ponente, e Noto da Mezzogiorno, Non è serbare in
mezzo allieti eventi IL cor tranquillo. Come lieve foco, Che
perduto abbia a gradi il suo vigore, Ascpndesi , e nell’ ultime
faville La cenere biancheggiale se v’unisci Zolfo , Testinta fiamma
manifesta, E a splender torna il consueto lume; Così
ove pigra e torpida si giaccia L’alma, destar cop forti e
lusinghieri Stimoli è d’uopo in essa allor Tamore. Fa che di
te paventi : ognor riscalda L’intiepidito core, e impallidisca Al,
solo udir che tu infedel le sia. Oh quattro volte e quante io non
so dire Felice quei, di cui si lagna offesa La sua fanciulla, e che
giugnendo annunzio D’un tal delitto alle sue triste orecchie Cade,
e il color le manca e la favellai Ah foss’io quello, a cui furente
straccia Il crine ! ah foss’ io quello a cui con l’unghie Sgraffia
le gote, che or piangente mira Or con bieco ciglio, e senza cui
Vorria , ma non può vivere ! Se chièdi Il tempo , onde di te la lasci
offesa Lagnarsi, io ti dirò : sia questo breve. Perchè lo sdegno
suo forza maggiore Con dimora soverchia non acquisti. Con le
tue braccia il bianco collo cingi^ E piangente nel tuo seno
l’accogli; Asciuga co* tuoi baci il . pianto suo, E i piaceri
di Venere concedi A lei che piange. Già la pace è fatta; Con questo
mezzo sol cessa lo sdegne. Se feroce divenga, e a te
rassembri Digitized by Google 77
Veramente nemica » allor le chiedi Un dolce amplesso , e la vedrai
placata. Ivi déposte Varmi è la concordia^ £d in qael
loco » a me lo credi , nacque La tenera amistade. Le colombe.
Che già fecero guerra , i rostri insieme Dolcemente congiungono ;
di quelle 11 mormorio son voci, e son carezze. Fu il mondo in
prima una confusa mole; Non ordine regnò, non vi fu legge ; £
stelle e terra e mar solo una faccia Mostravan ; sulla terra il ciel fu
posto E fu dal mar la terra circondata, £ diviso cessò
l’inane caos. Presero ad abitar le fiere allora Entro le
selve ; a star gli augelli la aria; £ s’ascosero i pesci entro dell*
onde. L’uomo errò allor ne^aoUtarj campi. Ma rozao 9 inerte
corpo, e senza genio* T'u il bosco la sua casa ; il cibo l*
erba; Lie frondi il letto ; e già per lungo tempo Visser fra loro
sconosciuti. Dicesi, Che le feroci loro alme piegasse La
dolce voluttà. Lo steiso loco Abitarono insiem Tuoibo e la donna;
Non da maestro furon fatti dotti Di ciò che dovean far ; Venere
loia La dolce opra compì senz’arte alcuna. Trova da amar Paugel
dolce compagna, E in mezzo all’acqae pur con chi s’accoppj
Non manca al pesce. Il maschio ainato segue La cerva, ed il serpente
a’dolci inviti. Della femmina cede. Insiem congiunta La cagna al
can s’annoda. Il suo montone Digitized by Google
78 Soffre lieta Tagnella; la giovenca Gialiva è col
torello, e la stizzosa Capra 1* immondo becco non disdegna. Parenti
le cavalle i maschj segnono Per lungo spazio , e varcan fino i
fiumi Che li tengon divisi. A che più tardi ? T’affretta dunque , e
alla sdegnata porgi Il bramato sollievo ; questo calma L’ atroce
suo dolore, e questo vince I succhi d* Esculapio • Il fallo tuo Dei
con ciò cancellar , tornarle in grazia. Mentr’ io cantava queste cose,
Apollo apparve » e mosse dell’ aurata lira Col pollice le corde •
In man tenea L’ alloro, di cui cinta avea la chioma; ^Queir
ammirando vate allor mi disse: O de’ lascivi amor maestro ,
guida 1 tuoi scolari alfine al tempio mio; (3a) Ivi sta
incisa la famosa legge, Che conoscer se stesso a ognuno
impone. Amar solo potrà prudentemente Quegli che se medesmo appien
conosce, E alle sne forze sa adattar Tìmprese. Procuri che la
Bella ognor Io guardi Quel cui Natura diè leggiadra faccia.
Si mostri spesso con le spalle ìgnude Chi candide ha le membra ;
parli pure Quei che lo fa soavemente, e canti, E beva quel
che a bevere e a cantare Con arte apprese, ma non mai interrompa
(3a) Alludtd al Tempia consacrato in Delfo ad Apollo ove
era scritta a caratteri à* oro qaest^ aurea legge: nosco te ipiam.
Digitized by Google . ^9 L’altrui discorw
P eloquente, e in mezzo Al ragionar non reciti importuno I
suoi carmi il Poeta . In questa guisa Febo i^egnomnii, e. voi di Febo
adesso Seguit^e i precetti. Ah no ! non ponno Mancar di fe gli
oracoli d’ Apollo. Or son chiamato a più'vicini oggetti.
Chi sagace amerà ; chi la nostr’ arte In uso saprà porre f avrà
vittoria. Non sempre i campì rendon con usura Le biade
seminate, e a dubbia n^ve , Non sempre fausto è il vento. Ah! sono
brevi I piaceri d’ amor , lunghe le pene. Onde Amante a
soffrire il cor disponga: Quante in Ato son lepri , e quante in
Ibla Pascolan api, quante olive accoglie II verd' arbor di
Palla, • quante il lido Del mat conchiglie ; tanti son gli affanni
Che soffrenti in amor , tanti gli strali Jlal felo intrisi che ci passan
V alma. A te diran che usci fuora di casa Quando con gli
occhi tuoi forse la vedi. Ma creder dei che uscì, che vedi il faUo.
Mella notte promessa a te la porta Forse chiusa sarà ; soffri, e le
membra Riposa e adagia sull’immonda terra. Mendace ancella forse in
tuon superbo Dirà; perchè le nostre porte assedjf Cortese e
supplichevole stropiccia Il limitar della crudel Fanciulla, ^
E al capo tolte ivi le rose appendi. Quando vorrà, t'appressa, e
quando il vieta Tu vanne lungi. Uomo non dee sincero Di sua
presenza far soffrir la noja. Digitized by Google
8o Non sempre con ragion ti potrà Jirer A me fuggir
costui non è permesso* Non creder turpe di soffrir ingiurie,
Nè d* esser dalla tua Bella battuto, Nè sul tenero piè
d’imprimer baci. Ma a che mi fermo nelle tenui cosef Or
subietto maggior m’agita l’alma. Io canterò prodigj ; il volgo
attonito Ascolti i detti miei, mi sia propizio. A difficile
impresa ora m’accingo. Che nel difficil sol glòria si merca.
Dall’arte una si chiede ardua fatica. Soffri il rivai
pazientemente ; teco Starà vittoria , e n’otterrai trionfo.
Non già un mortai, male pelasghe querce(33) Ti dieron tai precetti
. Ah i iio, non puote Dir r artè mia di ciò cosa maggiore.
Farà un cenno amoroso al tuo rivale, E tu lo soffri ;
sctiverà , e t’ astieni Dal toccar le sue carte ; e venga e tomi
Senza le tue doglianze ove le piace* Con legittima moglie usi il
marito Quest’indulgenza pure, alior che notte Le tenebre distende,
e il sonno regna. Non io, Io debbo confessar, non sono In
quest’arte perfetto. E che far deggiof Io de’ precetti miei minor mi
trovo. Io soffrirò che, me presente, un segno Si faccia alla
mia Bella, e il freno all’ira Io potrò por ? Ah mi ricordo ancora
^3) Fabbricarono i Pelasgi un Tempio dedicalo a Giovò , in
vicinanza del quale era situato un bosco di querce , da cui davano le
colomba risposta umana* Digitized by Google
Bi Che il suo marito nn di le diede un bacio, Ed io del bacio
a lei feci querela; Abbonda il nostro amor di crudeltade.
Non una volta sol mi fu nocivo Un vizio tal ; piti dotto invero è
quello Per cui, lieto il marito, in casa ingresso Hanno altri
amanti. Ma saria più grato L’esser di questo ignari. Ah lascia
dunque D’amore i furti ascosi , onde non fugga Dal vinto labro,
confessando i fallì, Lungi il pudor. Deh risparmiate, o
amanti. Di sorprender colpevoli le amate. Schetzino pur , ma
almeno a se medesme Perauadan che il fer’ solo in parole. Sorprese,
in esse pel rivai maggiore Si fa r affetto ; e dove egual la sorte
Fa di due, 1* uno e Paltro son costanti La causa in sostener del danno
loro. Favola iu tutto il elei nota si narra: Venere e Marte dagP
inganni presi Pur di Vulcan. Ferito il petto avea Marte per Vener
da un apaore insano, E divenuto di guerriero amante. Nè
rustica o difficile mostroàsi (Non v’è di questa Diva altra jpiù
molle) Venere al suppliéhevole Gradivo (34). Oh quante
voltè la lasciva risé ^ da (34) Marte si Marna Gradivo
da apa/vav, ehe si^ grufiea in greco linguaggio vtbraziorfe d'AVta.
Aven^ do Giooo preeijntaio Vulcano in Lenno 'per 1 la defar-^ mità
del suo corpo, si tuppè questo misero Diojin tal caduta una gamba ^ e
così divenendo zoppo ^ di^ canne ancorst mSgiortncnU deforme.
Digitized by Google Sa ^ Di Valcano pei
piedi e per le mani Nere e incallite pel lavoro e il foco.
Contraffaceva pur di Marte in faccia Sempre piena dì grazie il suo
marito^ Ma solean ben celare i primi amplessi, E
coprian col pudore il fallo loro; Ma il Sol che tutto vede ( e chi
ingannare 11 Sol può maif ) fece a Vulcan palesi L’ opre della
Consorte • Ah quai ne porgi Funesti e perigliosi, o Sole, esetuplit
Perchè del tuo tacere a lei non chiedi Un dono , eh* avrebb* ella il tuo
silenzio Potuto compensare in mille modi. Vulcan sopra e
d’intorno adatta al letto Un* invisìbil rete , e finge a Lenno Di
far viaggio : a’ noti abbracciamenti Tornan gli amanti, e nudi entrambe
sono Ne^ lacci avvinti. Quegli i sonimi Dei Convoca, e fanno L
prìgiohier di loro Vago spettacol. Potè appena il pianto Venere
allora trattener sul ciglio; Non alla loro nudità potere
Oppor la mano, e non coprir la faccia* Uno de’ numi allor
ridendo disse : O fortissimo Marte, in me que’ lacci Deh
trasferisci pur^ se ti son gravi. Nettuno , appena per le tue
preghiere Ebbero i prigionier le membra sciolte. Chela Dea in Pafo,
e Marte andonne in tracia. £cco,o Vulcano, il tuo profitto: in
prima Celavano il Ipr fallo ; or senza freno Lo commetton, fuggito
ogni pudore. Sovente, o stolto , confessar dovrai Che tu dj^rasd da
pazzo, e già ( la fama Digitized by Google
83 Karra.) dell’ira tua ti aei pentito* Quest’
io vietai. La 6glìa dionea (35) Or vieta a voi di tender quelP
insidie Ch’ ella stessa soffrì. Nè voi cercate Por ne’ lacci il
rivai, nò legger quello Che vergato ha^la bella in cifre arcane.
Faccian questo (se lor piace) i mariti Che legittimi rese e T onda e il
foco. (36) Io'di nuovo, raffermo: in queste carte Nulla vietato
dalle leggi chiudo» Nè a pudica Matrona i nostri scherzi
Recano ingiuria. Chi a’profani i riti Osò di Cerere svelare, e i sacri (
87 ) Misteri nati nella tracia Sanio f Non nel' silenzio per
coprir gli arcani Gran; virtude abbisogna è colpa grave Però
dir'qnfello che (tacer si dehbe^ t Ben a. ragion da Tantalo «loquace
(38) Venere , sepondo alcuni , eifbe in madre Dio^ ne 9 e però si
chiama la Figlia dionea. (36) Solevano i Romani nelle nozze solenni
offerii re alla Sposa V acqua ed il foco \ 'perchè pensavano
che si genesUts^ il tutto dall* umore -e dal icàhre ^ ed anzi lavatiri^
Inacqua f stessa i piei^ Sposa ed alla Sposo^ ' , I (87) I
Sagrifiz) di Cerere t)ea delle biade, ehe furono , secondò Dtodoro , '
inventati Heltà' Samotrd» eia , si celelfravanà dagli aw^ìd con tal \
segretezza g che acqmdurono il nome di mister (38) Tqntalo ,
figlio della Ninfa Piote , palesò agli uomini le' supreme,
determinazioni, che si manìfesta^^ reno scambievolmente gli Dei in un
Convito, cui fu ammesso e^i*pare.da^Giolve.,peTiitaleiempH-^ tà
joacpiatO riell^ infermo , iOfl^ à cofitidftaeqMate ,cfudar^ io da una
barbara fape, e^ chè è ,eireondatò dàìVacqua e da diversi ' phmi,
ékà fuggono àgnor shp'suòl Idìlli i^qmndo *viol*pré*a'^
arsene* Digitized by Google 64 .
Fuggono i pomi; o all*assetato labfo L'acqua mai sempre. Citerea
comanda In special modo di tener celate Le sacre cerimonie. Io
v’ammonisco Che alcun garrulo'a quelle non s’accosti* Se sepolti
non restano fra’cesti I mister] di Venere, se i bronzi Per furiose
percosse non risuonano, Usi abbiam noi pih moderati, e in
mòdo* Che si voglion però tenére ascosi. / Quando le vesti Venere
depone, La nudità con la sinistra copre. Nella pubblica
via spesso 1 * ugnella. Si unisce al suo compagno, e la
fanciulla^ Da tal oggetto altrove il guardo volgew Atto è il talamo
chiuso a’furti nostri E a non mirar ciò che la veste > ascóndo*
i Non le tenebre noi, ma nube opacUi ì; Cerchiamo, e i luoghi ove
1’ aperta luce - Minor risplenda. Fin d’allor ché il tetto Non
difendea dal Sol, non dalla pioggia, £ dava il cibo e in un la quercia
albergò. Gli uomini non gustar’ palesemente. I piaceri di'
Venfet ma negli antri ^ ' • f i ne^bosqhi; cosi dell’onestade
* i preudea cura quella ro^sza gente** \ Ora gli atti si celebraa
notturni, , £ nulla più si compra a caro prezzo Che di poter’
parlar: or le donzellò Ovniique cercherai solo onde dica , ' , /
Qiinsla ancora fo. nostra, ed onde .posniA ^ Mòsttktla ò' dito , e
&r ohe sia deb vol^ , ' Dc^^b li pòssèsso^tuòVfev;òIa ^
r.«r. poco «iwiihe ^ini «dolSP* aU>Ì , Òose che
nègherebbono accadute* £ di favori vantatisi non veri ;
E se invàn di toccar, cercare il corpo. Cercano àlmen d’offenderne
P onore, Che le accusi la fama ancor che caste. Chiudi, o
custode rigido , le porte ; Guarda la tua fanciulla, e cento
spranghe A’durissimi stipiti ora opponi. Cosa havvi di sicuro
in faccia a questi Adulteri di nome, che creduti Esser desian ciò
che tentare invano ? Parchi in parlar noi siam de’veri ainori^ E
fedelmente ognor tenghìam celati Col velo deP mistero 1 furti
nostri. Deh non voler rimproverar giammai Di nati^ra i
difetti alle donzelle. Che fù dissinìularli utile à molti. ^
Perseo che al piè portò le gemìn’ ali (3g) , Tlon del color d* Andromedà
lagnossi. Comparve a tutti Andromaca maggiore D’ uim giusta statura
, ed Ettor solo (3g) iXèrcurió adatfò *U idi Ud ambedue i piedi
di J^érseo^ iluo amiiéo y e fi^ió di Danae e di Giope, de qu§$iix
AndrovaeduslegaiOKyad uno scoglio per ra'deillcNeTcìdi,^e,\c]^pe, che
dovea^esser dioorata da Ceto mastro marin^, ,perchè Cassìope, madre
della medesima ebèè la vanagloria di dire ^ che la sua fi-* glia
vinceva > ir^ bellezza le stesse Nereidi, Mosso Perseo a pietà, della'
sventurata donzella , uccise il mostro col jmrgli. davanti agli cicchi la
testa di Me^ dusa f è dopo d^aveHa in tal guisa saLveta da un tanto
pericolo y V ottenne in isposa , he mai le riìf fàpciÒ[ suo fosco colori,
essendo ella nata in Etiopia, " Andromaca è figlia di Elione .
Re di Tebe e mo* glià di Ettore j il qual chiamava medìo^e la sua
statura quantunque fosse veramente sproporziqnatq. Digitized by
Google 86 Mediocre la dicea. Quel che or ti
lembra Darò a soffrir, deh soffri; e verrà uà giorno Che lieve impresa
ti sarà il soffrire^ Mentre ogni pena raddolcisce il tempo. Nuoyo
arboscel che in verde scorza cresce^ Cade, se vento placido lo scote
; Ma indorato dal tempo arbor diviene. Resiste a* fieri Noti
^ e alfin s’ adorna , Degl* innestati fratti. Un giorno spio Paò la
bruttezza cancellar del corpo,^ , £ sempre il tempo fa sembrar
minore Ogni difetto. L* inesperte nari Mal da principio pon soffrir
1* odore Della pelle del toro, ma dalTuso Dome non più risentono
mólestia. ^ I vizj ricoprir con dolci nomi Fa di mestier :
bruna chiamar si debbo Quella che piùehe pece ha negro il sangue»
Se ha gli occhi loschi, a Vener l!as 8 omiglia^^ E se bianchi, a Minerva.
Sia 9 Ì scarna ( 40 ) , Che appena in piedi sostener si possa.
Gracile la dirai. Nana rassembri, E tu svelta la chiama, e piena
quellf .,. Che è turgida oltremodo g, e asconder tenta. Col bene
non lontano il vizio ognora. Gli anni mai non cercar , nè sotto
quale \ Consol sia nata : al rigido Censore . Tai cure
lascierai. Maggior riguardo . Usa per quelle che passate il
fiore Hanno di giovinezze » e i più bei giorni, (4.0) Non si
sa paacepire corno Ooidio chiami loschi gli occhi di Venere , quando essa
fu lodata da Pari^ de. Dubitano alcuni pertanto y che nelF originale
la^, ' ripe si 4tiba leggere leu invece di peU»
Digitized by Google E cui incomincia a incanutir la
chioma* .Utile è questa o più matura etade, 0 giovani ; e
aarà ferace in biade Questo campo » ed arar però si debbe. Mentre
gli anni il permettono e le forze, Soffrire la fatica. Ah già la
curva Vecchiezza con piè tacito s’accosta! O il mar co’ remi
solchisi, o la terra Col vomere, o s^impugnin Tarmi fiere, O
si usi il fianco, T opra , e la forza Con le fanciulle^è questa una
milizia, E con ciò pur s’ accumulan ricchezze. S’
artoge a ciò che la prudenza in loro Maggior sempre delT opere
risiede, E l’esperienza sol può far maestro. San compensare
dell’ etade i danni Con la mondezza, e in opra e studio ed arto
Pongon per ricoprir la tarda etade. Come più brami accarezzarti
sanno In mille guise ; in più diversi modi Pittor non puote colorir
le tele. Non irritata voluttà per loro Si gode , e
danno e gustano il piacere; 10 se non è scambievole Tho in
odio, E però fuggo de’garzon P amore. Odio il furor di
quella che il concede. Perchè a darlo è forzata, e pensa solo All’
ntil proprio. A me non è gradito 11 piacer che mi dan sol per
dovere; Da questo io violentier le donne assolvo. Godo
ascoltar le voci che il diletto Mi palesin di loro, e di frenarmi
Mi preghino ora, ed or perchè mi affretti. Godo di rimirai languidi gU
dicchi . Digitized by Google 8 $
Della mìa bella , che mi dica : è assai. Questi favor natura non
concede Air inesperta gìoventCì ; si godono Quando il settimo
lustro ornai si compie. Chi soffre sete, il nuovo mosto beva;
Di vecchio vin ricolmo a me s’ appresti Vaso che sotto i Consoli
vetusti Sia fabbricato. Al sol resiste vecchio Il platano, ed
offesi i nudi piedi Sono da’nuovi prati; e chi potria Ad Elena
preporre Ermione? Altea (Era forse miglior della sua madre ? Se tu
t’ accosti a una noi^, giovin bella, £ sii costante, avrai degna
mercede. Già riceve i dae.amanti il conscio lètto; Fuof delle
chiuse porte ora rimanti, O Musa ; senaa te sapran ben essi
Trovar di che occuparsi, chè lor porge Amore i mezzi. Il valoroso Ettorre
(4a) Di cui fu il brando a Troja util cotanto, Giacque pur con
Andromaca, ed Achille Con la lirnessia giovine rapita,
Allorché dal nemico affaticato Prese ristoro sulle molli
piume. Da quelle man di frigio sangue tinte Ricevevi ,
o‘Brhcide , le carezze, E perciò forse à te più assai gradito
Fu alla vittfice destra unir tue meuibra. (4 A Ermione è figlia
della famosa Elena moglie di Menelao, (4a) Achille #
aseedìafa la Città di Lirnesso , uc¬ cise barbaramente Minete marito
della bella Briseide^ che si prese egli stesso in isposa, e che dal
noma 4 M(k iiMk Pàtria soprannominata iÀtuwia* Di Venéfe i
piaceri » a me lo credi , Non SI deniio affrettar; ma a lunghi
torsi Berli. La donnà , se vedrai diletto Che abbia d’èsser toccata
, a te non freni Pudore allora inopportuno. Gli occhi Suoi
scintillar d*'un tremulo splendore Mirerai , come dalle liquìd’ onde
^ Riflette il Sole i suoi splendidi raggia. ^ Udrai nn lamento e uh
dolce mormorio^ Gemiti grati , ed amòtose note. Quando thtte
le Vele avrai spiegate, Tu abbandonar non dei la tua diletta.
Nè preceder ti debbe ella nel corso. Correte insieme alla
prescritta meta. Che il piacer vostro diverrà perfetto.
Se giacerete a un tempo stesso vinti. Queste leggi seguir dovete
quando A voi concessi siano 02 ] tranquilli, Nè ad iin
furtivo oprar timor v* astringa. Quando Tindugio è mal sicuro,
allora Tutti forzar si denno i remi, e il fianco Premere del cavai
d’acuto sprone. L’opra è condotta al fin. Giovani grati, A me
la palma concedete , e il crine Odoroso cìngetemi di mirto.
Non presso i Greci Podalirio tanto Fu per la medie’ arte in pregio
, Achille Per il valore, e Nestor per pi'udenza; Non fu Calcante
così esperto e grande Nel conoscer le viscere, nè Ajaco Nel
maneggio dell’armi , e Automedonte Nel condur cocchj ; compio sono
espCito E grande nell’amor. Me celebrate, Uomini tutti ; a me si
dian le lodi; Nel mondo intero il nome mio ti canti. L*
armi io vi porsi come già Vulcano Le diede a Achille. Or con tal doni
voi Vincete pur, com’egli vinse un giorno; Ma chi col brando mio
potò le fiere Amazzoni atterrar, sopra le vinte Spoglie scriva:
Nason ci fa Maestro. Le tenere fanciulle a m^ le preci Ecco che
porgono, onde lor cortese Sia de’ precetti miei. Ah t sì, sarete
Cura primiera de* futuri carmi. DELL’ARTE AMATORIA
DI P. OVIDIO nasone SULMONESE porsi contro lo
guerriere donne A’ Greci 1’ armi ; or dare a te le deggìo^
Pentesilea, e alle Amazzoni seguaci.(i) Ite alla guerra uguali, e
vincan quelle Cui son propizi Venere e il Fanciullo, Che in tutto
il mondo ha di volar diletto. Giusto non era il combatter nude Contro
gli armati ; e vincerle per voi. Uomini , turpe mi sembrava. Alcuno
Dirà fra molti : perchè aggiunger cerchi 11 veleno alle serpi ? e
perchè in preda Lasci alle lupe rabide 1’ ovile? Di poche il
fallo non vogliate in tutte Diffonder ; pe’ suoi merti ogni
Donzella Considerar si dee . Se Menelao Ha di dolersi d’ Elena
cagione^ (a) (i) Pentesilea Regina delle Amazzoni andò contro
i Greci in soccorso d^ Trojani ,e fu dopo varie glo^ riose azioni uccisa
da Achille. Sotto il nome di Greci P intendono però- dal Poeta quegli
uomini , che ^ cingono a conquistare le donne qui figurate sotto il
nome di Amazzoni. (n) Vedasi V Annotaz, 5 q del Lib. I. e
l*Annotaz, ueuSdelldb.If. Ved. Vannot. 38 del Lib. /. eVannot.
ao del Lib. II. Digitized by Google 9 ^
£ se di Clitennestra i rei costami SoQ gravi ad Agamennon ; se
d’Ecleo (3) Il figlio scese co* cavalli vivi. Dalla
spietata Enfile^ tradito, Vivo egli stesso a Stige^havvi pur
anco Penelope che pia serbossi e fida (4) Al suo marito,
benché senza lei Due lustri errasse , e per due lustri ancora
Passasse i giorni suoi sempre alla guerra. Protesilao rimira e la
consorte, (5) Che , come narran , pria degli anni suoi Vide
Testremo fatele scese a Dite Ombra indivisa del marito . Mira La
Sposa pegasea dall*empia sorte (6) (S) Anfiarao figlio di EcUo ed
eccellente indovino ^ ascose in un luogo segreto per non esser
costretto a portarsi alla guerra di Tebe, in cui sapeva di do-* ver
certamente morire* Eri file sua moglie allettata da un aureo monile
promessole, da Polinice, insegnò a questo ov'egli sfava, celato* 4 n 4 à
pertanto Anfiarao forzatamente alla guerra^ ma appena giunse in Te¬
be , gli si spalancò sotto i piedi la terra , e rimase in quella
sepolto. (4) Penelope è V esempio deWamor con fugale* Si
conservò essa sempre fedele al suo sposo Ulisse , ben* che vivesse egli
lontano da lei per lunghissimo spa* zio di tempo , e benché fosse ella
continuamente as¬ sediata da mille fervidi amanti. (5)
Protesilao andò aneW egli all*assedio di Troja, e fu il primo tra* Greci
, che vi perdesse la vitapoi* che Ettore lo ferì mortalmente , nientre
scendeva dal* la sua nave. Desolata Laodàmia sua moglie da una tale
sventura , ottenne con le sue lagrime da* Numi di poter veder V ombra del
suo amato consorte , e neWabbracciarla morì* (6) Soffriva
Admeto una malattia coà grave , che secondo la risposta dell* oracolo ^
era necessario per salvargli la vita^ che un uomo o una donmft^
morisse Digitized by Google 9 ^
Admeto liberare , onde famoso Rese il suo nome . Evadne a Capaneo (
7 ) Disse : m* accogli ; il cener nostro insieme Si confonda ; e
slanciossi in mezzo al rogo; È la Virtude d’abito e di nome ( 8 ) Femina,
nè stupore è, se propizia Si mostra e favorisce al sesso suo.
La nostr’arte però queste non chiede Alme sublimi 9 e con minori
vele Naviga il legno mio • Per me soltanto S’imparano a trattar
amor lascivi. Io insegnerò in qual modo amar si debba La
donna, che non face ed arco scote Sempre crudeli ; agli uomini
quest’armi Nuoccìon più parcamente 9 io ben lo vedo: Gli uomini più
spesso ingannano di quello^ Che ingannin noi le tenere fanciulle;
E poche troverai , se cerchi , xee Di perfido delitto. Il traditore
(9) Giason Medea lasciò già madre 9 e in braccio Gittossi ad
altra sposa. Oh quante volte Per te 9 Teseo 9 Arianna abbandonata
(io) per lui4 Alceste sua moglie^ che dicesi sposa pagasea
dalla città di Pagasa in Tessaglia , volle essa stessa liberar
gen^osamente il caro suo spoeo, ed incontrò con intrepidezza la morte.
Quando Eoadne intese che era stato ucciso a/« la guerra di Tebe il caro
suo sposo Capaneo ^ conce» pi nell*animo un dolor sì fiero ^ che corse
valorosor mente a morire sul rogo dell* estinto consorte. (8)
Adoravano i Romani la Dea Virtù vestita in abiti femminili.
^9) Annotaz. 89 del Lih. /• (io) Arianna fu da Teseo
abbandamata {Annoi. So. del lÀb» I. ) nell*isola di Nasso j e però avrà
te» muto gli Augelli marini provenienti da quella pcffte di mare,
in cui viaggiava il suo perfido amante^ Digitized by Google
94 la solitaria t sconosciuta riva Temè gli
auge! marini ! E perchè Filli (ii) Calcò per nove volte il sentier
stesso. Cerca, e perchè, la chioma lor deposta, Piansero Filli le
dolenti selve. L’Ospite, che concetto ha di pietoso. Porse la
cauta e il ferro alla tua morte, ( 12 ) Misera Elisa. E che I narrar vi
deggio Delle vostre sventure io la sorgente? Voi non sapeste
amar ; mancò in voi l’arte, Mentre con l’arte solo amor si eterna.
Sariano ignare ancor, ma Cìterea Vuol che per versi miei sien fatte
dotte. Mentr’ella stessa innanzi al mio cospetto Si fermò, e disse:
di qual fallo mai Si fecer ree le misere fanciulle. Che inermi
si abbandonano agli armati? Tu con gemini libri bai resi questi
Nell’arte esperti ; or co’ precetti tuoi Tu devi ancora ammaestrar le
donne. SteSicoro ohe in pria cantò i delitti (i3) Impaziente FUlide
per la lontananza del suo Demofoonte eorse per nooe volte al lido , dà
cui do^ vetfa egli passare nel ritorno ; e alfine disperata cd
afflitta per la tardanza di lui ( Annoi, a 3 del Lib, li.) si tolse da se
stessa crudelmente la vita. Le fabbricarono i suoi parenti un sepolcro ,
in vicinanza di cui nacquer degli alberi , che in un certo tempo ,
secondo quello che han scritto i poeti , deposte le lor foglie ,
piangevano la morte della medesima. (la) Enea , che vien
soprannominato il Pio, di^ sprezzando Vamore , che è il nome proprio
di Didone, fu causa cVella si precipitasse sulle fiamme ohe
ardevano la eittà e la reggia di Cartagine. (i 3 ) Stesicoro
siciliano è un poeta lirico ^ che doto-' Sto ne* suoi versi Elena detta
tersnoea dal castello ìa Digitized by Google
D* Elena, poi con più felice lira Disse le lodi sue. Se V indol
bene Io tua conobbi, no ^ non sei capace offender Tamorose e culle
donne. Per fin che vivi a te tal grazia chieggo. Disse, e di
mirto (poiché avea le chiome Di mirto ornate quando a me comparve )
A me una foglia diede e poche bacche. Ricevuti i suoi doni, io mi
sentii Invaso dal suo nume, e Paer più puro Splendermi intorno , e
facile l’impresa Comparirmi al pensier. Mentre l’ingegno E desto ,
a me i precetti richiedete, Che a voi, donne, ascoltarli ora è
permesso Dal pudor, dalle leggi e da ogni dritto. Siate memori
ognor della ventura Vecchiezza, e per voi il tempo ozioso mai Non
passerà. Scherzate ora che lice, Nè si consumi invano il fior degli
anni, Che come 1 onde fuggono veloci. Tornar non puote alla
sorgente il fiume. Tornar non puote la passata etade. Cadete
dunque, che trascorre il tempo Con frettoloso piè, nè lieto mai
Come il primiero siede. Or bianco miri Questo stelo , su cui già in prima
vidi Io rosseggiar le viole, e questa spina Grata al c^pe mi porse
un di corona. Stagion verrà che tu , che "fchivi adesso
L’amante , fredda e abbandonata in letto cui, nacque y perche^ da
essa ebbe erigine la rovina di Troja. Ma i fratelli della medesima ,
Castore e Polluce Vacciecarono crudelmente ; ed ei per ricuperare
la sta , fu costretto a comporre un poema in sua lode»
Digitized by Google Giàf&ttsi vecchia giacerai.
Notturna Rifsa non fia che la tua porta atterri, Nè sul
mattino troverai di rose II limitar della tua casa asperso.
Misero me ! come corrotti presto VeggoDsi i corpi dalle rughe , e,
come ^ Langue ih nitido volto il color primo! Quei che sul capo tuo
bianchi capelli Si miran* or,che fin da’di più acerbi Giuri che
furon tali ; ah che ben tosto Si spargeran per tutto il capo. Méntre (i
4) La sua spoglia sottile il serpe lascia. Ringiovanisce ; e
rinnovando i cervi Le corna, non rassembrano^ mai vecchi. Fuggon
senza speranza i nostri beni; Cogliete il fior, che se non colto
vegna, Cadrà miseramente. A questo aggi ungi Che fan più breve
giovinezza i parti; Invecchia il campo per continua messe. Non di
vergogna a te , Cinzia , fu causa (i5) Il latmio Endimion , nè già
doveo Per il rapito Cefalo arrossire (i6) I Serpenti si
spogliane ogni anno della luto scorza* I Cervi cangiano ogni anno le
qorna ; ma ne * rimangono privi se sian castrati mentre le hanno
de~ poste , e più non le varifino, se soffrano una tale ope*
razione phma di deporle. Impiegano i medesimi cin^ que o sei anni nel
crescere, e però tioono’ solamente circa trentacinque o quarànta anni ,
ttd ortta di tutte * le fuoole, che gli antichi hanno scritte sulla
lunga ìor vita. Buffon nella sua Storia naturale. (15) Cinzia
( Annoi, del Lih, I. ) scendeva dal cielo per godersi Endimione, che qui
dicesi latmio per^ chè s^ascondeva ifi Latmo spelonca del monte, di
Caria. (16) S* innamorò la rosea Aurora di Cefalo figlio di
Mercurio, e però lo rapì « Prgcri sua moglie* , Digitized by
Google , i/ fc La rosea Diva. Adori si lasci a
parte, Tuttor di pianto a Vetieré^ cagione, Com’ebb’olla Antonia,
cotii* ébbe Enea ? (r 7 ) Seguite" tiiir P esémpid delle Dive,
O bellezze tóót^aK , é a^ desiosi ' UomìAì noilitìegate il
favor vostro.: Siano essi ingannatori ; e che perdete? Mille
vi godan pur<;‘tutto rimane Nello stato pritòiér. Gon Fuso il
ferro* Si consuma e la‘ pietra ; in Vói non pudte Cosa alcuna
peirir , ricever danno. Chi ^vieterà cW dal vicino lùme*^
Il lume non si prenda ? e chi nel vasto Seno del mar V onde serbar
procura? Tu mi dirai che non convien che a un uomo Si dia la
donna in preda ; ma che perdi Altro che l’acqua che ricever puoi?
Non vogliono i mìei carmi o la mia vocb» Al libero dell* uom
commercio esporvi^ Ma vietanvi temer le cose inani; Non
posson soffrir danno i doni vostri. Me un’aura lieve , mentre siamo
in porto» Spìnga, che ,al soffio dì più forte vento Sono per
cominciar maggior viaggio. Dalla cnltura io do princìpio. Il
vino Ceneroso dan sol le calte vigne, £ sol
né’campiVcoltìvatì miri Lussureggiar le biade. £ la bellezza Dono
del cielo , e come ah vien superba OQ.Arteà'am. e (17) La
Dea Venere éhhe à(jL Arichise il figlio Enea , e da Marte la figlia
Anmónia, Bastano . tàli esemp) per provare che ella permise a molti di
possederla . Digitized by Google pJbeU^z<i
ogui danpa 1 1Ja «ran parte Di voi prirs rù^.A quf»to 4ouo. . Con U
coltura la beiti ai 4CqWti Cile si perdo nfgfct^ ^ apci^r cjio
eguale A gueili fosse dpU'idalia Diy*. (i8) , Se Io prische
fasullo, il corpo Joì;a Non coti custodirò ^ se gli autieri Uomini
incolti vissero , se cinse ; Pesante gonna.AndroiMCjayìo non
yeggo>(f 9 ) Bagjon 4i,,ayiglia^I es^SA d’un rezzo , Guerrier
fu^^mpgli^. Fprsé a Ajace incontro Adorna andap dpvea la sua consorte, (ao)
Se a Ini la^ pflle .poi di sette bovi Servia di veste ? Ne^ primieri
tempi Rozza regnò semplìcitade, e immense Ricchezze Roma del
soggetto mondo Ora possiede. Osserva quale adesso (ai) ^ \ Sia,il
OampidogUo, e gual no’giorni andati^ E dovrai dir c]lie ,fa d'un altro
Giove. Ventre dicesi idalia dal monte Idale in Cif^ro a lei
consagrato, (19) Andromaca fa moglie A*Ettore Capitano deU
VArmata Uroijana, Annótàz, 89 del Lih, li. (ao) AJaae figli^di
Telamone è oelebràto daOm'e^' ro nella sua Iliade come uno piu valorosi
Prine^ che andarono all*assedio di Trofa. Sposò egU an*an^ cella
nominata Teemessa; e però dice Or ozio Movit Ajacem Telamone natura
’ Fórina captiTflB Dominuin Teemessa. La Curia fu anticamente
, secóndo F’arrone, distribuita in due parti, in una delle quali
custodi^ vano i Sacerdoti le cose diwine , ’e neWaltra tratta^ vano
i Senatori le cose umane. TaaUr fu un Re de* Sabini così accorto 9 che
seppe ottener da Rpmelaiina parte del Regno dopo d*aver perduto un'atroce
bai» taglia. ’ Digitized by Google La
Curia, che di tanto ora' rasaembra Concìlio degna, fu di Tazio
a’tempi Di rozza paglia intesta. Qoe'palagi- Ch# ora risplendon
sacri a Febo e a’Ooci; Che furon maì^ se non pascolo un giorno Agli
aratori buoi f Piacciano ad altri Le cose antiche ; io meco stesso
godo D* essere in questa età nato conrorme A’ miei costumi, non
perchè si tragga Dalle vìscere cieche della terra 11 dutil oro, o
perchè venga a noi Scelta conchiglia da diverso lido; Nè perchè
i monti facciansi minori Per i marmi scavati ^ o perchè altere *
Sorgano moli ove giaceva il mare; Ma perchè regna or la cultura , e
a’nostri Tempi rusticitade agli avi antichi Cara non giunse. non
fate carchi 1 vostri orecchi di preziose pietre, Che in mar
lo scolorilo Indìan raccoglie; Nè comparite già gravi per Toro
Tessuto sulle vesti, onde ben spesso Le ricchezze cercate e le
rapite. Dalla mondezza noi sìam vinti. Il crine Si disponga
con legge; un pettin dotto R dona e toglie a suo piacer bellezza.
Non r ornamento stesso a tutte giova; Quello scelga ciascuna , in cui più
splende^ E si consigli col fedel suo specchio. Chiede una lunga
faccia che sul capo (za) {2.2) Augusto fabbricò nel suo palazzo un
Tempio consacrato ad Apollo Palatino. 1 Duci ^ a* quali ^ dim cesi
sacro il palazzo medesimo, sono Augusto e Tim bario, mentre quegli vi
nacque , e questi vi abitò» Digitized by Google
loe Siati ben divisi non velati i crini; Così
avea Laodàmia le chiome adorne* Voglion le piene e ritondette
guance^ Che della &onte sul confin vi lasci Piccol nodo
onde veggansi, gli orecchi, D’an*altra il orin flagelli ambe* le
spalle,^ Quale al canoro Apollo allor che in mano Piglia la lira.
Come Pagi! Diana Altra gli .abbia legati, alLor che al bosco
Peiseguita le fiere pau^ròse. Convien che questa abbia i capelli
gonfj; £ strettamente quella il crine implichi* Altra s’adorni in
guisa tal la ehioma,^ Che alla cilleuia cetera assomigli
(aS); Questa V increspi in modo ohe rassembri Onda marina. Numerar
non puoi Quante sulla ramosa elea sian ghiande. Quante in Ibla sian
api, e quante fiere S’ascondano nell’alpi, io pur non posso A te
narrare le diverse fogge Di dar la legge al crin , mentre ogni
giorno Ne sorgono novelle. A molte giova Che sia negletto :
crederai che il capo Quelle jerì s^ornasser , che con nuova Cura
testé si pettinar’la chioma. Studia con l’arte d’imitar
Natura. Era Jole così, quando la vide ( 24 ) ^ (a 3 )
Mercurio inventò la Lira fatta a gedsa di te» staggine , e questa dicesi
cillenia ^ perchè egli nacque nel monte Cillene in Arcadia, Se Ooìdio
tornasse a vigere in questo secolo , dorrebbe certamente veder con
Rubilo che le nostre Dame seguono con la massima esattezza i suoi
proietti nell* adornarsi i capelli. * (a 4 ) Amò Èrcole
ardentemente Jole figlia di Eu» riio, il qual rìcue/ò di dargliela in
isposa, quoMtun» Ercole ; presa la cittade » e disse : lo ramo; e
tal Pabbandonata ; donna Quando sai carro sosteneala Bacco» E
i Satiri gridare : evviva » evviva. Quanto in favor della bellezza
vostra Fu Natura indulgente» o donne I Voi In mille modi ricoprir
potete Z vostri danni. Invan noi ci asix^ndiamò; Cadono per 1*
etade i capei nostri Come le foglie allor ebe Borea soffia.
Con le germanicb’ erbe asconder pnote (aS) La donna la canizie » e
può con Parte Miglior del vero altro cercar colore. Vanne la donna
con la chioma folta f 'glUVaotsu solennemente proméssa,
frritmto gli pertanto da una tal negativa, debellò la Città
d^Occatia » 09 e questi regnava » e gli rapì la sua di¬ letta
denteila. :(a&) si sa veramente auali si fossero
quell^er- he germaniche ^ del di egù amore eUrattivo compone- vano
gli antichi un medicamento » col quale i capel¬ li bianchi si riducevan
neri o biondi. Si Sono però, trovate a’ nostri tempi molte ricette, ohe
compensano largamente una tal mancanza. Cosi se i capelli sìan
bianchi, si posson ridut neri col far uso d*una po¬ mata, a cui siasi
aggiunto una piccola porzione di nero d*aoorio ben macinato » oooero di
sughero bru- glato unito all* azzurro di Berlino. Resta pm assai
difficile di ridurli biondi » se non si vogUono adope¬ rar polveri
d^amido leggiermente torrefatte. La mi¬ glior ricetta che si può per
quest* effetto accennare » é la seguente : si faccia una forte liscioìa
di cenere di sarmenti ; vi si unisca una piccola quantità di ra¬
dice di brionia e di celidonia; si faccia il tutto bol¬ lire; ed in fine
vi Raggiunga altra più piccola pdtr- zione di zafferano dell* Indie , di
fiorì di stecaae e di ginestra. Si coli per tela, e si laoino con una
tal acqua piu volte i capélli. fOft Per i
compri capelli , e col denaro In mancanza de* saoi porta gK altrou
Nò il coidprar ciò palesemente teca Ve^ogna i noi vediam che son
venduti D* Ercole in faccia e del virgineo coro. (a6) Che dirò
della veste f Oro ed argento 10 non ricerco ^ o che rosseggi
tinta La lana in tiria porpora. Se mille A prezzo più leggier vi
son colori, ,, É qual è dì follia segno piò espresso Che di
portar sul corpo i propr} censìf Ecco il color delFaria allor che
searca Si rimira di nubi, e il tepid*au8tro Non apporta la pioggia
: eccone un altro Simile a te che sostenesti nn giorno Come si narra,
e Frisse ed Elle quando (27) Fuggir* le frodi d* Inoe. Imita questo
11 cernleA mare ^ da ciò traggo Il proprio nome, e di tal
veste 10 credo Si coprisser le Ninfe. Altro è simile (28) Si
rUeva di qui, che in faccia mi Tempia fMrtcata in onore d'Èrcole e delie
Muse , avevano i Romani una bottega 9 in cui vendei ansi i capelli.
' (a^) Frisso ed Elle figli dì Adamante Re di Tebe fuggir dalle
frodi d* Inoe loro matrigna, salirò* no' sopra il montone ornato del
Vello d^oro^ che Mercurio diè in dono a Nefale madre d^ medesimi.
Frisso fu da quello felicemente portato in Coleo , ma Elle'precipitò in
quel mare , che prese da lei il nome d^ Ellesponto. Con ^esta favola vuol
però dire il Poe* ta 9 che era presso i Romani in uso ( e lo è pure
cd di nostri ) il colore che si assomiglia a quello dell* oro^ -
(aQ) Essendo il giovinetto Croco impaziente di poe* cedere Snùlaoe sua
dUetta amante 9 fu trasformato in un fiore che dicesi volgarmente
ZefBivano , o che da lui Ica preso il nome di Croco. £t
Grocam ia parros yersam cum Smilace flore». Ovid, Metam.
Digitized by Google TOS AI Croco, e
qàaiido accoppia i Ittraihbsi Destrier, con cròcea reste pur' si
rela La rugiadosa Dea. Di'Pafo a’mirti ' Questo assomiglia , e
quello alle purpuree Amariste , alle rose biancheggianti (29) Uno‘^
ed tin altro aÈa'straniera grue. Le ghiande tuè ti sod pure, o
Ainarilli, Nè ri tnancanr le mandorle, e il suo nome Diede alle
lane per la eera. Quanti Fiori produce la norella terra ~ Allor
che fugge iUpìgro rCrnò, e stilla Gemme la rite ^ tanti beo la lana
Color dirersi, e quello scei tu dei> Che col tuo rolto Si confà.
Ogni reste Non conriene a ciascuna. I neri ammanti- Fan risplender
le bianche. Assai più. bella firiseide, allor che fu rapita,
apparre, Perchè le membra accolse in negra reste*. Odora alle brune
donne il color bianco: E tu piaceri, o di Oefeo, ( 5 o)
In bianca resta allor che di Serifo Passeggiar! le rie* Io diei
consiglio Che del capro il fetor sotto V ascelle Non passi, e che
non sian per duri peli Aspre le gambe,. Ma non io già deggio Delle
caucasee rupi le £snciulle Far dotte, o quelle che di Caico misio
{ìi} (29 ÀmaUsta è una gemma , il di. oui colore è- quasi simile
a quel della porpora. (So) La figlia di Cefeo à Andromaca: avrà essa
probabilmente passeggiai per le vie di Serifo > perchè è questa una
piccola Isola del mare egeo , nella quàU fu edueato Perseo suo
liberatore. ( 3 r) Gli abitatori del monte Caucaso furore
antica-- menteiCome lo sono tuttora, ferocissitni. FI Caico-è
unfiu^ me della Frigia e della Lidia ^ che proviene dalla JS/Lsia.
Bevano all*onde. Che non siano i denti V*ammonirò per hidblenza
foschi, E che si lavin sul mattin 1 ^ guanoe Con man
dell’onda aspersa. Voi sapete Pjocacciarvi il candor con distemprata
Cera; e con Parte divien rossa quella. Cui non colora il sangue suo la.
faccia: Voi con Parte il confin nudo del ciglio Fate ripieno, e voi
con tenue pelle Ricoprite talor |e vere gote. Stropicciar gli
occhi poi non è vergogna Con la cenere tepida „ o col crocb Che
nasce presso te , lucido . Cinno. (3a) Tengo un libretto picciolo, ma
grande ^ Opra per il pensiero , in cui i rimedj - ' Qià
v’insegnai per la bellezza vòstra» ( 3 d) Con felice successo
adoperarono le Dame Ro^ mane la cera distemprata per far fianca la peUe ;
e con faUe^ ti Adopera ancora in questi tempi dalle nostre
Dame . Ecco il modo di prepararla : ad una parte di cera bianca di
Venezia si uniscono otto parti d* acqua , a cui si aggiunge una piccola
porzione d*alcali vegetale y e si di^cioglie il tutto finché non si
abbia una sostanza consimile al latte* he Dame ro^ mane solevano ancora
adornare co* colori , e riempire co*peli ben disposti quello spazio ài
pelle nuda che é fra il ciglio e il sopracciglio, s ! • Il le
•apercìlium magaa faligine tinctum « Obliqua producit acu.
Giovenale. Dalla Cilicia che è irrigata dal fasme Ciano
fa» cevano esse venire il zaffarono ed altre céneri atte a purgar
gli occhi dagli umori soverchp; e a renderli per cònseguenza
maggiormente^vivaci. Ha scritto Opì- dio un piccolo libro de medicamiue
faciei quale inségna alle Donne tutti i rimedj, che possono
contri» buire a far bella la lor faccia e le loro membra. Quindi
riparo alla figura offesa Cercate, che non è per gli usi Vostri
Inefficace Farte mia. L’apiaìite Non miri apertamente i vasi
esposti. Che Tarte ascosa giova alla beltade. A chi non
spiaceria mirar sul volto Stendere quella feccia , e lentamente'
Cader pel peso suo nel caldo seno? Quàl dall* immonda lana dell*
agnella ( 33 ) €2 ( 33 ) Fahhricavasi in Atene con In
lana sudicia e molle un medicamento che i Greci chiamavano Etipo.
Le Donne facevano uso di questo per mollificare le ulceri di qualche
delicata lor parte. Vedasi Diosco* ride y Plinio il Mattioli nel suo
erbario ; che ne parlano a lungo , ed insegnano la maniera di
fabbri^ cario, ' Non d può accennare qui il modo , con cui
prepa^ radano gli antichi i midolli della Cerva yper averne un
composto atto a far bianchi i denti, era i molti medicamenti che hanno
per quesV effetto inventati i nostri Chinùci , ci piace di riportar qui
la polvere , V oppiata i e le spunghe ; di^ cui dà Mons, Beaumé la
ricetta nella sua Farmacia, Ad un*oncia di pomice, di terra
sigillata^ e di corallo rosso s*aggiunga mexz*oncia di sangue di
Dra^ go, un* oncia e mezza di cremar di tartaro^ se ne fac^ da una
polvere sottilissima , e vi si unisca una pie- cola porzione di garofani
e di cannella. Per compor quindi V oppiata > si prenda un*
oncia della polvere suddetta, due once di lacca rossa da Pittori,
quattro di mele di Narhonne, due di siroppo di more ; a queste ù uniscano
due gócce d* dio essen-- ziale di garofani, e si avràr un* oppiata , che
S4^à op¬ portuna , come la polvere , a ripulire , imbianchire , e
preservare i denti da molti incomodi. Una stessa virtà hanno le
spunghe preparate , e intrise in una tintura fatta con lìfibre quattro
a^ua, in cui abbina hoUUo quattVonce di legno del Bras^* Daraiìne
ing^rato odòrè- il 'sugo estratta^ Benché da Atene a noi si mandi t
Inverò^ Lodar non so cl^ alla presenza altrui Della cerva i midolli
insìem mischiati Piglinsi, e che palesemente i denti Si faccian
netti* Utili alla beltade Sono. tai cose , ma deformi troppa Agli
occhi nostri* Molte cose fatte Piacciono, e turpi son mentre si
fanno» Le statue di Mirone opre famose, ( 34 ) Furono inerte peso e
dura massa, Per farsi anello , Toro in pria si frange,
E quelle vestì, onde vi fate adorne,, Furon. sordide lane* Era
aspro marmo,. Mentre erano a scolpirla intenti, quella Statua
nobile in cui Venere nuda Trae fuor dall* onde gli umidi capelli.
(35)* Fa che pensar possìam che dormi allora Che tu Vadornì, Io
lusingl>ieTa forma Sarai mirata se alla tua cultura le,
tre dramme di cocciniglia soppesta , e quattri) di alume di rocca .
Quando queste spunghe si sono, im¬ bevute d* una sufficiente quantità d*
una tal tintura, si fanno asciugare, si pongono per alcune ore
nello- spirito di vino, a cui siasi aggiunte una porzione di- olio
di cannella y di garofani,.e di spigo ec.; quindi si spremono, e sì
conservano per valersene al bisogno, ih vaso di Oetre ben ehiuso.
(34J Mirone discepolo d^ Ageladé seppe formare in bronzo còsi
perfettamente le statue , che Petronio dite aver egli compreso nel bronzo
V anima degli uomini e delle bestie, ^ ( 35 ) Alludesi alla
famosa statua di PrassiteU , che rappresenta Venere nuda neW atto
d^ uscir dal mora. Fu questa collocata in Roma nel Tempio di Bruto
Callaico insieme col Colosso di Marte pvesso - il Circ¬ eo
ffaminio» Diligente darai T ultima mano. Del talamo le porte
ben raccbiudi. Perchè vuoi far^ palese un’opra rozaaf Molte
COEC' ignorar gli uomini danno. Di. cui gli ofiendón molte, se non
copri Ciò , che & d’uopor di tener , celato. Vedi quelle
che pendono^ da un culto> Teatro aurate statue, a osserva bene
Qual lieve foglia il legno lor ricopra.. Ma come quelle al popolo*
non lice Veder ae non sien poste in vaga mostra^ Così se non elea
gli uomini lontani, Non si procuri d’acquistar bellezza.
Non vieteiò cbe al pettine abbandoni Palesemente 1 tuoi capelli,
quando Scender potran per tutto il tergo aspersi. Di non esser
procura allor molesta, • Ne aciorre spesso le mal calte chiome.
Sicura sìat quella che il crin t’adorna; Odio colei che le ferisce il
volto Con l’un ghie liCi con rapito ago le punge 1 ( braccia Allor
d’ancella là detesta. Le tocca il capo, e sull’odiate trecce*
Col piaotn suo scende mischiato il sangue* Quella che il
capo.ha.quaai calvo ,ipoDga^ Sulla porta il oustode , o della Dea
Gibele al ten^pio ad adornar si vada. ( 56 ) ^ ( 36 )’ CibéU aveva
in Roma un Tempio, in cui non potevano aver gli uomM V accesso :
4 Sacra Bona maribas non adeunda Des. Tibullo,
Insinua pmttauio Ovidio con questa frase Me Donne di non pettinarsi
alla pretenza^ degli uomini^ se non so» Mli i ìorq capelli fui annunziato
airimprovviso un giorno A una -donzalla; e torbida i non suoi
Velò capelli. Uo tal ro 88 or > ricopra La faccia alle nettiicbe, e
questa^ infamia Fra le particele Nuore abbia soggiorno. Turpe è
Tarmento senza corna, e turpe Senza gramigna è il campo,
Tarboscello Senza le foglie, e senza i crini il ^apb» Non-vennero
ad udire i miei precetti Semele, Leda ^ o la sidonia donna (37) Che
via portò pel tnar fallace Toro, O la tua sposalo Menelao, cW
chiedi Bene a ragione, e che a ragion si tiene 11 Rapitor
Trojano^Ecco una turba*' Di belle donne e dì deformi a un tempo
( Ahi sèmpre il ben dal male è snperato ! ) Che chiède i miei precetti,
ma non tanto Cercan questi le belle , e men dell^rfe Procurano
rajoto. Han quelle in dota Beltade senza Parte assai possente.
Quando tranquillo è il mar, sicuro bessa^ Il nocchier dal lavoro, e
mentre è gonfio Si asside, e in opra pone ogni socConk). Rara è
beltà che senza macchie Sia; ^ Le cela , e i vizj del tuo jcorpo
ascondi {37) Semeie figlia di Cadmo He di TeÒe e.madre^ di
Bacco , Leda figlia di Tindaro, e sorella di Ca- stare e Pollice, Buropa
figlia di Agenore He di Fe¬ nicia ove giace la città di Sidone , da cui
élla vieti detta Sidonia, furono dotate d*una tal bellezza , che
innamorarono vivamente lo stesso Giove, il quale non^ ebbe à vile di
prender per esse le più strane sem^ hianze. Queste con Elena mogUè 'di
Menelaosi pro» ^ pongono qui dal Poeta , come eiélnpi troppe rari
dì: perfetta bellezza. Quanta più puoi'« Se di statura breve Tu
sei, t’assidi, onde seder non sembri Allor che in piedi stai. Se oltre
misura Però lo fo^si^ allor ti porca , e ascondi Con le vesti
su’piedi un tal difetto. Quelle che sono gracili e minute Debbon di
grossi drappi ornarsi, i quali Sciolti cader si lascin dalle
spallo. Tocchi il suo corpo con purpurea verga ( 38 ^ Chi è
pallida ; e chi è nera abbia ricorso Al fario, pesce. Un piò lungo e
deforme Sottu candida alunda pgnor si celi, ($9) Nè secche gambe
.sciolgansi da* lacci. (38) È certo , gU onticfd aoéoano de*
medica^ menti , co* quali ti coloravan la faccia ^, benché non d
sappia di qual natura^ quelli si fossero . Il belletto > che si usa
pretentemente è composto di rosso e di biancone sarà forse pià efficace
di quel che adopra* vano le Daàte romane. Si è per qualche, tempo
im-^ piegata Cernita il magistero di Bismuto^ detto altrimenti bianco
di spanna com« quello, che avendo un leggiero color d* incarnato, era pià
analogo aHa pelle ; ma sì l* una che l* altro anneriscono e guasta¬
no la carnagione, mentre tutte le calci metallici^ ri¬ prèndono una parte
del loro flogisto , e, si ripristinano* Si è pertanto sostituita alla
cerussa ed al bismuto la pomata di spermàceti^e l* olio di mandorle
dolci, unendovi una porziànè di falco'biancò finissimo. Col talco
bianco ùmilmente barico ,della parte coloranto de* fiori di Cqrt^mfi j a,
,cui si aggiungono poche goc¬ ce di olio di Beri, per renderlo pastoso è
molle, si compone il roiso y che ancor chiamasi-rosso di porto-
gallo o roSso'vegetale. ‘ Il /arto pesce é il Coccodrillo y degl*
interiori e della sterco del quote sh servivano i Homani e(f i Greci
per fare un composto atto a render bianca e splendida, lo
pellé. (39) X’Alauda b una pelle moUissiuia, Tenue eoscm
conviene ad alte spalici E se il petto sìk turgida, il circondi
Fascia, e lo stringa. Se le dità pin^ui^ E scabre T ùnghie avrai,
allor di rado Accompagna congesti i detti tuoi. Chi grave
dalla bocca esala oddte ' • Digiuna mai non parli ^ e dalla bocca
Deir uom stia lungi. Negri, e troppo grandi Se i denti siéno, o in non
belFordin natii Massimo il «iso allora apporta danno. Chi ^1
crederiaMiC donne apprendon pure Le. maniere del ti80 ,'e in qùesta
parte Nuovo per lor procacciano òtnatoeùto. Non troppo-larga apri
la bocca , e brievi Sian le pozzette in ambedne le. gote, E
le radiche ognor copra de’denti L’estremità de’labbri , e non
bisogna. Affaticar con smoderato riso . Il fianco, mentre
deve ancor nel riso. - Dar proprio, delle donne urf dolce sùono'.
V’ è pur chi in mille guise il volto- Con male acconce risa*, ed altra
credi Piangere allor che tutta allegra ride$ Quella tramanda un,
rauco suono ; e stride Cosi inamabilmente, che ^assembra ; Asìnella
che ragli, allor che intorue s 5 Alla macina gira.^E'do Ve l’arte ^
Non giugno ? Coù decòro itnpajfan ) A lacrimare, e come, e
qhandò sembra, ^ Loro opportune. E che dirò di quelle. Che
niegano agli accenti intera forma, E fan con studio balbettar la
linguaf ^ Credon che sia lìa grazia ancor nel viziò^. E pronunciano
mal varie paròle^ • Digitized by Google
rrii E con arte studiata altre ne lasciano. A
tutto ciò, che ben giovar vi puote^ Ponete cura, e con femineo
passo Imparate a portare il corpo vostro^ Havvi nel portamento
anco il decoro. Con cui si fan fuggir , con cui si allettano^
Gii uomini ignoti. Muove questa il fianco Con arte , ed ondeggiar lascia
le gopne Air aure in preda, e stesi i piedi porta Con maniera
superba. Altra cammina Qual deir umbro marito la consorte (4o).
Rubiconda, e con piede in dentro volto rapassi move smisurati •y in
q^uesto Serbisi, e in altro pur giusta misura» Rustici ha questa i
moti, e troppo quella^ E molli e ricercatk LMraa* parte Della
spalla, e r estrema ancor del braccio Di nuda, onde chi posto è al manco
lato Veder la possa. -Hi special modo a voi Gioverà che qual neve
avete bianca Ina pelle. Quando questa io mira, sem-pr^ Sulla spalla
scoperta i bacci imprimo. Col dolce suon della canora voce
Fermàr le navi più spedite al corso Le Sirene* del mare iniqui mostri.
(41) {40) Condanna Ovidio a ragione come rozze le mo¬ gli
degli Ultori popoli forti e a un tempo stesso /«- voci f che abitarono in
Italia sul monte Appennino, (41) I>c Sìrerse sono tre barbari mostri
che dimora¬ rono nel mar di Sicilia, Col suon lusinghiero deWar¬
moniosa lor voce'allettavano queste in tal maniera i naviganti , che si
lasciavano essi predar facilmente. Ulisse per evitare un tanto pericolo ,
chiuse con la cera ^^^cchie suoi compagni^ e si legò strettamente'^
M albero della na^e ^da cui si disciolse dopo jia
Udite qneste, se medesmo sciolse DalParbor della nave, e con la
cera Chiuse Ulisse accompagni ambe le orecchie. È lusinghiero il
canto . Le fanciulle Apprèndano a cantar ; la voce a molte Senza bellezza
conciliò gli affetti. Cantino quel che udirò ne’ marmorei Teatri
f ed or versi costrutti in metro (42) Niliaco; e culta femina
tenere Sappia per mio giudizio or nella destra 11 plettro , ed or
con l’altra man la cetra. Il tracio Orfeo con la sua lira mosse ( 43
) Le fiere, i sassi, le paludi stigie, Ed il triforme Cane .
O della madre Giusto vendicatore al canto tuo Cortesi i sassi
fabbricar’ le nlura. Benché sia muto, il pesce ( è nota al
mondo Favola) al suon del arionia lira( 44 ) sentito il dolce
cànto di quelle . Le donne imparino dunque a cantare ,se ooglionsi
conciliare, come dice Otfidio , P qmore degli uomini, ( 4 ^)
E!ran famigliari a* Romani le canzonette ame^ rose , e spesso lascile ,
ahe si cantavano in Egitto , ove scorre il celebre fiume Nilo, (43)
Orfeo nato in Tracia da Apollo e da Calilo • pe col suono armonioso della
sua Lira fece sì che gli corressero dietro per ascoltarlo , gli alberi ,
i sassi , i fiumi , e le beloe feroci : Quand* egli intese la morte
d* Euridice sua moglie , scese con la lira all* Infernot e con quella
intenerì talmente gli Dei infernali, che a lui la restituirono , purché
non ardisse di riguar-- darla prima d* uscir dall* Inferno, Non p9té l*
amo^ toso consorte obbedire a tal legge , e però ella dovè
involarsi a* suoi sguardi subito ch^ ei la mirò ( 44 ) Anfione
figlio di Giove e d*Antiope indusse le pietre col suon della Lira a
fabbricar le mura della città 4i Tebe. Picesi vendicator della madre,
perchè. Si fe* pietoso . Anco a toccare impara Con Tana e l’altra
man le dolci corde Del Salterio ; son atte a* cari scherzi*
Di Callimaco a te smn noti i carmi. Quelli del eoo Poeta , e
quei del tejo (45) Vinoso Vecchio. A te Saffo sia nota (Son più
degli altri i carmi suoi lascivi) E quel per cui viene ingannato il
padre (46) Del servo Oeta con la callid’ arte. Del tenero
Properzio i versi leggi, O quei di Gallo, o quei del buon
Tibullo, O i velli insigni per le bionde fila (47) insieme
fratello Leto la vendicò dall* ingiurie , che recatale Ideo di lei marito
y col trucidarlo nel letto y ove lo sorprese con Dirce sua concubina y a
cui pure tolse la vita. Atwne nacque in Metinna , e fu im
eccellente Po&^ ta lirico , e nel tempo medesimo un ricco
mercante. Ufosid alcuni suoi comùttadini dal desiderio di godere
delle sue ricchezze fissarono di gettarlo in mare, men*^ tre egli se ne
tornala alla patria. Accortosi di ciò Arione cantò intrepidamente una
canzonetta , ed un-' Delfino , allettato da una sì dólce melodià ,
Vaccai^ se sulle sue spalle y e lo portò in Tanaro promontorio
della Laconia, (45) Accenna ora Òoidio i Poeti che piacevano
ai suoi tempi , e per lo stile e per le materie galanti , come a*
dì nostri piacciono Ariosto , Passo , Guaritù , è Metastasio ec.
Fiteta fiorì a* tempi d*Alessandro Magno per li suoi' versi
elio^afici , e dicesi eoo Poeta y perche Coo /if ia sua patria.
Anacreonte nacque in TeJo , e scrisse mol^ te canzoni veramente leggiadre
in onore del buon vi¬ no , delle donne y e del giovinetto Batillo.
(46) Terenùo compose una commedia, in cui il padrone , ed il
fratello sono ingannati da Geta asti^^ to lor servitore.
.'(47) ^^^^one Àttacino cantò ne* suoi versi la spe^ dizione in
Coleo degU Argonauti. Il vello d* oro , che jbyGoo'gle
ii 4 Che far fanesti, ó Prisso ^ alla tua aaara
Cantati da Varrone, q il pio Trojano Di coi non y’ha nel Lazio opra più
chiara. Ma forse un dì con 'questi andrà conginnto H nome nostro,
nè i miei scritti in Leta Saran dispersi/Dirà aldino : leggi ,
I culti versi del maestro nostro^ Con cui poteo far dotti
uomini c donne.^ Fra’suoi tre libri che hanno infronte scritto
II titolo d* amor 9 scegli que^ verai ( 4 j 3 )t Che legger tu
potrai con docil bocca Più mollemente ; oppur con ferma voco ,
Canta P Eroìdi , ignota opera agli altri Ch’egli compieo. Ahi cosi
piaccia aFebo^ Pel corno a Bacco insigne/ ed allò Muse, Numi che
son propizj a noi Poeti. Chi dubitar potrà ch^ìo la fanciulla
Non voglia al ballo istrutta, onde poi toltq Il vino dalla mensa » ella
le braccia Volga in composte ed ordinato moto? Amansi i danzator
che della scena Sonò spettacol, perchè san con arte : V
Saltare y e con decoro. Io mi vergogno Di doverla ammonir di tenui cose,
_ questi ivi andarono a conquistare , fu funesto ai Elle
sorella di Frisso y perchè ella , come si è accennato y cadde miseramente
in mare , mentre il Montone ador^ no d* un tal vello la portava insiem
col fratello ih Coleo,, Tl pio Trojsno h, come è noto y Enea, sulle
aùoni del quale ha scritto Virgilio quell* aureo Poe» ma che porta il
nome d* £aeidb. {èfi) Ovidio fra l*altre sue opere annovera
ancora ire libri d* Elegie intitolati gli Amori, ed un libro -
intitolato V ^roidi , perchè comprende ventuno lettere amorose y che fa
scrioère scambievolmente dagli Eroi all’Eroine^ e dalfEroioe agli
£roi. P’istruirla a gettare or l’aliosso, £ a conoscer de’
dadi anco il valore. Or tre numeri getti, ed ora accorta (49)
Pensi qual parte segua acconciamente E qual richieda. Canta in finta
guerra (5o) Muova i soldati, che da duo assalito Nemici uno
perisce. Il Re sorpreso Senza la sua compagna ^ si difenda Da se
medesmo , e f’emulo ritorni Per lo stesso seotier.' La tasca è
aperta^ E ornai son sparse le pulite palle; (5 i) Quella che
prendi sol muover tn dei. Ravvi un: gioco diviso in tante parti
(Sai Quanti numera mesi il luhric^anno. Breve tabella prende
da ogni parte (S3)- Tre tenni pietre, e il vincere consiste Nel
disjpor queste in una dritta Mille giochi vi SOI» che turpe fia A
una donzella d* ignorar ; col gioco Si può l’amore conciliar.
Leggiera Fatica è appreodero a giocar ; maggiore Opra é il compmrre
allora i suoi costumi. C49) Non sappum Diramente per qual ragione
si~ éovesse procurare tempi, in cui vivcóa Ovidio di gettar tre
numeri nel gioco d^ Dadi. ^ 5 “^ •S£r»/erÌjco»o questi versi al
gioco degli Scacchi. (Si) questo un gioco, di cui non possiam
dare tucuna notula. Sembraci f che sia questo il gioco, che r
pure * *** dell» Dama. ( 53 ) Alludeu (d gioco del Filetto,
che . or gioeano' nule campagne i ragazzi. Così b decaduto un gioco
- 0^ formava la delizia delle Dame romane, e coi» aecaderanno ancor
quelli che si hanno in pregio a‘ dk nostri, ® ' Digitized by
Google Mentre s’applica al gioco, incanti siamo, E i
reconditi sensi alloc dell’ alma Facoiam palesi. Ci deforma il volto ^
j Il cieco sdegno, e sono ognot col gioco Il desio del
guadagno , le .pontese, » 11 sollecito duol, le stolte tìsse.^
j Rinfaccìansi i delitti ; di clamori * V aere risuona,
e in sno favor s’invocano Gl’ irati Dei. Non v’ è fede nel gioco Il
qual co’ voti non divìen secondo; Vidi le gote ognor molli di
pianto: Da voi che amate di piacere all’uomo, Giove tenga
lontan questo delitto. Diè la pigra natura allo fanciulle
Silaili giochi ; ad altri pii sublimi S* applica l’ uom : per
lui sono il paleo» ( 64 ) I dardi, 1 ’ armi , le veloci
palle; E il cavallo costretto a gire i^^no. Voi non
acosf^il’-campo.o'ra gelata ( 55 ) Vergin , nè voi sulle sue placid’ onde
j Porta il toscano fiume* Ah ! voi potete Gire all’ ombre pompeje,
anzi vi giova ( 56 ) 1 Quando i destrier del Sole ardono il capo
(5 4 ) H Paleo i urto strumento fatta a guisa Jt trottola, eoi
quale giocaoano i fanciulli romani fa- tendalo con una sferza girare
intorno. ( 55 ) Nel Campo Marzio si esercitavano » romani in
tutti que’giuochi cU potevano «P***^"'^* • renderli valorosi
guerrien. Era ivi ta Vergine dalla fanciulla che ne scopri la
sorgente, ed in quella si lavavano i giratori le di
polvere e di sudore. Il Tevere e qui detto fannie tascsno, perchè
dall’Appennino la Toscana nel f<u-t il siSo corso alla wta di
tioma. ( 56 ) Annoi, q. del fàh. I, ^ Digitized by
Google Alla vergin celeste. I sacri a Febo (5^)
i’alagi visitate ; egli sommerse In alto mar le paretonie navi.
I monumenti ancor» che fur costrutti» Dovete frequentar, da Ottavia
e Livia ( 58 ) Una suora del Ehjce, altra consòrte, E quelli
pur del valoroso Agrippa, Che ha cinto il capo di navale
onore. Della menfitica Iside agli altari (69) Siate frequenti
, ov^ ardesi P incenso, E ne’luoghi cospicui a’tie teatri.
Di caldo sangue le macchiate arene Ite a mirare, e la prescritta
meta. Rapido intorno a coi si volge il cocchia. Quel che si
cela ò ignoto , e ciò che è ignoto Nessun desio risveglia ; è lungi il
frutto Se manca il testimone a un bel sembiante. Benché nel canto
superi Tamira (60) ( 5 ?) Dicé con Ovidio ancora Virgilio, che
Apollo nella guerra Azziaca prestò il suo soccorso ad Augu^ sto y
il quale aveoagli innalzato un ternpio nel pro^ prio palazzo . Apollo in
conseguenr^a , ^Hcondo questi poeti , sommerse le navi egiziane deste
paretonie da Paretonio città marittima d*Egitto , che Pompeo avem
va armate contro d*Augusto. ( 58 ) Ved^i l*annot, 8 e g del Libro
/. Augusto decorò A grippa suo generò della Corona navale dopo
d^aver debellato Pompeo ^ ed innalzò al medesimo un portico y che fu
chiamato il Portico d’A^rippa. (59) Annoi, li del Lib, /. Dice
Sirabone che gia¬ cevano tre superbi Teatri in vicinanza del Campa
Marzio. (60) Fu Tamira un poeta tragico che ardì con la sua
lira di provocare le stesse Muse ^ credendosi a quelle superiore nella
dolcezza del cantoma\dalle medesime fu vinto , ed in pena della' sua
arrogwiza gli furono tolti gli occhi. Digitized by
Google ii8 Ed Àmebeo , sarà priva d’
onor« L’ ignota cetra» Se di Coo il Pittore Vener ritratta
non avesse^ immersa Sare^bbe ancor nelle mailne spume. £ che
ricercan maggiormente i sac^i Poeti che la fama ? E questo il fine
Cui tendon tutte le fatiche nostre. Fur de’Numi e de'Re delizia un
giorno. 1 Poeti , ed immensi ottener premj I cori antichi*
Venerando allora, £ d’ una santa maestà ripieno Fu questo
nome, ed ebbero sovente Larghe ricchezze. Ennio che il suo natale
Trasse ne’monti calabresi , degno Si fé’ d’esser unito al gran Scipione.
(6i) Or giaccion senza onor Federe, e il nome Ha d’inerte colui,
che i sacri studj Cari alle Muse a coltivar s’accinge» Giova
cercar la fama, e chi d'Omero Contezza avrebbe , se in obblió
sepolta Ateneo^ Plutarco ed altri parlano con somma lo^ de
d*Amebeo ateniese , perchè sonava eccellentemen- te la cetra, Apelle
nativo di Coo dipinse Venere nel- ratto di uscire dalVonde marine \ ed
Augusto coliocè una tal pittura nel Tempio dì Cesare suo Padre,
(6i) ÉrUiio è tra i Latini un poeta che si può da- gV Italiani
paragonare a Dante. Ennius ingenio maximus , arte xudis.
Owd. Trist, Ub. IL EL I, Fu egli, nativo di Rudia in Calabria
, e visse som¬ mamente caro a Scipione Affricano il vecchio , ed a
molti altri insigni Cavalieri romani. Morì in età di anni settanta , e
dicevi che fu collocata la sua sta¬ tua di marmo nel sepolcro degli
Scipioni. Cicerone ^ro Archia Peata , così parla di ciò : Garas fuit
Af- iiricano superiori ngster Ennius ; itaque in tepulcro ScipioQum
putatur is esse constitutus e marmore. L'Iliade o^ra imxnortal
foase rimasa? ^ Chi Danae conosoiata avr^a , se ascosa (6a) Posse
étata mai sempre^ e «e già vecchia' Si fo8a''ella lacchiusa eptro la
torre? Utile è a voi , bèllé e vezzose donne, Di porre oltre
le soglie il vago piede< La lupa a molte agnello insidie
tende Per predarne una, e sopra molti augelli Vola 1 Augel dj
Giove. Il volto mostri Sposa_ leggiadra ^1 P®poI<>> o fra
molti Un solo appéna rimai^rà sua preda. In ogni loco ove si
tro^ , attenda Sempre a piacere; ed abi>ia special cura Di sua
bellezza. Puote in ogni incontro Sempre molto la sorte. Getta
l’amo, Chè in quel gor^o, ovemen lo pensi, il pé^co t alor SI
trova . Erran sovente indarno Per boschi montuosi i cani , e il
cervo Cade fra’ lacci, mentre uinn l’insegne. D Andromeda
l^ata a un duro scoglio ( 65 ) Il niT*** *Pf far, che a un uom
piacesse Il pianto sue ? ài cerca spesso un uomo Ne funerali
del marito ; i crini Sciolti portar conviene, e sian la gote
Di lagrime bagnate . Ma fuggite Gl, uomini che d’aver le
^mbra adorne hi fanno un pregio ; della lor beltade
Vanno superbi, e portano le chiome Con ricercata simmetria,
disposte. Ciò che dicono a vói, dissèro a m{llé; D’ uno
in un altro àmot Tàgando vanno , Senza restarsi in dmha "parte
mai. Che d’un tal uomo effemi,nato., a cui Forse molti non
mancano amatori. Dee fer la donna ? 11 crederete appena.
Ma credetelo'pur , Troja' àncor ferma ( 64 ) Starebbé,se di Priamo
avesse ih uso\ ‘ Posto gl* insegnamenti . H'a^yi di quelli Che
sotto il mantó di fallate amore ^ ■V* assalgono , e tiòèrcan coh‘
tai mezzi Vergognosi guadagni . Ntìn la chioma Per il liquido nardo
nitidissima ^ V'inganni, o breve fascia con cui stringa Le pieghe
della veste ; nè v’ illuda Toga che sia di tenue,fil tèssuta;^
O anel con cui s’adorni uno o più. dita. Chi fra questi è più
colto, è forse un ladro, E d’ amore arde per la ricca veste.
Gridano spesso le spogliate Donne; Il mio a me rendi, e il suon per
tutto il foro Rimbomba, e s’ode ; a me deh rendi il mio. Tu da tuoi
templi d’oro adorni miri Con le femmine d’ Appia indifferente, ( 65
) Venere, queste lìti , Ancor vi sono Pessimi nomi'pei^'non dubbia,
fama-. ( 64 ) Priamo iruinuava «’ tuoi Trojatti di rtrtdtr
^( 65 ) àoeva nella via appia tomo al quale abitarono molte
donne sacrifici che queste rendevano a quella lor lare
, consistevano in prestar liberante tl lor corpo alle voglie
sfrtnatt desìi uomm Iwrnnio E molte che rimasero ingjinnatp Da
molti amanti, or d’ un egual delitto Si trovan .ree. Dalle quetele
altrui; Imparate a; temer le^ vostre ; chiusa, Sia mai sempre
la porta ad uom fi^lace. Donne ateniesi, uon prestate fade (j66)‘
A Teseo ancor, che giuri • In testimonio» Come invocolli nn giorno,
i Numi invoca. Tu del delitto, oJDemofonte , erede. Di Teseo
più non meriti credenza, (67) Perchè ingannasti Fillide . Se molto
A te pròmetteran, loro prometti j * Con eguali parale . So di doni,
Ti siano liberali, lor concedi I promessi piacer, ma se gli
nìeghi II dono ricevuto, ancor potrai. La fiamma
estinguer deUa vìgil Vesta, (68) Rapir da’templi dTside gli arredi,
E air uom porger T. aconito mischiato Con la trita cicuta«tll mio
desire , Mi spinge ora a ;fcenarmi, e: tu ritieni. Musa , le
brìglie : nè le mosse rote * Ti dian.terror» Tentino in prima il
guado Ov..Arte d-am. (66) Teseo abbandoni Arianna in
Nassa, (67) Demofe^nte non serbò a Fillide la premesti^ di
ritornarsene a lei dentro due mesi, (68) Con questi versi vuol
significare il poeta che è capace di commettere ogni sceUeratezza quella
don~ na , che nega il favor suo a quegli uomini da* quali ha
ricevuto de^ doni, Riputavasi in fatti da* Romani un enorme delitto il
rapire il fuoco custodito dalle Vestali, o i .sacri arredi del tempio d*
Iside; e da ogni nazione si è creduto sempre colpevole colui che
porge alVuQmo /^aconito con la cicuta , cioè il vet^no. Xrli scritti
fogli, e T inviate cifre Riceva accorta ancella . Apprendi e vedi
Dalle stesse parole che tu leggi, Se finga, o par se son sinceri i
prieghi. Dopo breve dimora ognor rispondi^ Mentre , se è
bre;i^e, è stimolo agli amanti. Deh non prometti al giovin che ti
prega D’ esser docile mai, ma in duri accenti Non.gli negar ciò che
dimanda . Tema E speri a un tempo^ e ognor che tu il licenzi Sia
minore il timor, maggior la speme. Scrivi culto parole e consuete,
Che un famigliare stil più eh’ altro piace. Ah quante volte arse
per dólci note II cor di dubbio amante , e fu nociva Una barbara
lingua a bella Donna! Benché voi siate nell* ònor perdute.
Tutte le cure vostre or son dirette A ingannate i Mariti . Idonea
mano D’esperto giovin, di fidata ancella Rechi le dolci lettere , e
tai pegni Non sian fidati ad un novello amante. Vidi ben spesso
impallidir le donno Per tal timore , e vìvere i lor giorni
Miseramente in sehìavitudin dura. Perfido è quei ohe tali doni
serba. Che qual fulmine etnèo sono in sua mano. Si può tener,
se al vero io non m’appongo, Lungi la frode con la frode ognora;
Contro gli armati impugnar 1 ’ armi, logge Nissuna vieta . A imprimer
sulla carta S’accostumi la man diverse cifre. Ah ! peran quelli
contro cui vi deggio Avvertir di tal cose. In foglio mondo
Digitized by Google 123 La risposta si scriva ,
onde non sembri Da due mani vergato . Al suo diletto Scriva la
donna, .come un uòmo amante Scrive air amata » ed usi V uom V
opposto. Ma da lieve materia innalzar V alma Ora a me piace a più
sublimi cose, E le vele spiegar gonfie dal vento. Opra
è del volto i rabidi trasporti Saper frenar : candida pace all*
nonio Convien come alle belve ira crudele. Si fan per Tira
tumide le guancie; Vengpn nere le vene, e inocchio splende Più
truòemente del gorgòueo ‘fòco. (69) Vanne lungi da 'metromba
importuna^ Disse’Pallade ^ allór che il volto suo (*^0) Mirò )iel
fiume . Se voi iii mezzo all’ ira Riguardate lo specchio ^ alcuna appena
^ liistinguére pbtm W figura. ' Nè dannosa a Voi supérbr^^
facòià j TurgidJ il voltò ; có^ be^nigiii sguardi Deèsi a^es9ar 1 ’
amóre ‘J Odiahio ( e voi Già 1 fó^cre((efé che. ìie siete esperte)
‘ I fasti inambderatl^e spesso chiude Deir odio 1 sómi
taciturna faccia. / Guard^ ^uel che ii mira , e ùi olle mente
Sorrmi 'a^ueì cjhe rid^ e se à te un cenno §ia .
Gorgoni étart t^e mostri \^enimente orribili per ìaHesta
^circonddia di serpi , e per Vocchio spaven^ tegole che ateoanò in: mezzo
alla fronte . Chi fissava occhi in faccia*'alle medesime , rimaneva di
sasso, (70) Pallàde / sécorido^alcuni y gettò via la tromba, perdhè
^s’accorse chè ih sonarla si faceva troppo gòHf^ la faccia. ‘ ' Con
tai preludj il favcitilletlo Amor» Pose i rozzi da parte, e diè di
piglio A! dardi acuti della sua faretra. Vadan lungi da noi
le donne meste; Ajace ami Tecmessa t noi sol puote Tener
ne’lacci suoi lemina allegra. (71) Non fa giammai che a voi porgessi preci,
O Andromaca o Teome^sa , onde a me foste O r una o Valtra amiche. Appéna
posso Creder che in letto maritar giaceste, Quando, a crederlo
astretto io son da^iiglL Fprse ad Ajace la dolente sposa ‘ Avrà
detto : mia luce, e gli altri accenti, Cari agli uomin|^ tanto f £ chi
mai Vieta, Applicar gravi esempli a tenni cose, E di guerrier
non paventare il npmef Cento soldati a questo^ il Duce esperto
(72]^ Diè a regger cop la vite ,|è a quello cento Cavalieri, e
lasciò'T altro in custodia ^ Delle l^andiere A; qual vedete impresa
Atti noi siamo ; e^nel suo posto'o^gntipo ^ Venga locato. Un ricco a voi
dia doni^ ' Vi sia propizi o, il Giudice , e ; il facondo ‘ Difenda
i dritti vostri .'|loi poeti , Donp possiam far solo di
carmi. 3a più degli altri amare il coro nostro; (71}
Andròniaca dopo ìa rnòrté ^&toré amato sud sposo , r dopo V incendio
di-Trofa-fpssssò for i rn i s uns nm ti alle nozze di Pirro ^ e però
vìsse con ^uosto/s^ssai malinconicà. Teemessa , moglie di Ajace, er^
una schiava y e però, secondo Ovidio y. doveva aver sempre Vanirne
occupato da una grave, tristezza* (711) Da/ Comandante solevansi
affidile^cento sol- dati al Centurione il quale aveva per sua insegna U
9 ramo di vite. Uua grata beltà cott ampie lodi Sappiamo
celebirare , e va fainoso Dì Nemesi per noi, di Cinzia il nome.
(78) E dove nasce, e dove muore il Sole Conobbero Licori., e
chieggon molti Chi sia Corinna nostra. Aggiungi a questo Che son T
insidie ignote a" sacri Vati, Che giova V arte nostra a^ lor
costumi. Kpa ambiziosa voglia, e non desio D’aver ci punge . Noi
sprezziamo il fòro E son graditi a noi V ombra ed il letto. Facili
amiamo ognor con certa fede, £ in vasto incendio, il nostro core
abbrucia. Con placid’arte docile T ingegno Facciamo , e ben s*
adattano co* nostri Studj i postumi. A* Vati aonj, o donne. Siate
indulgènti, che gl^inspira un Nume,. E lor son fauste le pierie uive.
(74) Ci agita un Dio.; abbiam col Cièl commercio;. Ci vien lo
spirto dall* eteree sedi. * Chiedere il pre^o è scelléra^in grande
Ad ottimo Poeta . Oh me infelice. Che scelle raggio tal piti non si
teme Dalle jauciulle • ALmen dissimulate, Nè vi fate veder
tosto rapaci. No , non cadrà nella prevista rete Un novèllo
amatore . Il Cav^aliero (y3) Nemesi fu amata a celebrata da
Tibullo, Cia* zìa da Properzio , tdcori da Gallo , a Ovidio ha^da^
to ne^ suoi versi alla propria amante il nome, di Corinna.
(74) Le Muse si chiamavano le Dive pierie , 0 per^ chi abitarono
nel monte Pierio in Tessaglia , o per-- che vinsero e trasformarono in
gazze le figlie di Pierio.Non reggerà T indomito cavallo Al par di quello
che già al freno è avvezzo* Nè lo stesso sentier batter tu dei Per
adescar la verde gìoventude, E le menti già stabili per gli
anni* QuelP inesperto, che la prima volta Sotto si pone all*
amorose insegne. Che preda nuova nel tuo letto giacque. Te
sol conobbe, e a te sia unito ognora; Si cìnga d’ alte siepi una tal
messe. Schiva d’aver rìvjaì;ta vincerai, S* ei r amor suo con
altra non divide; 1 regni e amor non vogliono compagni. Quel
che invecchiò nell’ amoroso agone. Con prudenza amerà, saprà
soffrire Ciò che invan soffrirla guerrier novello. Non frangerà le
porte, e non furente Fiamma v’ applicherà. Non dell’ amata Farà con
1’ unghie ingiuria al delicato Volto ; e non straccerà della
Fanciulla Le vesti, e non le proprie ; e per dolore Non svellerassi
i crini • Questi eccessi Convengon solo a’ Giovanetti acerbi Caldi
per poca età, per troppo amore. Tranquillo ei soffrirà la cruda
piaga; Qual face inumidita a foco lento Abbrucìerassì, o
quale in giogo alpestre Fresco ramo reciso : è quest* amore Più
certo , è quel più breve e più fecondo. Con sollecita man cogliete i pomi
Che fuggon. Tutto ormai s* insegni; schiuse Son le porte al nemico ; e
siate fide Mentre ingannate altrui. Facil Donzella Puote mal
conservare un lungo amore. Sla la ripulsa rara » e venga
sempre Da lieti scherzi accompagnata • Giaccia Alla porta nrosteso
, alto gridi: Porta crudele ; e molte cose umile Faccia 9 e
molt^ altre minaccioso. Il dolce Noi mal soffriam ; ci sana il succo
amaro; Pere spesso la nave » e fausto ha il vento. Ecco perchè non
amansi le mogli; Seco stanno i mariti a grado loro.
Chiudi la porta 9 e in aspro suon TuBciero Gli dica f entrar non
puoi ; escluso, in seno Di lui per te si desterà l’amore. Deh
riponete i rintuzzati brandi; Con gli acuti si pugni, ch^ io con
l’armi Mie già non temo d’ essere assalito. Mentre ne^ lacci un
amator novello Cade, gli fa sperar xhe del tuo letto Solo godrà ;
poscia il rivai conosca E i divisi piacer ; senza quest’ arte Amor
illanguidisce • Il generoso Destrier,se venga dal suo career
schiuso. Corre velocemente , se il preceda Altri nel corso, o se lo
segua . Estinto Ancor che sembri l’amoroso foco Con nuova ingiuria
si riaccende, ed io, Lo deggio confessar, soltanto offeso Nutro r
amor . Non troppo manifesta Sia la causa del duolo ; e ansioso creda
' L’ amante che maggior fia ancor l’offesa Di quello che gli è noto
; ed or l’inciti L’aspra custodia di fallace servo, n geloso rigore
or del marito; E men grato il piacer senza contrasto*
Digitized by Google I2S Èeiichè tu sii di Taide
più. }asciya,(75) Fingi timpri ; e ancor che per la porta Meglio il
possa introdar , fa eh’egli venga Dalla finestra, e nel tuo volto i
segni Mostra di Donna da timor sorpresa» Venga l’ancella
frettolosa, e dica: Ah siam perduti 111 trepido Garzone
Allora ascondi; col timor si debbe Mischiar piacer sicuro, onde
1’apprezzi» Come il marito accorto e il vigli servo Si possano
ingannare i’avea taciuto* Tema una Sposa il suo Consorte^ e
viva Certa che altri la guarda ; è ciò decente; Vuol ciò il padoi:,
la legge, e F equitade. Chi soffrirà che custodita sii Tu , che or
la verga del Prétor redense? (76) Odiose vuoi ingann^kT, miei sacri
carmi» T’ osservio puro occhi miglior di quei (77) Ch’ebbe il
guardiano d’io , sii risoluta, £ tesserai l’inganno • E puote
invero Chi t’ ha in custodia a te vietar che scriva Se non si vieta
a te di gire al bagno? E se potrà, de’tuoi segreti a parte,
(75) Terenzio ha dato il nome di Taide ad una donna lasciva, che
forma la parte principale della sua Commedia intitolata /^Eunuco.
(76) Parla qui il poeta delle donne schiave y che divenivano libere
quando il Pretore aveva toccato al» le medesime il capo con una vèrga
detta yindiqta , e che occupavano nelle case delle Matrone Romane
unposto corrispondente a quello delle nostre Cameriere. C77)
(Giunone diede, cento occhi ad A^go custode d'io, perchè potesse
soddisfare esattamente al suo incarico, ma il Dio Mercurio Pàìsdpì col
suono del* la lira , e gli recise la testa. Digitized by
Google 129 Recar V ancella i foglj
ricoperti Nel caldo seno da una larga fascia^ O nasconderli
avvinti infra le gambe, O sotto i piedi f Se a tè ciò il
custode Vieti , P ancella porgerà le spalle Di carta invece, e
porterà su queste li^amorose tue cifre impresse. Un foglio Con
fresco latte scrìtto inganna 1’ occhio^ Con la polve l’aspergi del
carbone, * £ legger lo potrai • Del paro inganna Lettera pura
in cui sia stato scritto Con la punta del lino inumidito, E
le note ‘segrete incise porta . (jB) Intento Acrisie a custodir la
Figlia, (*^ 9 ) In opra pose ogni più esatta cura: Eppur col
suo delitto il fece eli’ avo. E che farà il Custode, se
cotanti Sono in Roma Teatri, e se a suo grado (^8) Non
mancano a^dì nostri degli inchiostri sìrw^ patiei y che superano ne^loro
effetti la virtù degli antichi. Con un^ oncia di Ut or girlo y e cinque
d^ace» to stillato si fa un composto , che chiamasi aceto di
Satarno. Con questo si scrioe sulla carta bianca , e quando è asciutta
non si scorgono in alcun modo i caratteri. Si sparge quindi sopra la
carta una picco^ la porzione d* un liquore fatto con un* oncia d* or
pig¬ mento e due once di calce viva sciolta nell* acqua ; éd allora
compariscono i caratteri d*un coloraperfet’- tamente nero. Il
calore e la luce coloriscono altresì i caratteri scritti con alcune
soluzioni metalliche allungate con Vacqua , cioè con quella dell* oro ,
dell* argento , e principalmenie del bismuto. La tintura di galla è
pure ì^n inchiostro simpatico , purché si faccia passar sopra di essa una
qualunque marziale dissoluzione, ( 79 } Annota (a del lÀb.
presente. Digitized by Google i3o
Può rimirar le corse de* destrieri f Quando nel tempio d’Isi
assister puote (8c) Al concerto de* sistri, e p^pte in altri Lochi
ella gire » ove l’ingresso poi È vietato a’ compagni ? Se da’
templi Della Dea Buona può fuggir gli sguardi (8i) D’ogni uom fuor
di quel eh’ ella desia f lyientre il Custode fuor del bagno serba
Gli abbigliamenti della sua Padrona, Se può mrtivo nel; sicuro
bagno Celar 1* Aàotante ? Se ove 1’ uopo il chiegga Per finto morbo
giacerà 1’amica, , O se per vero , a lei cederà il letto? .
Quando la chiave adultera col suo Medesmo nome cosa far c’insegna^
Nè sol la porta dà il bramato ingresso? S’inganna pur con
molto vin la cura Di vigile Custode , ancor che colte Vengan l’uve
nell’aspro ispano giogo. (8a) Vi sono ancora i farmaci che al sonno
Aggravan le pupille quasi vinte Dalla notte letea • Nè mal
trattiene La non ignara ancella l’importuno Con le tarde delìzie,
end’ ella possa Star col suo vago quanto più le piace. Che far
tante parole, e cosi lievi .Gli uomini non potevano interpénire nel
Tenu» pio d'Iside , quando le donne celebravano le sue fo» ste col
serbarsi , almeno apparentemente, easte per molti giorni, (81)
Era agli uomini vietato V ingresso nel Tem» pio della Dea Buona o sia di
Cibele. (8fl) Denota il Poeta il vin poco generoso, che i
Romani facevano venire dalia Laleiania in gna provincia di Spagna*
Porger precetti , se con picciol dono Si corrompe il Custode ? A
me lo credi. Gli Uomini e i Dei guadagnansi co’doni, £ i doni
placan pur lo stesso Giove. Che farà il saggio , se de’ doni
ancora Gode lo stolto ? Ricevuti i doni, Si farà muto anco il
marito istesso. Per tutto Panno guadagnar si debbo Una volta
il Custode , e quelle mani Che un di vi diede, vi darà sovente.
Feci querela , e l’ho ferma in pensiero Che temer si dovessero i
compagni; Nè diretta soltanto all’ uomo è questa. Se
credula sarai, carpirann’altre 1 tuoi piaceri, e avrai cacciato il
lepre Per esse. Quella, che t’appresta il letto, E che
officiósa a te concede il loco. Giacque più. volte , a me lo credi,
meco. Nè troppo bella sia l’ancella tua; Sovente meco
fe’della padrona Ella le veci. Ah ! dove ora mi lascio Io stolto
trasportar ? Perchè contrasto Col petto inerme contro il mio
nemico, Ed io da me medesmo mi tradiscof Come pigliar si
debba al cacciatore L’auge! non mostra y ed a’ nocivi cani Come
inseguirla non la cerva insegna. L’ utll vostro mi piace : io
fedelmente Vi spiegherò i precetti , ed alle donne Di Lenno io porgerò
contro il mio fato Lè Donne di Lenno in una notte, uccimo i
loro mariti , e però Ovidio sotto il nome di tende quelle che con gli
uomini sono troppo severe» Digitized by Google
iSà Da me stesso il coltello. Ahi fate in modo ( Ardua non è
V impresa ) che crediamo D’ esser amati , mentre ogutìno crede
Farcii ciò che desia. La donna miri Con infocato sguardo il fido
amante, Tragga dal sen sospir profondo, e chiegga Perchè sì tardi
venne. Aggiunga il pianto, E finga gelosia della rivale, £
gli percota con le mani il volto. Tosto vivrà sicuro, e nel suo
petto Facile nutrirà per te pietade, E dirà fra se stesso :
ah si consuma Questa per me d*amore i e specialmente Se lo specchio
consulta, e colto sia, ^ D’innamorar ei penserà le Dee.
Ma a te chiunque sii, grave disturbo Non arrechin le ingiurie, e
sbigottita Non ti mostrar, della rivale il nome Allor che ascolti,
e facile credenza Non presta aMetti altrui. Ah quanto nuoccia Il
creder facilmente, a te lo dica Quello che adesso narrerò di Proori. ( 84
) Scorre vicino del fiorito Imetto ^ A’ be’ purpurei colli un
sacro fonte. Di cui le sponde ognor fan grate e molli Verdi
cespnglj . Ivi non alta selva (84) Procri figlia d* Eretteo Re
Atene per sos- petto di gelosia si portò segretamente nelle selve e
né* boschi ad osservar Cefalo figlio di Mercurio , sua Sposo , ed ottimo
cacciatore . Mentre egli prendeva ri- .poso in un ombroso colletto , essa
celandosi dietro alle siepi , mosse disgraziatamente le foghe degli
alberi» Credè Cefalo che s* ascondesse fra quelle una fiera y e
però vi scagliò una saetta che gli uccise la lua dì* letta
consorte. Un l^co forma; gli arboscelli l'erba Ricoprono, e un soave
odore esalano II rosmarin, l’alloro, il negro mirto. Non il tenne
citiso, il colto pino, E il fragil tamarisco ivi già manca^
E non folto di foglie il busso. Scosse Da dolci aeffiretti « e da
salubre Aura treman le foglie mnltiformi, £ le cime dell^
erbe. Ama la quiete Cefalo. Abbandonati i servi e i cani. Ivi
stanco il Garaon spesso s’adagia; Solea cantar : mobil auretta ,
vieni Onde t’accolga nel mio seno, e allevj Il cocente càlor. Le
intese voci Da un malaccorto far recate intere Alle timide orecchie
della moglie. Tosto che Procri il nome adì dell’aura, Qnal
fosse uua rivale, a terra cadde; Ammutolissi pel dolor ; nel volto
Impallidid^ come le tarde foglie. Se colte sieno dalle viti
l’uve. Sogliono impallidir dal verno offese, O i maturi
cotogni, i di cui rami Piegansi, o le corniole ancor non atte A*
cibi nostri. Tosto che; rinvenne. Straccia dal petto suo le tenui
vesti. Con V unghie impiaga le innocenti guance. Jndugie non
conosce, e qual Baccante Mossa dal J'irso , furibonda vola Per le
pubbliche vie, sparsa i capelli. Ma già vicina, in una valle
lascia I suoi seguaci ; intrepida e furtiva Nel bosco con piè
tacito s’innoltra. QuaPera il tuo consiglio, allor che stolta.
Digitized by Google i34 O Procri,
t’ascondeyi ; e quale ardore NelPattonito séno allor ti corset Già
tu pensavi di sorprender l’aura Qualunque fosse, e di mirar
co’proprj Occhj P infedeltà del tuo Consorte. Quivi d’esser
venuta ora Rincresce; Or la rivale di mirar ti piace,
Ed or ti penti ^ opposti affetti in seno Destan tumulto. A creder
la costringe ( Che quel che tenie ognor crede l’amante )
L’accusatore, il loco , il nome. Quando SulP erbe vide impresse Torme umane,
Balzolle il cor nel pauroso petto. Già T ombre brevi aVea il meriggio
strette, E in spazio egual giaceva l’Occaso e l’Orto, Allor che di
Mercurio il figlio Cefalo Dalle selve ritorna, e T innainmate
Guance delTacque di quel fonte asperge. O Procri, tu t’ascondi ansiosa ;
ei giace Sull’ erbe consuete, e vieni disse, ZefHro fucile, o
molle curetta vieni. Quando conobbe il dolce error del nome, AlT
infelice il cor tornò nel seno, E il primiero color sul volto
suo. S’alza, movendo il corpo e move ancora Le frondi
circostanti ; e fra le braccia Va per gittarsi del marito • Mosso
Credendo quel rumor da qualche belva, Imprudente la man slancia
sull’arco. Ed ave i dardi già nella sua destra. Infelice che
fai? non è una fiera, rw Deponi ì dardi.... Oimè la tua consorte
Dalle saette tue giace trafitta. Oh me infelice i eéclamà ; in
petto amico Vibri il tuo dardOi o sposo. Ah che fa sempre Da
te questo trafitto! Io pria del tempo La morte trovo « noa offesa
almeno Da un rivale .^h farà ciò la terra, Ov* io riposi, a
nae cara e leggiera. Fra quest’aure ^ che odiai sol per un
nome. Già spazierà il mipspirto.. oh Dio!•• vacillo... Mi chiuda i
lumi quella destra amata. Le membra moribonde egli sostiene
Nel mèsto seno, e la crudel ferita Con le lagrime asperge^ Ella già spira,
E la bocca del misero marito Lo spirto accoglie che dal petto
incauto Deir infelice, Porcri alfine eeala. Ma sul sentier si
torni. lo debbo adesso Agir palesemente , onde il naviglio
Indebolito tocchi i porti suoi. Ch* io ti scorga a conviti aspetti
forse, E ch^ io ti guidi in questo pure attendi ? Non
t’affrettar; vien tardi, e già sia posta La lacerna i e decente i passi
volgi. Grato è a Vener Findugio, e molto giova. Benché bratta
tu sii, sembrerai bella, Che coprirà la notte i tuoi difetti.
.Prendi co’ diti il cibo ; havvi pur Parte Nel modo di cibarsi ;
con l’immonda Mano cerca n on ungerti la faccia; Nò
mangiar prima in casa, ma t’astieni Dal farlo allor che avrai mangiato meno
Di quel che il ventre tuo capè, e tu brami. Paride, se veduto avesse Elena
Cibarsi avidamente, avria per lei Nutrito sdegno , e detto fra se
stesso: Ah fui ben stolto nel rapir costei! Digitized
by Google i36 Meno disdice a donna il ber , che
Bacco £ di Venere il figlio uniti vanno. Sì beva pur fin che
il permetta il capo, E Talma e ì piè siaxi atti a* loro nfficj , Nè
raddoppiati sembrinti gli oggetti. Donna che giaccia per soverchio
vino, £ turpe, e di soffrir merta ogni assalto. Sparecchiata
la mensa, è gran periglio Cadervi per il sonno; in mezzo a quésto
Molte si soglìon far cose impudiche. Io di stender più innanzi
i^niiei precetti Sento rossor. La figlia dionea Mi disse : utile è
a noi quelPòpra ìstessa Che in se desta vergogna. A voi si sveli.
Donne, ogni fatto. I varj atteggiamenti Noti vi sien , che a tutte non
conviene La medesma figura. Tu che sei Pel volto insigne, giacerai
supina» Quella che ha bello il tergo, il tergo mostri. Recava
Melanion sulle sue spalle Le gambe d’Atalanta ; se sian belle.
Si dee imitare allora un tale esempio. Porti il cavai pìccola donna
; avéa Statura immensa la tebana sposa; (85) Suirettoreo cavai però
non giacque. Quella che può mostrare un lungo fianco^ Prema con le
ginocchia il letto, e alquante Ritorca la cervice. Chi le membra Ha
giovanili, e senza macchie il seno^ Mentre Puomo sta in piedi , ella
corcata Giaccia obliqua sul letto. Nè già turpe Credete scioglier
qual Baccante il crine. (OS) XeSpoifk tsUoa ^ 4fl4rQmcé mQglk
E ondeggiando i capei, piegate il collo. Tu pure, a cui la pronuba
Lucana : Macchiò il ventre di
rughe , imita il Parte Quando combatte sul cavai fugace, ,
Ben mille son di Venere le foggie,. Ma la piò facil, di minor
fatica È quella, in cui semisupina giace Sul destro fianco, I
Tripodi febei,, O il cornigero Ammon cosa piò vera ( 87 ) Non
conteran di quel che or la mia Musa- Se Parte , che ci costa un lungo
studio, Merita fè, credete^, ancor che i carmi Nostri eccedano
forse ogni credens^à» Venere abbrugi le ' midolle e V ossa Delle
donne, e sia caro ad ambedue Lo scambievol piacer. Un mormorio
Dolce, e parole lunsin^hiere e grate Non manchino, nè tacita si
stia In mezzo ascari scherzi unqua la donna., Tu , cui d’amor negò
Natura il gaudio, Finger lo devi con mendace suono; Lucina è
un nome di Giunone , la quale pre^ siede a^ matrìmon) ed apparti, I
Greci dopo d^ a^er ointo i Persiani nella battaglia di Platea, levarono
una decima suUe spo^ glie per fare un Tripode d^ oro eonsagrato ad
Apollo, Ateneo lo chiama il Tripode della verità , perchè si
ritrovavano verissimi gli oracoli di questo Dio, Ammone è un
soprannome di Giove, Quinto Curzio fa menzione del magnifico Tempio che gli fu
edi¬ ficato nella Libia , La sua statua avea la figura d*a- liete ,
e però si chiama cornigero Ammone. Dava essa de* certi oracoli a chi la
consultava , ed era a guisa d* un automa, che crollava la testa per
additare a*Sa^ cerdoti la strada, che dovean fare quando la porta^
vano in processione. Ben infelice e miseranda donna È quella, che a
sa stessa ìnntil tragga^ Inutile pèr Tuomo i giorni suoi.
Mentre e#ò fingerai, che non ti scofira Cerca, é "col moto ,
fin con gli occhi stessi Procura d’ingannar. Faccian palese Un
frequente respiro e dolci accenti Quello , che giova. Termini
novelli Sa la donna inventare in quegristanti» Quella, che chiede
dopo il gaudio i doni, Non sia molesta almen con le preghiere. Nè
il pieno giorno introdurrai nel talamo, Chè giova a voi tener del corpo
vostro Molte cose celate. Ha fine il gioco; È tempo ornai di
scendere da’Oigni, Che sul collo guidaro il nostro cocchio;
E come fero i giovanetti un giorno. Così la turba delle donne
scrìva Sulle spoglie ; Nason ci fu maestro. Gianni Carchia.
Keywords: ars amandi, erotica, il bello, la comunicazione dei primitivi. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Carchia” – The Swimming-Pool Library.
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