Grice e Cattaneo: l'implicatura conversazionale longobarda -- Vico e la sapienza italiana – il dialetto milanese e il sostratto
latino -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Cattaneo; in fact, I LOVE Cattaneo; he is so much like
me! I taught at Rossall, and he defended the the teaching in what the Italians
(and indeed the ‘Dutch’) call the ‘gym’ not just of Grecian and Roman, but
Hebrew – He famously claimed to know Hebrew when he interviewed for a job as a
librarian! – From a semiotic point of view, he saw semiotics as the phenomenon
the philosopher must consider when dealing with communication – he explored
semantics, but also ‘sintassi’ in connection with ‘logic,’ and obviously,
pragmatics – He was interested in comparing systems of communication in Homo
sapiens sapiens and other species – and being an Italian, he was especially
interested in how Roman became Latin – he opposed the Tuscany rule!” -- Grice: “Only a philosopher like Cattaneo is
can understand Cattaneo’s contributions to semiotics!”. Figlio di Melchiorre,
un orefice originario della Val Brembana, e di Maria Antonia Sangiorgio, trascorse
gran parte della sua infanzia dividendosi tra la vita cittadina milanese e
lunghi e frequenti soggiorni a Casorate, dove era spesso ospite di parenti. Fu
proprio durante questi soggiorni che, approfittando della biblioteca del pro-zio,
un sacerdote di campagna, si appassioa alla filosofia, soprattutto dei classici
della filosofia romana. Il suo amore per le lettere humanistiche classiche
lo indusse a intraprendere gli studi nei seminari di Lecco prima e Monza poi,
che avrebbero dovuto portarlo alla carriera ecclesiastica, ma già all'età di
diciassette anni, abbandonò il seminario papista per continuare la sua
formazione presso il Sant'Alessandro di Milano e in seguito al ginnasio e liceo
classic di Porta Nuova dove si diploma. La sua formazione filosofica fu
plasmata, durante gli studi superiori, da maestri quali Cristoforis e Gherardini,
i quali gli aprirono le porte del mondo filosofico milanese. Grazie a queste opportunità,
oltre alla passione per gli studi classici, Cattaneo inizia a nutrire interessi
di carattere sstorico. Sempre in questo periodo furono fondamentali per la
sua formazione filosofica le letture presso la Biblioteca di Brera e il
contatto con il cugino paterno, direttore del gabinetto numismatico, era anche
un importante esponente del mondo filosofico milanese. Altro punto chiave per
il percorso formativo degli suoi interessi furono la frequentazione assidua
dell’Ambrosiana, grazie alla sua parentela materna Sangiorgio con il prefetto
Pietro Cighera, e della biblioteca personale dello zio. La Congregazione
Municipale di Milano lo assunse come insegnante di latino e poi di umanita nel
ginnasio comunale di Santa Marta. Approfondizza le sue frequentazioni con gli
filosofi milanesi, entrando a far parte della cerchia di Monti. Di questi
stessi anni sono le sue amicizie con Franscini e Montani. Dopo aver iniziato a
frequentare le lezioni di Romagnosi nella sua villa, ne divenne presto amico e
allievo. Si laurea Pavia con il massimo dei voti. Risale il suo saggio
dato alla stampa e apparso sull’antologia, si tratta di una recensione
all'assunto primo del concetto di “giure naturale”. Saggio sulla Storia della
Svizzera italiana. Convinto sostenitore di richieste di maggiore autonomia del
regno lombardo-veneto dalla corte di Vienna, pensava di puntare su una politica
non violenta per avanzare tali richieste. Il motivo del suo rifiuto nei
confronti della violenza si può comprendere da questa affermazione poco conosciuta
del filosofo milanese che al tempo stesso lascia trasparire cosa egli ne
pensasse di un'annessione al Regno di Sardegna. Siamo i più ricchi dell'impero,
non vedo perché dovremmo uscirne. Ottenne alcune concessioni dal vice-governatore
austriaco, subito annullate dal generale austriaco Radetzky. Purtroppo
l'evoluzione tragica delle Cinque giornate di Milano, degenerate in violenza,
fecero capire a Cattaneo che un dialogo tra la nobiltà lombarda e la corte di
Vienna e effettivamente difficile, stessa impressione che curiosamente ebbe
anche Radetzky che nel periodo del suo governo nel lombardo-veneto punta a
cercare il favore del volgo. Cattaneo e i suoi amici parteciparono quindi e
contribuirono alle cinque giornate di Milano, senza agire con azioni di
violenza gratuita. Ma dopo di esse, rifiuta l'intervento piemontese. Considera
il Piemonte meno sviluppato della Lombardia e lontano dall'essere democratico.
Presidente del Consiglio di guerra di Milano, che governa insieme al Governo
provvisorio fino alla caduta di Milano al ritorno degli austriaci. Dopo una
serie di moti popolari, nel frattempo, viene proclamata la repubblica romana,
guidata da un triumvirato costituito da Mazzini, Saffi ed Armellini. In
seguito alla conclusione dei moti ripara nella ivizzera e si stabilì a
Castagnola, nei pressi di Lugano, nella villa Peri. Qui ebbe modo di stringere
maggiormente la sua amicizia con Franscini, potente filosofo ticinese, e di
partecipare alla vita filosofica del Cantone e della città. Fonda il liceo di
Lugano, che volle fortemente per creare un'istruzione pubblica laica libera dal
giogo del papa, al fine di formare una generazione liberale e laica che era
alla base dello sviluppo economico del resto della Svizzera. Amico di Manara,
anda a Napoli per incontrare Garibaldi, ma poi tornò in Svizzera, perché deluso
dall'impossibilità di formare una confederazione di repubbliche. Pur
essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia
unificata, rifiuta sempre di recarsi all'assemblea legislativa per non giurare
fedeltà ai Savoia. Viene ricordato per le sue idee federaliste impostate
su un forte pensiero liberale e laico. Acquista prospettive ideali vicine al
nascente movimento operaio-socialista. Fautore di un sistema politico basato su
una confederazione di stati italiani sullo stile della svizzera. Avendo stretto
amicizia con filosofi ticinesi come Franscini, ammira nei suoi viaggi
l'organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera interna che imputa
proprio a questa forma di governo -- è più pragmatico del romantico Mazzini -- è
un figlio dell'illuminismo, più legato a Verri che a Rousseau, e in lui è forte
la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di
rinnovamento della communità. Pur essendogli state dedicate numerose logge
massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ferrari, una sua
lettera a Bozzoni, consente di escludere la sua appartenenza alla massoneria,
per sua esplicita dichiarazione, sovente in quel periodo tenuta segreta e
negata. Per lui scienza e giustizia devono guidare il progresso della
communità, tramite esse l'uomo ha compreso l'assoluto valore della libertà di
pensiero. Il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo,
comunitario, attraverso un continuo confronto con l’altro. La partecipazione
alla vita della communita à è un fattore fondamentale nella formazione
dell'individuo. Il progresso può avvenire solo attraverso il confronto
collettivo comunitario. Il progresso non deve avvenire per forza o
autoritarismo, e, se avviene, avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli
uomini che scandiscono le tappe del progresso. Nega il concetto di
“contratto” comunitario o sociale. Due uomini si sono associati per istinto. La
comunita, la diada, la società è un fatto naturale, primitivo, necessario,
permanente, universale -- è sempre esistito un federalismo delle intelligenze
umane -- è sorto perché è un elemento necessario di due menti
individuali. Pur riconoscendo il valore della singola intelligenza
monadica, afferma però, che più scambio, conversazione, dialettica, e confronto
ci sono, più la singola intelligenza monadica diventa tollerante dell’altro
nella diada. In questo modo anche la società e la comunita diadica e più
tollerante. Le due sistemi cognitivi dei individui della diada devono essere
sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità.
Così come le due menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati
europei che hanno interessi di fondo comuni. Attraverso il federalismo i popoli,
le comunita, possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica.
La communita, il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà. La comunita,
il popolo non deve delegare la propria libertà ad un popolo lontano dalle
proprie esigenze. La libertà economica è fondamentale per Cattaneo -- è
la prosecuzione della libertà di fare -- la libertà è una pianta dalle molte
radici. Nessuna di queste radici va tagliata sennò la pianta muore. La libertà
economica necessita di uguaglianza di condizioni. La disparità ci saranno ma
solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi nella
conversazione aperta. E un deciso repubblicano e una volta eletto
addirittura rinuncia ad entrare in parlamento rifiutandosi di giurare dinanzi
all'autorità e la forza del re. Viene richiamato quale iniziatore della
corrente di pensiero federalista in Italia. Fonda il periodico Il Politecnico,
rivista che divenne un punto di riferimento dei filosofi lombardi, avente come
intento principale l'aggiornamento tecnico e scientifico della cultura
nazionale. Guardando all'esempio della Svizzera cantonale (improntata alla
democrazia diretta), define il federalismo come "teorica della
libertà" in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. Nota
al riguardo che abiamo pace vera, quando abiamo gli stati uniti dell’Europa,
alla svizzera. Cattaneo e Mazzini videro negli nella Svizzera l’unico esempio di
vera attuazione dell'ideale repubblicano. Federalista repubblicano laico di
orientamento radicale-anticlericale, fra i padri del Risorgimento, e alieno
dall'impegno politico diretto, e punta piuttosto alla trasformazione culturale
della società. La rivista Il Politecnico fu per lui il vero parlamento
alternativo a quello dei Savoia. In accordo con il Tuveri redattore del
Corriere di Sardegna, intervenne in merito alla questione sarda in chiave
autonomistica locale. In tal senso, denuncia l'incapacità ed incuranza del
governo centrale nel trovare una nuova destinazione d'uso al mezzo milione di
ettari (più di un quinto della superficie dell'isola) che avevano costituito i
soppressi demani feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il
diritto di ademprivio, per usi civici. A lui è dedicato l'omonimo
istituto di ricerca. Altre opere: “Scritti filosofici”; “Interdizioni
israelitiche”; “Psicologia delle menti associate” – questo saggio –
associazione -- non è stata completata e rimane allo stato di frammenti. Il
tema de saggio sarebbe dovuto consistere nel cercare un'interpretazione sociale
– diadica -- nello sviluppo dell'individuo o monada. La città – cittadino –
cittadinanza -- considerata come principio ideale delle istorie italiane;
Dell'India antica e moderna; Notizie naturali e civili su la Lombardia Vita di
Dante di Cesare Balbo Il Politecnico, Repertorio mensile di studi applicati
alla prosperità e coltura sociale e comunitaria; Dell'Insurrezione di Milano e
della successiva guerra. Rapporto sulla bonificazione del piano di Magaldino a
nome della società promotrice, In Lugano, Tipografia Chiusi. Le cinque giornate
di Milano di Carlo Lizzani -- interpretato da Giannini. Cattaneo e le cinque
giornate di Milano Secondo una tesi, non
comprovata e non accolta dai dizionari biografici, Cattaneo sarebbe nato a
Villastanza, frazione del comune di Parabiago in provincia di Milano. Certamente
più antica è la Villa prospiciente la Chiesa, sulla piazza ed attualmente in
proprietà del signor Luigi Gagliardi, cui è giunta per eredità dagli avi.
Un'insistente tradizione vuole che in questa casa, abbia avuto i natali
nientemeno che Carlo Cattaneo. Ma il Cattaneo deve aver passato qui soltanto
alcuni anni della sua infanzia, ospite nei mesi estivi della famiglia amica ai
propri genitori. Si veda, a tal riguardo, “Storia di Parabiago, vicende e
sviluppi dalle origini ad oggi, Unione Tipografica di Milano. (G. Tortora), da
Filosofico (Diego Fusaro) Arch. Rebecca
Fant Milano Bertone, Camagni, Panara, La
buone società: Milano industria. Almanacco istorico d'Italia, 1, Battezzatti. Carlo Cattaneo genealogy
project, su geni_family_tree. 16 marzo.
Il Famedio, su del Comune di
Milano. Carlo G. Lacaita, Raffaella Gobbo, Alfredo Turiel La biblioteca di
Carlo Cattaneo, Le riforme illuministiche in Lombardia, articolo dal saggio
introduttivo a Notizie naturali e civili della Lombardia, come riportato da
Mario Pazzaglia in Antologia della letteratura italiana, Il monumento milanese che lo raffigura reca
l'iscrizione «A Carlo Cattaneo -- La massoneria italiana» Mola, Aldo A., Storia della Massoneria
italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani.
Fonte://manfredipomar.com/.
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D. Messina, G. Pasquino, M. Teodori, Dibattito "Risorgimento laico".
Presentazione del saggio di Teodori, su Radio Radicale, Milano, Fondazione Corriere
della Sera. Tuveri Giovan Battista, in Rassegna storica del Risorgimento. Luigi
Ambrosoli (scelta e introduz. di). Cattaneo e il federalismo, Roma,
Ist.Poligrafico e Zecca dello Stato- Archivi di Stato, Bobbio, Una filosofia militante: studi su
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MartinicoE. Stradella, Pisa, Edizioni della Normale. Cattaneo e Carlo Tenca di
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ritratto carpito di Carlo Cattaneo, Edizioni Casagrande, Bellinzona); Cattaneo
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Pregassona, L'istruzione educante nel
pensiero di Cattaneo, Carlo Moos, Carlo Cattaneo: il federalismo e la Svizzera,
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Romana, Ibidem, 47-49. Carlo Moos, Carlo
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1887 Carlo Matteucci Gian Domenico
Romagnosi Cinque giornate di Milano Federalismo in Italia Giuseppe Ferrari
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Risorgimento Risorgimento Categorie:
Patrioti italiani del XIX secolo Filosofi italiani del XIX secoloPolitici
italiani Professore1801 1869 15 giugno 6 febbraio Milano LuganoScrittori
italiani del XIX secolo Personalità del Risorgimento Positivisti Insegnanti
italiani del XIX secoloFilosofi della politicaRepubblicanesimoLinguisti
italianiSepolti nel Cimitero Monumentale di MilanoPolitologi
italianiFederalistiDeputati della VII legislatura del Regno di SardegnaDeputati
dell'VIII legislatura del Regno d'Italia Deputati della IX legislatura del
Regno d'Italia. Linguaggio e ideologia: la posizione di Carlo Cattaneo
Pubblicato il 1 novembre 2020 da Comitato di Redazione
matania_edoardo_-_ritratto giovanile di carlo cattaneo xilografia imagefullwide
Edoardo Matania, Ritratto giovanile di Carlo Cattaneo, xilografia, 1887
di Alessandro Prato La centralità della figura di Carlo Cattaneo
(1801-1869) nell’ambito della cultura italiana della prima metà dell’Ottocento
è giustamente ricollegata al suo pensiero liberale e laico, agli studi
giuridici che hanno contrassegnato l’intera sua formazione, all’interesse verso
l’etnografia e la psicologia sociale [1]. La sua personalità di studioso
poliedrico e sfaccettato, fortemente influenzata dalla cultura classicista e
dalla filosofia dell’illuminismo, si è concretizzata in varie forme tutte di
grande rilevanza: il filosofo, l’economista, il critico, lo storico, lo
scrittore politico, il fondatore della rivista Il Politecnico (1839-44) e, non
da ultimo, il linguista. Nel quadro di questa ricerca intellettuale così
ricca e variegata un posto rilevante assumono i suoi studi etnico-linguistici
di impianto storico-positivo e i suoi progetti politici orientati sul concetto
di “nazionalità”. Con questo termine egli si riferiva allo stesso tempo sia
alla più alta e unitaria aggregazione culturale, sia alla diretta
partecipazione popolare allo sviluppo della società civile. Proprio sugli
interessi linguistici di Cattaneo [2] concentreremo la nostra attenzione
mettendo in evidenza l’impulso che egli ha dato alla costruzione
dell’italiano come lingua comune che riflette il nesso tra la vitalità della
lingua e la vitalità culturale della nazione di cui la lingua stessa è «il
vincolo unitario in senso geografico e sociale» (Vitale 1984: 457), perché è da
essa che dipende la possibilità per gli italiani di partecipare al progresso
della cultura del proprio Paese. La forte coscienza del carattere comune della
lingua faceva sì che Cattaneo potesse prescrivere la rinnovabilità della lingua
– rifiutando quindi le angustie del purismo, i grecismi e i particolarismi
provinciali – e sostenere anche un’opposizione recisa, basata su una coerente
visione culturale di impronta europea, sia al neotoscanismo e al fiorentinismo
manzoniano, sia all’accademismo della Crusca, in nome di un principio di unità
di cultura e di vita civile nazionale. Questa impostazione spiega poi la
sua duplice posizione rispetto ai dialetti: da una parte riproponeva in termini
nuovi, non antitetici, i rapporti fra i dialetti e la lingua,
riconoscendo la validità dei dialetti in quanto depositari di un patrimonio
storico da preservare, apprezzando i valori riposti nelle culture popolari e
sottolineando anche il valore della letteratura dialettale; dall’altra però
considerava i dialetti come elementi superabili nel processo dialettico
fondativo della lingua comune, essendo consapevole che il coinvolgimento dei
parlanti nella lingua comune poteva avvenire nella misura in cui essi
riuscivano progressivamente ad abbandonare l’uso esclusivo del dialetto.
Il primo scritto di linguistica di Cattaneo è quello sul Nesso della nazione e
della lingua Valacca coll’italiana, pubblicato nel 1837 [3], come parte di un
lavoro più generale che riguardava l’influenza delle invasioni barbariche sulla
lingua italiana e che non venne mai condotto a termine. Si tratta di uno studio
sul passaggio dalla società tardo romana a quella feudale e poi comunale,
condotto sulla scia dell’insegnamento di Romagnosi ma con una sostanziale
differenza: mentre Romagnosi tendeva a ridurre la storia della civiltà in
storia degli istituti giuridici e solo marginalmente si interessava di
questioni linguistiche, Cattaneo già in questo primo scritto – il cui carattere
storico generale è evidente – metteva al centro della sua trattazione il
problema linguistico, considerando la lingua come espressione della nazionalità
e testimonianza delle vicende della storia dei popoli. La funzione
sociale e in senso lato politica della lingua viene così enfatizzata con la
finalità di studiare le interconnessioni tra le cose, cioè gli anelli che
compongono le catene sociali che tengono uniti gli individui in quanto membri
di una comunità: le parole, che sono ricche di sottili significati, possono essere
comprese pienamente solo se situate in un contesto sociale più ampio di quello
del loro svolgersi immediato (Lewis). Il nucleo che tiene insieme le memorie
individuali e collettive è insomma costituito dalla lingua e l’esercizio della
lingua rafforza tale nucleo dal quale poi dipende in buona parte l’identità di
un popolo, la sua coscienza storica. In questo caso Cattaneo non si riferiva
alla lingua solo come insieme di regole sintattiche e di etichette fonologiche,
ma anche come modalità socialmente e regionalmente differenziata, dunque non la
lingua come sistema, bensì come norma e istituzione: «è nelle parole della
lingua che si condensano i path, i “sentieri” della memoria propri di ciascuna
comunità» (De Mauro 2008: 67). poliCattaneo mostrò fin dagli anni
giovanili grande interesse per l’opera di Vico, anche grazie all’influenza che
ebbero su di lui le opere di Romagnosi e Ferrari che la interpretavano alla
luce dell’antropologia laica dell’illuminismo. Proprio dal libro di Ferrari,
Vico e l’Italie uscito a Parigi nel 1839, egli prese spunto per un saggio Sulla
scienza nuova che pubblicò sul Politecnico nello stesso anno. L’interesse per
le età primitive e per la vita collettiva dei popoli, il rapporto tra lingua e
nazione [5] denotano la presenza di motivi vichiani, con i quali Cattaneo
corresse certi eccessi del razionalismo settecentesco, senza mai però
rinunciare all’idea di progresso, e allo stesso tempo senza farsi influenzare
dagli aspetti teologici della filosofia di Vico. La sua formazione illuminista
lo portò a non condividere nessun mito del Risorgimento romantico e
spiritualista, a celebrare come maestro Locke contrapponendolo alle fumosità
dell’idealismo, ad avversare le posizioni di Rosmini, Gioberti e anche
Mazzini. L’illuminismo nella sua opera «si rivela sotto il carattere di
una radicale antimitologia» (Alessio 1957: XIX). Rispetto al Romanticismo la
posizione di Cattaneo è contrassegnata da una sostanziale estraneità:
giustamente Timpanaro (1969: 233-34) osserva che parlare – come spesso si è fatto
– di un romanticismo di Cattaneo può essere giusto se ci riferiamo al
romanticismo come una categoria spirituale generale, definendo romantico ogni
forma di interesse per le età primitive, per le tradizioni popolari e per il
nesso lingua\nazione. Ma questo non ci deve far dimenticare che per il
Romanticismo inteso come movimento culturale storicamente definito Cattaneo –
come del resto anche Leopardi – mostrò sempre un atteggiamento critico e
distante motivato dalla sua avversione al medievalismo, a quella concezione
religiosa della vita che i romantici – sia pure con sfumature diverse –
condividevano e al modo ambiguo con cui veniva da loro esaltato lo spirito
popolare, inteso più come attaccamento alle tradizioni locali e forma di
ingenuità, che come aspirazione democratica. Sui rapporti tra romani e
barbari e sulle origini della lingua italiana Cattaneo tornò diverse volte in
altri scritti successivi quel primo saggio del 1837 [6], sostenendo la
derivazione dell’italiano dal latino volgare e limitando al massimo l’influsso
delle lingue dei barbari sulla formazione dell’italiano, tanto più che secondo
lui il numero dei barbari dominatori era stato assai esiguo contrariamente a
quanto pensavano molti storici. Per valutare al meglio questa continuazione
dell’italiano dal latino volgare per Cattaneo era necessario tener conto anche
dell’influsso esercitato dalle antiche lingue dei popoli italici conquistati
dai romani (etrusco, umbro, celtico ecc..). Questa è l’importante teoria
del sostrato senza la quale è difficile ad esempio spiegare la varietà dei
dialetti italiani e che coinvolge soprattutto la fonetica piuttosto che il
lessico: non si tratta quindi di una generale mescolanza di lingue, ma della
stessa nuova lingua pronunciata in modo diverso in base ad abitudini fonetiche
precedenti che rimanevano vive perché radicate dall’uso dei parlanti [7].
Gli studi sull’origine dell’italiano sono importanti anche per spiegare la
posizione che Cattaneo ha assunto nel dibattito sulla questione della lingua,
che ha avuto del resto una grande rilevanza nella cultura italiana del tempo.
Cattaneo, infatti, non vedeva una scissione tra il suo impegno di linguista
militante e i suoi studi di linguistica storica, al contrario riteneva lo
studio storico delle lingue come la base, e dunque il fondamento, della
linguistica normativa [8]. Di fronte al problema di come la lingua italiana
avrebbe dovuto essere formata e regolarizzata, egli sosteneva una rigorosa
battaglia antitoscana, svolta su due fronti essenziali. Il primo era diretto –
riprendendo una polemica che era stata inaugurata dagli illuministi lombardi
del Caffè – contro il modello arcaico e passatista dell’Accademia della Crusca,
che sosteneva una concezione immobilistica della lingua, estranea a ogni
innovazione e fondata sulla netta scissione tra lingua e cultura. Il secondo
fronte riguardava il modello certamente più moderno e funzionale del Manzoni,
ma che ai suoi occhi risultava troppo accentrato e basato su un concetto di
popolarità che egli non condivideva: «la dottrina della popolarità da cui
primamente si presero le mosse, oramai non significa più che si debba agevolare
l’intendimento e l’arte della lingua agli indotti: ma bensì che si debbano
raccogliere presso uno dei popoli d’Italia le forme che, più domestiche a
quello, riescono più oscure a tutti li altri. Si intende un’angusta e inutile
popolarità d’origine, non la vasta e benefica popolarità dell’uso e dei frutti»
In alternativa, Cattaneo opponeva una forma di lingua che costituisse un punto
d’incontro delle varie tradizioni dialettali italiane in maniera da poter
svolgere veramente una funzione unificatrice della nazione. Una lingua, allo
stesso tempo illustre [9], «insieme austera e moderna» (Timpanaro), adeguata
non solo alla cultura letteraria, ma anche a quella scientifica e
filosofica. Fin da quel primo articolo, cui abbiamo già fatto riferimento,
Cattaneo ha dimostrato inoltre di avere due maggiori capacità rispetto ad altri
autori italiani suoi contemporanei. La prima era quella di saper andare al di
là dei ristretti confini nazionali, interessandosi ad esempio delle lingue
germaniche e del romeno. La seconda consisteva nell’avere ben presente il
principio che la comunanza di origine tra due lingue è dimostrata dalla
somiglianza delle strutture grammaticali, più che dei vocaboli – principio che
ricavava dalla nuova linguistica comparata di Bopp e dei fratelli Schlegel [10]
che, proprio in quegli anni, erano diventati per lui importanti interlocutori
anche polemici e avevano impresso nuovi sviluppi alle sue idee linguistiche.
Nel 1839 Bernardino Biondelli [11] cominciò a pubblicare sul Politecnico una
serie di articoli sulla linguistica indeuropea, recensendo anche importanti
opere dei comparatisti [12], informando così il pubblico italiano sui risultati
scientifici da loro raggiunti. Questi articoli hanno indotto Cattaneo a
prendere una posizione critica di fronte a questa corrente di studi e a
scrivere il saggio Sul principio istorico delle lingue europee [13]. In
questo saggio Cattaneo criticava l’idea che dall’affinità delle lingue fosse
possibile ricavare una comunanza d’origine dei popoli, perché era invece
convinto che non ci fosse una connessione essenziale tra affinità linguistica e
affinità razziale e che la linguistica e l’antropologia andassero attentamente
distinte; inoltre credeva che si fosse troppo insistito sull’unità
dell’indoeuropeo, trascurando le differenze tra le varie lingue dovute al
sostrato. Guardava con sospetto l’esaltazione orientalizzante che costituiva
forse la conseguenza più effimera e fuorviante del comparatismo indoeuropeo
(Marazzini 1988: 406). Per Friedrich Schlegel [14] il sostrato svolgeva
soprattutto una funzione negativa corrompendo la perfetta forma del sanscrito;
per Cattaneo, al contrario, la commistione del sanscrito con le lingue europee
primitive ha dato luogo a un innesto fecondo perché il sostrato «rappresentava
appunto il principio della varietà linguistica, non cancellata dall’azione
unificatrice esercitata dal popolo colonizzatore» (Timpanaro 1969: 266). La
parentela linguistica non è quindi nel sistema di Cattaneo identità di origine,
bensì il risultato di un lento e progressivo avvicinamento delle popolazioni,
dovuto all’istaurarsi fra di esse di rapporti politici, economici e culturali.
Non si tratta, quindi, di un punto di partenza, ma di arrivo: «Le lingue
vive d’Europa non sono le divergenti emanazioni d’una primitiva lingua comune,
che tende alla pluralità e alla dissoluzione; ma sono bensì l’innesto d’una
lingua commune sopra i selvatici arbusti delle lingue aborigene, e tende
all’associazione e all’unità. Se una volta in diverse parti d’Italia e delle
isole si parlò il fenicio, il greco, l’osco, l’umbro, l’etrusco, il celtico, il
carnico, e Dio sa quanti altri strani linguaggi, come tuttora avviene nella
Caucasia, la sovraposizione d’una lingua commune avvicinò tanto tra loro i
nostri vulghi, che ora agevolmente s’intendono tra loro. Il tempo che cangiò le
lingue discordandi in dialetti d’una lingua, corrode ora sempre più le
differenze dei dialetti; e lo sviluppo delle strade e la generale educazione
promovono sempre più l’unificazione dei popoli. Non è che una lingua
madre si scomponga in molte figlie; ma bensì più lingue affatto diverse,
assimilandosi ad una sola, divengono affini con essa e fra loro; e per poco che
l’opera si continui, o a più riprese si rinovi, divengono suoi dialetti e
infine mettono foce commune in lei» (Cattaneo 1957: 450). Sulla base di queste
considerazioni, Cattaneo, nell’ambito dell’acceso dibattito sulla monogenesi o poligenesi
del linguaggio, sosteneva una posizione particolare: rifiutava evidentemente il
primo, ma allo stesso tempo era anche distante da quel particolare tipo di
poligenismo sostenuto da Schlegel, che consisteva nel separare nettamente pochi
tipi linguistici originali dai quali sarebbero derivate tante lingue cosiddette
“figlie”. Per lui invece esistevano tante lingue primitive originarie che si
erano ridotte di numero, via via che le tribù avevano cominciato a unirsi in
aggregati più ampi. Non esistevano quindi – come per Schlegel – delle lingue
perfette fin dall’inizio (le lingue flessive); tutte le lingue avevano origini
umili o, come scriveva lui stesso, “ferine”. I modelli di questo modo di
intendere il poligenismo linguistico sono Epicuro, Vico e Cesarotti [15].
Sempre contro Schlegel, rivendicava la giustezza della teoria agglutinante
secondo la quale anche le forme flessionali più perfette e sofisticate
derivavano dall’agglutinazione di monosillabi che all’origine avevano una
funzione autonoma. E in quel primo articolo del 1837 osservava infatti che le
declinazioni della lingua latina e greca potevano derivare da semplici nomi con
un articolo affisso (Cattaneo 1948: I, 228). Psicologia delle menti associate
carlocattaneoeditoririuniti La polemica con Schlegel riguardava anche la
questione dell’origine del linguaggio: mentre per il primo la flessione
indoeuropea era dovuta sostanzialmente a un intervento divino, per Cattaneo,
l’origine del linguaggio non poteva che essere umana, e su questo avrebbe mantenuto
una posizione coerente anche negli scritti successivi come le Lezioni di
ideologia del 1862, dove, ad esempio, confutava il sofisma di Bonald che negava
all’uomo la facoltà di costruirsi un linguaggio. Su questo tema come per tanti
altri Cattaneo è vicino alla grande tradizione della linguistica illuminista
che con Locke e Herder aveva respinto recisamente la concezione delle idee
innate e l’origine divina del linguaggio (Prato) ed è del tutto immune dalla
concezione misticheggiante della linguistica tanto cara ai romantici.
Proprio nel Saggio sul principio istorico delle lingue europee, Cattaneo si
proponeva di verificare il rapporto tra fenomeni linguistici e tradizioni
culturali, considerando la ricerca linguistica in stretta correlazione con una
riflessione propriamente filosofica. L’analisi dei fenomeni linguistici non si
riduceva per lui solo a una raccolta estemporanea di dati ma si traduceva in
una vera e propria scienza sociale. Alla filosofia analitica degli Idèologues –
che era rappresentata per gli scrittori italiani soprattutto da Condillac e
Tracy – egli riconosceva senz’altro il merito di aver esaminato con acume e
precisione i problemi del linguaggio, inserendoli in una prospettiva il più
possibile concreta e razionale. Allo stesso tempo era tuttavia consapevole
anche dei suoi limiti, che consistono nell’aver indicato come proprio oggetto
di riflessione una figura di uomo dai caratteri astratti e indipendente dal
rapporto con i suoi simili. Proprio «la famosa ipotesi della ‘statua’ condillachiana
gli appariva emblematica di un concetto destorificato della natura umana»
(Gensini 1993: 238). Non a caso alle conferenze tenute a partire dal 1859
presso l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Cattaneo volle dare il titolo
di Psicologia delle menti associate [16], dove il termine di “psicologia
sociale” è inteso appunto in senso antropologico sia come riflessione sull’uomo
a partire dai rapporti che lo legano agli altri suoi simili, sia come
ricostruzione delle mentalità e dei sistemi simbolici quale risultato di
mediazioni sociali. In queste lezioni Cattaneo osservava che il lievito che fa
fermentare le idee non si svolge in una mente sola perché «la corrente del
pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti» (Cattaneo
1957: 277-78). La genesi delle idee, che Locke aveva dimostrato scaturire
dal linguaggio, in questa nuova prospettiva aperta da Cattaneo, non può che
radicarsi nella pratica sociale: «Nel commercio degli intelletti, promosso da
felici condizioni, si svolgono le idee, come nel mondo materiale, al contatto
delli elementi, si svolgono le correnti elettriche e le chimiche affinità»
(Cattaneo 1960: II, 16). Il linguaggio stesso è la società (Cattaneo 1957:
316), ed è proprio su questo terreno che l’ideologia – ovvero l’analisi delle
idee – iincontra la linguistica. Ideologia è del resto il titolo di una parte
del corso di Filosofia che Cattaneo aveva tenuto presso il liceo di
Lugano. Non a caso aveva scelto questo titolo se consideriamo che per la
sua chiara derivazione illuminista, l’ideologia [17] rappresentava la sola
reale forma di opposizione al conformismo della cultura del suo tempo perché
l’ideologia era «un’arma efficace per una filosofia democratica, atta ad
opporsi alla marea montante della filosofia restaurata, allo spiritualismo
eclettico in Francia, all’ontologismo cattolico in Italia» (Formigari 1990:
153). I principi che contrassegnano l’intera ricerca di Cattaneo e che spaziano
dal riconoscimento del valore del pensiero scientifico, alla negazione della
metafisica e alla difesa della laicità, la rendono insomma pienamente aderente
ai problemi e alle esigenze del nostro tempo, oltre che aperta a ulteriori
forme di sviluppo e approfondimento. Dialoghi Mediterranei, n. 46,
novembre 2020 Note [1] Per un ritratto complessivo di Cattaneo e dei
rapporti con i suoi contemporanei rimandiamo a Alessio (1957) e Mazzali (1990).
[2] Studiati in particolare da Timpanaro (1969: 229-83). Si veda anche Gensini
(1993: 237-40), Benincà (1994: 576-80), Geymonat (2018). [3] Negli Annali
universali di statistica, si leggono ora in Cattaneo (1948: I, 209-37). [4] Si
trova in Cattaneo (1957: 39-75). [5] Anche per Giordani la lingua è il
vincolo di una comunità che si identifica con la nazione (Cecioni 1977: 59),
[6] Per esempio nella recensione alla Vita di Dante di Balbo pubblicata sempre
sul Politecnico del 1839 (ora in Cattaneo 1957: 380-395) di cui viene criticato
il contenuto religioso e metafisico e la difesa del neo-guelfismo. [7] Questa
teoria del sostrato come è noto verrà ripresa da Ascoli nei suoi celebri
scritti linguistici. Sul rapporto tra Cattaneo e Ascoli rimandiamo alle dense
pagine di Timpanaro (1969: 284 sgg) e Timpanaro (2005: 237-51). [8] Qui lo
scrittore lombardo riprendeva un’idea ben radicata nella cultura italiana e che
risaliva al De vulgari eloquentia di Dante. [9] Su questo si può cogliere l’eco
della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca
(1817-1822) del Monti che Cattaneo del resto aveva letto fin da giovanissimo
con passione e interesse. [10] Sulla linguistica dei comparatisti si veda
Morpurgo Davies (1994). [11] Sulla funzione positiva svolta da Biondelli per lo
sviluppo degli studi linguistici in Italia vedi De Mauro (1980: 49-52). [12]
Per esempio la Deutsche Grammatik di Jacob Grimm. [13] Pubblicato sul
Politecnico nel 1841 è certamente il suo scritto linguistico-etnografico più
ampio e originale. [14] Qui Cattaneo fa riferimento al libro: Uber die Sprache
und Weisheit der Indier del 1808. Sulle idee filosofico-linguistiche di
Schlegel vedi Timpanaro (2005: 17-56). [15] In particolare su Cesarotti e sul
suo Saggio sulla filosofia delle lingue (1800) che è stato per Cattaneo una
lettura importante vedi Gensini (2020). [16] Pubblicate postume da Bertani
nella raccolta di Opere edite e inedite in 7 volumi usciti tra il 1881 e il
1892, si leggono ora in Cattaneo (1957: 270-326). [17] Ideologia è del resto il
titolo stesso di una parte del corso di Filosofia che aveva tenuto presso il
liceo di Lugano: si trova ora in Cattaneo (1960: III, 3-204). Riferimenti
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Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti o Biblioteca italiana”, III, pp.
177-187. Delle Lezioni tenute al Liceo di Lugano tra anni Cinquanta e
Sessanta, si analizzano le versioni preparatorie di un paragrafo dedicato
all’originarsi della poesia da canti e balli popolari (con particolare
attenzione alla cosiddetta ballata). Ciò consente di riconoscere in Cattaneo,
che in quel periodo ha ripreso l’attività di studio e divulgazione, il
perdurare d’interessi terminologici e il legame con dibattiti che avevano
coinvolto suoi maestri, colleghi e amici nella prima metà dell’Ottocento.
Curiosità e passioni di gioventù s’intrecciano con letture nuove, alcune delle
quali avranno eco nella seconda serie de "Il Politecnico", altre
rimarranno limitate alla pratica didattica e si possono in parte scoprire
grazie agli appunti preparatori. Indice del saggio su Cattaneo linguista –
recensione Resurggimento. Anche il
latino fu lingua
di tutta Italia,
ma gl'Italici non
erano tulli romani
e i dialetti
ne ftmno testimonianza. La
serbata integrità nativa
delle molteplici favelle
del Caucaso di fronte
alle indo-perse riflette
l'imagine di quelle
che popolavano l'Italia
innanzi che la
coprisse lo strato
Ialino. Ne invasioni
armale, né importazioni
di civiltà, ne
so- vrapposizioni di lingue
alterarono i confini
etnografici dei Tusci,
dei Liguri, dei
Cisalpini, dei Veneti
e d'ogni altra . Non
cono- sciamo ancora le
svariate forme naturali
del nostro paese,
e nemmeno i
nostri dialetti e
le riposte loro
derivazioni; non conosciamo
i secreti nessi
che collegano questa
lin- gua nostra alla
civiltà precoce della
Persia e dell'
India, e alla
lunga barbarie dell'
antico settentrione. La filologia
è una scienza
nuova che classifica
le duemila lingue e
dialetti morti e
vivi in famiglie,
come si co-
stuma nelle faune e
nelle flore. La
scienza delle lingue
è luce aggiunta
alla scienza dei
luoghi, dei tempi
e dei monumen-
ti, a rischiarare il
buio dell'istoria. Per
lei si scoprono
le cause onde
i popoli comunicarono
tra loro con
certi modi peculiari
i propri pensieri;
per lei si
rileva, da lieve
indizio di scrittura
salvata, una gente ignota alla
storia; si sorpren-
dono sorelle nazioni che l'
idioma apparentemente diverso
inimicò, e in
un dialetto si
palesano segni di
origine disfor- me e
di antichi odii
in nazione stimata
omogenea: per lei si assiste
al ritorno su
straniere labbra d'un
vocabolo esulato dalla patria
in età remola;
per lei si
rintracciano in una
valle le reliquia
di lingua fuggita
dalla pianura negli
attriti del commercio
o della conquista:
per lei contemplasi
il tran- sito d'una
favella celebrala da
una letteratura, e
l'ascen- sione d'oscuro dialetto
a dignità di
idioma illustre in
com- pagnia della fortuna
di un popolo;
per lei rilucono
le alfinità e le diversità
delle lingue tutte. La
nostra lingua ha
una nota affinità
primamente col latino
e colle altre
lingue dal latino
derivate: fran- cese, spagnuola, portoghese
e rumena o
moldo-valacca. Queste sei
lingue viventi e
li innumerevoli loro
dialetti si classificano
dai linguisti sotto
il nome commune
di lingue romane
o romanze o
latine; come una
famiglia. si deduce che
i dialetti e
pronuncie provinciali sono
fili conduttori alle
origini prime: si
deduce che la
varietà dei dialetti, delle
pronuncie e dell'aspetto
delle genti moderne
trova esplicazione e
commento nella varietà
delle stirpi e
delle lingue primitive:
si deduce che
l' azione cemen-
tatrice delle lingue
s* è compiuta
soltanto sovra popoli
bar- bari, e tali
erano gU europei
alla comparizione delle
caste asiatiche; che
avendo raggiunto un
certo grado di
coltura, ì Baschi
resistettero alla lingua
latina Quando noi troviamo
nel tedesco e
nel gotico la
radice della parola
latina ^iraesagus, dobbia-
mo indurre che qualche
antichissima relazione vi
fu tra li
avi dei Romani
e li avi
de' Goti. Nello stesso
modo in cui
possiamo riferire l'italiano,
il francese e
lo spagnolo alla
commune loro madre,
la lingua latina,
possiamo ri- ferire il
latino,, il greco,
il sanscrito, il
zendo ad una
commune origine celata
nella notte dei
tempi. Se si paragona
il latino alle
lingue sue figlie,
si trova che
queste, cioè le
lingue moderne, hanno
maggior copia di
voci astratte. Il
latino ha la
voce fortis e
non ha la
voce forza; da
vir abbiamo il
latino virtus, l'italiano
e il francese
virtù, vertu; ma
l'italiano il francese
hanno inoltre le
parole derivate virtuoso,
virtuosamente, vertueux, vertueusement; e
il francese ha
inoltre il verbo
évei^tuer. Le voci
italiane ente, entità,
essenza, essenziale, essenzialmente, se
vengono ricondotte alla
forma latina, ens,
entitas, essentia, essentialis,
essentialiter non si
trovano mai nelli
scrittori antichi , ma
solo in quelli
dei bassi tempi. l'inglese, che
per una metà
de' suoi vocaboli deriva
dall'antica lingua anglo-
sassone e per l'altra
metà dal latino. Nelle
lingue indo-europee la
radice è quasi
sempre unisillaba. Le
poche radici bisillabe
come aìiima, columna,
vidua, susurrus, titubare,
vacillare, oscillare tentennare, dondolare
si possono considerare
o come raddoppiamenti o
come derivazioni di
voci semplici più
antiche. In latino un
verbo semplice p.
e. mitto, fero,
traho colle sue
inflessioni di persona,
di numero, di
tempo, di modo,
e coi diversi
casi de' suoi participj. produce nella
sola forma attiva ,
circa un centinaio
dì inflessioni {mitto,
mittis, mittens, missuriis
etc. etc.) coir
aggìuiìta della forma
passiva (mittor, mitteris,
missus, mittendus) e
dei nomi ed
aggettivi verbali {missio,
missilis y missivus) ne forma
forse duecento. Questo numero
può ripetersi tante
volte quanti sono
i verbi derivati
e composti, p.
e. mittito, admitto,
amitto , eie. epperò
dalla sola radice
unisillaba di mitt-o
possono diramarsi tremila
suoni piìi o
meno diversi, ciascuno
dei quali esprime
un'idea in qualche
grado modificata e
distinta p. e.
nelle tre voci
mitto, misi, mitfam,
vi è per
lo meno la
dilFerenza del tempo,
nelle voci missuris
e mittendis sono
espresse tutte quelle
idee che in
italiano significhiamo con
dire: a quelli
che manderanno , ovvero
a quelli che
devono essere man*
dati. Cosicché qui
tre sillabe latine
equivalgono da sette
a tredici sillabe
italiane. 6. Codesti
tremila vocaboli nelT
idioma primitivo furono
rappresentati da una
sola sillaba: mit.
È come la
quercia rappresentata da
una ghianda. Qualunque
sia dunque la
dovizia delle forme
nelle lingue derivate, abbiamo questa
terza legge di
linguistica che le
lingue veramente primitive
hanno potuto consistere
in poche centinaia
di radici monosillabe. È un
fatto lingui- stico che
le lingue
madri, nel propagarsi
di paese in
paese e nel
venir adottate da
numerose nazioni, hnnno
perduto gran numero
delle loro inflessioni.
L'italiano paragonato al
latino, non ha
più i verbi passivi, né
i participi futuri,
né i partecipali,
né il genere
neutro, e le
declinazioni dei nomi
sono ridutte a
due sole de-
sinenze, singolare e plurale.
Per rilevare le
affinità non basta
paragonare isolatamente una
lingua con un'altra,
ma è necessario
ravvicinarla a tutta
la serie delle
lingue della stessa
fa- miglia. A prima
vista non appare
similitudine tra il vo- cabolo dormire e
il tedesco traumen,
che vuol dire
so- gnare; ma appare
di più nelP
inglese dream, che
ha le stesse
consonanti del latino
e lo stesso
senso del tedesco;
inoltre nelle due
voci latine somniis
e somnium, e
nelle italiane sonno
e sogno si
trova il doppio
senso di dor-
mire e sognare. La pronuncia dei
|)opoli proviene dalle
loro ori- gini, ossia
dal genio imitativo
più o meno
delicato, dalli organi
vocali più o
meno flessibili, e
dalle abitudini pas-
sate in tradizione.
E più facile
mutare il vocabolario
d'un popolo, dargli
una nuova lingua,
che non mutare
la sua pronuncia.
Questa sopravvive nei
dialetti, anche dopo
che le lingue
^ono mutate. Ancora
oggidì la pro-
nuncia e il dialetto
segnano in Italia
precisamente i confini
antichi della Gallia
Cisalpina e della
Carnia con la
Venezia , la Toscana
e la Liguria. In
Italia due soli
dialetti hanno aspirazione:
il toscano e il bergamasco.
I due dialetti
più dolci sono
il veneto e
il siciliano, alle
opposte estre- mità dell'Italia. Vico rinvenne
nelle radici latine
le vesti-jia d'una
antica sapienza. \fa
essendo a quei
tempi ignota ancora
la scienza linguistica
e non osservata
la consonanza del
latino col zendo
e col sanscrito,
egli attribuì quella
sa- pienza alli aborigeni
dell'Italia, e perciò
scrisse il li-
bro De antiqiiissima Italorum
sapientia et latinae
Un- gnae originibus
emenda, Carlo Cattaneo.
Keywords: cinque giornate, community, communita, diada, monada, associazione,
contratto sociale, conversazione, psicologia filosofica, psicologia, sociologia
filosofica, ego e alter ego, logica e linguaggio, il latino, l’italiano di
lombardia, il natale di Cattaneo – regione Lombardia – provincia -- – Milano.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library.
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