Monday, April 8, 2024

GRICE E CATTANEO: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE LONGOBARDA -- VICO E LA SAPIENZA ITALIANA -- IL DIALETTO MILANESE E IL SOSTRATTO LATINO -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

Grice e Cattaneo: l'implicatura conversazionale longobarda -- Vico e la sapienza italiana – il dialetto milanese e il sostratto latino -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Cattaneo; in fact, I LOVE Cattaneo; he is so much like me! I taught at Rossall, and he defended the the teaching in what the Italians (and indeed the ‘Dutch’) call the ‘gym’ not just of Grecian and Roman, but Hebrew – He famously claimed to know Hebrew when he interviewed for a job as a librarian! – From a semiotic point of view, he saw semiotics as the phenomenon the philosopher must consider when dealing with communication – he explored semantics, but also ‘sintassi’ in connection with ‘logic,’ and obviously, pragmatics – He was interested in comparing systems of communication in Homo sapiens sapiens and other species – and being an Italian, he was especially interested in how Roman became Latin – he opposed the Tuscany rule!” --  Grice: “Only a philosopher like Cattaneo is can understand Cattaneo’s contributions to semiotics!”. Figlio di Melchiorre, un orefice originario della Val Brembana, e di Maria Antonia Sangiorgio, trascorse gran parte della sua infanzia dividendosi tra la vita cittadina milanese e lunghi e frequenti soggiorni a Casorate, dove era spesso ospite di parenti. Fu proprio durante questi soggiorni che, approfittando della biblioteca del pro-zio, un sacerdote di campagna, si appassioa alla filosofia, soprattutto dei classici della filosofia romana.  Il suo amore per le lettere humanistiche classiche lo indusse a intraprendere gli studi nei seminari di Lecco prima e Monza poi, che avrebbero dovuto portarlo alla carriera ecclesiastica, ma già all'età di diciassette anni, abbandonò il seminario papista per continuare la sua formazione presso il Sant'Alessandro di Milano e in seguito al ginnasio e liceo classic di Porta Nuova dove si diploma. La sua formazione filosofica fu plasmata, durante gli studi superiori, da maestri quali Cristoforis e Gherardini, i quali gli aprirono le porte del mondo filosofico milanese. Grazie a queste opportunità, oltre alla passione per gli studi classici, Cattaneo inizia a nutrire interessi di carattere sstorico. Sempre in questo periodo furono fondamentali per la sua formazione filosofica le letture presso la Biblioteca di Brera e il contatto con il cugino paterno, direttore del gabinetto numismatico, era anche un importante esponente del mondo filosofico milanese. Altro punto chiave per il percorso formativo degli suoi interessi furono la frequentazione assidua dell’Ambrosiana, grazie alla sua parentela materna Sangiorgio con il prefetto Pietro Cighera, e della biblioteca personale dello zio. La Congregazione Municipale di Milano lo assunse come insegnante di latino e poi di umanita nel ginnasio comunale di Santa Marta. Approfondizza le sue frequentazioni con gli filosofi milanesi, entrando a far parte della cerchia di Monti. Di questi stessi anni sono le sue amicizie con Franscini e Montani. Dopo aver iniziato a frequentare le lezioni di Romagnosi nella sua villa, ne divenne presto amico e allievo. Si laurea Pavia con il massimo dei voti.  Risale il suo saggio dato alla stampa e apparso sull’antologia, si tratta di una recensione all'assunto primo del concetto di “giure naturale”. Saggio sulla Storia della Svizzera italiana. Convinto sostenitore di richieste di maggiore autonomia del regno lombardo-veneto dalla corte di Vienna, pensava di puntare su una politica non violenta per avanzare tali richieste. Il motivo del suo rifiuto nei confronti della violenza si può comprendere da questa affermazione poco conosciuta del filosofo milanese che al tempo stesso lascia trasparire cosa egli ne pensasse di un'annessione al Regno di Sardegna. Siamo i più ricchi dell'impero, non vedo perché dovremmo uscirne. Ottenne alcune concessioni dal vice-governatore austriaco, subito annullate dal generale austriaco Radetzky.  Purtroppo l'evoluzione tragica delle Cinque giornate di Milano, degenerate in violenza, fecero capire a Cattaneo che un dialogo tra la nobiltà lombarda e la corte di Vienna e effettivamente difficile, stessa impressione che curiosamente ebbe anche Radetzky che nel periodo del suo governo nel lombardo-veneto punta a cercare il favore del volgo. Cattaneo e i suoi amici parteciparono quindi e contribuirono alle cinque giornate di Milano, senza agire con azioni di violenza gratuita. Ma dopo di esse, rifiuta l'intervento piemontese. Considera il Piemonte meno sviluppato della Lombardia e lontano dall'essere democratico. Presidente del Consiglio di guerra di Milano, che governa insieme al Governo provvisorio fino alla caduta di Milano al ritorno degli austriaci. Dopo una serie di moti popolari, nel frattempo, viene proclamata la repubblica romana, guidata da un triumvirato costituito da Mazzini, Saffi ed Armellini.  In seguito alla conclusione dei moti ripara nella ivizzera e si stabilì a Castagnola, nei pressi di Lugano, nella villa Peri. Qui ebbe modo di stringere maggiormente la sua amicizia con Franscini, potente filosofo ticinese, e di partecipare alla vita filosofica del Cantone e della città. Fonda il liceo di Lugano, che volle fortemente per creare un'istruzione pubblica laica libera dal giogo del papa, al fine di formare una generazione liberale e laica che era alla base dello sviluppo economico del resto della Svizzera. Amico di Manara, anda a Napoli per incontrare Garibaldi, ma poi tornò in Svizzera, perché deluso dall'impossibilità di formare una confederazione di repubbliche. Pur essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia unificata, rifiuta sempre di recarsi all'assemblea legislativa per non giurare fedeltà ai Savoia. Viene ricordato per le sue idee federaliste impostate su un forte pensiero liberale e laico. Acquista prospettive ideali vicine al nascente movimento operaio-socialista. Fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della svizzera. Avendo stretto amicizia con filosofi ticinesi come Franscini, ammira nei suoi viaggi l'organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera interna che imputa proprio a questa forma di governo -- è più pragmatico del romantico Mazzini -- è un figlio dell'illuminismo, più legato a Verri che a Rousseau, e in lui è forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di rinnovamento della communità. Pur essendogli state dedicate numerose logge massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ferrari, una sua lettera a Bozzoni, consente di escludere la sua appartenenza alla massoneria, per sua esplicita dichiarazione, sovente in quel periodo tenuta segreta e negata.  Per lui scienza e giustizia devono guidare il progresso della communità, tramite esse l'uomo ha compreso l'assoluto valore della libertà di pensiero. Il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo, comunitario, attraverso un continuo confronto con l’altro. La partecipazione alla vita della communita à è un fattore fondamentale nella formazione dell'individuo. Il progresso può avvenire solo attraverso il confronto collettivo comunitario. Il progresso non deve avvenire per forza o autoritarismo, e, se avviene, avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli uomini che scandiscono le tappe del progresso. Nega il concetto di “contratto” comunitario o sociale. Due uomini si sono associati per istinto. La comunita, la diada, la società è un fatto naturale, primitivo, necessario, permanente, universale -- è sempre esistito un federalismo delle intelligenze umane -- è sorto perché è un elemento necessario di due menti individuali.  Pur riconoscendo il valore della singola intelligenza monadica, afferma però, che più scambio, conversazione, dialettica, e confronto ci sono, più la singola intelligenza monadica diventa tollerante dell’altro nella diada. In questo modo anche la società e la comunita diadica e più tollerante. Le due sistemi cognitivi dei individui della diada devono essere sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità.  Così come le due menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati europei che hanno interessi di fondo comuni. Attraverso il federalismo i popoli, le comunita, possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica. La communita, il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà. La comunita, il popolo non deve delegare la propria libertà ad un popolo lontano dalle proprie esigenze.  La libertà economica è fondamentale per Cattaneo -- è la prosecuzione della libertà di fare -- la libertà è una pianta dalle molte radici. Nessuna di queste radici va tagliata sennò la pianta muore. La libertà economica necessita di uguaglianza di condizioni. La disparità ci saranno ma solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi nella conversazione aperta. E un deciso repubblicano e una volta eletto addirittura rinuncia ad entrare in parlamento rifiutandosi di giurare dinanzi all'autorità e la forza del re. Viene richiamato quale iniziatore della corrente di pensiero federalista in Italia. Fonda il periodico Il Politecnico, rivista che divenne un punto di riferimento dei filosofi lombardi, avente come intento principale l'aggiornamento tecnico e scientifico della cultura nazionale. Guardando all'esempio della Svizzera cantonale (improntata alla democrazia diretta), define il federalismo come "teorica della libertà" in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. Nota al riguardo che abiamo pace vera, quando abiamo gli stati uniti dell’Europa, alla svizzera. Cattaneo e Mazzini videro negli nella Svizzera l’unico esempio di vera attuazione dell'ideale repubblicano. Federalista repubblicano laico di orientamento radicale-anticlericale, fra i padri del Risorgimento, e alieno dall'impegno politico diretto, e punta piuttosto alla trasformazione culturale della società. La rivista Il Politecnico fu per lui il vero parlamento alternativo a quello dei Savoia.  In accordo con il Tuveri redattore del Corriere di Sardegna, intervenne in merito alla questione sarda in chiave autonomistica locale. In tal senso, denuncia l'incapacità ed incuranza del governo centrale nel trovare una nuova destinazione d'uso al mezzo milione di ettari (più di un quinto della superficie dell'isola) che avevano costituito i soppressi demani feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il diritto di ademprivio, per usi civici.  A lui è dedicato l'omonimo istituto di ricerca. Altre opere: “Scritti filosofici”; “Interdizioni israelitiche”; “Psicologia delle menti associate” – questo saggio – associazione -- non è stata completata e rimane allo stato di frammenti. Il tema de saggio sarebbe dovuto consistere nel cercare un'interpretazione sociale – diadica -- nello sviluppo dell'individuo o monada. La città – cittadino – cittadinanza -- considerata come principio ideale delle istorie italiane; Dell'India antica e moderna; Notizie naturali e civili su la Lombardia Vita di Dante di Cesare Balbo Il Politecnico, Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale e comunitaria; Dell'Insurrezione di Milano e della successiva guerra. Rapporto sulla bonificazione del piano di Magaldino a nome della società promotrice, In Lugano, Tipografia Chiusi. Le cinque giornate di Milano di Carlo Lizzani -- interpretato da Giannini. Cattaneo e le cinque giornate di Milano  Secondo una tesi, non comprovata e non accolta dai dizionari biografici, Cattaneo sarebbe nato a Villastanza, frazione del comune di Parabiago in provincia di Milano. Certamente più antica è la Villa prospiciente la Chiesa, sulla piazza ed attualmente in proprietà del signor Luigi Gagliardi, cui è giunta per eredità dagli avi. Un'insistente tradizione vuole che in questa casa, abbia avuto i natali nientemeno che Carlo Cattaneo. Ma il Cattaneo deve aver passato qui soltanto alcuni anni della sua infanzia, ospite nei mesi estivi della famiglia amica ai propri genitori. Si veda, a tal riguardo, “Storia di Parabiago, vicende e sviluppi dalle origini ad oggi, Unione Tipografica di Milano. (G. Tortora), da Filosofico (Diego Fusaro)  Arch. Rebecca Fant Milano  Bertone, Camagni, Panara, La buone società: Milano industria. Almanacco istorico d'Italia,  1, Battezzatti. Carlo Cattaneo genealogy project, su geni_family_tree. 16 marzo.  Il Famedio, su  del Comune di Milano. Carlo G. 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Cantoni Giovanni /Il sistema filosofico di Carlo Cattaneo /Milano; Torino: Dumolard, 1887  Carlo Matteucci Gian Domenico Romagnosi Cinque giornate di Milano Federalismo in Italia Giuseppe Ferrari (filosofo) Liceo di Lugano Stati Uniti d'Europa Sostrato (linguistica) Università Carlo Cattaneo Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Carlo Cattaneo Collabora a Wikiquote Citazionio su Carlo Cattaneo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Carlo Cattaneo  Carlo Cattaneo, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Cattaneo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Cattaneo, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Carlo Cattaneo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Carlo Cattaneo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Cattaneo, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere di Carlo Cattaneo, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Carlo Cattaneo,.  Carlo Cattaneo, su storia.camera, Camera dei deputati.  Tiziano Raffaelli, Cattaneo, Carlo, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Arturo Colombo, Cattaneo, Carlo, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere Scritti di Carlo Cattaneo in versione e-book, su classicistranieri.com. Scritti di Carlo Cattaneo: testi con concordanze e lista di frequenza Indice Carteggi di Carlo Cattaneo. PDF Altro Cronologia della vita di Carlo Cattaneo, su storiadimilano. Carlo CattaneoIl contemporaneo dei posteri a cura del Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita (1801-2001 Filosofia Letteratura  Letteratura Politica  Politica Risorgimento  Risorgimento Categorie: Patrioti italiani del XIX secolo Filosofi italiani del XIX secoloPolitici italiani Professore1801 1869 15 giugno 6 febbraio Milano LuganoScrittori italiani del XIX secolo Personalità del Risorgimento Positivisti Insegnanti italiani del XIX secoloFilosofi della politicaRepubblicanesimoLinguisti italianiSepolti nel Cimitero Monumentale di MilanoPolitologi italianiFederalistiDeputati della VII legislatura del Regno di SardegnaDeputati dell'VIII legislatura del Regno d'Italia Deputati della IX legislatura del Regno d'Italia. Linguaggio e ideologia: la posizione di Carlo Cattaneo Pubblicato il 1 novembre 2020 da Comitato di Redazione matania_edoardo_-_ritratto giovanile di carlo cattaneo xilografia imagefullwide Edoardo Matania, Ritratto giovanile di Carlo Cattaneo, xilografia, 1887  di Alessandro Prato  La centralità della figura di Carlo Cattaneo (1801-1869) nell’ambito della cultura italiana della prima metà dell’Ottocento è giustamente ricollegata al suo pensiero liberale e laico, agli studi giuridici che hanno contrassegnato l’intera sua formazione, all’interesse verso l’etnografia e la psicologia sociale [1]. La sua personalità di studioso poliedrico e sfaccettato, fortemente influenzata dalla cultura classicista e dalla filosofia dell’illuminismo, si è concretizzata in varie forme tutte di grande rilevanza: il filosofo, l’economista, il critico, lo storico, lo scrittore politico, il fondatore della rivista Il Politecnico (1839-44) e, non da ultimo, il linguista.  Nel quadro di questa ricerca intellettuale così ricca e variegata un posto rilevante assumono i suoi studi etnico-linguistici di impianto storico-positivo e i suoi progetti politici orientati sul concetto di “nazionalità”. Con questo termine egli si riferiva allo stesso tempo sia alla più alta e unitaria aggregazione culturale, sia alla diretta partecipazione popolare allo sviluppo della società civile.  Proprio sugli interessi linguistici di Cattaneo [2] concentreremo la nostra attenzione mettendo in evidenza l’impulso che egli ha dato alla costruzione dell’italiano come lingua comune che riflette il nesso tra la vitalità della lingua e la vitalità culturale della nazione di cui la lingua stessa è «il vincolo unitario in senso geografico e sociale» (Vitale 1984: 457), perché è da essa che dipende la possibilità per gli italiani di partecipare al progresso della cultura del proprio Paese. La forte coscienza del carattere comune della lingua faceva sì che Cattaneo potesse prescrivere la rinnovabilità della lingua – rifiutando quindi le angustie del purismo, i grecismi e i particolarismi provinciali – e sostenere anche un’opposizione recisa, basata su una coerente visione culturale di impronta europea, sia al neotoscanismo e al fiorentinismo manzoniano, sia all’accademismo della Crusca, in nome di un principio di unità di cultura e di vita civile nazionale.  Questa impostazione spiega poi la sua duplice posizione rispetto ai dialetti: da una parte riproponeva in termini nuovi, non antitetici,  i rapporti fra i dialetti e la lingua, riconoscendo la validità dei dialetti in quanto depositari di un patrimonio storico da preservare, apprezzando i valori riposti nelle culture popolari e sottolineando anche il valore della letteratura dialettale; dall’altra però considerava i dialetti come elementi superabili nel processo dialettico fondativo della lingua comune, essendo consapevole che il coinvolgimento dei parlanti nella lingua comune poteva avvenire nella misura in cui essi riuscivano progressivamente ad abbandonare l’uso esclusivo del dialetto.  Il primo scritto di linguistica di Cattaneo è quello sul Nesso della nazione e della lingua Valacca coll’italiana, pubblicato nel 1837 [3], come parte di un lavoro più generale che riguardava l’influenza delle invasioni barbariche sulla lingua italiana e che non venne mai condotto a termine. Si tratta di uno studio sul passaggio dalla società tardo romana a quella feudale e poi comunale, condotto sulla scia dell’insegnamento di Romagnosi ma con una sostanziale differenza: mentre Romagnosi tendeva a ridurre la storia della civiltà in storia degli istituti giuridici e solo marginalmente si interessava di questioni linguistiche, Cattaneo già in questo primo scritto – il cui carattere storico generale è evidente – metteva al centro della sua trattazione il problema linguistico, considerando la lingua come espressione della nazionalità e testimonianza delle vicende della storia dei popoli.   La funzione sociale e in senso lato politica della lingua viene così enfatizzata con la finalità di studiare le interconnessioni tra le cose, cioè gli anelli che compongono le catene sociali che tengono uniti gli individui in quanto membri di una comunità: le parole, che sono ricche di sottili significati, possono essere comprese pienamente solo se situate in un contesto sociale più ampio di quello del loro svolgersi immediato (Lewis). Il nucleo che tiene insieme le memorie individuali e collettive è insomma costituito dalla lingua e l’esercizio della lingua rafforza tale nucleo dal quale poi dipende in buona parte l’identità di un popolo, la sua coscienza storica. In questo caso Cattaneo non si riferiva alla lingua solo come insieme di regole sintattiche e di etichette fonologiche, ma anche come modalità socialmente e regionalmente differenziata, dunque non la lingua come sistema, bensì come norma e istituzione: «è nelle parole della lingua che si condensano i path, i “sentieri” della memoria propri di ciascuna comunità» (De Mauro 2008: 67).  poliCattaneo mostrò fin dagli anni giovanili grande interesse per l’opera di Vico, anche grazie all’influenza che ebbero su di lui le opere di Romagnosi e Ferrari che la interpretavano alla luce dell’antropologia laica dell’illuminismo. Proprio dal libro di Ferrari, Vico e l’Italie uscito a Parigi nel 1839, egli prese spunto per un saggio Sulla scienza nuova che pubblicò sul Politecnico nello stesso anno. L’interesse per le età primitive e per la vita collettiva dei popoli, il rapporto tra lingua e nazione [5] denotano la presenza di motivi vichiani, con i quali Cattaneo corresse certi eccessi del razionalismo settecentesco, senza mai però rinunciare all’idea di progresso, e allo stesso tempo senza farsi influenzare dagli aspetti teologici della filosofia di Vico. La sua formazione illuminista lo portò a non condividere nessun mito del Risorgimento romantico e spiritualista, a celebrare come maestro Locke contrapponendolo alle fumosità dell’idealismo, ad avversare le posizioni di Rosmini, Gioberti e anche Mazzini.  L’illuminismo nella sua opera «si rivela sotto il carattere di una radicale antimitologia» (Alessio 1957: XIX). Rispetto al Romanticismo la posizione di Cattaneo è contrassegnata da una sostanziale estraneità: giustamente Timpanaro (1969: 233-34) osserva che parlare – come spesso si è fatto – di un romanticismo di Cattaneo può essere giusto se ci riferiamo al romanticismo come una categoria spirituale generale, definendo romantico ogni forma di interesse per le età primitive, per le tradizioni popolari e per il nesso lingua\nazione. Ma questo non ci deve far dimenticare che per il Romanticismo inteso come movimento culturale storicamente definito Cattaneo – come del resto anche Leopardi – mostrò sempre un atteggiamento critico e distante motivato dalla sua avversione al medievalismo, a quella concezione religiosa della vita che i romantici – sia pure con sfumature diverse – condividevano e al modo ambiguo con cui veniva da loro esaltato lo spirito popolare, inteso più come attaccamento alle tradizioni locali e forma di ingenuità, che come aspirazione democratica.  Sui rapporti tra romani e barbari e sulle origini della lingua italiana Cattaneo tornò diverse volte in altri scritti successivi quel primo saggio del 1837 [6], sostenendo la derivazione dell’italiano dal latino volgare e limitando al massimo l’influsso delle lingue dei barbari sulla formazione dell’italiano, tanto più che secondo lui il numero dei barbari dominatori era stato assai esiguo contrariamente a quanto pensavano molti storici. Per valutare al meglio questa continuazione dell’italiano dal latino volgare per Cattaneo era necessario tener conto anche dell’influsso esercitato dalle antiche lingue dei popoli italici conquistati dai romani (etrusco, umbro, celtico ecc..).  Questa è l’importante teoria del sostrato senza la quale è difficile ad esempio spiegare la varietà dei dialetti italiani e che coinvolge soprattutto la fonetica piuttosto che il lessico: non si tratta quindi di una generale mescolanza di lingue, ma della stessa nuova lingua pronunciata in modo diverso in base ad abitudini fonetiche precedenti che rimanevano vive perché radicate dall’uso dei parlanti [7].  Gli studi sull’origine dell’italiano sono importanti anche per spiegare la posizione che Cattaneo ha assunto nel dibattito sulla questione della lingua, che ha avuto del resto una grande rilevanza nella cultura italiana del tempo. Cattaneo, infatti, non vedeva una scissione tra il suo impegno di linguista militante e i suoi studi di linguistica storica, al contrario riteneva lo studio storico delle lingue come la base, e dunque il fondamento, della linguistica normativa [8]. Di fronte al problema di come la lingua italiana avrebbe dovuto essere formata e regolarizzata, egli sosteneva una rigorosa battaglia antitoscana, svolta su due fronti essenziali. Il primo era diretto – riprendendo una polemica che era stata inaugurata dagli illuministi lombardi del Caffè – contro il modello arcaico e passatista dell’Accademia della Crusca, che sosteneva una concezione immobilistica della lingua, estranea a ogni innovazione e fondata sulla netta scissione tra lingua e cultura. Il secondo fronte riguardava il modello certamente più moderno e funzionale del Manzoni, ma che ai suoi occhi risultava troppo accentrato e basato su un concetto di popolarità che egli non condivideva:  «la dottrina della popolarità da cui primamente si presero le mosse, oramai non significa più che si debba agevolare l’intendimento e l’arte della lingua agli indotti: ma bensì che si debbano raccogliere presso uno dei popoli d’Italia le forme che, più domestiche a quello, riescono più oscure a tutti li altri. Si intende un’angusta e inutile popolarità d’origine, non la vasta e benefica popolarità dell’uso e dei frutti» In alternativa, Cattaneo opponeva una forma di lingua che costituisse un punto d’incontro delle varie tradizioni dialettali italiane in maniera da poter svolgere veramente una funzione unificatrice della nazione. Una lingua, allo stesso tempo illustre [9], «insieme austera e moderna» (Timpanaro), adeguata non solo alla cultura letteraria, ma anche a quella scientifica e filosofica. Fin da quel primo articolo, cui abbiamo già fatto riferimento, Cattaneo ha dimostrato inoltre di avere due maggiori capacità rispetto ad altri autori italiani suoi contemporanei. La prima era quella di saper andare al di là dei ristretti confini nazionali, interessandosi ad esempio delle lingue germaniche e del romeno. La seconda consisteva nell’avere ben presente il principio che la comunanza di origine tra due lingue è dimostrata dalla somiglianza delle strutture grammaticali, più che dei vocaboli – principio che ricavava dalla nuova linguistica comparata di Bopp e dei fratelli Schlegel [10] che, proprio in quegli anni, erano diventati per lui importanti interlocutori anche polemici e avevano impresso nuovi sviluppi alle sue idee linguistiche. Nel 1839 Bernardino Biondelli [11] cominciò a pubblicare sul Politecnico una serie di articoli sulla linguistica indeuropea, recensendo anche importanti opere dei comparatisti [12], informando così il pubblico italiano sui risultati scientifici da loro raggiunti. Questi articoli hanno indotto Cattaneo a prendere una posizione critica di fronte a questa corrente di studi e a scrivere il saggio Sul principio istorico delle lingue europee [13].  In questo saggio Cattaneo criticava l’idea che dall’affinità delle lingue fosse possibile ricavare una comunanza d’origine dei popoli, perché era invece convinto che non ci fosse una connessione essenziale tra affinità linguistica e affinità razziale e che la linguistica e l’antropologia andassero attentamente distinte; inoltre credeva che si fosse troppo insistito sull’unità dell’indoeuropeo, trascurando le differenze tra le varie lingue dovute al sostrato. Guardava con sospetto l’esaltazione orientalizzante che costituiva forse la conseguenza più effimera e fuorviante del comparatismo indoeuropeo (Marazzini 1988: 406). Per Friedrich Schlegel [14] il sostrato svolgeva soprattutto una funzione negativa corrompendo la perfetta forma del sanscrito; per Cattaneo, al contrario, la commistione del sanscrito con le lingue europee primitive ha dato luogo a un innesto fecondo perché il sostrato «rappresentava appunto il principio della varietà linguistica, non cancellata dall’azione unificatrice esercitata dal popolo colonizzatore» (Timpanaro 1969: 266). La parentela linguistica non è quindi nel sistema di Cattaneo identità di origine, bensì il risultato di un lento e progressivo avvicinamento delle popolazioni, dovuto all’istaurarsi fra di esse di rapporti politici, economici e culturali. Non si tratta, quindi, di un punto di partenza, ma di arrivo:  «Le lingue vive d’Europa non sono le divergenti emanazioni d’una primitiva lingua comune, che tende alla pluralità e alla dissoluzione; ma sono bensì l’innesto d’una lingua commune sopra i selvatici arbusti delle lingue aborigene, e tende all’associazione e all’unità. Se una volta in diverse parti d’Italia e delle isole si parlò il fenicio, il greco, l’osco, l’umbro, l’etrusco, il celtico, il carnico, e Dio sa quanti altri strani linguaggi, come tuttora avviene nella Caucasia, la sovraposizione d’una lingua commune avvicinò tanto tra loro i nostri vulghi, che ora agevolmente s’intendono tra loro. Il tempo che cangiò le lingue discordandi in dialetti d’una lingua, corrode ora sempre più le differenze dei dialetti; e lo sviluppo delle strade e la generale educazione promovono sempre più l’unificazione dei popoli.  Non è che una lingua madre si scomponga in molte figlie; ma bensì più lingue affatto diverse, assimilandosi ad una sola, divengono affini con essa e fra loro; e per poco che l’opera si continui, o a più riprese si rinovi, divengono suoi dialetti e infine mettono foce commune in lei» (Cattaneo 1957: 450). Sulla base di queste considerazioni, Cattaneo, nell’ambito dell’acceso dibattito sulla monogenesi o poligenesi del linguaggio, sosteneva una posizione particolare: rifiutava evidentemente il primo, ma allo stesso tempo era anche distante da quel particolare tipo di poligenismo sostenuto da Schlegel, che consisteva nel separare nettamente pochi tipi linguistici originali dai quali sarebbero derivate tante lingue cosiddette “figlie”. Per lui invece esistevano tante lingue primitive originarie che si erano ridotte di numero, via via che le tribù avevano cominciato a unirsi in aggregati più ampi. Non esistevano quindi – come per Schlegel – delle lingue perfette fin dall’inizio (le lingue flessive); tutte le lingue avevano origini umili o, come scriveva lui stesso, “ferine”. I modelli di questo modo di intendere il poligenismo linguistico sono Epicuro, Vico e Cesarotti [15]. Sempre contro Schlegel, rivendicava la giustezza della teoria agglutinante secondo la quale anche le forme flessionali più perfette e sofisticate derivavano dall’agglutinazione di monosillabi che all’origine avevano una funzione autonoma. E in quel primo articolo del 1837 osservava infatti che le declinazioni della lingua latina e greca potevano derivare da semplici nomi con un articolo affisso (Cattaneo 1948: I, 228).  Psicologia delle menti associate carlocattaneoeditoririuniti La polemica con Schlegel riguardava anche la questione dell’origine del linguaggio: mentre per il primo la flessione indoeuropea era dovuta sostanzialmente a un intervento divino, per Cattaneo, l’origine del linguaggio non poteva che essere umana, e su questo avrebbe mantenuto una posizione coerente anche negli scritti successivi come le Lezioni di ideologia del 1862, dove, ad esempio, confutava il sofisma di Bonald che negava all’uomo la facoltà di costruirsi un linguaggio. Su questo tema come per tanti altri Cattaneo è vicino alla grande tradizione della linguistica illuminista che con Locke e Herder aveva respinto recisamente la concezione delle idee innate e l’origine divina del linguaggio (Prato) ed è del tutto immune dalla concezione misticheggiante della linguistica tanto cara ai romantici.  Proprio nel Saggio sul principio istorico delle lingue europee, Cattaneo si proponeva di verificare il rapporto tra fenomeni linguistici e tradizioni culturali, considerando la ricerca linguistica in stretta correlazione con una riflessione propriamente filosofica. L’analisi dei fenomeni linguistici non si riduceva per lui solo a una raccolta estemporanea di dati ma si traduceva in una vera e propria scienza sociale. Alla filosofia analitica degli Idèologues – che era rappresentata per gli scrittori italiani soprattutto da Condillac e Tracy – egli riconosceva senz’altro il merito di aver esaminato con acume e precisione i problemi del linguaggio, inserendoli in una prospettiva il più possibile concreta e razionale. Allo stesso tempo era tuttavia consapevole anche dei suoi limiti, che consistono nell’aver indicato come proprio oggetto di riflessione una figura di uomo dai caratteri astratti e indipendente dal rapporto con i suoi simili. Proprio «la famosa ipotesi della ‘statua’ condillachiana gli appariva emblematica di un concetto destorificato della natura umana» (Gensini 1993: 238). Non a caso alle conferenze tenute a partire dal 1859 presso l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Cattaneo volle dare il titolo di Psicologia delle menti associate [16], dove il termine di “psicologia sociale” è inteso appunto in senso antropologico sia come riflessione sull’uomo a partire dai rapporti che lo legano agli altri suoi simili, sia come ricostruzione delle mentalità e dei sistemi simbolici quale risultato di mediazioni sociali. In queste lezioni Cattaneo osservava che il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola perché «la corrente del pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti» (Cattaneo 1957: 277-78).  La genesi delle idee, che Locke aveva dimostrato scaturire dal linguaggio, in questa nuova prospettiva aperta da Cattaneo, non può che radicarsi nella pratica sociale: «Nel commercio degli intelletti, promosso da felici condizioni, si svolgono le idee, come nel mondo materiale, al contatto delli elementi, si svolgono le correnti elettriche e le chimiche affinità» (Cattaneo 1960: II, 16). Il linguaggio stesso è la società (Cattaneo 1957: 316), ed è proprio su questo terreno che l’ideologia – ovvero l’analisi delle idee – iincontra la linguistica. Ideologia è del resto il titolo di una parte del corso di Filosofia che Cattaneo aveva tenuto presso il liceo di Lugano.  Non a caso aveva scelto questo titolo se consideriamo che per la sua chiara derivazione illuminista, l’ideologia [17] rappresentava la sola reale forma di opposizione al conformismo della cultura del suo tempo perché l’ideologia era «un’arma efficace per una filosofia democratica, atta ad opporsi alla marea montante della filosofia restaurata, allo spiritualismo eclettico in Francia, all’ontologismo cattolico in Italia» (Formigari 1990: 153). I principi che contrassegnano l’intera ricerca di Cattaneo e che spaziano dal riconoscimento del valore del pensiero scientifico, alla negazione della metafisica e alla difesa della laicità, la rendono insomma pienamente aderente ai problemi e alle esigenze del nostro tempo, oltre che aperta a ulteriori forme di sviluppo e approfondimento.    Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020  Note [1] Per un ritratto complessivo di Cattaneo e dei rapporti con i suoi contemporanei rimandiamo a Alessio (1957) e Mazzali (1990). [2] Studiati in particolare da Timpanaro (1969: 229-83). Si veda anche Gensini (1993: 237-40), Benincà (1994: 576-80), Geymonat (2018). [3] Negli Annali universali di statistica, si leggono ora in Cattaneo (1948: I, 209-37). [4] Si trova in Cattaneo (1957: 39-75).  [5] Anche per Giordani la lingua è il vincolo di una comunità che si identifica con la nazione (Cecioni 1977: 59), [6] Per esempio nella recensione alla Vita di Dante di Balbo pubblicata sempre sul Politecnico del 1839 (ora in Cattaneo 1957: 380-395) di cui viene criticato il contenuto religioso e metafisico e la difesa del neo-guelfismo. [7] Questa teoria del sostrato come è noto verrà ripresa da Ascoli nei suoi celebri scritti linguistici. Sul rapporto tra Cattaneo e Ascoli rimandiamo alle dense pagine di Timpanaro (1969: 284 sgg) e Timpanaro (2005: 237-51). [8] Qui lo scrittore lombardo riprendeva un’idea ben radicata nella cultura italiana e che risaliva al De vulgari eloquentia di Dante. [9] Su questo si può cogliere l’eco della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca (1817-1822) del Monti che Cattaneo del resto aveva letto fin da giovanissimo con passione e interesse. [10] Sulla linguistica dei comparatisti si veda Morpurgo Davies (1994). [11] Sulla funzione positiva svolta da Biondelli per lo sviluppo degli studi linguistici in Italia vedi De Mauro (1980: 49-52). [12] Per esempio la Deutsche Grammatik di Jacob Grimm. [13] Pubblicato sul Politecnico nel 1841 è certamente il suo scritto linguistico-etnografico più ampio e originale. [14] Qui Cattaneo fa riferimento al libro: Uber die Sprache und Weisheit der Indier del 1808. Sulle idee filosofico-linguistiche di Schlegel vedi Timpanaro (2005: 17-56). [15] In particolare su Cesarotti e sul suo Saggio sulla filosofia delle lingue (1800) che è stato per Cattaneo una lettura importante vedi Gensini (2020). [16] Pubblicate postume da Bertani nella raccolta di Opere edite e inedite in 7 volumi usciti tra il 1881 e il 1892, si leggono ora in Cattaneo (1957: 270-326). [17] Ideologia è del resto il titolo stesso di una parte del corso di Filosofia che aveva tenuto presso il liceo di Lugano: si trova ora in Cattaneo (1960: III, 3-204). Riferimenti bibliografici Alessio, F. (1957), “Cattaneo illuminista”, in Cattaneo (1957): XI-LI. Benincà, P. (1994), “Linguistica e dialettologia italiana”, in Lepschy (1994): 525-625. Bobbio, N. (1960), “Introduzione”, in C. Cattaneo, Scritti filosofici, Firenze, La Monnier, I: V-LXIX. Cattaneo, C. (1948), Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, a cura di A. Bertani, Firenze, Le Monnier. Cattaneo, C. (1957), Scritti filosofici, letterari e vari, a cura di F. Alessio, Firenze, Sansoni. Cattaneo, C. (1960), Scritti filosofici, a cura di N. Bobbio, Firenze, Le Monnier. Cattaneo, C. (1990), Scritti su Milano e la Lombardia, a cura di E. Mazzali, Milano, Rizzoli. Cecioni, G. (1977), Lingua e cultura nel pensiero di Pietro Giordani, Roma, Bulzoni. De Mauro, T. 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Indice del saggio su Cattaneo linguista – recensione Resurggimento.  Anche  il  latino  fu  lingua  di  tutta  Italia,  ma  gl'Italici  non  erano  tulli  romani  e  i  dialetti  ne  ftmno  testimonianza.  La  serbata  integrità  nativa  delle  molteplici  favelle  del  Caucaso di  fronte  alle  indo-perse  riflette  l'imagine  di  quelle  che  popolavano  l'Italia  innanzi  che  la  coprisse  lo  strato  Ialino.  Ne  invasioni  armale,    importazioni  di  civiltà,  ne  so-  vrapposizioni di  lingue  alterarono  i  confini  etnografici  dei  Tusci,  dei  Liguri,  dei  Cisalpini,  dei  Veneti  e  d'ogni  altra . Non  cono-  sciamo ancora  le  svariate  forme  naturali  del  nostro  paese,  e  nemmeno  i  nostri  dialetti  e  le  riposte  loro  derivazioni;  non  conosciamo  i  secreti  nessi  che  collegano  questa  lin-  gua nostra  alla  civiltà  precoce  della  Persia  e  dell'  India,  e  alla  lunga  barbarie  dell'  antico  settentrione. La  filologia  è  una  scienza  nuova  che  classifica  le  duemila lingue  e  dialetti  morti  e  vivi  in  famiglie,  come  si  co-  stuma nelle  faune  e  nelle  flore.  La  scienza  delle  lingue  è  luce  aggiunta  alla  scienza  dei  luoghi,  dei  tempi  e  dei  monumen-  ti, a  rischiarare  il  buio  dell'istoria.  Per  lei  si  scoprono  le  cause  onde  i  popoli  comunicarono  tra  loro  con  certi  modi  peculiari  i  propri  pensieri;  per  lei  si  rileva,  da  lieve  indizio  di  scrittura  salvata,  una  gente  ignota  alla  storia;  si  sorpren-  dono sorelle  nazioni  che  l' idioma  apparentemente  diverso  inimicò,  e  in  un  dialetto  si  palesano  segni  di  origine  disfor-  me e  di  antichi  odii  in  nazione  stimata  omogenea:  per  lei  si  assiste  al  ritorno  su  straniere  labbra  d'un  vocabolo  esulato dalla  patria  in  età  remola;  per  lei  si  rintracciano  in  una  valle  le  reliquia  di  lingua  fuggita  dalla  pianura  negli  attriti  del  commercio  o  della  conquista:  per  lei  contemplasi  il  tran-  sito d'una  favella  celebrala  da  una  letteratura,  e  l'ascen-  sione d'oscuro  dialetto  a  dignità  di  idioma  illustre  in  com-  pagnia della  fortuna  di  un  popolo;  per  lei  rilucono  le  alfinità  e  le  diversità  delle  lingue  tutte. La  nostra  lingua  ha  una  nota  affinità  primamente  col  latino  e  colle  altre  lingue  dal  latino  derivate:  fran-  cese, spagnuola,  portoghese  e  rumena  o  moldo-valacca.  Queste  sei  lingue  viventi  e  li  innumerevoli  loro  dialetti  si  classificano  dai  linguisti  sotto  il  nome  commune  di  lingue  romane  o  romanze  o  latine;  come  una  famiglia. si  deduce  che  i  dialetti  e  pronuncie  provinciali  sono  fili  conduttori  alle  origini  prime:  si  deduce  che  la  varietà dei  dialetti,  delle  pronuncie  e  dell'aspetto  delle  genti  moderne  trova  esplicazione  e  commento  nella  varietà  delle  stirpi  e  delle  lingue  primitive:  si  deduce  che  l'  azione  cemen-  tatrice  delle  lingue  s*  è  compiuta  soltanto  sovra  popoli  bar-  bari, e  tali  erano  gU  europei  alla  comparizione  delle  caste  asiatiche;  che  avendo  raggiunto  un  certo  grado  di  coltura,  ì  Baschi  resistettero  alla  lingua  latina Quando  noi  troviamo  nel  tedesco  e  nel  gotico  la  radice  della  parola  latina  ^iraesagus,  dobbia-  mo indurre  che  qualche  antichissima  relazione  vi  fu  tra  li  avi  dei  Romani  e  li  avi  de' Goti.  Nello  stesso  modo  in  cui  possiamo  riferire  l'italiano,  il  francese  e  lo  spagnolo  alla  commune  loro  madre,  la  lingua  latina,  possiamo  ri-  ferire il  latino,,  il  greco,  il  sanscrito,  il  zendo  ad  una  commune  origine  celata  nella  notte  dei  tempi. Se  si  paragona  il  latino  alle  lingue  sue  figlie,  si  trova  che  queste,  cioè  le  lingue  moderne,  hanno  maggior  copia  di  voci  astratte.  Il  latino  ha  la  voce  fortis  e  non  ha  la  voce  forza;  da  vir  abbiamo  il  latino  virtus,  l'italiano  e  il  francese  virtù,  vertu;  ma  l'italiano   il  francese  hanno  inoltre  le  parole  derivate  virtuoso,  virtuosamente,  vertueux,  vertueusement;  e  il  francese  ha  inoltre  il  verbo  évei^tuer.  Le  voci  italiane  ente,  entità,  essenza,  essenziale,  essenzialmente,  se  vengono  ricondotte  alla  forma  latina,  ens,  entitas,  essentia, essentialis, essentialiter  non  si  trovano  mai  nelli  scrittori  antichi ,  ma  solo  in  quelli  dei  bassi  tempi. l'inglese,  che  per  una  metà  de' suoi  vocaboli  deriva  dall'antica  lingua  anglo-  sassone e  per  l'altra  metà  dal  latino. Nelle  lingue  indo-europee  la  radice  è  quasi  sempre  unisillaba.  Le  poche  radici  bisillabe  come  aìiima,  columna,  vidua,  susurrus,  titubare,  vacillare,  oscillare tentennare,  dondolare  si  possono  considerare  o  come  raddoppiamenti  o  come  derivazioni  di  voci  semplici  più  antiche. In  latino  un  verbo  semplice  p.  e.  mitto,  fero,  traho  colle  sue  inflessioni  di  persona,  di  numero,  di  tempo,  di  modo,  e  coi  diversi  casi  de' suoi    participj. produce  nella  sola  forma  attiva ,  circa  un  centinaio    inflessioni  {mitto,  mittis,  mittens,  missuriis  etc.  etc.)  coir  aggìuiìta  della  forma  passiva  (mittor,  mitteris,  missus,  mittendus)  e  dei  nomi  ed  aggettivi  verbali  {missio,  missilis y missivus)  ne  forma  forse duecento.  Questo  numero  può  ripetersi  tante  volte  quanti  sono  i  verbi  derivati  e  composti,  p.  e.  mittito,  admitto,  amitto ,  eie.  epperò  dalla  sola  radice  unisillaba  di  mitt-o  possono  diramarsi  tremila  suoni  piìi  o  meno  diversi,  ciascuno  dei  quali  esprime  un'idea  in  qualche  grado  modificata  e  distinta  p.  e.  nelle  tre  voci  mitto,  misi,  mitfam,  vi  è  per  lo  meno  la  dilFerenza  del  tempo,  nelle  voci  missuris  e  mittendis  sono  espresse  tutte  quelle  idee  che  in  italiano  significhiamo  con  dire:  a  quelli  che  manderanno ,  ovvero  a  quelli  che  devono  essere  man*  dati.  Cosicché  qui  tre  sillabe  latine  equivalgono  da  sette  a  tredici  sillabe  italiane.   6.  Codesti  tremila  vocaboli  nelT  idioma  primitivo  furono  rappresentati  da  una  sola  sillaba:  mit.  È  come  la  quercia  rappresentata  da  una  ghianda.  Qualunque  sia  dunque  la  dovizia  delle  forme  nelle  lingue  derivate, abbiamo  questa  terza  legge  di  linguistica  che  le  lingue  veramente  primitive  hanno  potuto  consistere  in  poche  centinaia  di  radici  monosillabe. È   un  fatto  lingui-  stico che  le   lingue  madri,    nel  propagarsi  di  paese  in  paese  e  nel  venir  adottate  da  numerose  nazioni,  hnnno  perduto  gran  numero  delle  loro  inflessioni.  L'italiano  paragonato  al  latino,  non  ha  più  i  verbi  passivi,    i  participi  futuri,    i  partecipali,    il    genere   neutro,  e  le  declinazioni  dei  nomi  sono  ridutte  a  due  sole  de-  sinenze, singolare  e  plurale.  Per  rilevare  le  affinità  non  basta  paragonare  isolatamente  una  lingua  con  un'altra,  ma  è  necessario  ravvicinarla  a  tutta  la  serie  delle  lingue  della  stessa  fa-  miglia. A  prima  vista  non  appare  similitudine  tra  il  vo-  cabolo dormire  e  il  tedesco  traumen,  che  vuol  dire  so-  gnare; ma  appare  di  più  nelP  inglese  dream,  che  ha  le  stesse  consonanti  del  latino  e  lo  stesso  senso  del  tedesco;  inoltre  nelle  due  voci  latine  somniis  e  somnium,  e  nelle  italiane  sonno  e  sogno  si  trova  il  doppio  senso  di  dor-  mire e  sognare. La  pronuncia  dei  |)opoli  proviene  dalle  loro  ori-  gini, ossia  dal  genio  imitativo  più  o  meno  delicato,  dalli  organi  vocali  più  o  meno  flessibili,  e  dalle  abitudini  pas-  sate  in  tradizione.  E  più  facile  mutare  il  vocabolario  d'un  popolo,  dargli  una  nuova  lingua,  che  non  mutare  la  sua  pronuncia.  Questa  sopravvive  nei  dialetti,  anche  dopo  che  le  lingue  ^ono  mutate.  Ancora  oggidì  la  pro-  nuncia e  il  dialetto  segnano  in  Italia  precisamente  i  confini  antichi  della  Gallia  Cisalpina  e  della  Carnia  con  la  Venezia ,  la  Toscana  e  la  Liguria. In  Italia  due  soli  dialetti  hanno  aspirazione:  il  toscano  e  il  bergamasco.  I  due  dialetti  più  dolci  sono  il  veneto  e  il  siciliano,  alle  opposte  estre-  mità dell'Italia. Vico  rinvenne  nelle  radici  latine  le  vesti-jia  d'una  antica  sapienza.  \fa  essendo  a  quei  tempi  ignota  ancora  la  scienza  linguistica  e  non  osservata  la  consonanza  del  latino  col  zendo  e  col  sanscrito,  egli  attribuì  quella  sa-  pienza alli  aborigeni  dell'Italia,  e  perciò  scrisse  il  li-  bro De  antiqiiissima  Italorum  sapientia  et  latinae  Un-  gnae  originibus  emenda,     Carlo Cattaneo. Keywords: cinque giornate, community, communita, diada, monada, associazione, contratto sociale, conversazione, psicologia filosofica, psicologia, sociologia filosofica, ego e alter ego, logica e linguaggio, il latino, l’italiano di lombardia, il natale di Cattaneo – regione Lombardia – provincia -- – Milano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library.

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