Grice e Macedo: l’orto
romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Macedo was a philosopher
and a friend of Aulo Gellio. Macedo.
Grice e Machiavelli: l’implicatura conversazionale del
principe – Machiavelli at Oxford -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “While Strawson
prefers ‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo, discorso, ovvero
dialogo intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes it sound slightly
analytic – ‘whether it should be called ‘florentine, Italian, or tooscana’ I
mean, a stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call Machiavelli a philosopher
of language – the trend being very Florentine between Machiavelli and Varchi.”
-- possibly Italy’s greateset philosopher – Noto come il fondatore della
scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più
famosa, Il Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la
concezione ciclica della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in
maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico,
entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e
sottile, ma anche spregiudicata e, proprio per questa connotazione negativa del
termine, negli ambiti letterari viene preferito il termine
"machiavelliano". L'ortografia del cognome è, purtroppo,
ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a lui
dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo
o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in
lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto,
farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte]. «Nacqui
povero, ed imparai prima a stentare che a godere.» (N. Machiavelli,
Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli
sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo
figlio, dopo le sorelle Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio
di Bernardo e di Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i
Machiavelli sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a
Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre
Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa
quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per
carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta da
un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie
sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe
composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio
Niccolò. Cominciò a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si
dedicava allo studio della grammatica con Poppi, all'aritmetica e l'anno seguente affrontava le prove scritte
di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca
paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone,
Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio
e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece
il greco, ma poté leggere le traduzioni di alcuni degli storici più importanti,
soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti
per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di
avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda
che di lui ci è pervenutala prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché
si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia
dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore
fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato
allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe neri,
la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel
fine ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)
Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già
presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario
della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto
il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio
maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo
segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce
essere stato suo maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie
siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari
esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda
Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà
e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della
Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il
«Segretario fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura
italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla
riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data
in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire
l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei
Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e
la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze,
autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera,
dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano,
alleato di Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa
per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per
fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate
diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o
cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non
solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire,
perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti
si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle
mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli,
vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i
Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti
sarìa impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì
alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di
Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare
l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo
vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella
difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette
ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando
le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la
via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento,
quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato. Nessuna
prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la
giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle
critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo
corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per
sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore,
o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il
Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi
soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel
luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi,
lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il
commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro
riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la
Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della
Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di
Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte
francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le
rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze
non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono
Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la
Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei
francesiche richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti
accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati
fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione
di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna Cesare
Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi contro gli
interessi fiorentini. Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la
Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle macchinazioni del
papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla Francia,
Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze. Quella lunga permanenza
nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli De natura Gallorum, dove i
francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva fortuna; nella
buona insolenti più cupidi de' danari che del sangue vani et leggieri più tosto
tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo
Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi
prettamente politica, finisce col fare della Francia l'esemplare dello stato
moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e
il raggiunto processo di unificazione nazionale, sentito come la lezione
peculiare delle "cose di Francia". Cesare Borgia «Questo
signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è
sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai
si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima in un luogo che se ne
possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha
cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e
formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna» (Machiavelli, Lettera ai
Dieci) La minaccia del Borgia si fece presto concreta: fermato dalle minacce
della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna, si volse contro
Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando di imporle
tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento di Luigi.
Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare.
Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sei figli:
Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone di Piombino il 3
settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo Vitelli
s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle terre di
Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì passò a
investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare trattative
con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia, padre e figlio,
aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo stesso giorno della caduta
della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino Machiavelli e il vescovo
di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero: ricevuti, si sentirono
ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena la sua inimicizia. La crisi
fu superata grazie all'intervento delle armi francesi: avvicinandosi queste ad
Arezzo, la città fu sgomberata e restituita, insieme con le altre terre, ai
Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve scritto dell'anno successivo,
Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, nel quale, preso
esempio dal comportamento tenuto dagli antichi Romani in caso di ribellioni,
rimprovera il governo fiorentino di non aver trattato severamente la ribelle
città di Arezzo. Pensa che come i Romani «fecero giudizio differente per
esser differente il peccato di quelli popoli, così dovevi fare voi, trovando
ancora nei vostri ribellati differenza di peccati giudico ben giudicato che a
Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si siano mantenuti i capitoli, siano
vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli con i beneficii ma io non
approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed Anziani non siano stati
trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i popoli ribellati si
debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte
risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu
resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che
appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione
che egli affidò a Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col
Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da
quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della
sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà
d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti
quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo
stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza
con la Francia, Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la
sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.
Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze
non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai
Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in
cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di
Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo
fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di
campagna militare e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di
Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i
Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e
Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia
un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò
il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli,
ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su
muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et
Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi
conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et
la passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti
al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele,
al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non
schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la
nocte al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino
che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino,
l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova,
a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle
risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di
Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre
Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio
III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse
Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la
rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo
papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche
erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o
fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del
secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo
che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi
bello», gli scrive la moglie Marietta. E Machiavelli, che lungamente in questo
scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale
forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze. In
Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in
Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera
dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi
XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica
tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i
progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in
viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la
coniettura e iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il
luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in
Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.
Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio,
ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In
marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da
Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo
tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi
degli ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se
invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio
sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende
Firenze: «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al
successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia
tien lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue
imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra
tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto
s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a
dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual
porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier
accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto
se voi el tempio riapriste a Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I
tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese
il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai
loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col
Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per
cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio
a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse
spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino.
Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito
popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal
Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di
soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima
parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella
successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa
di Prato del 1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre
1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente
possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le
mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel
luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva
muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come
Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei
Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa
del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli
dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare
truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua
voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che,
con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13
settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e
rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il
coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte
papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo
questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11
novembre. Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò
ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i
Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo,
responsabili militari della Repubblica. In Germania Massimiliano I
d'Asburgo Il nuovo anno si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re
dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio
sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore
del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e
lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte, e le lunghe trattative sull'esborso preteso da
Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli
fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria. Da questa
esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna,
compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto
delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande
potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le
popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare
le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e
quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati
non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni
delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre
cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in
publico». Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai
minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta
la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa
causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non
basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a
uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza
potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore,
è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una
realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire
l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi
potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia
di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi
il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne
qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede». La
conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa,
Firenze mandò Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati
prelevati da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile.
Riunite altre milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno;
poi, il 4 marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di
cessare ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli
ambasciatori di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe,
in maggio era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente
la pace. Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu firmata la
resa e l'8 giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi,
Antonio Filicaia e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era
intanto divampato nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai,
Francia, Spagna, Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana
che a maggio cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno,
anche Verona, Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte
sua, doveva finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto
in ottobre, Machiavelli era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano,
che era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa
possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli
commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro
ben vorrebbe farla e non può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se
n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai principi
tedeschi. Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a
Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie alle divisioni degli alleati:
mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di ridurre all'impotenza Venezia per
avere le mani libere nella pianura padana, Giulio II la voleva abbastanza forte
da opporsi alla Francia senza averne contrasto alle proprie ambizioni di
espansione. Per Firenze, amica della Francia ma non nemica del papa, era
necessario spiegarsi con il re francese, e Machiavelli fu mandato a Blois, dove
Luigi teneva la corte, incontrandolo. Machiavelli confermò l'amicizia con
la Francia ma disse di dubitare che la Repubblica potesse impegnarsi in una
guerra contro Giulio II, in grado di volgere contro Firenze forze troppo
superiori: meglio sarebbe stata una mediazione che evitasse il conflitto e
sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla responsabilità di un impegno nel quale
era difficile trarre un guadagno. Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre,
convinto che la guerra fosse ineluttabile. Le vittorie militari non furono
sfruttate da Luigi XII e la sua indizione di un concilio a Pisa, che
condannasse il papa, provocò l'interdetto di Giulio II contro Firenze. Il 22
settembre 1511 Machiavelli era ancora in Francia, ottenendo dal re soltanto un
breve rinvio del concilio: dalla Francia andò a Pisa e riuscì a ottenere il
trasferimento del concilio a Milano. Il ritorno dei Medici a Firenze Le
fortune di Luigi XII volgevano al tramonto: sconfitto dalla nuova coalizione
guidata dal papa, era costretto ad abbandonare la Lombardia, lasciando Firenze
politicamente isolata e incapace di resistere alle armi spagnole. Pier Soderini
fuggì a Siena, i Medici rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, il
7 novembre anche Machiavelli venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10
novembre fu confinato e multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli
fu interdetto l'ingresso a Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici
duca di Nemours Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino
Capponi, accusati di aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli
a morte. Anche Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu
anche torturato (gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a
Firenze, la "colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici
duca di Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica
dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516,
a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo
postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai
essere quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma
da un Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività
cui era stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava
che l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo
desiderio che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento
«che io sono stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno
aver caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E
della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la
fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono
quarantatré anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e
bontà mia ne è testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma
anche delle sue luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più
famosa lettera della nostra letteratura: L'Albergaccio di
Machiavelli a Sant'Andrea in Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed
entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana,
piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito
condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro
ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui
per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione
delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per
quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà,
non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice
che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di
che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de
Principatibus» (Lettera a Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514
a Firenze, continuò a sperare a lungo che il Vettori, al quale spedì il
manoscritto del Principe, lo facesse introdurre in qualche incarico
nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla volontà del
papa, e Leone non era affatto intenzionato a favorire chi non si era mostrato,
a suo tempo, favorevole agli interessi di Casa Medici. Machiavelli, da parte
sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri delle cose grandi e
gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche, né ragionare delle
moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si era infatti
innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile e per
natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né tanto amarla che
la non meritasse più». La guerra, ripresa in Italia dalla discesa del
nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre 1515 con la sua
grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia «Lega santa»:
Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la stipula a
Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero francese.
Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano generale dei
Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava Machiavelli il
suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze
continuava. Si diede a frequentare gli «Orti Oricellari», latineggiamento che
indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si riunivano letterati,
giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi,
Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi, Filippo de' Nerli e Battista
della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche capitolo di quell'Asino,
poemetto in terzine che voleva essere una contaminazione fra l'Asino d'oro di
Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma che lasciò presto interrotto: e al
Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio.
Machiavelli si era già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario della
Repubblica, in composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di Plauto e
una commedia, Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono tuttavia
perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro letterario, la commedia Mandragola,
nel cui prologo egli inserisce un accenno autobiografico «scusatelo con
questo, che s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più
suave, perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato interciso
mostrar con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche
sue.» Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di
Terenzio e stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio
che pigliò moglieil suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui
tema di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri
umani, tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di
ciascun altro. Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì,
lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a
Machiavelli, lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta
retribuzione. Machiavelli, galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe nel
1521 l’Arte della guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso
anno fu inviato in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco
Guicciardini di cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon
amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli le
Istorie fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale
dell'interdizione dalla vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in
Romagna in collaborazione col Guicciardini. I Medici furono cacciati da Firenze e venne
instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si propose come candidato alla
carica di segretario della repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto
colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per
Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare
vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu sepolto nel corso di una
modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia nella basilica di Santa
Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento nella basilica stessa;
esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago marmoreo. Sulla lastra
frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par elogium (Nessun elogio
sarà mai degno di tanto nome). Pensiero Machiavelli e il Rinascimento Con
il termine machiavellico si è spesso indicato un atteggiamento spregiudicato e
disinvolto nell'uso del potere: un buon principe deve essere astuto per evitare
le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela
necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo. Ciò si
accompagna a un travaglio personale che Machiavelli sentiva nella sua attività
quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che già in Cicerone
affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere
mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere
un'adeguata scorta di voti". Con Machiavelli l'Italia ha conosciuto
il più grande teorico della politica. Secondo Machiavelli la politica è il
campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità
di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio
destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo pensiero
si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta
di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo.
La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è
un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. La
politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla realtà
effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente andare
dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione di
essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama
all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento. Nel “Dialogo
intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su Alighieri. Alighieri è
rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il
passo assume i caratteri dell'invettiva contro Aligheri, accusato di aver
infangato la reputazione di Firenze: «Alighieri il quale in ogni parte
mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente,
eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori
d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria.
E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli
uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et
questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et
diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta
vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con
la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et
fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in tanta felicità
et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli accuserebbe sé
stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo
risuscitato di nuovo morire.» Poi, durante un altro scambio immaginario
con Aligheri, Mhiavelli rimprovera il carattere "goffo",
"osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato
nell'Inferno: «Aligheri mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu
consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se
alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se
considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non
hai fuggito il goffo, come è quello: "Poi ci partimmo et n'andavamo
introcque"; non hai fuggito il porco, com'è quello: "che
merda fa di quel che si trangugia"; non hai fuggito l'osceno,
com'è: "le mani alzò con ambedue le fiche"; e non avendo
fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito
infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella» Autografo
delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento
verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia
fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche
le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica
della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li
medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica
della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla capacità
dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente le
esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i
mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo
anche violenza, se necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe,
nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i
sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo,
a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è
rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La
storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene
esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione
politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del
principe. Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi
protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di
decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una
creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la
fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio
a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la
scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il
cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente
retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una
vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia,
Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia;
così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di
una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il
patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che
spezzava in due la penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un
problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea
dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli
concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma
la figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio
che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in
patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della
"nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento
culturale). Il principe o De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello
studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati,
quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne
uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni
programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a
vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo
preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al
recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in
modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una
figura rispettata e conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico
del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei
sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere
amato che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in
un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile
per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la
posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando
che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo,
fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente
la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia
"volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle
avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone).
Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una
minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di
Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un cinismo
estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata la
frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo
perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre
Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in
base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a
conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello
Stato. Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale situazione
che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere risolta
con un atto deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei mezzi
giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque Principe
che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo schiava, dovrà
seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei punti suggeriti:
egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe che finalmente
vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od autoritarismo, si
può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu
Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso del popolo,
figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei "grandi",
cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma
per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei difetti.
Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che
sangue» (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo
cinismo con cui Machiavelli descriveva il comportamento freddo, razionale ed
eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto, colpì i
critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale, secondo la
quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica destinato al
governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi, spesso
drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato.
Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli,
che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a
nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio
del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le
precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra
necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale,
per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al
proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni,
Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e: «...di
non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a
precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»
(Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]). Machiavellismo § L'antimachiavellismo e
il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda interpretazione (la
cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal XVII secolo, e
avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi
ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi
soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che
vedeva in Machiavelli un precursore della politica laica e del
repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33],
Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti, Giuseppe Maria Galanti[36], gli
enciclopedisti (in primis Denis Diderot[3 Opere: Discorso 8] e Jean
Baptiste d'Alembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto
nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che
Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove
posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli
allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue».
Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi alternativa
di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche che, pur
essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse utile lo
stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida
l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli. In generale, per i sostenitori di questa
lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta
di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche
per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di
Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi). In epoca
più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima
interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e
concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive
mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua
concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione
obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi
del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da
Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo
scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e
chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di
immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello
boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti,
provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un
ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La
concretezza è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed
essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al
concetto astratto. In generale si parla di uno stile "fresco",
come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male,
con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa
sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito
di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti
che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da
decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità
espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di
Pisa, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo
tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da
Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto
delle cose di Francia, Ritratto delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio, Dell'arte della guerra, La vita di
Castruccio Castracani da Lucca, Istorie fiorentine, )Riedizione Istorie
fiorentine, Venezia, 1546. Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua,
Decennali Mandragola, commedia teatrale Belfagor arcidiavolo, Epistolario,
L'asino, Edizioni critiche in pubblico dominio: Legazioni, commissarie,
scritti di governo. Fredi Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori
Clizia, Andria, traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009
Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus Nella cultura di massa Il suo
nome, modificato in "Makaveli", venne usato dal rapper statunitense
Tupac Shakur tper firmare molte sue canzoni e un album uscito postumo. Niccolò
Machiavelli viene proposto anche nel videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito
Assassin's Creed: Brotherhood, in veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo
assume un ruolo particolarmente importante, insieme ad altri personaggi
dell'Italia rinascimentale. Niccolò Machiavelli è, assieme a John Dee, il
principale antagonista della serie di romanzi fantasy I segreti di Nicholas
Flamel, l'immortale (come capo dei servizi segreti francesi), scritta da
Michael Scott. Nella mostra "Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo
tempo" (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, promossa
dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen
Institute, la sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e abusi"
presenta, tra altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette,
schede telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e
videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie I Borgia di Neil Jordan è
interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band belga, catalogabile sotto
il genere progressive rock. Il nome della band è un chiaro omaggio a Niccolò
Machiavelli. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo Crea, Edizione
nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli,
Salerno Editrice di Roma: Il principe, Mario Martelli, corredo filologico
Nicoletta Marcelli, Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra. Scritti
politici minori, Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis Fachard, Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo
Varotti, ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia,
Pasquale Stoppelli, Scritti in poesia e
in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo
Grazzini, Nicoletta Marcelli, coordinam. di Francesco Bausi, ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques
Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti
di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini. La famosa frase
"Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso
come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis,
con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli
espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia
della letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un
piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha
gittato nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo
libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e
scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un
codice di tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi,
e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina.
Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi
all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una
discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito". Celebrazioni per il V centenario del Principe
di Machiavelli, Accademia della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri
dei battesimi: Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa
Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani, nella sua Cronica. In Discorsi
di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La sua trascrizione del De
rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio,
Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque
latinae linguae flores accepisse» R.
Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il Senato romano
fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La
sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua
progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto
dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga
tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante
res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del
Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,. Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere
incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone
giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo,
e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a'
prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro. Ed avessi fatto una
cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da
quella potesse dependere» Nella sua
Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie. Lettera ai Dieci, Il carcere, la
tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. Ottenendo un giudizio
evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera a Francesco Vettori, David Quint, Armi e nobiltà: Machiavelli,
Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. De credulitate
et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra. Il
machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo, Treccani, 2Citata
in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De legationibus. R. POLE,
Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae che talvolta elogiarono però anche alcuni
consigli pragmatici dati al principe, come quello della religione come
instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere
il popolo nella superstizione, del trattato sulla tolleranza, afferma
l'utilità, entro certi limiti, di una forma di religione razionale per il
popolo La fortuna di Machiavelli nei
secoli, su windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma,
essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la
libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia
come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione
insita negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie
fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata
finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia
vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto
scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani fingendo di dare
lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli. Rousseau, Il contratto sociale. Dal
solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime
immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben
riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà
dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne...
all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad
ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed
altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore
s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un
illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere,) «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli
si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava:
presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una
caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a
non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici
a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i
fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua
dannata opera.» G. Galanti, Elogio di N.
Machiavelli cittadino e segretario fiorentino
Alessandro Arienzo, BORRELLI, Anglo-American Faces of M., Voce
"Machiavellismo" dell'Encyclopedie
Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in
Machiavelli e Shakespeare, Fazi Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in
Antologia della letteratura italiana, cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e
di un amico. Introduzione a: ORIANI, M.
//repubblica/rubriche/la-parola news/realpolitik Realpolitik Video di Fo che parla di M. (trasmissione tv
Vieni via con me, su youtube.com. Il Principe di M. e il suo tempo. Catalogo
della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La su M. è sterminata. Tentativi di redigerla
sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero
politico di M., seguito da un contributo bibliografico, Milano Silvia Ruffo
Fiore, M.: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship, New
York‑Westport‑London 1990; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie
del Machiavelli, in "Lettere italiane", Cutinelli‑Rendina, Rassegna
di studi sulle opere politiche e storiche di M., in "Lettere italiane",
Nell'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi
l'opera Machiavelli: enciclopedia machiavelliana. Di seguito una selezione di
studi. Gilbert, M. e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, LEFORT,
Le travail de l'oeuvre M., Paris, Gallimard, Marchand, M.: I primi scritti
politici Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore, Riccardo
Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova Italia editrice, Roberto
Ridolfi, Vita di M., Firenze, Sansoni, CHABOD, Scritti su M., Torino, Einaudi, John
Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico
fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, Dionisotti,
MACHIAVELLERIE, Torino, Einaudi, SASSO, M.: Il pensiero politico; La storiografia, Bologna, Il mulino (Napoli);
Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari,
Laterza, Gennaro Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli,
Ricciardi, Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di M., Roma-Bari, Laterza, Cutinelli-Rendina,
Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici
internazionali, Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita e opere, Roma,
Carocci, Bausi, M., Roma, Salerno editrice, INGLESE, Per M.: l'arte dello
stato, la cognizione delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò
Machiavelli: i tempi della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un
segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere M., Bologna,
il Mulino, Pedullà, M. in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei
'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio', Roma, Bulzoni,. William J.
Connell, Machiavelli nel Rinascimento italiano, Milano, FrancoAngeli, Attilio Scuderi, Il libertino in fuga. M. e
la genealogia di un modello culturale, Roma, Donzelli, Ciliberto, Niccolò
Machiavelli. Ragione e pazzia, Roma-Bari, Laterza,. Altri contributi A.
Montevecchi, Machiavelli, la vita, il pensiero, i testi esemplari, Milano E. Janni,
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Ricerca Umanistica, Cosimo Scarcella, Machiavelli, Tacito, Grozio: un nesso
"ideale" tra libertinismo e previchismo, in "Filosofia",
Torino, Mursia, M. Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato
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gli stati, Roma 2004 Pasquale Stoppelli, La Mandragola: storia e filologia.
Roma, Bulzoni, Figorilli, M. moralista. Ricerche su fonti, lessico e fortuna.
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Virtù in Machiavelli', Manziana, 2008. Giuliano F. Commito, IUXTA PROPRIA
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Aracne, Roma, Ferri, L'opinione pubblica e il sovrano in Machiavelli, in «The
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non crea prìncipi, Centro Studi Silone, Pescina. Machiavelli i Guicciardini, Lublin, Marietti,
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Paris, Payot et Rivages, Enzo Sciacca, Principati e repubbliche. Machiavelli,
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Frédérique Verrier, Caterina Sforza et M. ou l'origine du monde, Vecchiarelli, Cutinelli-Rendina,
Introduzione a Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Lettera a Francesco Vettori
Letteratura italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato
Istorie fiorentine Barbara Salutati Machiavellismo. Treccani Enciclopedie,
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degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Niccolò Machiavelli, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Niccolò Machiavelli, su Find a Grave. Liber Liber. openMLOL,
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Italiana, Fabrizio Franceschini, M. Enciclopedia dell'italiano, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, -. il Principe, ediz. Istorie fiorentine, ediz. Le
opere minori di Machiavelli, su machiavelli.letteraturaoperaomnia.org. Opere di
M. con giunta di un nuovo indice generale delle cose notabili, Milano, per Silvestri,
Rassegna bibliografica degli studi machiavelliani: una ricognizione dei
contributi scientifici dedicati al Machiavelli negli ultimi decenni. Grice: “L.
J. Cohen told me that he once asked for the MS of The Prince at his college –
and they told him: ‘We cannot find it!’ --. Niccolò di Bernardo dei
Machiavelli. Niccolò Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: il principe,
Macchiavelli fascista – l’ossessione dal duce per Machiavelli, la dottrina
fascista dello stato machiavellico, impiegatura Machiavelli. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per
il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Grice e Macrobio: l’implicatura conversazionale -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Ambrosio Teodosio Macrobio.
MACROBIO AMBROSIO MACROBIO TEODOSIO adere al Platonismo. E
praefectus praetorio Hispaniarum, proconsole d’Africa, praepositus sacri
cubiculi, gran ciambellano. È ignota la patria di
Macrobio. Certamente Macrobio dove essere legato da stretti rapporti alla
famiglia dell’oratore Simmaco, a un figlio o nipote del quale dedica un
saggio. Scrive un commento al Sogno di Scipione di CICERONE, che ci è
giunto intero, e i Saturnalia, lacunosi. Dal saggio "De differentiis
et societatibus graeci latinique verbi", Delle differenze e
concordanze del verbo greco e del latino," restano soltanto estratti,
nulla può risultare sull’argomento. Nel "Commento", dedicato al
figlio Eustachio, cerca d’interpretare in senso platonico il saggio di
Cicerone, accumula molta erudizione e perciò spesso si occupa di argomenti che
poco hanno da fare col suo oggetto. I frequenti riferimenti al "Timeo"
e le lodi del Platonismo -- Platone e Plotino sono chiamati, i principi della
filosofia -- fa supporre che Macrobio si sia servito di un commento platonico a
quel dialogo, probabilmente di quello di Porfirio, derivato in ultimo dal
commento di Posidonio.Si è anche pensato a una fonte latina intermedia e sulla
questione sono state presentate svariate ipotesi.In ogni caso, anche se non si
giunge a considerare Macrobio come un semplice trascrittore di una o due opere
altrui, che non mette nulla di suo, si può sospettare che non abbia letto i
numerosi autori che cita, Posteriori al Commento sembrano i Saturnali in 7
libri, scritti prima della pubblicazione del commento virgiliano di Servio,
pure dedicati al figlio Eustachio, al quale volle presentare i risultati dei
suoi studi di autori di cui generalmente riprodusse le parole. Però cerca
di organizzare tali temi fingendo di riprodurre le conversazioni che, durante
banchetti fatti in occasione delle feste dei Saturnali, avevano tenuto persone
insigni per cultura su argomenti svariatissimi. Quest'opera, che e
espressione del genere letterario dei simposio o convito iniziato da Platone,
contiene materiali molto diversi, sia per il significato delle questioni
trattate, che per l’importanza delle notizie riferite. Macrobio cita
numerose fonti, ma non è sicuro che le conosca direttamente tutte, tanto più
che non nomina quelle di cui deve essersi servito più largamente, Plutarco
("Questioni conviviali") e Aulo Gellio. I libri più
significativi sono quelli IV-VI, che riguardano VIRGILIO, di cui si esalta la
universale e profonda sapienza su ogni argomento. Le dottrine filosofiche
che Macrobio espone nel commento al Scipione di Cicerone si conformano al
Platonismo di Plotino. Il divino o il buono, causa prima e origine di
tutti gl'esseri, che trascende il pensiero e il linguaggio umano, e
l’intelletto (nous o mens) che include in sè la idea o il modello originali
della cosa.L’intelletto è poi identificato alla monade o unità prima pensata
col neo-Pitagorismo, non come numero, ma come la sorgente e l’origine dei numeri. L’intelletto,
a sua volta, genera l’anima cosmica, identificata a GIOVE, che è principio
di vita per tutte le cose corporee che essa forma imprimendo nella materia
l’immagine dell'idea.Così una sola luce divina illumina tutte le cose, connesse
tra loro da vincoli reciproci e ininterrotti. Nei corpi del cielo e delle
stelle il principio animatore è una pura attività razionale.Nella filosofia
psicologico, Macrobio dice che nell’uomo ad essa anima si uniscono l'anima
sensitiva e l'anima vegetativa, che sole si trovano negl'esseri
inferiori. Rispetto alla esistenza dell'anima, prima e dopo la sua unione
col corpo, alla sua discesa dal cielo e alla ascesa ad esso, È pp alla
reminiscenza, alla sorte che l’attende dopo la morte.Macrobio si conforma alle dottrine
che il Neo-Platonismo deriva dalla tradizione pitagorico-platonica e che
appartenevano al patrimonio comune della coscienza dell’età sua. Anche per
Macrobio il corpo è un sepolcro dell'anima (soma sema), sicchè la filosofia
deve insegnare all'uomo a liberare l’una dai vincoli dell’altro.Perciò,
riprendendo la teoria plotiniana delle virtù, Macrobio pone su quelle politiche
(dell’uomo nella vita sociale) la virtu purgativa, che lo purificano dal
contagio del corpo, che sono proprie di chi vuole immergersi nella
contemplazione filosofica, quelle di chi ha raggiunto tale scopo, liberandosi
completamente dalle passioni e al di sopra di tutte, la virtù contemplativa
dell’intelletto. Il commento ha così trasmesso al pensiero medioevale la
conoscenza di numerose teorie platoniche e neo-platoniche, fra le quali ha
particolare importanza l’identificazione dell'idea a un pensiero divino. Ambrogio
Teodosio Macrobio. Macrobio raffigurato in una miniatura del Medioevo Ambrogio
Teodosio Macrobio (in latino: Ambrosius Theodosius Macrobius) è un filosofo
Italiano. Studioso anche di astronomia, sostenne la teoria geo-centrica. Una
pagina dei Commentarii in Somnium Scipionis di Macrobio. Della vita di Macrobio
non si sa molto e quel poco che è stato tramandato dai suoi contemporanei non è
del tutto affidabile. Così è dubbio se vada identificato con il Macrobio che fu
proconsole d'Africa o col Teodosio prefetto del pretorio d'Italia, Africa e
Illirico, identificazione oggi condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Due
cose appaiono però certe agli storici moderni: che Macrobio nacque nell'Africa
romana e che non professasse il Cristianesimo (come creduto nel corso del
Medioevo), ma fosse pagano. Opere Lo stesso argomento in dettaglio:
Saturnalia (Macrobio). I Saturnalia, la sua opera principale, sono un dialogo
erudito che si svolge in tre giornate, raccontate in sette libri, in occasione
delle feste in onore del dio Saturno. L'opera ha un carattere enciclopedico ed
è centrata principalmente sulla figura di VIRGILIO, anche se i suoi contenuti
spaziano dalla religione alla letteratura e alla storia fino alle scienze
naturali. Macrobio contribuì significativamente all'esegesi dell' “Eneide” e
dell'opera di Virgilio più in generale. Inoltre è grazie a lui se ci sono
pervenuti frammenti di vari autori famosi, tra i quali spiccano Ennio e
Sallustio, e se si è mantenuto il ricordo di autori meno conosciuti come
Egnazio e Sueio. Nei Commentarii in Somnium Scipionis, partendo dal
Somnium Scipionis di Cicerone, scrive un commentario in due libri, dedicato al
figlio Eustazio. In questi due libri emerge il pensiero filosofico
neoplatonico: Dio, che è origine di tutto ciò che esiste, crea la mente (noûs),
che crea l'«anima del mondo; a sua volta l'anima del mondo, a poco a poco,
volgendo indietro lo sguardo, essa stessa, incorporea, degenera fino a
diventare matrice dei corpi. Macrobio compose anche un'opera grammaticale
dedicata al verbo greco e latino, De verborum graeci et latini differentiis vel
societatibus (titolo da preferire al più diffuso de differentiis vel
societatibus graeci latinique verbi, basato sia su fonti grammaticali come Apollonio
Discolo, Gellio, e una fonte utilizzata anche da Carisio e Diomede. L'opera
nella sua forma originale non si è conservata ma ne restano ampi estratti, i
più importanti dei quali sono quelli realizzati nel IX secolo molto
probabilmente ad opera di Giovanni Scoto Eriugena. Un altro gruppo di estratti,
più limitato ma testualmente molto valido, è conservato in alcuni fogli di un
manoscritto bobbiese scritto fra il VII e l'VIII secolo. Infine l'operetta
macrobiana è stata ampiamente utilizzata da un trattato grammaticale sul verbo
latino, composto forse in area orientale e tramandato anch'esso da un codice di
provenienza bobbiese. Tutte queste testimonianze ci consentono di farci un'idea
piuttosto precisa del contenuto della perduta trattazione macrobiana, che
sembra destinata, più che ad una utilizzazione scolastica, a fornire esempi e
discussioni erudite sul sistema verbale latino, utile soprattutto per un
lettore colto, in possesso di una buona formazione linguistica. Va inoltre notato
come questa sia in pratica l'unica opera latina dedicata esplicitamente ad
un'analisi sistematica del sistema verbale latino, che trova qualche analogia
solo in alcune sezioni della grammatica di Prisciano. Ampie parti dell'opera
furono citate in un manoscritto del IX secolo attribuito a Scoto Eriugena. Durante
il Medioevo Macrobio fu identificato come cristiano e per questo poté godere di
una buona reputazione, che gli permise di essere letto, studiato e citato dai
più illustri filosofi come Pietro Abelardo. Le sue opere furono copiate dagli
amanuensi nei monasteri e così non venne dimenticato, ma, terminato il
Medioevo, in un primo tempo non venne considerato dagl’umanisti, che poi invece
lo ripresero. Non ha avuto tuttavia grande considerazione nel XV secolo,
poiché, al Neoplatonismo, la maggior parte degli studiosi preferiva le opere di
Platone stesso. L'appartenere ad un periodo così tardo della storia antica non
gli ha mai giovato e solo oggi si sta riprendendo lo studio delle sue opere in
modo più approfondito, pur con meno intensità rispetto al Medioevo. In effetti
gli studiosi oggi non analizzano tanto l'opera di Macrobio per conoscerne e
apprezzarne il pensiero, ma cercano più che altro di dargli una datazione e
un'identità. Codice teodosiano. ^ P. De Paolis in Lustrum, n. 28, 1986. ^
Cicerone, De re publica, lib. VI. ^ Macrobio Ambrogio Teodosio, su
romanoimpero.com. Bibliografia (LA) Ambrogio Teodosio Macrobio, In Somnium
Scipionis, (Venetiis..., Per Augustinum de Zannis de Portesio : ad instantia
Do. Lucam Antonium de Giunta, 1513 Die xv. Iunii). M., Commento al sogno di
Scipione, testo latino a fronte, Saggio introduttivo di Ilaria Ramelli,
traduzione, bibliografia, note e apparati di Moreno Neri, Milano, Bompiani,
2007. Macròbio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alessandro Olivieri, MACROBIO,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ambrosius
Theodosius Macrobius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Modifica su Wikidata (LA) Opere di M. su Musisque Deoque. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su
digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.
Modifica su Wikidata Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata (FR) Pubblicazioni di Ambrogio Teodosio Macrobio,
su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Macrobio a Ravenna Archiviato il 10 aprile 2018 in Internet
Archive., su patrimonioculturale.unibo.it V · D · M Grammatici romani V · D · M
Platonici. Portale Antica Roma Portale Biografie
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Lingua latina Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Funzionari
romaniScrittori del V secoloRomani del V secoloNeoplatonici. Macrobio is best
known as the author of Saturnalia, a semi-philosophical dialogue that covers a
wide range of topics, although its principal one is the poetry of Virgil.
However, there are also some reflections on religion and matters of psychology.
More interesting philosophically is a commentary he wrote for his son on the
Dream of Scipio by Cicerone – an extract from his Republic). In it Macrobio
explores the nature of the soul, mainly from the point of view of the Accademy.
The ssoul’s immortality and divine nature are discussed in the light not only
of philosophy but also in that of the science of his day. Ambrogio Teodosio
Macrobio. Keywords: Macrobio. The Swimming-Pool Library.
Grice e Màdera: l’implicatura conversazionale della
carta del senso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo italiano. Grice: “I like Madera;
especially because he uses words I love, like ‘sense’ – ‘la carta del senso’
and soul – anima --.” Insegna a Milano. Ha insegnato a Calabria e Venezia.
È membro dell'Associazione italiana di psicologia analitica, del Laboratorio
analitico delle immagini (LAI, associazione per lo studio del gioco della
sabbia nella pratica analitica), e fa parte della redazione della Rivista di
psicologia analitica. Fonda i Seminari aperti di pratiche filosofiche di
Venezia e di Milano e PhiloPratiche filosofiche a Milano. Studia Jung.
Define la sua proposta nel campo della ricerca e della cura del senso
"analisi biografica a orientamento filosofico", formando la Società
degli analisti filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A Orientamento Filosofico”,
pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare il metodo psico-analitico,
nata agli inizi Professoree oggi praticata in diverse città. La pratica
dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni “sane” ed è volta alla
ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante. L’orientamento filosofico è
inteso come ricerca di senso che, a differenza della filosofia come modo di
vivere dell’antichità, parte dalla biografia storicamente, culturalmente e
socialmente incarnata. Questo è un tentativo di risposta alla crisi delle
istituzioni tradizionalmente riconosciute come orientanti l’esistenza;
l'analista filosofo si propone di riformulare su base biografica i processi formativi
integrandoli con le psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica”
dell’insieme della personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre
vocazione della filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e
discipline delle scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è
inteso come il fattore terapeutico fondamentale. L'analisi biografica a
orientamento filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a
meno che l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o
psichiatra. Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista
non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua
vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e
comunitari. L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce
l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore
terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di
meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la
narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica. Saggi: “Identità
e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia
ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano,
“L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita, Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di
vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento
filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung
come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una
filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia
del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,, Ipoc,
Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e
pratiche filosofiche, Ipoc, Milano Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta
e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis,
Milano “Che tipo di sapere potrebbe
essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura
psicoanalitica, “Dalla pseudo-speciazione
al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione
Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche
filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli
C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica,
Mimesis, Milano-Udine Campanello L.,
"L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in
Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello
L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano Daddi A. I., Filosofia del profondo,
formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta,
Ipoc, Milano, Daddi A. I., “Principio
Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per
l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina
Mentis, Monza, Diana M., Contaminazioni
necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling
filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia.
Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”,
Feltrinelli, Milano Gamelli I., Mirabelli
C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella cura,
Cortina, Milano Janigro N., La vocazione
della psiche, Einaudi, Torino Janigro
N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano Malinconico A., "Dialettica di redazione
(ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico
A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium,
Milano Montanari M., “Per una filosofia
del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di
psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia,
Milano Moreni L., “Intervista a tre
analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista
di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico Analisi biografica e cura di sé Una nuova formazione alla cura Psiche e città. La nuova politica nelle
parole di analisti e filosofi
Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico. Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del
senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe
Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Maffetone: l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Napoli). Filosofo italiano.
Grice: “I like Maffetone; he tries,
like I do, to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he
provides his view on the foundations of Italian liberalism – and has recently
explored the topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a
Napoli. Ha contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica
dell'economia e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi
del liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente
della Fondazione Ravello. Saggi: “I
fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La
pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore.
Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University
Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords:
contrattualismo. Rawls on Grice on personal identity. Keywords:
quasi-contrattualismo conversazionale, i due contrattanti – il contratto come
mito – contratto – marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Maffetone” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magalotti: l’implicatura conversazionale – di naturali esperienze – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Magalotti – very
philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he
was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either –
‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he
is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural
experience – and there is supernatural experience!” Appartenente
all’aristocrazia, figlio di Orazio, prefetto dei corriere pontifici, e
Francesca Venturi. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di Viviani e Malpighi.
Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento
(fondata da de’ Medici). Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e
dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di
naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del
Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una
serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e
brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad
ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla
filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere:
“Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del
conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo
fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav.
dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca.
Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere
scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti
di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo
Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America
dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per
Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere
del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini,
e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto
dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima
volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso
Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere
slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in
toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo
Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico
nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti
con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da
Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario
critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno
di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo
pastore arcade Lettere scientifiche ed
erudite La donna immaginaria Novelle
(il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di
Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE
poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto
del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un
composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore.
Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78
ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire ,
che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor
Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette
Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima
de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini. Lettera
XIII. 262 INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in occasio Al
Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie Signor
Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un passo
del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV. .
Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore Don
Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i
rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279
Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in
un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX.
Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio
de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo
Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi.
Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . . 338 FINE. SilAJilUsCEn
il poeta per una lelva, per la quale tutta notte aggiratosi, la mattina
in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •!
per voler aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone
e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo gli apparisce
Fombra di Virgilio , il cui ajuto è da esso caldamente implorato contro
alla lupa, dalla quale il maggior pencolo gli soprastava. Virgilio
discorre lunga* mente della pessima natura di quella 6era, onde
cam« porne lo strazio , offerendogli sè per guida | a tener altra
Digiiized by Google a Canto via lo
conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e te- nendogli dietro ti
mette in cammino. V. I. Nel mezzo del cammin tee. Keir
età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per congetture; ma provasi
manifestameute da un luogo del tuo Convivio, nella aposizione della
canzone: Le dolei rime eTamor, eh* io eolia; dove 9 dividendo
il cono della vita umana in quattro parti, che tutte (anno il numero
d'anni 70 « resta, che la metà del suo corso, secondo la mente del poeta,
sia ne' 35 . Che poi questo primo verso debba intendersi
letteralmente, cioò del numero degli anni, e non alle- goricamente, come
alcuni vogliono: si dimostra da un luogo deir Inferno , caut. XV, nel
quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso gli
risponde, V. 49; Lassù di sopra in la vUa serena *
JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle , 1 Avanti (he Vetà mia
fosse piena: riferendoli a questa selva» nella quale racconta
essersi smarrito nel mezzo del commin del suo vivere. V, per
una selva oscura. Forse questa selva ^ oltre al senso letterale,
che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio , ha
sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono ar- ricchite molte
parti di questo primo canto ; e vuol per avventura s guilicare la selva
degli eiTori , per entro la quale assai di leggieri si perde l' uomo
nella sua FRIICO. 3 a<h>1etccnu; e cìie
iia *1 vero nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite
formali parole ; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non
fosse stato in una città , non saprebbe tener le vie -, senza l'
insegnamento di colui , che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra
nella teloa erronea di questa vita , non saprebbe tenere il buon
co/m- mino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato ; nè il mo-
strar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente,
V. 8. Ma per trattar del ben ecc. Del frutto, il qual ti
ritrae dalla meditaiione di quel miserabile stato pieno di pene e di
rimordiinenti , mediante la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio
, che è la fine propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui
appiè ecc. Il colle è forse inteso per la virtù , la qual si
solleva dalla bassezza della selva. V. l6 vidi le sue
spalle VestUe già de* raggi del pianeta ecc. Il senso
letterale è aperto , volendo dire , che la cima del colle era di già
illustrata da' raggi del nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso
n' è chiuso un altro ^ pigliando il sole per la grazia illuminante , la
quale all' u- sctr Dance dalla selva degli errori cominciava a
trape- lare con qualche raggio nella sua mente. V. ao. Che
nel lago del cuor ecc. Por che voglia insinuare , nella passione
della paura commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due
cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali, 4
Canto prrò eh’ e' parla in lingolare , pigliando la parte pel
tutto , vuol forae dir principalmente del destro , che del sinistro i
maggiore. Dante lo chiama lago , credendosi forse che il sangue che v’ è
, vi stagni , non essendo in que’ tempi alcun lume della circolazione.
Qui però cade molto a proposito il considerare un luogo
maraviglioso del Petrarca nella seconda canzone degli occhi, finora,
che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice cosa intorno alla
circolazione da far facilmente credere, eh* egli quasi quasi se
l’indovinasse, arrivandola, se non con l'esperienza, con la propria
speculazione. Dice dun- que così : Dunque eh' i’ non mi sfaccia
, Si frale oggetto a s\ possente fuoco Non i proprio valor ,
che me ne scampi , Ma la paura un poco , Che 7 sangue
vago per le vene agghiaccia , insalda ’l cor , perchè più tempo
avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte
appassio- nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sen-
timento di questi versi suppone necessariamente la notizia della
circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so fosse stau
immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile ,
eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e discorsa
con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la
cu- riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri
con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il vedere , come , il
poeta altro facendo , e forte altro in- tendendo di voler dire , gli è
venuto detto cosa , che spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se
ben si considera il lento de' lopraddetti Tersi , ^ tale : Ma
il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di flui- dezza
il sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag- ghiaccia dalla paura , e
ciò a fine di farlo arder misera- mente più lungo tempo.
Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera nel
sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore, dove si liquefi,
s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar per le vene
lontane o per paura, come in questo caso nel Petrarca, o per
qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde
poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo
giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a
muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta?
Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai
oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da- vanzati nella sua
Lezione delle monete. Il luogo ò il se- guente : Jl danojo è il nerbo
della guerra, e della repuh~ hlica , dicono di gravi autori, e di jolenni*
Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè,
siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo nel corpo
naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi- nute , annaffia tutta la
carne , ed ella il si Bee , com* arida terra bramata pioggia, e rifà, e
ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale s'asciuga, e svapora:
così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della terra , come dicemmo
, correndo per le borse grosse nelle minute , tutta la gente
rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl- nuatnente nelle
cose , che la vita consuma , per le quali nelle medesime borse grosse
rientra , e cos't rigirando man- tiene in vita il corpo civile delta
repubblica. Quindi assai Digitized by Coogle
6 Canto éi leggler ti tomprende , eh* ogni
ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una
quantità di sangue , che corra» Che dunque diremo di queit*
autore ? Nuli* altro ceiv tamente , te non che , dove i profeMori delle
mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d*
inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un
perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile
ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di
quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è
quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine.
V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera
d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora , quasi come
se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno , le fuggi Canitno , e
vinta cadde ro- paa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7
piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel
che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla
dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl
più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il
che si convince anche più manifestamente da quel che segue :
V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti
vuol significare ( e tanto più accompa- gnau con l'altra al cominciar t
che denota futuro), che PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non
cominciata; c pure in fin allora avea camminato , adunque a piano. Nè li
opponga quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’
eh’ i fui appii d" un colle giunto ; poiché appiè d'un colle
li dice anche in qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli
le spalle, v. l 6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle ,
tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà
dilEcoltà il seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso
loco; dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi
saliva. Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per lo qual
camminando il pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la
lonza non poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder
la speranza dell’ al- tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui
avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una
lonza ecc. Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo ,
in- tende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per
ritornar, pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’
egli per nn^ volta un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 .
Sic bene compones : ulli non ille puellat Seruire.
8 Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la
voglia, elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama
puellis , CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39
quando V amor divino Mone da prima quelle cose belle-
Direi, che per la motta di quelle cose belle non inten- dette altro
il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea
primaria nell* idee tecondarie , che è il diramamento dell* uno nel
diverto tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell*
univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al
mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente divina.
£ non è inveritimile, che Dante abbia voluto toccare quetta
dottrina platonica, nella quale, come appare ma- oifettamente da altri
luoghi della tua Commedia, e prin- cipalmente nell* XI del Paradito ,
egli era vertatittimo , donde ti raccoglie e 1* intento amor delle
lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento , mentre in
un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni pla-
toniche , quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor
tradotti dal greco idioma , o t*egli era- no, grandittima penuria vi
aveva de* codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben
m'avvito, tal dot- trina Incavò egli a capello da Boezio, del qual aurore
il poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio queite formali
parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia mente» che s'argomentava
di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva )
ritornare al modo» che F ni u o. 9 alcuno
sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad allegare e leggere
quello , non conosciuto da molti , libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo
e discacciato , consolato si aveva. Quivi adunque potè egli facilmente
apprendere a intender Puniverso aotto il nome di bello , e ti per
la moMa delle cose belle intender la mossa del mondo archetipo
disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi * di Boezio sono i
seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\. O qui perpetua mundum
radane guhemés» Terrarutn caeUque salar , qui te/apus ab aeuo
Ire iuhes , stabilisque nianeru das cuncta moueri ; Quent non extemae
pepulerunt fingere caussae Materiae fluitantis opus uerum insita
sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno Ducis ab
exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens , similiqtte
imagine formans , Perfectasque iubens perfectum absoluere partes.
In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis y Arida conueniant
liquidis : ne purinr ignis Fuolet , aut mersos deducane pondera terras.
Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem Connectens animam per
consona membra resoluis, etc. Che poi per la motta intenda
l'attuazione delle idre mondiali, ciò si convince apertamente da un luogo
ma- raviglioso del suo canzoniere nella canzone : Amor y che
nella mente mi ragiona; dove parlando della sua donna dice cV ella
fu T idea, che Iddio si propose quando creò il uiondo sensibile, il
qual atto di creare vien quivi espresso con la voce mosse.
IO Canto Però qual donna sente sua beliate
, Biasmar , per non parer queta ed umile ^ Miri costei
, eh' esemplo è d’umiltate» Questuò colei, che umilia ogni
perverso. Costei pensò , chi mosse l* universo. Altri
forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo luogo se la passino
assai leggìensente ) per la mussa di quelle cose belle, la mossa data ai
pianeti per gli orbi loro; ma trattandosi d"una mossa data
dall" amor divino, panni assai più degna opera la creazione
dell'universo, che r imprimere il moto a piccol numero di stelle.
Dire dunque , che il sole nasceva con quelle stelle , eh* eran con
lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in Ariete , nella qu^d
costellazione fu creato secondo Vopiniooe di molti. V. 41 * a
bene sperar vera cagione. Di quella fera la gaietta pelle ,
L*ora del tempo , e la dolce stagione. Può aver doppio
significato : primo in questo modo , cioè : 51 che Vara del tempo , e la
dolce stagione tu erano cagione di bene sperare la gaietta fera di quella
pelle; cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^
vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano buon augurio a
rincer l'incontro di quella fiera, e a riportarne la spoglia. £ in quest'
altro : Sì che aggiunto all' ora e alla bella stagione l' incontro di
quella fiera adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici
successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale recavasi anticamente
a buono o a tristo augurio. F R I M O. (I V. 45. Za
vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per
limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco.
L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.
Ciò si può intender di coloro , l'aver de' quali è ingordamente
assorbito ddl' avwo , e per gli avari me- desimi, che ai consumano in
continui affanni per l'insa- ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la
lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di
sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento
in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi.
Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3 , V. 8
H. Temer si dee di sole (fucile cote , eh’ hanno
potenza di far altrui male , Deir altre no , che non son
paurose. Cioè non danno paura ; ma questo non è tanto sin»
gulare , quanto il sostantivo paura in significato di ter- rore, e
f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei
Latini. Uno al presente me ne sov- viene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib.
Il , v. q, Stare uel insanis cautes obnoxia uentit ,
Naufraga quae uatii tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol
tace. Verso l'onibra della selva. Canto V. 63 .
Chi per lungo silenzio parta fioro. Quriti è Virgilio, «otto la
periona del quale pare, che debba intendersi il lume della ragion
naturale risve- gliato nella mente del poeta dalla teologia figurata
per ranima di Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante.
V. 63 parta fioco. Dal sento delle parole par, che Dante •*
accorgesse , che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea
considerare non è così. Perchè allora eh' egli scrisse questo verso
avevaio già udito favellare, onde può ben dire qual era la sua voce,
oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che poi lo faccia fioco , ciò è
furila per tacciar la bar- barie di quel secolo , in cui allorché Dante
si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide,
nino altro era che la cercasse o studiasse , onde poteva dirsi Virgilio
starsene muto ed in silenzio perpetuo. V. 70. Nacqui suh JuliOt
ancorché fosse tardi. Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché
fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer di
Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo ad aver Tassoluto
imperio di Roma, onde si potesse con verità dire che la geme nascesse
sotto di lui. £ vera- mente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70,
agridi d'ottobre , e per conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse
imperatore. V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i
polsi, piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali
eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrisponden- za alla
sistole e alla diastole del cuore continuamente R I li O.
i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì
poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che
beni»iÌmo sapea , che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una
violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora
tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro
viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,
ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100.
Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon
congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.
Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la sua patria,
dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello
Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer
Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale;
ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera
conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran
saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta,
allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3
oS. V. io 3 * terra , nè peltro» Peltro^ stagno
raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere , onde il
scntimeaio è questo ; V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro
, Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da
ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. 14 Canto
triuo. V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso
il tuo miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella
era sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc.
O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro
l'uomo nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima
dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti , preso quel prima
avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun ^rida.
Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte deir anime
loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de' tormenti, onde
S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile super noi, et
colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc. Beatrice de'
Portinarì , la quale , siccome à detto di sopra , fn io vita
ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel primo
canto, si consuma un giorno intero , eh' è il primo del viaggio di Dante.
INFERNO. CANTO SECONDO. ARGOMENTO.
Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della propria mente. Dipoi acconta
, com' egli peniando all' impreia di tal viaggio . cominciò a
•gomrntoraeoe , e a motirare a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era
dovere, ch'ei ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio.
Dopo di che narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà; e con
dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto mandatovi da Beatrice, tutto di
buon ardire lo iraarrito animo gli rinfranca, ond'egli ti ditpone al
tutto di volerlo teguitare. V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la
putirà , Si del cammino , e ti delta pittate. Il Boti,
il Vellutello, ed altri comentatori tpiegano qneito luogo coti ;
M'apparecchiava a tiiperar le ilitE- cultà del viaggio, e tollerar la
noja della pietà, di' eraii per farmi quei crudeliitimi tirar) , ond’ era
per veder tormentare l’anmie de’ dannati. Io però ardirei proporre
Digitized by Coogle j6 Canto un* alfr.i
roiuMcrazionc , le a sorte Dante avesse piut- tosto voluto dire, eh’ ci
•'apparecchiava a sostcoer la {guerra della pirtare , cioè a ftf forza al
suo animo per non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U
crudeltà de’ «upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto
di comjiafsione , al quale ciafcun uomo fi seme ordina- riamenTc incitare
per la miseria altrui. £ veramente il senso letterale pare , che
favorisca mirabilmente questo sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava
a sostener la guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la
pietà , segno è eh' e* non voleva lasciarsi vincer da quella, ma si
resistere e comb.ucere con la considera- rione, che quegl' infelici erano
puniti giustamente, anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre
avendo offeso una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la
loro colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite
quanto all' intensione , non quanto all* estensione , la quale non ha
dubbio , che durerà eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi
dell’Inferno, ne troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il
sentimento da me addotto in questo passo. Tale è quello
dell’Inferno, canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier
delle Vigne , Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a do- mandare all*
anima del suddetto Piero qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà
Tanimo, tanto si sente strignere dalla pietà del suo infelice stato,
v. OntV io a lui : dimandai tu ancora Di quel, che
credi ^ ch‘ a me soddisfaccia ; eh* i non potrei: tanta pietà in
accora. E piià apertamente si vede questo star su la difesa,
che fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual tenta di
vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno , quando arrivato in tu ruldina
costa di Malebolge dice cosi, v. 43^ Lamenti saeltaron me diversi
, Che di pietà ferrati avean gli strali : Ond" io
gli orecchi con te man coperti. Il qual terzetto par, che esprima
troppo maraviglio- samente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’
animo del porta , e la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £
non solamente si troverà difendersi dalla pietà , ma sovente incrudelire
contro di essi, negando loro conforto e compatimento. Così Inf. cant.
XXXIII , richiesto da Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le
palpebre agghiacciate , non volle farlo , v. 148. Ma distendi
ora mai in guà la mano , Aprimi gli occhi I ed io non gliele
aperti, E cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV ,
vedendo Capaneo disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il
dovere, v. ^t. Ma , com' io dissi lui , li tuoi dispetti Sono
al suo petto assai debiti fregi. Io però confesso di non aver per
anche si fatta pra- tica SU questo poema , eh' e' mi sovvengano così a
un tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima
Cantica dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora
non pensato da me , il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta
a terra tutto il pre- sente ragionamento. E considero , che altri
potrebbe ri- spondermi , che il far dimandare da Virgilio Pier delle
Vigne , e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8
Canto ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta
troppo vinto dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante ; ma
io non piglio per aaiunto di provare , che egli si picchi di non calerti
mai piegato a pietà de' dannati , anzi che in molti luoghi confeita la
aua caduta , qual è quella , Inf. canto V, v. 70. Poscia eh'
i' thhi il mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri ,
Pietà mi vinse , e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non
meno ti pare la perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre,
te egli non ti fotte potto in animo di non latciarti andare alla
compattione, non avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli ,
avendone avuta occatione molto prima , cioè tubito eh' ei vide la
miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S. Or incomincian le
dolenti note A [armisi sentire : or son venuto , Xà dove
molto pianto mi percuote. Ma egli Ita forte il più eh' el potette :
però , allora ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini,
e coti alte donne , piegò l'aaimo alla compattione ; ond'egli dice
, eh' ei fu quoti smarrito , cioè ti perdè d' animo , vedendoti vinto il
pretto. Per lo che concludo, che, te bene da quetto e da muli' altri
luoghi ti comprende la vittoria della pietà , ciò non toglie il vigore
alla ipoti- zinne del preiente patto , potendo benitiimo ilare in-
lieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a toitener la guerra
della pietà , cioè a non compatire i dannati ; e poi , come di animo
gentile ed umano , di quando in quando cedette. V. 8. O mente , che
scru/etti ciò eK io vidi ecc. Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua
memoria, chia- mandola mente che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in
cui a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati. V. IO. Io
cominciai; Vi a’ intende a favellar di qncato tenore , e queata
è maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità dell'
introduaioni de' ragionamenti ; coal ed io a lui ed egli a me ; cio^
diaai e diaac , ed infiniti altri aimili faci- lisaimi ad
intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente,
CoirutlUile ancora , ad immortale Secolo andò , e fu tentibilmente.
Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna Eneide , che Enea padre
di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil corpo, andò a aecolo immortale
, cioè diaceae airinferno, e ciò non fu per aogno o per eataai , ma
aenaibilmente , cioè in carne e in oaaa. V. 16. Però se I
avversario d'agni male Cortese fu , pensando I alto effetto ,
Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale L’avversario d* ogni
male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon- dator di Roma , e 'I quale , e le
aue alte qualità ; onde il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio
, penaando la aerie delle coac , che doveano farai per Enea c la
aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iu-
ferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque abbia punto
d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per .vutore di Roma e del
romano imperio. 20 C AVTO V. 22. La
qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1 qual imperio.
V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero. Qui Piero
per Pontefice , onde il maggior Piero viene a eMer Cristo , e non S. Piero
, come vogliono ì coni» mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non
direbbe del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad
altri minori ; il che toma appunto bene , però eh* e* parla di Cristo, il
quale rispettivamente a $. Piero può vcrar mente chiamarti il
maggiore* V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc.
Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo privilegio
concedutogli. V. a6. Intese cose che furon cagione Di
sua vittoria , e del papale ammanto. Allude alla predizione fatta
da Anchise ad Enea nel sesto deir Eneide ; per la quale egli intese la
sua vitto- ria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi**
lito in Roma il papale ammauto , cioè l'imperio sacro. V. a8. Andovvi
poi lo Vas delezione ecc. S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo.
£ veramente ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata
tettimo- niaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite da
principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio, non si ristrinse
a dir solo di quelli, i quali ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma
di ciascuno, il quale, sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale.
Laonde non solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo
ancora saggiamente piglia a ragionare. ai V. 34. Perchè se
del venire C tn ahhanJono ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi
tgomento di ve« iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come
chiosa il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai
dubito del ritorno, V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc.
Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi i contrasti d'
un' anima, che dal male al ben operar si rivolge. V. 41.
Perchè» pensando consumai t impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta.
S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto,
senza pensar nè che, nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo,
v. i 3 o. Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che
tu non conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio.
Che tu mi meni là dov* or dicesti , Si eh* i vegga la porta
di S. Pietro , E color, che tu fai cotanto mesti. Onde
ora confessa , che , sbigottito dalle suddette con> siderazioni,
l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata , era
per tali pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la
tua parola intesa , Rispose del magnanimo quell ombra ,
Vanima tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue
riflesiioni , s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*
Cauto V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti,
Nel Limba , dove nè godono , nè dolgonti ranìme. V. 53 . E
donna mi chiamò beata e bella. Beatrice , la quale , ticcome è
detto nel IV canto , è poeta per la grazia perSciente o consumante,
secondo i teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò,
secondo nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno, per
due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza, la quale più alto ne
levi nostro mortale intendimento all’ altissima contemplazione d' Iddio e
della teologia , così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato
oggetto , che più gli facesse scala all’ intelligenza delle
celestiali cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi
virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra ca-
gione , per la quale sotto il nome di Beatrice intenda allegoricamente la
teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta nella sua Vita
Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di
lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale.
Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola posta in così
bella e maravigliosa opera per la scienza maestra in divinità.
V. 54. Tal che di comandar i la richiesi- La richiesi. In pregai,
ch'ella alcuna cosa mi comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi
più che la stella. Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7
moto lontana. Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo
lontana. Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la
tua fama durerà quanto dura il tempo. a3 Piglia moto per tempo ella
peripatetica , definendo Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu
seoundwa prius et poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della
ventura. Dante , il quale per aver amato di puriaaimo amore
le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna
coraparte a' corpi terreni e corruttibili , fu veramente amico di me ,
cio^ di quel eh' era mio , e non {Iella ventura , e non della bellezza,
per la quale altri di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben
avventurata. V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si
nel cammin , che volto , e per paura. Impedito dalla lupa, e volto
indietro per paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi
smarrito, Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata.
Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto piede , che
l'ajuto celeste non giunga in tempo. V. 67. Or muovi ecc.
Muoviti , vanne : così il Petrarca : Or muovi , non smarrir t
altre compagne. V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio.
Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico , cioà e a
Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare in cielo ; il che
imitando per avventura il Petrarca nella canzone : Una donna
più bella asstù che ’l sole ; disse della teologia :
34 Cakto costei batte t ale Per tornar
all* antico suo ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É
Vamor d* Iddio , pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo
è il eeoso allegorico o vero se- condo la lettera ; la mosse la dolce
memoria di quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante , ond*
ella il chiamò, v. 61 , L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor
mio» Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a
lui. Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a Vir-
gUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritor- nare dair
adempimento di essa a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione
della grazia e della beatitu- dine. Dice in contrario il Vellutello , che
Beatrice con tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che
da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea maggiore ; ma non
dice poi , perchè , nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella
Lezione sopraccitata spa- ne, che anche all* anime perdute si può (come
dicono t teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione
di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo elleno
celebrar le lor memorie o esser qualche compas- iione di loro in altrui,
elle pigliano alquanto di conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di
non si vedere abban- donate al tutto da ogn* uno , e tiiassituonieuic
quelle, le quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brut-
to, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana , come
Virgilio. Diremo dunque « cYie non »ia ota d'ogni conaoUziune tal promeMa
di Beatrice. V. ^ 6 . O donna di virtù , sola , per cui
L'umana spezie eccede ogni contento Da quel Ciel , ch'ha minor li
cerchi sui. Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allego-
rico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo supera , ed è più
nobile di tutte le creature contenute dal ciel della luna;, essendo, che
sopra di quello si dà subito neir intelligenza movente Torbe lunare , la
qual •enza dubbio sì per pregio , si per eccellenza di chia-
rissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante portasse opinione
delT intelligenze moventi secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto
per quel clT ei dice in altro luogo di esse. Par. cant. Vili , v.
37. r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete. Ciò
potrebbe anche intendersi in quest* altro senso : O scienza, per cui
l'uomo eccede, cioè trasvola con T in- telletto dalle sublunari cose alle
celestiali e divine. V. 80. Che Vuhhidir , se già fosse , m'à
tardi. Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso ,
che m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale
e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i tuoi cenni. Or venga
qualunque si pare, e mi poni da altri poeti forme così maravigliose e piene
di si forte espressiva. Y. 91. Jo son fatta da Dio , sua mercè»
tale ^ Che la vostra miseria non mi tange , Nè fiamma
cTesto incendio non m* assale. Digilized by Google
l6 Canto Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per
Tacque della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti
di voi altri ioaprai , non mi tocca , nè fiamma deir in- cendio de'
dannali non m' assale. E notili, die quella dei aoapeai la chiama
raiirria, non conaiaiendo in arnao do- lorifico, ma in pura afflizione di
apirito per la diiperata viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la
chiama fiamma, perchè tormenta poaitivamente il aenao. V. 94.
DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange Di questo impedimento ,
ov" io ti mando , Si che duro giudicio lassù frange.
Quella donna , il cui nome è taciuto dal poeta , è inteaa
generalmente da' commentatori per la prima grazia detta da' maeatrì in
divinità grada data; la quale, perchè viene per mera liberalità divina, è
anche detta preve- niente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni
umane. Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon
proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire il monte
Bgurato per la virtù e per la contemplazione, piega e rattempera il
rigoroso giudicio d'iddio; onde dice: che dal compiangerai di quella
donna per l'itupe- dimento, che trova della lupa, il buon voler del
poeta, duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa-
aione , vedendo, che gli manca più il potere, che il volere; onde merita
d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illu- minante , la quale (
ipongono i commentatori ) da Dante è chiamata Lucia , dalla luce , eh'
ella n'infonde nell'ani- ma Questa seconda grazia chiama finalmente la
terza , detta perficiente o coniumante , espressa per Beatrice o
per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente umana alla
contem) dazione della divina etienza : il che SECOSDO.
Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* In- ferno e del
Purgatorio , cioè a dire con la meditazione di quelle pene ; •! come
avviene al noetro poeta , il qual per tal cammino li conduce alla
fruizione del Paradiio , e ai alla contemplazione d' Iddio.
V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse , Ora
abbisogna il tuo fedele Di te , ed io a le lo raccoaiando.
Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse , e venne al loco , dov V
era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè
la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia , cioè la grazia
illuminante , che aju- tatte il tuo fedele , cioè Dante ; il quale in
altro luogo dice di tè , eh* egli fu fedele a creder quella, in che
la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a
chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per
tignificare, che la teologia è indivitibil compa- gna della
contemplazione, poiché Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel
vecchio teitamento ti piglia per la vita contemplativa. V. Io
3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera. Che non soccorri quei , che
t'amò tanto , Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse
, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera
lode d' Iddio , forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi
attributi di quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati
di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di
udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue
miaericordie. a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le
/iella volgare schiera. Per te toma bpne nel temo allegorico e nel
letterale ; poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la pro-
fonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per gli altri
parti , a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di
Beatrice. V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^
Qui il Fioretti , non rinvenendoti qual tia qiietta fiu- Dtana ,
poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia. Ma noi , per ora
latciando il Fioretti nella tua tfacciata ignoranza , terberemo ad altro
luogo la tpotizionc di quetto verto. V. 109. Al mondo non fur
mai ecc. Dice Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti
aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male , com' ella dopo
tale avvito del grave pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla
tua tedia beata. V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V
hanno. Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran lui,
che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto; onde ditte di té
medeiimo nel primo canto , T. 86. Tu se’ solo colui , da cui io
tolsi Lo hello stile , che m’ ha fatto onore. V. lao. Che del
bel monte il corto andar li tolse. Ti fe' ritornare indietro ,
quando poco di viaggio ti rimaneva per condurti alla cima del bel monte ,
cioè al tommo della virtù o della contemplaiione. 39
V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue.
D’amendue noi ; il tuo cT andare , il mio di venire. V. 143.
Entrai per lo cammino alto , e tilvettro. Spoogono i commentatori
alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al parere del Manetti nella tua
ingegnoaa ope- retta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di
Dante, dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’ele-
vato e aublime ; con ciò aia coaa che egli pone Teotrata deir Inferno in
aur un monte aalvatico , per entro il cui aeno ruoli eh’ e’ ai cominci
immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente
di fa- vellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra par-
ticolarità del aito e della forma della atupenda architet- tura di queato
Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con ana breve lettura del
aoprammentovato autore. INFERNO. CANTO
TER20. ARGOMENTO. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*)
cTettersi condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell*
Inferno» la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del
canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' in- terne vie del
monte, arrivato in quella concaviti o ca- verna della terra, che è quali
come un veitibolu dell' In- ferno, ed è immediatamente sopra il primo
cerchio, cioè sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari,
cioè di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per aè , nè
per altri , ninna buona o rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per
tormento il correr perpetua- mente in giro dietro un' insegna che tutti
li guida , c (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con
r«atorità dal iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal
quinta canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..
Digitized by Google 3a Cauto chr in cotal
cono ton punti e fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato
quello spazio poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici ,
dice essersi con- dotto al fiume d’ Acheronte , e quivi aver veduto
venir Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in
su la riva di quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge,
che parli essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 .
Giustizia mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di
fabbricar P Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di
Lucifero e degli angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina
potestafe. La rowaui sapienza , e 'I primo Amore. La
Santissima Trinità, della quale spiega le persone per gli attributi: il
Padre per la potenza, per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo
Spirito Santo. V. 7 . Dinanzi a me non far cose create,
Se non eterne ecc. Seguita a parlar la porta per esso
Inferno; e dice, che avanti a lui non fu altra specie di creature se non
eterne. Per queste intendono assai concordemente i commentatori la
natura angelica ; la quale, siccome dovette esser punita per la sua
ribellione , cosi par molto verisiiuile , che il carcere d' Inferno fosse
fabbricato dopo il peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che
poi Dante se li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità
avvenire. 33 p«r la qaal dureranno, onde
i teologi U chiamano eterni a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è
piaciuto di no« minarli, sempiterni, a distinzione delT eterno a parte
ante, il che si conviene solamente a Dio. Na siami qui lecito
il metter in campo una mia con- siderazione , la qual mi dichiaro , eh'
io non intendo di proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb*
es- sere , a fine di sottoporla al savio accorgimento di quello ,
al quale è unicamente indirizzata questa mia deboi fatica. 10
discorro così : L’ Inferno ( secondo Dante ) fu creato col mondo , e ’l
mondo fu creato in istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo
lor m è duro. Onde io ( vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il
senso lor m* è duro. Duro , cioè aspro , e non , com* altri vo~
gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’ immutabil de- creto di non
uscire della porta d’ Inferno , a ragione di bel nuovo s’ intimorisce.
V. i3. Ed egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar
ogni sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto
di sopra , che Dame non disse essergli duro , cioè oscuro ,
11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,
spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta
iscrizione , ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad
Enea nel VI , v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore
firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i
luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti
, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto
fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col para- gone di
quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la
cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri , pimti , e ahi
guai. Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia voglia
di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dan- nati. S'ei
ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto di quello luogo con
quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us , et saeua
sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo , tinta.
I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza variazione
di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a tempo come la
notte , e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte iole. La
Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai onde il Rifiorito
apiega quel senza tempo, eterna, quaai che il aentimento aia tale, aria
eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la chiama eterna , v. i6.
JVon avea pianto , ma che di sospiri. Che l'aura eterna
facevan tremare, Cooiidero di pii), che l'epiteto di eterna in
quello luogo del terzo canto corria[>oude al perpetuo aggirarli
delle voci de' dannati , v. a8. Farevan un tumulto , il qual
s'aggira Sempre in quell' aria , senza tempo , tinta ;
poiclià , a’ e' a'aggira eternamente , torna molto brne il dire,
che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi nè meno può
dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo , cioè ( come tpongono
i commentatori ) eterna- mente , perchè ancorché Dante dica di etta ,
Inferno , cant. IV, r. io. Oscura , profonda era , t
nebulosa ’ Tanto , che , per ficcar lo viso al fondo , r non
vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non toglie , eh' ella in alcuni
luoghi non fotte di continuo illuminata dal fuoco , come nel terto
girone de’ violenti , ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te
non altro vi balenava , v. i33- La terra lagrimota diede vento
, Che balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea
d'errar la tetta tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di
ciò ch’io ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia , e sanxa
lodo. Che in queito mondo , nulla mai virtuoiamente ope-
rando, non latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a
quel cattivo coro Degli jingeli , che non furon ribelli ,
Ni far fedeli a Dio , ma per te foro. £ opinione , che nel
fatto di Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli , la qual nè
t'accottaiie a Lucifero , nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie
neutrale. Di queiti parla il poeta , e in pena della loro
irreiolutezza li mette con gli teiauratì. 36
Canto V. 4 o> Cacciarla eie! , per non tster men
belli: Nè lo profondo Inferno gli riceve , Ck‘ alcuna gloria
i rei avrebber d elli. n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti,
per rinferno aon troppo belli ; coti ti atanno in quel mezzo, ciof
nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben , eh' egli dice, V. 41.
Nè lo profondo Inferno gli riceve ; volendo dire per Io profondo
Inferno, coli, dove ti tor- mentano i rei > i quali avrebbono alcuna
gloria cT averli in lor compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.'
ti glorierebbero per vederti puniti del pari con etti , che non
commitero altro peccato , che d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna
gloria v'avrebbero, perchè agli occhi loro la piccola macchia di tale
indifferenza non varrebbe ad appannare il lustro di loro eccella natura,
dalla quale ritrarrebbe alcun taggio della gloria , e ti della
celette beatitudine. V. 47. E la lor cieca vita è tanto batta
, Che ’nvidioti ton i ogn altra torte. Non tolaniente
di quella de' beati, ma in un certo modo di quella de' peccatori. Tanto è
riera, cioè vile ed oscura la lor misera vita, onde dice, che
misericordia e giusti- zia gli sdegna , quella che di loro non è avuta ,
questa , che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di luo-
go, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendi- mento del poeta
sia J* inferire , che la maggior pena di costoro èia vergogna di non
esser almeno stati da tanto, poich’ a perder s’aveano, di perdersi, come
suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e mordonsi le ■lani
di noo aver avnto tanto «pirito da irritar almmend la divina giuttisia,
la quale in « fatta guisa punendoli) par loro , eh* ella « per così dir y
non gli •cimi , e ai li Timproveri e facciasi beffe della lor dappocaggine.
V. Sa 9Ìdi un insegna y Che y girando , correva tanto ratta
, Che d’ogni posa mi pareva indegna* Mette costoro
rutti sotto un* istessa bandiera a dinotare la simigUanaa dell* indegna
lor vita. Li fa correre per giu- stamente punir Tozio e Taccidia del
tempo, eh* e* vissero. V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva
indegna. Spiega il Vellntello, eh* egli erano indegni d*
alcun riposQ. Il Buti: Correva quest* insegna t che mai non mi
parca si dovesse posare , e forse meglio. Non credo però , che nè Tuno,
nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni •e la passano senza dirne
altro. In quanto a me direi : che la mence del poeta sia stata di pigliar
in questo luogo indegno per incapace, o altra cosa equivalente ; e
nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar da strologare a*
grammatici toscani ; come fece Ennio a* La- tini in quello indignas
turres, dove da Girolamo Colonna r indignas viene spiegato per magnaSy e
dal medesimo vien allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio,
il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus
amore periret , spone indignutn per magnum, e quell* altro pur di
Virgilio nelle Ceiri: Verum haec sic nobìs grauia atque indigna
fuere. Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y
cioè inefiabile , e per trasUto , immensoCarto V. 59 - Guardai, e
vidi l’ombra di colui. Che fece per viltatt il gran rifiuto.
Intende di Piero d«l Murrone , che fu Papa Cele- stino V , il quale
, tra per la tua sempliciti e l'altrui sottigliezza , s* indusse a
rinunziare il papato. Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe
tacciarsi d' iinpietà il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui,
che non essendo per anche dal giudizio mai non errante di Santa
Chiesa annoverato tra' santi , come poi fu , poteva leci- tamente
credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in sinistro i (ini delle
sue per altro santissime operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti , ed
a’ nemici sui. Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra , eh’ e'
non eran nè di Dio, nè del Diavolo. * • V.
64 . che mai non fur vivi. Morde acutamente con questa forma di
dire la perduta loro vita. V. 65. Erano ignudi , e stimolati
molto. Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia.
V. yS per lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è
proprio della voce, per esprimer con maggior forza quel che s'
appartiene alla vista. Similmente nel primo canto , v. 60 , per si-
gnificare l'ombra della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor
vaghezza un lume assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un
vecchio bianco, per antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per
esprimer la canizie del vecchio Caronte. Gridando : Guai a coi anime
prave : Non isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime
mirabilmente otaervato, ioduceme mollo mag- giore ipavento , l' imrodur
Caronte minacciante l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che
introdurlo muto verao di eaae , aiccome la Virgilio , il quale non lo fia
parlar* ae non con Enea. V. 88 viva , Partili da
codesti , che son morti. Kon diaae da codette , che aon morte ,
perché come anime eran vive ; ma diaae , da codesti , cioè uomini ,
de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 .
Disse; Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia , non qui ,
per passare : Più lieve legno eonvien , che ti porti.
Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua
aalvazione , e che però gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre
vie , per altri porti , intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla
foce del Tevere , dove finge il Poeta , che l'anime imbarchino per l'
itola del Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat-
tello con cui vien Vangelo a caricarle , di cui Furg. cani, n, V. 4
^’- e quei s‘en venne a riva Con un vasello snelletto ,
e leggiero , Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il
Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era
cota impropria il porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio , mi
tpiega queato patto in 40 Canto diverto
lentimento. Prende egli altri porti in quetro luogo per altra condotta,
cioè per altri die ti portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo
, che pattò Dante aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n'
accor- geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui
Caronte ; mentre di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè
che egli per altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a
batto. V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte
luì. V. 99 ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo
per avea, non ave terta pertona del meno nel preiente del verbo avere,
come hanno alcuni tetti. V. 104 e‘l teme Di lor
temenza, e di lor nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme
di lor semenza , quelli di lor nascimenti, perchè da etti
immediatamente nacquero. Coti il Rifiorito. V. Ili qualunque
s'adagia. Qualunque ti trattiene , non qualunque » accomoda
nella barca , come tpone il Daniello , che tarebbe alato
tpropotito. V, li». Come t Autunno si levan le foglie,
L’una appretto delF altra , infin che 'I rama Rende alla terra
tutte le sue spoglie. Similitudine tratu da Virgilio nel VI , v.
309. Quam multa in tyluit autwnni frigore prima Lapta cadunt
jolia etc. ; ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno
niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle
foglie riman tu Palbero ; al contrario di quel di Virgilio, nel quale
tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E poi elf i
grwdemente nobilitata col prose- guimento di essa fino al restare
spogliato del ramo , pa- ragonato al restar voto il lido j dove Virgilio
la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie , e
dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito a quella degli uccelli ,
che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda
bruna. Bellissima ipotipoti , e che mette sotto agli occhi il
camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera
t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di
tempo muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli
tprona. Si che la tema ti volge in detto. Chiese
innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose
di passare il fiume , v. qi. Maettro , or mi concedi ,
Ch’ io tappia , quali tono , e qual cottume Le fa parer di
Irapattar ri pronte. Ora gliene rende la ragione, mantenendogli
nello stesso temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi
76. le cote li fien conte. Quando noi fermerem li
nottri patti Su la tritta riviera d Acheronte. 4
4a Canto £ dice , che ciò accade , perché la divina
giustizia le sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU
epoai/ione di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae
strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo la mera
apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che non trovi meglio da
aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual è : che Dante abbia
preteao d'eaprimere un terri- bile effetto delia diaperazion de' dannati
, per la quale paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti , ed
empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la
quale, secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai
abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo- sia, o da altra
violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un
diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro
di loro ade- gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne,
segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile
guato data la mone , v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto
, Credendo col morir fuggir disdegno , Ingiusto fece we
, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente
eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove
parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera- aione per
quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata
iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee Tribuere
Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent, Sed
iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la diaperata
Fiani- metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell* in-
gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai aono
inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a coloro , co* cfuali
essi sono adirati , benché della lor salme porgano segiu> , nondimeno
gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare
il lor dovere « e saziano f ira loro» V. 117. Quinci non
passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua pattano , aon
dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione , ond* egli
ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o. Finito questo, la
bufa campagna TVemà forte, che dello spavento La mente di
sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento ,
Che balenò una luce vermiglia , La quai tu vinse ciascun
sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,
Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo per fermo , che
a volerne capire il vero tignificato , aia necettario intenderlo affatto
a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono
i commen- tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,
e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò
all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante
fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche
demonio , potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo
tolaiueute nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti
Digitized by Google 44 Canto ♦roTÒ «Ter
pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne
potsa addurre qualche probabi) conjettura , mi riitrignerò domandare : «e
la luce vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel
auo tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che
col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri
maggiori inveritimili ) , come ti può mai intender per etta vermiglia
luce un angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e
baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era
d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pat- tato dormendo,
qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è
stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno
dal terre- moto , ma il terremoto dal balenare ; ma non ha poi
•piegato come ciò post* estere , stante il sentimento dei versi seguenti:
i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una
luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò
una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò , non fu il
baleno , che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per
conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire,
eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del
Vellutello si farebbe diventar ottima , cioè con legger quel Che
per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si che il •enso
fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri- mosa diede vento ;
Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh'
io diceva da prin- cipio, che a capire e a voler dar qualche sentimento
aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello , eh' egli
era inteso universalmente ; cioè dove gli altri intendevano il baleno per
effetto del terremoto e del vento , intender il vento ed il terremoto per
effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile , anzi
torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta deir angelo;
il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca- ronte quando disse, v.
91. Per altre vie , per altri porti y errai a piaggia ,
non qui , per passare , Più lieve legno convien , che ti porti.
si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè l’angelo ,
che Virgilio , o un demonio , il quale passasse Dante, si per la gloria
della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti perchè estendo il passar
Dante di là dal fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto
maggior dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima o
per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte , quando è stata da
superare qualche gran difficoltà, come alla porta della città di Dite ,
dice espresso , che venne un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta
dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente,
e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve- nimento. Lo
stesso sappiamo esser avvenuto , quando v’arrivò Tanima di Cristo Signor
nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti legge in S.
Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove,
scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne dà per cagione la
scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus factus est ntagnus ; Angelus enim
Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa
forza, che Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o
di percioc- ché , o di conciossiacotoché , arnia clic interroghi, nè
ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi , come si può vedere al
Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un
simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo
conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio
: Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca , nell’ Edipo
, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo
della risposta dell’ Oracolo , v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi
supplici intraui pede , Et pias , nutnen precatus , rile summisi
manus ; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit , Imminens
Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio , Eneide ,
lib. Ili , v. 90. Vix ea fatus eram , tremere omnia uisa
repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum , et
nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo
; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della
stessa Deità , V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro Só^iroq
‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant dXtSpót, Come
s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline; Come s' e’
scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora: Lo Scoliaste dice,
che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le sue parole sono :
itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto ramo, come i e'
scossa questa spelonca! Non , Quanto s' è scosso questo ramo ree. ; come
traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che Io
Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di quanto: Olov 5 rà
’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or reggili le l’ interprete doveva
mai tradurre otog ovvero Sicmf per quantus; e pur era un lolenne
tradut- tore , e che li piccava iniioo di icrivere veni greci.
Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no- bilitar la venuta
della Sibilla nelf Inferno , v. iS5. Ecce autem primi sub lumina
solit , et ortut , Sub pedibus mugire solum, et juca coepta
numeri St/luarum , tùtaeque canet ululare per umbram , Aduentante
Dea : Procul , o procul ette profani. Coll Claudiano de Rap.
Froterp. , lib. 3 , alla venuta di Plutone, V. iSa. Ecce
rrpens mugire fragor , confligere turres , Pronaque uibratis radicibus
oppida uerti. Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo
, ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra il canto
IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli non potea dire le non quel
tanto, eh’ ei vide; e te dice, che la luce vermiglia lo fe’ tramortire ,
vincendogli cia- •cun tentimento, e che in questo fu panato di là
dal fiume , sarebbe stato molto improprio , eh* egli ci aveste dato
conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni- mento. Dico svenimento
, non sonno , al contrario di tutti gli tpositori , i quali , mi
maraviglio , come in cosa tanto manifesta abbiano preso un sì grosso
equivoco. Dice Dante , che la luce vermiglia gli vinse ciascun
48 Canto lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono.
Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen-
tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione; che non li piglia
mai il paragone dalla iteiia cola para- gonata. Qual freddura larebbe mai
queita ? Caddi addor- mentato, come cade quegli, che l' addormenta’
Tramortito bensì; e ciò ■' intende molto bene, come polla derivare
dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della luce vermiglia
; ma non già il lonno , il quale è ami •cacciato , come vedremo nel
principio del leguente canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai
limile li legge in Daniele al cap. X , dove egli icrive di lè
medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto col re di
Persia, avea ripieno di tale spavento quelli eh' erano col profeta, che
l'erano fuggiti; ond'egli, vinto in ciascun sentimento e abbattuta ogni
lua virtù , rimase solo a veder la visione ; yidi auttm ego Daniel
solus uisionem. Porro uiri , jui erant mecwn non uiderunt , ted
terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum; ego autem
relictut solus nidi uisionem grandem lume , et non remansit in me
fortitudo, ted et species mea immutala est in me , et emareui, nec habui
quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh'
ei dice al canto V dell’ Inferno , v. 140. E caddi , come
corpo morto cade ? Dunque con qual ragione or , di' e' piglia la
similitu- dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo, eh'
egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante cavarci di questo
dubbio della venuta dell' angelo , fa- cendosela narrare a Virgilio, siccome
nel IX del Purga- torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v.
Sa. Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno , Quando f anima
tua dentro dorniia , Sopra li fiori , onde laggiuso è adorno
, Venne uno donna , e ditte : /' ton Lucia ; Latcialemi
pigliar cotlui, che dorme : Si t agevolerò per la tua via.
avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla bizzarria,
quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la modeitia, per la quale
non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto favore; riapetto , che
manca poi nel Purgatorio , dove la tua anima per la meditazione
del- r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina a
pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto del
concetto principale di quetto luogo , è ora contegnentemente da vedere
con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena
intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o.
Finito quetto , la huja campagna Tremò ri forte, che dello
tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per
fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri- membrando l'alto tpavento, ancor
ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano
con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora
vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli tpiriti, che i'
etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e
romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati , muover
taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.
So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che
crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della
tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante , come
ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio ; dove in perenna di
Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di
quella mon- tagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse
quaggiù poco , od assai ; Ma per venSo , che irs terra sì
nasconda. Non h dunque gran fatto , che , portando egli quetta
credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc) vento di
terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento , e forte
nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava.
INFERNO. CANTO QUARTO. ARGOMENTO.
Raccolta , eom’ an tuono Io f«ce ritornare in , e come trovò aver pattato
il (ìamc Acheronte dalP al- tra riva, la qual fa orlo al catino de!!'
Inferno, chiamato da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre
tcrio nel primo cerchio <^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di-
manda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo , ed ode la tua
ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime de* bambini innocenti , e dopo
quelle di coloro , che visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con
la motta per discender nel secondo cerchio , termina il canto.
V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta Un greve tuono , ti
eh' i" mi riscossi , Come persona, che per forza è desta.
Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde chiama sonno
quello , che in realtà era tmarrimento di spiriti , e svenimento.
Chiamalo alto , a differenza del Digitized by Google
Sì Canto «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot
dice, che un greve tuono a gran pena lo ritcofte , rome ai rìacuote
persona, che per forza è desta* £d ecco retta la comparazioDe fin all'
ultimo^ dopo averla fatta operar con grandisiimo artifizio in tutte le
«uè parti. Il tuono potrebbe a prima viata parere non eaaere auto
altro, che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida
de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono. J tu la
proda a mi trovai Della valle d * abisso dolorosa , Che
tuono accoglie d* infiniti guai. Goal di aopra nel terzo canto , t.
3o , rasaomiglia i gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui ,
ove ai aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia
al tuono. Potrebbe forse anclie dirai , che questo tuono venne dall' aria
del terzo cerchio della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo
punto fuor di ragione il credere, che insieme con la gragnuola venisiero
aoche de* tuoni , siccome veggiamo accadere nella noatr* aria , il
che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa> vento de*
peccatori. Considero dall* altro canto , che in sì gran lontananza , qual
è quella del terzo cerchio , volev* essere un gran tuono per esser
sentito da quei , eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna
ancora considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come fa a
noi , ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la volta della terra,
che rintrona e rimbomba per ogni banda, e sì lo strepito vien portato ,
come per cana> le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione ,
a qual distaiza arrivi la voce d* uno , che parli aoche pianamente
per una canoa forata, forse non parrà tanto Digitized by
Google gUAKTo. 53 HiTerUtroile queito pensiero. Senxa
che delle campane alla campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in
favore, •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie tirate
alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze, che per retta
linea aWà ben cinquanta miglia di lonta* nanaa. Più coerentemente però al
costume non meno , che alla grandezza della fantasia di Dante, si dirà,
che il tuono non fu altro, che quello incominciato nel canto
antecedente , di cui nel ritornare il poeta in s^ , udendo lo strascico,
non rinvenendosi (come accade a chi dor- me, e molto meno a chi è
svenuto) quanto tempo fosse stato fuori de* sensi , lo credette ( stando
assai bene io sul verisimile ) un altro tuono. E di vero, per passare
il fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi volea cosi
lungo tempo , che giunto su l'altra riva non potesse ancora udire il
rintuono di quel tuono stesso, che scop- piò col baleno , allorché Dante
si ritrovava al di là dal fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si
desta na- turalmente, perchè già il miracolo della sua trasmignv
«ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra di credere d'essere
stato desto dal tuono , come farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi
in quel eh* e' tuona. V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc.
Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire stem- perato dal
Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del €uore t quella aspettante ,
thè tutto il corpo dormente ritrosie , e ruppe il forte sonno.
V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo. Per invece di
quantunque , ed opera graziosissima- mence. Il senso è : Tanto che ,
quantunque io ficcassi lo 54 C A H F o viso al
fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai
biiiarra. V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio.
Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla lettera; ma
vuol fon' anche lignificare euer egli nato il primo a entrar a deicriver
l' Inferno , lì come fece nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il
lecondo. A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai
leggiermente ai può comprendere dal paragone. V. 15 . Ed egli a me;
V angoscia delle genti. Che son quaggiù , nel viso mi dipinge
Quella pietà, che tu per tema tenti. Spiega r effetto dell'
impallidire per la lua cagione , che è il compatimento de' mortali
affanni de' peccatori : forma di dire veramente poetica, anzi
divina. V. ai che tu per tema tenti. Che tu interpreti
per effetto di timore. V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe'
‘ntrare Ne! primo cerchio , che V abisso cigne. Qui
incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' In- ferno , cavato
lotto la volta della terra , dove abbiamo veduto eiier puniti gli
iciaurati , e corrervi il fiume Ache- ronte. Entran dunque nel primo
cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi , secondo che per ascoltare
, Non uvea pianto , ma che di sospiri. S* intende nel
primo verto : Secomlo che ti potea comprendere; cioè. Secondo che per
l'udito ti potea Digitized by Google quakto. ss
Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo , mercé
dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao. Ma che vale eccetto ,
aalvo , fuorché , aolaniente , pid che. Forae da magit quatti de* Latini;
onde con tal par- ticella vuol lignificare , che non v’ era maggior
pianto eh’ un leniplice lamentar di aoipiri , lecondo che l’anime
del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo, ma lolamente nell’
animo , per la privazione d’ Iddio. Queito viene apiegato mirabilmente
nel verio arguente a 8 . E ciò avvenia di duol senza martiri.
V. 33 innanzi che più ondi. Andi leconda peraona
dell’indicativo preaente del verbo Ando diauaato , dalla railice uiata
andare. • V. 34 e t' egli hanno mercedi. Non basta,
perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e' porta della fede , che tu
credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica
volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad, cant. XXXII, V. ^
3 . Dunque , senza merci di /or costume , iMcate son , per
gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in quello, che tono create,
h.mno da Iddio , lenza lor merito o demerito , maggiore o mi- nor
dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede. Coll vien chiamato
da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra- mentoruia, V. 37. E s'
e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo , Non adorar debitamente
Iddio. 56 Canto Parla de* gentili innocenti» cbe
furono avanti alla ve- nuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero
, anzi adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè
secondo il verace concetto , che si dee aver d* Iddio , e secondo il
legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica; ma lo riconobbero o nel
Sole, o nella Luna, o nelle Sta- tue , e sì Tadororono con riti profani
ed abbominevoU. V. 41 e soi di tatuo efesi. Che senza
speme vivemo in disio. Vi •* intende siamo. Cioè , e soì di tento ,
o vero » e sol io CIÒ siamo efesi. Questa dice Virgilio esser
la sola pena di quei del Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver
vivo il desiderio, e morta la speranza. V. 47* per ooler
esser certo Di quella fede, che vince ogni errore. Per
aver un riscontro della verità della nostra fede. V. 49. Uscinne
mai alcuno, 0 per suo merto, O per altrui , che poi foste beato
? Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli
antichi Padri operata da Cristo nella sua resurre- zione ; pure da eh*
egli avea sì bell* occasione di chia- rirsi del vero , e con ottimo fine
d* armarsi contro qua- lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto
mistero, non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era
uscito mai alcuno. E notisi , com* egli dissimula bene il suo animo :
domanda prima di quel che sa , che non è , e che nulla gl* importa il
sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno per suo proprio merito , per farsi
strada a domandar» di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier
fatto certo, lenza che Virgilio potaa ombrarvi sopra od
accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato ,
Quando ci vidi venire un possente , Con segno di vittoria
incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo , quando ci
vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a quarantott* anni
dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si non conobbe Cristo
, però non lo nomina. Dice solo , eh* ci ci vide venire un possente
incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope«
rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime , ond* a ragione
si persuadeva , quegli non poter esser altri , che un grandissimo , e
potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele , per cui tafito
fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban
padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64. JVon lasciavam
rondar , perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse , badavamo a
ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del
Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la
ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar ,
nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte*
V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per
moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di
questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto
gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito
, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone :
Le dolci Time d amor , eh' io eolia , dice amarrirviii l’uomo
all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro , cap. XV
della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si
parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e
selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti.
Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aqua- rum plantauU dominus
uineam iuttorum. Qui molto giudi- ziosamente, trattandosi d'anime
dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché
si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia
limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più
verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di
quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di
quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser
forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio
riformati ne’ costumi , ve ne potevano esser molò de’ re- probi. La
seconda, che in questo luogo selva è pro- priamente metafora di metafora,
non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura,
ma più tosto le varie adunanze delle anime , velate prima tali
adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a
intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi
numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è
la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti
parole , che sono poco dopo il mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito
et Paulo inter gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir
appresso gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può
vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue
parole sono le seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque
penetrato nelt interna densissima teha per saper la cagione di quei
pianti. Nè altro intende per sehat che una grandusima calca di gente, che
s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.
V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo;
quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo,
eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra , dove corre
Acheronte , erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli
erano caiu- minati ancor poco per la pianura di esso , quando ei
vide un fuoco , che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non
si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i
commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome
di lu- miera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che
dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere , eh* ella
fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte
alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo,
inhn tanto che dura la lor materia a ardere , e prestar alimento
alla bo C A K T O 6(unina , pfT cui •! rcndon
vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te
quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei
fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una porzione
maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe intenderti
come poeta , e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte
allora le tette per miturare il giro dell’ aria illuminata.
V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante a Virgilio.
V, y(j V onrata nominanza > Che di ior suona sii ne la tua
vita , Grazia acquista nel ciel , che gli avanza. La fama e
’l pregio , che riman di loro nella tua vita, cioè nella vita mortale ,
la qual tu godi ancora , o Dante , impetra loro quetta grazia dal
Cielo. V. 81. L’ombra sua torna , eh' era dipartita.
Partitti allora dal Limbo Virgilio , quando a’ preghi di Beatrice
andò a trovar Dante nella telva oteura. V. 84. Sembianza avean né
trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato nè di gioja, nè
di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si eonviene
Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore , e di ciò fanno
bene. Mi fanno onore , e fanno bene a farmelo ; perchè a
tutt’ e quattro ti conviene il nome , che la voce d’ un •olo diede a me»
cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè siamo
tutti poeti, e f o- nore , che è fatto ad uno , toma sopra tutti.
Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel signor dell’
altissimo canto, D' Omero , dal quale hanno cavato tanto i poeti ,
e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante. V. 9y. Da eh’
ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno
: £ ’l mio maestro sorrise di tanto. Qui non accade
strologar molto quello , che Virgilio a costoro dicesse , vedendosi
manifestamente ( tanto è artifizioso questo terzetto), eh' egli li
ragguagliò dell* esser di Dante, del suo poetico spirito, e della sua
profondis- sima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del
saluto, eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece Virgilio
; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol
signiBcare , che di questo , cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei
grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante , se
da Virgilio non ne fosse loro stata fatta un* assai onorevol
testimonianza, della quale essendo frutto il cenno salutevole, esso ne
sorride per compiacenza di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le
sue parole. V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ;
C/f ei si mi fecer della loro schiera, St eh’ V fui sesto tra
cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, Parlando
cose , che ’l tacere è bello , Si co/u era' i parlar, colà dop’
era. 6j Cauto A chi noD aTCMC ancora Bnito d’
intendere quel , che Virgilio ditcorreHe con Omero, e con gli altri
tre, Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo , volendoci in
austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun
conaentiuiento giudicato degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai
annoverato tra' mag- giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile
iin. presa stimo , che sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor-
ressero in sesto , poiché Dante si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi
egli ad altro, se non di' e' parlaron cose , delle quali A bello il
tacere , com' era bello il parlare colà , dov' egli era. I commentatori
hanno avuto in tal veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son
pur anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra molto
un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli,
che tutto il discorso fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor
egli favellasse, men- tre dice , v. io3. andammo infino alla
lumiera. Parlando cose , che ‘l tacer è hello. Il suo
parlare non fu per avventura altro , che recitare qualcuna delle sue
canzoni , secondo che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di
gentilezza ) ne fu richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume ,
ma ( che più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo
verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere quello, che
allora bellissimo era a parlare. V. Ila. Centi v' eran , con occhi
tardi e gravi, Di grand' autorità ne’ lor sembianti :
Parlttvan rado , e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a
qualunque pi> glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di
gran perionaggio. V. il5. Traemmoei co/l dalF un de'
canti In luogo aperto , luminoso , ed alto ; Si che
veder si potén tutti quotili. Dal dire, eh' e' li trauero da un
canto del caatello, ai convince manifeicamente , eh' ei non era murato
a tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vel- lutello
: tanto pid eh' e' non si può nè anche dire , che il castello era tondo
bensì, ma che v' erano diverse piazze o strade , le quali venivano a
formar degli angolii poiché non pare, che Dante figuri questo castello
per altro , che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e s'
ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti , chiara cosa è ,
eh' e' non vi doveva essere impedimento di mura, o di case, o d'altri
edifizj. A tal che questo canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio ,
mostra , che la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto
meno è veriiimile , eh' elleno abbracciaiser il foro della valle, come è
opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente immaginati, che tutto il
piano dello scaglione del Limbo fosse diviso , come in due armille
concentriche , una ester- na e maggiore, dove non arrivasse il lustro
della lumiera, e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza
bat- tesimo sospirando continuameote , onde dice , v. a6.
ffon avea pianto , ma che di sospiri , Che laura eterna
facevan tremare. minore l'altra ed interna , ed illustrata dalla
lumiera , è questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi.
£ 64 Canto invrrUimile I dico , tal optDÌone.
Prima , perchè in pro> porzione dell* altr* anime del Limbo y
piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per tspecialissima
grazia dentro al delizioso castello ; per lo che* rimanendo loro un luogo
sì vasto , vi sarebbero seminate più rade che per un deserto. Secondo*
perchè in qualunque luogo del prato si fosser tratti Dante e Virgilio*
posto die nel centro non potessero starvi per essere sfondato * e
ter- minar ivi la sboccatura del secondo cerchio * sarebbe •tato
impossibile discemer tutti quanti* a non supporre* eh* e* sì fosser
ridotti tutti in un mucchio vicino all* en- trata * perchè da distanza
assai minore , che non è quella del solo semidiametro di questo prato * a
farlo cale * qual se lo figurano costoro , si smarrisce di vista un uomo
dì statura ordinaria. Direi dunque * che il castello fosse da una
porle del piano o pavimento del Limbo * e che per avventura nè meno
arrivasse con le mura in su la sboc- catura del secondo cerchio- E che
sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice Dante, eh* e* tornarono nelf
aura* che trema* cioè in quella, dove sospirano i padani in-
nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per lo contrario il
castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla esteriore* per discender
nel secondo cerchio, non oc- correva, eh’ c* ritornassero in quella, dove
l’aria tre- mava. Kè vale il dire* che per aria tremante si può in-
tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua agitazione (si
come vedremo nel seguente canto) era altro che un semplice tremare,
dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8. J* venni in lungo
<t ogni luce muto , Che mugghiai come fa mar per tempesta,
S" e* da contrari venti è combattuto. Ecco dunque, che
il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su la mano , tu la
qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia
in due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano rimasti dentro al
castello , e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra porta, o per
la medesima, ood* erano en- trati , ma voltando all* altra mano , e
incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così si
condus- sero, dov' era il passo per discendere nel secondo cer-
chio ; si come vedremo nel canto seguente. INFERNO.
CANTO QUINTO. ARGOMENTO. Xl }>eccato , che
ii punisce in questo secondo cerchio , è la lussuria, come il più
compatibile all' umana fragilità, c per avventura il meno grave. Fmge il
poeta di tro- vare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di
poi passa più oltre , e vede la pena de' peccatori carnali , la
qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo di vento , il qual
rapisce , e porta seco voltolando in giro queir anime. Virgilio gliene dà
a conoscere alcune , che erano già state al suo tempo , ma di Francesca
da Ra- venna intende dalla sua propria bocca la cagione della sua
morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato , con r ombra del quale
si raggirava per 1' aria del se- condo cerchio. V. I. Cori
discesi del cerchio primajo Giù nel secondo , che men luogo
cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a guajo. Digitized by
Google 68 Canto ^ Discesi ; Io Dante diacesi. Men
luogo cinghia ; si di- mostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto
dall* esteiH sione della cosa locata. Quindi è , eh* ei dice il
pavi- mento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar minor
luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo che per lo digradar
della valle gii\ verso il centro si discendeva. Così veggiamo ne* teatri
dalla lor sommità i gradi infmo all' iullmo venire , successivamente
ordinati , sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero , che
quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto più di dolore, che
non fa il primo. Poiché, dove quello per esser solo dolor della mente ,
svapora in sospiri , questo, che alFligge il senso, pugne a guajo , cioè
arriva a trar guai , pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5
rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia. Qui orribilmente ha forza di
esprimere P orrida resi- denza , il tribunale formidabile , la fiera
accompagnatura de* ministri , e forse il ferocissimo aspetto dell*
infernal giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi ancora si veggono
tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti.
Dove notisi , che per 1 * avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad
intendere la preminenza del luogo , quanto la ricchezza degli ornamenti
sacri , ed ogni altra nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii
sud- detti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare
de* cani , quando irritati, digrignando i denti « e quasi brontolando,
mostrano di voler mordere. V. 6. Giudica , e manda , secondo eh*
awvinghia. Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai ci-
gneise , viene spiegato appresso.
69 QUINTO V. IO. Vede qu«l luogo Inferno
è da essa. Da in luogo di Per, ed esprime attitudine ,
proprietà, c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o
vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi
con la coda tante volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia
messa. Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il
piti eh* ci può dall’ ordinario , rispetto al luogo , e a* perso-
naggi , eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere strane ed
inusitate di significare ì loro concetti ; come in questo luogo fa, che
Minos si cinga tante volte la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1
* anime con- dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile.
Bocc. introd. n. i. Quantunque volte , graziosissime donne ^ meco
pensando riguardo ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno
molte: Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono , e
odono , e poi son giù volte. In questi tre versi è compresa un*
esattissima e pun> tualissima forma di giudizio. V. a3.
Vuoisi cosi colà » dove si puote Ciò che si vuole ; e più non
dimandare. Le stesse parole per appunto furono usate da
Virgilio a Caronte nel canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni
in luogo d* ogni luce muto. Notisi , come stando sempre su la
medesima bizzarra traslazione d* attribuire il proprio della voce al
proprio della vista , va continuameDte crescendo» Nella selva ,
~e Casto dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali
per l' im- pedimento de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte
tacerai la luce , V. 6o. Mi ripigneva là , dove 'I sol
tace. Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco ,
ac- cennando io tal guiaa , non eaier ciò per accidente > tua
per natura ; cauto HI , v. 75. Com’ io discerno per lo fioco
lume. Qui finalmente , dove a' ò innoltrato nel profondo
della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre di queato
cerchio non aono accidentali , nè a tempo , nè aaaottigliate da qualche
apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae , folte , oatiuate , ed
eterne. V. 3l. Za bufera infernal , che mai non retta. Mena
gli spirti con la tua rapina: Voltando , e percuotendo gli moietta.
Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti , lo qual
finge l’ autore , che sempre sia nel secondo cerchio dell" Inferno.
A chi pareaac queata voce o poco nobile , o troppo atrana, ricordiai ,
che ai parla d' un vento in- fernale , e che merita maggior lode il
cercar la forza dell' eapreaaione , che 1' ornamento delle parole ; ed
è queata una pittura , che non richiede vaghezza di colo- rito , ma
forza; e tanto piti è bella, quanto è meno liaciata ; estendo il naturale
coti risentito , che non può bene imitarsi , te non è fatto di colpi , e
ricacciato ga- gliardo di sbattimenti. Questa bufera adunque leva e
mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli aggira secondo il corto
della tua corrente, che va turno torno ^UIHTO. 71 al
cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina , cioè col tuo
grandissimo impeto ) li va voltolando in lor medesimi. Cosi veggiamo la
pillotta e '1 pallone , i quali, se vengono spinti lentamente per Taria,
son por- tati con un solo moto ^ che è secondo la linea della di-
rezione del lor viaggio , ma dove urtino in muro , od in legno, osi,
cadendo in terra, ribalzino mcontanente, ne concepiscono un altro , Bglio
di quel novello impeto , che gli aggira intorno ai proprio asse.
V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ; Qmvi le strida t il
compianto t e*l lamento'. Bestemmian quivi la virtù divina.
Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono , o se lo
dicono, io confesso di non intendere quello che dicono. Crederei, che per
rovina intendesse T autore il dirupamento della sponda, giù per la quale
egli era ve- nuto ; e che questa fosse la foce , d' onde metteise
il vento , il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a quelle
pover* anime , che vi passavano davanti. A simi- litudine d* un legno o
d'altro corpo , cui la corrente d'un fiume ne meni a galla , il quale, se
s* abbatte a passare, dove sbocca un torrente, o altra acqua, che caschi
con impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto ^ lo
tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e in lè con mille avvolgimenti
T aggira , e strabalza , in fin tanto eh' ei non è uscito di quella
dirittura , e non ha ritro- vato il filo della nuova corrente. Di dove, e
come possa quivi nascer questo vento , vedremo allora , che si dirà
della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto se- eondo mi rìserbai
a discorrere in altro luogo* 71 ClISTO
V. 40. E (ome gli stornei ne portan F ali Nel freddo tempo a
schiera larga e piena ; Così quel fiato gli spiriti mali.
Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come la «cgitcnte poco
appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da animali tenuti in niun pregio
, e per ogni conto vilittimi. V. 43. Di qua , di là , di giù , di
tu gli mena : Nulla speranza gli conforta mai Non che di posa , ma
di minor pena. Eipretiione felicistima ed inarrivabile di quel
tormento , e che vince quati il vedere ttetto degli occhi. V.
48. Cori viiF io venir , traendo guai , Ombre portate dalla detta
briga. Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio, travaglio;
e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di venti. Farad,
can. Vili , v. 67. £ la bella Trinacria , che caliga
Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo , Che riceve da Euro
maggior briga. cioè sopra ’l golfo , eh’ è più battuto dallo
scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^ Corrisponde
al detto di sopra, v. 18. I' venni in luogo iT ogni luce
muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’ aria
, poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta. V. 54. Pu
Imperadrice di motte favelle. Ebbe imperio sopra nazioni , che
parlavano diversi idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere ,
o denotare i paeii dalle lingue , che vi ai parlano. Infer. cant.
XXXIII , V. 79. Ahi Pila , vituperio delle genti Del
bel patte là, dove 'I ri tuona. V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri
rotta. Che ’l libito fe' licito in tua legge , Per
torre ’l biatmo , in che era eondoita. Aaaai è nota la legge della
diioneatà promulgata da Semiramide , per cui ella penaò di aottrarai all'
infamia de’ suoi vituperj. A vizio di Lutturia fu ri
rotta. Forma di dire assai singolare. V. 60. Tenne la
terra , che ’l Soldan corregge. Dice il Daniello , che Dante in questo
luogo piglia un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide aver
regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con cui nel suo tempo
chiamavasi volgarmente il Cairo , allora signoreggiato dal snidano , non
rinvenendosi dell' altra Babilonia fabbricata da Semiramide nell’
Astiria. Di questo errore pretende scusarlo con fargli nome di licenza
lecita a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per compa-
gno Virgilio in un certo patto , non so già quanto a pro- posito , e con
quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi per la verità dell' intenzione
, che io credo , che abbia avuto Dante ; direi forte ancor io , come il
Daniello : tanto più che in que' tempi non ti aveva coti esatta no-
tizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere, che un poeta anche
grandissimo abbia preso un equivoco in- torno a una città, nella quale
era facilittimo l’equivocare, 6 74 Cauto
intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella d'Egitto;
ticcome oggi per Lione templicemente ('inten- derebbe sempre quello di
Francia, e per Vienna quella di Germania; e quanto a questo, che
Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei
si chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio. Il Boccaccio
nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo , intende sempre
quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad. , t. loo.
E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del Soldan superba
, Predici) Cristo , e gli altri , che 7 seguirò. Farla
di S. Francesco , il quale i certo , che parla del Soldano d' Egitto , e
non di quello di Bagadet. Il Fe- trarca dice anch' egli nel Sonetto;
L'avara Babilonia ecc. non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per
quel d' Egitto ; e il Gesualdo , se non erro , lo cava da una sua
epistola , nella quale fa menzione delle due Babilo- nie , d' Egitto e d'
Assiria. Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia
errato , potrebbe farlo con dire , che per Soldano intese quegli stesso ,
che nel suo tempo signoreggiava la vera Babilonia di Semiramide , essendo
la voce Soldano nome di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e
da Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Co- liifi di
Soria , particolarmente dove parla di uno di essi, che ebbe guerra con
Alessio Comneno. Siccome e con- verso il Soldano d' Egitto aveva titolo
di Cohffa , prima che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo
insieme, quando egli di semplice Sultano , eh' egli era , diventò
Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar
Digitized by Google 9 0 IRTO. 7$ da lui lecoudo il
lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai
cava da quoto luogo del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa
Ponti- fiiem , aliquando ante , aliquando poit , equilabat Mare-
icallus , siile Soldanus Curiae. lila per vedere adeiao , con
quanta poca ragione il Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco
, laiciaio di riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno
confondeaae la favola d* lai e di Filomena , e nel terzo della Georgica
acambiaaae Caatore da Polluce , nel che vien Virgilio difeao molto
giudiziosamente dalla Cerda , vediamo il terzo equivoco notato dal
aoprammentovato apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga
del Sileno , T. 74 . Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut
quamfama secuta est. Candida surtinctam latrantihus inguina
monstris, DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo, Ah, timidos
nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello , senza
allegarne alcuna ragione , che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di
Forco e d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella
figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritro- varla , e dubito
che si possa dir del Daniello nella spo- sizione di questo luogo di
Virgilio, quello che di Virgilio disse il Berni nell' imitazione di
cpiell’ altro d’ Omero ; Perch’ e' m hem detto , che Virgilio ha
preso Un granciporro in quel verso d Omero, Chi egli , con
reverenza , non ha inteso. Noteremo dunque di passaggio , come
bisogna , che quest’ autore si sia cieduto , che Virgilio parli d’
una 76 C A H T O loU Scilla , e che a queita
attribuendo i moitri marini , e r ingordigia degli altrui naufragi ,
liaii dato ad intendere , eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1
ond* egli nota r equivoco in quelle parole : Quid loquar ?
aux tcyllam Nisi ? Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu
cangiata in uc- cello , e fu , come altri vogliono , appiccata alla
prora della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in mare, e
non mai trasformata, come quella di Forco, in moitro marino. Ma la verità
ai à, che Virgilio intese di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e,
toccando di pas- saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più
diffusa- mente dell' altra di Forco , come dalla lettura del luogo
è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di
questo passaggio , e trovandosi inaspettata- mente nella favola di Scilla
di Forco, la credette vestita a quella di Niso , equivocando egli
medesimo nell' equi- voco immaginato di Virgilio. V. 61.
L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di
Sicheo. Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile
anacro- nismo , ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia
datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa. IVon servata fides eineri
promissa SUhaeo. V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo
ti volse. Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la
guerra de’ Greci , e l' ultime calamità de’ Trojani,
V. 69. CK amar di nostra vita dipartille. Della morte delle
quali fu cagione Amore illecitOi V. 7». i' cominciai ; Poeta ,
volentieri Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno , E
pajon st al vento esser leggieri. Gli accoppia ioaieme , perchè
iniieme avevano peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento ,
dalla facUitè , anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e
ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato , eaaendo
atati per affinità al atrettamente con- giunti, come più abbaaao
udiremo. V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei
verratmo. Per quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu
ca- gione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima
preghiera , e convenientiaaima a due amanti , acongiurarli per lo
acambievole amore. Y. 80 O anime afannate. Aggiunto di
mirabil proprietà, e aenza dubbio il più proprio , che dar mai ai poaaa
ad anime tormentate da ai latta pena. ' V. 8a. Quali colombe
dal disio chiamale Con f ali aperte e ferme al dolce nido
Volan per F aere dal voler portale. Grazioiiaaima aimilitudine , e
piena di tenero e com- paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti
gentili animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto
della lode , che le gli dette poc’ anzi , per aver para- gonato gli
apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle ^8
Cauto gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè
in ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitu- dine
all' andar di compagnia, che facevano i due amanti, il che ottimamente si
ha dalla comparazione delle co- lombe , che ad avvilire con un paragone
ignobile quegli spiriti in generale, come fece da principio. Del resto
gli ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sen-
timenti, l’un e l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al
dolce nido volan per Vaere , cioè volan per l’aere con l’ali aperte o
ferme, cioè diritte al dolce nido; o vero volano al dolce nido con l’ali
aperte e ferme , descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe,
quando con l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibat-
terle, e in questa maniera di volare par che si ratb- giiri un certo non
so che pid di voglia e di desiderio di giugnere. V. 88. O
animai graziosa e benigno , Che visitando vai per V aer perso
Noi, che tignemmo'l mondo di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano
pid volontieri gli annuiti che del loro amore. Quindi è , che quest’
anima chiama Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza
usatole in darle campo , raccontando i suoi avvenimenti , di dar
alquanto di sfogo al dolore. Per V aer perso. Il perso è un colore oscuro
, di cui lo stesso Dante nel suo Con- vivio sopra la canzone Le dolci rime
ecc. dice esser com- posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e
Inf. caut, VII, V. io3. L' acqua era buja molto più , che
persa. Digitized by Google QUINTO. 79
V. 90. Noi che lignemmo il mondo di ttmguigno. Scherza in la
contrarietà di queiti due colori ; Fai visitando per F aria di color
perso noi , che , per eaiere arati ucciai in pena del noatro Callo ,
tignemsno il mondo di color di aangue. V. 94. Uh Jttel , che
udire , e che parlar ti picKe : Noi udiremo , e parleremo a vui.
Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il Landino) , che
coatei a’ indovinaaae di quello , che Dante deaide- rava d' udire. Una ,
perché di niun' altra coaa , fuori che de’ auoi avrenimenti , potea
ragioneTolmente cre- dere , eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1'
altra , perché il coatume degli amanti é creder, che tutti ab-
biano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare de’ loro amori ,
tanto che aenza forai molto pregare non fanno careatla di raccontarli
anche a chi non ai cura aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che
l’ uomo, ciò é molto adattato al coatume della loro loquacità e
leggerezza. V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa , si tace.
n ripoaarai del vento non é coaa impropria , anzi é accidente
confacevole alla natura di quello , dimoitran- doci r eaperienza , che
egli non aoffia con aibilo con- tinuato , al come corrono i fiumi , ma a
volta a volta ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aa-
rebbe inveriaimile il dire , eh’ ei ai fermaaae per divina diapoaizione ,
acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella considerazione di quelle pene
, e riportar frutto dal suo prodigioso viaggio. Per questa ragione
vediamo nel canto IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte
della 8o Canto cittì di Dite, e altrove molt’
altre graxie tingolariuime, le quali la bontà divina gli concedè, per
condurlo final- uiente alla contemplazione della aua euenza.
V. 97. Siede la terra , dove nata fui , Su la marina , dove
‘I Pò diicende Per aver pace co' teguaci tui. Bavenna ; poco
lontano dalla quale il Po inette nel- r Adriatico. Discende per aver pace
co’ sui seguaci. Ma- niera veramente poetica. Dicono alcuni , per aver
pace , cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha nel
auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché , fecondo che quelli tgorgano
in lui , lo conturbano e P agitano , onde ti può dire, che gli facciano
guerra. Ma te Dante volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li
chia- merebbe legnaci ; poiché , fintante che uno è teguace d’ un
altro , non gli fa guerra, e , facendogli guerra, non |i può chiamar più
teguace. Diremo dunque , eh' ei vo- glia dire , che il Po co' tuoi
teguaci diiceode in mare per ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per
giugnervi , a fine di unirai come parte al tuo tutto , eitendo
queita unione la lola pace , alla quale tutte le creature tono d.a
inviiibil mano guidate. Veduto della patria , è ora da vedere chi folte
coitei, che favella con Dante; per Io che è da taperii , che quetta è
Francetea figliuola di Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale ,
eitendo ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta
da Rimici , uomo valoroto in vero , e nella teienza e inaeitria dell’
armi eiercitatittimo , ma zoppo e deforme d' atpetto troppo più che ad
appajar la grazia e la de- licatezza di conci non era convenevole, fu
cagione, che ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale
non meno grazioio , e arvenente del corpo , che leggiadro dell’
animo e de' coatumi , del di lei amore ferventiiii- mamence era preao4
Ora arvenne ^ che , mentre , tcam- bievolmence amandosi , in gran piacere
e tranquillità si Tiveano , indistintamente usando , appostati un
giorno da Lanciotto , furono da esso colti sul fatto, e d'un sol
colpo uccisi miseramente. V. ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s'
apprende. Prete costui della bella persona , Che mi fu tolta,
e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio , tra le lodi ,
che dà Agatone ad Amore , dice eh’ egli i ancora delicatissimo ,
argumentan- dolo da questo , eh’ egli i ancor più tenero e gentile
della Dea Ati , cioè della calamità , la quale esser mollissima a
delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella , schifando di
toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario in tu le lette degli
uomini. Iliad. T, v. 93. .... Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in'
ovSit nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani.
Ma amore non solamente non mette mai piede in terra , o in tu le teste
, le quali , a dire il vero , non sono molto toffei , ma di tutto V uomo
la parte più gentile calpesta , e sceglie per tua abitazione. Negli animi
dunque , e ne’ temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo
trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza veruna distin-
zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando , ma quelli
solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono , e pieghevoli
con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9 fizaiipii(;ipfits
6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri
npavietr. 8a Cahto ( S, larn iravv fiaX«ut<i)
cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf>
v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’ »ai oò» av f{>7(
ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP
dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu. £'l Petrarca nel
toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri- cavando con maniera più morbida lo
ateaao originale, fini di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante
, che rijguarda 1' avversione , che Amore ha ordinariamente agli
animi rosai e dori , dicendo : Amor , che tolo i cuor leggiadri
invesca , Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella
canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. , par- lando con Amore, tocca
leggiadramente in ogni sua parte il sopraccitato luogo di Platone ,
dicendo dell’ impeWo, eh' egli ha non meno sopra gli Dii , che sopra gli
uo- mini , con questi versi : £ s’ egli è ver , che tua
potenza sia Nel Ciri s) grande , come si ragiona , E neir
abisso ( perchè , qui fra noi Quel che tu vali e puoi ,
Credo, ehe’l senta ogni gentil persona). V. loi. Prese costui
della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi
fu spogliato dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi
fu ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro
amante. V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del
costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona,
Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil ratto s'
apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo amalo amar perdona,
prese me come amata. Mi prese del costui piacer, del piacer di costui.
Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato
dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo lungo
può aver doppio significato. Hi prese del piacer di costui, cioè del
gusto, del piacimento , della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer
di costui, cioè del piacer che io faceva a costui, e questo corrisponde
ottimamente al detto poco innanzi : Autor , eh' a nullo amato amar
perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per genio , quanto per
vaghezza d' accorgersi di piacere e d’esser amata, e per cert’obbligo di
gentil corrispondenza. V. io6. Amor condusse noi ad una
morte. Arroge forza con la terza replica , e con grandit-
aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di amore tutta la
colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq. Non ego te laesi prudens : ignosce
fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ? E'I
Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo alla presenza del
Principe Tancredi , non gli sa porre in bocca nè altra, nè piò forte
difesa per iscusar sè , che r incolpare amore, il quale, cioè
Tancredi, tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la mia
benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la 84
Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome
io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun altra cosa
ditte te non questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo.
V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente. Calila è la
g)iiaccia, dove nel canto XXXII vedremo euer paniti coloro , che
bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque , che questa
spera detta Caina sta aspettando LANCIOTTO marito di lei , e
fratello di PAOLO , che fu il loro uccisore. V. Ila O latto
, Quanti dolci pentier , quanto detto Menò costoro al dolorato
patto ! Tenerissima riflessione , e propria d* animo gentile
, ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar dolore. E
qui notisi , come Dante per ancora sta forte all’ assalto della pietA ,
la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del secondo
canto, v. l. Lo giorno te n andava , e f aer bruno Toglieva
gli animai , che tono in terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava
a tottener la guerra fi del cammino , e sì della pietose. £
che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener le lagrime , dice ,
che in questo pietoso oflìcio egli era insieme, v. 117, tristo e pio-,
dove mette in considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo
intendere per iscellerato , malvagio , empio , e non per
malcontento, mesto , e maninconoto , come vien preso universalmente
, e (1 come io con gli altri concorro a credere etier re-
ritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo significato
abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e trutitiima
copia Correvan genti ignude e spaventate. E di vero tristo in
aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio , venendo a
estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la giusta e
dovuta miseria de’ dannati , del cbe nel XX di questa can- tica si fa
riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che è sciocchezza averne
pietà , e somma scelleraggine aver sentimenti contrarj al divino
giudicio, che li pu- nisce, V. a 5 . Certo V piangea poggiato
a un de' rocchi Del duro scoglio , zi che la mia scorta Mi disse :
Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà-, quandi è
ben morta. Chi è più scellerato di colui, Ch' al
giudicio divin passion porta ? Driaza la letta , drizza ; e vedi ,
a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta , per non poter vincere la
naturai violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia lo
cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in si- gnificato di
metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava, vi vien a esser superfluo
; e non solamente tristo, ma pio ancora ; chiarissima cosa estendo , che
chi piange r altrui miseria , n' ha rammarico e compatimento.
V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri ? Pubiioti per non
esserti ancora l’ un F altro diKoperd. 86 Canto V. I3I.
Ed ella a me; nerrun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo
felice nella miseria, e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa
h di Boezio nel lecondo libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo :
In omni aduer si- tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est ,
fuisse felieeiu. Tanto che questa volta per il tuo dottore non
debbo intendersi VIRGILIO, come, dal Daniello in fuora, quasi tutti gli
altri si sono ingannati a credere , ma lo stesso BOEZIO, la cui
sopraccitata opera Dante nel suo esilio aveva sempre tra mano , e leggeva
continuamente ; onde nel suo Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia
, dopo alquanto tempo , la mia mente , che i ar- gomentava di sanare ,
provvide ( poi nè 'I mio , I altrui consolare valeva ) ritornare al modo
, che alcuno sconso- lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare
e leggere quello, non conosciuto da molti, libro di BOEZIO, nel
quale, cattivo e discacciato , consolato si aveva. V. ia4- Ho , s‘
a conoscer la prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto
, farò , come colui , che piange , e dice. Sed si tantus amor
casus cognoscere nostros , Et breuiter Troiae supremum audire
laborem. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit ,
Incipiam. £n. lib. Il , v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un
giorno per diletto Di Lancillotto , come amor lo strinse.
Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l’intelligenza
del rimanente di questo canto , con riportar la atoria di Lancellotto
cavata da' romanzi fran- zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita
in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale
in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé
gentiluomo franzeae apiega inge- gnoaamente varj luoghi diSicili de' tre
noatri autori Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile
dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo della iella Geanda
acquitlalo per sua prodezza trenta reami , s ave a posto in cuore di non
voler <t essi coronarsi , se prima a quelli il regno di Logres dal Re
Arius posse- duto aggiunto non aveste ' £ per ciò , avendolo egli
man- dato a Sfidare , furono le genti deir uno e dell' altro più
volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus futa
maravigliose pruove contro di Galeaui , e avuto un giorno fra gli altri
l'onore della battaglia , fu da esso Galealto pregato, che volesse andare
quella sera alloggiar seco; promettendogli, se ciò facesse , di dargli
quel dono, che da lui addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con
quel patto l’invito , e poi la mattina seguente , partendoti per
ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava :
il quale fu di richiedere , e pregare esso Gale alto , che quando egli
combattendo fatte in quella gionuila alle gerui del re Artu superiore , e
certo d averne a riportare la vittoria , volesse allora andare a
chieder merci ad esso Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual
cosa avendo Galeallo fatta , non solamente ne nacque tra Lancillotto e
Galealto grandissima dimestichezza e amistà , ma ne divenne ancora etto
Galealto , per cosi cortese e magnanimo alto , molto del Re Artu , e
della Regina Gi- nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal
pubblico PUI5T0 Amor, eh a null’amato amar perdona, mi prese del costui
piacer it forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Qui
ribadisce : Questi, che mai da me non fia diviso. Nel
che ti ponga niente a quante volte e in quanti modi rioforra V
espressioni d'un ferventissimo ed ostinato amore , e con quant' arte s’ingegna
d’attrar le lacrime e sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y.
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor , che
lo scrisse , fece tra Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra
Lancillotto e Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria.
In somma rime oscene, e versi infami dell’altrui castità sono
incantesimo, e all’onestade altrui lacciuoli ed amU Tal eh* io
ti dico , e replico il medesimo. Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia
diventa un ruSianesùno. E questo è quel , eh apertamente disse il
Principe satirico in quel verso. Galeotto “ il libro , e ehi lo
scrisse. Qui è da notare incidentemente, come alcuni hanno voluto
dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle
del Boccaccio , possa da questa storia esser derivato; perchè, dicono
essi, ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la
maggior Cauto quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di
Francesca simiglianti, pare che quel
cognome di principe Galeotto meritamente te gli convenga. In questa guisa
inferir volendo , estere il Decamerone il principal libro di tutti
quelli , che contengono in loro cose attrattive alla carnale concupiscenza; che
tanto è a dire, quanto dargli titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe
de' ruffiani. Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel
soprammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione
ti sforza di mostrare , essere molto veru simile a credere tal disonesto
cognome, come anche quello di Decamerone estere stato posto al
Centonovelle più tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel
proemio della quarta giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun
titolo apertamente si dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo
ovante. Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento
della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli
amorosi abbracciamenti.Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti.
Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Maggi: l’implicatura conversazionale -- implicatura ridicola – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pompiano). FIlosofo italiano. Grice: “I like his portrait” – Grice:
“My favourite of his essays is on the ridiculous; but his most specifically
philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the ‘consilia
philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di farmacia.
Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro. Studia a
Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali della città.
Si laurea e insegna filosofia. Membro dell'«Accademia degli Infiammati»,
strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini, Speroni, Tomitano, Varchi,
entrò quindi a far parte del circolo di Bembo, frequentando insigni filosofi
come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe iPole, Vergerio, Flaminio e Priuli. Il
dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati soprattutto
all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla preparazione di un
commento allo scritto di Aristotele che, iniziato da Lombardi, fu proseguito, concluso
e fatto pubblicare da M., con altra sua opera dedicata ad ORAZIO, a Venezia: le
“In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem
librum propriae annotations”, dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per
entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore del figlio
Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia a Ferrara. Si conservano appunti
delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale della città estense
fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere
amico degli umanisti PIGNA, PORTO, e RICCI, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».
“Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la
figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un
brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione
a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando,
che si pone come corollario dell'orazione di M. Alla chiusura temporanea
dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia
di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia,
in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,.
A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri
comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del
territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne,
Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes:
Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De
ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi,
“Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms, Expositio de
Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi,
ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus.
Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de
Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem
serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e
Stato, Modena. Note In Sardi, Estensis latinus 88, Modena,
Biblioteca Estense. G. Bertoni,
«Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle
donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura
italiana», Bruni, Speroni e l'Accademia
degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di
retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza, Bisanti,
interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio
Tortelli, “Quattro M. in cerca d'autore”, in «Quaderni del Lombardo-Veneto»,
Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. VEnciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura
ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica,
pessimism, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi,
catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Maggi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magi: l’implicatura conversazionale nell’uso delle parole – il mistico – I
mistici – la scuola di mistica fascista – il veintennio -- filosofia italiana –
filosofia fascista -- Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo
italiano. Grice: “A fascinating
philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!” -- Insegna a 'Urbino. Si dedica alla psicologia “trans-personale”.
Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf. ‘implicatura comparativa’) e
“Incognita” a Pesaro, tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e il principio
dell’interiorità. Scrisse “I 36 stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal,
BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere
straordinario in un mondo ordinario” vede un clamoroso successo. “I 64 Enigmi.
L'antica sapienza per vincere nel mondo”
(Sperling & Kupfer )è segnalato al
primo posto dei libri più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento
rimosso dei nostri tempi: la morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti
cari agli autori: filosofia, mistica, psicologia transpersonale, esperienze ai
confini della morte. Esce un aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe
con il sottotitolo “La porta dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si
focalizza sui modelli mistici per approfondirne, oltre la portata metafisica e
auto-realizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36
stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel
saggio "Le arti marziali della parola" in La nobile arte dell'insulto
(Einaudi) evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e
dialettica. Nei saggi Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro
nascosto mostra il rilievo della comunicazione metaforica e umoristica. Elabora
e sviluppa la dimensione della psicologia trans-personale all'interno del Gioco
dell'Eroe, disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana
dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma del sacrificio del mondo”
(Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf. Grice: ‘timeless’ meaning,
versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola superiore di filosofia comparativa
di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il
Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto
d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso la
filosofia della Liberazione, Scuola superiore di filosofia comparativa di
Rimini, La Via dell'umorismo (Il Punto
d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle
azioni nel mondo evanescente, Bompiani, Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra).
Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga segreto del perfetto
sovrano"; “Il gioco dell'eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi,
Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100
lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il
Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo
di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di
Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione di La Via dell'umorismo.Blog. «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”.
Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso
immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX
(Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31 Il Secolo XIX
(R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata
nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi,
Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di M. Il sottotitolo,
"Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma
dei trentasei che compongono che il libro.
Stralcio della quinta puntata (youtube)
Modelli strategici. Corriere della Sera, (Camurri) wuz
Panorama (Mazzone) wuz Panorama (Allegri) Il Secolo XIX Onofrio) "Aprite le porte
all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità" M., I 64 Enigmi,
Sperling & Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero
perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora
così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista
(Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Schisa) Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,.
Libro/CD con prefazione di Battiato Il
Gioco dell'Eroe Gianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (yout ube) La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro,
Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica
di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la
sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti
di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente,
attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico,
psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gl’altri premi sono stati
conferiti a: Battiato (Musica), Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive),
S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Sito ufficiale di
Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity
"Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis riflessionisul Senso della vita su
riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico,
‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Magnani: l’implicatura conversazionale
della linea e il punto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo
italiano. Grice: “I like Magnani; he has
written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani;
his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” -- essential Italian philosopher, not to be
confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna
a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi
allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi
si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista.
Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento
creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina
in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale
nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto
model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning.
Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al
tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi
interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le
scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina,
nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito
a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha
riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di
Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un
mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa
una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Note Web Page
del Dipartimento di Studi Umanistici
Computational Philosophy Laboratory Web Site [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERElesacademies.org. Edizione cinese: Philosophy and Geometry Morality in a Technological WorldAcademic and
Professional Books Cambridge University Press
Abductive Cognition Understanding
Violence The Abductive Structure of
Scientific Creativity Author Web
Page Handbook of Model-Based
Science Logica e possibilità, su RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the
theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it
in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!”
-- Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per
il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Grice e
Magni: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ –
I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the
chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff –
*Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si
trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia
entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu
eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato
consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo III
gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in
missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I
di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di
Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e
nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con
il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne
consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario
apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse
a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un
tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto. Riuscì a convertire il
conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie. Dopo che l'Praga venne
affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare
a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a
Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i
protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che
senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come
regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de
acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative
scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia,
logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali.
Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di
Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas
Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus
philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi
Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm.
Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici
retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione
H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia
et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S.
Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”;
“De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De
atheismo Aristotelis ad Mersennum, Demonstratio ocularis, loci sine locato:
corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella
Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut
typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista
delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La
discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù,
Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma
ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de
Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana,
Milano. Relatio veridica de pio obitu R. P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von
Pastor, Storia dei papi, Roma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad universam Philosophiam. De Ordine &Jl)lo
Dottrimt. Oftii Theophilc nullum entium affitmiri de alio ente, fed fingula
negari de singulis quae verd affirmantur de entibus non lunt entia, sed
habitudines, quae intercedunt entia. Ego enim illa duntaxat nunc upaui entia, qu3e
per al iquam potentiam pofluni efTe, 6c intelligi, feorfum abomni
alioente. Harum habitudiuum, ut docui, aliae funtiden:itatise(Tentiae, ut,
“Petrus est Petrus. Alias identitatis rationis, ut “Petrus est Paulo idem m
ratione naturae humanae. Demum aliac funt efle aut principium, aut ter-
n)inumalicuius motus, vt “Petrus generat”, “Paulus generatur”. Ex
quibus duntaxat potest demonstrari & existentia, & natura
entium.Verum non funt negligendae reliquae: Ille,enim, qua:referent identitatem
essentiae sive affirmatam, sive negatam, inuoluunt Frequenter niotum noftraerationisa
cognitionc imperfe&a, ad perfectionem: v.g huius propoaitionis, “Homo
est animal rationale”. praedicatum^licec sit identicum subie<3:o, ipsum
tamen explicat diftin&ius. Qux autem confiftuntin identitate rationis,
fiue affirmata, fiue negata, coordinant cognoscimentum et praedicamenta, &
in omni di- £lione, iudicio, ac ratiocmatione praetendunt terminos, qui
ab identitate rationis, communi pluribus entibus, denominantur universales. Et
licet eiusmodi identitatesr ationis non inferantur syllogismo, sed
cognoscantur sola collatione, seu comparatione terminorum, cognitorum aut immediate
aut mediante illatione: tamen hae habitudines tum fubeunt illationem, cum
ex identitate rationis affirmata, aut negata de duobus principijsali cuius motus,
infertur proportionalis identitas rationis, inter terminus illorum motuum, v.g.
Quae est ratio entitatis inter Petrum et Paulum, ea eft mter filios Petri et Pauli.
Quoniam vero in primo libro de per se notis, per didboncm connexam ordinavi in
cognoscimento, & praedicamentis entia per se nota: coordinationem graduum
entitatis, nomino cognoscimentum, & A per iu* X
2 Vakriani Magni per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin
&asomnes entiurn per se notorum pra:cipuos motus per se notos,
quorumillos. quos quifquc confcit in se, ennarraui (atis accurats,
inlibro demeicon- lcicntia: fupercft, ad complementum appararus philosophici.
exhibere illas propoauioncs. quarum veritasnon dependeat abentium cxi-
ftentiajeda rarionc a?tcrn^ > & incommutabili, cuius modi debent
cf- fe i!la?,qutfin syllogismo denominancuc maiores: Minores
enimper se nota propoliciones, exararaz in cra#atu de per se noris , habenc
ve- rit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua? ,
fi corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc: Id,
quod mouctur, neceiIari6 movetur ab alio : eft vera,tametfi corrum-
pancuromnia mouentia & mobilia. Harum vero propofitionum
incommutabilium funt innumera nequecft vllaclfYerentia motus, quaenon sibi
vendicetpropiias vericate'S mcommutabiles: puta has.Id, quod Loco-movetur 5 neccessari6
Loco movetur ab alio: ld, quod alteratur, necelTari6 alteratur ab alio;
U> qnod generatur, neceflano generatur ab alio. Veium hae omnes deriuanc
(ibi incommutabilitatem ab hac: Id quod mouetur, neccessariu mouecur ab
aho>oporcetergo congercre invnum craclacumillasim- fnutabilium,quas
nulla ipccialis pars philosophiae pcrcra&ac, quatenuSjvbiv.g. ventum ficad
tra&a cum de generatione. Ha?c, fd, quod geiif ratur, neceflario generatur
ab alio demonftracurperhanc : id, <juod mouetur, necefl.ui6 mouetur
abalioj quae supponatur dcmon- (trata m ipfo vestibulo Philosophia?,ica
vc non fic opus in vllo ratiocir nco repetere demonftiacionem
fadtam. Hiccrgotra&atus comple&iturhas propositiones ajternas,
& ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes
lllacioncs. quas habebir,& habere poteft vniucrfa philosophia: has
nuncupaui Axiomata, & licniiTec denominarc Maximas, veluc, quac influanc
vim iliatiuam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum ab
habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt efle
pi incipium & ccrminum motus, casvero, quae funt ex
idcncitareracionis, poftrcmo loco commemorabo.nimirum
ilIas,quacafficiuncmotum:mocum,inquam,icalem cx quo duntaxar argumentor entium
exiftencias & nacuras. Scd veiitus,nemeusftylustibi vfquequao^ue
probccur, voloprius ^cxcufareilla.qu^forcaflisexiftimabisnofaciicongrua
fini,mjcintcdo • Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarem
conditionem, j4xiowata S ncm rhilofophantiura. Respondeo, quod obscurafas
obuenit vcl ab obie&o, ve! a ftylo (cribentis. Meum stylum audafter
dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clarirate est mihi
& rco- peccisfima, et familiaris.cxcerum grarulor philosophiae
obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc
ftudio,quiReipublica: vnlius opera,& aecace impendent in agro>in
mechamcis^in bcllo & iimilibus Laudatur pasfim rraditio do&rinae per
quarftiones , quae rnouentuc de (uL,ie&o alicuius
fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc methodum refolutiuam
Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec enim exordicur a nonslimis &
prarcendens lucem eacenus partam, reuelat semper obfcuriora : qui verdmouec
quxftionem,obijcit tene- bras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem
propofiram. Uli,qui per qusftiones cradunt lcientiam,ducunt
argumenta ex om- nibus locis diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus ,
tfnde dunraxac infero enrium exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis,
quadola poflunt efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis ,
digniratem pro- priam peflundant Memineris vero, Theophile, argumentum,
quod inihi est demonstrativum, alicui fortasfis vixerit
probabile:(untenim plerique, quibus opus fu pharmaco magis quam syllogismo. Quoniam
vero motiu func fubordinati > demonltrationes anrece-
dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem , & euidentiam a lubfe-
ouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi mouentis
confirmatur^ iecundis,alijfque fubfequentibus. Hxc conditio
ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex nacura Quanti
difcreci f 6c continui •, nam in Mathematicis vix aliqua demonftrationum
anteccdentium pendec a iubfequenti- bus. Tibiver6,legentimeostra£htus
, occurent frequenter nonnulla amcnegle&a , qiu? tuo iudicio
debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere confufionera,vcl
minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra- £Undas;Ide6,Licet
fciam mulcum lucis acceflurum rci , quam expo- no.fi eo loci cognofcacur
aliquid,alio loco referuarum , ramen id fe- pono,& pra:ftoloL loco
congruo do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil pono moieitius
obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono obiediones
manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra con- clufionnsillacasa
racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle quietcece in termino
trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui co- clufioni videcur
aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i wraj, - r" —
ta....\....^x V zlcriam
Mdgni. tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi
obiedlionurnjfacile/ntelli- ges eas^fi anteuertantur , neceflai io (us
deque conuerfuras vmuerlam Philosophiam, fine quarlira evidentia. Ponofi
vim a.gumenti con- clufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum
exiftennas, &naturas dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in
fyllogifmo.&fupponeslatere aliquid in entibus concretis,vndecaptas
occafionem errorrs. Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum
magna conten- tionecontrouertuncurintei Philofophos , fi tamenhzc
ncghgentu non detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira
differentiam interdiftin&iones formalem*rationis
ratiocinat*e,&mo- dalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis
agirarae, non ha- bent momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat dispucationern zuternam. Non
infero ex conclusionibus primo illatis, reliquas omnes, qur inferripoflunt
ed illas duntaxatj quae cx ponunt natura mcntis, quoi
fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio, quxexdcmonftrati* non
obfciueprodcuntinlucem. s :
DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confue- ta oratione
declaratas, significo per vocabuU vfitata,fi Hippetant , vci adhibeo aha
ad placitum meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt
ejfentiali. Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs
eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationemcommunem omnibus cnti'
bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti
Theophile.fpecierum.quascognolcituri adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a
. as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod lenfib.le.non
lolum quod aftu exiftat.fed & quod fi, p S n t.ffimum fent.ent.: At
vero imaginab.les . &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J nutum, magmantis
&intcllige. Hisnonrolumentia^uexiftem praefenua.fed
abient,a,pr^erita,futura,poffib,), a , ac dcmum ab ft ra
Exphcaturuserg^Rationem.communem omnibusentibus eim
affignaredebeo.quxaffirmetur deentibuspr. sentibus affirmVk dc
pwtcri^affirmabitur defuturis , affirmaretur de poflibSus^f!
Tcnirenc X jixiomata S
venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur,abftra-
hendoabimentione praeteritorum praefentiumjfuturorum^ ac pofli-
bilium. Dicoigitur Ensefleid,quod exerceta&um eflendi, vt v.g
amans c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum ,
coguo id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum : Leo exercet a&umel-
fendi Leonem & quodlibet entium exercct a&urn eflendi feipfum,fe-
cundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego , quinon fuin
Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi Theophilum:nec Leo
poteftexercereadtum eflendi hominem. Qnaproprer ratio , commu- nis
omnibus entibus,abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis : ita vt
nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus , quam quae
nuuraliter concipuur ab omnjbus , quaeue habetur in ipfo communi
vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet, autexer- cuit,aut
exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod aut eft, aut
fuit,aut ent,auc efle poteit. Seclufa (citra negadonem ) omni praecisa
rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non exercet a&um eflendi,non
eft Ens„ Pneterita non (unt.fed fuerunt entia. Futura non sunt/ederuncemia.
^ PofTibilianonlunt/ edpofluntefle entia, &confequentcmil ho-
r»meflens. \ Ens vero abftraftum ab intentione praefentis,
prarteriti , futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia
Entis,mter , quae nil eflentiali- us ipfo exercitio eflendi.
Porio Gntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncom-
teIle&o Ente: quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideoin- tclligit
Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem , int?Heclo
Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi , isdemum
intclHgit,feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico, Rationem, communem
oronibus enubus, elie Rationcm Non-Entis, fi, poiitiua intelleaione, intellicatur
sublata: scilicet Non Ens est ens coguatum, vt ceflauit ab a&ueflendt
vel qua - tenusnonvcnita4aaumexiftcndi. VerumNon-ens habetfuasd.t-
fcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem narrabo , exorfus a mim- ma
Nonentitatcvfquead maximam. Lapis,cxpeiscaloris,noneft calidus,
arpotcftcalcre, fceatenusdi- <icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin
potcntia cft minimus gradu* m
VaUrUni Mignt Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur
caIor,eftens,tametfi Non-ca* lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum
Non-Ens, quandoqui- dem lapis potcft efie cahdus. Lapis non eft
vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifi-
uum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen* i\x vifiua?
, eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum, non fic mcrum
Non-Ens. Socrates ccrto certius generabit filium; quifilius eft Non-homo:
non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non homines illi , qui nonerunt. Sed est homo futurus.
At vero sunt alh , qiuceflcpoflunt.ncc ta- menerunc;quotfunt
animantium,quotex hominibus,qui poflent gc-
nerarcfilios.ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta, fed
denominantur posfibilia,qua: magis recedunt ab entitatc, quam quod sunt
futura. Entibus possibilibus proxime accedunt entia prastcrita : h*c
enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni
encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando. Denique illa quae
neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt, nec esse pofliint videntur esse mera
non entia.-puta corpus re&ilincum bian- gulareiid enim imposfibilc
eft eflc,fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam intelliguntur
oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens
incclligicur oppolitum negative omnibus entibus absolutc confideratis Si ribi
oppono ncgatiu* Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur Non-Theophiius-
Cuiulmodi fonr Non-Pcti us, Non-hic Leo, & a!ia innumcia. Non-
^nsautcm.oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun cupatur nihil.
Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia
cftcautelaamulnphcibus, grauis fimifquecrroribus. proucnicoiibus ex confufa
sub.eaione, & predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus tibi
caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. ^ * iUU
" V.x est aliqua differentia non cnritntis, qaamnon folcamus aut Lapis
non est, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn- cun
L d U P m g Td. eft ' ""P 0
linsi.posfibncfc. Anti- Jlxionuts 7 Antichristus cfl
furuius , dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non cognituri mulierem, dicitur
ensposfibile. Abraham fuit homo dieitur Ens praereritum. Corpus
reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile
Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium
entium. Porr6 nil horum por eftcfFc< aut subjectum aut praedicatum
reale, fi exciptas ens in potentia , & ens imposfibile secundum
quid:Iapis e- nim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia,quiue abfolute
negaturvift- uus. Eft ens.
Cetctum nil cntis eitquod fubijcias reliquis Non-entibus, quod per singular
exempla demonstro. Anti-Christus est futurus. Anti-Christus stat loco
subiecti, qui in eadem propofulone supponitur Non- ens,cum aiTeratur futurus.
quocirca fubiedtum illius propofitionisnon est ens. Eadem est conditio
huius. Filius Petri, non cognituri mulierem, est possibilis. Scilicet
subjectum illius propofuionis non est ens, sed poteftetfe ens, vt
fupponitur, haec etiam Abraham fuit Homo: Habet fubiectumj quod fuppomturnoncfie,
fed fusse Ens : dc- naum ifta: Corpus reSiIineum
biangulare eft imposfibile , non fu bijcit en<\ cum in ipfa propositione
afteratur non folum Non ens.led Sc cfie im- posfibi)e,quod fu cns:Cauebis
crgo ubi a multiplici er rore,fi lupra di- dum confuetum modum enuntiandi
ndh:beas conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non
erte entis. His ergo eatenus explicaris, staruo primas propositiones universalissimas
formatascx Ente& Non ente, abftradasab omni difte-
rentiaentitatis. Vidcote'1 heophiIum,&tuaccuratcinfpecT:us
enuntias v.gde te ip(o,quodfis coloratus, quod fiscerta figura
determinatus, quae propositiones non sum illatae l et tamen dependent a te, ut
a termino simpliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de se enuntiar prasrata, et
aha eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs, quarinter-
ccdunr terminos realiter diftinaos, sed eas duntaxat, quas nos comminifcimur
inter ens, relatum ad lemet ipsum, et ad non ens, cumcnim priroum, quod
obiediue cadit in mentcrn nostram, fitcns, ftlfl Valcrittni
Magm fit Ens, fiid simpliciter dictum, seu apprehensum, referarur ad femet
ipsum, fefe pertinacifiime enuntiat, acrepetit Ens. Unde habemus hanc propositionem.
“Ens est ens.” Qux est prima omnium per se notarum incommutabilium, non solum
quia non sit lllata sed etiam quia non sit enuntiata, aut exarata abaho
termino simpliciore, a nobis accurate in(pe&o. Ex hac propositione habetur
haec. “Non ens est non ens.” Quae est notisima, citra ullam illationem: ignorarem
tamen illam fi nelcirem hanc Ens eft ens. Porro quod ensfit
ens,^£quipollere videtur huic. Ens est se ipsum. Hinc vero fubinfero
alias propositiones:Vnam ex eo, quod ens est ensi in numeras ex eo, quod
ens sit se ipsum vfic ergo argumentor; Hoc, “Ens est ens.” Ens vero
est impossibile, fit Non-ens: Ergo hoc ens non est Non ens. Hoc Ens est
se ipsum: ld autem, quod est se ipsum, impossibile est sit ullum aliorum
entiu. Ergo hoc ens non est ullum aliorum entium, scilicet: Hoc: “Ens non
est ens”, nunc upatum A.nequc ens nunc upatum E, neque vJlum aliud, ex
omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri, vniuerfalisfime confiderato, licet
fubfumere quotquot funt entium cxiftentium6c exindeformare
propofitiones, & ilIanones, prasfatis analogas, uno exemplo commonstro,
ut ld fiat. “Theophilus est Thcophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Hmc
fic argumentot “Theophilus est Theophilus” Id quod eft Theophilus imposfibile
eft. sit simul non Theophilus. Ergo Theophilus non est simul non Theophilus.”
“Theophilus est se ipsum.” Id, quod est se ipsumi impossibilc est, sit vllum
ahorum cntium. Ergo Theophilus non est vllum nlioium cncium.
Scilicet Theophilus non ctl Pctius; non hic Lco, non hic lapis,
non vllumaliorurn cntium. Quoddixidc Theophilo, idv erificatur de
quocunquc alioente, quo Axiomata quomodo libet confidermo. v.g.
Ens ad tu est enfac5 Hi ; est re ipsum. Ens m porcnua,cft cns in porcntia, elUe
iplum. i. urrens elt curtens, est se ipsum. Quin iramo aufim
diceie Non ens eft non-ens.est se ipsum. Sic enim argurnentor
Non-Ens est non-ens At Non-ens est impossibile fu Eus Ergo Non ens
non est Ens. Non Theophilus est non Theophilus, At non Theophilus est impossibilc
quod sit non-ens, aliud anon Theophilo. Ergo Non-Theophilus non est non-ens, aliud
a non-Theophilo. Neque bexiftimes harum propositionum luillum ef cvsum in
Philosophuv. tu iple ex pericris freqnent! flimum, £ximiumque solatium
ex-c- uidentiflima incommutabiluatehuiul modi propohuonum: faepius enim
infertur condufio tam recondita, tantique momenti in PHILOSOPHIA, vt trepidi
exhibeamus noftrum aflinfum. Verum conie&i incam necessitatem qucc
nos compellat, aut aflentiri illatfe conclusionem, aut negare ens esse se ipsum,
inttepidi aflentimur illatae conclufioai. Ni> Haenimeftillatio, quae
vimillatiuaranon fibi derivet ab hacptopofuione. “Ens est ens.” Id uno syllogismo
ostendo Luna loco movetur Id, quod-loco mauetur, neceflari61oco-inoiieturabaHo:
Ergo luna Loco movetur ab alio. Quod Locob meueatur, cernisoculocorporali,
quod vcro Ens loco-motum incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo
mentali. lraque pr^bueris assensum duabus illis prasmiflis, & tamen trepides
af- feiuui conclusioni, cogeris praebere affcnfum, fi animaduertas, ex negata
conclusione, et conceflis premissis necessario sequi, Lunam simul moveri
et non moveri. Quod moveatur supponitur in minore: quod loco morum
neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impossibile est junam
moueri Localiter, & non moueri locabiliter, si non sit possubiIe, Ens
simul esse ens, & Non-ens.id sctb est impossibilccum ens necessario sit
ens. Hoc confirmatio cuiuscunque illationis dicitur a Philofophis
probatio pet impossibile Itaqueens quod cunquc simpliciter dictum fefc ex
erit in propositionem hanc identicara. I o VtUrUni Mtgni Ens est
Ens; Ens est se ipsum Ex quibus citra illationem habemus has, “Non ens est
non ens.” Non-Hns.eft fe ipsum I:x quibus qualitcrcunqjtc
ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non Ens non eit
ens Habes ergo Theophilo ex rarione, comrauni omnibus entibus, unam
primam, vniuet falisfimamque propolirionem, incommutabilem, per se notam, ex
qua ratiocinando intuli alias. At vero nulla cearumillationumfunr reales,quandoquidemhabitudo,
aut affirmata, aut neg3ta, non est realis. Negata non est realis, quia
non negatuc habitudo vlla, sed ipsum Ensdealio ente: Habitudo autem non est affirmata
non est realis.-nam termininon sunt realiter distin- ens cthpraratae
enim habitudines affirmatae, funt habitudines identitatis, inquibusens,
vt fubijcitur, non diueifificatur afe , vt praedicatur. lllx enim propolirones
, quas in Logica denominavi identicas, non fuiil i eales, immo nec sunt
propofuioncs, sed dnftiones. Ut enira is, qui dicit, fecernit ens dictum
a rdiquis entibus, fic qui statuit lllud ipsum Ens clTe se ipsum et: non esTc
ullum aliorum entium, concipic ens catenus cognitum, velut sit indiuisum
in fe,& d uifum ab alijs, jicl vero nolTe de aliquo cnte, est dicere
ens illud. Non tamen inuoluo dictioni mdicium, fcdaio, iudicium de illis propositiombus
non esse realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes & negationes elle
notitias intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm ed hanc distinctionem
reieruo in alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice
hazz Grice. Valeriano Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza,
“Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi e principi metafisici” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mainardini: l’implicatura
conversazionale del popolo romano – filosofia italiana – il consorzio degl’eroi
-- Luigi Speranza (Padova).
Filosofo italiano. Grice: “Padova
tries to institute the ‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern
‘stato,’ but in which case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” -- Grice: “When I studied change I focused on
von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!” Nato da una
famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al
Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità
di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del
suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per
l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui
versava il clero lo portò a diventare anti-curialista. A Parigi incontrò
Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di
avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da
grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio. Mainardini dopo le sue
dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del
diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra
Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto
culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera
maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì
moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello
successivo. A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il
proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe
del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere
politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma nel 1327 in
occasione della sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso
Ludovico vicario spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad
opera del popolo romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione
dell'impero laico che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada
alla laicizzazione dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro di Carlo IV di Boemia. Con la Bolla
d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando
così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si
ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino
alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la
compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un
piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di Marsilio come il prodotto di
tempi in cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e
l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera
più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge. Il
suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello
Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera
laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La
necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla
natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di
realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le
varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne
deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la
convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza
ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma
civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà
comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei
cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare
su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato,
esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio
era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso
come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi
venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato
a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che
tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi
principi politici costruiti. «occulta
valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer
contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna
ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali
aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le
altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme
avidità» (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come
istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che
gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso
l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor
si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua
importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più
propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio
condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica,
la confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i
pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della
sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione
imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del
divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova
nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano
tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore,
imparentato con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico
di Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di
sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della translazione dei imperii” -- è un'opera che niente aggiunge alla fama
derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione. Si può
considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla
fondazione di Roma da Romolo fino al secolo XIV. In Mainardini lo “stato
romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse teologiche
quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della legge
quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività e co-attività
oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di giustizia deriva
dal con-sorzio (concerto) civile, l'unico soggetto che può stabilire ciò che è
giusto e ciò che non lo è. Per Mainardini, l'uomo deve essere inteso come
libero e consapevole. Nel Defensor Pacis appare diffuso un
costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della
Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla
moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla
coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella
sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi
versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo,
indipendente da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione,
ecclesiastica è il grande merito di Mainardini. Anche nella Chiesa viene
affermata una forma di costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei
vescovi e dei papi. È ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il
Concilio, ogni decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il
nostro autore non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di
Pietro e di Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà
evangelica tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe
e comprese il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o
rivalutarne il più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi
riformista e conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la
corruzione dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta
la necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel
senso più puro. La modernità di Mainardini consiste anche nel metodo
della sua trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed
esaustiva, aliena da qualsiasi di quelle forme di retorica che era
caratteristica degli autori medievali. Altri saggi:: “Il difensore della
pace,” C. Vasoli. POMBA, Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI,
Padova (collana Lex naturalis; Battaglia
F., La filosofia politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R.,
Ecclesiologia e politica, Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia
Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri Fumagalli M.T., Storia della
filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E., “Il ‘regno’ di Mainardini: tra
la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di storia della filosofia
medievale, Briguglia G., Carocci
Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in Pensiero Politico
Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, Capitani O., Il
medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella filosofia, Ferrara, Damiata
M., Plenitudo potestas e universitas civium, Firenze, Studi francescani, Del Prete D., Il pensiero politico ed
ecclesiologico, Annali di storia, Università degli studi di Lecce Dolcini C., Bari,
Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica come grammatica del mutamento,
Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi di storia del pensiero
politico: dal medioevo alla società contemporanea, Milano Piaia G., Mainardini e dintorni: contributi
alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la
Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal
difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da
Padova e Niccolo Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor
Tractatus de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in
causis matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Marsilio da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio: essential Italian philosopher. Marsilio dei Mainardini,
Marsilio di Padova. Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio
conversazionale, difensore della pace, leviatano, allegoria del buon governo –
allegoria del buon governo-- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini"
per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima
del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Grice e
Malfitano: l’implicatura conversazionale dei quattro – il complesso sociale -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Siracusa). Filosofo italiano.
Grice: “Malfitano, like me, is an emergentist – each ‘complesso’ grows
(cresce) and the ‘complexity’ is thus best characterised as ‘crescente,’ –
Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a theory of ‘complessita
crescenti’ – The whole point is that you get from one complex to the other.” Grice:
“I like Malfitano. His theory of ‘complessita crescente’ is admirable: he
distinguishes various ‘complesso’ – the material (subdivided into atomic, and
the ‘crescente complessita’ of the molecular), the biological complex (which
comprises the complex of the tissue, and the complex of tthe articular), the
social complex, i. e., the human being
in his inter-subjetctivity -- nd the ideological complex, the abstracta –
ideation, cognition, and conviction – there is a superior geometry, too!” Nacque
da Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette
fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire
l'interesse per la materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava
assiduamente una nota farmacia del centro storico della città natale acquisendo
notevole interesse per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla
facoltà di chimica dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le
lezioni del professor Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi
universitari a Palermo, dove si trasferì al seguito di Peratoner e ottenne la
laurea nel capoluogo siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a
Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo della chimica
industriale agli stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola
di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da
Camillo Golgi, futuro Premio Nobel per la medicina nel 1906. Stimolato
dall'ambiente favorevole, Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi
sotto l'effetto delle compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi
notare da colleghi e professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il
carattere disponibile e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista
milanese. La carriera prese una
svolta definitiva quando, durante un congresso internazionale a Pavia, venne
notato dal futuro successore di Pasteur, Duclaux. Venne dunque invitato a
trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto l'offerta di un impiego all'istituto
Pasteur. Una volta arrivato nella capitale francese, Malfitano si dedicò in un
primo momento alla micro-biologia, pubblicando come risultati delle sue
ricerche: Protease de l'aspergillus niger, Influence de l'oxygen sur la
proteolyse en presence de Clorophorme e Bactericidie charbonneuse. Decise di
ritornare a studiare la chimica pura, campo d'indagine scientifica che lo rese
definitivamente famoso. I suoi studi sulla chimica colloidale, arrivarono a
dimostrare la natura elettrochimica delle micelle, e riuscì a misurare con
notevole precisione la conducibilità elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise
a punto i cosiddetti ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui
colloidi. Divenne capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli
studi si interruppero durante la gran guerra. Al termine di essa, sposò Vera, una studentessa russa.
Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota
dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità
crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle,
ma l'esistenza in generale. Pubblicò Complexité et micelle, e Les composés
micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero
accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel
Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò
negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso
l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano
strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile
in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna
delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali:
ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne
estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità
socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che
costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in
due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo
sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso
in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo
sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere
umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso
ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione;
il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso
ideologico: la convinzione). L'ultimo passo della speculazione e il
concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina
gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole
dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il
compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del
cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio. Soleva spesso tornare
in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine.
L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della
vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il
paese natale dalla fine degli anni Trenta. Morì inell'alloggio assegnatogli
dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le
sue convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema",
termine che indicava l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio
di un problema. Introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido,
quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella
capitale francese. Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano
aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se
fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo
motivo Santa Veneziano, orfana di
entrambi i genitori. Da tale unione nacque Giovanni. Ad Repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122. Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato
nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di
Aretusa), Cisalpino Istituto Pasteur, su webext.pasteur.fr. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.
Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche126. Ad repellendam Pestem Storie
di Medici e Sanità, Tyche. Ad
repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche,
Siracusa, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Malfitano is right about the ‘social
complexus’ – however, as Talcott Parsons has shown there is more complexity in
the social compexus than Malfitano, a Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth
stadia: -- il complesso sociale -- Giovanni Malifitano. Malifitano. Keywords: i
quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,” – “The pirotological ascent,” in
“From the banal to the bizarre: a method for philosophical psychology” -- emergentismo
di Grice – emergentismo di Malfitano – l’organicismo della diada in Malfitano
--. Il complesso di azione e il complesso di inter-azione, il complesso sociale
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library.
Grice e
Malipiero: l’implicatura conversazionale del trionfo della ragione; ossia,
confutazione del sistema del contratto sociale – the breach of contract – or
Romolo e Remo, I due contrattanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo italiano. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a
profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero
loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom
in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his
attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a
‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti.
Entrambi i genitori erano patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei
Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre
apparteneva a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di
abitare in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo
l'estinzione di un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro
botteghe nei centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case
si trovavano tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in
politica con l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe,
ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica.
A questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica
del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare
dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico.
La prima opera pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione
e tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si
cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della
passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di
moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con quanto
asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal
politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In
questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte
della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in
epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche
all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo
della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato,
senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti
del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this
interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui il
Malipiero cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la
democrazia, ma la monarchia. La sua
linea anti-rivoluzionaria fu affermata anche quando si tenne distante dagli
organi della Municipalità istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto.
Accolse perciò con favore l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento
della spirata libertà cisalpine” e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio
della Romana Repubblica e quello dell'Austria.” Di grande importanza è quanto
emerge nella “Voce della verità,” una memoria autografa inviata al governatore
austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a Venezia. Nell'opera,
divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione asburgica
(polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), si chiede quale dovesse essere il
criterio di scelta per la nuova classe dirigente veneziana. Dimostrandosi critico
nei confronti degli ex funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a cui lui
stesso apparteneva), nominati non in base ai meriti, ma per favoritismo,
auspicava di non concedere spazio a coloro che vivevano nel lusso, poiché
entravano in politica solo per il proprio tornaconto, e soprattutto verso i
trasformisti che cambiavano opinioni con l'avvicendarsi delle
amministrazioni. Con questo lavoro
anticipò le scelte del governo austriaco che, in effetti, estromise il
patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche amministrative a
personalità lombarde o delle province ereditarie. Si dedicò, con un certo successo, anche alla
stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero
presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il
sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione
delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro
critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav.
Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed
Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel
nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza.
Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle; Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo
dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della
Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco,
assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina diPisani. Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “I
would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher G. R.] Grice made a
job out of it! I saw the cooperative principle as a matter of quasi-contract –
whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong with it? Romolo mythically
killed Remus because of a breach of contract, too!” Grice: “My thought exactly
replicates that of Malipiero back in the good old days of Venetian republic –
only there was more rhyme to reason in HIS scheme!” -- Troilo. Malipiero.
Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione del sistema del
contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mamiani: l’implicatura conversazionale di Beltrami contro Euclide – filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Secondo Parmense).
Filosofo italiano. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford, he takes
‘science’ seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored Newton on
the apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space which reminds
me of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian, and thinks
Italian needs Euclideian verbs to match!” Linceo. Membro dell'Accademia dei Lincei ha
insegnato Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara. Si è occupato soprattutto di Isaac Newton,
del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e
dell'origine delle enciclopedie moderne.
Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né
sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton filosofo della natura” Le lezioni di
ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia, “Teorie
dello spazio” -- da Descartes a Newton, Milano, FrancoAngeli, “La mappa del sapere.” La classificazione
delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli, “Il prisma di Newton,”
Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato
sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della
scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium. I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino,
Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi
sul pensiero scientifico Ricordando Mamiani, "I castelli di Yale", Il
Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La
sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to
the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Maurizio Mamiani. Mamiani.
Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mancini: l’implicatura conversazionale del kerygma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Schieti). Filosofo italiano.
Grice: “I like Mancini: he has expanded on the ethos of cooperation – and
he has explored what he calls ‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in
connection with language – he reviewed Pittau’s philosophy of language, and
published a little thing on ‘language and salvation.’ So how can you NOT like
him?” Grice: “I like Mancini; if I dwell
on philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has
studied Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of
MALEVOLENTIA!” “La filosofia è il
passaggio dal senso al significato, attraverso le mediazioni culturali,
dottrinali, attraverso la struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni
della prassi.” Studia a Fano e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad
Urbino. Studia i massimi teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer
pubblicando, su quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha
fondato l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per
molti anni, di "facoltà teologica" in una università laica. Tra
i filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della
ragion pura. In questo senso è ancora
più importante "Kant e la teologia” dove tratta la filosofia della religione kantiana,
fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo
categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati
dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della
religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione
rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa
invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora
dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in
grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei
Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione
dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione
capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere
stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è
l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una
prospettiva materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti
mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo
all'insieme dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della
rivista Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua
posizione di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e
democratica d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando
una risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle
orme del Concilio Vaticano II. Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola,
Brescia “Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi
esistenzialisti” Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa,
Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e Pensiero, Milano “Filosofia della
religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia
utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella, Assisi “Futuro
dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con quale
comunismo?” Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma,
“Novecento teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana,
Brescia “Fede e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere” Rusconi, Milano “Negativismo giuridico” QuattroVenti,
Urbino “Guida alla Critica della ragion
pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il
pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come
violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri,
Urbino, Quattroventi “Hermeneutica”
“Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida
alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male
radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su
filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in
“Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia
per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi"
L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero
critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso,
Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino,
Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana Ethos e cultura nella cooperazione di
credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S.
Bernardino”, Quattroventi Bonhoeffer; Morcelliana,
Brescia Frammento su Dio, Brescia,
Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini,
Urbino, Quattroventi Opere scelte. Brescia,
Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic
(Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi
"Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino,
Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino,
Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi,
"Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia,
Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella.
Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu,
Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance
tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G.
Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini,
Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza
-- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura
in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/
dialegesthai/ mpe. M. Petricola, Pensare
Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra.
L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del
diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in
memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale "Don Italo
Mancini" presso il suo paese natale Schieti, su centroitalomancini. 15
gennaio 22 gennaio ). Pagina sul social
network Facebook, su facebook.com.
cronologica, su uniurb. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da lui
su uniurb. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb. Rivista
"Hermeneutica" fondata da Italo Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo
Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso italiano.org. Italo Mancini. Mancini.
Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant” “radical evil” --. “cooperative di
credito” – “la massima della benevolenza conversazionale”, il problema del
vaticano – patti laternai, ventennio fascista e patti laterani --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mancini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mangione: l’implicatura conversazionale d’alcuni aspetti del nazionalismo
culturale nella logica italiana – logica matematica – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bagnara Calabra). Filosofo. Grice: “I like Mangione; for various reasons:
He notes that logic is more related to mathematics – indeed, for logicism
mathematics IS logic – so the opposite to ‘formal’ logic is ‘material’ logic,
not ‘informal’ as Ryle and Strawson want – Mangione has studied ‘categories’
and talks of ‘logica matematica’ – he has studied Frege’s ideografia, as he
aptly translates his grundscrift, and he tried to improve on the ‘nationalism’
which was ubiquitous in logic in Italy in the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano.
Diresse le due collane matematiche della casa editrice Progresso tecnico
editoriale di Milano, appendice della A. Martello editore. Presso l'editore
Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali della scienza contemporanea. “Serie
di logica matematica.” Contribuito alla
Storia della filosofia pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici
contributi sulla storia della logica matematica. Amplia e sistematizza tali
contributi nella Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio
costituisce un ampio ed esaustivo lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti
di ricerca e sui risultati della logica. Dirige la collana Muzzio scienze. Insieme a E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli e P.
Pagli cura Gödel (Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri);
“Giocando con l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano,
Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia:
saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM “Storia della logica”“Da Boole ai nostri giorni”
(Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. E. Regny, «Breve
storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte le opere di
Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF dell'Bari.
6.Peano(4), A.Nagy(5), (1) Delbcedp J , Logiqìie
algorithmique. Revue Philosophique quindi idem. Liège et Bruxelles Liard L.,
Les logiciens anglais contemporains {ISIS). Logique. Masson, Paris.
— Cours de philosophie. Logique CouTURAT L., La logique mathémaiique
de M, Peano, " Revue de Métaphysique et de Morale „, a — La logique
de Leibniz d'après dea documents inédits. Paris, Alcan, 1901. L^
Algebre de la logique. Paris, Gautliiers-Villars, ed. Peano G., Calcolo
geometrico secondo VAusdehnungs- léhre di H, Grassmann, preceduto dalle
operazioni della logica deduttiva, Torino Arithmetices principia, nova
methodo exposita — I principi di geometria logicamente esposti Torino, Bocca. Elementi di calcolo
geometrico Principi di logica matematica. R. d. M., t. I. Formule di logica
matematica. R. d. M., t. I. Sul concetto di numero. R. d. M., t. I.
Sui fondamenti della geometria R. d. M., Saggio di calcolo geometrico Studi di
logica matematica Les définitions matJtématiques Formulaire mathématique.
Nagy a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di matematica. Napoli
Sulla rappresentazione grafica delle quantità logiche. Rend. R. Accademia
dei Lincei. Lo stato attuale ed i progressi della logica. Rivista italiana
di filosofia. C. Burali-Forti, G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa, M.
Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice, Nagy a.,
Principi di logica esposti secondo le dottrine mo- derne. Torino,
Loescher I teoremi funzionali nel calcolo logico, Riv. di Mat., Ueher
Beziehungen zwischen logischen Ordssen. Mo- natshefte fur Mathematik.
Wien, La logica tnatematica e il calcolo logico. Riv. Itai. di Filos.
Roma, I primi dati della logica. Id. Roma, Ueber das Jevons-Cliffordsche
Problem. Monatshefbe far Mathematik. Wien, t. Sulla definizione e il
compito della logica. Roma, Balbi Alcuni teoremi intorno alle funzioni
logiche. Riv. di Mat., BuaAn-FoKTi C, Logica matetnatica. Milano Exercice
de traduction en symholes de Logique Mathématique. Bulletin de Mathématiques
élémentaires Sui simboli di logica matematica. Il Pitagora, Padda A., Note di
logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, Conférences sur la Logique
Mathématique. Université non velie de Bruxelles Essai d'une théorie
algébrique des nombres entiers, précède d'une introduction logique à une
théorie déductive quelconque. Congresso internaz. di filosofia. Parigi,
Vailati G., Un teorema di logica matematica. Riv. di Mat., t. Sul
carattere del contributo apportato dal Leibniz allo sviluppo della logica
formale. Rivista filos. e scienze affini. Maggio-Vacca G. Sui precursori
della logica matematica. Riv. di Mat., Bettazzi, M. Chini, T. Boggio, A.
Ramorino, M. Nassò, ecc. in Italia. Tutti questi ultimi A.
appartengono alla scuola del Peano, al quale si deve la prima
introduzione della Logica matematica in Italia con Peano, esposti lucidamente
gli studi dello Schrodbr, del BooLE, ecc., dimostra l'identità del
calcolo sulle classi, fatto da questi autori, col calcolo sulle
proposizioni di Peirce, del Me Coll, ecc. L'opera de\VS9
{Arithmetices principia contiene per la prima volta la teoria dei numeri
interi completamente ridotta in formòle facendo ricorso ad un
limitatissimo numero di idee logiche che espresse coi simboli: €,
D, = n, u, --, A. Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui
ogni idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento
analitico andò perfezionandosi rapidamente. Formulaire de
Mathémathiques; Introduction^ quindi la pubbli- cazione completata, con
nuove formule ed arriccbita di numerose indicazioni storiche per la
collaborazione di valenti seguaci, procedette alacremente, raccogliendo
e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della
matematica. L'importanza filosofica di questo mo- vimento scientifico non
è ancora stata apprezzata conve- nientemente dai filosofi, e l'opera del
Peano comincia solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli
inse- gnanti di logica pura. Questo ritardo filosofico è
tanto più strano quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa
ideografia. Il Peano stesso non cessò mai di far notare che
essa " è basata su teoremi di Logica, scoperti successivamente
da Leibniz fino ai giorni nostri „. È noto infatti che l'ideografia
completa o pasigrafia fu intravista da Leibniz, col nome di
Characteristica. Ma se, con definizioni opportune, si potè ridurre
le Pastore, Logica formale.
Meriti dell' analitica moderna, Da questo rapido cenno dello
sviluppo storico dei postulati del càlcolo logico e degli autori che più
hanno contribuito al progresso della logica pura e sim- bolica in
largo senso della parola (simboli lette- rali, aritmetici, algebrici,
geometrici, ideografici, ideofisici e via dicendo), e pure in mezzo alle
di- vergenze profonde e attraverso i vari modi onde le forme
logiche si manifestano e a quelli onde vengono interpretate, è possibile
scorgere il filo conduttore. Le dottrine più recenti
sopratutto, parte cri- ticando i metodi e i principi sui quali le
antiche erano costruite, parte proponendo metodi di di- mostrazione
più atti all'indagine logica, parte svolgendo fuori dalla stessa
analitica germi di idee nuove che vi rimanevano prima come oscu-
rati ed occulti, sono come una successione in- calzante di fiotti vitali
che, scaturendo dalle vette del pensiero, sono penetrati
nell'organismo della logica formale alimentandolo e sospingen- idee
di logica che si incontrano in molte parti della ma- tematica ad un
numero sempre più piccolo di idee pri- mitive, attualmente ancora si
desidera una riduzione analoga di tutte le idee di logica che si
incontrano nella logica pura. Questa riduzione presenta
invero seriissime difficoltà, ed e più facile il riconoscere quante e
quali siano le idee primitive in Aritmetica e in Geometria, che in Logica
„ (Peano). In questo saggio, continuando le ricerche
cominciate nel precedente, che mi converrà di supporre conosciuto
al lettore, tento di portare un contributo alla soluzione del problema
suddetto. Corrado Mangione. Mangione. Keyword: “logica matematica”
“divertente”, “Sidney Harris” Peano, “not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si”
“some (at least one)” “all” “the” “il” , Mangione, simbolistica, logica
simbolica, logica formale, logica materiale, semantica, semantica per un
sistema di deduzione naturale, SYMBOLO, whoof and proof, w’f ‘n’ proof. -- -. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e la proclama di
Mangione: logica matematica, la logica matematica deve essere divertente!” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Manfredi: l’implicatura conversazionale del liber de homine – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I
like the “liber de homine.” It reminds me that among my unpublications there’s
a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same particle for ‘why’ and
‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because ‘for’ is usually otiose:
“Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I am hungry.” – Studia a Bologna
e Ferrara. Entra in contatto con circoli umanistici. Insegna a Bologna. Riceveva
un compenso superiore alla media ed è il docente più citato nei Libri
partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato da Pico (“Disputazione contro
l’astrologia divinatrice””). La sua
opera “Il Perché” fu un successo per secoli.
Altre saggi: “Tractato de la pestilentia,” Bologna, Johann Schriber,
“Pro-gnosticon” (Bologna, Bazaliero Bazalieri) “Liber de homine,” Impressum Bononiae, Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Manfredi. Keyword:
divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean death. --. Grice: “The
present budget means that we will have a bad year – Prognosticon. “The present
budget means we’ll have a hard year, but we shan’t have.” – x means that p
entails p. Pico approaches Manfredi, “You said that the budget for 1490 meant
that we would have a hard year, but we
didn’t!” – Girolamo Manfredi. Manfredi. Keywords: liber de homine, la
tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il problema – la questione di
‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda dei bambini – la domanda
di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green all over? No stripes
allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there something rather than
nothing? Why I am me and not you? Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Manfredi: l’implicatura divinatrice” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Manicone: l’implicatura conversazionale della filosofia del gargano – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Vico del Gargano). Filosofo
italiano. Una delle personalità più caratteristiche
del suo tempo della Capitanata. Definito il “monacello rivoluzionario” a causa
della sua bassa statura, che sembrerebbe di 1,40 m, la sua indole illuministica
consiste in una sete di sapere che non si placa con il dogmatismo, ma con
l'esperienza diretta, lo studio approfondito dei fenomeni naturali e della
scienza, un'osservazione empirica che poteva fornire una risposta valida e
concreta alle varie problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere
e sviluppo, alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in
pieno illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza. Lo sviluppo
economico-sociale che teorizza Manicone consiste in uno sviluppo connesso e,
per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che la natura
fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe potuto
segnare la fine dello sviluppo. Manicone può essere considerato un profeta
dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le industrie
erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di prevedere le
conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e scriteriato delle
risorse naturali. Le opere in cui Manicone tratta, tra gli altri, il tema
dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè dell'Apulia) e La
Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della Capitanata). Secondo il
“monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo del suo tempo era la
cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo rigogliosi, come anche
attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes nemus». Riferisce
che il disboscamento del promontorio iniziò nel 1764, con il taglio “barbaro”
dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del Gargano e la cesinazione degli
ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad inizio Ottocento, l'Abate
Longano denunciò la carenza di legna da ardere per gli ischitellani. La
causa di questo disboscamento fu la volontà di destinare i suoli a coltura,
anche quelli non adatti a questo scopo e più utili al pascolo e alla produzione
di legname, vista la “rocciosità” della terra sul promontorio del
Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna selvatica nel
Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i nascondigli per gli
animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne “La Fisica Appula”,
il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità dell'aria) e alle
cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può avere cause
naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche indigeno
(proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il Manicone
le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le condizioni
igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana abitudine di
depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei centro abitato (consuetudine abolita con
l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de
Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio
dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e
assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu
talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del
Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di
temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e
mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile
al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di
riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i
venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle
alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana
da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i
venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre
coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la
consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per l'Europa,
studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze
Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica
Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e
soprattutto del Gargano. Al Manicone è intitolato il Centro Studi e
Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San
Matteo a San Marco in Lamis. Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica
daunica Al tempo di Manicone la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa
lo stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più
ristretta e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i
quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria
delle istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle
acque del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma
inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita
erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi
erano larghi, puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove
era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori
vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia
Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno
riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro
bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò
li porta a risse feroci. Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre
gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei
paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il
lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento
denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere
anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro,
dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in tutte le abitazioni
vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici
e inquinare l'aria interna. A Vico
molti boschi furono tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu
improduttivo economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non
più trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi
distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le
olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una
maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni
successivi. Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare
anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di
valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta
acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni. Al
fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali
necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso
delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza)
di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato
l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede
ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata
fu annullata dalla Regia Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle
opere di Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a
disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva
e produceva nell'ottica del profitto immediato, sottovalutando gli effetti che
avrebbero potuto causare i suoi comportamenti errati nella vita della futura
comunità. Opere di Michelangelo Manicone contesto – il contesto del
contesto. "Philosophers often say that context is very
important." "Let
us take this remark seriously.’ "Surely, if we do, we shall want to consider this remark in
its relation to this or that problem, i. e., in context, but also in
itself, i. e., out of context.” H. P. Grice, "The general theory of context."
Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la filosofia del gargano. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Manilio: il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Astronmer and
poet. He wrote a long poem on astronomical matters, part of which survives. He
took and extreme position on the subject of fate, believing that not even
thoughts were exempt from its influence. Marco Manilio.
Grice e
Mannelli: l’implicatura conversazionale degl’eroi di Virgilio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Grimaldi). Filosofo italiano. Grice: “Like me, Mannelli loved Kant,
Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own ‘palazzo’!” -- Fequenta il
ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia prima ad Aosta, dove terminò
gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre più al mondo politico e
dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritorna a Cosenza e venne eletto Consigliere Provinciale. Proprio in qualità di membro del consiglio provinciale,
si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere l'ampliamento della
Biblioteca Provinciale di Cosenza Si
dedicò in tempi e con modi diversi all'attività di approfondimento e
divulgazione. Firmò una versione metrica della Xenia di Goethe (Roma,
Paravia. Fu tra i maggiori contributori
della più importante rivista di arti e lettere della regione, la Calabria Letteraria.
Presidente dell'Accademia Cosentina, l'istituzione accademica calabrese che
vanta un'esistenza plurisecolare e che nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio. Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti
grimaldesi: scultura di Cambellotti, Reggio Calabria, Editore Il Giornale di
Calabria, Paravia, Le storiche Terme Luigiane: passato-presente-futuro,
Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia Cosentina nella sua storia secolare e
nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo Serafino. Biografia in
Calabriaonline.com M. Chiodo,
L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura in Calabria. Xenia Edizione Paravia. nna Vincenza Aversa,
Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini, Catanzaro, Accademia Cosentina Biblioteca Civica di
Cosenza Goethe Poesia "Mamma"
da "Come le nuvole” su Grimaldi Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero.
Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di
Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mantovani: l’implicatura conversazionale dei curiazi – percorsi di
comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Moncalieri).
Filosofo italiano. Insegna a Roma. Membro della Società Tommaso D’Aquino. Gli
ambiti delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia, l'Ontologia,
la Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha compiuto studi sulla
storia del tomismo (cf. griceianismo). È uno dei maggiori studiosi e
conoscitori del realismo dinamico e di Demaria. Opere: “Fede e ragione: opposizione,
composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma, LAS, “Quale
globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della mondialità,” Scaria
Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e
misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto filosofico sulla
storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,” “An Deus sit (Summa Theologiae). Fede, cultura
e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle scienze: temi,
esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana, “La discussione
sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi: prospettive per
un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero realistico
dinamico Demaria. Roma, LAS,,”Momenti
del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio,
scientia): Roma, Nuova cultura, “Per una
finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una
ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per
abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma
Incisa Valdarno, Città Nuova Istituto
universitario Sophia, Lorenzo Cretti, La
quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione
Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul
matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical
University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università
Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità
accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don
Bosco» La Stampa, su lastampa, CRUIPRO Conferenza
Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su cruipro.net. redazione, Nuovi accordi di co-operazione
interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su
cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. PREMI MEDITERRANEO, su Fondazione
mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è
più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords:
i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mantovani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marassi: l’implicatura conversazionale degl’eroi di Vico – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Cardano al Campo). Filosofo italiano. Grice:
“I like Marassi; he has written a ‘natural’ history of ‘man’ – which is
interesting, ‘progetto uomo,’ he calls it!” -- Grice: “I like Marassi; he has
explored hermeneutics in the German tradition, Schleimacher to be more
specific; but has also written an essay on Heidegger; his links with me come
with his idea of metaphysics and transcendental arguments which he takes from
Kant, who he reads in both German and Italian, unlike I, or me.” – Grice: “He
has written an introduction to a comparative study of the approaches to ‘the
antique’ in both Italian and German philosophy – a fascinating topic. I suppose
the Oxonian approach, indeed Cliftonian, is a mixture of both!” Allievo di Melchiorre,
si laurea a Milano con la tesi “La differenza
ontologica in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione
di Bontadini. Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno
della pluralità” con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha
coordinato l'edizione dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano). Direttore del Dipartimento di Filosofia a
Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la
collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della
Filosofia. Si occupa di storia
dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della scolastica, di ermeneutica (Grassi),
di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno. I temi della sua ricerca
ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli
storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo
italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione storica e
morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi: “Ermeneutica
della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher, “Ermeneutica,”
Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,” Bompiani,
Milano, Metafisica e metodo trascendentale,”
Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano; “Metamorfosi della storia. Momus e Alberti,” Mimesis,
Milano/ Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano. docenti.unicatt. Marassi. Massimo Marassi. Marassi. Keywords:
gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni, Vico, metamorfosi della storia – Alberti,
Momus, il concetto d’eroe in Vico, l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo
eroico, la nudita eroica – la nudita eroica nella representazione
degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio Cesare, la nudita eroica
dell’atleta – la postura eroica dell’eroe in nudita eroica – napoleone in
nudita eroica – Mussolini in nudita eroica, la statua equestre di Mussolini, la
nudita eroica del stadio dei marmori, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Marassi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Marcello: la filosofia sotto
Giulio Cesare – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. He was a pupil of Cratippo. He had a career in
public life and was one of those who opposed to Giulio Cesare. Cesare pardoned
him but he was murdered. Marco Claudio Marcello.
Grice e Marcello: il principe filosofo –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. He was the nephew of Ottaviano, and until his death, his
chosen heir. He was a pupil of Nestore. Marco Claudio Marcello.
Grice e Marcello: del sillogismo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Wrote about logic, including a book on syllogisms. Tullio Marcello.
Grice e
Marchesini: l’implicatura conversazionale dell’educazione del soldato –
l’implicatura del capitano – e l’amore sessuale – la società eugenica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa
Vicentina). Filosofo italiano. Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by
Marchesini which are revolutionary!” Esponente del positivismo. Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova.
Direttore della Rivista di Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle
scienze pedagogiche, edito dalla Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse,
inoltre, un testo di Locke Pensieri, edito da Sansoni. Opere: “La vita,” –
Grie: “Sounds promising: a treatise on life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana,
Tip. di A. Spighi, “Saggio sulla naturale unità del pensiero,” Firenze,
Sansoni, “Elementi di Psicologia tratti dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze,
Sansoni, “ Elementi di logica” -- secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain
ecc., prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni,” Grice: “A fascinating little
book: it reminded me of Strawson’s Introduction to Logical Theory! Only
Strawson would rather die than axe me to foreword it!” –[ whereas Marchesini
commissioned his tutor to drop a word “or two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t
be so reverential towards Ardigo.” Grice: “I count Marchesini’s oeuvre as being
by Marchesini; if I want to read Ardigo, I read Ardigo!” – “Elementi di morale,
ad uso anche dei licei, secondo le opere degli scienziati moderni, prefazione
di Ardigò, Firenze, Sansoni, “Il positivismo e il problema filosofico, Torino,
F.lli Bocca, “Le amicizie di collegio” – Grice: “I should note that Marchesini
uses ‘amecizia’ in quotes! So it doesn’t really apply to my Clifton days!” -- (con prefazione di E. Morselli e in
collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Dante Alighieri ", “Elementi
di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri
e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R.
Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo,
R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Fratelli
Bocca Editori, “ Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità
e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il
principio della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona,
Fratelli Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This
makes me laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was
nonsense!” -- Firenze, Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche,
Roma, Athenaeum, “La dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione
morale, Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,”
Torino, Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R. Bemporad
e Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,” Torino,
Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,” Firenze,
Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze: per i licei
scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze pedagogiche: opera
di consultazione pratica con un indice sistematico, direttore Marchesini,
collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit.
Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima ristampa: Firenze,
Sansoni, 1968. Mariantonella, Marchesini
e la «Rivista di filosofia e scienze affini». La crisi del positivismo
italiano, Collana di filosofia, Franco Angeli, Treccani L'Enciclopedia
Italiana. A proposito dei sofismi di parole ricorderemo ancora quel
capitano che avendo conchiuso col nemico
una tregua di dieci giorni, si credette lecito attaccarlo di notte. E
ricorderemo i seguenti sofismi di Eutidemo: Qualcuno che si trova
in Sicilia e vede in questo momento, col pensiero, il porto
d’Atene, vede egli le due triremi che vi si trovano? E se non vede
le dne triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? Quelli che
imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli igno- ranti che
imparano, devono apprendere ciò che non sanno; ma come si può imparare
quando non si sa neppure ciò che si devo imparare? E se Clinia risponde
che sono i sapienti che imparano, la difficoltà resta la medesima: come
possono i sapienti imparare dal momento che sanno? — Chi Ba qualche cosa
possiede il sa- pere, eli’ 6 tutto: dunque chi sa qualche cosa sa
tutto. Origine ed evoluzione del linguaggio. La questione del linguaggio è
ancora un po’ oscura, ma fra le ipotesi cbe su tale questione si proposero,
si può stabilire quale è la più legittima. Si esclude innanzi tutto l
ipotesi che il linguaggio sia stato inventato da un uomo più
intelligente, e adottato dagli altri in virtù d’nna convenzione -- ipotesi
attribuita a Democrito. Si esclude altresi che il linguaggio sia
stato l’opera di una rivelazione, o di un miracolo. Due filologi
contemporanei, Renan e Muller, attribuirono l’origine del linguaggio a una
specie d’istinto. Nell’umanità primitiva ogni idea avrebbe suggerito
per sé stessa una parola, e la medesima parola a tutti gli spiriti. Questo
istinto, col tempo, si sarebbe atrofizzato. A proposito di questa ipotesi
si osserva ch’essa non spiega nulla, essendo questo istinto per sé
medesimo inesplicabile, ed esscudo esso stesso, per cosi dire, un miracolo. È
strano infatti che quei 400 o 500 tipi fonetici, a cui il Muller
riduce le parole delle varie lingue, aspettino, a manifestarsi, le idee
rispettive. Il linguaggio, dice Humboldt, è il prodotto necessario dello
svolgimento dello spirito umano. E sta bene. Ma questo svolgimento
non è spiegato dall’istinto di Réuan o Muller, mentre importa appunto
stabilire come il linguaggio si produca. Whitney, nella “Vita
del linguaggio”, dice che l’origine del linguaggio è dovuta al
concorso di tre cause, che s’ incontrano nella specie umana: 1° la
facoltà di emettere un’infinità di suoni e di riprodurli a volontà; 2°: il
desiderio, determinato da un bisogno di socialità superiore, di
comunicare le idee per mezzo di segni; 3: la facoltà di generalizzare, di
giudicare, di concepire dei concetti e di percepirne i rapporti. E queste sono
infatti le condizioni del sorgere e svilupparsi del linguaggio, ma come
effettivamente il linguaggio sia sorto e si sia sviluppato, Whitney non
dicono. Si paragonò l’origine del linguaggio nelle razze all’origine del
linguaggio nel bambino. Il bambino, per attività puramente riflessa, emette un
grido che manifesta in lui un dolore, un bisogno. Al grido accorre la
nutrice, e accorre ogni volta che il grido si ripete. Cosi, si va fissando
un’ associazione mentale tral’atto dell’ emettere il grido e il successivo
accorrere della nutrice, onde, a chiamar questa, finuli j^ uXr ri-
peterà, ma coscientemente, intenzionalmente, il'^-WyoHl il grido assume
un significato. Più tardi, altri suoni esprimeranno il pensiero del
bambino, come quando il bambino indica gl’oggetti imitandone in qualche
modo l’impressione sensibile che ne riceve. Dice ad esempio “Jcolcò”
per indicare il pollo; “mìàou” per indicare il gatto. Il bambino produce un
dato sensibile, nel nostro caso uditivo, a cui si associeranno altri dati
sensibili, come quelli visivi. Da prima il bambino designa con questo
suono non soltanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche altri oggetti
consimili, che hanno in comune, oltre a quelle, altre qualità sensibili. Con
lo stesso suono e ad esempio dal bambino indicato, da prima, ogni
uccello. Le distinzioni di linguaggio verranno piti tardi, mano mano
che si distingueranno e aumenteranno nel bambino le percezioni. Questa è,
a larghi tratti, la formazione e lo svolgimento del linguaggio, nel bambino, a
cui contibuiscono in modo particolare gli ammaestramenti speciali che il
bambino riceve da chi gli apprende la lingua. Si puo inferirne che
l’origine e lo sviluppo del linguaggio d’una razza, avviene come nel
bambino. Con tale inferenza si dimenticherebbe un fatto importantissimo, ch’è
fondamento d’una netta distinzione. Il fatto che il fanciullo nascendo porta
anche per il linguaggio delle disposizioni funzionali organiche-psichiche,
diverse da quelle che potevano avere gl’uomini primitive. Il paragone
adunque, e l’ inferenza, non reggono. L’ipotesi piu accreditata intorno
all’origine del linguaggio è quella di Darwin, illustrata particolarmente
da Spencer, per cui il linguaggio è opera dell’evoluzione, come ogni altro
fatto naturale ed umano. Originariamente gl’uomini si servivano di un
gesto, indicativo o imitative. Poi, provveduti, per evoluzione organica,
di organi capaci di mandar suoni articolati, accompagnarono questi al
gesto, ed espressero cosi le proprie sensazioni e i propri bisogni, e
designarono gl’oggetti. Tale espressione e tale designazione avevano da
prima carattere essenzialmente imitativo, conservatosi, quanto al suono
articolato, nell 'onomatopeici, ed erano piuttosto istintive. In progresso di
tempo, i movimenti del gesto e dell’ articolazione si utilizzarono più
largamente, e venne cosi a sostituirsi al linguaggio naturale un linguaggio
convenzionale. Cominciato per evoluzione, il linguaggio di un Popolo, come
quello dell’individuo, continuò a svolgersi pure per legge evolutiva,
mediante i rapporti sempre più ampi e riflessi che si stabilirono
successivamente tra i segni e la cosa significata. Si ebbero cosi
nel linguaggio la forma mimica, l’ideografica, e la fonetica, e la parola
divenne per ultimo il linguaggio per eccellenza. Presso certe tribù selvage,
la parola non può comprendersi senza il gesto. Anche presso gli antichi, la
mimica aveva la massima importanza, come presso i sordo-muti, che devouo
esprimere il pensiero col gesto proprio, naturale e artificiale. La
l'orma ideografica, che troviamo presso gl’egiziani, i chinesi e
altri popoli, è un disegno abbreviato e più o meno convenzionale,
in cui ogni carattere esprime direttamente un'idea. I popoli ocei- [Innumerevoli
sono le forme che la parola assunse presso i vari popoli o razze, poiché
ogni popolo o razza ha la sua lingua. Tuttavia si riuscì a
ricondurre tutte le lingue a un piccolo numero di tipi, che sembrano
corrispondere agli stadi successivi dell evoluzione della parola. 1° Tipo:
Lingue monosillabiche (es. la chinese). Sono composte di sillabe che
costituiscono ciascuna una parola rappresentante un’idea astratta e
generale. Secondo l’ordine nel quale i monosillabi si dispongono, si
esprimono le diverse combinazioni e modificazioni delle idee. 2°
Tipo: lingue agglutinanti o poli-sintetiche (es. le lingue delle tribù
americane). Sono composte di radici di cui le une esprimono le idee più
importanti, le altre le idee accessorie: messe insieme, cosi
dal costituire spesso una parola straordinariamente lunga e complessa,
esprimono sia le modificazioni d’un idea principale, sia una combinazione
più o meno complessa di idee principali e accessorie. 3° Tipo: lingue a
flessione: (es. le lingue semitiche, e indo-europee). Sono composte di
parole ciascuna delle quali esprime un’idea principale modificata da
una accessoria. Le diverse modificazioni dell’idea principale si esprimono per
il modificarsi, per l’inflettersi, della terminazione delle parole stesse]
dentali non se ne servono più se non per certi usi (cifre, segni algebrici
eoe.). Usano invece della scrittura fonetico, in cui ciascun carattere è
il seguo non d'nu idea uia di un suono. Di questi tre tipi, il secondo
sarebbe derivato dal primo, per l’addizione delle radici accessorie alle
radici principali; e le lingue a flessione sarebbero derivate da lingue
agglutinanti piu antiche, per la fusione delle radici accessorie con le radici
principali. Con le parole non comunichiamo soltanto delle idee, ma anche
delle credenze, dei fatti. E poiché le nostre credenze, le nostre
rappresentazioni dei fatti, e la interpretazione di questi, mutano,
mutano anche i significati delle parole. Una mutazione che si può
ritenere primitiva, quanto è costante, l' abbiamo nella trasformazione del
senso di una parola, da proprio a traslato -- ciò avviene per
quella certa somiglianza che si riconosce tra il significato proprio (Sidonio:
EX-PLICATVRA), o etimologico, e quello traslato (IM-PLICATVRA). Una casa
grande e sontuosa oggi si chiama impropriamente “pallazzo,” parola che indica
prima costruzione dei Romani più antichi, eretta in onore della dea “Pale,”
nel monte Palatino. La parola “palazzo” sopravvive, ma con significato
diverso dal primitivo. “Pagano” significa propriamente l’abitante
del “pagus”. Poi, significò l’idolatra, l’adoratore di una divinità esoterica,
perché a Roma, mentre gl’abitanti delle città erano i primi a render
colto a Marte, gl’abitanti non-romani della campagna sono gl’ultimi. “Villano”
si dice propriamente chi e soggetto a minori oneri, ed e, per
conseguenza, oggetto di disprezzo da parte dell’ aristocrazia militare. Al
villano si attribusce, con qualche esagerazione, i vizi e delitti. Per
implicatura, ‘villano’ divenne perciò una qualifica ingiuriosa. Il significato
adunque di questi tre termini -- palazzo, pagano, villano -- si trasforma
generalizzandosi, come si trasformarono generalizzandosi., per citare ancora
due esempi, il termine “sale,” che propriamente designa il cloruro di sodio, e
il termine “olio” che propriamente indica soltanto l’olio d’oliva. Nella
trasformazione della parola si ha pure un processo inverso, di
specializzazione. Cosi il termine “vitriolo,” da “vitruni,” propriamente
significa ogni corpo cristallino, poi si attribui a una specie
particolare. Il termine “oppio” (da ònòg succo) propriamente vuole dire
un i succo qualunque, ora indica per implicatura soltanto il succo del
pa- J pavero. E il termine “fecula” (da foex, feccia) proprio a
significare ogni materia che si depositi spontaneamente in un liquido,
poi lo si applica per implicatura al1’ amido che si deposita quando si agita,
nell’acqua, della farina di frumento. E il significato di “fecula” si
specifica per implicatura poi ancor più, venendo a indicare un principio
vegetale particolare che, come l’amido, è insolubile nell’acqua fredda,
ma è completamente solubile nell’acqua bollente, con la quale forma
una soluzione gelatinosa. Il cocchiere chiamai suoi cavalli “le mie
bestie”. Un cacciatore può intendere per “uuccelli” le pernici. V’ è
adunque nel significato di una parola una transizione, della quale, nel suo
uso, devesi tener conto. Si consideri, ad esempio, il vario significato
della parola “lettera” (propriamente, lettera dell’alfabeto, per implicatura: lettera
missiva, letteratura) e della parola “gusto” (sentimento estetico, e
facoltà di distinguere il bello). E quanto alla *metafora*, si consideri, ad
esempio, il significato che la parola “luce” acquista quando si applica
all’istruzione, e la parola “fuoco” applicata alla collera e allo zelo. E
si considerino le parole “nascere” e “morire”, che si usano in un senso
molto piu largo che non sia quello propriamente e strettamente
biologico. A tale varietà di significato in una medesima parola,
contribuiscono anche la *metonimia* (es. “corona” per re- (/no), i
suffissi (es. pre-giudizio, di-fetto, il-limitato), le perifrasi (es. padre
della storia), la composizione (es. strada-ferrata, acquavite
ecc.). Vediamo adunque come, o per circostanze accidentali, o per bisogni
veri, si trasformi il significato di una parola, cosicché non sarebbe né
possibile né utile restar fedeli al significato proprio primitivo. E ciò
dicasi sia del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta col
progredire e con lo trasformarsi di questa, sia del linguaggio
familiare. Non possiamo pertanto accontentarci del dizionario, dove il
senso di una parola è spesso piuttosto indicato che non esattamente precisato.
La precisione del significato deriva dall’uso, nel quale pertanto
trovasi il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola guida il
dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e differenze, e anche semplici
sfumature di significato, di cui il dizionario non tiene conto. Come avvertiamo
facilmente in chi parla una lingua di cui non ha il più sicuro e largo
possesso. Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del soldato” --. Marchesini.
Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano Ercole Meoli, la Societa di
Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana diGeneica ed Eugenica – il
simbolismo – la dottrina del simbolismo – I simbolisti – I filosofi simbolisti
– I artisti simbolisti – Welby, Ogden, Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il
cammino del cavaliere, codigo cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano
– tutii questi appartneno all’altro Marchesini – questo Marchesini e
tradizionale --. Resf.: Luigi Speranza,
“Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchesini: l’implicatura conversazionale -- postumanar, trasumanar –
sovrumanar – età degl’uomini – vico -- umanar – equites romani -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Grice:
“I don’t think Marchesini has a philosophical background, but he fascinates me!
I especially liked his idea about ‘virility’ and the idea of a knightly code –
‘codice cavalleresco’ – The other field that fascinates me is his research on
‘inter-subjectivity’ in the living form – which he now extends to plants –
‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as an object – and the philosophical
keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini aptly uses.” Cardine della sua
proposta filosoficariconducibile, seppur con caratteristiche proprie, alla più
ampia corrente del Post-humanè lo smascheramento di quell'errore prospettico
che pone l'uomo al centro e a misura dei suoi predicati. «Comincerò il
mio viaggio dal prato più bello, quello che l'aria non abbandona un istante, il
sole vi si intrappola da splendere pur di notte ed i profumi vergini coesistono
con quelli gravidi. È qui che il dio Pan cadde la notte dei tempi, da qui
iniziò il suo girovagare incerto, all'unico desiderio d'amare» (R.
Marchesini, Il dio Pan). Da sempre affascinato dalla natura e, in particolare,
dal regno animale, consegue la laurea a Bologna. Parallelamente agli anni di
formazione universitaria, spinto da un forte interesse verso il comportamento
animale, stringe una feconda collaborazione e amicizia con l'etologo Giorgio
Celli, con il quale inizia a indagare le interazioni sociali degli imenotteri.
Per cinque anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio della
macrofotografia, è in grado di immortalare quegli attimi di vita animale
altrimenti nvisibili all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di
accoppiamento e di trofallassi tra gli insetti che diventeranno il viatico per
tutta la sua ricerca futura. Nei suoi studi di entomologia approfondisce
l'analisi dei sistemi feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e
della successiva ricerca sul comportamento e sul benessere animale. Nella
seconda metà degli anni ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza,
dell'Università degli Studi di Milano, studia i metodi di allevamento, i
parametri di benessere nelle aziende zootecniche, i fattori di incidenza del
rischio in zootecnia, le modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando
alcuni lavori sulla medicina veterinaria delle assicurazioni. Inizia così
la sua collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale,
tenendo corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla
metà degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di
Scienze Comportamentali Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la
propria attenzione sul comportamento degli animali domestici, sugli stili di
relazione interspecifica, sui problemi e sulle patologie comportamentali.
Osservando sul campo le espressioni comportamentali e i processi di
apprendimento degli animali, inizia a considerare anacronistici e
contraddittori i modelli esplicativi tradizionali. In sintesi, quello che
Marchesini propone nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei
tre modelli interpretativi al comportamento animalequello behaviorista, quello
etologico classico e quello antropomorficoin virtù di un modello mentalistico
unitario (un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che
valga sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva
espressione e apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici
o composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e
relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione
di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime e Modelli
cognit ivi e comportamento animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca
della mente animale. Gli assunti di base della proposta di Marchesini sono i
seguenti: il soggetto è immerso in un campo di possibilità filogenetiche
che definiscono il tipo di intelligenza propensionale o specie-specificada cui
l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma
non commensurabili; il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si
realizza grazie alle dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive, possono
essere organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto
dimensionale o direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione
del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di
una condizione problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso
ricette solutive fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del
concetto di rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale,
come possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte
quelle istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua
relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta
si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di
sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.
In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente
a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo
animale evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai
sedimentati repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi
cardine nell'attività di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è
in grado di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale)
è da ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che
la relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto
nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse
una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è
nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio
interlocutore che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso
formativo. L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta
Marchesini alla stesura del volume Natura e pedagogia, inizialmente nato per
divenire la sua tesi di laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli
studi umanistici. Le attività con i bambini lo conducono in tutta Italia
portando in evidenza due aspetti: il divorzio che si è andato realizzando
tra l'uomo e le altre specie nella cultura contemporanea, con bambini che non
sono in grado di relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le
specie domestiche; la svalutazione degli animali e l'incapacità della società
contemporanea di avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le
altre specie per lo sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione
operata dalla società contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di
convivenza e di ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura
rurale. Nasce così il Concetto di soglia (che esprime il bisogno di uscire
dalla dicotomia novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione
dell'eterospecifico. Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di
città, critico verso l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre
il Muro, critico verso la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono
gli anni in cui riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale
fondando, insieme a colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina
Golfetto, la casa editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove
ospitare riflessioni e dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui
abbraccia, senza più abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Battaglia
e a Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana
Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel
sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella
direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo. Nel
maggio esce per le Edizioni Sonda Contro
i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio
affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le
incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che
pretende di sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice
umanistica. Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e
Fadini. Porta la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno
della quale compie una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto alle
antropologhe Eleonora Fiorani e Sabrina Tonutti, sia a livello applicativo con
la delineazione di protocolli operativi nelle aree educative e
assistenziali. Per ciò che concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi
di fondo proposta da Marchesini, e riconducibile alla sua teoria della
zootropia, è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto solo da
produttori di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma altresì da
alterità referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il
concetto di "referenza animale", inteso come contributo di
cambiamento offerto all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli
uccelli non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare
questa attività -- ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare.
Per Marchesini i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la
tecnicavanno considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro
relazionale con le altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per
Marchesini rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma
di una vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano
dal suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove
possibilità esistenziali. Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata,
opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli
animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i
"protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto
delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine
relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio
dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale
ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i
suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività
specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare
secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale
on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere dell'animale
coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio scaturisce. Pubblica
“Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività animale” con il
quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere dell’intersoggettività
animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto” da un essere “vivente.”
Rilegge l'ontologia animale in termini di "desiderio". “Essere
animale” (essere vivente) significa prima di tutto "essere
desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che rende due animali
protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il corso della
filogenesi di specie. L'etologia filosofica diviene ben presto un campo
di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i contorni di ciò
che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca filosofica che va a
innestarsi nella costellazione di studi definita come post-human. È di
questo period della ri-definizione dell'umano quale entità ibrida,
puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del mondo ma nemmeno
misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per Marchesini le
giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in quanto il
concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato molto più
vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e macchiniche.
Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova estetica basata
sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In tale luce il
Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il quale gli
artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura ibrida di
ogni processo creativo. All'interno di tale campo d'indagine pubblica
Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi disciplinari e
rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso l'arte, ha
contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed editor della
casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di Marchesini
decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne dal titolo
La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le precedenti
esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo
corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha
suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a
divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i
rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica.
Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo
scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse
prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli
saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la
pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive
la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto
di Haraway. Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come
rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in
modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo
interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come
una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un
volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera.
Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra
essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico
della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e
plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni
scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di
imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che
definiamo umano. Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” –
Grice) così minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo
anche da un punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la
raccolta di racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle
osservazioni compiute tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al
dio agreste della mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da
un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e
dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che
l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte
crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la
preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito
positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto
contatto con il Roversi, altra figura che influenzerà profondamente la sua
attività futura portandola a spingersi in plurimi territori e a cavallo di
numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia, passando per la
filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo da Lauril e la raccolta di racconti Specchio animale che
ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di Uscendo da Lauril in
particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul piano narrativo le
evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica cyber-punk. In entrambi i
lavori è possibile ritrovare quegli elementi che contraddistinguono la speculazione
filosoficai: la dialettica tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito
della purezza originaria e di ogni forma di antropocentrismo. Esce per la
casa editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia volta a raccogliere la
storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che
ne hanno scandito le tappe fondamentali. -- è invece la volta de La filosofia del
giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è
composto di due parti, nella prima il lettore è condotto dalle parole a
passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con stupore e riverenza.
Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del mondo a far continuare la
riflessioni sulla cura, portate avanti da Marchesini. Roberto
Marchesini nel Centro Studi di Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto
Marchesini tiene regolarmente conferenze in diversi paesi del mondo tra i
quali: Stati Uniti, dove dal tiene
annualmente una lecture presso l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India,
Australia, Francia, dove è stato ospite della Sorbona, Spagna,
Portogallo. Cura la rubrica etologia a cadenza settimanale "Gli
animali che dunque siamo" per Il Corriere della Sera. “Intelligenza
emotiva versus intelligenza cognitive” in Pluriverso, 3, La Nuova Italia, La via vegetariana per un mondo migliore,
Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO% 20ANIMAL
%20 STUDIES %201- novalogos// drive/File/
animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica,
diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco
Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma,
Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle
chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri, Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni
Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e
biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron,
Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa,
“Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento
animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i
diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista,
Alessandria, Edizioni Sonda, Vivere con
il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De
Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica,
Roma, Anicia, Etologia cognitiva. Alla
ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni
di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse
abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron, Zooantropologia. Animali e umani: analisi di
un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana,
Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo
animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia
applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi, Il codice degli animali magici, Firenze, De
Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra
specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità,
Bologna, Apeiron, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron, Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman.
Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del
corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus, Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in
Millepiani, M., Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista, Bari, Dedalo,
M., Filosofia postumanista e antispecismo, in Liberazioni. Rivista di critica
antispecista, L. Caffo, M., Così parlò il postumano, a cura di. Adorni,
Aprilia, Novalogos, M., Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano,
Mimesis, M. Ibridazioni e processi
evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della
tecnica, Milano, Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione, Modena, Mucchi, Tecno-sfera. Proiezioni per
un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere come
relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris, Poetiche postumaniste in Polimorfismo,
multimodalità, neobarocco, Dusi e Saba, Silvana Editore,, M. , "Ontani. Argonauta
dell'ibridazione", in Ontani incontra Morandi. Casamondo, Montanari, Il Dio Pan. Racconti lirici, Firenze, Firenze
Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril, Roma, Theoria, Specchio
animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi di animali, Milano,
Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani, Alessandria,
Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe edizioni.
Blog ufficiale, su marchesini etologia. vegetti
della letteratura fantastica, Fantas cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola
di Inter-azione Uomo-Animale). Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice:
“There are two Robeto Marchesini – but only one is a philosopher. The other
writes on ‘il cammino del cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the
equites romani, but he is not recognized as a philosopher!” -- Roberto
Marchesini. Marchesini. Keywords: terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Marchesini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchetti: l’implicatura conversazionale della natura delle cose – filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Empoli). Filosofo italiano. Grice: “I love Marchetti; for once, he
had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned ones! The Italians used
to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not easy matter (to
translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially since
Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational desideratu of
conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because he axiomatised
Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo n come iViviani.
Collabora con Papa. Scrisse rime morali
ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la traduzione “Della natura delle
cose” di Lucrezio. Considerata come un manifesto di razionalismo, “La natura dellle cose” influì
notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza dello
stile. La diffusione di idee
materialiste attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella
poesia, non riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate
soprattutto da Vanni. Per altre sue opere di successo fu attaccato dagli
oppositori di Galileo. Membro dell’ Accademia dei Disuniti, Accademia
dell'Arcadia, Accademia dei Fisio-critici, Accademia dei Risvegliati, Accademia
della Crusca e Accademia Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze,
typis Vincentij Vangelisti e Petri Matini (Grice: “Opera abbastanza interessante, basata sulla teoria
galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’
-- rigorosa. Tratta in larga parte il problema dei solidi di uniforme resistenza,
precedendo di mezzo secolo l'importante trattato di Grandi), “Exercitationes
mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della natura delle comete,” “Lettera scritta
all'illustriss. sig. Francesco Redi,” Firenze, alla Condotta, “Saggio delle
rime eroiche morali e sacre,” dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe
di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,” radotto in rime toscane, e da lui
dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana, In Lucca, per L.
Venturini. “Della natura delle cose libri sei” (per Giovanni Pickard) Vita e poesie
da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere F. Feroni
marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca (Venezia,
aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta dal figlio Francesco). G. Costa,
Epicureismo e pederastia: il Lucrezio e
l'Anacreonte secondo il Sant'Uffizio, Firenze, Olschki, Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mario Saccenti, “Lucrezio in Toscana: Studio
su Marchetti” (Firenze, Olschki); De
rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca. Alessandro
Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura, lucrezio, della natura delle cose,
pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di Lucrezio, l’essameri di Lucrezi,
il poema filosofico latino, il genero filosofico nella poesia latina. Lucrezio,
alma figlia di giove, inclita madre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchetti”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchi: l’implicatura conversazionale della missione di Roma – la religione
civile di Mussolini -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Potenza).
Filosofo italiano. Grice: “Marchi displays a few features hardly found at
Oxford: He edited a magazine, “filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley
wanting to edit “Hegeliana” at Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and
an Occam Society! The other trait is illustrated by his manifesto, “La missione
di Roma,” – Churchill would have equaled with something Anglian!” Generale di
corpo d’armata italiano, Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione
Nazionale. Insegna a Roma. Cura la pubblicazione di diverse riviste in cui si
confrontarono alcuni studiosi del primo Novecento italiano come Varisco. Tra
queste Dio e Popolo e “L'idealismo realistico.” Dio e Popolo, rivista di
ispirazione mazziniana, accoglie scritti miranti alla ricostruzione della filosofia
religiosa di Mazzini e i rapporti tra religione e stato; nega l'ateismo e
persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo realistico” raccoglie teorie
filosofiche di stampo anti-gentiliano. A
lui è dedicato il Premio tesi di Laurea “Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre
per i neolaureati che abbiano sostenuto tesi su un argomento concernente il
pensiero filosofico antico degne di essere pubblicate; e un parco al Municipio IV.
Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini, in Dio e Popolo, “La missione di
Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo della ‘storia della filosofia,’ –
Grice: “His apt implicature is that if
you are an idealist, don’t shed your idealism when discussing J. J. C. Smart!”
-- Filosofia e religione, La perseveranza Ed., Potenza, La filosofia morale e giuridica di Gentile,
Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione tra la filosofia teoretica
e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly assert that it’s the same
thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’ sounds obscene’” -- in L'idealismo realistico, Roma, “Le prove
dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico, Roma, Gli è stato dedicato un
parco a Roma. Gramsci (Buttigiec), Turris, Fenomenologia dell'individuo
assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee. //uniroma3/ news.php? news=603. Vittore
Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi. Keywords: la missione di Roma, Mazzini,
filosofia mazziniana, rivista di filosofia mazziniana, gentile. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchi: l’implicatura conversazionale dell’anima del corpo – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Grice: “His ‘poesia del desiderio’ is
confusing – he means tenderness, as Scruton does in his book on “Sexual
arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative piece is “L’anima DEL
corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can very well imagine
Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta di formazione
reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi perché a scopo provocatorio,
si define Solista ed ama stare «fuori dall'Accademia». Psicologo
clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi, è stato protagonista
di varie battaglie per i diritti civili e sessuali, riuscendo con una sentenza
della Corte Suprema sulla “Vertenza tra il Presidente del Consiglio dei
Ministri, On. Emilio Colombo, e Marchi”,
ad ottenere la revoca dei divieti penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale
e ad avviare la realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici
e familiari pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in qualità di Segretario.
Ha dato per oltre quarant'anni un contributo determinante non solo alla
segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita
“la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi,
disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi
energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che
hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa tragedia
planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi interpretati da noti attori (Paola
Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici
associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per
indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da
varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre
importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich,
quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. Marchi matura un
diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e
Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della
coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche
umane) e propone una teoria della
cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura
Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”,
Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma
l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro.
Pioniere della ricerca psico-sociale, è
stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi
contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un
metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che propone una “lettura” psicologica di tali
fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista
finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche
tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale".
Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini
scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E
per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave
d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra
Russell ed Allen”. Attivista per il riconoscimento dei diritti alla
contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha
fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto
in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica. Ha costantemente sostenuto l'importanza del
problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici,
sociali e psicologici ad essa connessi. Pur essendo favorevole alla
chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle
famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti
in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in
cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento"
della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e
l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma
strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».
Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica
bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi
che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la
procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le
rendite, la libertà e l'autoritarismo. È stato autore della "Teoria
liberale della lotta di classe", nel volume O noi o loro!. Istituto di
Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è
mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla
fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del
‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia
umanistico-esistenziale in particolare Carl Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss,
Jaspers, Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita,
che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.
Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia
esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì
lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi
e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di
Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di
Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare
l'opera pionieristica di Rank con la
pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina,
Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico
imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei
più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e
psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che riuscisse
a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di
sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza
umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio
simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.
Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale,
dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica
all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende: offrire la
possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni esistenziali di ogni
essere umano anche nel percorso di malattia psichica e somatica nel clima di
contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel processo terapeutico il
grande potenziale di crescita e comunicazione del paziente, la sua conoscenza
dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto decisivo della sua
esperienza. 2) che si presenta multidimensionale, integrato e non
dogmatico alla sofferenza umana e psichica e costantemente aperto ad arricchire
la propria prospettiva teorica e clinica attraverso un confronto critico e di
fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni
fondamentali dell'esperienza umana: la dimensione empatico relazionale,
che definisce il nostro modo di essere nel mondo con gli altri; la
dimensione corporea, che spesso esprime sotto forma di tensioni e dolori
muscolari la sofferenza psicologica; la dimensione esistenziale, che
riconosce l'importanza del senso che si riesce a dare alla propria
esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la rilevanza sintomatica
della sofferenza psicologica e psicopatologica. Un esempio di testo provocatorio, scritto
senza avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla cospirazione
dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario, su mednat.org. e Aids, la grande truffa continua in: L. De Marchi, Il nuovo pensiero forte.
Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri scritti di
critica, più documentati, hanno riguardato le sue critiche alle prassi della
chemioterapia dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt tutta la
ricerca sul cancro? sempre in De Marchi, op. cit. lo psicologo che inventò l'Aied Repubblica Addio a Marchi, lo psicologo che inventò l'Aied L. De Marchi, Il Solista Autobiografia d'un
italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici,
Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale,
Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e
opere di Reich, Sugar, Scimmietta ti
amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle
Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega,
Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo
Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori
contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti,
Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,
Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli, Reich Una formidabile avventura scientifica e
umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io
mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi
combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La
Psicologia Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La
Sapienza”, Associazione italiana per l'educazione
demografica, Reich luigidemarchi.blogspot.com
openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia
Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su
luigidemarchi.wordpress.com. Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi
teneva su Radio Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della
psicologia italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona.
Psicologia delle relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova.
Luigi De Marchi. Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Marziano: il principe filosofo –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marziano was a philosophy teacher to Ottaviano. Marziano
Grice e Marco: filosofo principe – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Marco. There is a tradition that Marco was a philosopher who ruled
the Roman empire between the death of Gordian III and the accession of Philip. Marco
Grice e
Marconi: l’implicatura conversazionale del linguaggio privato – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice:
“Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is that about what Marconi
calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!” -- Grice: “Marconi has
attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian dialectic – which is what
Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.” Grice: “While Marconi
starts alright, with Frege, he gets entangled with ‘Vitters;’ p’rhaps his
innovative approach is best seen in phrases like ‘il significato eluso’, which
may describe my implicature; but points to an etymology: ‘eluso’ is indeed ‘eluso,’
and means ‘ex-ludic,’ out of the game. The idea being that the game is a
simulated fight, and by eluding a punch from your adversary, you are, well,
‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson a Torino e con
Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered
Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you
cannot get your B. A. Lit. Hum. anywhere
else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A.
O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta
diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato
“Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione
della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società
Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio
su Vitters, Milano, Mursia, Dizionari e
enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi
di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza, “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni
nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma, Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,”
Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting
one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’
versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while
asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But
this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing
with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His
implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which
reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?”
“I don’t HAVE a profession!” -- On the
other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one
(The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della
dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il
«Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio
privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica,
Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli,
Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il
significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista
di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica,
sito dell'Università degli Studi di Milano. Diego Marconi. Marconi. Keywords:
linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire,
aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mariano: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mariano: his study of Risorgimento applying the philosophy of history is
brilliant” Fedelissimo allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e prevalentemente orientata verso
l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che
privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non
strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a
quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane),
trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non
può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale
risponde aspramente alle argomentazioni proposte da Mariano. “Mariano non ha
mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha
meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne
ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre
sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero;
che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione! Insomma, ciò che di Hegel
"non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché
affatto indegno della sua mente altissima.» Si schierò a favore del
mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con iVera
(La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno dei più
autorevoli difensori del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce che
commenta con grave disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre
riecheggiando i vaniloqui del Vera,Mariano si professa filosofico difensore
della pena di morte: come se la maggiore o minore opportunità di mettere i
delinquenti in segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli,
garrottarlie impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma Mariano ama
tutte le cause generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino
i limiti della filosofia.» E anche saggista con un gusto per la
"critica della critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume
III, Armando Balduino") – filosofica -- non trascurando l'arte che
annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al
rinascimento con un Saggio biografico critico su Bruno La vita e l'uomo.
Pubblica nche una monografia "apologetica" di Vera. La sua produzione
fu in un secondo momento soprattutto riferita alla storia, in particolare la storia
del cristianesimo e quella delle religioni in genere, argomenti affini anche
alla materia insegnata presso l'università napoletana. Non sono presenti
particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu uno dei primi a discutere la
tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione della storia al concetto di
‘arte. Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio sulla filosofia hegeliana”
(Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla pragmatica oxoniense”), “Il Risorgimento italiano secondo i principi
della filosofia della storia,” ““La
libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.” Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo
e lo Stato nel rapporto sociale. Milano, Treves, “Il Machiavelli di Villari, Roma,” Loescher, (cf.
“Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La pena di morte.
Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli. IlCarlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Augusto
Vera. Necrologio, «Annuario Napoli», Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel,
«Acc. SMP Napoli. Atti», Biografie del
Machiavelli, 1Arte e religione, Il
brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo
nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine
hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello stato con la religione, Firenze,
Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma
ecclesiastica in Italia, «Il diritto», Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato
e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Artero, Buddismo e cristianesimo, La
Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», La conversione del
mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi secoli. Capua, gli ha
dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La Critica.
Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da Croce, Armando Balduino, Storia letteraria
d'ItaliaL'Ottocento, III, Piccin Nuova
Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e
anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra
griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo Malerba, Luciano
Malusa,, sito della Società filosofica italiana
Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Raffaele Mariano. Mariano. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marin: l’implicatura conversazionale e l’ottimo precettore – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Venezia). Filosofo italiano. Grice: “I
like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do, rhetoric – in his own
Venetian kind of way!” Nato dal nobile
Rosso Marin, studia con profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal quale
apprese la retorica. Frequenta il ginnasio, presso il quale recita eloquenti
orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si laurea a Padova. Ambasciatore
della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi presso Firenze.
Rosmini, Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina
di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Giovanni Marin. Marin.
Keywords: l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marin” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Marliani: l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mariliani; especially the cavalier way in which he refers to philosophers in
his brilliant “De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly
are sects and sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia
a Pavia sotto Pelacani. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera
nell'insegnamento della filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a
capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio.
Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del
Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.
Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca
Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi
in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a
Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano
intercedette presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama
anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi,
acconsente per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto
salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il
Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono
ad essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in
discussione Bradwardine e Sassonia. Nel
suo saggio, “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati
set de antiperistasis distingue la
temperatura dell'organismo dalla quantità e dalla produzione del calore
naturale del corpo e sostenne che la produzione del calore naturale è più elevata
in inverno che in estate. Si reca a Novara dal conte Gaspare Vimercati, colpito
da problemi respiratori e cura Rinaldo d'Este da una gravissima malattia che lo
colse durante una visita alla corte milanese. Raggiunse i vertici della propria
carriera e presta le sue doti di medico a Federico I Gonzaga. Le opere del
Marliani furono oggetto di studio da Vinci, che lo cita in diverse occasioni
nel suo Codice Atlantico. Ebbe tre
figli: Paolo, Gerolamo e Pietro Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne
all'inizio. Saggi: “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et
estati set de antiperistasi,” “Disputatio cum Iohanne Arculano de materiis ad
philosophiam pertinentibus,” “Quaestio de proportione motuum in velocitate,”
“Algebra Algorismus de minutiis,” “De secta philosophorum,” “Probatio cuiusdam
sententiae,” “Calculatoris de motu locali.” Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Marliani. Marliani.
Keywords: implicatura, Vinci. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marliani e le
sette filosofiche” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marotta: l’implicatura conversazionale di Mario l’epicuro – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I
like Marotta; the idea of a library for the Istituto Italiano per gli studi
filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!” Si laurea con il massimo
dei voti a Napoli, presentando la tesi, La concezione dello stato in Hegel.” Si
interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima
all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando
l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e
conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità
della cultura Italiana. Incoraggiato
dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei
Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000
volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi
apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di
ricerca e di formazione di rilievo internazionale. Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio
Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia
dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e
dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato
conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix
Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento
artistico culturale "Esasperatismo Logos & Bidone". G. Capaldo, Fondatore
dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per
Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte
Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila
Giorni de Il Corriere della Sera. Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario
l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in
Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marramao: l’implicatura conversazionale del kairós – apologia del tempo debito
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro).
Filosofo italiano. Grice: “Surely Marramao’s theory of
time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer
and was proud of it, can you believe it! He was born in Russia and studied in the New World – so
that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on
many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography,
and Jesus against power” Essential Italian philosopher.
Allievo di Garin, si laurea Firenze. Pubblicato Comunismo, laburatismo e
revisionismo in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del
comunismo italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e
le trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del
comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere
e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso
politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti
del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le
sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della
Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano
(comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo
di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e
secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e
le trasformazioni) e con Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione
simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano
significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto
sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte
sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di
temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che
traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione,
liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni
politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio
a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il
potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della
tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione
e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le
concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una
forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale,
argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro
alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e
impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento
formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del
tempo debito. Lectio magistralis. Roma
Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto.
Studi in onore. a c. di A. Martinengo, Casini,
Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano.
Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su
asia. Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism,
marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la
filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare,
l’eterno retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il
comune. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Grice e
Marsili: l’implicatura conversazionale del cimento – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siena). Filosofo italiano.
Grice: “I like Marsili, and the founder of the ‘accademia del cimento.’
‘Cimento’ you know, means ‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena.
Insegna a Siena e Pisa. Conosce Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni
dichiaratamente lizie gli impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone
un esperimento per capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico
durante l'esperienza di Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro
Marsili. Marsili. Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Marsili” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martelli: l’implicatura conversazionale -- etica e storia -- l’assassinio di
Giulio Cesare – filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Marco in Lamis). Filosofo italiano. Grice:
“I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and Nietzsche!” Insegna a Urbino.
Prtecipato a lungo alla lotta politica in formazioni marxiste nate a cavallo
del Sessantotto. D Ha diretto il master interfacoltà «Management etico e
Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega (periodico). I suoi studi si sono concentrati su Nietzsche,
Gramsci, e di numerosi autori del Novecento, affrontando alcune tra le più
dibattute vicende e problematiche filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è
occupato di temi di forte attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta
ad una critica radicale del dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in
generale di ogni forma di assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i
diritti civili, le istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno
di saggista è rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro
l'interventismo politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La
felicità e i suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico
impertinente: laicità e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa
è compatibile con la democrazia?” Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi,
“Quando Dio entra in politica, Fazi, Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa
Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del terrore. Filosofia, religione,
politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il secolo del male. Riflessioni sul
Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e Gramsci a confronto, La città del
sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica del «Socialismo reale», La città del
sole, Gramsci filosofo della politica, Unicopli, Nietzsche inattuale, Quattroventi,
Filosofia e società in Nietzsche, Quattroventi, Urbino "Carlo Bo"
Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche Laicità
Il laico impertinente: il blog di Michele Martelli, su
michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli. Keywords:
l’assassinio di Giulio Cesare, il laico, la religione civile dell’antica roma
-- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martinetti: l’implicatura conversazionale -- i veliani e l’amore alcibiadico –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Pont Canavese).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Martinetti; he wrote about eros, or as the Italians call it, ‘amore,’ – a
different root from cupidus, too! He edited a platonic anthology.” “He also has
a strange treatise on ‘the number’ which post-dates Frege!” -- «Di sé soleva
dire di essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro
secolo» (Cesare Goretti). Professore di filosofia, si distinse per essere
stato l'unico filosofo che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al
Fascismo. Fu il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza
contare una bambina che morì piccolissima) dell'avvocato Francesco Martinetti e
di Rosalia Bertogliatti. Studi Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo
Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove ebbe come insegnanti Allievo, Bobba, Ercole, Flechia e Graf, laureandosi
con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla filosofia nell’India”
discussa con Ercole, docente di filosofia teoretica, pubblicata a Torino da
Lattes e, grazie all'interessamento di Allievo,
risulta vincitrice del Premio Gautieri. Dopo la laurea Martinetti fece un
soggiorno di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del
fondamentale studio di Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco pubblicato. Si può
dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello
di approfondire gli studi dell’India, iniziati a Torino con Flechia e 'Ercole." L'insegnamento
Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino, Correggio,
Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la
monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch
edopo che consegue la libera docenza in
Filosofia teoretica all'Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre
di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano
(che diventa Regia Università degli Studî) nella quale insegna. Divenne socio
corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze
e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.
Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare
figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come
ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima
guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini
sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato
effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente
l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa
gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di
violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze
pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di MUSSOLINI a
presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali
lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della
religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un
gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove
si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui
organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e
da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni,
riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora
presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio
della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in
difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla
Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia.
L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di
agitator. Il congresso e poi chiuso
d'imperio dal questore. Da un lato incise l'opposizione di A. Gemelli,
fondatore dell'Università Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore
(quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti,
non era tra i relatori. Dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da
M., di Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal Sant'Uffizio,
dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi dal congress. Le
minute cronache del congresso hanno già messo in luce come M. nell'assolvere al
compito di organizzatore dell'incontro, assunto con una apparente riluttanza,
operasse assai poco da ingenuo filosofo fuori dal mondo. Al contrario,
ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise assieme un programma che
costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai palati dei cattolici
fascisti sia dei filosofi di regime. Martinetti firma con Goretti (segretario
del Congresso) una lettera di protesta al rettore Mangiagalli: «Compiamo
il dovere d'informarla che conforme al suo ordine il congresso si è sciolto
senza incidenti. Sciogliendosi ha votato all'unanimità il seguente ordine del
giorno di protesta: Il Congresso della Società filosofica italiana riunito in
Milano: avuta comunicazione che è stato rivolto alla Presidenza un invito
superiore achiudere i lavori del Congresso. Protesta in nome della libertà
degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che
impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di
vincolare la vita del pensiero.» M. fu il direttore della Rivista di
filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi comparve mai come tale. Tra i
collaboratori della rivista vi furono: Ennio Carando, Bobbio, Geymonat, Fossati (che ufficialmente ne era il direttore
responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e Goretti.. Quando il ministro dell'educazione
Giuliano impose ai professori il
Giuramento di fedeltà al Fascismo, Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin
dal primo momento: “Eccellenza! Ieri sono stato chiamato dal Rettore di
questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto,
con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di
non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento
richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie
convinzioni morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato
il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia
condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede,
perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretta
la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho
mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare
queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre
insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che
l'uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a
qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio.
Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie
convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che
questo non è possibile. Con questo non intendo affatto declinare
qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che
l'E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non
da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare
contro ai principî che hanno retto tutta la mia vita. Dell'E.V. dev.mo
Dr.” In una lettera a Guido Cagnola scrive: «Ella ora saprà che io sono
uno degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che
hanno rifiutato il giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra
breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini,
Carrara, De Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce
non tanto la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia
rumore intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile
quanto una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra
lettera ad Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli
undici) per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose
della terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e
annuncia oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i
persecutori.» Come scrive al proposito Minazzi: «Martinetti ha
infine opposto un netto rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto
dalla dittatura da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre
sempre sottrarre, criticamente, questo straordinario gesto martinettiano,
invero assai emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista,
onde comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di M. non può
allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio, il carattere
dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine
indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto
l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione
del regime. In questa prospettiva M. non ha giurato proprio perché nutriva una
particolare percezione critica dello stesso "giuramento" in
connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano peraltro
guidato tutta la sua attività di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere questa
precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure negato il
suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e anche
filosofico.» Scrive in proposito Amedeo Vigorelli. Una certaretorica
resistenziale si è impadronita anche di M. , impedendo un approfondimento più
serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0. L'atto di M. non era cioè solo un monito
contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni forma di
politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra
religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa di
forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non
sempre si ama ricordare che l'avversione di M. al fascismo era innanzi tutto
avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche all'esaltazione
demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura, Martinetti fu
critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della democrazia, di cui
colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo» In seguito a questo suo rifiuto, M. venne messo
in pensione d'autorità e si dedicò
unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di
Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo
lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò
approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione
alla metafisica e continuata con La
libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo è del 1936;
Ragione e fede. M. propose come suoi successori a Milano Baratono e Banfi. Lontano da ogni forma di impegno
politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle
degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul suo
diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti esponenti
fascisti. così ad esempio a fronte di una serie di scandali annotava "è
dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia!" Come persuadersi che uno
stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal
terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al
servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti
possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema rovina? Si
scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava socialismo
marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla propaganda e alla educazione
di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più pensiero". A
questo proposito Vigorelli evidenzia «il
valore pedagogico, di educazione alla libertà, che l'esempio morale di M. ebbe
per quella generazione di intellettuali antifacisti, che trovò negli anni
Trenta un decisivo punto di riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui
informalmente diretta» L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in
casa di Gioele Solari, dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da
Pitigrilli (Dino Segre), agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e
alla condanna al confino di Antonicelli, Einaudi, Foa, Giua, Levi, Mila, Monti, Pavese, Zini e di due studenti,
Cavallera e Perelli, e all'ammonizione di Bobbio), e fu incarcerato a Torino per
sospetta connivenza con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà,
benché fosse del tutto estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali
che facevano riferimento alla casa editrice Einaudi. Al momento dell'arresto, a
detta della signora Solari, M. disse una frase che aveva già sentito
pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per combinazione
in Italia". Il suo declino fisico cominciò in seguito a una trombosi che
menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta accidentale da un
pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima operazione alla prostata.
La sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il Professore è da oltre un mese
degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza trasportato ed operato in
seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento chirurgico avviene in
questo caso in due tempi: operazione preliminare alla vescica, per ovviare
immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e susseguente operazione
alla prostata che ne è la causa originale. La prima operazione già venne
effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che il tempo opportuno
per procedere alla seconda."[ Martinetti fu ricoverato all'ospedale
Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì, dopo aver disposto che nessun prete
intervenisse con alcun segno sul suo corpo. Nonostante "l'invito del
parroco di Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso
anche nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di
persone seguirono l'autofurgone che portò il corpo di M. alla stazione, da dove
partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte M.
lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G.
Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi
alla "Fondazione M. per gli studi
di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del
Rettorato alla Biblioteca della Facoltà di
Filosofia. La sua casa di Spineto
è attualmente sede della "Fondazione Casa e Archivio Piero
Martinetti", che intende promuovere la diffusione del suo pensiero e della
sua operae. FiLa filosofia di M. è un'interpretazione originale
dell'idealismo post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico
trascendente che va da Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista
trascendente, un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico
che fu Spir, il quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il
filosofo preferito di M., quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale
scrisse molti studi e un denso saggio monografico e al quale fece consacrare il terzo numero della
Rivista di filosofia, filosofo che fu come lui profondamente inattuale. Professò
una altissima stima per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da
considerarla "immortale: in essa infatti vede un tentativo d'un
rinnovamento speculativo-religioso di tutta la filosofia. Il carattere speculativo dell'interpretazione
d iMartinetti dipese da particolarissime circostanze. La speculazione di Spir
esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella
costruzione dell'idealismo trascendente di M. la speculazione di A. Spir
rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e in
Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo di M. si trovano nella
speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir occupò tanto spazio
ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la configurazione sua
propria, il pensiero di Spir viene trasposto da M. entro la sua propria
filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero, così intimamente
consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire, anche su di esso.
Proprio questo condusseMartinetti a penetrare e nell'atto stesso a svolgere in
armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si trova come penetrato
e attraversato da quello di M. In nessun altro pensatore A. Spir fu tanto
intimamente valorizzato e, in qualche misura, continuato in ciò che della sua
speculazione parve propriamente essenziale. La lettura di M. insiste sul nucleo
metafisico di Spir, che gli pare incarnare "la forma pura della visione
religiosa". L'affermazione fondamentale, in cui per Martinetti si riassume
tutta la filosofia dello Spir, è quella della dualità fondamentale tra il vero
esserel'Unità incondizionata, assoluta e trascendente in cui si esprime il
divinoe l'essere apparente e molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza.
L'approccio alla rivelazione di tale realtà dualista mediante la teoria della
conoscenza (l'idealismo gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione
all'autentico nucleo metafisico della sua filosofia, consistente in una forma
di dualismo acosmista. Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso
stesso apparente: "non è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà
assoluta e l'irrealtà in cui il mondo sprofonda."» Si può così dire
che in Martinetti: «il motivo desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra
"anormale" (il mondo dell'esperienza empirico e molteplice) e
"norma" (il principio d'identità, rivelazione incoativa del divino in
noi) si spoglia qui dell'originario aspetto dualista per confluire in una
visione coerentemente monista dell'esperienza di coscienza. Monismo
coscienzialista, quello martinettiano, che non sfocia però in una forma di panteismo,
in quanto il termine finale di questa unificazione formale rimane trascendente.
L'unica realtà metafisica assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità
formale assoluta", che trascende l'intero processo dell'esperienza, che di
tale unità è solo un'espressione simbolica.» Della filosofia di Spir,
Martinetti mantenne sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione
kantiana, aveva d'altronde dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non
essere in Etica "kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano
parte dal suo anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo
anticlericalismo lo portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse
di non essere mai stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a
questa Chiesa cattolica di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo
l'ha portato ad un antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in
cui egli si sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della
religione". E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di
Martinetti si situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e
come la sua posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangeloscrive
Martinetti «lasciando da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di
disporre il materiale evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto
quello che i vangeli contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa
è stato qui conservato.» Il risultato di questo ordinamento logico è
l'espunzionein quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o
ancora propria all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di
Giovanni, degli Atti degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo)
e dell'Apocalisse. Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico,
l'ultimo e il più grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno
resuscitato dalla morte, né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia
annuncia un regno messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei
cieli, quello di Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di
fatto Gesù è soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare
al mondo per unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo,
amando il prossimo. Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa
invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati
di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale
fraternamenteunita, egli scrive: «In tutti i tempi, ma specialmente nelle
età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili
che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione
invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo
naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione
della verità e la promessa della vita eterna» Gesù Cristo e il
Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato, come M. scrive a Cagnola: «Il mio libro
venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono mandati i 3
es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle 17 dello
stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so. Così il
libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il decreto
definitivo di sequestro.» Con decreto, “Gesù Cristo e il Cristianesimo,
Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri proibiti della
Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso martinettiano
scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in virtù della
rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore, Il Vangelo
(Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione
elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della
religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche
attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione spirituale
dei quaccheri. Capitini rese visita a Martinetti, che a proposito della
nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi convincerei, ma ora
come ora le assicuro che se mi fosse detto che con l'uccisione di diecimila
persone si estirperebbe il male che c'è in Europa, firmerei la sentenza senza
esitazione." Negli scritti La
psiche degli animali e Pietà verso gli animali, Martinetti sostiene che gli
animali, così come gli esseri umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi
l'etica non deve limitarsi alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve
estendersi a ricercare il benessere e la felicità anche per tutte quelle forme
di vita senzienti (cioè provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono
in grado di provare gioia e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli
animali M. tra l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato
dall'indifferenza delle grandi religioni positive occidentali di fronte
all'inaudita sofferenza degli animali provocata dagli uomini: gli animali hanno
una forma dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo
leggere nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci lega. M. cita le prove di intelligenza che sanno
dare animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità
organizzativa delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il
dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura
costruisce. Nel proprio testamento dispose che una somma significativa
fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli personalmente
nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva persuaso
a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il carattere di
un valore religioso. Scrive al proposito Vigorelli: «La scelta del
vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un ideale politico,
bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in relazione sia con la
sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con convinzioni radicate in
una personale metafisica, sulla "unicità" della sostanza vivente e
sul destino di "perennità" dello spirito.» La scelta della
cremazione M. fu un fautore della cremazione e una testimonianza "ci dice
come M. portasse sempre con sé, in una busta, le ceneri di sua madre."Secondo
Paviolo, per i M. la cremazione era una specie di tradizione familiare e la
cosa appare strana in quei tempi nei quali, specie nei piccoli centri era
pressoché ignota a tutti, e oggetto di scandalo per il gran rumore che, in
questi casi, ne facevano i parroci. Non è però da escludere, nel caso preciso
di M., che questa scelta, come quella del vegetarianesimo, avesse anche una
relazione con il suo interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore
filosofico e religioso. I suoi resti sono tumulati nel cimitero di
Castellamonte in provincia di Torino. Opere: Una "
martinettiana" C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della
Rivista di Filosofia Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo questa
data, di M. sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone,
Milano, Luca Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il
nuovo melangolo, Genova, L'amore,
Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro
Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “La religione di Spinoza” Amedeo Vigorelli, Ghibli, Milano, “La Libertà” Aragno, Torino, Schopenhauer,
Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario spiritual” Anacleto
Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico Dario
Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant” Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier
Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e
il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali,
introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo:
un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,
“Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero,
introduzione di Argentieri, Castelvecchi, Roma,
Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze, Olschki, “Spinoza” Festa,
Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti Nella seduta del Senato Accademico
dell’Università degli Studi di Milano del 19 settembre, è stata approvata
ufficialmente la decisione del Dipartimento di Filosofia di intitolarsi alla figura
di M.. La città di Roma gli ha intitolato una piazza, nel Giorno della Memoria.
A Milano Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte
Stella dal " nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Cesare Goretti, “M”,
Archivio della Cultura Italiana. Fiori, I professori che dissero "NO"
al Duce, in La Repubblica, «Ebbe molta
influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi alla facoltà di
Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui Martinetti:
"Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima
della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo questa vita non
c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su questo come su
tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza delle sue
convinzioni"»: Paviolo. «che morì
proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per
la comune origine canavesana, un particolare rapporto»: Paviolo 2 «Di una reale
affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può parlare forse solo in
un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e pessimismo si può trovare
qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui poesia, piena di dolente (e
a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti tornerà anche negli anni
maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto spirituale. Più
documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra singolare figura
di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche con lo pseudonimo
poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo Eleuthero), alla cui
postuma riscoperta si adoperarono intensamente Ercole e Alemanni, nell'ultimo
decennio del secolo scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale relativo
all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro Martinetti) si
dice semplicemente che il candidato ha sostenuto durante quaranta minuti
innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui
presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova
pratica assegnatagli dalla Commissione. La tesi ottenne la votazione di 99/110.
Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il riconoscimento che meritavaanche a
motivo di certe resistenze accademiche nel settore filologico della Torino e
forse per questo lo studioso sentì il bisogno di attingere direttamente alle
fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del resto
il suo intent e più filosofico che
filologico, e la prima suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli,
piuttosto che dalle lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio
del Samkhya, Ercole si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria
uscita sulla Rivista Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse
costante per la filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a
Milano e pubblicato a Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da
un'antologia di testi Indù e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché
lascia intravedere ancora una volta, questa volta sotto il rispetto particolare
dei suoi primi contatti coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a
Lipsia nella sua formazione filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui
sopravvive Drobitsch, lil maestro herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si
diffondevano le edizioni di A. Spir entro il moto allora nascente in Germania
dell'interesse per la filosofia sua. Il pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier.
Anno che fu per lui particolarmente duro,
vedi Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", Minazzi,
Il Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico
altrettanto risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti
degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e
in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per
disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento,
gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo
anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere,
Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di
esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che
hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle
quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso
di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il
Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia
italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come
deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusò
Martinetti, ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia
scolastica, cf. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il
regime fascista, Firenze. Per M.. Padre Gemelli è tutto fuorché un filosofo. Varisco,
in: Lettere 33. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti
universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto
l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal
Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli
di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue
rappresentazioni ciarlatanesche. A B. Varisco, a C. Goretti a L. Mangiagalli. Quando
M., con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona
l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non
erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua
creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione
effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a
che le sue condizioni di salute glielo permisero. Giuliano, Cagnola,
Baratono, Assael, Alle origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi, Milano.
Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato giuramento,
sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più all'Milano e non posso
più esserle utile che indirettamente»: a C. Gadda, in: Lettere 114. «del resto io sono perfettamente sereno come
chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi
applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei, fatti
per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera M. a Alfieri, Sulla cui
porta fece mettere un'indicazione che diceva: "M. agricoltore": Paviolo «Perciò appunto non
ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In
questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è
preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi
te per la F.[ilosofia] e Banfi per la Storia della Filosofia. A A. Baratono, Nel registro di
entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale
si faccia registrare, nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti
gli altri non di religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese,
Antonicelli, Salvatorelli e così via) si dichiarano "cattolici"alcune
schede, peraltro, tra cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è
conservato all'Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale
di Torino, Registro matricole)", in: Lettere. "M. veniva rinchiuso in una cella sulla
cui porta veniva apposto il cartellino "Politico: sorveglianza
particolare". Il giorno successivo cominciavano gli interrogatori che si
ripetevano finché dopo alcuni giorni d'arresto M. veniva finalmente
scarcerato.", Giorda, M., Castellamonte, «Devo darle una notizia
terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da
una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un
leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera, M. a Nina Ruffini, in:
Lettere 2Cit. in: Lettere. «Si può comunque, in base a testimonianze diverse,
ritenere che Martinetti sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a Cuorgnè,
ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato immediatamente
trasferito (abitudine che rimase in uso per decenni in circostanze analoghe)
alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini burocratiche e maggiori spese
funerarie. L'atto di morte recita:
" il g alle ore quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione
Spineto n. 106 è morto Martinetti Piero, anni 70, residente in Torino,
professore pensionato"»: Paviolo.
Paviolo. "Per ultimo
desidero di essere cremato e che le mie ceneri riposino nel Camposanto di
Castellamonte", frase finale del testament, Paviolo. Il testamento di
Martinetti, da lui riscritto, "in una grafia incerta e in una forma in cui
non si trova lo stile abituale del nostro filosofo"(Paviolo) fu
considerato da sua sorella Teresa come estorto: "Le opere che al tempo del
decesso di Piero erano ancora solo allo stato di manoscritto vennero devolute
ai beneficiari della biblioteca, la quale, a dirtelo in assoluta confidenza,
cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per un testamento fatto fare a
nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era stato colpito da un insulto
di trombosi al cervello la preziosa biblioteca, che per volontà recisa,
assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente espressa alcuni mesi prima che
fosse colpito dalla trombosi, doveva andare all'Milano, prese altre vie e e sta
presentemente ancora peregrinando in attesa di destinazione definitiva."
Lettera di Teresa Martinetti al cugino Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione
Casa e Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi
legano tante affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della
"Riv. di Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante
dottrine dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano
pensate per il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite.
La lucequesto passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo
sepolcrovolle penetrare le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera, M.
a Ruffini, in: Lettere 155.. «io sono
sempre stato un filosofo inattuale»: Lettera, M. a Giorgio Borsa, in: Lettere Emilio Agazzi, La filosofia di
Piero Martinetti, Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio a dimostrare
l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della lettura di Spir
per la maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli, Alessio,
Vigorelli Vigorelli, M., Breviario spirituale, Bresci, Torino, Lettera M. a Cagnola, Lettere. Sulla riflessione
religiosa di Martinetti vedi Franco Alessio, L'idealismo religioso di M.,
Brescia, Morcelliana, (Tesi di Pavia: relatore Michele Federico Sciacca) Paviolo Paviolo Amedeo Vigorelli, "Martinetti e Capitini:
attualità di un confronto", in: Vigorelli, La nostra inquietudine. M.,
Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre,
Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa a lungo della inumazione e della
cremazione (aveva fatto cremare il cadavere della mamma, per avere vicine le
sue ceneri)" Capitini, Antifascismo, Célèbes Trapani, Paviolo Paviolo. L'eretico Martinetti,
italiano per caso", Recensione di Raffaele Liucci su Il fatto quotidiano, Libera
cittadinanza Il Dipartimento di
Filosofia "M. a Milano, Battista, "Le vie dedicate ai razzisti
spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo", Corriere della
Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al pioniere green I nuovi Giusti
del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca di Milano13. "Monte Stella I nuovi Giusti in diretta
su Facebook", Corriere della Sera, 7 marzo, Cronaca di Milano9. ,
Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata Martinettiana,
Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia, Agazzi,
"La storiografia filosofica", Rivista critica di storia della filosofia,
E. Agazzi, Sandro Mancini, Vigorelli e Zanantoni, Unicopli, Milano, Alessio,
L'idealismo religioso, Brescia, Morcelliana, Alessio, introduzione Il
pensiero di Africano Spir, Torino, Meynier, Assael, Alle origini della
Scuola di Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, Banfi, M. e il
razionalismo religioso", in: Filosofi contemporanei, Firenze, Parenti, Bersellini
Rivoli, Il fondamento eleatico della filosofia -- Milano, Saggiatore, Guido
Bersellini Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso e politico
(in Italia e nel villaggio globale), Lecce, Manni, Rivoli, Appunti sulla
questione ebraica. Da Nello Rosselli a Piero Martinetti, Milano, Angeli, Giorgio
Boatti, Preferirei di no, Le storie dei dodici professori che si opposero a
Mussolini, Torino, Einaudi, B. Bonghi,
La fiaccola sotto il moggio della metafisica kantiana. Il Kant, Milano,
Mimesis, Minazzi, Sulla filosofia italiana, Prospettive, figure e problemi,
Milano, Angeli); ranco Bosio, "L'uomo e l'assoluto", in: Filosofie
"minoritarie" in Italia tra le due guerre Ceravolo, Roma, Aracne, Remo
Cantoni, "L'illuminismo religioso” in: Studi filosofici, G. Colombo, La
filosofia come soteriologia. L'avventura spirituale e intellettuale di Milano,
Vita e Pensiero, E. Colorni, La malattia della metafisica. Scritti autobiografici
e filosofici, Torino, Einaudi, Noce, Filosofi dell'esistenza e della libertà,
Milano, Giuffrè, Pra, "Momenti di riflessione sull'esperienza religiosa in
Italia tra idealismo e razionalismo critico", in: La filosofia contemporanea di fronte
all'esperienza religiosa, Parma, Pratiche); C. Ferronato, "Filosofia e
religione”, in: Percorsi e Figure Filosofi italiani, Salvatore Natoli, Genova,
Marietti, Filoramo, Letture M. "Gesù Cristo e il Cristianesimo" nel
pensiero religioso, "Rivista di filosofia", Gervasio, M.:
l'interpretazione di Kant nel quadro della filosofia italiana tra Ottocento e
Novecento, Giorda, M., Castellamonte, Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I
docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La Nuova Italia, C. Goretti,
Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, Bologna, Accademia delle Scienze, Mariani,
Esperienza ed intuizione religiosa: saggio sul pensiero di Piero Martinetti,
con appendice sugli inediti, Roma, Mazzantini, L’'Oriente", Filosofia, Valerio Meattini, Ragion teoretica e ragion
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neognostica, in: "Paradigmi", Morelli, tesi di laurea in Filosofia (A.
Aliotta), Biblioteca Facoltà di Lettere e Filosofia, Napoli); Paviolo, Piero
Martinetti aneddotico. L'uomo, il filosofo, la sua terra, Aosta, Le Château Edizioni,
Alfredo Poggi, Vicenza, Collezione del Palladio, 1ora Riedizione Cosimo
Scarcella e Introduzione di . Mas, Milano, Marzorati, Rambaldi, Voci dal
Novecento, Milano, Guerrini; Romano, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti,
Padova, Milani, Santoro, Il problema della libertà, Lecce, Milella, Scarcella,
La dottrina politica di Piero Martinetti: aspetti teoretici ed aspetti pratici,
in Il Pensiero Politico, Firenze, Olschki Editore, Cosimo Scarcella, M.
Politica e filosofia. Con alcuni ‘Pensieri' inediti, Napoli, Collana La Cultura
delle Idee diretta da Fulvio Tessitore e Giuliano Marini, Edizioni Scientifiche
Italiane, Terzi, La vita e il pensiero originale, Bergamo, Editrice San Marco,
Carlo Terzi, "Lettere inedite di M.", in: Giornale di metafisica,
Torino, Amedeo Vigorelli, "Emilio Agazzi e la fortuna di Martinetti",
in:, L'impegno della ragione. Per Agazzi, Cingoli, Calloni, Ferraro, Unicopli,
Milano (nuova ed. "Agazzi e la "fortuna milanese" di M., in:,
Vita, concettualizzazione, libertà. Studi in onore di Alfredo Marini, R.
Lazzari, M. Mezzanzanica, Storace, Mimesis, Milano, Vigorelli, Piero
Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Mondadori,
Vigorelli, "Nuove pagine", Rivista di storia della filosofia, Vigorelli,,
"L'eredità contestata. Lettere di Banfi e Solari", Rivista di storia
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neoplatonica nel razionalismo religioso (Atti del Convegno “Presenza della
tradizione neoplatonica nella filosofia del Novecento”, Vercelli), Annuario Filosofico,
Mursia, Milano, A.Vigorelli, La nostra inquietudine. Banfi, Rebora, Cantoni,
Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Mondadori,
Milano, Vigorelli, Lettore di Spinoza. Il tempo e l'eterno", in:, Spinoza
ricerche e prospettive. Per una storia dello spinozismo in Italia (Atti delle
Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti, Urbino), D. Bostrenghi e C.
Santinelli, Bibliopolis, Napoli, A. Vigorelli,
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della religione civile", in:, Le due Torino. Primato della religione o
primato della politica?, Gianluca Cuozzo e Giuseppe Riconda, Trauben, Torino, Spir,
Scuola di Milano Solari Goretti Basso Baratono Banfi, Giuramento di fedeltà al
fascismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca
della Fondazione M., Torino. Fondazione Casa e Archivio M., su Fondazione piero
martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net.
G. Colombo, La filosofia come
soteriologia. A) La prima forma di comunione fra esseri, quella che fonda
le prime forme di società, quella che sussiste anche in quei gradi della vita
animale onde è esclusa ogni altra forma di socievo lezza, è l’amore. Che cosa
non è stato detto e iscritto in ogni tempo intorno all’amore? Io non intendo
qui certamente aggiun gere su questo argomento nuove ed inutili speculazioni :
voglio solamente trattarne in quanto aneli’esso è nella vita umana una
sorgente di importanti doveri. L’amore, qualunque possano essere le
complicazioni senti mentali che ne mutano profondamente la natura e possono
dargli finalità più elevate, non ha originariamente altro fine che la (pro
pagazione Astica della specie. L’unione fisica di due individui di sesso
diverso ha per effetto l’estensione della vita organica nel tempo : per essa
l’individualità effimera si sottrae in un certo modo alla morte e celebra
l’eternità sua confondendosi per un istante con la serie delle generazioni
venture. La voluttà fisica non è che una forma di quel piacere che accompagna
ogni esten sione dell’individualità, ogni fusione delle coscienze singole in
un tutto capace d’una vita più alita e più larga. Sotto questo aspetto la
voluttà riveste un carattere ideale e direi quasi sacro : e tutta la poesia
dell’amore non è che la poesia del primo, del più universale ideale umano. Ma
il desiderio antico che in questo senso trae tutti i mortali è diventato
attraverso le innu merevoli generazioni mn istinto : e l ’ uomo avendo volto
lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si è abituato a'Vedere in
questo dovere della propagazione della vita solo il compimento d’una funzione
organica e nella voluttà un .semplice fremito del senso che non deve
interessare la personalità superiore e che anzi può essere per la medesima un
ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere dell’amore e della voluttà
: da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi vivente, il movente di una
gran parte delle attività umane; dall’altro appariscono come una debolezza, una
vittoria dell’essere inferiore sull’es sere superiore e veramente umano. Nel
pudore che accompagna l’unione dei due .sessi e tutto ciò che la riflette vi è
qualche cosa della riverenza che impone un sacro mistero e della vergogna che
desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita puramente animale. Il complesso delle
attività e delle facoltà che si riferiscono a questa funzione costituisce,
forse in modo più marcato che iper ogni altra funzione umana, un tutto ben
distinto, che si - 116- stacca nella personalità complessiva come
una personalità mi nore e subordinata : vi è in ogni individuo umano una perso
nalità sessuale che, per quanto non sempre chiaramente co sciente, ha la sua
sfera di visione, la sua vita, le sue oscure tendenze e spesso influisce in
misura non indifferente sopra lo svolgimento e il destino di tutta la persona.
Questa personalità sessuale è già in un certo senso, per l’individualità
organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un essere ideale : l’in
dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di deside rabile e di
bello : ed è precisamente in questo carattere di idea lità che circonfonde
tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso umano della
bellezza. Il « tipo » estetico che le donne in genere e molti uomini cercano di
realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda suggeriscono non è altro che la
presentazione della personalità sessuale : questa costituisce per molti l’apice
di tutte le aspirazioni e di tutti gli ideali. D’altra parte la vita non si
arresta all’amore e vi sono ideali più alti che la perpetuazione fisica, della
specie : quindi di fron te alla personalità morale ed all’umanità vera la
personalità sessuale appare come qualche cosa di inferiore e di miserabile.
Quando perciò essa si svolge in noi senza alcun legame od in opposizione con i
nostri sentimenti più elevati, noi possiamo bensì cedere per un istante al suo
fascino, ma la sua vita resta pure sempre per noi qualche cosa di straniero che
più tardi rigettiamo con vergogna e con disprezzo. Non è però affatto
necessario che la vita sessuale si svolga nell’uomo senza alcuna continuità e
senza accordo con le sfere più alte della vita interiore. Nello stesso mondo
animale essa svolge nella maternità e nella famiglia una vera attività di
ordine morale che la compie e la nobilita : e nell’uomo tutta la storia
dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il moralizzamento progressivo
della funzione sessuale? Così puri ficato ed elevato, il desiderio del senso
si intreccia con i più nobili e delicati sentimenti della vita morale, con i.1
sentimento della, protezione e della carità, dell’amicizia, della solidarietà,
della fedeltà; anzi, intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le
aspirazioni più elevate, diventa comunione di vita inte riore, di gioie alte e
pure : l’amore animale e sensuale si tra sforma nelle forme più nobili
dell’amore umano. Certo il fattore sensuale non scompare mai : l’amore
platonico non esiste o, se esiste, non è una forma viva e sana dell’amore. Ma
anch’esso si raffina e si assimila : il piacere medesimo del possesso di
venta, per la confusione della spiritualità di due esseri elevati, più delicato
e più profondo. Sopra tutto poi esso elimina gra dualmente da sè tutto ciò che
urna viva sensibilità estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con
le tendenze della personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la
leal tà, la fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere
dell’istante e cerca nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo
ardore : esso non è che il contatto superficiale e momen taneo di due
personalità sessuali che si avvincono e si confon dono mentre le anime restano
straniere l’una all’altra diffi denti, sordamente ostili. L’amore veramente
umano si completa con l’unione delle volontà, che esige urna reciproca
dedizione intiera, leale, duratura ed esclude come cose indegne la men zogna,
l'ingiustizia e tutto ciò che diminuisce questa perfetta comunione di vita.
Così è possibile un amore che sorge non dal senso, ma da tutta la personalità;
un amore che purifica e no bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la
voluttà stessa. Questo concetto dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve
seguire se egli sinceramente sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto
anche la via più saggia sotto l’aspetto della felicità. Certo può sembrare
un’ingenuità chiedere alla ragione consigli contro una passione che si mde
della ragione : mentre l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come
essa sconvolga talora le menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri,
precipiti nell turbamento e spesso nella più irrepa rabile rovina esistenze,
che l’educazione, l’intelligenza, i vincoli sociali e morali sembravano
assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del resto la
potenza di questo «niver i-sale e profondo istinto che esso è il movente
secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte dei
ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri spetti
anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso alimenta danno
origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti. Come sperare
dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura e ribelle
che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura? La mo rale
predica contro questa passione quasi soltanto come per sod disfare un debito :
la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti colori e si
ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto non sanno,
tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il compatimento
e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la riflessione sia del
tutto mutile. L ’ esperienza della vita insegna (e ciascuno lo ricono scerà in
stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti decisivi nei quali una
parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima indifferente, si
risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano una passione
nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è vero anche
della pas sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione quando la
passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale egualmente
di tutte le passioni? La ragione non può di struggere l’istinto, ma può
dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei suoi
inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle
illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L ’ uomo, sopratutto nella giovi
nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la
sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila
¡realtà delle forme più ¡belle e più desi derabili. Lo spirito soggiace allora
ad una specie di limita zione del proprio orizzonte : esso si chiude
nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose. In
questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si deve
e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di
dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al
pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose,
col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura
delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e
veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare
saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come
l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma
quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide
apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in ganni quanto
nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed
ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie
d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo
sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso
che la nostra natura inferiore ; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè
l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli
occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci
desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo incantato
pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro si sforzi
di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione : che
l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es sere che
freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che
desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della-
persona; è una specie di trasfi gurazione di tutto l ’ essere che in fondo
rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra
personalità. Per ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di
sti- una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita inevitabilmente
da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine ideale, oggetto
d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico e volgare che
ci 'meravigliamo d’avere deside rato. Bisogna, in .secondo luogo tener
presente quest’altra, consi derazione : che la «tessa personalità sessuale,
dato che in noi potesse persistere lo stato passionale corrispondente, è ben
lun gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed immutabili : la sen sualità
è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso. Un amore puramente
sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato ardore : la vita
dominata dalla lussuria ap pare, freddamente considerata, dolorosa ed ignobile
nello stesso tempo. L ’ amore d’ una donna non rende beati che quando può
trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa miglia, od
associarsi la sentimenti ideali e diventare una co munione morale ed
intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo
sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione
spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la
elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera
sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti mento
che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa zione nel senso, la
loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna
in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi
sono nella vita aspira zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle
dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore.
La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi
ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la
volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti della
vanità. In cambio della vo luttà l’uomo deve il più delle volte sacrificare
alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo benessere, il
suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane í
quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no bile
scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della
sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei
più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della
rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto
quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita
inferiore, suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che
lo ©levi sopra la sfera della bellezza sensi bile. La passione ardente ohe
travolge qualunque considera zione e saggezza puramente umana, s’arresta
dinanzi alle vo lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà
d ’ un valore infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo
rivolgere il nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza
che non possa essere vinto degli ardori del senso : ma la contemplazione e
¡l’amore delle cose ideali tra sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre
i nostri occhi ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo
amore non è per sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della
riflessione critica e induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il
germe della passione non trova un terreno fa vorevole e viene soffocato prima
di svolgersi. Inoltre la con suetudine con una sfera più alta di vita crea un
sano e salutare orgoglio che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza.
Un’i stintiva fierezza, permette al selvaggio di sopportare con viso
impassibile i più aspri tormenti : un uomo che sopporterebbe la povertà, la
fame e qualunque strazio per il suo dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo
zimbello dei suoi istinti e sacri ficare tutto quello che di grande e di safro
ha per lui la vita per il possesso d’una donna? Da queste considerazioni
discende anzitutto la condanna di ogni degenerazione ignobile dell’amore.
L’istinto che tende ciecamente verso la sua isoddisfazione è soggetto a
singolari aberrazioni : e l’istinto sessuale umano può essere anche
aiutato in queste sue deviazioni dal ritorno atavico della associazione
sua con altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso alla crudeltà.
Anzi anche dall’associazione con sentimenti superiori non ignobili : come è
avvenuto' per es. nell’amore omosessuale greco. La cura estrema con la quale
queste tendenze vengono tenute segrete le fa apparire come eccezioni : ma
coloro che se ne occupano per dovere professionale sanno che esse sono
tutt’altro che rare, anche fra individui delle classi elevate. Esporre i
pericoli e le vergogne a cui queste degenerazioni con ducono è cosa inutile :
coloro stessi che vi soggiaccione li cono scono. Ogni animo non ignobile deve
del resto essere trattenuto sull’orlo di questo abisso dal rispetto di sè
stesso. Ma se ciò noni bastesse, egli deve rappresentare a sè chiaramente che,
degradando la sua vita in queste turpitudini, sacrifichereb be a misere,
bestiali voluttà tutto ciò che di migliore e di desi derabile può offrire la
vita dell’ uomo. L ’ atto dell’ uomo non è qualche cosa che si possa isolare
dalla natura sua e se ne stacchi, appena compiuto, come il frutto che cade
dall’albero : esso ri mane anche dopo e non si cancella. Seguire l’istinto
nelle sue depravazioni vuole dire rassegnarsi a diventare un essere be
stialmente istintivo : non bisogna illudersi di potere dopo ciò conservare in
sè qualche cosa di veramente elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare la
propria vita a tutte le mi serie dolorose che accompagnano la vita d’un essere
tutto con finato nella sua animalità. Ma vi sono anche altre forme ddl’amore
in apparenza più normali ed elevate che vengono coinvolte in questa condanna.
Non parlo dell’amore prettamente mercenario, che è anch’esiso una forma di degenerazione
: parlo dell’amore vago che, pure fuggendo ogni attaccamento saldo, circonda il
godimento d’una parvenza di sentimentalità che sembra 'redimerlo e nobilitarlo
: è l’amore per l’amore, l’amore libero che comincia generalmente fra le rosee
illusioni e finisce quasi sempre nella vergogna e nel pianto. Non vi è uomo
quasi che non abbia- lasciato fra- le sue spine qualche illusione di
giovinezza insieme con qualche brandello di felicità e di onore, che, se avesse
la magica arte dello ^scrittore, non potrebbe scrivere anch’egli, come romanzo,
una pagina della 'sua vita e dedicarla a suo figlio «quando avrà vent’aoani».
Non vi è da illudersi quindi che la saggezza degli altri possa sostituire
totalmente l’esperienza vissuta; ma essa potrà, se non altro, aiutare a
formarsi rapidamente questa esperienza e a non consumare dolorosamente anni
preziosi ad inseguire un vano fantasma che ci allontana dalia felicità vera e
durevole. L’amore tende per sua natura, in ogni animo ele vato, a stringere
un’unione indissolubile; quindi il correre ap presso ad un amore che noi già
sappiamo non poter condurre ad una simile unione è un preparare a sè stesso, a
scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità. Vero amore è soltanto l’a
more che è legato da un senso profondo di pietà e di respon sabilità : e
questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine della vita al fianco
della donna che gli si è data e di non ab bandonarla in balia dell’incerto
destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari rimpianti e rimorsi
: la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla propria coscienza, quando
viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza che avvi lisce chi la
commette. Del resto già sappiamo che un amore pu raímente fìsico è sempre
deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio degli uomini attratti
verso le donne non ancora cono sciute. Ma anche questo errare, dato che
potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare continuo di
delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi in realtà
vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è inseparabile
dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non termina in
altro, che non isi associa con i senti menti più elevati della natura umana, è
un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di tutti i fronzoli
sentimen tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca affannosa della donna
11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e libero è la
conquista, attraverso molte amare esperienze, di questa semplice verità : che
non vi può essere amore veramente felice se non nel nobile sentimento che lega
l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe l’amore pertanto, io direi al
giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di vaghe lusinghe, non si disisoci
mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza retta e pura! Anche at
traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto! Non acqui stare il
piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere debole e indifeso :
questo sarebbe un tradimento vile che nes suna riparazione pecuniarda
cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione può
scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a gettare
la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza del mondo
biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta coscienza
morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di quelli che la
viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda carità cresce
agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza miserabile. Se
vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori, questo è bene il
sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia qualcuno che deve a
noi la vita e che ha ragione di impre care, in mezzo alle sue miserie, al
nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la virtù dell’amore.
Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù soprannaturale, ma saper
rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra natura, alle soddisfazioni dei
sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere casti vuole dire anzitutto dunque
essere forti, saper tenere lon tano da sè i vizi vergognosi che minano ila
salute e corrompono la, delicatezza e la dignità del carattere : vuole dire
inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili nostro piacere a prezzo del
disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che l’amore non sia per te fonte
di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia l’armo, nia di due volontà
nobili e pure, per le quali l’amore non è che l’inizio d’una comunione più alta
di vita. Piero Martinetti. Martinetti. Keywords: l’amore velia, antologia
platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Martinetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martini: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano).
Filosofo italiano. Grice: “One would
think that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were
delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice:
“He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from
Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore –
is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di
Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in
medicina, cui seguirà anche quella in
filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una
brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza
in fisiologia e poi quella di medicina
legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in
assoluto. Di Torino fu anche rettore,
negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di
cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma non mancarono episodi tragici, allorché,
pochi anni dopo le nozze, perse la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio
Giobert), dalla quale ancora non aveva avuti igli, né li avrebbe avuti in
seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento
e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche. In questo filone,
il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa physiologiae” e “Lezioni di
fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto agli Elementa medicinae
forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe fatto seguito il Manuale di
medicina legale. Il variegato percorso
saggistico non si limitò (e non si esaurì) a studi a carattere
medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum studiorum
seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori classici, come
nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di cui peraltro riuscì a
terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando persino a stilare, sia pure non in forma sistematica, una Storia
della filosofia. Risultati migliori li
ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è
testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione dai
dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta cultura, tratta
emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza soluzione di continuità,
il "viver sano" e il "maritaggio", il "governo della
famiglia" e la felicità, le "tendenze morali" e la
"moderazione nella prosperità", passando per i modi attraverso i quali
"sopportare le avversità". Saggi: “Elementa physiologiae” (Pica,
Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle nazioni” (Chirio, Torino);
“Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina curativa” (Marietti, Torino); “Polizia
medica” (Fontana, Milano); “La scienza del cuore” (Fontana, Milano); “La colera
indica” (Fodratti, Torino); “Elementa medicinae forensis, politiae medicae et
hygienes,” Marinetti, Torino “Manuale
d'igiene,” Fontana, Milano “Lezioni di
fisiologia,” Pomba, Torino “Patologia
generale,” Elvetica, Capolago “Invito a'
medici piemontesi all'occasione del cholera morbus,” Cassone, Torino “Storia della fisiologia,” Cassone,
Torino “Manuale di medicina legale,” Fontana, Milano; “Emilio, Marietti, Torino “Della solitudine,” Marietti,
Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti, Torino “Guerra e pace dei sensi,”Tip. Marietti,
Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi
filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma
della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino;
“Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica,
Capolago “Alcune vite di donne celebri,”
Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae
facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del
conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino
Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone
e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia
delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F.
Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti,
Torino; G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano.
G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo
risorgimento, F. Predari, Pomba,
Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere,
s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti
del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della
letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari, Pomba, Torino G. Gerini, Due medici
pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano. Lorenzo Martini. Martini. Keywords:
storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Martino: l’implicatura
conversazionale -- la religione civile della prima e unica Roma! – magismo -- filosofia
italiana meridionale – filosofia del sud – filosofia italiana -- Luigi Speranza
(Napoli). Filosofo
italiano. Grice: “I like Martino –
and his interviewees – there is indeed a ‘discepolato’ around him.” Grice: “We
don’t have anything like Martino at Oxford – Hollis is the closest I can
think.” Grice: “In his strictly philosophical explorations, Martino aptly clashes
with Croce!” -- Dopo la laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni
sui gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle
discipline etnologiche. Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria,
collaborando a L'Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia
ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto
inedito. L'ingresso nel circolo crociano «Erano quelli gli anni in cui
Hitler sciamanizzava in Germania e in Europa, e ancora lontano era il giorno in
cui le rovine del palazzo della Cancelleria avrebbero composto per questo
atroce sciamano europeo la bara di fuoco in cui egli tentava di seppellire il
genere umano: ed erano anche gli anni in cui una piccola parte della gioventù
italiana cercava asilo nelle severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per
risillabare il discorso elementarmente umano altrove impossibile, persino nella
propria famiglia». Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo
nell'etnologia” è un tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio critico
della filosofia storicista di Croce. Secondo M., l'etnologia solo attraverso la
filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che
accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli
indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a
introdurre il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la
pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già
scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo
etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato
nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale M. elabora alcune delle idee che
rimarranno centrali in tutta la sua opera successiva. Qui M. costruisce
la sua interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità
di una "presenza" non ancora determinatasi, viene padroneggiata
attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, de
Martino comincia a militare nei partiti di sinistra. Lavora come
segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato
da Gramsci e da Levi, cinque anni dopo,
entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione,
negli anni che seguono, M. comincia a interessarsi sempre di più allo studio
etnografico delle società contadine del sud Italia, in contemporanea con le
inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa fase,
talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note al
grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del
rimorso. Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare,
che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del
rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da
uno psichiatra (Jervis), una psicologa (Jervis-Comba), un'antropologa culturale
(Signorelli), un etnomusicologo (Carpitella), un fotografo (Pinna) e dalla
consulenza di un medico (Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo
vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A
queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta di saggi,
“Furore Simbolo Valore”. E stato collaboratore di R. Pettazzoni all'Università
"La Sapienza" di Roma, nell'ambito della Scuola romana di Storia
delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di Etnologia, dha
insegnato all'Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con Cirese,
Lilliu, Cases, la sua assistente Gallini, e in seguito altri studiosi, quali
Cherchi, Angioni, Clemente, e Solinas, saranno esponenti di una significativa,
sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari, della quale de
Martino è considerato uno dei fondatori. È considerato uno dei più
importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia
dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico. La presenza La
presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come
la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie
per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica,
partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre
attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il
"da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto
dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi
della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo
minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti
offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito
definita come "tradizione". 11spedizione in Lucania Se si vuole
rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e
gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua
militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e
magia e La terra del rimorso e gli
appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente
un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico,
esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal
riordino delle carte ad opera di Brelich e Gallini, bisogna rendere centrale il
nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del
negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l’immaginazione simbolica
collettiva è la realizzazione di un’ethos del trascendimento che, come un mito
di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell’”oggetto”
per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della
“presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi
in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia
tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra se’ e il
mondo “altro da se’”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di
vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende
incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle
religioni) come base insopprimibile della costituzione di sè come
soggetto: “Vi è dunque un principio trascendentale che rende intellegibile
l’utilizzazione e le altre valorizzazioni, e questo principio è l’ethos
trascendentale del trascendimento della vita nel valore: attività dunque, ma
ethos, dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante attività che
fa mondo il mondo, e lo fonda e lo sostiene.” Costante, inoltre, nella
ricerca sul campo, come nelle analisi ed elaborazioni degli ultimi anni, fu
l’indagine sul valore euristico assegnato ai dati psicopapatologici, sempre
legato a una riflessione critica sulla trasferibilità delle relative nozioni in
contesti culturali diversi e sulle loro implicazioni sul piano antropologico e
filosofico più generale: dalla figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il
mondo magico, ai fenomeni di dissociazione e possessione (influenzato dalle letture
di Shirokogoroff e PJanet) nei riti della taranta, fino alle note sulle
“apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo. Il folklore
progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo regressiva,
secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di Gramsci “un
agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo e superstiti
documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività delle classi
subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla cultura dotta delle
élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo partenopeo, con il
saggio “Intorno ad una storia del mondo popolare subalterno”, pubblicato su
Società sul nr.3 di quell’anno, in cui riprende studi e indagini della nuova
etnologia sovietica (Tolstov, Hippius, Cicerov, ispirati da Propp). In un
saggio lo define come proposta consapevole del popolo contro la propria
condizione socialmente subalterna, o che commenta, esprime in termini
culturali, le lotte per emanciparsene.” Il concetto fu poi ripreso, discusso
problematicamente e allargato in particolare da Cirese (in rapporto a Gramsci)
e Satriani (il folklore come cultura di contestazione). I “folkloristi”
erano stati oggetto di critica di de Martino già nella sua prima opera del
1941, Naturalismo e storicismo nell’etnologia, in quanto puri descrittori e
catalogatori con criterio naturalistico e non storico-culturale: per cui il
folklore rimane, pur categorizzato come “progressivo”, come fenomeno di
indagine antropologica nei termini più complessivi di cultura popolare.
Crisi della presenza e destorificazione del negativo In quanto alla “crisi
della presenza” come spaesamento, ne La fine del mondo, M. racconta di una
volta in Calabria quando, cercando una strada, egli e i suoi collaboratori
fecero salire in auto un anziano pastore perché indicasse loro la giusta
direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza.
L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e
propria angoscia territoriale, non appena dalla visuale del finestrino sparì
alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile
rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio
domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo
riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal
finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo
quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacificò. In un altro
esempio, per esprimere il medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa,
cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza,
che avevano però l'usanza di piantare al centro del loro accampamento un palo
sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni volta che
"approdavano" in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si spezzò, i
membri della tribù si lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia. Il
concetto di spaesamento, come una condizione molto "rischiosa" in cui
gli individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, che in qualche
modo fungono da "indici di senso", viene inserito dunque da M. nelle
sue categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del negativo.
La crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle
quali l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia,
morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi
radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in una
storia umana", scrive de M.) in quel dato momento scoprendosi incapace di
agire e determinare la propria azione. La destorificazione del negativo
permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione
mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito. Secondo Signorelli,
antropologa ee collaboratrice della spedizione nel Salento, "Il dato
esistenziale che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora)
viene mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato
esperito e viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici". Se
il mito è narrazione, il rito è un comportamento orientato ad uno scopo e
ripetuto con parole e gesti di significato altamente simbolico. È così che
mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla soluzione della crisi,
astraendo dalla storia reale in cui agisce il negativo. Quando è il
negativo a prevalere, e questo accade in fasi particolarmente drammatiche
dell’esistenza umana (come la morte di una persona cara), può manifestarsi una
crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del
trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel valore e la mancata
valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della
valorizzazione è necessaria per impedire la destrutturazione dell”esserci”, in
quanto il “vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello
dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza
abdica senza compenso”. L'elaborazione del lutto ed il pianto rituale
antico Magnifying glass icon mgx2.svg
Morte di Gesù negli studi antropologici e Planctus. Organizza una serie
di spedizioni di ricerca in Lucania, accompagnato da un’equipe
interdisciplinare, tra cui Vittoria De Palma, anche lei etnologa e compagna di
vita e con l’utilizzo di strumenti quali il magnetofono e la cinepresa,
innovativi rispetto all’indagine folklorica classica. Riconnettendosi a Il
mondo magico, decide di concentrarsi sul lamento funebre e la “crisi del
cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle ritualità legate ad una crisi
esistenziale tra le più gravi, come quella che segue la perdita di un caro, e
il pianto e il dolore collettivi che rappresentano la “crisi della presenza”,
della propria e di tutti, minacciata dalla morte. Il pericolo del lutto è
dunque quello dell’annullamento totale. In Morte e pianto rituale. Dal
lamento funebre antico al pianto di Maria affronta anche il senso della morte
di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale dell'uomo nel mondo ed al
momento traumatico della esperienza della morte dei propri cari. Di fronte alla
"crisi del cordoglio" che può portare al crollo esistenziale, emerge
la esigenza di elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente
codificata del rito. La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a
forme sopportabili la carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente
alla morte tragica di Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi
uguali nel dolore, ma che diventano anche promessa di resurrezione. «È
possibile interpretare la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione
di una storica risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo
risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel
banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la
Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano
temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca
in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta
alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa un grande rituale
funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come
pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il che
poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)".
Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la
fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica
rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del
piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e
l'evento futuro della definitiva Parusia.» De Martino indaga la
persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre,
come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima
del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento
luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione
mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi. Su questi temi si è
soffermata una sua studentessa e collaboratrice, lEpifani, nella commedia La
fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa. Saggi: “Naturalismo e
storicismo nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot
pronounce ‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico:
prolegomeni a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto
rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi,
Torino); “Sud e magia La terra del
rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); -- cf. Grice, magismo – two kinds of magic travel,
carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore,
simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica
fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano);
“Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There
are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine
del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana
viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi”
(Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i
fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione
in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e
documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una
vicinanza discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino);
“Panorami e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del
Salento” (Squilibri, Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal
laboratorio del mondo magico” (Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele”
(Argo, Lecce); “Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione
nel Salento” (Argo, Lecce); “Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni,
Una scuola antropologica sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali”
(Roma, Donzelli); “Antropologia e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e
religione”, “Il folklore pro-gressivo, in l’Unita’, “Teoria antropologica e
metodologia della ricerca, L'asino d'oro ; Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci,
G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Nuoro, Il
Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri, Soglie dell'impensabile. Apocalissi e
salvezza, Rivista sperimentale di freniatria: la rivista dei servizi di salute
mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico; Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria
della crisi e del riscatto, "aut aut", S. Fabio Berardini, Ethos
Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento
Giordana Charuty, Le precedenti vite di un antropologo, Angeli,
Milano, P. Cherchi, Dalla crisi della
presenza alla comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso dell'ombra:
l'etnocentrismo critico e il problema dell'auto-coscienza culturale, Napoli,
Liguori, P. Cherchi, Il signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli,
Liguori); S. Matteis, Il leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario
intellettuale, Napoli, d'If, Donato, La Contraddizione felice? Martino e gli
altri, ETS, Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma, riedita da La mongolfiera edizioni e
spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F.
Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia
Italiana, Appendice, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra
del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia
degli studi classici e del mondo antico,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, M. Fra religione e
filosofia, Napoli, Bibliopolis, Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne, Zanardi,
Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Tabacchini,
Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa, Enrico
Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli, Magia ed
etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude
Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Altan Alberto Mario Cirese G. Angioni
Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di Cagliari A. Gramsci
Storia delle religioni Etnologia Pizzica, Treccani Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M.
Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, VDizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Massenzio, M. e l'antropologia, in Il contributo
italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Recensione a Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al
pianto di Maria. Recensione a Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del
magismo. Pagina autore Liber Censor.net
di Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De Martino, su iedm. Società di
Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org. Interpretazioni
dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto de Martino, su
L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo popolare
subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of
‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian
philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia
del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Ernesto de Martino. Martino. Keywords:
religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route –
carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Masci: l’implicatura conversazionale -- critica della critica della ragione –
implicatura solidale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Francavilla
al Mare). Filosofo italiano. Grice:
“But perhaps more interesting that his explorations on the judicative are
Masci’s conceptual analysis, and fascinating ‘natural’ history of the will,
with a focus on Aristotle!” Grice: “Like Masci, I make a conceptual connetction
between willing and free-will.” – or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice:
“I like Maci; he has philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my
“Needs’ – and what he calls the psycho-physical materialism. Also on what he
calls the psychological parallelism – He spent a few essays on quantification
and measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’
in psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and
belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought. Nato
in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di
4 anni. Frequentò il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli
studi liceali, fu allievo del professor Mola, che gli insegnò filosofia,
scienze e matematica. Iniziò nel 1862 gli studi di giurisprudenza all'Napoli,
dove si laureò nel 1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative.
Cominciò ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni
tenute da Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua
formazione universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi
studi c'era il pensiero di Kant e Hegel. Ottenne la cattedra di
professore reggente di filosofia presso il liceo di Chieti, prima
dell'abilitazione che gli fu consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato
vincitore di un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche
grazie ad un saggio sulla Critica della ragion pura. Divenne libero docente di
filosofia teoretica all'Napoli e, l'anno successivo, di storia della filosofia
presso l'Pavia. Abbandona l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove
era stato nominato professore straordinario di filosofia morale. All'istituto
scolastico lasciò numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne
Professore all'Napoli. Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di
consigliere comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera
politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona al Mare per la legislatura e
fu un sostenitore di Annunzio. Entra nel
Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema dell'istruzione pubblica.
Sosteneva la maggiore importanza della formazione classica rispetto a quella
tecnica o scientifica nelle scuole secondarie. Liceo scientifico
"Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente dell'Accademia di lettere ed
arti della Società Reale di Napoli, socio della Regia Accademia dei Lincei,
membro del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni
culturali. Presso i lincei difese l'importanza di Kant e Fichte in contrasto
con le parole di Luzzati che li aveva criticati per essere filosofi tedeschi.
S’erige un busto commemorativo a Francavilla al Mare e il neonato liceo
scientifico di Chieti fu intitolato in suo onore. Nel corso della sua
carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che continuò a frequentare negli anni
successivi. Inoltre fu tenuto in grande considerazione da Spaventa. Compone “Pensiero
e conoscenza”, in cui sono racchiusi gli aspetti più importanti della sua
filosofia. Ha molteplici interessi (filosofia, psicologia, sociologia,
pedagogia, diritto e storia) ed è considerato uno dei più importanti esponenti del
neo-kantismo o neo-criticismo, avendo rifiutato sia alcune posizioni di
Spaventa, sia l'affermato positivismo di Ardigò, che esclude ogni possibile
principio a priori della conoscenza. La ripresa della filosofia di Kant e segnata
dalla convinzione che e sbagliato ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma
anche dal tentativo di studiare la genesi psicologica delle categorie e quindi
negare la loro formulazione numericamente rigida. Nel materialismo psico-fisico
cerca di dimostrare l'unità tra anima e natura in una concezione psico-fisica
della realtà, ma la sua filosofia e criticata da Gentile, anche a causa della
mancata adesione al ne-oidealismo. Saggi: “Le forme dell'intuizione” (Vecchio,
Chieti); “L’istinto” (Società Reale, Napoli); “Il materialismo psico-fisico”“Il
parallelismo in psicologia, “Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli Intellettualismo e pragmatismo, “Atti della
Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, “Quantità e misura
nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e Politiche
della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Della
misura indiretta in psicologia.”Conoscenza scientifica e conoscenza matematica.
Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Credenza e conoscenza” -- “I like the latest bit, where he discusses
the reciprocity of the faculties” – Grice.)
Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero e conoscenza,”Bocca
Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino per uniforme
ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine
dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità
abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo). Storia
del liceo M. e biografia, Liceo M.).
Discorso di commiato per la morte di Masci, su notes 9. senato.
Pietrangeli, M. e il suo neocriticismo, Milani, Padova, Gentile, M.: dal
criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs, Chieti. Giuseppe Landolfi
Petrone, M., Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Atreccani
Enciclopedie , Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere M., su Liber Liber. Opere
di M., su open MLOL, Horizons Unlimited srl.
M., su storia.camera, Camera dei deputati. M. su Senatori d'Italia,
Senato della Repubblica. Differenza tra la filosofia e le scienze pparticolari.
Oggetto della Filosofia. La Gnoseologia e la Filosofia prima come parti fondamentali
della Filosofia generale. Distinzione dei sistemi filosofici, loro significato
e importanza. Distinzione delle altre parti della Filosofia generale ed
applicata, partizione e limiti della Filosofia elementare. LOGICA PRELIMINARE.
CONCETTO DELLA LOGICA E SUE ARTI. La Logica come scienza formale e
dimostrativa, sua definizione. Importanza della Logica. Suo rapporto con le
altre parti della Filosofia e con la scienza. Pensiero e conoscenza;
divisione generale della Logica. Nozioni preliminari sulle formo elementari,
concetto, giudizio, sillogismo; forme metodiche. I PRINCIPII LOOICI.
Determinazione dei principii. Il principio d'identità. Il principio di
contraddizione, valore di questo principio. Il principio di terzo escluso.
Il principio della ragion sufficiente. Valore dei principii logici.
Illustrazioni filologiche. Logica, dialettica, annliticn, elementi, c
oncetto , nota, rappresenzione, teoria. Teorema, problema/Speculativo. Astratto
e concreto, soggetto ed oggetto, contenuto ed estensione, analisi e
sintesi. Teoria delle forme elementari. Il concetto. Formazioni: k
natura dei. concetto. Il concetto e l’astrazione. L'iinagine concettuale.
Il concetto e la parola. Caratteri del concetto. Il concetto e l'essenza.
Il concetto e il giudizio. II. CONCETTO CONSIDERATO IN SE STESSO. Lo note,
loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro ordine in esso. Concetti
nstrutti e concreti; qualità, generi, specie, forme diverse
dell'astrazione. Nota e parte, concetti di relnzioue, Contenuto ed
estensione dei concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione. Contenuto
ed estensione nei concetti di relaziono. Della chiarezza del concetto. Il
concetto considerato in rapporto ad altri concetti. Rapporto d identità e
diversità, concetti equipollenti e concetti reciproci, significato delle parole
sinonimo ed omonimo. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi e privativi,
con¬ cetti in opposizione contraria reciproca. Rapporto «li
subordinazione e coordinazione, contiguità ed interferenza dei concetti, i
sistemi dei concetti. Subordinazione e coordinazione dei concetti di relazione,
condizione e condiziauato, prin¬ cipio e conseguenza. Le
categorie. Categorie grammaticali, logiche e gnoseologiche,
classifica¬ zione aristotelica delle categorie, differenza tra le
categorie logiche e le grammaticali. Le categorie gnoseologiche, la
classificazione kantiana, Le categorie di .sostanza e di causa; il numero
come epicategoria. Grammatica e Logica. Elementi materiali ed elementi
formali del linguaggio. Influenza del pensiero sul carattere formale della
lingua. Influenza delle forme grammaticali sullo sviluppo del pensiero. Il
Giudizio. Del giudizio in generale. Definizione logica del giudizio,
le definizioni realistiche e le logiche, teoria del Brentano, Elementi
dol giudizio, Della classificazione dei giudizu. La classificazione
tradizionale dei giudizii e il suo fonda¬ mento logico. Discussione delle
obiezioni contro d i essa, Forme dei giudizii secondo la qualità -- il
giudizio affermativo e le varie specie d'identità da esso espresse;
il giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali, limite
della predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una forma a
sé rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio
infinito,’ Jorme dei giudizi! secondo la quantità; il giudizio
universale, sue forme quantitativa e modale; il giudizio par- 6
ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata de universa ' 6 ;^! 1 giudeo individule,
sue forme si laro Polme ?-’ sua ,. ,rre f ucibiIità al giudizio
universale, p. ICO Forme de. giudizi, d,
relazione; a) il giudizio categorico sua fun¬ zione sua irreducibilità;
») il giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo Ino g j 17 - 1 1 ?°|.
etl ° 1 ' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato logico
condiziom di validità; si mostra che non iuchiudfn con catto della
re^rocità d' azione ed è un giudizio dell’estensione, ft* e
giuiUzi. modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt Dki
GIUDIZII COMPOSTI. Natura dei giudizii composti, loro specie, p.
171 s U Ghi notti ::rr u >i r f eiazìoue <,mogen,;u 172 -§ m.
(h^ CO m- post. a relazione eterogenea, Giudizii contratti, Qnadro
generale di tutte le forme dei giudizii, p. no. Giudizi analitici e
sintetici. r t i I | GÌ j d !? ÌÌ analitici - sintetici, e
sintetici a priori, II -ritmile della teoria dei giudizii sintetici a
priori, significato vero di questa teoria, Giudizi! empirici e giudizii a
priori. Delle relazioni dei concetti nei giudizii DELLE RELAZIONI
DEI GIUDIZII. Attribuzione del predicato ni soggetto nei giudizii, Dipendenza
delle relazioni dei giudizii dulie relazioni del loro contenuto,
relazioni immediate, e mediate, e specie della prima tecnica dei
raziocina immediati, e schema della subalternuzioue e dell opposizione
dei giudizii. Delle trasformazioni dki annui Trasformazioni quantitative
e modali per subalternazione, Trasformazioni quantitativo-qualitative e
modali por opposizione, Trasformazioni por equipollenza qualitativa, per
equipollenza della relazione, per equipollenza tra la quantità o la
modalità, Teoria delle reciproche, suo valore logico; teoria delle
reciproche universali affermative ; caso delle reciproche condizionali,
(teorema di Hauberì.Lo reciproche universali negative. Lo reciproche
particolari affermative e negative, Teoria della contrapposizione, Si
prova che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni
universali sono, quando sono possibili, vere illazioni, Il
Sillogismo. Ragionamento e Sillogismo. I gradi del sapere e le
vie della ricerca, sillogismo e induzione, Strutturo del sillogismo e sua
definizione, La sillogistica aristotelica e la sillogistica delle
scuole, generalizzazione logica e generalizzazione scientifica, l'uni¬
versale come fondamento ili qualunque dimostrazione, Il sillogismo
categorico. Regole gonerali del sillogismo. Figure sillogistiche, Modi
generali del sillogismo, e modi speciali di ciascuna figura, Valore delle
figure sillogistiche, la quarta figuro, Specie del sillogismo; 1'
entimema, la sentenza entimematica, l'epicherema, il
polisillogismo, Il sorite; sorite deduttivo e sorite induttivo, Rapporto tra la
vorità dell’ illazione e la verità delle premesse SILLOGISMO IPPOTETICO E
IL SILLOGISMO DISGIUNTIVO. Il sillogismo ipotetico: impossibilità di
ridurre 1 una all altra le forme del sillogismo; sillogismo ipotetico con
termine medio, sillogismo ipotetico senza termine medio e suoi modi, Il
sillogismo disgiuntivo e sue formo, Il dilemma, sue forme, sue regole, Del riii Nciptp e dui. valore del
sillogismo. Esposizione ed esame delle obiezioni contro il valore
dimostrativo del sillogismo, Critica della teoria del Mill, che ogni
ragionamento, e quindi anche il sillogismo, e un inferenza dal
particolare al particolare, Esame della quistione se il sili ogismo sia
la forma generale del raziocinio, Del principio fondamentale del sillogismo; se
sia materiale o formale; i principii aristotelici e quelli del Lambert. Si
dimostra che il sillogismo si fonda sugli assiomi logici e sul principio
della sosti¬ tuzione dell'Identico, Teoria pei. Metodo Metodo
sistematico Oggetto e parti del metodo; oggetto e parti del metodo
si stemutico, La definizione. Elementi della definizione ;
come 1' individuazione del concetto sia effetto della loro composizione, Le definizioni come principii proprii nelle
scienze deduttive e induttive, Concetti indefinibili e loro specie ; forme
approssi¬ mate della definizione, e loro valore assoluto e comparativo,
Definizione nominale e definizione reale, specie della definizione nominale, la
definizione nominale induttiva; la definizione reale, definizioni
riversibili, difficoltà opposte delle definizioni metafisiche «d
empiriche, metodo delle definizioni reali induttive, definizioni reali
deduttive, Definizioni analitiche e sintetiche, la definizione genetica, Regole
delle definizioni, Divisione e Classificazione. Concetto della divisione,
e sue regole, Da dicotomia, sue specie, suo valore logico, La classificazione
scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità apparenti; la
classificazione tassonomica e la classificazione per serio, La classificazione
per tipi , sue specie; inferiorità della classificazione per tipi alla
classificazione per definizioni, Le classificazioni genetiche ; come siono
apparecchiate dalla fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle
classificazioni genetiche, loro perfezione rispetto a tutte le altre,PnOVA
DEDUTTIVA K J'HOVA INOUTTIVA. Oggetto della prova; i principii di
prova e loro specie; specie •della prova, La prova deduttiva, sue forme
logica e causale, analitica e sintetica. Procedimenti e modi varii della
prova deduttiva analitica, Sqhema della prova induttiva; la teoria
dell’induzione in Aristotele, Bacone, Hume e Milli; verità ed errore
della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à, o il principio
d'identità possano essere fondamento deU'induziono, Differenza
dell'induzione dall' associazione psicologica; solo fondamento della logica
dell'induzione la dipendenza della realtà da principii a da cause come
una legge necessaria del pensiero e dell'essere. L'induzione come
operazione inversa della deduzione, limiti di questa teoria, Delle forme di
ragionamento che sembrano, ma non sono induzioni II postulato
dell'uniformità delle leggi di natura, come debba intendersi, e quali
sieno propriamente leggi ili naturu: rapporto del postulato col principio di
causa; si mostra che questo assicura non solo l’uniformità degli effetti,
ma anche l'uniformità delle cause, Gradi dell'induzione; di verse
condizioni della sua val idità nelle scienze della natura e in quelle
dello spirito; l'induzione nelle Matematiche, La PROVA ENTIMEMATICA E
L'ANALOGICA. La prova entimematica, sue specie, suo uso o valore
essen¬ ziale nelle ricerche scientifiche, suo carattere deduttivo,
Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e differenze dall
induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi che è
un’inferenza dal particolare al particolare, Rapporto tra l'analogia c l'as
sociazione psicolo gica: il nesso tra la funziono logica e la psicologica come
causa dell'uso larghissimo dell'analogia nella prova scientifica, e dei facili
errori ili cui è causa, L a ngioma perfetta e l'impe rfetta, grudi di
quest'ul- tima, e limiti della~sua validi^, p. ,'!tt "Tj Y.
L'analogia d'identità e l'analogia «li coordinuzione, La prova
indiretta. Tecnica della prova indiretta , sue forme contraddittoria
e disgiuntiva; e rrore d ella L gica tradizionale che ammette solo l
a prim a: critica delle contrarie teorie del Sigsvart e del Wundt,
La prova indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alternativa; la prova indiretta
contraddittoria, Paragono tra la prova diretta e l’indiretta; casi del
loro uso cumulati vo, e funzioni in essi della prova indiretta, 1 PUINUIPII DI
PROVA. Necessità che vi siano princi pii primi ; j vr indpii
proprii, Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi, postulati, a
ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro funzioni; discus¬
sione sui caratteri dell’assioma, Il criterio della certezza consiste
nell'inconcepibilità del contraddittorio, e nei postulati della verit à d ell'
esperienza ~~e ifolLy informità della natura, Sofismi . Se la
Sofistica sia una parte della Logica, Difficoltà di dare una buona
classificazione dei sofismi, esame delle classificazioni di Aristotele,
del Whately e dello Stuart Alili; ragioni di ridurre i .so¬ fismi a tre
classi secondo che riguardano o le premesse, o l'illazione, o la conseguenza
logica della prova, n. 3( il - Sofismi verbali e so fismi morali , p.
Sili — Sofisrnìuigici relativi alle premesse; loro specie, premesso
apparentemente vere, petizione di principio , inversione tra principio e conseguenza,
Sofismi relativi all'i llazi one, loro specie, 1 'ignorano elenchi, e il
ai- auto» probare nihil probare, So fismi r i rr» |a conse-
Metodo inventivo. Oggetto o parti del metodo inventivo, Dei
metodi ikdutitvi. Analisi dell'idea di legge; leggi normative, causati,
matematiche. Definizione della legge, Oggetto della ricerca
induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse dalle leggi di consistenza.
Il concetto.sperimentale della causa. Caratteri fondamentali della causalità
nella natura; la pluralità delle cause, lu molti- plicità delle serie
causali, hi composizione a collocazione delle causo, la trasformazione
delle cause, la causalità unilaterale e reciproca, L’osservazione
scientifi ca: il suo carattere fondamentale è la prevalenza del ragionamento
sulla percezione. Precetti a cui deve conformarsi. Le tre operazioni
nelle quali si risolve sono, l'analisi, l'eliminazione, la
generalizzazione. Osservazione esterna od interna, L'esperimento, suo
maggior valore rispetto all induzione. Necessità di mezzi superiori di
ricerca sperimentale, i metodi induttivi, Logica. ? o: t guenza
logica della p rova: s ofismi dedu ttivi, loro specie, sofismi di
conversione e di opposizione, sofismi por inosservanza delle regole
sillogistiche circa la qualità o quantità dell'illazione in rapporto alla
qualità e quantità dello premesso, sofismi di divisione e di
composizione, sofismi a dirlo secondimi quid ad ilictum simplieiter, et
secundunr alterimi quid. Sofismi induttivi; sofismi di osservazione, loro specie; sofismi di
generalizzazione, loro specie; i sofismi di falso analogio derivanti
dall'uso delle metafore sognano il limite di transizione dai sofismi di
pensiero ai verbali p. Dki metodi induttivi. (muti nuaz unir)
Metodi induttivi in Bacone, Herschell e Stuart Mill, Il metodo di concordanza,
Il metodo di differenza, e il metodo di concordanza negativa, Il metodo delle
variazioni, Il metodo dei residui; uso cumulativo dei metodi induttivi, Limiti
del valoro dei metodi induttivi dipendenti dalla mol teplicità delle
cause p ^dOili di uno stesso effe tto, e dalle complicazioni delle cause.
Necessità dell'integrazione deduttiva per ricollegare le parti del
procedimento induttivo, Dei. metodo deduttivo. Oggetto e
forme del procedimento inventivo deduttivo ; uso di questo procedimento
nelle scienze razionali, il valore delle ijw- tcsi in queste dipende
dall'inversione del procedimento deduttivo. Applicazione del metodo alla
risolupiona dei problemi ; necessità della dcdueione dei concetti come
fondamento di esso, 11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che
causali; suppone l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici,
o consiste o in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella
itjerificazio D e. Il procedimento deduttivo da i uotegi causali. C ondizioni
cIVih i- missibilità delle ipot esi, Condizioni di neiificazione ;
verificazione completa e incompleta.gradi di ciascuna, osompii. p.tòO. Discussione
delle cr itiche mosse all'uso dol imi unteci. Importanza dello ipotesi, e largo
uso di esse in ogni ramo di scienze come condizione del loro progresso ;
condizioni soggettive ed oggettivo delle vere ipotesi scientifiche,
Haitouti tua l'induzione e la deduzione. Divisione delle leggi in
primitive e secondarie, o delle secondarie in empiriche e derivate ; limiti
relativi della loro estensione, Si mostra con l'esame dei variimodi di
spiegazione di un fenomeno, che spiegare è dedurre. Limiti della
generalizzazione nella scienza, Significato relativo della distinzione
delle scienze in induttive e deduttive ; tendenza generale delle scienze
a diventare deduttive ; difficoltà di tale trasformazione, ed Muti che
riceve dall'applicazione del Calcolo, I P li O. Definizione logica del
problema, distinzione dei problemi in ipotetici ed assoluti, e modo di
risolverli, I problemi antitetici, modi di risolverli, VEBISIMIOLIANZA
QUALITATIVA. Verisimiglianza Qualitativa e verisimiglianza quantitativa:
norme logiche della prima, Delle ragioni di non credere alle
testimoniauzo contrarie a leggi causali note, Ul. e alle uniformità non
causali, Delle ragioni della in¬ credibilità delle coincidenze e
delle serie, Veiusisik; manza quantitativa. II calcolo delle probabilità e
le sue norme fondamentali, I suoi presupposti: in che senso e in che limiti è
vero che il calcolo dello probabilità suppone l'ignoranza delle
condizioni qualitative dell'evento, Il calcolo delle probabilità come
procedimento di eliminazione del caso; concetto logico del caso, Eliminazione
del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso rispetto alla causa,
Metodi delle Matematiche. Le Matematiche come scienze deduttive, I Metodi
dell'Aritmetica come metodi di formazione dei numeri; il siste¬ ma di
numerazione, e le operazioni, L' Algebra
come scienza delle funzioni: notazioni algebriche; l'Algebra come
scienza dell'equivalenza dei modi di formazione delle quantità, La
Geometria come scienza dell'equivalenza delle grandezze; i tre metodi
principali della Geometria elementare, la risoluzione delle figure; le c ostruzioni
ausilia rie, le c ostruzioni genetic he . L'induzione in Matematica, Estensione
e limiti dell applicazioue dello Matematiche allo altre scienze,
METODI DKU.K SCIENZE BTOBIOHK. La testimonianza come nnirp
[iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei fatt i stormi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co,
la verisijjiigliuuza; necessità del criterio estrinseco, cioè desumo
dalle reiasioni di tempoo luogo del racconto col fatto. Valore della
leggenda per la storia. S li.Monumenti; monumenti preistorici, f ihdmria o s|^
ri,i p .ts-. g m. Monumenti storici, maggior valore di essi in confronto
con lu testimo- niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a questa,
l'autenticità e la credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore (pianto
più è possibile riportare il racconto alla percezione diretta come a
causa- Maggior valore della tradizione scritta e suoi limiti,
L'autenticità è tanto maggiore quanto maggiore i- la possibilità di
escludere lo falsifica - zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti
della tradizione orale, esempio del valore storico dell’ epopea francese,
I criteriidei numero e della credibilità dei testimoni, Passaggio dai
fatti alle leggi ; s cienze storiche e sociul i. p. Dei metodi ueij-k scienze
storiche, Tre specie di melodi por la ricerca delle leggi storiche:
critica del metodo deduttivo astratto,Critica della teoria antropologica.
Critica dell'analogia biologica, Critica dal materialismo storico .Critica
della aeuola .dorica, L'indeterminismo storico, e la scuola
psicologica, Il metodo deduttivo inverso o storico, funzione
essenziale dell'Induzione in esso, le leggi storiche come lci/</i di
tendenze. \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i < 1 i nn •( 1 1• » induttivo
desunta dalla natura delle uniformità accertate dalla Statìstica,
p. òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi hanno n p valore limit
ato nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti possono essere utili,
se subordinati al metodo deduttivo inverso. Concetto della
Filosofia della storia, LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA MORALITÀ. L'aspetto
sociale perla coscienza di sè, S I. L'io sociale, sua formazione, sue fasi di
sviluppo, Identificazione dell'io sociale con l'io formale, l'io come principio
sociale, LA SoCIETA. Condizioni comuni della vita sociale animale ed umana, e
condizioni proprie di questa. Le società animali, Diffe renza tra la società
umana e l'animale. La teoria biologica, e l'ato mistico-contrattualista. Se la
società sia una realtà indipendente dalle coscienze individuali, Definizione
della S o cietà, p. 15. CAPO III. LE FoRME soCIALI PRIMITIVE E IL LoRo
svILUPPo. Il gruppo sociale primitivo, il costume, la sanzione religiosa,
organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale. Ori gine dello Stato, il
diritto e lo Stato, DIRITTO E MORALITA'. Unità primitiva delle regole della
condotta, separazione pro gressiva della religione, della morale e del diritto.
Dif ferenze tra la morale e il diritto, Caratteri differen ziali derivati,
Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto dell'Etica come scienza, La
Coscienza morale. I GIUDIzn vALUTATivi MoRALI. Giudizii di cognizione e
giudizii di valutazione, i giudizii valutativimorali, La teoria dei valori in
Economia, La teoria che pone il principio della valutazione m o rale nel
sentimento, Una forma speciale di questa, la teoria dei valori normali, Esame
della teoria sentimen talistica, Il senso morale, la simpatia, la pietà, I
GIUDIziI VALUTATIvi MortALl. Il sentimento non può essere principio di valutazione
morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è correlativo delle idee, e prende
nome da esse. Il sentimento del rispetto morale (Achtung) secondo Kant. Si
mostra che la ragione può operare sul sentimento, e che
èilgiudiziodivalorequellochelodetermina, Esame della teoria appetitiva e della
volontaristica dei valori morali, La teoria biologica dei valori,Il carattere
ra zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del cre terio
morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla sistemazione
finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico dell'Etica; d)
dalla idealizzazione progressive del sentimento morale, ANALISI DELLA cosCIENZA
MORALE. Coscienza morale e coscienza psicologica, genesi della c o scienza
morale nell'individuo, l'equazione personale della moralità, Genesi della coscienza
moralesociale, suo procedimento dal particolare all'universale, Contenuto ed unità
della coscienza morale, Autorità della coscienza morale, san zione, Sentimento
morale, affinità del sentimento m o rale col sentimento religioso, L'idea del
dovere come categoria morale ultima; essa suppone il dualismo morale, ed è la
condizione del progresso morale. Critica della teoria psicologica. Dovere e diritto.
La subordinazione dei doveri dipende dal grado della loro universalità.
Coincidenza del dovere e del bene.ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. La volontà
morale, esame della teoria che il fine giustifica i mezzi,Il carattere
psicologico e il carattere morale, Teoria aristotelica della virtù, che è un
abito, che è una medietà; critica di questo secondo carattere. Classificazione
ari stotelica delle virtù. La teoria kantiana, e sua opposizione con la
precedente. La loro conciliazione si può avere se si concepisce la virtù come
la sintesi superiore della coscienza morale, Se possa concepirsi l'estinzione
della coscienza morale,Le basi della moralità. LA LIBERTA' MORALE. Rapporto
teorico tra la libertà e la moralità, antinomia tra la libertà e la causalità,
vicende storiche del problema, i tre punti di vista dai quali deve essere
considerato, La libertà d'indifferenza, argomenti indeterministici, il numero
infinito, il nuovo, i casi d'indeterminazione nella natura, il caso, la
statistica. La li bertà intelligibile di Kant; teoria del Bergson, la causalità
ridotta all'identità, e la libertà creatrice. La libertàela testimonianza della
coscienza; argomenti opposti dei deterministi e degl'indeterministi; il
risultato della disputa non è favorevole alla libertà d'indifferenza, LA
LIBERTA' MORALE. La libertà e l'ordine morale, libertà e responsabilità, loro
nesso necessario. Contro di questo non valgono nè la critica dell'idea di
sanzione, che lo nega, nè l'idea dell'autonomia che non lo spiega, La libertà d'indifferenza in contrasto con la
respon sabilità, questa ammette la causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo
morale ne sono prova, Esame del criterio della pre vedibilità degli effetti dell'azione,
La libertà morale s'identifica con la causalità dell'io; la teoria psicologica
dell'auto coscienza e quella della volontà, come potere d'inibizione e d'im
pulso proprio dell'io, sono la dimostrazione di questa causalità. I n stabilità
delle condizioni psicologiche della causalità dell'io, con solidamento di esse
nel carattere morale, La respon sabilità morale richiede come suo fondamento
una formazione psi cologica identica per tutti, quindi non potrebbe
riconoscerlo nel temperamento o nel carattere psicologico. Differenza del consenso
teoretico e dell'adesione pratica in cui consiste la libertà. Rapporto della
responsabilità con lo stato d'integrità della causalità dell'io,e loro
variazioni correlative. Suo rapporto con l'educazione della v o lontà. La
libertà e la vita sociale, intimo rapporto della libertà con la solidarietà. LA solIDARIETA' MORALE. Libertà e solidarietà;
suggestione individuale e suggestione collettiva della solidarietà; la
solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la solidarietà e
l'eguaglianza, p. La soli darietà economica, sua causa la divisione del lavoro;
influenza di questa causa sulle forme superiori della vita sociale; anomalie.
Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso necessario, giustizia ed egua
glianza, Se la divisione della voro possa essere considerata come il principio
morale della solidarietà nelle società superiori; solidarietà nel diritto,
nella storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità morale della
natura umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, LA Giustizia,
La giustizia come idea morale fondamentale; la giustizia come virtù, cenni
storici, La giustizia come norma; teoria aristotelica, Teoria di Mill, La
giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia nell'ordine
economico, Giustizia e carità; il progresso morale, La legge morale.I sisTEM1
MoRALI. Classificazione dei sistemi morali. La morale eteronoma, La morale
autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici, I sistemi aprioristici e gli empirici, I
sistemi universalistici e gl'individuali stici, I sistEMI MORALI. I sistemi soggettivi, l'edonismo e l'eudemonismo,
I sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo
sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer). Altre forme
della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale del progresso, la
morale del vi vere secondo natura, La morale biologica, socialismo e
individualismo biologico, Critica della morale bio logica. Necessità di una
morale razionalistica. LA LEGGE MORALE. S l. Differenza tra la legge naturale e
la legge morale, carattere di obbligazione, altri caratteri della legge morale,
Concetto del Bene; la prima formula della legga morale, l'univer MAscI–
Etica. - – salità. La seconda formula
della legge, la finalità. La terza formula della legge, l'autonomia. Unità
delle tre formule. Il sentimento m o rale, Il carattere formale della legge morale
kantiana; vecchie e nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità
che è in esse. Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista
gnoseologico, p. 210 – S Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista
oggettivo, L'accentuazione formalistica
della dottrina kantiana come conseguenza dell'opposi zione contro l'empirismo
morale, necessità della negazione del for malismo morale, e del dissidio tra la
ragione morale e il sentimento morale. Valore storico e teorico dell'etica
kantiana. LE FORME DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come
scienza sociale; suoi aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita
sociale: la famiglia, la società civile, lo Stato, la società religiosa. LA
FAMIGLIA. S I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna,
L'idealità morale nella famiglia. La famiglia dal punto di vista giuridico e
dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica della
teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della comunità
morale, Il m a trimonio civile e il religioso; i rapporti tra i coniugi, e tra
i geni tori e i figliuoli; la patria potestà,
LA SOCIETA' CIVILE. Concetto della società civile; in qual senso e in
quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla famiglia, la
società ci vile e lo Stato, Le classi sociali, gli antagonismi so ciali e lo
Stato, LA SoCIETA' CIVILE COME SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. Diritti personali e
diritti reali, loro comune fondamento. D i ritto di libertà e sue
specificazioni, la personalità morale e giuridica –della donna,
limitazione della seconda nella sfera del diritto pubblico; carattere sociale
dei diritti personali, Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento psicologico
e suo sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento esclusivo all'una
o all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere dell'ingegno, Le
obbligazioni,lorospecie; il diritto contrattuale, sua natura, suoi limiti, Il diritto
di associazione, sua natura, suoi fini, sua storia; le corporazioni medievali e
le libere associazioni moderne. Varie specie di associazioni; le associazioni e
lo Stato, DEL CONCETTO E DEI FINI DELLO STATO. Necessità dello stato, elementi
ideali del concetto dello stato, Elementi materiali, il popolo e il territorio;
fattori naturali e fattori spirituali della nazionalità, La sovranità, suo
fondamente razionale; lo Stato di diritto, la costituzione, la personalità
dello Stato, Definizione dello Stato, I fini dello Stato, loro distinzione in
proprii e d'inte grazione, Limiti dell'azione dello Stato, I POTERI DELLO
STATO. S I. Modi varii di distinguere i poteri dello Stato, Della divisione dei
poteri, suo carattere relativo, Il diritto punitivo, suo sviluppo storico,
Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di punire, G i u stizia
civile e penale, delitto e pena, la pena come limitazione della libertà; la
pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore relativo degli altri fondamenti del
diritto di punire. LA cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO. Le costituzioni
degli Stati, definizione, loro carattere storico, moltiplicità dei loro
fattori,Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano ancora
vitali; necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e
monarchica, e caratteri differenziali di queste, LE RELAZIONI FRA GLI STATI E
LA PATRIA. Del diritto internazionale, se sia un vero diritto, sua distin zione
in diritto pubblico e privato, Cenni storici, Diritto internazionale pubblico;
la sovranità e le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei
mari. Diritto di guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale,
Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni
speciali, Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua necessità storica e
psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali di questa idea, e
formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e imperialism. LA COMUNITA'
RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I. Concetto della Religione, ReligioneeReligioni,p.313–
SII. Le religioni positive e la cultura; perennità dellavitareligiosa;suo
adattamento ad ogni grado di coscienza, Importanza sociale delle religioni
positive, e unità primitiva della società reli giosa e della civile, Ragioni
della loro separazione, l'universalità della religione, e il principio della
libertà di coscienza; impossibilità per lo Stato di subordinare la cooperazione
sociale alla fede religiosa, I quattro sistemi di regolamento dei rapporti tra
la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa, e confusione dei medesimi
nella politica pratica, Dif ficoltà
teoriche e pratiche del regime della separazione, Difficoltà speciali del
regime della separazione nei paesi cat - tolici; la separazione come meta
ideale nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, p. Nati ra e classificazione dei
fatti psichici. Il fatto psichico come l'atto psicofisico, Differenze trai
fatti psichici e i materiali; che s’intende per stato di coscienza,
conscio ed inconscio. La teoria delle facoltà e quella dell’ unità di
composizione dei fenomeni psichici; il rifesso psichico primitivo, le
forme piu generali delle attività psichiche cóme suoi momenti, loro
distinzione progressiva, Svi l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI. La coesistenza e
la successione nei fatti psichici, fatti psichici primarii e secondarii;
l’associazione come loro legge generale; fatti psichici di terzo grado, loro
rapporto con gli altri. Partizione della Psicologia, La subordinazione
progressiva dei fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla
conoscenza Il mondo dello spirito oggettivo. La Psicologia della
sensibilità. Delle sensazioni in
P£w.v« Definizione e classificazione delle .sensazioni in loro
stesse e in rapporto agli stimoli , Rapporti fra la geu sa- /ione e
lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio e
<iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione, So ggetti
vità delle sensazioni: limite del principio delle energie specifiche;
moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo, sensazioni di consenso. Le
sinestesie. In che senso le sensazioni si possono sostituire .L’
eccentricità non è, come la spazialità, una proprietà primitiva delle
sensazioni, Qualità, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità
delle qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo
stimolo. La legge di Fechner,c eltica de lla medesima, Che s‘ intende per
tono delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’intensità delle sensazioni e
il loro tono. Le. sensazioni in particolare. Le sensazioni particolari si
distinguono in piterne edjtf terne. e le prime "in organiche 0 e
muscolari" Le sensazioni orga¬ niche.'la coinestesia o senso vitale;
le sensazioni organiche speciali. norma li e patologiche, loro funzione
biologica, loro tonalità, loro dipendenza da stimoli periferici e da
stimoli centrali e psichici, Le s ensaz i oni musco lari; diverse teorie
intorno ad esse; si mostra che sono sensazioni centripete del
movimento eseguito, non dello stato organico del muscolo. Contenuto qualitativo
e tono delle sensazioni muscolari. Coinestesia, cinestesia e cinestesi. Le
sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento degli organi relativi,
il loro numero un fatto d'esperienza soltanto. Il senso del tatto, sensazioni
di contatto e sensazioni di tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per
le sensazioni termiche: rapporti tra la sensibilità termica e la tattile.
Sensazioni di pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria
del Weber intorno alla discriminazione; i segni locali. Le
sensazioni di forma, 1 sensi chimici, loro carattere biologico;
mancanza di figurabili e quindi minore oggettività del loro contenuto. Il
gusto, stimoli e condizioni di questo senso, varie specie di sensazioni
gustative. Loro fusione e rimemorabilità, penetrazione e intensità. L’olfatto,
natura dello stimolo, penetrazione delle sen¬ sazioni olfattive,loro
intensità e fusione, loro classificazione, e scarso valore oggettivo,
loro valore emotivo e rimemorativo. L’ udito , stimoli delle sensazioni
uditive. Qualità delle sensazioni uditive, rumori e suoni. Percezioni
spaziali dell’udito. L'udito e il linguaggio, la musica. Altezza,
intensità, timbio. Armonia, melodia, ritmo, La vista., stimoli
delle sensazioni visive, corpi luminosi, opachi, trasparenti.
L'organo visivo.Percezione di spazio e di forma; teorie empiriche e
teorie nativiste. Percezioni di luce e di colore. Colori tondamentali
e derivati, acromatismo. Somiglianze e deferenze tra la gamma dei
colori e la scala musicale. Contrasto successivo e contrasto simultaneo.
Luminosità proprie dei diversi colori . colori caldi e freddi, saturi e
non saturi. Il sentimento sensiti ivo. Definizione del sentimento
, piacere e dolore indefinibili e di qualità opposta, soggettività dei
sentimenti, finalità biologica dei sentimenti sensitivi, loro differenza
dalle sensazioni. Fisiologia del piacere e del dolore. Dipendenza degli
stati emotivi dai pre¬ sentativi, II sentimento sensitivo e il
sentimento vitale 4 \\ punto neutro, Dipendenza del sentimento
dallo stato del soggetto, dall’intensità dello stimolo, Rapporti vari! dei
sentimenti sensitivi con l'oggettività, la frequenza, e la qualità delle
sensazioni. Dimostrazione particolari raggiata del primo di questi rapporti,
Sentimenti sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla
forma delle sen- j sazioni, armonia, euritmia, proporzione. L\ TEND5ì^U-B
L’ISTINTO. I *L’istinto. L’ azioni? riflessasue proprietà e
differenze. Impulsività delle sensazioni, legge di diffusione e legge di
specificazione. La tendenza, Definizione della te nden za, sua
dipendenza dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e derivate;
la tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto dell’inibizione. Carattere
biologico della tendenza, legge di riversione tra l’azion
volontaria e la riflessa. S viluppo dell’attività pratica mediante l’isolamento
e la combinazione dei movi¬ menti. Differenza di s viluppo dell’attività
prat ica nell’animale e nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione
dell'imitazione in tale sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle
rappresentazioni, forme dell'attenzione spontanea, L’istinto ;
teorie opposte sulla sua natura ed origine; teoria della lapsed intelligence
(Romanes). Errori del Komaues circa la natura dei fattori dell istinto, e
circa il loro rapporto. Natura dell’esperienza che è base dell istinto, 1
intelligema adattatine), suo carattere frammentario, sua meccanizzazione.
L’istinto cpme uno sviluppo ol- latepale deU’ attività pratica, senza
continuità con le forme supe¬ riori, p. Le condizioni dello sviluppo
psichico. L’ ATTENZIONE. Natura dell attenzione; attenzione
spontanea e attenzione volontaria, specie della prima: attenzione esterna
ed interna. Fe¬ nomeni fisici dell’attenzione, Intermittenza e
ritmi¬ cità dell’ attenzione, Attenzione e percezione, atten¬ zione
e coscienza. Carattere emotivo dell’attenzione spontanea, origine e
sviluppo dell’attenzione nella serie animale, L’ attenzione d’esperienza:
e le sue forme singolari dell' attenzione aspettante, dell’ inversione
delle imagini, e dell at tenzione marginale. L’attenzione interna. La
memoria. Analisi del fatto della memoria, memoria organica e memoria
psicologica, loro riversione e sostituzione. Non ci è una memoria come
facoltà generale, ina un numero grande di memorie particolari. IL
Condizioni della memoria, anomalie mnemoniche, Stato primario e stato
secondario nella memoria, loro differenze, e loro rapporti, Sviluppo
della memoria, prova desunta dalle amnesie, La memoria psicologica e le sue
leggi. La collocazione nel tempo. L’ ABITUDINE.
Dell’abitudine dal punto di vista fisiologico e psichico, Effetti
dell’abitudine, l’attenzione e l’abitudine, I' abitudine come educazione
di tutte le funzioni psichiche, L’abitudine e la volontà. La psicologia della
conoscenza. LA PERCEZIONE. Natura della percezione, sua
differenza dall’associazione: la percezione come integrazione. Condizioni
della percezione,. |per- eezione ed appercezione^ Altre prove
dell’integrazione percettiva, Cause soggettive ed oggettive delle
integrazioni percettive, Misura del tempo della percezione,
equazione personale,[variazioni, percezione e sensazione, Percezione sensitiva
e percezione intellettiva, La percezione
interna, Le illusioni percettive e loro specie, Le allucinazioni, diverse
ipotesi sulle loro cause. L’ ASSOCIAZIONE. Associazione e
percezione, serie percettive e serie rappresentative, Teorie intorno alla
reviviscenza delle rappresentazioni. Critica della teoria herbartiana, la
teoria morfologica, dell'associazione, Se siano riducibili,
Condizioni prossime delle associa¬ zioni, Tempo di associazione, L’oblio.
I sogni come fenome ni dell’associazione psicopatica. Il son no. Diverse specie
di sogni. Cause, Rapporto tra le cause positive e le negative dei sogni, la
volontà nel sogno. Sogni telepatici, L’io. Associazione e
coscienza, continuità e dinamismo delle serie rappresentative, il
pensiero delle cose e il pensiero dellMo. Varii significati della parola
cosciente: la. fase irrelativa e l’integrale oggettiva,
La.^u?cifenza \li sé (formale) e 1' empirica o storica, elementi di
quest’ ultima, (u- deducibilità della coscienza di sè dall’associazione e
dall’astrazione, unità e continuità della coscienza di sè. Lacoscienza
dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e dell’associazione, casi di
coscienza doppia, La coscienza di sè e l'astrazione come caratteri
distintivi della psiche umana dall’animale. L’astrazione, Il concetto, Il
giudizio. Il principiod'identità come fondamento del raziocinio, natura
dell’identità logica e sua invenzione. Sintesi e analisi. L’intelligenza
animale e l’umana. Il genio scientifico, Dimostrazione del doppio procedimento
del raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel qualitativo, Le forme
dell' intuizione e le categorie, Psicologia e linguistica: l’origine del
linguaggio, Vili. Rapporto tra la parola e il pensiero. Azione reciproca
tra la parola e il pensiero. Natura logica della lingua: suo sviluppo dal
concreto all' astratto, L’ IMAGINAZIONE. Rapporto
dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 associazione; l’imaginazione
riproduttrice. IL Rapporto del- l’imaginazione con la sensibilità e col
pensiero astratto, L’imaginazione artistica, sue funzioni, L’imnaginazione
neiia scieuza. L’imaginazione nell’Arte: momeuto realistico e momento
idealistico. L’Arte e la Scienza,. Relatività i>ei sentimenti. La
legge della relazione nel sentimento, Il sentimento e le altre funzioni
psichiche, L’ associazione e la memoria dei sentimenti, Affetti e passioni. Gli
affetti, p. Le passioni. Classificazione
dei sentimenti. Metodo della classificazione; classificazione dello
Spemi e ilei Nahlosvski. La classificazione biologica e genetica, e
sua integrazione con la rappresentativa. Passaggio dai sentimenti primitivi ai
derivati. 1 SENTIMENTI MORVU. Le teorie intorno ai sentimenti
morali. Esame della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il
riflesso delle sanzioni esterne. Impossibilità di spiegare con la
morale empirica il sacrifizio defini tivo, Erroi-' logico della dottrina
empirica, parte di verità che è in essa. La teoria razionalista; la direttrice
psicologica e la socia ;; la ragione e il sentimento, Classificazione ed
a .a- lisi dei sentimenti morali, La carità e la tu- stizia, I
sentimenti religiosi. Natura del sentimento religioso, sua forma
primitiva, direzione di sviluppo. Il sentimento morale e il sentimento
religioso. Rapporto tra l’intelligenza, il sentimento e la volontà nella
religione. La forma superiore del sentimento religioso. Le tre forme del
sentimento religioso. I SENTIMENTI ESTETICI. Il sentimento estetico
e il sentimento del gioco. I fattori del sentimento estetico. La simpatia
estetica. I fattori intellettuali. La verità in Arte. Idea e forma. I
SENTIMENTI INTELLETTUALI. Le origini dei sentimenti intellettuali ; la
curiosità e il dubbio pratico. IL II sentimento intellettuale della
ricerca, e quello del possesso della verità. Il sentimento intellettuale e il
sentimento di sé. Dei sentimenti estetici in particolare. Il sentiment o
del bello ince nerale, IL li sen tii .ento della bellezza finita e le sue
forme: la bellezza plastica, il arioso, il drammatico. Il sentimento del
su¬ blime, sua natura, sua forma; il sublime naturale,
l’intellettuale, il morale. Il sentimento del comico , sua natura,
suo rapporto col sentimento di sè e col sentimento della libertà.
Comicità ed umorismo. Il sentimento della natura, sue forme diverse nell'
età antica e nella moderna. Perche è la forma più evidente della catarsi
estetica. La Psicologia della
Volontà. Il desiderio e la.
volontà. Il desiderio, Fenomeni intensivi del desiderio. Le azioni
volontarie nelle loro forme derivate e contingenti; elementi essenziali
dell'atto volontario. Il problema della causalità della volontà. Teoria della
volontà. La teoria metafisica della Volontà. La teoria
associazionista. La volontà come facoltà del fine. e dei valori
razionali; la funzione d’inibizione come suo momenti essenziale,
Il sentimento del conato volitivo, In che consistono e come sì producono
l'inibizione e l’impulso. L’attenzione volontaria e le sue forme p&-
K tologiche. La misura del tempo nelle volizioni. Le malattie della
Volontà, e l'ipnosi. L'aboulia e la forza irresistibile, il capriccio
isterico. L’estasi, Fenomeni sensitivo-rap- presentativi, mnemonici, e
volitivi dell'ipnosi; suoi gradi. La suggestione normale e l’ipnotica;
somiglianze e differenze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause specifiche
della suggestione ipuotiCa. Temperamento e cvrattere. Natura del
temperamento, suo rapporto col sentimento vitale, sua dipendenza
dall’eredità. Il carattere, sua natura, sua unità col temperamento, La
teoria ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue
interpretazioni fisiologiche. La classificazione psicologica
riunisce il temperamento e il carattere: forme varie di essa, la
classifica¬ zione del Ribot. Della modificabilità del temperamento e del
carattere. Forme patologiche. La volontà e le altre attività
psichiche. L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ. La Volontà e P
inconscio. Mezzi di azione della volontà sull’ intelligenza : necessità
della limitazione della valutazione; forme patologiche, e forme estreme,
ma normali, dì questa limitazione. Modi d’azione della volontà sul sentimento.
Azione delia volontà su sè stessa; genesi della volontà comune, azione
reciproca dellajiilpiUàindividuale e della volontà comune, il costume,
la/fm(fl*A.' Influenza della volontà iudividuajeV sulla vomW^
comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe sue
du^rfiel la militare e la morale. L’idea di giustizia comprende le
eguaglianze aritoteliche, e il carattere imperativo e di necessità
rilevati dallo Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno di
essere guardata in rapporto alla solidarietà morale, dalla quale
l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la norma. Se la giustizia si
fa derivare dall’utilità sociale, se ne assegna una derivazione che può
spesso esser falsa, (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e
se si oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura
nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sentimento di simpatia
che deve renderla operosa , e si fa della carità qualche cosa che va
oltre il dovere, e che può essere anche ingiusta e nociva. Se della
giustizia si fa invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come virtù e
come norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo oltrepassa
la sfera del diritto, ma appare come la sintesi superiore della moralità, come
progressiva nella ragione stessa dei suoi due fondamenti. Che siano
progressive la libertà e la solidarietà è fatto indubitabile della
storia umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli uomini in un
rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e la seconda da questo
stesso punto di vista, che è quello del valore di fine che ogni persona
morale ha in sè, tende ad estendersi dalle opere alla persona come tale,
a conservarla, a promuoverla, anche quando soggiace all’avversa fortuna e
al dolore. Noi concepiamo la giustizia come la forma dell’
unità della libertà e della solidarietà già raggiunta dalla coscienza
morale; cioè come il giudizio della proporzionalità degli utili agli
sforzi, e della loro migliore ripartizione tra gli sforzi individuali e i
sociali, posto un minimum di utilità spettante a ciascuno in forza del
valore di fine che ha la persona morale, e della solidarietà che stringe
gli uomini tra loro. A chiarire questo concetto gioverà vederne l’applicazione
ad uno dei problemi più gravi del tempo nostro, quello relativo
alla migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso il nome
di giustizia sociale. Il Fouillée indica tre teorie intorno ad essa,
la individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed egualitaria
del socialismo , l’idealistica che cerca di con temperare i diritti
deirindividuo e quelli della società. La teoria economica considera
troppo il lavoro come merce, e i lavoratori come cose o come macchine di
produzione. Ma dal punto di vista sociale e morale il lavoro rappresenta
le energie accumulate di esseri viventi, sensibili e consapevoli , tra i
quali ci è necessariamente la solidarietà che deriva dal fine comune
e dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste energie sono
parte della società, e questa è una solidarietà più vasta che abbraccia come
abbiamo visto tutte le energie dello spirito. Nella prima metà del secolo
passato T individualismo economico ebbe libero corso, e la merce lavoro
fu considerata a parte dalla personalità del lavoratore, e dalla solidarietà
sociale. Il lavoro fu sfruttato prevalendosi della concorrenza dei
lavoratori, e fu sfrut¬ tato di più quello pagato meno, il lavoro delie
donne e dei fan¬ ciulli; cosi Tingiustizia più aperta fu legge. La sorte
dei lavoratori fu abbandonata al meccanismo della concorrenza, alle leggi
che si dissero naturali, e la società si disinteressò della protezione
dei deboli. Pareva che pei seguaci di questa scuola la ricchezza tosse
tutto, l'uomo nulla. La legge di MALTHUS e il darwinismo biologico fecero
il resto sottomettendo la persona umana alla concorrenza vitale, ed
elevando la voluta giustizia della natura a giustizia sociale. Della
solidarietà sociale non si davano nessun pensiero. Ma una società di
esseri morali non ci è solo per la produzione della ricchezza, e 1’ uomo
è qualche cosa di più che un accumulatore di capitale. La società umana
sussiste per rea¬ lizzare l’ideale umano; P idea di giustizia è umana, e
non può quindi prendersene il modello dalla natura, perchè essa non
esiste nel senso morale se non è fondata sulla solidarietà. Anche
Peconomia collettivista inculca una giustizia che non è quella dello
spirito, ma quella della natura. Facendo della lotta di classe una
necessità sociale, e del trionfo della classe più numerosa e [più forte l'esito
necessario di quella,cangia i termini della lotta economica, non la
natura; la lotta di classe non è meno brutale della concorrenza, ed è
pari o maggiore il disdegno delle ideologie nei collettivisti e negli
economisti smithiani. Se non che 1 primi non tengono conto che del solo
lavoro materiale nella produzione , e non badano che non ci è giustizia
senza libertà. Invece la parte del fattore sociale nella ricchezza, e
specialmente quella dovuta all'addizione di esso nel tempo è così grande,
che mal si potrebbe confonderla con quella che vi ha il lavoro
mate¬ riale in un'epoca determinata. Basta riflettere all’importanza
capitale che hanno le scoperte scientifiche in generale e le tecniche in
particolare nella produzione della ricchezza, per persuadersi che la
parte della mano d'opera è assai minore di quella che il collettivismo afferma.
Questa parte sociale, ovvero buona parte di essa è dovuta all’iniziativa
individuale, alla forza individuale di lavoro, e non sarebbe giusto di
togliere ad esse quello che senza di esse non sussisterebbe, e sopprimere
lo stimolo che le fa operare togliendo loro quello che producono. Anche solo
nella produzione della ricchezza non si può giustamente sopprimere V alea
a cui la potenza di lavoro individuale va incontro con una speciale
costituzione sociale. Poiché è impossibile sopprimere le disuguaglianze
naturali, come la forza fisica e morale, la bellezza, il valore, il genio, così
non si può prescindere dalla potenza individuale di lavoro, perchè il
prescinderne è contro la giustizia distributiva, contro la libertà, e
quindi contro il bene sociale. L'idea di giustizia è la sintesi della libertà e
della solidarietà e solo quella forma di essa è vera, che non ripudia
l’una per l’altra. Non si può negare airindividuo la proprietà di quella
parte di ricchezza, che esso ha prodotto, più di quello che si possa
negare a un popolo la proprietà del territorio sul quale si esercitò per secoli
il suo lavoro trasformatore e creatore. Sotto questo rispetto la
negazione della proprietà individuale non sarebbe ingiustizia minore dì
quella di negare al popolo italiano o francese la proprietà del territorio
della patria in nome del diritto dei selvaggi bruciati dal sole tropicale, o di
quelli agghiacciati dai geli delle regioni circum-polari. La
giustizia, che accorda la libertà e la solidarietà, considera il lavoro
come una forza propria di un essere personale, che deve essere padrone di
se stesso. Quindi essa riconosce la libertà di associazione e di
resistenza dei lavoratori, riconosce ad essi il diritto di trasportare
dovunque la loro forza di lavoro, ed evita che la libertà del lavoro sia
manomessa con la schiavitù forzata del lavoratore, qualunque forma questa
possa assumere. D’altra parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo
festivo, le ore di lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina
del lavoro delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del
diritto al lavoro, sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono
la carità indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva.
È in forza del principio della solidarietà che la società deve oggi
far profittare anche gli esclusi e i diseredati, dei beni strettamente
necessarii alla sussistenza, e di quelli che sono inesauribili dall'uso/come i
beni superiori dello spirito, la cultura, l’arte, la religione, È in forza
dello stesso principio che la società deve evitare che il profitto individuale
danneggi il sociale in rapporto al futuro. La società deve conservare
alle generazioni che verranno i beneficii del passato, come la potenza di
lavoro e la sanità della razza, cosi dal punto di vista fisico che dal morale.
E rispetto al presente, il regolamento del lavoro non può essere più
quello di una volta, quando il lavoratore animato essendo la sola fonte del
lavoro, e l’utensile un semplice organo aggiuntivo dell’individuo, tutti
i rapporti del contratto di lavoro potevano essere abbandonati al
regolamento privato. Oggi il la’ voro è collettivo, l’utensile si è
trasformato in macchina, e la forza di lavoro umana è diventata un
accessorio della forza naturale e meccanica resa dalla scienza strumento dei
fini umani.Il grande lavoro è oggi, pel numero e per la qualità, un’opera
sociale, e vuole quindi un regolamento sociale. Se si considerano
gli stadii dello sviluppo etico-sociale, il primo è rappresentato da una
giustizia nella quale prepondera l’elemento della solidarietà, quindi la
libertà individuale o non esiste, o è in tutti i modi limitata dalla
regola sociale. Diventati sempre più complicati e più numerosi i rapporti
sociali, si va necessariamente all* individualismo, e la giustizia s’identifica
con la libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima
complicazione dei rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo
non deve dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che non
sono più individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo stadio, è
il contemperamento della libertà con la solidarietà, che è anche il suo
ideale. Filippo Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della
critica, criticismo, neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Masi: l’implicatura conversazionale -- i peripatetici del Lizio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano.
Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its end – il fine
dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of reason not from
an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi: “Il potere
della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” -- Grice: “It’s amazing Masi was implicating the
same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’
– I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda
Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica
presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode
con una tesi sul diritto di famiglia
negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle
armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli
studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co
Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse
l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato
alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna
filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli
del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione
alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca
comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove M. alla
ricostruzione di Kierkegaard da un profondo e originale impegno teoretico,
volto ad approfondire il concetto metafisico di "analogia", cui il
discorso di Kierkegaard, come l'A. si propone di illustrare nel suo saggio,
risulta fortemente legato. Sotto un profilo strettamente storiografico, M.
approda, attraverso un'attenta rilettura delle "opere edificanti" di
Kierkegaard, ad un'interpretazione che ridimensiona questo pensatore,
scoraggiando molti luoghi comuni della critica.." (Baboline). "Nel linguaggio filosofico contemporaneo
l'aggettivo "platonico", riferito a una qualsiasi entità, vuole
denotare l'immobilità a-storica, il suo permanere in un'assoluta identità con
sé medesima al di sopra delle alterne vicende del divenire. Ciò deriva da una
tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli aspetti più rilevanti del
volume di Masi risiede appunto nello sforzo operato a de-mitizzare una tale
ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un lucido esempio di come
oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e umanistica, sappia
ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e spregiudicata, le
proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale
dell'Occidente" (A. Babolin).
"Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio
maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza”
(Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano,
“La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie
kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,” Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna,
“L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano
“Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele
(Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being”
-- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico,
Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero
occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia,
Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo
spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico.
Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e
dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna:
Clueb, Il concetto di cultura, Bologna:
Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’
Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino:
Casa Editrice A.B.C. Le zitelle, Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma:
Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio
dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di
un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze:
Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno, Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del
liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e
altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri
Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La
croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze:
L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova:
L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana
Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e
speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.", A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in:
"Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano:
Todariana Editrice Nunzio Incardona. Giuseppe
Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Giuseppe Masi. Masi.
Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masila: l’implicatura
conversazionale – Ercole -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A reference to him as a philosopher in a papyrus
found at Herculaneum. Masila.
Grice e
Massarenti: l’implicatura conversazionale -- stramaledettamente implicaturale –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Eboli). Filosofo
italiano. Grice: “His dictionary of
non-common ideas I would give to Austin on his birthday; he would hate it! He
was all for common lingo!” -- “I like Massarenti: he can be provocative. I like
his study on what he calls a ‘neologissimo’ – and the idea of the
pocket-philosopher! I know I’m one! On the other hand, he has written on ‘la
buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a value-paradeigmatic expression? His
study on god-damn logic is good – since that’s what I do, with my theory of
implicature. To say, “My wife is in the kitchen or the bedroom” when I know
where she is – and thus when I have truth-functional grounds to utter the
stronger disjunct, it’s still goddamn logic – I haven’t lied! True but misleading
– aka god-dman logic!” Responsabile del supplemento culturale Il Sole-24
Ore-Domenica, dove si occupa di storia e filosofia della scienza, filosofia
morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima. Armando Massarenti vive a Milano, dove
dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Scrive L'etica da
applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato un vasto
dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica della Fondazione
Einaudi di Roma e dal fa parte del Comitato
etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Amato. Direttore della rivista
Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi volumi di argomento
filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi libri, Macerata),
la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice, Milano), “Rifare la
filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma).
Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo indiano” (Milano), una
raccolta di saggi di Sen.Cura il numero monografico della Rivista di Estetica
dedicato al dibattito su analitici e continentali e, con Possenti, “Nichilismo,
relativismo, verità. Un dibattito (Rubbettino, Soveria Mannelli). Cura la
collana I Grandi Filosofi (trenta volumi sui protagonisti della storia del
pensiero, da Socrate a Wittgenstein, per i quali anche scrive le prefazioni, confluite
ne Il filosofo tascabile. In corso di pubblicazione una serie analoga dedicata
ai grandi della scienza. Scrive “Il lancio del nano e altri esercizi di
filosofia minima” per il quale gli sono stati conferiti il Premio Filosofico
Castiglioncello e il premio di saggistica
"Città delle Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un
esperimento didattico, promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il
quale viene proposto un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla
capacità di argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno
spettacolo teatrale, per la regia di C. Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica.
Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal
quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in
scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le
cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico
e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai
presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in
miniatura. In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi
filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e
filosofia (di Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e
saggio conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per
Mondadori la collana "Scienza e filosofia". Fa parte delle giurie di due premi per la
divulgazione scientifica: il Premio Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il
Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, legato al Campiello
(Padova), e il premio Serono. È stato anche nella giuria del Premio del Giovedì
"Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano a un romanzo italiano
opera prima. Ha vinto diversi premi: il Premio Dondi per la Storia della Scienza,
delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio Voltolino per la
divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello (Torino); il premio
Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio Città di Como. Altri
saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere decisioni,” Milano, Il
Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri esercizi di “filosofia minima,”
Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche e i nemici della ricerca,
Parma, Guanda, “Il filosofo tascabile” “dai
presocratici a Wittgenstein”“ritratti per una storia del pensiero in
miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia,
sapere di non sapere: le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del
pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi
conviene” e altri saggi di etica politica, Parma, Guanda,.“Istruzioni per
rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni, Milano,
Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano, Cortina, “Metti l'amore
sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri” Milano, Mondadori, Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su italia libri.net. tangenti
e moralità, su filosofia rai. Armando Massarenti. Massarenti. Keywords:
stramaledettamente logico, stramaledettamente implicaturale --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Massarenti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Massari: l’implicatura
conversazionale -- l’implicatura logistica di Petrarca e Boccaccio – filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Seminara). Filosofo italiano. Bernardo Massari --
calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it be under B – Barlam, under Seminara,
like Occam?” Barlaam Calabro – di
Calabria – Scrive di aritmetica, musica e acustica. E uno dei più convinti
fautori della riunificazione fra le Chiese d'oriente e occidente. È considerato
insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio uno dei padri
dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare che il suo successo come
filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è preservato) e ragione di
gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle trattative per la ri-unificazione
tra le due Chiese di Oriente e di Occidente, a lui venne affidata la difesa
delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa le sue critiche verso
l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra la teologia scolastica
e la contemplazione mistica. E protagonista di una violenta polemica contro i
metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del loro sostenitore G.
Palamas. Il dibattito divenne sempre più acceso fino a culminare in un concilio
generale alla fine del quale venne costretto a sospendere ogni futuro attacco verso
l'esicasmo. Epigrafe a Gerace, tutore di Petrarca e Boccaccio, inviato
dall'imperatore Andronico III Paleologo in missione diplomatica a Napoli,
Avignone e Parigi per sollecitare le corti europee ad una crociata contro i turchi.
In quell'occasione costrue delle relazioni e una rete di amicizie su cui puo
fare conto quando, in seguito alla decisione conciliare, decise di aderire alla
Chiesa d'Occidente. Ad Avignone conosce Petrarca, a cui iniziò ad insegna il
greco. Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace, così e nominato
vescovo di Clemente. La bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace
riporta, Monachus monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii
Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum. Tutore di Petrarca e Boccaccio
che da un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi antichi,
anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupa il movimento umanista. È
proprio Manetti il primo a menzionarlo nella sua biografia del Petrarca. Venne
inviato in missione diplomatica da Clemente in un rinnovato tentativo
ecumenico. Data la grande influenza di Palamas il tentativo, ancora una volta,
si risolse in un insuccesso. Fa ritorno ad Avignone dove muore. Saggi: Si
occupa anche di matematica lasciandoci una “Logistica” in cui spiega le regole
di calcolo con interi, frazioni generiche e frazioni sessagesimali. D. Mandaglio,
Barlaam Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni Editore (Maggio). Salvatore
Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani. Mercati, Calabro, Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone Atomano. Barlaam Calabro
di Seminara. BARLAAM Calabro. - Nacque a Seminara (Reggio di Calabria) sul
finire del sec. XIII, probabilmente verso il 1290. Il nome Barlaam par che sia
quello assunto in religione, ma non è documentato che il nome di battesimo
fosse Bernardo, come si ripete sulle orme dell'Ughelli (Italia Sacra). Mancano
notizie sulla sua formazione spirituale e culturale e sulla sua attività in
Italia fino al suo passaggio a Bisanzio. La bolla di Clemente VI (Reg.Vat.),
che lo elevò al seggio episcopale di Gerace, ci informa soltanto che B. si
preparò al monacato e al sacerdozio nel monastero basiliano di Sant'Elia di
Capasino (Gàlatro), nella diocesi di Mileto. Certo è ormai, dopo gli studi
recenti (Schirò, Jugie, Giannelli), che B. nacque e fu educato nella fede
dissidente della Chiesa di Costantinopoli, cui molti continuavano ad aderire
nell'Italia meridionale di quell'età, nonostante l'unione alla Chiesa cattolica
proclamata dal concilio di Bari del 1098. È B. stesso a dirlo in uno degli
opuscoli contro la processione dello Spirito Santo a Patre Filioque (punto
fondamentale di dissenso tra le due Chiese: gli ortodossi credono che lo
Spirito Santo proceda e Patre solo): "Tale è la mia fede e la mia
religione riguardo alla Trinità, fede nella quale io fui allevato fin
dall'infanzia e nella quale sono vissuto sin qui" (cod. Parisinus
graecus). Problematica è invece la ricostruzione della sua formazione
culturale. Appare infatti evidente che le conoscenze del monaco calabrese, le
quali non si limitano a filosofi greci, quali Platone e Aristotele, ma si
mostrano invece profonde anche riguardo al pensiero di Tommaso d'Aquino e agli
ultimi sviluppi nominalistici della Scolastica occidentale, esorbitano dalla
tradizione culturale dei monasteri italo-greci di Calabria e presuppongono
contatti più o meno prolungati di B. con scuole filosofiche e teologiche
dell'Italia meridionale e centrale. Quando il potere imperiale passò da
Andronico II ad Andronico III, troviamo B. a Costantinopoli, dove egli era
giunto dopo essersi trattenuto prima ad Arta, in Etolia, e a Tessalonica. Nella
capitale bizantina incontrò il favore della corte: vi dominava allora Anna di
Savoia, figlia di Amedeo V, sposata nel 1326 ad Andronico III, favorevole ai
Latini e all'unione delle Chiese. Presto ottenne larga fama di dotto e di
filosofo e divenne abate (igumeno) di uno dei più importanti conventi, quello
di S. Salvatore. Si diffondevano a Bisanzio i suoi scritti di logica e di
astronomia e il gran domestico Cantacuzeno gli affidava una cattedra
nell'università della capitale. Ma la sua fama crescente doveva presto urtarsi
contro il tradizionale nazionalismo latinofobo dei Bizantini. Il primo scontro
avvenne col più cospicuo rappresentante dell'umanesimo bizantino, Niceforo
Gregoras, che teneva cattedra nel monastero di Cora. In una sfida accademica,
che dovette aver luogo verso il 1331, i due dotti più in vista della capitale
si trovarono di fronte a discuteresui campi più vari dello scibile, astronomia,
grammatica, retorica, poetica, fisica, dialettica, logica. Di questa tenzone
noi sappiamo soltanto attraverso un libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì
GOCPL'2q (Jahn, Archiv für Philologie und Pddagogik, Supplementband). Il
libello, una specie di dialogo mitico di imitazione platonica, o meglio
lucianea, naturalmente tendenzioso, asserisce che l'agone si concluse con la
completa sconfitta del dotto calabrese, che dimostrò di avere soltanto qualche
conoscenza di fisica e di dialettica aristotelica e una certa superficiale
infarinatura di logica. Ma nella persona di B., Niceforo Gregoras vuol mettere
in ridicolo tutta la scienza occidentale limitata a poche nozioni aristoteliche
e del tutto ignara di matematica, fisica e astronomia, scienze in grande onore
allora a Bisanzio. Secondo il Gregoras, inoltre, in seguito a questa sconfitta,
B. avrebbe abbandonato Costantinopoli per rifugiarsi a Tessalonica. Par più
probabile invece che egli facesse la spola tra i due massimi centri culturali
dell'impero. A Tessalonica comunque il suo insegnamento continuava con successo
e tra i suoi allievi si contavano personalità di spicco come Acindino, Cavasila,
e Cidone. Ma nemmeno presso la corte e gli ambienti ecclesiastici della
capitale il prestigio di B. dovette subire un offuscamento, se proprio lui fu
scelto dal patriarca Caleca, come portavoce della Chiesa ortodossa, quando
giunsero a Bisanzio i due domenicani Francesco da Camerino, arcivescovo di
Vosprum (Ker~-'), e Riccardo, vescovo di Cherson, incaricati dal papa Giovanni
XXII di rimuovere gli ostacoli dottrinali che si frapponevano alla
riconciliazione delle Chiese. La discussione tra i prelati latini e il
monaco calabrese si svolse ad un alto livello teologico-filosofico. M. cercava
di abbattere la barriera dogmatica della processione dello Spirito Santo
ricorrendo a un tipico argomento nominalistico: egli si opponeva alla pretesa
di poter conoscere Dio e di poter dimostrare apoditticamente le cose divine.
Ora, se Dio èinconoscibile, che valore potevano avere discussioni sulla
processione dello Spirito Santo basate sui sillogismi apodittici? Sia i Latini,
sia i Greci, quindi, in questioni di questo genere non potevano rifarsi che ai
Padri della Chiesa, la cui fonte di scienza è la rivelazione e l'illuminazione
divina. Ma poiché i Padri non sono sufficientemente espliciti riguardo alla
processione dello Spirito Santo, non restava che assegnare alle divergenti
dottrine un posto nelle opinioni teologiche particolari, senza fame un ostacolo
per l'unione. La posizione di M. è in netto contrasto col realismo di s.
Tommaso, assunto quale atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica: essa
si inserisce chiaramente nel movimento volontaristico contemporaneo a B., che
ebbe i suoi maggiori rappresentanti in Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso
a porre un netto confine di separazione tra i campi della ragione e della fede.
Non è un caso che B. avesse consacrato il suo insegnamento universitario dalla
cattedra di Costantinopoli all'esegesi dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante
più coerente della dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè,
del divino, la cui autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente.
Le trattative non approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano
essere accettate dai legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui
apparteneva anche AQUINO e inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando agli
onori dell'altare Tommaso, aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua
dottrina. Ma l'agnosticismo nominalistico di M. doveva anche urtare le
concezioni mistiche bizantine, rappresentate allora specialmente dal
monachesimo atonita. A campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas,
un monaco dell'Athos, che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la
processione dello Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di
discussione tenuto dal calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando
perfettamente dimostrabile la posizione ortodossa in virtù della grazia
illuminante che al cristiano discende dall'incamazione, per cui la conoscenza
soprannaturale è eminentemente reale, più di qualunque conoscenza
filosofica. Intanto M. veniva a conoscenza delle pratiche mistiche dei
monaci atoniti, che si isolavano per abbandonarsi ad una quiete contemplativa
Tali pratiche consistevano nel ripetere indefinitamente la preghiera:
"Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!", trattenendo
il fiato, col mento appoggiato al petto e guardando l'ombelico, fino a
raggiungere la visione corporea della luce divina vista dagli Apostoli sul
Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa concezione psico-fisica della
divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera degli esicasti (così si
chiamavano i seguaci di tal metodo) provocarono gli attacchi ironici di M., che
vedeva nell'esicasmo una grossolana superstizione, i cui seguaci designò con lo
sprezzante appellativo di ??? (umbilicanimi). Ma la controversia ben presto si
allargò sul piano filosofico-teologico. M., coerentemente alla sua formazione
nominalistica, non poteva ammettere contaminazione tra il divino e l'umano, tra
l'etemo e il temporale. La luce del Tabor, per esser vista nell'ascesi,
dovrebbe essere etema e coincidere con la divinità stessa, che sola è eterna e
immutabile. Ma poiché la divinità è invisibile, invisibile è anche la luce
taborica. Gregorio Palamas oppose una sottile dottrina emanazionistica di
derivazione neoplatonica, che distingueva una sostanza divina trascendente
(oùaía) e delle energie divine (gvp-'pyztcxt o Suváp.rLq), operazioni eterne di
Dio, che per esse agisce nel mondo degli uomini. E appunto la luce taborica
visibile agli asceti, come l'amore, la sapienza e la grazia di Dio, è una
energia divina operante come intermediaria tra Dio e gli uomini, un ponte tra
l'etemo e il transeunte. Tra le due opposte tesi non poteva essere
accordo. La controversia filosoficoteologica ebbe anche implicazioni politiche,
come sempre avveniva a Bisanzio. M. allora mosse accusa di eresia contro il
Palamas dinanzi al patriarca Giovanni Caleca, presentando il suo scritto Kwrà
MoccrcrocXtocvCùv (Contro i Massaliani) in cui la dottrina del Palamas veniva
assimilata a precedenti eresie. Il Palamas riuscì a ottenere una dichiarazione,
favorevole alla fede esicasta, sottoscritta dai monaci più importanti
dell'Athos ('0 &ytopsvrtxòq -ró[Log), mentre il patriarcato e il governo
imperiale, pur non favorevoli al palamismo, preoccupati com'erano di mantenere
la pace religiosa tra i pericoli incombenti dall'estemo, desideravano evitare
una controversia dogmatica e cercavano di far giungere le due opposte parti a
una conciliazione. Si giunse così alla riunione di un concilio in Santa Sofia, presieduto
dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso giorno il
concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la
riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina
di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica
ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca
pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco M ha detto
contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di Costantinopoli
e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di M. perché
fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la morte di
Andronico III, avvenuta subito dopo indussero M. a lasciare Costantinopoli e a
ritornare in Occidente. A tal decisione forse non erano state estranee le
impressioni riportate nel viaggio in Occidente, fatto nel 1339, e le conoscenze
che aveva avuto occasione di fare (forse aveva conosciuto anche il Petrarca).
Nel vivo della lotta esicasta, M. era stato richiamato da Andronico III, da
Tessalonica, per un'importante missione diplomatica. Urgeva che l'Occidente
facesse una spedizione per allontanare da Costantinopoli l'avanzata dei Turchi
ottomani. Pare che allora B. avesse preparato un nuovo progetto di unione, che
aveva sottoposto al sinodo di Costantinopoli, in cui ribadiva le posizioni
teologiche che aveva sostenuto cinque anni prima, nelle discussioni coi legati
latini del papa. Il progetto non dovette soddisfare il sinodo e d'altra parte un
senso realistico della situazione politica doveva consigliare di evitare lunghe
quanto inutili dispute teologiche. B. accompagnato da un esperto militare, il
veneziano Stefano Dandolo, si era recato presso Roberto d'Angiò e Filippo VI di
Valois per chiedere aiuti militari dal Regno di Napoli e dalla Francia, e
infine presso la Curia di Avignone per ottenere il consenso papale alla
crociata. Al papa aveva presentato dei memoriali in cui, facendo presenti i
pericoli che sovrastavano alla cristianità tutta per l'incombenza della
minaccia turca, chiedeva che i Latini, mettendo da parte i tradizionali odi,
mandassero subito aiuti in Oriente per la guerra contro gli infedeli; dopo,
ottenuta la vittoria, si sarebbe riunito un concilio ecumenico che avrebbe
trattato dell'unione. La missione di B. era fallita sia perché il papa
pretendeva la realizzazione dell'unione prima di affrontare uno sforzo
militare, sia perché le condizioni politiche dell'Occidente (relazioni tese tra
Filippo VI ed Edoardo III d'Inghilterra) difficilmente avrebbero permesso
l'organizzazione di una crociata. M. torna in Calabria e prosegue il suo
viaggio fino a Napoli, dove aiutò, per la parte greca, l'umanista Paolo da
Perugia nella compilazione della sua opera sulla mitologia dei pagani
(Collectiones) e nell'ordinamento dei manoscritti greci della libreria
angioina, che era in rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò alla Curia
avignonese, dove a Benedetto XII era successo Clemente VI. In questo periodo
egli si legò di amicizia col Petrarca, a cui insegnò i primi rudimenti di
greco, da lui acquistando familiarità con la lingua latina, nella quale, per la
sua educazione prevalentemente greca e per la lunga dimora in Oriente, provava
difficoltà ad esprimersi (Petrarca, Famil.). Allora passò anche alla fede
cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un insegnamento di greco, fino a che,
pare per intercessione del Petrarca, non fu elevato al seggio episcopale di
Gerace e consacrato da Poggetto. Oscuri e duri furono gli anni dell'episcopato
nella piccola diocesi calabrese a causa di aspre dispute con la curia
metropolitana di Reggio. Ma nel 1346 gli veniva affidata la sua ultima
missione diplomatica, questa volta da parte di Clemente VI, per condurre
trattative unioniste con l'imperatrice Anna di Savoia, reggente l'impero di
Bisanzio in nome del figlio Giovanni V. La situazione a Bisanzio rendeva però
ogni trattativa impossibile. Un sinodo aveva deposto il patriarca Giovanni
Caleca, divenuto avversario dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza
dell'evoluzione della situazione politica dopo la morte di Andronico III (nel
1343 aveva fatto arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto
pronunciare contro di lui la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva
confermato la condanna di M.. La stessa sera Cantacuzeno, favorevole agl’esicasti,
entrava nella capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore
accanto al figlio. A B., considerato eresiarca, non restava che la via del
ritorno, per lasciare ad altri la ripresa delle trattative. Rientra ad Avignone.
Infatti la bolla di nomina del suo successore, Simone Atumano, nella sede
episcopale di Gerace è del 23 giugno di quell'anno e afferma come recente la
morte di Barlaam. (Archivio segreto vaticano, Reg. Clem.). Scrive molto.
Quantunque una parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano
ancora di lui un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi,
ma densi di pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco
coi titoli e gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, Hamburgi
1808, pp. 462-470 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1247-1256). I
più numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività
unionista del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo
Filioque, e sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di
manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod.
Parisinus 1278 del sec. XV (ff. 30 r-167 v). Di essi uno solo sul primato dei
papa, è stato pubblicato prima da Luyd, con traduzione latina, Oxford, e poi
dal Salmasius, in greco, Hannover 1608 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI,
Coll. 1255-1280). Due discorsi greci sull'unione delle Chiese sono stati
pubblicati e illustrati da Giannelli, Un progetto di Barlaam Calabro Per
l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città del Vaticano
1946, pp. 157-208. Il primo di essi contiene il progetto di unione elaborato da
B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone e presentato al sinodo di
Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente dinanzi al sinodo stesso,
doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di tenore diverso sono
tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto presentati in forma di
memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto XII. Essi furono editi
per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae Occidentalis atque Orientalis
perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae 1648, coll. 789-794 e 796-798,
donde furono riprodotti dal Migne, Patr. Graeca, CLI, e poi dal Raynaldi,
Annales Ecclesiastici. Alla sua attività apologetica in favore della Chiesa
cattolica svolta dopo la conversione si riferiscono varie lettere ed opuscoli,
di cui cinque, in latino, si trovano in Migne, Patr.Graeca, C LI, coll. 1255-1330.
Poco ci resta degli scritti contro gli esicasti, che furono condannati alla
distruzione, dopo il concilio, dalla enciclica del patriarca Giovanni Caleta
(Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne, Patr.Graeca,CLII, COI.). L'opera
principale, più volte rimaneggiata, che portava il titolo KotTà
Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da un'antìca setta ereticale a
cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è nota soltanto attraverso le
citazioni degli avversari. Di notevole importanza sono quindi le otto lettere
pubblicate con ampia introduzione da Schirò: Barlaam Calabro, Epistole greche.
I primordi episodici e dottrinari delle lotte esicaste, Palermo, che rivelano i
primi sviluppi della controversia. Ma se più nota è l'attività teologica
di B., di non minore importanza, anche se finora meno studiata, è quella
filosofica e scientifica. Nell'operetta latina in due libri, Ethica secundum
Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem Stoicorum sub compendio
composita,edita per la prima volta da Canisius, Ingolstadt 1604, riprodotta in
Migne, Patr. Graeca,CLI, coll., B. dà una chiara esposizione della morale
stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è ancora un'altra opera di
carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti da Giorgio Lapita (A~astq
siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq 7rocpì ro,3 ]Pe⟨,)pytou roú Aa7r'tOou,
contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic. Graer. Di matematica
trattano l'Arithmetica demonstratio eorum quae in secundo libro elementorum
sunt in lineis et figuris planis demonstrata,corfimentario al secondo libro di
Euclide, edito nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione latina,
Argentorati, e riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di Euclide
curata dallo Heiberg, V, Lipsiae (Teubner); e la Aoytcr-rtx~ sive arithmeticae,
algebricae libri VI, edita per la prima volta,dallo stesso Dasypodius con
traduzione latina, Argentorati, e poi, con un commento, da Chamberus, Logistica
nunc primum latine reddita et scholiis illustrata, Parisiis 1600, trattato di
calcolo con frazioni ordinarie e sessagesimali con applicazioni
all'astronomia. Inedite sono due opere di astronomia: un commentario alla
teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto tolemaico, contenuto in parecchi
manoscritti, in duplice redazione, e una regola per la datazione della
Pasqua. B. si occupò anche di acustica e di musica. Abbiamo di lui la
confutazione al rifacimento degli 'AptovLx& tolemaici di Gregoras,
pubblicata da Franz, De musicis graecis commentatio, Berlin. Difficile è
esprimere un giudizio preciso che illumini di piena luce la personalità di B.,
sia perché moltissimi dei suoi scritti sono ancora inediti, sia perché
l'attenzione degli studiosi si è concentrata particolarmente sulla sua attività
teologica e diplomatica, che fu occasionale, lasciando nell'ombra la sua opera
di filosofo, di scienziato e di umanista, che rispondeva alla sua vera
vocazione. Sufficientemente chiara è ormai la posizione del monaco
calabrese verso le due Chiese. E sincero credente nella fede ortodossa fino a
quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in seguito alla condanna
espressa dal concilio. E fu sincero unionista, anche se le sue posizioni
teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla chiarificazione dei
rapporti tra le due Chiese. A Bisanzio porta lo spirito nuovo delle più
avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che preludevano all'umanesimo
e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece il peso che egli ebbe
nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo è che, oltre alle sue
lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da Perugia e il
Petrarca. I suoi interessi per matematica, astronomia, fisica e musica,
oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto eminente nella
storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più versatili della
sua età. Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina Historia, a cura di
L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae Byzantinae, Bormae,
Cantacuzeno, Historiartum libri, a cura di Schopen, AYLOQEVILZò1; Tó~10(; in
Migne, Patr. Graeca, Filoteo, Gregorii
Palamae encomium, CLI, Contra Gregoram, XII; i:uvobL>còg rópo; (Atti dei
concilio Bénolt XII, Lettres closes, patentes... se rapportant à la France, a
cura di G. Daumet, Paris; Taccone-Gallucci, Regesti dei romani pontefici per le
chiese della Calabria, Roma, Schaefer, Die Ausgaben der apostolischen Kammern
unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI, Paderborn; Petrarca, Famil.,
I.XVIII, ep. 2, a cura di Rossi, Firenze, BOCCACCIO, Genealogia deorum
gentilium, a cura di Romano, Bari; Mandalari, Fra Barlaamo Calabrese, maestro di
PETRARCA, Roma; Gay, Le Pape Clément VI et les affaires d'Orient, Paris; Parco,
Petrarca e B., Reggio Calabria; Gl’ultimi oscuri anni di B. e la verità storica
sullo studio del greco di PETRARCA, Napoli, GENTILE, Le traduzioni medievali di
Platone e PETRARCA, in Studi sul Rinascimento, Firenze; Jugie, Barlaam de
Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr. Ecclés., Barlaam est-il né catholique?,
in Echos d'Orient; Schirò, Un documento inedito sulla fede di B. C., in
Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, Sarton, Introduction to the history of
science, III, Baltimorem Weiss, The Greek culture of South Italy in the later
MiddIe Ages, in Proceedings of the British Academy, Meyendorff, Les débuts de
la controverse hésychaste,in Byzantion, L'origine de la controverse palamite:
la première lettre de Palamas à Akindynos, in OEoloyca; Un mauvais théologien
de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise et les Eglises. Etudes et travaux
offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne, Introduction à l'étude de
Palamas, Paris; St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe, Paris; Giannelli,
Petrarca o un altro Francesco, e quale, il destinatario del "De Primatu
Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in onore di Funaioli, Roma, Setton,
The Byzantine background to the Italian Renaissance, in The Proceedings of the
American Philosophical Society, Loenertz, Note sur la correspondance de
Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in Orientalia Christ.
Periodica, Beck, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich,
München, Schmitt, Un pape réformateur... Bénoft XII, Quaracchi-Florence; Pertusi.
La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, in Italia Medievale e Umanistica. Bernardo Massari.
Massari. Keywords: implicatura, logistica, Petrarca, Boccaccio, Gentile – il
latino, il volgare – e il greco! Accademia, Platone, Rinascimento italiano,
Firenze.
Grice e Massimiano – il principe filosofo -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher
who encouraged Giustiniano and Giuliano -- to pave the floor of Hagia Sophia
with silver. Massimiano.
Grice e Massimo: l’orto romano -- la costituzione di Roma
– Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. L’orto. A friend of PLINIO Minore. He is sent by Rome to refer and
reform the constitutions of six Greek cities, but he declines the idea. He knows
the theory of Epittetto, and a discussion between them is preserved in
Discourses III. 7. Massimo.
Grice e
Mastri: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Meldola).
Filosofo.– Grice: “One interesting fascinating bit about Mastri’s
‘Institutiones logicae’ is tha it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has
a chapter on fallacies, too, which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri –
of course at Oxford, if they do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe
Kneale!” Grice: “But Mastri explored quite a bit the square of opposition, and
modal, too – what he says about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’ for
reasoning, and so forth, is all relevant – especially seeing that his
“Institutiones logicae” is just one of his outputs: he made intensive
commentaries on Aristotle’s whole organon, and more importantly, also his
metaphysics and his theory of the soul – so Mastri certainly knows what he is
talking about!” -- Grice: “He was a logician, and so, according to the Bartlett,
am I!”Saggi: “Disputationes physicorum Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes
in organum Aristotelis” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris”
(Ginamo, Venezia); “Disputationes in de generatione et corruptione” (Ginamo,
Venezia); “Disputationes in Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes
in Aristotelis stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones
logicæ quas vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes
in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et
scotistæ Bellutus et M. expurgati a probrosis querelis ferchianis” (Succius,
Ferrara); “Disputationes theologicæ in
Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia moralis ad
mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia
moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia);
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri
e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova,
M. Forlivesi, Mastri da Meldola, riformatore degl’imperfetti, Meldola, Forlivesi,
"Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna, M. conv.
Teologo dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di
sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, Bonomelli, schede
bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa,
Hermann Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cum SIGNIFICARE derivatum est quo patet SIGNUM
dicere ordinem, et ad potentiam cognoscente in sed ad huc dubiuin est denominibus
ipsis substantivis solitarie cui re-præsentat, et AD REM SIGNIFICATAM, quam re-præsentat.
Divi sumptis. Et extra propositionem spoflintnedici termini, nam ditur porrò SIGNUM
inforinale, cutly currere subiecti, atque ita vt verba habere rationem termiplicabimus.
ni. Refp. “currere”, et “moveri” esse verba tantum grammaticaliter at apud logicum
æquiualent nominibus CURSUS et MOTUS, unde
apud. Dubium tamen est de adverbiis, coniunctionibus, signis quantitates – ut:
“omnis”, “aliquis”, etc. casibus obliquis
et similibus, an rationem terminis ubire possint etiam in secunda acceptione. Af
De Terminorum multiplicitate ratione SIGNIFICATIONIS, X varijs capitibus solenttermini
MULTIPLICARI et variæeo t rum divisiones atlignari, ex parteniiniru in SIGNIFICATIONIS,
actu fungatur munere subiecti et prædicati, fediufficit aptitudo, ut ad tale in
unus possit assumi, et non eam habeat repugnantiam quæ reperitur in aduerbiis,
conjunctionibus, et similibus men substantiuum extra propositionem dicetur terminus
non ineo. Qu oad alteram qux siti partem Terminus universi in sumptus dividitur
in in en talem, vocale in et scriptum vt notat Tatar. tract. 7. de suppositionibus
comm. Secundo sciendum, quæ divisiolumitur ex triplici propositio nuingenere. Hæc
eni in propo in alterius cognitionem venire, ut IMAGO respectu Cælaris, VESTIGIUM
rel pectu feræ transeuntis; quade causa Scotus 2. d. 3. quæst. 9. et quol. 14,
hoc secundu in SIGNUM appellat medium cognitum, qui a vc ducat in COGNITIONEM
SIGNATI, prius petitiplum cognosci, il propriem dicitur SIGNUM, et definitur ab
August. [AGOSTINO – Del maestro] citat, ea tamen definition etiam formali conveniet,
si prima pars deinatur, et dicatur SIGNUM efe, QUOD FACIT NOS IN ALTERIUS
COGNITIONEM VENIRE. Hæc tamen SIGNI descriptio, quam vis sit ab August. [AGOSTINO],
tra Pars Prima Inf fit.Tract. I1. Cap.1. elf obiectum ipsius formalis propositionis
mentatis, et intticuitur in Hasaute in termini propriem sumpti definitiones itam
explicat Tatar. Ese propositionis obiectiva peream, tanquam per forma mextrin ut
SENSUS sit terminum eleids in quod tanquam in EXTREMUM proposecam, itaque PROPOSITIO.
Mentalis in hoc sensu, nim irum ob fitio cathegorica elt in nediace resolubilis
MEDIANTE COPULA verbali, iectivem sum pradicitur habere terminos; et extrema, quia
in se et diciturim mediatem, ad remonendum litteras et syllabas, quia continent
subiectum et prædicatum constitutain esse talium per licet propositione solvatur
in litteras et syllabas, non tamen in propositionem formalem. Quarem cum intellectus
enunciate ebomo mediate, et id e om litteræ et syllabæ NON dicuntur “termini”,
el est s nimal interna et formalis propositio in se non continet sub tiam licet
propositio hypothetica resolvatur in terminus media iectum, neque prædicatum, nec
terminos, sed tantum propositio tem, non tamen immediatem. Sed resolvitur immediatem
in propositione objectiva. Yt etiam hic benen notavit Ovvied. Nomine autem ter sit
iones simplices, ex quibus componitur. Posset tamen ab sque mini mentalis duo possunt
intelligi, scilicet res quæ mente concipi scrupulo etiam propositio simplex appellari
terminus, quando tur, ac ipla cognitio, seu v talij loquuntur conceptus formalis,
in hypothetica tenet locum subiecti, ut notat Arriag. Nec obeit et obiectivus.
Et quidem siin primo lentu sumatur, scilicet, prom illam etiam constare terminis,
nain benem potest id, quod in se est re concepta, terminus mentalis am vocali
et scripto differre non quasi totum, esse pars respecta alterius totius, ut patet
in physicis videtur, eademen im prorsus est res, quæ in ente concipitur, vo de corpore
respect totius hominis, et in aliis multis, ut discur, cede proinitur, et calamo
exaratur; at IN SECUNDO SENSU, scilicet, renti constabit. Et iuxta hanc secundam
termini acceptionem coproipforei conceptu differtam vocali et scripto et dividisolet
in et subiecti et licet in propositione de secondo adiacente, quaquia cum sit ignarus
SIGNIFICATIONIS vocabulorum latinorum, concilis est ista: “Petrus currit.” -- lý
“currit” videatur fungi munere prædipit solum modo vocis tonum, non autem rem per
illam vocem SIGNIFICARI, re tamen vera non tantu in habet rationem prædicati, sed
etiam ficatam, scilicet hominem. Porrom licet logica proximem vertetur habet vim
COPULAE, cum faciat hunc sensu in: “Petrus
est currens.” -- yn circa terminus mentales; et vocales non nisi ratione mentalium
at delicet ut gerit vices prædicati, sit terminus, non tamen vegerit vitendat, quia
tamen termini vocales sunt clariores, et pereosinno ces copulæ. Et si dicas in hac
propositione “currere” est “moveri”, ly – motes cuntinentales, frequentius agit
logicus determinis vocalibus, at, veri, quod est verbum, habere tantum rationem
prædicati, fique id eonos et iainde inceps deistis agemus, ac eorum divisiones ex
sirmant aliqui, co quia in propositione possunt habere locum prae ex parte MODI
SIGNIFICANDI et ex parte REI SIGNIFICATAE. Ex primo dicati et subiecti, ut si dicatur
“Petrus” est aliquis, omnis est tercapite, quantu in ad præsens spectat, solet in
primis dividi vocalis minus syncathegorematicus, preter, ost adverbium, est coniun-terminus
in significativum, et non significativum. Ileeit, quiali quid tie et sic dealiis.
Immo suent. cit. hac ratione tenet etiam voces SIGNIFICAT, vc hæc vox “homo”, qui
naturam SIGNIFICANT humanam, ister non significativas e se terminos, nam
dicimus “bliteri” nihil SIGNIFICET, qui nihil SIGNIFICAT – vt “blittri”, “buf”,
et “baf.” Sed ut ita divisio lit cat. Quin etia in Arriaga ob id addit litteras
ipsas ese terminos, quanreemtem tradita intelligi deber determine in prima acceptione
assignar dosolz accipiuntur, nam dicimus A et t littera.Verum in probabi- tacap
præced. Nam in secunda acceptione omnes termini sunt signi lius alii negant, quia
adverbia, coniunctiones, et alia id genus nun- sicativi, cunies epoflint subiectum,
et prædicatum in propositio quam ratione sui et formaliter sumpta fungi possunt
munere subie- ne. Terminus igitur vocalis in tota sua latitudine sumptus dividitur
emti, et prædicati, unde in allatis propositionibus semper aliquod in significativum
et non significativum -- quæ divisio ut benem per substantivum intelligitur, in
cuius virtute fungunt urila oficio sub cipiatur, cum terminus vocalis constituatur
in ratione significan iecti et prædicati, ut in ila propositione “Petrus est aliquis”
am parte tis per significationem, videndyınett quid sit significare et quid sit
si nos venire in cognitionem alterius scili ta in oppositionem sequivelimus, tunc
cum Tatar, que in seq. Arriaga, cet naturæ humanæ, unde SIGNUM debet ese tale, ve
il coognit oper tract. 1. com. 3. Ad 1, dicendum est ad hoc, ut aliquid sit subiectum
SENSUS, mediante illo deinde veniamus in cognitionem rei, cuinqua in propositione
sufficere, ut sit vox significativa NATURALITER commu- lignum habet connexionem;
hinc significare nil aliud erit, quam niter, id est, ut possit re-præsentar ese
ipsam, quod elt significare aliquid aliud am se distinctum re-præsentare potentiæ
cognoscenti. Ex large et est illud, quod absque sui prævia ARISTOTELE Definition
allata videtur ilis competere solu in, quando sunt in cognition aliud nobis re-præsentat
et in eius cognitionem du propositione.Verum non ita rigorosem intelligenda est
illa definitio cit, quales sunt species IMPRESSA ET EXPRESSA respect proprii obie
nam ve aliqua dictio dicatur “terminus”, non eit semper necesse, quod eti, et in
instrumentale, quod PRAE-SUPPOSITA SUI cognition facit nos. No dita et obcanti doctoris
authoritatem ab omnibus pallim ro sitio “homo” est animalli siat mente, dicitur
mentalis, si voce, voce pta, non recipituram Poncio disput. log. quæit. i, eamqu
calis, li scripto, dicitur scripta. Terminus ergo dicitur mentalis impugnat quo
ad veramque partem; quo ad primam quidem cum ampula verbalis, seu verbum, ut verbum,
rationem termini nequit vleii natum, et non ultimatum. Ultimatus est conceptus,
seu cogai habere, tum quia copula non est extremum propositionis, sed ratio rei
significatæ per vocem aliquam, velim scripturam, ut cum audition coniungendi extremi.
Tumqui ain eam propositiore solui non ta voce “homo” illud percipimus ‘animal’
[ZOON], quod est ‘rationale’ [LOGIKON]. Non ylti potest, cum enim sit formalis
et EXPRESSA extremorum unio, matus est conceptus ipsius vocis, vel scripturæ significantis
non yl facta eorum dissolution manere non potest. Tumdemum, quia trase ex tendens
ad re in significatam et ideo dicitur non ultimatus. Ve SENSU, quod actu extra illam
exerceat officium termini, sed quia ludverom primum vocat præcisem rationem cognoscendi,
quatenus intra illam fungi potest hoc munere. Unde dicatur terminus non præcisem
eit quo aliud cognoscitur, et non quod cognoscitur. Si actu, sed potentia. Nec aliud
probant Complut. cit. oppositum signum autem instrumentale est, de quo agimus in
præsenti, et quod it in entes. Eum dimontesa SIGNA ni. vocalis, vel scriptus, pro
ut subiectum, vel prædicatum proposi SIGNUM esse id, quod præter sui cognitionem,
quam ingerit senpbutionis et mentale, vocale, vel scriptum. Solent extrema quoque
doc. red arguit, quia non complectitur omne SIGNUM, quia po propositionis mentalis
termini appellari, quod quidem de propolilent dari SIGNA spiritualia, qux
deducerent in cognitionem tione formali, quæ eit actus, et secunda operatio intellectus,
in aliarum rerum, nec possent percipia SENSIBUS materialibus telligendum non est,
nam propo.icio in hoc lenluettyna simplex Quo ad aliam verom partem, in qua ait;
quod SIGNUM facit venire op eiro in cognitionem alterius eam impugnat, tanquam
ab Arriag. 4 modificat, et facit tal iter Significare, idel treddit eius significatio.
raticam, quia obiectum facit nos in cognitionem suivenire et tanem, vel universalem,
vel particularem, vel affirmativam, vel metbon dicitur signum. Rursus Deus ipse facit nos venire in cogni- negativam:
et dicitur aliqua liter significare, non qui averem, et pro tionem multarum reruin
eas nobis revelando nec tamen abullo priem non significet, sed quia significatum
eius non re-præsentatur vocatur SIGNUM ilarum rerum. Præter eam cognitio est SIGNUM
ut res per se, sed ve modus rei, id est exercendo modificationem rei, quz cognoscitur
per ipsam, et tamen non facit nos in cognitio alterius rei, qua de causa negat Arriag.
sect. 4. e se perfectem terminum. Dem venire. Addit Tatar. terminum mixtum id est
partim cathegorematicum, par Sed nimisandacter inficiatur Poncius doctrinam D.
Augustini [AGOSTINO], tim s yn cathegorematicum, et est ile, qui impositus ett ad
signifi qaamomnes venerantur. Ut communis magistri, unde mirum essecandum aliquid,
seu aliqua et aliqualiter simul, ut hæc vox ni. non debet, quod sz pius hic auctor
minirmu ob ore suffuse dsoctri- hil, quæ imposita et ad significandam negationem
omni sentis nam Scoti przceptoris audeat impugnare. Oprima enim eit illa hæc enim
ipsa negatio est illud aliquid, quod significat, quatenus description quo ad omnes
partes, si benem intelligatur, naimnduzæ verom illam negationem significat universaliter
cuius cunqueentis, folenta signari conditiones alicuius, ut alterius rei SIGNUM
didicitur significare aliqualiter, fic eciam significar subiectum pro catur, una
est, quod nos ducat in illius rei cognitionem, al positionis indefinitæ, namin materia
necessaria æquivalet univer cara est, quod ducat in eius cognitionem, quatenus cognicas
lali – ut, “Homo est animal” æquivalet huic,
“OMNIS homo est animal”, et quarum conditionum utram queo primem exprimit
definition SIGNI in materia contingenti æquivalet particulari -- ut, “Homo currit.”
Augustino [AGOSTINO] tradita. Nam per primam partem definitionis secun- æquivalet
huic: “ALIQUIS homo currit.” Ad hoc tertium genus reducit dam exprimit conditionem.
Vulceni in rein, quæ in servirede- Tolet. lib. 1. cap. 12. Et Arriag. sect. 4.
Omnia adverbia v...som bet pro alterius SIGNO, prius noitris SENSIBUS cognitionem
sui inpienter, doctem, conc. Sed non placet, quia cum discrimeninter termi
gerere debere, pecificat autem SIGNUM efe debere SENSIBILE, quia nos cathegorematicum,
et syncathegorematicum sumatur præser. Ut notar Doctor 4. d.1. grætt. z. &
3. SIGNA SENSIBILIA sunt maximem timin ordine ad propositione in ipes pro sianu
isto excitare intellectum coniunctum am SENSUUM et per se potest esse subiectum,vel
prædicatum propofitionis, ille ministerio dependentem, ut in alterius rei cognitionem
veniat; verom, qui non potest esse subiectum, nec prædicatum, nisi cum ad per
alteram verò partem definitionis altera quoque conditio exdito, consequenter adverbia
omnia erunt termini syncategorеinati primirur, contraquam nilvrgent instantiæà
Poncio adducta ci, quiase solis, et sine addito non possint esse subiectum, vel
pre quia obiectum facit venire in cognitionem sui, non alterius, dicatu in propositionis,
et per se non significant aliquid, sed potius hoc facit venire in cognitionem sui,
quatenus cognitum, ut fa aliqualiter. It signum, sed quarenus cognoscibile. Nec
etiam Deus hocmo- Potiori ratione ad hoc tertium genus termini mixti nomina
adie do ad inftar SIGNI ducitnos in rerum cognitionem, quatenus eti vare duci possent,
quam visenim Hurtad. disp. l. sect. 10. mor cognias, fore as revelando, quod ad
huc facere possec, etiam dicusc ontendat esse terminus syncategoremnaticos, quia
non SIGNIS prius am nobis non cognosceretur. Cognition denique esse ficant per se,
sed CON-significant, v. g. “bonus”, non significat per se, bg num rei cognit xper
ipsam formale, vedicebamus, non et determinate aliquid, nisi ad datur alicui, v.
g. “Petrus [est] bonus”, Ta autem instrumentale, quod solum propriem dicitur SIGNUM
et men si nominum adiectivorum significatio benem confideretur, vide ab Aug. [AGOSTINO]
definicus, et ideo cognitio propriem loquendo non di bimus, quod liceti n determina
cem aliquomodo significent, ratione e in er facere nos venire in cognitionem
rei, quam re-præsentamen formæ significatæ se cum afferent aliquam determinationem,
quia non ducit nos in cognitionem illius rei, quatenus nam “doctus”, v. g. doctrinam
importat, quod non eucnit in SIGNIS quan cognica, lea ut medium cognitum, sed ut
ratio cognoscendi. So- citatis omnis, nullms, doc. quæ nulla in prorsus, rem determinatam
lum autem SIGNUM instrumentale est illud, quod hic definitur significant. Accedit,
quod nomina adiectiua possunt esesaltim præ Ethocignem instrumentale ad huc duplex
est, aliud naturale, dicatum in propofitione, v. g. “Petrus est doctus” -- quod
SIGNIS quantitate it, quod ex natura sua independenter ab hominum voluntate
tispror sus convenire non potest, ergo nomina adiectiva commodem aliquid re-praesentat,
ut sumu signem, et universaliter omnis es- ad hoc tertium genus termini possunt
revocari, quod etiam tenent sutus suam cusum, qui præsertim si sensibili serit,
dicetur tic Casil. cap. 3. et Arriag. cit. cum significant aliquid, et aliqualiter,
vn suncauz juxtam sensum definitionis allaræ. An verom it aèm contra de rem anet
sola nomina substantiva esse propriè terminus categore cala dicipole SIGNUM sui
effectus, negar Hurtad. disput. 1. fet. 4. maticos, quicquid hic dicat Ouuied. Quia
eicauíz cognition ducat in cognitionem effectus, tamen, 7.Rursus terminus categorematicus
subdividitur in simplicem boset ordinate ad illum re-præsentandum. Sed planènonmi-
seuin complexum, et compositum, seu complexum, quam diuisio mes ordinataet cognitio
causæ ad nos ducendum in cognitionem quidam sic explicant, quod complexus est ille,
qui constat ex benefectus a priori, quam cognitio effectus sic ordinate ad noti-
pluribus dictionibus – ut: “homo albus” in complexus, qui unica gau tiamanfz à posteriori,
quareratio Hurtad. Parum valet. Acinder dictione, ut “Homo et albus”, ita Roccuslib.
i. introd. cap. 8. quinzalij, quod licet icar esse habeat, solata men cognitio,
qux Blanc. libr. z. sect.2. At ve bene monet Tatar. tract. 1. coin. 4. hæc ex
perfectum habetur, dicitur haberi per SIGNUM, unde sola demonplicatio potius grammaticalis
est. Grammaticus enim voce millam Horacio, posteriori, quzelt per effectum, dicitur
a signo, et idiom appellat complexam, quæ constat ex pluribus vocibiis, et eamin
solum efectus dici potest SIGNUMcausæ, non è contra. Verun mne- complexam, quæ constat
una tantum, at non sic est apud logi que hoc viget, licet enim cognition habita
per effectum velutisen cum, qui non attendit unitatem, vel pluralitatem vocum,
i ed Ebuiorem causa, magis propriem dicaturam signo, niltam enim- conceptum in intellectu,
cuiiltæ subordinantur, unde etiam si sint pedit, quin et cognitio habit a per causam
po sic diciam signo ab- plures dictions inter se connexx, sit amen in in ente v
numtan solute loquendo. Poc est igitur etiam causa dici SIGNUM sui effectus,
tum generant conceptum, terin inum conitituunt in complexum &przsertim quando
sensibilis est, vnde a Theologis sacramenta
dive v. g. Marcus Tullius Cicero [CICERONE], et è contra fivnatantum sit dictio,
cantur SIGNA gratia, cuuus sunt causa, ita clarem colligitur ex Do- conceptum tamen
generet complexum, erit terminus complexus; vt Gore. d. 1. Juzit. 2.$. De secundo
principali, et sequitur Cafil. cit. et nemo, “Amo.” semper, quæ æquivalent his,
nullus homo; “Ego sum amans”, omni Atriaga difputat. 3. fect. 2. Aliud vero est
SIGNUM ARTIFICIALE, seu ad tempore. placitum, et et: quod ex hominum impositione aliud repræsen-
Alii proindefic explicant, quod terminus in complexus est ille, est, ficramiset
SIGNUM venditionis vini, sonus campangelt cuius partes ab in vicem separatæ nihil
significant, aut non lignih fgrum lectionis, et vox illius rei, adquam significandum
eitim- cant illud, quod in integra dictione significabant – ut, v. g. “dominus”
posita. Ubi tamen est advertendum etiam in vocibus ipsis non est terminus in complexus,
quia licet partes, in quas potest dividi aprum significationem AD PLACITUM reperiri
posse, sed etiam natu scilicet “do-“, et “-minus” sint significativæ, tamen in toto,
et integra salem, ve par et degemica in firmorum, et latratucanum. Et ideom
dictione hanc significationem non retinent: Complexus verom est il temiaus vocalis
significativs sub dividi solet in significativum nale, cuius partes eandem retinent
significationem, quam habebant licet, et AD PLACITUM, et hic ad Dialecticus mpectat
non qui- in toto complexeo, tiam ab in uice in separatæ – ut: “homo iultus”,
enlecundim tuam realem entitatem, ve vox est et fonus quidamn ita Amicus g. 2. Ruuiusq.
4. Complut. cap. 3. Sot. lib. 1. cap. 9. decaufaeus, Id secundum quod impofitus
est ad res ipsas signi- Ioan. De S. Thom. [AQUINO] lib. sum. cap. 4. & alii
passim. At hoc dupliciter ledias, et conceptus mentis exprimendos, in hoc enim lenluvo-
inteligi potest, velita, quod terminus in complexus sit ile, cuius se nere dicuntur
ad inftitutum Dialecticum, ut dicemus disp. Partes Separatæ non eandem habent significationem,
quam habe vocibus, vbictiam declarabimus, per quid constituatur ratio bant in integra
dictione etias migillatim sumptæ, in quo SENSU quod coria nificativus, et ideo per
se non significat aliquid, nec po- seca, acdere vpatett. Al Velscito amipnto enlluingtitiulrla,
nqoumodinpar, tevsetneortmaitn Fioin veelelubecom, et prædicatum in propositione,
sed cumalte- coinplexi separatæ non retinent eandem significationem, quamha
consortio aliquis inde de sumpdtiæctionis Respublica lus, vt notat Tatar. tract.
7. com .1.§.Tertio Sciendum , scio vera est, ut constat partibus illius fins, cuius
significationem modificet wessatenusa diuncur cathegorematico. Bartolomeo
Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and De Interpretatione,
segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans, notatum, notatura,
segnatura, signifare conceptus animae, res significata, “Amo” aequivalet “Ego
sum amans” – Homo albus aequivalet “Omne homo est albus” – Homo currit
aequivalet Aliquis homo currit, signum artificiale, ad placitum, significare
naturaliter – baf, bif – definizione di signo, tratta d’Agostino. Aquino.
CICERONE. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Massolo: l’implicatura conversazionale nelle prime ricerche di Hegel – implicatura
idealista di Plathegel e Ariskant -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo italiano. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that
would be his ‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with
Strawson and Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme
on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio
Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu
autore di alcuni volumi di poesia. In
seguito ad un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno,
insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito
filosofico del secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo,
Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con
numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo,
Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta considerazione di cui M. godeva
all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra. Partecipa alla fondazione della rivista
Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della
sua uscita, ospitò tre importanti saggi di M.: Esistenzialismo e borghesismo, La hegeliana dialettica della quantità, L’essere
e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates» dell’editore
Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil, Vita di Hegel
di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su Hegel, inclini
a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo
tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e
Gentile) quanto quella di Galvano Della Volpe. Nell’ambito della sua
riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale
rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni
interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi
teoretici si sono rivolti principalmente alla filosofia classica tedesca da
Kant ad Hegel, della quale ha studiato, per più di un decennio, i principali
momenti storico-teorici. In antitesi
all’esegesi del neoidealismo italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie
di Fichte, Schelling ed Hegel il superamento della finitezza umana che Kant
aveva posto a fondamento della sua filosofia, Massolo ha proceduto alla
rilettura della genesi dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato
i dualismi kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello
spirito di Hegel. Nelle fasi più mature
della sua riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della
scissione della coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea
della completa politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, Frammento etico-politico), ed il problema
della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della
coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero
e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,). Si dedica alla questione della dialettica
intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il
quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno
condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, M. ha
contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha
concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e
comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato). Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo,
Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze,
Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni);
“Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia,
Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica
idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica”
e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, S. Landucci, Arturo Massolo,
"Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi
in onore di Arturo Massolo, Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, Nicola Badaloni,
Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia
italiana", degli scritti di
Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi
Nicola De Domenico e Gianni Puglisi, Venezia, Marsilio. Arturo Massolo.
Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile,
implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Massolo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mastrofini: l’implicatura conversazionale -- l’implicatura verbale di Romolo –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte Compatri).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into what we may call new
Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher, he focused on the
philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to translate a philosophical
text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is that he mostly kept with the
cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume “Le discussioni
sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che né la
Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano di
ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo a
molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca e
dall'opinione pubblica. In precedenza aveva
scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa
relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per
la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della
crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato
professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere
definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova
Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abitava e morì, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- dotto in filologia,
teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei
verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza
divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la
moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più
famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio);
“Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso
“Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma,
e dell'impero e Romolo, generato da Marte, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza
confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il
fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non
potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una
lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, in boccò li sue
mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un
regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que'
giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata
Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo
da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni
cento due a!l'incircd . M a forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento
in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo
ziodiVesta Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può
sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore
fosse alquanto migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni
abitazione fosse capanna o no . av. Cr av. R. 26. na Enea dopo finita la
guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie .
Ascanio , ossia Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba
Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni Ani. dik .
3.av. Cr. essi viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui
figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia
Imulio suo zio dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume
e de’monti, vicino a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt).
Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual
de’due le fondasse e vi dominasse . Per tantoRemo andossene al monte Aventino, el
altro al Palatino. Colui pel primo vide sei avoitoj: posteriormente videne
l'altro, ma dodici: e vincitore negli augurji nal Area fin quì fatto un'abozzo
di citta, piuttosto che una città; mancandole gli abitanti. Ma siccome riina
neale vicino un bosco;eg! 2feceunasilo; edisubia tovisiadund moltitudine prodigiosa
di uomini, Latini, e Toscani pastori , eGo ancotras marini , sia d e ' Frigj
venuti con Enea, sia degl’Arcadi con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti , ne
trasse un corpo solo; e fu per lui creato il popolo romano Vi quel popolo di uomini era cosa di una sola
generazione. Si chiesero dunque de’matrimonj da'confinanti; e sccome non si
otteneano; furono con laforza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri
, le vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente Romolo inalzò Roma che
diverrebbeca. C o . za una città pieno di speranza, che guerriera diverrebbe;
tanto ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e prede
.Sembrava che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che
deridendo Remo le angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, fu
trucidato; è dubbio se per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima
delle vittime; e consacra col sangue suo le fortificazioni della nuova città .
Av. Cr. R.2 so 52 7> ro dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+)
Spoglie opine eran quelle che un comandante toglieva all'imperadore o supremo
comandante nemico uccidendolo di sua mano. Queste furono così rare; che se ne contano
appena tre. Le prime le riportò Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio
Cosso contro di Tolunnio. E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi fu
detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o
perchè ferisce col fulmine; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un
capitano feriva l'altro con la spada. Era questo un bel mantenere le promesse e
intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano
opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello
usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o
cone noi abbiamo tradotto , senza malizia , perchè non chiedeva danaro , ma gli
scudi o li braccialetti. Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi
addita, secondo ValerioMassimo 9.6.I.erafigliuoladi Spur.Tarpejo il quale a tempi
di Romolo presede alla fortezza:c coleiera uscitaper prenderc acqua pe’santi
riti, tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentirespintie
fugati: lacittàdi Ceninafu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta
con le sue mani a Girve Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte
furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone
la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre , gli scudi
forse o li braccialetti; coloro e per m a n tenere a leila promessa e per
vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i
nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che Romolo prego
Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ebbe origine il
tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome
s'intrammiseroadessiche infierivano.Cosìfulapace riordinata , e stabilita
l'alleanza con Fazio . Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen
passarono alla nuova città, consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni per
dote. Accresciute in poco tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma
alla Repubblica. E la gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè
sorgesse nelle subire guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori,
i quali si chiamano pari arringando dinanzi la città presso la palude della
capra, e di repente levato di vista. Alcuni pensano che i senatori lo
trucidassero per la ferocia dell'indole di lui. Dopo la morte di Romolo il
trono resta privo di sovrano per un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori
di cinque in cinque giorni. Quello spazio fu chiamato interregno. Il magistrato
a forma d'interregno ha luogo ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli
occupati in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano
costretti a depor. 14 LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che
inemiciab 7.av. Cr. diR. 38. l'autorità, ma per la etaS.nuto. Ordinate in tal modo
le cose, egli SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del
sole presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale
poco appresso diè credito Giulio Proculo coll'offermare; che Ronolo si era a
lui dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva
che per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo.ContalmezoRoma
con quisterebbe le genti
.E'naturadelVerbodiesprimerel'afermazioneelanegazione.E siccome Essere e non
essere esprimono appunto per se stessi l'affer mazione e la negazione; ne
seguita che il verbo Essere preso nuda mente, o preceduto dalla particella
non,è verbo per natura e per ec cellenza. Comunemente la voce essore è nota col
nome di verbo so slantivo, perchè esprime l'esistere, o l'essere di sostanza.
Le qualità che si affermano o negano possono aversi distinte o no,
dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione o negazione si
addita col verbo essere,come si è detto. Ma nel secondo caso risulta un nuovo
ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione
o negazione colle qualità chesi affermano o negano: tali sono amare, godere,
odiare, piangere & c. che significano essere nell'amore, nel gaudio, tra
l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di verbi ha servito
incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma alla dolcezza dell’wloquenza,
e del la Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e nega dise stesso,che sichia ma
persona prima, o di altri a cui parla, che si chiama persona se conda, o di
soggetto a cui non si parla,e si chiama persona terza. Per altro questepersone
possono essere una, o più, cioè possono ri guardarsi in singolare o plurale. E
'naturale che tanto nella nostra q u a n to nella più parte delle lingue
s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente secondo ladiversità
dellepersone,e del numero.E quin di abbiamo amo ami ama,amiamo amate amano. E
potendo il discorso riguardare cose presenti, cose cominciate e non finite, cose
passate, più che passate, e future; fubenevaria. Anzi siccome le proprietà si
affermano o negano assolutamente, o sotto certi rapporti e condizioni; cosi li
verbidivennero parole terminate diversamente secondo la persona, il numero , i
tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o relative. S. 1. re
il verbo secondo la persona,il numero, e i tempi. a I 6. Questi
modisono cinque: Indicativo, Imperativo, Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo
dimostra assolutamente che una cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora
assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro ama amò amerà le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichia.
ranoche Pietro amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando,
preghiera, avviso, consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola
voce si vuol esprimere il comando, preghiera &c, e l'azion e che deve
farsi. Tale sarebbe amatu, amerai til, ameremo noi &c. Pertanto si esprime
l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera &c;
laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio
di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora
desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi,ioamerei, O avessi amato,lo
avreiamato &c. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si vuo
le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le
particole sebbene, quantunque, conciossiacosache &c.Tále èquel di Petr.
Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel
diBocc.6.7.n.2.perl'amorediDio,comechèilfattosia& c. Tra i Greci l'Ottativo
ha le sue desinenze tutte diverse dal congiun tivo: ma nella lingua latina e
nella nostra l'ottativo adopera le stesse voci del congiuntivo, se ben si
rifletta. Il verbo si dice di modo finito o deterininato finchè si concepisce indicativo,
imperativo, ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente
qualche proprietà senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, &c.,
ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La
varia desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi
si chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o
diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E
siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e l'infinito
puo terminare in -are, in -ere lungo e breve, ed in -ire; cosi tre sono le
conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are si dicono
della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli terminati
in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve, come
temère,cadère, giacère, &c., e come credere, discendere, volgere, &c. I
latini di queste due desinenze ne faceano due conjugazioni diverse, come docère
e legere. Nè mancato è purtra gl'Italiani chi abbia concepite diverse le
conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la pronunzia
lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri divari, parlando regolarmente;
e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non la forma del
verbo; così piùra gionevoli sono quelliche rinnisconoin una
conjugazionegl'infinitiin ere lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i verbi
terminati in -ire, come sentire,uscire&c. Chi si propone per iscopo
di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le varie
desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle varie
conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere
però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza
sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria e di Prospetto
generale; ed esporremo in essa 1.come le conjugazioni latine sian si
trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia: 2.la dipendenza comune
de' nostri verbi dall'infinito, e 3. per ogni conjugazione il prospetto di qualche
verbo che serve di norma in tutti i simili e regolari: come del verbo amare per
la prima, de'verbi temere e credere per la seconda, e de'verbi sentire ed
aborrire per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come
principio di ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede,
esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E
ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari, non
possono formarsi le tre conjugazioni divisate degli altri verbi. Dato cosi
principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda
parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali
cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali
servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e
distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella
seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'idiotismi
e gli errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi
talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte
sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle
note. Gli errori son sempre errori. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel
parlare e nello scrivere familiare, non perd nelle belle scritture, sebbene
talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon
per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per
compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il
gerundio.Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio
perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto
dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono amante, amato.Tra’Latini
si aveano participii presenti, passati, future: “amans”, “amatus” “amaturus”. Presso
noi non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente,
temuto.Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro&c,ma
non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato sarà
descritto per lo più nella formazione de' tempi più che passati: laddove il
participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può
essere messo informa diaggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù
possente, e la virtù a2 3 ,: il participio si riguarda anzi come
adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee,
quando si risolva, signifi care come i participj latini: come se dicesi canto
possente a diletta re: schiere seguenti le altre & c. E ciò rileva
conoscere perchè non di raro si anno gli esempj anzi di adjettivi che di
participi , e noi pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni
rispetto. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual
significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel
che differisce dal participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali
esempj risulta che il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e
delle altre in -endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in
luogo ancora de'partici pj presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le
Congiugazioni Latine siansi trasformate e si trasformina nelle Conjugazioni
presenti d'Italia.Tutte le vocali latine, finali di parole intere, nè seguite
da consonanti, si conservano.Così in amo amare si conserva l'O di amo, e l'E di
amare.Tutte le consonanti finali sitra lasciano o mutano: le consonanti sono M,
S, T, NT, ST. Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T
amant amano, amarunt amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent
amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre rimanere la regola di
mutare il solo T in o dicendosi ancora amassono. Vedi il prospetto di
amare.Tutti gli U finali seguiti da M o da S si cambiano in 0: possum posso: amamus
amiamo: ma se gli U sono seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei
passati, ma nei futuri in AN. Così da legunt si trae leggono, e da amabunt
ameranno.Tutti gli A ovvero gli E precedenti immediatamente l'S finale si
mutano in I amas ami, times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas
tu legghi. Il che basta a conservare la regola, ma ora si dice anche tu tema, e
tu legga. Tutti gli E, ogl'I precedent gliA, oppure gli O finali, si lasciano affatto.
Timea temo,timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta, 4 è possente: il
fuoco bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI
ARCHEOLOGICHE. Non dee sperar di
comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri
ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si
$. Tutti gl'I precedenti gli S finali in singolare si conservano assumendo nel
futuro un A precedente: legis leggi:a ma bisamerai, edin pluralesimutanoin E:
legitis leggele. Tutti gl'Iseguitidal soloTfinalesubisconoun cambiamento
secondo itempi. Ne'presentisi cambiano inE, ene'fu turiinA accentatolegiilegge,
creditcrede:amabitameră,timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più
innanzi. Tuttii B avantil'afinalene gl'imperfettisi cambianoinV consonante,ed
avanti l'O, l'I,o l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della
conjugazione del tempo si cambiano in R. Quindi si trae amerò da amabo, ma da
belabo si forma belerò senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del
verbo, e non della formazione del futuro. 2. Queste regole sono ordinarie.
Vediamolo. LATINO amatis est amamo reg.3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone
la maniera. Dalle regole 3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so
e l'ultima sono. Ora dee sapersi che appunto tra gli antichi si trova non poche
volte so per sono in pri ma persona.B. Jacop. Poes. Spirit.Venez. 1617. lib. 4.
cant.28. stanz. 12. sei amamus es еè sumus somo este credit & c. ama
reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedireg.4.
vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. 2. Dicasi altrettanto di
Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo
queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente
reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete
siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi
exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes. A pinger laer
so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda persona es fu
trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi dicevano
comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come Petrarca, Boccacci,
Albertano, ed altri: ALBERTAN.ediz. di Fir.cap.23. Selegaloamoglie? non
domandare di scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti.E
piùsotto: esìselenuloditantoamarla moglie.PETRARC. canz. 26. v. 77.
ediz.Comminiana Spirto beato,quale 6 Se,quando altruifaitale? e altrove
più e più volte. IlDecamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne
è pieno. Senza questa origine che fa cono scerecheseper seconda persona è voce
interaenon accorciata, non s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non
l'apostrofassero. Tutta via perdistinguerla a prima vista da se pronome, e condizionale,
convenne in qualche modo contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e
servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come
scorciata, quando nonera:e perchè tutte le seconde persone singolari presenti
dell'indicativo terminano in I Reg.4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel
verbo sostantivo avrebbe dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se
ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di tal persona.E cid
supposto quan do si scrive se per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno
scorcio di Signornonè giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e
altrove spessissimo.E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz.
di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj
ancora nelle letterediS. CATERINA,inFr.Gi. ROLAMO daSienanel1.Tom. delle delizie
degli eruditi Toscani, ed in altri:vedi vocab.diS.CATER.alla voce essere: ma so
trovasi parimente persona del verbo sapere, nata da sapio sapo sao so:ovvero da
scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbela
seconda. Ma torniamo all'intento: siccomesoera voce ancora del verbo sapere, e
siccome il saper vero è di tanto posteriore all'essere. Così per togliere ogni
equivoco, sivolle piuttosto ridurre ilso del verbo essere in sono che lasciarlo
indistinto col so del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo verbo italiano
essere ha la voce sonoperesprimere la prima singolare e la terza plurale, sappia
chequesto è stato un male di origine, voglio dire è provenuto dalla figliolanza
della Italiana dalla lingua latina, in forza delle leggi universali, che per
tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare l'una nell'altra
. s e i : nè chi procede con tal veduta può riprendersi: ma in
origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi.
sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap.51. Dal savio uomo eeda temere lo nimico. Or
cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione e, come pure dal
pronome ei solito ad apostofrarsi, e dallacongiunzione e seguita dall'articolo plurale
iliqualiduee iriunitisi rendeanopere: ma coltempo, la varietà dell'apostrofe e
dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza l’e del verbo dagliedi
altro valore: vediesseren.Trovasi ancora fra gl’antichi este per è m a
rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM .ediz. Fir.1729. in finealla voce
este; finchè preval sero le regole generali anzidette. Da sumus uscirebbe sumo
o somo, e non semo: ma siccome tutte le prime persone plurali dell'indicativo
presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,” come avemo,
tememo, &c.,così da sumus fu tratto semo: ovvero siccome tutte le persone
prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda
per.sona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere,
quindineuscisemoepoisiamo. Chi conosce gliantichisa quanto è familiare l'uso di
semo. Ne allego un esempio dalla vita nuova di Dante pag.13. perchè semo noi
venuti a queste donne? E Fra Jacop. lib.1.sat,5. Uomo pensa di che semo. Di che
fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole
generali la seconda plurale sarebbe estes. ma trasponendo l'savantil'Ecomenel singolare
per uniformità maggiore con sono, sei, siamo; sen'ebbe sele, e questa appunto è
la voce degliantichi: siconsulti il verbo esserenot.5. finalmentesiag. giunse
un I per dolcezza o per distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe
siete, che ora è la voce più propria di questa persona. Apparisce dunque per
quali gradi e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del
verbo essere, La terza persona si esprime con la voce e, che appunto ri sponde
all'est latino lasciatene le consonanti secondo la regola 2. ma gl’antichi, prima
che la lingua si modellasse in tutto, non di raro dis 7 Preferiti
Imperfetti Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7.
amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano
reg.7. 2. Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam
lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva com e era nelle
origini prime, nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra
gl'italiani ne' verbi provenienti dalla quarta de'latini:non è raro che senteva
si oda anche ora tra' contadini più corrotti che sono gli ultimi a correggersi:
e finalmente fu detto sentiya sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste
regole e questi progressi apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva
terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i
gramatici si meravigliano,per chè la prima e terza persona singolare combinino,
e perchè la prima non siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi
che al cambiarsi del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli
antichi, nè si aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per
contornarli di nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti
levatane la terminazione latina in M ; restavano amaba lege ba ec; cosi mutato
il B in V non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto: molto più
che in que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto
come siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo: tanto più
che non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'qualisi compionoin o le
persone primesingolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni riserbandone
altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit.dePontef.edImperadori: vita di Caligola,
lo pregavo ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo in Fr.
Jacop.1.4.can.38. Lacagiondelmalfuggivo.Cavalc.Epist.di S. Girol. ad Eusloch.
cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser
privato di ogni ajuto, gittavomi a' piedi di Cristo&c.... iratoame medesimoerigido,solomimet
tevo per li diserti, e dove io trovavo più oscure e aspre e profonde valli, e
aspri monti o scogli pungenti o luoghi più aspri e spinosi; ivi mi ponevo in
orazione. Pulci. Morg.c.3.62. lo mi posavo in queste selve strane. Da
Timebam così pure si ebbe C.XI.83. Talch'io pensavo d'aver acquistato. 8
ec.16.44 Per Dio, cugin,ch'i'sognavo alpresente, Che un gran lion mi veniva
assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E però E con Frusberta il
volevo ferire. e altrove più volte. Letter.San.CATER.di Sien. ediz.di Aldo pag.
14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e pag. 20. vi aggiunsi
anzi che io volevo in voi la perfezione della carità pag.92.
desideravo divedervi: anzi tal voce desidera vosileggemolte volte
inquelle lettere.Vita B. COLOMBIN.ediz. di Roma pag.9.lo gode voévoinonmilascia
testare,epag.96.adirviilveroio andavo a posarmi;pag.167.0 figliuoli, e fratellimiei
io non meritavo di es ser padre di ianla buona gente;pag. 174. E questa la
compagnia che iodalesperavo,epag.299. pensavoche quanto è maggiore la soggezione
e l'unità ; lanto si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo
essere:e n.6. avere. Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano
reg.7. 2. Imperocchè ben è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo
tempo in V il B precedente l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche
l'altro B:anzi parea troppo ragionevole, perchè non si notassetanto di variodi
usiinparole medesime, esifamiliari. E'poi noto, che tutto il verbo “avere” si
scrivea ne'principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l'H
precedente: ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato,si tralascia
ancora nelle vo ci,che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora
come siansi trasformati gl'imper fettide'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono
da tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di
habco:seguiamoli via via, che'non sarà inu tilela ricerca Lasciato l'E dihabeo
reg. 4,e le altre consonanti,e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era
reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. levocicome
sitraevanodallatinoinot. tima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras
Era reg. 2. in eravamo, ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B
cambiatoinV, come dunquedivainera questa consonante. Tale aggiunta affatto
manca la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di
altri verbi, che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate
&c. Il peggio no in quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu
che si anche alle voci era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza
erano & c. Non dimeno l'uso, quel , piùche lesemplicie naturali
vamoederavale essere,n.6. Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que
risultasse. Eccone la maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas
Habeva habevi era eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus
aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo
avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano
Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi
avevireg.7. 4. 2. b abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato
per compensare la perdita dell'E nell'ha beo. Sia comunque,abbosi legge ancora
in Dante Infer. 25. E quanto io l'abbo ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI
degli Antichi certamente abbo provato; e più sotto:ripensola seraa quello che
iolo di abbo detto.E nelle Vite de'SS.PP.ediz. Man.Fir,1731.,nella VITA DI
GIOSAFATTE ediz.Rom.,e nelleNoyelle anticheFir,1572l'usodi abbo èco mune .Abbi
è rimaso nel Congiuntivo.E 'poi noto, che gli Antichi usa vano la seconda
singolare presente dell'Indicativo ancora nel Congiun tivo, come resta tuttora
in molti verbi,Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone
singolari,e cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza
nell'uso comune abbiamo; e siccome gl’Antichi finivanole voci per tali persone
in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj sidicesse abbemo,quantunque negli
scritti forse non si trovi,per la rapidità di altri cambiamenti succeduti.
Certamente l'uso di scambiare tutti iB nell'imperfetto di ha bere,di buon pra
scorse in alcune,o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi
ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra'poeti, e fu non meno della
prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli
Antichi. Avete rimane per ogni scrittura;le altre tre voci presto furono cam
biate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo,oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo I quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'aja; Franc.BARBERINI
edizion.Roman.pag.189. Nonveggio ancor chi contento ajail core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo,cioè per lohu.S'insinud tal cambiamento nella
seconda persona avi,é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus habe
habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto:
ajo portato in_core & c ,ed altrove più volte:anzi usa aja per
abbia:lib.1.sat.12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'aja umilitate nel core.
DÁN.Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per
la quale ora ci troviamo con hai, seconda persona del presente dell'Indicativo,
senza che volgarmente se ne intenda la origine.Può notarsi però che in forza
della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi
seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi haj: e ciò sa rebbe
statoopportunissimope' giorninostri,ne'quali vuolsi lasciare an che l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che aj è del
verbo,senza pericolo alcuno che si confondesse con l'ar ticolo plurale ai. 1.
La mutazione del doppio B in V ed inIdoppio o lungo,al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessis simointalmodo:equestaè la causa parimente, percuisidiceveg
go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse ancora vejo vej
veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere. Quindi 'Imperador
Feder.Rim.ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo. Da crejo è
propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per credo, quasi
crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant.Pucci nelsuo Centiloquio
can.XI.terz.27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano. L'ultimo verso
assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in Dan. Inf. 27.53. si trovasi
e'persiede; parchiarocheambedue de rivino da sejo. Allego un esempio di
trajamo: Boc. g.8. n.5. lo vo glio che noi gli trajamo quelle brache del
tutto:da ciò ben apparisce la origine ditraggiamo &c. 12. Ridotto havi ad
hai;dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V consonante , quando
erasi inviscerato nell'j: e cið compa rendo,era facile di lasciarlo pure nella
terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr. Jacop.,in
Guid.Giud.,in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac. 408 Ciulo dal
Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gli Antichi si trova ancora
crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo, lraggiamo &c,enon
dalla mutazione del D inG comesitiene,forsemenopropriamente daiGram matici.Cosi
Fr. Jac.lib.5. c.3.12. secondo che io crejo:e nelleno te vi si legge:
crejo,creggio,credo, e lib.5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci
passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45.
4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E
volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di dugento b2 12 e
generalmente negli Antichi.Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7 sempre ha e le mani
di stesepertorre. ..ivil'avaronon haesicura vita.I Grammatici han creduto,che
quell'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua,chenon amava
finirele parolein accento: ma questo sarebbevero, quando la parola originale
della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendoquestahabet, habe, have.Hae
dun que non èche have,toltone ”v per simiglianza di quanto era ac caduto in
hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che non di raro fra gli
Antichi si legge dae,fae, slae per dà,fa, sta, come leggesi trae, e come hne
per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono aggiunti per la ra gione
medesima: ma egli è falso ugualmente; perchè dai ruderi an tichi della lingua
può concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire,fai re, staire, come esiste
traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge n a turalissimamente dae, fae,
stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima
Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infiniton.2.E
quindi puresono levoci dai, fai,stai,come trai,che altronde sono
inesplicabili.A dichiarare quanto dico sappiasi,che Fr. Jacop.
lib.6.c.10.st.20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo
staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5.
Ch'eglièildaenteetiilricevitore: e lib.7. c.9. II. Staendo in
quest'altura dello mare: Vita S.MariaMad.É cosistaendola poverettasì per l'amorechegid
ave v a con celto di Gesù Cristo, si per la doglia ; cominciò a piangere.
Parimente in Fr.Guitt. si legge più volte faite alla pag. 36, efaie alla pag.54.Enel
TESORETTO:ponelemente al beneche faiteperusaggio:e Franc.BARBE RINO pag. 17. Faesselei
di quel pregio degnare.NeiGRADI diS.Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara,
chel’idifaiteè un aggiunto,e non più:ma faie,faesse,elevocislaca,daia
&c.ne'verbi similipalesano il contrario:e Traire si legge in Fr.
Guit.lett.2. pag.9, ma traers spiega ugualmente la originedi trae, come fae
sorgerebbe ancora da faere, delquale fece uso Franc. BARBERINO nel verso
allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae non sono aggiunti,come si pensa, m
a sono naturali;ed ora non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti.
Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era perito \'u consonante;
così poco a poco si tento,ma non riusci,di farlo pe rire nelle vociavemo,
avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e
negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto arò,arai,arei,aresti'&c.come
vedremo.Non prevalendo pero quel tentativo, siri serbarono le voci
avemo,avete,etalvoltaaviamo, aviate, aggiamo,aggiate. Essendosi creduto, che
l’E di hae fosse ag giunto; presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le
prime tre fossero ho, hai,ha.La terza plurale divenne harno;perchè
dall'ha bent sifece haveno, haeno, hano, hanno,ed esistono
ancora'esempi di dano,fano & c.per danno e fanno, voci similissime nella
origine,com me è chiaro:vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo ad esaminare come dai
perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti d'Italia. Potrà ciò
conoscersi ne'verbi co muni ad ambe le lingue,ma terminati secondo i metodi di
ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini sincopizzavano il perfetto in
più voci, togliendone il VI,o ilVe.Per avere dai perfetti latini lita
lianocorrispondente,silasciilVI,oVe intutte lepersoneperquan to si può senza
contradire alle regole generali del s. I. Quindi nel la persona prima singolare
dee lasciarsi ilsolo V , non potendosi to gliere l'I finale, secondo la regola
prima. Si noti, che la terza singo lare risulterebbe simile ad alcuna voce del
presente, e quindi nelle origini si accentava: ma ora se la voce finisce in A,
simuta in O accentato.La prima plurale sarebbe amamo come nel presente,e quin
di I'M si è raddoppiato. Del resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta
procurare da Remigio Fiorentino in Venezia si vede gran quan tità di persone
prime plurali dei perfetti,scritte con un semplice M : come tememo per
tememmo.Altrettantosiosserva in Fazzo degli Uber ti,nel Cavaliere Jacopo
SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi To scani, nella Cronica delPitti,ed in
altriAntichi; indizioche pertali vie si passava dal latino all'italiano in
questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle sue Origini dellaToscanafavellaosservaalcap.6.che
i Sanesi in tali personenon davanoasentire che unM ,quasipronunziandoface
mo,dicemo &c,ed eglicon pari ortografia scrisse tali voci.Ma Giro lamo
Gigli nel suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi
(vuol dire un secolo dopo ilCittadini,) quell'uso era perduto. Serbate dunque
anche le regole generali del n. primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit)
ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono
16. Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare,
e perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o , e si ebbe amaro
per altra terza persona plurale. I Grammatici han ereduto, che amaro sia
precisamente una sincope di amarono, toltone il no.Á me perd sembra,che amaro
siavoce interain sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è
la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora,e dirsi amàr per amaro, laddove
le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora
si trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un
incan to, che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e
m 14 pre significhinolo stessocon quadrupla
desinenza:amarono,amaron, amaro,amàr.Ma l'incanto,se ben siconsideri, non è che
un caro abbagliodiun animo,chealvederprimosiappaga,stancodellemo lestiedi
riflettere. Imperocchè da amarono sitragge amaron,e qui cesserebbe la
troncatura:ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro ,
desinenza ancor buona ; si è creduto, che tal bontà risulti in forza di uno
scorcio: laddove amaro già eralegittima de sinenza in se stessa: e perchè tale,
ammettevasi; non perchè nata da amaron,levatone l'N. A parlar dunque
propriamente si hanno due desinenze,amaro,ed amarono,edognuna ammetteuno
scorcio,ama rono porgendo amaron,ed amaro la voce amar,colvago incidente, che
se da amaron si spicca l'N finale;ci troviamo alladesinenza se conda, la quale
è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in sestessa;di qui nasce, che gli
scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI
ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più
rare,spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la
desinenza in aro è quasi la comune, lad dove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. 18. Ma proseguiamo l'esame de perfetti:eprima nella terza con
jugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste
udiro. proviene udiro dall'audivere,come amaro dall'amavere. E'poinoto, che
nelle origini della lingua si disse in Italiano anche audire finchè l'au si
chiuse in o,cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse oro, tesoro
&c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui
debuimus debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti
audi(vi)t udi audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis 19. Riguardo alle seconde
conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi
regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta .in E semplice,avvertendo, che
l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canonigenerali
debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere)
debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero,
Siccomel'U fu cambiato in E(dovei)gravatodi accento,quindinella terza persona
non potea non dirsi se non dovè seguendo leregole ge Udii udirono dovemmo
nerali, o dovèt, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que.
sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla
voce Giudit PETRARC. Trionf.fam . c. 2. v. 119. Non fia
Guiditlavedovellaardita,sièfattoGiuditta,ecome da Josafat, DANTE
Infer.10.v.8.Quando da Josafat qui torneranno,sièprodottoGiosafalte
comunemente.Fattosi dovei,dovė,o davèt,fecesi quindi per coerenza do veltero e
dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia desinenza: e si disse temci e
temetti, teme e temette, temerono e temettero. 20. E' poi tanto vero, che
questa è la origine di temetti, tèmel te & c, che siccome lo stesso
argomento vale per le terze conjuga zioni; così talvolta si scontra ancor
questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che trovasifuggi,fuggi & c;
e nelle Vire de SS.PP. ediz.Man.tom.1.pag.20.fuggitte,e nellapag.125
salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito,alla casa di una vergine
Cristiana o per rubare,o per altromalfare,salitte con certi ingegni il tetto
della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte
come salitle & c.furono modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè
di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom. 1. delle Vit.deSS.PP.se
in alcuni esemplarisi legge fuggitte,inal tri, sihafuggelte: allapag.101 ediz. citat.
Vi è fuggetti per fuggii: nella 62 ,uscite per uscì, nella 71 irrigidelle per
irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Antonio Pucci versificatore famoso del
trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito
impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre pagine ed
opere. Simile terminazione non potevaaver luogonellaprima conjuga zione,perchè
l'amavit,secondol'usodi cavarneilvolgare,cessadove èilsecondo a,dicendosi amo ,e
non cessanell'I con farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe
causato la uniformità, che'mai non ottenne:ora la desinenza in illi ed etti
& c.è del tutto abolita per le terze conjugazioni: rimane ancora la cadenza
in etti e dette, &c. per le seconde conjugazioni; ma forse, almenoin
piùverbi,è men cara che nelle origini della lingua, come potrà rilevarsi dal
prospetto de' verbi, che soggiungeremo. 21. E giacchè consideriamoil rapporto
fraledesinenze delleter, ze persone de'preteriti dell'indicativo, piacemi
dilatare ancor più la serie delle riflessioni,picciole sì,ma pur necessarie per
chi brami co noscere intimamente la lingua,e suoi movimenti. Ho detto di sopra,
che dall'amavit, debuit, audivitsitragge amò, dove, udi,abolendoin tutto,quel
vit finale:ma questa è piuttostola regola,che ora predo, mina.Del resto quando
la lingua pendeva incerta sul fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere
queste, tutte simili alla cadenza del. la prima conjugazione, e tal altra a
quella della seconda.E certo quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao:di
che produco un esempio luminoso di FR. Jacop.lib. 2.can.2. Quando che in prima
l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo dell'amore: / 15 E
questa è la causa, per la quale oradiciamo amarono, lassaro no, e non amorono,
lassorono & c. vuol dire questa è la causa, per la quale la sillaba
antipenultima è un a, e non un o. Tutte le ter ze plurali nascono nel preterito
con aggiungere alla terzasingolare un rono,o un semplice ro,
ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo senti rono,temè
rono,crede rono, sparse ro, videro & c. Pardunquela originalterza
personaquellade'contadiniamà,las sà & c. e quindi sen ebbe ama rono,
lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti
Antichi: Così nelle Vite de'Ponteficidi PETRARCA visileggeandorono,seccorono,esimili
or dinariamente.Il Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di
tali cadenze.Forse a dire amarono,lassarono &c.vi contribui pur la dolcezza
per non avere insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi
che il vit era supplito da un o nella prima con jugazione; lo fi pure
nelleseconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo,credeo,poteo,
aprio,finio, udio, e simili,tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste
desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: m a nelle altre
conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire
utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosceleprimizie della
lingua,meravigliasiche imo di poteo,lemeo,udio&c.fossero
comunissimi.IGrammatici dissero,che l'o finale si aggiunse per licenza poetica:
ma cið non ispiega perchè voci di questoconio abbiansi frequentissime ne'vecchi
prosatori, come nelleStorie dei Villani,nelDavanzati,ed in altri.Dir finalmente
che l’osi accresceva per non finireinaccento,era un luogo comune,un
parlardiabitudine,enullapiù. Sidoveva avvertire, che quest'ori ceveasi da tutte
le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre 16 Nell'amor proprio
tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto
s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao,
Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom.12 degli Scrittor. Ital. Del MURATORI
trovasi inserita laMemoria di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la
coronazione del Petrarca: costui,che lavidediperse,cosìscrive:Poi comparve lo
Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na
corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore
& c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e
questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato,che presso alcuni contadini
appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per
amò,lasciò come ora è laregola:Toccaal filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse
non sono che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto
questo cie lo da'nostri antenati. teriti , e la uniformità medesima
avrebbe fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci
latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi
dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo, udio,e simili,promiscuamente in
ogni scrittura, senzascrupolodiriprensioni.E'poitantomanifestochequell'O non si
aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche
alle prime persone della terza conjugazione,leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15
udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto
che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza
singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e
similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa
delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyavadallevoci corrispondenti
latine,finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare ogni
somiglianza nell'italiano,с 17 Passato poi Suasina , io udio & c. e
cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si
legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio
direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io
uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto
moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag.100 quando
io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio ,finio ,
lemeo & c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper
iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una
lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe
si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . Vit.
de S S . P P. inciampo e in una pietra,
e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani
male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag.47 udie
una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho
pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito
in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora
ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci
è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis
sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain
sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .
dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate
nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde
in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or
come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è
la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le
minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle
trascurare quellaparitàdicadenza, elevocisichiuseroin0, in E, inI,ac centandole
finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi
senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed
oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente,go diamo su la idea dolcissima di
una lingua perfezionata. M a i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi
aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? 24.
E cid su le terze persone singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere
o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che
doverono e temerono ammettono le tre solite scor ciature Lemeron, temero,temer,come
amaron,amaro,amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera
temèro prodotta da ti muere,come
dovèrodadebuere:laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi
faredovetter, ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci
fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero
quelloche siadditonel 3. 17. 25. E'certo che ne'perfetti delle seconde
conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che
altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne
mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre
tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel
preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperuntond'èrupperono,oromperonoBo'i reg.2,chepursitro ya
negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima
rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocaleprecedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e p e r ciddeemancarel'E diEInelladesinenza,giacchèl'E diEIintutte
le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar
seneruppi,ruppe,ruppero.Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos. 18
già 26. Ma diciamo qualchecosade'perfettide'verbiausiliari.Nascono
fuit fusti fosti C2 sono non avere l'accento sull'E in forza
dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S
T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o
nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi
irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la
prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti.
Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo
dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro,
temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non sincopi di amarono
merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste
furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al preterito debui o timui
della se conda conjugazione latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure
essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la
legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando
luogo a tal mutazione, sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo
è il preterito appunto del verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi
talvolta le voci del preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo
fare: Cosi Fazio degli UBERTI nelsuoDitcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lostilechealuifopos sibile:e Faz. Nel
Ditlam. lib.3cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12,scrivefoe per
fu:eFra Jacop.1.2can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque una cosa
con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi debui,debuisti
periva in. tuttele personel'UI,eccettol'Ifinalenellaprima perfareil cambiamen
toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U,edèperitol'I:edin fuerunt
è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii libri, perfue.IGrammaticihancredutol'Edifue
come una giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea
mutarsi l'UI, supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del
perfetto la desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di
questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam
dunque lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti
va della persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E,
come più si poteva. E quando sparì quell'E, sitol fue fu in accento la
semplicefu:mą serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci
rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da
Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè,
averono, se pur furono in uso, non ho presente nemmeno un e s e m pio;e
solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per
ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità, la qua le concerne, come ho
detto, la sola prima singolare, e le due terze singolare e plurale, e si fece
ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere:
perché se ne dovea cavare ha . bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava
habe per terza sin golare, ed habi per prima; e somigliando queste due voci ad
altre dell'antico presente abbo, abb i & c, non potè non cambiarsi l’A in E
, condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo
Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero
gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E certamente i Latini esprimevano
col tempo la qua lità che si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali
erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti,
e si disse io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere
che tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel
15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in
Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum:cosìnel 4 Ac. comprehensum animo
habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare
da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè
giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima
scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine,
come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha
stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come
appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo
aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora
Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che
incominciano ad imparare il latino quel lo scordano,facilmente ,o che per
disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato
latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto
della lingua latina nuo punto chiprincipiaadapprenderla come ap , o chi per
disuso l'ha quasi di menticata; così l'analogia e la voglia di esprimersi
inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io avevaavuto. &c;
lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0
secondoleleggidelş ireg:2e3, dallequaliappuntorisultaamalo ed ayuto con i
cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che
perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:talivocisonocompostedi
eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo
pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si
presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era
indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era
piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce
status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi
definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore.
Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era
stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo
fisso & c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta
o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti
itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato
sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee
presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil
primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali
derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne
somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini
sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia
participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio
come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che
a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi
essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100
ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM
. degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore
s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E
se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ;
non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si
disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora
il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso
ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in
Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI,nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO,
ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me
si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli
lavocestato,laqualenonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone
ogni altro, 21 Ed eccone gli esempj.Fra JACOP. Poes,
Spirit.lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i
due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come
nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità
cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai,
averà & c. in forza delle regolegeneralicitate:mapresto
sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai 22 Sempre serai in
tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno
serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai
futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere
è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e
anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose
quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99
serannoquestelenovellecheioporterò.Chileg. gegli Antichitrovaquesteésimilivocinon
infrequenti.Manifesta mente dunque derivano dalle latine con la giunta di un S
in prin cipio per uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto
eris,erit, giusta le regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso
al cuni popoli ancora si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta
in seremo, serețe & c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo
E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore,
secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il
habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo
habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO
e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse
anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza
de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per
continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri
di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno
assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che
universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò
come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio
questaconvenenza:ediceraggioperdiròcome lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or
m 'udite in cortesia Però crudele, villano, e nemico Sarabbo,amor,sempre ver te
se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la
desinenza in ajo, come farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non
senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldireaggioa fare,aggio a
dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il quale ha afare,
non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione sua come
futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che si hanno
pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma siccome in progresso abbo,aggio,ajodegenerarononelle
più semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato
l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel
mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come
monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è
che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si
averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del
futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà
& c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let
tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi
aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B.
GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido,
arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai
non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si
hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel
Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via.
FraGuit.ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi
guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la
desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son.
ame 23 Ard sono ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete,
ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi
lateoriadichiarataancheaglialtriverbi, ed avremo
amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse
originalmente:leLetteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa
desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua,ne fa uso ben grande nelle
opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual
vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto
amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di
temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare
del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae.Questadesinenzaèfrequentissimain alcuniantichi Scrittori.I
nostriGrammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta,
per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma essa non èchelaE
dihave,hae;etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora
averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE
spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per
amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata
in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno,danno,fanno,
stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali
avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun
composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo
scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno & c.
foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente
de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano
perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte
agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più
sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente
nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per
simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si
avrebbe ed accentandoli celaro 24 54. Riguardando a tal seconda
spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero
quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne
sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c.
55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato , il timelo, il legito, el'auditode'Latini,altrononèche
l'amatu,temitu,leggi Amaro lu,odi lu degl'Italiani.Le altre voci
italiane sono pur le latine tra dotte:ma perchèquestesono lestessedei
presenti,partedelcongiuntivo, eparte dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo;cosìnon
bi sogna se non investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è
fatto, e si farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo
de'Latini,dal quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e
congiuntivo. Ames Amet Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si
volge in IA, perchè nel tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda
singolare conlagiun t a d i a m o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto
sebbene l ’ E finale avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet
dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza
riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era
questa originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in
fine, e resta tuttavia tra’Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede
che questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è
ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone
altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num.
14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo
le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I
reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e
poi tema Tema Temiamo Temiate Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami
L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate
Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami
Amiamo Amiate Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento
l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè
raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus,
sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le
seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel
singolare, almeno nella prima e terza persona; quindièchesifeceiosia,tusia,o
sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della
lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente
nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le
conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame
ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel
presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si
trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in
terzapersona:Lett.S.Cat.pag.31.Deh!nonsirendipiù il cuor nostro ambiguo,cieco,
e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
al congiuntivo come . tu amirono abbino , temino , leggh i n o & c ., che
poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le
cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo
gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo
sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma
più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto
all'imperfetto amarem ,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava
amare , voce non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si
fece amerei:e siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi
amai, temei, sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli,
sentisti; cosi fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo,
dicen dosiameresti,temeresti,sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres,
sentires,il quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta
ameres-tu, vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel
suoSpecchio di Penitenza pag.107.Avrestuoffeso intaleolal
cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a
dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare
diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o
come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di
amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi
coll'inserirviun'I,sen'ebbe amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque
desi nenze originali:e questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come
ne'Poeti, si trova tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno:
la quale ora è mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria,
cemeria, che prevalse sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era
pursaggia, Che a cosi degno amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo
accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello, ipo d2 chissimo usate
fin da principio.I Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi,
ritengono tuttora, usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I
Prosatori l'hanno quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena
ragione: giacchè si allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina
che ne era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di
ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono.
Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma
dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero
amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi
tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n
e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle
vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo
Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe,
ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel
soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare.
Possono osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed
iano, altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare
conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli
esempj Fra Guit. let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore.
PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente
di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si
noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non
più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è
voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una
voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta
s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio
cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che
MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama
(vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent
Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E
siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e
l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.8.24. : "Quel
partissi addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la
seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle
della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi,
e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che
voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegligente?Glieru
diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se replichiamo nel
singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale?
Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora
, sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi
venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli
altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem
udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al
solito il B in V , e ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti
soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua
pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e
così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro
discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui
voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi
confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica
forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è
pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E alloraconosceretechefuil meglio
per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse.
BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale
cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel
primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi
mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai
coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti
negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta
presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram
ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugare i verbi italianinonèchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or
volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni
infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi
tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta
subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj
presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”,
“credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in
ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereilpar
ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare
il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle
altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto.
2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE
dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone,
e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta
in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo
Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel
suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno,
cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno,
soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE”
hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo,
sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in
ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi
Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne'qualivi è la
doppia cadenzacome abborroeabborrisco(vediquestoverboinfine della prima parte )
sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo,
imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone,
prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e
che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste
solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole
il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito
abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco ,
abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA
VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza
persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre
conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono
&c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone,
temo,temono,credo,credono,sento,sentono,laddove essendole terze plurali un
multiplo di terza e non di prima persona singolare, non dove asiaggiungere il NO,
segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi ama, amano, e non
amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va t e m e -vi
teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti dell'Indicativo 2 )
personeplurali, RONO 3 crede-va c r e d e v a -m o abborr (isco abborr(isc)i
abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda
persona: per le senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo
amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle
seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE
dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze
singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi
Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale
dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6
sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste”
crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re t e m e - r e c r e d e -r e
ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete
amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i
amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i
teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono
Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2)
delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo
A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel
prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a
m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi
serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME
– forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE.
sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste
sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti
che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali
sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi ,
le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la
formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i
sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi
crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto
dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente
il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero
amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del
singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe
amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile
e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i
temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2
person . La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in
tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla
seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà
considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo
Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano
da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal
participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono
nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto.
Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde
in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le
seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime
plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè
semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo,
&c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è
doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde
plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s”
avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice
“-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle
terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli.
Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di
Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il
sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la
filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e
l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche
e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masullo: l’implicatura conversazionale e la scissione
dell’inter-soggetivo – i lottatori della tribuna -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Avellino). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Ha
trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore
del Dipartimento di Filosofia dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia
Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e
dell'Accademia Pugliese delle Scienze. È stato insignito della medaglia
d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del
Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha
ricoperto la carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i
primi anni della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli
studi superiori frequentando il liceo classico statale Giosuè Carducci. Fequenta
il corso di laurea in Filosofia a Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi
su Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque
altri personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta
che con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a Masullo. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, M. si addestra al
rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione
originale. Nella formazione e nella costruzione della prospettiva
filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo,
crociano e gentiliano, lo sperimentalismo d’Aliotta, e, tra idealismo e
materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara. Masullo però,
mosso dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici
eventi bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il
bisogno di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono
ad avvicinarsi alla fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo gli
consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker,
il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf.
anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo
e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro.
Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso è un
testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, M.
si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul
carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. M. in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e
dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito
sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad
un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello
spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo.
Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve
riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono
irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia,
ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani
capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale M. svilupperà
il concetto di "patico". M. stesso, tornato in Italia, traduce e
commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile
(Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il
Tripode) il cui contenuto in parte è poi confluito nel
successivo truttura, soggetto, prassi. M. considera Husserl un
grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento
filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la coscienza
costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie particolari
ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia medica di
Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla patosofia.
Struttura, soggetto, prassi è il testo che documenta il rinnovamento della
ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze positive per mostrare che la
coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è «intellettualisticamente
sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero le filosofie speculative
le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente e non tengono conto o
minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia, svalutata come
qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è possibile una
conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero le filosofie
speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come
esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può
essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze
positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono
misurarne i vissuti. Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura
alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e
significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza
i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In
particolare, seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la
quale il fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i
caratteri della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto,
autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo
analizza le modalità di funzionamento. M., con i suoi studi sulla
«intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni
sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica
Editrice, La storia e la morte, Napoli,
Libreria Scientifica Editrice, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl,
Sartre, Napoli, Libreria Scientifica; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria
Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida), analizza
le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle
quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria
struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la
comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di
istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento
perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi capitoli di
Il senso del fondamento e raccoglie in
modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema
della comunità-intersoggettività come fondamento. M. pubblica inoltre il testo
Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e aggiorna il
saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl,
Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il
sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del
pensiero di M., una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto
alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il
posto ai temi della paticità, del senso, del tempo. In effetti anche i
suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si
dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi
caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della
“difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del
tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della
ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi
su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso,
Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,
Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Melangolo). Sostiene che il
pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la
trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in
Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di
pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è
tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato,
fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di
sé. In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le
modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto
e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il
«diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della
sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia.
Per un'etica attiva della salvezza, nel quale M. illustra la sua concezione
della frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui
concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e
moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza
propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere
prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza
meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale
ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il
giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come
avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò introduce a
un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il
cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento di
sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri viventi, è
intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette in
relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia M. segue gli sviluppi di un'emergente
epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del
tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico
e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non
è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue
formulazioni sull'ordine del mondo. L'etica che M. vede in prospettiva
scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè
il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia»,
mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere, l'umano,
che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce intenzionalmente il
proprio futuro. Una volta riconosciuto il diritto del senso ad essere
inteso nella sua irriducibilità al cognitive; una volta esplorato il campo del
senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, M. in Paticità e indifferenza, si
chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della
filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a
fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei
sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero,
se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”». Da un
pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele
etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la
temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di
conoscenza come un qualsiasi ente. M. distingue la conoscenza dalla cura. Egli
inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui
quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli
ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un
saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche
protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative
quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del
“Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante debolezze
della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che danno
speranza nel futuro. M. pubblica La libertà e le occasioni, che sviluppa
il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
di Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta la
contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento dell'università
italiana. M., per i caratteri originali del proprio insegnamento, è considerato
dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli in quegli anni fu eletto
deputato come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, ed in
seguito come senatore, si occupò sempre
dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò
al fianco di Nilde Iotti nella Commissione legale. All'inizio degli anni
ottanta alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e
gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca,
riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato
l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di
Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta. Anche attraverso questo
incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a Napoli. M.
si mette di nuovo al servizio della
politica quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi
degli anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza
collettiva. A livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise
di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli
previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto,
suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli.
Forte della popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS
nelle elezioni amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa
esperienza della "giunta del sindaco". A livello di politica nazionale
M. è di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della
Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni
settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in
anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono
numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo
spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono
disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione
assistita. Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli,
Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la
categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent
philosophical problem.” Napoli, scientifica,
“Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica “La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind ‘community,’
or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli, scientifica, “Anti-metafisica del fondamento” Napoli,
Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del soggetto e diritto
del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo
e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica: storia di un'idea,” – Grice:
“Perhaps Aristotle never had an idea; after all ‘ta meta ta physica’ is later
and means: “the stuff the master wrote after the ‘physika’!” Roma, Donzelli, “La
potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche, “Gografia e storia
dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr. Grice: “The history of
‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,” Genova, Melangolo,
-- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential – while you may have
self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo” G.
Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the
lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P.
Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G.
Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli,
Guida, La libertà e le occasioni,
Milano, Jaca, I linguaggi della follia e
i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi,
Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La
grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più
grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Magazine dell'Università degli Studi
di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo, la
scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal –
l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matassi: l’implicatura conversazionale e la filosofia della seduzione dei
giocatori di calcio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Benedetto del Tronto). Filosofo italiano.
Grice: “I like Matassi; but then I like football – I was the football team
captain at Corpus – and aesthesis, the seductor seduced – “la condizione
desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è stato Professore di Filosofia
morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia, Comunicazione, Storia
e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e
Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato direttore del Dipartimento
di Filosofia. Si è occupato anche di Estetica musicale. È stato Presidente della Società Filosofica
Romana e ha fatto parte del comitato direttivo nazionale della Società
Filosofica Italiana. È stato nel
comitato d'onore della Fondazione Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica
di Rapallo, responsabile della sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro
della giunta del CAFIS dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del
Comitato scientifico della Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha diretto la collana Musica e Filosofia per
la Mimesis Edizioni di Milano e quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa
editrice Epos di Palermo. Ha tenuto un blog sul "Fatto quotidiano"
sui temi che legano la filosofia alle dimensioni del contemporaneo. Ha
collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata alla filosofia della musica, al
mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato direttore della collana Italiana
per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche membro del comitato scientifico-direttivo
delle seguenti riviste: Colloquium philosophicum, Paradigmi,Quaderni di
estetica e di critica, Bollettino di studi sartriani, Filosofia e questioni
pubbliche, Links, Lettera Internazionale, Phasis, Itinerari, Prospettiva
Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et Humanitas. Annali di cultura
etico-politica. Per quanto concerne il settore estetico-musicale è presente nel
comitato direttivo della rivista internazionale Ad Parnassum. Hortus Musicus,
Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la presidenza di giuria per il
Premio Frascati Filosofia. Menzione
speciale della giuria all'VIII premio internazionale di saggistica “Salvatore
Valitutti”, per Bloch e la musica. È
stato uno dei principali collezionisti al mondo di incisioni relative alle
esecuzioni delle sinfonie e della liederistica di Mahler (circa mille tra
vinili e compact disc). Pensiero Si è
occupato di filosofia tedesca dell'Ottocento e del Novecento, in particolare
del pensiero di Hegel, delle scuole hegeliane, del Neocriticismo tedesco, del
marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Il suo primo lavoro è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di
filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane daGans. Si è occupato di Lukács,
iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij"
si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e
del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.
Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e
contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema”
(Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo..
In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c.
di M. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di Donà, "Tutti
in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo.
Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano,
s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni
filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an
Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their
coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf.
“La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del
calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matera: l’implicatura conversazionale – i segni del zodiaco e la semiotica di
Peirce -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera).
Filosofo italiano. Grice: “Only in
Southern Italy is a philosopher also responsible for the astrological edification
of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori di astrologia
occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e
successivamente a Napoli. Vive nel
periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo
IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo
zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore
universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti
astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri
potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a
Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello
e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia
di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama
la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il
Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti
ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto
presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due
volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto
studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a
raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni,
il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo
campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di
Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e
Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della
Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per
i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera M. Morelli, Storia di Matera, ed. F. lli
Montemurro, F. Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario
corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri
di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro,
Personaggi della storia materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature,
la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia,
astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of
astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical
chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mathieu: l’implicatura conversazionale dell’uomo animale ermeneutico –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo italiano.
Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of
the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly
focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or
‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the
irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy
between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and
deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo,
filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi
su Kant (un filosofo che sarebbe stato
centrale nella vita intellettuale di Mathieu). Libero docente nella
filosofia, è stato professore incaricato, e Professore di filosofia teoretica a Trieste.
Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di
filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è
stato membro del Comitato del CNR; è
stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi).
È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei
Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Ha fondato
con Berlusconi, Colletti ed altri il
movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel
collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega
Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.
Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per
il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa
della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella
scienza e nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche
altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla
cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la
realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla
scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo,
dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della
cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla
filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi.
Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di
Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di
un sistema all'interno del sistema stesso; Mathieu ritiene che, almeno
analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione
di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo
formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non
emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni
fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è
consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica,
ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche
tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il
problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il
problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi
le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è
raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e
des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di
teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.”
La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone; Melchiorre, Gregoriana Libreria,
Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”;
S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e
origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani, Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del
portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su
archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del
bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il
demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Maturi: l’ implicatura conversazionale -- l’io e l’altro – io e l’altro – i duellisti – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo. Grice: “There are two main things I love about
Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as an ‘Italian,’ or
worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a member of the
Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his typically
Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza
recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational
theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls
the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of
pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each
‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the
‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’
makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label
the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul
progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising
that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente
prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale,
si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di
Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia
hegeliana destinata ad esercitare nel
suo pensiero un'influenza duratura.
Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per
uditore giudiziario. Ottenuta
l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la
libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea.
Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.”
Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.”
“L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For
Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of
my friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario
Biografico degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo,
Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia
tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni,
"Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed.
Natan,. Hegelismo Idealismo Neoidealismo
italiano. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino,
Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del
signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Maturi: l’implicatura conversazionale -- filosofia napoletana – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice:
“People sometimes asks me how my intentionalist approach can be applied to
history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s ‘Interpretazioni,’
thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice:: “Even in London,
the risorgimento had at least two interpretations! One in Woolwich, and another
one elsewhere! And there is possibly a gender distinction too with “Speranza,”
Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione
culturale a Napoli dove si laureò con Schipa, uno dei firmatari del manifesto
degli intellettuali antifascisti redatto da Croce. Del suo maestro, per la
lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo
ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in occasione della
morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed
interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea
in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre. Impostato sulla lezione
crociana è il saggio “La crisi della storiografia politica italiana” a cui
seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e contemporanea, inserito
nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita intellettuale italiana.” Il
suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu
giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo che lo recensì ne La Critica.
Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e contemporanea diretta da Volpe
e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto storico per l'età moderna e
contemporanea. Fu collaboratore dell'Enciclopedia italiana per la quale
scrisse numerose voci tra le quali quella dedicata al "Risorgimento"
ispirata alle sue idee liberali. A causa di questo episodio, nonostante
il suo disinteresse per la vita politica attiva, fu allontanato dall'Istituto
storico per l'età moderna e contemporanea. Nei suoi saggi di storia
politica i suoi punti di riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe.
Dapprima come incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne
le sue lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune
importanti voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale
fascista, il saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e
l'accurata biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della
storiografia tenuti a Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di
Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino
alla sua inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di quest'ultimo periodo
furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata
di primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del
Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia
italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia
del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento.
Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi.
Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Maurizi: l’implicatura conversazionale della vendetta di Bacco – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Maurizi; of course his
‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather
recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he
is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia
della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e
ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una
tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia
del totalmente non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo
un periodo di formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca
presso l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su alcune
prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of
Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera Internazionale, e
collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Ha
poi partecipato alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo
eretico e pensiero critico (Jaca Book, ) ed è il traduttore e curatore
dell'edizione italiana di Georg Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e
dialettica, Alegre, Roma di Acampora, Fenomenologia della Compassione, Edizioni
Sonda, Casale Monferrato,, e ha tradotto, con Dalmasso, Derrida, Teoria e prassi. Corso dell'École
Normale Supérieure Jaca, Milano,. Ha contribuito alla fondazione delle riviste
scientifiche "Liberazioni" e Animal Studies. Rivista italiana di
antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso i suoi interessi di ricerca
tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica
della società e le implicazioni politiche di una visione "sociale"
dell'antispecismo a partire da una rielaborazione del pensiero della scuola di
Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno, quanto quelle su Cusano si incentrano
sul tentativo di porre in evidenza il tema della storicità dell'umano non in
termini di un astratto e formale "essere-nel-tempo", quanto più
propriamente nel vedere nell'essere storico, in tutta la sua determinatezza,
l'irriducibile istanza di verità dell'umano stesso: l'essere storico è in tal
senso irriducibile ad ogni ontologia dell'essere temporale seppure ciò non
porti necessariamente ad un relativismo storicista. Prendendo spunto dalla
lettura critico-negativa di Hegel portata avanti da Adorno, infatti, M. sostiene
la leggibilità e razionalità della storia come segno del dominio, l'universale
storico non come traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso
il negativo delle vicende umane, bensì come questo stesso negativo che
informa di sé la civiltà, imprimendo ad essa la direttrice di un progresso
della razionalità strumentale che è l'antitesi della redenzione. La sua
rilettura del pensiero della filosofia di Francoforte ha così costituito un
punto di partenza per una ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha
portato ad estendere la critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e
allo sfruttamento del non umano, e più in generale della Natura. Il suo
pensiero riguardo alla filosofia antispecista è in continuità con quello
espresso dal sociologo David Nibert ed in netta opposizione all'utilitarismo di
Peter Singer criticato da Maurizi come un antispecista metafisico. Un punto
centrale nell'argomentazione filosofica di Marco Maurizi, che rende originale
il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei diritti animali,
riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello specismo. Ogni
attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste quindi
essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare come la
questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di
trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque
essenzialmente politico e non possiamo
affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una
prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così
affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività
speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di
là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). Maurizi è
stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e
Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo
breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie
alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero
sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia
Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato
sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie
sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo
Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre
di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und
Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e
altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del
non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della
modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la
libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica,
“Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. su questi temi
per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus:
rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.
com. Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista:
youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag
Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube
Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di
Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus. wordpress Intervista di F. Pullia sul
quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia
archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero.
Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma. Antispecismo Diritti degli animali Scuola di
Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal
Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimal studies. wordpress.
Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mazio: l’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Friend of Giulio Cesare and Cicerone. He writes on food and trees and
takes an interest in the philosophy of the Garden. Gaio Mazio.
Grice e
Mazzarella: l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I love Mazzarella’s
‘necessary word’ – not precisely what I was thinking when philosophising about
conversation, but for Mazzarella, the conversational motivation is to HELP in the
most authentic fashion – Compared to his ‘parola necessaria,’ my principle of
conversational helpfulness, while based in part in the desideratum of
conversational benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I like Mazzarella.
The fuss he makes in translating Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the
greatest living philosopher’ – he was living then –.” Grice: “Mazzarella, who
is relying on somebody else’s translation, is especially focused on Heidegger’s
Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets an abstract noun. But he also uses
the Germanic for ‘deed.’ Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ –
cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from
‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into
seeing how similar these two concepts are – if indeed two concepts they are,
seeing that they come from the same Roman root! But M. would know that – you
wouldn’t!” – Professore a Napoli, è tra i principali interpreti di Heidegger.
Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico
II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico
II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di
Lettere e Filosofia, di cui è Preside. Deputato del Parlamento italiano,
divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera. Opere In una delle sue opere principali,
Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi
decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica
occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso
originario, come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle
interpretazioni del "logos" eracliteo e della categoria aristotelica
della "physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta
"svolta" del pensiero di Heidegger.
In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico,
le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione
tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del
compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un
"essere-alla-vita", categoria che richiama in modo lampante l'"essere-nel-mondo"
di heideggeriana memoria; le questioni teoretiche vengono così ridotte a
questioni etiche riguardanti un'ontologia minima, ove la filosofia prima si
trasformi in filosofia seconda, lasciando il posto ad un programma metafisico-antropologico
di custodia e mantenimento della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita
necessita di intendere la cultura come “endiadi di natura e storia, ma in
questa endiadi natura prima ancora che storia”.
Pensare e credere. Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte
del pensiero di Mazzarella; il rapporto tra religione rivelata e filosofia si
gioca sullo sfondo di una prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene
non siano esenti dalla riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica
contemporanea. Interessante è la prospettiva di una religione come
"integrazione" e apertura all'amore fraterno, configurato nel
concetto di "agape". I suoi
scritti sono in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di
pensiero napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa
di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia
della vita). In un dialogo costante con
i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Bruno Forte, M. si è occupato
specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della
vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita). In Opera media ha inoltre messo in luce un
talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica
e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato
singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città
di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al
Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is exploring
the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie
d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di M., Napoli,
Guida, Archivio degli articoli di
Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae,
pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di
Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a
Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Eugenio Mazzarella. Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzei: l’implicatura conversazionale
– filosofia toscana – filosofia fiorentina -- -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Poggio a Caiano).
Filosofo italiano. Grice: “Not every philosopher has a city,
‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a
philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there
is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas,
transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre,
he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone
e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente
risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio
energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei
diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e
movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene sia sconosciuto al
grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana
come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli
storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto
intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John
Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu
ispiratore, vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto
epistolare fino alla morte. Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore
privilegiato della rivoluzione francese. La sua figura storica è riemersa
alla fine Professoregrazie all'infittirsi degli studi accademici in occasione
del bicentenario della rivoluzione americana, fino ad essere onorato in
occasione del 250º anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione
filatelica congiunta speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo
gli studi compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il
fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a
Pisa e poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo
solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a
seguito di un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo
irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento
dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il
commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi
lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi
italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di
una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri
proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei,
ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà
italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo M.
conobbe Franklin e Adams, che da lì a pochi anni sarebbero stati tra i
protagonisti della rivoluzione americana. Le colonie americane si
autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di
delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era
ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era
probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.
Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita
forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla
prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si
trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si
unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò, e l'amico Bellini che sarebbe
divenuto il primo insegnante di italiano in un'università americana, il College
of William and Mary in Virginia. Inizialmente diretto in altro sito,
Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Jefferson, con il
quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da
lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua
tenuta in favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il
nome deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la
campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a
Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella
colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di
una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per
oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane trascinò
velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita
politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli
contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed
all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo stesso
Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare
successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia,
con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di
amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò
per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari
con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in
particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a
Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei
aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il
francese Plumard, Comte De Rieux. La Rivoluzione francese e le vicende
europee Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una
voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les
États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della
rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa
fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.
Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante
attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece
venire in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano
liberale, di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi.
Da questa posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui
condannò la deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si
trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla
stesura della costituzione. Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito
della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana,
stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia,
Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e
poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi
intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve
occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno. Ultimi anni M. visse
quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e
limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani
liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia
operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti
della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. M. rimase sempre
nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il
ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i
ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di
affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla
caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel
1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione
Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli
anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è
circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera
statunitense, adottata dal Congresso un
anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza
che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo
e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver
discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera
americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag. In suo ricordo è stato
istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per
celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti
d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la
frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a
Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze,
Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia. Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo,
Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante
italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi
Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della
mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano.
Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore,
giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele,
Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi
Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio
a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio
Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano,
Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei
tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America.
Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba
bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano,
Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo,
Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana
Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del
cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo,
Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di M., Milano, Angeli, Łukaszewicz,
M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione
americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe William
Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America
Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube. com.
Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su
circolo filippomazzei. net. M., chi era
costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano M., su mltoscana. blogspot.com.
Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson M. I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about
P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org. M., Thomas Jefferson e gli scultori carraresi
per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra su
farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle
peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more
Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic
prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am
leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice:
“As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo
Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione
del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Grice e
Mazzini: l’implicatura conversazionale – la giovine italia – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Grice:
“Of course it is difficult for an Italian philosopher to approach the
philosophy of Mazzini cooly; it would be like me approaching the philosophy of
Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il pensiero filosofico di Giuseppe
Mazzini’ quite helpful – the equivalent would be the pretentious sounding, “The
philosophical thought of Sir Winston Churchill,’ say!” -- Grice: “Luigi Speranza loves to cherish the
fact that an old street in Woolwich, of all places, is named after him, in a
way ‘Speranza,’ just because Garibaldi visited!” Grice: “Luigi Speranza also
cherishes the fact that Lady Wilde preferred ‘Speranza’ just to defend
Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la
sua azione politica contribusceno in maniera decisiva alla nascita dello STATO
UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno
però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande
importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione
della democrazia attraverso la forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova,
allora capoluogo dell'omonimo dipartimento francese costituito da parte del
regime di Bonaparte. Il padre, Giacomo, e medico e docente universitario
d'anatomia originario di Chiavari, una cittadina del Tigullio all'epoca
capoluogo del dipartimento francese degli Appennini, successivamente parte
della provincia di Genova, figura politicamente attiva nella scena pubblica
locale, sia durante l'epoca della precedente repubblica ligure, sia, in tempi
successivi, dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente
giansenista originaria di Pegli, un comune autonomo, accorpato nel comune di
Genova, fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente chiamato
"Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi superiori
presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, si iscrisse a Genova. Si
segnala per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponeno
di andare a messa e di confessarsi. E arrestato perché, proprio in chiesa, si
rifiuta di lasciare il posto a un generale austriaco. Lo appassiona la
letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Foscolo (pur
senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle
Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di
lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a
quella per la musica (e un abile suonatore di chitarra), la ha per tutta la vita: oltre agli autori citati,
lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti romantici come Byron, Shelley,
Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas padre e le sorelle
Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova dei federati
piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in lui il pensiero
che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria. Cominciò ad
esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo
impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale
inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La censura lascia fare per
un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il saggio, “Dell'amor patrio
d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”. Entra nella carboneria, della
quale divenne segretario in Valtellina. Ho a lottare con il più grande
dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e
papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro,
pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto
come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato,
il quale ha nome: Giuseppe M.. (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per
la sua attività cospirativa e arrestato su ordine di Felice di Savoia e
detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar. Durante la detenzione idea e
formula il programma di un nuovo movimento politico chiamato “Giovine Italia” che,
dopo essere stato liberato per mancanza di prove, presenta e organizzò a
Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in esilio. I motti dell'associazione
erano Dio e popolo e unione, forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli
stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola
condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori
stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza unità non c'è forza,
ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere
soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il federalismo inoltre avrebbe
reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità
municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia
medioevale. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere
raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per
bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione con la nobildonna repubblicana
Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni Sidoli, ricco patriota di
Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il marito la fede politica che,
portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva costretto la coppia a
esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia polmonare, muore a
Montpellier. Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna condanna, ritorna
a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi quattro figli: Maria,
Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti dove fuggire in Francia
dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del
1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la
celebre lettera firmata "un italiano", il 26 ottobre 1833, insieme a Berghini
e Barberis, M. fu condannato in contumacia a "morte ignominiosa" dal
Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior generale Saluzzo
Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo Alberto decise
di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove Mazzini raccolse
attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di M.), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas
Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la
sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini.
Nello stesso quartiere di M. visse anche Karl Marx. Durante il soggiorno
londinese Mazzini ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia
Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra
ebbe rapporti con la famiglia di William Henry Ashurst e con il genero di
questi, il politico britannico James Stansfeld, la cui consorte Caroline
Ashurst Stansfeld era sostenitrice della società "Society of the Friends
of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana M. collaborò anche con
il secolarista George Holyoake. Fondò poi altri movimenti politici per la
liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania, la
Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata a Berna in
accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva tra i suoi principi ispiratori
la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In questa occasione Mazzini estese
dunque il desiderio di libertà del popolo italiano (che si sarebbe attuato con
la repubblica) a tutte le nazioni europee. L'associazione rivoluzionaria
europea aveva come scopo specifico l'agire dal basso in modo comune e, usando
strumenti insurrezionali e democratici, realizzare nei singoli stati una
coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa Mazzini
nel 1866 fonda anche l'Alleanza Repubblicana Universale. Il movimento
della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della
donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui la citata
Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Giorgina Saffi, la
moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini e suo
erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. M. continuò a perseguire
il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile costanza,
convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto
cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni
fu più ideologica che pratica. Dopo il fallimento dei moti del 1848,
durante i quali M. era stato a capo della breve Repubblica Romana insieme ad
Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere
nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro Camillo Benso conte di
Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare
l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da
Mazzini. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la Francia e nel
condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello STATO ITALIANO ma
la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla
repubblica mazziniana. A Londra, nel 1850, per reagire alla caduta della
Repubblica Romana e in continuità con essa, Mazzini fondò il Comitato Centrale
Democratico Europeo e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito
Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano appunto lo stemma della
Repubblica romana del 1849 e l'intitolazione del prestito «diretto unicamente
ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le
cartelle recavano la firma degli ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza
dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La diffusione delle cartelle nel
Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza la ripresa dell'attività
cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a Mantova.. Messina fu chiamata
al voto per eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. Mazzini
era candidato, nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale
perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una
inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo grado e in appello);
un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal tribunale di Parigi per
complicità in un attentato contro Napoleone III. Inaspettatamente, Mazzini
vinse con larga messe di voti (446). Il 24 marzo, dopo due giorni di
discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne
precedenti. Il letto di morte di M., distrutto dagli aerei degli
Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa del 1943 Maschera mortuaria
di M., gesso, Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo
collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La Camera,
dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. IM. viene
rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida.
Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise
di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la
costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e
continuò a lottare per gli ideali repubblicani. Lascia Londra e si
stabilì in Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne
a morte inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare
in Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti
popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì
in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in
arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di
Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe
in una carrozza Friedrich Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente.
Questo incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo.
Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome
di Giorgio Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da
tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei
fratelli Rosselli e zio della moglie di Ernesto Nathan, fino al giorno della
sua morte, avvenuta il 10 marzo dello stesso anno, quando la polizia stava
ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della salma Mazzini
morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse rapidamente,
commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo
Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Agostino Bertani:
Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa
partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo,
accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al
Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono accompagnate dalla
musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo.
Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di Mazzini, onde
pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed
esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana[26]:
da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo. Mausoleo Benché
sia incerta l'affiliazione di Mazzini alla Massoneria fu l'associazione stessa
a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Gaetano Vittorino Grasso
che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli
massonici. Il sepolcro reca all'esterno la scritta "Giuseppe
Mazzini" e all'interno sono presenti numerose bandiere tricolori
repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità come Carducci.
Sulla lapide è scolpita la scritta "M.. Un Italiano" che era la firma
da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e l'epitaffio: «Il corpo a
Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze di alcuni
personaggi storici e una corrispondenza dello stesso M., citati nell'opera dello
studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente Mazzini, a
differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia mai
stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli ideali
mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza italiana, l'unica
attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia, afferma
l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe influenza
nella società, anche se non partecipò mai alla vita dell'associazione, occupato
com'era nella causa della "sua" società segreta, la Giovine Italia.
In effetti Mazzini fu carbonaro, ma la Carboneria fu presto distinta dalla
massoneria.[30] Indro Montanelli afferma invece che probabilmente Mazzini
fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una "Nota su
Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente
d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Ed. Erasmo, Roma), che
a119 scrive a proposito di Mazzini: «Iniziato nel 1834 a Genova, secondo G.
Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado
del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita
Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo ricevette
l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo
Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella
d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i
segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di M.
alla Massoneria.» M. stesso sembrerebbe però smentire la sua
partecipazione all'associazione in una lettera al massone Campanella, Sovrano
Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato
di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto
recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza
dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni
scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura
d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o
politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa
dell'uomo, non dello schiavo» (Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia) Per
comprendere a pieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero
religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta
dell'impero napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che
smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire
e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il
periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di
perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il
secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di
libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di
un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato invece la
ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di
nazionalità. Secondo questa visione romantica dunque la storia non è
guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una
Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli
uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione. Da questa
concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si
promanano due visioni contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede
nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che
metta fine alla storia degli uomini. Napoleone I è stato, con le sue
continue guerre, l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della
storia malvagia e falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che
volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato
realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è
accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. La
concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté strenuamente assume un
aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di François-René de
Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo)
attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e
soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de Maistre, che arriva
nell'opera Du pape (Il papa) al punto di
auspicare un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il
modello delle comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro
le insidie del liberalismo e del razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce
paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è
quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà
diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi
ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro
presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale,
dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo
cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo
una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi
che è presente in Italia nell'opera letteraria di Manzoni e nel pensiero
politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia
mazziniana. Concezione mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una,
Indipendente, Libera, Repubblicana» (G. Mazzini, Istruzione generale per
gli affratellati nella Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svgMazzinianesimo.
Dio e popolo «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come
partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza
e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria
origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori
d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario.
Il pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie
di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del
1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli
ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato
prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare
un compromesso con l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire
la concezione religiosa di M. all'educazione ricevuta dalla madre fervente
giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed
evangelici) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate
ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella
di nessuna religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per
alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi
della religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio panteistico
degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la laicità
dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se, come
egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la sua
concezione teologica da quella politica)[40] e l'assenza di intermediari tra
Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana,
define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua
concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione
CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e
pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il
campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e
fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Ricci -- e dalla
massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto
massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo
l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con
altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo («...L'ateismo, il
materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e
sorgente del Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore
dell'immanente: egli crede nella reincarnazione, per poter migliorare di
continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta
probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il
buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato. Come altri patrioti,
letterati, rivoluzionari delle società segrete francesi, inglesi e italiane
Mazzini vide nell'abate calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia
riguardante l'avvento della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe
sorta la Terza Italia che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere,
come la nazione che avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza
della Chiesa cattolica: tema questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo
Primato morale e civile degli Italiani. M. ebbe grande interesse per
Gioacchino tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino,
appunti per uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo
precursore per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità
spirituale e storica. Religione civile La sua è stata anche definita una
religione civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la
divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che
attua la Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è
Dio, e l'Umanità è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla
terra e vi è«un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto,
del quale il nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione».[38] Per lui
non conta che la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di
Voltaire e Newton che è invocato come la causa prima dell'ordine naturale,
poiché «Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci
sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo»
anche se, specifica, «l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con
l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse
ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per
raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare
nel mondo significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva,
riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per
questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza
di premio, senza calcoli di utilità. Quello di Mazzini era un progetto
politico, ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna
avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede,
l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non
provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in
ordine stabile.». La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva
rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la
meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi
l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero
l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano».
Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione
che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del
popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso
due fasi: Patria e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di M.
sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né
compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà
l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base
della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto
delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione
europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo
primato egemonico di Grande Nation. La futura unità europea non si
realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile
emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il processo di
costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di tutto
attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte
dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto
la loro unità nazionale. Iniziativa italiana In questo processo unitario
europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la
sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale
italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni
inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano.
L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e
non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà
quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due
colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di
quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari
dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del
popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il
via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una
terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli. Funzione della
politica Il mausoleo di Giuseppe Mazzini nel cimitero monumentale di Staglieno,
realizzato dall'architetto mazziniano Grasso. La politica è scontro tra libertà
e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un
compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette
transazioni; Mazzini esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme
che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello
spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva
bisogno. La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non
accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca
rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta
(che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non
possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione
deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.
La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù
personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta
che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la
rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere
straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca
temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al
popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima
possibile. La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa
pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento
di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre
la Rivoluzione Francese si è concentrata esclusivamente sui diritti
individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una
società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene
di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede
nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune
sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento
dell'egoismo individuale.Questione sociale Mazzini affrontò la questione
sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il
marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia
prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della
democrazia. Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale
presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indica Pisacane,
ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il
raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi,
ma con una loro collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però
organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più
debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava
l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto
medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i
consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei
propri diritti fra gli operai. Mazzini criticò il marxismo e fu da Marx
biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti
profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del
popolo. Marx, risentito per gli attacchi di Mazzini al comunismo, da lui
definito col termine inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in
alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica,
dandogli anche sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro
l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di M. (oltre
che con Garibaldi che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i
socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di
anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli
interessi di una sola classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario
e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si
sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i
migliori. La critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie
socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli previde con
lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione d'ottobre del 1917 in
Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni politici e lo schiacciamento
dell'individuo nella macchina industriale del socialismo reale. Da queste
critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò
alla Comune di Parigi. Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune
era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese
realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di
Stato-nazione romantico, invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della
nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia. Per salvaguardare
l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una
forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata
solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con
elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa». M. punta sul
superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale
classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie
che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo
scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna
aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al
principio che la renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.
La sua influenza sulla prima fase del
movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in
particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al
pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello
capitalista e quello marxista. Cospirazioni e fallimento dei moti
mazziniani M. in una fotografia con autografo scattata da Domenico Lama I
moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono
considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane
dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che
terroristi e come tali furono sempre condannati. «Trovai tutti persuasi
che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie
le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda» (Massimo
d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia «Su queste classi [...] così fortemente
interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della
Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali
l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera
eccitante della scuola, si può affermare che non esiste in Italia se non un
piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i
principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura.» (Camillo Benso
conte di Cavour). M. si trova a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il
processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla
Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia
sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e
l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e passa in Svizzera, da qui a
Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo
Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia. Con
questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni
pontificie. Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito
innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità
delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto
un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali
dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino quand'era fallito
ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava
desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti del '30-31,
dei francesi. Con la fondazione della Giovine Italia nel 1831 il
movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici:
indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare
poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di
pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni
concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi
degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere
dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione
e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più
possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a
difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda,
un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche
attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832del messaggio
politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica. Durante il
periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia,
l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra.
Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da
M., che fondò al suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche
adesioni al programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani
in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova
organizzando una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti,
carcere e condanne a morte. Oganizza il suo primo tentativo insurrezionale che
aveva come focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove
contava vaste adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che
l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i
soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente
perseguiti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto
aveva fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i
fratelli Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della
Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese
Vincenzo Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici
furono condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di
non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la
fuga. Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di
Mazzini con Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo
moto non fermò M., convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo
avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e
alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A
capo della rivolta aveva messo il generale Ramorino, che aveva già preso parte
ai moti, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era
giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava
continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a passare con le sue
truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo, disperse
i volontari con molta facilità. Nello stesso tempo doveva scoppiare una
rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, che si era arruolato
nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli
equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione
però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in
tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una
nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a combattere per la
libertà dei popoli. Mazzini, invece, poiché aveva personalmente preso
parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare
rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso
discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza
gli italiani a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se
l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la linea politica di
Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare
pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia debito di
ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (M., lettera di risposta ad Angelo
Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo,
nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e
l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che
egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in
gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da
cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri
ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da
guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società
segreta, l'Esperia[63] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione
popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da
Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante)
alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese
Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Era loro giunta infatti la
notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel
nome di M.. In realtà non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione
patriottica ma era già stata domata dall'esercito borbonico. Quando
sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta
era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna
ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non
c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di
Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare
l'impresa e partirono per la Sila. Subito iniziarono le ricerche dei
rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni
cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco,
vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore dei
luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i
fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito. Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione
locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo
medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta
fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e
celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel
loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo
a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la
più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria
missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed
esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita
si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a
noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno
provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta
l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma
non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo
Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu
l'ultima rivolta a cui M. prese parte direttamente. Moto di Milano e sollevazione in Valtellina. Ispirato al
mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui tuttavia
Mazzini non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in
Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini,
che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a
Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una
strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri. Pisacane Il
piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di
accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il
malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno
d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di
Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì
rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri,
che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto
strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.
Pisacane s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Nicotera e
Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a
Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a
liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto
delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il
Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio
borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad
accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati
dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato
lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º
luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai
contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi
gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a
fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83;
Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati
all'ira popolare furono poi processati nel gennaio del 1858. Condan morte,
furono graziati dal Re, che tramutò la pena in ergastolo. Senso
dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana,
condotta «senza speranza di premio», in effetti essa rispondeva alle idee
politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina del Maestro per
accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula "Libertà e
associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione
sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto il
problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione
patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la questione
contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo
testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia
convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione
popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il
popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando
sarà libero». Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando
aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia
ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi
cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene
all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero
immolarsi al suo avvenire»[66]. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito
di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la
liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il
politico inglese Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a sistema di
governo». Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di
un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un
segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno
stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione
diplomatico militare dell'unità italiana. Appoggio a Garibaldi e ultimi
tentativi M. appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi,
che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo l'Unità riprese la
lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda e le condizioni di
salute limitarono i suoi ultimi tentativi. Controversie Stampa
raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a Staglieno Conflitto con
Cavour M., che dopo la sua attività cospirativa fu esiliato dal governo
piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che
costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli rivolse un appello ai
militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere
deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non
avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi
fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa
di governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa
vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né
alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo,
col dolore dell'anima, "deportati". Quando Napoleone III scampò
all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di
Torino incolpò M. (Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di
fanatici assassini" oltreché "un nemico pericoloso quanto
l'Austria"), poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito
d'Azione. Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due
rivoluzionari a causa della loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone
III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una
pensione. Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura
per far giudicare e condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì
l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e
monopoli ai privati. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con
Cavour divenne, secondo il saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento
governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna. M., intanto,
oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei
confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi
avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra
gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena
politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci
separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione
monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento
territoriale» (M.]) Timori di M. per la cessione della Sardegna
Estratto di articolo di giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo
la cessione della Savoia e di Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una
delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di altri supposti accordi segreti di
Cavour con la Francia, in cambio di una definitiva unificazione italiana,
accordi che preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso
Cavour per avere rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro
territorio italiano alla Francia. Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire
al Conte di Cavour, che il Governo inglese, informato di un disegno per la
cessione della Sardegna alla Francia, protestava e chiedeva promessa formale di
non cedere territorio italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.»
(da Scritti editi e inediti di M., per cura della Commissione editrice degli
scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla
Francia, M. affermava anche. L’opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la
nostra, possono renderlo praticamente impossibile.» (da Scritti editi ed
inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti
di M., Roma) Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del
cattolicesimo federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e
amico di M., confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla
cessione della Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto
della penisola: «Vicino a M. ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di
pensiero, il Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in
mancanza di meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica
quando circolò insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia,
intendesse cedere alla Francia anche la Sardegna» Anche il giornale
britannico "The Illustrated London News" citava l'inopportunità di cedere la Sardegna
alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella stampa francese e
fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente energie, affascinò
per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli anziani gli sfuggivano. Quasi
tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi
vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un
certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. M.
infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e
imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di
compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour. Il compito di
Mazzini fu invece quello di creare l’animus. Quando sembrava che il problema
italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana
sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece
risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea. La tragedia della Giovine
Italia «impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani:
che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione e quegli
stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo
riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e
acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un
riordinamento unitario italiano. Le idee politiche di Mazzini furono alla base
della nascita del Partito Repubblicano Italiano nel 1895. Tramite la
Costituzione della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata
un modello per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base
della Costituzione Italiana del 1948. Inoltre ebbe una grande influenza anche
fuori dall'Italia: politici occidentali come Wilson (con i suoi Quattordici
Punti) e Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i quali Gandhi, Meir,
David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano Mazzini il proprio maestro
e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la propria "Bibbia"
morale, etica e politica. Mazzini conteso tra fascismo e antifascismo M.
sul letto di morte L'eredità ideale e politica del pensiero di Giuseppe Mazzini
è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in
particolare durante il Fascismo e la Resistenza. Già nel settembre 1922, prima
dell'avvento del fascismo, il cinquantenario della sua morte fu celebrato con
una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista M. fu oggetto di
citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una
sorta di precursore del regime di Mussolini. Secondo un appunto diaristico
(intitolato "Ripresa mazziniana") di Giuseppe Bottai, però,
l'utilizzo che ne fece Mussolini fu sempre strumentale. La popolarità di
M. durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che
confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di
avvicinamento a Mussolini durante la battaglia interventista, soprattutto nelle
aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle
pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini
come al «magnifico bardo del nostro interventismo». Particolare fu il caso di
Bologna, città in cui i repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo
presero parte attivamente nel 1919 alla fondazione del primo Fascio di
combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del
fascismo. Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Balbo
(che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di
Mazzini" e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di
aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo
momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Curzio
Malaparte e Berto Ricci, che nel fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la
Monarchia di Dante e il Concilio di M. L'intellettuale mazziniano Delio
Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad
aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della
rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove
il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito:
nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella
creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal
"parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal
"particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato
l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del
fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il
movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in Mazzini un precursore del fascismo. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione antifascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria del 1934 (che segnò l'inizio della politica del fronte
popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i
socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento
operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero
mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della
vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e
una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata il 9 febbraio,
giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che
aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in
particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a
richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli
scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la
continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di
oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la
lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui
partito era stato sciolto dal Regime) anche attraverso la formazione di proprie
unità partigiane denominate Brigate M.. Anche un comandante partigiano,
proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la
sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di
battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota
genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe
Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo
Fede ed avvenire Editore Mursia Doveri
dell'Uomo Editori Riuniti university
pressRoma Pensieri sulla democrazia in
Europa, trad. Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura
moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa
Mursia Periodici diretti da Giuseppe
Mazzini L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit.
Journal de la République Universelle Il tribunoNote La Civiltà cattolica, Volume 2; Volume 18, La
Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos religioso, e sempre più
col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova
divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod,
L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire,
Paolo Rossi, Mursia, Milano; L'uomo nuovo in Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara,
Rizzoli, Milano, Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in
Europe Citato nell'Edizione nazionale
degli Scritti di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione
nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, Cooperativa
tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi anche: Memoriale M.-Domus
Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita di Giuseppe Mazzini su
Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della
libertà, pag. 156, edizioni Dedalo, 1968; Francesco Felis, Italia unità o
disunità? Interrogativi sul federalismo, Armando editore,, pag. 7. Comune di Savona Liguria magazine Archiviato il 25
gennaio in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e federalismo.
Mazzini, Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La tesi
del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una vita
per un sogno, Guida Editori, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un
figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (Giuseppe Mazzini: una vita per
l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata
a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla
supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di
suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Mastellone, M. e la
"Giovine Italia", Domus
Mazziniana, («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a
Ollivier, che pubblichiamo, Mazzini, pur parlando di Giuditta come della
propria amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al
bambino come proprio figlio:...») Domenico
Barberis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. M. a
Londra È l'autrice del romanzo gotico
Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le edizioni delle
poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia
della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del filosofo
e politico William Godwin. Susanne
Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe Seymour, Mary Shelley, M., il cospiratore
senza segreti Lettere di Mazzini ad
Aurelio Saffi e alla famiglia Crauford Giuseppe Mazzatinti Soc. Ed. Dante
Alighieri1906 Politica e storia Buonarroti
e altri studidi Pia Onnis Rosa Edizioni di storia e letteratura Roma M.
«pavese» e l'Unità d'Europa Quando M.
scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe
Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La scimmia,
l'uomo e il superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni Pensiero di M., brigantaggio. net 1946: la Repubblica nasce nel nome di
Mazzini, su pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui
versi finali sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise.
/ Esule antico, al ciel mite e severo / Leva ora il volto che giammai non rise,
/Tu solpensandoo ideal, sei vero». La
stessa semplice scritta volle Giovanni Spadolini, politico e storico
repubblicano, sulla propria tomba a Firenze
Luigi Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario:
Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia della Massoneria in Italia.
L'influenza di M. nella Massoneria Italiana Archiviato il 7 gennaio in. La
stanza di Montanelli L' unità d' Italia e la Massoneria M. massone?
A.Desideri, Storia e storiografia, IEd. D'Anna, Messina. Gli
sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano fatto dubitare a
molti uomini della razionalità della storia, così altamente proclamata nel
secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve allora la fede in
una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in A. Desideri,
Ibidem «S'identificò la storia della
civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non
solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare
nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia,
Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale
e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli.
Così il genere umano è in gran parte naturalmente servo e non può essere tolto
da questo stato altro che soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente
libertà generale. e senza il papa non si dà vero cristianesimo operoso,
potente, convertitore, rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr.
Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini, Firenze)
G. Mazzini, Fede e avvenire, M., Fede e avvenire. Ha una visione
utopica, romantica e anche sincretistica della religione, che egli considerava
come il contributo, in termini di princìpi universali, delle varie confessioni
e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, M., Dei doveri
dell'uomo Fusatoshi Fujisawa, La terza
Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, Mazzini il patriota scomodo Arturo Reghini a metà strada tra fascismo e
massoneria «Noi dissentivamo su diversi
punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore comune al più, se non
attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto
socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi
esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano ad uno ad uno da lui
respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai inseparabile in tutte le
menti d'Europa dal moto politico io andava forse più in là di lui: sopra una o
due cose delle minori spettanti all'ordinamento della futura milizia; e talora
sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il
differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva
d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla scelta dei rimedi» (M. su Pisacane) Lettera a Ernesto Forte Londra. Noi crediamo
in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo
in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…»
(Mazzini, in Bratina). La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel
periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser
preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo
continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e
nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei
doveri dell'uomo). Leggeva Dumas e i
testi buddisti Il volto inaspettato di Mazzini
Il Foscolo, che scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un
"libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi
futuri, affermava che la fama dell'abate era "santissima" fin dalla
fine del sec. XVI, tanto che Montaigne, desiderava di poter vedere questa
meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les papes futurs, leurs
noms et formes» G. da Fiore, Concordia
Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti manoscritti di Mazzini,
Impronta, Torino, Sarti, M. La politica come religione civile, con postfazione
di Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, A.Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti,
Mondadori, Milano, «L'Italia trionferà
quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C.
Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano; M.:
comunismo vuol dire dittatura Il
"Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3° G. Mazzini, Doveri dell'uomo, cap.XI (in Baravelli,
L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A.
Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini,
Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e
inediti, II, Imola, M., op. cit. Nome
col quale i greci indicavano l'Italia antica
L. Stefanoni, G. M.: notizie storiche, Presso Barbini, Ricordi dei
fratelli Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza Documentati colla loro corrispondenza, Dai
torchi della Signora Lacombe, Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia
del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di M.?, in la stampa. D. Smith,
Mazzini, Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e
misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, A. Cappa, Cavour, Laterza, definizione
di Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia,
Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli
scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e Mazzini, Carlo Cattaneo, Giuseppe
Mazzini, Francesco Cheratzu, 8pagg. M. La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento
Rassegna The Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica,
Laterza, Le citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti,
Mondatori, Milano, (Fusaro); Benedetti “M. in Camicia nera” edito della
Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal diario di G. Bottai. Spesso, all'uscita dei
cento e più volumi dell'edizione nazionale di M. trovo il Duce, a palazzo
Venezia, immerso nelle folte pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di
pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di Mazzini.
A quando a quando il brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese,
anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva,
molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere
di storico: rivista della Società italiana per lo studio della storia
contemporanea (Roma: Viella, ); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del
fascismo" G. Belardelli, “Camerata
M., presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di
arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista
L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario
politico di D. Cantimori, R. Pertici,
Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo: L'itinerario politico di Cantimori
Cromohs, La memoria e le interpretazioni del Risorgimento, Guerra e fascismo da
150anni. Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato
operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); Fatica, Amendola, Giorgio, in
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mieli, "L'Italia
impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M.
Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in
Arianna editrice Mario Ragionieri Salò e
l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa,
Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano,
Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il
Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); Desideri,
Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione
civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); P.
Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin); N. Erba, Unità nazionale e Critica storica,
Grasso , Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava
Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear
Kate. Lettere inedite di M. a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a
Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I
sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta
di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo,
repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche
e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo, G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. M., sceneggiato RAI, regia
di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di Magni. M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M.
Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ;
interpretato da Alessandro Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio,
regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana
Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a Giuseppe Mazzini (Firenze) Museo
del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento.
su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia. Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere,
De Agostini. hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mazzoni: l’implicatura conversazionale – la vita attiva dei romani – filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Cesena). Filosofo italiano. Grice: “Mazzoni is important on
various fronts: he loves Dante, or Alighieri as Strawson calls him – his
library in organised alphabetically; the other front I forget!” Compì i suoi
studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a Padova. Membro
dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa Gregorio XIII che lo
avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella carriera
universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove ebbe la
cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe un giovane insegnante
di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi rapporti. Nel 1597 fu
invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché avesse da poco
preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini nei suoi
incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada del
ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della
Commedia di Dante Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla
notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna
inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome,
in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune
contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri.
Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia
ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia
Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che
risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam preludia pubblicato nel 1597. In questo libro egli sostiene il
sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata
teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché
Galileo Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, nella quale
difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva rappresenta la più antica
testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica di Galilei. Mazzoni, Prefazione, in Mario Rossi,
Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del divino poeta Dante,
S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa
della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De
triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres,
quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus
omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo
scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della
Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno
alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia
del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni
delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni,
o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Toffanin, M. nciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. M., su
sapere, De Agostini. Davide Dalmas, M. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Jacopo Mazzoni,
su accademicidellacrusca Accademia della Crusca. Opere di Jacopo Mazzoni, su
ope nMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di M., Benedetto, M. in Enciclopedia
dantesca, Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario Enciclopedico Brockhaus Efron,
Маццони, Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et A J de
Repub. ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co- Achen. oss
ditione, quàm probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM
FELICITAS cibiadis. VITAE ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare
diligenter, coaciones quoties opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque
maior parsius filler exequio1 quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem
disciplinam pertinet, hi summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic
quid visunt eller imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad
haec de his qui sub corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium
fumiere, his praeterea licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente,
publiciaeris, quantum resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse. Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus
erat atg; administrator: nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem
arbitratu im pensae fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de
quibus iudicium publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii,
caedis, at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio
quod si vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam,
vel civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his
omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo popularis Rei-pub. fornia
videtur. Consules enim ante quam ex urbe
legions educerentur quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et
có. ,{{1 Pin !! porro tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit,
probaliter dicere videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties
enim Consulum imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem
optimarum admianistratio, quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium
rerum ins, atq; imperi una habebant: his et enim caeterionines magistratus
praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur, hi legationes in curiam traducebant, hic ea
leriter quae errant decidenda ita tuebant, negociaģ; magna ad Senatum: referebant,
et penès ipsos vtquae patres de: creuissent sedulo perficerentur cura omnis et
administratio erat METHODVS. codemq; modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda
esset, vel ad aliquid decidendum, vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel
ad imperandum, aut poftre mo ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec
in yrben venerint agendum, quid eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties
quis ad urbem consulibus ab sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima
tum confilioregi et gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum
per sua sum habuerunt, quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum
tra is incos, qui maiores magistratus gessissent, admittebatur solus autem
capite damnandi potestatem habuit, qua in re illuds anèapudeos commemoratione
dignissinum fuit, quod eorum instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on
ex urbe palan egrederentur, permittebatur, acfi Tribuum una ex his, quae iudicium
exercebant reliqua fuerit, quae in non dum suffragium tulerit, exiliun: reo sibi
arbitratu suo deligendi facultas dabatur, exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene
siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum urbe tuto elle deferebat, lege etiam
comprobandi, ac sanciendi ius habebat et quod caput eitis de pace de bello, defoedere,
decom trouersiis decidendis, aur componendis deliberavit, atque unum quod quem
horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex rebus probaliter pofleta liquis dicere,
populuni si bi maxima min Res Publica partem vindicasse, ac Rei publicae formam
Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere a quid delegationibus ex terarum gentium,
quae ex populi administratione confatam
fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae, in partes diftributa fueritiam sigerentur
suae tianı populo, et eaquidem amplissima pars reli&a est: poterant praeterea
populus ipse magistratus dignissimis quibusque Senatus voluntate, arý; arbitrio
pofitumerat. atq; horum quidem, quae superius
dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica et poenae, et praemiis potestatem
habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus quoties gra priuior alicui maleficijmulata
irrogannda esset et praesertim ditum VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas
idoneus hauderat conttar enim legionibus eorum aliquid missum, quae illis
publice suppeditari solebant, namq; fineS.C.neớ; frumentum , neq; vestimenta, nec
obsonia legionibus administrari poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus
duxissent expeditiones et consilia omnia, quoties eis obstare, cum eila;
maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde rentur, et minimem ad exitum
perducerentur: quin ut quae ili animo et cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant
perficere possent, ili Senatus voluntate positum erat: nam is post quam niannuum
tempus praeterierat, aut successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem
habuit, ac etiam penem se undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere,
atý; ornare, velele vare, ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet
apparere, neġ; ducere cuiquam licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet,
populi certe aflen su opus erat, quodq; est omnium ferem maximum , omnes imperio
deposito, populo eorum quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus,
caeteris; Imperatoribus minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere
rursu siani Senatus quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius
authoritatem approbasset populus,
praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit, nedum Sena erat 1 natus,
et ineius fumptum erogasser necessaria. Et
siquis ex prouincia decedere voluisset, quamuis domo pulum tamen intueri, ac
illius rationem habere coactus fuit: in maximis enim ,atg; atrocissimis quaestionibus
eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-. piteple&untur ,nihilSenatus
ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum quae decreuerat perficere: sed ne
sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat: Trib.autí 11 di & um est:
nunc autem quaratione potuerint partes illae quoties voluerint, sibimutuo
repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft: enimuerò Consul poft quameani,
quam superius dixi facultatem adeptus, copias eduxerat, funini o quid e mille
cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus auxilio indigebat, ac sine
his adresge 1 erat officium id femper exequi: quod populo visunr fuerat
ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus cepissent, eos relevandi; siquae
difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo minus ellent foluendi obstitisser,
loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul
ut hac tionibusti midem, ac minime libenter aduers ab an turtum populus, tum
Senatus caniforis, militiaeque; universus exercitus, et singuli, quia fub c o
ad se inuice miuuandun, et impediendum adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione
Polybije aminterse aprem, conue Bodi nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt
hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei pub formare periti potuerit.' name, cum
habeant omnes Res pub. In orbe quandam có 11.4, versionem et mutationem. Nullam
ipse hac firmior emar Essen bitratus eft, fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis,
ac sublatis artibus et studiis, aliquo post tenporis intervallo rursus humanum
genus auctum et propagatum fuit, quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus,
quod etia in in ratione carentium animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum
gregibus fortiffimus quisý; manifestò principatum fibi vendicat: omnes enim
fortissimum et potentissimum fectabantur, aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel
honore illo digni habiti sunt in regnis consenescebant iusta studia fe&
antes nullaq; propter eos invidia, fi qui de m non magna in eis aut v i et tis,
aut verò omnibus Senatus praeerat. idem diem proferendi, fiquam publicani calaniitate
mac rum imperio, ac potestate eflent.i Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium
vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem Senatus metuebat, ad populique
: voluntatem , studi uni et cogitations suas dirigebat. At contra Senatu i populus
ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim, et singulatim colere, arg;
obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent in ITALIAM ul bidid
tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara 33°53.stusd; publicos
locare solebant:in his omnibus conducen discurandis populus implicitus esse
confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus kitus gracatio cernebatur:
verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag cotes, eaem qua populus victus
ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum iam comparata haberent imperio,
essent differre et ad haec licexe etiam spemine
: prae metu contradicente: in concesus concubitus appetore, ató;ita coorta
eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex Cyri, Cam.bylif que imperio,
fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam ducum En suorum consilia multitudine,
atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat forma facile vedelereture ueniebat, atque
indeiam optimatum principalu sortunt, atque initium accepifient, educati abinitio
in poteltate, ang honoribus apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus
inferendam , alijdenių; adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum
principatus ad paucorun dominationem hinc illorum imperioper idem quod tyrannos
oppresserat in fortunium finiş imponebatur, ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac,
qua superiores vsi fuerant metum, neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam
re centi rei malae gestacniemoria ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq,
ita popularis fornia effe et aeft horum postremo filii plus caeteris in Res Publica
posse contendebant; atg; sinhanc cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis
pecuniae largitionibas plebem cor runipebant VITAE ACTIVAE paternis, propter
eaae quabilis, communisų libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam
;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um
pertinentibus,magis quàm pro neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam,
atq; aff.uentiam cupiditatibus obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus
et epulisabijs, quifubeoruni f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi
principes fiebantàgen crofiffimis,& 1 1 tur . duxit . hiprinò administratione
gaudentes commun ivtilitate del nihil antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi
a n i eorum liberi e andem å patribus potestatem METHODUS I rumpebant, quae
affirefacaaliena bonaconselle, vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere
facileducem elaro animo, ace; audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for
mailla, cuius conservatio in flavum fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum
plebs in vnum coactacaldem facere, ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein
Scipiebat, donec facuum tuufus, &erforatum, vniusiruperit *0 um
reperiretur, qua propter his motus rationibus eamprae caeteris lau Res publicae
benainaliam bonam non mutetur quam bona innalam, siquidem ut Aristoteles dicit in
habentibus infi dese symbolum facilior eft tramlitus, an quia fimilitudo ila, ali
neracione. Quam qaog contrarieta temr equirit? quodquidéin Ele's atme mentorum trasmutatione
liquid paret: inhisverò Reip.
niutaionibus, quis fimilitudineni, & contrarietateinnes gabit) FACVLTAS
ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt ROMANI, occur
rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab otoexordientur; &
inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai. vixit .pokea loges quasdam
ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas appellarunt, fequidem
conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas epra constitutis
et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario comitia
curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret, et
dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle: camépo pulo eaporekasrelictaest, vt
plebiscita, & leges comitijs. Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin
seconti not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au & a 1ist.
& prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf
cuiufớiroboreac potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam
declinaret, ne 1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit
forfan aliquis,curfaciliusa Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis
que legibusparis. H 2 curiaris LECALI vinil 1.& ler VITAE ACTIVAE.
COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO] hinc et Suetonius ait Tiberium à [GIULIO CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum,
hoc eft suffragiis populi percurias collectis. quidam retulerunt. pe: TAPE PTA
LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta,
et principum placita,exquibus EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit)
iuxta curiatis ferrentur,iii IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur
ybi putabat,cum quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse
t accusam o m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas
responsa appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum
leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure&
consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis
petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci
lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1
primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,&
itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse
exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum
refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a & iones. Iureconsulti verba vnatantunt
fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur.
:.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone
.I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad
exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui.
fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius
Hermodorinon rectè colligitBaldus
{,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet
faciendi legenon prohibitum , atý;isto rum , alij sunt liberti, alij libertini,
alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt, appellabantur. -horun, autem
alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s. : aut testamento nullo
iure impediente n i anumis li sunt, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia
interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero, qui propter noxam torti
nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGENVI. $ 11.
Ingenuorum veròalijluisunt iuris, alijverò alieno iuri fubie&i. et savie quialieno iuris ubie et isuntfilij familias
appellan-1.1.f.&his tur, qui inditione, et potestate patris sunt vel natura,
velquisútlui adop. natura sunt qui ex nuptiis
uxoris et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò apud ROMANOS tribus per ficiebantur
modis Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres autem quae in manu per
coenuptionem conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu, velfar
reationeminime. caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem
maximam fuisse differentia adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, &
fanèfar reatio Top. Cicerone folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò
cereis solemnitatibus per agebatur, fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui
nullius imperio subie &I facultatem liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini
ex iustaserui. Il convito di Platone. Discorso de' Dittonghi di M.
all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria de Marchesi del Monte. In
Cesena Appresso Bartolomeo Raverio. Questo Discorso sitrova altresì inserito
nella celebre Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella Basilicata.
II.Discorso di M. indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante. In Cesena
per Bartolomeo R a verii in4.Ladedicaè AlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il
Sig. Tranquillo Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che indussero l’autore a
scrivere questo dotto ed ingegnoso Discor so , se ne ragiona qui addietro a
cart.19. e segg. III. Jacobi M. Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii de
Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam1574. in4. IV.M.
Cæsenatis deTriplici HominumVita , Activa nempe, Contemplativa , ei Religiosa
Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus centum etnonaginta septem
distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis, multæveroaliorum Græcorum, Arabuin,
et Latinorum in universo Scientiarum Orbe discordiæ componuntur. Quaomnia
publice disputanda Roma proposuitAnno salutis Ad Philippum Boncompagnum S.R.E.
Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat in Questo volume contiene le celebri conclusioni
di quasitutte le scienze, che M. difese pubblicamente con meraviglia di
tutta S2 . 1 1 Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante
ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo
letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di
Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante
Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario,
Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.
CommissarioGenerale.In Cesena Per Severo Verdoni. in e V. Della Difesa
della Commedia di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle
opposizioni fatte al D i s corso di M. e sitratta pienamente dello arte Poetica
, e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere Parte
prima ; che contiene i primi tre libri.Con due
Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando
de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii
in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in R o ma nel 1576.,
com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo dell'anno
seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro, e porvi: Quæ
omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi qui addietro
ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodiquestolibro.Della Difesa
della Commedia di Dantedistinta in sette libri, nella quale si risponde alte
opposizioni fatte al Disa corsodiM. Jacopo M. esitrattapienamentedell' Arte
Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle
lettere. che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata
incuisitrova,cosìpergloriadelMazzoni,come per le insigni qualità del Prelato,
che vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla in questo luogo, e dèla seguente.
a beneficio del Mondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD.
Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata All Illustriss. e
Reverendiss. Sig. Monsig. Rinaldo degl Albizzidell'una e dell'altra SegnaturaRe
ferendario , Giudice della Sacra Congregazione di Propagan da, ePrelato
domestico di N. S. Papa Innoc.XI. in Cese na per Severo Verdoni in 4.
Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni , illustre letterato di Cesena , ebbe ri
soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di Dante , vedendo che
la prima era di già divenuta assai rara , si determinò d i dover ristampare
anche questa , siccome fece, dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato
Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale
aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo Monsig.
Pilastri passato a miglior vita in tempo che appena n'eraterminata la stampa,
convenne aglieditori procacciarsi un nuovo Mecenate , cui subito ritrova rono
senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di Monsig. Dandini Vescovo
diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi tutti
gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a questo secondo ,
ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so
dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig. Dandini. La dedica a Monsig. Pilastri
è in data de 10. Settembre 1688.9, e quella a Mopsig. Dandino è de'17. dello
stessomese edanno. Epoichè questa prima dedica merita assolutamente d'essere
tratta dall'oblivio ne Illuge 'animo fatociperultimare que sta
grande impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato
convenientissimo debito presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di
dovuta restituzione , eriman dar (comesidice) questoFiumealsuoMare.Nepunto
erriamo, sesottonone di Mare ricopriamolavastità delsa pere , la profondità
della prudenza , i tesori delle Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S.
Illustris.Avvenga che, se sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri
isussidjdellavita, a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità ,
emulando la pietà de'suoi Avi, eregga agli Eroi del Paradiso gli
Altari;sovvengaleCongregazioni del Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa
della Pa che con tanta esemplarità dal Porporato , che ci regge, ècomunemente
protetta,e progredisce ne dettami delpiosuo > Illustriss.
eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena delMondo alla seconda
lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del pregiatissimo nome di V.S.
Illustriss.per contestare, che volume si prezioso meritò sempre ne'suoi natali
uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi Personaggi, che venerasse il
Secolo. Ed invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili
doti, che adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere,
che sia sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi
parti il nostro M.; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti,
edalle prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi
iportenti di questo grandeingegno. Ondenoiinconsiderazione delle grazie tan
tevoltecompartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo
concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se non quello,
che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1 Præceps
illamanus Auvios superabatIberos, zioni,eprove dell'amore che V. S.
Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati della sua
pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri tuttose
stesso in olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia ,
proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la
Patria, e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori,
eisovvegni conseguiti dalla bontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens .
A questo Mare adunque, la di cui gentilissima aura hacci sovvenuto a condurre
alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj,
abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro,
col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra
Patria ha saputoprodurre i M., i > Chiaramonti, i Dandini, e gli Uberti,
preseduti alle pri me Cattedre di Roma, di Parigi, di Bologna, e di Pisa, ha
ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli, chegli
hannogenerosamenteaccolti, favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se
stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore, che ha saputo mettersi in
tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna offesa;
resta perciò liberaa V.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che
abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo
tributo della nostra divozione al di leigran Nome ; che non potrà mai ricor
darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo
ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria in vedere
le affettuose dimostra f > mula di quelGrande , neque negavit quidquam peten
tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est . Cesena. Sacerdoti
Cesenati, VJ. Discorso di Jacopo Mazzoni intorno alla Risposta ed alle
opposizioni fatregli dal Sig. Francesco Patricio , per est . M a vaglia
per tutti, e sia ne' fasti dell eternità a caratterid'oro registrata la grande
restituzione , che ha fat to alla Patria del suo gloriosissimo , e primo
seguace del Redentore, Martiree Pastore d'EvoraS. Mancio ladi cuimemoria quasi
quiestintaèstata dalla dilei Pietà ravvivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte
portare dalle ultime regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari ,
così ancora hanno indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente
si dice , meritar ella corona più preziosa di quella , che da' Romani donavasi
a chi rendeva i suoi Cittadini a Roina; ovvero che solamente lapietà di Monsig.
Sante ha saputo accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo
Pilastrosivede ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso
in Cesena . Viva dunque il nome di V. S. Illustriss., e fino che i nostri
celebratissimi Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico,
resti impressa negl’animi di tutti la memoria di si gran Benefattore.
Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui non Atene , m a Cesena , che è pur l'Atene
della Romagna,ergapertrofeounacoronadicuori. Mentrenoi. restringendocia
supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo ossequio, riverentemente
inchinati, la sup plichiamo anon isdegnarsidi permetterci,checipubblichid mo
per sempre Di V.S.Illustriss.eReverendiss. Vmiliss.e Reverentiss. Servi Obblig.
D.Verdoni , e D. Buccioli > te 145 tenente alla Storia del Poema Dafni
, oLitiersa di Sositeo Foeta della Plejade. InCesena appresso BartolomeoRaverii
.in4. VII. Ragioni delle cose dette , ed'alcune autorità citate da Jacopo
Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema Dafni oLitiersa di Sositeo . In
Cesena per Bartolomeo R a verii in4. Del
merito diquesti dueOpuscoli, e della cagione , che indusse l'autore a scriverli
, si vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. Jacobi M. Cæsenatis , in almo
Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis,
in universam Platonis et Aristotelis Philosophiam Preludia , sive de
comparatione. Platonis et Aristotelis. Liber Primus. Ad Illustrissimumet Reverendissimum
CarolumAn sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .Venetiis Apud Joannem Guerilium
in fol. Questo volume , che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato
il suo capo d'opera , si vede al presente giacere quasi in una totale
dimenticanza , colpa de' nuovi sistemi di Filosofia , che di poi si sono
introdotti . Ad ogni m o d o è opera dottissima, e quanto mai si possa di -. re
ingegnosa, e nel suo genere affatto singolare ; con tenendo quasituttiisistemi degli
antichi Filosofi esa In Exequiis Catherina Medices Francorum Regine.
Florentia apud Philippum Jun ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi
Mazonii Oratio habita Florentia Idus Orazione a Don Virginio Orsino Duca di
Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti da questo m a gnanimo
eliberalissimo Signore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice, che
sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori .mi .
T minati ed illustrati in una maniera sorprendente. Lettere . Una
lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a cart.
121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di esso M.
in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Bonetti. in 4. Tre altre
scrit teparimente alBulgarini sileggono a carte e delle Annotazioni , ovvero
Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra la prima parte della Difesa di
Dante del Mazzoni. In Siena appresso Luca Bonetti. Ed una indiritta
aSperonSperoni staacart.355. del volume quinto di tutte l’Opere di esso Speroni
dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in difesa della nuova Poesia
dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione M, medesimo alla pag. 20. delsuo Discorso
de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio piacendo, periscamparli, il chepoinon
fece, forse per essersi ricreduto sovra tale materia; giacchè allora, che era
molto gio Considerazioni sopra la Poetica del Castelvetro. Que ste furono
mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne dà ilsuo giudizio inuna lettera
scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi. vane XIII.Commentarj sopratutti I
Dialoghi di Platone.P rea se M. a scrivere questi Commentarj per soddisfazione
di Francesco MariaII, della Rovere Duca d'Urbino, ed egli medesimo ne fa
menzione in una lettera scritta a Giulio Veterani Ministro del Duca, come pu .
re a reinaltraa BelisarioBulgarini, cheleggesi acart.213. delle
Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul garini. M. medesimo
poiacart. della DifesadiDante nomina isuoiCommentarj soprailFedone, XIV . Libri
de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone. Compose il Mazzoni
quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e. disse a Roberto Titi
che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante.
Veggasi q u a n toda mesenediceacart. 44.e98.delpresentevo lume. Censura del
primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Riccardo Simon in una
lettera a Monsig. Muzio Dandini, che si legge a cart. 9. del vol .4. della sua
Biblioteca Critica , afferma d'aver inteso da questo Prelato , che ilMazzoni
avea scritto contro il primo tomo del Baronio , tosto che questo uscì in luce
, e che il manoscritto di quest'opera sic
onservava nella libreria delGran Duca. Discorso d'una breveNavigazione,
chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia , e nel Paese del Prete Janni . All
Il. ed Ecc. Sig. Giacomo Buoncompagni General di S.Chiesa, e Marchese
diVignola. Questositrovainuna Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso
sopra le Comete. Anche questoDiscor so, lodatissimo dalSig. Guidubaldo de' Marchesidel
Monte celebre Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici
Urbinati; ma per diligen zefattenon sièpotutorinvenirealnum.513.,alle. gato dal
Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo,
e dietro a lui dal P. Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . T 2
1 Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di
quest'operetta si è da noi detto alla pag. 101. La Fisica , e i Dieci Libri
dell'Etica d'Aristotile. Tadini scrive che il manoscritto originale di
quest'opera , mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono
presso ilSig. Gio:Antonio Al merici Nobile Cesenate. Il medesimo si afferma dal
fu Dottore Giovanni Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal
Ch.Sig. Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende , che lo stesso
Cecca roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica; ma sento che
questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. XIX.Inuniversam PlatonisRempublicam
Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo il Mazzoni
medesimo nella lettera di ZQ / 148 ν gataalSig. GiulioVeterani; dicendo,che
quantopri ma pensava di mandarla , o di recarla esso medesimo al Sig.Duca
d'Urbino . alle La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore
composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate , si è fatto memoria nel
decorso di quest'opera , prima viene accennata a cart.89. , detta in Pisa nell'
aprimento degli Studi in lode della Filosofia . La se conda scrittada
luieloquentissimamenteper movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire il Re
Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne' funerali del
celebrePierAngelio da Bargaacart. 100. El'ultima final mente recitata nell'Archiginnasio
Romano , facendo una comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della
quale sifavella acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni altre sì scrive M. sopra che
mai non videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze , due nell'Accademia
Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante; e l'altre in quella
della Crusca sopra iBrindisi ,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi
acart.77.94.95.e97. Lettere. Di alquante lettere del Mazzoni si conservano gli
originaliin Pesaro nella libreria Giordani , delle quali lach.me.del dottissimo
Sig. Annibale degli Abati Olivieri si compiacque giàmandarmi copia; e sono tre scritte
al Cardinale Giulio della Rovere, una al Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani,
ed una a Piermatteo Giordani. Altre parimente originali scrittea Belisario
Bulgarini si trovano in alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università
di Siena. Oltre aquest'opere ilTadini afferma, essercime moria, che dal Mazzoni
sieno state scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum Paraphrasis. II.
Numi smatum Græcorum Interpretatio. In Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie
Arcana.V. Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati , denari Romani, qual
fazione restasse vittoriosa ne' Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa
o Bianca. Tractatus de Somniis. L'originale di questo trattato de'Sogni dice,
che fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni
Gentiluomo Cesenate. Ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri,
non si essendo più trovato. Forse tutti questi mss.dovettero essere in quelle
dieci casse di libri del Mazzoni, che rimasero dopo la di lui morte presso
Girolamo Mercuriali in Pisa, come il Dottor Ceccaroni nell'accennate Memorie
afferma apparire da un pubblico Documento rogato. Per Per ultimo il
sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura, esservi anche al
presente chi sostiene doversi attribuire al Mazzoni, così la Canzone composta in
lode del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale, la quale incomincia Mostra
l'alterafronte,come la difesa della medesima, che fu pubblicata sotto nome del
Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello
delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la C a n
zoneMostra l'altera fronte. InCesena conlicenza de Su periori Per Bartolomeo Raverii1587.in8.;
machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non
averei difficoltà di credere, che così la Canzone,come ladifesa potesser essere
fattura del nostro autore , essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto
dotta e giudiziosa , e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo
MAZZONI . Mazzoni. Keywords: implicature, repubblica romana, the Latins on
‘vita activa’, I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mazzoni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mecenate: l’implicatura
conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.
(Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio
Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di
origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da stirpe regia, ma volle
restare semplice cavaliere romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e
intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha
luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso
Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il
rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con poteri
illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e trova sia
in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli deve
la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori filosofi
del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del MECENATE in versi e
in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera che introduce
in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di subire
l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi
epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del
Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their
loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of
many ancient writers, they were written in a very artificial and affected
manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of
the ‘calamistros Maecenatis.’). They consisted of poems, tragedies (one
entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of
Augustus (Hor., 'Carm.' ii. 12, 9), and a symposium, in which Virgil and Horace
were introduced. The few fragmente which remain of these works have been
collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii
Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a
Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and
Messalla, and, if a fragment from Plutarch can be trusted, some pretty clever
dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum:
physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet,
id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius
interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor
ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit
bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N
unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL
ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn,
"EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt 1911, 92-93. Perhaps Maecenas's Symposium should
be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. Mecenate.
Grice e Medio: il portico romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Medio. Porch. A contemporary of Plotino. He wrote a number of essays.
Medio.
Grice e Megistia: la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico di Calcide. Megistia.
Grice e
Meis: l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito
abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico).
Filosofo italiano. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di
un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a
Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di
Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco
De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio
dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel
1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola
privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e
scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli. Dopo la promulgazione della costituzione nel
Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra:
sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe
borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re. Fu quindi costretto all'esilio: dopo un
soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la
professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò
antropologia all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico
parigino, diventando assistente di
Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica.
Strinse anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò. Tornò a Napoli e divenne assistente di De
Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto
Membro straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in Massoneria, è certo
tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico-spirituale alle
scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo di Hegel. Fu anche amico
intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in parte la speculazione
intorno al positivismo. Venne citato, di
passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia Pascal. Fu costruito il nuovo palazzo della
Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a De
Meis. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi
Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani. Il protagonista del romanzo infatti ascolta
casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e
dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo
cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà
"Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che
attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade
rappresentassero Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il
viso di Gesù durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia
Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria
libertà. F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo
Camillo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis politico
“militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Angelo
Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. M., in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei
deputati. Angelo Camillo De Meis di
Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di
Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella
prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle
successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di Francesco De
Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis. Difficile immaginare che
questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le
ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche non si pensi al saggi in cuil
Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica
hegeliana dello spirito; onon si immagini che possa essere il suo pensiero,
sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo
politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prednde parte del
cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL
SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di
mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della
popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra
lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano
Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora
Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico
universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo
incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico
intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Neoplatonismo Cristianesimo Oggettivismo ideale particolarista
Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio
alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S.
Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio
Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico
individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant
Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant
Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling
Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo
Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana individuata.
L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che basta a se stessa. 11
che appunto vuol dire che lo Stato è il grande organismo umano,
l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso, indipendente ed
assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di fun- zioni.
Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si
nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa.
Egli è questo il sistema dei suoi bisogni mate-riali, vegetativi ed
animali. Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vege- tabile
compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima,
sormontata dall'unità dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla
coscienza umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale ; la
coscienza è la corona della vita animale ; e la coscienza assoluta è la
corona e F apice della vita spirituale. Come spirilo l'uomo è
per prima cosa, e per prima base, morale. La moralità, la virtti privata,
è la forma più naturale dello spirito : essa è il patrimonio
dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo
aggrandito; egli è l'individuo che si aggiunge una porzione della natura
esterna; ed è una estensione del suo corpo , e della sua anima;
ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione della sua natura
giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera
coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e
circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella pura
coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli
aspira a conoscere anco F interno di se, la sua propria natura. E Si
conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito:
nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come
infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema
spirituale nell' uomo piccolo , nelF individuo particolare. NelF
uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama lo Stato, ci
sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola,
industriale, commerciale : produzione materiale, frumento o libro;
trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio; nutrizione e
consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei quali il
corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'in-
dividuo, ma estesa alla società, manifestata come re- lazione attuale fra
gì' individui umani. La morale in- dividua diventa dritto comune; materia
della polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di of-
fendere e usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il
dritto che la loro coscienza mo- rale sia rispettata. Il reo non fa
contro uno, ma con- tro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono
tutti contro di lui: il sentimento della comune natura u- mana
reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto di maltrattare un
bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della fondamentale unità
della natura umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti
gli uomini civili e sensibili. La morale individua è il rispetto della
natura; il dritto morale è l'azione conforme ai fini, ai principii, ai
sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica, spirituale,
poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica,
ed è la relazione del- l'individuo coi suoi annessi naturali agli altri
indi- vidui similmente costituiti di cui la società è formata.
Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por- zione di natura;
egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di tutti
gli uomini, mem- bri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si
le- vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che
funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di
rincontro alla barbarie, alla pas- sione violenta ed alla guerra privata;
un tribunal* criminale è in realtà una corte marziale. La legge
civile è il principio e la regola della pacifica deci- sione: essa è la
libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e il
contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non solo
non giunge, ma neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra
è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a
ragione è detta civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci
è finalmente V Io comune , conoscenza e volere generale; ed è, come tale,
una funzione formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le
funzioni speciali. Cosa è dunque lo Stato? Lo Stato è T
insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e
giuridiche, in quanto sono unificate nell'Io comune, che tutte le penetra
e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar
movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque
l'Io, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù
pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica
economia. Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia neir or- ganismo giuridico
la sua forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è
solo un Gran- Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il
Codice Civile. — Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la
piglio in senso di relazione umana in genere. — Ed io allora la piglio in
senso di rela- zione cosmica universale. Bisogna finirla una volta
con le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeter- minate e
generali. Lo Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la
virtìi è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua
rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate, piene di confusione e di
errori. La virtù, la morale, non è che un elemento , ed una sfera dello
Stato. Essa ò per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e
promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per così dire
individuale, essa allora di privata diventa pub- blica, ed appartiene
allo Stato. Che se dall' infima sfera delle relazioni individuali
l'azione si leva alla sfera giu- ridica, o se anche penetra nella sfera
politica, allora essa perde man mano il suo carattere morale. Un
de- litto politico è per poco un non-senso, quando non è che
politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis: puro vuol
dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a parlar di
delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed im-
prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc- cesso ed
insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro
natura morale, giuridica o poli- tica : se non che una pena politica è
quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di
guerra, un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu, io
la piglio in senso di forza, di energia politica. — Ed io la piglio in
senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. — Le antiche
repubbliche erano fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza,
sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde
perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io
chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e
ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i
francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è
la materia appena un po' digros- sata, non è l'idea che la determina e la
informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo
vedrete. Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric- chezza,
dice il Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la
produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio
con istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric- chezza
non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la
materia , lo Stato è il pensiero : 1' una è il corpo , T altro è l'
anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. Il principio
dello Stato è la religione, è la Bibbia degli Ebrei, diceva l'Aquila di
Meaux, e per quel tempo non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro* e libero aere della ragione. E se monsignor Dupanloup pure
insiste e per- fidia, allora io dico che il principio dello Stato è
l'arte, è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di
Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra,
ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio,
dirà monsignor Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci
siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del
corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co- stituisce i Re, che
direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità
politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio
della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e
corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la
funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel
volere essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que- sta
forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as- soluta ch'egli ha di
sé, e l'azione comune in cui questa si traduce e si spiega, è per
l'appunto la sua funzione essenziale. La coscienza dello
Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una esistenza naturale,
e spontanea- mente si crea il suo particolare organismo. Essa è
l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea , e in
cui si fa reale. È una creazione im- mediata e diretta, ovvero indiretta
e mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è
la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le
autorità dello Stato. Questa funzione crea- trice è 1' elezione.
Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra- duce e si
concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere
legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si
crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito
amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il sangue di
questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per
eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono la
triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la giuridica.
Un magistrato, un impie- gato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e
il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello
Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essen-
ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli serve a
difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in- terne, che ne minacciano
la vita economica, politica o morale. Il soldato è il braccio della
legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l'
insulto di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli
che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti- tuzioni del
proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel secondo
caso. I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo,
e il sangue vi dee circolare. Il potere legisla- tivo è l'anima; ed è
perciò che non è pagato. Il So- vrano ha una lista civile perchè unisce
in sé le due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere
legisla- tivo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello
Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo,
potere esecutivo ; tutto questo è forma di forma : la forma essenziale ,
il vero Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge-
nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è
possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o
quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa
da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge
penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, V impiegato, il
soldato , tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero,
giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte
liberamente spie- garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza
econo- mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la
forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina l'economia: la
produzione non è pos- sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è
im- morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone
alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for- male, domina e modifica
tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato
domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti
per sé assoluti, sono fra loro assolutamente relativi. Il volgo riguarda
come piti eccellenti gli as- soluti inferiori, perchè piti naturali, e di
più imme- diata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui
l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico; 1'
ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente
è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più assoluto e divino; e
quando l'ar- monia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la
funzione formale, la funzione assoluta dell'essere, quella alla quale
appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano. Scoppia la
rivoluzione dal basso o dall'alto: ribellione, colpo di stato. Slealtà,
tradi- mento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza mo- rale lo
riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una
coscienza superiore che l'approva; e se non è la coscienza politica dei
con- temporanei, sarà di certo la coscienza politica degli
avvenire. La storia approverà il colpo di stato e la rivoluzione
popolare, quando è vera funzion di essere: quando cioè l' essere
apparente dello Stato non cor- risponde al suo vero essere , a quello che
esso è nella coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia
che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la
proprietà d' un cittadino è ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una
giusta ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa
realizza il suo essere, il benessere della comunità, o dell 7
intiero corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica
utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del fatto, che vi è di
certo e non può mai mancare, ma non la sua vera ragione. Si vede la
comodità sensibile, ma non si vede il suo interno principio, l'essere
generale realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri codici sono poco
men che tradotti dal francese, e le nostre leggi fatte esse pure dal
risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono le idee.
Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar l'ordine naturale;
è un toglier all'uomo una proprietà che 1' uomo non ha creata. Ma lo
Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di essere;
egli è, vale a dire una forza : e l' elemento di questa forza è la sua
cor- rispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza
generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o
supera quello del corpo sociale. — Il secondo, e non già il primo, è di
gran lunga il caso dello Stato Italiano. — Egli è perciò che quando
la società vede nella pena di morte un elemento di so- lidità, ed
un pegno di sicurezza generale, abolirla è un errore: è una fallace
utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita
sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse,
ma certo debolezza di mente, che ad altro non condur- rebbe che a
crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la
distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine
, ed es- sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà pro-
gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia con la
coscienza dei moltissimi, allora lo Stato sarà forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro
indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno incolto e per dir
così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come un elemento di
esistenza; e non sen- tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto
barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa- ranno
moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne T abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei
sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e
dall' altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo
Sta- to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e
assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì
vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne
vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo: il
senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli condannava allora
la pena capitale come non utile. Ve- nuto più tardi a miglior sentimento,
il Risorgimento respingeva P utilità , e condannava la pena di
morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale; e
non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità: egli è il da ubi
consistam della filosofia posi- tiva. Ma se ne vergognerà di certo quando
di risor- gimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare
un uomo, turbarne i dritti, e vio- larne il possesso, attentare
all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue
istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare
moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il" dominio (e sia
pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il
"cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta farlo
lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la violenza
pubblica e la pubblica usurpa- zione non è giusta; è più e meglio di
questo, è po- litica; e si chiama guerra e conquista, e non più
violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta
le- gittima e veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta
per convenzione, ed in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato
opera in funzione di essere: quando guerreggia e conquista per* vivere
per essere, o per diventare quello che è in sé, e deve anche
attual- mente essere. Vi sono società naturali, che la
violenza, l'ar- bitrio, la passione, il caso in una parola, divide
in più corpi sociali , per cui di uno si formano più Stati. Ma in
tutti rimane la coscienza della loro identità po- litica, e della loro
natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente
separate, in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le pas-
sioni umane, col concorso di altri accidenti ed op- portunità naturali,
crea una coscienza comune. La lingua, vale a dire la comunità e la
somiglianza fon- damentale dei dialetti (non mai la loro identità,
che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione
assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e l'espressione
approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova coscienza. La
comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e
di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e vivente con una
interna unità e un' anima generale. La geografia è la condizione esterna
dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale di questa
for- mazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo
lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza,
ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la
coscienza comune che si è svi- luppata in un gruppo di Stati eterogenei
non è che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e
nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co- scienza nazionale.
E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se
stesso; è un' anima scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la
co- scienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di
nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l'
altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione: la nazione
è la possibilità naturale dello Stato. Ma esso anche quest'altra
parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il
suo essere, e irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica
effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza
reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati
conna- zionali. È la buona guerra, e la legittima conquista; ma è
ancora il processo barbaro, violento, inconsa- pevole, passionale,
irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è divenuta cattiva:
il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione, e non
ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.
Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi- luppa più o meno
egualmente di sotto alla loro par- ticolare e diversa coscienza politica
la comune co- scienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti
fini- scono per fondersi in un soIq corpo di nazione, in una stessa
società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleverà e si perderà ben
presto nella coscienza po- litica comune. Non è più. la soluzione
forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo
modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali,
prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-
tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale
non esisteva, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società
affatto etero- genee, fra cui non vi è stato che un principio di
fu- sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria , nella
Iugo-Slavia, una coscienza austriaca; ma la vera coscienza politica è la
coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una
co- scienza astratta, occasionale, non è una possibilità na- turale
effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della coscienza nazionale.
La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre
in- giuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno inomogenei,
in cui pur v* era un avanzo di un'antica lingua comune, testimone di una
comune coscienza, di politica rimasta puramente nazionale,
reminiscenza di una potente antica unità; lingua avventizia e
forzata, ma che aveva finito per essere adottata; coscienza avventizia,
ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere la comune essenziale unità
del mondo romano. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono
per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però le dovute
e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l' intenzione di seguitare
in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro, medieyale;
ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza
nazionale, è la lingua, ed è la storia. La natura è la geografia: un
fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione. La Francia è
fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La soluzione
spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali era serbata al
secolo della ragione; ed è l'Italia che ne ha dato al mondo l'esempio, ed
è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede: la greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circo- scritto; si direbbe una regione, un nido
apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;
lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve- nuta a coscienza
politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro comune principio
che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza
e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo
Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le
forze si oppone, e l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e
irreligiosa Europa del Risorgimento , custodisce e protegge con una
edi- ficante unanimità il barbaro e immondo straniero, il musulmano
oppressore. L' Italia è stata piti fortunata. Un grand' uomo
uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono
straniero, rammentava l'antica madre per la quale giovanetto aveva
pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la mano a farsi di
una nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non so che
questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è ancor venuta, e
non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e il dritto, e le
piccole pas- sioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella
quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato per l'Italia siamo
competenti noi; e non sono ingrati tutti gì' Italiani. L'Italia per
viriti propria, e per generoso aiuto, che appena è che possa dirsi
straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma
se quella è forte e potente, questa è ancor debole ed incom- pleta.
Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali la sua coscienza
nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente amalgamate in una
coscienza poli- tica comune* Le deboli sono scomparse; ma ve n' è
qualcuna forte, che resiste e permane, ed è l'antica coscienza
piemontese. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.
La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dub- bio ancor forte,
non si è pienamente trasformata. Essa è rimasta nazionale , astratta; ed
ha solamente prodotto di sé una coscienza politica italiana debole,
parziale, incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di
eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che
rimane alla vecchia e tenace co- scienza piemontese, di cui la permanente
è l'espressione. Questo Sammarlino lo ignora ; ed è in una per- fetta
buona fede. Egli in tra v vede in lui una forte coscienza nazionale, e
allato a una profonda coscienza municipale (certo indebolita da quello
che era prima) vi trova un chiaroscuro di coscienza politica
italiana, e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se
lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è senza dubbio italiano;
ma quel suo quanto si può essere, o quanto altri sia, è una sua
esagerazione. Nobile esa- gerazione, inganno volontario e generoso,
illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa
sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli altrui. Ma
in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal forza
d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo ; e s* egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una coscienza romana: se sulla vera coscienza magiara , czeca e
jugo- slava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se
finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese,
ha potuto (incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una
coscienza politica francese: ben saprà creare una vera coscienza
italiana in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi
della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel mo- mento in cui la
grande storia italiana del Medio Evo aveva termine, quando tutto intorno
taceva, s'avviliva e s'abbandonava, e la nazione intiera scendeva
nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo non s'
abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra, sorgeva a un tratto
giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova
storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia viveva ancora. E
quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia vi
scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava
animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria: onore
a cui dalla provvi- denza della storia era visibilmente riserbato. Ah
non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà
identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande
storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile
provincia, è na- turale sia permanente e resista alla grande
coscien- za politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi
sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una
grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano.L'Io, la coscienza
sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una
funzione pu- ramente formale che domina e modera e modifica la
funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e
turba e invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello
eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita,
Tessere in- dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo
privato non può fare, e che gli sono permesse, dove- rose anche talvolta
y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si
confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e
reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è
lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in- teresse generale. La
fusione e l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili
completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello
Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si
separano, il tiranno è perduto: egli allora non è pih lo Stato, è un
altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si
solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un pro-
cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia: forme dello
stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia
tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne
molti, ne tutti: V arche è la ragione. Il principio dello
Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale,
non è l' eco- nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come
Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le
forme, di tutti gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è
lo Stato, e qui finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non
finisce la vita umana, e non è anche tutta la storia. Sotto
allo Stato vi è il dritto, la morale, la pub- blica economia; ma vi è
sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che
non è il suo; vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il
mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra al mondo della
natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili
alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle fun- zioni
a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale
possibilità delle funzioni a lui superiori. L'Arte è una
funzione naturale, e perciò rimane affatto individuale. Vi è un mondo
estetico, ma non vi è una società artistica : vi sono soltanto degli
artisti e dei poeti ; e la parte dello Stalo è di render possi-
bile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la spontaneità ed il
libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non quando egli abusa e
tradisce l'Arte, ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la
morale o il dritto, e può essere immorale e ingiusta a sua posta: ma finché
rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia può
esser sublime, atta solo a sollevare e forti- ficare i caratteri, non mai
ad avvilire e degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce
dalle sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed ingiusta,
e allora lo Stato interviene: interviene in nome della giustizia offesa,
e della morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e due
subordi- nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la
religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua
irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di
re- ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue
leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e
sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e
modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non
amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la
Scienza; è in un certo senso il suo contrario : che s' ella esce dalla
sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così
spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo
carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò che mentre
l'arte rimane nella sua inconsape- vole particolarità, la religione viene
a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e
di fuori e di sopra alla società politica si forma una società
religiosa. Il luogo di questa alta società non è la terra, è il cielo:
l'uomo religioso ha i piedi su que- sto umile suolo, ma la sua anima è
altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e
adempi- mento del destino umano: contemplazione della infi- nita
natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia;
conseguimento della infinita fe- licità mediante il possesso dell'
infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne
eco- nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta
inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e
triviali; può professar tutti gli errori filosofici, astronomici,
teologici, politici che vuole. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e
più stimata e rispettala. Può la religione professare tutte
le assurdità mo- rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a
Dio tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare, e pih
perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo- derno pih si rimprovera, e
maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà
per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore religioso,
il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere
ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei padri,
come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un tempo ed in un paese in cui
non v' era ancora il Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da venire.
Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a Mosè una
siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella
era pertanto la ve- rità giuridica e la verità religiosa del suo tempo:
due gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora in una
verità sola. Oggi la distinzione è av- venuta: la verità giuridica del
Codice Mosaico, con- vinta e condannata di falsità, è sostituita dalla
verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che al-
l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten- trata l'astronomia
di Copernico e di Galileo. Ma co- me verità religiosa è rimasta in piedi:
crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito col reo
dalla vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila anni
sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è naturalmente
trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in
grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e
quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre- dibile al popolo
ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il
bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del
dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo- rale; ma non è che
una offesa ed una violazione re- ligiosa, e lo Stato non interviene per
far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione
succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo
e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l'
azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere,
si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosa- mente
immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa
rispettare. Questo inevitabilmente succede alle religioni che di
spirituali si fanno tem- porali. Peccato è loro e non naturai cosa: di
loro è la colpa e non dello Stato : e perciò tanto peggio per loro.
Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte e della
Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma qui l'individuo
s'identifica e si perde nel puro assoluto universale, per cui l'Io
filosofico non prende alcuna forma naturale. Non vi è quindi una società
filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del
pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene in nessun caso
in questo ultimo empireo: egli né il dee, né il può; egli è natura, e non
ha presa su ciò che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella
sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere il suo
carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del
decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché vuole,
anche il Prete ed anche il Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare
non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è invece agire,
educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo Stato; e
insegnare un principio rep ugnante e contraddittorio a quello dello
Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo
conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nes- suno ha gusto di
lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii
sono velenosi allo Stato. 11 principio politico dei Gesuiti è
la Religione, la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette
capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il
principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza
pubblica, la pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è
lui stesso: in ciò con- siste la libertà civile. Il principio
del Demagogo è la libertà sensibile, e T eguaglianza materiale. Il
principio dello Stato mo- derno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza
assoluta, ideale. Egli è perciò che lo Stato limita e nega la
libertà del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor dello
Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della scuola — né maestro
pubblico, né insegnante privato. Il giornale è una scuola, e non
può quindi godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite
nella sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella
natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona, perchè concreta: la
libertà indefinita, astratta, è la stolta, .assurda, micidiale e
pestifera; e perciò lungi da noi. La libertà non appartiene che alla
libertà. Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua-
lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera
dello Stato, che ne osserva e professa il principio generale, e vive
dello stesso elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza
non sono assolutamente libere che nel proprio ele- mento, e nella loro
sfera speciale, e qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di
mettere il piede. E però quando io vedo un Ministro chiuder la
bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale, perchè
professa delle particolari idee che in un certo mondo — Dio sa che mondo
— non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli
abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-
passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di un principio
particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so soltanto che non è
il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro
mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è
adunque che la possibilità effettiva e naturale della vita artistica,
della società religiosa, e della pura attività scientifica. La sua
funzione con- siste nel renderle tutte e tre possibili mediante
l'Istru- zione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio , e non
può altrimenti intervenire nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e
prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può
decre- tare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una
religione dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un
errore. Sent from the all new AOL app for iOS Opere di M.....
Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui accen- nano -
Recensioni di suoi scritti » La vita e
la storia del pensiero di A. C. De Meis. La famiglia e i primi anni Nel R.
Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi
letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua scuola
privata . Gli avvenimenti a Napoli Le
vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico
A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: Spaventa, Sanctis,
Marvasi. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di M. e la
sua metempsicosi Vili. M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a
Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La
morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero.
Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il
«Dopolalaurea» La storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il
periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività.
La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M.
Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza
dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di
Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. .Il «Dopolalaurea» e l’orientamento filosofico. Gli
scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul
sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della
morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle
sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale (trad.
dal lat.). Considerazioni anato- miche sul salasso locale Teoria
dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima:
Del principio vitale Idea della fisiologia greca Le opere scientifico-filosofiche. Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato III. L'idea della
sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e
contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e lo
scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il
socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro l'abolizione della pena di
morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione
delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le
spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato. Vili. Lo Stato
e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I
tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il
liceo Magno e l' istituto tecnico
inazione dei vasi sanguigni. I
mammiferi. Fisiologia. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R.
Università di Modena nell'anno scoi. Gl'ippocratici e gli antippocratici
Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La
medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa.
La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La
filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta di M. contro
la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi
principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. Le
idee politico-sociali e pedagogiche.
medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'insegnamento. I
malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due discordi Sacerdoti d'idee: M. e
il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La coltura letteraria. Il suo stile.
Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua
italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. M.
critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di
un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana
e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul
cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e
della religione nella filosofia secondo M.. La storia del genere umano:
oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio
evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento
o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica.
Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e
l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti
storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De Meis.
Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità
scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle
scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip.
del Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la
diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato
in Lucca. Na- poli, Coster. Intorno
l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A.
C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia,
Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate
al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab.
Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F.
Vitale, [Dedicato a Luigi La Vista].
Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria
dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v.
infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente].
Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di M.
presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica
adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo
Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso inaugurale di A. C.
De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico,
Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio
Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del
Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale, Nuovi elementi di fisiologia generale
speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi
elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già deputato al
Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali,
raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi
pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione,
To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].
Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali,
Napoli, Fisiologia generale. Evoluzione
logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato,
Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora,
[Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza
medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino,
Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia
popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista
contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere
fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione
tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data di Modena,
espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con
dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al
corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli Prelezione al
corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico
Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il
Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli,
Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima contro il giornale la Monarchia
nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina,
Prelezione di M. professore di storia della medicina nella R. Università di
Bologna, Bologna, Monti, Della natura medicatrice. Lettera prima al prof.
Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della
Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La
chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel giornale L'Ippocratico). [Sono due
lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di
scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette
molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore
; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e
materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello:
Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono
citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis
deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi
VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla
contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica, Prelezione
al corso di storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866,
Bologna, Monti, Il sovrano, nella
Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai
proff. Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti,
[Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede
luogo tra il Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili
Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia,
[Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel
giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata dal CROCE, nella
Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista
bolognese, Bologna, Monti, [È una
lettera, con la data: Bologna. Dopo la
laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le
prime cinque lettere erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale
L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, poco
prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della
medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto
dal fase. 8° della Rivista bo- lognese, Bologna. [Fu pubblicata anche nel
Morgagni, Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, pubblicata anche
nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista bolognese, Deus creavit,
Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità dello studio della storia della
medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea Testa e Bufalini.
Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi,
Prelezione, Bologna, Monti, Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei
Tipi animali. I tipi animali, Lezioni,
[parte prima], Bologna, Monti, [La
«Prelezione» era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La
lezione fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa,
F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)].
Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della
medicina, Prelezione, Bologna, Monti, La
medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel Giornale
napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Fiorentino).
All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del
Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bologna, Monti,
[È, una lettera, con la data: Bologna, Il
canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La
malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di
Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la
riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K.
Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna,
Monti, Francesco De Sanctis, Bologna,
Fava e Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia,
opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In
memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Bertrando Spaventa
[Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino,
Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. - [Estratto dalla Gazzetta
dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e francesismi. Note di Ange i Antonio
Meschia maestro elementare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la
scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne
inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico
1886-87, Bologna, Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna].
Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip.
già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel
Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede
dell'Esposizione Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit.
numeri [La pagina d'album e la polemica
furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso
di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul-
l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna,
A. Idelson, . [Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna,
Azzo- guidi]. Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e
Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono
state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda
edizione ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la
dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti
pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di
Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III
luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp. 11-12. Altre lettere del De
Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume Silvio Spaventa - - Lettere
scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in
esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De SANCTIS,
Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce preparava
anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per
gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da
Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del Consiglio
Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel
mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La
riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più.
All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento,
parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la
laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le
apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le
idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura
smaccata e cinica della religione, succede la drammatica senza
soprannaturale. Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia;
in Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione
era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì
nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la
Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il
secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla
tragedia del Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine
l'irreligione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e
naturale, succede la lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé
e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche
in Germania, in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza
del ri- sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato il
risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la semplice
rappresentazione del naturale, ma la negazione del soprannaturale,
rappresentata e sviluppata nelle sue conse- guenze. Secondo il De Meis, i
due risorgimenti, il latino e il germanico, che già nel sec. XVII
reagivano l'uno sul- l'altro, nel XIX si fondono in un solo risorgimento,
un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione,
divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e
religiose. verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del
pen- siero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore,
il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di- scorso del metodo è
il vangelo dello spirito. Tu es Petrus : il cogito cartesiano è la pietra
su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le
proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il genere umano, destinato
a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo
Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno, che
leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello spirito, uno
spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la virtù, la
morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio infinito. Vero è
che questo infinito, questo divino, questo assoluto e universale non è
che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone —
leggi Fichte — , che con profonda intuizione vede come l'universale e il
particolare di Socrate si compenetrino in una sola unità. E dopo Platone
viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla
fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo
regno non durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico
Aristo- tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale
genere umano. Giorgio Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa
per intero il processo della conoscenza e trova il processo della
creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord,
si era iniziato nel sud; ma il sangue del Bruno era stato ver- sato
invano ed il Vico non era stato compreso da nessuno, Pel giudizio
di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr. qui
addietro, V. Dopo la laurea, Le
idee estetiche e religiose. un po' per colpa del papato e molto più pel
carattere delle loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio,
più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La
storia del pensiero moderno è una storia tutta settentrio- nale. La
Germania è la nuova Grecia europea. Nel mondo latino non giunge che tardi
l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia. Cartesio, il padre
della filosofia moderna, non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né
dal Gio- berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa
rab- brividire l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a
Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di
tradizione del Bruno e del Vico: la quale, così guasta e superficiale
come era diventata nelle mani degli avvocati, pure era stata bastante a
farne un paese a parte; ma credeva che i germi gettati dal pensiero
italiano avessero germogliato in Germania. Spaventa si era molto
preoccupato del problema della filosofia nazionale. E M. accoglieva in questo
proposito l'opinione del suo Ber- trando, da lui ritenuto il primo
filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, « la Germania
inclusive » Ora che la storia del
pensiero filosofico moderno sia concen- trata tutta esclusivamente nella
sola Germania — conce- dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è
una opi- nione che lo Spaventa, e a traverso Spaventa M., accettano
dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta
di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il
valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione diretta della distanza
che lo V. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni
con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
biblio- grafico di Daelli, Torino,
V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose. separa
dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo proposito i
giudizi circa il Rosmini e la evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo
Hegel, secondo il De Meis, religione e poesia cedono in Germania il posto
alla teologia e all'estetica. Nel mondo latino la tradizione cartesiana
si è dispersa; è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico,
ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo
mo- derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri-
stiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim- bolico, e
moltiplica gli sforzi per creare una nuova reli- gione. Sforzi vani, che
la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua
trinità, della sua umanizza- zione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasfor- marsi e purificarsi. Mentre questi vani
sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — ,
nel sud, dove un ele- mento pensante manca, la parte più elevata, non
però pen- sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è
un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole
raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col
Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione
travestita da immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza
di sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo latino a fianco
alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al romanzo, genere
ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra la poesia e la prosa,
tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere equivoco, compare per la
prima volta nel principio del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel
nostro se- Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee
estetiche e religiose. e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco,
tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si
sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la
sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e
mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a
cui somiglia, equivoco: Manzoni. Si osservi che M., una volta
stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci
tutti gli individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fio-
risce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella acce- zione di
misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe
indifferentemente applicarsi. Dopo lo Scott e il Manzoni, il
romanzo va perdendo il carattere epico, e diventa sempre più storico,
riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e Poe
la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento
moderno, come nell'antico, la lotta co- mincia antireligiosa e finisce
antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo
cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più progredito; infine
l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. « E non
è finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele sempre alle
sue triadi. La Germania è per tre quarti prote- stante; la Francia è
prevalentemente deista, e in parte atea; l'Italia ha una ventina di
milioni di analfabeti, tutti papo- temporali ; i semi-analfabeti sono in
gran parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che
è la bestia nera di M., la filosofia positiva. Era la filosofia che
gli aveva preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hege-
liana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci- Dopo la
laurea, Le idee estetiche e
religiose. liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Villari,
al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la
laurea; era la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione del
Darwin; era la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella
essenza, nel metodo. Mai M. si lascia sfuggire una occasione di
combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la
natura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o
iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus- sione, ed è
una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica. Il
risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha l'occhio
sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura interna, al
pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo il De Meis, la
filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il
negabile, la cono- scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza
dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai pensato
a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il
primo atto è il principio; la scena è in Italia: TELESIO scopre
l'ap- parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la
scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-
baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e
la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti
: la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La
filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente
poetica e la filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim;
cfr. VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel
Politecnico di Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto
si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI,
dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in- duzione baconiana il
polmone sanguificatore ; la legge posi- tiva il torrente della
circolazione; ed essa, la filosofia, è il cervello, in cui il sangue
positivo diventa anima e pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo
stomaco baconiano non avrà più nulla a digerire, né il polmone a
respirare; e la natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo.
Al- lora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive-
nuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della religione,
della poesia e della filosofia. La terza parte del gran dramma
della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa
del risorgi- mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove
alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Bruno ; il nuovo
Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina- mico del Bruno
e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal- l'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al prin- cipio umano, occorreva un
nuovo Anassagora, e venne Car- tesio. Il principio cartesiano, come tutte
le cose del mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più
em- brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge al
metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia- lettica,
proporzionatamente alla più perfetta natura del prin- cipio moderno, e
nell' esplorare più completamente il prin- cipio, consiste il lavoro del
secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo la fine del secolo
XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di Cartesio e dello
Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente
sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il
si- stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es-
sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. « E
uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale
il principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col
processo evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato;
quando la filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un
attivo processo di creazione, non ha più dove andare, a meno che non
voglia indietreggiare, come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir
dell'universo. E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna
che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo
Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il
perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og- gettivo
è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro- cesso di
cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filoso- fica, non
d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è sempre
un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana. L'anima vive
finché la fa, ma quando l'ha fatta, quan- do della realtà vivente, ossia
di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico,
allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando
Aristotele ha creato un grande sistema, perfetto e compiuto per
l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per
secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a
fan- tasticare. Quando la Germania ha creato il vero sistema del
mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un cristianesimo
assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico
rimane assiderato. Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio
dell'astrazione hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il
risorgimento ne- gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce
mostri filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina
naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] stica e la
storia naturale materiale. Ma la Germania mate- rialistica e
naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione,
così la pura contemplazione è la morte. La vita è pensiero apparente, è
unità di rifles- sione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa
posi- tiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è
una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla
legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla
pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo.
Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive
di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà
origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza
distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo
l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo
universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega
nella forma dello spazio, e coe- siste come nella natura. L'uomo di
sopra, il regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una
serie di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la
reli- gione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore
assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna
è solo l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la natura, così
l'uomo, lo spirito umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e
costante. « Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge
partico- lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola
legge naturale » ('). Le forme e gli elementi naturali ed umani sono del
pari indistruttibili, e la legge comune della loro attività è immutabile:
nascere, crescere, decadere e perire è destino comune agli uomini, agli
animali, alle piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee
estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gli elementi
della natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non
si compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente
unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla
proporzione. E il prodotto piglia forma e natura dall'elemento
preponderante e più attivo. La natura è come una scala a piuoli ; lo
spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali erano tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza : solo il genio,
l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fece pianta; nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui
l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il
movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco comin- ciano ad entrare
in azione gli altri elementi umani : immaginazione, sensazione, memoria, e
ristretta in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la
famiglia umana, e talvolta la società umana in forma animale.
Finalmente nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e
con questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la
religione; manca la riflessione della riflessione, la scienza;
predomina il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato
naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo l'atti- vità passa
alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gli uomini. Queste
si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che si è
andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione. Ma
contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si compie
nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande
ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore che
unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore, da cui riceve in
contraccambio la vita. Questa seconda co- scienza non è un trovato della
odierna metafisica, che anche Aristotele parlava di due vovg, l'uno
poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno
fu arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello
spirito, unità vivente, è in una molti- tudine di individui ad un tempo ;
e però la storia dello spirito si compone di una successione di grandi
unità. Il primo stato embrionale del genere umano è la natura (M.,
hegeliano e medico, prende spesso come termine di con- fronto l'organismo
umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale; terza muda è quella
dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola
positiva riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio
finito e posi- tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale,
senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa,
ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco
in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda
coscienza, e l'uomo intui- tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo
e intellet- tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella
loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo-
cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze
si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente
identificati nel pensatore, perchè una volta svi- luppata la coscienza
intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo
ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza positiva e
tornar ad essere [ Dopo la laurea, Del Vecchio-Veneziani -
animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione in critica e
in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo, perchè essa non è una
combinazione di fantasia che afferra e trasforma e di natura afferrata e
idealizzata ; ma è una sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di
spirito, che inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia
anima di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria
trasformazione ». È un fatto di ragione che la vita umana comincia
con l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice
istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che è la
vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e
di ragione che si va dall'una all'altra passando per la forma intermedia
della immaginazione. La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione:
è una barbarie civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia
immaginativa e barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia
riflessiva e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la
forma intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un
elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la
perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano
come nel latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco
descrive la lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita
come poesia, durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX,
ossia finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed
oggettiva è la barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale
e soggettiva è la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso
la forma inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e
sog- gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile
dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più
oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana,
più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica
orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una
stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la
forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e
tutti i carat- teri di un sistema religioso completamente sviluppato;
il politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale
risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone
gli elementi essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero,
nella vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento,
spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella
forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio
evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la
Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo
moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E
del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica,
ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
mera- viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia.
Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin-
cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e
finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta
stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha
superata l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati
oltrepassati e ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro
tempo deve essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il
prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica
e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-
colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-
filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è
morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione
per entrare in quella di filo- sofìa, e in quella vive ed eternamente
vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della religione
è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha
distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe,
assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di
poesia della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il
tempo V unica forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la
prima. Le arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale,
deb- bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più
tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo
la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo
antico è un esercizio secondario, subor- dinato alla poesia e alla
religione ; nel risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran
lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la
musica è epico- religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel
risor- gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-
stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è
che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto
valore solo nel risorgimento li- rico, che è il tempo della negazione del
pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo
vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e
poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è
l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi- mento, ed è quello che
meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma
il nulla al quale il risor- gimento mette capo, se in apparenza è la
fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva
l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-
[Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa.
Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che
ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva- mente
negativo e per divisa: negazione di negazione. Il se- colo XIX nega quel
vuoto universo di suoni ; fa della musica quello stesso che già prima ha
fatto della poesia, la dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare
la musica a furia di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla
me- lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una
scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove allato al
risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa italo-celtica prevale
ancora il risorgimento lirico, e tocca ormai l'estremo punto
dell'assoluta negazione; già la musica si avvicina al suo limite prosaico
; già il pensiero positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il
sentimento e l'imma- ginazione. Il tempo moderno è la vita
che rinasce dal seno della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non
il tempo moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-
mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima
greca, ma il vero tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del
risor- gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma-
nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera
forma in una nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica
saranno ricomposte in una unità assoluta e definitiva.
L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo della poesia,
né in quello della religione e della filosofia. La poesia primitiva o naturale,
invariabile come la natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è
la poesia medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai
vuote. Così è delle forme religiose. Analogamente delle
forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la
filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la
scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni
progressivamente scet- tiche e negative e con tutte le sue forme
positive. Abbiamo oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ;
non è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in
atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità.
A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa e da altri
obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo
spirito umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la
religione ? M. risponde che Spaventa ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba
essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e
l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta
perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto
concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti
relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè
l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una
intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni
tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è
infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le
due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte,
Lettera di G. FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice
che M., togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa
all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M. intende anzi di
innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee
estetiche e religiose. hanno un termine : e il loro termine non può essere che
la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte ed
all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di
forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti
alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e
spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche,
filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e
bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una
serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario
ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più
razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è
assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde
un mondo fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il
cristia- nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-
gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo
perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più
verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una
scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine,
al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e
del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e
non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al
concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo
concetto e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione
fi- nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e
trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il
diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata, perchè partecipano
ancora della qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per
oggetto il vero; sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò
quando il pensiero ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e
rimangono unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la
reli- gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per
trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma
nella vera cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione
spirituale. In questa trasformazione consiste la storia; il suo
compimento è il fine della civiltà ed il limite del progresso umano, che
è temporalmente indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è
provvisorio, e sparisce nell'idea. Così termina la parabola
religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente;
l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che
discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno
progressi- vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad
essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno
cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il
vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca
il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e
pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato.
Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il
concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di
cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un
tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee
estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica
ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa
creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è
più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che
scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della
natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande
immaginazione, giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva,
av- vivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della
religione e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti
dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione e
dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette
l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero,
al quale le intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente
adeguarsi; solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore.
Il compendio di storia del genere umano tracciato per convalidare
queste argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la
storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non
modifica la storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei
giovevoli, sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore
consacra alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare
questo : che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua
conce- zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la
sua poesia. M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la
contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la riflessi
vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre due : la
filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti filosofica
negativa che bentosto diviene afilosofica, nega- tivo-positiva,
pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver proceduto
isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un pensiero
pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà come
natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia
del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale
unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata,
e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della
coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una tal
nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana. La sua filosofia sarebbe forse un atto di
fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema
animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani
è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento
fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è
corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è
mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è
sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana,
spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non
è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è
l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e
liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma
bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura
spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale
diventa in prin- cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra.
La civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel mo- mento
del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce
e si moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e
perciò si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi
e più cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi
vege- tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i
morbi riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le
cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene- rano per
diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle
nature più elette, invece di una corru- zione sensuale, nasce un
principio di fermentazione intellet- tuale, che dà origine alle malattie
dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi
civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza
divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare
natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari
malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua
perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ;
ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera
morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno
origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi
nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il
paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione
porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi
riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici.
La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza
morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la
gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale di
tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana
natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e
religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle
malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana
riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le
antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce
sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e
secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con
tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : apparecchi,
organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non esistono
veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono complessi
organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più particolari,
e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A
forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si
consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da M. è veramente
originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi principi e compendiare in
pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal- volta dell'artinzioso, non è
certo nel complesso senza genia- lità, e coglie con acume i nessi che
legano i singoli morbi alle varie forme della civiltà umana. Ancora
il terzo periodo — La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta
di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La
dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il necessario nella sua
concezione filosofica. M. non poteva limitare la sua speculazione
entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di
[Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna,
Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della patologia
storica): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei curioso, e
ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia piccola
cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la priorità
». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di
questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di
lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani
in Italia. Per gli argomenti trattati in questo paragrafo, si
vedano: / naturalisti, La natura a volo d'uccello: Forza] questa, oltre che
dall'indole del suo ingegno e dall'influenza dell'ambiente intellettuale
nel quale era stato educato, egli doveva essere e fu infarti condotto
alla costruzione di una filosofìa della natura. Ma se egli
parte dall'affermazione che l'essere è pensiero, e non vede chiaro il
significato di questa identità e non ne deduce logicamente tutte le
conseguenze, se egli pone le fondamenta in modo arbitrario e nelle
singole parti confuse e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio
solido e fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello
in aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia
ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi che succedono a
volumi, e rivelano una profonda conoscenza dello svolgimento di tutte le
scienze mediche e naturali, dai tempi più antichi fino a quelli in cui
viveva l'Autore: geo- logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e
compa- rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e
conquiste scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e
con periodi storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di
specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi,
di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato dal
crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si risentono le
conseguenze della incertezza fondamentale. M. afferma che creare è
diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si ha il germe nel
proprio essere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di
semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma poi aggiunge che il
pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un nuovo corpo semplice, I
tipi vegetali, Deus creavit, I tipi
animali, Filosofia e non filosofia, Darwin e la scienza moderna,
ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese] la travatura
dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am- mettere che il
pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè il fondamento e la
travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla
concezione idealistica, secondo la quale la natura è un momento del
pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la
quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee
naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della
natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del
Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano
eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme
dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della supe- riore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte- ramente,
cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la
creazione ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è
produzione di molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto
precede l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la
succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la
natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia
assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma
rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la
forma, ma la sua vittoria non è mai completa. L'equilibrio fra la forma e
il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita
passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la
successione di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da
ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della
creazione tutti i tipi primari sono, più o meno completamente,
rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo
precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo
che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella
natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura
esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione
quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune.
Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene
interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto
di esteriorità e di interiorità, di appo- sizione e di intuscezione,
Tessere organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed
esterna e per una molti- plicazione interna e qualitativa, con prevalenza
dell'una o del- l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno
pros- sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia
la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice che non
abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege- tale e nell'animale.
Nel vegetale la vita di ogni individuo elementare si unifica nella vita
comune dell'aggregato; nel- l'animale deve prevalere l'unità dello
spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e libero al di fuori, è
molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la
chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr. Lettere sulta patologia
storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori,
per se stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta
spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva
semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le
quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica,
secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed
organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni
generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce
il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione.
Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton, così M. lancia in quasi tutte le sue opere
strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese
è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso
in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera
serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre
nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che
qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere
vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si
compendia la scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi
uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla
filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo,
non la sapeva altrimenti; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci
voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi
animaci, pel giudizio di M. circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus
creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia,
Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti
esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che tale
modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo M. , è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe
nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza ad
una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza antica,
essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie ideali, una
fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della
prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli
altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che
la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito
umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto ottico
ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di
considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli elementi
comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si rias- sume tutta nella frase : una forma è simile
ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo
è pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la
verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è
il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di
Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta
una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. Il De Meis dice che egli intende di fare un
tentativo di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono
idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione
naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento,
aiutando le condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma
l'embrione in larva e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo
attraversare una serie di forme l'una più perfetta dell'altra, immagine
della palingenesi uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta
dalla gene- razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici
e generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e
pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita;
dei puri e semplici momenti della legge formale fa delle forme vive,
reali, accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare
e l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento
puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della forma,
ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo,
antimorfo, teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo
nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano.
La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è
tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della
forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima,
fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale
ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e sensibile,
ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito
comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in quelle, e
con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale
e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel
vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa
corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e
puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La
natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio
sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso
lo chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al
labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i
tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico
animale in via di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol
tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa
che la descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre
ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,
è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo,
cominciando da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni.
Invece i sistematici ordinary, tutti intenti alla diagnosi delle forme,
poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri
qualita- tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente
quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non
passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi
sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano
che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza
separatrice, diagnostica, arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di
caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze
e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione
ideale dove manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la
forma, che pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la
funzione ideale che la acco- moda e la modifica; e in ultimo viene la
funzione reale e la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano
l'omo- [I tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due
morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di
pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei naturalisti,
darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere assolutamente
atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)... una
ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci sarà
di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per
stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e
per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato
tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto
tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della natura] la formale; per
essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta
dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale, «principiale)), a loro
ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare
con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la fa,
ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare come castelli
di carta le sue classificazioni più o meno inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a
Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e ripensare. Seguendo il
metodo trimorfo, si riconosce che nel vege- tale l'amorfofito è
indifferente ed informe; l'antifìto è il centro della formazione, il
punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il corpo e l'anima vegetale ;
nel teleofito le due sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo
è l'alga, prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi
molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari. 11 vegetale
antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal- l'altro il fungo
riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti- ledonato, in cui la forma
vegetativa e la forma riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è
lo sviluppo tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente;
nel- l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa
l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema
riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in
giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il
rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e
l'articolato; il teleomorfo è il verte- brato: pesce, anfibio, rettile,
uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono
preferibili a quelli di vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la
presenza o l'assenza di un elemento secondario. Finché M. sta
fedele al suo programma di dimo- strare solo col farli muovere i principi
filosofici ai quali [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] crede, egli lavora a meraviglia: originali le
applicazioni alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della
vita, della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente
geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte — rare volte,
è vero — egli sente il bisogno di tentare una dimostrazione logica di
quei principi, e riesce invece, senza avvedersene, a dimostrarne 1'
ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit,
e nei tre dia- loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo
semplice. Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza
riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere.
Nei Dialoghi affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il
punto in cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la
sicurezza di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e
con lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio,
e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un
essere da lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole
e per indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.]
vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura,
che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica
perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per
tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo
grado ? Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad
un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel
muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza
materia non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°,
nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia,
Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un
nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice
tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire
— insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia
della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il
tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre
la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia
nel suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio
non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza
semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più
forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a
tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica
reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità
informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un
corpo sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la
trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in
un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto
lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria
reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e
con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato
il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in
forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro
fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si
trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera
materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che
si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà
un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una
materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro
forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono
avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora.
La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal
valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà
è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ;
onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire
quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e
vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e
le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo
spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,
ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero
umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe
e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il
tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la
materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui
stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi
egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno
spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi,
per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un
moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà
tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e
all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo
limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco
un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi
distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della
natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria
identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale,
poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose
opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una
perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità
delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente
corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più
facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori,
la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la
scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è
quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo,
uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo
sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una
nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a
tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il
cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la
forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma
egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che
un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano,
che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi
nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di
natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è
l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto
individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come
allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è
preceduto da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai
precedenti », - Sappiamo già che M. lavora spesso
frammentariamente. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 191 bensì successivamente. L'io è un animale naturale,
indi- viduale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti
tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello
spazio naturale, La trasformazione umana universale, come quella
dell'individuo umano, « si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello
spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ».
E perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è
una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della
natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e
universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti
di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e
in certi ii. È facile scorgere che il De Meis non è felice quando
vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.
Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso
un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la
natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero,
a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da
forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star
tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto.
Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed
identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che
non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità,
come la pre- sente egli stesso: e certo di quella verità da lui
pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una
pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA
FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai principi
che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento di una
costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se sieno
suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica una
dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla conferma
dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle
forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il
controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,
e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore ammette
l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo con le
idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della
forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La
sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere
oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né
dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è
difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe
alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,
vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare
una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una
soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva
come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del
pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli
cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-
teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si
ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o
riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e
materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M.
M. non è d'accordo col Berkeley, che «
sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione
speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, «
l'idea di con- trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato
debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale
delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita
della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi
della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo
e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto
si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della
necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza
afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della
creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è
razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve
rientrare nella costru- zione speculativa come elemento interno, e non
esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è
la né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta
per far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ».
Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia, Dopo la laurea, negazione della necessità
razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione
della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della
costruzione speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza
sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella
avrebbe significato il riconoscimento della con- traddittorietà della sua
impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a
costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e
gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili.
L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non c'era la natura e
quindi l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo,
che come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio
e « senza in- flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del
tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione
della materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda-
tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura,
è necessariamente compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo
vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a
crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause
accidentali e d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e
lo sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente
interviene e concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto
è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il
principio e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche
elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire
individuale ed accidentale. Forza e materia, / mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia
dato nella R. Un. di Modena. Degli elementi della medicina. Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che
tutte le forme preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo
crea- tivo interno e spontaneo ; ma la creazione non consiste soltanto, nella
determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi »,
sì anche « nella loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E
molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale
esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla
nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-
l'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrin- seco alla natura,
l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare lo
sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco e
meccanico. Ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento
della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi
crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma, l'anima,
la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il
limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di
principio, di universalità, di neces- sità : ed è in questa contraddizione
che consiste la sua attività creatric. Per questa via parrebbe risolversi
la difficoltà nella quale ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se
anche altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi
sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico- nosciuta
sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di accidenti o di
nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso
proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che
viene Deus creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente
esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della
natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a
modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le
forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna
creazione e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di
più, v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a
questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M.
— nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una,
ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di moltiplicità, vi è
l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un
accidente indeterminato e scolo- rato, pura possibilità di farsi, più che
non è, accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli
dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti
esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione.
L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge
ai veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia interna,
essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente:
uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo,
l'accidente necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa
ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni
realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui;
l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in- treccio dei processi e
dal cozzo inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica]
Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr.
Deus creavit,Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della
naturaturali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui
deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge- neri, ma la sua
azione non potrebbe estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come
la società umana, una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una
lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi
necessarie. Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci
: l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle
difficoltà inerenti al pensiero del M., è veramente risolutiva? Questo
approfondimento del concetto di accidente, questa distinzione delle due
specie di esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina
vera- mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che
questa filosofia della natura si involgesse ? L’accidente interno
consiste nella indeterminazione e molteplice possibilità della forma
latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno
acci- dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe
realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore
perchè il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto
indispensabile non sol- tanto per l'esistenza degli individui, ma anche
per la pro- duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la
stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente
necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere
l’accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione
puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella
cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella
quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di
sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella
natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper negare che vi sia
anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura
finisce per essere, come la società umana, una lotteria, è
contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il resultato.
E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è nello
stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la patologia.
L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M. crollerebbe, se
non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente,
esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene,
e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale
modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne
altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si
disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio
dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una
forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo
idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare
sol- tanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal
che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno
ai rapporti fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la
separazione della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico
conciliarsi con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la
storia, perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia
la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi
contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile
come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza
? Ed ecco il criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica,
nella clinica, nella cura delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche
qui M. Lettere fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come
necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea
della fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia
della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo
pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l'
accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e
l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che
è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed
egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate
nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte
più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta
da Hegel. Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature,
citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte
il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli:
“Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Melandri: l’implicatura conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia
nel convito di Platone – Reale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo italiano. Grice: “One of the ten items he lists in his ‘Contro lo
simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more
seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call
‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with
ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition
of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry –
re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a
semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice:
“If an Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote
‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He
has studied Buehler; I like that!” -- Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in
Germania. Ha poi insegnato filosofia in diversi atenei italiani (Lecce, Trieste
e Bologna). Parallelamente all'attività universitaria, ha collaborato a
lungofin dalla fine degli anni cinquantacon la casa editrice Il Mulino e alla
rivista omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni
e curatele di alcuni volumi, pubblicando con essa alcuni dei suoi lavori più
significativi. I suoi volumi più importanti vertono sulla fenomenologia di
Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue
curatele, anche presso altre case editrici (Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte
alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc.), ci sono studi che vanno dalla scienza
politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla «metaforologia» di Blumenberg ecc. Ha istituito un gruppo interdisciplinare di
studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla
Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle
attività del «Centro di studi per la filosofia mitteleuropea» (con sede a
Trento); partecipando alla realizzazione
di «Topoi», rivista internazionale di filosofia. Sempre in quegli anni ha dato
vita agli «Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna», poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il primo direttore. Tra
i suoi testi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito
d’Agamben "un capolavoro della filosofia". Il filo conduttore di tutta la riflessione di
M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre il primo
tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare, legato alla
"discontinuità" del principio di non contraddizione, il secondo si
fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della
contrarietà, che ammette una transizione tra gli opposti. Ora, queste due forme
di pensiero non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto
fondate non su strutture assiomatiche, ma su una diversa direzione costitutiva
dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo Melandri,
nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare l'«empirismo
radicale» connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della soggettività
e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto
rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanzacongiungendo istanze
aristoteliche e husserliane M. assume una concezione dell'essere
fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si
presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo
analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo
d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto dal
suo allievo, Stefano Besoli, filosofo a Bologna:
«A lezione, si può dire che M. non parlasse, ma pensasse ad alta voce [...]
dando l'illusione, quantomai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare
insieme con lui. Si aveva l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in
corso d'opera, e più propriamente ciò che accadeva era un'esperienza di
pensiero condivisa, giacché la condivisione era appunto la condizione stessa
della buona riuscita di tale esperienza».
Saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” poi
come introduzione a Bolzano, I paradossi dell'infinito, Cappelli, Bologna. “Logica
ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,” “Alcune note in
margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica
– copredicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come
copredicabili, la disgiunzione ‘o’ come copredicabili, l’implicazione ‘se’ come
copredicabile -- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e
Logistica” Enciclopedia “Filosofia,” Preti,
Feltrinelli, Milano); “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in
tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze
umane", in «Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto?
("Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi", in «Che Fare», “La linea
e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia” (Bologna: Mulino rist. Macerata: Quodlibet, (prefazione d’Agamben,
appendice di Besoli e Brigati, Salvatore Limongi. Nota in margine all'episteme
di Foucault» in "Lingua e stile",:La realtà e l'immagine,” (in Hans
Barth, Verità e ideologia); Sulla crisi attuale della filosofia, in "Il
Mulino", L'analogia, la
proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine,
in "Lingua e stile", ora Quodlibet, Macerata, “L'inconscio e la dialettica,”
Bologna: Cappelli, rist. come "Freud: L'inconscio e la dialettica",
in Id., Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna:
Pitagora; rist. L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. “Bühler. La crisi della psicologia come
introduzione a una nuova teoria linguistica”, in “Animo ed esattezza.
Letteratura e scienza nella cultura austriaca,” Marietti: Casale Monferrato, “Variazioni
in tema di psicologia e scienze sociali” (Pitagora, Bologna); Appendice. Matematica
e logica in psicologia: applicazione propria (determinante) o im-propria (analogico-riflettente),
-- rist. in Id., L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, "Per una filologia del sublime", in
"Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an
ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!”
-- La novità degl’ultimi tremila anni, in "Mulino",
"Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione
e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten
‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes
about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione,
simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet,
Macerata, postfazione di Guidetti) Sul concetto di descrizione nella psicologia
fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A
good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "Il
Verri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento” (Mulino,
Bologna); "Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia (o della
principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in «Discipline
filosofiche», "Il problema della comunicazione", in «Paradigmi», "Tempo
e temporalità nell'orizzonte fenomenologico", in «Discipline filosofiche»,.
"La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia
esistenziale" in “Questo nostro
tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); "Filosofia
come critica della conoscenza e impegno interdisciplinare" in "Tratti". Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi su
M., Faenza, Agamben, "Archeologia di un'archeologia", in M., La linea
e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, Agamben,
"Al di là dei generi letterari", in M., I generi letterari e la loro
origine, Macerata: Quodlibet,
Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); Ambrosetti, "Una lettura
di Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso
fenomenologico", in La
fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth); Besoli
e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti,
"Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet sinistrainrete.info
cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto
soggetto-oggetto, «Philosophy Kitchen», Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti,
Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma
trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La
ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini,
"Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di M. edite da Quodlibet, che ne ha annunciato
l'edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista semestrale di filosofia. Melandri.
Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice –
analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical
unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill,
jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach,
newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice,
analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Melanipide: la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. The author of a number of tragedies. He appears to have
practised a relatively ascetic version of Pythagoreanism. Melanipide
Grice e
Melchiorre: l’implicatura conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore
– amante ed amato – il convito di Turolla – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Chieti). Filosofo italiano.
Grice: “I like Melchiorre; while I
refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole
treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with
nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”.
Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian –
corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a
meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and
Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo ha
iniziato la carriera accademica come assistente volontario di Filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. -- è stato nominato professore emerito. Saggi: “Arte ed esistenza,”
Firenze “Il metodo di Mounier,” Milano, “Il sapere storico,” Brescia, “La coscienza
utopica,” Milano; “L'immaginazione simbolica,” Bologna, ”Meta-critica
dell'eros,” Milano, “Ideologia, utopia, religione,” Milano, “Essere e parola,”
Milano, “Corpo e persona,” Genova, “Studi su Kierkegaard,” Genova, “Analogia e
analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant,” Milano, “Figure del
sapere, Milano, “La via analogica,” Milano, “Creazione, creatività,
ermeneutica,” Brescia, “I segni della storia,” Ghezzano Fontina, “Al di là
dell'ultimo,” Milano, “Sulla speranza,” Brescia, “Ethica,” Genova, “Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica,” Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, “Essere persona,” Milano, “Breviario di
metafisica,” Brescia, “Il nome indicibile,” Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione del prof. Melchiorre al Convegno
del Centro Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra Rosmini.
M., Rai Educational Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice: “Melchiorre, while quoting the
necessary German sources for an Italian philosophers – Eros und Agape, tr. N.
Gay – he dwells on Enrico Turolla’s beloved (by every Italian schoolboy)
version of “Convito” – which Turolla published under the ostentatious title,
“Dialogo dell’amore” – Melchiorre typically finds some mistakes, since Turolla
was no philosopher – and no lover of Sophia, and no Sophos of love!” --
Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi,
meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il
riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e
l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Melesia: la diaspora di Crotone --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide.
Grice e Melisso: la scuola di Velia -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo
italiano. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical and change
is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Melisso
Grice e Melli: l’implicatura conversazionale -- AVRELIO
– filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio –
pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Melli; you
see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli puts his soul in his
essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is rather neutral! For us at
Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as furrin; Locke ain’t!” --Opere La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco,
Firenze, Il professor Felice Tocco, Firenze,Commemorazione di Pasquale Villari,
Firenze, La filosofia greca da Epicuro
ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra Roma e i
filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in senato dei filosofi e
dei retori il senato consulto da incarico al pretore Marco Pomponio di
provvedere “uti Romae ne essent”. I primi semi della filosofia sono sparsi dagl’esuli
achei, tra i quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi
anni dopo, ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche questa volta
vedemmo come Catone s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile
parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande
successo e l’infiltrazione delle idee filosofiche e già cominciata,
specialmente dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone –
sede della scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --,
Velia – sede di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti,
sede della scuola di Empedocle --. Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti,
tradotti o imitati, i filosofi romani senteno parlare di questo ‘amore di
sapienza’ (filosofia) e degl’amanti di sapienza (filosofi). Un motto si trova
in un frammento di Ennio, nel Neottolemo. “Philosophari mihi necesse est, sed
degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam”. Col progredire della cultura,
con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i figlii
presso questi pedagogi schiavi ditti ‘amanti di sapienza’. Alcuni grandi
personaggi, come Scipione Emiliano e il suo amico Lelio divieno protettori dei
qesti pedagogi detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro
familiarità. I giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica. La riforme
dei Gracchi e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi
romani domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1' orientazione nelle questioni
pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto, agl’uomini di stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere
trattata in latino e la dottrina dell’ Orto. Sono nominati un Amafinio e un
Rabirio come espositori delle sue idee, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’
– sostenitore del piacere -- un certo Catius, “levis quidem, sed non inineundus
tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande
interprete dell'edonismo presso i Romani è Lucrezio. Altri ‘amanti di sapienza’
sono M. Bruto, l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo Varrone, che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in
psicologia e in teologia segue più gli Stoici che l'Accademia. Ma tutte queste
sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gli altri ed è per noi il
vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è Cicerone. Giuseppe
Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Memmio: l’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A bit of an enigmatic character. Lucrezio dedicates his great Garden
poem to him, and he acquired the ruins of the house in Athens where Epicuro
started his Garden. Gaio Memmio.
Grice e Menecrate: la scuola di Velia --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia).
Filosofo italiano. A pupil of Senocrate. Menecrate
Grice e Menestore: la scuola di Sibari -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo
italiano. Pythagorean. Giamblico. Menestore.
Grice e Menone: l’implicatura conversazionale
– gl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorian and son-in-law of Pythagoras,
according to Giamblico di Calcide.
Grice e
Mercuriale: l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton,
cricket featured as my priority, -- philosophy came second!” -- Celebre per avere per primo teorizzato
l'uso della ginnastica su base medica. Suoi sono anche il primo trattato sulle
malattie cutanee e un'importante opera, forse la prima mai scritta, di
pediatria. Ritratto raffigurato in
"De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la
laurea a Padova, dove ebbe modo di conoscere Trincavella, seguì a Roma Farnese.
A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso
Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo trattato sulla ginnastica. Fu poi professore in entrambe le università
dove aveva studiato. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto
fecondo, in cui scrisse ben dodici libri, alcuni dei quali basati sugli appunti
presi dagli studenti durante le lezioni. Si recò poi a Pisa, dove divenne
tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Curò anche
altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo
nominò cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio
che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri medici illustri,
consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse
fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della
popolazione si era ammalata e il contagio restava comunque molto limitato. Dopo
una settimana però la malattia ebbe un decorso impressionante, colpendo un
terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico
stesso. Sorprendentemente però tale evento non ebbe gravi conseguenze sulla sua
carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continuò
a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fece
restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola
in cappella di famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne
sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca,
purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia.
Ricevuti i libri, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti,
aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata
nella cappella una lapide, tuttora esistente, con le seguenti parole. Questo
marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano
il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore
dell'opera ippocratica (“Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui
discusse in modo critico le opere del medico -- “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcune altre sue opere sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus” (Venezia); De venenis
et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum), Citato in M. Landi, Credere,
dubitare, conoscere. De Hieronymi Mercuriale vita et scriptis Victorius
Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario
Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber
Amicorum). “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Mussolini said that
‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo
Mercuriale. Mercuriali. Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio,
attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H.
P. Grice, “Me and the demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool
Library, Villa Grice.
Grice e
Merker: l’implicatura conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna abbandonata
a Nasso --– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento).
Filosofo italiano. Grice: “My
favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The
fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei
costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has
philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was
born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il
filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of
context.’ --Si laurea in Filosofia all'Messina. Trascorse un periodo di
ricerche in Germania. Allievo diVolpe, diviene libero docente di Storia della
Filosofia e docente incaricato di Storia delle dottrine politiche all'Messina.
-- docente ordinario di Storia della Filosofia nello stesso ateneo. -- ordinario
all'Università La Sapienza di Roma alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e poi
alla facoltà di Filosofia. Ha curato
edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e
dell'idealismo tedeschi, nonché di Marx, Engels e dell'austromarxismo. Dopo
essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si
è occupato dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del
fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia
della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia
filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Saggi: “Le origini della logica” (Milano,
Feltrinelli); “L'illuminismo” (Bari, Laterza) – la metafora della luce della
ragione ; “Lessing e il suo tempo, con
altri, Cremona, Convegno); Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La filosofia moderna.
Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e
utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti);
Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco); “Marx, Roma, Riuniti); Erhard,
in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese,
Torino, Einaudi); La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma,
Riuniti); Lessing, Roma, Laterza); “Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni
da Kautsky agl’austromarxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna
e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla
nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue
romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i mari. Il mito della missione di
civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il
nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio.
Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano,
Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La
metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel,
Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti
etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza, Herder, James Burnett, Lord Monboddo,
Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società,
Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster,
Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato,
società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti
economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo,
Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le
stelle, Roma, Riuniti, Maj, Il mestiere
dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile,
Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo,
Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti,
Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione
materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?,
Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster,
Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza, Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli,
Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della
filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.
La discreta classe delle idee. E’ Merker,
asul sito di Rifondazione Comunista Il
contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di Merker, S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo,
Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le
riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra
storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su
uniurb. Merker. Keywords: il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale
– Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico
etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Messalla: l’orto romano – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Garden. Friend of Orazio. They studied philosophy together. He
opposed Giulio Cesare but eventually made his peace with Ottaviano. He wrote
philosophical treatises. Marco Valerio Messalla Corvino.
Grice e Mesarco: l’implicatura
conversazionale del figlio di Pitagora –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. The son of Pythagoras. He led the sect after the
death of Aristeo. Mesarco.
Grice e Mesibolo: la scuola di Reggio -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.
Grice e
Messere: l’implicatura conversazionale –
l’implicatura di Sileno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre
Santa Susanna). Filosofo italiano. Ricevuti
i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro
Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare
il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere
la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per
lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un
maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della
filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche
alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu
messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per
sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi,
procuratosi alcuni libri, M. si applicò allo studio della lingua greca, per la
quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto
processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da qualsiasi
reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo,
dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che Gregorio
Messere partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea
ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio
di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza
della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura
Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi
di Napoli. Tale cattedra era stata
nuovamente istituita a spese di Giuseppe
Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico del Messere.
Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo
frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti,
ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del
tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe
alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina,
Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo
amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo
Caraconasio.Il mondo culturale napoletano fu caratterizzato da importanti
innovazioni a livello filosofico, scientifico, civile e politico. Tale fervore
culturale aprì la strada alla nascita di un numero notevole di accademie, che
divennero luoghi di discussione aperta e di diffusione di nuove idee
filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali accademie del tempo furono
soprattutto quella degli Investiganti e quella di Medinaceli. Che sia stato memM.
bro autorevole di entrambe le accademie e frequentatore di circoli e salotti
letterari napoletani è testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti
e altri a stampa conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue
lezioni ebbero un così folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie
fra i letterati fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la
sua ellenofilia, diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della
macchietta dello pseudogrecista, satireggiata pure da Vico nella terza Orazione
inaugurale. Fu anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e
dal Gravina, ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di “Argeo
Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola Coraconaso”. E fondata a Napoli la
Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui il Messere e tra i primi
iscritti. L'aver ripristinato
l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al Messere non solo il titolo
di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì alla ripresa dello studio
di Omero, influenzandone il pensiero poetico e filosofico del tempo. Notevole
fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione del pensiero del Gravina.
Essenziale nella vita culturale di Gregorio Messere fu anche l'amicizia con
Giuseppe Valletta, suo allievo. La conoscenza che M ha della filosofia fu
ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si
riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”. Non fu solo un insigne grecista, ma anche un
poeta. Compose infatti circa 60 componimenti, tra distici, tetrastici,
serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno
stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere
pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale inviò al
Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco e giocoso,
in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla
ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto
nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con
la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano
importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti
nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare
sono anche gl’emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D.
Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due
uomini illustri Tra le tante
collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO
per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre
sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una
Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo Benavides
conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in
Miscellanee poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne
dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da Lombardo). Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero
meridionale, Morano, Napoli, Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa
Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei
documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO,
in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di
Medinaceli: Napoli, Rak, Napoli,
Istituto italiano per gli studi filosofici. (regio esim liepiera preso Niccola
Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemlá
iTera d Ohrante nel mio Mori in Nlapoli. Ebbe per convincenti indizj, co di
Gregorio la sospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di, laddove
impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio, stessolostndio
non conosceva neppur lo avanti , che inbreve con tanta sollecitudine però ,e sn
tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde
cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche lettere
era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi renduta
goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla alla sua
dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli seçe
meritamente occupare. la catte be i suoi
natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto,
detto la Torre di S. Susanna , discosta da Brindisi intorno a miglia
dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta
e civil condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di
sufficienti maestri, seppe col proprio suo ingegno , e colla sua mente ,
velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a
somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della
filosofia delle mattemati che in buona parte, della Teologia , della Storia
Ecclesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline
l'onesto diletto della poesia e della musica , e tanto in questa ando avanti ,
che giunse a cantar con lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato
al Sacerdozio , gl'intervenne una disgrazia , la quale fieramente l o
travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e
nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei , avutone
sentore, lo fece assalir da due sgherri , I quali si accompagnavano con M., ilquale
go dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase
trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo
Caraconessin ,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri
P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e
nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude.
Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste
poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di
Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura , dra di greco
linguaggio nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa
gioventù correre a folla alle sue lezioni , e zione,che non solamente I giovanetti,ma
puranche crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di
letteraria coltura , a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della
greca sapienza congiungeva il Messere quello delle scienze più sublimi ; perciò
i più doiti scienziati che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava
egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano Lionardo di Capoa , Francesco
d'Andrea , Carlo Buragna e tanti altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il
quale par la di lui con somina laude nella sua opera Iter Ita licum ;e
moltissimi presso de'quali e il suo nome in somma estimazione. Il suo
verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare , e sempre ridondante di
greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in questo genere tranne
lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che avrebbe poluto egli dire
con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani. Il suo modo di comporre era
quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e varie poesie dettò in
istile boschereccio e pastorale. Molto però egli valse nel verseggiare giocoso
, ed in quella spezie di poesia, già inventata da Folengio, il quale si dice Coccai,
che volgarmente maccheronica vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e
generoso Si gnore , seco portate avesse , con le altre cose i c o m ponimenti
di quella dotta brigata, e che Gregorio non ne avesse gl’originali serbati, e non
ne rima nesser che pochi in mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual
novello Socrate ad istruire la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e
la scienza della greca favella, la quale è detto brac cio destro della buona
letteratura, poco cura le sue cose, e poco ambi di rendersi per le stampe
famoso. Dilettavasi egli infatti più della sostanza che dell و , e più d'istruire la gioventù S!11 renza
della dottrina erudizione. diosa , che di far pompa di lussureggiante арра Le
virtù cristiane e socievoli di M. pareg
giarono la sua erudizione e la sua dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al
tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed affabile senza ombra di bassezza o di poca
digni tà,sprezzatore grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del
banco dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate
fatiche erasi acquistato , uimase in una fredda in differenza, motteggiando
giocosamente come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo
egli nella morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli,
giovinetti di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella
legalfacoltà, da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle
lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto,
dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza,
talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine
dell'uomo, e narrasi , che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno
aperto , per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano,
ritrovan dosi ogli con un amico , lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti
discesovi, sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle
pareti , e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase
questo è il luogo che dee a me toccare? Somme lodi son queste certamente per M.,
il quale nato essendo nel mezzo della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi,
degl’Aristosseni,degl’Ennj, de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea,
della latina e della Italiana poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale
insegna non pur colle parole , ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di
tutti gliamatori delle buone lettere, preso di ac cidente apopletico passò a
miglior vita ,e fu sepellito nella detta Cappella del Pontano , siccome in vita
avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο
Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI.
Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per
Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate
de’suoi tempi, e datuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e
con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che mosse
invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando
per Napoli,vollero vederlo ed ascoliarlo. Siccome abbiamo accennato,aluisideve
in buona parte il risorgimento delle buore lettere della greca dottrina, per
tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la sua di. devolissimi
letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed
alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi discepoli furono i Biscardi,
Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i Majelli, i Cirilli, i Capassi , gl’Egizi,
e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no
minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi, a quali questo uomo
incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo
della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri
della R. U. non che ragguarde volissimi personaggi. Uno di costoro già suo
scolaredi nobilissimo tegnaggio , insigne per lettere e per la scienza della
pittura e dell'architettura,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in
greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA LINGVA AD
SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS
SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. Quantunque non
abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti. pe di M. Torre di S. Susanna,
luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli ha buon diritto che di lui si parli
in GregorioMesso nella ro edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que
di dover soffri re,sebbene innocente una lunga prigionia to di omicidio , lo
determinò Greca, e così felicemente venir riconosciuto qual ristauratore
dizione nel Regno di Napoli , e il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con
somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra di questa lingua nellaUni
versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido , che oltre la gioventù contò
fra lisuoi discepoli non poche persone per coltura e per sapere distinte ; e
fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano Gennaro di Andrea , il
Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito , il Gravina , il perciò della
Greca Letteratura congiunse na del poetare, e conobbe le altre scienze con gran
vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta
ordine di persone il compianse . ogni funerali i Professori ai suoi , ed , ed
ebbe onorata s e per sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi
anche alla erudizione lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle
lettere ed alla insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane
virtù , m a specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi
novello S o . Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli
poltura nella cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione
Greca e Latina da un del suo composta (2). personaggi della Greca e r u (1) Fu
egli ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio.
Biografia degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il concorso per
la cattedra di lingua greca. Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope
they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Gregorio
Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates, SocrateSileno,
Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.
Grice e
Messimeri: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Seminara). Filosofo italiano. Grice: “He was of a noble family – he was into
the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi
(Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano. Francesco
Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie
origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre,
il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre
criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non
molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli
studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense,
all'Napoli. Nella capitale napoletana M. fu raggiunto dal fratello minore
Francescantonio, fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello,
frequenta le lezioni di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove
ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo
così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, M. ha
modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali legati
all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in
Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture
dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra
l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società
economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale
d'agriculture di Parigi. Saggio di economia campestre per la Calabria
Ultra François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto
delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra,
esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza
dell'economia calabrese, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi
atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore
produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria
erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al
settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di
sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne.
Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura
e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e
il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere
reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e
olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in
quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la
ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole,
con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere,
specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale. L'imprenditore Vecchio
frantojo ligure dismesso M. si impegna a tradurre in pratica questi progetti,
con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della
coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per
creare a Seminara nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i
progetti e i risultati delle sue innovazioni con un'opera edita con una dedica a Beccadelli, marchese
della Sambuca. Si dedicò più tardi alla produzione della seta. M., che
inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura
all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio utilizzato per
l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso, introduzione in
Calabria della lavorazione della seta alla "piemontese") non sarebbe
stato sufficiente nella lavorazione della seta per ostacoli di natura fiscale
nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla seta calabrese. Diede pertanto
inizio a vivace polemica nei confronti dei controlli oppressivi doganali e dei
monopoli statali nei settori delle manifatture e del commercio. Il
politico Sir John Acton La riflessione sull'influenza dello stato nel
mercato della seta, diede avvio al dibattito sul problema della libertà nel
commercio internazionale, in particolare nel commercio del grano che aveva
assunto una notevole importanza dopo la carestia. Una delle proposte più
importanti di M. fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società
economiche concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica
agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari
terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra
all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla
struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite
alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di
azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la
mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali
suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto. Filangieri Grazie alla
notorietà raggiunta con i suoi saggi M. fu nominato dal primo ministro Acton
assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a
Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e
lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della
Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano
pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della
produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria
di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la
seta alla piemontese"; la scuola, diretta da M., ebbe un certo successo,
ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività
riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla
rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del
governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi
venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della
costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu
addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina
circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Pinelli e
trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica
Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi:
“Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla”
(Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura
dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche
sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle
provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare
utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte
del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria
olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di
Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da
olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia”
(Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi,
Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo, Cosenza:
LPE, Istruzioni sulla nuova manifattura
dell'olio introdotta nel Regno di Napoli da M. patrizio genovese, socio
ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della
Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Orsini, a spese
di Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli:
Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli);
“Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto da M., Napoli: Porcelli); Piano
per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed
accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del
Regno scritto da M., patrizio genovese”
(Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese
stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione di M., e
l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli”
(Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a M.
da Melzi, Note bibliografiche del fu Melzi, edite per cura di un bibliofilo
milanese con altre notizie, H-R, Milano:
Bernardoni) Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca
Addante, Soveria Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di M.
e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno,
Facoltà di Magistero. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma:
Istituto dell'Enciclopedia, Basile, «Un illuminista calabrese: M. da Seminara,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Morisani,
Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,
Reggio Cal., Morello, Romeo,
Alcune precisazioni su M. un riformatore Calabrese, in "Historica",
Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Luciano, M. e la Calabria, Salerno, Carucci. M.
la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily
enough?” -- -- Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo
tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia
della città e Regno di Napoli, inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di
Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo
scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di
Messina viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV
investì Carlo I d'Angiò del Regno di Napoli: «Papa Clemente IV, il quale
investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il
Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice,
Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo
eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si
servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo
successero che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono,
chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi,
ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo
padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di
Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due
Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire
all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re i quali furono
Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di
Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo
Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno sic avuto il dominio
d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e
Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come
s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse
Sicilia.» La stessa tesi è sostenuta da Giannone nella sua Istoria civile
del Regno di Napoli, in cui si citano vari stralci della bolla pontificia, con
la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo d'Angiò «pro Regno
Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum,
excepta Civitate Beneventana». In un altro passo la bolla proclamava: «Clemens
IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum». Secondo Giannone è
dunque questa l'origine del titolo rex utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo
d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei
sovrani normanni e svevi[3]. Marchese Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri.
Messimeri. Keywords: implicature, economia olearia antica – antico frantoio da
olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Metello: l’implicatura
conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A Roman general and politician. A pupil of Carneade.
Quinto Cecilio Metello Numidico. Metello.
Grice e Metopo: la diaspora di Crotone -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. Cited by Stobeo – He writes a treatise on virtue [VIRTUS, ANDREIA] which
survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.
Grice e Metrodoro: gl’ottimati di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean and son of Epicharmo, cited by
Giamblico.
Grice e Metronace: l’implicatura
conversazionale nella scuola di Napoli – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Metronace. Porch.A popular teacher
of philosophy at Napoli, where Seneca attended some of his lectures.
Grice e
Micalori: l’implicatura conversazionale -- Ganimede e l’implicatura sferica di
Giove – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Grice: “I took my
ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling it
‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans
were wrong.” Professore a Urbino. Opere:
“Della sfera mondiale” In Urbino, Mazzantini, M., Antapocrisi, In Roma,
Francesco Roma Cavalli. Zeus features heavily in a lot of starlore,
and the Eagle constellation is no exception. The predominantly accepted
mythos for this constellation is the abduction of Ganymede. Zeus had
facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal boy as his personal
cup-bearer. In the constellation, which is situated south of Cygnus on
the equator, making it visible from both the Northern and Southern hemispheres,
poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the eagle as he is swiftly
taken to the heavens. The constellation appears alongside several other
bird constellations. The Eagle’s wings are spread, giving it the appearance of
gliding through the stars. As Hyginus states, the beak is separated from the
body by a milky circle. It was also said to set “at the rising of the Lion and
rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy, 3.15) Greek astronomy
Humans have a natural urge to identify familiar things amongst the twinkling
stars of the mysterious abyss above us. These narratives came out of
astronomical observations and ancient time tracking. The study of the sky began
long before the earliest Greek sources that (sparsely) discuss them, Homer and
Hesiod. They likely developed during the transition from oral to written
transmission, but to what is extent is unknown. Even though the Greeks
were late to the constellation conversation, they received a lot of their
knowledge from their Eastern neighbors. The Greeks introduced the word
katasterismos, or catasterism, which refers to the process of being set in the
heavens. Constellations were used for navigation and an indication of seasonal
change; many extravagant mythic connections were added later. Today,
there are 88 constellations officially defined by the International
Astronomical Union, and many of them have been accepted since Ptolemy’s The
Almagest. Constellations created by the Mesopotamians between 1300-1000
BC originate in older lands, but the Greek astral mythos canon was solidified
by Eratosthenes, in a work now lost to us. Zeus and his trusted
companion The myth of Ganymede is very ancient lore, being told in the
tale of Troy by Homer (Illiad) – albeit with no mention of an eagle escort. In
the fifth Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be whisked off to
Olympus by a ‘heaven-sent whirlwind’. The eagle was not connected to this
tale until the 4th century BC. The constellation was accepted as an eagle prior
to this, so it is presumed that this addition was made to make the story fit
the stars, probably because Ganymede is said to feature in his own nearby
constellation, the water-pourer (Aquarius). Micalori. Keywords: implicatura
sferica, planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Micalori” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Miccoli: l’implicatura conversazionale d’ANTONINO -- homo loqvens – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Grice: “Miccoli is a great philosopher – and surgeon – My
favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which trades on my idea of what it means
to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’ a play on Aristotle’s ‘zoon
logikon,’ but which Aristotle would find otiose: man is the ‘vivente’ that
speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it is the ‘homo’ that speaks
relies on Darwin’s classifications and phyla of homo sapiens sapiens and the
rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si accinge alla lettura dell'
Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non dimenticare taluni antecedenti
biografici dell'autore che spiegano meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li
richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il costume degli umanisti in
Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo coniugio. La famiglia paterna,
in auge nella borghesia di Gouda, come apprendiamo dallo stesso Erasmo, si
oppose alle nozze riparatrici del figlio, costringendolo, con inganno, a far
intraprendere la carriera ecclesiastica al malcapitato giovanotto. Citazioni Come umanista Erasmo si sente
apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia
criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo,
bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. Fin dalla
dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non vuol propinare
sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei di sé la vita
quotidiana della gente, fosse anche d’ANTONINO che sul letto di morte, lui
filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio me cacavi! La sapienza dei
dotti è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon senso che cambia
in meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la penna dell'insigne umanista
olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e Stultitia: la prima, per
voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la seconda, in quanto
«forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente saggia alla resa
dei conti. L' Elogio della follia
conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume dall'analisi di
Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il confine sfumato tra ragione e
sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle invettive di Nietzsche
contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di bozze, il pallido
burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo alessandrino». (Explicit
Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a riprova della bontà dei
doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di prendere in giro
anzitempo la presunzione dispotica delle società economicistiche che intendono
mantenere sotto loro tutela il cittadino «minorenne» sempre bisognoso di dande
e mordacchie. Gli autori classici sono, tra l'altro, spiriti lungimiranti. A
tali società alienanti di oggi e di domani Blake, con spirito erasmiano,
potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La divertente commedia umana,
introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, TEN, Introduzione a
"Vita di Gesù" Incipit Il contesto storico culturale della Vita di
Gesù La recente edizione storico-critica delle Opere complete di Hegel consente
di far chiarezza sulle discussioni e congetture che hanno tenuto a lungo il
campo nella letteratura hegeliana a proposito dei cosiddetti Scritti teologici
giovanili, la cui indole cronologica vengono ora sancite su base filologica e
critica più accorta. Più che ai titoli apposti da Nohl ai vari frammenti e più
che alle congetture sulla data probabile di tali scritti, è più fruttuoso
rifarsi agli anni di formazione filosofica e teologica di Hegel nello Stift di
Tubinga e reperire nel curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno
influenzato maggiormente l'autore in una speculiare lettura dei quattro
Evangelisti, da cui desume Das Leben Jesu. Citazioni Gli interessi culturali di
Hegel, negli anni tubinghesi, sono prevalentemente filosofici, incentivati
dalla lettura di Rousseau, Jacobi, Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici
ed etico-religiosi. (Hegel, studioso di filosofia, si sente chiamato a
lumeggiare «spiritualmente» la situazione storica del suo tempo e a porre le
premesse di carattere razionale per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli
spiriti». Il lettore del Leben Jesu si accorge subito di trovarsi di fronte a
una forma di scrittura audace, che desacralizza e sdivinizza la persona di
Gesù, riducendolo a maestro di morale sublime. [Paolo Miccoli, introduzione a Hegel, Vita di
Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi dicibili”, “Homo louqens”. Paolo
Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens, corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Miccolis: l’implicatura conversazionale – BRVNO – filosofi italiani al rogo -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Corato). Filosofo italiano. Grice:
“Miccoli reminds me of G. Baker, who dedicated most of his life to Witters!
Miccolis to Labriola.” Considerato
uno dei massimi studiosi di Labriola. Si
trasferì a Perugia per gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni
voti con una tesi dal titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del
liberalismo». Abilitatosi cum laude all'insegnamento di storia e filosofia,
professore in vari licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso
l'Istituto tecnico per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di
estetica all'Accademia di belle arti Vannucci. Divenne responsabile del settore
culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso dagli studî e
dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le vicende
politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione liberale:
considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce, Gobetti. Dalla fine degli
anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese Labriola,
da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia». Nascerà
quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa all'Accademia
dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo dell'Istituto italiano
per gli studi storici e dell'Università degli Studi di Napoli
"L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta
possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società
napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un
evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti
della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta
come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del
commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della
impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni
anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva della
spezzettata, dispersa e contorta
labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in
base a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario"
dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o
di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe».
Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia
della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor,
Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e
notevoli gli ulteriori apporti documentari alla
labrioliana. Collabora intensamente con l'Istituto italiano per gli
studi storici e la Fondazione Biblioteca Croce: aveva il compito di revisionare
i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi dell'Edizione
nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali animatori
dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva contribuito
a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il problema del
rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto della Società
napoletana di storia patria. Adnkronos,
Filosofi, E' morto M., massimo studioso di Labriola, Bari, SAVORELLI, Rivista
di storia della filosofia,, fasc. 2. Opere: “ Il carteggio di Antonio Labriola
conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio storico per le provincie napoletane», «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i
papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con
Pistelli e Teresa Lodi, a c. di M. e Savorelli, in Gli archivi della memoria,
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, (rist. in Gli archivi della memoria e
il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca
Medicea Lauenziana, Polistampa, Labriola, La politica italiana Corrispondenze
alle « Basler Nachrichten », M., Napoli, Bibliopolis, Labriola, Carteggio, M.,
Napoli, Bibliopolis, M., Labriola, Dizionario biografico degli italiani, A.
Labriola, L'università e la libertà della scienza, M., Torino, Aragno, Labriola,
Bruno. Scritti editi ed inediti M. e Savorelli, Napoli, Bibliopolis, M.,
Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica, A. Savorelli e M., Milano,
UNICOPLI, M., Gli scritti politici di
Labriola editi da M., A. Savorelli e M., Napoli, Bibliopolis, G. Bucci, M., il ricordo a un anno dalla morte,
"Corato live", W. Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil neuf
cent", n° 28, 201. A. Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia
della filosofia», fa A. Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio
Labriola, «Rivista di storia della filosofia». Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords:
filosofi italiani al rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Michelstädter: l’implicatura conversazionale
– il giovane divino -- l’implicatura persuasiva di Platone – filosofia giudea –
filosofia nel ventennio fascista – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Gorizia). Filosofo italiano. Grice: “It’s difficult
to grasp Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant –
he was a close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane
divino.’ My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice:
“Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with
‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a
maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of
modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the
emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will
be influenced by a sweeter co-emissor.” essential
Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre,
Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è
presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di
scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo
formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico
rappresentante della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi
incidere molto sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e
con non poca meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo
Staatsgymnasium cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le
traduzioni dal greco e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A
iniziarlo sono Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale
tutto il sapere va ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli
fa conoscere Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia
soprattutto ne La Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli,
oltre a Schopenhauer, legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i
presocratici, Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi,
Tolstoj, e l'amatissimo Ibsen. Conclusde gli studi ginnasiali e progetta
di iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla
facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con Leopardi nel
primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a riconoscere nella
ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi
Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà,
fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, ed Arangio-Ruiz,
noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo
caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei
periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi
ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle
recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso segna la sua vita: la morte,
per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si era suicidata anche una
donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per l'Argentina. Questa
partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del
testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre con sé. Completati
gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea,
assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in
Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla Persuasione scrive
anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il
Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia
pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il cugino
Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il professore, ma
che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a Grado. Dopo
un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule e si toglie
la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina, una
lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi». Amici
raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero
ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a
poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di Michelstaedter
scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di vivere
continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove
metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e
di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per
le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La
Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica,
viene fatta risalire da M. a un parricidio: quello di Aristotele nei confronti
di Platone. Questi, nella metafora costruita da M., escogita un mechánema, una
macchina volante per abbandonare il peso del mondo e giungere all'assoluto.
Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi del cielo, ma restano
a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e del tempo e la
nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla terra ci pensa
allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri, Aristotele, il
quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo così a tutti la
gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia del mondo
intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di Schopenhauer, più che
di Nietzsche. La costituzione della metafisica è per lui una storia di
rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi persuasi tanto
proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata. Quanto io dico
è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile che il mondo
abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle parole. Lo
dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da
naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4 sistemi... lo
disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la visione
propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol tener
fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli
«ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale
consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione
tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica
consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è
chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi
comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci,
ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di
sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni
create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche,
sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo
non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala
philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita,
soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione
filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in
ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal
rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che
i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo
esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse
macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra
sorte / filammo a questa morte». Il pensiero di M. procede di
conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso
violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte,
piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. M. respinge,
con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica della
persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è corsa da
'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare,
ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio dolore
l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è solo e
non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che questa
indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La salvezza
individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile, irriducibile,
concentrata in sé. Il solipsismo di Michelstaedter è perciò radicale: non
ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel deserto
dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della propria
sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo è
negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa negatività
rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la conoscenza
conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta di una
sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la figura
dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente». Produzione
artistica La produzione poetica e quella pittorica di M. possono essere
considerate un prolungamento e un completamento di questo sentimento tragico e
mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere l'inesprimibile, di
dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni codificato e perciò già da
sempre istituito retoricamente, così nel segno pittorico, nello schizzo rapido
e scherzoso come nel ritratto composto e meditato, traluce l'impossibilità di
giungere a quella che Parmenide chiamava la ben rotonda verità. Non siamo
giocati solo dalle parole, ma anche dalle immagini di una realtà fatta di colori
e di forme che ci sfuggono nella loro immediatezza e alterità, «come chi vuol
veder sul muro l'ombra del proprio profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche
l'arte e la poesia, come la retorica filosofica, si rivelano infine per quello
che sono: fragili orpelli di cui si orna l'oscurità dell'essere e che ogni
linguaggio escogitato dall'uomo sarà sempre impotente a esprimere. Saggi:
“Saggi” (G. Chiavacci, Sansoni, Firenze); “Scritti scolastici, S. Campailla,
Gorizia, Opera grafica e pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della
salute e altri dialoghi, S. Campailla, Adelphi, Milano Poesie, S. Campailla,
Adelphi, Milano, La Persuasione e la Rettorica, Vladimiro Arangio-Ruiz,
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Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla, Adelphi, Milano nuova
edizione riveduta e ampliata, ivi,
Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano, L'anima ignuda nell'isola
dei beati. Scritti su Platone, D. Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia, Dialogo della salute. E altri scritti sul
senso dell'esistenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. Brianese,
Mimesis, Milano, La melodia del giovane divino, S. Campailla, Adelphi, Milano La persuasione e la rettorica, edizione critica,
A. Comincini, Joker. M.-Winteler, Appunti per una biografia di M.. M. si
riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele Reggio, confondendolo con
il padre di questo, Abram Vita Reggio
S.Campailla, Il segreto di Nadia B., Marsilio,. Da articoli di cronaca
americani dell'epoca, si apprende che il suicidio avvenne con un colpo di
pistola alla tempia destra. La
persuasione e la rettorica35 La
persuasione e la rettorica Poesie La
persuasione e la rettorica Magris, Un altro mare Il dialogo della salute,
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«Metodi e ricerche» Piero Pieri,"La scienza del tragico. Saggio su M.",
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figura dell'ermafrodita e del satiro nella Persuasione", in «Intersezioni»,
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Michelstaedter. Keywords: l’implicatura di Platone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Michelstaedter: retorica
e persuasione," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Michelstaedter” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mieli: l’implicatura conversazionale dell’uccello del paradiso; ovvero, la
lingua perduta del desiderio – la Paradisaeidae di Swinton -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “Speranza has studied this; he
calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint endeavour with C. R.
Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di questo libro favorisca la
liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e aiuti quegli
omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di colpevolezza
indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa»
(Elementi di critica omosessuale. M Attivista e scrittore italiano, teorico
degli studi di genere. È considerato uno dei fondatori del movimento
omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici del pensiero
nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo rivoluzionario, è noto
soprattutto come eponimo del Circolo di cultura omosessuale M. e per il suo
saggio Elementi di critica omosessuale pubblicato nella sua prima edizione da
Einaudi nel 1977. M. penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, vive a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati, durante la seconda guerra mondiale i coniugi M. erano sfollati a Lora,
frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo forti legami
con Milano dove il padre continuava a lavorare e a risiedere. Il giovane
Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo quando si iscrisse al
liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due anni dopo dalla sorella minore
Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in questi anni diede
dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la propria omosessualità.
Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis, nfondò un circolo di
poesia che divenne anche un luogo di incontro per omosessuali. Fu pienamente
coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo nel suo romanzo
autobiografico Il risveglio dei faraoni. A causa della sua miopia fu
esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì a Londra per
perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi familiari. Qui
frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto con
l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di
Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci
fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del
movimento di liberazione omosessuale italiano. Convinto assertore di una
rivoluzione gay in chiave marxista, si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la
cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito
Radicale. Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali
Milanesi e i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato giovanile di
Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!.
Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da
Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un
fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero,
venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality
and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo
Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei
testi base dei collettivi autonomi gay. M. fu uno dei primi a contestare
apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti femminili.
Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità
dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero:
Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si
presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria
battaglia dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza,
cercò di superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più
estreme, inclusa la coprofagia. Durante un viaggio a Londra, Mieli,
vicino già all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; fu
nuovamente arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu
fermato nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un
rapporto sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione
psichiatrica del Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti
dall'Italia in attesa del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la
condanna a pagare una multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un
mese. Una volta dimesso, su consiglio del suo psicoanalista Zapparoli, i
genitori gli diedero un appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad
Amsterdam e di nuovo a Londra e si laurea con lode in filosofia. Poco dopo
lasciò l'appartamento che gli avevano trovato e interruppe la terapia
psichiatrica. Al V congresso del Fuori!, che sancì la sua rottura col
movimento e con Pezzana, M. prese la parola, si dichiarò transessuale e parlò
della sua esperienza di malattia mentale («sono stato definito uno
schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo
motivo») e di omosessualità. Dopo questo periodo si dedicò alla stesura degli
Elementi di critica omosessuale. Negli ultimi anni di vita si dedicò
all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza isolato dal resto del movimento
omosessuale, e lavorando al romanzo Il risveglio dei faraoni. Morì suicida
infilando la testa nel forno della sua abitazione di Milano dopo un lungo
periodo di depressione. Tra i motivi del suo gesto estremo fu l'ostruzionismo
che il padre, influente industriale milanese, aveva fatto per impedire la
pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio dei faraoni, ritenendolo
troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare. A lui è intitolato il
Circolo di cultura omosessuale M. sorto a Roma nello stesso anno della
morte. Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero di M.
consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se non
fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che,
attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a
considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come perversione.
Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella comune
accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e "perversa"
dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell'Eros e da
l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo. La liberazione
omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed attivisti del
Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Castellano,Consoli,
Modugno e Pezzana. Tutti partivano dalla
certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla
consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla
cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e
pervicacemente omofoba. Da queste basi partivano per abbattere la
discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si identificava nella
sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Abbracciò
immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta
di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista
intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di
critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria
della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni Cinquanta e
Sessanta, ne aveva fatto Marcuse.
Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione aveva
voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere
che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione",
riconducendo eterosessualità e "omosessualità a semplici varianti della
sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e anzi, in
potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più
semplicemente, bi-sessuali. In base a questa riflessione, riteneva che si
dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica
"eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il
principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva
unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica
della dimensione sessuale, M. ha preferito opporre un principio di eros libero,
molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande
maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da
"donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente
ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in
faccia». Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice
dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel
processo politico di ristrutturazione della società, M. non esita a includere
nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la
coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come
riscoperta dei corpi. In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali,
la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con
tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di
ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando
"democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma
anche tra le specie». A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo
determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia
reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare troppo
precocemente il bambino in adulto eterosessuale». Il tema della pedofilia
Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la breve vita,
facendo esplicitamente riferimento a Freud, M. affrontò a modo suo anche il
tema della sessualità infantile, per questo andando incontro a forti critiche.
I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano "liberarsi" dai
pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro "perversità
poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto sopra asserito: «Noi
checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il
futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo
amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia
di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante
che profondono, possiamo fare l'amore con loro. Per questo la pederastia è
tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la
società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul
suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe
il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che
l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia,
invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto» (Francesco
Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale). Nella nota 88 si legge:
«Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di
entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in
senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi» (Elementi
di critica omosessuale). Il tema dell'alterazione psichica, della follia Mieli
faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo
stato di normalità in cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che
nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari
dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e,
con riferimento a Jung, che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di
quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In
riferimento all'omosessualità, considerava che potesse essere una porta verso
il lato inesplorato della personalità, in analogia con la follia: “La paura
dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia”
(terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale
si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi,
che chiamano folles le checche, non esagerano». Opere: “Comune futura,”
“Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica
omosessuale, Barilli e M., Feltrinelli, Milano,
Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli,
Milano, “Il risveglio dei faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto
Pasti, Cooperativa Colibri, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio
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negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk: la scena
italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta D'Angeli,
Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo di
cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di
liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia
Studi di genere Teoria queer Transessualismo. Biografia, in italiano, su
culturagay. Chi era M. (articolo sul
gay.tv), su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario
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Grice e Miglio: l’implicatura
conversazionale -- implicatura ligure – la LIGVRIA e la PADANIA -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo italiano. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher, ended up lecturing
on the history of ideas, i..e. ideology – M. defines ideology so simply that
would put Berlin to shame: an ideology is what politicians propagate to reach
or buy consensus!” -- essential Italian
philosopher. Sostenitore della trasformazione dello Stato italiano in senso
federale o, addirittura, confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è
considerato l'ideologo della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu
anche senatore, prima di "rompere" con Umberto Bossi dando vita alla
breve stagione del Partito Federalista. Polo scolastico "M."
ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della
Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura. Ha insegnato presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà
di Scienze politiche. È stato allievo d’Entrèves e Pallieri, sotto la cui
docenza si è formato sui classici del pensiero giuridico e politologico.
Colpito da ictusnon si riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città
natale, Como, circa un anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di
Como, comune d'origine del padre e sede di una villa nella quale il professore
si rifugiava spesso; in seguito M. è stato tumulato nel locale cimitero, a
fianco dei membri della sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza
all'Università Cattolica con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle
dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna”, evitò
l'arruolamento per la Seconda guerra mondiale a causa di un difetto uditivo
congenito, e poté divenire assistente volontario alla cattedra di Storia delle
dottrine politiche, che d'Entreves tenne sino alla fine degli anni quaranta
nella medesima università. Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta
allo studio delle opere di storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai
quattro volumi del Deutsche Genossenschaftsrecht di Gierke, ai saggi di storia
amministrativa di Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero
tradotti in italiano dal suo allievo e ferrato germanista Schiera (O. Hintze, Stato e società,
Zanichelli). Fu di quegli anni l'incontro di M. con l'immensa produzione
scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver studiato a
fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo tedesco che
era stata completamente trascurata in Italia. Sviluppo del lavoro
scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni cinquanta,
M. fonda con il giurista Benvenuti l'ISAP Milano (Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico partecipato da Comune e Provincia
di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la carica di vicedirettore. In un
saggio memorabile intitolato Le origini della scienza dell'amministrazione, il
professore comasco descriveva con elegante chiarezza le radici storiche della
disciplina. L'interesse per il campo dell'amministrazione era dovuto in quegli
anni alle politiche pianificatrici che gli stati andavano conducendo per
l'incremento della crescita economica. La Fondazione italiana per la
storia amministrativa Ben presto M. sente tuttavia l'esigenza di studiare in
modo più sistematico la storia dei poteri pubblici europei e, negli anni
sessanta, costituì la Fondazione italiana per la storia amministrativa: un
istituto le cui ricerche vennero condotte con rigoroso metodo scientifico. A
tal proposito, il professore aveva appositamente preparato per i collaboratori
della fondazione uno schema di istruzioni divenuto famoso per chiarezza e
organicità. In realtà, fondando la F.I.S.A. M. si era posto l'ambizioso
obiettivo di scrivere una storia costituzionale che prendesse in esame le
amministrazioni pubbliche esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli
sarebbe riuscito a tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal
medioevo all'età contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i
tratti distintivi o, viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma
v'era un'altra ragione che aveva indotto M. a studiare i poteri pubblici in
un'ottica, come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di
un metodo scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà
del Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica
dello stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.
La fondazione pubblicava tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso
in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda
dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali.
Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il
volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla
territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi
poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni:
Rossetti, allieva dello storico Violante, vi diede alle stampe un approfondito
studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese dell'Alto
Medioevo; Petracchi pubblicò la prima parte di un'interessante ricerca sullo
sviluppo storico dell'istituto dell'intendente nella Francia dell'ancien
régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume di Pierangelo Schiera sul
cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori stati germanici. Su
tutt'altro piano si poneva invece la collezione della F.I.S.A. denominata Acta
italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i documenti relativi
all'amministrazione pubblica degli stati italiani preunitari: è probabile che
l'ispirazione per quest'ultima serie fosse venuta a M. dallo studio delle
opere di Hintze: verso la fine del XIX secolo, lo storico tedesco aveva infatti
scritto alcuni saggi sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta
borussica, un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato
degli Hohenzollern. L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i
volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della Commissione
Giulini curata da Raponi uno studio cui M. tenne molto e di cui si servì, molti
anni dopo, per la stesura del celebre saggio su “Vocazione e destino dei lombardi”
(in La Lombardia moderna, Electa,
ripubblicato in Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui
lavori avevano avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese
Cesare Giulini della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che
sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo
alla guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro,
voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte
di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle
due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte
delle istituzioni austriache esistenti. Il saggio Le contraddizioni dello
stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto
in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, M.
prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva
provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu
capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di
governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia.
Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di
estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un
gigante il vestito di un nano". Secondo M., i nostri "padri della
patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze
fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare
ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza
degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere
percepite come "straniere", si rivelarono palesemente
inefficienti. Nel saggio, M. ha però messo in luce un altro dato
fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato
formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso
ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla
Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni storiche
in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente
articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica
liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi
in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte] Sono
inoltre fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa
tradurre svariati saggi, “Per una nuova storia costituzionale e sociale” (Vita
e Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und
Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in
esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in
evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e
quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto. La
traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio
Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli
anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a
compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Schiera e Nobili.
Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e potere", il capolavoro
di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana di scienza della politica
di cui M. era divenuto direttore nei primi anni Ottanta. Il professore comasco
si occupò inoltre dei contributi recati alla scienza dell'amministrazione da
parte di altri due storici e giuristi tedeschi: Lorenz Von Stein e Rudolf
Gneist. La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette
chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor M., ricordando a
distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle
istituzioni, ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua
efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo
finanziamento, non scorgendo l'utilità "politica" immediata della sua
attività, strinsero i cordoni della borsa". M. scienziato della
politica e costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima
politico in Italia indusse il professor M. ad occuparsi di riforme
istituzionali; egli intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del
paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di esperti di diritto costituzionale
e amministrativo stese un organico progetto di riforma limitato alla seconda
parte della costituzione. Ne uscirono due volumi che, pubblicati nella collana
Arcana imperii, vennero completamente trascurati dalla classe politica
democristiana e socialista. Tra le proposte più interessanti avanzate dal
"Gruppo di Milano"così venne definito il pool di professori
coordinati da M. v'era il rafforzamento del governo guidato da un primo
ministro dotato di maggiori poteri, la fine del bicameralismo perfetto con
l'istituzione di un senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, ed
infine l'elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a
quella per la camera dei deputati. Secondo il gruppo di Milano, queste e
numerose altre riforme avrebbero garantito all'Italia una maggiore stabilità
politica, cancellando lo strapotere dei partiti e salvaguardando la separazione
dei poteri propria di uno stato di diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la
collana Arcana imperii era incentrata esclusivamente sullo studio scientifico
dei comportamenti politici. Il citato volume di Brunner costituì pertanto
un'eccezione perché, come si è avuto modo di accennare, esso doveva essere
pubblicato negli eleganti volumi della F.I.S.A. già negli anni sessanta. All'interno
della collana Arcana imperii vennero invece inseriti saggi e contributi di
psicologia politica, di etologia, di teoria politica, di economia, di sociologia
e di storia. Intende costituire un vero e proprio laboratorio dove lo
scienziato della politica, servendosi dei risultati portati alla disciplina
dalle diverse scienze sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che
si ponesse all'avanguardia. Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si
ricordano, tra gli altri: il saggio di Ornaghi sulla dottrina della
corporazione nel ventennio fascista, l'edizione degli scritti schmittiani su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune
opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota
anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono
tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla
F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in
questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni. Alla sua
formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del
politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e
la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini
forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso
l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di
uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il
re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei
più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di
modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio,
una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse
difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di
Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano
dove “contro-bilanciare” quello della “società”, si ha in mente il riformismo
illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e
parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto,
dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel
parlamento. La omunità prospera solo quando “stato” e “società” sono in
equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due
realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo
e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire
ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e
solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui
saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta
al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi
razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per
oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il
nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di
Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura
assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con
il titolo “Le categorie del politico”. Nella prefazione, si sofferma sui
decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica.
L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che
destabilizza la sinistra italiana". È dall'incontro con la produzione di
Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte
importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto
tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica
porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più
emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma
antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico
(Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso
amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea
la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra
contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca
l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello
stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo:
la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali)
con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle
fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il
sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio
sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo
regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una
conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema
di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante
per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità
(cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente
limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da
quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi
di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria
di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento
dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e
accettato da tutti gli stati. La crisi dello ius publicum europaeum,
divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo
scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la
fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale
nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo
particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con
la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius
publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il
fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di
fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto. Prende atto
della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la
fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della
politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la
comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il
contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un
contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la
politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto,
sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza
-- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello
ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si
regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato
all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse
attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente
sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e
contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al
capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello
di ricchezza cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni
successivi sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere
anche la costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel
garantire servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo
accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato,
sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della
burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di
vita. L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva
dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove
forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare
in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in
cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora
fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno
più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con
il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri
termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario
nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei
cittadini, legati alla logica di mercato. La fine degli stati moderni
porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non
più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del
contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i
nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di
potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di
cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo
sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali
e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non
diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i
sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico
medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar
modo, delle libere città germaniche. Il professore studiò a fondo gli
antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le
repubbliche urbane dell'Europa germanica tra il XII e il XIII secolo, gli
ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da
ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva
precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla
società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. M. si dedica allo
studio approfondito di questi temi, progettando di scrivere un volume
intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città. Il libro è rimasto
incompiuto per la morte del professore. L'impegno politico diretto e il federalism.
S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana, che lascia quando divenne preside
della Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. M. rimase comunque legato
culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i
fondatori, a Como, del movimento federalista “Il Cisalpino”, con altri docenti
dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Carlo Cattaneo, il
programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su
base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi
macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”). Il suo nome e proposto per il
conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica
Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza,
che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla
Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste
della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo
lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica
forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul
ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni
o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea,
oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura
costituzionale prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai
governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a
statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i
cittadini in due tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del
paese. I puntisalienti del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero
fatti propri dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale,
Umberto Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con
lo stato centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali.
Il dissenso di Miglio, iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo
le elezioni politiche, dove fu rieletto al Senato, quando il professore si
disse non d'accordo sia ad allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo
governo Berlusconi. Soprattutto M. non gradì che per il ruolo di ministro delle
Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto.
Bossi reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché
non è diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua
candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la
pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per
le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se Miglio vorrà lasciare la strada
della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla Lega e
che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un sacco di
consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, M. «pare che ponga solo un
problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone».
In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di Bossi. Spero
proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla
conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è stato di essere
riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo nel giorno in
cui Bossi non sarà più segretario». Nonostante ciò, moltissimi militanti
e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e ammirazione per
il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti della Lega tennero comunque
vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Pagliarini, Francesco Speroni e
il presidente della Libera compagnia padana Oneto, al quale il professore era
particolarmente legato. In particolare M. fu in stretti rapporti con l'ex
deputato leghista Negri, col quale fonda il Partito Federalista. Eletto ancora
una volta al Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà,
iscrivendosi al gruppo misto. Negli anni in cui la Lega si spostò su
posizioni indipendentiste, il professore si riavvicinò alla linea del partito,
sostenendo a più riprese la piena legittimità del diritto di secessione della
Padania dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Nella
sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici
"freddi" e "caldi" M. sostenne la necessità di sviluppare,
all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di
rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a
dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta.
Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che
cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre
il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un
clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire
dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere
costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le
ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che
genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché solo
istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che non
dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale
nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al
presente. Altre saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale:
ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle
genti,” Milano, Ispi, “La crisi dell'universalismo politico medioevale e la
formazione ideologica del particolarismo statuale moderno,” in: "Pubbl.
Fac. giurispr. Univ. Padova", “La struttura ideologica della monarchia
greca arcaica ed il concetto "patrimoniale" dello Stato nell'eta
antica, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “Le origini della
scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,
“L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica
occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I
cattolici di fronte all'unità d'Italia, in: "Vita e pensiero",
“L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Il
Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista
di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del
tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della
politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i
suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e
l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e
proposte, promosso dal Rotary Club di Milano-Centro Una Costituzione in
"corto circuito", in: "Prospettive nel mondo", Ricominciare
dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta
industriale, Milano, Giuffrè, La
Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio,
Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in
"Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e
innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in
Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como,
Como, Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso
dello Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale
dell'Università cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace,
diritto. Una ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico, in: Umberto
Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli
italiani. Verso una nuova costituzione, Milano, Giuffrè, Le contraddizioni interne del sistema
parlamentare-integrale, in: "Rivista italiana di Scienza Politica",
Considerazioni sulle responsabilità, in: "Synesis, periodico
dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità della
politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano,
Giuffrè, Il nerbo e le briglie del
potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore,
Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica,
Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come
cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire,
con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, Mondadori, ed.
Oscar Saggi, Disobbedienza civile,
Milano, A. Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei IV
anni sul Carroccio, Milano, A. Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la
nuova Italia, Milano, Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli
italiani, Milano, Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e
degenerati, Milano, Sperling & Kupfer, Federalismo e secessione. Un
dialogo, con Barbera, Milano, Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è
soltanto in crisi o non è mai esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere,
Le barche a remi del Lario. Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto,
con Gozzi e Zanoletti, Milano, Leonardo arte,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino, Vicenza, Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani
alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione,
pref. di Roberto Formigoni, postf. di Sergio Romano, Varese, Lativa, M.: un
uomo libero, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Un
Miglio alla libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La Libera
Compagnia PadanaLeonardo Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni Padani, La
Libera Compagnia Padana, Novara, Gianfranco le interviste, coll. Quaderni
Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino, pref. di Roberto Formigoni, coll. I libri di Libero M.,
Firenze, Editoriale Libero); “Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in
crisi o non è mai esistito?” (Firenze, Libero); “Federalismo e secessione. Un
dialogo, con Augusto Antonio Barbera, coll. I libri di LiberoMiglio n. 4,
Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza civile, coll. I libri di Libero; Firenze,
Editoriale Libero, La controversia sui limiti del commercio neutrale fra
Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Torino,
Aragno, Gianfranco Miglio: scritti
brevi, interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,
Lezioni di politica. Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica”
(Bologna, Il Mulino); D. Bianchi e A. Vitale, Bologna, Il Mulino,Discorsi
parlamentari, con un saggio di Bonvecchio, Senato della Repubblica, Archivio
storico, Bologna, Mulino, L'Asino di
Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino
-- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni retrospettive e altri
scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e Associati, Lo scienziato della politica, coll. Opere
scelte di M., a cura di Galli, Milano, Guerini,.Guerra, pace, diritto, La Nuova
Guerra, [S.l.Milano], La Scuola, 1 Scritti politici, Bassani, coll. I libri del
Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani” (Torino,
G. Giappichelli); “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale
della Padania” (Fano, Associazione Oneto); “Il Cerchio,.C. Schmitt. Saggi, Palano,
Brescia, Scholé Morcelliana); “Le
origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche”
(Torino, Aragno); “Vocazione e destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione
Lombardia, Prefazioni Oneto, Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli
dell'Italia settentrionale. In appendice le bandiere dei popoli europei in
lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano, Gianfranco Morra, Breve storia del
pensiero federalista” (Milano, Mondadori); “Governo della Padania, Manuale di
resistenza fiscale” (Gallarate, Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e
bandiere dei popoli padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera
Compagnia Padana, Collegno); Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio
con Bozzi e M., Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Ornaghi e Vitale,
Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno,
Milano, Giuffrè, Ferrari, “Storia di un giacobino nordista” (Milano, Liber
internazionale); Bevilacqua, “Insidia mito e follia nel razzismo”; "Il
rinnovamento", Campi, “Figure e temi del realismo politico europeo,
Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, G. Capua, Scienziato impolitico” (Soveria
Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, Vitale, La costituzione e il cambiamento
internazionale. Il mito della costituente, l'obsolescenza della costituzione e
la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista una
lezione da ricordare. Atti del Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego di
Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio regionale del Veneto-Caselle di
Sommacampagna, Cierre, Lanchester, M. costituzionalista, Rivista di politica:
trimestrale di studi, analisi e commenti, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino. Damiano
Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie del potere.
Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano, Vita e
Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di M. M. Verde, su miglio verde. eu.
Bossi a sorpresa al convegno su M. a Domaso:"Un grande"Ciao Como, su
Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su repubblica. Ticino COMO: Lunedì a
Domaso i funerali. Riletture. Arianna. il ricordo. Terre di Lombardia, su
terredilombardia. Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di
otto illustri testimoni, Paoline, Morra, La vita e le opere, La Voce di
Romagna, 8 agosto 5. Il silenzio di M.
fa paura alla Lega Bossi: Pensa solo
alla poltrona. "Con Bossi è un amore finito" Miglio torna nell'arena: è l'occasione
buona Gianfranco Miglio, Una repubblica
mediterranea?, in Un'altra Repubblica?
Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, U. Rosso, M. l'antropologo. 'Diverso
l'uomo del Sud', in la Repubblica, «Non
mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica» Treccani Istituto
dell'Enciclopedia. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su senato,
Senato della Repubblica. Associazione Openpolis. Istituto per la scienza dell'amministrazione
pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della
Padania, su prov-varese. Lega nord. Commemorazione di M. nell’anniversario
della scomparsa di Alessandro Campi, su giovanipadani.lega nord). «Non mi
fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica», Il Giornale, su
newrassegna.camera. Interviste a M. sui "Quaderni della Libera Compagnia
Padana" su la libera compagnia. Documenti politici Sezione di approfondimento
sul pensiero di Gianfranco Miglio, dal sito ufficiale della Lega Nord. Gianfranco
Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Miglio," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and
Mondays” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Millia: la setta dell’ottimati a Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico. He is said to have been one of a
group of Pythagoreans who were ambushed but found their escape route blocked by
a field of beans. Being prohibited by Pythagoreans precepts from even touching
beans, he preferred death to betraying his principles. Millia.
Grice e
Millul: l’implicatura conversazionale nella selezione sessuale di Nerone, il
musicista – filosofia triestina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste).
FIlosofo italiano. Grice: “I have been called a Darwinist, which offended de
Lalla!” -- Figlio unico di Achille de Lalla
e Anna Millul. Il padre, nato a
Napoli da famiglia originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare,
giungendo a ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e
congedandosi con il grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima
guerra mondiale nonché alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla
spalla destra in Russia. Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la
Ricostruzione Industrial. Achille de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria
Buonomo, figlia a sua volta di Alfonso Buonomo, compositore e musicista
napoletano di fama. La madre Anna Millul
era nata a Roma in una famiglia ebrea originaria di Livorno. Si laurea, allievo
di Kalinowski di cui traduce in italiano il saggio "Interpretazione giuridica
e logica delle proposizioni normative".
Scappa a Parigi, prendendo parte al Maggio. Tuttavia, fu tra i primi ad
intuire che il Partito Comunista francese non aveva alcuna seria intenzione
politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo sul fallimento
dell'iniziativa giovanile, lascia la Francia rientrando in Italia deluso. Studioso
di Evoluzionismo e Politologia, e è proprio sulle sue teorie sull'Evoluzione
umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera “La selezione sessuale”.
Insegna a Siena e Napoli. A testimonianza del grande successo che riscuotevano
i suoi corsi universitari, rimane la petizione indetta dagli studenti affinché
il Senato Accademico li prorogasse per un biennio. Gl’ultimi anni Ritiratosi a vita privata,
muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre d'infarto mentre attende alla redazione della
sua ultima opera. Est Deus in nobis Contributo alla Nuova Evangelizzazione e,
nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento della
trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità
Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto
a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali. Convinto assertore dei rischi della dilagante
esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni
di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un
nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di
PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I. Saggi: “Il concetto legislativo di azione
penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica
della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia
politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il completamento
istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv. it. dir. e
proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale” (Salerno,
Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità democratica:
idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS --“Comunitarismo”
(Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma” (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per
pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3
"napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata
per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed.
Ibiskos de Lalla F., in "Il foro penale"
ilcambiamento,// ilcambiamento/ articoli/ evoluzione_2_ darwin_de_ lalla_millul.
ateneapoli,// ateneapoli/news/ archivio-storico/ reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio-
di-facolta--si-esprime- negativamente.
petizioni.com/ petizione _pro_prof_paolo de_lalla. Grice: “When I hear
that a philosopher has written yet another trattarello on the filosofia della
musica, I always thought not of Orpheus and his lute, but of NERO and his
lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary,
sexual selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Lalla” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Milone:
la setta d’ottimati di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to
Giamblico, a Pythagorean. He studied with Pythagoras himself. He died when an
anti-Pythagorean mob burnt his house down when he was inside it.
Grice e Minicio:
l’implicatura conversazionale d’Adriano nel diritto romano e Plinio minore-- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Military diploma (CIL) attesting his
consulship suffect consul. In office Nationality: Roman; Occupation: politician.
A Roman senator who holds several offices in the Emperor's service, and is an
acquaintance of PLINIO MINORE. He is suffect consul with Tito Vettenio Severo as
his colleague. He is best known as being the recipient of an edict from ADRIANO
(si veda) about conducting trials of Christians in his province. This is known
from an inscription recovered at Baloie in Bosnia. The first office listed is
military tribune with Legio XII Fulminata. Next is quaestor, and, upon
completion of this traditional Republican magistracy, he would be enrolled in
the Senate. Two more of the traditional Republican magistracies follow:
plebeian tribune and praetor. The last appointment, before the inscription
breaks off, is his commission as legatus legionis or commander of Legio XV
Apollinaris. Other sources attest that he was governor of Achaea. The terminus
post quem his governorship is when Gaio Caristanio Giuliano is known to have
governed. The terminus ante quem he leaves his post is the year of his
consulate, although the letters he receives from PLINIO MINORE (si veda)
indicate he is no longer in Achaea. The inscription from Baloie mentions he has
been admitted to the Septem-viri epulonum, one of the four most prestigious
ancient Roman priesthoods. Because this inscription does not mention his
consulate, it can be assumed his entrance precedes that office. Most, if not all, of the letters PLINIO
MINORE (si veda) writes to M. fall before is suffect consul. In the first
letter of his collection, PLINIO declares that living on his rural estate is
preferable to living in Rome, where he is subject to constant pleas for
assistance. The second letter petitions him to appoint the son of Plinio’s
friend ASINIO RUFO as M’s quaestor for M.’s upcoming consulate; The last letter
is another petition to M., canvassing him on behalf of GIULIO NASONE, who is
running for an unnamed office. While all of these letters demonstrate M. And
PLINIO MINORE are acquainted, they fail to show the warmth of a
friendship. Following his consulate,
during the reign of TRAIANO, M. is governor of Dalmatia. It is through a rescript the historian EUSEBIO
preserves at length in his Ecclesiae Historia that we know M. is proconsul of
Asia. M.' predecessor, QUINTO LICINIO SILAVNO GRANIANO, asks ADRIANO how to
handle legal cases where some inhabitants are accusing their neighbours of not
following the Roman cult through informers or mere clamour. ADRIANO’s reply is to
state that any such accusations had to be through a law court, where the matter
may be properly investigated, and if they are guilty of any illegality, thou M.,
must pronounce sentence according to the seriousness of the offence. This
rescript is important as an independent witness to the existence of one or more
non-Roman sects in this part of Anatolia. The only other contemporaneous
evidence we have for these communities is the list of the VII churches of Asia
in the book of Revelation. M.’s wife is
the daughter of a MARCO STATORIO. We know her name from a funerary inscription,
which suggests that she died before M.’s consulship. The name of their
daughter, Minicia Marcella, comes from two independent sources. Minicia dies young.
Her funerary vase has been identified, which states her age at death as XII
years, XI months, and VII days. PLINIO MINORE also attests to her existence,
revealing information about the girl that shows that he and M. are better
friends than the surviving letters he writes to M. suggest. In the letter,
addressed to one EFULANO MARCELLINO, Pliny notes that, although she was not yet
XIV years old, she was betrothed. Pliny describes the preparations for her
wedding, with which M. was busy; and he asks Marcellinus to send M. a letter
consoling him for his loss. It is not known if M. has any other children. Smallwood, Principates of Nerva, Trajan and
Hadrian, Cambridge, CIL, ILJug., Talbert, The Senate of Imperial Rome, Princeton;
Wheeler, "Legio XV Apollinaris: From Carnuntum to Satala—and beyond",
in Bohec and Wolff, eds. Les Légions de Rome sous le Haut-Empire, Paris; Eck,
"Jahres- und Provinzialfasten der senatorischen Statthalter”, Chiron; Pliny,
Epistulae, I.9 Syme, Tacitus, Clarendon;
Eusebius, Ecclesiae Historia; Williamson, Eusebius: The History of the Church, Harmondsworth:
Penguin; Political offices Preceded by Acilius Rufus, and Quintus Sosius
Senecio II Consul of the Roman Empire 107 with Titus Vettennius
SeverusSucceeded by Gaius Julius Longinus, and Gaius Valerius Paullinus
Categories: Roman governors of AchaiaSuffect consuls of Imperial RomeRoman governors
of DalmatiaRoman governors of AsiaEpulones of the Roman Empire Minicii. Keywords:
Roman law, Adriano a Minicio -- Gaio Minicio Fundano. Minicio.
Grice e Minucio:
l’implicatura conversazionale dell’eulogio ad Ottavio da Frontone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. He writes “Ottavio” – draws on a speech by Frontone.
La gente: Minucia – cf. Marco Minucio Felice.
Grice e Minnomaco:
la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean
according to Giamblico.
Minucio – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marco Minucio Felice – He wrote “Ottavio” – draws on
a speech by Frontone.
Grice e
Miraglia: l’implicatura conversazionale di CICERONE -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Grice:
“Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then
he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s
nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself,
compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si
laurea a Napoli, dopodiché insegna filosofia del diritto nella stessa
università, ed economia politica alla scuola superiore di agricoltura di
Portici. Segue una corrente di pensiero
eclettica, ad esso contemporanea, che mira all'integrazione di pratiche
giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Sindaco di Napoli. Tra le più famose si
ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda (Napoli); “Un
sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli). Nella sua
biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia, mentre nella
sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a Reggio di
Calabria. Giuseppe Erminio. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, (latinista) Sindaci di Napoli Senatori della
legislatura del Regno d'Italia Luigi
Miraglia, su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. su Senatori d'Italia, Senato della
Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del diritto. La speculazione greca
e LA DOTTRINA ROMANA. Fichte. Spedalierie Romagnosi. Gli scrittori della
reazione. La scuola storica e la scuola filosofica. Schelling e Scleiermacher. Hegel
Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di
Schelling. Sthal e Schopenhauer Il materialismo, il positivismo ed il
criticismo. L'idea della filosofia del diritto. La Filosofia e le scienze. Il carattere
della Filosofia mo. L'idea del Diritto
ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e
l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono civile di AMARI
ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do VICO
Amari , Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo
sviluppo del Diritto. L'induzione statistica. Il compito della deduzione.
L'universale astratto e l'universale concreto come principi. Moderna divinato
da VICO. La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del
Diritto se condo la dottrina di VICO, e le definizioni di Kant, di Hegel, di Trendelenburg,
di ROMAGNOSI e di SERBATI. La teoria sociale e la teoria giuridica. Il Diritto
e la Filosofia positiva. L'idea induttiva del Diritto. Lo studio della
coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della razza ariana e
della razza semi tica nella storia della civiltà. L'idea del diritto come
misura in LA RAZZA ARIANA. La misura riposta nel l'ordine fisico, nella legge
positiva e nella ragione. Il principio della personalità. Gl’elementi organici
e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del
materialismo. La teorica dell'evoluzione. La critica dell'evoluzionismo
meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento
fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine. Le
rappresentazioni sensibili e le rappresentazioni coscienti. Il pensare e le categorie. La cognizione secondo
l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria. I presupposti pratici
dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione. L'istinto, il desiderio
e la volontà. L'arbitrio e la libertà morale. La costanza degl’atti umani
rivelata dalla Statistica. Il fine dell'uomo ed il bene. Il bene umano ed il
Diritto. La forma imperativa, proibi. I presupposti teoretici dell'idea
deduttiva del Diritto. Seguito dei presupposti teoretici. tiva e permissiva del
Diritto. Il Diritto come principio di co-azione , di coesistenza e di armonia.
La tri-partizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio. Analisi critica
delle principali definizioni del Diritto. Le dottrine che riguardano a preferenza
il contenuto sensibile del diritto: Hobbes, Spinoza, Roussean, Mill e Spencer.
Le dottrine che considerano il diritto come astratta forma razionale: Kant, Fichte
ed Herbart. Le definizioni di Krause e di Trendelenburg. Ciò che vi è di vero
nelle dottrine esaminate. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il
Diritto come disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia.
Critica della confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento
comune e la differenza reale. L'Etica e la vita sociale.VICO, Süssmilch ed i
fisiocrati precursori della Scienza sociale. La Sociologia di Comte ed i vari
indirizzi. La Sociologia di Spencer. La Sociologia come Filosofia delle scienze
sociali. Le analogie tra la società e l'organismo. Le relazioni fra il Diritto
e la Scienza sociale. Il Diritto, l'Economia sociale e la Politica.
L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni.
L'Etica, la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come
presupposti dell'Economia. Il carattere del fatto economico. I rapporti tra il Diritto
e l'Economia. Il concetto della Politica. La Politica , la Scienza sociale,
l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato. Il Diritto razionale ed il
Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. La distinzione del Diritto razionale
dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume
primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La legislazione ed i codici.
L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo. Esame
delle diverse teorie sulla retroattività . Diritto Privato. La persona. I
diritti essenziali o innati ed i diritti accidentali o acquisiti. Il principio
dei diritti. Il diritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla libertà. I diritti
all'eguaglianza, alla sociabilità ed all'assistenza. Il diritto di lavoro . Il
concetto storico dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di
natura.Lo stato di na. tura dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto. La
persona ed i suoi diritti. Le persone incorporali. Lo scopo delle persone
incorporali. La teoria della fin. La proprietà e i modi di acquisto. La
proprietà e dil suo fondamento razionale. Dottrine in torno a questo
fondamento. Le limitazioni ed i temperamenti della proprietà. I modi originari
e deri vativi di acquisto La storia della proprietà e dei modi di acquisto.
L'attività procacciatrice dell'animale e dell'uomo. La storia della proprietà e
la storia della persona. La proprietà collettiva. La comunità di famiglia. Il Cristianesimo
ed il valore della persona individua. Il feudo. La riforma ed il diritto
naturale.La com piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata.
I modi di acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità
e la procedura civile.. ! all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei
filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti
essenziali della persona. I diritti innati e la Filosofia moderna. Il regime
dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che
riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui
juris. Le idee dei pubblicisti tedeschi.Il soggetto reale nella corporazione e
nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi
dello Stato. La teoria di Giorgi. La proprietá prediale. Il collettivismo
territoriale. La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di
Spencer sulla proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita.
Le dottrine di George e di Loria sul la terra La proprietà forestale e
mineraria. Le funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue
ragioni. La proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli
argomenti in favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attribuisce la
miniera allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro
prietà. La coalizione e lo sciopero. La giuria industriale.La proprietà del
capitale ed il profitto. Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx.
La critica del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni
degl'intraprenditori. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di
scopritore. Il concetto della proprietà commerciale. La libertà dello scambio.
La concorrenza. La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima
e dopo l'in La propriatà industriale. La classificazione dei diritti
sulla cosa altrui. Le servitù gimento dell'istituto nelle legislazioni.
Esposizione critica delle varie dottrine assolute e relative. Il fon damento
razionale. La critica della teoria di Ihering sulla volontà di possedere. Le
obbligazioni. zioni. Le loro varie specie e modalità. I differenti modi di
estinzione . Il contratto e le sue forme. L'indole del possesso. La sua
origine storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine. Le fonti delle obbliga
La nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti
essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei
contratti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg. venzione
della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del diritto
dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In quali modi
le servitù nascono, si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La superficie.
Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il possesso. La
libertà di contrarre ed il contratto di lavoro. La libertà di contrarre, i suoi
limiti e la sua guarentigia.. L'interesse e la sua limitazione. La libertà
dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma
dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usura come delitto. Critica
della teoria di Stein. La figura specialedeldelittodiusura.La leggeela vita. La
società, la cambiale, il trasporto e alcuni contratti aleatori. Il contratto di
società e le sue forme. La società e la. Il prestito usurario. persona
incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza. La cambiale
antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto. L'assicurazione e le
nuove teorie. Il giuoco. La missione sociale del diritto privato. L'eguaglianza
delle parti nella locazione di opera. I sistemi che regolano la responsabilità
dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L
accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli animali. Le teoriedi LUCREZIO
e di VICO. Le unioni pri mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto.
Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar . matrimonio. Le sue
condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I
rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di Bebel e le idee
di Spencer. I sistemi con cui si regolano i beni nel matrimonio.
L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità.
Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai
diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il divorzio e la
Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele. La tendenza a rivivere in altri. Il
fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cura. L'adozione.
I figli nati fuori del matrimonio. La ricerca della paternità. La
legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto
dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La
successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento
cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di
specificazione e la fine della famiglia. L'amore come fondamento del
matrimonio. L'idea del La societá coniugale.. La società parentale. della
successione. Il condominio domestico ed il diritto di proprietà come basi della
successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della
parentela e del grado. La capacità
di succedere. Le classi degli eredi. La rappresentazione. La capacità di
testare e di ricevere per testamento. Le specie di testamenti, La legittima. Il
diritto di rappresentazione e la successione testamentaria. L'errore nella
causa finale ed impulsiva, e le condizioni.Il diritto di accrescere. La
sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di
successione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del diritto e
della politica. Il volere in siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi
negli ordini superiori ed inflessibili dello stato, e dall'altro comincia a
svolgersi in forma di diritto individuale. Con il principio del volere, di sua
natura soggettivo, il diritto privato non può non sorgere, e lo stato non può
più per lunghissimo tempo conservare le rozze sembianze d'una organica
oggettività naturale. In Roma, il diritto privato ė nei suoi primi momenti
stretto, ferreo ed arcano. Poi è ampliato, oltre al divenire palese, giovato,
supplito e corretto dall'equità, ch'è lo stesso diritto in opposizione ad una
legge, la quale non ha saputo attuarlo. Alla fine è diritto umano, e per
conseguenza proclama il principio, che la schiavitù, istituto delle genti e contronatura,
non riguarda l'anima, echegliuomi ni innanzi al diritto naturale sono liberi ed
eguali. CICERONE, il filosofo più alto del mondo romano, non avendo
coscienza scientifica della manifestazione del diritto soggettivo, come atto
dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa realtà romana. CICERONE
non è autore di una filosofia propria, e segue d’ecclettico gli scrittori greci.
CICERONE professa il dubbio, non crede che la mente possa Il vuoto
soggetto, rappresentato dall’accademici come oggetto, riceve ora tutta la sua
concretezza, ed è in seno del Cristianesimo determinato quale Verbo o mente
assoluta. La filosofia quinci innanzi s'informa al principio soggettivo.
L'uomo, immagine di Dio ed in carnazione del verbo, si riabilita; e lo stato
antico, perdendo il suo alto significato, è costretto a rimpiccolirsi. La parte
più intima dell'individuo non è più sottoposta alla potestà politica , sibbene
alle nuove credenze, che in origine si mantengono in quell'ambiente ce leste in
cui sono nate, e si oppongono al mondo ancora pagano. L'Apostolo scorge una
contraddizione tra gli stimoli della carne e gl’impulsi dello spirito. LATTANZIO
crede che la vera giustizia sia nel culto di un divino unico, ignoto ai
gentili. AGOSTINO parla di una città celeste, sede di verità e di giustizia, in
antitesi alla città terre stre, fondazione di fratricidi e prodotto del peccato
pri 6 essere assolutamente certa, é pago della semplice verosimiglianza. Nell'etica
elimina il dubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza
immediata, in cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere
umano, per definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di
esso. Preferisce il principio etico del PORTICO, che tempera da uomo pratico. Trae
il diritto non dalle leggi di le XII tavole o dall'editto, ma dalla natura
umana. Riproduce la teoria aristotelica del lo stato, e si attiene alla forma
mista, propria degl’ordinamenti politici di Roma. Luigi Miraglia. Miraglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Misefari: l’implicatura conversazionale -- implicatura anarchica – filosofia calabrese – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo italiano.
‘Io non sono italiano; io sono calabrese!” Fratello di Enzo (politico calabrese
del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più
conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di
Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo
"Bruno Filippi"). Dopo aver frequentato la scuola elementare
del piccolo paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si
trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato
dalle frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò
attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista
(intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a
collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio
Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello
stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a
Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Binazzi. A causa
della sua attività anti-militarista esercitata all'interno del Circolo contro
la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e mezzo di carcere
per «istigazione alla pubblica disobbedienza». Fu nei due anni successivi
che M. si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la
frequentazione da parte di Berti, suo
professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele
Piria". Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo
avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere
al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in
quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa
del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era
proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a
lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad
allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a
Napoli contava allora di un centinaio di aderenti. Si rifiuta di
partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro
mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta, trovando rifugio nella
campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio Calabria,
interruppe una manifestazione interventista nella centrale Piazza Garibaldi,
salendo sul palco e pronunciando un discorso antimilitarista. Venne per questo
motivo arrestato e condotto presso il carcere militare di Acireale; sette mesi
dopo venne trasferito presso quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere
grazie alla complicità di un amico secondino. Fu tuttavia intercettato alla
frontiera del confine svizzero; ancora incarcerato, riuscì nuovamente nella
fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al carcere di
Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un uomo
politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di scegliere
il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare
Misiano, suo caro amico e noto esponente politico socialista, anche lui
accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli,
dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita.
Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica
tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici,
collaborando anche al giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una
serie di conferenze in varie città della Svizzera. M. si autoannunciava con un
suo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa
socialista di Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse
gestita dai disertori Monnanni, Ghezzi e Arrigoni; in questi ambienti conosce
anche Angelica Balabanoff. Venne arrestato per un complotto inventato
dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato una
rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario». Con
lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso
Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico).
Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera. Grazie ad
un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di studio, si recò
a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Zetkin (che gli rilascia una lunga
intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e Vincenzo Ferrer. Poté
rientrare in patria, in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è
a Napoli e poi a Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita
militante di M. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si
prodigò a favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le
provocazioni della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista
anarchico Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In
autunno fu chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista
presso la locale Camera del Lavoro Sindacale. Ha stretti contatti con
Malatesta, Berneri, Binazzi, Borghi, Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo
e del sovversivismo italiano. Si impegnò su più fronti per la campagna a favore
degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente di:
Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Malatesta e collaborò al
periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli
con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Zanolli, che sposò. Si laureò a Napoli. Successivamente
si iscrisse anche alla facoltà di filosofia. Nonostante l'avvento del
fascismo, fondò un giornale libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il
quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del
giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi sono e cosa vogliono gli
anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo pensiero libertario:
«L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle
organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento
progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.» Da esperto
di geologia, progettò per primo in Calabria l'industria del vetro e fondò a
Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese).
In quegli stessi anni subì però persecuzioni continue da parte del regime. E cancellato
dall'Albo di categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa
l'accusa di avere «attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di
uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere.
La polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il funerale di un
amico (tra l'altro un industriale fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica
e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere
si sposa con Pia Zanolli, fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza.
Tuttavia sembra che tale provvedimento fosse stato determinato da altri motivi.
M., che era ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello
sfruttamento su larga scala di giacimenti di quarzo, materia prima per
l'industria vetraria, che fino a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai
silicati stranieri. Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria
Calabrese (di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella)
egli si era dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del
consiglio di amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di
eliminarlo in qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia
e Libertà, in un articolo anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di
un ingegnere libertario», attribuisce la causa del confino alle manovre dei
suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro
del Grande Oriente d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria.
L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni.
Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie:
"Amnistiato sì, però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un
soldo, senza prospettive per l'avvenire". Gli viene diagnosticata
l'esistenza di un tumore alla testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a
Reggio Calabria. Riesce a trovare il capitale necessario per l'impianto di uno
stabilimento per lo sfruttamento della silice a Davoli (in provincia di
Catanzaro). Le sue condizioni di salute peggiorano a causa del tumore.
Perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella clinica romana del
Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera stessa. Ancora
ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi contro l'ingiustizia del mondo che lo
circondava: Palizzi Superiore, un paese tra i monti dove il castello feudale
dei signori locali dominava la valle, dove si ammucchiavano piccole e povere case
desolate di contadini. E si ribellò a quel mondo, costruito secondo
quell'immagine topografica che portava impresso nella memoria: sopra, chi
comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E ancora ragazzo cominciò a
sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse sovvertita prima, distrutta poi.
Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo marxistico o al socialismo
libertario. Del primo apprezzava l'analisi dell'antagonismo tra le classi, ma
mostrava perplessità circa i mezzi proposti dalla diagnosi marxistica per
fronteggiare il pericolo di una rivincita dell'avversario di classe. Inclinò
perciò verso il socialismo libertario. «Nel comunismo libertario io sarò
ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante del comunismo.
L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. esso dunque è, e sarà
sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come domani. M., Taccuino
personale. La scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di
combattere non la guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il
mondo contro il loro nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo.
Pur sottoposto senza tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione
della magistratura, fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e
soffrivano. Come ogni rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col
confino la sua fede in un ideale. Chi sono gli anarchici. Secondo M.,
essere anarchici voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza,
l'inviolabilità della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione
della proprietà privata e a favore della socializzazione dei mezzi di
produzione e di scambio. Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei
socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta
contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato
non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici
sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della
lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale.
È comunque una lotta che non si fa violenta. Misefari è fortemente pacifista,
contrario all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre
antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento
per l'umanità". Antimilitarismo Per M. la guerra è pura barbarie,
speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato. «L'esistenza
del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile
sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana.
Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che
la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza
assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della
barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.» Religione La
religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche della mente
umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie morali dell'uomo,
a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i popoli più religiosi
sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la
religione sparisce, lì è florida la libertà e il benessere. «È il più
solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è
anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del male.» È forte nel
pensiero di M. la volontà di sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e
donna. In anni difficili e lontani dalle battaglie del femminismo di metà
Novecento, egli afferma che la donna nobilita e abbellisce la condizione di
vita umana. È dovere della donna lottare per risollevarsi da una condizione di
inferiorità, che è tale in virtù di un "delitto sociale" e non dovuta
a leggi di natura. «Donne, in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete,
noi siamo uguali!» M. vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non
esiste un artista, che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai
messo al servizio della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non
poteva. «Un poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione,
che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un
morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli,
perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da M.:
FALCO RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i
fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi
spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e
di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core
la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho
giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio
la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè
Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal fango
mirate del falco il libero volo.» Frammenti «Prima di pensare di
rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi
stessi» «Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve
da fanciullo. Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non
li riguardanoseguono invece le leggi della natura» «Prima l'educazione
del cuore, poi l'educazione della mente» «Socialismo vuol dire
uguaglianza, vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà;
come la libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e
anarchia sono due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori
della redenzione proletaria.» «Quando la giustizia non sarà la durda
infame delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non
sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola
nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà
benedetto.» «M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò
viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben
coi morti! (epitaffio) Opere complete M.,
Schiaffi e carezze, Roma, Morara, M., Diario di un disertore, La Nuova Italia,
Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo pseudonimo Furio
Sbarnemi. Le schede biografiche di alcuni esponenti anarchici calabresi,
A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E. Misefari. Antonioli, Pia Zanolli era nata a Belluno. Dopo il
matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi pericolosi,
venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista Anarchica) Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, ed.
settembre. Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma, La
Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro Stampa, E. Misefari,
biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M. Antonioli, Gianpietro
Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici
italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi,
Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi,
Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno
Misefari presso l'International Institute of Social History di Amsterdam, su
iisg.amsterdam, Fondo M. presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su
fondazione basso. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio
Sacchetti. Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moderato: da Crotone a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Scuole Pitagoriche.
Attivo in epoca neroniana. Scrisse Lezioni pitagoriche, un'opera
articolata in dieci libri, in cui l'autore, rappresentante di quella scuola di
pensiero che assommava nel sincretismo ellenistico temi platonici, pitagorici,
greci e orientali, pone in antitesi la «Triade» spirituale, rappresentata
dall'Uno, l'Intelletto, l'Anima, alla «Diade» rappresentata dalla materia. Di
tale opera ci restano solo alcuni frammenti tramandatici da Stobeo. Sembra che
le sue Lezioni ebbero una certa influenza sul Neoplatonismo. Calle, Un pitágorico
en Gades (Philostr., VA). Uso, abuso y comentario de una tradición, Gallaecia. Collegamenti
esterni Moderato di Gades, su Treccani.it – Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Calogero, M, Enciclopedia; M. Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia M., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Categorie: Filosofi romani Persone legate a Cadice Neopitagorici.
Moderato.
Grice e
Modio: l’implicatura conversazionale del disonore sessuale -- la filosofia del
Tevere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Santa
Severina). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy a philosopher writes a
treatise on a river – although the Isis would not be out of place for some
Magdalenite!” – Grice: “His convito is a jewel!” – Seguace di Neri. Originario
di Santa Severina, borgo collinare della Calabria Ulteriore, fu avviato agli
studi di filosofia presso l'Archiginnasio di Napoli; in seguito passò a Roma,
dove si avviò agli studi in medicina divenendo allievo di Fusconi. Modio frequenta gli ambienti accademici, dove
entrò in contatto con alcuni dei maggiori esponenti di spicco di quell'epoca
come Molza e Tolomei. Pubblica la sua
prima opera letteraria più famosa dal titolo I”l convito; overo, del peso della
moglie: un dialogo diegetico” (Roma, Bressani) -- ambientato a Roma durante il
carnevale della città capitolina, in cui viene trattato il tema delle corna
durante un convivio presieduto dall'allora vescovo di Piacenza Trivulzio e a
cui parteciparono anche Gambara, Marmitta, Benci, Selvago, Raineri e Cesario. E
altresì grande estimatore degli saggi di Piccolomini. Durante la stesura in lingua volgare di un
Operetta de’ Sogni, si ammala di febbre altissima. Si spense dopo qualche
giorno a Roma, nella tenuta di palazzo Ricci in via Giulia. Altri saggi: “Il Tevere, dove si ragiona in
generale della natura di tutte le acque, et in particolare di quella del fiume
di Roma” (Roma, Luchini) “Origine del proverbio che si suol dire "anzi
corna che croci" (Roma, A. degli Antonii,” Jacopone da Todi, I Cantici del
beato Iacopone da Todi, con diligenza ristampati, con la gionta di alcuni
discorsi sopra di essi e con la vita sua nuovamente posta in luce” (Roma,
Salviano). Prospetto autore, su edit16.iccu.. Modio, Il Tevere, cit., c.
45r Anno di pubblicazione della medesima
opera. G. Cassiani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being taken in the
study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights the impact
that recent scholarship has had in revealing innovative ways of approaching
this subject.In this interdisciplinary volume, twelve scholars of history,
literature, art history, and philosophy use a variety of both textual and
visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics, sexual
transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
influence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from politics
and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder deals with
issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part II: Sense
and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the senses and
emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image investigates
gender, sexuality, and erotica in art and literature.Bringing to life this
increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and Sexuality in
Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and early modern
gender and sexuality. SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Sex,
Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being
taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights
the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of
approaching this subject. In this interdisciplinary volume, twelve scholars of
history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual
and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics,
sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
inf luence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from
politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder
deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part
II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the
senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image
investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature. Bringing to
life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and
early modern gender and sexuality. Dedication This collection is dedicated to
Konrad Eisenbichler, a true Renaissance man who produces bold and prodigious
scholarship in multiple research areas with grace, ease, and erudition. For
Konrad, sociability is correlated with scholarship. He has spent his career
creating communities and networks of scholars around the world. These networks
have been brought together through his tireless work for learned societies,
publication series, and journals. Konrad not only produces scholarship but is
also heavily invested in disseminating the scholarship of others. Scholarly
interests often have unusual and serendipitous origins. In a certain sense,
this collection began with a codpiece. Konrad’s first scholarly contribution to
the field of sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy developed out of a
casual conversation with a colleague who provided enthusiastic encouragement.
What resulted was a presentation playfully entitled “The Dynastic Codpiece” to
the Canadian Society for Renaissance Studies in 1987. He revised and published
it as “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere” (Renaissance
and Reformation, 1988), an article still cited thirty years later. In this
truly groundbreaking interdisciplinary piece, Konrad examined the overly large
codpieces worn by Renaissance men for the social and familial messages they
conveyed, showing how the messages passed between the generations in competing dynastic
portraits. The article established Konrad as a new and powerful voice in the
study of sex, gender, and sexuality in the Italian Renaissance. It also
illustrated beautifully how his scholarship is inherently interdisciplinary,
bridging and incorporating history and literature with artistic
representations. Konrad greets friends, colleagues, and students with warmth,
good humor, and generosity. A significant manifestation of his academic
hospitality is revealed in the multitude of conferences he has organized: forty
between 1983 and 2018. These are special events, international in nature, and
ref lecting the hostorganizer’s generosity. They are venues conducive to the
exchange of ideas and the formation of friendships. It is most appropriate that
the most recent of these focused on “Early Modern Cultures of Hospitality.” The
themes generally ref lect Konrad’s sense of the discipline and where it is
going; these conferences most often culminate in a significant collection of
essays, including Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West (1996; co-edited with Jacqueline Murray) which helped to promote the study
of sex, gender, and sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Konrad has
made myriad contributions to individuals and institutions. His contributions to
Renaissance scholarship span social history, women’s history, religious
history, and literature. He publishes equally in Italian and English,moving
easily between scholarly cultures. A scholar with a global reach, he interacts with
colleagues spread across North America, to Italy and Europe more broadly, as
well as Australia and South Africa. The heart of his many contributions to the
study of Italian Renaissance society lies in his research on sex, gender, and
sexuality. In recognition of that, some of his friends and colleagues joined to
celebrate Konrad’s creativity, scholarship, and friendship with essays that
demonstrate the creative developments in the field since that fateful codpiece
three decades ago. We are honored to dedicate this volume to Konrad
Eisenbichler in recognition of his extraordinary contribution to Renaissance
society and culture. Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy: themes
and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraix
xi xii1PART ISex, order, and disorder192 The lord who rejected love, or the
Griselda story (X, 10) reconsidered yet again Guido Ruggiero213 Sexual violence
in the Sienese state before and after the fall of the republic Elena Brizio354
In the neighborhood: residence, community, and the sex trade in early modern
Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra535 Though popes said don’t, some
people did: adulteresses in Catholic Reformation Rome Elizabeth S. Cohen Sense
and sensuality in sex and gender 6 “Bodily things” and brides of Christ: the
case of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia
Simons 7 In bed with Ludovico Santa Croce Thomas V. Cohen 8 Aesthetics, dress,
and militant masculinity in Castiglione’s Courtier Gerry Milligan9 The sausage
wars: or how the sausage and carne battled for gastronomic and social prestige
in Renaissance literature and culture Laura Giannetti Visualizing sexuality in
word and image18110 Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”: homosexuality in art,
life, and history James M. Saslow18311 Vagina dialogues: Piccolomini’s
Raffaella and Aretino’s Ragionamenti Ian Frederick Moulton21112 Giovan Battista
della Porta’s erotomanic art of recollection Sergius Kodera22713 “O mie arti
fallaci”: Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane
Tylus247Bibliography of Konrad Eisenbichler’s publications on sex and gender The editors would like to thank Vanessa
McCarthy who donned two hats for this project, that of an author and that of
editorial associate. Her scholarly knowledge and administrative expertise
contributed significantly to the preparation of this volume, and we’re grateful
for her dedication and expertise. We would like to thank the editorial team at
Routledge for their support and guidance over the course of this project. Laura
Pilsworth guided it through its inception and commissioning, while Lydia de
Cruz shepherded it through the final stages of preparation and production,
assisted by Morwenna Scott. The University of Guelph and the University of
Toronto provide generous support for the research activities of Jacqueline
Murray and Nicholas Terpstra respectively. Thanks as well to the congenial
group of scholars whose work is collected here. While editing collections is
sometimes likened to herding cats, these colleagues were responsive, generous,
and patient. Above all, they were enthusiastic about the opportunity to
contribute to a collection which could serve as a gift to a friend and
colleague, Konrad Eisenbichler, who has himself been the soul of generosity. We
are honored to have worked with you all. Themes and approaches in recent
scholarship. From the mid-nineteenth through the mid-twentieth centuries, the
Italian Renaissance was approached almost exclusively as a period of learning,
elegance, and manners as ref lected by the arts and letters of the time. In The
Book of the Courtier Castiglione’s perfect courtier embodied virtù and
sprezzatura, the two qualities that epitomized Renaissance masculinity. Elite
men were celebrated for their bravado, skill, and insouciant nonchalance,
whether these were exercised on the fields of battle, the production of art or
poetry, or the seduction of women. Castiglione also details the qualities of
the ideal court lady, a woman valued for her beauty and affability along with
her manners, intellect, and ability to please men. These qualities were
appreciated equally in another group of notable women, the courtesans whose
beauty and literary accomplishments were acclaimed by poets and artists alike.
Thanks in part to the enduring inf luence of Jackob Burckhardt’s Civilisation
of the Renaissance in Italy (1860; English translation 1878), this idealized
portrayal of sixteenth-century Italian men and women dominated
twentieth-century historiography and shaped how a number of generations
understood sex, gender, and sexuality in the Renaissance. The idealized
creations of Castiglione and Burckhardt, their princes and poets, court ladies
and courtesans, appeared as the bright stars in the Renaissance firmament, and
contributed to the lure of the field. Yet all along they were chimeras,
stereotypes created by Renaissance elites and perpetuated by modern scholars of
Renaissance culture. Even when individuals appeared to embody these ideal
qualities, they were the exceptions, standing apart from thousands of their
contemporaries, urban and rural, rich and poor, educated and illiterate,
respectable and disreputable. The idealized courtier, court lady, and courtesan
obscure everyday life in Renaissance Italy. In the 1970s, scholars began to ask
new questions that ultimately led to a recalibration of research on the history
of sex, gender, and sexuality in the2Jacqueline Murray and Nicholas
TerpstraRenaissance. One of the earliest collections was Human Sexuality in the
Middle Ages and Renaissance (edited by Douglas Radcliff-Umstead, 1978), which
includes topics that are wide ranging and represent a variety of disciplinary
perspectives. They include sexuality within marriage, sexual sins and
eroticism, celibacy, hermaphrodites, homosexuality, and how the human body was
understood. These essays from the 1970s foreground important questions about
sex, gender, and sexuality in the past. Yet their scope and insights are
constrained. Most essays are based on close, summative readings of literary
texts from Dante and Chaucer to Shakespeare and other imaginative authors, but
these close readings of texts lack the contextualization or critical
perspective to enhance their insights. While the occasional essay engages with
multiple sources and genres, the absence of critical theoretical and
interdisciplinary analysis inhibits the development of a more comprehensive
picture of how issues of human sexuality were actually addressed at this time.
Significantly, however, the authors did identify emerging themes that would
become central to the study of sex, gender, and sexuality. This collection
opened the way to the study of topics such as the nature of the sexed human
body, the complexities of celibacy as a sexuality, and the f luidity of
sexualities and genders. While prescient in research subjects, the authors did
not employ the theoretical and methodological tools that developed soon after
publication, tools that were necessary for deeper and more complex analyses of
sex, gender, and sexuality. These tools were being forged with the new theories
and methodologies of the 1970s that were opening new research subjects and that
led to innovations and new definitions of the individual and the self. A series
of studies in that decade revolutionized scholarship and have continued to have
a transformative inf luence on the understanding of the history of sex, gender,
and sexuality into the twenty-first century. The most inf luential authors
behind this work perceived the Renaissance to be more complex both in the
quotidian aspects of daily life and also in extraordinary behaviors. In 1978,
the first volume of Michel Foucault’s The History of Sexuality occasioned both
excitement and consternation among historians of sex. Foucault, a philosopher and
leading post-structuralist scholar, wrote extensively on social construction
and social control in European society, including studies of prisons, madness,
and surveillance. These perspectives informed his ref lections about the
construction and control of sexuality in the European past. Indeed, Foucault’s
intervention challenged scholars to reexamine their approaches to sex and
sexuality. Another major contribution to the recalibrating of historical
studies of sex, gender, and sexuality was John Boswell’s Christianity, Social
Tolerance, and Homosexuality (1980). Boswell demonstrated that in the premodern
world there were men who engaged in homosocial and/or homosexual relationships,
although traditional history had obscured them behind the ecclesiastical
rhetoric of homophobia. Boswell argued that there were gay men throughout
premodern Europe but his methodology and conclusions were criticized as
essentialist and lacking the appropriate consideration of context and cultural
inf luences such as Foucault had urged. Nevertheless, despite criticismsSex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy 3about essentialism, Boswell did
uncover homosexual (sodomitical) and homoaffective men across society,
integrated into both clerical and secular societies. In this way, Boswell
forged a path for scholars to search for and analyze multiple sexualities that
had been overlooked by traditional history or were obscured by the absence of
explicit evidence. One of the most telling criticisms levelled at both Foucault
and Boswell was their neglect of gender as a category of historical analysis.
Arguably, men and women experience the world differently according to how
society evaluates and constructs women. This applies equally in the realm of
sex and sexuality, which is neither natural nor essential. Foucault paid scarce
attention to women’s alternative experience of social construction and
surveillance of sex and sexuality. Similarly, while lauded for opening the past
for research on homosexuality, Boswell was criticized for eliding lesbians and
other non-normative women under the category “gay,” thus perpetuating their
invisibility. A more refined and incisive analytical framework emerged out of
these debates. What began as women’s history in the 1970s, with the goal of
recuperating women in the past, transformed into the critical lens of feminist
studies, which analyzed the institutions and structures that restricted or
shaped their lives, or contributed to their invisibility in historical
scholarship. The other significant theoretical contribution to the new study of
sex, gender, and sexuality falls under the rubric of cultural studies. This is
a multifaceted approach emerging from literary studies, postmodernism,
discourse analysis, and other theoretical perspectives that provided scholars
with new linguistic and analytical tools. This versatile and complex
perspective also encouraged explicitly interdisciplinary research which suits
the intricate nature of sex, gender, and sexuality. As a result, there is a
richer sense of the possibilities that were available for the lived reality of
sex, gender, and sexuality and an expanded ability to study and evaluate the
values, beliefs, and experiences of people in the past. These innovations
emerged at a time when the traditional Burckhardtian narratives were being
widely criticized by political, social, and intellectual historians, and by the
mid-1980s new scholarship was appearing that brought new insights to sex and
gender in the Italian Renaissance. They applied methodologies that bridged
differences in social and economic status, sex, sexuality, and gender,
geography, and religion. While the traditional sources of high culture—art and
literature in particular—continued to provide a valuable foundation for
understanding the rich cultural life and artefacts of the Renaissance, new
analytical approaches yielded new insights. Diverse sources of evidence—court
records, letters, chronicles, and Inquisitorial documents, among
others—provided access to new populations including servants and prostitutes
and the inhabitants of the streets and taverns of myriad Italian towns and
cities. These new critical studies were a prelude to the research that would
appear in the next two decades. Guido Ruggiero’s The Boundaries of Eros: Sex
Crime and Sexuality in Renaissance Venice (1985) early on demonstrated how new
methodologies and new sources were able to reveal hitherto unexplored worlds of
Renaissance sex, gender, and4Jacqueline Murray and Nicholas Terpstrasexuality.
Ruggiero examines the wide variety of sex crimes that were committed in Venice
and he analyzes the various courts and disciplinary councils which enforced the
laws, including those pertaining to sexual transgressions. The records reveal
an intricate and contradictory approach to regulating sexuality that extended
from conventional acts such as adultery and fornication to more egregious
behaviors including rape and sodomy. Ruggiero’s essays meet the challenges and
opportunities posed by Foucault and Boswell, by feminist history and gender studies.
His interdisciplinary reading of the evidence, ranging from the many cases
discussed by the criminal courts, along with careful analysis of individual
testimony, widened the scope of enquiry. Ruggiero’s discussion reveals the rich
detail about individuals, as they negotiated the social norms of sexuality and
gender. He brings readers to an understanding of the social context and how
individuals were integrated into their local communities and that of wider
Venetian society. The movement towards more sophisticated, nuanced, and focused
considerations is also ref lected in Forbidden Friendships: Homosexuality and
Male Culture in Renaissance Florence (1996) by Michael Rocke. In many ways,
Rocke took on the challenge presented by John Boswell to identify men who had
sex with men in their social contexts. Rather than othering them or pulling
these men out of their community, Rocke engages with homosexuality as an
integral part of Florentine society and culture. He examines seventy years of
documentation from the “Office of the Night,” which was established to oversee
denunciations of homosexual (sodomitical) activity. This allowed Rocke to trace
the nature of relationships between men, how they were treated by society, how
and why they were denounced to the court, and the penalties levied. His
scholarship reveals that, despite the harsh evaluation of sodomy in
ecclesiastical law and in various secular jurisdictions, Florence displayed
remarkable tolerance. Where Boswell’s research had scanned 1000 years of European
history, seeking to identify men who were possibly homosexual, Rocke analyzes
deep and focused sources to identify a specific group of men, applying
sophisticated theoretical and methodological tools to reveal new understandings
of non-normative sexuality in the Italian Renaissance. Judith Brown’s Immodest
Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986) similarly
contributed to the new approaches to sexuality and identity. She focused on
non-normative sexuality, although in a unique context. Here the background is
not the streets, homes, and markets of the large, cosmopolitan cities of
Renaissance Italy. Rather, Brown’s subjects lived within the walls of a
convent, separated from the worldly temptations of secular life. Yet, even in a
community of women vowed to chastity, Brown finds convoluted self-identities
and a sexual relationship between two women that was transgressive and
multivalent. The case of the “lesbian nun” Benedetta Carlini was instantly
controversial. Could two nuns possibly have a conscious lesbian sexual
identity, given the social norms and religious context in which they lived?
This is the same criticism that greeted John Boswell’s assertions about “gay”
men in premodern Europe.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 5There
was widespread agreement that categories such as gay or lesbian were products
of late twentieth-century Western society and to impose them back in time was
anachronistic and misleading. Moreover, in this case, the individuals evoked
far more questions than those of sexual identity or sexual activity, with a
relationship complicated by angelic possession and mystical visions. The debate
surrounding Carlini’s activities and identities continues, as Patricia Simon’s
essay in this collection demonstrates. Yet one of the most enduring
contributions of Brown’s study, for the history of sexuality and gender, is her
ability to cross 600 years and engage intimately with individuals of the past.
This is a history of two nuns, in an out-of-the-way convent, who experienced
rich and problematic inner lives, beyond what might be expected. Whether the
women can be categorized as “lesbians” does not dispel the impact of
recuperating lost women and a lost past, the meaning and implications of which
continue to attract scholarly analysis. The profound transformation that
occurred between 1978 and 1996 in the study of sex, gender, and sexuality in
premodern Europe began with the recognition of new topics and moved to a more
rigorous application of the intervening theoretical and methodological insights
of Foucault and Boswell, of feminism and cultural studies. If the former
approach is exemplified by essays collected in Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance (1978), the latter is evident in the essays in Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler, 1996). This volume stresses that human behavior
manifests both continuities and transitions that can be independently evaluated
and separated from arbitrary and obsolete periodization. Many essays integrate
traditional periods moving seamlessly into a premodern world. Some essays rely
on traditional Renaissance evidence but deploy law, art, and literature to
examine new research questions. Rona Goffen examines Titian’s frescoes to
explore misogyny. Other authors address innovative, even bold or cheeky themes.
Feminism and critical theory are deployed throughout the collection. The
usefulness of interdisciplinarity to reveal new aspects of society and cultural
experience is equally evident. Dyan Elliott’s reexamination of the reciprocity
of the conjugal debt, the notion that a husband and wife have equal call on
their spouse for sexual access jostles the foundations of premodern marriage.
Rather than accepting the idea that a married couple’s sex life was balanced
and equitable, Elliott concludes that wives were subordinate even in bed and
had no right to refuse sexual intercourse. Ivana Elbl examines the doubly
transgressive sexual liaisons among Portuguese sailors to Africa. Sailors, who
were often already married with families in Europe, frequently formed enduring
relationships with African “wives,” transgressing both Christian monogamy and
establishing irregular relationships with non-Christian women. Significantly,
in Africa these unions were ignored or tolerated by Portuguese leaders,
ecclesiastical as much as secular. More theoretically adventuresome is Nancy
Partner’s exploration of the psychological dimensions of sexuality. She applies
contemporary psychological theory, in particular Freud, to assess the sexual
dimensions6Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraof mystics and their ecstatic
visions. Even the realm of masturbatory pornography is probed through Andrew
Taylor’s critical reading of marginalia and other physical marks and stains on
manuscript pages which could ref lect the sexual responses of readers to the
texts. The essays in Desire and Discipline reveal the richness, diversity, and
intellectually invigorating research that in just two decades had made the new
field of sex, gender, and sexuality one of the most exciting areas in
Renaissance studies. While ref lecting new research areas, the roots of which
can be found in the theoretical and methodological innovations in the late
twentieth century, the essays in Desire and Discipline build upon traditional
topics and themes and frequently employ conventional Renaissance sources, to
stimulate a metamorphosis of old research perspectives into new and innovative
ones. Thus, the ideal courtier has become a man subject to gender-based
analysis while the lens of feminist analysis reveals the court lady to be not
so much an equal but rather a pale, subordinate shadow to the courtier.
Similarly, freed from her artificial manners and learning, the courtesan is
revealed as a masculine fiction sanitized from the precarious and harsh life of
Renaissance prostitutes. The last quarter of the twentieth century, then, was a
watershed for the historiography of sex, gender, and sexuality. Pioneering scholarship
foreshadowed issues that would preoccupy later scholars and set the trajectory
for subsequent research. This scaffolding of new research questions, theories,
and methodologies has resulted in creative approaches that are rapidly
transforming the field. While monographs have been, and continue to be, written
about sex, gender, and sexuality in the Renaissance, it seems that these
topics, at this point in the evolution of scholarship, lend themselves more
readily to the genres of essays or journal articles. The essay form allows
scholars to analyze focused bodies of evidence and arrive at conclusions that
are precise and demonstrable. Presumably, at some point these focused studies
will coalesce into broader discussions leading to more generalized conclusions.
For the moment, however, the essay collection remains the most significant
means for the dissemination of research. Two essay collections in particular
demonstrate the very promising new approaches to research into sex, gender, and
sexuality in the twenty-first century. In A Cultural History of the Human Body
in the Renaissance (2010), Katherine Crawford provides a chapter that offers
redirection from the perspectives of Foucault. She points back to the important
role of classical literature, mediated by Christian values, in the formation of
beliefs about sexuality and marriage, and classical medical literature which
defined the sexed body. In A Cultural History of Sexuality edited by Bette
Talvacchia (2011), nine essays address a wide variety of questions about
Renaissance sexuality as they emerge from diverse sources. Essays focus on the
troubled categories of heterosexuality and homosexuality, and sex with respect
to religion, medicine, popular beliefs, prostitution, and erotica.
Collectively, this collection opens wide the possibilities in the study of sex,
gender, and sexuality.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 7In order
best to demonstrate how recent work has reshaped and advanced the field of sex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy, we have organized the essays of
this collection into three sections. The first, “Sex, Order, and Disorder,”
deals primarily with issues relating to legal and political themes, and
particularly with efforts by authorities both political and ecclesiastical to
channel or control sexuality. The second section, “Sense and Sensuality in Sex
and Gender,” highlights recent work that has taken some of the turns that are
rewriting historical narratives generally, above all histories of the senses,
of the emotions, and of food. The third section, “Visualizing Sexuality in Word
and Image,” considers how we work with early modern f luidity around identities
and boundaries, and whether we might now be more restrictive than they were in
categories that we bring to our analysis.Sex, Order, and Disorder One of the
most obvious sites of sex and disorder in Renaissance Italy surely lies with
the buying and selling of women’s bodies. Burckhardt’s perspective that
courtesans were elegant, intellectual companions, surviving more on sexual
titillation than selling their bodies, has endured, despite the inf luence of
feminist research. In particular, Veronica Franco was seen as an elegant,
ideal, and appropriate companion for Renaissance princes.1 Much research on
courtesans has focused on Franco and her courtesan sisters. It highlights the
courtesan’s learning, ability to write poetry and sing pleasing songs, and,
most importantly, to entertain men while avoiding becoming common sexual
property and losing their allure and their living. Tessa Storey adheres to the
older view, assessing the social status of courtesans, suggesting that they
were linked to “elite manhood and male honor,” idealizing the relationships
between clients and courtesans who were certain that proximity to powerful men
would protect them.2 However, the other side of courtesan life was a precarious
one of dependence and fear of falling into common prostitution. Social and
criminal vulnerability highlights the lives of all prostitutes, include high status
courtesans. Even Franco was called before the courts to account for her
behavior. More vulnerable courtesans and prostitutes lived precariously, prey
to men of all sorts, accosted in the streets, and struggling to support
themselves and maintain their dignity. The records of their appearances before
the courts reveals they often managed without protectors or financial security.
3 Early on Elizabeth Cohen examined the rough and ready life of prostitutes on
the streets of Rome, revealing a form of sociability and social integration.4
Diane Yvonne Ghirardo brings an innovative approach to the role and experience
of urban prostitutes. She examines urban planning in Ferrara, revealing the
city’s ongoing attempts over decades to maintain prostitutes in the same
locales.5 Focusing on the economics of prostitution in Venice, Paula Clarke
finds that regulation of prostitution became less rigorous over time, with
women experiencing more freedom and the concomitant growth of the sex
trade.68Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraGuido Ruggiero opens the section
“Sex, Order, and Disorder” in this collection with a broader approach to order
and disorder in sexuality. He offers a rereading of Boccaccio’s often-studied
story from the Decameron of Griselda, a woman who patiently endures the series
of humiliations that her husband Gualtieri devises in order to test her
faithfulness. The critics and creative artists who have puzzled over the tale
and its meaning for centuries have focused mainly on Griselda and on issues of
class and gender. Ruggiero moves a step further to ask how those who heard it
in the fourteenth century might have received it as a political message.
Gualtieri is not only a cruel husband. His willingness to be cruel and unjust
to his spouse Griselda highlights the dangers that all may encounter when
societies fall under the control of rulers who are narcissistic, vain, and
insecure. Florentines could look around to other cities where lords treated
citizens as Gualtieri treated Griselda; sexual and political violence were
interchangeable and marriages were contracted for money rather than love. There
was no reason to suppose that Florence would be exempted from that kind of
cruelty and exploitation. The Griselda story offered the lessons of a Mirror
for Princes, but it was also a Mirror for Merchants, warning them of what would
happen when love did not animate their closest personal relationships. What
Boccaccio warned the Florentines about in the fourteenth century was precisely
what the Sienese were experiencing in the sixteenth. Elena Brizio observes that
sexual violence remained common across Italy. Men used it as a tool to control
girls, boys, married women, and widows. In the context of the wars of the
1550s, when Florence annexed Siena, its political “use” expanded greatly.
Sexual violence was a means of imposing or confirming power over subordinates,
and men across the political, ecclesiastical, mercantile, and professional
spheres considered sexual violence a legitimate mode of operating in their social
sphere, and so exercised it freely. In contrast to what Boccaccio described,
the absolute ruler who came to dominate mid-sixteenth-century Siena positioned
himself on the opposite side of the dynamic. Duke Cosimo I de’ Medici
proclaimed strict punishments for sexual violence against both men and women in
a law of 1558, threatening either death or galley servitude for those
convicted. Brizio describes this setting and moves from metaphor to practice as
she reviews archival sources, judicial records, and public reports to see how
sexual violence was perceived before and after the law issued in 1558. Duke
Cosimo I was dealing with more than just a different political milieu, and
Brizio also explores whether the changes in the normative codes brought about
by the Council of Trent had an impact on social attitudes to sexual violence in
Siena and its locale. Normative codes were becoming more explicit and
restrictive across Italy in the sixteenth century, but did they have much
actual effect? Like Cohen, Ghirardo, and Clarke, Vanessa McCarthy and Nicholas
Terpstra document and analyze the sex trade in a particular city. Their focus
is on working-poor prostitutes’ residential patterns in early modern Bologna,
and they find that on the whole these women were integrated into, rather than
pushed to the margins of, their local neighborhoods and the wider city.
Bologna’s activist and ambitiousSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
9archbishop Gabriele Paleotti was rebuffed when he attempted to impose Tridentine
norms for public sexuality. The Bolognese instead approached regulation as a
matter of market rather than morals, allowing those prostitutes registered with
a civic magistracy to practice prostitution almost anywhere within the city
walls. While about half of the 300–400 women registered clustered in specific,
unofficial red-light neighborhoods, the other half lived on streets with only
one or two other registered prostitutes, where their neighbors were more often
workingpoor men and women. In spite of the strict normative codes that
continued to be preached and publicly posted by ecclesiastical authorities,
prostitutes were seldom actually shunned or marginalized because of their sex
work. They were more often incorporated into the working-poor neighborhoods and
the larger social fabric of early modern Bologna. These tensions between norms
and practice certainly intensified as Tridentine rules became more specific,
and as ecclesiastical and public regimes worked to determine whether and how to
implement them. In Rome, these authorities came together in particularly
complicated ways. Elizabeth Cohen explores how they attempted to address and
adjudicate the various forms of sexual impropriety that their normative codes
were describing in ever more precise detail. Sexual misconduct came under the
jurisdiction of ecclesiastical courts, but the records of these courts do not
survive in Rome. Criminal court records do survive, however, and since these
took charge of some sex offenses we can see how people responded to the new
rules. Cohen looks in particular at cases of adultery, which was often defined
by the married status of the woman and which, like sodomy, could actually cover
a broader range of actions than might be grouped today under the term.
Reviewing some trials of real or imagined adulterous relationships, Cohen finds
that it is impossible to determine how effective the “reforms” actually were.
There was simply more driving these relationships forward than any narrow
definition allows: romance, exploitation, assault, and sheer comedy all shape
the court testimonies, and show that the parties in many so-called adulterous
relationships were thinking less often of sex—or the pope—than authorities
thought.Sense and Sensuality in Sex and Gender The possibilities for research
on sense and sensuality in the Italian Renaissance are myriad. The richness and
abundance of voices, producing or employing sensual outcomes, and the voices of
desire and of sex and of pleasure combine into a garden of delights. Here again,
recent essay collections prove particularly valuable for the variety of forms,
voices, and experiences that they are able to convey. In The Erotic Cultures of
Renaissance Italy (2010) Sara Matthews-Grieco gathers eight essays that ref
lect upon the various ways in which visions of sensuality could circulate,
including on painted furniture, decorated bedroom ceilings, or musical
instruments, erotic language, or pornographic engravings. So, too, cultural
practices are explored such as sensuality within marriage, music in
domesticcontexts, and sexual innuendos in writing or in doodles in a book. This
collection, then, reveals how creative Renaissance people could be in
demonstrating desire and articulating their sensual pleasures. Sexual
orientation and sexual desire have also come under scrutiny. A significant
collection of essays edited by Melanie L. Marshall, Linda L. Carroll, and
Katherine A. McIver, Sexualities, Textualities, Art and Music in Early Modern
Italy, brings together nine essays that explore sexual desire and sexual
orientation through multilayered and intersecting interpretations of art,
music, and texts. The result is an intriguing collection of scholarship that
maximizes opportunities for interdisciplinary, collaborative research across
the disciplines, as an outgrowth of work on critical theory and
intertextuality. In a more literary context, marriage orations have revealed
some writers not only praised marriage in conventional terms for political
ends, social expediency, and the delights of family. Alongside extolling the
pleasures of the marriage bed for a husband, some extend that vision of
sensuality and sexual pleasure to the wife as well, challenging conventional
notions that only prostitutes took pleasure in sex, and not respectable matrons.7
The sensual possibilities of homosexual activities, especially related to male
prostitution, were part of Michael Rocke’s study Forbidden Friendships. He
argues that male prostitution was harshly condemned, especially anal
penetration, as something no adult man should permit. Nevertheless, an
examination of some contemporary writers reveals an appreciation of homosexual
sensuality along with defenses of sodomy and male prostitution which harkened
back to the superior evaluation of homosexuality in classical literature.8 The
role of pedagogical pederasty and its celebration within Renaissance mentoring
systems has equally been explored in literary sources by Ian Moulton who
demonstrates the currency of such studies to both a popular and educated audience.9
These studies show that while male sexuality has been visualized, both in the
Renaissance, and by scholars of the Renaissance, as virile and active, it was
also vulnerable and contingent. For example, castration was always a
possibility in war, for medical reasons, as a consequence of vendetta, or for
social or aesthetic reasons.10 Impotence also was part of male sexuality, with
extensive social, economic, and political ramifications. Some of these issues
are explored in Sara F. Matthews-Grieco’s edited volume Cuckoldry, Impotence
and Adultery in Europe (15th–17th century) Impotence could be implicated in
social unrest among urban dwellers or occasion political turmoil among the
elites. It could be physiological, subject to medical intervention, or magical
leading towards the Inquisition and the Renaissance’s fear of witchcraft. Six
essays focus on various aspects of the social, cultural, political, medicinal,
and literary discussions of impotence in Italian courts and cities, together
providing an integrated and provocative view of male sexuality and sensuality.
The essays in this collection’s second section, “Sense and Sensuality in Sex
and Gender,” traverse back and forth between literature and the lives of men
and women. Our literary accounts span what was formerly cast as the division
ofhigh and low, including both Castiglione’s serious prescriptions on when a
sleeve is more than just a sleeve, and also some more comic accounts by
lesser-known poets of when a sausage is more than a sausage. We pair these with
two microhistorical accounts of sexual pairings, one grown notorious in recent
decades by the controversies that erupted when it was first published, and the
other more obscurely quotidian. We aim in bringing them together to revisit
what scholars may bring to such accounts, and how that shapes our readings in
ways we may want now to rethink. In the first of these microhistorical studies,
Patricia Simons re-examines the case of Benedetta Carlini, the early
seventeenth-century nun and abbess described above and made famous in Judith
Brown’s Immodest Acts (1986). When Brown identified Carlini as a lesbian, on
the basis of documents that showed her as having regular orgasmic sex with a
younger nun under her supervision, her work stirred controversy. Historians
like Rudolph Bell firmly rejected the description of Carlini as “lesbian” on
the basis that sexual activities did not imply sexual identities. Simons takes
the discussion a step further, arguing that the question of identity is less
important now than one related to sense and emotion. Did they—and should we—see
their sex as mainly physical? Or were there registers of erotic mysticism that
would have led both Benedetta and Mea to frame their contact together as
expressions of a spiritual relationship? While some of their contemporaries,
like some of ours, may see their religious language as pretext, what happens
when we take it seriously and take them sincerely? As the example of their
congregation’s patron saint St. Catherine of Siena showed, medieval mysticism
provided enough of a language and model for the erotic potential of religious
imagery. Thomas V. Cohen then explores another example of when we need to ask
whether a transgression is always a transgression, by looking at the case of
Ludovico Santa Croce, and the gang he gathered around him to prowl the streets
of Rome. The life lived well needed witnesses for validation, and Ludovico’s
ego amplified his other drives as he led a group of young conversi to visit the
statuesque courtesan Betta la Magra. They shared food, drink, and more, and
Ludovico’s boundary crossing brought him to court. But what were his
transgressions? Was it just proper and improper sexual practices, was it
individual intimacy moving to group sex, was it about commoners and nobles, or
about Christians and those who, despite having been “made Christian” were still
considered in some way ebrei ? If transgression lies in in the eyes or voices
of the witness, we have here a complicated intersection of identities and
codes, values and practices. The questions here, as in Benedetta Carlini’s
convent, lie with what those in the bed and those around it thought about norms
and deviances. Gerry Milligan brings us to what many consider the uber code of
the early modern male, Baldassare Castiglione’s Book of the Courtier, the
canonical text that we noted at the beginning of this essay. Milligan looks in
particular at the relation Castiglione draws between clothing and masculinity.
Clothing was fundamental to Renaissance discourses of gender and sexuality.
While it wascommon to read that what men wore was critical to discussions of
violence, military preparedness, and virtue, it’s not at all clear just how
clothing was supposed to do what it did. Was it cause or effect, or sign and
symbol of masculinity or effeminacy? Castiglione saw clothing choice as
potentially one of life or death, and that not just for reputation alone. As
Italy suffered through the invasions of French, Spanish, and Germans, it was
common, albeit perhaps too easy, to correlate a soldier’s effectiveness to what
he had worn. As Milligan asks, might a focus on clothing show us how aesthetics
and militarism functioned in Renaissance projects of social control? Laura
Giannetti then takes us from dead seriousness to dietary satire with approaches
to a question that Freud might well have faced: is it ever the case that a
sausage is just a sausage? Italians valued word play as much as sexual play,
and found the convergence of the two absolutely compelling. Carne was meat, f
lesh, and inevitably the male organ, and while mendicant preachers may have
condemned all of them together, most Italians appreciated them individually for
each of their meanings. Religious authorities never managed to expand the
imaginative forms of their dismay at the gluttony and carnality that sausages
represented; the most they could do was draw on Galen’s counsel of moderation
to reinforce their message of self-denial. Yet Gianetti shows that authors and
artists who were more aesthetically than ascetically driven began to explore
the imaginative potential of sausages as symbols of vitality, fertility, and
prowess. Their poems and stories disseminated messages of a humble meat that
grew into a powerful cultural symbol.Visualizing sexuality in word and image As
early as 1978, Thomas G. Benedek’s article “Beliefs about Human Sexual
Function” examined ideas about the sexed body, noting in particular the
persistence of the one-sex theory that women and men had parallel sex organs,
with the male organs externalized and female organs internalized. Moreover, the
balance of the humors—hot, cold, moist, dry—also impacted the nature of any
individual’s sexual makeup. Thomas Laqueur, like previous scholars, based much
of his argument on medical texts. It was not only the words, but also the
images that seemed to portray inverted genitals. Laqueur’s analysis went
further, however, to the conclusion that the one-sex body and the humors meant
that both women and men needed to ejaculate semen for conception to occur.11
Laqueur’s suggestion that Renaissance doctors and others believed in the
two-seed theory was controversial and stimulated a great deal of scholarship on
both science and medicine and gender and the body. Interest in the sexed body
and the physicality of sex and sexuality has continued to expand, embedding
medical perspectives of the sexed body into a cultural context. In her study
The Sex of Men (2011), Patricia Simons extended the critical study of men’s
history to focus on the physiological construction of men. Her analysis is
based upon exhaustive, interdisciplinary research includingtheoretical,
textual, and visual evidence. Simons re-focuses attention on the centrality of
semen to masculinity and fertility, thus rebalancing the dominant phallocentric
evaluation of premodern gender. Sexual acts and sexual pleasure have embraced
topics and methodologies that would have been unthinkable by earlier scholars.
The collection Sex Acts in Early Modern Italy (2010), edited by Allison Levy,
includes an amazing array of topics that illuminate sexual activities in new
detail. Renaissance images and objects portray an imaginative array of sexual
positions in sources, both textual and physical, ranging from Aretino’s writing
on sexual positions to their portrayal on medicinal drug jars. Patricia Simons
pushes the cultural history of sex and sexuality further in her essay about the
dildo. An analysis of the physical objects is set against descriptions of their
imagined use. Renaissance books were sufficiently explicit, however, that the
need for visualization was unnecessary. In Machiavelli in Love (2007), Guido
Ruggiero challenges some of the fundamental ideas about the history of sex and
sexuality proposed by Foucault and which have subsequently dominated research.
Rejecting Foucault’s assertion that sex and sexual identity were modern
inventions, Ruggiero demonstrates that in fact there was Renaissance sex and
Renaissance sexual identity, dismissing earlier theoretical obstructions. Using
a combination of court documents and imaginative literature, he highlights the
complexities of mind, body, and desire, and the formation of masculine
identity. In many ways, this book moves the historical study of premodern
sexuality onto a new and more sophisticated plane, one that reveals individuals
in their uniqueness. In The Manly Masquerade (2003), Valeria Finucci presented
one of the earliest analyses of Renaissance men as an inf lected category
deploying not only feminist theory but also psychoanalytic theory to understand
the constructions of masculinity from both a psychological and cultural
perspective. One of the most violent and sexually problematic figures of
Renaissance Italy was the brilliant goldsmith/artist Benvenuto Cellini.
Margaret Gallucci presents a new twist to traditional biography by integrating
a multidisciplinary analysis of Cellini, his artistic brilliance, his penchant
for violence and disorderliness, and his transgressive homosexuality that was
sufficiently public to result in criminal proceedings and house arrest. Following
new literary criticism and sexuality and gender studies, Gallucci tries to move
beyond simplistic evaluations of homosexuality and misogyny to make sense of
Cellini’s complex artistic life and disorderly behaviors.12 The third section
of this collection, “Visualizing Sexuality in Word and Image,” takes up these
questions of sex acts, the body, and identity by focusing on four cases of
creative artists who employ sexuality and gender in ways that challenge social
norms and expectations, and that raise questions both then and now about
identity and voice. James M. Saslow returns to the questions around sexual acts
and sexual identities that emerged in disputes around the “lesbian” nun
Benedetta Carlini, and to which Castiglione’s sartorial strictures allude. He
argues that the case of Italian painter Bazzi contributes to the larger ongoing
controversy in queer studies over whether we can locate an embryonic homosexual
self-consciousness in Renaissance culture. Bazzi’s fondness for young men gave
him the nickname “Il Sodoma” and he never shied away from making this a central
part of a very public persona. We have little documentary evidence for his
private feelings, yet his art embodied and transmitted homosexual desires, and
it is clear from the series of commissions that he attracted an audience which
read and sympathized with those clues. Saslow reviews Sodoma’s artworks,
patrons, and reputation over a few centuries and ref lects on what the larger
stakes are both methodologically and ideologically as we weigh whether these do
indeed provide sufficient evidence for a homosexual self-consciousness. Sexual
agency and identity are complex enough when we are aiming to interpret what an
individual says in a court room or inquisitorial investigation, or conveys in a
painting or poem. What do we do when men pretend to adopt the voice of women
and project desire, intent, and agency? Ian Frederick Moulton compares two such
works, Pietro Aretino’s Ragionamenti and Alessandro Piccolomini’s La Raffaella,
both of them written in the 1530s, and both featuring an experienced woman
mentoring a younger woman on the finer points of sex and sexuality. In both,
the older woman assures her younger companion that her desires are legitimate
and should be acted on to the fullest, even when transgressive. In both these
desires are essentially projections of male fantasies. Moulton explores what we
learn from male projections of female speech, identity, agency, and
particularly how male visualization and ventriloquizing exposes larger issues
around the place of women and the articulation of sex and gender in early
modern society. While we often emphasize the transformative effects of
printing, early modern culture continued to value the oral and visual, and it
brought these together in the art of memory. Sergius Kodera reaches back to
classical texts that recommended erotic images as particularly memorable, and
to the early modern author Giovan Battista della Porta’s L’arte del ricordare
(1566) which specifically advised stories of sex between humans and animals as
aides memoires. Myths of Leda, Europe, Ganymede, and others were all drawn into
this work, though more overtly in the vernacular than the Latin version. Kodera
follows this visualization of intercourse between humans and animals beyond the
arts of memory and on to texts on cross-breeding and to the paintings of
Raphael, Michelangelo, and Titian, seeing all of these as examples of a
distinctively early modern embrace of variety, engagement, and hybridity in
sexuality. In the final essay, Jane Tylus traces how Torquato Tasso depicted
women in both the Gerusalemme liberata (1581) and the Gerusalemme conquistata
(1593). While he felt that his powers as an epic poet were expanding, the later
work reduces the role and influence of female characters. The shift underscores
how the Liberata was more radical in its conception and execution. As he aimed
to style himself more self-consciously as an epic poet in the classical
tradition, Tasso moved from Virgil to Homer as his model, a move at once
stylistic and also insome sense moralistic – he saw this as an answer to
criticism of his language and of what he called the “fallacious artistries”
that had marked the earlier poem. Gender become critical to his conception of
what is true in art, though with ambivalent results – the woman who intervened
with power was superseded by the woman who intervened with tears. These essays
explore themes that were only emerging two decades ago. Their authors’
commitment to taking both an interdisciplinary and intersectional approach
allows re-evaluation of interpretations which were in danger of becoming too
rigid and which may have imposed too much on what the voices in stories,
trials, letters, and images were aiming to express. Contradiction, ambivalence,
and ambiguity abound. Recent work in all three areas that we have singled out
has explored just how widely the gaps between prescription and reality yawn in
the period, in part because of ambivalence on the part of those promoting
normative regimes. Yet gaps more often emerged because these regimes aimed too
far beyond what people expected and were willing to live with in their
neighborhoods, their relationships, and expectations. As we move forward
undoubtedly there will be new insights gleaned about the lives and loves of
Renaissance people. The intellectual and evidential foundation outlined here in
letters, court records, poems, pamphlets, and artworks will continue to support
a rich and diverse research culture. And there are new questions on the horizon.
The literary, philosophical, artistic, and existential implications of
transgender are only in a nascent stage of investigation, despite the initial
and hesitant foray made in Human Sexuality. Some topics and themes will
percolate until new sources and new perspectives allow new insights and
conclusions. As the study of sex, gender, and sexuality moves forward, the
dialogue between past and present will continue, animated by sharp
disagreements, punctuated by moments of clarity, and moving steadily towards a
deeper understanding of lives lived in a period of creative foment. The voices
gathered here, and the creative exchange they offer, advance that discourse on
the lives of those who made the Renaissance a fascinating period of critical
change.Rosenthal, The Honest Courtesan. Storey, “Courtesan Culture.” Cohen and
Cohen, Words and Deeds in Renaissance Rome. Cohen, “Seen and Known.” Ghirardo,
“The Topography of Prostitution in Renaissance Ferrara.” Clarke, “The Business
of Prostitution in Early Renaissance Venice.” D’Elia, “Marriage, Sexual
Pleasure, and Learned Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century
Italy.” Rocke, “‘Whoorish boyes.’” Moulton, “Homoeroticism in La cazzaria
(1525).” See Finucci, The Manly Masquerade. Laqueur, Making Sex. Gallucci,
Benvenuto Cellini.Bibliography Benedek, Thomas G. “Beliefs about Human Sexual
Function in the Middle Ages and Renaissance.” In Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance. Edited by Douglas Radcliff-Umstead, 97–119. Pittsburgh:
Center for Medieval and Renaissance Studies, 1978. Boswell, John. Christianity,
Social Tolerance, and Homosexuality: Gay People in Western Europe from the
Beginning of the Christian Era to the Fourteenth Century. Chicago: University
of Chicago Press, 1980. Brown, Judith C. Immodest Acts: The Life of a Lesbian
Nun in Renaissance Italy. Oxford: Oxford University Press, 1986. Burckhardt,
Jackob. The Civilisation of the Renaissance in Italy. Translated by S.G.C.
Middlemore. Old Saybrook, CT: Konecky & Konecky, 2003. Castiglione,
Baldassarre. The Book of the Courtier. Translated by Charles S. Singleton.
Garden City, NY: Anchor Books, 1959. Clarke, Paula. “The Business of
Prostitution in Early Renaissance Venice.” Renaissance Quarterly 68, no. 2
(2015): 419–64. Cohen, Elizabeth S. “Seen and Known: Prostitutes in the
Cityscape of Late-SixteenthCentury Rome.” Renaissance Studies Cohen, Thomas V.
and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in Renaissance Rome: Trials Before the
Papal Magistrates. Toronto: University of Toronto Press, 1993. D’Elia, Anthony
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Finucci, Valeria. The Manly Masquerade: Masculinity, Paternity, and Castration
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Robert Hurley. New York: Vintage Books, 1978. Gallucci, Margaret A. Benvenuto
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Playing with Boundaries. Burlington, VT: Ashgate, 2014. Matthews-Grieco, Sara
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2010. Moulton, Ian Frederick. “Homoeroticism in La cazzaria The Gay &
Lesbian Review Worldwide Murray, Jacqueline and Konrad Eisenbichler, eds.
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University of Toronto Press, 1996. Radcliff-Umstead, Douglas, ed. Human
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Modern Italy and the Spurious ‘second part’ of Antonio Vignali’s La cazzaria.”
In Power, Gender, and Ritual in Europe and the Americas: Essays in Memory of
Richard C. Trexler. Edited by Peter Arnade and Michael Rocke, 113–33. Toronto:
Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2008. Rosenthal, Margaret F.
The Honest Courtesan: Veronica Franco, Citizen and Writer in Sixteenth-Century
Venice. Chicago: University of Chicago Press, 1992. Ruggiero, Guido. The
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Oxford University Press, Machiavelli in Love: Sex, Self, and Society in the
Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 2007.
Simons, Patricia. The Sex of Men in Premodern Europe: A Cultural History.
Cambridge: Cambridge University Press, 2011. Storey, Tessa. “Courtesan Culture:
Manhood, Honour, and Sociability.” In The Erotic Cultures of Renaissance Italy.
Edited by Sara F. Matthews Grieco, 247–73. Farnham: Ashgate, 2010. Talvacchia,
Bette, ed. A Cultural History of Sexuality in the Renaissance. Oxford: Berg,
2011.PART ISex, Order, and Disorder. One of the last works that Francesco
Petrarch wrote was a short story in Latin which he claimed to have translated
from the Italian of the final tale of Boccaccio’s Decameron —the novella of the
patient Griselda, who accepted every cruel test her husband, Gualtieri, tried
her with to assure her worthiness as a wife. In Petrarch’s version Griselda was
a humble peasant and Gualtieri the esteemed Marquis of Saluzzo, a prince loved
by all for his wise rule. Tellingly, he claimed that he was translating the
tale because it was so very useful as a lesson on how to treat a wife that it
needed to be in Latin to gain the wider circulation that the universal language
of learned men merited. And, in fact, Boccaccio’s original version has been
long read in that light, almost as if Petrarch’s Latin retelling determined its
meaning for future generations. Recently, moreover, with more sophisticated discussions
of gender, his perspective has garnered even greater purchase, with Boccaccio’s
tale being criticized for its misogynistic vision of matrimony and support for
a husband’s absolute power over a wife. In turn, this perspective has even
colored the way some read the Decameron itself, discovering behind its laughing
stories and powerful, clever women a conservative defense of traditional
patriarchy. But in this essay, I want to suggest with a historian’s eye that
the story of Griselda’s ideal wifely qualities and her husband’s wisdom is in
reality not there in the Decameron (X, 10). For while that tale has been often
read as an account of Griselda, and her virtually biblical acceptance of her
husband’s will, it may well have read at the time as a story much more about
the many negative qualities of Gualtieri.1 For he is presented throughout as a
dangerous tyrant moved by a misguided sense of honor and a rejection of the
emotion of love, which meant that he was incapable of being either a good husband
or a good ruler from the perspective of fourteenth-century Florentine readers.
Thus, this tale is not just concerned with love and marriage, but also
crucially with rule and the rule of princes, in this casenegatively portrayed
as tyrants. In a way, then, I want to argue that it is Boccaccio’s “The Prince”
a century and a half before Machiavelli. Even the language of the day nicely
sets up this theme: for the term signore (lord) had multiple meanings that
could span the gamut of power relationships from the everyday husband as
signore/lord over his wife and household, to the local signore/lord/noble with
power over those below him, on to the signore/lord/ ruler (either a prince or a
tyrant depending on one’s perspective), and, of course, finally on to the ultimate
signore, the Signore/God. As we shall see, all these meanings are at play in
Boccaccio’s version of this tale. The teller of this story of multiple signori,
the irrepressible Dioneo, suggests its negative tone right from the start,
immediately warning that he finds Gualtieri’s behavior in general and towards
his wife “beastly.”2 He states f latly, “I want to speak about a Marquis, not
all that magnificent, but actually an idiotic beast. . . . In fact, I
would not suggest that anyone follow his example. . . .”3 This,
obviously, is hardly the wise prince Petrarch created in his supposed
translation of the tale. Dioneo then more subtly attacks him as a ruler
(signore), remarking that he was a young man who spent all his time “in hawking
and hunting and in nothing else.”4 Here we have echoes of an earlier tale in
the Decameron, the third tale of day two, about spendthrift Florentine youths
who threw away the riches left them by their aristocratic father by living the
thoughtless life of young nobles hunting, hawking, and living like signori.5
Significantly, those Florentine youths, after they lost their inherited
fortune, regained it by going to England and loaning money at interest to the
apparently even more foolish signori there, the English nobility, like many
Florentine bankers.6 Yet quickly they squandered their riches again, because,
as the story stresses, they returned to living like signori, eschewing the
virtù that made their Florentine merchant/banker contemporaries so successful.
What, one might well ask, was this virtù that had allowed them to remake their
fortune and that repeatedly brings success to the denizens of Boccaccio’s
tales? At one level the answer is simple. For Boccaccio’s contemporaries virtù
was a term that identified the range of behaviors that allowed one to succeed
and made one person superior to another. Simply put, it marked out the best.
But the simplicity of that definition quickly dissolves before the fact that
largely because it was such a telling term its meaning was highly contested and
f luid, in fact changing considerably over time, place, and across social
divides. Speaking very broadly, in an earlier warrior society many saw virtù in
aggression, direct action, often violent; and in physical strength, blood line,
and blood itself, even as at the same time moralists and philosophers often saw
it in more Christian behavior that rejected violence and aggression. In the
cities of northern Italy in the fourteenth century this traditional vision of
virtù was first expanded, then increasingly overshadowed by a vision more
suited to the urban life of the day and newer merchant/banker elites. For many
at the time, virtù required the control of passions—in contrast to an earlier
vision that privileged their moredirect expression—and included a strong lean
towards peaceful, mannered conduct that required reasonable, calculating (at
times sliding into cunning) behavior that controlled the present and
significantly the future as well.7 In sum, virtù, even as it was contested and
changed over time, was a word of power that helped to define an urban male
citizen and a truly good man. In the end, however, these youths were saved from
their un-virtù -ous behavior by a virtù -ous nephew, Alessandro, who first
re-established their fortunes via once again astute money-lending, and then
with his virtù won a bride who turned out to be the daughter of the king of
England, effectively overcoming all their foolish misdeeds. From this
perspective, it is clear that the signore Gualtieri, much like Alessandro’s
uncles, was not a virtù -ous or good prince, ruling as he should. Rather, by
not attending to anything but his own youthful pleasures, he was acting in a
way that Florentines would have easily associated with their fears about
contemporary signori/tyrants; for such rulers were seen by them as ruling all
too often merely to serve their own whims and selfish pleasures at the expense
of their subjects. And, in fact, proudly republican Florence had recently in
1342 experienced a brush with a signore/tyrant of its own, Walter of Brienne.
He had been appointed to a one-year term as ruler of the city in the hope that
he would be able to overcome an economic crisis caused by the failure of the
major banking houses of the city. But, as was often the case, he quickly
attempted to take power permanently as a signore and was just as quickly thrown
out after only ten months of unpopular rule. Almost immediately afterwards, a
popular government returned to power, and it remained wary of signori of any
type.8 Significantly, however, most Anglophone critics have failed to note that
the Italian for Walter is Gualtieri and thus that Florence had thrown out a
tyrannical Gualtieri of their own just a decade before Boccaccio completed the
Decameron. Tellingly the negative behaviors often associated with contemporary
tyrants are immediately linked to the tale’s Gualtieri and his marriage by
Dioneo, who notes that not only did he not pay attention to anything else but
his own selfish pleasures, he “had no interest in either taking a wife or
having children. . . .”9 This, then, had created problems with his
subjects. As they, like all good subjects, wanted him to take on the
responsibilities of a mature male and ruler by marrying; for marriage was seen
at the time as perhaps the most important sign of reaching full maturity and
taking on the sober responsibilities of an adult male.10 Moreover, with
marriage, a prince began to produce the heirs that would secure an ordered
passage of power at his death, something that for his subjects was crucial.
With Gualtieri’s rejection of this, in essence Dioneo had presented his readers
with a questionable signore/lord/ruler who refused to give up his youthful and
irresponsible ways to rule as an adult prince with virtù.11 In the end, then,
although he reluctantly gave in to his subjects’ demands, he decided to do so
by taking a bride without consulting with anyone. And once again this would
have troubled contemporaries. Arranged marriages were the norm in
fourteenth-century Florence and more widely and crucially theywere negotiated
by parents or relatives to secure broader family goals or, in the case of
rulers, meaningful alliances. The immature Gualtieri instead took his marriage
personally in hand to secure his selfish desires with no concern for his
family, his subjects, or even love. Moreover, his lack of love in selecting his
bride also evoked the negative presentation in Decameron stories of many
unhappy marriages where the lack of love had led to bad matches, especially for
women. Repeatedly the tales advocated avoiding this ill-fated situation by
marrying for true love, exactly what Gualtieri rejected. From his perspective
marrying for love and loving his wife would have endangered his un-virtù -ous
life, focused on his own personal pleasures. And at the same time, it would
have also signaled the end of his freedom from his responsibilities as a ruler
and declare that he had acquiesced in becoming the signore/prince that his
subjects desired and that Petrarch had rewritten him as being in his misleading
supposed Latin translation of the tale.12 Making his disgruntlement clear,
Gualtieri finally did knuckle under to his subjects’ demands, but warned them
that whoever he might chose, they must honor her as their lady or feel his anger.13
The reality behind that warning was soon dramatically revealed.14 For Gualtieri
had for some time been observing a pretty, well-mannered peasant girl who lived
nearby. Yet crucially what made her most attractive to Gualtieri was the fact
that as a humble peasant he was confident that he could dominate her so that
she did not interfere with his youthful lordly pleasures, the selfish key to
his marital strategy again.15 Following Gualtieri’s misplaced desires, we are
drawn ever deeper into the dark morass of unhappy marriages in the Decameron.
Having selected his bride without disclosing her identity to anyone and without
her even being aware of it, he insisted that his subjects come with him to
celebrate the matrimony. And so it was that one day they followed him to an
unlikely nearby village where the peasant girl, Griselda, lived in poverty with
her father. The scene is nicely set by the narrator of the tale Dioneo, as he
describes how the richly attired relatives of Gualtieri and his most important
subjects arrived on horseback before Griselda’s humble hut. When she, dressed
in rags, rushed onto the scene, anxious to see who their lord’s new bride would
be, to everyone’s surprise Gualtieri called down to her by name to ask to speak
with her father. She replied modestly that he was inside and accompanied him in
to the peasant hut to talk with her father, Giannucole.16 Even her father’s
name reeked of Griselda’s humble status, for Giannucole is the diminutive for
Giovanni. Using the diminutive for an adult male, and a pater familias at that,
essentially denied him any status or honor. Gualtieri underlined the point when
he did not waste any time with niceties on a person who, given that lack of
status, did not warrant them from his perspective. Thus, he did not ask
Griselda’s father for her hand as simple politeness required; rather he
announced that he had come to marry her. Then, continuing in his high-handed
ways, he turned to her and demanded that if he took her for his wife, “will you
always be committed to pleasing me and never do or say anything that would
upset me.”17 Once again the absenceof love in Gualtieri’s approach to his
future bride is stunning, especially for the tales of the Decameron; and
moreover, his lack of regard for her father, and for her is deeply troubling.
Turning to Florentine history and traditions once more it seemed almost as if
his way of treating Griselda and her father echoed what the citizens of
Florence most disliked in the high-handed ways of local nobles/lords that they
had rejected in the 1290s when they passed their revered Ordinances of Justice.
These laws were ostensibly designed to punish local nobles and their ilk
(labeled magnates) for just such high-handed behavior and mistreatment of
common folk. And these Ordinances had become a symbolic keystone of Florentine
republican government and its civic vision and would remain so across the
Rinascimento. In fact, one of the few times that the Ordinances were questioned
was when they were cancelled almost immediately after Walter of Brienne, the
other Gualtieri and would-be Signore of Florence, was driven out. After he was
expelled in 1343, the Ordinances were momentarily cancelled by a short lived
aristocratic government and then almost immediately reinstated by the popular government
that replaced both Gualtieri and that unpopular aristocratic moment, as a
strong reminder that the city would not allow signori of any type to mistreat
Florentines. And although Gualtieri did not himself revoke the Ordinances, the
black legends that grew up around his rule often made him responsible for their
momentary elimination and an attack on popular republic government.18 All that
this implies is underlined by the famous marriage scene that follows, for
Gualtieri, with his demands met, takes Griselda by the hand and leads her from
her home. There in front of the whole group of his elegantly dressed subjects
to their surprise and dismay he ordered her stripped naked.19 He then had her
re-dressed with the aristocratic clothing and the rich accoutrements that made
up a noble’s wardrobe and only then consented to marry her. As often noted,
this dramatic scene in its undressing and re-dressing of his bride essentially
symbolized and perhaps contributed to the rebirth that Gualtieri believed he
was engineering, transforming Griselda from a humble peasant to a noble wife,
using clothing as both a symbol and a tool. And indeed, the tale goes on to
point out how quickly and successfully she impressed the gathering, appearing
to take up easily the manner and bearing of a princess in her new noble
clothing. That impression was confirmed in the days following, when, as
Gualtieri’s wife, she displayed to all impressive manners and wifely virtues.
In sum, once redressed she was capable of being transformed from a humble
peasant to a noble princess—the very stuff of fairy tales and popular fantasy.
But it is also the very stuff of Florentine beliefs at the time—the elite of
the city had shifted from old noble families to a newer merchant/banker group
who dominated Florence both economically and socially. Thus, a humble peasant
who gained the opportunity and the dress to move at the highest social levels
was an attractive conceit, demonstrating that anyone with virtù could behave as
well as the old nobility. From that perspective Griselda had that delicious
quality of fulfilling contemporary fantasies, even if many rich Florentines
would havebeen comforted perhaps by the fact that such a leap for someone of
her status was highly unlikely. Yet there is a way in which the dramatic
stripping of Griselda—a theme that would have great popularity in the future in
literature and art—has masked a deeper honor dynamic involved in this troubling
marriage. In fact, the tale’s Florentine audience would have been aware from the
first that marriages were virtually always moments when issues of honor were
central. That was why fathers usually played such a significant role in such
affairs: they had, in theory at least, the mature judgment to evaluate the
complex calculus of family honor involved in a marriage alliance between two
families without letting youthful emotions interfere. Unfortunately, from this
perspective the young, selfish, self-centered Gualtieri fell far short of this
ideal, as the tale made abundantly clear. Nonetheless, Gualtieri was aware of
the honor dimensions of his marriage and was anxious to resolve them in his own
high-handed way. Anticipating the resistance of his subjects to his marriage of
a peasant and its implications for the honor of all involved—a marriage that he
saw as serving his interests and not theirs—from the first he insisted that
they accept his choice and “honor” it and him as their ruler. And, of course,
as long as his misguided honor was a driving force replacing love in his
approach to marrying Griselda, it crippled the relationship and his ability to
be a good husband and suggested a similar situation vis-à-vis his subjects as a
ruler where love for his subjects was also lacking. Crucially in this way of
seeing things, his behavior evoked strong echoes of other husbands and princes
in the tales of the Decameron whose lives were destroyed by their misguided
sense of honor. In turn, such behavior echoed Florentine fears about the
dangers of a central/northern Italian world where it appeared—in many ways
correctly—that the days of republics like theirs were a thing of the past. They
were being rapidly replaced by the one-man rule of signori who claimed to be
princes, but more often than not seemed to Florentines to be self-serving
tyrants like Gualtieri, more concerned with their misguided honor and selfish
pleasures than just rule. Yet in the short term things seemed to be looking up
for Gualtieri’s honor and his marriage. Not only did Griselda win over his
subjects, she soon became pregnant and produced a daughter. But not long after
the happy birth, the f laws in his personality and his treatment of his wife
began to reveal a deeper, darker truth. Almost as if he feared to succumb to
the success of his marriage, he decided to test his wife to assure himself that
she was ready to honor all his lordly wishes, no matter how cruel and
tyrannical they might be. Significantly, however, he defended these tests to
Griselda as a concern for his honor, complaining that his subjects were
murmuring about her lowly peasant origins and the similar baseness of her
daughter. In fact, his claim was presented as false by Dioneo. Gualtieri’s
honor was never questioned by his subjects in this context; actually, they are
portrayed as quite happy with his bride, even as they were surprised by her
success as a lady. Griselda, however, accepted his false claims, and, as a
result, unhappily understood the worries about his honor thatwere supposedly
tormenting Gualtieri. Thus, she replied obediently as a subject to such a lord
must: “My lord (Signor mio), do with me what you will as whatever is best for
your honor or contentment I will accept . . .”20 (1239). Once again
one wonders how this would have played for Florentine republican readers, who
saw in such one-man rule and unjust claims of honor the essence of tyranny—the
greatest danger to their own republican values and way of life. And in the
context of an unloving, unhappy marriage, we are faced with a man and a
relationship definitely gone wrong and a poor wife whose suffering Florentines
could feel.21 Things quickly go from bad to worse. Evermore the tyrant,
Gualtieri deceitfully uses his honor to excuse his most outrageous demands on
his wife/subject. First, he has a servant take her daughter away. And making it
clear that he is acting on the lord’s orders, the servant implies that he has
been instructed to kill the child. With great sadness Griselda hands over her
baby. Although Gualtieri is impressed by her obedience and strength in the face
of his horrible demand, nonetheless he allows her and his subjects to believe
that the child has been killed, while he secretly sends it off to relatives in
Bologna to be raised. Continuing his testing of her, when she gives birth to a
male child and heir, he once more claims the child’s life, using again the
excuse of fearing for his honor and his rule. Woman, because you have made this
male child, I cannot find any peace with my subjects as they complain
insistently that a grandson of Giannucole will after me become their Signore,
so I have decided that if I do not want to be overthrown, I must do with him
what I did to the other [child]. Moreover, given all this [I must sooner or
later] leave you and take another wife.22 Dioneo, however, makes it clear to
his listeners that once again this claim is false, noting that Gualtieri’s
subjects were not complaining about the boy’s humble background or the loss of
honor it implied. In fact, he points out that in the face of the apparent
murder of both children, his subjects “strongly damned him and held him to be a
cruel man, while having great compassion for Griselda.”23 Hardly the response
of those anxious to see an unsuitable heir or wife eliminated or those
enthusiastic about their exemplary prince, as Petrarch misleadingly portrayed
him. Still, as her lord and their tyrant, both she and they had no option but
to bow down before his cruel will, yet another lesson about the dangerous honor
of lords and their potential for heavy-handed tyranny that would not have been
lost on republican Florence. So, the second child joined the first in apparent
death—while Griselda lived on sadly under the shadow of her husband’s warning
that eventually he would end the whole problem of her humble birth besmirching
his honor and threatening his rule by putting her aside to take an honorable bride. And finally,
after twelve years Gualtieri decided that his daughter had grown old enough to
pass as his new bride; and it was time for the last tests of his wife. Thus, he
acted onhis earlier promise, informing her that he was ready to dissolve their
marriage in order to take a more suitable wife. Claiming that he had secured a
dispensation from the pope to put her aside, he gathered his subjects together
to make the announcement that he was sending her back to her father and her
humble life as a peasant. Evidently, he was not content to continue his cruel
testing of his wife in private; rather his cruel deeds had to be displayed
before his subjects. The power to rule and the honor it required were at play
and perhaps also a desire to warn his subjects that he was their signore as
well and capable of similar deeds to defend his honor and assert his control
over them. But considering what fourteenth-century Florentines would have made
of this new outrage is again suggestive; for almost certainly they would have
seen in this a cruel lord acting as a tyrant, mistreating his most loyal
subject in a way that no right-thinking republican Florentine would ever
accept—in sum Gualtieri was the model anti-prince. Gualtieri announced, then,
before his troubled subjects and the abject Griselda, that he was renouncing
her as his wife because in the past my ancestors were great nobles and lords of
these lands, where your ancestors were always laborers (lavoratori ), I wish that
you will no longer be my wife, but rather that you return to the house of
Giannucole . . . and I will take another wife that I have found that
pleases me and is befitting [to my status].24 In sum, his ancestors were nobles
and rulers and Griselda’s were humble laborers; therefore, their marriage was
unsuitable and he was literally suffering the dishonor of being a lord badly
married. The term “lavoratori ” used to describe her ancestors, while it could
be used as a synonym for a peasant, may well have suggested something more
troubling yet. The more normal terminology for Griselda’s ancestors would have
been contadini or villani,25 but by contrasting his nobility with her status as
descended from lavoratori, Gualtieri once again was asserting status claims
that would have ruff led Florentine feathers. For the people of Florence, who
had fought so hard across the thirteenth century to drive out high-handed
nobles like Gualtieri, had done so in the name of protecting the laborers of
the city from just such high-handed behavior. In fact, the Ordinances of
Justice labeled such behavior as typical of the nobility. And the Ordinances
were celebrated as wise legislation designed to discipline and punish the
nobility and protect lavoratori from their high-handed ways. Once again, the
recent attempt to eliminate the Ordinances in 1342 and the threat that posed to
the laborers of the city would have added weight to the negative valence of
Gualtieri’s speech.26 All this cruel testing of Griselda calls up echoes of another
person often associated with her and this tale, who had also suffered greatly
under his lord, the biblical Job. In fact, commentators have often pointed to
the parallels betweenGriselda’s patient suffering at the hands of her
signore/lord/husband and Job’s suffering at the hands of his Signore/Lord/God
as a reason for seeing her as an exemplary wife and loyal subject accepting her
husband’s rightful dominance, just as Petrarch later recreated her.27 There is
an immediate problem with this parallel, however, for Job’s Lord did not
actually deal out the setbacks that deeply wounded him. He merely withdrew his
protection and left the door open for Satan to attempt to destroy Job’s faith,
ultimately without success. From that perspective Gualtieri seems more to
parallel Satan than God. Despite that often-overlooked theological nicety,
however, the God (Signore) of the Old Testament who allowed the testing of Job
might seem to vaguely parallel at a higher level her lord (signore),
Gualtieri’s, testing of Griselda. But tellingly in the Trinitarian view of time
being preached aggressively in Florence when the Decameron was being written
and as war loomed with the papacy, that Old Testament God and His troubling
relationship with humanity following the original sin of Adam and Eve—often
portrayed as dishonoring that Signore —was seen by many as no longer the order
of the day. Christ’s love and his sacrificing of his honor to die as a common
criminal to save humanity was seen as inaugurating a new order and dispensation,
a view especially stressed by a powerful group of local preachers at the time.
And the Godliness of that new age, Boccaccio’s present, was totally alien to
Gualtieri and totally alien to his relationship with his wife and his
subjects—for crucially, he explicitly rejected love in favor of jealously
protecting his honor, much like the vengeful Lord of the Old Testament and
nothing like the God of Love of the New. In a work that over and over again
stresses the importance of love, love in marriage and in the best relationships
between men and women, Gualtieri becomes the cruel husband, the anti-prince,
the tyrant par excellence, and a ref lection of a relationship with the
wrathful God of the Old Testament that no longer obtained. And, of course, this
last tale of the Decameron is told by Dioneo—literally “Dio Neo,” the “new god”
of love—who makes it clear that he finds Gualtieri unsuitable as a husband,
ruler, and most certainly as any kind of a lover. But this was merely the
prelude to his last cruel testing of poor Griselda. For Gualtieri then demanded
that she return to prepare and oversee his wedding to his new bride. Once again
Griselda accepted this command. But significantly Dioneo insists on making a
critical clarification: Griselda accepted his cruel command not as a patient
ex-wife or as a loyal subject, but out of love for Gualtieri. He explains that
she accepted only because “she had not been able to put aside the love she felt
for him.”28 Thus she returned to the palace as a servant, to prepare the new
wedding for her beloved. Dioneo relates a number of humiliating moments in the
preparations and underlines once again their injustice by noting the deeply
troubled reactions of Gualtieri’s subjects to her abuse and their repeated
calls for a more just treatment of her. The humiliation comes to a head when
Gualtieri has his new bride brought to his palace for the wedding. Presenting
her to Griselda, he cruellytwists the knife of her humiliation in public again,
asking her opinion of his new lady. She answered, My lord . . . she
seems to me very good and if she is as intelligent as she is beautiful, as I
believe, I am certain that you ought to live with her as the most content
signore in the world. But still I would pray that those wounds that you gave
before to the earlier one [wife], you spare this one; because I doubt that she
could resist them, for she has been raised with great gentleness, whereas the
other was used to hardships from her childhood.29 Yes, Griselda has suffered
and finally even she has complained. Subtly, and without ever referring to
herself by name, she has pointed out finally the unjust nature of his rule over
her and by implication over his subjects. It would be satisfying to claim that
Griselda’s final faint demonstration of defiance caused Gualtieri to change his
ways, but Dioneo has already informed us that Gualtieri was ready to act even
before she spoke. Thus ignoring her comments, he declares: Griselda it is time
that you finally hear the fruit of your long patience and that those who have
held me to be cruel and unjust and bestial learn that it was all according to
plan, wishing to teach you how to be a wife and teach others how to pick and
keep a wife and [finally] to guarantee my peace as long as we would live
together.30 In the end, then, even Gualtieri admits that his lordly ways have
been cruel, unjust, and bestial, but he justifies them by claiming that he has
taught Griselda how to be a good wife. And many commentators, following
Petrarch, have taken this claim at face value, arguing that Gualtieri is the
demanding but just hero of the tale and Griselda the ideal wife fashioned by
his treatment of her. Yet, in fact, as the story makes clear over and over
again, his cruelty did not teach her anything. She came to him, as she has just
pointed out, already accustomed to suffering and accepting the hardships that
life brought her as a peasant. She was born into hardship and suffering and she
adapted quickly to her lord and his mistreatment because of her own inherent
peasant ability to suffer and lack of a sense of honor. Indeed, one would be
hard put to find a place where the tale or Dioneo suggest that she learned
anything from Gualtieri. And while the fourteenth-century Florentine readers of
this tale were more usually urban dwellers than peasants and thus theoretically
not as inured to hardship and suffering, they were proudly not nobles either,
and it is hard to imagine them accepting from local nobles the treatment that
Gualtieri dished out. Moreover, it is hard to imagine that they would have felt
sympathy for Gualtieri’s defense of his cruel ways, as they too would have been
unlikely to feel any need for such lessons from nobles or signori to learn the
patience necessary to survive as subjects (as they had recently demonstrated
throwing out their own Gualtieri) or for that matter even to survive as
wives.Actually, it might seem strange that finally after retaking Griselda as
his wife and explaining his whole plan to his subjects and her, the couple are
portrayed by Dioneo as living happily ever after. But providing an explanation
for that improbable happy ending is a startling and significant admission by
Gualtieri: for, as unlikely as it might seem, all his cruel tests have led him
finally to a crucial transformation— the decisive often overlooked climax of
the tale. He has finally discovered the emotion of love and has fallen in love
with his victim, Griselda. He confesses at the last: “I am your husband who
loves you more than anything and believe me when I say that there is no man
more content than I in his wife.”31 Crucially with that admission, and
Griselda’s ongoing love that survived his every cruelty, no longer is their
marriage simply an unhappy mismatch with a wife subject to her lord/husband
defending his misguided honor and selfish noble pleasures. Rather, now it is
exactly the kind of marriage that the Decameron advocates over and over again.
With love as its emotional base, the happy ending that the story, and the
Decameron itself, requires is possible and Gualtieri, his wife, and perhaps
even his subjects can live happily ever after—not a divine comedy perhaps but a
human one.32 For in the end Griselda survived a cruel lord, and with her
willingness to suffer and peasant patience, she, not he, for a moment at least
became the true teacher, teaching a tyrant who rejected love to love and to
become a true prince—in this she was perhaps more Christ-like than Job-like.
Let me suggest that by contemporary Florentine standards or those of the
imagined and real women listeners of Dioneo’s tale, Gualtieri’s mistreatment of
his wife was anything but a model of an ideal marriage until everything changed
with love at its conclusion, despite Petrarch’s claim to the contrary. In the
end, then, she was a victim, but in ways that many critics have had trouble
seeing. First, of course, at the hands of her cruel lord/husband. But also at
the hands of the would-be aristocrat and anti-republican Petrarch. For despite
his claims about what he saw as an ideal of marriage, he also retold her tale
in Latin to celebrate the honor of the often cruel signori—tyrants and
lords—that he cultivated for patronage and support far from the republican
Florence that claimed him at times with difficulty as an honored son. Still, in
the end she and love won out, a fitting conclusion to the new god of love,
Dioneo, and his tale, as well as to Boccaccio’s Decameron.Notes 1 I have used
for this tale and all citations from the Decameron the classic edition edited
by Vittorio Branca: Boccaccio, Decameron. In this reading that looks more
closely at the Marquis of Saluzzo, I am following the path breaking lead of
Barolini in her article “The Marquis of Saluzzo.” But I emphasize more a
Florentine perspective on the tale than Barolini and am less inclined to follow
her strategy of using game theory to explain what she labels as the Marquis’
beffa. I discovered after I wrote an early draft of this essay Barsella’s
excellent article “Tyranny and Obedience.” My account stresses more the marital
as well as the political side of the tale and looks more closely at the
Florentine political and social world of the day, while she offers a more
complete analysis of the ancient and medieval theoretical literature on
tyranny; but we both agree that the tale is more about Gualtieri as a tyrant
than about Griselda as a model wife.2 Decameron, 1233. “Beastly” often seems to
serve as code word or signal that the male so labelled has sexual appetites
that are “unnatural” by Boccaccio’s standards and hence like those of a beast.
If beastly is being used in that sense here, it would add another dimension to
the Marquis’ rejection of marriage and the love of women, one that Boccaccio
regularly paints in a negative light. Barolini provides an interesting
discussion of the term drawing similar conclusions but emphasizes its echoes of
Dante’s usage of the term, along with its classical and Aristotelian
dimension—a perspective that would undoubtedly have had its weight for learned
readers and listeners, but perhaps less for a broader audience at the time.
Barolini, “Marquis of Saluzzo,” 25–26. 3 Ibid., 1233; italics mine. 4 Ibid.,
1234. 5 The three are described as the young sons of a noble knight named
Tebaldo from either the Lamberti or the Agolanti families—both Ghibelline
families exiled from Florence in the late Middle Ages and thus suspect already
in fourteenth-century Florence with its strong Guelf tradition. 6 Although it
should be noted that the prospects of profits from loaning money to the English
had become less appetizing after the recent failure of Florentine banks in
1342, in part caused by the King of England’s reneging on his debts to them.
Actually, recent scholarship has argued that local bad loans in Tuscany and
debts built up in the ongoing wars in the region were more responsible for the
bank failures, but contemporary accounts tended to place a heavy emphasis on
the King of England’s actions—perhaps as a way to divert attention from the
more local issues involved. Barsella notes also this connection in “Tyranny and
Obedience,” 74–75. 7 Ruggiero, Machiavelli, 163–211. This vision of virtù and
its development across the Rinascimento in Italy is one of the central themes
of my effort to reinterpret the period in my book The Renaissance in Italy.
From this perspective, Boccaccio’s Decameron with its stress on virtù is a work
that fits more in the world of fourteenth-century Italy than as a work of
medieval literature as it is often characterized. Of course, many of his tales
have medieval sources and echoes, but significantly they are rewritten with a
very different set of values more characteristic of fourteenth-century Florence
and the city-states of central and northern Italy. 8 Walter (Gualtieri) of
Brienne actually makes an appearance in the Decameron in his own right as one
of the nine “lovers” of the Sultan of Babylon’s daughter, and a quite bloody
“lover” at that (II, 7). Boccaccio also wrote a quite uncomplimentary account
of his life in his De Casibus Virorum Illustrium, Lib. IX, cap. 24. 9
Decameron, 1234. Dioneo, however, does follow this comment with what appears to
be a compliment for this lack of desire to marry, “for which he was to be seen
as very wise” (1234). Yet what follows undercuts the force of this apparently
very traditional negative vision of marriage. And throughout the Decameron
Boccaccio seems to provide an unusual number of tales that see well-matched
marriages as positive and at least potentially happy. 10 For this see the
discussion in Ruggiero, Machiavelli, 24–6, 172–73 and Giannetti, Lelia’s Kiss, 18,
131–34. 11 While the character Gualtieri had the same name as the recent
Florentine would-be tyrant, this is not to argue that he was the only tyrant
being referred to in the tale. In actuality Florence was surrounded by
dangerous and aggressive tyrants who were capable of instilling fear in the
city even if they were not named Gualtieri. As often noted, the fourteenth
century, following in the footsteps of the thirteenth, was a period where
republics were losing out to tyrants everywhere and Florence found themselves
surrounded by aggressive signori on virtually all sides. 12 This lack of love
also played a significant role in his lack of a positive relationship with his
subjects, once again the micro-level of life, in this case marriage, reflecting
the macro-level of life, in this case Gualtieri’s rule. Both lacked love and
that stood literally at the heart of his negative consensus reality for his
subjects and for the Florentine readers of his tale. 13 Clearly with the
repetition of “insisting” and Gualtieri’s will, the tale is playing on will as
a dangerous source of sin when misplaced as it is in this case. Of course, will
from a1415 16 17 181920 2133theological perspective is the basis of all sin,
which in the end is merely willing to turn away from the good and ultimately
God. In this case Gualtieri might be seen as willfully turning away from love,
the good and God much like Satan turned away from love, the good and God in the
greatest rejection of all. At this moment in the tale with his willing misdeed,
it might be argued Gualtieri confirms his fallen state. Barolini suggests that
in these demands Gualtieri, unhappy with his subjects’ calls for his marriage,
is setting up a beffa at their expense—a very typical form of Florentine joke
that in this case punishes them for forcing him to marry against his will—and
the key to the beffa is forcing them in turn to accept the peasant wife that he
will pick unbeknownst to them. Although there is a logic to this perspective,
it seems more likely that contemporaries would have assumed the driving force
in his decision to take a peasant as a wife was his belief that she would have
to be totally subservient to him, something that Barolini stresses as well.
Decameron, 1235. Although the text is clear that Gualtieri entered the house
alone, the discussion between Gualtieri, the father, and Griselda requires that
she had entered as well. Perhaps it is significant that she is so humble that
her entering the house with Gualtieri does not require mention. Ibid., 1237. The
Ordinances of Justice were first passed in Florence on January 18, 1293 and
while their meaning at the time has been much debated, they became with time a
kind of civic monument to the ideal of Florence as a republic ruled by the
popolo without the interference of the traditional Tuscan rural nobility,
labeled magnates, who had once dominated the city. For the debate and the more
complex reality of the Ordinances and the magnates themselves see my
Renaissance, 77–82 and 94–97 and the overview of Najemy in A History of
Florence, 81–89, 92–95, 135–38, and for a more detailed study see Lansing, The
Florentine Magnates. Suggestively, Petrarch in his rather different retelling
of the tale, softens this act of prepotency and male power that once again here
strongly underlines Gualtieri’s cruelty and lack of required manners. He adds
the telling detail that Gualtieri had Griselda surrounded by women of honor
before she was stripped. Here we see how the tale could be changed to make it a
hymn to a wise and careful husband anxious to arrange the right kind of
marriage that would assure a matrimony that functioned as it should with the
husband in command and the woman subservient and obedient. But Dioneo’s careful
scripting of Gualtieri’s boorish and self-centered behavior in line with his
high-handed ways that evoke the psychological violence of the old nobility,
strongly suggest a very different vision of Gualtieri and his marriage—a
negative vision in line with many of the tales about the injustices of arranged
marriages in the Decameron. Decameron, 1239. One might note here that although
Griselda is clearly a victim, she is hardly a heroine as often claimed by
critics. There are in fact any number of actual female heroines in the
Decameron whose tales were constructed to show their virtù and ability to
control their own lives and virtually always their goal of winning a meaningful
love in life and often in marriage. Perhaps the best example of this, and a
virtual anti-Griselda tale, that gives the lie to Petrarch’s and later critics’
vision of Griselda as a model wife is the tale of Gilette of Narbonne (III, 9),
who empowered by love cures the king of France and overcoming a series of
seemingly impossible trials (typical of medieval lover’s tales and more
normally male knights) in the end thanks to her virtù wins the love of the man
she loves, her husband, Bertrand of Roussillon. In this tale he is also
portrayed as a cruel lord, but Gilette is anything but passive and takes her
life in her own hands to win out in the end—a model of what a woman can
accomplish with real virtù in the name of love. It is suggestive also that
Gilette is an upper-class non-noble from an urban setting not unlike the
Florentine readers of the Decameron and much more easily accepted as active and
aggressive than the humble peasant Griselda. Similar virtù overcoming a husband
both cruel and foolish is presented also in tale (II, 9) where a Genoese woman,
who takes the name Sigurano da Finale, passes as a male and flourishes in a
series of adventures thanks to her virtù and in the end recovers the love of
the husband she loves despite his murderous misdeeds.Guido RuggieroDecameron,In
fact, this is the only use of the term in the tale, usually she and her father
are referred to as poor and it is noted that he is a swineherd not a laborer.
The title of the tale refers to her as “una figliuola d’un villano” and later
when referring to her unexpected virtù, her dress and by inference her status
is referred to as “villesco”: “l’alta vertù di costei nascosa sotto i poveri
panni e sotto l’abito villesco.” For this see Brucker, Florentine Politics,
114; Najemy, Florence, 135–37. On the Ordinances see note 18 above. Branca
actually points out the textual parallels noting that in the story of Job I:20
he states “Nudus egressus sum . . . nudus revertar” in reference to
Griselda’s “ignuda m’aveste . . . Io me n’andrò ignuda
. . .” In the New Oxford Annotated Bible, the famous lament of Job is
rendered “Naked I came from my mother’s womb, and naked I shall return; the
Lord gave, and the Lord has taken away; blessed be the name of the Lord” (Job
I:20 [614]). Decameron, Critics have from time to time referred to the
Decameron as “The Human Comedy” playing on an apparent contrast with Dante’s
Divine Comedy, but I would suggest that Boccaccio’s comedy was more divine than
it might at first seem and Dante’s more human.Bibliography Barolini,
Teodolinda. “The Marquis of Saluzzo, or the Griselda Story Before It Was
Hijacked: Calculating Matrimonial Odds in the Decameron 10:10.” Mediaevalia
Barsella, Susanna. “Tyranny and Obedience: A Political Reading of the Tale of
Gualtieri (Dec., X, 10).” Italianistica Boccaccio, Giovanni. Decameron. Edited
by Vittorio Branca. Turin: Einaudi, 1992. Brucker, Gene. Florentine Politics and
Society 1343–1378. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1962. Giannetti,
Laura. Lelia’s Kiss: Imagining Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance
Comedy. Toronto: University of Toronto Press, 2009. Lansing, Carol. The
Florentine Magnates: Lineage and Faction in a Medieval Commune. Princeton, NJ:
Princeton University Press, 1991. Najemy, John. A History of Florence,Oxford:
Blackwell, 2006. Ruggiero, Guido. Machiavelli in Love: Sex, Self, and Society
in the Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins The Renaissance in
Italy: A Social and Cultural History of the Rinascimento. New York: Cambridg. Sexual
violence in Renaissance and early modern Siena was widespread, barely
manageable, and apparently accepted, though not always legitimized, especially
when it applied to particular social classes. Both the nobility and the clergy
considered it their “right” to engage in behavior that underscored their social
superiority.1 This included not only the use of weapons, but also brawls,
thievery, private vendettas, and sexual violence. Such behavior did not,
however, pertain only to them: commoners also forcefully imposed their
brutality, sexuality, and violence on less powerful victims who happened to be
in the wrong place at the wrong time, or whose only fault was their
vulnerability. But not all victims, whether male or female, endured violence
passively. For everyone whose voice was not heard, there were many others who,
in spite of their age or sex, protested the violence they had endured and described
it in detail. Unlike other Italian cities, medieval Siena did not have a single
government office charged with the social control of the population and the
suppression of behavior deemed to be unacceptable.2 This changed in 1460 when
the government established the office of the Otto di custodia (Eight in charge
of Protection) to oversee behavior and public health.3 After several changes to
its name and tasks, the office was abolished in 1541 by the Spanish
protectorate, and then reestablished in 1554 as the Ufficiali sopra la pace
(Officers in charge of the Peace) in order to settle citizen disputes and
prosecute both blasphemy and violence. Yet this incarnation was also
short-lived, and the office was abolished at the fall of the Republic in 1555.4
The administration of justice was entrusted first to the Captain of the People
(Capitano del popolo), and then to the Captain of Justice (Capitano di
giustizia), before being abolished in 1481. Some of its tasks were entrusted to
the Rota court in 1503, but in the event the 1481 suppression was not
definitive, and the Captain of Justice seems to have recovered some functions
in the first half ofthe sixteenth century. The office of the Captain of Justice
was formally revived when Duke Cosimo I de’ Medici issued an edict on the
“Reformation of the Government of the City and State of Siena.” in 1561, and it
acquired criminal jurisdiction over the city and the podesterie (the
administrative structures into which the countryside was organized).5 The
Captain of Justice also gained those tasks previously entrusted to the Criminal
Judge (Giudice dei malefizi ),6 and functioned under the supervision of the
Governor (Governatore).7 The Governor was now the top official in the new
administration. He enjoyed “broad political and administrative functions,
supervised the public order, issued regulatory actions and had the control of
all sentences of tribunals.”8 All other magistrates lost their jurisdiction
over criminal lawsuits.9 These frequent changes to judicial offices in Siena
help us understand why documentation on crime is scattered throughout many
different archival collections and series. It is also incomplete, because much
material has been lost. As a result, it is not possible to analyze the Sienese
records in as thorough a social or statistical way as it has been done for
Florence.10 The preliminary analysis presented in this essay—which uses Sienese
documents for the years just before and after the fall of the Republic
(1555)—will serve to illustrate at least some cases of violence at a time in
Sienese history that, from the perspective of the history of crime, still
awaits detailed analysis. A preliminary analysis reveals just the tip of the
iceberg. One of the questions that arises from a first glance at the documentation
is why so much of the surviving documentation refers to violence in the
countryside and not in the city. Perhaps extra-judicial agreements between the
parties, reached in order to avoid denunciation, were more common or widespread
in the city. Or, perhaps, much of the documentation for urban violence has not
survived to the present day. In Siena, and especially in the Sienese
countryside already devastated by war, famine, and other problems, Medicean
legislation over criminal activities took a long time to be applied and become
the norm. One of the reasons for this was that the countryside suffered from a
very slow reconstruction process. It took not only time, but a lot of effort,
to erode and limit local authorities and personal powers that, for decades
after the fall of the republic, continued to impose a social code that
penalized those on the lower levels of the social scale.What the law said The
rubric on sexual violence in the last republican Sienese statute (1545)
followed medieval precedent and listed only adultery, rape, and abduction, in
that order, as crimes of violence.11 Sexual intercourse with a married woman of
whatever social rank or with an unmarried virgin was punishable by the
imposition of a financial penalty; abduction for the purpose of sexual
violence, on the other hand, was punishable by death. The definition of sexual
violence required that the abductor (raptor) marry the victim, if the father or
the senior male members of her family deemed it appropriate, or alternatively
that he provide her withSexual violence in the Sienese state 37a dowry. If
sexual violence was perpetrated against someone’s wife or daughter, it damaged
the honor of the husband and the family, so the culprit had to, somehow,
adequately restore that damaged honor.12 Sexual violence by men on men,
described in the statute as “a dreadful kind of violence that is used against
nature on men,” demanded that the rapist be jailed and pay a fine, but if the
rapist was over forty years old, he was to be burned at the stake.13 The
regulation in the Duchy of Florence was similar: in 1542 Duke Cosimo I revised
the law against “the nefarious, detestable, and abominable vice of sodomy” and
not only increased the fines but also imposed physical punishments and even the
death penalty on repeat offenders.14 Once Siena had been ceded by King Philip
II of Spain to the Medici in 1557 and incorporated into the duchy of Tuscany,
the 1558 revision of the Florentine law on sexual violence also applied to the
city. This revised law removed the fines and imposed only physical punishments
for “those who will use force and violence to women and men to satisfy their
sexual desire.”15 If the violence did not lead to an effusion of blood, the
culprit was to be sent to the galleys for a certain number of years to serve as
a chained rower; if, on the other hand, there had been an effusion of blood the
culprit was to be executed. The only exception allowed, and this only for
Florentine and Sienese citizens, was commuting the sentence to the galleys into
a jail term, but this only at the discretion of Duke Cosimo I. Such discretion
generally depended on the social rank, personal reputation, and family honor of
the culprit.The rape of women and young girls The new law was tested almost
immediately. “Since this case was of such manifest enormity, and the first
since the publication of Your Excellency’s last pronouncement against violence
on men and women”:16 so begins a letter by Orazio Camaiani (or Camaini),17 a
diligent official and Captain of Justice in the “New State” (Stato Nuovo) of
Siena, to Duke Cosimo I de’ Medici in the winter of 1559. Camaiani went on to
relate a case of attempted sexual violence against “a poor widow of Belforte”
who, on resisting her attacker, was hit by him so hard that she bled.18
Camaiani’s information came not from first-hand observation, but from letters
he had received from the vicar of Belforte (fol. 13r), a small mountain-top
hamlet about 45 km west of Siena. It included all the necessary negative
requirements—night, loneliness, violence. The “poor widow,” who is never named
in the letter,19 had been assaulted during the night in her own home by two men
who entered on purpose in order to rape her; she resisted the attack, screamed
loudly, and was wounded in the head and face. Her attackers ran away without
succeeding in their intent. The widow did, however, recognize one of her
attackers, “a certain Terenzio Usinini, Sienese” (fol. 13r) and reported him.
The Captain of Justice thus knew for whom to look. The information was sent to
Duke Cosimo I, but what has survived is scattered and incomplete. It does,
however, point to the many cases of violence in a territory that was still
sufferingfrom the aftermath of the raids and devastations brought about by the
recent Florentine conquest of Siena (1552–59) and the republic’s difficult
process of submission to its new Florentine lord. We know very little about
Terenzio Usinini. There is no record of his having been baptized in Siena,20 so
we can assume that he was born and baptized in the countryside. He also does
not appear among the very few Usinini who held secondary appointments in
Sienese offices.21 His family pedigree or that fact that the family belonged to
one of the major political groups in Siena, the Monte of the Riformatori, were
of no help to him—in referring to Terenzio, the Captain of Justice noted that
“a worst name against a person cannot be heard in the entire town.”22 In fact,
Terenzio did not have a good reputation—after hearing that he had been accused
of attempted rape, other women in town went to the Captain of Justice to report
that he had raped them, too, or had attempted to do so. Terenzio managed to
escape arrest on this occasion, but his accomplice, a priest, was not as
fortunate—he was captured thanks to a peasant who tricked him with the help of
a woman who was priest’s former lover. The incomplete records do not tell us
what happened to either Terenzio or the priest. We can, however, determine that
Terenzio seems to have been a violent highborn individual who behaved as if he
were above the law and thought he could force his sexual desires upon
subordinate women. This may, in fact, be to a certain extent true because
Terenzio seems to have managed somehow to escape justice. While highborn locals
might have been able to get away with sexual violence and escape justice, the
sexual misbehavior of state officials, who were to uphold the legal system, was
more problematic, especially when such officials used their power to abuse
women and girls. Already in 1378, Pietro Averani from Asti, a district judge
was dismissed because he had used the power of his office (sub pretextu offitii
) to rape a young virgin girl living in Siena.23 In a case from 1554, a
community in the countryside asked the government in Siena to “immediately”
send another commissioner to replace the current one whose violence against
some local women was such that it was about to cause serious disorders. One
“young, respectable, and good” local woman even went to Siena herself and, in
tears, described to the magistrates how the said commissioner had come into her
house at night on the excuse of seeing how the soldiers had been billeted and
had started to lay his hands on her, at which point she had begun to scream and
he stopped.24 Though problematic, the sexual misbehavior of this representative
of the legal system seems to have elicited little more than a request for
removal from the post or relocation, and no actual physical punishment meted
out on the guilty party. We do not know whether this was the limit of what
plaintiffs could expect. In a different case, blasphemy was added to the charge
of attempted violence. This rendered the accusation much more dangerous because
blasphemy was considered an “open crime,” that is, clear and public. Angela
reported that Bastiano, the servant of the Bargello (that is, of the chief of
police), “on many occasions requested her honor from her.”25 After beating her
several times because sherefused, he entered her house while her husband was
away and tried to rape her, at which point she started screaming. After
threatening her, “he pointed the dagger at her throat saying ‘whore of God, if
you scream I will slaughter you,’” but she continued to scream and so he left.
The examples given so far point to a somewhat spontaneous, even impulsive
attempt on the part of the men to engage in sex with an unwilling woman. There
are also cases of carefully planned attempts. Agnoletto the Corsican, for
example, not knowing how other to seduce a young woman, did so by impersonating
a priest; “because he did not know how else to rape a young girl, he took the clothes
the archpriest wore during Lent and, dressed like him, started confessing her
in church.” This particular record continues by pointing out that Agnoletto
“raped many women and did other impudent things.”26 We have further examples of
premeditated rape. A notary reports that Pompeo di Giovanni from Monticello, a
45-year-old man, married and with two daughters, had engaged in “robberies,
rapes and, in general, all other sorts of abuses done and committed” including
“raping, together with other men, Iacoma the daughter of Filippo, his
relative,” and of “having prided himself for having entered through the roof
into Antonia di Censio’s house only to have sex with her and perhaps he did so,
and because there was no point in screaming she, for the sake of her honor,
kept quiet about it.” The notary continues his report with the comment that he
“will remain silent on what Pompeo did to certain poor young women who were walking
by” and then concludes by recording that Pompeo was eventually found guilty of
a long list of robberies and sentenced to the gallows.27 After the Council of
Trent (1545–63), a new detail enters into notarial descriptions of sexual
violence: some defendants now tried to justify themselves by explaining that
they had been tempted by the devil. In 1571, Sandro was accused of raping
five-year-old Santina in a wheat field and causing her to bleed from her
vagina.28 In his defense, Sandro told the Captain of Justice that when he went
in the field to “shout at some children doing some damage,” Santina and
Elisabetta came by. Sandro was then tempted by the devil to sit down and grab
the said Santina and put her on his lap, and having pulled out his tail [i.e.
penis] through the opening of his trousers, he inserted the second finger of
his right hand into Santina’s nature [i.e., vagina] and, having seen that it
could enter easily, took out his finger and started pointing his tail towards
her nature and, in so doing, he could have hurt her and she shouted one or two
times. Hearing the little girl scream, her uncle Domenico rushed to help her
and found her crying and “totally wrecked and bloody.” He hit Sandro with a bow
he had in his hands and moved him away from the girl. Sandro later confessed
that since he could not put his member inside Santina’s nature, he was about to
finish [i.e. ejaculate] between her thighs or in some other way as best hecould
because the devil grabbed him by the hair and he [Sandro] could not stop
himself, but the said Domenico stopped him. Sandro’s deposition claims that
when he was raping the girl he was not his own self, but was under the control
of the devil to the point that he was not physically able to do otherwise until
an external force, Domenico, interrupted him and stopped the devil’s control.
Referring directly to the 1558 law mentioned above, the Captain of Justice
pointed out that, in cases of violence with effusion of blood, the accused must
incur the death penalty. Perhaps to elicit a more merciful sentence, the
Captain of Justice described Sandro as “a young man between 25 and 30 years
old, a bachelor, and more a fool than a scoundrel.” The plea was
successful—Sandro was spared his life and received the lighter sentence of “two
or three years in the galleys.”A matter of honor, but whose honor? In a letter
of March 1524 to the government in Siena, Bartolomeo di Camillo, at that time
podestà (chief magistrate) of Sarteano, reported a disturbing case of rape: A
certain local man, Agnolo di Ipolito, entered into the house of a certain
Giovanni Baptista Tucci, a citizen of Siena, and found a daughter whose name is
Iuditta, who is around fourteen-years-old and not yet married, and violently
took her and because she did not consent, he started hitting her and eventually
he raped her by force so that he broke her nature. 29 Podestà Petrucci then
went on to say that: It seemed to me that, since I am in this town, for the
honor of your Excellencies first and for my own honor secondly, I had to bring
this shameful case to your attention so that it will not go unpunished.
Petrucci explained how he sent soldiers to Agnolo’s house to arrest him, but
the accused was defended by one of his brothers and other relatives, as well as
by the town’s priors. Because the victim’s father, Giovanni Baptista Tucci, was
a Sienese citizen, Sienese statutes applied and overrode Sarteano’s local
customs and statute (capitoli ). Petrucci thus assumed that he had the
authority, as podestà of Sarteano, to deal with the case, so “In a friendly
way, I let the Priori know that I did not want to bypass their local customs,
but I wanted [to uphold] my honor.” The situation quickly deteriorated and one
of Agnolo’s relatives fired “two rif le shots together with offensive words”
against the podestà. Another relative, Petrucci reports, “told me, answering
back, that if I would have gone to his house, he would have punched not only
me, but Christ himself.”Two days later, Petrucci reported that news of the rape
had reached one of the subordinate judges in his podestarial team, and that
this judge, together with some soldiers, went once again at Agnolo’s house to
arrest him. Agnolo’s uncle, Ser Giovanni di Gabriello, threatened them, saying
that if the judge tried to get in, he would throw bricks or stones at him. In
his report to Siena, Petrucci underlines the fact that “Your Excellencies know
that these actions are done against you, that in this place I am your delegate,
and that in order to preserve your honor I am ready to give my life.” Two days
after this, Cardinal Giovanni Piccolomini, archbishop of Siena, wrote from Rome
to the Sienese Concistoro (the lords and main officers) in support of Ser
Giovanni; perhaps as a way to show that Ser Giovanni enjoyed important connections
and patronage, or perhaps as an attempt to limit more severe outcomes. “Because
they had some other enmities [in town]” cardinal Piccolomini informed the
Concistoro, Ser Giovanni di Gabriello and his relatives did not recognize, in
the darkness of the night, the podestà ’s soldiers and so they defended
themselves. He added that Ser Giovanni “in a good-natured and simple way used
some inappropriate words” without realizing that he was speaking to the podestà
and his soldiers. Cardinal Piccolomini continued that he was certain that the
lords of Siena would recognize “the good faith of this country town and in
particular of the family and household of said Ser Giovanni who have always
been good servants of our city” and suggested that the lords “might show all
possible leniency.” A month later, podestà Petrucci happily wrote: Magnificent,
excellent and powerful lords [. . .] in order to carry out what your
Excellencies have ordered [. . .] I sent for Giovan Baptista Tucci,
his wife, and his daughter on the matter of what Agnolo di Ipolito had done,
and about the marriage that has to be contracted between them.30 Clearly, the
legal solution reached in this case of rape was for the rapist to marry his
victim. The records do not indicate what Iuditta, the victim, might have
thought of such a solution, or even what she felt about the entire case. There
is no trace of her in the reports or the letters. What is ever-present,
instead, is the matter of honor—the honor of Siena, of its magistrates, and
their delegate, of the town of Sarteano and its priors and local statutes; of
Agnolo’s family; of Tucci’s family; and of Iuditta’s own self, which would now
be restored through marriage with her assailant. In all of this, the discourse
is male while the female voice of Iuditta is completely absent.The rape of
young boys Rocco from Campiglia confessed under torture that, while he was at
home eating, a certain Curtio, a little boy around eight years old, entered his
house and asked him for something to eat; the said Rocco grabbed him and laid
him over a table and, having lifted his clothes, put his tail [penis] between
the boy’s butt cheeks with the intention of knowing him carnally.The boy’s
screams stopped Rocco from proceeding any further in the attempted rape. Under
questioning, Rocco admitted that “he did put [his penis] between the boy’s
thighs but then finished the job with his hands.”31 In light of the accusation
and confession, the Captain of Justice in 1571 asked not only that the usual
fine for such sodomitical activities to be levied on Rocco, but also that he be
given jail time on account of “the young age of the boy.” The request for jail
time may point to the Captain of Justice’s understanding of the aggravating
factor in the case (the boy’s tender age) and, perhaps, to his personal
feelings about it, but the bureaucratic language of the report does not allow
us to delve further into the case nor to understand more fully how Rocco
himself might have justified his aggression of Curtio. It does, however, point to
the risks and dangers that came with child poverty (Curtio entered the house to
ask for food) and the opportunistic behavior of men in the grip of sexual
impulses. The charges levelled a few years earlier in 1567 against Giovanni, a
25-yearold man from Sinalunga, “strong and well-shaped,” were many and
varied.32 The records tell that that he was “in jail, indicted for having
carnally known a she-ass and also for having used the nefarious sin [sic] vice
of sodomy.” He was also accused of having sodomized Salvatore, a boy of “around
four or five years of age and of having broken his ass [sic] sex.” Salvatore
was not the only boy Giovanni had attempted to sodomize; he had done the same
to “another little boy [also named Giovanni] of the same age [as Salvatore] or
a little more”, but this boy managed to run away crying. Under “rather rigorous
torture,” Giovanni explained that he had found a she-ass along the way, moved
her off the public road and into a scrub where, he felt the need to mount her
and so, approaching her from the back, he put his member into her nature, but
because she did not stop moving and grazing, after having kept it there for a
little while, he pulled it out and climaxed as he did so. Giovanni also
confessed to having taken little Salvatore to a vineyard where, having lifted
his clothes, he directed his natural member into the boy’s ass [sic] sex, but
because the boy was small he could not insert it more than two fingers, and
because this was hurting the little boy, the boy started to struggle and scream
so Giovanni let him go and climaxed outside, and he did not notice that he had
broken the boy’s sex or caused an effusion of blood. An aunt of the little boy
declared, instead, that when little Salvatore came home “the blood was running
down his thighs and his ass [sic] sex was chapped.” Giovanni justified himself
saying that when they were in a barn he told the child “if you come here, I
will fuck you” and then added that “it is not true that he wanted to sodomize
him.” The records conclude that “in line with the statutesof this city, it does
not look as if Giovanni is subject to capital punishment,” even though blood
had been spilled, “but we could condemn him to the galleys, with the approval”
of the Governor. Aside from the various crimes listed in this deposition
(bestiality, sodomy, child abuse, physical violence causing bleeding), there is
an interesting idiosyncrasy in the records. The notary seems to have had second
thoughts about some of the words he was using and seems to have felt compelled
to attenuate the language; he did so by striking out some words and
substituting them with more neutral, though still very precise, terms. As a
result, “ass” became “sex” and “sin” became “vice.” While the first correction
suggests an attempt to use terminology that is less vulgar or vernacular in
favor of a more technical term, the second suggests the presence of a moral
consideration whereby the Christian concept of “sin” is replaced by the more
secular concept of “vice.” All the previous cases deal with sexual violence in
the countryside or smaller towns in the region. The only case of sexual
violence I have found in the city of Siena itself involved a young apprentice
working in a slaughterhouse in the district of Fontebranda.33 Ascanio accused
the butcher Lando, an associate of his employer Orlando, of having sodomized
him in the slaughterhouse and having beaten him for resisting. Ascanio
explained that it happened “in the workshop when we were going to stretch the
tallow in the workshop dais” (fol. 169v). When Ascanio turned down Lando’s
sexual request, Lando “took me by the arms, tore the lace off my leggings and
lowered them. Then he lowered my head, came into me from behind, and did his
wicked things [ poltronerie] to me, and once he had done them, he punched me
twice in the back.” Ascanio told the court that he informed his employer
Orlando, who in turn informed the shop boys working with Lando as well as other
people. Ascanio’s accusation was, however, undermined by his own admission that
he had already, on several occasions, been the passive partner in same-sex
intercourse with soldiers in Montalcino and with a soldier in Siena in the
service of Cornelio Bentivoglio (fol. 170v). In other words, Ascanio had
previously been sexually active with other men. Perhaps for this reason Lando
did not suspect at first that he had been arrested for having sodomized
Ascanio, but thought, instead, that he had been arrested for having beaten him
(fol. 171r). Questioned on the details of what happened in the slaughterhouse,
Lando reported that perhaps Ascanio had misinterpreted his joking words “what
do you think, come here I want to fuck you.” This led the judge to interrogate
Ascanio once again, this time with his hands tied. The youth once again
declared that “Lando started beating me and wanted to force me and he bent me
over and sodomized me” (fol. 172r), but this time Ascanio added that he did not
resent his having been beaten. Ascanio was then questioned a third time, this
time in front of Lando, who maintained his defensive line saying: “I told him
jokingly ‘come here, I want to fuck you’ because he did not want to come.”
Interrogated again, Lando confirmed “I ordered him to bring the tallow and to
stretch it up, but I did not do anything with him nor with anyone else” (fol.
172v). Ascanio, too, continued to affirm his own version of events pointingout
that this happened not only at Lando’s slaughterhouse, but once also at
Fontebranda (where Ascanio refused to go along with the attempted sodomy). When
Lando kept saying that the accusation was levelled at him because of the
beating he had given Ascanio, the latter asked the judge call other witnesses
saying, “let the shop boys come here and they will tell you what I told you”
(fol. 173r). In the end, Ascanio’s situation became quite complicated as he
paradoxically changed from being the accuser to being the accused. He was
jailed (allegedly on charges of sodomy), but on 25 December, in celebration of
the Nativity, he was pardoned and released “by decree of the lords” (fol.
173r).34 Several factors worked against Ascanio. His position as an apprentice
was perhaps too weak to sustain the charges he levelled against a master
butcher such as Lando, or to raise doubts about the truth of Lando’s
deposition. In a situation such as this, the court seems to have given credence
to the more senior and more socially respectable individual. Similarly, the
fact that Ascanio’s employer failed to support him in his case must have raised
suspicions. Lastly, Ascanio’s admission of having previously engaged in
same-sex intercourse with soldiers both in Siena and in Montalcino worked
against him. Although Ascanio had the courage to denounce a superior for a
sexual crime that was not uncommon, his social status and his previous sexual
encounters with men not only placed his testimony in doubt, but actually served
to find him guilty and put him in jail.The clergy and violence After Siena fell
to Florentine forces in 1555 the Sienese government and part of the Sienese
population moved to Montalcino, a small town about 40 km due south of Siena, in
a last attempt to resist the conquest and preserve the centuriesold republic.
Among the volumes of deliberations that have survived from the “Republic of
Siena retired in Montalcino” (Repubblica di Siena ritirata in Montalcino) there
is the denunciation deposited by Mona Antilia di Andrea, a woman living in
Castelnuovo dell’Abate, in which she asks for justice for her eight-yearold son
who, she reports, has been “damaged” ( guasto) by the French friar Carlo who
worked at the ospedale (hospital or hospice) attached to the Olivetan abbey of
Sant’Antimo, in the plains just below Castelnuovo.35 The Sienese authorities
summoned the friar to appear in court within three days to defend himself
against the accusation that “he had had sodomitical intercourse with the said
young boy and had broken his ass” (“di havere fatto culifragio”). Because the
friar was French, the court decided to inform the French Marshal Blaise de
Lasseran-Massencome, seigneur de Monluc, who had commanded the French troops
during the defense of Siena and had then moved to Montalcino with the Sienese
government and exiles. A week later, Monluc was informed that the friar had
been arrested in Piancastagnaio where the podestà was told to keep the
Frenchman in jail and under close surveillance until further notice. About a
month later, the friar was transferred to the Franciscan convent in
Montalcinowhere the friars were advised of his alleged crime, told to guard him
well, and await further orders. At this point, the documents fall silent and we
do not know what further ensued with Friar Carlo. We are thus left with no
information on what he might have said in his defense, what further evidence
the mother and the boy might have brought into consideration against
him, or what the final verdict might have been. What we do have, however,
is the record of a mother asking for justice against a foreign clergyman who
was the subject of, and possibly defended by, a powerful foreign military
figure in the region, this during a difficult moment in a war that had
devastated the countryside and brought about the near-total collapse of the
government and the republic. Civic and moral regulations were still in effect,
but the silence of the incomplete records and the transfer of the accused friar
to another convent, rather than to a city jail, seem to imply that such
regulations had not been strictly applied and that the friar probably escaped
justice. The Sienese government, whether in exile or not, was not the only
jurisdiction to deal with sexual violence by the clergy. Ecclesiastical courts
also dealt with sexual crimes, as we can see from the records in the fonds of
Cause criminali housed at the Archiepiscopal Archive in Siena.36 The collection
includes the precepts, that is the summons to appear in court, and some of the
trial records, but once again many of the files are incomplete. In fact, in the
majority of documents and final sentences issued by the archbishop’s vicar are
missing, so this case can only be known in its general outlines.Menica and the
priest Ser Mauro Criti One case for which we do have a complete set of
documents deals with the charges levelled against the priest Ser Mauro Criti,
rector of Campriano di Murlo, a hamlet 17 km south of Siena.37 According to the
charges brought forth by the victim’s father, the priest used an excuse to
enter the accuser’s house and, finding the man’s twelve- or thirteen-year-old
daughter Menica alone at home, tried to sweet-talk her by asking her if she
wanted him to buy her a pair of shoes. Aware of the priest’s intentions, Menica
responded with “I want God to give you a misfortune.” Ser Mauro “then reached
out for her neck and kissed her and tried to do something else, but she
yelled.” Menica’s shouts were heard by Laura Pasquinetti, a nine-year-old girl
who arrived just in time to see the priest leave. He pretended to throw some
snow against the window, and said to Menica: “Be quiet, you little beast, I’ll
buy you a pair of shoes.” Menica’s father asked that the priest be justly
punished, having damaged both his and his daughter’s honor, even though he had
to admit that “he could not prove the fact, except as he had told it, because
when it happened there was no one else at home.” Although the evidence came
from two under-age girls, Menica and Laura, the court was nonetheless obliged
to pursue the case. A note signed by FilippoAndreoli, secretary of the Governor
of Siena, Federico Barbolano di Montauto, laid out the guidelines the vicar was
to follow: The very reverend vicar of the most reverend lord archbishop of
Siena will make sure that in the states of His Highness [Duke Cosimo I de’
Medici] crimes committed by priests will not go unpunished and he will not fail
to ensure that both public honesty and private interest are upheld. With this
note, Andreoli was referring to the 1558 Florentine law on sexual violence and
Cosimo’s determination that it be applied evenly and universally. The trial,
which lasted almost a year, gathered testimonies not only from the two girls
who had been ocular witnesses, but also from many other people, and brought to
light the fact that the priest was no saint. At first, the interrogation of Ser
Mauro revolved around what he did that day. His responses claimed that his conduct
had not been socially improper—he said that when he called at the house and
realized that no adult was present he simply went away (fol. 4v). He stubbornly
denied having thrown snow at the window, but admitted to having thrown snow
elsewhere that day, as confirmed by other witnesses. Brought in for questioning
once again, this time with Menica in the room, Ser Mauro reacted with surprise
and fear at seeing the girl (fol. 13r), who accused him without fear (fol.
13v). From the examination of other witnesses, the vicar learned that Ser Mauro
had also been physically and sexually violent with Caterina, a young girl about
fourteen years old, unmarried, who had been brought up by a certain Bernardino.
According to testimony, Ser Mauro had “misled and kidnaped Caterina
[. . .] brought her to his house, where he kept her for several
weeks, raping her and using her contrary to the law [contra forma iuris]” (fol.
23v). He also sought to take advantage of Hieronima, the servant of a priest
who had previously been stationed in Campriano. Ser Mauro asked her to wash his
clothes in exchange for his giving lessons to one of her sons and then added
that he would “give her more affection than the other priest”, and this
contrary to the law [contra forma iuris] (fol. 23v). Other witnesses reported
that the priest was a confirmed card player and always had with him a deck of
cards “that he says is a present from a beautiful girl” (fol. 30v). Ser Mauro
denied everything, even under torture, but was found guilty nonetheless and fined
100 lire, removed from his church in Campriano, and confined in Siena for two
years.Filippo and the presbyter Ser Cristofano Another case heard by the
bishop’s court in Grosseto deals with a mother who brought charges against a
priest who had raped her son. Monna Caterina, a thirty-year-old widow living in
Campagnatico, in the outskirts of Grosseto, reported that the presbyter Ser
Cristofano “has raped my little son Filippo.”38 The narrative she provides
illustrates a mother’s care and a young victim’s shame. “For the past year I
have sent my Filippo to his [Ser Cristofano’s] school andone evening when he
came back one I noticed he was unhappy and very sad.” Caterina asked what was
going on, but Filippo refused to answer. Later that evening, when she was
“undressing him to put him in bed, I saw his shirt very bloody and I asked him
what blood was this.” Filippo confessed that on that day, the priest had called
him in his bedroom and had given him a book and he had approached him and while
he pretended to teach him, he did that horrible thing on the back, and because
the little boy yelled, he hit him few times. Ser Cristofano threatened the boy
not to reveal anything to me nor to someone else and so, “looking carefully at
the boy, I saw that he had hurt him and had broken his ass and so I decided he
would not attend school anymore.” In her testimony, Caterina also reported that
she heard that Ser Cristofano had raped “Monna Lena, a widow at that time” and
that rumor went around the entire countryside that “he torn her behind.” But
what troubled Caterina more was that she and Ser Cristofano were cousins39
—presumably, she did not understand the reason behind his “bad behavior”
against his twelve-year-old nephew Filippo. When the bishop’s vicar
interrogated young Filippo, the story matched closely with what his mother had
reported. Both accounts pointed to a familiar closeness and confidence that the
presbyter had showered on Filippo in order to sodomize him. Filippo recounted:
I know Ser Cristofano of Ventura, the priest in Campagnatico and my kin, and I
attended his school for a year or perhaps more and one evening, after the other
pupils had left, I remained there to serve him at dinner and after he had dined
he stood up and he went to sit on a chair in his bedroom and he called me.
After I made the bed, we went back and he sat again on the same chair. Then he
gave me an illustrated book and he put me between his legs: he untied my pants
and lifted up my shirt and put his thing into my ass and caused me pain. I
started to scream and asked him to let me go, but he was holding me and he was
thrashing and kept telling me “be quiet, be quiet” and he closed my mouth so I
could not scream and he put his thing into my ass and then he let me go. I went
home and, along the way, I could not walk because he hurt me in the ass and I
was bleeding and I went to bed and my mother saw my shirt and I think she
believed it was scabies because at that time I had it, and then I told her: and
she did not want me to go to school again and I did not go anymore. In response
to a direct question, Filippo answered, “I never saw nor do I know whether Ser
Cristofano did something like this to any other student.”40 Family relation was
the justification Ser Cristofano used to keep Filippo back, have him serve
dinner, and make the bed. Once there, he used the “illustrated book” to entice
the boy enough to sodomize him, counting on the fact that Caterina, as a widow,
did not have a husband to defend the family or take action against the presbyter,
whose social and cultural position in town served, in part, to protect
him.Reading the document with modern eyes, we note Caterina’s maternal
sensitivity: she immediately realized that Filippo was unhappy and hiding
something. Her understanding of her son and her emotional connection with him
were strong and deep. She also had aspirations for her son, enough to send him
to be educated by a learned relative who might open doors in life for the boy.
In spite of this, Caterina was not about to accept her cousin’s violence
against her son and reacted quickly and with determination: “I did not want him
to go to his school anymore” she told the vicar’s notary, and then, perhaps to
temper her rage, added “I consider him [Ser Cristofano] wicked man [tristo]41 because he raped my
little boy Filippo.” Although Filippo was about twelve years old at the time,
Caterina referred to him as a citto (little boy), using a typically vague term
for a child that could be adapted to the legal necessities of the moment—in her
eyes, Filippo was an innocent child and not a possibly compliant youth. In
fact, the records do point to Filippo’s physical weakness and to his inability
to deal forcefully enough with the situation to avoid the rape—caught by surprise,
he reacted strongly and screamed, but to no avail because the priest’s adult
strength, his shutting Filippo’s mouth to prevent the boy from screaming, and
his repeated command to the boy to “be quiet” while he raped him all
contributed to overpower and subdue Filippo. The consequences of the priest’s
violence were not only physical—lacerations, bleeding, pain—but also
psychological—the boy’s depression and silence on his return home. While in
cases of anal rape in Venice, the authorities, already in the fifteenth
century, sought the help of surgeons and barbers to examine and report on the
lesions and physical damage done to the victim’s body,42 this was not the case
in Siena. There is no trace of such provisions in the surviving statutes of the
Sienese barber surgeons’ guild.43 The only reference I have found to an
obligation to report on wounded persons is a decree of February 1556 (reissued
in 1563) signed Governor Ferdinando Barbolani di Montauto, which refers to
wounds in a general way, and not to wounds specifically caused by sexual
violence or sodomy.44 In a case of some years later, a certain Arcangelo
charged the chaplain Ser Andrea with having sodomized his eight-year-old son
Sabbatino, who had been a boarding student in the chaplain’s school, and with
having threatened him (Arcangelo) with a weapon.45 Arcangelo reported that “one
night, while sleeping in bed with Sabbatino, Ser Andrea sodomized him forcibly
and against Sabbatino’s will, so that he broke his ass and then abandoned him.”
As he was being raped, the young boy screamed and was heard by a neighbor. The
physical damage done to Sabbatino was such that he could not walk. Archangelo
heard of this from a local miller who presumably heard the news through the
small talk of the neighbors, and went to the chaplain’s house to get his son
and take him home. A few days later, Arcangelo went to pick Sabbatino’s things,
but the chaplain refused to return them. In front of other people, the chaplain
threatened Arcangelo with a hatchet while “another man who is in his house took
an harquebus.” Ser Andrea’s violent behavior was not limited to
Sabbatino:Arcangelo reported that “he has sodomized four more little boys,”
among them two of the miller’s sons.Conclusion The case studies presented in
this essay point to a much larger corpus of documents dealing with legal cases
against perpetrators of crimes of sexual violence. A first observation we might
draw from the evidence presented is that, ten years after the publication and
implementation of the 1558 Florentine law against sexual violence, cases were
still being handled with leniency towards the accused—at least in Sienese
territory. In spite of mounting evidence that included precise and detailed
information from the victims, supporting evidence from eye-witnesses and other
people, and in spite of the use of torture (in a few cases) to extract further
information or confirm previously given information, alleged culprits seem
generally to have received lenient sentences that spared their life. What is also
striking is that all defendants denied the allegations raised against them,
even under torture. In their defense, the accused used standard diversion
tactics in order to have the case dismissed or the penalty reduced. This
included suggesting that the children’s allegations were reliable because of
their young age, or the fact that the children may have been prompted by others
to say things that were not true, or that they had been instructed on what to
say in order to build a case against the accused. Was this sexual violence
against minors “normal” at the time? To modern eyes, the cases and evidence
presented here may seem extreme and even unbelievable, and some contemporaries
probably felt the same way. Yet, as Ottavia Niccoli reminds us, we must not imagine
a constant in “human nature” that might allow us to apply our criteria, our
sensibility, our perceptions to people who lived five or six hundred years ago,
except in very general terms. The mental frame of our ancestors was, in fact,
and at least under some aspects, very different from ours.46 We can observe
that those mothers, fathers, and relatives who sought justice for their
victimized children did so without fear of the court, or public opinion, or the
bureaucratic lengths of time the process would entail. We can also note how
local communities were not sympathetic towards people in positions of authority
who behaved in improper ways towards the young people they were supposed to
educate, defend, and protect. The Sienese evidence suggest that these cases,
unlike those in Florence or Venice, were not about voluntary choices.47 These
were not cases of same-sex consensual sodomy or prostitution for profit. These
were violent acts perpetrated by men in power over young people who could not
defend themselves. As Patricia Labalme aptly said, “although there is herein
much to pity and much toprotest, this is a story without a moral.”48 The
evidence from the Sienese records points to the same conclusion.Notes 1 Di
Simplicio, “La criminalità.” For the later period, Di Simplicio, Peccato
penitenza perdono. 2 For the case of violent behavior in Bologna see Niccoli,
Il seme della violenza. 3 Archivio di Stato di Siena (hereafter ASSi), Guida
Inventario, 105, 119–23. 4 Ibid., 105. 5 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 6 ASSi, Guida Inventario, 121. 7 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 8 ASSi, Guida Inventario, 123. 9 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 117. 10 For social aspects, see Rocke, Forbidden Friendships. For
statistical aspects, see Zorzi, “The Judicial System.” 11 Ascheri, ed.,
L’ultimo statuto, III. 76 “De poena adulterii, stupri et raptus,” 315. 12
Brackett, Criminal Justice, 111. 13 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 79 “De
poena sogdomitarum,” 316. 14 Cantini, Legislazione Toscana, Archivio di Stato
di Firenze (hereafter ASFi), Mediceo del Principato (hereafter MdP) 1869, fol.
13r (February 16, 1559). 17 Giansante, “Camaiani Onofrio.” 18 ASFi, MdP 1869,
fol. 27r. 19 It may be possible that she is “domina Francisca relicta quondam
Michelagnoli Iacobi de Belforte” with whom Terenzio had disagreements for some
quantities of wheat, ASSi, Curia del Placito 750, not foliated (November 4,
1555). 20 He does not appear in ASSi, Ms A 33, fol. 305r (battezzati), a
compilation of baptismal records from church registers in the Baptistery and
civic records in the office of the Biccherna. 21 ASSi, Ms A 39, fol. 203r
(riseduti). 22 ASFi, MdP 1869, fol. 21bisr. 23 ASSi, Notarile ante cosimiano
99, not foliated. Pietro was also legum doctor. 24 ASSi, Concistoro 2453 ad
datam (April 18, 1554). 25 ASSi, Capitano di giustizia 645, fols. 17r–19r
(August 1570). 26 ASSi, Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 63, passim
(1557). 27 ASSi, Biccherna 1127, fol. 24v (1544); ASSi, Capitano di giustizia
645, fol. 94r–v (July 1571). 28 ASSi, Governatore 436, fol. 86r–v (June 28,
1571). 29 ASSi, Concistoro 2081, not foliated (March 20–24 1524). 30 ASSi,
Concistoro 2080, not foliated (April 26, 1524). 31 ASSi, Capitano di giustizia
645, fol. 78r–v (May 29, 1571). 32 ASSi, Capitano di giustizia 611, fols.
138v–139r (April 8, 1567). 33 ASSi, Capitano di giustizia 150, fols. 169v–173r
(November 2, 1555). 34 It was common custom to free some prisoners during the
most important religious celebrations. 35 ASSi, Repubblica di Siena ritirata in
Montalcino 5, not numbered Archivio Arcivescovile di Siena (hereafter AASi),
L’Archivio Arcivescovile di Siena, ed. G. Catoni and S. Fineschi (Rome: 1970).
37 AASi, Cause criminali 5509, insert 3 (January 23–December 6, 1569). 38 AASi,
Cause criminali 5502, insert 4 (May 5–September 1, 1552). 39 “To me he is a
cousin brother” (“a me è fratello consobrino”), that is, a cousin born to a
sister of Caterina’s mother.40 “For a similar case, see Marcello, “Società
maschile e sodomia.” 41 The Treccani Italian vocabulary defines as tristo a
person who has a bad attitude. 42 In 1467 the Council of Ten issued a law that
obliged doctors to report “anyone treated for damages resulting from anal
intercourse”; see Ruggiero, The Boundaries of Eros, 117. 43 ASSi, Arti 37
(1593–1776). 44 ASSi, Statuti di Siena 64, fol. 72r. 45 AASi, Cause criminali
5504, insert 4 (February 19–March 5, 1559). 46 “Non dobbiamo immaginare una
costanza della ‘natura umana’ che ci consenta di applicare i nostri criteri, la
nostra sensibilità, la nostra attitudine percettiva a chi è vissuto cinque o
seicento annifa, se non in termini generalissimi. L’attrezzatura mentale di
quei nostri antenati era infatti, almeno sotto alcuni aspetti, molto differente
dalla nostra.” Niccoli, Vedere, vii. 47 For Florence, see Rocke, “Il fanciullo”
and Rocke, Forbidden Friendships. For Venice and the Veneto see Ruggiero, The
Boundaries of Eros. 48 Labalme, “Sodomy,” 217.Bibliography Archival sources
Archivio Arcivescovile di Siena (AASi) Cause criminali 5502 and 5509 L’Archivio
Arcivescovile di Siena. Edited by G. Catoni and S. Fineschi. Rome: 1970.
Archivio di Stato di Firenze (ASFi) Mediceo del Principato (MdP) 1869 Archivio
di Stato di Siena (ASSi) Arti 37 Biccherna 1127 Capitano di giustizia 150, 611,
and 645 Cause criminali 5504 Concistoro 2080, 2081, and 2453 Curia del Placito
750 Governatore 436 Guida Inventario. Rome: 1994. Manuscript A 33 and 39
Notarile ante cosimiano 99 Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5 and 63
Statuti di Siena 64Published sources Ascheri, Mario, ed. L’ultimo statuto della
Repubblica di Siena (1545). Siena: Accademia senese degli Intronati, 1993.
Brackett, John K. Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence,
1537–1609. Cambridge: Cambridge University Press, 1992. Cantini, Lorenzo.
Legislazione Toscana. Volume 1, 3, and 4. Florence: nella stamperia
Albizziniana, 1800. Di Simplicio, Oscar. “La criminalità a Siena (1561–1808):
Problemi di ricerca.” Quaderni Storici Peccato penitenza perdono, Siena 1575–1800:
La formazione della coscienza nell’Italia moderna. Milan: Franco Angeli,
1994.Giansante, Mirella. “Camaiani Onofrio.” In Dizionario Biografico degli
Italiani 17, 1974. Labalme, Patricia. “Sodomy and Venetian Justice in the
Renaissance.” Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis Marcello, Luciano. “Società maschile e
sodomia: Dal declino della ‘polis’ al Principato.” Archivio Storico Italiano
150 (1992), 115–38. Niccoli, Ottavia. Il seme della violenza: Putti, fanciulli
e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento. Rome-Bari: Laterza, 1995. ———.
Vedere con gli occhi del cuore: Alle origini del potere delle immagini.
Rome-Bari: Laterza, 2011. Rocke, Michael. Forbidden Friendships: Homosexuality
and Male Culture in Renaissance Florence. New York: Oxford University Press,
1996. ———. “Il fanciullo e il sodomita: pederastia, cultura maschile e vita
civile nella Firenze del Quattrocento.” In Infanzie: Funzioni di un gruppo
liminale dal mondo classico all’Età moderna. Edited by Ottavia Niccoli, 210–30.
Florence: Ponte alle Grazie, 1993. Ruggiero, Guido. The Boundaries of Eros: Sex
Crimes and Sexuality in Renaissance Venice. Oxford: Oxford University Press,
1985. Zorzi, Andrea. “The Judicial System in Florence in the Fourteenth and
Fifteenth Centuries.” In Crime, Society and the Law in Renaissance Italy.
Edited by Trevor Dean and K.J.P. Lowe, 40–58. Cambridge: Cambridge University
Press. Residence, community, and the sex trade in early modern Bologna Vanessa
McCarthy and Nicholas TerpstraEarly seventeenth-century Bologna was unique for
its relatively tolerant legislation on female prostitution. Rome, Florence, and
Venice required meretrici (prostitutes) and donne inhoneste (dishonest women)
to inhabit designated areas and streets. Romans settled on the large area of Campo
Marzio for their residence, Venetians ordered women to reside in the old
medieval civic brothel known as the Castelletto near the city’s commercial
center, the Rialto, and Florentines designated a few streets located in the
poorest areas of each city quarter.1 Segregation was motivated by concerns
about morality as well as the more pragmatic issues of civic disorder, noise,
an policing. Containment protected
sacred spaces and pious inhabitants from the immorality and disruption of
prostitutes and their clients and made it easier for authorities to locate and
arrest violators, thereby increasing order as well as the fees and fines
collected.2 By contrast, Bologna permitted registered prostitutes to live
across the city, and the records of its prostitution magistracy demonstrates
that they did. The extant annual registers from 1583 to 1630 provide a rare
opportunity to map where hundreds of registered prostitutes lived in the city,
and to trace individual women’s movements. Only about half lived on streets
with ten or more prostitutes, and very few dwelt on streets with twenty or
more. Consequently, most Bolognese could count prostitutes and dishonest women
as near neighbors, and for many laboring-poor, prostitution and prostitutes per
se were not a serious problem.3 Regulation and enforcement in Bologna show that
secular and religious civic authorities and the general populace approached
prostitution primarily as an issue of economics and public order, and only
secondarily as an issue of morality and public decorum. Due to the city’s
economic reliance on university students, civic authorities had long regulated
prostitution as a commercial issue and prostitutes as fee- and fine-paying
workers governed by a civic magistracy known as the Ufficio delle Bollette
(Office of Receipts). Established in 1376, theBollette registered “Foreigners,
Jews, and Whores” (Forestiere, Hebrei, et Meretrici ). After having tried civic
brothels and sumptuary regulations in the fourteenth and fifteenth centuries,
and residential zones in 1514 and 1525, Bolognese civic authorities of the
later sixteenth century bucked prevailing trends with comparatively relaxed
legislation that underscored the connections between prostitutes, Jews, and
foreigners as coherent communities living and working in the local body social
while remaining legally outside the body politic.4 The Bollette’s officials and
functionaries negotiated between legislation, their own interests, and the
needs of individual prostitutes when enforcing regulation. The hundreds of
women who registered annually as prostitutes were integrated into local
communities through residence and through familial, work, and affective
relationships, and had greater opportunities for agency than broader cultural,
religious, and social ideals would lead us to expect. There were bumps on the
road to this more relaxed regime. In the late 1560s, the Tridentine reforming
Bishop Gabriele Paleotti attempted to separate prostitutes and other dishonest
women from most of Bolognese society through residential confinement. Citing
the desire “to restrain their wickedness and uncontrolled freedoms of life” and
to stop them from polluting others with their “filth,” Paleotti and the papal
legate published three decrees that ordered all prostitutes, courtesans, and
female procurers to live in a handful of specific city streets. Yet Paleotti
was overstepping his jurisdiction. His ambitious reforms failed within eighteen
months, and by 1571 the civic government had regained exclusive control over
regulation.5 It returned to the more tolerant strategy employed before the
bishop’s intervention: all prostitutes and dishonest women were required to
register and purchase moderately priced licenses from the Bollette, but they
were neither required to wear distinguishing signs nor to live in assigned
streets or areas. They were free to live throughout the city. Scholars of
Roman, Venetian, Milanese, and Florentine prostitution have tracked the
contrasts between strict legislation and lax prosecution. Prostitutes regularly
lived outside of designated streets and areas, sometimes thanks to exemptions
sold by the magistrates.6 Yet these cities kept their stricter legal regimes on
the books. What was distinct about a city that largely abandoned that regime?
This essay examines the residential and social integration of prostitutes in
Bologna’s neighborhoods. It first maps their distribution across the city in
order to examine how far residential “freedom” extended in practice. While
about half of registered prostitutes clustered on sixteen specific streets, the
other half lived on eighty-five other streets with ten or fewer other
prostitutes. It then reviews registrants’ sometimes complex and contested
relationships with family, clients, lovers, friends, and neighbors using evidence
recorded in the annual registers and testimonies given to the Bollette’s
officials. Most were integrated into local networks through the familial,
affective, and working relationships they had with other local men and women,
and they gave and received support and companionship. Finally, it examines late
sixteenth- and early seventeenth-century proclamations forbidding prostitutes
from residing in specific city streets. Thesedecrees ref lect the civic
government’s pragmatism: they were issued in response to the specific
complaints of powerful convents, churches, and schools located in areas with
large prostitute populations. Trial records, cultural sources, and recent
scholarship on gossip and visibility shows that most neighbors were aware of
what these women did and that they were not troubled by it. What they did find
troubling were the displays of wealth by individual women, the noise and
disorder that some brought to their neighborhoods, and instances where
neighbors lost control over their communities. The Bollette provided a vehicle
for handling these complaints without criminalizing the prostitutes. Taken
together, the residential and legal evidence demonstrates that prostitutes
lived in most workingpoor neighborhoods of early modern Bologna and that they
were largely tolerated as a fact of life.The geography of early modern
Bolognese prostitution The majority of registered prostitutes lived in the area
between the second and third sets of city walls (see Figure 4.1), the “inner
suburbs” where the urban poor typically clustered in Italian cities.7 Only a
handful of prostitutes lived near the city center, usually on short alleys
hidden behind larger publicFIGURE 4.1Agostino Carracci, Bononia docet mater
studiorum, 1581.56buildings that had been licensed for prostitution in earlier
centuries.8 The civic brothel noted in the 1462 Bollette regulations had been
immediately south-west of the Piazza Maggiore and civic basilica of San
Petronio, and some prostitutes worked by particular gates and markets, but from
the sixteenth century Bolognese meretrici moved to houses across the low-rent
inner suburbs.9 Table 4.1 charts the number and percentage of registrants
who lived in each quarter in 1584, 1604, and 1624. The quarters differed in
size and population as Figure 4.1 shows, and the larger quarters of Porta
Procola and Porta Piera housed more prostitutes. Few lived by the north-western
city wall in Porta Stiera, which appear on Agostino Carracci’s 1581 map
(reproduced here) as dominated by fields.10 The sharp rise and fall in the
number of women registering demonstrate the inconsistencies of early modern
bureaucracy, with total numbers increasing by 327 from 1584 and 1604 (from 284
to 611) and then plummeting by 466 between 1604 and 1624 (from 611 to 165). Lucia
Ferrante has argued that in 1604 the Bollette was operating with unusual
efficiency, and perhaps even over-zealously.11 The f luctuations tell us more
about where the Bollette concentrated its work than about where all the
prostitutes and dishonest women actually lived. Charting residence by quarter
demonstrates that prostitutes spread themselves fairly evenly throughout the
outskirts of the city, and across each quarter. In 1604, registrants lived on
at least 102 streets, yet only eight streets had twenty or more women, and only
eight were home to ten to nineteen women (see Table 4.2). A few streets
housed larger numbers, like Borgo Nuovo di San Felice, in the western quarter
of Stiera by the city wall, and Campo di Bovi, located by the eastern city wall
in the quarter of Porta Piera.12 Women also clustered in the ghetto after the
Jews were expelled from the Papal States for a final time in 1592.TABLE 4.1
Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters1584Porta Piera Porta
Procola Porta Ravennate Porta Stiera Total16041624Number of resident
prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of
total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrants. This
table includes only those women with identifiable addresses. In 1584, this was
88% of all registrants (250 of 284 total registrants), in 1604 it was 91.8%
(561 of 611), and in 1624 it was 92.7% (153 of 165). Sources: Campione delle
Meretrici 1584, 1604, 1624.The sex trade in early modern Bologna 57 TABLE 4.2
Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarterQuarter of
Porta PieraQuarter of Porta ProcolaQuarter of Porta StieraCampo di Bovi:
36Senzanome: 36Jewish Ghetto: 21Frassinago: 21Borgo Nuovo di Fondazza: 29 San
Felice: 47 San Felice by the Broccaindosso: 10 gate: 13 Avesella: 10Borgo di S.
Giacomo: 20 Borgo di Santa Caterina di Saragozza: 21 Torleone: 18 Borgo degli
Arienti: 14 Borgo di San Marino: 17 Bràina di stra San Donato: 13 Gattamarza:
13Quarter of Porta RavennateSource: Campione delle Meretrici 1604.This was an
ironic reversal of the situation in Florence, where the ghetto was deliberately
located within the old brothel precinct in 1571.13 In 1604, twentyone women
lived in this area. Most streets in Bologna’s inner suburbs numbered only a few
prostitutes. In 1604, 84 percent (86 of 102) of the streets on which they
registered housed nine or fewer prostitutes, and these women accounted for
almost half of all registrants that year (44 percent). Further, 66 percent (68
of the 102 streets) housed five or fewer. Consequently, many of these women
lived on streets that were not dominated by prostitutes. A typical example of
this is the south-western corner of the city (see Figure 4.2). In 1604, three
of the area’s streets were heavily populated by prostitutes: Senzanome housed
36, Frassinago housed 21, and Borgo di Santa Caterina di Saragozza housed
twenty-one. However, the majority of the neighborhood’s streets had five or
fewer resident prostitutes and dishonest women: five women lived on Altaseda,
four on Nosadella, and three on Capramozza. The surrounding streets of Bocca di
lupo, Belvedere di Saragozza, Borgo Riccio, and Malpertuso had two or fewer. On
these streets prostitutes mixed with day-laborers, artisans, and merchants. They
rented rooms from pork butchers and shoemakers, lived in inns, and resided next
to potters.14 These were their immediate neighbors, separated only by the
porous boundaries of walls, stairways, doorways, and windows where they had
frequent day-to-day interactions.15 Like other working-poor women, they were
not confined to the streets that they lived on, but could and did move through
the surrounding area buying food, engaging in chores, finding work, visiting
friends, and going to the Bollette to buy their licenses.16 As Elizabeth S.
Cohen writes, prostitutes were both “seen and known” in their
neighborhoods.FIGURE 4.2Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum,
1581.Networks, neighborhoods, and communities The Bollette’s records reveal
prostitutes’ affective social and familial circles. Some women were registered
as living in their mother’s, sister’s, and (more rarely) cousin’s homes, while
other women’s female kin, housemates, lovers, and servants bought their
licenses. Notaries did not consistently record such details, making
quantitative analysis difficult.17 While men regularly appear in the registers
paying for licenses, the specifics of their relationships with the women were
almost never recorded. The Bollette’s records, particularly testimonies in
cases of debt against clients and long-term partners, provide rich information
aboutThe sex trade in early modern Bologna 59women’s familial, social, and work
relationships. However, the tribunal devoted more effort to investigating
unregistered women suspected of prostitution, than to the hundreds of women who
had bought licenses. The Bolognese evidence can be placed in the context of
evidence from other northern Italian cities demonstrating how prostitutes were
surrounded by family, housemates, and allies. In early seventeenth century
Venice, three-quarters of 213 prostitutes noted in a census lived with other
people. Most headed their own households, but some were boarders or lived with
their mothers. The majority of those who headed households sheltered dependent
female kin, children, and a variety of unmarried women, including servants and
other prostitutes. A few heads of households (6 percent) lived with men, who
were either their intimates or boarders.18 Roman parish censuses from 1600 to
1621 show similar cohabitation patterns: 47 percent of prostitutes lived with
at least one family member, mostly children but also siblings, nieces and
nephews, and widowed mothers.19 Everyone within the household economy
benefitted from the income and goods earned by these women. Bologna’s registers
give examples of sisters as registered prostitutes, like Dorotea di Savi,
called “Saltamingroppa” (literally “Jump on my behind”) and her sister
Benedetta, who lived together with their servant Gentile on Broccaindosso.20
Similarly, Margareta and Francesca Trevisana, both nicknamed “La Solfanella”
(“The Matchstick”), lived together on Borgo di Santa Caterina di Saragozza for
eight years. While Francesca registered annually from 1598 to 1605, Margareta
did so only in 1602, 1604, and 1605.21 Before registering, Margareta likely
enjoyed the income that her sister earned through prostitution and may have
assisted in preparing for and entertaining clients. The Bollette suspected that
she had, and so launched an investigation against her when she became pregnant
in 1601.22 Mothers and daughters also lived and worked together, like Lucia di
Spoloni and her daughter Francesca, who lived on San Mamolo by the old civic
brothel area, and Anna Spisana and her mother Lucia, who lived together on
Borgo degli Arienti.23 In 1604, Domenica di Loli bought licenses for her
daughters Francesca and Margareta, and all three lived just south of the church
and monastery of San Domenico on Borgo degli Arienti. Francesca had lived on
the street since at least 1600, and while she was no longer registering in
1609, her sister still was. Margareta continued to live on Borgo degli Arienti
until 1614, perhaps with her mother and sister.24 Prostitutes often lived
together in rented rooms, small apartments, and inns. Residential clustering
was not uncommon for unmarried women, who shared the costs of running a
household through lace making, street-peddling, prostitution, and laundering.25
The largest could count as brothels, though there were relatively few of them.
In 1583, twenty-one dishonest women lived in the house of Gradello on Bologna’s
heavily populated Borgo Nuovo di San Felice, by the eastern wall. Yet while
registrations climbed in the 1580s, the group at Gradello’s shrank to fourteen
women in 1584, and eleven in 1588.26 Moreover no other large houses appeared
through this period. In 1604, the street with mostregistrations was Borgo Nuovo
di San Felice, with forty-seven women, and the largest single group was
thirteen who gathered in the house of Lucrezia Basilia, while the rest had five
or fewer.27 On the second and third most populated streets, Campo di Bovi and
Senzanome, no house had more than six registered prostitutes living in it.28
These larger clusters were often inns, where prostitutes benefitted from the
presence of other women and the protection of innkeepers. Inns popular with
prostitutes included those of Matteo the innkeeper (“osto”) on Frassinago and
of Angelo Senso on Pratello. Seven registered women lived at Matteo’s inn in
1589, and ten lived in Angelo’s inn in 1597.29 Few women stayed at inns for
more than a year and most registered without surnames, but instead with
reference to a town, city, or region, like Flaminia from Ancona (“Anconitana”),
Francesca from Fano (“da Fano”), and Ludovica from Modena (“Modenesa”) who
lived at Matteo’s place in 1598. These could have been recent migrants or women
identifying by parents’ origins or using pseudonyms. The inns and brothels
helped them build social networks as they secured places of their own. Yet, it
was more common for women to live with one or two other prostitutes in rented
rooms and small apartments. In 1597, Lucia Colieva lived with Elisabetta di
Negri on Borgo di San Martino, and the following year she joined another
registered prostitute, Vittoria Fiorentina, on Senzanome.30 Similarly, in 1601
Isabella Rosetti, Giulia Bignardina, and Cassandra di Campi all lived together
in Isabella’s home on Frassinago. A year later Giulia had died and Cassandra
was no longer registered.31 For just under ten years, Madonna Ginevra Caretta,
who was unregistered, managed a small apartment where six to eight registered
prostitutes lived.32 Unlike Bologna’s inns and taverns, Ginevra’s household was
mobile, moving across town and back again over the years it operated. In 1588
it was located on Saragozza, in the south-western corner of the city, and the
next year it moved to San Colombano in the northwest quarter of Stiera. At
least one woman, Lena Fiorentina, followed Ginevra to the new street, where she
remained for almost a decade before moving to Paglia.33 A few of the
prostitutes lived with Ginevra for years, like Pelegrina di Tarozzi, who stayed
for four years, and Chiara Mantuana, for three.34 Domenica Cavedagna,
registered for thirteen years (1597–1609), ran a house on Centotrecento and
then on Bràina di stra San Donato.35 Seven other prostitutes lived with her in
1604, and a year later three had left but six new women had moved in. A few
stayed with her for four or five years.36 The Bollette’s registers explain why
some of the women moved out of the homes run by women like Ginevra Caretta and
Domenica Cavedagna. Some entered service (either domestic, sexual, or both)
while others moved to different streets or left Bologna entirely to try their
luck elsewhere.37 While living with other prostitutes could bring economic,
professional, and even personal security, it could also bring personal rifts or
increased attention from the police (sbirri ), who saw these homes as easy
targets for making arrests. Men interacted with registered prostitutes as
occasional clients, long-term amici, absentee husbands, jealous lovers, and as
acquaintances, if not friends.Single women, whether unmarried or widowed, were
financially and socially vulnerable, subject to sexual slander, to charges of
magic and sorcery, and to general suspicion by neighbors and authorities
alike.38 Relationships with men afforded them a degree of protection from the
financial and social marginalization they experienced because of their gender,
economic status, and work, and so women turned to them not just for income and
companionship but also for a measure of protection. The civic government had
always prohibited married women from prostituting themselves, since by doing so
they committed adultery. The 1462 statutes ordered whipping and expulsion for
the women, and fines of 100 lire for officials who looked the other way.39
Women living with husbands could not register with the Bollette, though
abandoned wives sometimes could. Francesca di Galianti claimed in 1604 that her
husband Bartolomeo di Grandi went to war three or four years previously,
leaving her with a three-year-old daughter to feed. She had since given birth
to a daughter with a cloth worker Giovanni, with whom she had been living for
about a year “to make the expenses.”40 For the Bollette, the question of
whether abandoned women like Francesca could and should register was a
practical one since women who registered were women who paid fees. These women
appealed to the sympathy of Bollette officials by claiming that they were
married but had not seen their husbands in many years, leaving unanswered the
question of whether their husbands were alive or dead. This ambiguity about the
ultimate fate of their husbands would have freed them from charges of adultery
at the archbishop’s tribunal (if the husband was alive) while at the same time
freeing them from registration with the Bollette (if he were dead). Francesca
did not state whether she thought her husband was dead or alive, and ultimately
a kinsmen Vincenzo Dainesi swore that he would ensure she left her “wicked
life” (“mala vita”) and take her into his home to live with him and his wife.41
The officials were satisfied with this, and so Francesca remained unfined and
unregistered. In 1586, Vice Legate Domenico Toschi authorized police to seize
“all married women who do not live with their husbands” caught at night in bed
with their lovers (amatiis).42 Archbishop Gabriele Paleotti believed such women
were clearly committing adultery, and Pope Sixtus V’s bull Ad compascendum
(1586) ordered that any married person whose spouse was alive and had sex with
another person—even if they had a separation from an ecclesiastical court
—should be sentenced to death.43 Toschi’s decree was reconfirmed ten years
later by the new vice legate, Annibale Rucellai, and a third time in 1614.44 If
a woman returned to her husband, she was to be immediately deregistered and
could not be allowed to practice prostitution. If she continued, she was no
longer under the Bollette’s jurisdiction, but rather that of the archbishop.
Stable relationships with men, referred to in Bologna as amici, “lovers,” or as
amici fermi, “firm friends,” offered a measure of economic security for
prostitutes by providing money, clothing, and food in varying amounts depending
on the men’s own status.45 When Arsilia Zanetti sued Andrea di Pasulini, notary
of thearchbishop’s tribunal, for compensation for their three-year sexual
relationship (“amicitia carnale”), she noted he had given her three pairs of
shoes, a pair of low-heeled dress slippers, and a few coins (a ducatone, half a
scudo, and a piastra, a Spanish coin).46 Buying the woman’s licenses could also
be part of the arrangement, as Pasulini had also done for Arsilia.47 Even
though Bologna’s monthly rate of five soldi, and annual rate of three lire, was
extraordinarily low—only onefifth of what Florentine prostitutes paid—this was
another expense that women did not have to worry about and suggested commitment
on the part of the men.48 Lovers and friends helped women in their interactions
with the law. The cavalier Aloisio di Rossi had a three-year sexual
relationship with Pantaselia Donina, alias di Salani, and when her landlord
complained to the Bollette that she had not paid the rent, di Rossi acted as
her procurator and ultimately paid the landlord.49 Other prostitutes maintained
relationships with local, low-level arresting officers (sbirri); Elizabeth S.
Cohen has uncovered many relationships between prostitutes and such men, noting
that “the two disparaged professions often struck up alliances in which the
women traded sex, companionship, and information for protection and money.”50
Such partnerships were not unusual in Bologna. In May 1583, the sbirro Pompilio
registered Francesca Fiorentina as his “woman” (“femina”) and got her a
six-month license for free.51 In 1624 three women registered as living in the
“casa” of the Bollette’s esecutore, Pietro Benazzi, on Borgo di San Martino.52
Pietro registered Caterina Furlana on January 11, 1624 and paid for her
one-month license. She was subsequently de-registered because “she went to stay
in order to serve Pietro Benazzi.” When Caterina di Rossi moved out of her
place on Borgo degli Arienti and into Pietro’s house, she paid for one month
and never again.53 Though these Bollette functionaries could not keep these
women’s names out of the registers, they could keep them from paying for
licenses, even when they were most likely still living by prostitution, and may
have protected them from harassment by other court officials. Male friends
could also be rallied for support, particularly by women who had lived in one
street or area for a substantial period of time, building reputations and
financial and social ties with their neighbors. When Margareta Trevisana “The
Matchstick” (Solfanella) was investigated by the Bollette in 1601, she had been
living on Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore with her sister for at
least eight years. She confessed that three years earlier she had given birth to
the child of Messer Antonio Simio, a married man.54 The Bollette had
investigated her then, allowing her to remain unregistered on the promise that
she would reform her life and go to live with an honorable woman. In 1601 she
was pregnant with the child of another man and was living with her sister
Francesca, a registered prostitute.55 Margareta produced statements signed by
two male neighbors who described her as a good woman (“donna de bene”) the
whole time they had known her, while her parish curate confirmed that she had
confessed and taken communion the previous Easter.56 On further questioning by
the Bollette, the priest claimed that he had known Margareta for about ten or
twelve years, having first met herwhen he lived in the same house as she and
her sister. He claimed not to know what kind of life Margareta led, but
admitted that she appeared pregnant, and was, as far as he knew, not married.
The priest’s testimony cleared her of charges of adultery, but could not save
her from registration, a three-lire fine, and probation.57 In May 1602,
Margareta produced statements about her “honest life and reputation” provided
by two different neighbors and another curate at Santa Caterina di Saragozza,
and her name was removed from the register.58 Margareta lived on the same
street for ten or twelve years, had relationships with neighbors and
housemates, had a sister with whom she lived, and was able to rally four male
neighbors and two parish priests to support her. She and others moved amongst
family, friends, long-term lovers, and occasional clients, building
relationships on reciprocal, if uneven, bonds of financial, emotional, and
legal support and protection. They were not just physically a part of Bologna’s
working-poor neighborhoods, but also socially and affectively integrated into
their communities.Bad neighbors While Bolognese civic law tolerated
prostitution and permitted prostitutes to reside throughout the city, public
disorder was always a concern. Decrees published by the Bolognese legate, at
the request of convents, churches, confraternities, and schools, frequently
lamented the dishonest words and daily and nightly reveling by prostitutes and
other disreputable people.59 Men socialized in prostitutes’ homes, eating,
making music, and talking.60 While some parties remained relatively quiet,
others filled the neighborhood with winefueled singing, laughing, and the
sounds of dancing and of fights over games of chance. The noise was intrusive,
disruptive, and alarming: blasphemous words, violent acts, and sexual slander
carried through windows, over walls, and into streets, squares, and other
residences. Broadsheets illustrating prostitutes’ lifecycles usually included
knife fights by men who discovered that “their” woman had another lover.61
Barking dogs, brawling men, and screaming women heard through f limsy walls and
open windows added to the noise of crowded squares, laneways, and streets.62
Men also fought in doorways and on streets in full sight and hearing of
neighbors. To reduce these disturbances, Papal Legate Bendedetto Giustiniani
forbade prostitutes from throwing parties ( festini ) or “making merry” (trebbi
) in the homes of honest people, or even from eating or drinking in taverns and
inns. Other decrees forbade games of chance and betting, like dice and cards.63
Lawmakers recognized that it was less the prostitutes than the men with them
who were the problem. In 1602 prostitutes were forbidden from travelling
through the city at night with more than three men, under fine of 100 scudi for
the men and whipping for the women.64 Eight years later, Legate Giustiniani
forbade prostitutes from going through the city at night with any men, under
penalty of whipping for both the men and the prostitutes.65Enclosed communities
of male and female religious frequently complained about the noise of
prostitution. Bolognese authorities attempted general exclusionary zones around
convents in the 1560s without success and so moved to proclamations expelling
prostitutes and other disreputable people from specific streets; this was
similar to Florence, where the streets designated for prostitution were de
facto exclusionary zones around most convents.66 Between 1571 and 1630, at
least fifty proclamations cleared twenty-five distinct streets in Bologna,
about one-quarter of all the streets inhabited by prostitutes in 1604. Most
proclamations concerned eight specific convents on the city’s outskirts, though
a few male enclosures were also protected.67 All either had elite connections
or were newly built, and most were near streets heavily populated by
prostitutes. In 1603 Vice Legate Marsilio Landriani forbade all prostitutes,
procurers, and other dishonest women from living on a cluster of streets
bordering the Poor Clares’ house of Corpus Domini, established in 1456 by S.
Caterina de’ Vigri, and the Dominican convent of Sant’Agnese (est. 1223), one
of the city’s richest and most prestigious convents with over 100 nuns.68
Landriani’s proclamation stated that the nuns were greatly disturbed and
scandalized by the daily and nightly reveling of prostitutes, procurers, and
other disreputable people, the “dishonest” words that they spoke, and the
wicked examples they posed.69 Prostitutes had just over a month to move out,
and those found there after the deadline would be publicly whipped, while their
landlords would be fined fifty gold scudi and lose their outstanding rents.70
Yet few prostitutes were actually registered on these streets.71 While
registrations generally dropped dramatically in the 1610s and 1620s, these streets
declined the most, with only two prostitutes remaining by 1614.72 In 1622, the
expulsion was repeated almost verbatim with the addition of two neighboring
streets that housed a handful of prostitutes; none remained by 1624.73 Concerns
about pollution continued, particularly around shrines. The confraternal shrine
of the Madonna della Neve was built in 1479 to shelter a miraculous image of
the Virgin on the street Senzanome at the south-western corner of the city.74
Senzanome had twenty-three registered prostitutes in 1594, thirty-six in 1604,
and thirty-five in 1609. Yelling, singing, mocking, and jesting disturbed the
peace, interrupted the Mass and other divine offices, and forced young,
unmarried girls and respectable residents to hide in their houses. Confraternal
brothers repeatedly complained to the legate about the noise of Senzanome’s
prostitutes and other “people who have little fear of God and his most holy
mother.” 75 Between 1587 and 1621 four proclamations expelled dishonest people
and prostitutes from Senzanome and around Santa Maria della Neve.76 One of 1608
threatened women caught residing or lingering in the street with a fine of ten
scudi the first time, and expulsion the second time.77 Men could be fined ten
scudi the first time, and another ten scudi and three lashes the second time.
This proclamation even named three specific women, Giulia da Gesso, Doralice
Moroni, and Ludovica Giudi, “as well as every other meretrice.” 78 A year later
all three of these women were still living on Senzanome, with Doralice Moroni
registeredin the house of the priest Campanino and Giulia da Gesso in the house
of a priest of San Niccolo.79 Moreover, they shared the street with thirty-five
other registered prostitutes. Yet the prostitutes gradually did move away, and
in 1614 and 1624, only two women registered on Senzanome.80 The Legate’s 1621
decree ordered dishonorable people living on Senzanome to move to Frassinago,
to Borgo Novo, or to “another street appointed to similar people” where there
were no convents, churches, or oratories.81 Neighbors had direct, day-to-day
contact with prostitutes and knew details about their lives. Gossip—the sharing
of local and extra local information— typified neighborhoods and formed the
basis of community self-regulation.82 People constantly watched and listened to
their neighbors from the streets, in doorways, through windows, on balconies,
and through f limsy walls.83 Early modern prostitution was public and visible.
Michel de Montaigne remarked that prostitutes sat at their widows and leaned
out of them, while others observed that the women promenaded proudly through
the streets.84 In his Piazza universale di tutte le professioni del mondo
(1616), Tommaso Garzoni described how prostitutes worked to catch men’s eyes
while sitting at their widows, gesturing and bantering with them.85 Some called
attention to themselves by wearing brightly colored gowns with ostentatious
decorations and jewels on their fingers and at their necks.86 Contemporary
Italian broadsheets depict women sitting at their widows and in their doorways
while older women act as go-betweens.87 Bollette testimonies show that
Bolognese knew a great deal about the prostitutes who were their neighbors.
Witnesses often claimed that they had seen women going through the streets or
into buildings and apartments with men. In 1601, Caterina Marema told that when
she lived in the same casa as Lucrezia Buonacasa, she frequently saw the tailor
Gian Domenico Sesto come to stay and sleep with her.88 Others saw more intimate
behavior, like Bartolomea, daughter of Antonio di Miani, who claimed that she
knew her neighbors Margareta and Cornelia were “meretrici” because she saw them
laughing, dancing, embracing, and kissing men. She also heard that they went to
register with the Bollette.89 Still others testified more simply that “everyone
in the neighborhood considers her to be a whore,” or, “everyone says that she
is his whore.” Finally, some men talked with each other about their sexual
relationships with women. Silvio, son of Rodrigo di Manedini, claimed that over
the previous three years his friend Tarquino, a sbirro, told him repeatedly
that he was “screwing” (chiavava) Lucrezia Buonacasa.90 In this case, Silvio
claimed also to have first-hand knowledge of their relationship: he said that
he had seen the two in bed together at Lucrezia’s house on via Paradiso and at
the watch house of the sbirri. In a close knit, intensely local world like
this, prostitutes and dishonest women would have been hard-pressed to keep their
relationships and work a secret. In pragmatic terms, some women may not have
wanted to keep their work a secret: gossip and visibility acted as
advertisement and could attract better clients. Local knowledge of women’s
attachments to men might also earn them a measure of respect, even if only
while the relationship continued, especially ifthe man was honored locally
because of his wealth or status. These relationships could bring a sort of
social protection. Whether or not women or their clients and lovers made
spectacles of themselves, prostitution was both seen and known. Most
working-poor people were not overly scandalized by the fact that their
neighbors lived by prostitution, or perhaps they had resigned themselves to
living amongst them. No evidence has come to light that working-poor women and
men made a concerted effort to drive prostitutes and dishonest women as a group
out of their neighborhoods. Most streets on which registered prostitutes lived
housed ten or fewer such women, and prostitutes may have been quieter and less
given to overt public display, since they did not have to compete with each
other for the attention of the men and youths who came in search of their
services. With fewer women there was less of the serenading, violence, and harassment
by rowdy students and drunken men that offended neighbors, and less attention
from patrolling officers looking to fill their purses with rewards for
arrests.91 Tessa Storey has argued that as long as Roman prostitutes maintained
local order and the appearance of respectability, neighbors did not see them as
an exceptional problem. A few written complaints requesting the eviction of
specific prostitutes from their streets identified only the most scandalous and
the loudest, on grounds that they posed bad examples by “touching men’s
shameful parts and doing other extremely dishonest acts” in the streets.92
Those who were well behaved—and these were actually listed by name—were welcome
to stay provided that they continued to behave. Working-poor neighbors who
found the women’s work immoral or offensive or their noise and disorder
overwhelming could move to one of the 100 or so other city streets that were
not heavily populated by prostitutes. Even in 1604, the year when the highest
number of prostitutes and dishonest women registered with the Bollette, only
sixteen streets had ten or more registrants living on them, and only eight had
more than twenty. At least half of all Bolognese prostitutes were more widely
dispersed through the city, and this may explain why we see no concerted
efforts to dispel them as a group. Beyond this, it became increasingly
difficult to successfully prosecute violations like adultery or the lack of
license. A 1586 order from the vice legate to the Bollette’s officials
suggested that small-scale rivalries were behind too many frivolous
denunciations. Henceforth, unless a woman was found in flagrante with a man,
the testimonies of two neighbors of good repute and the local parish priest
would be required in order to find her guilty.93Conclusion For many
working-poor Bolognese men and women, living amongst prostitutes was a fact of
life. Whether they respected these neighbors or not, they learned to live with
them. Prostitutes and dishonest women had their places in the local kinship,
social, and economic networks of their neighborhoodsand the larger city. This
is not to say that they were not mocked, or that those who treated them with
courtesy fully respected them. Yet while some prostitutes annoyed, overwhelmed,
and frightened some neighbors with their noise, scandal, and violence, they
were also the sisters, mothers, lovers, and friends of many others. Elizabeth
S. Cohen has argued that “[prostitute’s] presence corresponded to an intricate
engagement in the social networks of daily life. In practice, if not in theory,
the prostitutes occupied an ambiguous centrality.”94 Tessa Storey suggests that
restrictive legislation, especially residential confinement, elicited sympathy
from Romans, who were not overly concerned about the immorality of
prostitution.95 This was also true in Bologna, where prostitutes were far more
widely distributed across the entire city. Religious authorities like Gabriele
Paleotti found them immoral and disruptive, posing bad examples and needing to
be separated and marginalized. Yet civic authorities and most lay people appear
to have held more nuanced attitudes, engaging prostitutes in the body social
and using bureaucratic registration to mediate their place in the body politic.
The sources generated by the Ufficio delle Bollette in the later sixteenth and
early seventeenth centuries reveal these women operating within networks of
sociability, work, and family. They demonstrate women who fit within their
communities, more uneasily at sometimes than others, and who both gave and
received the resources of support, companionship, and security that
characterized the community-centered world of early modern Italy.Notes 1 Cohen,
“Seen and Known,” 402. Hacke, Women, Sex, and Marriage, 179. Brackett, “The
Florentine Onestà,” 291–92 and 296. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 108–24.
2 Brackett, “The Florentine Onestà,” 290–91 and 295; Cohen, “Seen and Known,”
404– 05; Storey, Carnal Commerce, 70–94; Ruggiero, Binding Passions, 48–49. 3
For expanded analysis and archival documentation, see: McCarthy,
“Prostitution.” 4 Biblioteca Universitaria Bologna (hereafter BUB), ms. 373, n.
3C, 151v–152v. Terpstra, Cultures of Charity, 205–06, 329. McCarthy,
“Prostitution, Community, and Civic Regulation,” 40, 54–61. 5 Archivio di Stato
di Bologna (hereafter ASB), Boschi, b. 541, fol. 170v, “Bando sopra le
meretrici et riforma de gli altri bandi sopra a cio fatti” (January 31 and
February 1, 1568). For more on this episode and the gendered politics of social
welfare reform in sixteenthcentury Bologna: Terpstra, Cultures of Charity,
19–54, 206–07. For the comparatively loose regime in the Convertite: Monson,
Habitual Offenders. 6 Cohen, “Seen and Known,” 403 and 405–08; Ruggiero,
Binding Passions, 49; Brackett, “The Florentine Onestà,” 292. Terpstra,
“Locating the Sex Trade,” 116-21. 7 Miller, Renaissance Bologna, 16–17.
Terpstra, “Sex and the Sacred.” 8 For example, Isotta Boninsegna and Giovanna
di Martini. In 1604 Polonia, daughter or widow of Domenico Galina of Modena
lived on Simia, while in 1614 Maria Roversi did, and in 1630 Domenica
Borgonzona lived there. ASB, Ufficio delle Bollette 1549– 1796, Campione delle
Meretrici (hereafter C de M) 1584, [np] “I” and “G” sections; 1604, [np] “P”
section; 1614, 190; 1630, [np] “D” section. 9 This street was called variously
the “via stufa della Scimmia,” the “postribolo,” or “lupanare Nuovo,” as well
as the Corte dei Bulgari. Fanti, Le vie, vol. 2, 516–17. McCarthy,
“Prostitution,” 20–67.10 Biblioteca Comunale di Bologna (hereafter BCB), Gabinetto
disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute della città di Bologna,” port. 1,
n. 14. mappe/14/library.html 11 Ferrante, “‘Pro mercede carnale,’”
48. 12 Borgo Nuovo di San Felice was one of the streets that Bishop Gabriele
Paleotti had ordered prostitutes to live in. ASB, Boschi, b. 541, fols.
170r–171v, “Bando sopra le meretrici” (January 31 and February 1, 1568). Zanti,
Nomi, 16. 13 Muzzarelli, “Ebrei a Bologna,” 862–70. 14 Francesca Ballerina
rented from Giacomo the pork butcher (lardarolo) on Frassinago. Giacoma di
Ferrari da Reggio, Ursina de Bertini, and Lucrezia di Grandi all lived in the
house of Giovanni Pietro the shoemaker (calzolario) on Senzanome. Lucia
Tagliarini lived on Frassinago in the inn of Zanino. Giovanna Querzola, alias
Stuarola, lived on Nosadella between the potter (pignataro) and the shoemaker
(calzolaro). C de M 1604, [np] “F”, “I”, “V”, “L”, “T”, and “G” sections,
respectively. 15 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” especially 64 and 68–69. 16
Chojnacka, Working Women; Cohen, “To Pray.” 17 For instance, in 1604, 611 women
registered and only eleven mothers and four sisters were recorded as purchasing
licenses for their kin. McCarthy, “Prostitution,” 220–21. 18 Of the 213
prostitutes who appeared in the censuses, one-third had children. Chojnacka,
Working Women, 22–24. 19 Storey, Carnal Commerce, 128–29. On widowed mothers,
114. 20 Benedetta was listed as “sorella di Saltamingroppa.” C de M 1604, [np]
“B” and “D” sections. 21 C de M 1605, 175. For Francesca, see C de M 1598, 56; 1599,
49; 1600, 68; 1601, 60; 1602, 72; 1603, 72; 1604, [np] “F” section; 1605, 86.
For Margareta, see C de M 1602, 201; 1604, [np] “F” section; 1605, 175. In
1605, Margareta was deregistered when she began working as a wet nurse for the
Ercolani, a senatorial family. As the register reads: “Sta per balia del 40
Hercolani.” 22 C de M 1601, 140. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601). 23 C de M 1584, [np] “L”
section. Both were registered under Lucia’s name. C de M 1624, [np] “A” and “L”
sections. 24 C de M 1600, 73; 1604, [np] “F” and “M” sections; 1609, 171; 1614,
172. Domenica was not registered. 25 Hufton, “Women without Men.” Chojnacka,
Working Women, 18–19. Cohen, “Seen and Known,” 406. 26 C de M 1584 and 1588. 27
Of those who registered, almost all gave their street and residence (44 of 47).
For names of co-habitants: McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic
Regulation,” 224–25. 28 A total of twenty-seven (75 percent) of the thirty-six
women who lived on Campo di Bovi identified their homes: five lived in the
“casa” of Messer Filippo Scranaro, and the rest lived with two or fewer other
prostitutes. A total of thirty (87 percent) of the thirtyfive women who
registered on Senzanome identified their homes: six lived in the “casa” of
Giulia di Sarti, called l’Orba (the Blind), who was not registered, and four
lived in the “casa” of Giovanni Pietro the shoemaker. Otherwise, all the rest
lived with two or fewer other prostitutes. C de M 1604. 29 C de M 1589 and
1597. 30 C de M 1597, 61 and 86 respectively; C de M 1598, 95 and 142
respectively. 31 C de M 1601, 99, 78, and 176 respectively. 32 This was between
1588 and 1597. Ginevra registered once, in January 1588, when she paid for a
one-month license. C de M 1588, [np] “G” section. In 1588, six registered
prostitutes lived with her, in 1589 seven did, and in 1594 and 1597 eight did.
C de M 1588; 1589; 1594; 1597. 33 C d M 1589, [np] “L” section; 1594, [np] “L”
section. C de M 1599, 28. Ginevra was still there in 1601, when Margareta
Tinarolla lived in her home. See C de M 1601, 130.34 C de M 1594, [np] “P”
section; 1597, [np] “P” section. C de M 1597, [np] “C” section; C de M 1599,
28. 35 For her first registration, see C de M 1597, [np] “D” section. 36 Eg., Gentile
di Sarti, C de M 1601, 79; 1605, 100, and Domenica Fioresa, C de M 1604, [np]
“E” section; 1609, 66–67. 37 Lucia Fiorentina left Ginevra’s to serve in the
house of a local scholar (“Signor Dottore”). C de M 1589, [np] “L” section.
Diana di Sacchi Romana lived in Ginevra’s casa in January 1594, but moved twice
more that year, to Borgo Polese and then to Altaseda. C de M 1594, [np] “D”
section. C de M 1594, [np] “L” section, Lucia Fiorentina. It is unclear but
possible that this was the same Lucia who entered service in 1589. 38
Chojnacka, “Early Modern Venice,” especially 217 and 225. McCarthy,
“Prostitution,” 253–314. 39 See ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei
Forestieri, Scritture Diverse, busta 1, “Statuti,” [np] fol. 8r. 40 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549-1796, Filza 1604, [np] “Die 21 May 1604,” fol. 1r.
41 Vincenzo is described as Francesca’s “cognatus.” Ibid., fol. 1r–v. 42 This
permission was copied into the 1586 register and the 1462 illuminated statutes:
C de M 1586, [np] “Z” section (28 June 1586); ASB, Ufficio delle Bollette e
Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64, 28. 43
For Paleotti’s reaction, see BUB, ms. 89, fasc. 2, Constitutiones conclilii
provincialis Bonon. 1586, fol. 95v, cited in Ferrante, “La sessualità,” 993. 44
ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Decreto d[e]lle
bolette” (November 20, 1596); Filza 1614, [np] “Dalla letura delli statuti si
cava che le Donne di vita inhonesta si possono descrivere nel campione in 4 modi”
(undated). 45 John Florio defines “amico” as “a friend, also a lover.” Florio,
Queen Anna’s, 24. See also Cohen, “Camilla la Magra.” 46 The suit was brought
to the Bollette. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np]
“Arsilia Zanetti” (November 12, 1601). For a detailed study of Bolognese
registered prostitutes who took clients to the Bollette’s tribunal for debt,
see Ferrante, “‘Pro mercede carnale.’” 47 Pasulini bought her two six-month
licenses in July 1598 and January 1601. Arsilia’s son, Giovanni Battista, paid
for the other months. C de M 1598, 48; 1599, 3; 1600, 4; 1601, 4. 48 Archivio
di Stato di Firenze (hereafter ASF), Onestà, ms 1, ff. 27r–31v. Terpstra, “Sex
and the Sacred,” 77. 49 Ludovico Pizzoli, the Bollette’s esecutore, claimed
that for three years Rossi had purchased her licenses because he was having a
continuous sexual relationship with her even while she was having sex with
other men: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1606, “Cont[ra]
Pantaselia Donina[m] al[ia]s de Salanis” (August 19, 1605), fol. 1r. John
Florio defines “amicítia” as “amity, freindship [sic], good will.” Florio,
Queen Anna’s¸ 24. The Bollette’s 1602 register confirms that Rossi paid for her
licenses in person as well as giving money to Pizzoli to pay on his behalf. C
de M 1601, 160; 1602, 154; 1603, 170. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1601, “Molto Ill[ust]re et Ecc[ellen]te Sig[no] re” (May 14, 1601). 50
Cohen, “Balk Talk,” 101. 51 The record in the register does not say why it was given
for free, only that Pomilio “solvet nihil.” C de M 1583, [np] “F” section. 52
These were Angelica Bellini, Caterina Furlana, and Caterina di Rossi. C de M,
1624, [np] “A” and “C” sections. 53 Both in Ibid., [np] “C” section. 54 This
was according to the curate of her parish church. ASB, Ufficio delle Bollette
1549– 1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (June 20, 1601; July 2, 1601).
For her sister Francesca’s registrations: C de M 1598, 56; 1599, 49; 1600, 68;
1601, 60. 55 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fol.
19v (June 28, 1601) and fol. 20r–v (June 30, 1601).56 ASB, Ufficio delle
Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Malg[are]ta Sulfanela” (June 27, 1601).
57 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v
(July 2, 1601). 58 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] (26
June 1602). C de M 1602, 21. The Convertite confirmed this removal: ASB,
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] untitled (October 12, 1602).
59 See, for instance, BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non
essendo conveniente che presso li Monasteri j di Monache” (March 24, 1603).
McCarthy, “Prostitution,” 131–97 60 Cohen, “‘Courtesans,’” 202. 61 “Vita et
fine miserabile delle meretrici” (“Life and Miserable End of Prostitutes”), ca.
1600, in Kunzle, History of the Comic Strip, 275. Giuseppe Maria Mitelli, “La
vita infelice della meretrice compartita ne dodeci mesi dell’anno lunario che
non falla dato in luce da Veridico astrologo” (1692), Museo della Città di
Bologna, 2470 (re 1/425). 62 Cohen, “Honor and Gender,” especially 600–01.
Terpstra, “Sex and the Sacred,” 71, 79–80. 63 ASB, Assunteria di Sanità, Bandi
(XVI–1792), Bandi Bolognesi sopra la peste, 45, “Bandi Generali del Ill[ustrissimo]
et Reverendiss[i]mo Monsignor Fabio Mirto Arcivescovo di Nazarette Governatore
di Bologna,” (February 17, 18, and 19, 1575), fol. 2v; BCB, Bandi Merlani, V,
fol. 64r, “Bando Sopr’al gioco, & Biscazze, alli balli nell’Hosterie, &
che le Donne meretrici non vadano vestite da huomo” (December 9, 1602). 64
Ibid. 65 Thomas Fisher Rare Book Library (hereafter Fisher), B-11 04425, “Bando
generale dell’Illustrissimo, & Reverendissimo Sig. Benedetto Card.
Giustiniano Legato di Bologna” (June 23 and 24, 1610), “Delle Meretrici. Ca
XXVIII,” 60–61. 66 In 1565, Governor Francesco de’Grassi set the exclusionary
zone at 30 pertiche (approximately 114 meters), while in 1566 Francesco Bossi
extended the zone to 50 pertiche (190 meters). See Martini, Manuale di metrologia,
92. ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 3, fol. 16r (February 1, 1565); ASB,
Boschi, b. 541 (February 1 and 8, 1566), fol. 115r. Florence reduced its
exclusionary zone from 175 to 60 meters in this time (i.e., from 300 braccia to
100): ASF, Acquisti e Doni 291, “Onestà e Meretrici” (May 6, 1561). Terpstra,
“Sex and the Sacred,” 78–79. 67 These convents were San Bernardino, Santa
Caterina in Strada Maggiore, San Guglielmo, San Leonardo, San Ludovico, Santa
Cristina, San Bernardo, Corpus Domini, and Sant’Agnese. Proclamations also
protected the new monastery of San Giorgio, the Benedictine monastery of San
Procolo, the college of the Hungarians, the Jesuits and their school, the new
church of Santa Maria Mascarella, and the shrine of the Madonna della Neve.
McCarthy, “Prostitution,” 131–97. 68 Zarri, “I monasteri femminili,” 166, 177.
Johnson, Monastic Women, 235–37. Fini, Bologna sacra, 14. 69 BCB, Bandi
Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non essendo conveniente che presso li
Monasterij di Monache” (March 24, 1603). 70 One-third of each fine was to go to
the accuser, one-third to the city treasury, and onethird to the esecutore. 71
In 1601, one woman registered on Bocca di lupo, two on Capramozza, and four on
Belvedere di Saragozza. In 1604, one registered on Bocca di lupo, three on
Capramozza, and one on Belvedere di Saragozza. C de M 1601 and 1604. One of the
women who lived on Belvedere in 1601 continued to do so in 1604, while another
had moved three blocks west to Senzanome, and a third had moved across town to
Campo di Bovi by the north-eastern wall. These were Vittoria Pellizani, Gentile
di Parigi, and Angela Amadesi, called “La Zoppina.” For Vittoria: C de M 1601,
204 and 1604, [np] “V” section. For Gentile: C de M 1601, 74 and 1604, [np] “G”
section. For Angela: C de M 1601, 136 and 1604, [np] “A” section. 72 These were
Camilla di Fiorentini, who lived in the house of Caterina the widow, and
Cecilia Baliera. C de M 1614, 288 and 39 respectively.73 See BCB, Bandi
Merlani, XI, fol. 28r, untitled, begins “Non essendo conveniente, che appresso
li Monasterij di Monache” (January 18, 1622). In 1624, four women lived on
Altaseta and none on Mussolina. 74 Guidicini, Cose notabili, vol. III, 179–80
and volume III, 346–50. 75 The proclamation clearly states that the order was
made at the insistence of the “Huomini della Madonna dalla Neve, Confraternità
di essa, e persone honeste di detta strada.” BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r
(August 20, 1621). 76 These were published in 1587, 1602, 1608, and 1621. BCB,
Bandi Merlani, I, fol. 449r, untitled, begins “Devieto di affitare a persone
disoneste nella contrada di S. Maria della Neve” (April 26, 1587); ASB, Legato,
Bandi speciali, vol. 15, fol. 198r, untitled, begins “Essendo la Contrada di
Santa Maria dalla Neve sempre stata Contrada quieta” (January 31, 1602); ASB,
Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r, untitled, begins “Havendo
l’Illustriss[im]e Reverendiss[ime] Sig[nor] Car[dinal] di Bologna pien notitia”
(June 6, 1608); BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le Meretrici,
& Persone inhoneste” (August 20, 1621). 77 “non possa, ne possano, ne
debbano sotto qual si vogli pretesto, a quesito colore fermarsi, o star ferme
per detta strada, sotto il portico, suso il lor’uscio, o d’altri, o suso l’uscio
dell’ Hostarie.” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6,
1608). 78 “comanda espressamente all GIULIA da Gesso, all DORALICE Moroni, alla
LUDOVICA Guidi, & ad ogn’altra MERETRICE [sic].” ASB, Legato, Bandi
speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 79 C de M 1609, 73, 121, and 151,
respectively. 80 These were Agata Martelli, alias Bagni, from Castel San Pietro
and Lena di Stefani who lived in the casa of Messer Domenico Bonhuomo. C de M
1614, 19 and 1624, [np] “L” section. 81 BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r,
“Bando Contra le Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). Though
Savelli did not specify which “Borgo Nuovo” they should move to, in all
likelihood he meant Borgo Nuovo di stra Maggiore, which had no convents or
churches on it. 82 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 67–68. 83 Cowan, “Gossip,”
314–16; Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 68–69. 84 Cohen, “‘Courtesans,’”
204–05; Cohen, “Seen and Known,” 396–97. In a later article Cohen argues that
“[t]hough typically noisier and more abrasive than feminine ideals would
dictate, much of prostitutes’ street behavior was not radically distinct;
rather it fell toward one end on a spectrum of working class practices.” Cohen,
“To Pray,” 310. 85 Tommaso Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni
del mondo, nuovamente ristampata & posta in luce, da Thomaso Garzoni da
Bagnacavallo (Venice: Appresso l’Herede di Gio. Battista Somasco, 1593), 598.
Available online from the Università degli Studi di Torino OPAL Libri Antichi
internet archive GIII446MiscellaneaOpal,
cited in Cohen, “Seen and Known,” 397, n. 18. 86 Ibid., especially 396–97 and
399; Storey, Carnal Commerce, 172–75. 87 “Mirror of the Harlot’s Fate,” ca.
1657, reproduced on 278–79 in Kunzle, History of the Comic Strip: Volume 1 and
Storey Carnal Commerce, 37. Vita del lascivo (“The Life of the Rake”), ca.
1660s, Venice, reproduced on 39–44 of Storey, Carnal Commerce. 88 ASB, Ufficio
delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] January 22, 1601. 89 Ibid.,
[np] July 23, 1601. 90 Ibid., [np] January 22, 1601. John Florio defines
“chiavare” as “to locke with a key. Also to transome, but now a daies abusively
used for Fottere.” He defines “fottere” as “to jape, to flucke, to sard, to
swive,” and “fottente” as “fucking, swiving, sarding.” Florio, Queen Anna’s, 97
and 194, respectively. 91 On the attraction of lawmen to streets known for
prostitution, gambling, and drinking: Cohen, “To Pray,” 303; Storey, Carnal
Commerce, 99–100. 92 The complainants referred to themselves as honorati and
gentilhuomini, curiali principali, and artegiani buoni e da bene. Storey,
Carnal Commerce, 91, n. 103. She dates the two letters from 1601 and 1624.93
For the vice legate’s order, as transcribed into the 1586 register: C de M
1586, [np], untitled, begins “Ill[ustrissim]us et R[everendissi]mus D[ominus]
Bononorum Vicelegatus in eius Camera” (June 28, 1586). 94 Cohen, “Seen and
Known,” 409. 95 Storey, Carnal Commerce, 1–2.Bibliography Archival sources
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1605, 1609, 1614, 1624, and 1630 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filze 1601,
1603, 1604, 1606, and 1614 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601
Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Scritture Diverse, busta
1 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV,
codici miniati, ms. 64 Archivio di Stato di Firenze (ASF) Acquisti e Doni 291
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patria per le province di Romagna. Adulteresses in Catholic Reformation Rome
Elizabeth S. CohenAdultery was no simple sexual lapse. Intricately bound to the
fundamental institution of marriage, it threatened honor, family, and
livelihood. Traditionally, this grave offense merited harsh punishments like
stoning, although by the sixteenth century these had much softened. A sin, a
crime, and a breach of contract, in early modern Italy it could be prosecuted
under several kinds of law. Beyond canon law’s jeopardy for both spouses, under
Roman law enshrining patria potestas, adultery was overwhelmingly a wife’s
transgression, to which, furthermore, she was presumed to have consented.1 So,
a vengefully passionate husband or kinsmen who killed a wife found f lagrantly
abed with a lover could claim immunity from prosecution for murder.2 The
adulteress herself figured ambiguously as a theme in Italian paintings, prints,
and stories. Nevertheless, neither law nor broader cultural norms ref lected
adultery’s complexities as social experience on the ground. To juxtapose
prescriptive and lived understandings and to test the crime’s notoriety, we
turn to judicial records. For contrast with our culturally framed expectations
and to glimpse the everyday worlds of most early modern people, this essay
reconstructs four stories from adultery prosecutions in the Roman Governor’s
court circa 1600. The particular crimes of these non-elite women and men
involved companionship and sex, but little else was directly at stake. My
accounts seek to represent both social dynamics and a vernacular culture of
sexuality accessible alike to the educated and the illiterate. I highlight a
cluster of adulteresses who cultivated not primarily instrumental, but rather
personal, alliances outside marriage. The lovers’ choices transgressed and had
consequences both at home and in the public courts. Nevertheless, their
misconduct was not radically out of step with an everyday culture of sexuality
that endured even in Catholic Reformation Rome. Adultery had a lengthy history
as a cultural, legal, and behavioral problem. From the twelfth century, an
ambivalent medieval literature on humanlove—from Andreas Cappelanus to
Gottfried von Strassburg—suggested that passion and marriage did not mix.
Despite the Renaissance emergence of more positive takes on sex, the notion
persisted that intense eroticism was seldom the business of husbands and
wives.3 The church still taught that marriage was the only licit setting for
sex, while discouraging the pursuit of pleasure for its own sake. The
iconography of love on domestic objects linked to betrothals and weddings
promoted family policy as much as private spousal gratification.4 Although
married people may not have behaved as they were told, they have left few words
about sex. If conjugal relations did often tend to routine, adultery could be
easily imagined by contemporaries, and by scholars since, as an agreeable
alternative. Popular histories have repeatedly featured swaggering Renaissance
noblemen, including prelates, who dallied sensuously with mistresses and
fathered bastards. Their female partners, who ranged from servants to
gentlewomen, were often married, and so adulteresses.5 A wife’s adultery posed
problems for both her spousal household and her natal family, but sometimes
brought them benefits as well. Under ancient Roman law still frequently cited
in the Renaissance, uncertainty about paternity and corruption of the lineage
was one major cost.6 Adultery also rattled the public honor of a patriarchal
family that could not control its assets, including the chastity and fertility
of its women. These concerns appear as conventional rhetoric, but it is far
from clear how much they actually drove Renaissance husbands’ retribution.
Certainly, charges of adultery were invoked to instigate violence against an
inconvenient kinswoman and to cover other, less high-minded goals. On the other
hand, where doctrines of sexual exclusivity could bend in practice,
adulteresses might reap rewards rather than punishments for their liaisons,
especially with powerful men. For example, Giulia Farnese, wife of the Roman baron
Orsino Orsini and the mistress of Pope Alexander VI in the 1490s, arranged a
cardinal’s hat for her brother, Alessandro, the future Pope Paul III.7 Even
bastards could be absorbed and their mothers supported. In the 1460s Lucrezia
Landriani, married conveniently to a Milanese courtier, bore four illegitimate
children to the young Galeazzo Maria Sforza before he became Duke of Milan and
took a bride. Bearing their father’s name and raised in his court, Lucrezia’s
brood included Caterina Sforza, the future indomitable Countess of Forlí.8 The
husbands of these high-f lying adulteresses managed their role, its perks and
its costs, more and less deftly. In Florence, the husband of Bianca Cappello,
the mistress and later wife of Grand Duke Francesco I, retaliated by
intemperate womanizing of his own, and died at the hands of his paramour’s
kinsmen.9 Husbands did not take adultery lightly, but there might be multiple
stakes and more than just one bloody end. The dark emotions of
adultery—jealousy and anger—struck men and women alike. Legends of aristocratic
adulteresses killed in flagrante delictu by vengeful husbands arouse pity,
horror, and titillation in later readers. Although the threat and the rhetoric
surely circulated, documented historical examples are few.10 More modest women,
too, had reason to fear even unmerited spousal violence.For example, in a
miracle attested in 1522, the Madonna della Quercia of Viterbo saved a woman
mortally assaulted by a suspicious husband, egged on by his mother.11 More peaceably,
a Quattrocento necromantic recipe promised that to make a wife “persevere in
honest alliance with her husband.”12 Moreover, although adulterers were rarely
prosecuted, women deeply resented their husbands’ philandering. In the 1550s a
pious Bolognese gentlewoman, Ginevra Gozzadini, asked her spiritual director if
she owed the marital debt to her errant husband. Though reluctant to release
his disciple from godly duties, Don Leone Bartolini allowed her to decline if
her husband refused to forgo his “public adultery and also grazing on his wife
like a pig and not a Christian.”13 Renaissance Italian visual and literary
culture depicted four roles in adultery’s drama: the wife; the husband or
cuckold; the lover; and the chorus of the public. Though shadowed by misogyny,
views of women were mixed. Ancient and medieval texts widely posited female
propensities to falling in love and to undisciplined and mercenary carnality.
Beauty, coupled with fickle mind, made women at once temptresses and easy prey
to seducers. These risky frailties in turn justified tightly constraining
rules. In parallel, novelle, poetry, madrigals, and commedia dell’arte evoked
both woe and delight with representations of love and romantic adventure.
Magic, too, offered women and men ways to attract and bind a lover.14
Mainstream cultural norms often lumped non-conforming women together as sexual
transgressors. Yet prestige and class, singled out some for celebration. Thus,
as whores, prostitutes stood for the obverse of female virtue, but courtesans,
especially those dubbed counterintuitively “honest,” earned renown among elite
men for their manners and cultural finesse. Even Saint Mary Magdalene appeared
in paintings as the brightly dressed, or undressed, playgirl who was the foil
to her model penitent. The adulteress partook of this generic bad girl, at once
attractive and corrupt, but her jeopardy under law invited ambivalence. For
example, many early modern artists represented the Gospel story of the woman
“taken in adultery.”15 Sixteenth-century Italian paintings usually depicted a
beautiful, young woman, thrust by the Pharisees’ heavy legal hand to stand
alone before a crowd to be judged. Although conventional language suggested
that she was in some sense caught or trapped, she was still deemed to have
consented to dire offense. Viewers would hear Jesus first chide her
persecutors, “Let he who is without sin cast the first stone,” and then tell
her to go and sin no more. All were sinners, not least the adulteress, but law
must not trump Christian mercy. Among the men’s roles, not the male adulterer
nor the wife’s lover, but rather the husbandly cuckold claimed a share of
cultural preoccupation. The aristocratic choice between familial vengeance or
instrumental accommodation often came down on the latter side. Instead of
destroying the adulteress, the cuckold had his reasons for complacency. In
visual imagery, art historians have shown betrayed husbands responding as much
with dismayed forbearance as with hot ire. Comparing paintings of Joseph, the
helpmate of the Virgin Mary, and Vulcan, the spouse of Venus, Francesca Alberti
explained how the aging husbands ofexceptional wives, though vulnerable to
mockery by artists and viewers, served divine ends.16 Louise Rice tracked
Italian depictions of the cuckold from a nasty late fifteenth-century
allegorical engraving through sixteenth-century literary parodies from Aretino
and Modio, and finally to Baccio del Bianco’s drawings. These last offered
whimsically ironic scenes that normalized both the cuckold and the
adulteress.17 Ambivalently allotting pleasure and agency to women and
complicating the revenge narrative, novelle offered socially more varied
cultural constructions of adultery. In the Decameron, Boccaccio exploited these
possibilities in more than twenty-five stories featuring adultery that
fancifully permuted its spousal roles.18 The married women of the novelle,
again almost always beautiful, pursued love and reaped their adulterous
pleasures with ambiguous culpability. At the expense of dull or aging husbands,
some wives schemed cleverly both to achieve their desires and to elude
discovery and punishment.19 Others, honest, virtuous, and alluring, had to be
tricked by would-be lovers into learning that sex outside marriage was more fun.20
Lucrezia in Machiavelli’s Mandragola found similar fortune. Although female
delight was only a means to an end in the Decameron’s elegantly ironic lessons,
a more literal reading of the stories at least gave a space to imagine wives’
extra-domestic enjoyment. Boccaccio’s cuckolded husbands reacted variously to
adultery’s challenges to honor and to its remedies in law. In Day 4, Story 9, a
gentlewoman let herself fall to her death after her vindictive husband fed her
the heart of her paramour. Explained the woman, since she had given her love
freely, she was the guilty one and not the lover. In a lighter vein, Day 3,
Story 2 parodied the narratives of murder in f lagrante and, less directly, of
Christ forgiving the adulteress. A king, discovering his wife and a groom
asleep together, cut the man’s hair to mark his guilt. When the lover woke, he
scotched his jeopardy by similarly tonsuring other servants. In the end, the
king, rejecting a petty vendetta that would broadcast his dishonor, announced
cryptically to his assembled entourage: “He that did it, do it no more, and may
you all go with God.”21 In Day 6, Story 7, a hapless husband, fearing penalty
if he killed his adulterous wife himself, hauled her before the public court,
where, by statute, she faced a sentence of death by fire. Unlike the Gospel’s
submissive adulteress, the respected Madonna Filippa staunchly defended herself
with two claims. First, as in the tragedy of Day 4, she did it for her “deep
and perfect” love for Lazzarino. Secondly, having gotten her husband to agree
that she had always satisfied his every bodily wish, she asked: “what am I to
do with the surplus? Throw it to the dogs? Is it not far better that I should
present it a gentleman who loves me more dearly than himself, rather than allow
it to turn bad or go to waste?” The gathered populace of Prato greeted this
charming riposte with approving laughter and, at the judge’s suggestion,
altered the harsh statute to punish only adulteresses who did it for money.22
Christian rules as implemented through ecclesiastical courts also ref lected
more everyday cultural norms. Although by medieval canon law both spouses owed
the marital debt, in customary practice expectations differed for husbandand
wife. As historian Cecilia Cristellon shows, the church courts of preTridentine
Venice aimed less to police sex than to stabilize marriages and to minimize
scandal.23 Many proceedings, often brought by women, sought to formalize
separations or annulments of couples who had long since parted company. Adultery
by wife or husband was a charge to blacken character but was seldom advanced as
the source of a broken marriage.24 In fact, among the lower orders, adultery
was a common product of widespread, informal serial monogamy. Finding
themselves for various reasons without present spouses, people readily took up
new heterosexual partnerships. Although adulterous, such concubinage, sometimes
with a formal blessing that made it bigamy, was often marriage-like and, in the
absence of contrary evidence, usually accepted by the lay community. In the
face of these popular habits, fifteenth-century church courts worked to sharpen
the boundaries of marriage, and the Council of Trent’s legislation assimilated
concubinage more and more to prostitution.25 Even so, ecclesiastical judges
continued less to punish adulterous sex by itself than to seek better moral and
spiritual discipline around marriage as a whole. Let us turn now to Rome at the
end of the sixteenth century to gauge the moral climate and social textures in
which our everyday adulteries took place. For some decades Catholic reformers
had worked to burnish Rome’s reputation as a fitting capital for a resurgent
church. Issuing repeated regulations (bandi ) to suppress blasphemy and vice,
local authorities particularly targeted gambling and adultery.26 Yet these
official pronouncements better registered moralistic concern than they
energized a thorough cleansing of the civic body. Parallel rules sought to
constrain the practice of prostitution, although that trade and fornication by
the unmarried were transgressive but not criminal. The magistrates’ concerns
turned mostly on guarding sacred sites from taint and restraining violence and
disorder by prostitutes’ clients. Yet enforcement of decrees around illicit sex
remained sporadic. Pius V’s ghetto for prostitutes of the late 1560s at the
Ortaccio did not last long as either structure or policy. That moment was the
reformists’ exception rather than the trend. The early sixteenth-century
celebrity of Rome’s honest courtesans had certainly waned, but in 1580 the
gentleman traveler Montaigne was still keen to admire and visit their kind.27
More generally, the historian of crime Peter Blastenbrei concluded that, for
two decades immediately post-Trent, Rome was de facto quite accommodating of
heterosexual irregularities and sometimes attracted couples seeking to escape
sharper discipline elsewhere.28 All told, by 1600, reform in the papal city had
subdued the Renaissance culture of f leshly pleasures, but effective suppression
of non-marital sex was scarcely true on the ground. The labyrinth of Rome’s
institutions and, especially, the mobile demography of its residents
consistently subverted the religious and moral aspirations of its leadership.29
The city’s population swelled, from 35,000 in 1527, after the catastrophic Sack
by Hapsburg imperial troops, to around 100,000 in 1600.30 Few people were
native Romans. Visitors and migrants f lowed in—men and women, of all social
ranks from ambassadors and nobildonne to pilgrims, cattledrivers,and servants.
Many also left town. In a f luid residential geography, most people rented
their accommodations and often moved house. Although many households had a
nuclear core or its remnants, complete families were fewer than in many cities.31
Lodgers and informal clusters of housemates were common. People also changed
jobs frequently, and some worked in one part of the city but, regularly or
occasionally, ate and slept elsewhere. As a result, ordinary Romans had
repeatedly to renegotiate the personnel and terms of daily life. Furthermore,
Rome’s sharply skewed sex ratio yielded distinctive economic and marital
dynamics. The urban population counted, roughly, only 70 women for every 100
men. Celibate clerics were not the primary culprits. Many of the surplus men
came to the city to provide for the needs and comforts of a courtly society, by
serving in great households of prelates or secular lords or by supplying
goods.32 With males doing much of the domestic work and without a major textile
industry, the market for female labor in turn was weak. Of the many men, some
married in Rome to help establish themselves, but others had wives elsewhere,
or were young and not ready to settle down.33 Although some, nubile, women
found husbands readily, many others were left to improvise when fathers died or
spouses left town for shorter or longer absences. Typically, they struggled to
live piecemeal from laundry, spinning, and sewing. As in Venice, concubinage
was common. Prostitution, too, though never as rampant as some hysterical
reformers claimed, was another, potentally better paid recourse. Often
informally and intermittently, younger, more presentable or gregarious women
offered mixes of sexual, social, and domestic services to a shifting contingent
of unpartnered men, and to some husbands as well. As a concubine or prostitute,
a married woman faced legal jeopardy for adultery. When a husband did not, as
obligated, support his wife, she had to find alternatives. Sometimes, he had
wasted the dowry. Often, he had been long away, having intentionally or not
abandoned his wife. A woman, in turn, unknowing if her spouse had died, often
proceeded as if he had and set up new partnerships. In the absence of contrary
information, neighbors tended to presume legitimacy for couples who lived
appropriately, including taking the sacraments at church. Nevertheless, married
women living as prostitutes, concubines, or even bigamist wives were liable, if
denounced, to prosecution. The discipline and prosecution of adultery in early
modern Rome has left only erratic traces. No trial records survive from the
tribunal of the Vicario, who bore many of the city’s episcopal functions for
the pope. 34 As an offense of “mixti fori,” however, adultery sometimes came
before the criminal courts.35 Killing women for honor was rare, especially in
the city, and the ferocity of the ancient law had attenuated. Going to law,
though risking unwelcome publicity, became more common, even for noblemen.36 In
the 1580 edition of Rome’s Statuta, carnal and associated crimes occupied a
brief three pages and mostly specified due punishments.37 In practice, these
penalties were often negotiated down, so the statutory guidelines are
interesting mostly as a ref lection of judicial thinking and broader cultural
values. This section began with sodomy and a tersepronouncement of death by
burning. Next, a longer paragraph, De Adulterio e incestu, spoke first of
“adultery with incest,” before turning to “simple adultery.” For this last,
punishments were calibrated to the woman’s honesty and the man’s social rank.
For sex with an “honest” wife, a plebian man faced a hefty fine of 200 scudi
and three years of exile. A gentleman owed double the fine and the exile, and a
baron triple. Notably, this scale of penalties targeted the common circumstance
of high-status men making alliances with women of lower rank. On the other
hand, the chance that even a middling family would successfully haul a nobleman
into court was slim. Continuing, the statute declared that if the wife was poor
and “inhonesta, but not a public prostitute,” the penalties were halved.38
Reputation ( fama) in the neighborhood legally determined a woman’s
“honesty.”39 At the same time, where early modern criminal law recognized that
virgins might resist forcible def loration (stupro), wives were still held
complicit in adultery.40 Thus, every proven adulteress was, in principle, to be
sequestered for correction in a casa pia for errant wives (malmaritate), where
her husband or family paid her expenses. From the later sixteenth century,
adultery came before the Governor’s court by two routes. By legal tradition,
reiterated in the Statuta, sexual crimes involving respectable women received
public intervention only when brought by a kinsman with honor at stake.
Institutional justice, seeking to promote itself and to tame the violence of
self-help vendetta, encouraged this recourse with some success. Thus, husbands
initiated many of the Governor’s adultery trials, although typically with a
keen eye to retaining spousal property.41 On occasion, angry women prosecuted
their husbands for adultery.42 To note, the Governor’s criminal court in
general took seriously women’s complaints, even without male backing. Their
testimony as accused or witness, usually recorded under the same intimidating
circumstances as men’s, bore analogous weight. Especially for offenders from
the lower social ranks, adultery also came to the court’s attention by an
investigation ex offitio, on the state’s initiative. Usually, a secret report
by a mercenary spy or grouchy neighbor launched the case, followed by a police
raid.43 Such arrests were often handled by summary justice that imposed a fine
and issued an injunction against further misconduct.44 A few cases led to full
trials, and my stories here of “simple adultery” are among them.45 Although
these examples were not formally typical, they involved ordinary people getting
into relatively routine kinds of trouble. Bodies and honor were at stake, but
neither money nor property were central for either husbands or wives. All the
women had engaged actually or potentially in sex with men of their own choosing
outside the bonds of marriage. From the tales of these willing adulteresses who
ended up in court, we can learn about a range of possibilities for extramarital
adventures and about the narratives and discourses that explained them and
hoped to extenuate culpability. These women, though several years married, were
often young. In other Governor’s court trials around f lawed marriages the
wives typically complained of mistreatment to justify their straying. In none
of these four stories, however, did that rhetoric appear. The husbands, when
theysuspected or learned what was afoot, were angry, but the trials were not
about ending a marriage. The lovers, themselves unmarried, were among the many
unattached men in Rome, and met the adulteresses through family and local
connections. Also telling are the ways that neighbors and colleagues took part,
both in the trysts and in their discovery and discipline. In my first two
adultery stories, unhappy husbands tried, more and less cannily, to corral
their wandering wives. For both, events transpired close to home. In the first
case, the spouses spoke of Tridentine teachings to repair a troubled marriage.
The pastoral discipline had failed to work, however, and the next time the
irate husband resorted to self-help, seriously beating his incorrigible wife.
The domestic violence brought the problem to public notice. In the second
story, the husband confronted his wife with her misconduct reported by
neighbors. When she faced down his efforts at proper spousal correction and
still continued to roam, the husband turned for help to the ecclesiastical and
public authorities. They, in time, intervened, but notably declined to rush
into a private matter without good cause. The first tale provocatively mixed
elements of Boccaccio with Catholic reform teaching to the laity. A very short
trial from May 1593 recounted adultery trouble that exploded within the cramped
premises of a fruit and vegetable seller in central Rome.46 After the
beleaguered husband, Hieronimo, had resorted to self-help, the resulting
domestic violence led an unnamed informant to alert the police. In this
instance, probably because the wife, Caterina, lay injured, instead of
collecting testimony at the prison, the notary first hurried to the respectable
shopkeeper’s premises to interview both spouses. Husband and wife testified
immediately in the heat of events and again, later, in jail. The would-be
lover, the shop assistant Leonardo, nimbly decamped before the law arrived. As
was common for many city dwellers, Hieronimo Ursini from Milan kept shop on the
street f loor and lived upstairs with his wife, Caterina, but evidently had no
children. Two garzoni (shop assistants) slept in an adjacent room. The
fruitseller had good reason to suspect his young wife. By his account,
Caterina, whom he spied often f lirting in the window “with this one and that
one,” had repeatedly tried his patience. Worse, he once had caught her at her
mother’s house, “almost in the act” of having sex with a tavern keeper.
Nevertheless, Hieronimo averred piously, “I forgave her, and she promised to do
no more wrong, and we confessed together to the parish priest and took communion,
and I took her back and led her home, pardoning everything and keeping her
always as well as possible” (ff. 1125r–v). Portraying himself as a pious and
forgiving husband, Hieronimo sought to meliorate the court’s view of his later,
less irenic, behavior. The testimony, which likely was approximately true,
shows us a man of modest status deftly invoking good Catholic teaching.
Caterina in turn confessed, “Truly, I did wrong (torto) to do what I did to my
husband, because I once fell into error (errore) at my mother’s house, where I
had sex with Giovanni Angelo the tavern keeper, and even so, my husband forgave
me and took meback into the house” (ff. 1128r–v). Here she acknowledged not
only Hieronimo’s forbearance, but also her own inclinations to illicit
pleasure. Hieronimo’s jealousy thus primed, on a May morning he climbed early
out of the bed that he shared with his f lirtatious wife. According to his
testimony, he intended to go to a garden on the edge of the city to cut
artichokes for the shop. He tried to rouse his two garzoni who were sleeping in
another room. One got up, but Leonardo, also from Milan, claimed to be sick and
would not rise. Suspecting the lay-a-bed of setting a “trap,” Hieronimo sent
the other assistant out to collect the produce, but he himself slipped into the
shop and hid behind a barrel. After a while, Leonardo entered the shop,
“sighing,” according to the hidden Hieronimo, “an amorous sigh.” A few minutes
later, Caterina appeared, asking where her husband was. “Gone to cut
artichokes,” replied Leonardo. Immediately, said Hieronimo, Caterina began to
adjust the garzone’s ruff ( fare le lattughe), and quickly the two became
playful and kissed each other. The husband, seeing that “Leonardo wanted to
lift her skirts and do his thing ( fare il fatto suo),” burst out of hiding
shouting, “Oh traitor, oh traitor, you do this to me!” Seeing his master thus
enraged, Leonardo, expediently, slipped out the shop door and disappeared from
the story. Caterina retreated hastily up the stairs, and Hieronimo surged
after, beating her with a broomhandle, a domestic weapon of choice for women as
well as men, with his fists, and with his belt. So incensed was he that he
pinned her down with his knees on her belly and then on her shoulders, while hauling
on her braids, so that he left her “as if dead,” swollen, bloody, and with
bruises “blacker that your Lordship’s hat”. Hieronimo volunteered all these
details, and one suspects that he may have shocked even himself with his
ferocity. Caterina’s tale of the putative adultery and its sorry aftermath
provides another perspective. Not surprisingly, she presented herself as
aggrieved and “mistreated.” Nevertheless, she reported a similar account
leading to the f lirtatious exchange with Leonardo. Her husband, having left
early without a word, she rose two hours later. Going into the next room,
Caterina rousted Leonardo to get up and open the shop, while she swept. When
she went down for a basket to hold the sweepings, she found Leonardo, wrestling
with a pair of sleeves. He asked for help in attaching them, and the two began
laughing as they struggled with the laces. Just then, Hieronimo sprang out and
began to assault his wife. Confirming Hieronimo’s confessed details and adding
blows with the head of a hatchet, Caterina claimed that he wanted to kill her.
But, “please God,” he had not (f. 1125v). Later, pressured by the court at a
second interrogation, the wife admitted to some greater provocation of her
husband. In this version, as she came into the shop, Leonardo asked that she
help lace his sleeves and moaned about not feeling well. She joked that he was
not going to die, and they began to play so that, as in Hieronimo’s account,
the garzone had kissed her “lustfully (lusuriosamente)” on the cheek and she
responded in kind (f. 1128r–v). Though more theatrical than some tales, this
domestic drama had several points in common with other neighborhood adulteries.
First, illicit relationssprouted very close to home. These were the
settings—through work and domestic propinquity—in which wives were likely to
meet other men. Perhaps surprisingly to us, these were also the spaces in which
adultery—its initiations and often its consummations—took place. People
understood the risks and costs of getting caught; at the same time, privacy,
such as we imagine it, was simply not a reality for most people. While married,
Caterina had practiced serious f lirtations first in her mother’s house and
then in her husband’s, with one of their live-in employees. Even if no real sex
had transpired with Leonardo, Caterina saw the wrongful pattern of her conduct.
She evidently enjoyed the play and appreciation of her guilty encounters, but
she gave little sign of personal feelings for her lovers. In contrast, there
does seem to have been some commitment, however f lawed on both sides, between
the spouses. While we may doubt that Caterina changed her ways, she did express
a sense of responsibility and a belief that she should make peace with her
husband. The brevity of the trial suggests that the magistrate was content to
dispatch the matter quietly. Both spouses had to answer for their
transgressions— Caterina’s sexual misconduct and Hieronimo’s excessive
correction.47 The second story of adultery is the only one of the four where
the husband himself brought his private troubles to the authorities.48 For more
than six months, Bartolomeo from Genoa, alerted by friends, investigated
suspicions and then sought to correct his errant wife, Isabetta from Rome. He
had tried several times in previous months to enlist the help of the Vicario’s
ecclesiastical tribunal, but in vain. Recently, however, he had procured a
warrant, probably from the Governor’s court (ff. 832r–v, 834r). So, a police
patrol met Bartolomeo outside the building where the lovers had been seen and
at his direction made arrests that led to the trial.49 Events took place in a
shared neighborhood and within a community of workers, several of whom
testified. In this slightly larger, but still face-to-face social terrain,
friends and neighbors, notably men this time, had a crucial role in managing
their comrade’s disarray. On Saturday, October 22, 1604, right after the
arrests, Bartolomeo, coachman to a Monsignor Dandini, complained formally
against his wife and Francesco Cappelli from Florence (ff. 831r–v). Bartolomeo
had married Isabetta six years earlier; although native Roman women were few,
they often married men from outside who sought to establish themselves in the
capital. It was a second marriage for Isabetta, who had a grown stepson and a
son who lived together in another neighborhood (f. 840v). Bartolomeo lived with
Isabetta and their young son near San Pantaleone in the city center. The
accused lover, a twelve-year resident of Rome who served as coachman to another
churchman, the Archbishop of Monreale, worked from a stable nearby.
Bartolomeo’s complaint charged Isabetta with spending “unusually much ( piu
dell’ordinario)” time with Francesco. According to reports from several men,
including a third coachman, while Bartolomeo lay on his sick bed, Isabetta came
and went late in the evening from the stables where Francesco worked. Once
healthy again, Bartolomeo berated his wife for her visits and threatened her
with arrest and public whipping (f. 831r). She, however, denied all charges and
challenged her husband to do his worst(f. 831v). Nevertheless, Bartolomeo
asked his friends to spy on her movements (ff. 833v–834r). One morning
Bartolomeo’s nephew brought word that Isabetta had been spotted a few streets
away going with Francesco into the Palazzo de Picchi. Bartolomeo sent a
messenger to alert the city police. When they arrived, Bartolomeo told them to
arrest Francesco, then descending the stairs. The husband entered the building,
collected Isabetta, and sent her, too, off to jail (f. 831v). Note that the
Governor’s police were willing to act, but left it to the respectable husband
to hand over his wife. After the arrests, neighbors and colleagues testified to
having seen Francesco and Isabetta often together over many months and hearing
talk in the piazza of their being lovers. One man observed her three or four
times in the last month taking advantage of walking her son to school to stop
to talk with Francesco in the courtyard of the Massimi family palace (f. 837v).
Another neighbor, Alfonso, intervened directly. Because, he said, Isabetta was
his commare, his spiritual kinswoman, he had invited her a month earlier to his
house. There, with his own wife present, Alfonso told the wayward Isabetta of
the rumors that she was in love (inamorata) with Francesco and having sex with
him. Alfonso urged to her to smarten up (stesse in cervello) and amend her
ways, because her husband knew and had a warrant to send her to jail, and
because it dishonored Alfonso himself, who had helped marry her so respectably
(ff. 834r–v). In their early testimonies, the lovers took different tacks. The
unattached Francesco downplayed the whole business. He acknowledged, as did
Isabetta, that they had known each other in the neighborhood for three or four
years. Yet Francesco dismissed her presence in his room or any adulterous
reasons for it, “I cannot know the heart of that woman or why she came up” (f.
835v). Isabetta, pressed hard through several interrogations, tried
ineffectually to parry the court’s questions. She garbed herself conventionally
as a dutiful housewife who minded her own business and seldom went out: “I have
to keep working if I want to live” (f. 841r). Accordingly, she implausibly
denied knowing local geography; then, insisting that she had never set foot in
the stables, she fudged the meanings of being “inside” a place (f. 839r). She
invoked her own good name, though in an elaborately conditional mode: “What do
you imagine, your Lordship, if I had gone out while my husband was sick, that
would have been a fine honor from me” (f. 839v). Blaming her neighbors for
their spiteful testimony, she invoked the chronic enmities of local life: “what
fine witnesses are these? this is how they repay the courtesies and good will
that I have used with them” (f. 843r). Later, however, she backtracked on some
of these claims with a pathetic tale of going out at night to fetch some greens
to feed the ailing Bartolomeo. Passing by the stable’s open door, she said,
Francesco had called out to her, “‘how is your husband?’ I, in tears, answered
that the doctor offered little hope, and then Francesco responded, ‘look, if
you need anything, be it money or anything else, just ask’” (ff. 843r–v). Spun
this way, the errant wife’s visit to the stable got folded into a stirring
picture of her desperate efforts to help her husband and of the fellow
coachman’s sympathetic offer of aid.Near the end of the trial, the accused
lovers, confronted with repeated testimony to their private meetings at the
stable and in the palazzo, were pushed to address the presumption that they met
for sex. As a judge said in another trial, “solus con sola, one does not
presume they are saying the paternoster.”50 When pressed, Francesco exclaimed,
“Your Lordship, I will take 100,000 oaths that I had no carnal doings with
Isabetta!” He continued, “I can show your Lordship that only with great
difficulty can I go with women, and when I do, it is rarely and to my great
injury (danno), because four ribs got cut by a Turkish scimitar when I served as
a soldier on the galleys of the Grand Duke” of Tuscany (f. 849v). Here we have
detail so baroque that we may have to believe it. Francesco aimed to suggest,
with timeless logic, that his encounters with Isabetta were not, actually, sex.
Whatever it was, however, he feared culpability and had tried, with various
moves, to def lect it. Interestingly, Isabetta’s final remarks also denied a
sexual relationship by alluding to Francesco’s behavior. In her words, “if he
were as proper (netto) with other women as he is with me, he would never have
had sex with any woman.” Then, reaffirming her veracity, she concluded with a
shift to a rhetoric of intention and sin, “If I had done wrong (errore) and if
Francesco had sex with me, I would say so freely and ask for forgiveness, but
because I did not do it, I cannot say I did” (ff. 850v–851r). Much more was at
stake for Isabetta than for her lover. Knowing well that, in sneaking around
while her husband was ill, she had erred in the eyes of her peers, she did not
counter Bartolomeo’s charges with complaints of mistreatment. Yet she stood on
her word that she could not confess a lie. There the trial record ended with
the usual legal instruction that both accused parties be released into the
jail’s public rooms (ad largam) with three days to prepare a defense.
Accumulated circumstantial evidence, rather than catching lovers in the sexual
act, was sufficient for neighbors and, in turn, their publica vox et fama
attesting to the offense had weight in court. Nevertheless, perhaps fearing
retaliation, people appear not to have turned each other in too quickly. Once
an adulterous coupling became common, local knowledge, a friend or associate
might assay an informal warning to wife, husband, or lover. Consensus likely
deemed these matters family business, better handled privately and with minimal
scandal. In this case, Bernardino not only chose official help, but had to
persist to get it. In two other stories private adultery and its public
prosecution unfolded in different circumstances. Here the adulteresses took
advantage of wider urban terrains when pursuing their romantic yearnings. The
husbands, although present in the city, were not principal players in bringing
the cases to court. Neighbors, on the other hand, took active part,
facilitating the alliances or tolerating them for some time, until a moment
arrived when someone alerted the authorities. These times, when the police
raided an illicit rendezvous, they acted ex offitio, on the newer legal premise
that the court could intervene directly, without a kinsman’s request, to ensure
order among the city’s lower-status residents. In a third episode of simple
adultery, prosecuted in January 1605, the husband, Giovanni Domenico, was in
fact the last to know. The short trial consists of apolice report and
testimonies from several neighborhood witnesses.51 Neither wife nor lover spoke
on record, but procedural annotations at the document’s end register their
choice not to challenge any of the witnesses. Most likely, the adulterers accepted
a summary decision that ordered them to pay fines and agree formally not to
consort any more. Giovanni Domenico di Mattei from Lombardy and his wife,
Madalena, lived on the Tiber Island with their two young children and an orphan
boy whom they kept “for the love of God” (f. 145v). Husband and wife shared a
business selling doughnuts from their home (f. 143r). Giovanni Domenico also
commuted daily across the city to Piazza Capranica to work as an assistant to a
doughnut-maker (ciambellaro) (f. 145r). The job required his being away
overnight, but every morning he returned to his family quarters, evidently
bringing pastries to sell. One Wednesday morning, Giovanni Domenico came home
to find that Madalena had been arrested, along with Pietro Gallo from Parma, a
twenty-five-year-old barber’s garzone who lived two doors down the street (ff.
144r, 145v). According to the official report, a neighbor’s denunciation had
informed the authorities that “every night after four hours (10 p.m.) Pietro
habitually goes to sleep with Madalena” (f. 143r). Receiving word again last
night that the barber was there, the police raided the house late on a chilly
January evening. With professional savvy, the lieutenant posted men to watch
the exits before knocking on Madalena’s door, which she opened after a few
minutes’ delay. While a search inside found no man, a loud noise overhead
alerted the police to visit the roof, but in vain. They did soon discover the
barber in his nightshirt in his own bed, where he protested that he had been
checking the premises above on behalf of his absent landlord. Unconvinced, the
police led the two lovers off to jail (ff. 143v–145r). When Giovanni Domenico
came home to the unpleasant surprise of his wife’s arrest, he learned that
Pietro the barber, carrying a sword (a further offense), had been in the house
at night with Madalena. The cuckolded husband went immediately to make a formal
complaint and to demand, according to the protocol, the severest punishments
for Pietro, Madalena, and anyone with a part in “leading him to her” (ff.
145r–v). The young orphan, Giovanni Santi, nicknamed Scimiotto (Little Monkey),
also testified then under his master’s auspices. The boy explained that, during
the four months that he had lived in the household, Madalena had many times
sent him to invite the barber to eat, and that, when Giovanni Domenico was
away, Pietro stayed to sleep. He shared the bed with Madalena and the two
children, while the young witness slept on the f loor in the same room. The
lover usually entered through the door, but sometimes through a window
belonging to a laundress (ff. 146r–v). During her husband’s nightly absences
and in plain view of the neighbors, Madalena had carried on adulterously with,
like the other women, a young, unmarried man who lived nearby. The affair
(amicizia) had been going on for as much as two years, according to gossip in
the local wineshop (f. 148v). A hatmaker who lived in the house between the two
lovers had for six months heardlocal “murmuring” that Pietro was having sex
(negotiava) with Madalena. In passing back and forth, the neighbor had many
times seen the barber in her house, their “talking and laughing together
publicly . . . sometimes in the morning, sometimes after eating,
sometimes toward evening” (f. 147r). Often, said the hatmaker, other men also
hung out convivially at the shop, eating doughnuts, or, in season, roasted
chestnuts (f. 148v). Giovanni Domenico must have been around sometimes when
such sociability, presumably good for business, took place. Yet, about a month
before the arrests, the hatmaker saw fit one day in his shop to warn the young
barber: “the people of Trastevere say you’re having sex with the
doughnut-maker’s wife; if you don’t straighten up, you’ll go to jail.” When
Pietro denied it, the hatmaker replied that it was not his business, but that
the barber had better mind his (f. 147r). Cesare the tavern keeper had also
challenged Pietro. Several weeks ago, Cesare had gone to Madalena’s to borrow
matches and found her eating with the barber and another man. Seeing the tavern
keeper, Pietro had slipped away to hide. Later that day, Madalena’s small son
came to Cesare’s house to get a light. Jokingly, he asked the boy: “who was
sleeping with your mother last night?” (f. 148r). Later still, Pietro stormed
into the tavern and began to threaten the host, saying that he should take care
of his own house and not speak of others, or that he would get his head stove
in. Cesare, figuring out how his words had passed from the child to his mother
and to Pietro, protested that he had only spoken in jest (f. 148r). Although
propinquity and opportunity during Giovanni Domenico’s regular absences clearly
favored the liaison, we must guess at what drew these two lovers together. The
unmarried barber could readily have found sex and even a quasi-domestic
companionship elsewhere among the city’s prostitutes. The illicit pair seemed
to enjoy each other’s company, alone together and also in groups. In Rome where
many men were on their own, taking meals in others’ houses, sometimes in return
for a contribution in food or money, was not unusual. Pietro’s sleeping over,
especially when he lived so close by, was less acceptable. Interestingly,
though, no one called Madalena a whore or said that she was in it for money.
This suggests that there was something companionable about the connection, and
that may have colored local reactions, at least initially. Some shift of
neighborhood opinion in recent weeks, however, had led the hatmaker to confront
Pietro and the tavern keeper to make his tactless joke to Madalena’s son. How,
then, did the cuckolded husband not suspect? Seemingly, none of the neighbors
said anything to him. At least, when he came home to discover the arrests, he
hastily adopted a posture of righteous ignorance and mustered shreds of
domestic mastery by adding his complaint to the magistrate’s file.
Nevertheless, given local practices, the marriage probably muddled on. The
fourth case shows a different pattern of adulterous assignation.52 The lovers had
been acquainted through family connections for several years. The older married
woman, infatuated with a younger man, a cloth dealer, organized their sexual
trysts. Completely absent from the trial, the cuckolded husband figured only as
an angry specter in his wife’s mind. Here again, a neighbor’s
denunciationlaunched the official investigation. Testimonies from the two
lovers and from several women neighbors arrested with them confirmed and
extended the police report. On Saturday, March 23, 1602, in mid-afternoon, a
police patrol raided a modest upstairs room in the Vicolo Lancelotti near the
Tiber river. According to their lieutenant, an unnamed local informant reported
that a married woman had been meeting a lover there on Saturdays for some
months (ff. 1219r–v). The lodging belonged to Filippa from Romagna, a weaver
and the wife of Hieronimo Morini, though evidently alone in Rome (f. 1220r).
Two other women on their own, including Filippa’s commare Marcella, also shared
the staircase. On Saturday, hearing men barge into the building, the weaver was
able to warn the lovers, so that the police arrived to find the pair, both
fully clothed, the man sitting on the bed and the woman standing beside him.
But when the man rose, lifting his cloak from the bed, the lieutenant spotted a
“shape” ( forma) betraying the couple’s activity (f. 1219r). The woman, Livia,
was known to all present as the wife of Pietropaolo Panicarolo, a carpenter
from Milan (f. 1224v). Confronted by the police, she threw herself tearfully on
her knees and begged not to be taken to prison, because “this is the time” that
her husband would kill her. The man, Marino Marcutio from Gubbio, took an
officer aside, saying “I am a merchant” and offering money or whatever he
wanted in order to let them go, the woman in particular (ff. 1219r–v). But the
righteous policeman refused the bribe, bound the pair, and sent them to jail.
The adultery’s backstory emerged from the interrogations. Livia testified that
she had been married for twenty-six years, although she likely included a brief
first marriage contracted when she was very young (ff. 1225r–v). That husband
had died before she was old enough to go live with him, and probably she had
been wed soon again to Pietropaolo. In any case, in 1602 Livia must have been
at least thirty-five and maybe older. She lived with her husband, but, like
Caterina and Hieronimo in the first story, they had no children. Besides
Livia’s fear of Pietropaolo’s violence should he discover the adultery, we know
nothing of their relationship. As in the third case, the geography in this one
spread out across the center of the city. Livia lived currently not far from
the Trevi Fountain and was accustomed to moving good distances around the city
on her own (f. 1221v). Marino, a younger man, kept shop across town on a corner
where the street of the Chiavari met the Piazza Giudea (f. 1220v). Livia had
come to know Marino eight years before in her own home, where she nursed his
seriously ill cousin, who later died (ff. 1227r, 1229r). Marino had also shared
recreation and games with her husband, Pietropaolo, and the merchant’s parents
had more recently lodged in the carpenter’s quarters during the Holy Year of
1600 (f. 1229r). Through these domestic encounters, Livia had fallen in love
with Marino and had long strategized to meet him discreetly for sex. Livia had
known Filippa for two years, during which time the weaver, who worked on a loom
in her room, had made three cloths for the more aff luent carpenter’s wife (f.
1221r). Filippa had visitedLivia’s house to collect yarn for the loom and to
deliver finished cloth, and Livia had called in the Vicolo Lancelotti, although
it was a good way from her home. So, bumping into Filippa at various spots
around town, Livia importuned her repeatedly for the use of her room to meet
Marino (f. 1221v). Though reluctant, Filippa eventually gave in to the woman
who gave her work. At risk of being charged as a go-between, the weaver said
she had refused any compensation, but Livia said that she had given Filippa
five giulii for the two recent assignations (f. 1227v). In Livia’s own
words, she had loved and been in love (inamorata) with Marino for years, and
her infatuation had propelled her to arrange a series of private encounters
“not having opportunity to enjoy him ( goderlo) in my house out of respect for
my husband” (f. 1225r). Livia and Marino both acknowledged having met privately
a number of times at Filippa’s room, and twice in the last week that was the
focus of the investigation. On the Monday before the arrests, the pair had had
a rendezvous at Filippa’s house. Duly chaperoned by a nephew, who left
immediately, Livia arrived first after the midday meal and joined the weaver in
her room. Marino appeared about a half hour later, bringing some collars for
starching as a standard cover story for his presence. After chatting brief ly,
Filippa withdrew and left the pair alone. Sometimes, the door was open during
the couple’s visits, but on this, as on another, occasion they had been locked
inside for about an hour (f. 1221r). When later the policeman asked Filippa
what the couple had been doing, she replied, “you know very well that when a
man and a woman are together, it is not licit to see what they are doing” (f.
1219v). Although all the women witnesses echoed the sentiment that Livia was in
love, it was not clear whether, when the couple next met on Saturday, they had
sex. Livia was angry with Marino, because she thought that he was chasing
another woman, and they had had words. She also insisted with dubious piety,
“on Saturday I don’t commit sin, not even with my husband (il sabbato non fo il
peccato, ne anco con mio marito)” (ff.1221r, 1225r). Although during the
arrests Marino had tried to protect Livia, under interrogation his story aimed
first to exonerate himself. He acknowledged that he had met Livia once before
Christmas, twice before Carnival, and another two times during Lent, but, he
insisted, only to talk. Making the implausible claim that he only sought the
carpenter’s wife’s help in order to secure a “simple benefice” for his brother
who was a student, he denied sex altogether (f. 1229v). Describing their
emotional bond, he notably cast the feelings in terms of Livia’s warmth toward
him, “she is a friend to me and loving because she has helped me (mi e amica et
amorevole perche mi ha fatto de servitii ),” referring to her nursing his
mother and cousin (ff. 1231v–1232r).53 To dislodge the lovers’ conf licting
testimony and to convict Marino, the court proceeded to torture the adulteress in
front of the merchant (f. 1234r–v). Using the lighter instruments of the
sibille that compressed the hands, this formal act of judicial stagecraft
intended, as in Artemisia Gentileschi’s case, to authorize the claims of the
sexually compromised woman.54 The tactic failed, nonetheless, to elicit a
change in Marino’s testimony that denied any sex, or touch, or kisses,or even
hearing that Livia was in love with him (f. 1236v). The judge probably did not
believe Marino, but legally his respectability and his adamancy held good
weight. Livia’s unknown fate, on the other hand, would have lain in part with
her invisible husband. If less dramatic than high culture’s renderings of
adultery, adorned by the heft of law, familiar biblical tropes, and colorful
narrative in paint and words, these everyday stories of wives seeking illicit
moments of love and fun have their own art and pathos. For example, there is
the coachman Francesco’s alleged sexual impairment due to a Turkish scimitar
injury. Or the hardworking doughnut guy cuckolded by the young barber. Or
Filippa the poor weaver, who got into trouble because her friend and employer
Livia wore down her resistance to playing hostess to a sexual rendezvous.
Paradoxically perhaps, the criminal court’s address to transgression here tells
us more about what really happened, and what happened to most people some of
the time than the great dramas of high art. Despite reformers’ efforts to
discipline marriage and sex, a customary culture that tolerated various forms
of heterosexual error persisted in Rome long after Trent. In these four cases,
only one husband sought the court’s help. In the others, neighborhood
informants alerted the authorities to a public disorder, but only after an
adulterous liaison had been known in their midst for some time. While the
Governor’s court prosecuted lovers as well as errant wives, the women usually
had more to lose, but also perhaps to gain. Even if unwise, some married women
broke the rules and went looking for love. What they found was usually close to
home so that their adventures took place under the eyes of a local community.
These neighbors knew often well before the law got involved and responded in
diverse ways. Adultery posed a social problem that demanded a solution, sooner
or later. Although the law had its own ambitions, in these sorts of everyday
misdeeds justice did not intervene with a devastating external discipline.Notes
1 Cristellon, “Public Display,” 182–85, summarizes Italian legal and customary
views of adultery. 2 Clarus, Opera omnia, 51b. 3 Besides essays in
Matthews-Grieco, ed., Erotic Cultures, see Bayer, ed., Art and Love, including
essays by Musacchio (29–41) and Grantham Turner (178–84). 4 Ajmer-Wollheim,
“‘The Spirit is Ready’” 5 McClure, Parlour Games, 36–38. 6 Esposito, “Donna e
fama,” 97–98, states this standard view. 7 Cussen, “Matters of Honour,” 61–67.
8 Lev, The Tigress of Forlì, 3–20. 9 Musacchio, “Adultery, Cuckoldry,” 11–34;
on Piero’s death 17–18. 10 On wife-killing by nobleman Carlo Gesualdo in
Naples, 1590, see Ober, “Murders, Madrigals”; on Vittoria Savelli in the Roman
hinterland, 1563, see Cohen, Love and Death, 15–42. Killings of noble wives not
caught in flagrante delictu often had motives linked to claims on property or
power rather jealous rage. 11 Esposito, “Donne e fama,” 47 48 49Elizabeth S. CohenGal, Boudet, and
Moulinier-Brogi, eds., Vedrai mirabilia, 241. Kaborycha, ed., A Corresponding
Renaissance, 172 + n. 19. Gal, Boudet, and Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia,
251. Examples include: Titian (1510); Rocco Marconi (1525); Palma il Vecchio
(1525–28); Lorenzo Lotto (1528); Tintoretto (1545–48); Alessandro Allori
(1577). Alberti, “‘Divine Cuckolds.’” Rice, “The Cuckoldries.” Boccaccio,
Decameron. For example, Day 3, Story 3; Day 7, Story 2. For example, Day 3,
Story 2; Day 4, Story 2. Ibid., 241–46. My translation of the quote. Ibid.,
500–01. Cristellon, Marriage, the Church, 14–19, 159–90. For French parallels,
see Mazo Karras, Unmarriages, 165–208. Ferraro, Marriage Wars also includes
cases in secular courts, where issues of property, often pursued by husbands,
have greater visibility; yet women brought many more suits than men, 29–30. In
the complaints, adultery was generally subordinate to other concerns, 71.
Cristellon, “Public Display,” 175–76, 180–85, Scaduto, ed. Registi dei bandi,
vol. 1 (anni 1234–1605), passim. Storey, Carnal Commerce, 108-14, 242–43.
Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 274–75. Cohen and Cohen, “Justice and Crime.”
Sonnino, “Population,” 50–70. Da Molin, Famiglia, 93–95. Sonnino, “Population,”
62–64. See also, Nussdorfer, “Masculine Hierarchies.” Da Molin, Famiglia, 243.
The unexplained disappearance of Vicariato tribunal records precludes Roman
comparisons with Venice. Marchisello, “‘Alieni,’” 133–83. See also in the same
volume, Esposito, “Adulterio.” Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 273, n. 160.
Statuta almae urbis Romae, 108–09, for what follows. Forcibly abducting
prostitutes was a crime. Ibid., 109. Esposito, “Donna e fama,” 89–90.
Marchisello, “Alieni,” 137, 166–68; Esposito, “Adulterio,” 26–27.
Alternatively, the legal narrative for the charge of sviamento, leading astray,
shifted more blame onto the lover. For example, Archivio di Stato di Roma,
Governatore, Tribunale criminale (hereafter ASR GTC), Processi, xvi secolo,
busta 256 (1592), ff. 540r–62; see also, Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 272,
275. For example, ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 25, ff. 17r–26v;
(1603); busta 91, ff. 1153r–1159r (1610). In parallel, the Statuta almae urbis
Romae, 110, declared that men keeping concubines were liable for fines of 50
scudi. Counts based on small numbers of surviving records do not reflect
behaviour or even patterns of prosecution. Nevertheless, it may be useful to
note that this type of “simple adulteries” represent about a quarter of the
adultery prosecutions between 1590 and 1610. ASR GTC, Processi, xvi secolo,
busta 270, ff. 1124r–1128v. References to specific folios appear in parentheses
in text. The trial record ended with the usual note that those charged had three
days to prepare their formal defense. I have found no record of a judgment, but
it is likely that the couple were fined. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta
37, ff. 830r–851r. The charge preteso adulterio (appearance of adultery)
carried a lesser burden of proof.Adulteresses in Catholic Reformation Rome50 51
52 53ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 36, f. 63v. ASR GTC, Processi, xvii
secolo, busta 44, ff. 142r–149r. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 17, ff.
1218r–1238r. The range of colloquial meanings for “amica” and “amorevole” was
broad. Here Marino used these words to indicate friendship and affiliation,
rather than romantic or sexual alliance. 54 Cohen, “Trials of Artemisia
Gentileschi,” Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore,
Tribunale Criminale Processi, xvi secolo, busta 256 (1592) Processi, xvi
secolo, busta 270 (1593) Processi, xvii secolo, busta 17 (1602) Processi, xvii
secolo, busta 25 (1603) Processi, xvii secolo, busta 36 (1604) Processi, xvii
secolo, busta 37 (1604) Processi, xvii secolo, busta 44 (1605) Processi, xvii
secolo, busta 91 (1610)Published sources Ajmer-Wollheim, Marta. “‘The Spirit is
Ready, But the Flesh is Tired’: Erotic Objects and Marriage in Early Modern
Italy.” In Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara
Matthews-Grieco, 145–51. Farnham: Ashgate, 2010. Alberti, Francesca “‘Divine
Cuckolds’: Joseph and Vulcan in Renaissance Art and Literature.” In Cuckoldry,
Impotence and Adultery. Edited by Sara Matthews-Grieco, 149–82. Farnham: Ashgate,
2014. Bayer, Andrea, ed. Art and Love in Renaissance Italy. New Haven, CT: Yale
University Press, 2008. Blastenbrei, Peter. Kriminalität im Rom, 1560–1585.
Tübingen: Max Niemeyer Verlag, 1995. Boccaccio, Giovanni. Decameron. Translated
by G.H. McWilliam. Harmondsworth: Penguin, 1972. Clarus, Julius. Opera omnia
sive pratica civilis atque criminalis. Vol. 5. Venice: 1614. Cohen, Elizabeth
S. “Trials of Artemisia Gentileschi: A Rape as History.” Sixteenth Century
Journal and Thomas V. Cohen. “Justice and Crime.” In Companion to Early Modern
Rome. Edited by Pamela Jones, Simon Ditchfield, and Barbara Wisch. Leiden:
Brill, 2018 Cohen, Thomas V. Love and Death in Renaissance Italy. Chicago:
University of Chicago Press, 2004. Cristellon, Cecilia. Marriage, the Church,
and Its Judges in Renaissance Venice, 1420–1545. Cham: Palgrave Macmillan,
2017. Originally published as La carità e l’eros. Bologna: Il Mulino, Public
Display of Affection: The Making of Marriage in the Venetian Courts before the
Council of Trent” In Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara
Matthews-Grieco, 173–97. Farnham: Ashgate, 2010. Cussen, Bryan. “Matters of
Honour: Pope Paul III and Church Reform (1534–49).” Ph.D. diss., Monash
University, 2017.Da Molin, Giovanna. Famiglia e matrimonio nell’Italia del
Seicento. Bari: Cacucci Editore, 2000. Esposito, Anna. “Adulterio, concubinato,
bigamia: testimonianze dalla normativa statutaria dello Stato ponteficio
(secoli XIII–XVI).” In Trasgressioni: seduzione, concubinato, adulterio, bigamia,
Edited by Silvana Seidel Menchi and Diego Quaglioni, 21–42. Bologna: Il Mulino,
“Donna e fama tra normativa statuaria e realtà sociale.” In Fama e Publica Vox
nel Medioevo. Edited by Isa Lori Sanfilippo and Antonio Rigon. Rome: Istituto
storico italiano per il Medio Evo, 2011. Ferraro, Joanne M. Marriage Wars in
Late Renaissance Venice. New York: Oxford University Press, 2001. Gal,
Florence, Jean-Patrice Boudet, and Laurence Moulinier-Brogi, eds. Vedrai
mirabilia: Un libro di magia del Quattrocento. Rome: Viella, 2017. Grantham
Turner, James. “Profane Love: The Challenge of Sexuality.” In Art and Love in
Renaissance Italy. Edited by Andrea Bayer, 178–84. New Haven, CT: Yale
University Press, 2008. Kaborycha, Lisa, ed. A Corresponding Renaissance:
Letters Written by Italian Women, 1375– 1650. New York: Oxford University
Press, 2016. Lev, Elizabeth. The Tigress of Forlì: Renaissance Italy’s Most
Courageous and Notorious Countess, Caterina Riario Sforza de’ Medici. Boston:
Houghton Miff lin, 2011. Marchisello, Andrea. “‘Alieni thori violatio’:
L’Adulterio come delitto carnale in Prospero Farinacci.” In Trasgressioni:
seduzione, concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII). Edited by Silvana
Seidel Menchi and Diego Quaglioni, 133–83. Bologna: Il Mulino, 2004. Matthews-Grieco,
Sara, ed. Erotic Cultures of Renaissance Italy. Farnham: Ashgate, 2010. Mazo
Karras, Ruth. Unmarriages: Women, Men and Sexual Unions in the Middle Ages.
Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2012. McClure, George. Parlour
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Toronto Press, 2013. Musacchio, Jacqueline Marie. “Adultery, Cuckoldry, and
House-Scorning in Florence: The Case of Bianca Cappello.” In Cuckoldry,
Impotence and Adultery in Europe (15th– 17th Century). Edited by Sara
Matthews-Grieco, 11–34. Farnham: Ashgate,
“Wives, Lovers, and Art in Italian Renaissance Courts.” In Art and Love
in Renaissance Italy. Edited by Andrea Bayer, 29-41. New Haven, CT: Yale
University Press, 2008. Nussdorfer, Laurie. “Masculine Hierarchies in Roman
Ecclesiastical Households.” European Review of History 22, no. 4 (2015):
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Cuckoldries of Baccio del Bianco.” In Cuckoldry, Impotence and Adultery in
Europe (15th–17th Century). Edited by Sara Matthews-Grieco, 215–48. Farnham:
Ashgate, 2014. Scaduto, Francesco, ed. Registi dei bandi, editti, notificazioni
e provvedimenti diversi relativo alla città di Roma ed allo Stato Pontificio,
vol. 1 (anni 1234–1605). Rome: 1920. Sonnino, Eugenio. “The Population in
Baroque Rome.” In Rome/Amsterdam: Two Growing Cities in Seventeenth-Century
Europe. Edited by Peter van Kessel and Elisja Schulte, 50–70. Amsterdam:
Amsterdam University Press, 1997. Statuta almae urbis Romae. Rome: 1580.
Storey, Tessa. Carnal Commerce in Counter-Reformation Rome. Cambridge:
Cambridge University Press, 2008.PART IISense and sensuality in sex and gender.
The case of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta Carlini
Patricia SimonsOn November 5, 1623, two Capuchin friars sent by a papal nuncio
finished their investigation regarding whether abbess Benedetta Carlini was a
valid mystic. An earlier, local study drawn up for Pescia’s provost in 1619 had
been amenable to her claims. In July 1620, she became the first abbess of the
newly enclosed convent, a prestigious appointment that suggests belief in her
story. Yet Benedetta’s authority within the nunnery was not universally
accepted and she lost the support of the civic establishment, leading to the
new investigation by more distanced authorities. They decided that she had been
deceived by the devil because, according to evidence from disaffected nuns,
signs such as her stigmata were faked. New evidence also included the testimony
of the abbess’ assistant, Bartolomea Crivelli (often called Mea), who
unexpectedly told the men, in explicit detail, about sexual relations between
the two women. Most scholars were similarly surprised when Judith Brown
published the supposedly “unique” case in 1986, in Immodest Acts: The Life of a
Lesbian Nun.1 Responses were varied, the lengthiest being Rudolph Bell’s
evaluation in 1987, which argued that the nuncio was already determined to
silence Benedetta and that her subsequent lengthy imprisonment in the convent
was imposed by the nuns rather than external authorities, a claim refuted by
Brown.2 The details of the internal, civic, and ecclesiastical power plays
cannot be definitively known, but the sexual dynamics are clear. Over thirty
years later, it is time to reconsider this case, neither adhering to a
modernist notion of strict sexual identity nor relegating Benedetta and Mea to
the margins. In keeping with Konrad Eisenbichler’s ability to draw out erotic
implications from literary and archival evidence, this essay respects the
reality of the women’s intimacy and examines textual and visual materials in
order to situate them in their spiritual and sensual context. This case offers
specific details and terminology for what might be called corporeal
spirituality, the unequivocal coexistence of amorous language, sexual deeds,
pious rhetoric, and religious faith.3Since Benedetta’s visions entailed
visitations from Christ, whom she married in a public ceremony, and messages
from angels such as Splenditello, in whose voice she often spoke, Brown claimed
the two nuns were engaged in a heterosexualized affair: The only sexual
relations she seemed to recognize were those between men and women. Her male
identity consequently allowed her to have sexual and emotional relations that
she could not conceive between women. . . . In this double role of
male and of angel, Benedetta absolved herself from sin and accepted her society’s
sexual definitions of gender.4 Brown’s judgment associates male sex with
masculine gender, and in turn a presumed dichotomy between the two women is
seamlessly laminated onto their sex acts. However, this does not accord with
either the women’s physical actions, or with possibilities engendered by the
sensual spirituality of premodern Catholicism. The souls and f lesh of nuns
were not as neatly divided as a later, secular view imagines. Despite the
Foucauldian point that discourses of repression can generate the very thing
they seek to silence, the presumption of religious “purity” and feminized
innocence has hardly disappeared. Benedetta’s case remains nearly ignored in
studies of European religion or is cited brief ly with no new interpretation.5
It is seen as an aberration on two counts: she was a nun with a sex
life—considered an oxymoron—and her sexual activity was with another
woman—thought to be impossible in her time and setting. Documented cases of
nuns having sex with clergy or secular men, as well as anti-clerical, fictional
stories about such conjunctions, are taken as ordinary, natural, feminine acts
by women who were supposedly frustrated in an entirely earthly way.6 But
Benedetta, it seems, must be a “unique” case, even “bizarre,” who assumed a male
guise and cannot be assimilated into religious history.7 My point here is to
remove her from the interdependent frameworks of deviance and heterosexuality,
and to reintegrate her into a religious context. Benedetta literally acted out
what was usually a world of visual and imaginary culture. Here I try to
reconstruct a premodern nun’s agency and the imagination of religious women,
who were not necessarily repressed victims with no recoverable history of any
import. Nunneries were loci of social and economic power, particular
inhabitants inf luenced secular women and male authority figures ranging from
fathers to confessors, and some women like Benedetta negotiated rich emotive
lives for themselves. We tend to think of nuns as women restricted by
institutional confines and discourses that denied them their bodies, but
Benedetta’s story urges us to examine the materiality of passion, of art, and
of past lives. Only the report of the Capuchins told of Benedetta’s sexual
transgressions— f lirting with two male priests as well as “immodest acts” with
a woman—and only at the end of its account.8 The inquiry concluded that her
visions andecstasies were “demonic illusions.”9 Along with her disturbingly
erotic behavior, the inquirers were concerned by their discovery that apparent
signs of her special favor, the stigmata, nuptial ring, and a bleeding
crucifix, were all forged. The friars integrated Carlini’s sexual behavior with
her spiritual behavior—all were sinful and diabolically inspired. In an
important sense, we need to take this contemporary contextualization seriously,
understanding that Benedetta’s visions were not utterly divided from her
corporeal acts. The aspiring mystic, then in her early thirties, had been
having regular sex with Mea for at least two years. Neither investigation was
sparked byrumors of sexual sin, nor is it clear how central that particular
misconduct was to her lifelong imprisonment within the convent.10 Benedetta’s
story most resembles cases of what Anne Jacobson Schutte has called “failed
saints,” or what Inquisitors termed “pretended holiness” (affetata santità).11
Sixteenth- and seventeenth-century penance for a nun’s sexual sin ranged from
expulsion or permanent incarceration in the convent to just two years of
penance there.12 No witnesses or other evidence confirmed Mea’s testimony and
if she had not made a voluntary confession, no one could have uncovered the
information. The demoted abbess Carlini herself renounced her past and never
acknowledged Mea’s claims. The unusually visible sexual aspects may not be
unique. Recalling her secular life of the 1670s, and her enjoyment of men
courting her, St. Veronica Giuliani later emphatically interrupted one of her
autobiographies. A sentence written in capital letters alluded to imprecise
errors, implicitly sexual: “I bore great tribulation for the sins I committed
with those spinsters and I did not know how to confess them.”13 Cloistered
women may have enjoyed undocumented but thoroughly physical relationships in
secluded spaces. From at least the twelfth to the seventeenth century,
incidents of same-sex eroticism within female convents are recorded. Around
1660, nuns at Auxonne accused their mother superior of bewitching them, of
wearing a dildo, of kissing, and penetrating them with fingers.14 Sixteenth-
and seventeenth-century women in Italian religious refuges for convertite
(ex-prostitutes) and malmaritate (abused wives) became friends and in some
cases nearly half the inhabitants formed couples sharing rooms, where
“officials discovered women who were sexually involved with other women.”15
Close living and supportive conditions also obtained in non- or semi-cloistered
communities of pious laywomen. Bell’s critique of Brown usefully corrected
various errors, while nevertheless making new mistakes. His chief point was
that the male investigators “had no lack of imagination or conceptual framework
for describing love between two women” and that it was the nuns rather than the
Church officials who condemned Benedetta to life-long imprisonment.16
Certainly, she seems to have been a demanding, imperious abbess who could not
cope with the dissension her rule engendered, perhaps in part due to newly
instigated clausura. Brown’s label of “lesbian,” despite her careful
acknowledgment that it was anachronistic, provoked much criticism. One reviewer
of the book, using yet more historically inappropriate terms, insisted that
“Carlini is heterosexual or, more properly,bisexual in both her inclinations
and conduct.”17 Disagreements over labels and details should not distract from
the fundamental fact that physical, sexual contact took place between two nuns.
Too often, a series of dichotomies misinform discussions of sexual practices. A
binary between the mind and the body, the soul and its vessel, is often mapped
onto other seemingly concomitant divides, not only between masculine and
feminine but also the celestial and the mundane. The presumption is that
religious ideologies constantly repress bodily desires and only secular,
putatively modern, frameworks are capable of acknowledging material passion. In
a similar vein, a contrast is regularly drawn between “real sex” (whatever that
is) and “Romantic Friendships” amongst women. Both the abbess’s visions and her
sexual deeds were informed by conventions shaping the lives of all nuns as
brides of Christ at a time when dualism was not naturalized. Discussing the
exegetical tradition regarding the biblical Song of Songs as an allegory about
the soul’s union with the divine, E. Ann Matter noted that the text was “the
epithalamium of a spiritual union which ultimately takes place between God and
the resurrected Christian—both body and soul.”18 Benedetta’s mysticism links
her to a tradition of female spirituality “that made the body itself a vehicle
of transcendence. . . . Corporeal images were the stuff with which
nuns described their experiences.”19 Heterosexualization of the story is too
simplistic, too ignorant of complex issues related to gender dynamics as well
as intersex and transgender bodies. What Brown calls Benedetta’s “double role
of male and of angel” and “her male identity” was not a consistent performance
of masculinity. Speaking on occasion as an angel named Splenditello or as
Christ, the nun was a medium for the divine rather than for her “self ” in a
modern sense of individual identity, and none of her contemporaries, including
Mea, considered her male. During sex, neither seventeenth-century woman
believed the other was transformed into a man, and their sex did not
necessitate resort to “instruments” or dildos, devices that so obsessed
confessors. For two or more years, “at least three times a week,” when the
women shared a cell as mistress and servant, they had sex, in the day as well
as at night or in the early morning.20 Although Mea sought to protect herself
by claiming she was always forced, and a degree of intimidation or overbearing
insistence may well have been involved, she implicitly admitted pleasure.
“Embracing her,” the abbess “would put her under herself and kissing her as if
she were a man, she would speak words of love to her. And she would stir on top
of her so much that both of them corrupted themselves.” The women did much more
than engage in what Brown and Bell describe, using the dismissive misnomer, as
“mutual masturbation.”21 They touched each other until orgasm, in vigorous and
multiple ways, including actions that were not possible for a single person,
and had no need of a phallus. Rubbing or “stirring” their genitals together to
the point of “corruption,” they also manually penetrated each other and
actively used their mouths. Presenting herself as more passive, Mea recounted
how even during the day the abbess grabbed her handand putting it under
herself, she would have her put her finger into her genitals, and holding it there
she stirred herself so much that she corrupted herself. And she would kiss her
and also by force would put her own hand under her companion and her finger
into her genitals and corrupted her.22 A slightly later expansion of the
account accentuated Benedetta’s inventive pursuit of pleasure, saying that “to
feel greater sensuality [she] stripped naked as a newborn babe,” and “as many
as twenty times by force she had wanted to kiss [Mea’s] genitals.”23 The
document, although stressing the younger woman’s reluctance, also showed a
comprehension of how satisfying the actions could be: “Benedetta, in order to
have greater pleasure, put her face between the other’s breasts and kissed
them, and wanted always to be thus on her.” During the day in her study, while
teaching her companion to read and write, the abbess again enjoyed sensual
contact, having Mea “sit down in front of her” or “be near her on her knees
. . . kissing her and putting her hands on her breasts.” Despite the
reticence Mea tried to convey in her statement, it was clear her lover sought
mutual delight. When manually arousing Mea, Benedetta “wanted her companion to
do the same to her, and while she was doing this she would kiss her.” The older
woman was presented as active and insistent. If Mea tried to refuse, the abbess
went to the cot “and, climbing on top, sinned with her by force,” or she would
arouse herself (“with her own hands she would corrupt herself ”). Hence, in a
phrase recorded only a few times in Mea’s testimony, the younger woman conceptualized
her vigorous, forceful lover in standard terms, saying “she would force her
into the bed and kissing her as if she were a man she would stir on top of
her.” Mea probably had no sexual experience with men, so her comparison was not
based on a Freudian model of the phallus or anatomical knowledge of a penis,
but on a sense of gendered roles whereby the man took a physically dominant
position. Benedetta and Mea enacted substantive, varied sex, in a range of
modes, positions, times, and locations. Benedetta’s case spurs us to ask
questions about the management of nunneries. How did seemingly “innocent” and
“repressed” women learn about sexual details and inventively contravene
prohibitions? A stock opposition between knowledgeable yet repressive male authorities,
and ignorant nuns without any agency, cannot satisfactorily apply. Some
inhabitants of nunneries shared a degree of sexual experience and innuendo with
their companions. Dedicated to God after her mother survived difficult labor in
1590, Benedetta was a nine-year-old villager when she entered the religious
life.24 Most other entrants (and boarders) were similarly prepubescent or in
their early teens, but some were older, sexually experienced women, such as
widows or former prostitutes. Heterogeneity was increased by the presence of
converse, servants and lay sisters who entered at slightly older ages, did not
profess, and sometimes frequented the outside world, although the growth of
post-Tridentine enclosure made this less likely from the late sixteenth century
onward. The popular and much reprinted Colloquies (1529) by Augustinian friar
Erasmus suggested that nunneries were filled with “morewho copy Sappho’s
behavior (mores) than share her talent,” and that “All the veiled aren’t
virgins, believe me.”25 Through whatever means, cloistered women could have
clear ideas about how to attain sexual pleasure. An anonymous nun, literate in
Latin, wrote a love poem to another religious woman in the twelfth century,
noting that “when I recall how you caressed / So joyously, my little breast / I
want to die.”26 Confessors and canonists educated women in their obsessive
sense of sexual sin. Due to the urging of questioners, or to a sense of guilt
that welcomed the relief of voluntary confession, Venetian Inquisitors heard in
the 1660s about how the “failed saint” Antonia Pesenti fought in the nighttime
against diabolic temptations to masturbate.27 St. Catherine of Siena (1347–80)
was tormented by sexual visions.28 Such a woman, who strenuously resisted
association with secular men outside her family ever since she was a girl and
refused to place herself on the marriage market, nevertheless had some
comprehension of the conventions of sexual sin. Secular inspirations included
farmyard sights, carnival songs, and oral jokes. Sermons, or the queries of a
confessor, further embedded a degree of simple knowledge, horrifying yet
fascinating. Nuns were governed by regulations suspicious of erotic activity in
all-female environments, such as the provision since the early thirteenth
century of night-lights to deter illicit entries into cells, regular checks on
sleeping arrangements, supervision of female as well as male visitors, and
careful control of the grille and other points of contact with the wider world.
Yet those very rules made everyone aware of the possibility of contravention.
Many penitentials and texts of canon law voiced a concern about nuns erotically
touching or using “instruments” with each other, possibilities paradoxically
furthered through inquiries in the confessional.29 Visual culture, including
widely circulated prints and paintings of the damned, was another means whereby
nuns were incorporated into a communal imagination regarding both sin and
sensual piety. Explicit condemnations of same-sex activities led occasionally
to illustrations in religious texts or on the walls of convents.30 Sensitive
contact was also represented. Mutual tenderness and awe between the embracing
Mary and Elizabeth at the Visitation, liturgically celebrated in the musical
crescendo of the Magnificat (Luke 1:46–55) sung every day at Vespers, was
powerfully pictured by artists such as Domenico Ghirlandaio, Jacopo Pontormo,
and Parmigianino ( Figure 6.1).31 Saints’ lives contained legends like
Catherine of Siena suckling at Mary’s breast or St. Catherine of Genoa tenderly
kissing a dying woman on the mouth.32 A woman’s understanding of sex and
sensuality might have been based more on discursive than experiential
practices, but it could seem all the more real in its visionary presence. The
chief focus of my study is legitimized, mystical eroticism in convents, leading
to Benedetta’s mistaken, kinetic literalization of spiritual metaphors. Her
pious and sexual performances intertwined on at least three levels of efficacy.
Instrumentally, her access to the divine persuaded the younger, initially
illiterate Mea to be a witness to the visionary experiences and to become a sex
partner.Parmigianino, Visitation, pen and wash. Galleria Nazionale, Palazzo
della Pilotta, Parma.FIGURE 6.1De Agostini Picture Library/A.
DeGregorio/Bridgeman Images.Whether the ambitious nun was a self-aware
manipulator throughout, or convinced by her own delusions, is neither knowable
nor particularly pertinent. For some time Mea and the other nuns, the confessor,
local officials, and the townspeople were all caught up in a visionary scenario
they wanted to believe. At Benedetta’s funeral in 1661, the populace had to be
kept away from a body they stillthought capable of miracles.33 The
investigators eventually judged Benedetta a “poor creature” deceived by the
devil, and she agreed that everything was “done without her consent or her
will.”34 That defense of unconscious possession was already evident during the
days of her acceptance by the community, but it shifted from being divine favor
and spiritual rapture to becoming demonic deception. On the psychological
level, the two women were provided with an effective way to cope with guilt.
Until Mea “confessed with very great shame” about their sex, the angel Splenditello
convinced her the women were not sinning. 35 Initially hesitating, in the
presence of a host of saints led by Catherine of Siena, to obey Christ’s
command to disrobe so he could place a new heart in her body, Benedetta was
reassured by Jesus, who said “where I am, there is no shame.”36 The Capuchin
investigators thought her putative ecstasy “partook more of the lascivious than
of the divine” but the earlier inquiry, and the convent’s inhabitants like Mea,
had not taken it amiss. After all, Saints Catherine of Siena, Catherine de’
Ricci (1522–90), and Maria Maddalena de’ Pazzi (1566–1607) received hearts from
Christ, and numerous images in printed or painted form continued to disseminate
this aspect of female sanctity’s typology.37 Secular poetry and pictures also
represented the gifting of manly hearts as a token of a courtly love that
metaphorically elevated carnal desire into an idealized realm, without losing
sight of erotic thrill.38 Nuns were increasingly devoted to Christ’s wounded
heart, and imagined their own hearts as inner loci to be entered by their
heavenly groom. The crucial difference was that Benedetta’s imagination was so
inventive, and her belief system so literal, that representation of her
participation in this mystic ritual included physical—“lascivious”—details.
Thirdly, on the affective level, Benedetta’s mysticism heightened her sense of
desire, not only for union with the divine, but for sex aided by angels.
Equally, it could be said that her yearnings exacerbated her mysticism. Recourse
to mystical fantasy endowed her passion with a structure and rhetoric. Rather
than sublimation through piety, Benedetta’s case history indicates an
intensifying of acts spiritual and sexual. Much of her complex psyche is summed
up by the striking act of benediction she performed after sex: as Splenditello,
“he made the sign of the cross all over his companion’s body after having
committed many immodest acts with her.”39 Priest, angel, nun, lover, guilty and
grateful, powerful and placatory, Benedetta moved her hand over a body she
rendered simultaneously sacral and sensual. Alongside a renewed disciplinary
zeal regulating cloistered life, CounterReformation culture witnessed a
heightening of the emotive register of piety. In doing so, the Catholic Church
accentuated a venerable, central heritage that used human bodies to imagine
spiritual passions. So, in the Mystic Nativity of 1500–01 (National Gallery,
London), Botticelli’s angels reenact the ritual of the kiss of peace, a regular
liturgical moment, but potential eroticization is indicated by its conjunction
with a nuptial kiss and by the exclusion of sinners from the ritual.40
Primarily same-sex pairs kiss and embrace in Giovanni di Paolo’s
midfifteenth-century panels representing eternal paradise ( Figure 6.2).41
Angels andFIGURE 6.2 Giovanni di Paolo, Paradise, 1445, tempera and gold on
canvas, transferred from wood, 44.5 × 38.4 cm. New York, Metropolitan Museum of
Art. Open access.souls of the blessed greet each other, and the blissful unions
are all manifested as moments of physical intimacy. Men in religious costume
embrace, two secular women tenderly touch, near them two Dominican nuns entwine
in one unit, and angels enfold men into the sweet realm of grace. Some female
mystics were blessed with a miracle of lactation.42 Catherine of Siena’s
experiences especially inf luenced Benedetta because her mother was devoted to
Catherine and the convent was under her aegis as its patron saint.43 That role
model’s mouth drained pus from a woman’s breast and the abnegation was rewarded
by what her confessor termed an “indescribable and unfathomableliquid” f lowing
from Christ’s side.44 Both scenes featured in one of the prints comprising a
well-disseminated series illustrating Catherine’s life, designed by Francesco
Vanni and first issued in 1597, then reissued in 1608 ( Figure 6.3).45 Her
confessor Raymond of Capua presented Christ as Catherine’s sensual lover:
“putting His right hand on her virginal neck and drawing her towards the wound
in His own side, He whispered to her, ‘Drink, daughter, the liquid from my
side, and it will fill your soul with such sweetness that its wonderful effects
will be felt even by the body.’” Raymond brief ly noted that an earlier
confessor had written about how “the glorious Mother of God herself fills her
[i.e. Catherine] with ineffable sweetness with milk from her most holy
breast.”46 Nurtured at the breasts of Christ and Mary, and moaning that “I want
the Body of Our Lord Jesus Christ” in church before his body f luid miraculously
satisfied her so that “she thought she must die of love,” Catherine’s inf
luential model of sanctity encouraged women such as her follower Benedetta
Carlini to believe in sensate relief of their spiritual desires.47FIGURE 6.3
Francesco Vanni, St. Catherine of Siena orally draining pus from an ill woman
and being rewarded with liquid from Christ’s wound, 1597, engraving, 25.7 ×
28.9 cm. Amsterdam, Rijksmuseum. Open access.Benedetta’s maleness supposedly
derived from her role-playing as Jesus or an angel, yet neither Christ nor
angels were unequivocally male. In a fundamental sense, of course, Christ was
masculine, the son of God endowed with visible, male genitals to prove the
infant’s assumption of Incarnational humanity.48 His adult manifestation was also
primarily masculine and patriarchal. Imitative adoration of their heavenly
spouse could lead to mortification and even stigmatization, but nuns were not
masculinized through such actions and they did not automatically become lovers
of men. Stigmatized like Christ or speaking at times as though Christ was
delivering a message,Benedetta was not Jesus, but his bride and servant.
Cloistered women were privileged followers of Mary’s role as sponsa, the
heavenly bride reenacting the Song of Songs and enjoying sensual relations with
an adult, loving Christ. But when a German cleric regretfully noted that “it
properly is the prerogative of his [i.e. Christ’s] brides” alone to enjoy
sensual union with a celestial bridegroom, he nevertheless vicariously enjoyed a
homoerotic fantasy by instructing nuns to kiss Christ “for my sake.”49 As
scholars have shown, in many ways the metaphorical body of Christ was
“feminine” or homoerotic or, rather, polymorphous in its sensual charge.50 Nuns
imagined themselves as suckled infants, nurtured adults, mothers, spouses,
female friends, all sharing an affinity as “sisters and daughters in Jesus
Christ,” as Catherine de’ Ricci addressed a group of nuns in October 1571 after
the death of “your dearest mother,” their abbess.51 While Christ was their
child and groom, and Mary their exemplar, nuns were also enfolded in a female
genealogy of succession and a feminine household of multiple sisters, daughters
and mothers. Fellow nuns tenderly support Catherine of Siena when she is so affected
as to faint after receiving the stigmata, painted by Sodoma in the mid-1520s
for the Sienese chapel dedicated to her within the Dominican headquarters of
her cult (Figure 6.4).52 Catherine is shown with exemplary female acolytes
whose intimate, gentle regard for her swooning body suggests a bodily care and
unselfconsciousness that requires no masculine intervention. Nuns took on more
than one persona in this labile community of affection. After Benedetta married
Christ in a special ceremony on May 26, 1619, a brief investigation did not
distrust her mysticism, and on July 28, 1620 her religious sisters elected her
abbess, head of the new Congregation of the Mother of God.53 As such, “mother”
abbess Benedetta embraced her “daughter” and fellow “sister” Mea. Brown conf
lates being male with taking on an angelic guise, but Benedetta took on no such
“double role of male and of angel.” When using the voice of an angel, she was
not adapting a role assigned to unambiguously male figures. Since theologians
such as Aquinas believed angels might assume f lesh but had no natural bodies
or functions, the ethereal creatures were officially asexual. Names, pronouns,
and visual representations implied a degree of masculinity about God’s
messengers, but often of a childlike or pubescent and androgynous kind. At the
very moment when Gabriel carried the message transmitting the Logos into the
body of the Virgin Mary, that archangel was often depicted as especially
androgynous. It was probably to a frescoed Gabriel that the orphan,Sodoma,
Giovanni Antonio Bazzi, Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The
swooning of the saint, 1526, fresco. Siena, S. Domenico. Scala/Art Resource,
NY.FIGURE 6.4The “lesbian nun” Benedetta Carlinilater Beata, Vanna of Orvieto
pointed on a church wall when she said “this angel is my mother.”54
Splenditello and Benedetta’s other angels empowered rather than masculinized
her. Splenditello and company were celestial, barely gendered embodiments of
winged eros or desire, rather than of a particular lover. Mea’s account moved
directly from details of their sex to the statement that the mystic “always
appeared to be in a trance (ecstasi ) . . . Her angel, Splenditello,
did these things, appearing as a beautiful youth (bellisimo giovane) of fifteen
years.”55 The attractive adolescent was endowed with the kind of homoerotic
potential celebrated in contemporary paintings such as Caravaggio’s The
Stigmatization of St. Francis produced in the first decade of the seventeenth
century (Figure 6.5).56 Like the contemporaneous Splenditello, the seraphic
spirit of celestial love who gently supports Francis is a creature ostensibly
male but fundamentally symbolic of an eroticism which does not insist on
singular identifications of gender or sex. The saint swoons in the arms of a
lover whose pictorial form embodies the ineffable and polymorphous. Francis’s
pious identification with the supreme exemplar Christ is physically and
metaphorically consummated as he receives the stigmata in a mystical experience
necessarily represented in erotic terms. A little more than twenty years after
Mea’s confession, Gianlorenzo Bernini began work on a three-dimensional
figuration of The Ecstasy of St. Teresa (Figure 6.6). With caressing gaze,
divine light, a conventional arrow of Love, andFIGURE 6.5 Caravaggio, Saint
Francis receiving the stigmata, ca. 1595–96, oil on canvas, 94 × 130 cm.
Wadsworth Atheneum Museum of Art.Photo credit: Nimatallah/Art Resource,
NY.FIGURE 6.6Bernini, The Ecstasy of St. Teresa, marble, 1645–52. Rome, S.
Maria dellaVittoria. Photo credit: Alinari/Art Resource, NY.delicate gestures,
Bernini’s embodiment of celestial spirit visits upon Teresa an experience of
divine transport. A childlike member of the ranks of the cherubim gently strips
Teresa of her worldly garments, lifting the robe so that blissful fire will
sear her soul with what she called “a point of fire. This he plunged into my
heart several times so that it penetrated to my entrails.”57 As Teresa
described her rapture in the early 1560s, “this is not a physical, but a
spiritual pain, though the body has some share in it—even a considerable
share.” Corporeal sensation was certainly perceived by an anonymous critic who,
around 1670, accused Bernini of having “dragged that most pure Virgin not only
into the Third Heaven, but into the dirt, to make a Venus not only prostrate
but prostituted.”58 Contemporaries, in other words, were quite aware of the
fine line between sensuality and spirituality, a boundary crossed not only by
Benedetta but by the renowned artist Bernini. Benedetta’s staging of such
favors as her stigmatization and her nuptials with Christ were eroticized
events akin to those depicted by artists. She involved an entire community of
nuns and a local populace in earthly manifestations of the divine, just as
Caravaggio did in oil paint, Bernini in marble, or preachers with words.
Miracles were understood to be physically manifest, and visions subtly brought
the divine into the corporeal realm. The late thirteenth-century mystic Gertrude
of Helfta wondered why God “had instructed her with so corporeal a vision.” Her
question was rhetorical, as any acceptable mystic knew: spiritual and invisible
things can only be explained to the human intellect by means of similitudes of
things perceived by the mind. And that is why no one ought to despise what is
revealed by means of bodily things, but ought to study anything that would make
the mind worthy of tasting the sweetness of spiritual delights by means of the
likeness of bodily things (corporalium rerum).59 As the seamstress and “failed
saint” Angela Mellini knew about her visions in the 1690s, “one never sees
things with the eyes of the body, but everything is seen intellectually.”60 On
the other hand, this reassuring statement was delivered to an Inquisitor,
whereas a note written by her halting hand understood that emotional passion
had very real effects. Thinking of such things as the pains she suffered in her
heart, in imitation of Christ’s passion, she observed that “love makes me
experience the truth of sufferings through the senses, now it beats, now it
purges, now it hurts and now all sorts of torments are felt.” In order to truly
convey the exactitude and reality of her sensate love, in September 1697 she
sketched a diagram of her wounded heart, complete with lance, nails, hammer,
cross, and crown of thorns. That drawing was produced for her confessor, a man
she desired so much that she felt “great heat in all the parts of my body and
particularly of movements in my genitals.”61 Like a courtier offering a heart
to the beloved, and like the related love-imagery for the soul’s yearning after
the divine, Angela availed herself of religious rhetoric and resorted to
physical signs when lovingChrist and wooing her priest. Similarly, on Caravaggio’s
canvas and in Bernini’s chapel, light is divine and natural, the ecstasy
spiritual and embodied. So, too, Benedetta’s sensate and emotive life was a
continuous blend of illusion and reality, spirit, and similitude. Echoing her
model, Catherine of Siena, Benedetta experienced visions, stigmatization, the
exchange of hearts, and a marriage with Christ. Catherine’s reception into
heaven after her death, disseminated in Francesco Vanni’s engravings and
various paintings, entailed a tender, intercessory greeting by Mary.62
Catherine’s charitable nursing brought her mouth into contact with one dying
woman’s breast (Figure 6.3), and on another occasion she transformed an ill
woman into her spouse.63 “Full of burning charity,” Catherine rushed to the
hospital to tend a bereft woman, “embraced her, and offered to help her and
look after her for as long as she liked.” She motivated herself by “looking
upon this leper woman, in fact, as her Heavenly Bridegroom.” Benedetta took the
actions of her exemplar further, embracing another woman in a relationship
where each was a spouse, each a bride. At some level, she perhaps believed the
words God spoke to Catherine, that “In my eyes there is neither male nor
female.”64 To have an impact, mysticism had to present a degree of spectacle,
and thus cross into the physical realm. The special favors bestowed on some
mystics were invisible, but then other signs had to appear, especially as the
Church grew more cautious about legitimizing local cults, feminine excesses,
fakery, and piety which might turn out to be diabolical in origin. Lucia
Broccadelli’s stigmata arrived during Lent in 1496 but only becoming visible at
Easter, after Catherine of Siena’s supplication in heaven persuaded Christ
“that the stigmata should be visible and palpable in me.”65 For several years,
the Dominican visionary was highly favored by the lord of Ferrara, Ercole
d’Este, and officials, including the Pope’s physician, examined her wounds to
their satisfaction. But the fortunes of this “living saint” suffered a reversal
when her ducal patron died in 1505. The sisters, chafing under her strict rule,
were able to mount a counter-offensive because the stigmata had disappeared.
Lucia was imprisoned for fraud within the convent for nearly forty years, until
she died in 1544. A potential mystic impressing only a relatively small town
and without a powerful supporter, Carlini also encountered a backlash from her
fellow religious and was investigated in an even more stringent climate. Once
the Counter-Reformation took hold, especially after the Council of Trent
(1545–63), there was an increase in cases of women ultimately judged “failed
saints” or diabolically possessed. Concomitantly, the number of female
canonizations decreased, with a suspicion of women deemed credulous and
excessive further abetted by Urban VIII’s more strict procedures for
canonization.66 Two hundred years earlier, Catherine of Siena’s confessor,
Raymond of Capua, later Master General of the Dominican Order, was persuaded of
the veracity of her mystical experiences, despite the invisibility of her
marriage ring and stigmata, by “watching the movements of her body when she was
in ecstasy.”67 Maria Maddalena de’ Pazzi begged Christ that her mystical ring
andThe “lesbian nun” Benedetta Carlini113stigmata be invisible, but the impulse
for humility was neatly balanced by kinetic and audible theatre similar to
Catherine’s. Her very wish not to be singled out became itself part of the
record collected by her community. In May 1619, Benedetta staged an elaborate
wedding witnessed by the secular elite of Pescia. The first inquiry into her
holiness began the very next day. But her renewal of the ring (with saffron)
and stigmata (with a large pin) only emerged in the course of the later
investigation.68 Judged fraudulent by Bell, Benedetta may nevertheless have
been acting in good faith, marking her body artificially only when doubts grew,
trying to persuade the sceptics by secondary, external signs that she truly
believed were there on her soul.69 When a Capuchin nun, the blessed Maria
Maddalena Martinengo (1687–1737), piously took a needle to her own body, it was
not counted diabolical. She embroidered the instruments of the Passion “with
the needle threaded with silk . . . into her own f lesh, nice and
big, as chalice-covers are embroidered, nor without bleeding.” 70 To retain her
status and stem the tide of opposition in an increasingly fractious convent,
Benedetta may have inscribed her body without thinking that the act was
forgery. Self-mutilation recurs in the lives of mystics, including Angela of
Foligno’s searing of her genitals, Margaret of Cortona’s desire to cut her
face, and Maria Maddalena de’ Pazzi’s gouging of her f lesh.71 Benedetta’s
piercing, documented by a hostile witness who came forth only after the convent
turned against their imperious abbess, may have been motivated in part by a
genuine element of imitatio Christi. Rather than judge her by later standards
of verisimilitude and honesty, it would be more appropriate to understand her
actions, and subsequent downfall, as a naïve, over-literal, and undisguised
performance of spiritual conventions that found no meaningful political support
amongst higher authorities or in a discordant convent. Like other aspirants to
mysticism, Benedetta displayed her celestial vision through mime, “motioning
with her hands as if she were taking” souls out of purgatory, for instance, but
her choreography went so far as to publicly process in a prearranged mystic
marriage, and to act out her erotic drive with Mea.72 Maria Maddalena de’ Pazzi
also kinetically staged her exceptionality. She mimed her wedding with Christ,
or in pantomime indicated to the novices under her care that she was being
stigmatized. Her charges reported that “she held her hands open, staring at a
figure of Jesus that she had on top of her bedstead; she looked like St.
Catherine of Siena. So, we thought that at that point Jesus gave her his holy
stigmata.” 73 Eroticizing a dormitory, looking at one image and mimicking
another, Maria Maddalena involved her young female audience in a highly visual
fantasy that drew on widely familiar iconography of female mysticism. Those
visualizations were further instilled through skills of internalized sight.
Trained, like all Catholics, in contemplative techniques merging the inner and
outer eye, Maria Maddalena and her faithful novices witnessed the material
reality of a vision. Meditative practices imagined narratives set in
contemporary settings, with familiar faces, placing a premium on immediacy and
recognition that was also highly valued in visual culture. Visions were
regularly made tangible,when nuns cared for and dressed dolls of the Christ
Child, acted out the stigmatization, wrote and performed religious plays, or,
in Catherine of Bologna’s case, painted and drew images inspired by her
raptures.74 To make fantasy real, to don the mantle of holy figures, was
orthodox rather than perverse. Benedetta’s concrete sexualization of her
religious scenario was not unique. In the early sixteenth century, a Spanish
canon lawyer had justified his inordinate lust for some nuns in Rome by arguing
that since, as a cleric “he was the bridegroom of the Church and the nuns were
brides of the Church,” they could have “carnal relations without sin.” 75
Imprisoned until he renounced these beliefs, the educated man had muddled
certain doctrines, but his conf lation of spiritual allegory and physical
desire was present in the writings of many a mystic and it was visualized in
numerous visions or works of art. By making her desires earthly as well as
divine, Benedetta misunderstood conventions, but she did not invent outside a
context. While she cannot be posited as a mainstream example of premodern
religiosity, there was a logic to Benedetta’s actions that does not rely on a reading
of her as a skeptical, manipulative fraud. Angelic disguise transformed the
mystic aspirant Benedetta into a forceful seductress, whose tenderness and
ecstatic passion was not rigidly fixed along differently sexed lines. Mea
reported: This Splenditello called her his beloved; . . . [and said]
I assure you that there is no sin in it; and while we did these things he said
many times: give yourself to me with all your heart and soul and then let me do
as I wish.76 Like the facilitating angel in the mystic encounters represented
by Caravaggio and Bernini, Benedetta’s guardian angel was imagined as a
beautiful, curlyhaired youth dressed in gold and white.77 The young angel was
an instrument of persuasion, the abbess a figure of command and intimidation.
Splenditello’s power derived from a patriarchal hierarchy in heaven, but he
sounded like a youth rather than a god. His counterpart in Caravaggio’s
painting does not heterosexualize that encounter; and in Bernini’s ensemble the
young angel eroticizes a spiritual ecstasy that cannot be crudely reduced to
phallic penetration by an adult man. Nor does Splenditello’s presence amidst
the couplings of Benedetta and Mea reduce them to a differently sexed twosome.
There was a third, disembodied protagonist in each of these raptures. The
divine was elemental light in Caravaggio’s painting and Bernini’s sculpture. In
Benedetta’s visions, as in her sex with Mea, the divine was literally
articulated, through voice. Christ or Splenditello was a pivot in a
triangulation of desire in which one of the results was frequent, very real sex
between two women.78 The interpretation of Benedetta’s acts within the
framework of a heterosexualized bride of Christ points to the need to
reconsider in quite what ways Jesus was a spouse. Three kinds of marital
imagery informed the regulation of female religious: liturgical, allegorical,
and mystical. While all nuns were incorporated liturgically and could picture
their souls as allegorical spouses of the heavenlybridegroom, only mystics experienced
additional nuptials. In 1619, Benedetta’s mystic marriage was an overt,
preplanned, public festival, as was her first marriage to Christ in 1599 at the
age of nine, taking the veil, ring, and crown at a ceremony celebrated by a
bishop, though occasionally the celebrant was an abbess.79 In a drawing by an
anonymous German nun around 1500, enthroned Virgin Mary/Ecclesia replaces the
priest (Figure 6.7).80 Strikingly, the figure of Christ, particularly as an
adult, is absent from many such images. When he does appear, as in an
illuminated manuscript of the rule of St. Benedict produced for Venetian nuns,
he can bestow the nuptial crown on two Brides at once.81 Describing the ritual
as one involving “the giving of a woman to a man” and using the term “heavenly
husband” mistakenly suggests a scenario akin to a modern, secular, nuclear
family.82 Analogy should not be confused with actuality. The acculturation
entailed complex, multiple interchanges, evident in the drawing (Figure 6.7).
Its scroll carries the inscription “Take this boy and take care of [i.e.
suckle] me (nutri michi). I will give you your reward.”83 Like a priest
offering the veil, ring, and crown, and then the eucharist, the Virgin begins
to speak, licensing the earthly virgin to embrace the baby. But the infant
takes over, urging the young nun to suckle him and promising her eternal
reward. Her spouse is an infant, not a dominant patriarch, nor an earthly
“husband.” Christ was a communal groom, and a commonly nurtured babe. He was
more visible, and more often adult, in images of the allegorical and mystical
levels of marriage.84 Mystic marriages of saints show the adult, or often
infant, Christ as the pivotal locus of mediation, yet the rhetoric and ritual
of marriage also visually and symbolically bonds two or more female characters Anonymous
German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500.Photo credit: Jeffrey Hamburger.
Used with permissionwho are devoted to God’s son. Catherine of Siena imitated
St. Catherine of Alexandria’s mystic marriage with Christ, and thereafter the
subject of union became popular.85 Female saints, especially the earlier
Catherine, are usually depicted in the act of espousal to an infant Christ
offered by his mother Mary, just as the German nun remembered (Figure 6.7).
Thereby, two holy women engineer a mystical union over the body of a small
child. To say that Christ becomes “the object of exalted maternal instincts
rather than sublimated sexual desire,” however, is to assume that a nurturing
woman’s affection has no component of passion, and that all female desire must
be focused on a male object.86 The child-groom can be shown as a young,
unknowing instrument guided by his mother, as in a painting by Correggio, where
the interplay of hands is particularly sensitive.87 Courtly decorum amongst
adults becomes in Correggio’s visualization an intimate, gentle affair in which
the child is too young to grant seigneurial permission. Held close so that his
body is subsumed in his mother’s, at other times he is a virtual extension of
her body, helping to connect through compositional line and symbolic gesture a
succession of two or more female figures. His small arms and shoulder stand in
for Mary’s left arm in a later painting by Ludovico Carracci, so that his torso
becomes especially symbolic of a presence that almost need not be there.88
Guercino’s painting of 1620 depicts a gentle touch between the two women, and
tender glances link the three characters, but Christ is relegated to the
opposite side.89 Visual management of nuns’ fantasies could imagine them in
very physical, explicit actions. A cycle on the Song of Songs painted in the
mid-fourteenth century on the walls of a nun’s gallery at Chelmno in eastern
Prussia imagined Sponsa eagerly pulling her spouse into her bedchamber.90 It
literalizes the Canticle: “I will seize you and lead you / into the house of my
mother” (8:2). Such pictures made manifest an emotive intensity that the
all-female audience knew they were meant to share with other women.91 In
Northern Europe, the instructional habit of elaborating the amorous interchange
between Christ and the soul produced a sequential narrative version illustrated
in comic-strip fashion, Christus und die minnende Seele (Christ and the loving
soul), written in German in the late fourteenth century, later disseminated in
printed sheets and books.92 The divine lover embraced the soul, wooed her with
music, and crowned her in a ritual reminiscent of a wedding ceremony. She
obeyed Christ’s command to divest herself of worldly garments when he said “If
you wish to serve me, you must be stripped bare.” It is unlikely that Italian
nuns like Benedetta knew this particular text or its imagery, but the practice
of encouraging a religious woman’s fantasy through narrative, whether in
sermons, sung words, wall paintings, prints, books, or paintings, fostered a
widespread, eroticized imagination. The soul’s rapturous reach toward its
divine lover from a supine position on a bed, as represented in the Rothschild
Canticles, was echoed in Bernini’s marble display of Ludovica Albertoni arching
up from a bed where the disarranged sheets are even more telling a sign of the
soul’s ecstasy.93 Within this ideological structure, BenedettaCarlini could
imagine herself as a privileged soul experiencing ecstatic union with the
actual body of Mea. On one of the three occasions when she addressed Mea in
Christ’s voice, “he said he wanted her to be his bride, and he was content that
she give him her hand; and she did this thinking it was Jesus.”94 Even if the abbess
was a manipulative faker, as a crude and cynical reading might have it, Mea
believed the illusion, according to her self-protective testimony. If neither
woman was skeptical at the time of the conversation, then the words and gesture
performed a tangible, if unconventional, enactment of bridal mysticism. Christ
was manifest in a human—and female—body rather than only present to the mind’s
eye, yet the two believers went on with the corporeal pantomime. If one or both
of the earthly players did think that Christ was not speaking, then at least
one of them heard a marriage proposal being offered by one woman to another yet
did not rebuff or denounce it at the time. Benedetta utilized the traditional
metaphors and scenarios of erotic mysticism, but at certain moments she took
the logic beyond doctrinal limits. She only assumed Jesus’ voice during three
conversations with Mea.95 Twice she spoke “before doing these dishonest
things,” first when Jesus took Mea’s hand and suggested marriage. The second
time was in the choir, “holding [Mea’s] hands together and telling her that he
forgave her all her sins.” “The third time it was after [Mea] was disturbed by
these goings on,” and was reassured that there was no sinfulness, and that
Benedetta “while doing these things had no awareness of them.” All three
occasions offered comfort and framed sex, occurring either before or after
their “immodest acts,” but Benedetta did not present herself as a sexually
active Christ. However much bridal mysticism structured Benedetta’s actions,
she never took on the persona of Christ during sex with Mea, instead acting
through an angel when she used any guise at all. Perhaps she is best described
as a mystic playwright, someone who wrote scripts during visionary or ecstatic
experiences but who acted out rather than wrote down the dramas, for an
audience that included not only Mea but also on occasion the other nuns and the
local populace. Plays by nuns were performed by inmates who cross-dressed for
the male roles.96 In 1553 Caterina de’ Ricci played the part of twelve-year-old
Jesus speaking, with “signs of particular love,” lines from the Song of Songs
to a fellow nun who was acting as St. Agnese.97 Taking multiple roles, such as
Christ or angels with a variety of dialects and ages, as well as sponsa and
anima, Benedetta was a consummate performer whose voice and appearance fitted
the occasion.98 The mutual gestures of Benedetta and Mea literally followed the
Song of Songs: “My beloved put forth his hand through the hole / and my belly trembled
at his touch / I rose to open to my beloved / my hands dripped myrrh /
. . . / I opened the bolt of the door to my love” (5:4–6). Mea’s
account of how Benedetta “put her face between the other’s breasts and kissed
them, and wanted always to be thus on her” recalls the Canticle’s enjoyment
too. In the adaptation of the biblical Song in the Rothschild manuscript
compiled for a nun, Sponsus delightsin breasts: “between my breasts he will
abide . . . Behold my beloved speaketh to me: How beautiful are thy
breasts, thy breasts are more beautiful than wine.”99 The phrase “sister my
bride (soror mea sponsa)” was particularly apt. It occurs four times in the
Song (4:9, 10, 12; 5:1), along with “open to me, my sister my friend” (sor mea
amica mea) (5:2). Imitating the soul’s statement in Christus und die minnende
Seele that “I must go completely naked,” Benedetta “stripped naked as a newborn
babe.” Each recalled the Song’s bride: “I have taken off my garment” (5:3). The
sequential narrative of the romance between Christ and the soul also had the
womanly soul say “I cannot read a book unless you are my master” and “I will
tell no-one, love, what I have heard from you,” each lines Mea could have
uttered to her abbess.100 Benedetta spoke another line, taking on the voice of
Christ to offer the symbolic emblem of mystical marriage: “Since you delight
me, love, I set a crown upon you.” She lay on top of Mea, “kissing her as if
she were a man [and] she would stir on top of her so much that both of them
corrupted themselves,” an arrangement, and finale, which bears comparison with
the miraculous levitation experienced by the Capuchin nun Maria Domitilla in
Pavia at the very same time, 1622. She recorded that Christ united his most
blessed head to my unworthy one, his most holy face to mine, his most holy
breast (petto) to mine, his most holy hands to mine, and his most holy feet to
mine, and thus all united to me so very tightly, he took me with him onto the
cross . . . I felt myself totally af lame with the most sweet love of
this most sweet Lord.101 Benedetta’s models, such as the sponsa, the anima, and
Catherine of Siena, were feminine, metaphorical, or legendary, and her mistake
in dogma was to take the symbolic literally. Benedetta acted as though the
material was the spiritual: stripping for Christ or Mea like an obedient and
pleasured soul in the Northern sequential romance; kissing a woman or suckling
at a breast as did certain female mystics or saints; engaging in mutual, manual
penetration of an orifice in line with the Song of Songs; proposing and
performing marriage as though she could take both roles in a mystical drama.
Her sex partner, Mea, was always a female figure, assigned a feminine part.
Benedetta enjoyed repeated sex with a woman, not because that was the only body
available to her, but because their religious beliefs were not predicated upon
some exclusionary, modern notion of heterosexual identity. Through the
vicissitudes of confession and documentary survival, we happen to know that in
the early 1620s two under-educated women in a provincial Tuscan convent took
religiously legitimized and visualized passion to a literal level. Brides of
Christ, nurtured on the notion that their cells were bedchambers for nuptial
union with a shared, metaphorical spouse, became in those very spaces lovers on
an earthly plane. In seventeenth-century Pescia a patriarchal logic led to an
alternative rite of passion. This does not mean that the women’s sexual arousal
was incidentalor insignificant, but that their sensual and spiritual
inspirations were neither entirely insincere nor irreligious. Benedetta Carlini
was a nun, abbess, articulate angel, feminized soul, female mystic, and woman’s
lover.Notes 1 Brown, Immodest Acts, 4; Bell, “Renaissance Sexuality,” with
“virtually unique” on 487, Brown’s response, 503–09, and Bell’s reply, 510–11.
I am grateful to Professor Bell for sharing his microfilms of the documents.
The Italian of two missing frames, his figs. 1 and 2, was partly published in
the Italian edition of Brown’s book, Atti impuri, esp. 184– 86. I will endeavor
to place digital copies of the documents in the Deep Blue repository of the
University of Michigan. Ideas here were first explored in a talk at the
University of Michigan (January 2000). I am grateful for everyone’s attention
in numerous audiences since then, but for conversations I especially thank
Louise Marshall and Vanessa Lyon. 2 Bell, “Renaissance Sexuality,” 501–2,
Brown’s response, Immodest Acts, 507. 3 Partner, “Did Mystics Have Sex?”
296–311; Salih, “When is a Bosom,” 14–32. 4 Brown, Immodest Acts, 127. 5 An
exception is Matter, “Discourses of Desire,” 119–31. 6 Documented cases include
Brucker, ed., The Society of Renaissance Florence, 206–12; Chambers and Pullan,
with Fletcher, eds., Venice. A Documentary History, 204–05, 208. 7 Matter,
“Discourses of Desire”, 122–23: “the nature of Benedetta Carlini’s sexual
encounters with her sister nun is so bizarre as to defy our modern categories
of ‘sexual identity.’” 8 Brown, Immodest Acts, 161–64. 9 Ibid., 110–14, 160–64;
Bell, “Renaissance Sexuality,” 491. 10 Carlini’s imprisonment “in penitence”
ended when she died in August 1661: ibid., 132. Upon Mea’s death in September
1660, the recorder referred to Benedetta’s fraud rather than sexual deeds: when
Benedetta “was engaged in those deceits” Mea “was her companion and was always
with her.” But Mea was not imprisoned: ibid., 135. 11 Jacobson Schutte, “Per
Speculum in Enigmate, 187, 195 n. 11. For another case see Ciammitti, “One
Saint Less.” 12 Brown, Immodest Acts, 7–8, 136; Rosa, “The Nun,” 221; Velasco,
Lesbians in Early Modern Spain, 92. 13 Bell, Holy Anorexia, 70. 14 Barstow,
Witchcraze, 72, and further cases, 139–41. Others include Velasco, Lesbians in
Early Modern Spain, 113–24. 15 Cohen, The Evolution of Women’s Asylums, 92–93,
208–09 n. 65. 16 Bell, “Renaissance Sexuality,” 498. 17 Cervigni, “Immodest
Acts,” 286. 18 Matter, The Voice of My Beloved, 142. 19 Hamburger, The
Rothschild Canticles, 4. 20 Unless otherwise indicated, quotations are from Brown,
Immodest Acts, 117–18, 120– 22, 162–64 passim (with emphases added). 21 Brown,
Immodest Acts, 120; Bell, “Renaissance Sexuality,” 486, 495, 497, 499. 22 Ibid.
23 Ibid., 498 (“le ha voluto baciare le parti pudente”); Brown, Immodest Acts,
120. 24 Ibid., 21–22, 27–28. 25 Collected Works of Erasmus, vol. 39:
Colloquies, 290. 26 Coote, ed., The Penguin Book of Homosexual Verse, 118–21
for this and another example. 27 Schutte, “Per Speculum in Enigmate,” 192. 28
Raymond of Capua, Life of St Catherine of Siena, 91–93. 29 Payer, Sex and the
Penitentials, 43, 61, 99, 102, 138–39, 149–50, 172 n. 136.30 For a female
couple sinning sexually in a Bible Moralisée of c. 1220, see Camille, The
Medieval Art of Love, 138–39, fig. 125. For the 1468 fresco of the Inferno situated
in an upper room of the convent founded by St. Francesca Romana, with a couple
of indeterminate sex, but probably male, lying side by side on the lowest (and
most easily seen) register, see Bartolomei Romagnoli, Santa Francesca Romana,
Pl. 27. 31 Ghirlandaio’s panel is in the Louvre, Pontormo’s remains in
Carmignano. 32 See n. 43 below; Jorgensen, “‘Love Conquers All,’” 102–03. 33
Brown, Immodest Acts Bell, “Renaissance Sexuality,” 502. 34 Brown, Immodest
Acts, 108, 129, 130. 35 Ibid., 163–64. 36 Ibid., 63, 158, with subsequent
quotations from 107, 117, 164. 37 Raymond of Capua, Life of St Catherine,
165–67; Kaftal, St Catherine in Tuscan Painting, 72–77; Bianchi and Giunta,
Iconografia di Santa Caterina da Siena, 112–14 and passim; Maggi, Uttering the
Word, 176 n. 15; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 147, 169;
Brown, Immodest Acts, 63–64. 38 Camille, Medieval Art of Love, 111–19, and
passim, including figs. 19, 55, 80. 39 Brown, Immodest Acts, 163. 40 Payer, Sex
and the Penitentials, 105; McNeill and Gamer, eds., Medieval Handbooks of
Penance, 81, 152. When Ercole d’Este married Renée of France in Paris in June
1528, at the Pax they kissed each other: Gardner, The King of Court Poets, 194.
41 The quotation is from Rosa, “Nun,” 222. A detail of embracing Dominican
women from the panel in Siena’s Pinacoteca appears on the cover of Brown’s
book. 42 Walker Bynum, Holy Feast and Holy Fast, 101, 126, 131–32, 157, 165–80,
270–73, and passim. 43 Brown, Immodest Acts, 26, 41. 44 Raymond of Capua, Life
of St Catherine, 141, 147–48 (hereafter quoted from 148). 45 Marciari and
Boorsch, Francesco Vanni, 118–27. 46 Raymond of Capua, Life of St Catherine,
179. 47 Ibid., 170–71. 48 Steinberg, The Sexuality of Christ. 49 Hamburger, The
Visual and the Visionary, 390. 50 Walker Bynum, Jesus as Mother; Rambuss,
Closet Devotions. 51 St. Catherine de’ Ricci, Selected Letters, 39 (no. 47).
Subsequent quotations come from Letters 19, 46. 52 For the frescoes by Sodoma
and an earlier one by Andrea Vanni in the same church see Riedl and Seidel, Die
Kirchen von Siena, II, pt. 2, pls. VII, 596, 627–28 (and pl. 276 for Rutilio
Manetti’s canvas of 1630). 53 Brown, Immodest Acts, 41. 54 Frugoni, “Female
Mystics, Visions, and Iconography,” 139. 55 Brown, Immodest Acts, 163, a
translation here adjusted according to the cropped photograph of the passage in
Bell, “Renaissance Sexuality,” 501 (fig. 2), because Brown conflates the
information on Splenditello and on another angel Radicello (a fanciullo) aged
eight or nine. The common misperception is thus that Splenditello was a boy. 56
Gregori, “Caravaggio Today,” no. 68. 57 Teresa of Ávila, The Life of Saint
Teresa of Ávila, 210 (ch. 29). 58 Bauer, ed., Bernini in Perspective, 53. 59
Hamburger, Rothschild Canticles, 165–66; Hamburger, Visual and the Visionary,
147. 60 Ciammitti, “One Saint Less,” 149. 61 Ibid., 150–52, fig. 3. 62 Bianchi
and Giunta, Iconografia, nos. 43, 438, p. 126. 63 Raymond of Capua, Life of St
Catherine, 131, 133. 64 Ibid., 108–09. During her visionary union with God, the
medieval mystic Hadewijch noted that God “lost that manly beauty” so that he
dissolved and “then it was to me as if we were one without difference”: Bynum,
Holy Feast, 156. 65 Gardner, Dukes and Poets in Ferrara, 366–81, 401–05, 431-32,
464–67, 562.The “lesbian nun” Benedetta Carlini66 Weinstein and Bell, Saints
and Society, 141–42, 220–38; Bell, Holy Anorexia, 151, 170–71. Raymond of
Capua, Life of St Catherine, 100, 175–6. Brown, Immodest Acts, 160. Bell,
“Renaissance Sexuality,” 493. Rosa, “Nun,” 201–02. Bell, Holy Anorexia, with
other cases passim; Tibbetts Schulenburg, “The Heroics of Virginity,” 29–72.
Brown, Immodest Acts, 159. Maggi, Uttering the Word, 34 (my emphasis). On
Catherine of Bologna see Wood, Women, Art and Spirituality. Weyer, De praestiis
daemonum, 184–85. Brown, Immodest Acts, 163; Bell, “Renaissance Sexuality,”
fig. 2. Brown, Immodest Acts, 64–65, 122. On erotic triangulation, see the
classic study Kosofsky Sedgwick, Between Men, esp. Ch. 1. Hamburger, Nuns as
Artists, 56–61, 240 nn. 125–26; Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” esp.
43; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 168, 172. Hamburger,
Nuns as Artists, Pl. 7. Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” fig. 3. The
phrases are in ibid., which often uses “heavenly husband” and has the other
phrase on 44. But at 56ff she points out how often Christ is absent from
images, although the essay’s point is to suggest parallels between the secular
and religious ceremonies. Hamburger, Nuns as Artists, 56–58. Vandenbroeck, et
al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 148, 178 and fig. 106a; Hamburger,
Rothschild Canticles, 113–15. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 99–101,
explicitly noting the antecedent with “another Catherine, a martyr and queen.”
Hamburger, Nuns as Artists, 57, 239 n. 118. Ekserdjian, Correggio, 137–38.
Emiliani and Feigenbaum, Ludovico Carracci, no. 1. In Parmigianino’s red chalk
drawing of the subject for an altarpiece, c. 1523–24, the Child does not appear
at all: Franklin, The Art of Parmigianino, 104–06. Stone, Guercino, 84 n. 62.
Hamburger, Rothschild Canticles, 85–87, fig. 156 (and see fig. 159); Hamburger,
Visual and the Visionary, 409–10, fig. 8.5. Wood, Women, Art and Spirituality,
128ff, 252 n. 31, 253 n. 37. Gebauer, “Christus und Die Minnende Seele. Both
nuns and secular women were readers. Hamburger, Rothschild Canticles, 106–10,
155–62, f. 66r (Pl. 7); Perlove, Bernini and the Idealization. Bernini’s
motives included wanting to atone for his brother Luigi sodomizing a boy in St.
Peter’s (13–14). Brown, Immodest Acts, Weaver, “Spiritual Fun,” 177, 181–83.
Trexler, Public Life in Renaissance Florence, 194–96. Splenditello spoke in
three dialects: Brown, Immodest Acts, 160. Hamburger, Rothschild Canticles, 82,
179, cf. Song of Songs Kunzle, History of the Comic Strip, vol. 1, 23. Brown,
Immodest Acts, 162; Matter, “Interior Maps,” 64–65.Bibliography Barstow, Anne.
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Thomas V. CohenLet us take two tawdry events, male affronts to women, with
social history’s eye to assets, both cultural and material, and to the subtle
exchanges that bound men to men, women to women, and one gender to the other.
This is social history in nearly-literary mode, keen to read texts closely. We
have text of two kinds—first the words on paper provided by a small tangle of
criminal trials. If not the actual words spoken before and by the court or in
the streets, taverns, and brothels, still these records do come close. The
conventions and imperatives of the court itself, and the imperfect scribal hand
have, as always, refracted actual speech, but the Roman-legal habits of
verbatim transcription still offer material for close, thoughtful reading.
Second comes the fabric of the city itself, for our scoundrel and his allies
prowled and enjoyed their small corner of Rome, with its streets, squares, and
assorted monuments, an urban backdrop and firm anchorage for memories. The
urbanscape, so prominent both in what happened and in the telling, in itself
invites a reading no less close than the one we accord words on paper. So,
before turning to the deeds, note the spaces where they took place. We are in
Rome’s Rione Regola, or Arenula, a zone sometimes little changed from the 1550s
and 1560s of our stories. Nevertheless, the urbanism of first united Italy and
then the Duce made drastic alterations. In the later 1880s, the wide Via
Arenula ripped inwards from the Tiber, obliterating a web of streets and
squares, and demolishing the church and convent of Santa Anna, right under the
grand 1890 apartment where I once lived and wrote. The church survives only in
the names of Via Santa Anna, and of a pleasant trattoria whose menu depicts my
own abode. A second nineteenth-century destruction obliterated the ghetto,
replacing it with a grand synagogue and some lumpish buildings. And then, under
Mussolini, nostalgia for the Caesars erased the medieval fabric around the fish
market at Pescheria, reducing tight neighborhoods to sterile archeology.So, to
trace our scoundrel and his entourage, we must fall back on the old maps,
especially the splendidly accurate Nolli Plan of 1747, and read street plans,
the surviving urban fabric, and words in court, together. The Nolli plan shows
how, from 1555, once the ghetto gates went up, a street our witnesses call the
strada dritta became crucial for mobility, especially at night. It is hard today
to recapture that very ancient urban street, today the Via del Portico
d’Ottavia. Down by the old ghetto, it is now so wide that restaurants sprawl
into it to hawk carciofi alla giudia, and, on their Sabbath, Rome’s Jews gather
after services for a great chiacchiera —communal conversation. Further north,
Via Arenula and the unkempt park in Piazza Cairoli, and a vague piazza before
the baroque facade of San Carlo, have all smudged the profile of this street,
which, in the sixteenth century, was no less tight than straight. Moreover, it
was handy, skirting the ghetto to link the fishmongers’ square at Pescheria to
Piazza Giudia. It then passed the palace of the Santa Croce, Renaissance in
spirit but, like Palazzo Venezia, still half-medieval in shape, with an
ornamental square tower today lopped short. The Santa Croce, banished by Sixtus
IV, had lost their houses; readmitted, they threw up this palace, with its
elegant diamond-studding on the wall. As the Nolli map shows, heading
northwest, the street, at a bivio (a fork), slotted into Via Giubbonari, a
curving passage today still narrow. Joseph Connors, in his “Baroque Urbanism,”
discusses the extremely ancient streets of this part of Rome, pointing out how
they wander eastwards from the bridge from Hadrian’s Tomb, now Castel
Sant’Angelo, forking as they go.1 The Renaissance papacy used these roads
often, as a way to San Giovanni in Laterano and across Rome, and palaces of the
early Renaissance clustered along them. For our nocturnal misdeeds, the wide
network mattered little, but the local Strada Dritta bore much social traffic.
Our louche central character straddled lines—moral, social, sexual, and
religious. A liminal man, he was and is hard to place, and his actions,
crossing boundaries ethical and social, remind us not to put Rome and Romans
into boxes. His name reveals his hybrid nature—Ludovico Santa Croce. At first
glance, nothing strange there, but, as genealogies show, the civic noble Santa
Croce, descending, they believe, from Publius Valerius Publicola, anti-Tarquin
and one of Rome’s first consuls, in the sixteenth century named their children
almost exclusively from Livy, Sallust, and Tacitus: not a Ludovico in sight.
Moreover, law courts called him “the son of the late Giovanni Antonio de Franchi”
so, if he was a Santa Croce, the noble house somehow adopted him.2 A friend,
aware of this f limsy identity, says of him, “The said Messer Ludovico si fa
romano de casa de Santa Croce et per romano il tengo.”3 Close reading: the
friend does not call him a Santa Croce: just “si fa”—“he claims to be”; the
friend readily affirms his Roman identity but, as to family, balks. But
Ludovico, clearly, grew up some at the family’s palace. A friend recalls: “I
have known him for more than twelve years in Rome and I knew him when he was a
lad [ putto] here at the Santa Croce [qui alli Santa Croce].”4 Magrino, the
witness, a very recent Jewish convert (Feast of the Annunciation, 1556),
testifies not at the prison as is usual, but at home, asIn bed with Ludovico
Santa Croce 127he is sick, and with his “here at the Santa Croce” shows how,
now fatto christiano, he has moved a mere block or so beyond the ghetto gate at
Piazza Giudia to lodgings near the Santa Croce palace. Ludovico is sufficiently
Santa Croce that, back in Carnevale of 1557, a noble Santa Croce helped bail
him out of prison.5 But he is no signore; his cronies call him messer instead.
This title f lags both his status and its ambiguity. In 1557, at his first
trial here, Santa Croce is “about twenty-six, as he asserts.”6 If so, then
either his friend Magrino knew him longer than twelve years or, back then, age
fourteen, he had become a fairly lanky putto. He was born in 1531 or so. By
1565, at the second trial, he would be thirty-four. No sign of a marriage. His loves,
we will see, were all casual, among the whores. No sign, either, of a craft,
trade, or civic office. He probably still lived at the palace as, for sex, he
took his hireling women to the bathhouse (stufa) or bunked down with them at
friends’ and seldom, if ever, took them home. So how did he pass the days? He
hung out at the Pescheria, the fish market at one end of the Strada Dritta. And
the company he kept: fishmongers, Jews, and recent converts. Plus prostitutes.
He ate, drank, caroused, and got into abundant trouble. In 1565 the court asks
for his criminal record: I have been in prison three or four times, here in Tor
di Nona and in Corte Savelli. I don’t remember why. And his lordship asked him
that he at least tell for what crimes and excesses he was investigated and
tried. He answered: I cannot remember things that are fifteen or sixteen years
old, but I know well that I have not been under investigation either for
homicides or for ugly things [cose brutte]. It is true that I remember that I was
in jail in Corte Savelli for having had a brawl with another gentilhomo, and
for it I paid ten scudi to Messer Pietro Bello.7 Here, Ludovico is as evasive
as his memory is fuzzy; cose brutte indeed came up in court. The court asks
after a jailbreak.8 The fight was probably in Carnevale, 1557, when Pietro
Bello was a judge on staff.9 In June, 1563, Ludovico was wounded in a brawl
where he, a reluctant fighter, stabbed a spice-trader in the chest.10 In a
trial of another unruly gentleman, the court asks the suspect’s serving woman
if her master ever wanted to kill our Ludovico. “I don’t know,” she says, “but
know that the said Ludovico was wounded once and that [my master] Pietro de
Fabii rejoiced.”11 So Ludovico is a man on many margins. A self-proclaimed gentilhomo,
he haunts the edge of his foster-family, in a neighborhood strung between Jews
and Christians, and his socializing crosses boundaries of station, ethnicity,
family, community, and moral action. So let’s join him for the evening. We
begin not along the Strada Dritta, but atop Piazza Navona, by Torre Sanguigna
and the Pace church, with two Christians, doublet-makers both. It was before
Christmas, 1556.12 Antonio Scapuccio and Mario di Simone came offwork at the
Ave Maria sunset bell. Mario, aged twenty, lived across town, by Santissimi
Apostoli. With Antonio he went back three years, from their work.13 As for
Ludovico, Antonio had known him since childhood: “at the time I and he were
lads, we had a close friendship.”14 Antonio, via Ludovico, knew that Fabritio,
another convert, kept a house where friends gathered. “Antonio brought me to
the house of Fabritio, Jew-made-Christian, who sells ironware.”15 When the
doublet-makers arrived, Ludovico was there, with Magrino, and one Giulio
Matuccio, and the host, Fabritio.16 So began their evening. “We all decided, in
agreement, to go find a Signora called Vienna Venetiana, friend of the
aforesaid Giulio Matuccio.”17 Mario adds: And when we were at Vienna’s
house—she lived at Torre Sanguigna— Antonio Scapuccio knocked on the door, and
the mother, if I remember, said that she had hurt her arm and could not keep us
company, and that we should let her off.18 Torre Sanguigna was far from
Ludovico’s haunts. “We left and went to a pie-shop, also near Torre Sanguigna,
and got ourselves a pasticcio. And I don’t remember which of us paid for it.”19
Magrino, a convert, adds that the pie contained a shoulder of pork.20 Ludovico
stepped in, announcing as they walked: let’s fetch my whore!21 So entered
Betta, a cortigiana grande, says Mario, meaning not a top-rank prostitute, but,
as Magrino says disparagingly, a big tall woman—“una donna grande longaccia.”22
Betta lived near the stufa of Felice, near the Cavaglieri family palace, two
blocks north of the strada dritta.23 As the five trailed after him, Ludovico
vaunted his sex with her: And Ludovico said it again, while he was going with
us for that woman, and he was heading to knock on her door . . . that
last night he had slept with this woman, and he said that she had a fine ass
and that it gripped firmly.24 At Betta’s lodgings, the men remained outside.
Ludovico called or knocked and the prostitute came down, and, oddly, if she
really had slept with him the night before, in error she embraced the wrong
man, as if Ludovico, though a gentilhuomo, was hard to tell from the company he
kept.25 “And we asked her if she wanted to come to dinner with us, showing her
the pasticcio, and she said yes, and came away. And going down the street
Messer Ludovico and she went arm in arm.”26 The passage illustrates handsomely
some workings of Roman prostitution. Note how complex were the exchanges
between these women and their customers. Roman prostitution was seldom simple
sex for plain cash. Like many transactions in the economia barocca, it had wide
bandwidth and complex linkages forward, backward, and across society.27 Betta
here accepted a promise of food and entertainment, and furnished public
gestures of affection, a gift to Ludovico, who could f launt her to posse and
to street.In bed with Ludovico Santa Croce 129The party, with Betta making
seven, retired to Ludovico’s hang-out, the inn at Pescheria, called after its
owner Domenidio.28 It was some hour after nightfall.29 “All of us, in company,
went to dinner at the aforesaid inn, and we brought with us a pasticcio, and we
ate.”30 To this osteria, patrons readily brought food. After dinner, the whole
group went to spend the night at Fabritio’s dwelling, near Ludovico’s own
house, where Ludovico, other times that winter, sometimes brought women: “in
the time that he was made Christian . . . he lent me the room.”31 On
the way, the men say, Ludovico again boasted of anal sex with Betta.32 The room
had but a single bed; Fabritio, leaving the bed to his gentleman guest,
hospitably withdrew to a little attic, a solarello —“no great thing”—and
slept.33 Magrino “gave the command to fetch from home a mattress, which we
threw on the f loor.”34 Ludovico and Betta undressed at once and slipped under
the covers.35 There was a bed curtain. It would have had many colors, and it
was mine [Magrino’s]. And to a question he answered: It was not spread around
the bed but gathered to one side.36 Ludovico, in his account, avers that the
curtain was draped around the bed. 37 While Magrino settled somehow on a chair,
clothed, to spend the night, the two doublet-makers and Giulio huddled on the
mattress. Ludovico, meanwhile, lay snugly in one convert’s bed and another
convert’s hangings, in a convert’s house. “Before the light was put out we were
all joking and chatting, and Messer Ludovico told us please to put out the
light.”38 And then, as men settled for the night, Ludovico thrust his arm out
from the covers, making a letter “O” with his index and middle finger.39 Lest
he shame Betta he said nothing, Antonio avers, but Mario claims he boasted
loudly.40 Mirth erupted. Everybody laughed at that and said to one another, “He
has fucked her in the ass. Fire! Fire!”41 The stake, of course. And slim regard
for Betta! What is going on here? The social psychology of this scene is
tangled. We have three Christian artisans, two ex-Jews on the f luid boundary
of the ghetto, and one semi-gentleman half outside his noble family, a troop
cemented, perhaps, by Ludovico’s leadership, occasional largess, and arrant
breach of sexual and moral rules. All six men share in Betta’s humiliation.
Ludovico parades his transgression and the risks he runs and, laughing, the
cronies applaud and, vicariously, thrill to his vulnerability. Collusion
cements this solidarity. Ludovico and Betta were the first to fall asleep.42
Much later, say the others, invited by Ludovico to join them in the bed,
Magrino left the chair, climbing in still clothed, and fell asleep.43And then
awoke, jostled by the bounce of sex. I could feel it when he was screwing her,
and she had her bottom towards Ludovico and she was turned with her face toward
me. And it was one time that I felt it, and I did not see him stick it in
because it was no affair of mine. I know well that he was screwing her, and he
was shoving her towards me, so that it made me wake up.44 Magrino is
remembering events before Christmas, almost nine months earlier. The trial took
place in August, 1557, first at the Inquisition, at the Ripetta. Halfway
through, interrogations moved to the prisons of the Governor of Rome. That is
why this record survives. Precisely two years later, when Paul IV died, Rome’s
most tumultuous Vacant See broke out. Mobs attacked the Inquisition’s Ripetta
offices, burning the papers, and ransacked the house of the tribunal’s notary.45
Later, Napoleon’s supporters would destroy the Inquisition’s later trials, so a
transcript such as this is rare indeed. Both at Ripetta and later, this trial
has a Holy Office feel; the magistrates treated the courtroom as a
confessional, sparing neither shame nor feelings with their swift, intrusive
questions. Why did the matter slip to the criminal court? The crime in
question, though moral and involving converts, revealed no taint of heresy.
Prostitution in mixed company was no crime and the court was after anal
intercourse. He was asked if on that night he the witness heard the said Betta
moaning and crying out, because the said Messer Ludovico was having intercourse
and fucking her [ futuebat] from the back. He answered: “I could hear it when
she was screwed the first time by Messer Ludovico. She was crying out [si
lamentava]. But one can cry out for several things.” And to a question of me
the notary he said: “She can cry out the way women do.” And I the notary asked,
“And how do women do?” He said, “They can cry out because it pleases them and
they can cry out because it hurts them too. But, one time, as I said, I felt it
when he screwed her.”46 When the Inquisition hauled her in, Betta did her all
to prove it wasn’t so. Her testimony about what went on in bed surely did her
little good, as, on point after point, she lied elsewhere about her history
with Ludovico, shown as far skimpier than others alleged. Her testimony, earthy
and vehement, catches well a prostitute’s voice in court. He never did it to me
in that place. It is true that Messer Ludovico told me to turn around, that he
wanted to do it cunt-backwards [a potta retro], and I told him, “You want to
trick me. You want to stick it in contrary-wise.” And he said no, that he
wanted to do it cunt-backwards, and so I turned around and he did it to me
cunt-backwards. I know where he went in, and if he was fooled, I was not
fooled.47In bed with Ludovico Santa Croce 131Betta appears twice in the record.
The first time, to cover for the weakness of her case, she regales the judge
with promises to live in virtue. If I had consented to the other way, it would
seem to me that God would not keep me on earth. And if I have done wrong in one
way, I don’t want to do wrong in the other. And if I get out of this I want to
go to Santa Maria di Loreto, and then to my home to do good works, and I want
to go this September. And if he wants to say that he did it to me from behind
against Nature, he is lying through his throat, and he is tricked, and, me, I
am not tricked, because I protect myself from this the way I do from fire.48
The next morning, Betta, Ludovico, and most of the posse stayed. (Mario,
sleeping clothed, had slipped off early to his shop.)49 At breakfast, the
boasts went on: She never heard a word when Messer Ludovico told us that he had
twice screwed Betta in the ass, but he said it at length to us. He was asked if
the said Betta was at the table eating with them, how could Ludovico have said
those words, since they could be heard by Betta. He answered: I will tell you.
We were kidding Ludovico . . . and when he said it at the table she
had not yet sat down.50 As current events show sadly, Renaissance Italy was
hardly the only place where, for some admirers, the swaggering abuse of women
gives callous men allure. Jump eight years ahead. It was 1565, not 1557, and
Ludovico was now some thirty-four years old. Still unmarried, still at loose
ends, he haunted the same tight quarter, up to little good. He had a new
entourage; none of the same men turn up. At the center, as ever, sat that
osteria of Domenidio, in Pesheria. His cronies were, this time, two or three
fishmongers and one Cesare Vallati, son of the civic noble family that owned a
palace on the square, facing its ghetto gate. The Vallati house still stands,
pared back to its medieval core, which now bears sad plaques about Roman Jewish
deaths at Nazi hands. Cesare was gentleman enough to hold, they said, a civic
office.51 On Friday, November 23, the friends stirred up dinner at the inn.
Meo, fishmonger, says: Ludovico Santa Croce came to me, as I was in Pescheria.
It may have been a half-hour after dark, and he asked me if we wanted to go to
dinner together at the osteria of Domenidio. I said yes and so I picked up some
fish, and along with Grillo and Ludovico we went to the osteria of Domenidio,
and while we were setting up to eat Cesare arrived and said, “I want to eat
with you,” and so he too sat at the table and we were four in all.52Meo reports
that, when he left his fish-bench, he brought sardines, while Grillo fetched
clams.53 In the midst of dinner, “a Jew”—nobody names him, ever— joined the
group; no sign he ate with them.54 After dinner, except Grillo, all left
together. “Let’s go to the house of my whore,” said Ludovico. “We said, ‘let’s
go!’ and Cesare said, ‘I want to join you.’”55 The court asks later, did Cesare
and Ludovico go with sword in hand?56 Probably. The men took the strada dritta,
the ghetto to their left, the Santa Croce tower to the right, over to Il
Crocefisso, behind or under where the big church of San Carlo later stood.57
Ludovico’s woman of the month was Olimpia, who, it turned out, was off with an
amico, a regular of hers, who, she says, felt ill, so she headed homeward with
a Lorenzo stufarolo in tow.58 But when Ludovico and his cronies arrived, only
the house’s mistress, Lucretia, was yet home. Olimpia calls Lucretia the house
padrona; in court, Ludovico will call her a whore, whom he has known for years,
presumably hooking up with tenant after tenant.59 At Olimpia’s front door, the
four men, masking voices and pretending to speak Spanish, shouted, “Open up the
door!” Lucretia: “They banged six or seven times, for I was not of a mind to
open, ever.”60 At last I went to the window and told them that I did not want
to open for them under any circumstances, and told them to change their talk
because no way could I not recognize them. I knew them just fine, but, with my
tenant not home, and because, I knew, they wanted nothing of me, I had no
intention of opening for them. Instead, I said, I would throw water on their
heads if they did not get away from the door.61 The four men loped east to Via
dei Chiavari, still in Lucretia’s sight.62 There they encountered a second
Lucretia. Wife of wealthy Cyntho Perusco, and mother of two children, she was
returning with a servant—but with no light, lest she be seen and
recognized—from a call on her procurator.63 Two men armed with swords and
daggers, with their swords under their arms and the daggers in hand unsheathed,
came at us and at once they stopped me and one of them put his hand to my neck,
feeling my neck, thinking that perhaps I had some chain necklace or string of
gems.64 And I said to them, “I am a poor woman. What do you want of me?” And I
was screaming, “Thieves thieves!” When they heard that, they let go of me.65
Giovanni Maria, the servant, thought he recognized one of the four assailants:
“Ah Meo, why are you doing this to us?”66 Meo at once hid his face behind his
cape.67 Giovanni Maria’s assailants, Meo and the Jew, grabbed him. “They were
holding on to me and they told me to keep silent, and they held the naked
daggers to my neck.”68 The assailants released their quarry, only brief ly.
Lucretia will tell the Governor: “When we had walked three or four paces, the
same men,In bed with Ludovico Santa Croce 133with some others, made a circle
around me and some of them grabbed me from one side and some from the other,
putting their daggers to my throat.”69 Giovanni Maria tells the Governor: “they
began punch me and shove me and they threw me to the ground.” 70 Adds Lucretia:
And they took from him a pouch. In it were ten giulios, between testoni coins
and giulio coins, and a gold ring that was mine, with a Jesus on the top, and
on the bottom, there is a “claw of the great beast” [a fabled stone with
curative powers], which was also in that pouch, and they took from it also the
belt and a handkerchief. The ring contains 18 giulii of gold.71 Giovanni Maria
adds that the pouch had been tied to his waist and that Lucretia had removed her
ring to wash her hands.72 One of the band of four, almost certainly Cesare
Vallati, as Ludovico was by now no youngster, may have had second thoughts:
When this [theft] was done one of those youngsters took me by the hand and told
me, “Come here. I promise you as a gentleman that I will not hurt you.” And he
asked me, who was that woman. And I told him that she was not for them, and
that they should let her go, and that she was the wife of Messer Cynthio
Perusco.73 Ludovico had other ideas. One of the two underlings, probably not
the Jew but Meo, asked him “Messer, what are we to do?” “Carry her off, carry
her off!” 74 And they tried with all their might to lead me to a house, for
they took me by force and they dragged me . . . But I cried out,
“Thieves! Thieves! Is this how you assassinate people in the street!” And I
told them that I had nothing on me and that they should come to my house, that
was near there.75 The assailants hauled Lucretia into an alley.76 Lucretia was
convinced that they wanted to drag her to a stufa, a bath house of the sort
Ludovico haunted. As they pulled her, Lucretia fell in the mud, losing her
pianelle, her clogs. “She told them that her clogs had fallen off, and they
told her to keep walking, and they were making her walk up that alley, leading
her, as there were three or four around her.” 77 And then, providentially, down
the alley came two men, in front a servant with a torch, and, behind him, his
master, Agostino Palloni, a man of substance whose house stood close to the Santa
Croce palace.78 And when the light arrived, I recognized the gentleman, and I
begged him for the love of God to help me. And while I was saying those words,
one of those young men, who had dragged me, as he thought that the light was
not coming from that side and that he would not be seen—Messer Agostino
recognized one of those young men, who is called Cesare Romano.And at that
Messer Agostino said, “Ah Cesare, what are you doing [che fai]. What is this!
Do you see that you [tu] are doing wrong?79 Turning towards Agostino, says
Giovanni Maria, Lucretia tripped on an iron grate and once more fell and then,
as supplicant, grasped his cape: “Ah, Messer Agostino, don’t abandon me
. . .!”80 Agostino, Lucretia, and Cesare then stood together, a threesome.
First off, Cesare, to catch his social balance, tried to place Lucretia as a
Roman matron. Then Agostino did the same. Giovanni Maria tells the Governor:
The man whom Agostino had called Cesare asked Madonna Lucretia if she knew
Cyntho Perusco. She said, “Yes, I know him, and I have two children with him,
and he is my husband.” And Messer Agostino asked Madonna Lucretia if she knew
Messer Francesco Calvi, and she said yes, and if he came to her house with her
she would show him her daughter.81 Gentleman to gentleman! Cesare Vallati, in
night’s shadow, had strayed well outside his class’s code of conduct, and
Agostino’s torch jolted him back from the abyss. He switched codes as nimbly as
he could. Then Messer Agostino turned to Cesare and told him, “Cesare, son, you
have done wrong.” And then Cesare told Messer Agostino to leave, and said that
he would have Madonna Lucretia escorted by a servant of his.82 No such thing
happened, of course. After questions to Lucretia about how she came to be out
after dark, Agostino, with his torch and serving man, conveyed them both back
home.83 At her window, the other Lucretia, the madam, had seen and heard the
fracas. Outraged, woman to woman, she strove to allay the trouble. I heard a
woman who was starting to scream, and when I looked toward where I heard that
cry, I looked and saw a woman with a man, and she was screaming, “What do you
want with me, brothers, pull the door rope for me, pull the door rope for me!”
and when I heard those words, I feared it might be some neighbor, and I knocked
on the window of Diana and told her, “Listen to your sister who is screaming,”
and she answered, “My sister is here at home.”84 While Cesare and Agostino
parleyed, the other three miscreants probably crept away, and soon, all four
were back at Olimpia’s door. This time they had luck, as Olimpia turned up,
with Lorenzo her bathhouse worker, and his lute. “I came back home and I found
Ludovico Santa Croce there at my door, along with Meo the fishmonger and with
two others whom I did not know, but there was aIn bed with Ludovico Santa Croce
135Jew.”85 Lucretia opened for Olimpia and, willy-nilly, in came all the
others, with Ludovico, as usual, in the lead.86 Note Lucretia’s version: At
that moment, my tenant called Olimpia arrived, along with an amico called
Lorenzo the bathhouse worker, who played the lute, and I had to pull the rope,
and then there came in, along with my tenant, Ludovico Santa Croce, Meo, Cesare
Vallati, and a Jew.87 We learn from Olimpia several things. For one, the Jew
was a stranger, known only, presumably, by his obligatory Jew’s cap. For
another, Cesare Vallati had rejoined the crew. And, for a third, while she knew
Meo, Vallati, a stranger to her if not to the madam, was less central to
Ludovico’s habitual posse. Neither he nor the Jew had been part of the dinner’s
start; though locals, they were hangers-on. When the men entered, Lucretia, the
madam, upbraided them. “And when they were up the stairs, I said to them, ‘Oh
this is a fine state of affairs! Poor women cannot go in the street.’ And they
told me that they weren’t the ones who did it.”88 Lorenzo, with the lute, would
prove Ludovico’s undoing. The men all stayed a while in Olimpia’s room,
listening to him play. And then Ludovico led Olimpia off to the Santa Anna stufa
to spend the night. The other three escorted him down the block, then went
their separate ways.89 We catch a bit of the denouement via Barbara, Meo’s
ex-puttana, who, she tells the court, had after three years broken with him
because he owed her big money on borrowed goods. Barbara had moved to Monte
Savelli, just a block down-river from Pescheria.90 I went to bed without dinner
because I felt ill, and while I was in bed with Annibale the fish-monger I
heard passing in the street Cesare Vallati with other people whom I did not
see, and he said, “Your faithful servant, Signora Barbara, my heart!” I made no
answer.91 Annibale and Barbara went back, she says, three years; she swam as
easily among the fishmongers as a mackerel in the sea. But Cesare Vallati,
clearly, slipped through these same waters; in the intimate spaces of the city,
these men and women moved up and down class lines. Annibale, when asked, would
tell Madonna Lucretia what he knew about the crime. Small world!92 The very
next day, Madonna Lucretia sent her servant to scout the local bathhouses.
Lorenzo, the fellow with the lute, a paesano, led Giovanni Maria to Ludovico
and Meo, who would be arrested on Monday, together.93 At Olimpia’s, the four
men, said Lorenzo, had been “in a terrible mood and all of them distressed.”94
Agostino Palloni, meanwhile, refused to help Lucretia—“he sent word to me
through Cynthio that it wasn’t a gentleman’s role to accuse anybody, and that
was it was enough that I had suffered no harm.”95 Citing class solidarityhe
covered for Cesare Vallati, who either f led or ducked prosecution. The Jew,
luckily nameless, got away. We have neither a sentence nor knowledge what our
four villains did with the rest of their lives. Our story of status slippage
and hasty re-calibration, coarse male solidarity, callous abuse of women, and
female resilience models a careful reading of words, places, and actions, with
an eye to the density of webs and the fine-grained texture of lives in time and
space, to lay out the ref lexes with which Romans navigated their city.
Ludovico, uneasily perched on several margins, could build coalitions, trading
his noble connections, hospitality, slovenly rapaciousness, and access to paid
female sex and company for male support and applause. To Cesare he offered a
pathway down, to the others perhaps a step upwards. These male solidarities in
a moral grey zone show the porosity of Rome’s social boundaries and its alliances’
often easy give.Notes 1 Connors, “Alliance and Enmity,” 208–09. 2 Archivio di
Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale, Processi (16o secolo), busta
38, case 23, folio 568r: “Ludovicus de S. Cruce filius q. Io. Ant. d.
Franchis.” Henceforth, I give busta and folio only. 3 38.23, 559v: Antonio
Scapuccio, August 15, 1557, to a notary at the Holy Office. 4 38.23, 573r,
Magrino, August 26, 1557, at home sick, to a notary. 5 38.23, 579v: Ludovico
cites Valerio Santa Croce and noble Mario Mellino. For Magrino’s conversion at
the Annunciation in 1555: 38.23, 573r, Magrino. 6 38.23, 568r. 7 Busta 103,
909r: Ludovico Santa Croce: “. . . costione con un altro gentil’homo
. . .” 8 103, 909v: “fregit carceres et unde exivit.” 9 38.23, 572v:
“questo carnevale [1557] . . . messer Ludovico uscii di pregione in
Corte Savella.” 10 Investigazioni 80, 181v–183v, for 23–24, from June, 1563. 11
38.19, 461v: “. . . se ne reallegrava.” 12 38.23, 577v: Betta:
“. . . avanti natale.” 13 38.23, 562v-563r: for age and employment;
for the friendship and the workplace: 38.23, 562v–563r. 14 38.23, 559v:
“eravamo regazi havevamo amicitia intrinseca insieme.” 15 38.23, 562v: Mario:
“Fabritio giudio fatto Cristiano che venne li ferri.” 16 We know little about
Giulio, never interrogated. Ludovico seems to place him among the converts:
38.23, 570r–v: “Vi pratica in questa casa Julio Mattuzzo, Fabritio doi o tre
altri giudei facti christiani . . . de continuo li se ce vengono
giudei et d’ogni sorte de generatione.” But no other witness calls Giulio a
convert. 17 38.23, 563r–v: Mario. 18 38.23, 563v: Mario: “. . . lei o
la madre . . . disse che era ferita in uno braccio et che non posseva
abadarci et che lavessemo per scusata.” 19 Ibid.: Mario: “. . . a un
pasticciero pur presso Torre Sanguigna et pigliassemo un pasticcio
. . .” 20 38.23, 574r: “comprassemo una spalla de porco.” 21 38.23,
564r: Mario: “. . . disse per la strada che voleva pigliar detta
cortigiana.” 22 38.23, 573v. 23 38.23, 563v: Mario: “apresso la stufa de Felice
presso li Cavalieri.” 24 28.23, 561r: Antonio Scapuccio: “. . . ando
con noi per dicta donna et voleva bussare la porta . . . che haveva
bravo culo et teneva bene.”In bed with Ludovico Santa Croce 13725 38.23, 574:
Magrino, for Ludovico’s call: “Messer Ludovico chiamandola . . .”;
38.23, 564r: Mario: “credendosi di abracciar messer Ludovico abraccio un altro
in loco suo in cambio.” 26 38.23, 564r: Mario: “Mostrandoli il pasticcio et per
la strada messer Ludovico et liei andavano abracciati insieme.” 27 Ago,
Economia barocca. 28 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “l’ostaria de Domenidio in
Piscaria.” 38.23, 574r: for the name’s origin. 29 38.23, 564r: Mario, for the
time. 30 38.23, 560r: Antonio di Scapuccio: “tutti de compagnia . . .
portassimo . . . un pasticcio . . .” 31 38.23, 568v:
Ludovico Santa Croce: “. . . Fabritio giudio facto christiano apresso
. . . [a] casa mia nel tempo che e facto christiano et lui me
impresto la stantia”; 38. 560r: Antonio Scapuccio: “presso la casa de Santa
Croce.” 32 28.23, 561r: Antonio Scapuccio for the boast: “et di poi che
andassemo a magnar a l’ostaria . . .” 33 38.23, 574v: Magrino: “un
solaretto di sopra quale era poca de cosa”; 38.23, 572r: Fabritio: “dormivo io
sopra una solarello.” 34 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “. . . un
matarazo quale lo buttassemo in terra.” 35 38.23, 574v: Magrino: “. . .
spogliati si misero sotto li panni.” 36 38.23, 574v–575r: Magrino: “un
paviglione che saria de piu colori quale era il mio . . . radunato da
una banda.” 37 38.23, 569r. Ludovico claims to have closed the curtain:
“mettevo il paviglione atorno.” 38 38.23, 564v: Mario: “et avanti che la lume
fosse svitata stavamo a burlare et ciancinare . . . che di
gratia volessemo svitar la lume.” 39 38.23, 561v: Antonio Scapuccio:
“. . . facendo un zeno con il deto grosso et con il deto indice
facendo uno O designando che lui haveva chiavato nel culo dicta donna”; 38.23,
564v: Mario: “Dicendo forte con noi altri Nel proprio facendo con il detto
grosso et con il indice il tondo.” 40 38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “lui non
diceva chiaramente per rispecto de dicta donna che non volea svergognarla”;
Loudly: Mario: “Dicendo forte.” 41 Ibid.: Antonio Scapuccio: “. . .
la chiavata in culo foco foco.” 42 38.23, 574v: Magrino: “forno primi messer
Ludovico et la donna.” 43 38.23, 574r: Magrino, for sleeping clothed: “et io
ancora dormi . . . vestito”; for much later: 38.23, 560r: Scapuccio:
“Giovanni Maria . . . dipoi a un gran pezo . . . se ando a
corigare nel medemmo lecto.” 44 38.23, 575r: Magrino: “io ho inteso quando lui
la chiavava et lei teneva le natiche verso Ludovico et lei voltata con il viso
verso di me et io una volta il sentia et io non lho visto metter dentro perche
io non ce ho tenuto le mane. So bene che la chiavava et lui sbatteva detta [no
noun] verso di me che mi fe svigliato.” 45 Hunt, The Vacant See, 183–84. 46
38.23, 575v: notary and Magrino: “. . . langere et lamentare eo quia
. . . ipsam retro negotiabat et futuebat. Respondit io sentivo che le
quando fu chiava[ta] la prima volta da messer Ludovico si lamentava. Ma si
posseva lamentare de piu cose . . . Si posseva lamentare come fanno
le donne . . . Se posono lamentare che li sappia bono et si
posono lamentare che se li faccia male ancora. Ma io una volta come o detto o
sentito che l’habia chiavata.” 47 38.23, 577v: Betta, August 23, 1557: “lui mai
ha fato in tal loco e e ben vero che messer Ludovico mi disse che mi voltassi
che me lo voleva far a potta retro et io li disse tu me voi gabare tu me voi
mettere al contrario et lui disse de no che il voleva fare a potta retro et
cossi io mi voltai et mi fece a potta retro. Io so dove intro. Si lui se e
gabbato non me sonno gabbata io.” 48 38.25, 567r: Betta, August 21, 1557:
“. . . mi parrebbe che dio non mi tenesse sopra la terra et se ho
fatto male per una via, non voglio far male per laltra, et si io ne esco voglio
andare a Santa Maria de Loreto et poi a casa mia a far bene . . . et
se si gabba lui non mi gabbo io, perche me ne guardaro come dal fuoco.”49
38.23, 565r: Mario. 50 38.23, 576r–v: “Lei non intese mai parole .
. . Noi davamo la baia a Ludovico . . . quando lui il diceva
a tavola lei non se ce era messa ancora.” 51 103, 911r: Ludovico: “me pare che
sia cancelliero de conservatori.” 52 103, 906v: Meo: “. . . voleamo
andare a cena al’hostaria de domenedio insieme . . . et cosi righai
certo piscio et . . . andammo alhosteria . . . et mentre
voleamo cenare arrivo li Cesare . . . lui se messe a tavola et
cenammo tutti quatro insieme.” 53 103, 907r: Meo: “portai certe sarde
. . . et Grillo porto certe telline.” 54 103, 907v: Meo: “un’hebreo
. . . venne . . . mentre che magnammo.” 55 103, 907r–v:
Meo: “voliamo andar a casa della mia puttana et noi dicemmo andamo et Cesare
ancora disse io ve voglio fare compagnia.” 56 103, 911v. 57 The present Via del
Monte della Farina was then Via del Crocefisso, named for church, San Biagio
del Crocefisso (or del Annulo), demolished circa 1617 to expand San Carlo:
Lombardi, Roma, 222; Delli, Le Strade, 339; Gnoli, Topografia, 91; Adinolfi,
Roma, 171. Olimpia probably lived towards San Biagio. 58 103, 913r: Olimpia:
“da uno amico mio quella sera . . . tornai a casa et trovai Ludovico
Santa Croce li alla mia porta”; 913v for the name Lorenzo. 59 103, 918r:
Ludovico: “sono parecchi anni.” 60 103, 917r: Lucretia the madam: “parlando
spagnolo et contrafacendo il parlare loro solito . . . apri qua la
sporta che batterno sette o otto volte ch’io non li volsi mai aprire.” 61
Ibid.: “. . . non li volevo aprire . . . dovessero
mutare parlare perche non potessi di non cognoscerli, . . . ma per
non ci esser’ la mia pigionante in casa et sapendo che non voleano niente da me
io non li volsi aprire anzi . . . haverci buttato del acqua in testa
se non si fussero levati dalla porta.” 62 Ibid.: “correre verso li Chiavari.”
63 103, 889r: Lucretia the wife: “retornandome . . . senza lume et con
una cannuccia in mano per non esser vista ne conosciuta.” One Cynthio Perusco
lodged by the Minerva: Bullettino della Commissione archeologica comunale di
Roma 29, 15. One puzzle: on October 7, 1567, a Cinzio Perusci by San Marcello,
not the Minerva, buried a wife named not Lucretia but Ortensia. de Dominicis,
Notizie biografiche, 275; And, at court, (103, 899r) Lucretia appears as
“Lucretia q. Petri”—no father’s family name, no husband’s name. Is Lucretia a
femina, a semi-wife? 64 Ibid., r–v: Lucretia: “Doi armati . . . me si
ferno incontro et subbito me fermorno et un di loro me misse la mano al collo
tastandomi il collo pensando forsi ch’io havessi qualche collana o vezza.” 65
Ibid., v: “. . . io son poveretta che volete da me strillando ai
ladri ai ladri . . . me lasciorno”; the servant confirms this and
notes that other men were also holding Lucretia: 103, 902r. 66 103, 902r: 25:
“. . . perche questo a noi.” 67 Ibid.: “se misse la cappa inanti il
viso et pero non posso saper’ ne poddi veder’ se l’era quel Meo.” 68 Ibid.:
“. . . pugnali nudi presso alla gola.” Why daggers? The gentlemen,
with their swords, held Lucretia. 69 Ibid.: Lucretia: “. . . un
cerchio intorno et chi mi pigliava da un canto et chi dal altro mettendomi li
pugnali alla gola.” Giovanni Maria: Ibid., 902r: “ci fermamo per paura.” 70
Ibid.: Giovanni Maria: “. . . dar de i pugni et d’urtoni et mi
buttorno in terra.” 71 103, 900r: Lucretia: “. . . con un yesu di
sopra et di sotto c’e l’ongia della gran bestia . . . ancho la cintura
et un fazzoletto: che l’anello ci e 18 giulii d’oro.” This “yesu” may have been
a monogram. Giovanni Maria confirms almost all these goods. 72 103, 902r–v:
Giovanni Maria: “una scarsella che io portava cinta. . . . a tenere
lavandosi la mano . . . messo in la scarsella.” 73 103, 902v:
Lucretia: “. . . vi prometto da gentilhuomo de non ti far dispiacer
. . . che non era per loro . . . che era moglie di Messer
Cynthio Perusco.” Cesare had yet to hurt the servant.In bed with Ludovico Santa
Croce 13974 Ibid,: Giovanni Maria: “messer che volemo fare . . .
menavola via menavola via.” See also Lucretia: 103, 899v: “menala su menala su
strascinala.” Why do we say Meo and not the Jew? Note Meo’s ongoing
relationship with Ludovico, their habit of joint action, plus that prompt
“Messer.” 75 103, 899v: Lucretia: “. . . con molta instanza di
menarmi in una casa che . . . per forza . . . me
strascinavano . . . a i ladri a i ladri a questo modo si assassina
alla strada, . . . che venessero in casa mia . . .” Why
this invitation? Probably demonstrate her station, not to proffer loot. 76 103,
199v: Lucretia: “per andare al arco delli catinari.” The present Via dei
Falegnami then was Via dei Catinari: Gnoli, Toponomia, 69. This Arco was
demolished for San Carlo ai Catinari: Gnoli, Toponomia, 11. 77 103, 903r:
Giovanni Maria: “. . . gl’era cascate le pianella . . .
diceano che caminasse . . . la faceano camminar . . . tre o
quattro attorno.” See also Lucretia: 103, 899v: “cascai in terra in un fangho
et lasciai li pianelle.” 78 For Agostino Pallone’s house, see Cohen and Cohen,
Words and Deeds, 136. For the two men: 103, 903r: Giovanni Maria: “arrivò quel
che portava la torcia accesa et . . . mr Agostino Palone
. . . per il medesimo vicolo.” In 1577, Agostino would be buried in
Santa Maria in Publicolis, the Santa Croce family church: de Dominicis, Notizie
biografiche, 267. 79 103, 899v–900r: Lucretia: “. . . cognobbi detto
messer . . . per l’amor de dio che me aiutasse . . .
pensandosi che il lume non venesse da quella banda et de non esser visto detto
mr Augistino cognobbe . . . Cesari romano, al quale disse Mr.
Augustino ah Cesari che fai, che cosa e questa[!] . . .” 80 103,
903r: Giovannia Maria: “casco con una gamba in una ferrata et . . .
se attacò alla cappa di Messer Augistino . . . Mr Augustino di
grazia. non me abbandonate per l’amor de Dio.” 81 103, 903r–v: Giovanni Maria:
“. . . se conosceva Cyntho Perusco, et lei disse si che lo cognosce
et ho doi figli con lui et e mio marito et . . . se la conosceva
messer Francesco Calvi et lei disse de si . . . se li andava in casa
con lei che li mostraria la figlia.” 82 103, 903v: Giovanni Maria:
“. . . Cesari figlio tu hai fatto male . . . che andasse
via che farria accompagnare Madonna Lucretia da un suo servitore.” 83 Ibid.;
Lucretia: “m’accompagno con la torcia.” 84 103, 917r–v: Lucretia the madam:
“. . . guardai et viddi una donna con un’homo che cridava: che diceva
che volete da me fratelli che volete da me fratelli et diceva tiratimi la corda
tiratimi la corda . . . dubitando io che non fusse qualche vicina, io
bussai alla fenestra della Diana . . . senti quella tua sorella che
crida . . .” “Tiratimi la corda” here refers to Lucretia’s door-rope:
“open up for me!” with a dative. 85 103, 913r: Olimpia: “. . . trovai
Ludovico Santa Croce li alla mia porta assieme con Meo pescivendolo et con doi
altri . . . ci era un’hebreo.” 86 Ibid.: Olimpia: “. . .
Ludovico fu il primo”; 103, 918: Ludovico Santa Croce: “il primo io d’intrare
in casa.” 87 103, 917r: Lucretia the madam: “. . . Olimpia insieme
con un’ suo amico che si chiama Lorenzo stufarolo, quale sonava di liuto. Et me
bisogno tirar’ la corda et alhora intro . . . Ludovico Santa [Croce]
Meo Cesar Vallati et un hebreo.” 88 103, 917v: Lucretia the madam: “. . .
o bella cosa, le povere donne non ponno andare per la strada et loro dissero
che non erano stato.” 89 103, 913v: Olimpia, “Meo et l’altri ci accompagnorno
sino alla stufa et poi se ne andorno con dio”; 914v: Meo: “insieme alla stufa
et poi io me ne tornai a casa mia e Cesare e l’hebreo andorno a fare i fatti
suoi.” 90 103, 922r: Barbara claims Meo has been her amico for three years;
103, 904r: Barbara: “e un mese ch’io l’ho lassato perche non mi piace piu
l’amicitia sua et perche ha dieci scudi delli mei in mano.” Monte Savelli is
today’s Teatro di Marcello, now stripped bare by archeology. 91 103, 922r:
Barbara: “me ne andai a letto senza cena perche io me sentivo male et mentre
ch’io stavo a letto con Annibale pescivendolo sentei passare per la strada
Cesare 92 93 94 95Vallata con altre genti . . . et disse servitor’
Signora Barbera cor mio ch’io non li resposi altrimente” 103, 914r: Giovanni
Maria: “madonna Lucretia domando a . . . pescivendolo predetto per
che causa fussi preso questo messer Ludovico et . . . rispose che
fu preso perche haveva preso una donna nella strada.” 103, 905v: Meo, on
Tuesday: “io fui preso hiermatina in Ponte ch’io non so perche causa assieme
con Messer Ludovico Santa Croce.” 103, 901r: Lucretia the wife: “et che stavano
molto di mala voglia et tutti afflitti.” 103, 900v: Lucretia: “lui mi mando a
dir per il detto Cynthio che non era offitio da gentilhomo di accusar nesuno e
che mi bastava che io non havessi ricevuto mal nesuno.”Bibliography Archival
sources Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale Processi
(16° secolo), busta 38, case 19 Processi (16° secolo), busta 38, case 23
Processi (16° secolo), busta 38, case 25 Processi (16° secolo), busta
103Publisd sources Adinolfi, Pasquale. Roma nell’età di mezzo, rione Campo
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1998. Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 29 Cohen,
Thomas V. and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in Renaissance Rome. Toronto:
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207–94. de Dominicis, Claudio. Notizie biografiche a Roma nel 1531–1582,
desunte dagli atti parrocchiali. Rome: Academia Moroniana, n.d. Delli, Sergio.
Le Strade di Roma. Rome: Newton Compton, 1975. Gnoli, Umberto. Topografia e
toponomastica di Roma medioevale e moderna. Rome: Edizioni dell’Arquata, 1984.
Hunt, John M. The Vacant See in Early Modern Rome: A Social History of the
Papal Interregnum. Leiden: Brill, In two unrelated sixteenth-century texts, a
Renaissance prince was described as vulnerable to assassination because of a f
lawed fashion judgment. In his Historia patria (published 1503), the courtier
Bernardino Corio recounted that just before Galeazzo Sforza left his castle on
December 26, 1476, he put on and then took off his corazina because he felt
that the chest armor made him look “too fat.”1 The lack of armored protection was
crucial as Galeazzo was famously stabbed to death during mass later that day.
In his analysis of the event, Timothy McCall provocatively suggests that
Galeazzo’s fatally bad judgment was determined by fashion; Galeazzo, according
to McCall, was inf luenced by the growing pressure to conform to cultural
expectations of a slim masculine figure.2 Sixty years later, a Florentine
prince was murdered by stabbing, and similar to the description of Galeazzo
Sforza, a chronicler of the episode points to clothing’s role in the affair.
Benedetto Varchi’s Storia fiorentina (incomplete at his death in 1565) recounts
that just before Duke Alessandro de’ Medici left his bedchamber on the night of
his murder in 1537, he contemplated whether he should wear his gloves “da guerra”
(for war) or his perfumed gloves “da fare all’amore” (for making love).3
According to the story, Alessandro chose the love-gloves as they better matched
his sablelined cape and were suited to his planned sexual escapade. He
apparently chose unwisely. Elizabeth Currie argues that Varchi added this
presumably invented anecdote about gloves in order to communicate—through
sartorial metaphors—the gap between Duke Alessandro’s expected dutiful behavior
and his actual irresponsible conduct.4 To Currie’s analysis, I add that the
glove anecdote also participates in what had become a literary pattern of
associating men’s clothing with physical weakness. If, in the first episode,
the author indicates how a soft doublet made Galeazzo defenseless to the knife
blade, in the second, the writer implies that the outcome of Alessandro’s
evening might have been different had the princechosen his gloves “da guerra.”
The two historiographical accounts of Galeazzo’s and Alessandro’s murders
underscore not only the high stakes of men’s clothing choices but the
relationship between literary representations of dress and elements of
masculinity. Varchi, like so many writers of the fifteenth and sixteenth
century, chose to articulate men’s dress as integral components in representations
of violence, war preparedness, moral virtue, and sexuality. Clothing was thus
fundamental to Renaissance discourses of masculinity. While masculine
subjectivity as performed through dress has been the focus of several excellent
studies by fashion and art historians, what has gone somewhat unexplored is how
clothing functioned in such discourses of masculinity.5 Was, for example,
clothing presented as a symptom of men’s loss of masculine virtue or did
writers claim that clothing had a more active role in the imperilment of men?
Did so-called effeminate clothing cause men to weaken, or was it merely a
byproduct of a so-called anima effeminato? This essay will address these
questions by looking at the interconnection of male dress, effeminacy, and militarism
in Baldassare Castiglione’s Libro del cortegiano (Book of the Courtier). I have
chosen to concentrate on Castiglione’s Courtier because of its prominent place
in the history of dress and fashion as well as its role in the history of
masculinity.6 The Courtier presents male dress as a high-stakes enterprise; a
misstep in clothing not only had grave consequences for a man’s reputation, it
was also a question of life or death. Like the gloves of Alessandro de’ Medici
and the cuirass of Galeazzo Sforza, a man’s clothing choice could lead to glory
or personal injury, and it could also result in (at least in Castiglione’s
assessment) large-scale military defeat.Arms in the Courtier Very early in the
book, Ludovico da Canossa declares arms to be the primary profession of the
courtier [1.17].7 Yet, the privileged status of arms is not a settled question,
and it is destabilized during a debate of arms vs. letters.8 The debate is
framed by the same Ludovico, who asserts that the French only respect arms and
abhor letters. Ludovico extols the value of letters by describing several
successful military generals who trotted off to battle with copies of the Iliad
or other literature at their side. His examples of successful and literary
generals are offered as proof that the French were erroneous in their belief
that literature damaged a man’s ability to fight: “Ma questo dire a voi è
superf luo, ché ben so io che tutti conoscete quanto s’ingannano i Francesi
pensando che le lettre nuocciano all’arme” (1.43, p. 92) (But there is no need
to tell you this, for I am sure you all know how mistaken the French are in
thinking that letters are detrimental to arms) (1.43, p. 51).9 Ludovico’s
accusation of the misguided French could as well have been leveled against
Italian contemporaries of Castiglione, since none other than Niccolò
Machiavelli himself was proclaiming that letters were injurious to arms in both
his Art of War as well as his Florentine Histories.10Contrary to the view of
the French (and Machiavelli), Ludovico proposes that letters are beneficial to
arms; letters bring glory, and glory inspires courage in warfare: “Sapete che
delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimulo è la
gloria. . . . E che la vera gloria sia quella che si commenda al
sacro tesauro delle lettre” (1.43, p.92) (The true stimulus to great and daring
deeds in war is glory. . . . And it is true glory that is entrusted
to the sacred treasury of letters) (1.43, p. 51).11 When Ludovico notes that
literature, like the Iliad, could have a positive effect on soldiers, he shifts
the debate that began with the hierarchy of arms and letters to the correlative
and causative relationship between arms and letters.12 For Ludovico, arms and
letters are “concatenate” (conjoined) (1.46). Ludovico’s assessment of the
positive effects of letters on arms is troubled by the fact that France, at
least since 1494, had proven itself to be militarily superior to Italy. He
hedges his argument in a prebuttal, acknowledging that others might cite recent
French military success as evidence against his claim: “Non vorrei già che
qualche avversario mi adducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia
opinione, allegandomi gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco
valor nell’arme” (1.43, p. 93) (I should not want some objector to cite me
instances to the contrary in order to refute my opinion, alleging that for all
their knowledge of letters the Italians have shown little worth in arms) (1.43,
p. 51). To this objection, Ludovico states that the defeat of literate Italians
by illiterate French is the fault of only a few men: “la colpa d’alcuni pochi
aver dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri” (1.43, p.
93) (the fault of a few men has brought not only serious harm but eternal blame
upon all the rest) (1.43, p. 52). The debate of arms and letters in the
Courtier raises two key points for my analysis on dress and militarism. The
first is that there is an anxiety among the speakers that the actions of a “few
men” can bring shame on all men.13 The book’s project of social control depends
in great part on this anxiety. Indeed, the belief that massive military defeat
was caused by a few deviant men gives urgency to the entire masculine
normativizing process (i.e., the ideal courtier). The second point, related to
the first, is that men’s ability to win wars could be affected (positively or
negatively) by what are presumably unrelated aspects of a courtier’s masculine
identity. Throughout the Courtier, not only letters but music, dance, and of
course dress are all placed in a context of their relationship to warfare.14
When, for example, one speaker condemns music as effeminate, another will
anxiously argue that music stirs soldiers to combat, and thus it is rightfully
masculine (I.47). The book delineates the court and the battlefield as discrete
yet interrelated spaces. The courtier-soldier is expected to shuttle between
the two while performing hegemonic masculinity in both.15 The challenge is that
certain practices of masculinity were viewed as causing a negative effect in
one or the other space. The battlefield, in particular, is shown as vulnerable
to the presence of courtly practices. Analogously, the court’s refined spaces
were shown as incompatible with certain military behaviors.16 Nonetheless, the
court often measured itself against a functionality in war (e.g., music was
useful in war) just as men in court adopted martial aesthetics (e.g., court
dress was an adaptation of the military tunic).17 There thus arises a tension
within the Courtier between the masculinity of courtly practices and the
masculinity of warfare, and this tension is routinely expressed as a fear that
practices at court are deleterious to combat. The speakers never clearly
articulate how dress, letters, and music might endanger war tactics and
strategies, but they do repeatedly imply that refined behavior threatens
masculinity. The reader is then left to leap the epistemological gap that
assumes such a claim to be true. The cumulative effect of this rhetorical
technique is that a fear of effeminacy underlies the entire project to produce
an ideal courtier, and this fear is often articulated in terms of dress and
aesthetics.18Aesthetics and masculinity before Castiglione The association of
men’s dress and aesthetics with effeminacy has a literary tradition that
stretches at least back to Classical antiquity. Craig Williams’ groundbreaking
text, Roman Homosexuality, provides scores of ancient examples of writers
reproaching men’s aesthetics. In Roman texts, clothing, perfumes, and grooming
habits were frequent subjects of scorn. According to Williams, men’s aesthetics
were invoked as part of accusations of effeminacy in what was consistently a
reproach of men’s loss of dominion and self-mastery.19 More recently, Kelly Olson’s
Masculinity and Dress in Roman Antiquity has provided a systematic look at
dress in ancient Rome, and she usefully pinpoints specific elements of dress,
perfumes, and grooming to show how the Roman man “walked a fine line” between
expected grooming and dressing practice and what was considered effeminate.20
As we move into the Middle Ages and Renaissance, writers adopted these
Classical condemnations of men’s dress and added their own brand of Christian
morality. Renaissance legal codes and prescriptive literature justified the
regulation of male dress under the auspices of protecting state expenditures,
preventing deviant sexuality, or ensuring the salvation of the soul.21 For
example, Francesco Pontano (f l. 1424–41), a professor in republican Siena, attacked
male hair styling, cosmetics, and ornate garments as a civic and Christian
moral problem.22 In his treatise Dello integro e perfetto stato delle donzelle
(On the whole and perfect state of girls), a work written primarily about
women’s vanities, the author states that “vain and superf luous ornament”
should be disdained by all males “who want to be called real men.”23 Certain
men, he states, do not care if they are esteemed as masculine, and thus they
spend extraordinary amounts of time on hair and skin care.24 He complains that
men multiply the effect of their grooming habits by fussing over dress as well:
“Ma i maschi moltiplicano questo errore or co’ lisciamenti or con continui
increspamenti di falde, e arrondolamenti de’ cappucci a diadema, e infiniti
altri loro frenetichi e babionerie” (But men multiply this error, sometimes
using cosmetics and at other times with their continual ruff ling of crinoline
and swirls of hoods in the shape of a tiara, as well as their infinite other
frenzies and buffooneries) (Pontano 22). For Pontano, so-called luxurious dress
muddied the gender binary as well as presented a peril to Christian morality
since, as he states, vanities and ornament debased men, who were “made to be
equal to the angels” to a status “below pigs.”25 Dress imperiled the body and
the very soul of men. Effeminate dress, he states, showed disrespect for God.
The crowd of ornate men “non crede che Dio sia, e che non sia alcuno altro
iudice che quegli del podestà ovver del capitano” (does not believe that God
exists, and that there is no other judge than the podestà or commander)
(Pontano 22). Pontano made so-called effeminate dress a moral and theological
issue. Similarly, other writers of the fourteenth and fifteenth centuries
voiced concern about the morality of dress with respect to sexuality and class
status. The chronicler Giovanni Villani (c. 1280–1348) worried that men’s
fashion could create dangerous alliances with foreign powers and blur class
differences, and San Bernardino da Siena (1380–1444) complained that young
men’s short tunics and tight hose were too erotic.26 Ironically, those same
tight hose were reevaluated in the sixteenth century as evidentiary proof that
the male youths of the past were uncorrupted.27 There has as yet been no systematic
study of the condemnations of men’s dress in early modern Italy, but such a
study would aid our understanding of possible thematic shifts. Not only did the
targets of these condemnations vary (e.g., short tunics, tight hosiery), so too
did the rhetoric used to vilify certain dress undergo changes. There seems to
be one significant moment in the history of dress and masculinity at the
beginning of the sixteenth century, when condemnations of so-called effeminate
male dress shifted from threats of Christian imperilment to failed militancy.28
The anxiety over dress and militarism had real-world implications such as the
standardized military uniform, just as it may have also inspired some
unexpected rhetoric, such as the praise of an unkempt look.29 Most importantly,
it made the abstract notions of dependency and autonomy visible; men’s clothing
carried the meanings of military victory or loss. Castiglione’s Courtier has a
distinct place within the normativization process of the militaristic masculine
body as it is an early—possibly the earliest— example of sixteenth-century
rhetoric of effeminacy, dress, and military defeat. Castiglione began writing
his text during the chaotic years between the invasion of France in 1494 and
the Sack of Rome in 1527. In this period of instability, he chose to point to
certain courtly behaviors, including dress, in relation to the military losses
that were still potentially viewed as reversible. The Courtier blames the
subjugation of the Italian people on certain refined masculine behaviors that
were otherwise unrelated to militarism, but so, too, it suggests that the
salvation of Italy lay in the hands of this same class of men, men who often
marked their class by the very dress that undermined their masculinity. There are
two moments in which Castiglione suggests that men’s clothing played a role in
military loss. I will analyze these passages along with other textual examples
of men’s aesthetics and dress to demonstrate that Castiglione is in effect not
only making pronouncements about dress but, more importantly, is establishing a
practice whereby men can redeem their masculinity through speaking about the
effeminizing power of aesthetics. The spoken condemnation of courtly dress
purportedly critiques gender and class structures, but like the dress itself,
this very speech is what marks the speaker as belonging to the properly
masculine elite.30Male aesthetics and dress in the Courtier Book One:
sprezzatura and gender nonconformity In Book One, the primary speaker, Count Ludovico
da Canossa, says that the ideal courtier should have a manly yet graceful face.
What is to be avoided, he exclaims with disgust, are certain male grooming
habits: [your face] has something manly about it, and yet is full of
grace. . . . I would have our Courtier’s face be such, not so soft
and feminine as many attempt to have who not only curl their hair and pluck
their eyebrows, but preen themselves in all those ways that the most wanton and
dissolute women in the world adopt; and in walking, in posture, and in every
act, appear so tender and languid that their limbs seems to be on the verge of
falling apart; and utter their words so limply that it seems they are about to
expire on the spot; and the more they find themselves in the company of men of
rank, the more they make a show of such manners. These, since nature did not
make them women as they clearly wish to appear and be, should be treated not as
good women, but as public harlots, and driven not only from the courts of great
lords but from the society of all noble men. (1.19, p. 27) Certo quella grazia
del volto, senza mentire, dir si po esser in voi . . . tien del
virile, e pur è grazioso . . . . di tal sorte voglio io che sia lo
aspetto del nostro cortegiano, non così molle e femminile come si sforzano
d’aver molti, che non solamente si crepano i capegli e spelano le ciglia, ma si
strisciano con tutti que’ modi che si facciano le più lascive e disoneste
femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare ed in ogni altro lor
atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro
l’uno dall’altro; e pronunziano quelle parole così aff litte, che in quel punto
par che lo spirito loro finisca; e quanto più si trovano con omini di grado,
tanto più usano tai termini. Questi, poiché la natura, come essi mostrano
desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come
bone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle
corti de’ gran signori, ma del consorzio degli omini nobili esser cacciati.
(1.19, pp. 49–50) For Ludovico, the so-called effeminate courtiers are not by
nature “molle” (soft) or “ femminile” (feminine), but they work very hard (si
sforzano) to make themselvesappear to be so. Moreover, he links aesthetics to
acts of despised behavior, particularly obsequious dependency. This condemned
behavior occurs when, as Ludovico explains, men affect their appearance and
speech around other men of rank. We can situate these despised men within the
context of Ludovico’s own theory of sprezzatura. Coining a new term, Ludovico
describes sprezzatura as the art of “ciò che si fa e dice venir fatto senza
fatica e quasi senza pensarvi” (1.26, p. 60) (making whatever is done or said
appear to be without effort and almost without any thought about it) (1.26, p.
32).31 In the case of the men who plucked their eyebrows, curled their hair,
and augmented certain behaviors around men of rank, they have failed at this
art. Rather than concealing a performance, as sprezzatura demands, these men drew
attention to the act of ingratiating themselves to men of authority. Their
failed performance of sprezzatura thus resulted in the loss of reputation and
power, a point also made by Ludovico in his definition of the new term:
Accordingly, we may affirm that to be true art which does not appear to be art;
nor to anything must we give greater care than to conceal art, for if it is
discovered, it quite destroys our credit and brings us into small esteem.
(I.26, p. 32) Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né
più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta,
leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato. (1.26, p. 60) Successful
sprezzatura, on the other hand, offered the courtier an ability to perform a “compelling”
version of himself that masked a very different, perhaps less putatively
masculine identity.32 This “manly masquerade,” however, risked pointing to both
a fantastic masculine ideal as well as to the absence of that ideal.33 Dress
and aesthetics, or more precisely, the discussions of dress and aesthetics in
the Courtier, form a paradox in the logic of sprezzatura. When the speakers
complain of the “effeminate” dress or grooming habits of men, they imply that
some idealized masculine version of these men existed before the offending
grooming or dressing occurred.34 However, this anchoring of essentialist
manhood is dismissed in the Courtier. Instead, the speakers reaffirm that since
very few men are born with the qualities of the ideal courtier, the ideal (read
masculine) courtier manipulates his body, behaviors, and dress. If the ideal
courtier is therefore a man who must alter his person in order to be masculine,
then the ideal masculine pre-altered courtier—much like the idealized Urbino
court itself—is a pastoral fantasy.35 The men who alter their hair and posture
when among men of rank, in effect, draw attention to this absence of essential
masculinity in all but the rarest courtiers. These men fail at a sprezzatura of
masculinity not because they ornament themselves, but because they have exposed
the necessity of ornamenting themselves. It is so great an infraction that
Ludovico angrily condemns these men to be punished not as women but as “public
harlots.” Of course, the reference to prostitution is significant for it
foreshadows an episode (discussed below) in Book Four where Ottaviano explains
that all courtiers must use their bodies, speech, and behavior to gain princely
favors. The irony is that the principal difference between the despicable
groomed courtier with plucked eyebrows and the masculine courtier with less
apparently plucked eyebrows is solely aesthetic; both sell themselves for
favors. The offending behavior of the groomed courtier is therefore that he has
failed to conceal this economy.Book Two: foreign dress and foreign occupation
Given the gravity of the punishment that Ludovico doles out to certain
courtiers, it is apparent that a mistake in styling and grooming could pose a
serious threat to masculinity. Thus, choosing proper male dress also caused
anxiety for the upwardly mobile courtier. In Book Two, Giuliano de’ Medici
expresses his personal difficulty regarding the variety of dress available to
men, and he asks for assistance “to know how to choose the best out of this confusion”
(2.26). Federico Fregoso responds to this question by stating that men should
dress according to the “custom of the majority.” Fregoso then states that the
majority of Italians wore the styles of various foreign cultures and that these
foreign fashions signaled which cultures would dominate Italian men.36 But I do
not know by what fate it happens that Italy does not have, as she used to have,
a manner of dress recognized to be Italian: for, although the introduction of
these new fashions makes the former ones seem very crude, still the older ones
were perhaps a sign of freedom, even as the new ones have proved to be augury
of servitude . . . Just so our having changed our Italian dress for
that of foreigners strikes me as meaning that all those for whose dress we have
exchanged our own are going to conquer us: which has proved to be all too true,
for by now there is no nation that has not made us its prey. (2.26, pp. 88–89)
Ma io non so per qual fato intervenga che la Italia non abbia, come soleva avere,
abito che sia conosciuto per italiano; che, benché lo aver posto in usanza
questi novi faccia parer quelli primi goffissimi, pur quelli forse erano segno
di libertà, come questi son stati augurio di servitù . . . cosí
l’aver noi mutato gli abiti italiani nei stranieri parmi che significasse,
tutti quelli, negli abiti de’ quali i nostri erano trasformati, dever venire a
subiugarci; il che è stato troppo più che vero, ché ormai non resta nazione che
di noi non abbia fatto preda. (2.26, p. 158)Fregoso’s fashion advice poses a
host of problems regarding identity and autonomy. By suggesting that men
“follow the majority,” he undermines agency, sovereignty, and control, themes
often repeated as central to masculinity by fifteenth- and sixteenth-century
authors. Manliness is the ability to look like others, to disappear in the
crowd; but it is also ironically defined as following the crowd’s errors. For,
as Fregoso states, the majority of Italians have made a grave error and adopted
foreign dress, which leads to invasion and occupation.37 If fitting in is a
masculine virtue, it could even mean implicating oneself in Italy’s political
and military losses. Fregoso’s concern about foreign dress is a Classical trope
that has considerable fortune in the Renaissance, where French and later
Imperial invasions were not infrequently associated with foreign fashions. 38
The epistemological link of fashion and invasion was so imbedded in the culture
that even one hundred years after Castiglione wrote his Courtier, the Spanish
priest Basilio Ponce de Leon suggested that God castigated Italy with invasion
in 1494 precisely because Italian men wore French fashions.39 Within the
Courtier itself, foreign fashion does not incur God’s wrath, but rather, it
beckons other nations to “venire a subiugarci” (come and subjugate us). Such a
logic—where large scores of men were responsible for invasion because of their
fashion choice—stands in contrast to Ludovico’s claim in Book One when he
claimed that the collapse of Italy was caused by a “few men.” Book Two thus
broadens the guilty parties of Italy’s subjugation from a “few men” to a
“majority” of (upper class) men, who, like Castiglione himself, were bedecked
in the latest Spanish and French trends.Books One and Two: fashion theory and
agency The first two books are differentiated also by the way they discuss
men’s aesthetics. In Book One, for example, there is no association between
aesthetics and military loss. Ludovico did not state that plucked eyebrows and
curled hair brought about military defeat. Rather, his complaint was limited to
gender nonconformity. On the other hand, Book Two draws a direct line between
aesthetics (foreign dress) and military failure. This shift from Book One to
Book Two might be explained by the general ideological difference that
distinguishes the two books. Virginia Cox has convincingly argued that Book One
proclaims that a courtier’s virtue ensures him success, while in the more
cynical Book Two, success at court is depicted as at the whim of the prince.40 In
particular, military bravery is praised only when it can be observed by others,
particularly by the prince. To risk one’s life when no one is watching would be
a waste of one’s personal resources. Virtue, therefore, is whatever the
courtier makes seen in the eyes of others. In the context of Book Two, where
the courtiers participate in an economy that trades in appearance of virtue
rather than intrinsic virtue, clothing takes a central role in masculine
identity construction. It thus follows that Fregoso attempts to draw a direct
relationship between appearance and essence. He statesthat one must be
attentive to what type of man he wishes to be taken for, and then act and dress
accordingly, “aggiungendovi ancor che debba fra se stesso deliberar ciò che vol
parere e de quella sorte che desidera esser estimato, della medesima vestirsi”
(2.27, p. 160) (I would only add further that he ought to consider what
appearance he wishes to have and what manner of man he wishes to be taken for,
and dress accordingly) (2.27, p. 90). Such action is necessitated by the belief
that external appearance (including mannerisms) communicates a person’s
identity: “tutto questo di fuori dà notizia spesso di quel dentro” (2.28, p.
161) (all these outward things often make manifest what is within) (1.28, p.
90). The body makes legible the soul, and this externalization of virtue and
morality is problematized by the fact that the courtier is taught to manipulate
the body according to his fashion. One speaker, Gasparo Pallavicino, pushes
back on the theory that dress determines personal character. He states that one
should not “judge the character of men by their dress rather than by their
words or deeds” (2.28, p. 90). To Gasparo’s comment, Fregoso responds that
although deeds and words are more important than dress, dress is “no small
index” (non è piccolo argomento) (2.28) of the man. Fregoso’s insistence that
dress is ref lective of the essence of man is, however, hard to reconcile with
the fact that one’s projected image, as Fregoso himself states, can be false:
“avvenga che talor possa esser falso” (2.28) (although it can sometimes be
false) (2.28, p. 90 translation altered to ref lect original). Despite
Fregoso’s suggestions otherwise, behavior, dress, and bodily adornment do not
convey an unproblematic version of the self. In the elegant fishbowl of the
court, courtiers manipulate dress with the hopes that others might be duped
into believing that it represents an intrinsic identity. Fregoso’s fashion
theory, though not cohesive, does communicate to other men that a fashion faux
pas imperils the courtier’s masculinity in two ways: it points to a perceived
essential effeminacy, or it demonstrates an inability to mask this
effeminacy.Book Four: Ottaviano’s paradox The last mention of dress in the
Courtier is in Book Four, and it famously gives elegance of dress a virtuous
purpose. In Book Four, Federico Fregoso’s brother, Ottaviano, declares that
dress, manners, and pleasantries permit the courtier access to the prince so
that he can provide the ruler with wise counsel. According to Ottaviano, the
courtier must fashion himself with this mask of the “perfect courtier” so that
he can lead the prince away from the ills of vice through deception,
“ingannandolo con inganno salutifero” (beguiling him with salutary deception)
(4.10, p. 213). Ottaviano’s interjection has received much scholarly attention
in part because it exposes the fashioning of the perfect courtier as a
performance of deceit.41 Berger, in particular, has noted how this deceit can
have an effect on the integrity of the courtier: The byproduct of the
courtier’s performance is that the achievement of sprezzatura may require him
to deny or disparage his nature. In order tointernalize the model and enhance
himself by art, he may have to evacuate – repress or disown – whatever he finds
within himself that doesn’t fit the model. (20) If sprezzatura requires the
courtier to deny or disparage his own nature, then there is an implicit notion
that the courtier also risks destabilizing his identity, including his
masculine identity.42 This is no more apparent than when we consider how a
courtier’s agency is compromised by the act of sprezzatura, an act of
self-fashioning that is dependent on the will of others. Ottaviano addresses
this very process head on. He states that elegance of dress, along with
singing, dancing, and general enjoyment, change a man and make him effeminate.
Relevant here, this effeminacy has consequences not only on a courtier’s
identity but also on state security: I should say that many of those
accomplishments that have been attributed to our Courtier (such as dancing,
merrymaking, singing, and playing) were frivolities and vanities and, in a man
of any rank, deserving of blame rather than of praise; these elegances of dress,
devices, mottoes, and other such things as pertain to women and love (although
many will think the contrary), often serve to merely make spirits effeminate,
to corrupt youth, and to lead to a dissolute life; whence it comes about that
the Italian name is reduced to opprobrium, and there are but few who dare, I
will not say to die, but even to risk any danger. (4.4, p. 210) anzi direi che
molte di quelle condicioni che se gli sono attribuite, come il danzar,
festeggiar, cantar e giocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un omo di
grado più tosto degne di biasimo che di laude; perché queste attillature,
imprese, motti ed altre tai cose che appartengono ad intertenimenti di donne e
d’amori, ancora che forse a molti altri paia il contrario, spesso non fanno
altro che effeminar gli animi, corrumper la gioventù e ridurla a vita
lascivissima; onde nascono poi questi effetti che ’l nome italiano è ridutto in
obbrobrio, né si ritrovano se non pochi che osino non dirò morire, ma pur
entrare in uno pericolo. (4.4, pp. 367–68) Ottaviano’s claim marks a critical
shift from the other cited passages. It is the only time in the Courtier where
clothing (along with other courtly behaviors) is described as rendering men
effeminate. In Book One, distasteful grooming habits are practiced by those men
who “wish” that they were women, and in Book Two, foreign dress beckons
military defeat. In Book Four, clothing causes effeminacy, and the effeminized
man loses wars. The passage is not only a significant moment in the Courtier,
it is an important moment in the history ofeffeminacy. To my knowledge, it is
one of the earliest Renaissance texts that figures clothing and other behaviors
as the agents that cause effeminacy leading eventually to military defeat.43
Ottaviano’s brief interjection on clothing would have provided the attentive
listener with (again) some troubling fashion advice. The passage forms what I
call Ottaviano’s paradox: on the one hand, Ottaviano affirms that elegant dress
may be necessary to ingratiate the prince and engender virtue, while on the
other, he warns that dress has deleterious effects, effeminizing the courtier’s
soul and bringing shame to him and Italy. If the courtier performs his
requisite duties (which include ingratiating the prince with dress, dancing,
music, etc.), he cannot escape losing his own masculinity. It is unclear how
the reader is to navigate this paradox. Castiglione may have been genuinely
concerned with the possible effeminizing effects of dress, or there may have
been some irony in placing these words in the mouth of Ottaviano.44 Ottaviano
had, in fact, been derided for his unusual dress in the earlier version of the
book known as the seconda redazione (written 1520–21).45 Moreover, Castiglione
was himself quite the fashionista. His letters tell us that he was deeply
concerned with his own dress, both at court and during military operations.
Many of his letters to his mother refer to his need for appropriate clothing,
and on some occasions, he refers to this clothing as necessary for exercises
carried out in a context of war.46 The fact that Castiglione has left us
extensive writing on dress from the period raises hermeneutical questions about
Ottaviano’s statement that courtly dress and activities “make spirits
effeminate and corrupt youth” and eventually lead to the shame of Italy. Surely
the author was not suggesting that winning wars merely a matter of changing
clothing. I propose that Castiglione was less interested in changing the
garments and grooming habits of Italians than he was in investigating how the
rhetoric about aesthetics functioned in defining identity and motivating social
groups. His book explores how courtly practices, including dress, determined
the boundaries of an elite ruling class, but so too does it explain how the
language used to discuss these practices could shift the values added to such
practices. Thus, Ottaviano’s paradox—where the courtier is virtuous if he
ingratiates the prince but loses his virtue of masculinity by doing so—is in
effect a masterful demonstration of sprezzatura. When Ottaviano utters his
words, he not only explains how courtliness denigrates a man for a virtuous
cause, he also reveals how a courtier can assume an intentional and masculine
participation in this virtuous cause. He derides the very courtly practices
that he himself performs and then engenders them with virtue.47 By showing that
a courtier sacrifices his masculinity on the altar of state security, Ottaviano
offers a reclamation of masculinity for any courtier. The trick is, however,
that the courtier must be willing to decry the very practices that make him a
courtier in order to claim this masculinity. Ottaviano states, in effect, “I
criticize the grooming of men as effeminizing, but I will also perform these
acts for the larger good of pleasing the prince.”By way of a conclusion, we
will turn to this same moment in the second manuscript edition, or seconda
redazione.48 Here Ottaviano’s passage appears in Book Three (the final book of
the manuscript). It is spoken by Gasparo and, most importantly, the condemned
effeminate activities are not routine courtly behavior, but belong to young
courtiers in love: Do you not believe that the young would be doing a much more
praiseworthy thing if they were to concentrate on arms to defend the patria,
their own honor, and the dignity of Italy, rather than to go around with their
hair all coiffed, perfumed, and strolling through the neighborhoods with their
eyes glued to the windows above without considering anything in the world except
their own priorities? And what purpose do these devices and mottoes and
elegances of dress serve other than vanity and frivolity? And what is the point
of dancing at balls and masquerades as well as games and music (and other such
things that you praise so much)? What do these things offer other than to give
birth to the effeminizing of men’s spirits as well as corrupting and reducing
youth to a delicious and lascivious life? Whence, as Signor Ottaviano so well
says, it comes about that the effect of all this is that the Italian name is
reduced to opprobrium, and one cannot find a man who dares, I will not say die,
but even to risk any danger. And all of this is the cause of women.
(Translation mine) Non credete voi che li giovani facessero opera più laudevole,
se attendessero all’arme per difender le patrie e l’onor loro e la dignità de
Italia, che andar con le zazare ben pettinate, profumati, passeggiando tutto dì
per le contrade, con gli occhi alle finestre senza pensare cosa alcuna di
quelle che più gl’importano? e queste imprese e motti et attillature insomma a
che servano altro che a vanità e leggiereze? e danzare e ballare e mascare e
giuochi e musiche e tai cose, fatte con tanta diligenzia e che voi tanto
laudate, infine che partoriscono altro che effeminare gli animi, corrompere la
gioventù e ridurla a vita deliziosa e lascivissma? Onde, come ben talor dice el
signor Ottaviano, ne nascono poi questi effetti che il nome italiano è ridutto
in obrobrio, né si truova uomo che osi non dirò morire, ma purentrare in un
pericolo. E di tutto questo sono causa le donne. The manuscript passage, like
that of the final 1528 version of the Courtier quoted earlier, tells us that
men’s dancing, games, music, and elegance of dress are dangerous to Italian
sovereignty. However, there are important differences between these two textual
examples. In the seconda redazione, dressing and music, etc. are presented as
the vices specific to young lovers. This characterization of lovers fits
clearly within Gasparo’s stated distaste for any action that involves the
courtship of women. Additionally, Gasparo explains the relationship between
warfare andeffeminate behaviors in simple terms of time allocation; men should
choose to spend time fighting to “defend their homelands,” but instead they
focus on love. Thus, when he states that dancing, masquerades, and games
effeminize men’s spirits, it follows that this causal effect is at least in
part due to the fact that men are busied with these activities and not
fighting. When the author adapted the passage for the final version, he changed
not the effeminizing practices but the cast of the shameful men, and he removed
the phrase that explains that these practices simply took up too much of the
courtiers’ time. In Courtier Book Four, the list of mottoes, devices, dancing,
and dress are not described as what courtiers do to woo women, but rather, they
are general courtly practices. Indeed, Ottaviano mentions the previous
evenings’ discussions and takes aims at these activities and practices that are
described by Ludovico and Fregoso in Books One and Two.49 These courtly
practices were not performed to attract only the attention of women, but also
(and primarily) of men; in particular, these practices attracted the attention
of other courtiers and, most importantly, the prince. What Ottaviano offers his
peers is the chance to reclaim a masculinity of purpose, even while operating
in a gender paradox where dress and acts necessarily effeminized the men who
pursued this purpose. Ottaviano reclaimed courtly masculinity by denigrating
the necessary courtly practices and dress that enabled the courtier to pursue
virtue. His accusatory rhetoric allows the disempowered male to assert
masculinity even in the performance of dependency. Castiglione’s book enacted
the same performance as Ottaviano’s utterance; the book as a whole takes aim at
dress as effeminizing while explaining that such dress typified the ideal,
masculine, and virtuous courtier. These accusations of the practices of men
also served the larger function of the Courtier’s normativizing project, where
the “few men” who were responsible for the shame of Italy might be refashioned
into warrior heroes. The nagging question is just how aesthetics figured into
this degradation of Italy. It is doubtful that Castiglione (or any other
Renaissance writer) would suggest that changing one’s ruff les and sleeves
would be the key to defeating the French or the Habsburg empire, but why, then,
we should ask, did writers frame military defeat in terms of silks and ruff
les? It would seem that we still have much to learn about how aesthetics and
militarism functioned in the Renaissance projects of social control.Notes 1
Corio, Storia di Milano, 2: 1398–99: “il duca se misse una corazina, quale cavò
dicendo parebbe troppo grosso, puoi se vestì una veste di raso cremesino
fodrata di sibelline e cinto con uno cordono di seta morella la biretta.” 2
McCall, “Brilliant Bodies,” 472. 3 Varchi, Storia Fiorentina, Vol. 3, Book 15,
186. 4 Currie, Fashion, Introduction. 5 See, for example, Simons,
“Homosociality and Erotics,” Currie, Fashion, Biow, On the Importance, and
Eisenbichler, “Bronzino’s Portrait.” 6 Paulicelli, Writing Fashion, 3. On
masculinity and dress in the Courtier see Quondam, Tutti i colori and Currie,
Fashion.7 All Italian quotes of the Cortegiano are from the Garzanti edition.
All English quotes are from the Javitch edition (2002) of the Singleton
translation. 8 Najemy, “Arms and Letters.” The hierarchy of arms is challenged
by Ludovico himself, who states that letters are the “true and principal”
adornment of the courtier. Moreover, Bembo argues that arms are actually the
adornment of letters; see ibid., 211. 9 Castiglione’s references to France
change from manuscript to print edition. In one of the earliest manuscript
editions of the book, he calls those who do not appreciate letters, barbari.
Pugliese, “The French Factor.” 10 For a discussion of Machiavelli’s position on
arms and letters see Najemy, “Arms and Letters,” 207–08. For a later discussion
on the danger of letters to arms see Stefano Guazzo’s “Del paragone dell’arme
et delle lettere” in which an interlocutor suggests that some people fear that
letters “si snervassero gli huomini Martiali,” Stefano Guazzo, Dialoghi
piacevoli (Piacenza: Pietro Tini, 1587), 167. 11 See Albury, Castiglione’s
Allegory, 65. 12 Ludovico is here discussing the influence of literature on war
rather than the study of combat manuals. On Urbino’s master at arms, Piero
Monte, who published the “first significant combat manual ever to be printed,”
see Anglo, The Martial Arts, 133. 13 My reading on this passage differs from
Najemy’s, which argues that Ottaviano, in Book Four, implicates the courtiers
as the few bad men, responsible for Italy’s decline. 14 In Book One, Gasparo states
that music and other “vanities” “effeminar gli animi” of men. Quondam’s
published edition of Manuscript (L) Biblioteca Medicea Laurenziana,
Ashburnhamiano 409 shows that Castiglione originally phrased his concerns
differently, without using the word “effeminize”: “e cosi fatte illecebre
enervare gli animi.” Quondam, Il libro del Cortegiano. 15 On hegemonic
masculinity, see Connell, Masculinities, 77. 16 Although warfare is typically
shown to be endangered by courtly behaviors, there are some moments in which
the court is shown to be negatively affected by the presence of warriors; see
Book I.17. 17 Newton, Fashion, 1–5; Blanc, “From Battlefield to Court.” 18 On
effeminacy in the Courtier see Milligan, “The Politics of Effeminacy.” On
effeminacy in the study of pre-modern texts, see Halperin, “How to Do.” 19
Williams, Roman Homosexuality, 125–58. 20 Olson, Masculinity and Dress; see
chapter four in particular. 21 See Blanc, “From Battlefield to Court” for a
discussion about several fourteenth-century chronicles that blame a sudden
change in dress for battles and plague. See also Muzzarelli, Breve storia;
Mosher Stuard, Gilding the Market; Sebregondi, “Clothes and Teenagers”;
Muzzarelli, Guardaroba Medievale. 22 Francesco Pontano, along with his brother Ludovico
Pontano, was a professor at the university of Siena. On Francesco Pontano see
Marletta, “L’umanista Francesco Pontano.” 23 “Il quale tanto più è vituperoso
in loro in quanto debbono in tutto essere rimoti da ogni vano e superfluo
ornamento, s’eglino debbono e vogliono esser detti veri maschi.” Pontano,
“Dello integro e perfetto stato,” 22. All translations are mine unless
otherwise noted. 24 “Li quali non minor tempo e industria mettono raschiamenti
di coteche e scialbamenti di gote e di collo e de’ vari pelatogi e
scorticatogi, e di bionde e d’acque sublimate e stillate, che si facciano le
femine.” Ibid. 25 “Talché oggidì l’uomo che fu fatto presso che pari agli
angeli ’e di sotto a’ porci e a qualunque altro sporco e vile animale.” Ibid.
On dress and gender confusion in early modern England see the essays by Epstein
and Straub, Body Guards. 26 See Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” which
shows how preachers such as San Bernardino da Siena complained about the erotic
elements of tight hose and short doublets. Ibid., 31 cites Sermon 37 of
Prediche di San Bernardino vol. 3. 27 Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” 36.
28 Not all writers condemned male dress. Leonardo Fiorivanti states that the
only way to make this “miserable world” better is to dress well and eat well,
and that young men dress extravagantly and then change their dress when they
reach the age to marry and have children. Fiorivanti, Dello specchio, Book I,
chapter 9, 27. On the other hand, Anton Francesco Doni (1513–74) and Scipione
Ammirato (1531–1601) both criticize military failings while discussing men’s
dress and aesthetics. In language that is contrary to modern notions of
military discipline, writers such as Pio De Rossi (1581–1667) suggested that
the most courageous warriors were slovenly, dirty, and untidy. De Rossi,
Convito morale, 42. On Rossi see Biondi, “Il Convito.” This mechanism functions
similarly to the “hypocritical rhetoric of self-censorship” identified by Carla
Freccero in that an utterance pretends to do one thing while performing a
different function. Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. On scholarly
interpretations of sprezzatura see Javitch; Rebhorn, Courtly Performances; and
Berger Jr., The Absence of Grace. On the “more compelling figure” see Rebhorn,
Courtly Performances, 38; on the virility of sprezzatura see Berger, Absence of
Grace, 11. I borrow the term “manly masquerade” from Finucci, The Manly
Masquerade. How Renaissance writers characterized the pre-dressed (naked) man
as masculine or effeminate is discussed by Paulicelli, Writing Fashion, ch. 3.
According to Berger, Castiglione casts an idyllic, unreal version of Urbino.
Berger describes how Castiglione discloses to the reader his process of casting
Urbino as unreal in a “metapastoral” gesture Berger, Absence of Grace, 119–78.
On this passage see Quondam, Questo povero cortegiano and Milligan, “The
Politics of Effeminacy.” See Currie, Fashion; Paulicelli, Writing Fashion. On
Classical examples see Williams, Roman Homosexuality. Castiglione himself cites
an ancient anecdote of Darius III, King of Persia (336–330 b.c.), told by Q.
Curtius Rufus, Historiorum Alexandri Magni III, 6. For Renaissance examples see
Lando, Brieve essortatione, which states that the Syrians have dominated the
Italians through their perfumes, and Lampugagni claims that Italians follow
French fashions like monkeys, Della carrozza da nolo. Lampugnani also complains
of women who seek to “dis-Italianize” themselves by adopting foreign fashions.
De Leon, Discorsi novi, published in Spanish in 1605. “E, quando in Italia
cominciarono a vestirsi all’usanza di Francia, molti ciò mirando con prudenza
temerono, che i Francesi havessero a mal trattargli; e non s’ingannò l’anima
loro, come fra pochi giorni mostrò il successo. Di modo che la natione, che
lascia la sua foggia di vestito antica, e naturale per imitare quella de’ Regni
stranieri, ben può temere, che Dio non la castighi con guerre, persecutione,
rubamenti, e mali trattamenti che le faranno fatti da coloro, i cui habiti ella
va imitando,” 628. Cox, The Renaissance Dialogue, 54. On Ottaviano’s
interjection see Rebhorn, Courtly Performances, Albury, Castiglione’s Allegory,
and Quondam, Questo povero cortegiano. Berger does not characterize courtliness
as weak or effeminizing; he instead states that the successful performance of
sprezzatura demonstrates a certain virile mastery. Berger, Absence of Grace,
1–12. In his “Education of Boys” Aeneas Silvio Piccolomini suggests that
clothing can make boys soft and effeminate. He particularly warns against
feathers and silk. Piccolomini, “The Education of Boys,” 71. Basilio Ponce de
Leon, Discorsi (Italian Translation 1614) suggests that clothing makes spirits
effeminate and soft “Legislatori antichi giudicarono così (e la isperienza lo
insegna) che non tanta delicatezza di vestiti si assottigliano gli animi, e di
virile, e forti divengono bassi effeminate e molli,” 626. Some assert that
Ottaviano’s response might be due to his “republican” leanings. This seems to
be overstated given that Ottaviano was the nephew of Guidobaldo de Montefeltro,
spent much of his childhood at the Urbino court, and was himself a prince of
Sant’Agata Feltria. In response to how a courtier should dress, Federico
responds “Voi lasciate una sorte de abiti che se usa, e pur non si contengano
tra alcuni di questi che voi avete ricordati, e sono quegli del signor
Ottaviano.” Castiglione, Seconda redazione, II.26, 110.46 See, for example,
letters 29 and 30. Castiglione, Le lettere, Ottaviano’s censoring of courtly
dress follows Carla Freccero’s analysis of “’hypocritical’ rhetoric of
self-censorship,” in that it is as much about establishing identity groups as
it is about a sincere rebuke of argument. Freccero, “Politics and Aesthetics,”
271. 48 For a useful review of the manuscript revisions to the text, see
Pugliese, Castiglione’s “The Book of the Courtier”, 15–24. 49 “Estimo io
adunque che ’l cortegiano perfetto di quel modo che descritto l’hanno il conte
Ludovico e messer Federico, possa esser veramente bona cosa e degna di laude; non
però simplicemente né per sé, ma per rispetto del fine al quale po essere
indirizzato” (4.4) Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Nicola Longo,
367.Bibliography Albury, W.R. Castiglione’s Allegory: Veiled Policy in the ‘The
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Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity. Oxford: Oxford University
Press, How the sausage and carne battled for gastronomic and social prestige in
Renaissance literature and culture Laura GiannettiIn Girolamo Parabosco’s
comedy La fantesca (published in 1556) the sexual activities of a maid, the
young cross-dressed Pandolfo who impregnated his young lover Giacinta, were humorously
referred to with a culinary metaphor, that of inserting meat in the oven:
People, the female servant has become a male in two houses at once as you have
seen. And she has shown that she is a better cook than a housekeeper, because
she knew better how to put the meat (carne) in the oven than make beds or sweep
the house. (V, c. 94)1 The Italian word carne with its multiple meanings of
meat, f lesh, and the masculine sexual organ commonly served as a tool for
clever word play in Italian literature from the Decameron to the Canti
carnascialeschi and enjoyed a renaissance of its own in sixteenth-century comic
prose, poetry, letters, and everyday language.2 The early modern dietary corpus
reinforced the religious association between eating meat, gluttony, and lust.
All nutritious food, in particular meat, created more blood than needed by the
body; therefore the surplus translated into an extra production of sperm, which
in turn fueled the sex drive.3 A traditional view of the link between gluttony
and lust holds that biblical accounts of the Fall considered gluttony the
opening door to lust, although the Garden of Eden’s transgression consisted in
eating the forbidden fruit, a fig or an apple according to different versions,
and not eating immoderately. Many medieval theologians and then Pope Gregory
the Great, a medieval doctor of the Church, defined gluttony mainly as a desire
to stimulate the palate with delicacies, while also exceeding what was
considered necessary for basic nourishment and health.4 But then he drew a more
precise connection between the two sins and differentorgans of the body: “when
the first (stomach) fills up excessively, inevitably, the other are also
excited to sin.”5 Gluttony excites the senses and therefore can carry the sinner
to sins of the f lesh. In Dante’s Inferno, and following Aristotle’s
Nicomachean Ethics, incontinence (of desire) was the link between gluttony and
lust. Paolo and Francesca in Canto V are among the “peccator carnali, / che la
ragion sommettono al talento” [Inf. 5.38–39]). Although for Dante gluttony was
a sin worse than lust, the common vision at his time was that eating
immoderately and lusting were both sins of carne, the f lesh.6 If early
theologians’ readings discussed gluttony without referring to a particular
food, it was meat that later became the preferred target of moralists and came
to be associated with ideas of lasciviousness and lust. Traditionally, animals
such as the boar, pig, wolf, and/or ape in late medieval and early Renaissance
visual and prescriptive sources represented luxuria7 and gluttony, as
inextricably and negatively bonded together.8 Sixteenth-century prints,
paintings, broadsheets, and emblem books kept those associations alive in
society and culture even as the associations between those animals and gluttony
or voracity often surpassed their association with luxuria.9 Sins of the f lesh
were often symbolized as sins of carne in the sense of meat.10 But before
delving into the imaginative perceptions and symbolism attributed to meat-eating
it is advisable to recall brief ly what the lived practice and experience of
consuming meat in medieval and Renaissance Italy involved. Symbol of power and
violence, masculinity and aggressive sexuality, luxury and abundance, meat was
often associated with the aristocracy and its lifestyle.11 As Massimo Montanari
and Alberto Capatti have shown, in the Middle Ages the noble table first saw a
triumph of big game gained through hunting but later the preference was
directed more toward smaller game such as pheasants, quails, and/or farmed
animals, like geese and capons. The new court nobility of the twelfth century
no longer identified with the warriors’ taste for big, bloody game.12 Gross and
nutritious meat was now left to peasants, usually in the form of pork. City
dwellers also enjoyed the meat of the pig in the form of sausages but strove to
differentiate themselves from the rural inhabitants by buying and eating veal,
beef, and small birds. Although Fernand Braudel famously called “carnivore” the
period in Europe between 1350 and 1550,13 Italians of the period had other food
resources and could not, and often did not care to eat meat every day.
Nonetheless, eating meat, and especially good meat, remained an indicator of
social elevation and offered the promise of good health. The preference of the
new court nobility for small birds and farmed animals received the approval of
contemporary doctors, who exalted birds as a source of exceptional nutritional
value, with the caveat that it was best suited to an aristocratic diet.14 It
was not just the symbolic and nutritional value that was considered important;
in dietetic tracts partridges and quails excelled also for their delicate taste
and their lightness. But not all agreed. Vatican librarian and gastronome
Platina (1421–81) was more open to the pleasures of eating a much wider range
of meats, demonstrating more catholic tastes. His De Honesta Voluptate et
Valetudine(first Italian edition 1487) is full of numerous recipes that
included poultry, organ meats, fowl, pork, and sausages. Still much like many
doctors, cooks, and courts stewards, he agreed that meat in general was a food
healthier than others and had an elevated nutritional value.15 The reputation
of meat as a primary source of nourishment and good health continued in the
sixteenth century, and was particularly strong among surgeons, medical
practitioners, and professors of “secrets.” A Spanish “surgeon and empirical
doctor”16 who lived in Rome, Giovan Battista Zapata (ca. 1520–86), claimed that
all meat products sustained good health, as long as they were roasted with a
rosemary oil and a mixture of other herbs and spices, and were accompanied by
good wine.17 Zefiriele Tommaso Bovio (1521–1609)—a Veronese nobleman and lawyer
who later became a medical practitioner—wrote a treatise at the end of the
sixteenth century against the “medici rationali ” who wanted to impose a strict
meatless diet on sick people. He claimed that doctors knew that eating good
meat and drinking wine had the power to restore health but kept the secret to
themselves for fear of losing fees from patients who recovered from illness and
stayed healthy eating meat.18 The nutritional value of meat was thought to rest
on the idea that meat could transform into the substance, the very carne, of
the human body. The steward Domenico Romoli affirmed in his cooking manual that
those who invented the eating of meat did it both for taste but especially for
health reasons: they knew that “more than any other food, it is meat (carne)
that makes f lesh (carne).”19 In his view eating meat meant literally giving
nutriment to human f lesh.20 Renouncing meat, however, was a crucial
requirement for early Christian hermits and monks. It represented unequivocally
the mortification of the f lesh and contempt for the body, although numerous
sources show that meat-eating in many monasteries was fairly normal. In
general, the suspicion of meat running through Christian texts in the period
appeared to be based on an association of the eating of meat with fears of the
f lesh and sexual incontinence. San Bernardino’s preaching in the fifteenth
century aggressively linked meat consumption with unruly sexuality and was
particularly severe on policing widows and youths’ eating practices. He
represented the extreme side of a widespread religious censure of culinary
pleasures and the sense of taste, emphasizing the presumed dangers of uniting
desire for meat and unruly sexuality.21 Outside of the monastic world,
religious proscriptions on food dictated that for periods of fasting, such as
Lent, abstinence from animal f lesh, meat, poultry, and eggs, was mandatory to
mortify the body and its appetites. And Lent was not just the forty days that
followed Carnival; every Friday and many vigils during the year were Lenten
days when meat was proscribed as well.22 How much weight did this religious
censure or the ideology of the ascetic abstention from eating meat actually
have? Apparently not much in everyday life or culture. The desire for meat,
originally condemned as gluttony and a carnal practice that took one away from
the life of the spirit, was often identified in theliterary imagination with
positive expressions of sexual desire. The longstanding Christian prohibition
against eating meat associated gluttony and illicit sexuality, and the Galenic
dietary theory reinforced this, claiming that the body of the meat eater would
have a surplus of blood and thus an increased sex drive. Literary sources
valorized the gastronomic desirability and sexual powers promised by eating
meat. Slowly but surely the sexual/alimentary play on carne as food and f lesh,
positively portrayed in imaginative literature and culture of the sixteenth
century, battled successfully against earlier moralistic discourses insisting
on restraint of the body and its instincts.23 The emerging cultural war of the
period opposed a disciplining view of the body and posited the increasing
importance of pleasure and taste in both life and literature, with the
enjoyment of meat, carne and f lesh, at their very center.Appetite for meat in
literature Returning to the courtly taste for birds in the Renaissance, the
link between eating birds and the lustful consequences that followed was
visible in literary texts, fresco cycles, and dietary discourses, albeit with
different meanings. While Dantesque Inferno punishment scenes in late medieval
Italian dietary treatises and church fresco cycles dwelt on the negative
consequences of eating birds or eating too much meat, literary texts presented
a competing discourse. Giovanni Boccaccio’s Decameron, novelle collections such
as those by Niccolò Sacchetti (ca. 1332–1400), Giovanni Sercambi (1348–1424),
Anton Francesco Grazzini (1503– 84), and Niccolò Bandello (1485–1561), and many
satirical and licentious poems, all exploited the phallic meat metaphor to
elicit laughter as well as sexually allusive word-play.24 Boccaccio made clear
in his Conclusione to the Decameron that the obscene language he had used came
from everyday usage and included words from the culinary world: It is not more
shameful that I have written words that men and women spell out continuously
such as hole, peg, mortar, pestle, sausage, and mortadello. Dico che più non si
dee a me esser disdetto d’averle scritte che generalmente si disdica agli
uomini e alle donne di dir tutto dì foro e caviglia e mortaio e pestello e
salsiccia e mortadello. Many contemporary tales depict adulterous lovers or
lovers-to-be enjoying meals with game, fowl, and poultry in preparation for the
carnal pleasures to come. The “carne” metaphor to designate the male member had
a notable literary tradition. Giovanni Sercambi’s Novelliere (written ca.
1390–1402) presents many instances of the metaphorical/sexual use of the word
carne, in some cases distinguishing between “raw” and “cooked” meat to indicate
the male sexual organ and actual meat.25 In the novella “Frate Puccio e Madonna
Alisandra,” Pseudo-Sermini26 plays on the double meanings of food and sex and
the pleasureof tasting the meat and its f lavor.27 The metaphor of “fresh meat”
to indicate the male sexual organ continued unabated in the sixteenth century
as seen in a laughing novella by the Sienese Pietro Fortini (ca. 1500–ca. 1562)
where a lusty friar offers a pound of “carne fresca” for free to a young woman
with the excuse that religion does not let him enjoy meat that day. The novella
naturally ends with the friar being beaten by the woman’s husband and with the
laughter of the brigata listening to the story.28 The offer of an attractive
bird for a meal often opened the way to a carnal relationship. In one
sixteenth-century novella by Grazzini, the priest Agostino, enamored of his
parishioner Bartolomea, decided to entice her with the offer of a large and
plump duck. Bartolomea, who was a woman of “easy taste” (buona cucina), let him
inside her house and made love to him with the hope of gaining the duck. But
the early return of her husband allowed the priest to escape with his duck,
leaving her literally empty handed. Agostino bragged cleverly that she would
never find another duck, or another member, so large and plump. But, as often
happens in Italian novelle, women were cleverer than their lovers. Bartolomea
was no exception; when Agostino came back with a duck and two capons to make
peace and love again, she got her revenge. With the help of her husband she
beat him and sent him away barely able to walk, keeping the birds to enjoy with
her husband.29 In this novella, birds carried out their multiple roles: they
were an enticing and valued meat, able to stimulate the senses at many levels
but also able to transform gluttony and lust into laughter and pleasure. In
sixteenth-century comedies, birds such as partridges and pheasants could serve
as domestic aphrodisiacs, for both old men and young. In Donato Giannotti’s
comedy Il vecchio amoroso (written ca. 1533–36), old Teodoro, in love with the
young female slave his son has brought home from Sicily, organizes a banquet
where the food includes delicacies like fat capons, birds (starne), and
pigeons, served with wine and sweets, in order to prepare him for the rigors of
lovemaking.30 The meat of birds was believed to arouse lust because it was seen
as hot and moist; for this reason Messer Nicomaco, in the comedy Clizia, plans
to eat a half bloody pigeon before his night of love with the young Clizia.
Perhaps because of this popular belief, or perhaps because it was the most
prized and elegant type of meat, Pietro Aretino, in one of his letters from
Venice in 1547, invites the painter Titian to a dinner at his house with a
famous courtesan, Angela Zaffetta, promising that the main dish to be served
would be roasted pheasants.31 Adulterous lovers with their lascivious dinners
were the protagonists of a great number of plays and novella. Some specific
language used in sixteenthcentury poetry, dialogues, and comedies also
suggested that the desire for meat was closely connected to the practice of
sodomy.32 A type of meat that was used euphemistically to signify sodomy,
either with men or women, was the young male goat or “capretto.” Pietro Aretino
in his Ragionamento (1534) used the masculine gender and the diminutive form of
“capretto” to indicate the act of sodomy with a nun, in obvious contrast with
the word “capra,” the adult goat used to refer to vaginal sex. In describing a
moment at an orgy in a convent, Aretino exploited the culinary metaphor of meat
to its fullest: Tired, at the first morsel of the goat he asked for the young
goat . . . I tell [you] that as soon as he got it, he stuck inside
the meat knife and madly enjoyed seeing it in and out . . . stucco al
primo boccone della capra, dimandò il capretto [. . .] dico che
ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne,
godea come un pazzo del vederlo entrare e uscire. (Emphasis mine) 33 Matteo
Bandello similarly narrates a tale about Niccolò Porcellio, humanist, poet, and
historian at the court of Francesco Sforza in Milan, and well known for his
notorious passion for young boys. Bandello expresses Porcellio’s desire with
the culinary euphemism: he loved “la carne del capretto molto più che altro
cibo” (he always preferred the meat of the young male goat much more than any
other food). In his final confession, he justified his vice as the most natural
thing in the world because it corresponded to his natural taste, and it was a
“buon boccone”: Oh, oh, Reverend Father, you did not know how to interrogate
me. Playing with young boys is for me more natural than eating or drinking to a
man . . . go away as you do not know what a good morsel is . . .
oh, oh padre reverend, voi non mi sapeste interrogare. Il trastullarmi con i
fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar a il ber a l’uomo
. . . andate andate che voi non sapete che cosa sia un buon
boccone.34 Porcellio insisted that his sexual behavior—the preference for young
male goat meat—was as natural as it was natural to eat and drink for humans.
His narrator Bandello explained first that Porcellio was forced to marry by the
Duke in order to soften the opinion people had of him as someone who always preferred
“the meat of young goat.”35 The food metaphor, so widely employed in the
novella, was indeed perfect to address his sexual desire as a manifestation of
taste, which can vary according to different people. Contemporary literature of
the Land of Cockaigne included fantastic maps of Cuccagna [Cockaigne in Italy]
where meat, in all of its incarnations, for rich and for poor, was center
stage, while the theatrical Battaglia fra Quaresima e Carnevale regularly ended
with the victory of Carnival and meat eating.36 The carne of the lascivious
goat and luxurious hot birds were generally enjoyed by the rich. Yet it was the
meat of the more humble pig, in the form of sausages that became dominant in
sixteenth-century literature as a food easily conducive to sexual play,
gastronomical delights, and a festive world.The triumph of the sausage The
Allegory of Autumn by Niccolò Frangipane, a follower of Titian, is a remarkable
painting displaying a lascivious satyr who sticks one finger into a split melon
and with his other hand grabs a sausage on top of a table full of other autumn
produce. In the cultural imaginary and in the common understanding of the
period, that sausage in hand proclaimed with a perverse smile that it was known
as a type of meat that promised and was well suited for indulgence, alimentary
and sexual.37 The metaphorical use of the term “salsiccia” was not new. Many
tales in Sercambi’s Novelliere, fifteenth-century carnival songs, and humorous
and popular print allegories of Carnival used the same metaphor associating the
consumption of meat/sausages with the pleasures of the senses, especially
sexual pleasures. In one novella by Sercambi, a libidinous widow living with
her brother, who had not arranged for her to marry again, realizes that there is
a similarity between the sausages her brother brought home and the instrument
with which her dead husband had made her happy. She decides to satisfy “the
need she had of a man” using those sausages as an instrument of pleasure and
consumes them little by little until discovered by her brother. 38 A popular
sixteenth-century print studied by Sara Matthews-Grieco shows an old
lower-class woman selling a sausage during Carnival, just before the time of
Lent, when both meat and sexual intercourse will have to be forgotten. While
Sercambi’s humorous novella does not attack the widow, who is described as
young and naturally deprived of sexual pleasure, the prints and grotesque
portraits studied by Matthews-Grieco, more often cruelly satirize old
lower-class women desirous of sausages. 39 Pork occupied a particular cultural
space in the realm of meat of the time. Far from high-class birds, or
middle-class poultry and veal, the pork sausage was the food of the poor, the
peasant, or at best, the uneducated.40 Sausages, particularly pork sausages,
were a food appealing to taste but otherwise problematic as gross, humid, full
of fat, and unsuited to a delicate stomach—or so claimed several early modern
doctors and apothecaries. Humoral physiology dictated that the f lesh of a hot
and humid animal would be beneficial only to a person with a cold temperament
who needed to adjust his/her complexion: people with predominantly moist/hot
humors should therefore avoid pork.41 Practice was, however, more complex. Some
doctors associated with the Galenic revival of the fifteenth and sixteenth
centuries promoted the meat of pig as nutritious and easy to digest, although
more suited to physical workers. In fact, for all the undesirable
characteristics noted, the idea that pork was nourishing and healthful enjoyed
wide circulation in dietaries and medical treatises. From there, it was added
as a significant qualifier to the traditionally unfavorable descriptions of
pigs, and ultimately found its way into comic and burlesque literature, where
it merged with the well-established carnivalesque passion for fat meat and
gastronomical excess. The Galenic revival maintained descriptionsof pork as
gross and humid, but gave more positive press by affirming that it was a
nutritious meat. Indeed, despite these warring visions, the sausage and pork
continued to win their battles in both literature and life.42 Even with their
negative medical and social reputation, sausages had had their partisans in the
gastronomical world for at least two centuries. Platina provided a general and
expected warning against the meat of pork at the beginning of Book VI (“you
will find pork not healthful whatever way you cook it”) but then offered three
recipes for sausages, all derived from maestro Martino: pork liver sausages,
blood sausages, and the range of sausages known as the Lucanica.43 Platina was
more interested in showing how to cook and smoke the meat of pork than in
talking about social suitability. He included an elaborate recipe for roast
piglet stuffed with a mixture of herbs, garlic, cheese, and ground pepper,
beaten eggs, slowly cooked over a grill. At the end of this tempting recipe, he
added the usual medical advice: “The roast piglet is of poor and little
nourishment, digests slowly, and harms the stomach, head, eyes, and liver.”44
While the roast piglet was ostensibly not a fare suitable for higher classes,
Platina’s detailed recipe and the ingredients used meant that the medical
proscriptions against pork were losing ground to the culinary practices of
courts and an emerging gastronomical culture. In a similar way, Marsilio
Ficino, who considered pork a meat more suitable to laborers who already had
pig-like physical features, admitted that dressing pork with expensive and
luxurious spices could transform it into a valuable food.45 Significantly, in
this vein, a testimony by Cristofaro da Messisbugo (late
fifteenth-century–1548), steward at the court of the Este in Ferrara, showed
how dressing up pork and sausages elevated such meat above its common status as
a food prescribed for rustic people. Messisbugo’s cookbook, Banchetti,
composizioni di vivande et apparecchio generale (published in 1549), exalted
the famous “salama da sugo,” still today a renowned Ferrarese specialty. In his
recipe he explained how the less noble parts of pork were mixed together with
expensive spices such as cloves, nutmeg, and cinnamon to create a dish that the
Este family appreciated. Apparently, the salama was served especially at
wedding banquets because of the reputed aphrodisiacal quality of its spicy
sauce.46 Sex, pleasure, and taste were clearly winning battles for the
once-humble sausage. The salsiccia, fresh or cured, also took center stage
among a group of bawdy poems on fruit, vegetables, and other humble foods,
authored by three of the most representative poets writing in the bernesque
style, Anton Francesco Grazzini, Agnolo Firenzuola (1493–1543), and Mattio
Franzesi (ca. 1500–ca. 1555). Firenzuola composed a canzone, and Grazzini and
Franzesi capitoli, praising pork sausage for its alimentary and sexual
properties, and demonstrating its social primacy over “superior” foods such as
pheasants and capons. And, as if in a philosophical debate, these poems
regularly elicited long, scholarly, and often obscene prose comments. The
erotic allusions of their verses were clearly associated with the consumption
of meat during Carnival, suggesting both the literal consumption of carne as
meat and of carne as f lesh of a more sexual variety.47 As we have alreadyseen,
pig meat had a mixed reputation because it was considered dangerous on one hand
and nutritious on the other. Imaginative literature built upon medical and
gastronomical culture to produce a more complex vision that allowed
considerable room for ambiguity and ambivalence. Pork never entirely lost its
reputation for promoting debased gluttony and pig-like manners, but it also
gained a more positive reputation as a pleasurable food suitable for both
peasants and upper classes to enjoy, as these poems demonstrate.48 The “Canzone
del Firenzuola in lode della salsiccia,” written between 1534 and 1538 by the
Florentine poet and dramatist,49 boasts of the primacy of his writing on the
sausage and plays on the double erotic sense: “Since no fanciful poet / has
dared yet / to fill his gorge with the sausage” (“poi ch’alcun capriccioso /
anchor non è stato oso / de la salsiccia empirsi mai la gola”).50 He concludes with
an invocation to the canzone itself to go and tell the poets’ friends in
Florence the secrets of this most perfect food.51 Probably written in Rome
while he was a member of the academy known as the Virtuosi52 and followed by an
ironic prose commentary signed by a mysterious Grappa,53 the poem recognizes
its affiliation with the bernesque poets. Yet it humorously affirms that they
deserved an herb crown on their head because they lauded the oven, figs, and
“boiled chestnuts” but not the sausage, “the most perfect food.”54 Firenzuola
presented the pork sausage produced in Bologna as a food worthy of poets but
good also for rich priests and lords, learned men, and beautiful women. He
argued that it had a better reputation than the highest priced meat of the
time, veal. The poem blended sexual innuendos and gastronomical discussion in
its overtly simple description of how to make the sausage. And following the
bernesque tradition, it mocked doctors’ recommendations about when to eat
certain foods and reassured readers that the sausage “is good roasted and
boiled, for lunch or for dinner, before or after the meal”; all these prepositions
suggested different parts of the body and different types of sexual
intercourse.55 Firenzuola then adds what he labels a “beautiful secret”: never
use the sausage during the hot months of summer but wait until August has
passed. According to Aristotelian physiology, men who are already by nature hot
and dry are less potent in the summer when the excessive heat of the season
takes away their sexual force.56 Nonetheless, he argues that even old men who
have lost their heat can be young again thanks to the mighty sausage.57
Finally, and appropriately, for his reportedly polymorphous tastes, Firenzuola
concluded that one could make sausages with “every type of meat,” referring to
all possible sexual practices.58 The sausage’s morphology, then, links it to
the male member and to its features that could be seen both as gastronomic and
sexual: Sausages were ordered from above / to amuse those who were born into
the world / with that grease that often drips from them; and when they are
cooked and swelled / you can serve them in the round dish, although a few today
want them with the split bread. Fur le salsiccia ab aeterno ordinate / per
trastullar chi ne veniva al mondo / con quell’unto che cola da lor spesso; et
quando elle son cotte e rigonfiate, le si mettono in tavola nel tondo. / Altri
son, che le vogliono nel pan fesso, / ma rari il fanno adesso; / che il tondo
inver riesce più pulito, / né come il pan, succia l’untume tutto.59 When a
sausage is cooked and ready to serve, Firenzuola advised, it would be best to
display it on the table “nel tondo” (the round dish and, metaphorically, the
bottom) although others preferred it served with the “pan fesso” (split bread
or, metaphorically again, a woman’s genitals). But there are few who prefer the
latter today, Firenzuola added. As a Florentine, he prefers the domestic
Florentine sausage, large and firm, red and natural, and encased in clean skin.
The metaphors roasted or boiled and the adjectives “tondo” and “ fesso” (round
and split/foolish), refer to sodomitical and heterosexual encounters, while
also alluding to different gastronomical appetites. The poem concludes in an
ecumenical and procreative tone, affirming that the creation of sausages was
intended to give pleasure and utility to everyone, but in the end the good
sausages would always be the reason why men and women were born into this
world.60 Firenzuola’s poem affirms that while the sausage is for everybody and
every taste, gustatory and sexual, when served “after” and roasted it is good
only for upper classes. Like other bernesque poets, he seems eager to assign a
higher social status to this “popular” (and economic) food. In fact, usually it
was roasted fowl and roasted meat that was theoretically reserved for upper
classes. Since he is suggesting sodomy with the reference to roasted meat, that
sexual practice is seen as the nobler activity, although forbidden. Elevating a
lower-class food to a higher status was the perfect metaphor for speaking in
favor of sodomy and introducing social values along with the sexual. What
function did this type of poetic imagery serve in a period when sodomy was a
crime and even the depiction of non-sodomitical sexual acts in an artistic work
such as I Modi proved to be so controversial? It seems likely that images had
more power to move viewers than writings, but in an era of printing
reproduction, cheap copies of poetry, like the one produced in the Vignaiuoli
and Virtuosi circle, could circulate outside an intended audience of
intellectuals and fellow poets. It is therefore difficult to assess the impact
of these texts, but the humor and the metaphorical language dedicated to meat,
vegetables, and fruits may have helped allay the anxiety among authorities,
both religious and civic, about the diffusion and circulation of writings
exalting sodomy.61 The long Capitolo in lode della salsiccia by Anton Francesco
Grazzini, which is followed by an erudite and playful prose commentary by the
same author, extolled the sausage mainly from a gastronomical point of view,
humorously contrasting its attractions with moralizing medical lore, and
interweaving it once again with sexual innuendos.62 Presenting himself as a
knowledgeable gastronome, Grazzini also praised the primacy of the Florentine
sausage, superior to capons, partridges, and all the meat of birds, as well as
to highly prized fish such as lampreys and eels.63 After defining it as a meal
worthy of poets and emperors, and begging Greece and Rome to recognize the
superiority of the sausage made in Florence, Grazzini once again lauded its
colors and its appearance. In addition, much like the cookbooks of his day, he
listed its ingredients: well-ground lean meat and fat from the pig, salt and
pepper, cloves, cinnamon, oranges, and fennel, all stuffed in a case of animal
intestines.64 However, he clarified that his intent was not to explain how to
make it but to laud the sausage’s beauty, taste, and goodness. And citing the
process of stuffing, “imbudellar la carne,” Grazzini took the opportunity to
shift the poem from the culinary to the sexual. He saluted women who always
wanted to have their body full of sausages because they are good and
healthy—another battle won in the same sausage wars.65 The prose Comento sopra
il Capitolo della salsiccia di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio, also
authored by Grazzini, makes clear that although women love the sausage, the
double sense is again a reference to sodomy. The “buona carne,” well done, well
cut, and making a good show when displayed in the round dish, once again is a pretext
to laud the male bottom. Furthermore, the view of the tagliere wins over all
the other poetic images (including those taken from fragments of Petrarch’s
poems) such as eyes, hair, breasts, or feet of Beatrice and Laura.66 A long
section of the Comento on the gastronomical virtues of pork begins with a verse
from a sonnet by Petrarch dedicated to the name of Laura: “O d’ogni riverentia
et d’honor degna.” In this line he humorously shifts abruptly from Petrarch’s
words honoring his beloved Laura to the more mundane culinary and sexual
wonders of pork, the only meal worthy of poets and emperors.67 Even Petrarch’s
untouchable Laura takes her blows in the sausage wars. Throughout the long
prose comment on his own poem on the pork sausage, Grazzini attacked Petrarchan
poetry and current medical lore regarding sausages and pork’s meat. The playful
observations on the ability of the sausage to heal every illness—while
maintaining a sexual overtone—reads like a learned medical prescription listing
several herbs and substances used by apothecaries to prepare their confetti,
pills, and tonic drinks.68 Yet Grazzini also made the straightforward culinary
point that Florentine pork and lard, key ingredients in their sausages, were
exceptionally good for roasting and frying as well as the essential ingredient
for making the popular bread with lard called pan unto. The attraction to lard,
the white fat of pork, was echoed in a poem by the author and translator
Lodovico Dolce (1508–68), “Salva la verità, fra i decinove,”69 dedicated to a
gift of wild boar he had received from a friend. This wild pork is defined as
“a magnificent and regal gift” whose rich fatty f lavor “will make Abstinence
die of gluttony and Carnival lick his fingers.” 70 His enthusiasm for lard in
the poem leads to a dream where Dolce witnessed himself, in an Ovidian fashion,
metamorphosed into a succulent sausage, rich with fat dripping from the
extremities of his body.71 Dolce gave the transference theory of Renaissance
doctors a positive spin, since eating pork actually transformed him if not into
the animal itself, into its gastronomical essence and pleasure. Accordingly,
his poem exploited the common ideaof closeness and fratellanza between pigs and
humans in an iconic and paradoxical way that privileged the sausage.72 The
third poem on sausages was written by Mattio Franzesi who dedicated it to a
certain “Caino spenditore,” a friend presumably in charge of food provisioning
in Florence.73 Franzesi employs the language of gastronomy in an amusing pairing
with quotidian language referring to sodomy. The sausage is called “buon
boccon” (excellent morsel) and “boccon sì ghiotto and divino” when it is paired
again with the beloved specialty panunto, declared superior to two famous
upper-class foods, the impepato and marzipan.74 Franzesi, like Dolce, describes
the panunto or slices of bread with sausage inside as a divine and gluttonous
morsel, definitely superior to luxury foods like the beccafico, a fat and fresh
songbird.75 Moreover, the salsiccia does not cost much and can be used in many
different ways to sustain a meal: it can substitute for a salad (i.e., a
woman)76 and priests in particular use it often because they do not need to
cook it but can just warm it up between their hands. All the affirmations in
Franzesi’s poem can be read in a double sense, as gastronomical discussion or
as a metaphorical way of talking about the phallussausage and its pleasures. He
refers with technical precision to the gastronomical side of sausages, even
when metaphorically discussing sexual acts.77 The sausage is better than
prosciutto (both come from pork), when boiled (used with women), and is a good
meal for sauces and “guazzetti ” (sauces). Moreover, all the birds in the world
would be like truff les without pepper and confetti without sugar, if not
accompanied by sausages. A meal with sausages is a meal for taste and pleasure,
not a meal for nourishment. Franzesi then describes its shape, and how to make
a good-tasting, good-smelling sausage, using spices, herbs, and the unique
ingredient for Florentine sausages, fennel. The poem ends with a list comparing
the sausage in the panunto as equal to Florentine gastronomical specialties,
such as the ravigiuolo cheese with grape, cheese with pears, old wine with
stale bread, and others. Exalting a humble subject fitted well with the agenda
of the bernesque poetry that lauded simple foodstuffs and everyday objects. But
privileging sausages over songbirds was clearly not just a rhetorical ploy
because it implied a comparison between a food for rustic people and a luxury
food. Franzesi, like Grazzini before him, contributed in his poem to elevating
the social status of the pork sausage. It was not simply a food “da tinello,”
for poor courtiers used to eating the leftovers of their lord, but a meal
worthy of rich people and important prelates.78 In sum, poets, novellieri, and
dramatists from the fourteenth to the sixteenth centuries took full advantage
of the possibilities offered by the different meaning inherent in the word carne.
It allowed them to discuss virility, sexual potency, masculinity, and sodomy
under the guise of the gastronomical discourse. The sausage poems fit well with
the constant preoccupation and advice of medical and dietary literature of the
time on how to ensure sexual potency. The novelle discussed sexuality between
men and women, endorsing a decisively masculine and traditional view that
depicted women as lusty and desirous of raw carne,which is able to heal every
illness and satisfy every need. The poems on sausages confirm this hierarchical
vision of sexuality dominated by the mighty phallus. Yet they also endorse a
concept of diverse gastronomical taste, lesso and arrosto, nel tondo or nel
fesso, to offer a variety of views of sexuality that responded to every gusto.
These poems on sausages were written in the cultural circle of the Vignaiuoli
and Virtuosi academies, well known in the period for their substantial corpus
of poetry dedicated to the comparison of fruit and vegetables to sexual organs
and sexual acts. The not-so-covert sexual sense of most of those poems exalted
sodomy, in their praise of peaches or carrots, or sexuality with women in poems
on salads and figs. Poems on the mighty sausage covered all the bases of
sexuality, although with a preference, often openly stated, for male–male
sexuality. Intriguingly, the poetic and linguistic play on carne in the form of
sausage allowed lengthy descriptions of an Italian and Florentine gastronomic
specialty of the time, totally ignoring the negative vision of pigs as
gluttonous, dirty animals presented by dietary literature. Since gluttony was
the quintessential behavior represented by pigs, what better way to reclaim
pork in the sausage wars than to use it to symbolize gastronomical richness and
sexual variety? If sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in
medieval times, now in a perfect reversal the pleasures of the f lesh were
symbolized by the pleasures of eating meat in all of its variety, thanks in
part to these sausage wars. Thus, while a moral and disciplinary vision tried
to control the discourse on food and eating in medical and dietetic treatises
of the sixteenth century, a counter-argument advanced playfully in literature
and bernesque poetry presented carne as a metaphor for the pleasures of the
senses.79 The conceptual pairing of gluttony and lust in medieval tradition
began to lose ground to a much more complex world of food, taste, and pleasure,
and the no longer quite so humble sausage led the way.Notes I would like to thank
Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra for inviting me to contribute to this
volume in honor of Konrad Eisenbichler, a friend and scholar who always
supported my work and my career. The research and writing of this essay took
place when I was a fellow at the Institute for Historical Studies at the
University of Texas, Austin, in 2016–17. Some of the topics of this essay were
discussed at events at the University of Toronto in 2015 and University of
Melbourne in 2012. Belated thanks to Konrad Eisenbichler and Catherine Kovesi.
This essay is part of my forthcoming book Food Culture and the Literary
Imagination in Renaissance Italy. 1 Girolamo Parabosco, La fantesca, quoted in
Giannetti, Lelia’s Kiss, 143. 2 The popularity and frequency of the word carne
to indicate the male sexual organ was matched in Renaissance literature and
culture by the use of bird terminology to indicate the virile member as well
as, less frequently, the female organ and sexual intercourse. Allen Grieco has
recently catalogued and analyzed the numerous references to birds in imagery
and literary sources and has studied birds and fowl as food to understand the
connection between eating birds and fowl, and sexuality. He has uncovered the
widely shared humoral perception of birds as a “hot” food which tended to
over-stimulateThe sausage wars the senses. In this way he was able to give a
deeper explanation of the theological link between gluttony and lust typical of
the period, pointing out the reason why, in common perception, the consumption
of luxurious and heating food, especially birds, stimulated the sexual
function. According to the taxonomy of the Great Chain of Being, birds belonged
to air and they were hot and humid: when eaten they would transfer their
properties to the body and stimulate carnal appetite. See Grieco, “From
Roosters to Cocks.” Albala, Eating Right, 144–47. Quellier, Gola, 15–16. Cited
in Grieco, “From Roosters to Cocks,” 123. Much later, gluttony was defined as
the consumption of luxury foods, particularly birds. On Dante’s
conceptualization of sins see Barolini, Dante, chapter 4. The Latin word
“luxuria” meant extravagant/excessive desire (for power, food, sex, money,
etc.) and in the Italian form “lussuria” became the word for lust in medieval
Italy. In Inferno “lussuriosi” sinners are those who had excessive love of
others, thus diminishing their love for God. Gluttony is a sin of incontinence
like lust. In medieval bestiary and other iconographic sources especially north
of the Alps gluttony is often represented as a fat man holding a piece of meat
and a glass in his hands and riding a swine or a wolf. Quellier, Gola, 15–23.
For medieval bestiaries see chapter one in Cohen, Animals. In Italy church
frescoes represented gluttons in Hell suffering the tantalic punishment. At the
end of the sixteenth century, in the first edition of Cesare Ripa Iconologia
(without images) Gluttony (Gola) is described as “donna a sedere sopra un porco
perché i porchi sono golosi . . .” and Gourmandize (Crapula) is
identified with a “donna brutta grassa . . .” Iconologia, 111
and 54. This helps to explain, for instance, why the famed preacher San
Bernardino da Siena in his Lenten sermons in fifteenth-century Florence
condemned the desire of Florentine young men for capons and partridges,
claiming they opened the doors to a life of sensual foods and sensual pleasure.
In particular, he linked gluttony to lust and sodomy. Bernardino da Siena, Le
prediche volgari, ed. Ciro Cannarozzi (Pistoia: Tip. A. Pacinotti, 1934), II:
45–46, quoted in Vitullo, “Taste and Temptation,” 106. Montanari, “Peasants,”
179. Montanari and Capatti, La cucina italiana, 76–77. Pheasants and partridges
represented the ideal components of a refined and tasty banquet, possible only
for people with means. Braudel, Capitalism, 129. “Danno ottimo nutrimento,
risvegliano l’appetito, massime a’ convalescenti e sono cordiali. Nuocono a gli
infermi, e massime à quei che hanno la febre e fanno venir tisichi i villani.”
Residing on a high position on the Great Chain of Being, they represented
powerful people and, accordingly, were sternly cautioned against for rustic
people, to whom, according to Pisanelli, they could be dangerous. Pisanelli,
“De beccafichi, Cap. xxvi” in Trattato de’ cibi, 33. Similarly, pheasants and
partridges are responsible for provoking asthma in rustic people (Cap. xxvii
and xxix). In his work, Bartolommeo Sacchi, known as Platina, paid much
attention to the idealistic principle of moderation derived from the Greek and
Roman world, along with his interest in the revival of Epicureanism. Platina,
On Right Pleasure. Eamon, Science, 163. Giovan Battista Zapata, Li maravigliosi
secreti di medecina, et chirurgia, nuovamente ritrovati per guarire ogni sorta
d’infirmità, raccolti dalla prattica dell’eccellente medico e chirurgico Giovan
Battista Zapata da Gioseppe Scientia chirurgico suo discepolo (Venice: Pietro
Deuchino, 1586; 1st ed. Rome, 1577), 37–41, quoted in Scully, “Unholy Feast,”
85. Eamon, Science, 188. Bovio, Flagello. He gives the example of a doctor whose
wife was sick and how he cured her with a diet of French soup, capon, and wine
but could not apply the same treatment to his other patients in fear of losing
business; see 45–46. “più facilmente di carne si faccia carne che di qualunque
altra sorte di cibo.” Romoli, La singolare dottrina; “Delle carni in generale,”
205r. Domenico Romoli (n.d.) previously Laura Giannettiworked as a cook with
the name of Panunto (oiled bread) and then became steward for Pope Julius III.
For poor people and peasants in particular, pork continued to be the meat of
choice; and although it had a negative reputation, in the case of people
occupied in heavy physical work, pork was reputed nourishing and healthful.
Florentine communal statutes of 1322 prohibited innkeepers from serving up
culinary delights because they could attract men and boys and incite them to
commit the unspeakable sin of sodomy. Rocke, Forbidden Friendships, 159. During
Cosimo the Elder’s regime Florentine Archbishop St. Antonino—in his confessor’s
manual—warned against sloth, excess food, and drink as causes of sodomy.
Toscan, Le Carnaval, vol. I: 190. See Giannetti Ruggiero, “The Forbidden
Fruit,” especially pages 31–33. Later in the seventeenth and eighteenth
centuries the Church allowed consumption of eggs, butter, and cheese during
famines and epidemics. See Gentilcore, Food and Health. One of the most
important representatives of this tendency was the Venetian noble Alvise
Cornaro who wrote the extremely successful Trattato della vita sobria in 1558.
In general, moralists’ writers of the later Middle Ages and early Renaissance
continued to advise against eating food that would produce excessive heating of
the body. The dietetic literature, particularly the influential earlier author
Michele Savonarola and the later Baldassar Pisanelli, supported the restriction
of birds and fowl to particular categories of people held to be more capable of
controlling the passions they induced, such as the powerful and rich or those
needier of stimulation such as the sick and the ailing. Grieco, “From Roosters
to Cocks,” 115. See novella “De Novo Ludo” (Sercambi, Novelliere) available
online at www.classicitaliani. it/sercambi_novelle_08.htm where Ancroia enjoys
her time with the priest: “la donna, come vide Tomeo fuora uscito, preso un
fiasco del buon vino, una tovagliuola, alquanti pani e della carne cotta per
Tomeo, et al prete Frastaglia se n’andò e con lui si diè tutto il giorno
piacere, pascendosi di carne cruda e carne cotta per II bocche . . .”
Apostolo Zeno in the eighteenth century attributed the author name Gentile
Sermini to the two anonymous caudexes containing the novelle. Monica Marchi in
her critical edition of the novelle prefers to use Pseudo-Sermini instead of
the conventional name Gentile Sermini. See Marchi, “Introduzione,” in
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, 10–22. The novelle were written in the first
half of the fifteenth century. “[ . . . ] non altramente fece la
valente madonna Alisandra che, agustandole molto la carne e ‘l savore, per quello
dilettevole giardino, preso insieme d’acordo giornata . . .”
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, xi, 270. Fortini, Le giornate, I, xvi,
296–300. Grazzini (Il Lasca), Le Cene, I: vi, 80–94. Giannotti “Il vecchio
amoroso,” II: i, 40–41. On remedies for impotence, and early modern drama, see
Giannetti, “The Satyr.” “A Tiziano,” in Aretino, Lettere, 67–68. This section
is partially based on Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” 31–52. See
“Ragionamento Antonia e Nanna,” in Aretino, Sei giornate, 38. “The Roman Porcellio
Enjoys the Trick Played on the Friar in Confession,” in Bandello, Novelle, vi:
125. See the discussion of the tale in Giannetti, Lelia’s Kiss, 181–82. Ibid.,
181. On the battles between Quaresima and Carnival see Ciappelli, Carnevale.
Albala, Eating Right, 168 and 181. The painting is now in the Museo Civico of
Udine. Sercambi, “De vidua libidinosa” in “Appendice,” Novelle inedite, 417–18.
Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Several novelle, from Boccaccio to
Sacchetti, related the closeness in everyday life of pigs and humans in rural
and urban areas and the importance of pork for sustenance, but also the
negative perception of pigs and filthy and gross animals. For instance, see
Sacchetti LXX, CII, CXLVI, CCXIV. For Boccaccio see “Calandrino e il porco.”
Already in the Middle Ages, from the perspective of the Great Chain of Being,
pork and the quadrupeds occupied a questionable position—they were not part of
Air like birdsThe sausage wars nor of the Earth but somewhere in between; and
pig in particular occupied one of the lowest position among all quadrupeds.
Grieco, “Alimentazione e classi sociali,” 378–79. Pigs were voracious animals
and, according to the Galenic doctor, eating their fattening meat would
transform a person in a pig, as a later image of Gola as a woman sitting on a
pork would make really explicit. For instance, in the second half of the
sixteenth century, Baldassar Pisanelli advised eating sausages and salami in
moderation, but recognized in them some positive characteristics such as reawakening
of appetite and helping to make drinking more pleasurable. Pisanelli, Trattato
de’ cibi, c. 13. Platina, On Right Pleasure, Book VI, 281. Ibid., 277. Ficino,
Three Books on Life, Book 2, 181. See the section “Sausages and Salami”
in Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Pietro Aretino in his comedy Il
Filosofo summarizes well this new ambivalence about pork when he had one of his
characters resolutely affirm: “refined sugary confections (the biancomangiari)
and quails do not stimulate taste as do steaks and sausages.” Pietro Aretino,
Il Filosofo, III, 15. See the text in Romai, Plaisance, and Pignatti, eds.,
Ludi esegetici, 313–15. Firenzuola is also author of the famous dialogue On the
Beauty of Women. vv. 12–14. “Canzon, vanne in Fiorenza a quei poeti,” v. 76 The
Virtuosi academy was the continuation of the Vignaiuoli academy, one of the
first “academies” of sixteenth-century Italy, an informal gathering of
intellectuals that met for dinner, witty conversations, music, and poetry in
the early 1530s. Around 1535 or slightly later, the Vignaiuoli renamed
themselves Academia della Virtù and/or Reame della Virtù and continued their
activities until ca. 1540. Meetings, often held at Carnival time, featured
improvised speeches and the recitation of poems, frequently accompanied by
music. The Vignaiuoli was one of the first academies in Italy to privilege the
usage of vernacular and became most famous for the poetic production of
so-called “learned erotica,” as well as for their anti-Petrarchan and anti-classicist
poetic stance. Grappa, now identified with Francesco Beccuti, comments on
Firenzuola’s poem. See Grappa, Il Comento. On Beccuti see Fiorini Galassi
“Cicalamenti.” The allusion here is to the poem Sopra il forno by Giovanni
della Casa, De’ Fichi by Francesco Maria Molza, and In lode delle castagne by
Andrea Lori. All three are poems dedicated to the female genitals. “Mangiasi la
salsiccia innanzi et drieto / a pranso, a cena, o vuo’ a lesso o vuo’ arrosto /
arrosto et dietro è più da grandi assai; / innanzi et lessa, a dirti un bel
segreto / non l’usar mai fin che non passa Agosto.” vv. 30–35. “Perchè in
estate gli uomini sono meno capaci di fare l’amore, le donne invece lo sono di
più [. . .]? Perché gli uomini sono più inclini a fare l’amore
d’inverno, le donne in estate? Forse perché gli uomini sono di natura più caldi
e secchi [. . .]?” Aristotele, Problemi, ed. Maria Fernanda Ferrini
(Milan: Bompiani, 2000), IV, 25–28, quoted in Pignatti, ed., Ludi Esegetici II,
200. “O vecchi benedetti! / questo è quel cibo che vi fa tornare giovani e
lieti, et spesso ancho al zinnare” vv. 58–60. “Fassi buona salsiccia d’ogni
carne: /dicon l’istorie che d’un bel torello/dedalo salsicciaio già fece farla
/e a mona Pasife diè a mangiarne? Molti oggidí la fan con l’asinello
. . .” vv. 46–50. vv. 61–65. “Basta che i salsiccioli/cotti nei
bigonciuoli, / donne, dove voi fate i sanguinacci, / son cagion che degli
uomini si facci.” vv. 72–75. On the cultural function of humor see
Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages,” 37.62 For the text of the canzone, see
Grazzini, “In lode della salsiccia,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds.,
Ludi esegetici, 227–30. For Grazzini “Comento di maestro Nicchodemo dalla
Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del Lasca,” see ibid.,
231–309. There is no secure date regarding the writing of the Comento but it
should have been written around 1539–40. See Franco Pignatti, “Introduzione,”
in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 163. 63 Ibid., vv.
22–33. 64 Ibid., vv. 76–81. 65 Ibid., vv. 94–111. 66 “La bellezza del tagliere
non è come forse molti credono, e non consiste in l’esser bianco, non di buon
legno, non tondo, non ben fatto, ma si bene nell’essere pieno di buona carne
ben cotta e ben trinciata; . . . tolghinsi pur costoro i capelli di
fin oro, la fronte più del ciel serena, le stellanti ciglia . . .
come dire le Laure, le Beatrici, le Cintie e le Flore!” Grazzini, Comento di
Maestro, 240–41. 67 Sonetto n. 5 of Canzoniere on the name of Laura: “Quando io
movo i sospiri a chiamar voi” 68 “Perciò che quei traditori de’ medici la prima
cosa levono il porco e non vogliono a patto nessuno che n’habbia l’ammalato per
mantenergli bene il male addosso, sendo il porco e maggiormente la salsiccia,
habile e possente a guarir d’ogni malattia e più sana che la sena, più
necessaria che la cassia, più cordiale che il zucchero rosato, più ristorativa
che il manicristo, et insomma ha più virtù che la bettonica.” Grazzini, Comento
di Maestro, 280–81. The terzina commented is 103–05: “Io crederria d’ogni gran
mal guarire/ quando haver ne potessi un rocchio intero,/ancor ch’io fussi bello
e per morire.” 69 In Dolce, Capitoli. 70 “dono invero magnifico e reale,/da far
morir di gola l’astinenza/e leccarsi le dita a Carnevale.” Ibid., vv. 10–12. 71
“E chi m’avesse allora allora punto/aria veduto uscir liquor divino/del corpo,
ch’era pien di grasso e d’unto.” Ibid., vv. 43–45. 72 Some authors trying to
dignify pork, recycled Galen’s idea expressed in De alimentorum facultatibus where
he argued troublingly that pork was pleasurable because it was similar to
human’s flesh. For instance “Le carni del Porco fra tutte le altre carni dei
quadrupedi han vittorie in nutrire e dar più forza ai corpi perché cosi nel
gusto come nello odore par che habbiano una peculiar unione e fratellanza col
corpo umano si come da alcuni si è inteso che per non sapere hanno gustato la
carne dell’huomo” [For taste as well as for odor, it seems that the meat of
pork has a peculiar unity and likeness with the human body, as some reported,
who tasted human flesh while not knowing it] in Un breve e notabile trattato
del reggimento della sanità, ridotto dalla sostanza della medicina di Roberto
Groppetio 362–63 v. The little volume is attached to La singular dottrina. It
is not clear whether it was written by Panunto himself or not. For a similar
affirmation see also: Della natura et virtù de’ cibi, 68v. Not all agreed with
this troubling similarity but it was quite a common affirmation in many medical
treatises and in some literary works of the time. 73 In Romei, Plaisance, and
Pignatti, eds., Ludi esegetici, 316–18. 74 “Qui non è osso da buttare al cane,
/ e’l suo santo panunto è altra cosa/che lo impepato overo il mrzapane,” vv.
25–27. 75 “Dicon che la midolla del panunto,/incartocciata come un cialdoncino,
/ tal che di sopra e di sotto appaia l’unto, / è un boccon sì ghiotto e sì
divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e
grassellino,” vv. 38–42. It should be noted that even the luxury food, the
beccafico, had strong sexual overtones. 76 The cultural discourses that
surrounded salad in early modern Italy and Europe were complex and rich,
ranging from sexuality and manners, to taste, gastronomy, and class identity.
See Giannetti, “Renaissance Food-Fashioning.” org/uc/item/1n97s00d. 77 “è un boccon sì
ghiotto e sì divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco
e grassellino,” vv. 40–43. Franzesi, “Capitolo sopra la salsiccia,” 316–18.78
“Questo non è già pasto da tinello/ma da ricchi signori e gran prelati / che
volentieri si pascon del budello.” Ibid., vv. 79–81. 79 On the disciplining
vision of the sixteenth century and a counter-discourse in dramatic literature
see Giannetti, “Of Eels and Pears.”Bibliography Albala, Ken. Eating Right in Renaissance
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Lombard-Sienese painter Gianantonio Bazzi (1477– 1549) was publicly known as
“Il Sodoma.” This epithet translates as “Sodom,” the biblical city eponymous
with sexual transgressions that were then both a sin and a crime. Sodomy bracketed
multiple acts, but most commonly referred to love between men; so, his nickname
might be freely rendered as “Mr. Sodomite.” Our principal biographical source
is Giorgio Vasari, whose Vita of Bazzi (1568) recounts several revealing or
scandalous episodes. A few are exaggerated or false, skewed by Vasari’s disdain
for both homosexuality and Siena. However, his plausible explanation of how the
artist earned his sobriquet is not refuted by other evidence. Vasari describes
him as a gay and licentious man, keeping others entertained and amused with his
manner of living, which was far from creditable. . . . [S]ince he
always had about him boys and beardless youths, whom he loved more than was
decent, he acquired the by-name of Sodoma.1 While sources for private feelings
are scanty and often problematic for this period, and Sodoma left little
first-person testimony, this and other records suggest a prima facie case for
the artist’s erotic interest in other males. He is unique in Renaissance Italy
as the only artist whose homosexuality was frankly avowed and widely known. His
character and sexual interests offer a provocative case study of the
intersections between eros and creativity, and how that sensibility was
manifested in his imagery. His experiences further suggest that there were
overlapping audiences eager to receive and respond to that sensibility. Sodoma
exhibited other character traits also considered eccentric or insolent, and was
fond of capricious pranks; the monks at Monteoliveto Maggiore, his first large
commission, referred to him as “Il Mattaccio,” the “crazy fool.”2 Hewas an
impudent mocker of moral decorum: Vasari reports indignantly about the nickname
Sodoma that “in this name, far from taking umbrage or offence, he used to
glory, writing about it songs and verses in terza rima, and singing them to the
lute with no little facility.” He was also infamous for his f lamboyant
clothing and for keeping an entire menagerie in his home, including pet birds,
monkeys, squirrels, and race horses; Vasari called the house “Noah’s Ark.”3 He
entered his horses in public contests, and we can date his sobriquet back to a
series of races in Florence from 1513 to 1515. When his steed won, the heralds
asked what owner’s name to announce; Bazzi replied, “Sodoma, Sodoma,”
indicating that he was already known by that name and willing to be associated
with it. The incident also reveals the precarious social landscape that known
or suspected sodomites had to negotiate. Thumbing his nose at a mocking public
backfired: a group of outraged elders incited a mob attack, during which he
narrowly escaped being stoned to death.4 Anecdotes and documents
notwithstanding, historians have long tried, for widely differing reasons, to
chip away at the foundations of a historiographical tradition dating back to
Vasari himself. For it was Vasari, unwittingly anticipating modern queer
scholarship, who first understood Sodoma as having homosexual desires and
assumed some connection between his sexuality and his work.5 To the prudish chronicler,
that connection was negative: Vasari blamed Sodoma’s failure to achieve
greatness on his excesses of character, from laziness to carnality, scolding
that if he had worked harder, “he would not have been reduced to madness and
miserable want in old age at the end of his life, which was always eccentric
and beastly.”6 Value judgment aside, the assumption that artists’ personalities
and passions are intimately imbricated with their work runs throughout Vasari’s
biographies. Modern generations, beginning with the homophile Victorian
critic-historians John Addington Symonds and Walter Pater, acknowledged the
same connection with a positive valence, reading Sodoma’s androgynous figures
and distinctive iconography as revealing glimpses into the sensibilities of a
man aware of both his own desires and the gap separating that passion from
social norms. The path they laid down guided post-Stonewall gay studies through
the early 1980s.7 More recently, postmodern theoreticians, stressing the
ever-shifting social constructions of sexuality and identity, have countered
such attempts to posit any individual sexual identity or group homosexual
consciousness, however embryonic and sporadic, in that era. Their methodology,
inspired by scholars from Michel Foucault to Eve Sedgwick and David Halperin,
dismisses such formulations as anachronistic over-reading.8 The generational
shift in goals and methods, from “gay and lesbian studies” to “queer studies,”
instigated an ongoing debate. These theoretical polarities have implications
for the present study, which aims to excavate the embodied passions and
creative process of an individual who felt homosexual desire, and to
reconstruct, to whatever extent possible, an early moment in the gradual,
fitful emergence of self-aware homosexual sensibilities and
self-expression.Although I defer consideration of this theoretical controversy
until the essay’s end, my working hypothesis parallels the nuanced
historiography of Christopher Reed, who reminds us that, although readings of
Renaissance homosexuality as similar to modern conceptions were convincingly
challenged by Foucault’s insistence that [the modern] sexual typology was not
invented until the nineteenth century, [nevertheless] no idea is without roots,
and subsequent scholarship provided evidence that convinced even Foucault to
recognize stages in the eighteenth, the seventeenth, and even the sixteenth
century leading to the invention of homosexuality as a personality type.9 As a
personality, Sodoma was among the few early modern artists who visualized
homoerotic desire. This essay investigates that process along three intertwined
axes: life, work, and historiography. His biography provides a unique
microhistory of an early avowed homosexual and his culture’s understanding of
that inclination. His works gave visual expression to his erotic sensibility,
and contemporary patrons and spectators, from pederastic monks to libertine
aristocrats, were ready to receive it sympathetically. Finally, I conclude with
a more personal historiographical meditation on the controversy over whether
embryonic homosexual consciousness can be located in early modern culture.Early
religious works Arriving in Siena as a young man, Sodoma established relations
with the Chigi family and the Benedictine order, who commissioned numerous
works, mainly on sacred themes.10 Officially, since Christianity condemned all
non-procreative sex, theological narratives offered next to no scope for
“homo-representation”; but his religious pictures nonetheless provide material
for queer readings. If a subject contained any potential for imagining or
accentuating a homoerotic subtext, Sodoma exploited it more than any artist of
his time except Michelangelo (also a lover of men), seldom missing an
opportunity to foreground male beauty or intimacy in nude or suggestively clad
bodies. Many images celebrate the boyish, androgynous type that was the most
common object of adult male desire at the time, while a few idealize the more
heroic male adult body; he often derived both figure types from classical
sculptures with a homoerotic pedigree. And many members of the audience for his
imagery, both clerical and lay, were likely to appreciate this eroticized
beauty. The first example of the interlinked sensibilities of artist and spectators
is his fresco cycle for the abbey at Monteoliveto Maggiore, outside Siena
(1505–08), depicting the life of the order’s founder, St. Benedict.11 Payment
records confirm several Vasarian details about the artist, from his early
nickname, Mattaccio, to his use of apprentices ( garzoni ) and his fondness for
extravagant finery. Although the austere life of the founder of monasticism was
unpromising terrain,Sodoma found novel pretexts for inserting numerous visual
features—often rare or unique inventions—that would appeal to the homosexual or
bisexual gaze. Most striking in its novel and ironic departure from the
subject’s nominal moral is the illustration of Benedict seeking relief from a
female devil’s sexual temptation by stripping off his clothes and f linging
himself into spiny briar bushes12 (Figure 10.1). Unlike the few earlier
representations of this scene, Sodoma renders the vegetation soft and
unthreatening: rather than conveying mortification of the f lesh, he presents
in full frontal view a nude of heroic proportions, reclining comfortably in a
pose modeled on classical prototypes. The all’antica beauty of the body
displaces attention from the saint’s physical self-abnegation onto his
potential to arouse erotic desire—precisely what Benedict is trying to
suppress.13 The most personally revealing of the frescoes is the Miracle of the
Colander (Figure 10.2), in which the saint and his homespun miracle (repairing
a household sieve) are shunted to the left, leaving the central focus on the
figure of Sodoma himself, showing off his legendary wardrobe. His self-portrait
corroborates Vasari’s disdainful take on him as a fop, “caring for nothing so
earnestly as for dressing in pompous fashion, wearing doublets of brocade,
cloaks all adorned Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is
Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i
Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Gianantonio Bazzi, called “Il
Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8.Photo
credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource,
NY.with cloth of gold, the richest caps, necklaces, and other suchlike
fripperies only fit for clowns and charlatans.” Here, as elsewhere, Vasari
seems well informed about specific details of Sodoma’s life and work: his
comment is supported by the abbey account books, which describe a garment much
like the one Sodoma wears here, an embroidered gold cape listed among elaborate
items of apparel as a form of payment from the monks, who had received it from
a wealthy nobleman.14 The artist also surrounds himself with exotic animals,
just as Vasari noted he liked to do: birds and two pet badgers. Sodoma’s
sartorial tendencies and other biographical details connect him to a contemporaneous
homosexual demimonde in ways that Vasari himself was perhaps unaware of, but
which is well attested in social history of the period. His clothing, fondness
for androgynous youths, and writing of satirical poetry are all behaviors then
associated with sodomites as an identifiable group with its own recognizable
customs. Research by Michael Rocke, Guido Ruggiero, and others into the
prevalence of sodomy and the emergence of urban homosexual networks in early
modern Italy has revealed that they were so widespread they can scarcely be
called a “subculture.” As Rocke puts it, Bazzi’s brand of sexuality became “an
increasingly common feature of the public scene and the collective
mentality.”15 In Florence, a special sodomy court heard hundreds of casesannually
until 1502; a substantial percentage of males passed through at some time in
their lives.16 Hence “sodomy was . . . a common part of male
experience that had widespread social ramifications.” Rocke notes that “this
sexual practice was probably familiar at all levels of the social hierarchy”
and among a wide range of professions.17 Among those occupations are the
“beardless boys” whom Vasari blames for the artist’s nickname, probably his
apprentices and workshop assistants. Artists’ studios being all-male, “the
potential for homoerotic relations in such an environment was high,”18 and
intimate, sometimes sexual relations between assistants or models and their
masters are suggested by documents on artists from Donatello to Leonardo da
Vinci and Botticelli. Closer to Sodoma’s time, the bisexual sculptor Benvenuto
Cellini was taken to court by the mother of one apprentice for coercing him
sexually.19 This common social pattern gives Sodoma’s behavior wider
implications, since his actions were shared with countless other men. His
wardrobe is the clearest exemplar of those erotic implications. Helmut Puff has
documented the role of material culture in formulating and enacting sexual
subcultures, and how extravagant clothing was a marker of effeminacy and sexual
deviance. Exchange of rare and costly textiles or clothing could betoken
homosexual relationships, either as gifts for love or payment for services.20
By the mid-fifteenth century, San Bernardino da Siena’s sermons thundered
against boys’ receiving clothing and money for sex.21 Within the field of
costume studies, which asserts “the centrality of clothes as the material
establishers of identity itself,” clothing is understood as a set of
materialized symbols with social functions and meanings. As Jones and
Stallybrass have explored, clothes can either embody and reinforce submission
to normative social roles (uniforms) or, when deployed in violation of
sumptuary standards, mark the wearer as consciously rejecting those norms—as
Sodoma did by appropriating the dress of an aristocrat.22 Thus, portraying
himself in extravagant, coded finery was a subversive act of
self-identification with a marginalized minority: in Andrew Ladis’s phrase, “a
pose of arrant foppishness, as if the painter personified the very diabolical
temptations of the f lesh that he painted and lived, not excluding what was
commonly known as ‘the monastic vice’”23 —a revealing euphemism for sodomy. The
artist gives freest play to erotic signifiers in the scene of St. Benedict
welcoming two disciples, Saints Maurus and Placidus, amid the wealthy youths’
retinue and onlookers24 (Figure 10.3). While the disciples are modestly clothed
and posed, both the epicene youth on the center axis and the African groom at
right are shown da tergo, Italian for a rear view that spotlights the buttocks.
The central youth and his mirror image at far left are boyish androgynes,
embodying the predominant pattern of pederasty, in which mature men sought
stillfeminine adolescents for anal intercourse. Thus, some viewers, at least,
would have appreciated the erotic implications of the motif.25Gianantonio
Bazzi, called “Il Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts.
Maurus and Placidus, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e
le Attività Culturali/Art Resource, NY.Reinforcing this erotic interpretation,
the two youthful onlookers at center and left also sport versions of Sodoma’s
own elaborate clothing, as does the groom to the right of center. They f launt
the styles associated with homosexual seduction: tight multicolored stockings,
long hair, and extravagant fringes, hats, and colors.26 Such clothing had long
been associated with sodomites; Alainof Lille’s De planctu naturae (ca. 1160)
lamented that these men “over-feminise themselves with womanish adornments.”27
San Bernardino da Siena inveighed against parents who let their sons wear short
doublets and “stockings with a little piece in front and one in back, so that
they show a lot of f lesh for the sodomites,” resulting in such an appealing
adolescent always “having the sodomite on his tail.”28 These suggestive details
may have been projections of Sodoma’s erotic mindset, but it is highly likely
that they resonated with some of the monks who were his primary audience.
Shifting our focus from the artist, we should also examine the mental world of
his viewers. Reception theory or spectator theory asks not what did the artist
put into the work, but, rather, what did the audience take out of it? What
interests, beliefs, or habits of seeing did his audience have, and how did that
subject-position influence their reading of his messages? As Adrian Randolph
observed regarding the reception of Donatello’s homoerotic bronze David, an
artwork can function as “a receptacle for the beholder’s imaginative concerns.”
His and other studies have explored how reception of religious art was
determined by the viewers’ gender, particularly in convents, where nuns often
specified subjects relevant to their experience; these insights can be extended
to male religious and to sexuality as well as gender.29 Sodoma’s audience here
was exclusively male clergy, proverbially stereotyped as sodomitical.30
Temptations were exacerbated by the enforced closeness of clerical living
arrangements: several scenes depicting Benedict and his monks highlight their
day-to-day intimacies both emotional and physical.31 To head off such dangers,
the rules of the order specified that no brother is permitted to enter the cell
of another without permission of the abbot or a prior; if this is permitted,
they may not remain together in the cell with the door closed. And no monk may
touch another in any way . . . A light was to burn all night in the
dormitory area and latrine, presumably to prevent secret trysts under cover of darkness.32
Such precautions were not entirely effective, as a few visual examples attest.
A near-contemporary satirical painted plate depicts a monk pointing to a
youth’s bare bottom; the caption explains, “I am a monk, I act like a rabbit”
(Figure 10.4)—then, as now, a symbol of tireless sexuality, particularly
homosexuality.33 A Flemish print depicts a 1559 event in Bruges in which three
monks were burned at the stake for “sodomitical godlessness.”34 These starkly
contrasting examples dramatize the contradictory culture within the religious
world: male–male sex was acknowledged, though officially taboo and sometimes
severely punished, yet often tolerated and even laughed about. Outside
monastery walls, free from Church proscriptions, Sodoma found more overt
opportunities to celebrate such love. Majolica plate, attributed to Master
C.I., ca. 1510–20. Musée national de la Renaissance, Écouen, France.Photo
credit: ©RMN-Grand Palais/Art Resource, NY.Secular subjects Sodoma illustrated
secular subjects for private patrons and domestic settings. His most
career-boosting painting depicted the Roman heroine Lucretia, whose suicide to
preserve family honor after she was raped symbolized the ideal of married
women’s honorable chastity; gifted to Pope Leo X, it earned the artist a papal
knighthood.35 When the opportunity arose, however, as with sacred images,
hepaid unusual attention to the homoerotic elements of myth and history, which
offered explicit exemplars of male devotion and passion. And the audience for
his best-known classical project, a fresco cycle for the papal banker Agostino
Chigi, was the sophisticated, libertine Roman society who were as likely to
share his sexual interests and habits of spectatorship as were the monks at
Monteoliveto.36 In 1516–17, Chigi commissioned Sodoma to decorate the bedroom
of his villa, now called the Farnesina. The wealthy financier’s love nest,
shared with his mistress Francesca Ordeaschi, offers a revealing microcosm of
the hedonistic, tolerant atmosphere of High Renaissance Rome, where even popes
had mistresses and bastards, and humanist classical culture provided
justification for libertine bisexuality all’antica.37 Numerous rooms were
painted with erotic myths both heterosexual and homosexual.38 Given Chigi’s
personality and interests, Sodoma was a sympathetic addition to his creative
team. Although Sodoma married in 1510, his nickname was public knowledge by
1513, when he registered as “Sodoma” in a list of racehorse owners, and two
years later had the heralds call that name. After describing our artist’s
clothes, manners, and mocking spirit, including the racing incident, Vasari
reports that “in [these] things Agostino, who liked the man’s humour, found the
greatest amusement in the world.” The appreciative patron requested episodes from
the life of Alexander the Great, historically implied as bisexual.39 The
principal scene recreates a lost Greek painting of Alexander’s marriage to
Roxana, known through an ancient ekphrasis—a classicizing tribute to Chigi and
his beloved40 (Figure 10.5). The emperor proffers a marriage crown to the
princess, while putti cavort in playful eroticism. To the right stand two
idealized men: nude Hymen, god of marriage, and torch-bearing Hephaestion,
Alexander’s intimate companion and, in some accounts, lover. Both figures are
based on a well-known Greek statue, the Apollo Belvedere, depicting the most
vigorously bisexual of the gods.41 While principally a heterosexual scene,
then, the picture’s sub-theme is nude male beauty and the passion Hephaestion
represents. Sodoma’s audience was predisposed to appreciate this story’s erotic
duality. Many patrons and viewers had bisexual or homosexual desires; an
anecdote in Castiglione’s Book of the Courtier (ca. 1514) reports that “Rome
has as many sodomites as the meadows have lambs.” The erotic tone among these
clerics, aristocrats, artists, and writers was light-hearted; while sodomy was
outlawed, enforcement was spotty and penalties light.42 Eyewitness testimony
for “queer visuality” at the Farnesina comes from raunchy bisexual author
Pietro Aretino, who spent time there while Sodoma was painting. Aretino
recorded an ancient statue of a satyr chasing a boy, an explicit complement to
the loftier male love in Sodoma’s fresco. He wrote to Sodoma twenty-five years
later, expressing nostalgia for their shared youth, and wishing that “we were
embracing each other now with that warm feeling of love with which we used to
embrace when we were enjoying Agostino Chigi’s home so much.”43 One glimpses
the atmosphere of an affectionately demonstrative, pansexual pleasure-palace.
Like the life it looked out upon, Sodoma’s picture is a mélange of sexualities,
with intimacy between men given “equal time.”FIGURE 10.5 Sodoma, The Marriage
of Alexander and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19.Photo credit:
Scala/Art Resource, NY.Further evidence for the casual attitude toward
homosexuality—Sodoma’s in particular—is a set of epigrammatic couplets
published in 1517 by Eurialo d’Ascoli, a poet in the circles around Chigi,
Aretino, and Leo X, bluntly informing his readers that “Sodoma is a pederast.”
The poem celebrates Sodoma’s painting of Lucretia, which earned his knighthood;
only the final verses turn comic. Having praised the artist for verisimilitude
that brings Lucretia back from the dead, Eurialo imagines her interpreting this
miracle as an opportunity to convert the artist sexually. The narrator then
asks her his own facetious question, implying that as a sodomite the artist
would not normally be inspired by female subjects: Now beautiful Venus grants
me the nourishment of light breezes [i.e., earthly life], So that I can reclaim
you, Sodoma, from tender youths. Sodoma is a pederast; why then, Lucretia, did
he make you So lifelike? He has our buttocks instead of Ganymede. Nunc mihi
pulchra Venus tenui dat vescier aura, Ut revocem a teneris, Sodoma, te pueris.
Sodoma paedico est; cur te Lucretia vivam Fecit? Habet nostras pro Ganimede
nates.44Sodoma’s knighthood was cited by whitewashing early scholars as proof
that the artist could not have been homosexual, since such sins would have
disqualified him from religious honors.45 But here we see again how casually
this milieu treated sexual transgressions. The fabulously wealthy Chigi married
Ordeaschi in 1519, and Leo X—himself a reputed sodomite who, Vasari records,
“took pleasure in eccentric and light-hearted figures of fun such as [Sodoma]
was”— legitimized their four children.46 Worldly success was hardly evidence
against impropriety. Eurialo’s couplets recall Vasari’s statement about
Sodoma’s nickname that “he used to glory [in it], writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute.” As with clothing, Sodoma
was participating in another cultural tradition that linked artists, writers,
and readers of non-normative sexuality in a web of self-expression. Bawdy
burlesque poetry treated all sexuality with lighthearted comedy; Sodoma’s texts
have not survived, but we can garner some sense of their contents and tone from
verses by contemporaries. What Deborah Parker labels “a poetry of
transgression,” full of sexual innuendo and whimsical exaggeration, circulated
in manuscript, public readings, and print.47 The father of burlesque poetry,
Francesco Berni, was banished from Rome in 1523 for too openly mourning a young
male lover.48 The genre became popular among visual artists eager to establish
their intellectual credentials through writing, including such homosexuals or
bisexuals as Michelangelo, Bronzino, and Cellini.49 Sodoma’s personality chimed
perfectly with the genre’s subversive insolence. Bronzino’s capitolo “In Praise
of the Galleys,” for example, unashamedly eroticizes the all-male world of
oarsmen on ships, muscular and sweaty males confined in close quarters where
sex among themselves was the only outlet: here “boiled and roasted meats are
hardly ever mixed,” a common metaphor for vaginal (wet) versus anal (dry) sex.
Berni, expanding on the trope that priests are sodomites, declares that their
example is infecting monks, using a fruity symbol for boys’ buttocks: Peaches
were for a long time food for prelates, But since everyone likes a good meal,
Even friars, who fast and pray, Crave for peaches today. Le pesche eran già
cibo da prelati, Ma, perché ad ognun piace i buon bocconi, Voglion oggi le
pesche insin ai frati, Che fanno l’astinenzie e l’orazioni.50 The sardonic,
guilt-free humor of such texts suggests, as Domenico Zanrè describes, “a
marginal undercurrent operating within an official cultural environment,” and
demonstrates that “certain individuals were able to produce alternative
literary responses within a dominant . . . milieu that attempted to
contain and, insome cases, exclude them.”51 An incident around 1530
corroborates Sodoma’s own refusal to accept derogatory comments from authority:
when a Spanish soldier insulted him, the artist got revenge by drawing his
portrait and identifying him to his superiors.52 San Bernardino was furious
precisely because so many sodomites seemed unrepentant and unafraid of divine
judgment. What enraged him and Vasari was not these men’s behavior alone, but
the quality Italians call faccia tosta—“cheek” or “a big mouth”—refusal to give
even lip service to official mores.53 The burlesque mode evinces the first buds
of an oppositional response to social disapproval: a selfaware articulation of
outsider status, and an emerging rebellion against social convention that
opened a space, however narrow, for asserting alternative consciousness and
self-affirming values.54 Greco-Roman texts and images served Sodoma, like other
homosexual artists and patrons from Michelangelo to Caravaggio, as validation
for their all’antica desires and pretexts for visualizing male beauty and
eros.55 Within educated elites, a tolerant, classically inspired hedonism held
its own against legal and clerical taboos until late in Sodoma’s lifetime, when
the Council of Trent began its anticlassical reform (1545). In this libertine
culture, an artist widely known for sexual nonconformity was able to smilingly
adopt a derogatory nickname as a public identity and even f launt his sexual
interests in word and image, with little harm to his string of major
commissions and honors.Later religious works Sodoma’s late commissions were
predominantly religious. As at Monteoliveto, these images emphasize the erotic
appeal of figures who are nominally not sexual: saints, angels, and soldiers.
Whereas at the monastery it was possible to analyze the reactions of a specific
clerical audience, commissions for more public locations could be viewed by the
whole cross-section of society, some proportion of which, as outlined earlier,
would have understood and welcomed homoerotic allusion. As Patricia Simons has
explained, “Renaissance imagery might appear to condemn non-normative sex
. . ., but it was possible for viewers to take works in other,
imaginative directions.”56 Sodoma’s best-known work, depicting Saint Sebastian
(1525), epitomizes his typical traits: androgynous classicizing male beauty,
emotional pathos and sensuous chiaroscuro (Figure 10.6).57 Iconographically, it
offers a prime example of his sensitive antennae for elements of religious
narrative with specialized appeal. Sebastian was a Roman soldier who refused to
renounce Christianity, for which Emperor Diocletian, despite their intimate
personal relationship, ordered him shot by archers. Saint Ambrose’s hagiography
establishes their strong emotional bond, open to erotic interpretation: he
notes that Sebastian was “greatly loved” by Diocletian and his co-emperor
Maximian (intantum carus erat Imperitoribus).58 Sodoma paints a virtually nude,
Apollo-like Sebastian with blood trickling from several wounds. He looks
longingly at the angel bringing a martyr’s crown—his reward for loving
sacrifice to God—with an expression that could Sodoma, Saint Sebastian,
processional banner, Pitti Palace, Florence,1525. Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.equally connote divine or
earthly ecstasy. While his bond with the emperor offered a secular hint at
Sebastian’s sexual inclinations, the implied passion between Sebastian and the
godhead is a more important, and universal, emotional dynamic, with a profound
yet ambivalent homoerotic subtext. For all Christians, intense, loving union
with Christ was the ultimate spiritual goal; for men, however, exhortation to
the symbolically feminine ideal of passive, ecstatic submission to another male
raised the specter of sodomy. The phallic arrows piercing Sebastian evoke
sexual penetration, a symbol of the saint’s necessary, but problematic, feminization;59
they also recall Cupid’s love-inducing shafts, multiplying the signals for an
erotic response. Cinquecento image-makers were expected to encourage such a
passionate response because, as Simons observes in relation to Christ, for
Sebastian too “the visualization of supreme beauty was necessary in order to
induce reverence.”60 Theoretically, religious images could function on these
two levels simultaneously, without contradiction: the lure of physical beauty
would hopefully lead the viewer to a higher spiritual adoration. In practice,
however, it was difficult to police the borders between earthly and heavenly
passion. We know that Sebastian’s beauty was experienced as problematically
titillating by at least one sex: the Florentine artist-monk Fra Bartolommeo
painted a nude image of the saint so appealing that female parishioners
admitted in confession that it stimulated carnal thoughts, after which it was
taken down.61 It was just such temptations that the Council of Trent
acknowledged when it set out to purge church imagery of eroticism. So, it is
not difficult to imagine that men, as well as women, were attracted to Sodoma’s
provocative Sebastian in the physical sense.62 The “seeming contradictions of
deliberately evoking erotic desire in religious painting” have been parsed by
Jill Burke, who sees in this practice “a deep and knowing ambivalence toward
sexuality” that signals “a huge variance between official rhetoric and widely
accepted practice.”63 By including formal and iconographic cues to a homoerotic
response, Sodoma could appeal to men who, like himself, experienced love and
desire in male terms. Like extravagant dress and burlesque poetry, pictorial
ambiguity opened another narrow cultural space for expressing alternative
sexuality.Historiography: a modest proposal This essay has aimed to demonstrate
three propositions: that Sodoma was known for, and acknowledged, desire for
men; that his work evinces a distinctive mode of seeing and representing that
expresses that erotic inclination; and that contemporaneous audiences would
have appreciated that sensibility. As Ruggiero asserts, It is no longer
possible to ignore the general shared culture of the erotic and its
omnipresence in daily exchange, nor is it possible to overlook the particular
subcultures that coexisted at the time and that were such a central part of
daily life.64Without claiming anachronistically that this evidence establishes
anything so coherent and exclusive as a modern “gay identity,” I submit that
these emerging networks and customs, alongside visual and literary production
on homosexual themes, constitute early shoots of an alternative sexual
consciousness that would reach critical mass only during the Enlightenment. I
accept the historiographic formulation of the Renaissance as “early modern,”
which stresses continuities from that culture into the modern era, presupposing
a model of cultural change that is gradual and evolutionary rather than abrupt
and discontinuous. To quote Reed again, “If modern ideas of sexual identity and
artistic self-expression cannot be simply mapped onto the Renaissance
. . . it is nevertheless true that these notions have Renaissance
roots.”65 However, to seek the “roots” of anything “modern” in anything “past”
has become problematic since the advent of postmodern theory. There are now, as
Reed observes, “wildly varying interpretations of Renaissance art’s
relationship to homosexuality”66 —more broadly, of relationships among desire,
behavior, identity, and self-expression. To social constructionists, the search
for glimmers of an alternative, proto-modern awareness in Sodoma’s ambiente is
misguided. There can be no transhistorical connections between sexual actors in
different periods, because sexual identity is not innate or fixed; rather, it is
created through social discourses that define and control sexuality, an
unstable product of external forces acting on the passive individual. There
were no homosexual persons, only homosexual acts. Puff ’s formulation: “Sodomy
was not thought of as a lifelong orientation, let alone a social identity,” is
echoed by Reed’s: “[S]exual behavior in Renaissance Italy was not seen as a
basis for individual identity.”67 This school coined the term “essentialist” to
disparage earlier researchers who, from Symonds to John Boswell, saw sufficient
commonality with those in earlier times who desired other men to justify
searching the Middle Ages and Renaissance for branches of a sexual family tree
dating back before 1867 (when “homosexual” was coined). Without accepting all
the methodological baggage identified with an often over-simplified
“essentialism,” one can still maintain that someone calling himself “Mr.
Sodomite” seems a prime excavation site for evidence of such genealogical
links, since his name rendered his erotic proclivity a “lifelong social
identity.” Like a genetic mutation that may crop up in random individuals, and
only gradually spread across a species’ gene pool, Sodoma constituted an
irruption of anomalous possibilities that, while not yet fully articulated,
began to diffuse new forms of sexual identity and self-expression that
increased over the next several centuries. These methodological disagreements
center on two questions: one external and sociological, the cultural
categorization of homosexual behavior; the other internal and psychological,
the conscious experience of individuals who desired other men and their degree
of agency within a hostile official discourse. There was clearly a dominant
conceptual structure of canon and civil law that confined homosexuality to
taboo acts that might potentially tempt anyone, within whichour modern notion
of inherent sexual “orientations” was not officially recognized. Just as
clearly, however, no culture is monolithic, and a complex of alternatives
operated alongside these formal structures. As we have seen, the elements of
this quasi-underworld were in place by the sixteenth century: meeting places,
distinctive behaviors, and cultural expressions.68 As Ruggiero has outlined,
such “illicit worlds had their own coherent discourse,”69 which viewed
male–male sexuality as an amusing peccadillo; suggested that some individuals
were drawn to it by distinctive character traits; and expressed awareness of
(and resistance to) the gap between official values and their own experience.
The solution to this impasse lies in moving beyond an “either–or” cultural
analysis to a “both–and” approach. Instead of setting arbitrarily precise
boundaries to ever-shifting conceptions of sexuality, it would more accurately
ref lect Sodoma’s transitional environment to acknowledge the temporal
overlapping of contrasting systems of thought and behavior, and to explore the
realities of those who negotiated the dialectic between them. Two tendencies in
current scholarship, however, militate against such open-ended rapprochement.
The first is reluctance to accept evidence for alternative sexual
consciousness; the second is ascribing to cultural discourses an unrealistic
power over against embodied experience. What follows is part summary, part personal
statement: a roadmap out of an increasingly pointless stalemate, and a brief
for greater attention to the lived experience of men-who-had-sex-with-men and
its genealogical links to later generations. Two principal examples of the
discord over what “counts” as evidence of sexual desire and identity are the
tendency to downplay or deny evidence for Sodoma’s sexuality, and the disregard
of alternative language imputing distinct personality to sodomites. First, the
present examination of how Sodoma expressed his homoerotic desires depends on
establishing that his nickname was in fact a marker of his sexuality, which
raises the question: how reliable is Vasari? Unfortunately, as Paul Barolsky
notes, “How we read Vasari depends on our sensibility and taste. We all ride
our own hobbyhorses.” 70 Since the Victorians, homophobic scholars have
attempted to discredit Vasari and defend a respected Old Master against any
implication of immorality in “his evil-sounding sobriquet.” 71 Efforts to give
it a non-sexual meaning are highly speculative: Enzo Carli supposes the
nickname was simply Bazzi’s own little joke, “with which . . .
he loved to glorify himself facetiously,” but it strains credibility that a
heterosexual man would consider a false claim of deviancy “glorifying.” 72 When
such dismissals are echoed by queer-studies scholars, the hobby-horse is
epistemological caution rather than morality, but the effect is the same: to
erase facets of queer history that conf lict with a higher belief—that
homosexuality did not (yet) exist.73 We do have to read Vasari cautiously:
despite the author’s claims, Sodoma’s wife never left him, nor did he die
poor.74 Because few details in Vasari’s psychological profile are confirmed by
other sources, postmodern skepticism insists that any statement not
independently documented is probably false. But Vasariis generally most
informed about artists close to his own time, many of his artistic facts are
documentable, and details in the Vite of Sodoma and Beccafumi indicate that he
visited Siena, saw artworks, and interviewed informed sources. Moreover, his
characterization of Sodoma as capricious, insolent, and sodomitical is
corroborated by three period sources: Eurialo d’Ascoli’s couplets, Paolo
Giovio’s life of Raphael (“a perverse and unstable mind bordering on madness”),
and Armenini’s account of Sodoma’s revenge for an insult.75 Thus, this essay
has followed a less restrictive approach, accepting any statement that is not
contradicted by external sources as possible and perhaps likely. All historical
reconstructions involve judgments of probabilities; giving one’s sources “the
benefit of the doubt” can make up for any loss of positivistic certainty with
gains in breadth, depth, and detail. Secondly, there is linguistic evidence that
particular psychological traits were becoming attached to habitual sodomites;
but this suggestive vocabulary is often brushed aside to “save the phenomenon”
of an episteme of acts, not personalities. I agree with Simons that “both
categorical approaches are problematic.” A more subtle, inclusive view is
adumbrated by Robert Mills, who demonstrates that the juridical focus on
potentially universal acts was in tension with moral, Church perspectives which
also sought to make an identity of the sodomite . . . by
characterizing sodomy as a more enduring kind of practice, a vice for which one
had a particular disposition, tendency or taste. . . . [S]uch
perspectives developed unevenly, over long periods of time, [but there are]
signs that some medieval thinkers . . . wished to pin the sin down to
particular bodies and selves.76 Examples of how “Sodoma” might thus denote an
individual with an inborn sexual preference include one of Matteo Bandello’s
humorous tales (novelle), ca. 1540, in which the dying Porcellio, pressed by
his confessor to admit that he performed acts “against nature,” claims to
misunderstand the question because, he says, “to divert myself with boys is
more natural to me than eating and drinking.” 77 Similarly, Giordano Bruno’s Spaccio
della bestia triunfante (1584) praises Socrates for resisting “la sua natural
inclinatione al sporco amor di gargioni” (his natural inclination toward the
filthy love of boys).78 Dall’Orto has surveyed numerous Renaissance Italian
terms for those who commit homosexual acts, notably inclinazione, which implies
“leaning” in a particular direction.79 Similar spadework for the French cognate
inclination has been performed by Domna Stanton, while numerous other French
and English tropes, such as “masculine love,” have been catalogued by Joseph
Cady.80 Language was clearly emerging at this point articulating distinctive
traits among those drawn to sodomy: not yet an “identity” in the modern sense,
but a critical shift toward notions of internal difference. If postmodernism
underplays evidence of sexual self-awareness, it conversely overestimates the
power of discourse, unduly minimizing individual agencyand the imperatives of
the embodied self. The ability of collective discourse to enforce social norms
is never absolute. It engages in perpetual dialectic with the potentially
anarchic desires of society’s diverse individual members, a situation in which
“lived eroticism did not always conform to the rules of social hierarchy,”81
from Romeo and Juliet to Sodoma and his apprentices. This ineluctable tension
arises because discourse is inculcated into the mind, whereas sexual desire is
grounded in parts of the biological organism less susceptible to rational
suasion. Embodied experience is transhistorical: lust, like hunger, pre-exists
cultural conditioning, and “the recalcitrant realities of human conduct”82 are
insistent enough when unsatisfied to overcome any social convention. This essay
has marshalled evidence that Sodoma, and his contemporaries with similar
inclinations, felt a dissonance between their desires and the dictates of
society, and they possessed sufficient agency to imagine alternative
values—what Walter Pater viewed as a signal Renaissance development, a “liberty
of the heart” that enabled nonconformists to move “beyond the prescribed limits
of that system.”83 Individual bodies are not mere passive receptacles for an
overpowering discourse “poured into” them, but are capable of awareness of that
effort at marginalization, and of active resistance. The ultimate question
lying behind such methodological differences is: why do we do queer history?
Here again, divergent answers ride different hobbyhorses: postmodernists focus
on epistemology, while those open to historical continuity are more interested
in phenomenology. The former philosophize, “How and what can we know about
Renaissance sexuality?” answering that we can comprehend little about a
shifting discourse in which “sexuality” did not exist; the latter
psychoanalyze, “How did it feel for sexual outsiders to negotiate this social
regime?,” and seek clues in intimations of difference in life, language, and
art. While the former stress chronological discontinuity, the latter seek a
“usable past,” a narrative that produces affinities and resonances across time.
The latter project is inherently political: as George Chauncey characterizes
emerging queer studies in the late nineteenth century, claiming certain
historical figures was important to gay men not only because it validated their
own homosexuality, but because it linked them to others. . . . This
was a central purpose of the project of gay historical reclamation.
. . . By constructing historical traditions of their own, gay men defined
themselves as a distinct community.84 Put another way, this school, and this
essay, seek to recover evidence of homosexual desire and expression—however
fragmentary, ambiguous, and carefully historicized—to counter centuries of
suppression, and it seems ironic when social constructionism abets the same
historical erasure. A final image, recently attributed to Sodoma, provides an
enigmatic but tantalizing coda to this discussion85 (Figure 10.7). His hair
garlanded with leaves, beard and brows untamed, “Allegorical Man” leers like a
satyr while his rightJames M. SaslowFIGURE 10.7Sodoma (attributed), Allegorical
Man, ca. 1547–8, oil, Accademia Carrara,Bergamo. Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.hand makes the contemptuous
gesture of “the fig,” an insult that, since Martial’s Epigrams (2:28), can
imply that the receiver is a sodomite. The picture’s precise iconography
remains unexplored; Radini Tedeschi suggests the gesture alludes to Sodoma’s
nickname, and the picture may thus be a final self-portrait, literally or
symbolically. If so, it contrasts poignantly with the artist’s first
self-portraitforty years earlier ( Figure 10.2). Once young and beardless, his
foppishness a silent assertion of nonconformity, he has aged to a still
elaborately costumed but more overtly defiant graybeard, telling the world in
gesture what his burlesque poems expressed in words: I am what I am, I’ve
survived your derision, and I still don’t care what you think. Admittedly, this
interpretation remains speculative, but it would effectively bookend the scenario
of Sodoma’s life and work presented here. Our ability to entertain such a
hypothesis depends, however, on more than attribution and iconography. The
potential to recover the self-expression of creative Renaissance sodomites also
requires a polyvalent openness to a range of both personal and cultural
evidence and interpretive methods. Hearteningly, many seminal postmodern
theorists are more accepting of multiplicity than their acolytes. Foucault
praised Boswell’s conception of “gay,” while Carla Freccero deploys Foucault’s
own theoretics against his discontinuity between early modern and modern
sexuality. She approvingly cites David Halperin’s suggestion that we supplement
rigidly compartmentalized ideas of identity with concepts of “partial identity,
emerging identity, transient identity, semi-identity . . .,” the
better to “indicate the multiplicity of possible historical connections between
sex and identity.”86 Murray reassures us that “the alternative to intellectual
conformity is not a lack of coherence but rather a series of interwoven,
complementary . . . approaches.”87 Perhaps the most balanced and
inspiring methodological f lag has been raised by Valerie Traub, who recalls
that, while seeking traces of early modern same-sex eros, she assumed “neither
that we will find in the past a mirror image of ourselves nor that the past is
so utterly alien that we will find nothing usable in its fragmentary traces.”88
I have sought in Sodoma not a mirror-image, but a family resemblance. He is
“usable” as our ancestor: someone with whom we share an identifiable lineage of
desire and self-expression, in whose uniquely chronicled creative life we can
recapture the origins of an increasingly prominent familial trait.Notes1 2 3 4
5This essay grew from a paper delivered at a 2007 conference at University of
Toronto organized by Konrad Eisenbichler. Thanks to Patricia Simons for her
constructive suggestions. Vasari, Le vite, 6: 380; Vasari, Lives, 7: 246.
Vasari repeats these accusations in his Vita of Domenico Beccafumi, ed.
Milanesi, 5: 634–35. Vasari, Le vite, 6: 382; Vasari, Lives, 7: 247. Vasari, Le
vite, 6: 381; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari, Le vite, 6: 389–90; Vasari, Lives,
7: 251, records the old men’s protest; for documents for the 1513 and 1515
races, see 6: 389 n. 3, 390 n. 1; Bartalini and Zombardo, Giovanni Antonio
Bazzi, 44–45, nos. 15–19. A note on terminology: I use “homosexual” throughout
in the narrow descriptive sense, to refer to sexual desire or behavior between
persons of the same sex. Although modern audiences read “homosexual” with
broader connotations of psychology and identity, here it is only shorthand for
“male–male sex.” In modern typology, Sodoma would be considered bisexual, since
he was also married and a father.6 Vasari, Le vite, 6: 379; Vasari, Lives, 7:
245. The artist did not die destitute or insane: see below, n. 74. 7 Fisher, “A
Hundred Years,” 13–39, outlines the activist project of research into
Renaissance homosexuality since the nineteenth century. 8 For an overview of
this position, see Grantham Turner, “Introduction,” 8, n. 3. 9 Reed, Art and
Homosexuality, 54–55. 10 Bartalini, “Sodoma.” 11 The standard English monograph
remains Hayum, Giovanni Antonio Bazzi; for Monteoliveto see 93, cat. no. 4. See
further on the abbey Radini Tedeschi, Sodoma, 138–47; Batistini, Il Sodoma;
documents in Bartalini and Zombardo, Fonti, 15–31, no. 7. 12 Hayum, Giovanni
Antonio Bazzi, 93, no. 4.8; Batistini, Il Sodoma, no. 8. The incident is
recorded by Gregory the Great, Life of St. Benedict, chap. 2. 13 Only a few
illustrations of this subject are known: both a fresco by Spinello Aretino (San
Miniato, Florence) ca. 1387 and a panel by Ambrogio di Stefano Bergognone, ca.
1490, show a pale, unidealized body among prominent briars. A sexual reading of
the series is supported by Kiely, Blessed and Beautiful, chap. 7, “Sodoma’s St.
Benedict: Out in the Cloister.” 14 Vasari, Le vite, 6: 383; Vasari, Lives, 7:
248, for the quote and cloak. The gift, along with other payments of fabrics
and clothing, is transcribed by Bartalini and Zombardo, Fonti, 18–19, 266. See
also Radini Tedeschi, Sodoma, 78–80. 15 Rocke, “The Ambivalence,” 57. 16 Rocke,
Forbidden Friendships, 3–6; his book provides extensive data and analysis of
fifteenth-century Florence. On sodomy elsewhere, see Ruggiero, The Boundaries
of Eros; Crompton, Homosexuality and Civilization, chap. 9; Mormando, The
Preacher’s Demons. For a Europe-wide perspective, see Crompton, Homosexuality
and Civilization, chaps. 10–12; Puff, “Early Modern Europe,” 79–102. 17 Rocke,
Forbidden Friendships, 112, 134. 18 Simons, “The Sex of Artists,” 81. 19 Rocke,
Forbidden Friendships, 163; Crompton, Homosexuality and Civilization, 262–69.
20 Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 251–72. 21 Bernardino da Siena, Le prediche
volgari, ed. Pietro Bargellini (Milan: Rizzoli, 1936), 796–97, 898, cited and
discussed in Dall’Orto, “La fenice,” 5, and n. 27 and n. 28. See also Rocke,
“Sodomites.” 22 Jones and Stallybrass, Renaissance Clothing, 2–7. 23 Ladis,
Victims, 109. 24 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 94, no. 12. 25 On anal sex as
social practice and artistic motif, see Saslow, Ganymede, chaps. 2–3; Rubin,
“‘Che è di questo culazzino!’”; Grantham Turner, Eros Visible, 274–99. Sodoma’s
Deposition, ca. 1510, similarly spotlights the rear view of a soldier: Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 117, no. 7. Other artists emphasized rear views, often
motivated by the formalintellectual challenge of the paragone: Summers,
“‘Figure come fratelli.’” When we have evidence of an artist’s sexual
proclivities, as with Sodoma, it is reasonable to explore whether he imbued the
motif with personal erotic interest; lacking such evidence, however, we cannot
know which other artists might have done the same. Regardless of artistic
intent, similar stimuli would invite similar audience responses. 26 Similar
figures appear in scenes no. 1, 30, and 36 as catalogued by Batistini (Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 93–4, nos. 1, 20, 26). 27 Alain of Lille, The Plaint of
Nature, trans. James Sheridan (Toronto: Pontifical Institute, 1980), 187, cited
in Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 260. 28 Bernardino, as quoted by Rocke,
“Sodomites,” 12, 15; cited in Simons, The Sex of Men, 99. 29 Randolph, Engaging
Symbols, 151, chap. 4. For nuns, see Hayum, “A Renaissance Audience”; for both
sexes, Hiller, Gendered Perceptions. 30 On the prevalence of clerical sodomy
see Boswell, Christianity, Social Tolerance; Mills, Seeing Sodomy, chap. 4;
Rocke, Forbidden Friendships, 136–37. See also Parker, Bronzino, 37: “burlesque
poets tended to present clerics as sodomites.”31 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi,
93–94, nos. 4.13, 4.14, 4.21; Batistini, Il Sodoma, nos. 13, 14, 31 (illns. 59,
60, 68). 32 The regulations are in the monastery’s fourteenth- and
fifteenth-century chronicle: Regardez le rocher, 182–83, 418–19 (my
translation). 33 Illustrated and discussed in Saslow, Pictures and Passions,
103–04. 34 Frans Hogenberg, Execution for Sodomitical Godlessness in Bruges,
1578; illustrated in Crompton, Homosexuality and Civilization, 327. 35 Vasari,
Le vite, 6: 387; Vasari, Lives, 7: 250. 36 On the city’s licentious paganism,
see Bartalini, Le occasioni, 39–86. 37 Rowland, "Render unto Caesar.” 38
Other homoerotic images are in the Sala di Psiche, where Ganymede appears
twice, and one spandrel depicts Jupiter kissing Cupid; Saslow, Ganymede in the
Renaissance, 135–40; Turner, Eros Visible, 109–33. 39 Vasari, Le vite, 6:
384–88; Vasari, Lives, 7: 248–50. Alexander and Hephaestion’s love is alluded
to by Aelian, Various History, 12: 7, and other ancient authors. 40 Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 164–77, no. 20; Bartalini, Le occasioni, 78–81; Radini
Tedeschi, Sodoma, 193–94, no. 56. 41 On Sodoma’s use of classical sources and
gender ambiguity see Smith, “Queer Fragments.” 42 Baldassare Castiglione, The
Book of the Courtier, book 2, chap. 61. On the sexual tone in Rome, see
Crompton, Homosexuality and Civilization, 269–90; Talvacchia, Taking Positions.
Leo X’s Rome also associated sartorial effeminacy with homosexuality:
pasquinades mocked Cardinal Ercole Rangone and sodomite friends for “going
around disguised as nymphs”: Burke, “Sex and Spirituality,” 491. 43 Aretino,
Lettere sull’arte, vol. 1, no. 68 (1537), vol. 2, no. 244 (1545); Aretino, The
Letters, 123–25, no. 58. Other sources record a sculpted Antinous, Hadrian’s
lover: Bartalini, Le occasioni, 73–75. 44 d’Ascoli, Epigrammatum, 11v–12r;
Bartalini and Zombardo, Fonti, 64–67, no. 29; Radini Tedeschi, Sodoma, 71–72.
45 Ibid., 23. 46 Vasari, Le vite, 6: 386–88; Vasari, Lives, 7: 250. On Leo’s
sodomitical reputation see Giovio’s biography, in Le vite di dicenove,
141v–142v. 47 Parker, Bronzino, chap. 1; Parker, “Towards;” Rocke, Forbidden
Friendships, 3–5; Tonozzi, “Queering Francesco”; Zanrè, Cultural
Non-conformity, chap. 3. 48 Tonozzi, “Queering Francesco,” 589–91. 49 On these
artist-authors see Parker, Bronzino; The Poetry of Michelangelo; Gallucci,
Benvenuto Cellini. 50 Fisher, “Peaches and Figs,” 158–59. 51 Zanrè, Cultural
Non-conformity, 1-2. 52 Armenini, De’ veri precetti, 42–43; Vasari, Le vite, 6:
393; Bartalini, Le occasioni, 17. 53 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 71-72,
quoting Bernardino, in Le prediche volgari, ed. C. Cannarozzi (Pistoia:
Pacinotti, 1934), 277. A document dated 1531, purportedly Sodoma’s tax
declaration, is even more insolent, signed with a sexual vulgarity; Bartalini
and Zombardo, Fonti, 131–33, 281–92. While now considered a seventeenth-century
forgery, it demonstrates that a “legend” about Sodoma’s sexual brazenness
persisted after his death. 54 See Milner, “Introduction.” 55 Sodoma depicted
anther homoerotic myth distinctively: his Fall of Phaeton is almost unique in
including Phaeton’s cousin Cycnus, with whom literary sources imply a loving
relationship (Hayum, 135, no. 12). Suggestively, the only other artist to
include Cycnus was Michelangelo. 56 Simons, “European Art,” 135. 57 Vasari, Le
vite, 6: 390; Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 191, no. 24; Radini Tedeschi,
Sodoma, Acta sanctorum, 2: 629, 20 Januarii; Jacopo da Voragine’s
thirteenth-century Golden Legend repeats this phrase (s.v. “St. Sebastian”).59
On arrow symbolism, including homoerotic potential, see Cox-Rearick, “A ‘Saint
Sebastian,’” 160–61. 60 Simons, “Homosociality,” 38. 61 Vasari, Vita of Fra
Bartolommeo. For additional complaints about sexualized Sebastians, see Bohde,
“Ein Heiliger,” 86, n. 18. 62 Sodoma’s later depictions of Sebastian evoke the
same erotic subtext. In his Madonna and Child with Saints, ca. 1541–44 (Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 257, no. 43), Sebastian stares at Jesus, who toys with
the saint’s arrow—a phallic detail seen in no other image. Similarly unique is
Sodoma’s Resurrection, 1535 (Hayum, 235, no. 33) in depicting the angels as
nude putti. 63 Burke, “Sex and Spirituality,” 488–92. 64 Ruggiero,
“Introduction,” 2. 65 Reed, Art and Homosexuality, 43. 66 Ibid., 47. 67 Ibid.,
43; Puff, “Early Modern Europe,” 84–85. 68 On this alternative culture in
various cities see Puff, “Early Modern Europe,” 87; Ruggiero, “Marriage,”
23–26; Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 61–64, 79. 69 Ruggiero, “Marriage, Love,”
11. 70 Paul Barolsky, “Vasari’s Literary Artifice,” 121. 71 Cust, Giovanni
Antonio Bazzi, 10. 72 Carli, Il Sodoma, 9–12; Carli, “Bazzi.” 73 See, e.g.,
Patricia Simons, “Sodoma, Il,” 286. 74 Vasari, Le vite, 6: 379, 398, citing
contradicting documents, 399 n. 1. 75 On Eurialo see above, n. 44; Armenini, n.
52. On Giovio’s biographies see n. 46; for his comment on Sodoma (“praepostero
instabilique iudicio usque ad insaniae affectationem”) see Bartalini and
Zambrano, Fonti, 83–86, no. 35. 76 Simons, “Homosociality and Erotics,” 48, n.
4; Mills, “Acts, Orientations,” 205. 77 Bandello, Tutte le opera, ed. Flora, 1:
95, novella 6; Bandello, Tutte le opera, trans. Payne, 1: 94–8. 78 Bruno and
Campanella, Opere, 321. 79 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 74–76; Dall’Orto,
“‘Socratic Love,’” esp. 34–35, 46–50. 80 Stanton, “The Threat.” See further
Stanton, ed., Discourses of Sexuality; the historiographic overview by Smith,
“Premodern Sexualities”; Cady, “The ‘Masculine Love.’” 81 Puff, “Early Modern
Europe,” 87. 82 Brundage, “Playing,” 23. 83 Pater, The Renaissance, 3–6, 18–19;
Fisher, “A Hundred Years,” 19–23. 84 Chauncey, Gay New York, 285–86. 85 Radini
Tedeschi, Sodoma, 257, no. 118. 86 O’Higgins, “Sexual Choice,” 10; Halperin is
quoted and discussed in Freccero, Queer, 48. 87 Murray, “Introduction,” xiv. 88
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1539, Alessandro Piccolomini, a thirty-one-year-old Sienese nobleman living in
Padua, published a short dialogue: La Raffaella, ovvero Dialogo della bella
creanza delle donne [Raffaella, or a Dialogue on women’s good manners].1
Piccolomini’s dialogue, in which an older woman encourages a younger one to
commit adultery, owes much to the example of Pietro Aretino’s scandalous
Ragionamenti (1534, 1536),2 in which an experienced courtesan teaches her daughter
how to become a prostitute. While the filial relationship between La Raffaella
and the Ragionamenti has long been noted, the cultural and ideological
significance of this relationship remains largely unexamined. Both texts
imagine private female conversations: what do women talk about when no men can
hear? The answer in both cases is men. Men and sex. (What else would men think
that women talk about?) Both texts are male fantasies of female pedagogy and
sexual knowledge, in which male authors adopt a voice of experienced femininity
to articulate imagined feminine perspectives on sex, gender relations, and
gender identity. In the Ragionamenti, the women’s conversations are scandalous,
but also, at times, radical and transgressive, questioning fundamental norms of
gendered behavior and exploring the role of power in gender relations.3 Despite
Aretino’s ambivalent misogyny, the Ragionamenti imagine possibilities of female
agency and power. Piccolomini’s Raffaella, on the other hand, merely encourages
women to subvert one form of male authority in order to submit to another; it
imagines freeing wives from their husbands the better to subordinate them to
their male lovers. Piccolomini playfully suggests that this shift is doing
women a favor because it acknowledges their need for sexual pleasure.4 His text
takes the subversive energy of the Ragionamenti and turns it into a safe, sly
joke. Women, it turns out, do not want autonomy: they want to submit to
younger, sexier men. In La Raffaella, female agency is not a threat to male
dominance—it simply rewards ardent male lovers over dreary husbands.The
conversations of Aretino’s Ragionamenti take place over six days. An
experienced courtesan named Nanna is discussing with a younger prostitute named
Antonia what way of life would be best for her teenaged daughter Pippa—should
she grow up to be a nun, a wife, or a whore? Nanna spends the first three days
of the dialogue recounting her own experiences in each of these roles; at the
end of the third day she and Antonia decide that Pippa should be a
prostitute. They reason that while nuns break their vows and wives are
unfaithful to their husbands, prostitutes (for all their faults) are not
hypocritical—they are simply doing the necessary work they are paid to do.5
This ends the first volume. In the sequel, having decided Pippa’s future, Nanna
and Antonia teach her the things she will need to know. On the fourth day, they
instruct her how to be a successful courtesan; on the fifth, they discuss men’s
cruelty to women; and on the sixth they listen while a midwife teaches a
wetnurse how to make a living procuring women for sex with men. In all the
discussions about prostitution, Nanna’s instruction focuses not on how to
satisfy men but on how to manipulate them. The condition of a prostitute is
inherently hazardous, and Nanna and Antonia teach Pippa how to survive and
thrive in a world of gender warfare, where men are always seeking to exploit
women, sexually, physically, socially, and financially. Throughout the
Ragionamenti the text takes an ambivalent attitude to its speakers. On the one
hand, Nanna and Antonia are monstrous women who embody a wide range of
misogynist stereotypes. They are deceitful, amoral, gluttonous, greedy,
garrulous, and fickle. On the other hand, they are cunning tricksters, who use
their superior intellect to dupe those who try to exploit and manipulate them.
Nanna is at once a shocking figure of feminine excess and an insightful
satirist who bears more than a passing resemblance to Aretino’s own persona as
an epicurean scourge of powerful hypocrites.6 The Ragionamenti contain
shockingly explicit descriptions of a wide range of sexual activity, but almost
all of these are in the early chapters of the text, in which nuns betray their
vows in endless orgies and wives betray their elderly husbands to find
satisfying sex elsewhere.7 The chapters on prostitution focus not on sexual
pleasure or technique, but rather on how best to earn money and swindle
clients. Aretino’s whores are not particularly interested in sexual
pleasure—they want money, power, and status instead. And the best way to attain
all three is by selling the promise of sexual availability while deferring
sexual activity for as long as possible; the ideal relationship is one where a
man is paying large amounts of money without ever actually managing to have
sexual relations with the woman he is buying. As Nanna puts it, “lust is the
least of all the desires [whores] have, because they are constantly thinking of
ways and means to cut out men’s hearts and feelings.” (“La lussuria è la minor
voglia che elle abbino, perché le son sempre in quel pensiero di far trarre
altrui il core e la corata.”)8 Through a series of cunning tricks, deals, and
lies, Nanna ends up living in luxury in a fashionable house protected by gangs
of armed men whom she employs to remove unwanted suitors.9 She survives and
thrives by manipulating male desire and profiting from male gullibility.Nanna’s
worldly success is, of course, a fantasy that bears little relation to the actual
living and working conditions of most early modern prostitutes,10 but the
Ragionamenti admit this as well. Nanna knows she is not normative, and that her
position remains precarious: “I must confess that for one Nanna who knows how
to have her land bathed by the fructifying sun, there are thousands of whores
who end their days in the poorhouse.” (“Ti confesso che, per una Nanna che si
sappia porre dei campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello
spedale.”)11 On the sixth day, the Midwife agrees: “A whore’s life is
comparable to a game of chance: for each person who benefits by it, there are a
thousand who draw blanks.” (“E so che il puttanare non è traffico da ognuno; e
percìo il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga benefiziata,
ce ne son mille de le bianche.”)12 Consequently, Nanna makes sure to spend a
lot of time warning her daughter Pippa about the many ways that men can harm
the women in their power. In contrast to Aretino’s earthy dialogue of whores,
Piccolomini’s La Raffaella consists of an imagined discussion between two
upper-class women: Raffaella, an elderly, impoverished, but well-born woman,
and Margarita, a newly married wealthy young noblewoman. The tone of
conversation in La Raffaella is certainly more polite and decorous than Nanna
and Antonia’s profane and bawdy language in the Ragionamenti.13 Raffaella, a
friend of Margarita’s late mother, presents herself as a pious widow, eager to
help Margarita adjust to the challenges of being an adult woman and the
mistress of a household. Throughout her talk of pass-times, cosmetics,
deportment, and fashion, Raffaella advises Margarita to take full advantage of
youthful pleasures; if a woman does not enjoy herself while she is young and
beautiful, she is sure to become bitter in her old age: As for God, as I said
earlier, it would be better, if it were possible, to never take any pleasure in
the world, and to always fast and keep strict discipline. But, to escape even
greater scandal, we must consent to the small errors that come with taking some
pleasures in youth, which can be taken away later with holy
water. . . . And moreover, in all this I’m telling you, presuppose
that this little necessary sin will bring you much honor in the world, and that
these pleasures that must be taken can be managed with such dexterity and
intelligence that they will bring no shame from anyone. Quanto a Dio, già t’ho
detto che sarebbe meglio, se si potesse fare, il non darsi mai un piacere al
mondo, anzi starsi sempre in digiuni e disciplina. Ma, per fuggir maggior
scandalo, bisogna consentir a questo poco di errore che è di pigliarsi qualche
piacere in gioventù, che se ne va poi con l’acqua
benedetta. . . . E però in tutto quello che io ti ragionerò
presupponendo questo poco di peccato, per esser necessario, procurerò quanto
piú sia possibile l’onore del mondo, e che quei piaceri che si hanno da
pigliarsi sieno presi con tal destrezza e con tal ingegno, ch non si rimanga
vituperato appresso de le genti.14Margarita’s husband is constantly away on
business; she is bored and feels neglected. By the end of the dialogue,
Raffaella has convinced Margarita to embark on an adulterous affair with a
young man named messer Aspasio (who bears more than a passing resemblance to
Piccolomini himself ).15 It becomes abundantly clear to the reader that
convincing Margarita to sleep with messer Aspasio has been Raffaella’s goal all
along. As the dialogue ends, Margarita looks forward eagerly to her planned
affair, completely unaware of how she has been manipulated by the older woman.
She exults, Having learned today through your words that a young woman needs,
to avoid greater errors, to pour out her spirit in her youth, and having heard
certainly from you the good words of messer Aspasio and the love he bears me, I
am resolved to give all of myself to him for the rest of my life. And thus
having pledged eternal fidelity to messer Aspasio—whom she has barely
met—Margarita goes on to offer the impoverished Raffaella bread, cheese, and
ham as a reward for her kindness.16 Given its subject matter, it is not
surprising that some readers interpreted La Raffaella as an attack on women’s
moral character: older women are presented as corrupt and amoral; younger women
as hedonistic and naive. Women of all ages, it seems, are concerned primarily
with deceiving men to obtain sexual pleasure. Beyond its general cynicism
regarding female virtue, La Raffaella also gives precise and effective
direction on ways to deceive one’s husband and to discreetly carry on long-term
affairs. Raffaella warns Margarita against writing love letters—especially if
her lover is married.17 She recommends that her lover be unmarried, if possible
(messer Aspasio is a bachelor!).18 Raffaella tells Margarita she will need a
trusted servant to communicate with her lover, and that she should choose that
person with great care.19 She recommends a rope ladder for giving a lover
access to private rooms without anyone in the household knowing.20 Raffaella
encourages Margarita to take full advantage of the pleasures that wealth and
leisure can bring, but she insists that all these pleasures are worthless
without the final consummation of adulterous sex: What’s love worth without its
end? It’s like an egg without salt, and worse. Holidays, dinners, banquets,
masques, plays, gatherings at villas and a thousand other similar pleasures are
icy and cold without love. And with love they are so pleasurable and so sweet
that I don’t believe that one could ever grow old among them. In every person
love inspires courtesy, nobility, elegance in dress, eloquence in speech,
graceful gestures, and every other good thing. Without love, they are little
esteemed, like lost and empty things. E amore poi che val, senza il suo fine?
Quel ch’è l’uovo senza’l sale, e peggio. Le feste, i conviti, i banchetti, le
mascere, le comedie, i ritruovi di villae mille altri cosí fatti solazzi
senz’amore son freddi e ghiacci; e con esso son di tanta consolazione e cosí
fatta dolcezza, ch’io non credo che fra loro si potesse invecchiar mai. Amor
riforisce in altrui la cortesia, la gentilezza, il garbo di vestire, la
eloquenza del parlare, i movimenti agraziati e ogni altra bella parte; e senza
esso son poco apprezzate, quasi come cose perdute e vane.21 The “end” of love,
which in Neoplatonic treatises was seen as a beatific transcendence of earthly
desires, is here clearly redefined simply as sex.22 As a result of passages
like this, La Raffaella was attacked both as an insult to women and as an
instruction manual for adultery.23 That the text was explicitly dedicated by
Piccolomini to “the women who will read it” (“A quelle donne che leggeranno”)
only made matters worse.24 Piccolomini was destined from youth for an
ecclesiastical career,25 and at the time he wrote La Raffaella he was starting to
make a name for himself in Italian intellectual circles.26 He had published La
Raffaella under his academic pseudonym, Stordito Intronato, but this did little
to conceal his identity. Responding to criticism of the dialogue, Piccolomini
disavowed La Raffaella almost immediately, writing in 1540 that the text was a
“joke,” written only for his own amusement.27 Clearly, he felt that La
Raffaella’s scandalous reputation was not suitable for his public image and
future aspirations. Unlike Aretino, who published the Ragionamenti in two
installments, Piccolomini not only never published a sequel to La Raffaella, he
never wrote anything like it again.28 In his retractions, Piccolomini insisted
that he had meant no insult to women in La Raffaella, and compared his work to
the licentious novelle in Boccaccio’s Decameron, intended to give “a certain
pleasure to the mind, that cannot always be serious and grave” (“per dare un
certo solazzo a la mente, che sempre severa e grave non può già stare”).29
Although Piccolomini consistently downplayed the dialogue’s significance, La
Raffaella remained in print and remained popular. There were nine Italian
editions in the sixteenth century, as well as three separate translations into
French.30 Indeed, La Raffaella is the most frequently republished of all
Piccolomini’s texts, and one of the few still in print in the twenty-first
century.31 Though criticized for its licentiousness, generically La Raffaella
was in the mainstream of the literature of its time. Neoplatonic dialogues
dealing with love and sexuality were a staple of Italian literary and academic
culture, from Bembo’s Asolani (1505) and Judah Abrabanel’s Dialogi d’amore, to
Sperone Speroni’s Dialogo d’amore, and Tullia d’Aragona’s Dialogo
. . . della infinità d’amore (1547). Along with books on love, books
on the status of women and on feminine deportment were also produced in great
numbers in Italy in the midsixteenth century. Advocating adultery may have been
scandalous, but men telling women how to behave was commonplace. Besides
internationally inf luential texts such as Juan-Luis Vives’ De institutione
feminae christianae (1523)32 and Baldassare Castiglione’s Cortegiano (1528),33
there were dozens of lesser known or more specialized books, such as Giovanni
Trissino’s epistle on appropriate conduct forwidows (1524),34 and Galeazzo
Flavio Capella’s treatise on the excellence and dignity of women (1526).35 The
vast majority of these texts were written by men, and many were prescriptive
works that attempted to define appropriate female conduct.36 Of 125 works
listed by Marie-Françoise Piéjus dealing with the status of women published in
Italy between 1471 and 1560, only two were authored by women: Tullia
d’Aragona’s 1547 Dialogo . . . della infinità d’amore and Laura
Terracina’s 1550 Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso.37 Given
Piccolomini’s deep engagement with academic and literary culture, it is not
surprising that La Raffaella draws on a wide range of contemporary texts. The
character of Raffaella herself has a strong resemblance to the central figure
of the procuress from Fernando de Rojas’ La Celestina,38 and passages in
Piccolomini’s dialogue closely echo debates over proper feminine dress in
Castiglione’s Cortegiano.39 But arguably the most important model for La
Raffaella remains Aretino’s Ragionamenti.40 To begin with, there are precise
textual echoes: La Raffaella’s discussion of cosmetics closely follows passages
from Aretino’s work,41 as does Raffaella’s reference to the illicit sexual activities
of nuns.42 Even Raffaella’s notion, quoted above, that youthful sins can be
removed with holy water, recalls a speech by Antonia about the relative
insignificance of the sins committed by whores.43 Beyond her similarity to the
title character of La Celestina, Piccolomini’s Raffaella also recalls the
Midwife from the sixth book of the Ragionamenti. Certainly, the Midwife’s
following account of her own techniques are a good description of Raffaella,
who comes across as a pious churchgoer, says she loves Margarita like a
daughter, and has endless advice on fashions and hairstyles: It was always my
habit to sniff through twenty-five churches every morning, robbing here a
tatter of the Gospel, there a scrap of orate fratres, here a droplet of santus
santus, at another spot a teeny bit of non sum dignus, and over there a nibble
of erat verbum, watching all the while this man and that girl, that man and
this other woman. . . . A bawd’s work is thrilling, for by making
herself everyone’s friend and companion, stepchild and godmother, she sticks
her nose in every hole. All the new styles of dress in Mantua, Ferrara, and
Milan follow the model set by the bawd; and she invents all the different ways
of arranging hair used in the world. In spite of nature she remedies every
fault of breath, teeth, lashes, tits, hands, faces, inside and out, fore and
aft. Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque chiese per mattina,
rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di orate fratres, là un
giocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di non sum dignus, e
altrove un bocconicino di erat verbum, e squadrando sempre questo e quella, e
quello e questa. . . . Bella industria è quella d’una ruffiana che,
col farsi ognun compare e comare, ognun figilozzo e santolo, si ficca per ogni
buco. Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara, e di Milano pigliano la
sceda da la ruffiana: ella trova tutte l’usanze de le acconciaturedei capi del
mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni difetto e di fiati e di denti
e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di fuora e di drento e di drieto
e dinanzi.44 In his Novelle (1554), Matteo Bandello mistakenly attributed La
Raffaella to Aretino, in part because of its resemblance to the Ragionamenti.45
Clearly, the similarity of the two texts was apparent to contemporary readers.
Socially and intellectually, Piccolomini and Aretino were on friendly terms in
the years immediately following La Raffaella’s publication. Piccolomini wrote
to Aretino in December 1540, publicly praising his satirical attacks on the
abuses of the powerful.46 And in 1541, two years after La Raffaella appeared in
print, Piccolomini invited Aretino to join the newly founded Accademia degli
Infiammati in Padua. As Marie-Françoise Piéjus has suggested, both the
Ragionamenti and La Raffaella function as parodies of the ubiquitous conduct
books addressed to women in the mid-sixteenth century. The Ragionamenti and La
Raffaella are “provocative text[s], animated by an ironic cynicism that, parod[ies]
point by point the lessons habitually taught to women.” By focusing on women’s
sexual lives, both Aretino and Piccolomini “attest to the divorce between
openly affirmed principles and the daily conduct of [their] contemporaries.”47
What makes these texts parodic is their sexual subject matter; they both, in
differing ways, affirm women’s fundamental sexuality and attest to the central
role of sexual desire in women’s lives. This is precisely the aspect of
femininity that most of the conduct books are trying most urgently to restrain,
repress, and police. The vast majority of sixteenthcentury conduct books
written for women are designed to make women into good wives: chaste, silent,
and obedient—pleasing to their husbands and compliant to the wishes of their
male relatives.48 It is telling that these two parodic texts are both written
in the voice of women. Rather than having a male author lay down the law for
women (like Vives does), or imagining a conversation where women listen
silently as men debate (as in Castiglione), both the Ragionamenti and La
Raffaella imagine female conversations with no men present. In Ventriloquized
Voices, her study of early modern male authors’ adoption of female voices,
Elizabeth Harvey has argued that “in male appropriations of feminine voices we
can see what is most desired and most feared about women.”49 If Harvey is
right, what Aretino and Piccolomini most desired and feared about women was
their sexuality—and the ways their sexuality creates possibilities for female
agency. In both the Ragionamenti and La Raffaella, an older woman instructs a
younger one on issues of gender and sexuality—and on ways to trick men to get
what they want. In both cases, the absence of male auditors creates the
illusion that the reader is privy to the secret truth of feminine speech. It is
significant that both Aretino and Piccolomini imagine that the main topic that
women discuss in private is their sexual relations with men. While the
conversation in both the Ragionamenti and La Raffaella is wide-ranging, both
dialogues arguably fail the Bechdel test—an assessment that asks whether or not
a work of fiction has twonamed female characters who talk to each other about
something other than their relationships to men.50 In both works, the women are
constantly concerned about their interactions with men and how their actions
are perceived by men. The very categories of female life as set forth in the
Ragionamenti—nuns, wives, and whores—are defined by the ways in which women’s
sexual relations with men (or their lack) are structured and determined. In
their desire to hear the truth of female sexuality, both the Ragionamenti and
La Raffaella metaphorically echo a tradition of masculine fantasy in which
female genitalia are compelled to speak. In the thirteenth-century French
fabliau Du Chevalier qui fist les cons parler [The Knight Who Made Cunts
Speak], a poor, wandering knight who treats some bathing fairies with courtesy
and discretion is rewarded with the magical power to make vaginas talk.51 He uses
this power to discover the truth in situations where people are lying to him:
when he encounters a miserly priest riding on a mare, he makes the mare’s
vagina tell him how much money the priest is hiding. When a countess sends her
maid to seduce the knight, he makes the maid’s vagina reveal the plot.
Eventually, he makes even the countess testify against herself by compelling
her nether regions to speak.52 The vagina, it seems, always tells the truth.
This provocative trope reappears most famously in Denis Diderot’s 1748
libertine novel Les Bijoux indiscrets [The Indiscreet Jewels], in which a
sultan has a magic ring that makes vaginas tell all. While there is no evidence
that either Aretino or Piccolomini were aware of such tales of talking vaginas,
the gender dynamics of their texts are remarkably similar. The trope of a man
magically forcing a vagina to speak is culturally resonant on a number of
levels. On the most basic level, these stories are fantasies of masculine
power: the masterful male commands the female body to do his bidding and reveal
its knowledge. There is comedy, of course, in the blurring of function between
vagina and mouth—the earthy lower body inevitably tells a tale that refutes the
refined upper body. It is important to note that what the vagina says does not
merely contradict what the mouth says; it unerringly reveals the hidden truth
of the situation. Just as the Ragionamenti and La Raffaella ironically imagine
the sexual desires hidden behind a public façade of decorous femininity, in
these stories, the mouth tells lies, but the vagina tells the truth of the
body; it cannot lie. Indeed, in all these texts, the vagina is the truth, the
essence, the thing itself. The truth of woman is her sex. The same assumption
underlies Eve Ensler’s popular 1996 feminist play The Vagina Monologues, an
episodic work in which women of various ages and backgrounds recount their
sexual experiences, some positive, others negative. While the play was
acclaimed for giving voice to women’s sexuality, it was also criticized for
reducing women to their genitalia: as feminist scholars and activists Susan E.
Bell and Susan M. Reverby wrote, “The Vagina Monologues re-inscribes women’s
politics in our bodies, indeed in our vaginas alone.”53 But of course, in Ensler’s
work, the author who wrote the lines and the actors who perform them are all
women. The voices we hear are the women’s voices—not men’s imagination of what
a woman’s voice might sound like if there was no man there to hearand record
it. In Aretino and Piccolomini’s vagina dialogues, it is always only men
talking—even if the characters are female. Piccolomini’s ventriloquized fantasy
of female speech in La Raffaella is all the more remarkable given that the
Academy of the Intronati,54 the organization under whose auspices he published
the dialogue, was more arguably more open to women than any other
sixteenth-century Italian academy. The Accademia degli Intronati [the Academy
of the Stunned] was founded in 1525 by a group of six Sienese young men. The avowed
object of the group was “to promote poetry and eloquence in the Tuscan, Latin
and Greek languages” and their motto was: Orare, Studere, Gaudere, Neminem
laedere, Neminem credere, De mundo non curare [Pray, Study, Rejoice, Harm no
one, Believe no one, Have no care for the world].55 Membership in the Intronati
was restricted to men, but as Alexandra Coller has argued, “women were awarded
much more than a merely ornamental presence within the context of the academy
[of the Intronati], whether as sources of inspiration, correspondents in
educationally-oriented literary exchanges, or as discussants in female-centered
dialogues.”56 Sometime around 1536, not long before he wrote La Raffaella,
Piccolomini himself wrote a brief Orazione in lode delle donne [Oration in
Praise of Women]. He delivered the oration to the Intronati in person on his
return to Siena from Padua in 1542 and it was published three years later.57
Utterly rejecting La Raffaella’s notion that love must be sexually consummated
to have any real value, Piccolomini’s oration draws heavily on the Neoplatonic
idealization of love articulated in Pietro Bembo’s Asolani, and in Bembo’s
concluding speech in the Fourth Book of Castiglione’s Cortegiano. In this
discourse, love is primarily a spiritual discipline that paradoxically leads to
a transcendence of physical desire. Women’s beauty is an earthly echo of divine
Beauty, and Beauty can be used by the lover to reach a higher plane of
spiritual awareness.58 Women are thus to be served, adored, and obeyed, in the
way that a Courtier should serve, adore, and obey his Prince.59 Many texts
written by members of the Intronati were dedicated to female patrons, including
a translation of six books of Virgil’s Aeneid and Piccolomini’s own 1540
translation of Xenophon’s Oeconomicus, a classic treatise on household
management.60 A text from the later sixteenth century, Girolamo Bargagli’s 1575
Dialogo de’ giuochi [Dialogue on Games], describes the activities of the
Intronati in the 1530s, and attests to the support of the Academy by “many
beautiful and noble ladies” (“Molte belle e rare gentildonne”).61 Some scholars
have suggested that women may have even participated in meetings of the
Academy, a rare occurrence in sixteenth-century Italian intellectual culture.62
An unpublished dialogue by Marcantonio Piccolomini, a kinsman of Alessandro and
a founding member of the Intronati, imagines a scholarly dialogue between three
Sienese gentlewomen on whether God created women by chance or by design.63 At
the outset, however, not all the Intronati were so welcoming to women— at least
if Antonio Vignali’s Cazzaria (1525) is any indication. Vignali’s dialogue, in
many ways a defense of sexual relations between men, is a fiercely and
crudelymisogynist text, a product of an exclusively male environment that
denigrates women at every turn.64 The Cazzaria was a scandalous text. It was
initially circulated in manuscript among the Academy’s members and was probably
printed without its author’s consent. Although it was not publicly acknowledged
or defended by the Intronati at any point, it was nonetheless written by one of
the Academy’s founding members and was one of the most prominent products of
the Academy’s early years.65 Piccolomini was surely familiar with the text—
indeed, his kinsman Marcantonio Piccolomini (Sodo Intronato) appears as one of
La Cazzaria’s main characters.66 However eccentric and outrageous it may be, La
Cazzaria is arguably an accurate ref lection of the attitudes towards women of
at least some of the Intronati’s founding members. If the Intronati’s
respectful and inclusive attitude towards women represented in Bargagli’s
Dialogo de’ giuochi is to be believed, things must have changed a lot by the
late 1530s. But it is quite possible that the Intronati’s relatively positive
public attitude towards women masked more negative private views. Perhaps
Alessandro Piccolomini’s ironic attitude towards women in La Raffaella is a
product of this conf lict. As we have seen, the Ragionamenti ’s attitude
towards its female speakers is always ambivalent. But La Raffaella’s
presentation of its speakers is much more straightforward. Raffaella is a
manipulative woman who is working throughout with a very specific goal in
mind—to convince Margarita to have an adulterous affair with messer Aspasio.
Margarita is simply a dupe. Whatever Piccolomini’s praise of women, whatever
support the Intronati gave and received from Sienese noblewomen, La Raffaella
ironically suggests that women are fundamentally submissive to male desire.
Raffaella’s considerable ingenuity is entirely subordinate to the schemes of
messer Aspasio. She has no other function than to help him obtain his desires,
and she is in many ways an abject character, forced to make her living by
tricking young women into having sex with manipulative men. Piccolomini’s
idealistic role as defender of women in his Orazione and elsewhere has an
ironic echo in the dedicatory epistle to female readers that prefaces La
Raffaella. Here Piccolomini insists that he has always been a staunch defender
of women against their detractors. He claims that La Raffaella clearly shows
“the appropriate life and manners appropriate for a young, noble, beautiful
woman,” and holds up the character of Raffaella as proof that women are capable
of “great concepts and profound statements and good judgment.”67 He decries the
double standard that sees extra-marital affairs as “honorable and great” for
men, and “utterly shameful for women.” He admits that if a woman were to be so
foolish as to conduct an affair in a way that would arouse suspicion, that
would be “a great error,” but he trusts that his female readers “will be full
of so much prudence, and temperance that [they] will know how to maintain and
enjoy [their] lovers” for years and years. “There is nothing more pleasing nor
more worthy of a gentlewoman than this.”68 In the epistle, Piccolomini is
doubling down on the joke that underlies La Raffaella as a whole: what women
want most of all is satisfying sex with anattractive and f lattering young man.
Anyone who helps them attain this goal becomes their greatest champion.As we
have seen, Aretino’s Ragionamenti argue at length that at least some women
prefer money, status, and power to sexual pleasure. But this is largely because
the whores of the Ragionamenti are not comfortable, upper-class women like
those in La Raffaella. Aretino’s whores want power, but his nuns and wives,
whose material well-being is secured either by the Church or by their husbands,
want sex. In the more elevated world of La Raffaella, the wealthy and well-born
Margarita lives in luxury; all that is missing from her pleasurable life is a
satisfying sexual partner. The condition of Nanna, Pippa, Antonia—and indeed of
Raffaella, Piccolomini’s impoverished elderly bawd—is much more precarious. The
single-minded pursuit of sexual pleasure, it seems, is a privilege of the upper
classes, of those women who are not compelled to participate directly in a
capitalist market for goods and services in which their sexuality is primarily
a commodity used to raise capital. Aretino’s attitude to women is often
disdainful and dismissive; Piccolomini almost always f latters his female
readers. And yet, it is the Ragionamenti that imagine autonomous women who
manage to hold their own in conf lict with men, whereas La Raffaella presents
women who are entirely dominated by men in one way or another. The Ragionamenti
fantasize about the ways in which women trick men; La Raffaella fantasizes
about the ways women can be tricked. Aretino’s Nanna provides a powerful
contrast to Piccolomini’s fantasy of feminine submission. In Book 2 of the
Ragionamenti, when Nanna recounts her experiences as a wife, she does exactly
what Raffaella urges Margarita to do— she takes young lovers who can satisfy
her sexually in ways her impotent husband cannot. But the key difference is
that Nanna makes that choice for herself—she is not tricked into it by a male
suitor who is using a female confidant to manipulate her. Even before becoming
a prostitute, Nanna is always looking out for herself. She tricks her lovers in
the same way she tricks her husband. She plays to win and is never duped. And
unlike Margarita, who promises to devote herself exclusively to messer Aspasio,
Nanna’s adultery is utterly promiscuous: Once I had seen and understood the
lives of wives, in order to keep my end up, I began to satisfy all my passing
whims and desires, doing it with all sorts, from potters to great lords, with
especial favor extended to the religious orders—friars, monks, and priests. Io,
veduto e inteso la vita delle maritate, per non essere da meno di loro, mi
diedi a cavare ogni vogliuzza, e volsi provare fino ai facchini e fino ai
signori, la frataria, le pretaria, e la monicaria sopra tutto.69 Eventually she
ends up stabbing her husband to death when he assaults her after catching her
having sex with a beggar.70 It is hard to imagine Piccolomini’s wellbred
Margarita acting in a similar manner should her husband ever catch her with
messer Aspasio. Piccolomini’s Raffaella fits into larger trends in the ways in
which Aretino’s Ragionamenti were read and assimilated into mainstream early
modern culture.Broadly speaking, texts that were inspired or inf luenced by the
Ragionamenti adapted Aretino’s text in ways that made it less subversive and
conformed better to traditional ideas of early modern gender relations. Later
editions, translations, and adaptations of the Ragionamenti focused on Book 3
of the first day, on the life of whores, and presented the text to readers
simply as a catalogue of female deceit and monstrosity in which the satirical
and subversive elements of Nanna’s character were downplayed in order to make
her a purely negative figure.71 In a similarly reductive move, La Raffaella
takes the notion that women will attempt to deceive men, and limits it to the
particular case of aristocratic wives deceiving their husbands—a model which
fits well into traditional discourses of courtly love that go back to the
twelfth century.72 Women are represented as fundamentally passionate creatures
that desire physical pleasures above all else, and these are found more
naturally with young men in adulterous relationships than with respectable,
mature, and neglectful husbands. Margarita’s husband spends too much time on
“business” and not enough with his wife, and the well-bred and discreet messer
Aspasio is the natural solution to Margarita’s problems. Raffaella the bawd is
not disrupting traditional aristocratic patterns of behavior, she is
facilitating them. As long as the affair remains discreet, everyone will
benefit and no one will care. (Machiavelli makes much the same point in his
play Mandragola, but in that case the satiric irony is obvious.) In La
Raffaella the extent to which Piccolomini supports Raffaella’s argument is not
clear. As we have seen, he explicitly endorses her point of view in his
dedicatory epistle to his female readers. But the degree of irony in the
epistle is an open question. It is enough that Piccolomini had deniability when
he needed it—La Raffaella, as he later claimed, was obviously a youthful joke.
Later commentators agreed that the dialogue, though seemingly immoral, was
actually a witty jeu d’esprit. The nineteenth-century scholar and editor
Giuseppe Zonta called La Raffaella a “jewel of the Renaissance, the most
beautiful ‘scene’ that the sixteenth century has left us, in which didactic
intent develops deliciously out of a comic drama” (“gioiello della Rinascita,
la più bella “scena” che il Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento
didattico deliziosamente si svolge di su una comica trama”).73 Many things have
been said about Aretino’s Ragionamenti, but no one ever claimed that they were
a beautiful jewel.Notes 1 On sixteenth-century editions of La Raffaella, see
Zonta, ed., Trattati d’amore, 379–82; Cerreta, Alessandro Piccolomini, 175–77.
There are no known surviving copies of the 1539 edition. Zonta believes the
first edition may have been published in 1540. 2 Aretino, Ragionamento della
Nanna; and Dialogo di M. Pietro Aretino. 3 Moulton, Before Pornography, 132–36.
4 See the dedicatory epistle to “quelle donne che leggeranno,” Piccolomini, La
Raffaella, 31. Unless otherwise indicated, all references to La Raffaella are
to this edition. 5 On prostitution as a form of labor and commerce in the
Ragionamenti see Moulton, “Whores as Shopkeepers,” 71–86.6 Moulton, Before
Pornography, 132–36. On Aretino’s public image, see Waddington, Aretino’s
Satyr. 7 Moulton, Before Pornography, 130–31. 8 Aretino, Sei giornate, 132–33.
English translation: Aretino, Aretino’s Dialogues, 116. All English quotations
from the Ragionamenti are from this edition. 9 Aretino, Sei giornate, 115–16;
Aretino’s Dialogues, 102–03. 10 See Larivaille, La Vie quotidienne, esp.
chapter 6 on the economic and personal exploitation of whores and chapter 7 on syphilis.
On hierarchies of prostitution, see Ruggiero, Binding Passions, 35–37. 11
Aretino, Sei giornate; Aretino’s Dialogues, 135–36. 12 Aretino, Sei giornate,
283–84; Aretino’s Dialogues, 310. 13 Baldi, Tradizione, 106–07. 14 Piccolomini,
La Raffaella, 41. All translations from La Raffaella are my own. 15 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 121. 16 Piccolomini, La Raffaella, 119. 17 Ibid., 101–02. 18
Ibid., 94. 19 Ibid., 112. 20 Ibid., 113. 21 Ibid., 110. 22 Ibid., 135 n. 120.
23 Piéjus, “Venus Bifrons,” 82–83. 24 Piccolomini, La Raffaella, 27. 25 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 86. 26 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 10–48. 27 “Molte cose
che per scherzo scrisse già in un Dialogo de la Bella Creanza de le Donne,
fatto di me più per un certo sollazzo, che per altra più grave cagione.”
Dedicatory epistle to Piccolomini, De la Institutione. See Piccolomini, La
Raffaella, 7. 28 He did publish two comedies: L’Amor costante (1540) and
L’Alessandro (1545). See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 177–78, 187–88. 29
Piccolomini, De la Institutione (f. 231r-v). See Piccolomini, La Raffaella, 8.
30 Piéjus, “Venus Bifrons,” 81, 161. 31 See the 1960 bibliography of
Piccolomini’s published works in Cerreta, Alessandro Piccolomini, 173–96. 32 An
Italian translation of Vives’ De institutione feminae christianae was published
in Venice in 1546 under the title De l’institutione de la femina. A second
edition appeared in 1561. Vives’ treatise was also the model for Ludovico
Dolce’s Della Institutione delle donne (Venice: Giolito, 1545). Further editions
of Dolce’s text were published in 1553, 1559, and 1560. 33 Burke, The Fortunes
of the Courtier. 34 Trissino, Epistola. 35 Capella, Galeazzo Flavio Capella
Milanese. 36 Kelso, Doctrine for the Lady. 37 See the chronological
bibliography of 125 works on women published in Italy between 1471 and 1560,
Piéjus, “Venus Bifrons,” 156–65. Women did address the issue in unpublished
texts, such as the collected letters of Laura Cereta (ca. 1488). See Cereta,
Collected Letters. Published texts by women were more common is the later years
of the sixteenth century. For an overview of “protofeminist” writing in early
modern Italy see Campbell and Stampino, eds. In Dialogue, 1–13. 38 Baldi,
Tradizione, 99–102. Piccolomini, La Raffaella, 11–15. 39 Piéjus, “Venus Bifrons,”
108. On the larger influence of the Cortegiano on La Raffaella, see Baldi,
Tradizione, 86–90. 40 Piccolomini, La Raffaella, 9. Baldi, Tradizione, 100–07.
41 Piéjus, “Venus Bifrons,” 106, 118, 126. 42 Piccolomini, La Raffaella, 43.43
Aretino, Sei giornate, 139; Aretino’s Dialogues, 158. 44 Aretino, Sei giornate,
285, 291; Aretino’s Dialogues, 312, 318. 45 Bandello, Novelle, 1.34. Included
in a list of licentious books, along with the poems of Petrarch, Boccaccio’s
Decameron, and Ariosto’s Orlando Furioso. See Piéjus, “Venus Bifrons,” 83. 46
Cerreta, Alessandro Piccolomini, 43–44. Piccolomini and Aretino corresponded in
1540– 41. Five letters from Piccolomini to Aretino are included in Marcolini,
ed., Lettere scritte. See also Cerreta, Alessandro Piccolomini, 253–54. 47 “De
là naît, comme dans les Ragionamenti, un texte provocateur, animé pare une
ironie cynique qui, parodiant point par point les leçons habituellement données
aux femmes, renverse la finalité d’une conduite désormais subordonnée à la recherche
du plaisir”; “Piccolomini constate, comme l’Arétin, un divorce entre les
principes ouvertement affirmés et la conduite quotidienne de ses
contemporains.” Piéjus, “Venus Bifrons,” 147–48. My translation. 48 Kelso,
Doctrine, 78–135. 49 Harvey, Ventriloquized Voices, 32. 50 The Bechdel–Wallace
test was first outlined in 1985 in Allison Bechdel’s comic strip Dykes to Watch
Out For. See Alison Bechdel, “The Rule,” in Dykes to Watch Out For (Ithaca, NY:
Firebrand Books, 1986), 22. Bechdel attributes the idea to her friend Liz
Wallace, and says the ultimate source is a passage in Virginia Woolf ’s A Room
of One’s Own. See also Selisker, “The Bechdel Test.” 51 Rossia and Straub,
eds., Fabliaux Érotiques, 199–239. 52 In order to silence her vagina, the
Countess stuffs it with cotton, but the Knight is able to make her anus speak
as well, and all is revealed. 53 Bell and Reverby, “Vaginal Politics,” 435. 54
On the Intronati, see Constantini, L’Accademia. 55 Maylender, Storie delle
accademie d’Italia, vol. 3, 354–58. 56 Coller, “The Sienese Accademia,” 223.
See also Piéjus, “Venus Bifrons,” 86-103. 57 Coller, “The Sienese Accademia,”
224. A second edition of the Orazione appeared in 1549. See Cerreta, Alessandro
Piccolomini, 189. 58 Moulton, Love in Print, 48–53. 59 Piéjus, ‘L’Orazione,
547. Coller, “The Sienese Accademia,” 225. 60 Piccolomini translated one of the
six books of the Aeneid. For these and other examples, see Piéjus, “Venus
Bifrons,” 91–96. 61 Bargagli, Dialogo de’ giuochi, 22. Piéjus, “Venus Bifrons,”
89. 62 Ibid. She cites Elena De’ Vecchi, Alessandro Piccolomini, in Bulletino
Senese di Storia Patria (1934), 426. 63 Piéjus, “Venus Bifrons,” 93–96. The
untitled dialogue is roughly contemporaneous with La Raffaella. 64 Vignali, La
Cazzaria, 40–41. 65 Ibid., 21–26. 66 As well as appearing in La Cazzaria and
being the author of the aforementioned scholarly dialogue between three women,
Marcantonio Piccolomini (1504–79) also appears as the primary speaker of
Bargagli’s Dialogo de’ giuochi. 67 Piccolomini, La Raffaella, 29. 68 “Io vi
confesso bene, poiché gli uomini fuori di ogni ragione tirannicamente hanno
ordinato leggi, volendo che una medesima cosa a le donne sia vituperosissima e
a loro sia onore e grandezza, poich’egli è cosí, vi confesso e dico che quando
una donna pensasse di guidare un amore con poco saviezza, in maniera che
n’avesse da nascere un minimo sospettuzzo, farebbe grandissimo errore, e io piú
che altri ne l’animo mio la biasmarei: perché io conosco benissimo che a le
donne importa il tutto questa cosa. Ma se, da l’altro canto, donne mie, voi
sarete piene di tanta prudenza e accortezza e temperanza, che voi sappiate
mantenervi e godervi l’amante vostro, elletto che ve l’avete, fin che durano
gli anni vostri cosí nascostamente, che né l’aria, né il ne possa suspicar mai,
in questo caso dico e vi giuro che non potete far cosa di maggior contento e
piú degna di una gentildonna che questa.” Ibid., 30–31.69 Aretino, Sei
giornate, 89; Aretino’s Dialogues, 102. 70 Aretino, Sei giornate, 90; Aretino’s
Dialogues, 103. 71 Such texts include Colloquio de las Damas (Seville, 1548);
Le Miroir des Courtisans (Lyon, 1580); Pornodidascalus seu Colloquium Muliebre
(Frankfurt, 1623); and The Crafty Whore (London, 1648). See Moulton, “Crafty
Whores,” and Moulton, Before Pornography, 152–57. 72 On Courtly Love as a
cultural phenomenon, see Newman, ed., The Meaning of Courtly Love. On the
cultural origins of courtly love, see Boase, The Origin and Meaning. 73 Zonta,
ed. Trattati d’amore, 377.Bibliography Abrabanel, Judah (Leone Ebreo). Dialoghi
d’amore. Rome: Mariano Lenzi, 1535. Aragona, Tullia d’. Dialogo . . .
della infinità d’amore. Venice: G. Giolito, 1547. Aretino, Pietro. Aretino’s
Dialogues. Translated by Raymond Rosenthal. New York: Marsilio, 1994. ———.
Dialogo di M. Pietro Aretino, nel quale la Nanna il primo giorno insegna a la
Pippa sua figliola a esser puttana, nel secondo gli contai i tradimenti che
fanno gli huomini a le meschine che gli credano, nel terzo et ultimo la Nanna
et la Pippa sedendo nel orto ascoltano la comare et la balia che ragionano de
la ruffiania. Turin?: 1536. ———. Ragionamento della Nanna e della Antonia,
fatto in Roma sotto una ficaia, composto del divino Aretino per suo capricio a
correttione de i tre stati delle donne. Paris?: 1534. ———. Sei giornate. Edited
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treatise on the art of memory1 appeared in print in Naples in 1566. There was
another edition in 1583; in 1602 Della Porta published a revised Latin version
of the text under the title Ars reminscendi.2 Despite the fact that The Art of
Remembering did not see nearly as many press runs as Della Porta’s more famous
works on natural magic and physiognomy, and despite (or because of?) its
brevity, his art of memory was frequently utilized by seventeenth-century
preachers.3 Given its author’s dubious reputation with Catholic orthodoxy—and
his constant difficulties with the Inquisition—this popularity might seem quite
amazing.4 In both a series of articles and a book chapter, Lina Bolzoni has
discussed The Art of Remembering; my contribution here seeks to elaborate on
Bolzoni’s work by examining the function of a peculiar sequence of images
appearing in Della Porta’s text—images that inf luence the entire structure and
character of The Art of Remembering. Della Porta recommends the use of explicit
sexual fantasies as the most powerful images for organizing the process of
recollection. The use of erotic images was not uncommon in the medieval and
early modern tradition of the art of memory. Yet in Della Porta’s text, images
depicting sex between human beings and animals are amazingly prominent (and
especially in the two Italian versions of the Arte del ricordare than in the
later Latin Ars reminiscendi ). Here I will argue that Della Porta’s use of
pornographic and even, in the modern sense of the word, sodomitic imagery is
not merely a consequence of the more innovative aspects of his instructions for
developing the capacities of memory. Rather, these images resonate in other of
Della Porta’s numerous and highly inf luential texts—namely, his texts for the
theater, on human physiognomy, natural magic, cross-breeding, and marvels
(meraviglia) in general. Such pornographic images thus refer to the core topics
of his most important texts—and, accordingly, to his general endeavors as an
early modern magus.5The art of memory Basically, the art of memory consists of
imagining a spatial structure—for instance, a house with different rooms (loci
)—and then furnishing these spaces with objects and persons (imagines).6 The
next step is to walk through the rooms of this imagined building and to assign
to each one item one wishes to recall, in the precise order of movement through
the architectonic structure. Originally developed in classical antiquity for
public orators, this method allows a speaker to recall the general content and
order of a speech, but the “art of memory” was also used to recollect specific
sequences of words. In this “art,” it is crucial to visualize and memorize a
mental structure, with its loci and imagines, in the greatest possible detail.
To facilitate this formidable task, the masters of the art of memory frequently
recommended that the images have a strong emotional nature (imagines agentes).
Conspicuously, manuals for the art therefore often recommend erotically charged
images as imagines agentes.7 Remembrance thus becomes dependent on—and
simultaneously synonymous with—exercising vivid (and, as we shall see,
predominantly male) sexual fantasies. The imaginary loci populated by a
sequence of well-ordered and striking images tend to acquire a life of their
own. As Bolzoni writes: “it is easy to imagine how centuries of experience in
memory techniques have given scholars some idea of the complex nature of mental
images and their capacity to inhabit their creators, to come alive and escape
their control.”8 And yet the affective movement of the soul, produced by
recalling a set of emotionally charged images, clashes with the imperative of
order that is the other vital aspect of the art of memory.9 Thus—in contrast to
modern literary authors who acknowledge and actively employ this same
phenomenon in developing their texts—the masters of memory were faced with the
arduous task of restraining the life of their own figments.10Della Porta’s
mnemotechniques Della Porta’s approach to the topic is characterized by a
methodical pluralism that is typical for the art of memory. Along with the
basic principles outlined above, he presents different ways of organizing
memory.11 For example, he recommends memorizing a group of ten to twenty women
whom one has loved to organize a system of pleasant and striking mnemonic
images. He contends that when employing the phantasmata of women one has made
love to or one has desired, one can succeed in remembering not only one word,
but an entire verse or even several verses.12 Della Porta also states one
particular system as his most innovative and preferred innovative contribution
to the art. For setting up the loci, he recommends memorizing little neutral
cubicles eight palms long, each populated with different impressive personae:
here, the sexually attractive women one has made love to or has been in love
with are placed alongside cubicles occupied by friends, jesters, noblemen, and
matrons.13 Della Porta accordingly recommends the use not only of men and women
personal acquaintances, but also of charactertypes—especially from comedy—that
during the sixteenth century were populating contemporary stage plays. In this
respect, The Art of Remembering follows a widespread tradition in
sixteenth-century treatises, as seen for example in Lodovoco Dolce’s
contemporaneous Dialogo del modo di accrescere e conservare la memoria (1562).14
Another important precept in Porta’s Art of Remembering is that the sequence of
personae must vary; for example, he suggests “a woman, a boy, a girl, a
relative, an elderly man.”15 It is crucial to note that this succession of
personae is as fixed as the structure of the cubicles where they are
placed—which they “inhabit,” as it were. This implies that the personae become
part of the spatial setting, of the architecture of the memory palace, the
locus.16 These loci/personae determine the temporal sequence in which the
imagines appear, and in turn the content to be memorized in the correct
sequence (this content I will term the memorandum). In contrast to the fixed
personae, Della Porta defines the images as “animated pictures” which we
construct or spin out ( fingere/recamare) using the faculty of fantasy to
represent things and words.17 The images are mobile and variable: they
constitute what the personae in their fixed sequence do. And these activities
must be extraordinary in every respect; clothed in lavish and shining robes,
the personae’s movements should resemble larger-than-life actors, presenting
the mind with a “painting that is new, strange, marvelous, unusual, pleasant,
varied, and horrific (spaventevole).”18 Moreover, an image should also be composed
of a variable set of living and dead objects, which, like stage props, are
added to the persona—for instance, a cornucopia or a swan. Della Porta
recommends the use of relatively few loci/personae, condensing the sequence of
memoranda to a maximum of ten images agentes, as comic and tragic playwrights
would.19 One cannot help speculating that Della Porta discloses here a vital
aspect of his writing techniques as a prolific and inf luential author of
comedies.20 He obviously followed the advice of his predecessors, shaping his
personae in ways reminiscent of the exceedingly grotesque personae in his
mannerist comedies.21 The most salient feature of these plays is that they use
a limited set of characters whose social roles and statues are fixed in a set
of stock scenes.22 The practicability of this system is obvious, because there
is no need to memorize hundreds of loci and imagines. Yet there is one obvious
difficulty. This artificial memory is rather limited, because it will only
allow the practitioner to memorize one story (or a sequence of ten words).Della
Porta’s ars oblivionis This limitation is, of course, a general difficulty for
the art. From the time of its invention, the ars memoria has entailed an ars
oblivions, an art of forgetting, that in turn allows for the memory to be
organized anew. This is a difficult task, because laboriously constructed
chains of association between personae, imagines, and memoranda must now be
erased.23 Della Porta says that if we wish to remember a new story or a new set
of words, we can assign the same set of personae, in the same sequence, the
task of forging a new sequence of images.To this aim, we must imagine the fixed
sequence of personae in their cubicles, with these “usual suspects” stripped
naked or merely covered in white sheets, all in identical upright posture,
leaning with their shoulders against the walls of their cells.24 In Della
Porta’s system, the sequence of personae set in neutral cubicles is a permanent
pattern. He compares the personae to the lines on a specially varnished sheet
for musical compositions; it is inscribed with permanent lines, but what is
written onto them can be washed off. Thus, just as the musical notes (or signs)
are impermanent and can be reinscribed onto that sheet in a new order, creating
a new melody, so the old imagines agentes may be erased, with the personae free
to assume the pose of new imagines agentes.25 It is not only the architectonic
structure that functions as locus; the personae (who are usually classified as
“images”) become an aspect or a part of “place.”26 The personae assume the
paradoxical role of living statues—and this oxymoron aptly circumscribes the
self-contradictory function of the memory images: in order to impersonate new
imagines agentes, they should be plasmatic, but at the same time their bodies
must remain precisely fixed in dress, comportment, gesture, and the
corresponding affects communicated by these visual traits. However, Della Porta
prescribes that even when the personae are imagined naked, leaning against the
wall—in order to prepare them for a new role in another story—they should not
be the neutral recipients of images. Rather, they must be imagined in a highly
individualized form. And their actions are not arbitrary: Della Porta prescribes
constructing these stock characters of the imagination in the most fitting way
with respect to “age, facial traits, occupation, and comportment (mores).”27
The personae’s actions are predetermined by their sex, social status, and
concomitant habits. Moreover, these actions of the personae—who become the
permanent abodes of the variable imagines—have to be related to the content of
the word or the story to be remembered. Della Porta’s technique of character
development was an important and original modification of the traditional
system of loci and imagines.28 In this way, the formal structure of the memory
is brought into a strong— and reciprocal—relationship with the content that is
to be memorized. In a key example, Della Porta writes that the entire story of
Andromeda can be remembered by the image of a naked, shivering, and wailing
woman chained to a rock.29 The setup of highly individualized loci/personae is
vital for the intricate task of memorizing a sequence of individual images.
Since more than one image is required, the spatial arrangement of the
personae/imagines becomes very important. The Latin version of The Art of
Remembering supplies the following example: if the word to be remembered is
avis (bird) and the cubicle is inhabited by the persona of a boy, then he
should be Ganymede; if it is “cook” then he cooks the bird;30 if the word is
taurus (bull) and a robust boy inhabits the cubicle, then we should imagine
Hercules wrestling with Achelous;31 if we wish to remember horn (cornus) and a
virgin inhabits the cubicle, we visualize her covered in f lowers and fruits,
like a Naiad with a cornucopia in hand.32The Italian Arte del ricordare gives
different examples.33 If we suppose the word “bird” to be the memorandum for a
prostitute (meretrice), Della Porta suggests constructing an image of Leda
during sexual intercourse with Jupiter in the guise of a swan.34 This direction
is confirmed in many other examples: for instance, under the memorandum “bull”
in the locus/persona of a virgin, we might imagine the rape of Europa.35 If the
memorandum “bull” embodies the locus/persona of a meretrice (prostitute), then
we should forge an image of Pasiphaë having sexual intercourse with the bull.36
There is no doubt that the imagery of the vernacular Arte del ricordare is more
graphic, more sexually explicit, and less polished than the later Latin
version. Yet all the versions recommend sexually explicit, or at least
erotically charged, imagines agentes. Another striking feature of Della Porta’s
examples is that all memoranda— the “bulls,” “horns”— are words with sexual
connotations. Of course, uccello “bird” in Italian denotes the penis; thus, the
sexual connotation is as present in the memorandum as in the image. 37 This
intimate thematic connection highlights the rule that imago and memorandum must
be as closely related as possible. These examples reveal that Della Porta
wishes his readers to entwine their individual memories of (present or former)
personal acquaintances with the stories of classical mythology to construct
imagines agentes; like interlacing arches, they support the architecture of the
memory palace. It seems that the thematic link between imago agens and
memorandum is rather uncommon in the art of memory. Usually the imagines
agentes are used as placeholders for any content; for example, one could use
the imagines agentes of naked women to remember any sort of text, not only
erotic topics. Della Porta’s thematic over-determination would seem to imply
that his true interest lay in the actual topics to which the imagines agentes
and their corresponding memoranda refer; namely, a discourse concerning the
human body, the porous boundaries between human beings and animals. Inherent in
these tales of sex with animals is the generation of monstrous—marvelous—offspring.Panoptic
visions and living statues From a Foucaultian perspective, Della Porta’s vision
of the defenseless personae in their mental prison cells has a panoptic
character (though the term here is used, of course, anachronistically). Whereas
gazing at naked or sparsely dressed human bodies, even in the imagination, can
be considered a form of symbolic violence, it is a technique of visualization
in which the different qualities of men and women of various ages, sexes, and
professions become—quite brutally— reduced to their physical features, because
they are bereft of their clothing and the social insignia, which denote,
circumscribe, and protect their social status and their moral integrity. This
practice of examining the physical features of naked men and women is echoed in
the art of physiognomy of which Della Porta considered himself a master. In
fact, in his lavishly illustrated works on the topic we find many depictions of
the naked bodies of men and women, with textssupplying the reader with the
character traits (mores) ascribed to various medical complexions; that is, the
constituent factors of human bodies and their affinities within the animal
world.38 Measuring and classifying naked human bodies according to their
occupational and concomitant social status was a widespread artistic practice
during the fifteenth and sixteenth centuries following the techniques for
painters described in Leon Battista Alberti’s De pictura (On Painting, 1435).
Della Porta very closely echoes and even plagiarizes Alberti, adapting
Alberti’s instructions for painters into his art of memory. In order to create
images that appear lifelike and therefore suited for communicating human
emotions, Alberti recommends that painters first draw human figures naked and only
subsequently dress them (“ma come a vestrie l’uomo prima si disegna nudo poi il
circondiamo i panni”). 39 In this context, the parallels between Alberti’s and
Della Porta’s ideas are obvious. In order to create emotionally charged
imagines agentes they must be as lifelike as possible, which means—especially
in the case of erotic imagines—that we undress the personae. Yet, whereas
Alberti had pointed to the appropriate decorum of his images, Della Porta opts
for larger-than-life-personae—for grotesque and exaggerated representations.40
Another point of reference between the De pictura and The Art of Remembering is
that Alberti links his measurements of human bodies to the proportions of
buildings. In Alberti’s context, an implied relation of architecture and body
clearly results from the process of constructing representations of irregular,
organic forms in central perspective. The architectural space must be
circumscribed before inserting the non-geometrical figures which are to
“inhabit” that space. The parallel to Della Porta’s The Art of Remembering is
striking, since for him as well the personae are an integral part of the loci
they inhabit. Paradoxically, Della Porta’s personae can be considered moving
statues. On the one hand, they must be imbued with as much life as possible; on
the other hand, they must freeze in one position, like a tableau vivant. But
the idea that moving statues are sexually arousing is much older than Della
Porta; Andromeda (one of the key examples in Della Porta’s The Art of Remembering)
is described by Ovid as sexually arousing to Perseus, her liberator, because
her naked body resembles a marble sculpture. “When Perseus saw [Andromeda], her
arms chained to the hard rock, he would have taken her for a marble statue
(“marmoreum esset opus”), had not the light breeze stirred her hair, and warm
tears streamed from her eyes. Without realizing it, he fell in love (“trahit
inscius ignes”).”41 When viewed from the perspective of contemporary theater,
Ovid’s erotic statue of Andromeda brings to mind the “living statue” of
Hermione in Shakespeare’s Winter’s Tale (V, 3) or Othello’s description of
Desdemona’s body as “whiter skin . . . than snow” and as “smooth
monumental alabaster” (Othello V, 2, 4–5). On Shakespeare’s stage, this transformational
power from living being to statue (and back again, in the mode of comedy) is
associated with male violence against women caused by jealousy. Such marble
statues may also play an important role in imaginings of pregnant women. In a
more general context, tales of walking statues are associated with magical
arts, as demonstrated in Apuleius’Metamorphoses, a work closely associated with
magic. Lucius, the protagonist of this second-century Roman novel, describes
his arrival in Corinth, the capital of Greek witchcraft: There was nothing I
looked at in the city that didn’t believe to be other than it was: I imagined
that everything everywhere had been changed by some infernal spell into a
different shape – I thought that the very stones I stumbled against must be
petrified human beings, . . . and I thought the fountains were
liquefied human bodies. I expected statues and pictures to start walking, walls
to speak, oxen and other cattle to utter prophecies, . . .42 A
magician’s power thus is akin to what a master of memory does: turning one
thing into another. This topic is intimately linked to Della Porta’s other
interests in the arts of cross-breeding, of physiognomy, and of natural magic.
Yet the relationship between Della Porta’s imagines agentes and contemporary
painting becomes even more striking upon a closer examination of the individual
imagines agentes ref lected in contemporary media.Ovid’s Metamorphoses as
represented by Titian’s paintings Virtually all the examples in Della Porta’s
The Art of Remembering refer to the thicket of myths recorded in Ovid’s
Metamorphoses. This is no wonder; as the most inf luential “pagan” text of the
Middle Ages and beyond, the Metamorphoses43 constitute a substantial
encyclopedia of the transformations of the bodies of gods and human
beings—transformations caused mostly by violent sexual acts of transgression on
the part of gods, heroes, or powerful men upon their helpless victims. Ovid’s
text is thus a rich source for the primary task of Della Porta’s art of memory:
not only to associate but to exchange one image for another. Moreover,
Andromeda, Leda, Ganymede, Io, and Actaeon, to mention but a few of the
imagines mentioned in the Ars reminiscendi, were highly popular subjects for
contemporary artistic representation. It is thus no wonder that Della Porta
explicitly refers to the paintings of Michelangelo, Rafael, and Titian in his
writings.44 In the mode of synecdoche, these imagines agentes serve as
abbreviations for entire stories that are reduced to one single imago agens,
just as Della Porta had postulated in the case of Andromeda. Accordingly,
Titian’s most famous works supply the reader with instructive illustrations for
Della Porta’s The Art of Remembering. His key example, Andromeda (in Perseus
and Andromeda 1554–56), is represented by Titian with a body as white as a
marble statue, chained to her rock, with a vivid facial expression, her arms
depicted in an unusual, expressive pattern of movement. The same applies to
Europa (in Rape of Europa 1559–65), with the major difference that she is not
shown in an upright position like Andromeda, but instead reclining against the
back of the bull/Zeus; both female figures are naked, their sexual organs
barely covered by a piece of white transparent garment. In all likelihood, this
is whatDella Porta imagined as the lenzuola with which the bodies of his
personae should be covered in their ground positions. Of course, Titian created
many striking erotic female figures. One thinks of his many Venuses, but also
his renderings of a seductive St. Mary Magdalen (1530–35) or St. Margaret (ca.
1565), paintings also remarkable for the impressive movements of their
subjects’ arms as well as gesture, (lack of ) apparel, and extravagant
demeanor. The myth of Actaeon is the subject of two of Titian’s most impressive
paintings: the Death of Actaeon (1559) and The Fate of Actaeon (1559–75). In
the latter painting, the hunter’s head is already transformed into the form of
a horned stag. With the exception of Leda and the Swan (by Michelangelo),
nearly all the mythological subjects mentioned in Della Porta’s treatise are
represented in Titian’s most famous works. We thus do not lack examples of
contemporary paintings illustrating the imagines agentes in Della Porta’s The
Art of Remembering. Yet there is one notable exception: the story of Pasiphaë
(on whom see below). Like the imagines agentes in The Art of Remembering,
Titian’s figures seem to be frozen in their movements, despite their vividness.
An entire story is reduced to one spectacular moment—a snapshot (to use an
anachronistic term). This reduction is not merely a convenient tool for
remembering a myth in a wink of time. It also constitutes an intervention
eclipsing all other aspects of the story that are not represented in the one
imago agens. Titian’s paintings, like Della Porta’s imagines, are evocations of
a story in the mode of synecdoche. Alive and dead at the same time, they are
fetishistic representations catering to a male gaze, for a specific set of
sexual fantasies. Moreover, the fragmentation implicit in this process also
allows for a reduction of different myths to a limited set of structural
elements or topics which all point to one and the same topic. This is exactly
what Della Porta does in the examples given in The Art of Remembering; he
evokes one and the same topic (for instance, a bull) in various loci/personae
and the concomitant imagines agentes they enact. Moreover, all the different
topics he uses as examples for memoranda (bull, horn, bird) may be subsumed
under one single general topic: sex between human beings and animals.Pasiphaë
As I shall argue in what follows, the myth of Pasiphaë fulfills a paradigmatic
function for Della Porta’s memory technique, since it corresponds so precisely
with his preferred focus in natural magic, the mating of different species and
the creation of marvelous monsters. The myth is well known. Pasiphaë falls in
love with a bull, has intercourse with the animal, and conceives the Minotaur.
The sexual act leading to this monstrous birth is made possible through the
cunning intercession of Daedalus. This archetypal male master-engineer from
classical antiquity constructs a cow-shaped wooden frame in which Pasiphaë
could hide while being penetrated by the bull.45 The remarkably imaginative and
colorful myth of Pasiphaë thus conjoins illicit sex, the art of the engineer,
and the tale of a monstrous offspring.Pasiphaë is a woman in love with an
animal. She has sexual intercourse with a real bull, with her desire thus
inclined toward the animal world. Ergo, she impersonates a highly negative
image of women in the patriarchal societies through which the myth has
travelled. This gender bias is highlighted when we compare Pasiphaë to the rape
of Europa.46 Both Pasiphaë and Europa are situated in a liminal territory of
intersection between the animal, human, and divine— between bodies, souls, and
noumenal entities. Indeed, Europa is an inversion of Pasiphaë’s story. Zeus
here figures as a male lover and a god disguised as a bull who has sexual
intercourse with the maid Europa. Her fate is oriented towards the stars. To
have sex with a god in animal guise is a ticket to immortality. To have sex as
a woman with a real animal leads to ostracism and to the birth of monsters.
Thus, it is no wonder that there are copious visualizations in fine art of the
myth of Europa, but virtually none of Pasiphaë. From the perspective of the art
of memory, we may say that Pasiphae and Europa, as imagines agentes, are
inversions of each other. The mode of synecdoche, whereby an imago agens
embodies the stories of Europa and Pasiphaë, invites a synoptic perspective on
both myths, connecting as intersecting arches in the image of a woman having
sex with a bull. But this contradicts the specific image of Pasiphaë observed
in the myth, where the woman engaged in sexual intercourse with the animal was
a (real) bull covering a (dummy) cow. Pasiphaë in fact disguises herself in
what one could call a statue of a cow-like imago in the art of memory, thus
transforming the dummy cow into a caricature of a “living statue.”47 Yet this
image, on face value, shows an act that can be observed frequently. The myth’s
image of a cow and a bull mating (again, on face value) cannot qualify as an
imago agens, nor is it clear why it should be used in Della Porta’s The Art of
Remembering in the locus of the meretrice. This does not mean the wooden cow is
irrelevant to the phantasmatic transactions that characterize the basic method
of the art of memory, namely to exchange one image for another. For the myth of
Pasiphaë points in an oblique way to Daedalus’s sublime craftsmanship, his
ability to fabricate a wooden image which deceives a bull. Despite the fact
that Pasiphaë is a witch (Circe’s sister), she seemingly has not been able to
concoct a magical love potion that would sexually attract the bull. In order to
fulfill her desire, she needs the help of a male master engineer. In Greek
philosophical terminology, this ability to produce potentially eternally
lasting objects (like tables) is called “poetic.” Daedalus is thus pursuing an
activity that he shares with the poets. Indeed Daedalus’ prop is a powerfully
poetic cow, and the image he created has the power to evoke a series of
(brutally violent) images which are not the image: they are quite literally
“in” the image. The dummy cow (with its dark inside where the male imagination
can pursue its most graphic phantasies of penetration) is a model for the
associative processes at work in the art of memory—but it is in itself not an
imago agens. In marked contrast to Ovid’s version of the story, where Pasiphaë
is disguised in a dummy cow, Della Porta apparently wishes his readersto create
an imago agens in which a prostitute has sexual intercourse with a bull without
recourse to Deadalus’ prop. Pasiphaë’s myth points to the idea that the birth
of monsters, in this case the Minotaur, requires the intervention of a male
mastermind, who not only helps to beget the deviant creature, but also provides
the means to contain the dangers arising from it, for it is Daedalus who
constructs the famous maze in which Pasiphaë’s child is imprisoned.48 This
image of Deadalus as creator and container of monsters or marvels epitomizes
the role Della Porta wished to assign to himself as a cunning magus.49 Here, at
the crossroads between mechanical device and intervention into the organic
body, Della Porta’s particular form of late Renaissance natural magic,
physiognomy, and the theater unfolds. Actually, the imago agens of a woman
having sex with a bull has an interesting relationship to Della Porta’s Magia naturalis.
Here we learn of Della Porta’s keen interest in practices of cross-breeding
between human beings and animals. To bolster his claims, he cites the usual
suspects for such stories: Pliny, Herodotus, Strabo and their tales of women
who were raped by billy goats, producing monstrous offspring.50 This leads him
to believe that “some of the Indians have usual company with bruit beasts; and
that which is so generated, is half a beast, and half a man” (Magick 2, 12,
43). Della Porta also contends that it would be possible for a man to
inseminate a fowl under the right astrological constellation and the right
medical complexion.51 In order to create a human/animal monster, Della Porta
does not resort to the kind of contraption Deadalus constructed for Pasiphaë,
but relies instead on his expertise in measuring, not the proportions of the
head as did Alberti, but rather the lengths and depths of male and female
sexual organs, the course of the stars, and the assessment of the medical
complexions inscribed in the physical traits of human beings and celestial
bodies alike. These parameters—basically a doctrine of signatures—are also the
most decisive indicators in Della Porta’s texts on physiognomonics, where he
postulates the close resemblance of human beings to certain animals, with
attendant implications for the human character.52Apuleius’ Metamorphoses This
impression is confirmed by looking at another imago agens where a woman has sex
with an animal. In both the Italian and Latin versions of The Art of
Remembering, Della Porta claims that we remember the woman having intercourse
with the ass from Apuleius’ Metamorphoses better than we do the heroism of a
Muzius Scevola.53 Apuleius’ Metamorphoses, the second-century novel better known
as The Golden Ass, is an interesting source for The Art of Remembering, because
Apuleius describes the sexual act between an ass (not a bull) and a woman in
great detail.54 Lucius, the protagonist of The Golden Ass, is a young man
obsessed by witchcraft who is transformed into an ass after he applied the
magical unguent concocted by Pamphile, a powerful Thessalian witch. In the
shape of an ass—although never losing consciousness that he is a man—Lucius
livesDella Porta’s erotomanic art of recollectionthrough a veritable odyssey
during which he is beaten and mistreated. When one of his many keepers
discovers that this ass is particularly clever, he makes Lucius the object of
special exhibitions and a rich woman falls in love with the ass and hires it. In
contrast to Pasiphaë, this woman has sex with the animal without any recourse
to a prop. Both Lucius and the woman seem to enjoy the act, in spite of his
asinine and—hence proverbially large—sexual organ. This changes as soon as
Lucius has to perform the act again, this time as a cruel public entertainment
in an amphitheater, where a female convict, before being devoured by wild
beasts, is sentenced to have intercourse with the ass. Lucius deeply resents
this act and manages to escape.55 It is interesting to note that Apuleius
explicitly links his salacious story of the wealthy woman who has sex with the
ass to the myth Pasiphaë, given he calls the woman asinaria Pasiphaë (an
ass-like Pasiphaë).56 The story is thus marked as a parody of the myth of Pasiphaë
in the form of a blunt satire on late Roman mores. Upon closer scrutiny, this
story of the noblewoman and the ass is—again structured by a set of inversions,
an oblique evocation of the myths of the rape of Europa as well as of Pasiphaë.
In Apuleius it is a man, Lucius, who has been turned into the shape of an
ass—neither a god ( Jupiter) who willfully changes his shape into a bull (as in
the Europa myth), nor a witch (Pasiphae) who desires a real bull and who needs
the help of a male engineer to fulfill her desire. Instead, Lucius is a man who
has been changed into an animal, not by a Pasiphaë (who was incapable of doing
that job for herself ) but by another relative or follower of Circe—Pamphile.
The sexualized content with a specific violence towards female bodies is deeply
inscribed into the story of Apuleius and, consequently, in the imago agens
prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering, which again condenses the
stories of Pasiphaë (the prostitute has sex with a bull) and the story of the sodomite
noblewoman in Apuleius, as well as including the plan to showcase the act with
female convict. The extremity of this imago agens is enhanced by the fact that
such acts of bestiality were a capital crime in Della Porta’s time, primarily
because they were believed to engender monstrous offspring, to humanize the
animal world, and simultaneously to animalize the human perpetrators.57Io: more
cows Another myth Della Porta mentions in his The Art of Remembering —this
time, as an imago agens for remembering the word “horns”—is the story of Io.58
Her story is most pertinent because it concerns a beautiful Naiad who is raped
by Jupiter and subsequently transformed into what Ovid describes as an
extremely beautiful cow. In this shape, Jupiter wishes to protect the girl he
has violated from the wrath of his ever-jealous wife. Unexpectedly, however,
Juno likes the animal and receives it as Jupiter’s gift. Suspecting some ruse
from her husband, she proceeds to have the animal protected by Argos, the
moment in the story Della Porta employs as imago agens. According to Ovid, Io
did not lose consciousness of herreal identity but, rather, terrified by her
transformation, she seeks the company of her (human) family. Io’s father
suspects that the tame, suspiciously human cow is his daughter. He exclaims in
desperation that he had been “preparing and arranging a marriage (thalamos
taedasque praeparam I, v 558), hoping for a son-in-law . . . now you
must have a bull from the herd for husband, and your children will be cattle (de
grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus. v.660).” Eventually, Juno
discovers Io’s true identity, her wrath subsides, and Io is fully restored to
her former human shape. Similar to Apuleius’ story of Lucius in his
Metamorphoses, Ovid describes Io’s transformations from human being into cow
and back again in great detail.59 Io’s story is constructed as a set of
inversions of the story of Europa. Jupiter approaches Io in the form of a human
being (not as a handsome bull) and he transforms not his own body but that of
the maid into the shape of a beautiful cow, a body in which the sexually abused
girl is deeply unhappy. However, the affinities between Lucius and Io are even
more striking; their stories appear as mirrored inversions along the gender
divide. Both their bodies are transformed into the shapes of animals (a cow
viz. an ass), both are beautiful and attractive in that guise ( Juno
unexpectedly takes a liking to the cow, the noblewoman has sex with Lucius),
neither of them lose consciousness of their human nature and suffer in their
shape as animals (but Io seeks the company of her father, whereas Lucius wants
his girlfriend back), both are subsequently transformed into human shape again,
and both were originally transformed in order to escape imminent persecution.
(Io is turned into a cow by Jupiter in order to protect her from Juno’s wrath,
Lucius is mistakenly transformed into an ass in order to escape from the law.)
The specific aspect making the stories of Europa, Io, Pasiphaë, and Lucius so
significant for Della Porta’s The Art of Remembering is the constant interplay
of various but related inversions of plots. Indeed, this method is intrinsic to
the modes of transformation prescribed by this particular art.60
Interchangeability arises from the set of oblique inter-textual references and
inversions of plots, as amalgamated in a given imago agens.61 In the mode of
synecdoche, an imago agens is designed to represent an entire story in one
image. This is a constitutive strategy of Della Porta’s mnemotechnique, which
aims at the thematic interconnecting of persona/locus, imago agens, and
memorandum. For example, a prostitute Della Porta has slept with
(persona/locus) in turn embodies Leda having sex with Jupiter (imago agens) in
order to remember the word bird (memorandum). Della Porta’s personal (phallic)
imagination thus becomes entwined with classical myth. Within the positional
logic of loci/personae in Della Porta’s The Art of Remembering, therefore,
Leda, Io, Europa, Pasiphaë, the Roman noblewoman, and the female convict all
become different imagines agentes into which one and the same memorandum may be
inscribed. Thus, the porous boundaries between human beings and animals
integral to Della Porta’s imagines agentes not only indicate his personal taste
for a bizarre and grotesque imaginary and his studiesin physiognomy; they
embody the basic principles of the Renaissance natural magic tradition of which
Della Porta was a late (yet inf luential) exponent. It allows for a
“syn-opsis,” a viewing together of very different stories that bolsters one of
the foundational tenets of Renaissance natural magic: the universal drive for
wholeness permeating the entire enlivened and sexualized cosmos, where the male
and female aspects strive to unite. By dint of his profound knowledge of the
occult sympathies and antipathies between things, the natural magus has the
power to tap and organize these cosmic erotic forces so that he may produce his
marvels.62 Within this Renaissance tradition, the human imagination has not
only a specific capacity of the soul for evoking and then transforming images
that originate from sensory perception. The human imagination also had the
power to shape the body it inhabited, as well as other bodies.The formative
power of maternal longings Renaissance natural magic coopted an ancient belief
in order to exemplify the extraordinary formative powers of the human
imagination. If a woman was exposed to a strong sensation or harbored an
intense longing during intercourse or pregnancy, this state was thought to inf
luence the formation of the embryo in her womb. Renaissance magi thus believed
that the image of its mother’s obsession was impressed on the fetus and the
future child would physically resemble the entity she had longed for during
intercourse. Della Porta makes direct reference to such ideas and related
practices. Initially, it appears that he is simply repeating the highly popular
theories on maternal longings encountered in authors as diverse as Ficino and
Castiglione.63 In the circular reasoning characteristic of natural magic, this
set of beliefs about the imagination also opened implications for purposefully
shaping future children, by positively conditioning the imagination of the
mother. A frequently repeated segreto for creating beautiful children
recommends exposing women during intercourse and pregnancy to paintings or
sculptures of beautiful children, inf luencing the future child’s shape via
beautiful imaginamenta.64 Della Porta refers directly to this bedchamber practice:
place in the bed-chambers of great men, the images of Cupid, Adonis, and
Ganymedes; or else [. . .] set them there in carved and graven
works in some solid matter, [. . .] whereby it may come to passe,
that whensoever their wives lie with them, still they may think upon those
pictures, and have their imagination strongly and earnestly bent thereupon: and
not only while they are in the act, but after they have conceived and quickened
also: so shall the child when it is born, imitate and expresse in the same form
which his mother conceived in her mind, when she conceived him, and bare in her
mind, which she bare him in her wombe.65 It is fascinating that Della Porta’s
two discourses on memory and on what one could call family planning are also
interconnected through his choice of visualexamples, of imagines agentes. As in
The Art of Remembering, we again encounter the images of Adonis and Ganymede
and of Cupid. Significantly, in contrast to Della Porta’s The Art of
Remembering, where predominately female personae cater to male sexual
fantasies, all of the images that Magia naturalis prescribes for pregnant women
are of beautiful boys. Della Porta’s ideas on the power of maternal longings
entail a creative female capacity to produce such images in the shape of
children; her imagination is engaged with the future. A master of the art of
memory, on the other hand, is engaged in recollecting the past. Hence, the
process in the pregnant woman’s imagination constitutes an inversion of the
process prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering: the woman’s
imagination allows a marble statue to come alive, whereas the (male) master of
the art of memory seeks to freeze the image of a living person (preferably a
sexualized woman) into an imago agens—that is, he turns the figment to stone,
symbolically killing the persona just when it appears to be most alive. This
excursion into beliefs about the effects of maternal longings allows us to
re-contextualize the mental process structuring Della Porta’s The Art of Remembering.
The imagination is a faculty of the human soul capable of producing loci and
imagines agentes, to be frozen into statues, into tableaux vivants. The story
of the maternal longings confirms Della Porta’s creed that the human
imagination can also materialize its products; in both cases, the image may be
unfrozen and directed back to its starting position to assume a new pose. The
master of Della Porta’s art of memory thus arrogates for himself a phantasmatic
power over life and death, inherently a much greater power that the
pro-creative capacity he has ascribed to women. The asymmetric gender bias that
emerges in this account is instructive. As in the story of Daedalus and
Pasiphaë, the art of memory also refers to the preeminent ability of the male
magus to create monsters through artificial cross-breeding, whereas the
imagination of a pregnant woman requires male protection and guidance to its
power to shape future children.Conclusion The evidence for my claim that
Porta’s choice of memory images in his The Art of Remembering is not arbitrary,
but instead it is closely related to the overreaching project he pursued as
author of texts on (and a practitioner of ) natural magic, physiognomy, and the
theater. A set of classical myths—Andromeda, Europa, Io, Pasiphaë, and
Aktaion—handed down by Ovid, parodied by Apuleius, and painted by Titian, was
put to a specific use in Della Porta’s The Art of Remembering. In the mode of
synecdoche, he instructs the reader on how to reduce an entire story to a single
imago agens (for instance, the image of naked Andromeda chained to her rock).
The imago agens thus functions as a synopsis of the entire myth. This
oscillation between the modes of synopsis and of synecdoche—entailing a
constant process of re-focalization—in effect constitutes the basic cognitive
operation in Della Porta’s The Art of Remembering. Since it reduces a whole
welter of ancientmyths to one common narrative, the mode of synecdoche
facilitates the perception of thematic or structural affinities between
different myths. Accordingly, a series of imagines agentes referring to very
heterogeneous stories allows a leveling in our perception of these different
narratives and their content. The mode of synecdoche is conducive to
focalization on a single topic via myriad topical affinities (which become
highlighted in the mode of synopsis). In Della Porta’s mnemotechnique, this
re-focalization of a series of stories may transpire not only through a
heightening affinity, but also in the mode of inversion (for instance, in the
myths of Europa and Pasiphaë). In The Art of Remembering, this results in the
reduction of the stories of Io, Pasiphaë, and Europa (as well as Apuleius’
asinaria Pasiphaë ) to the topic of women having sex with animals and
generating monstrous offspring (bulls, cows, asses). This topical affinity is
also pertinent to the relationship between of sexualized imagines agentes and
memoranda (bulls, horns, birds). The imagines agentes operate within the
imagination of the master of the art of memory. This particular mental faculty
not only receives such images; it also has the capacity to transform them into
new images—images which in turn have the power for transforming the human body.
Not only does Della Porta’s laboratory of monstrous hybridization constitute a
hotbed for the literary imaginary, but the literary image also models the
reader’s imagination, and once the imagination is infected by an image, these
images may acquire a life of their own. This reasoning has its ultimate proof
in the belief that a pregnant woman’s fantasies inf luence the form of the
future child. At the thematic intersections of literature, visual art,
physiognomonics, natural magic, the core topic—sex with animals and the
generation of monstrous offspring—becomes embedded (in the literal sense of the
word) with personal erotic experiences. The women who have intercourse with
animals are impersonated by the women with whom Della Porta has had—or wished
to have—intercourse. As mnemonic personae/loci and hence as slaves of his
erotic fantasy, they are forced to embody any role assigned to them by their
master. Della Porta is thus obliquely portraying himself in the process of
recollecting his own memories—living statues of women who have sex with animals
who may be seen as surrogates for him. In a series of constant mise en abimes
mirroring a phallic erotic imagination, Della Porta points his readers (and
himself ) towards the center of a truly mannerist Minotaur’s abode.Notes I wish
to thank Marlen Bidwell-Steiner for many invaluable discussions and comments. 1
On the art of memory, see Yates, The Art of Memory; Bolzoni, The Gallery of
Memory; Carruthers, The Book of Memory. 2 The Latin Ars reminiscendi was
published 1602. L’arte del ricordare was purported to be the Italian
translation by a Dorandino Falcone da Gioia, but this was in all probability a
pseudonym for the author himself. Both texts are edited in Della Porta, Ars
Reminiscendi: L’arte di ricordare. For the first English translation of the
Italian version and a well-informed introduction to the text in English, see
Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare. On the differences
between the Italian and the Latin versions, see in that edition Baum, “Writing
Classical Authority”; also Bolzoni, “Retorica, teatro, iconologia, 340, with
footnote 5; Maggi, “Introduction,” in Della Porta, The Art of
Remembering/L’arte del ricordare, 29–30; Balbiani on the fortuna of Della
Porta’s Magia naturalis in La Magia naturalis. Bolzoni, The Gallery of Memory,
175. Valente, “Della Porta e l’inquisizione.” On which see Kodera “Giambattista
della Porta,” in Stanford Encyclopedia of Philosophy. For a succinct and highly
influential discussion of the medieval technique of the art, see Rhetorica ad
Herennium, ed. and trans. Nüsslein, 164–80 (bk III, §§ 28–40, XVI–XXIV); Yates,
The Art of Memory, 63–113. On the medieval use of memory images, Carruthers,
The Book of Memory, 59, writes: “Most importantly, it is ‘affective’ in nature,
that is, it is sensorily derived and emotionally charged.” See also ibid., 109,
134, and 137. Bolzoni, The Gallery of Memory, 130–31. Della Porta, Ars
Reminiscendi, 75. See for instance Dolce, Dialogo del modo, 26–32. As Bolzoni,
The Gallery of Memory, p. 137 (with footnote 12) has pointed out, it is
interesting to note that the Ars reminscendi explicitly warns against the use
of medicines or drugs for enhancing the capacitances of memory, whereas in
Della Porta had presented such recipes in his Magia naturalis. Della Porta, Ars
Reminiscendi, 68. On the notion of phantasmata in Della Porta, see Kodera,
“Giovan Battista della Porta’s Imagination.” Della Porta, Ars Reminiscendi, 70.
See Dolce, Dialogo del modo, 92 and the attendant notes directing the reader to
medieval sources of this method. Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. Dolce,
Dialogo del modo, 33–34, for example, does not try to assimilate the personae
to the loci, but instead distinguishes between them. Della Porta, Ars
Reminiscendi, 17. It is interesting to note that Della Porta does not seem to
be picky about terminology, as for him very different notions—similitudo, idea,
forma, simulacrum are synonyms with imago. Ibid., 79. Galileo loved exactly
such character traits in Ariosto’s heroes; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory,
211. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17–18. Bolzoni, The Gallery of Memory, 167
has pointed to the fact that Della Porta is here quoting almost verbatim from
Leon Battista Alberti’s, De pictura, 2. 40, arguing that “the theatrical
tradition becomes a point of reference to the painter who has to paint an
istoria.” For a discussion of the number of loci from a different contemporary
perspective see Dolce, Dialogo del modo, 39–43 with many references to earlier
sources. Bolzoni, The Gallery of Memory, 162–63; Dolce, Dialogo del modo, 145,
footnote 345 with much scholarly literature on the connections between the art
of memory and theater. Kodera, “Bestiality and Gluttony.” Clubb,
“Theatregrams,” has called these variable parts theatergrams. One possibility
is to generate a locus which is then invariably used, because it is recharged
with new imagines that have the capacity to store a new set of memoranda. Yet
if this process of re-inscription of the extant structure proves impossible,
one must destroy the entire setup. In order to do this, many masters of memory
suggested methods that were outright iconoclastic; cf. Bolzoni, The Gallery of
Memory, 142–44. Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. Ibid. Carruthers, The Book
of Memory, 131 on the pictorial turn of medieval art of memory. Della Porta,
Ars Reminiscendi, 76. Ibid. Ibid., 17–18.30 This otherwise puzzling imago seems
to be a remnant from a manuscript version of the Arte del ricordare, which
refers as examples for imagines agentes to one of Boccaccio’s Novellae, on
Chichibio, of the Decameron VI, 4 (Della Porta, Ars Reminiscendi, 77); in that
version Della Porta also mentions two more highly salacious stories from the
Decameron (III, 10 and VIII, 7); see Della Porta, Ars Reminiscendi, 79 and 95;
see also Baum, “Writing Classical Authority,” 159. 31 The hero Hercules and the
river god Achelous were fighting over Deianeira, the daughter of Dionysius.
During the battle between the two rivals, the bull-headed river god turned
first into a snake and then into a bull, whose right horn is broken by
Hercules; according to one version, Hercules took that horn down to Tartarus
where it was filled by the Hesperides with golden fruit and is now called Bona
Dea (cornucopia). Graves, The Greek Myths, 553–54; Ovid, Metamorphoses, bk. IX,
vv. 1–92. Observe that the cornucopia appears in the next imago agens. 32 Della
Porta, Ars Reminiscendi, 18. 33 This increasing prurience is a general tendency
in Della Porta’s works and is probably due to the increasingly intolerant
intellectual climate characterizing the last decades of the sixteenth century;
on this see Kodera, “Bestiality and Gluttony,” 86–87 with references. 34 Della
Porta, Ars Reminiscendi, 77. 35 Della Porta here had openly referred to the
myth, whereas in the Ars reminiscendi he only alluded to it—namely, by
describing the iconography of one of Titian’s most famous paintings (the
persona of a virgin sitting and playing on a bull and holding a crown over the
animal’s head). 36 In the Latin version the prostitute was substituted with the
lover of one’s wife. In the Latin version, ibid., 22, Leda is completely
omitted. 37 The word ucello (bird) denotes penis, with birds commonly looming
large in all kinds of erotic metaphors; on the semantics of ucellare (the word
denoting prostitution, ridicule, and penis) see Alberti, “Giove ucellato,”
59–64; for similar contexts in Della Porta’s theater, see Kodera, “Humans as
Animals,” 108–09. 38 Compare Schiesari, Beasts and Beauties, 61–64 for
perceptive remarks on the gender bias of Della Porta’s Physiognomy. 39 Alberti,
Della pittura, 122–24 (bk 2, §36) For a discussion of the relevant passages,
see for instance Heffernan, Cultivating Picturacy, 71–73. 40 Bolzoni, The
Gallery of Memory, 167. 41 Ovid, Metamorphoses IV, vv 671–675; 112. 42
Apuleius, Metamorphoses: The Golden Ass, Book ii, § 1, 22. 43 See Innes,
“Introduction,” 19–24. 44 So does Dolce, Dialogo del modo, 146-47, mentioning
Titian’s Europa and Akataion. 45 Ovid, Ars amatoria libri tres, 26–28, bk. I,
v. 289–326, Ovid., Metamorphoses, bk. VIII, v. 134–36; Graves, The Greek Myths,
293–94. 46 On Europa, see ibid., 194–97. 47 A caricature of the animation of
statues by Egyptian magi, as described by Hermes in the Corpus Hermeticum, an
account which it is well known, and haunted many renaissance minds; for a
commented edition, Copenhaver, Hermetica. 48 A labyrinth, i.e., an
architectural structure designed expressly to get lost in, as opposed to
orderly architectural structures—and also the inversion of the clearly
represented structure of loci in the art of memory. 49 See Kodera, Disreputable
Bodies, 275–93 and Della Porta, De i miracoli, 23–25, bk I, ch. 9. 50 Della
Porta, Natural magick, 43, bk 2, ch. 12. 51 Kodera, “Humans as Animals,”
109–15; Della Porta, Magia naturalis libri XX, 76, bk II, ch. 12. This passage
is an elaboration of Aristotle on crossbreeding, from De generatione animalium
4.3, 769b. In this case Della Porta’s credulity is greater than that of many of
his educated contemporaries, who were usually more skeptical about the
possibility of producing offspring through sex between humans and animals. For
a very interesting24452 53 54 55 56 57 58 59 60 61 6263 64 65Sergius
Koderacontemporary discussion of the topic, which clearly accentuates the ways
in which Della Porta is bending his evidence, see Varchi, “Della generazione
dei Mostri,” 99–106. On this see MacDonald, “Humanistic Self-Representation,”
Kodera, Disreputable Bodies, and Schiesari, Beasts and Beauties. Della Porta,
Ars Reminiscendi, 78–79. Cf. Apuleius, Metamorphoses lib. X, §§ 19–22. For a
succinct introduction to that text, and relevant secondary literature, see
Kenney in Apuleius, Metamorphoses, ix–xli. Ibid., 84–186; 190–94, bk 10, §
19–23; § 29–35. Apuleius, Metamorphoseon, bk. 10, § 19, l. 3. See Liliequist,
“Peasants against Nature,” 408. On the increasing belief in the real existence
of such hybrid animals in the later Middle Ages, see Salisbury, The Beast
Within, 139 and 147. Ovid, Metamorphoses, bk I, vv. 588–662 and 724–45, Graves,
The Greek Myths, 190–92. Just see the example of the re-transformation: Ovid,
Metamorphoses, bk I, vv 737–46, trans. Mary M. Innes, 48. For Lucius’
transformations into an ass and back again, see Apuleius, Metamorphoses, 52, bk
3, § 25 and ibid., 202–03, bk 11, § 13–14. In that vein of thought, many more
things could be said also on the story of Hercules and the bull-headed river
god Achelous (on whom, see above, endnote 31). The Arte del ricordare mentions
not only association from the same (dal simile, Della Porta, Ars Reminiscendi,
80 and 81) but also aggiungere, mancare, trasportare, mutare, partire (ibid.,
85) and trasponimento dal contrario (ibid., 95). Kodera, “Giambattista della
Porta,” 8–9 for a short introduction to the idea that all things in the
universal hierarchy of being are moved by the (irrational) forces of attraction
and repulsion they feel for one another. Porta provides an impressive
description of the macrocosmic animal, the male and female aspects of which
mingle in a harmonious and well-coordinated way; cf. Della Porta, Magia
naturalis, bk. 1, ch. 9. Della Porta, Natural magick, 51: “Many children have
hare-lips; and all because their mothers being with child, did look upon a
hare.” For an earlier source see Ficino, De amore, 252. For an introduction to
the history of these seemingly widespread practices and the related artwork
during the Renaissance, see Jacqueline Musacchio, The Art and Ritual of
Childbirth, 128–39. Della Porta, Natural magick, 53.Bibliography Alberti,
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1590. Yates, Frances A. The Art of Memory. London: Penguin, 1969.13 “O MIE ARTI
FALLACI” Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane TylusThe
second half of Torquato Tasso’s tormented life was taken up by his epic poem
Gerusalemme liberata and the painstaking revisions he made to it following its
unauthorized publication in 1581. Posterity has canonized the 1581 poem rather
than its more sprawling successor, Gerusalemme conquistata, which Tasso proudly
dedicated to Pope Clement VIII’s nephew when he published it in 1593. Posterity
notwithstanding, Tasso claimed that his “poema riformato” was far superior to
the earlier work largely because of “the much more certain knowledge I now have
of myself as well as of my writings” (“la certa cognizione ch’io ho di me
stesso e de le mie cose”).1 One result of this new certainty seems to have been
if not the eradication of the Liberata’s female characters, at least the
curtailing of their inf luence.2 The enchantress Armida virtually disappears
after Canto 13, lamenting her failures to keep the Christian army’s strongest
knight with her forever, and no longer converting to Christianity as in the
surprising end of the Liberata. The princess of Antioch, Erminia, is denied her
remarkable role in the Liberata as the discoverer and healer of the Christian
knight Tancredi’s wounded body and the revealer of a secret plot against his
captain, Goffredo. Two extraordinary Christian women are completely excised
from the Conquistata: Gildippe, who dies fighting by her husband’s side in the
Liberata’s twentieth canto, and Sofronia, who offered her life to save the
Christian refugee community in a captive Jerusalem, and who, in turn, is saved
by the Muslims’ most celebrated woman warrior, Clorinda. Only Clorinda’s tale
is relatively untouched—with the exception of her rescue of Sofronia. Both the
Liberata and the Conquistata tell of her strident independence and her baptism
into her mother’s Christian faith as she lies dying by the hand of Tancredi,
who has killed what he loved. This essay will not so much catalogue the
Conquistata’s many revisions as attempt to gauge the changing role of the
female body in Tasso’s epic practiceTylusand its relationship to Tasso’s
growing ambivalence about the status of the “arti fallaci” in his poetry—a
phrase, as we will see, that is uttered by the much altered character of
Erminia toward the end of the Conquistata. And even if Clorinda and Armida
continue to stand out in their memorable particularity in the Conquistata, they
are joined by a new host of women who exist largely to create a “dynamic that
is reassuringly familial,” as Claudio Gigante has observed, and who no longer
possess the self-conscious artfulness that characterized female characters in
the Liberata.3 The contrast allows us to see how potentially radical the Tasso of
the Liberata was and at the same time how his transformations of women in the
Conquistata are tied to his reconceptualization of himself as an epic poet.4 I
will elaborate some of these arguments by turning to developments that led to
the Conquistata, necessarily addressing selective incidents within both poems
in order to depict the nature of Tasso’s poetic transformation. One episode in
particular offers itself up for special consideration. It concerns a female
figure in the Liberata who has not attracted much attention, and who, as
mentioned above, is nowhere to be found in the revised poem: Sofronia.5 Willing
to die in exchange for the salvation of her fellow Christians, she is rescued
and subsequently exiled from Jerusalem. The contrast between this stirring
episode in the Liberata and its muted aftermath in the Conquistata could not be
greater, as the following pages will show. At the same time, they attest to
what might be called Tasso’s desire for the organicity of his revised epic, a
poem in which individual characters would be immune from the criticism launched
against Sofronia herself. For according to the Gerusalemme’s first readers, the
episode that centered on her in Canto 2 was “poco connesso” to the Liberata as
a whole.6 This lack of continuity, in turn, has a stylistic echo in the
infamous critique of Tasso’s language as “parlar disgiunto” or disjointed
speech—a disjointedness even Tasso acknowledged when he claimed to have learned
it from Virgil, admitting that it can tempt one to swerve dangerously from the
“truth” in its pursuit of fallacious artistries.7 The path toward wholeness in
the Conquistata thus marks a turn away from Virgil and toward the more
narratively f luid Homer, as readers of Tasso (and Tasso himself ) have readily
ascertained.8 But this path also goes through the body of the female,
inscripted into the Conquistata as bearer of a new epic model of integration
and personal loss. It is a body that the chastened Tasso, in his final critical
writings on his poetic output, may also have recognized as his own. * ** In the early
1680s, the prolific Luca Giordano executed a series of paintings for a Genovese
palazzo recently acquired by the nobleman Eugenio Durazzo. Among the works
Giordano designed for the entryway into a palace that was on the “must-see”
list of every foreign visitor to Genova, were portraits of the death of Seneca
and the Greek hero Perseus. But his paintings also featured a large canvas
depicting an event from the Liberata’s story of Sofronia, the brave young woman
who volunteers to die for her fellow Christians and who, along with the man who
loves her, is saved by Clorinda. Moved by the taciturn stance of thefemale
victim before her, Clorinda asks Aladino, Jerusalem’s king, to free the two
Christians in exchange for her promise that she will perform great deeds in
Jerusalem’s defense, and Giordano chooses to display this moment in his work9
(Figure 13.1).10 At the same time, Clorinda’s back is turned, so that the real
savior of the two Christians bound at the stake seems to be a painting of Mary
which angels are holding aloft—suggesting that Giordano’s work may also be
about the salvific powers of art. Mariella Utili has written of Giordano’s
intent to throw into relief the religious aspect of the story: “the exaltation
of Christianity, which had been the basis for the immediate success of Tasso’s
poem and which many other artists before Giordano had noted as well.”11 Yet
with respect to the episode of Sofronia and her would-be lover Olindo, who begs
to die with her, such a remark might seem ironic. For this story provoked
almost more than anything else in the epic the concerns of the poem’s
Inquisitorial readers, and in turn Tasso’s worries aboutFIGURE 13.1Luca
Giordano, “Olindo e Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).Photo
credit: Zeri Photo Archive, Bologna, inv. 110885.the extent to which its
inclusion would threaten the Liberata’s publication. So much so, that in a
telling letter written on April 3, 1576 to his friend and literary confidant
Scipione Gonzaga he writes, “Io ho giá condennato con irrevocabil sentenza alla
morte l’episodio di Sofronia” (“I’ve already condemned the episode of Sofronia
to death, and my decree is absolute”).12 Having barely escaped death at the
hands of Jerusalem’s king, Sofronia was condemned anew by Tasso. The reasons
for this condemnation are several, even as the episode contains within itself a
germ of the process that will define Tasso’s method in the Conquistata. One
reason certainly has to do with the painting which Giordano has f loating in
the sky—a touch unaccounted for in the Liberata itself, but prepared for by the
odd narrative Tasso weaves in the opening of Canto 2. For the catalyst that set
off a tyrant’s rage, leading him to sentence Jerusalem’s Christians to death,
is indeed a work of art: an image of Mary taken from the Christians’ church by
the magician and former Christian Ismeno, who is convinced of its supernatural
abilities to protect the walls of the city against the Crusaders. He places
Mary’s picture in a mosque so as to provide “fatal custodia a queste porte.”13
For reasons on which Tasso coyly refuses to pronounce—(“O fu di man fedele opra
furtiva, / o pur il Ciel qui sua potenza adopra, / che di Colei ch’è sua regina
e diva / sdegna che loco vil l’imagin copra: / ch’incerta fama è ancor se ciò
ascriva / ad arte umana od a mirabil opra”; “It was either the work of a
stealthy hand, or heaven interposed its potent will, disdaining that the image
of its queen be smuggled somewhere so contemptible” [2: 9]14)—the immagine
mysteriously disappears from the mosque into which Ismeno has smuggled it.
Certain that the Christians have contrived to steal it back, Aladino plots for
them universal slaughter, until the beautiful Sofronia steps forward to take
the blame so that her people will not die, a confession the narrator describes
as a “magnanima menzogna,” a magnanimous lie. In a letter, however, written
soon after he released the poem to an official reading, Tasso seems fearful
that the stolen immagine has invoked the ire not of Aladino but of Silvio
Antoniano, the Roman Inquisitor and official in charge of granting the right of
nihil obstat for books published in Rome. Writing to Luca Scalabrino on a later
occasion, he continued to insist on excising the “episodio di Sofronia”:
“perch’io non vorrei dar occasione a i frati con quella imagine, o con alcune
altre cosette che sono in quell’episodio, di proibire il libro” (“I don’t want
to give the friars a chance to condemn the book because of that image, or
because of any other little things found in the episode”).15 Much of interest
has been written of the status of images in the aftermath of Trent, some of it
in regard to the poem’s second canto. As Naomi Yavneh has pointed out, Trent
was preoccupied with limiting the role that excessive popular devotion played
in religious life, and its stance on images was no exception: it perforce
needed to clarify the extent to which “immagini” were only the simulacri for
the things to which they pointed. As such, the importance of an object in
referencing beyond itself—its deictic function—was accentuated by the orthodox
proclamations from the 1570s and 1580s. One typical characterization of the
post-Tridentine image, although from the Seicento, is offered by the
JesuitGiovanni Domenico Ottonelli. He suggests that in gazing at a painting,
“which represents something other than the thing which it resembles, and from
which it takes its name” (“che rappresenta un’altra cosa, di cui tiene la
simiglianza, e prende il nome”), one must recognize that “while the image renders
visible what is invisible, the image is only worthy of honor by virtue of
resemblance, not substance.”16 Moreover, as Yavneh goes on to point out, in the
episode from Tasso’s Liberata, the transformation of the painting of Mary into
a thing of “substance”— i.e., it alone can save Jerusalem from harm—is
initiated by the renegade Christian, Ismeno, unable to leave his former
religion completely behind him (“Questi or Macone adora, e fu cristiano, / ma i
primi riti anco lasciar non pote; / anzi, in uso empio e profano / confonde le
due leggi a se’ mal note”; “He adores Mohammed, as once he adored Christ, but
cannot now abandon the first way, so often to profane and evil use confounds
the two religions out of ignorance” [2: 2]). It is Ismeno who recommends that
Aladino place “questa effigie lor” of Mary, “diva e madre” or goddess and
mother of the Christian’s god (2: 5) into the mosque because of its talismanic
status—an idolatrous reading in which the Christians, who leave their offerings
before the “simulacro” do not, apparently, concur.17 One can only speculate as
to what about the “immagine” in Canto 2 might have angered Tasso’s
inquisitorial reader; the letter from Antoniano detailing his objections to the
Liberata does not survive. But it is striking that another vergine, Sofronia,
proclaims for herself the protective status Ismeno gave to the immagine of
Maria. Her sacrifice thus effects a substitution originally engineered by the
apostate. She too adopts the language of female uniqueness when boldly stating
to the king Aladino her “crime”: “sol di me stessa, sol consigliera, sol
essecutrice” (“I was the only one [who knew of it], one counselor, one executor
alone”; 2: 23). When Olindo challenges Sofronia’s magnanimous lie, arguing that
a mere woman would be unable to carry out the theft, she insists again on her
autonomy: “Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede / di bastar solo, e
compagnia non chiede” (“I too have a heart, confident it can die but once. It
does not ask for company”; 2: 30). But Tasso links her in other ways to the
Madonna that Ismeno made into a singularly potent object. As commentators have
noticed, Tasso compares her to the stolen image when her veil and mantle are
roughly taken from her when she is led to the stake.18 Just as Mary’s image,
“enveloped in a slender shroud” (“in un velo avolto”; 2: 5) was seized
(“rapito”) by Ismeno, so are Sofronia’s veil and mantle seized from her
(“rapit[i] a lei [Sofronia] il velo e ’l casto manto”; 2: 26). And an allusion
to Mary’s face (“il volto di lei”) returns with “smarrisce il bel volto in un
colore / che non è pallidezza, ma candore” (“the lovely rose of [Sofronia’s]
face is lost in white which is not pallor, but a glowing light”; 2: 26). And
yet the resonances between Sofronia and an inimitable female figure do not end
here. Giampiero Giampieri has noted that the white coloring of Sofronia at the
stake is echoed eleven cantos later when Clorinda, the third vergine of the
canto, dies at Tancredi’s hands. This pale demeanor at death’s arrival in turn
has its haunting origins in the phrase accompanying the suicides of
Virgil’smost prominent female character, Dido, and the historical figure on
whom she is partially modelled, Cleopatra. These intertextual allusions thus
trace an unsettling historical trajectory, insofar as far from being “vergini,”
unlike their Tassian counterparts, both women are known for their sensuality
and, in Dido’s case, unrequited passion. At the same time, Clorinda, like
Sofronia, occupies the role enjoyed by Dido and Cleopatra before romantic
liaisons led them astray. They are all the singular, female supports of their
people. When Islam’s powerful woman warrior enters Jerusalem in Canto 2,
Clorinda is defined as the self-sufficient savior of a people that Sofronia
and—according to Ismeno—the immagine of Mary have been before her. In greeting
Clorinda, Aladino bestows on her the signal distinction of the warrior who
alone can protect the city (“non, s’essercito grande unito insieme / fosse in
mio scampo, avrei più certa speme”: “though a whole host should come to rescue
me, I would not hope with greater certainty”; 2: 47). Not only does he concede
to her his scepter (“lo scettro”) but he adds, “legge sia quel che comandi”
(“let the law be what you command”; 2: 48), an honor that prompts Clorinda to
ask for her reward in advance: the release of the two Christians.19 Even as
Clorinda will exact bloody penalties on the Christians who attack the city to
which she pledges her protection, this fantasy of female potency that begins in
Canto 2 will be eclipsed outside Jerusalem’s walls when Clorinda is killed by
Tancredi: Meanwhile they whispered of the bitter chance behind the city wall
confusedly till finally they learned the truth. At once through the whole town
the bad news made its way mingled with cries and womanly laments, as desperate
as if the enemy had taken the town in battle and f lew to raze houses and
temples and set the ruins ablaze. Confusamente si bisbiglia intanto del caso
reo ne la rinchiusa terra. Poi s’accerta e divulga, e in ogni canto de la città
smarrita il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che
se presa in guerra tutta ruini, e ’l foco e i nemici empi volino per le case e
per li tèmpi. (12: 100) The defeat of a city in wartime evoked in this moving
simile is the fate that Ismeno believes Jerusalem will avoid if Mary’s image is
placed in the mosque; that Sofronia believes her people will avoid if she dies
at the stake; and thatAladino believes his kingdom will avoid if Clorinda
agrees to defend his city. And the moment, of course, looks backward again to
Virgil, and to the demise of another city, Carthage, upon the death of another
singular woman. “The palace rings with lamentations, with sobbing and women’s
shrieks, and heaven echoes with loud wails—even as though all Carthage or
ancient Tyre were falling before the inrushing foe, and fierce f lames were
rolling on over the roofs of men, over the roofs of gods” (IV: 667–71).20 The
“città smarrita,” the urbs in ruin: in both Aeneid 4 and the Liberata, the
figurative collapse of the city, portrayed in a simile that reveals the grim
devastations of war, is tied to the death of a woman characterized as savior.
And in both cases, the two cities of these respective poems will be invaded by
the enemy—one during the Punic Wars that are only predicted in the Aeneid, the
other in Canto 20 of the Liberata. At the same time, the simile of Canto 12
following Clorinda’s death can be said to silence the diabolical suggestion
that women’s bodies might be sufficient protection for Jerusalem’s community;
or in rhetorical terms, that the female body stands in an analogical
relationship to the city and can procure its health. Sofronia’s self less
action in Canto 2 procures temporary salvation for the Christians. But genuine
salvation arrives only eighteen cantos later, when Goffredo’s troops invade
Jerusalem and secure it for its “rightful” owners. In the meantime, Sofronia,
like the Madonna’s image, has been withdrawn forever from the poem. Following
her rescue by Clorinda, she does not refuse Olindo her hand in marriage, and
with him and others “di forte corpo e di feroce ingegno” (whose bodies are
robust and spirits bold; 2: 55) she is banished, so fearful is Aladino of
having so much virtue nearby (“tanta virtù congiunta . . . vicina”;
2: 54). Some of the banished wandered aimlessly (“Molti n’andaro errando”; 2:
55) while others traveled to Emmaus where Goffredo’s troops are gathered. Of
Sofronia and Olindo, however, no more is heard. All Tasso divulges of their fate
is that they both went into exile beyond the bounds of Palestine (2: 54). Such
a finale to Sofronia’s sacrificial offering ensures—intentionally, it would
seem— that the episode is indeed “poco connesso” to the rest of the poem.
Inserted into the beginning of the Liberata, the story of Sofronia operates as
a virtually self-contained unit, ending with its main protagonist banished from
Jerusalem. That the episode can be said to trace Tasso’s ambivalences regarding
“tanta virtù congiunta” in not one, but three, female characters, is suggested
by both Sofronia’s and the immagine’s summary dispatch from the poem—as though
to insist on the heretical nature of Ismeno’s view of the painting, and the
women’s views of themselves, as sufficient to protect a city.21 But there may
be another link between the exiled women and the immagine. The latter is both
more and less than an icon: it is a work of art, in ways which the woman
themselves may replicate. Much of the threat represented by Sofronia has to do
with her inscrutability, which mirrors the unknowability of the immagine’s fate
and of the painting itself. Moved by generosity and “fortezza,” Sofronia exits
alone among the people (“tra ’l vulgo”) after Aladino orders the Christians’
houses burned. But as she journeys publicly to meet the king, Tassointroduces
some seemingly gratuitous phrases: she neither “covers up her beauty, nor
displays it,” and “Non sai ben dir s’adorna o se negletta, / se caso od arte il
bel volto compose” (“If chance or art has touched her lovely face, if she
neglects or adorns herself, who knows”; 2: 18). Similarly, she is described in
relationship to the young Olindo, who has loved her desperately from afar, as
either “o lo sprezza, o no ‘l vede, o non s’avede” (“she scorns him, or does not
see him, or takes no note”; 2: 16), and of her considerable beauty, she “non
cura, / o tanto sol quant’onesta’ se ’n fregi” (“cares not for it, or only as
much as required by honor’s sake”; 2: 14). Even as Tasso depicts her as a
“virgin of sublime and noble thoughts” (“vergine d’alti pensieri e regi”), he
wastes no time in adding that she is also “d’alta beltà” (2: 14), suggesting
that we do not know whether Sofronia is aware of her beauty’s effect on her
admirers. In short, she is the product of an artfulness that at once belies her
sincerity and renders her inaccessibility to public scrutiny even more
pronounced. Indeed, Sofronia is impugned throughout Canto 2 in various ways
that can only force the reader to suspect if not her motive—which emerges following
her struggle to balance masculine virility or “fortezza” and female modesty
(“vergogna”)22—then at least her self-presentation in a public space. And
because she is a woman, “amore” emerges as the vehicle through which her
integrity can be compromised. Or as Tasso says in introducing Olindo and in
returning to the language used only several stanzas before of the chaste image
of Mary and its supposed ability to provide “fatal custodia” to the gates of
Jerusalem: “tu [amor] per mille custodie entro a i più casti/ verginei alberghi
il guardo altrui portasti” (“although a thousand sentinels are placed, you
[Love] lead men’s glances into the most chaste of dwellings”; 2: 15). The
uncertain status of Sofronia’s agency and her inability to control the reception
of her offer are highlighted again after the king, furious over her assertions
that she was right to steal the image, orders her to be burned: “e ’ndarno Amor
contr’a lo sdegno crudo / di sua vaga bellezza a lei fa scudo” (“too slight a
shield is womanly grace for Love to f ling against the crude resentment of the
king”; 2: 25): as though she—or Love working through her—might cunningly be
able to soften the tyrant in his resolve. The manner in which Sofronia is tied
to the stake—her veil and “casto manto” stripped violently from her and used to
tie “le molli braccia” (2: 26)—and the ensuing appearance of Olindo beside her,
“tergo al tergo,” heighten the barely suffused sensuality of the preceding
stanzas in which Sofronia’s ambiguously constructed femininity has been a muted
but persistent theme. “O caso od arte.” This is the phrase that threatens to
turn Sofronia into the seductress Armida, who appears two cantos later at the
threshold of the Christians’ camp to lure the Crusaders away from war. Sofronia
is no Armida. Yet in depicting Sofronia’s inner conf lict between “fortezza”
and “vergogna,” while refusing to declare the extent of Sofronia’s artful
self-consciousness, Tasso highlights the problems that emerge when a woman
thrusts herself into the public gaze.23 The questioning presence of male
spectators, a group into which Tasso inserts the (male) reader by way of the
narrator’s interventions, ultimately pointsto the inability of Sofronia—and by
extension, of the immagine of Mary and of Clorinda, who has already unknowingly
inspired the passion of the Christian knight Tancredi—to control the effects of
her self-presentation. Like the Didos and Cleopatras before her, she is unable
to escape from the controlling system of gender that makes her into the object
gazed upon and fantasized about as though she were a work of art. At the same
time, what prevents Sofronia from becoming a martyr and hence giving her life
for her people is another woman, Clorinda: who at first appears to the populous
as a male warrior (“Ecco un guerriero [ché tal parea]”) but who is betrayed as
a woman by her insignia, the tiger. When Clorinda enters into the crowded
piazza where the two Christians are tied to the stake, she notes Olindo weeping
“as a man weighed down with sorrow, not pain” (“in guisa d’uom cui preme /
pietà, non doglia)” while Sofronia is silent, “con gli occhi al ciel si fisa /
ch’anzi ‘l morir par di qua giù divisa” (“her eyes so fixed on heaven that she
seems to be leaving this world before she dies”; 2: 42). Clordina’s response to
this sight—a Clorinda raised in the woods and led to disdain female pastimes
such as sewing and embroidery—is extraordinary: “Clorinda intenerissi, e si
condoles / d’ambeduo loro e lagrimonne alquanto” (“Clorinda’s heart grew tender
at this sight; she grieved with them, and tears welled up in her eyes”; 2: 43).
Such tenderness leads her to ask for the two Christians as a gift in advance of
her promised salvation of the city: a salvation, as we will soon know, she can
never achieve. Her pity for a woman like herself—at once self-contained and yet
vulnerable to others’ fantasies about her sexuality—breaks through the
religious and ethnic differences on which the Liberata as a whole depends, and
arguably questions for Muslims and Christians alike the very premise of the
war. Clorinda will be revealed later in the poem as the daughter of a Christian
mother, and in retrospect one might see her recognition of herself in Sofronia
as a premonition of her true identity. Yet, at this early point in the poem,
her alignment of herself with Sofronia, along with Tasso’s allusions to
Virgil’s fateful women, creates a potentially scandalous community of women
whose unpredictable and often unreadable actions threaten to undo the
transcendental militarism on which the poem is based. The crisis of the
immagine, in Ismeno’s feverish recasting of its significance, is like that of
the women who are endlessly substituted for it: complete within itself, it has
no deictic function, failing to refer beyond itself to heavenly powers.
Sofronia, too, points only to herself (“Sol essecutrice”), a presumed
self-sufficiency that Tasso’s narrator translates into inaccessibility. It
creates for Sofronia the same unknowable status of the stolen painting, and an
unknowability Clorinda can only admire, and in which she similarly partakes.
Tasso’s simile of the city that dissolves into f lames upon Clorinda’s death
ten cantos later is thus ultimately a failed simile. That he will go on to
banish all of his Christian women from the end of the Liberata suggests both
his attempt to contain the threat represented by the female figures of Canto 2
and his inability to integrate Christian and Muslim women alike into the
culminating events of the poem. Clorinda and Gildippe are dead, Erminia is in
an “albergo” somewherewithin the city, Armida utters words of conversion but
only on Jerusalem’s outskirts, and Sofronia has disappeared forever. To be
sure, on the one hand, Tasso’s poem generally refuses to allow any character to
stand in for the whole and thus represent the city, earthly or celestial, by
him or herself, as the belated “Allegoria del Poema” attests and as numerous
episodes involving Rinaldo and Goffredo suggest.24 In an early letter, Tasso
protests the custom of romance that allows single characters to decide the fate
of entire empires: “non ricevo affatto nel mio poema quell’eccesso di bravura
che ricevono i romanzi; cioè, che alcuno sia tanto superiore a tutti gli altri,
che possa sostenere solo un campo” (“In my poem, I don’t allow that excess of
bravura that the romance welcomes, in which one figure emerges as greater than
all the others, capable of defending the battlefield all by himself ”).25 To
this extent, transforming the painting of Mary or the body of Clorinda into
singularly protective forces copies the excess of romanzi which Tasso claims to
avoid. Only the uniting of Goffredo’s “compagni erranti” or wandering
companions under “i santi segni” can win for the Christians their city (1:1).
The liberation of Jerusalem is the work not of women, but of men; and not of a
single man, but many. On the other hand, unlike Goffredo or Rinaldo, these
“virtuous” women do indeed disappear from the poem, suffering the fate of the
“poco connesso” and summarily excluded from the larger body into which Tasso
incorporates his men in the “Allegoria.”26 Yet is such exclusion ultimately a
penalty? While at work on the Liberata, Tasso was penning his brief pastoral
play, the Aminta, where he experiments with the inaccessibility of a vergine in
the figure of Silvia, whose own near-violation while tied to a tree is
reminiscent, even in its phrasing, of Sofronia’s violent torture. The
Liberata’s “Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, / stringon le molli
braccia aspre ritorte” (“they tear away her veil and her modest cloak, bind
hard her tender hands behind the back”; 2.26) echoes Silvia’s victimization at
the Satyr’s hands.27 But the exposure of Silvia’s and Sofronia’s bodies is in
turn contrasted with the degree to which they refuse to be contaminated by the
violence that surrounds them even as they are vulnerable to varying
interpretations of their sincerity. The fact that following their rescues
neither female character is seen again suggests an additional layer of
inscrutability, as though Tasso chose to protect the privacy of his vergini
from those who would compromise their virtue.28 Perhaps only in a world where
epic values— the seizing of Jerusalem from the renegade Ismeno and the infidel
Turks—are unequivocally positive can Sofronia’s premature departure be
construed as a loss, rather than a gain. The phrase used with respect to the
mosque from which Mary’s image is taken—“a vile place heaven holds in
disdain”—might stand in for the contaminated city as a whole that Sofronia
inhabits with other embattled Christians. Tasso’s own narrative gesture with
regard to all women of “fortezza,” Clorinda included, saves them from the
bitter militarism that informs the second half of his poem, preserving for them
a space offstage—or above it. But Tasso continued to ponder the ideal
relationship of the female body to his epic project, one which would rely on
integration rather than separation. Such integration demanded a very different
kind of poem from the Liberata, whoseMuslim male warriors, if not its women,
are diabolical figures from whom the city must be wrested. The Conquistata has
typically been glossed as a work that celebrates the Counter-Reformation Church
in all its militancy. But attentiveness to the new women of the revised poem,
beginning with a lamenting Mary who has stepped out of the painting to become a
character, may suggest otherwise.29 * ** Death appears
in the Conquistata’s opening stanza, where the triumphant prolepsis of
“compagni erranti” joining together under “santi segni” no longer exists, and
where the explicit allusions to the failures of hell, Asia, and Africa to
defeat the Crusaders is replaced by a description of how Goffredo’s military
feats “di morti ingombrò le valli e ’l piano, / e correr fece il mar di sangue
misto” (“filled the plains and valleys with the dead, and made the sea run red
with blood”). With death, there is mourning—and a world, as Tasso will call it
late in the poem, of “femineo pianto” female lament (23:117). And the first
evidence of female mourning that we see in Tasso’s “poema riformato” is that of
the Virgin Mary, who makes a surprising cameo appearance at precisely the
moment occupied in the Liberata by the episode with Sofronia. Threatened, as
before, by the impending arrival of Crusaders, Aladino decides that the
Christian community within the walls poses a danger, and in his rage swears to
put them all to death. A stolen painting no longer exists to provoke his anger,
but almost immediately the subject of that painting appears, as Tasso’s narrator
redirects our gaze from the cowering Christian citizens of Jerusalem to heaven,
in two entirely new stanzas: Holy Compassion, you did not keep your thoughts
hidden to yourself, as you gazed down from the celestial and sacred realm onto
the site where the King had lain buried, and at his faithful f lock. Thus:
“Lord,” you cried, “help, help—for now I alone am not sufficient to save their
lives.” Upon seeing those moist eyes—the eyes that had wept for her Son who
died on the cross—the Father said, “now let me turn my attention to their fear”
. . . and the savage man [Aladino] tempers his insane rage. Non fu ’l
pensier, santa Pietate, occulto a te ne la celeste e sacra reggia, donde
guardavi il luogo in cui sepulto il Re si giacque, e la fedel sua greggia.
Pero’: – Signor, gridasti, aita, aita, ch’io non basto a salvarli omai la vita.
Vedendo il Padre rugiadosi gli occhi di lei che pianse in croce estinto il
Figlio, – Vo’ – disse – ch’al Timor la cura or tocchi – . . . . [e]
Tempra dunque il crudel la rabbia insana. (2: 11–13) 30Thanks to this heavenly
intervention that happens in the blink of an eye (“ad un girar di ciglio”),
Aladino will “temper his rage” by burning the fields where the Crusaders might
have found food and by exiling, rather than killing, the faithful—excepting “le
vergini”—from Jerusalem, who depart in tears (“gemendo in lagrimosi lutti”; 2:
53). But their laments will not endure for long. When they come upon the
Crusaders in their camp, they offer their services to Goffredo and participate,
presumably, in the final attack on their former city in the closing cantos of
the new poem. As in Canto 2 of the Liberata, we have a threatened community,
and once again Mary figures in its protection. But for those familiar with the
Liberata, this episode in the Conquistata’s second canto represents a loss
rather than a gain, albeit a puzzling loss. Having omitted the episode of
Sofronia that apparently, he, and many of his first readers, found so
troubling, Tasso leaves us with the mere shadow of the women who once occupied
the status, rightly or wrongly, of Jerusalem’s saviors: a mourning mother. When
Mary calls upon God to temper Aladino’s wrath, she is gazing at a tomb: “il
luogo in cui sepulto/ il Re si giacque.” Jerusalem is a place of death, both
past and imminent, and Mary is not celebrating her son’s resurrection, but
weeping for his demise on the cross. Her grief is rehearsed again in the
following canto in stanzas also new to the Conquistata, where it will be shared
by other mothers—many of them Muslim. On tapestries which Goffredo shows the
two ambassadors who have arrived from the enemy’s forces—one of them, Argante,
“intrepid warrior” (“intrepido guerriero”; 2: 91)—is the thunderous defeat of
Antioch, which the Christians have just taken. Tasso lingers not over the
victorious assault on the city but on the artist’s attentiveness to women’s
loss as they watch their sons die below them: talented artist, you made the
faces of their mothers’ pallid and pale, for life no longer was welcome to
them. From above each one gazed at her dead child, who lay on the earth by
enemies oppressed, his head affixed to the enemy lance; and tears bathed their
dry cheeks. And so he created great variety among these images of grief
. . . con viso vi [il maestro accorto] feo pallido e smorto le madri,
a cui la vita allor dispiacque. D’alto mirò ciascuna il figlio or morto che tra
nemici oppresso in terra giacque, e’l capo affisso a la nemica lancia; e di
pianto rigò l’arida guancia. E variò le imagini dolente . . . (3:
48–9) The resulting “istoria” tells of a “Città presa, notturno orror, tumulto,
/ ruine, incendi e peste”, to which the artist adds “Fuga, terror, lutto, e mal
fido scampo / . . . . e correr feo di sangue il campo” (“A city
seized, nocturnal horrors, tumult, ruin, firesand plague . . .
flight, terror, grief, and luckless escape, and he made the field run with
blood”; 50). Argante, the Christians’ enemy, is gazing on these images, and one
could argue that his perspective inf lects the presentation of the tapestries,
much as Aeneas’s grief in Book 1 colors his reception of the carvings in
Carthage that detail the fall of Troy. Yet, elsewhere in the descriptions, we
hear of the “pious Goffredo,” the “good Beomondo,” the “great Riccardo.”
Moreover, the direct apostrophes to the Christian reader (“Italici e Germani
uscir diresti . . .” [2: 17]) suggest that it is Tasso’s narrator—and
Tasso himself—who lingers over the mournful details. In fact, the singular
concentration on the Conquistata’s women as vehicles of lament suggests that
Tasso is far from making their response to loss yet another diabolically tinged
inspiration. Riccardo, formerly the warrior Rinaldo, now also has a mother, who
like Thetis, emerges from sea-depths to comfort her son when his friend Rupert
dies. The prayers of Riccardo in turn are carried by heaven to a female figure
who with tearful face (“con lagrimoso volto” 21: 74) asks God, as did Mary much
earlier, to bring aid by turning “your pitying face to my warrior” (“al mio
guerrier pietoso ’l ciglio”; 72). But as the scenes of the tapestry suggest,
women’s presence as mourners is most visible in the sections devoted to
Argante, scourge of the Christians, and in the Conquistata clearly meant to be
a double for Hector from Homer’s Iliad. To strengthen this parallel with the
Homeric poem, Tasso had to give Argante a wife to protest his going out into
battle as Andromache did with Hector, and a mother—and a Helen—who will mourn
him when he dies.31 In the Liberata, this “intrepido guerriero” was killed by
Tancredi after a bloody duel outside Jerusalem’s walls. The wandering Erminia,
in love with Tancredi, literally stumbles over the bodies when she is escorting
the spy Vafrino back to the Christians’ camp, and restores Tancredi to health
with pious prayers and herbal medicines. Argante is summarily ignored by the
pair until Tancredi insists that they carry his bloody corpse with them to
Jerusalem: “non si frodi / o de la sepoltura o de le lodi” (do not deprive him
of burial or of praise; 19: 116). But we hear no eulogies, nor do we witness
Argante’s burial, and he is as arguably isolated in death as in life. The
Argante of the Conquistata receives a very different fate after he dies at
Tancredi’s hands. His body is given to the women of Jerusalem, who eulogize him
at the close of Canto 23 as husband, father, and son, as well as fierce
protector of his city. This last role is given explicitly to him by Erminia,
rechristened Nicea in the Conquistata, who laments her inabilities to save him
in the plaintive cry “O arti mie fallaci, o falsa spene! / A cui piú l’erbe
omai raccoglio e porto / da l’ime valli e da l’inculte arene? / Non ti spero
veder mai piú resorto, / per mia pietosa cura” (“O my fallacious arts, o my
false hope! What use now the herbs that I gather and carry from the dark
valleys and the hidden sands? I no longer hope to see you risen, saved by my
compassionate healing”; 23:126). The woman who in the Liberata had collected
medicinal herbs for her beloved Tancredi, and who is addressed by him as “medica
mia pietosa” after she saves him from death, here reproaches herself for having
failed to rescue Tancredi’s enemy Argante. Ifshe saved Tancredi and
Goffredo—and the Christian cause—in the Liberata, here she can confess only her
failed arts, and in the context of prophetically imagining a future of grief
and destruction in the wake of Argante’s death: “Sola io non sono al mio dolor;
ma sola / veggio, dopo la prima, altre ruine, / altri incendi, altre morti: e
grave e stanca, / quest’alma al nuovo duol languisce e manca” (“I’m not alone
in my grief, but I alone can see after this first destruction, more ruin, more
fiery blazes, more deaths; and tired and heavy, this soul will languish and
expire, sickened by new sorrows”; 127).32 These three weeping women—mother,
wife, and friend whose arts cannot save a dead man—integrate Argante not only
into the life of the city and the family, but into the future, as the women who
survive him imagine their fates as vividly as the female survivors of Hector in
the Iliad imagine theirs. Or as Argante’s wife, Lugeria, laments, “Ne la tenera
etate è il figlio ancora, / che generammo al lagrimoso duolo, / tu ed io
infelici . . . / non vedrá gli anni in cui virtù s’onora, / Né la
fama tua” (“Our son whom you and I—unhappy— conceived only for tearful sorrow
is still in his tender years . . . he will see the years in which
virtue is bestowed on him, nor will he know your fame” (23:119). For herself,
she can envision only “foreign shores” (“lidi estrani”) and service in the
entourage of some proud, Christian lord. The lines closely follow those of
Andromache in the Iliad, much as the lament of Argante’s mother (“Difendesti la
patria, e palme e fregi / n’avesti, or n’hai trafitto il viso e ’l petto”; “You
defended our country, and had honors and laurels; now your face and breast are
pierced [by a lance]”) repeats that of Hecuba in Iliad 24. Thus just as in the
Iliad, as Sheila Murnaghan has written, female lament has the function of tying
the hero back into his community, while making it clear that the hero’s kleos
or fame is achieved at women’s expense.33 Such a constitution of a larger, more
sorrowful, poem can be allied in turn with Tasso’s new relationship to epic.
Even for a poet as relentlessly psychoanalyzed as Tasso, the creation in the
Conquistata of the familial contexts that Tasso may have longed for after the
death of his mother, never knew, may come as a surprise.34 Tasso’s redefinition
of the epic poet in his unfinished Giudizio del poema riformato, the last of
his critical works, may instead have been in response to those readers of the
pirated Liberata who complained about the inauthenticity of some of the
characters’ emotions that drove the poem. In particular, he argues forcefully
in the Giudizio for the new sentiment he seeks to generate throughout the
Conquistata: pity, or “la commiserazione e de la purgazione de gli affetti”
(“commiseration and purgation of its effects”; 165). With respect to Argante,
whom he explicitly declares to have now fashioned as “most similar to Hector”
(“similissimo ad Ettore”), he comments, where Argante earlier was not wretched,
now he’s completely so, because he’s been changed from a foreign and mercenary
soldier into the son of a king and a Christian queen, and has become the
natural prince of the city: defending his father, loving his wife, and constant
in his defense and in hisfaith; and so that pity that is denied him by
[Christian] law can be granted out of natural and human sentiment. dove la
persona d’Argante prima [nella Liberata] non era miserabile, ora è divenuta
miserabilissima, perché di soldato straniero e mercenario è divenuto figliuolo
di re e di regina cristiana e principe natural di quella città, difensor del
padre, amator de la moglie e costante ne la difesa e ne la fede; e però quella
pietà che si niega a la legge si può concedere a la natura ed a l’umanità.
(164) Arguing against the likes of Dion Crisostomos who complained about the
scenes of mourning in Homer (“Defunctum vero memoria honorate non lachrymis”
[“the memory of the dead are not honored by tears”]), Tasso strives for a
poetics “that is more humane and more appropriate to civil life” (“piú umana e
piú accommodata a la vita civile”), resisting not only Dion but Plato and the
Pythagoreans as “too rigid and severe” (“troppo rigida e severa”). Taking sides
with that “most excellent Aristotle,” Tasso argues for a poetry that will
motivate the sentiment of compassion “even for the enemy” (“ancora da’ nemici”;
178), and hence for the creation of a human community in which one takes stock
not so much of differing religious beliefs, but of the parallels that make all
humankind members of a single family. Thus, for example, the king Solimano is
to be considered not as the emperor of the Turks, but as a valorous prince and
father of a valorous and compassionate son. . . . If they were
deprived of the theological virtues, they did not lack natural virtue, nor
those bred by custom. non come imperator de’ Turchi, ma come principe valoroso
e padre di valoroso e di pietoso figliuolo . . . quantunque fosser
privi de le virtú teologiche, non erano senza le virtú naturali e quelle di
costume. (177) As a result, as Alain Goddard has observed, Solimano and Argante
both now fail to embody “a code of values opposed to that of strict Catholic
orthodoxy” (“un code de valeurs opposé à celui de la stricte orthodoxie
catholique”)35 —a failure that unleashes “a tide of ambivalence” despite the
ideological claims made throughout for Catholicism’s supremacy. And the figures
who help to generate such ambivalence and, in particular, compassion for those
with “natural virtues” are largely Tasso’s women, as the Conquistata shapes not
only a new definition of masculinity but a new role for its women.36 Tasso’s
early readers may have challenged the authenticity of Armida’s conversion, the
“saintliness” of Sofronia, the status of the missing “immagine,” and the
rationale for Erminia’s midnight foray into the Christian camp, and her
supposed self lessness when ministering to a wounded Tancredi.37 The Conquistata
seems dedicated rather to making female behavior transparent and unquestionably
sincere, a sincerity that Erminia/Nicea’s rebuke of her “artifallaci” confirms.
The ubiquitous female mourner, for whom Mary is paradigmatic, embodies the
essence of non -theatricality, conveying a spiritual intensity which Tasso
himself longed to experience as clear from his late canzone to the Virgin,
“Stava appresso la Croce,” in which he asks Mary to become the guarantor of his
own prayerful sincerity: “Fa ch’io del tuo dolor / senta nel cor la forza”
(“Grant that I may sense in my own heart the power of your grief ”), and later
in the poem, “Fa ch’l duol sia verace / e ’l mio pianto sia vero” (“Enable my
grief to be authentic, my lament sincere”).38 If—with the exception of
Clorinda—there was no place for this expression of commiseration in the
Liberata, fixated as it was on the triumphant attaining of the city, the
Conquistata ensures with its weeping mothers and, on occasion, fathers and
friends, that we see Jerusalem’s conquest as mixed a blessing as was the defeat
of Troy. If the body recognized in the Liberata’s “Allegoria” is an exclusively
militaristic one, the corpus of the Conquistata is familial, in which men are
humanized, perhaps feminized, through their claims to having mothers, wives, or
children. In the meantime, Erminia’s pious arts of healing, Sofronia’s daring
sacrifice, and the immagine itself—aspects of feminine “artistry” not easily
assimilable to this model—are gone. * ** One final
glance at Luca Giordano’s painting may help to clarify the trajectory I have
attempted to chart throughout this essay. The interesting detail of Mary’s
image, lifted high above the scene of impending death, can be said to resolve
for Genova’s Counter-Reformation audience the identity of the “thief ” which
Tasso had left in abeyance. Clearly the “mano” that perpetrated the theft was
that of the queen of Heaven herself, who forcibly intervenes when her image is
placed in a mosque, and who exhibits her power by rescuing not only her
“immagine” but the brave Sofronia. Giordano restores Mary’s protective
immagine, letting us “see” it for the first time as he rescues Mary herself
from oblivion in a work that makes the exaltation of Christianity derive from
her comforting presence. To this extent, the painting confirms the overtly
Catholic structure on which the Conquistata insisted. But it does so by
countering the very notion, emphasized by Mary herself in the Conquistata’s new
second canto, that she is “not enough now to save their lives” (“io non basto a
salvarli omai la vita”). Perhaps the key word in the passage is “omai”: now, as
opposed to some earlier time when Mary presumably was sufficient. Reading
backward from Mary’s phrase in Canto 2 of the Conquistata, one emerges with a
nostalgic vision of female sanctity which the Liberata never intended to
confirm; but a vision which for Tasso may have resided in a not-so-distant past
before Trent, found in a work such as the Divina commedia, in which the Virgin
has power to do more than weep. Her compassion can be said to have generated an
entire poem, and it is thanks to her example that Beatrice is able to say to
Virgil in Inferno 2, “amor mi mosse” (“love moved me and made me speak”).
Giordano’s late seventeenthcentury painting willfully misreads the Liberata, as
it envisions a world in which Mary can glowingly transmit her power to the two
central women of Canto 2in the form of light radiating from her painting. The
work of art thus comes to possess a divine, unambiguously protective status
such as a renegade Christian, the wizard Ismeno, would confer on it—even if
Tasso himself would not. 39 This was a world that never did exist in the
Liberata. But that may finally be beside the point. Yet as Tasso tried to
create a poem “senza arti fallacy,” newly directed toward the compassionate
involvement of all its personaggi, Muslims and Christians alike, in the family
of the “vita civile,” Mary and the women like her enable a different kind of
salvation, albeit of a less dramatic kind. If threats of “parlar disgiunto” and
episodic discontinuity hang over the Liberata; if the three women of Canto 2
both embodied and actualized these threats, once we arrive at the inclusive
poem that is the Conquistata, the lonely isolation of heroic difference is no
longer a danger. And as a result, there are no more female heroes.40Notes 1
Tasso, Lettere, ed. Guasti, 5: 72; the letter is from July 1591, when he had
almost completed the Conquistata. 2 For a summary of how female characters
change in the Conquistata, see Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’”
236–38. Also of interest is Picco, “Or s’indora ed or verdeggia.” 3 See
Gigante’s introduction to Tasso’s Giudicio sovra la Gerusalemme riformata,
xlviii, as well as his discussion of the Giudicio and Conquistata in Tasso,
chapter 13. 4 That the female figures of the Liberata are intriguing mirrors
for Tasso himself is not a new argument; particularly in the wake of a feminist
criticism that has focused on Armida and Clorinda. In some cases, such as
Stephens’ article on Erminia (“Trickster, Textor, Architect, Thief ” or
Miguel’s “Tasso’s Erminia,” 62–75, a female character’s narrative and artistic
capabilities are put forth as convincing evidence for self-portraits of the
author/artist. 5 For two recent studies devoted to the episode of Sofronia,
Giamperi, Il battesimo di Clorinda and Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 270–94;
also see the few pages dedicated to Sofronia in Hampton’s Writing from History,
116–18. 6 Some early readers of the Liberata considered the episode “poco
connesso e troppo presto,” a point with which Tasso concurred; e.g., the letter
to Scipione Gonzaga from April 3, 1576; Lettere di Torquato Tasso, vol. I,
letter #61; 153. Molinari’s edition of the Lettere poetiche of Tasso contains
this letter with ample critical text; 374. The debate over the episode went on
for a period of many months in 1575 and 1576; see the excellent account of
Güntert, L’epos dell’ideologia regnante, 81–85. 7 The syntactic “difetto” or
defect that Tasso claims he learned from reading too much Virgil is that of
“parlar disgiunto”: “cioè, quello che si lega più tosto per l’unione e
dependenza de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole
. . . pur ha molte volte sembianza di virtù, ed è talora virtù
apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste ne la frequenza. Questo difetto
ho io appreso de la continua lezion di Virgilio . . .” (Lettere, vol.
I, 115). Fortini calls attention to the symptomatic crisis of “parlar
disgiunto” in relationship to Canto 2 in Dialoghi col Tasso, 81, describing it
as “la frattura degli elementi del discorso per ottenere maggior rilievo,
maggiore drammatizzazione e magnificenza.” 8 Tasso’s references to Homer in his
Giudicio are extensive, as are his spirited defenses of Homer against those who
would call him a liar; he often invokes Aristotle’s praise of the poet. 9 On
Tasso’s impact on and interest in the visual arts more generally, see
Waterhouse, “Tasso and the Visual Arts,” 146–61 and, more recently, Unglaub’s
Poussin and the Poetics of Painting and Traherne’s “Pictorial Space and Sacred
Time,” 5–25.Jane Tylus10 The image is item 176 in the catalogue Luca Giordano,
ed. Ferrari and Scavizzi. 11 See Utili’s entry on Giordano’s Olindo e Sofronia
in Torquato Tasso, 313. 12 From the letter to Scipione Gonzaga of April 3,
1576; in Lettere di Torquato Tasso, 153; Lettere poetiche, 374. This came less
than a month after Tasso had informed Luca Scalabrino on March 12, that he was
going to add “eight or ten stanzas” to the end of the Sofronia episode, in the
hope of making it seem “more connected” (“che ‘l farà parer più connesso”);
ibid., 339. 13 I use the edition of Fredi Chiappelli; II: 6. 14 Translations of
the Liberata are from Jerusalem Delivered, trans. Esolen; occasionally modified.
15 Lettere, I, 164; also in Letter poetiche, 406; italics mine. 16 Yavneh, “Dal
rogo alle nozze,” 272–73. 17 Giampieri, Il battesimo di Clorinda, 27, has noted
in the “casto simulacro” of Mary a parallel with the famous Palladium of Troy:
Mary’s image takes the place of the Palladium, and this substitution is
extended further when Sofronia herself “porta quella salvezza che tutti si
aspettavano dall’efige della Madonna” once the Madonna is gone. 18 See Yavneh,
“Dal rogo alle nozze,” 150, as well as Warner, The Augustinian Epic, 86. 19
This line is echoed by Armida eighteen cantos later, when she proclaims herself
Rinaldo’s “ancilla,” and observes that his word is her law: “e le fia legge il
cenno” (20: 136). Intentionally or not, the line brings us full circle to the
missing image of Mary, but reducing the supposed potency of that image and the
women who mirror it to a gesture of submission to a “conquering” Gabriel. 20
Virgil, Eclogues, Georgiecs, Aeneid I–VI, 441. 21 The Judith echoes are
relevant as well, on which see Refini, “Giuditta, Armida e il velo,” esp.
87–88. But unlike Judith, who dominates the second half of the apocryphal book
of Judith, Sofronia and Clorinda disappear long before the ending. 22 “A lei,
che generosa è quanto onesta, / viene in pensier come salvar costoro. / Move
fortezza il gran pensier, l’arresta / poi la vergogna e ‘l verginal decoro; /
vince fortezza, anzi s’accorda e face / sé vergognosa e la vergogna audace” (2:
17). 23 Eugenio Donadoni remarked on Tasso’s “incapacità di ritrarre una
santa,” and while he doesn’t elaborate, he clearly has in mind the puzzling
presentation of Sofronia herself. Torquato Tasso, 324. 24 As Lawrence F. Rhu
nicely puts it, the “Allegoria,” first composed in 1576, probably functioned
“as a guarantor of acceptable intentions in the face of potential
censorship . . . rather than as a sure guide in the right
direction for a comprehensive interpretation of his poem”; The Genesis of
Tasso’s Narrative Theory, 56. At the same time, with regard to the conflict
between the “one and the many,” the poem, with its announced attention to bring
together Goffredo and his “compagni erranti,”and the Allegoria, focused on
demonstrating how the bodies of the (male) warriors are eventually incorporated
within the body of the army, seemingly speak with a single voice. 25 Lettere,
vol. 1, 84. Interestingly, Tasso will exempt Rinaldo from this rule. 26 On the
possibility that Tasso resists making his female warriors stronger than the
men, see Günsberg, The Epic Rhetoric of Tasso, 128: “female valour is described
essentially in terms of negative comparatives. This culminates in male
supremacy over a femininity that is already fragmented, and in an act
characterized by sexual overtones”—such as the deaths of Clorinda and Gildippe.
27 See Act III, scene 1, from Aminta, and Tirsi’s description of the Satiro’s
would-be rape of Silvia: She is tied with her own hair, to a tree, while “‘l
suo bel cinto, / che del sen virginal fu pria custode, / di quello stupro era
ministro, ed ambe / le mani al duro tronco le sstringea; / e la pianta medesma
avea prestati / legami contra lei . . .”; lines 1237–42; from Opere
di Torquato Tasso, Volume 5: Aminta e rime scelte. 28 For a more sustained
reading of the Aminta and Tasso’s protectiveness of his two main characters,
see my chapter in Writing and Vulnerability, 82–95. 29 In truth, a more nuanced
criticism of the Conquistata has emerged in recent years, including that of
Goddard and of Residori, L’idea del poema, as well as in the recent article of
Brazeau, “Who Wants to Live Forever?” Yet critics have been overly hasty to
dismiss the30 31 323334 35 3637 38 39 40265later poem as the project of Tasso’s
new Counter-Reformation orthodoxy. This may be the case, but surely only in
part; as the Giudicio and contemporary letters attest, Tasso was involved in a
continuing dialogue with ancient authors, and the Conquistata attests to his
desire to write a poem that creates more of a balance between opposing forces.
Gerusalemme conquistata, II: 11–12. Luigi Bonfigli’s edition, which comprises
part of his five-volume Opere di Torquato Tasso, regrettably has no notes;
there is still no fully annotated modern version of the poem. Shortly after
Argante’s death a trio of female mourners lament his loss in a passage taken
directly from Iliad 24; the fact that they appear in the Conquistata’s
twenty-third canto makes the connection structural as well as thematic. See
Stephens, “Trickster, Textor, Architect, Thief,” on Erminia, in which he talks
about Erminia’s imitation of Helen; while he finds in the Conquistata allusions
to Helen’s weaving (Canto 3), he does not consider the Homeric echoes in Canto
23. Also see my “Imagining Narrative in Tasso.” Murnaghan, “The Poetics of Loss
in Greek Epic,” 217: “As she gives voice to her role as the bearer of Hector’s
kleos, Andromache’s words fill in what Hector’s gloss over . . .
[she] insists that the creation of kleos begins with grief for the hero’s
friends and enemies alike. . . . Before it can be converted into
pleasant, care-dispelling song, a hero’s achievement is measured in the
suffering that it causes, in the grief that it inspires.” Ferguson’s Trials of
Desire and Enterline, The Tears of Narcissus explore psychoanalytic material.
Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 240n. I want here to make note
of Konrad Eisenbichler’s suggestive work with respect to new versions of
masculinity articulated in early modern Europe, and especially to his generous
support of the volume that Gerry Milligan and I edited for his series at the
University of Toronto, The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and
Spain (Toronto: Centre for Renaissance and Reformation Studies, 2010). The
letters that take up these various episodes, surely to be read in the larger
context of Tasso’s oeuvre, include a majority of the letters in Molinari’s
Lettere poetiche, which date from March 1575 through July 1576. Opere di
Torquato Tasso, vol. V, 583. See Traherne, “Pictorial Space and Sacred Time,”
for a bracing discussion as to why Tasso refused to indulge in any ekphrasis of
sacred images in his work—as in his late poem, Lagrime. In the Conquistata,
Tasso adds eight stanzas (15: 41–8) representing a prophetic dream regarding
Clorinda’s future baptism as a Christian—a future less certain in the Liberata,
when a number of verbs suggest the possibility of an only apparent conversion
(“pare,” “sembra,” etc.).Bibliography Brazeau, Bryan. “Who Wants to Live
Forever? Overcoming Poetic Immortality in Torquato Tasso’s Gerusalemme
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Roma, post 1571). Siena: Accademia degli Intronati di Siena, 2012. The Sword
and the Pen: Women, Politics, and Poetry in Sixteenth-Century Siena. Notre
Dame, IN: University of Notre Dame Press, 2012.Books Translations Cecchi,
Giovan Maria. The Horned Owl ( L’Assiuolo). Translated with an introduction and
notes by Konrad Eisenbichler. Waterloo: Wilfrid Laurier University Press, 1981.
2nd ed. revised edition published in Renaissance Comedy: The Italian Masters.
Volume 2. Edited with introduction by Donald Beecher, 221–88. Toronto:
University of Toronto Press, 2009. Firenzuola, Agnolo. On the Beauty of Women.
Translated with introduction and notes by Konrad Eisenbichler and Jacqueline
Murray. Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1992. Savonarola,
Girolamo. A Guide to Righteous Living and Other Works. Translated and introduced
byKonrad Eisenbichler. Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies,
2003.Books Conference proceedings and essay collections Love and Death in the
Renaissance. Edited by K.R. Bartlett, Konrad Eisenbichler, and Janice Liedl.
Ottawa: Dovehouse, 1991.Konrad Eisenbichler Bibliography 269Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West. Edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler. Toronto: University of Toronto Press, 1996. The
Premodern Teenager: Youth in Society, 1150–1650. Edited by Konrad Eisenbichler.
Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2002. The Cultural
World of Eleonora di Toledo, Duchess of Florence and Siena. Edited and with an
introduction by Konrad Eisenbichler. Aldershot: Ashgate, 2004.Articles and
essays “The Religious Poetry of Michelangelo: The Mystical Sublimation.”
Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme 23, no. 1 (1987): 123–36.
Reprinted in Michelangelo: Selected Scholarship in English. Edited by William
E. Wallace. Volume 5, 123–36. New York: Garland, 1995. “Agnolo Bronzino’s
Portrait of Guidobaldo II della Rovere.” Renaissance and Reformation/
Renaissance et Réforme 24, no. 1 (1988): 21–33. “Political Posturing in Some
‘Triumphs of Love’ in Quattrocento Florence.” In Petrarch’s ‘Triumphs’:
Allegory and Spectacle. Edited by Konrad Eisenbichler and A.A. Iannucci,
369–81. Ottawa: Dovehouse Editions, 1990. “La carne e lo spirito: L’amore
proibito di Michelangelo.” In Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia
(Università di Siena), Volume 11, 359–70. Firenze: Leo S. Olschki, 1990.
Published contemporaneously in Antioco malato: Forbidden Loves from Antiquity
to Rossini, 359–70. Firenze: Olschki, 1990. “Il trattato di Girolamo Savonarola
sulla vita viduale.” In Studi savonaroliani: Verso il V centenario. Edited by
Gian Carlo Garfagnini, 267–72. Firenze: Edizioni del Galluzzo, 1996. “Prima
opera a stampa di Savonarola: I consigli per le vedove.” Città di vita 53, vol.
2–3 (1998): 161–68. Published contemporaneously in Savonarola rivisitato
(1498–1998). Edited by M.G. Rosito, 65–72. Firenze: Edizioni Città di Vita,
1998. “Laudomia Forteguerri Loves Margaret of Austria.” In Same-Sex Love and
Desire Among Women in the Middle Ages. Edited by Francesca Canadé Sautman and
Pamela Sheingorn, 277–304. New York: Palgrave, 2001. “Savonarola e il problema
delle vedove nel suo contesto sociale.” In Una città e il suo profeta: Firenze
di fronte al Savonarola. Edited by Gian Carlo Garfagnini, 263–71. Firenze:
SISMEL, 2001. “Poetesse senesi a metà Cinquecento: tra politica e passione.”
Studi rinascimentali: Rivista internazionale di letteratura italiana 1 (2003):
95–102. Published contemporaneously in Rinascimento e Rinascimenti: Storia,
lingua, cultura e periodizzazioni, 95–102. Salerno: Università di Salerno,
2004. “Un chant à l’honneur de la France: Women’s Voices at the End of the
Republic of Siena.” Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme 27, vol.
2 (2003): 87–99. “At Marriage End: Girolamo Savonarola and the Question of
Widows in Late FifteenthCentury Florence.” In The Medieval Marriage Scene:
Prudence, Passion, Policy. Edited by Sherry Roush and Cristelle Baskins, 23–35.
Tempe, AZ: Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, 2005.
“Codpiece” and “One-sex theory.” In the Encyclopedia of Sex and Gender. Edited
by Fedwa Malti-Douglas, Jamsheed Choksy, Judith Roof, and Francesca Sautman, 1:
308 and 3: 1087. Detroit: Thomson/Gale, 2007. “Adolescents” and “Laudomia
Forteguerri.” In The Greenwood Encyclopedia of Love, Courtship, and Sexuality
through History. Volume 3: The Early Modern Period, 1400–1600.Konrad
Eisenbichler BibliographyEdited by Victoria L. Mondelli and Cherrie A.
Gottsleben, 6–8 and 94–95. New York: Greenwood Press, 2007. “Erotic Elements in
the Religious Plays of Renaissance Florence.” In Worth and Repute in Late
Medieval and Early Modern Europe: Essays in Honour of Barbara Todd. Edited by
Kim Kippen and Lori Woods, 431–48. Toronto: Centre for Reformation and
Renaissance Studies, 2010. “La Tombaide del 1540 e le donne senesi.” In
Alessandro Piccolomini (Sienne 1508–1579). À la croisée des genres et des
savoirs. Actes du Colloque International (Paris 23–25 septembre 2010). Réunis
et présentés par Marie-Françoise Piéjus, Michel Plaisance, Matteo Residori,
101–11. Paris: Université de la Sorbonne Nouvelle-Paris III, 2012. “Fils de la
louve: Blaise de Monluc et les femmes de Sienne.” Renaissance and Reformation/
Renaissance et Réforme 37, vol. 2 (Spring 2014): 5–18. “Sex and Marriage in
Machiavelli’s Mandragola: A Close(t) Reading.” Renaissance and
Reformation/Renaissance et Réforme -- abandoned women Abrabanel, Judah
Accademia degli Infiammati Accademia degli Intronati Actaeon Ad compascendum
(papal bull) adultery: as crime of violence cultural narrative in fiction legal
definitions of; locations of
prosecutions for and prostitution Aeneid aesthetics: and masculinity and
military prowess and social control agency: of courtiers female Agnoletto the
Corsican Agnolo di Ipolito Alain of Lille Alberti Alberti Albertoni Alessandro
de’ Medici Alexander the Great Alexander VI Altaseda Amadesi, Angela Aminta
(Tasso) anal penetration see also sodomy Andreoli, Andreoli androgyny Andromeda Angela of Foligno angels,
Carlini invoking animals, sex with Antoniano Apuleius Arenula Aretino and Il
Sodoma and Piccolomini Ragionamenti aristocratic behaviour Aristotle Armida
“arti fallaci” autonomy Averani badgers Baliera Ballerina Bandello Bandello
Bargagli Barolsky bastards beastliness Bechdel Test beffa Belforte Bell Bellini
Belvedere di Saragozza Bembo Benazzi Benedek Benedict Benedictine order
Bernardino bernesque poetry Berni Bernini bestiality see animals, sex with
Betta la Magra Bianco bigamy Bignardina birds: eating symbolising the penis
bisexuality blasphemy Blastenbrei Bocca di lupo Boccaccio Bollette see Ufficio
delle Bollette Bologna: Borgo degli Arienti Borgo di San Martino Borgo di Santa
Caterina di Saragozza Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore Borgo Nuovo di
San Felice Borgo Riccio Broccaindosso
men’s relationships with prostitutes in regulation of prostitutes in residencies of prostitutes in sausages of
Bolzoni The Book of the Courtier (Castiglione) arms and letters in dress and
aesthetics in homosexuality in on women’s behaviour Bossi Boswell Botticelli Bovio
Bràina Braudel Brizio Bronzino brothels see also prostitution Brown Bruno Buonacasa
Burckhardt burlesque literature Cady Camaiani Campi Campo di Bovi canon law
Canossa Capatti Capella Cappelli Cappello Capramozza Captain of Justice (Siena)
Caravaggio Caretta Carli Carlini: becoming abbess entry into religious life
imprisonment of investigation into marriage to Christ modern controversy over, sexual
contact with Mea spirituality of carne, multiple meanings of Carnevale
(neighbourhood) Carnival Carracci Carracci Castiglione castration Catherine de’
Ricci, Saint Catherine of Alexandria, Saint Catherine of Bologna, Saint
Catherine of Genoa, Saint Catherine of
Siena, Saint Cavedagna, Domenica Cazzaria (Vignali) Cellini Chauncey Chigi
family Christ: Carlini speaking as Carlini’s visitations from forgiving the
adulteress gender of loving union with Christianity: and eating meat and
masculinity and sexuality Circe Clarke Clement VIII Cleopatra clergy: sexual
violence by and sodomy Clorinda baptism of body of death of and Sofronia clothing: foreign and
masculinity and military defeat and sexual deviance Cockaigne, Land of Cohen Colieva
Colle Colloquies (Erasmus) “compagni erranti” concubines conjugal debt Connors Conquistata see
Gerusalemme conquistata convents: power of
prostitution and sexuality within Corio Cornaro Correggio cose brutte Cosimo cosmetics Council
of Trent and adultery 7and failed saints and images nunneries after and
sodomy Counter-Reformation court ladies
courtesans: in fiction idealized depiction of in Rome courtiers: ideal
sacrificing masculinity Crawford Criminal Judge (Siena) Cristellon Crivelli cross-breeding
cuckoldry Currie Cycnus Daedalus Dante d’Aragona d’Ascoli de Bertini de
Montaigne Decameron: adultery in Branca’s edition of culinary language in and
Dante and della Porta female heroines in Griselda and Gualtieri in and La
Raffaella Walter of Brienne in deceit, courtiers and de’Grassi della Porta Art
of Memory and myth and natural magic and nudity and Titian d’Este the Devil,
and sexual violence di Loli family of prostitutes Dido dildos discourse, and
social norms Dolce Domenidio, inn of Domitilla Donatello (Donato) Donina dress
see clothing Durazzo, ecclesiastical courts effeminacy: in clothing and military defeat Eisenbichler Elbl, Ivana
Elliott, Dyan embodied experience England, debts to Florence Ensler epistemological
caution Erminia/Nicea erotic forces,
cosmic erotica, learned essentialism Europa Fabritio faccia tosta fallacious
artistries Farnese the Farnesina female bodies see also genitals, female
Ferrante Ferrara Ferrari Ficino Finucci Fiorentina, Francesca Fiorentina Fiorentina
Fiorentina Fiorentini Firenzuola Florence: annexation of Siena bank failures in
conquest of Siena ghetto homosexuality in laws on sexual violence nobility and
tyranny in prostitution in sausages of
forgetting, art of fortezza Fortini Foucault Fra Bartolommeo France: in Book of
the Courtier humiliation of Italy
Francesco I Franchi Francis Franco Frangipane Franzesi Frassinago Freccero Fregoso
Fregoso Furlana Gabriel Galen Galianti Gallucci, Margaret gambling Ganymede
Garzoni gender: and art Foucault and Boswell on gender bias gender
nonconformity genitals: of animals female male mediaeval theories about
Gentileschi, Artemisia Gertrude of Helfta Gerusalemme conquistata (Tasso)
female characters in as orthodox and
Sophronia episode Gerusalemme liberata (Tasso) female characters in Sofronia
episode in Gesso Ghirardo Giampieri Giannetti Giannotti Gigante Gildippe
Giordano Giovanni Giudi Giustiniani gluttony Goddard Goffen Gonzaga gossip
Gozzadini Grandi Grazzini Gregory the Great Grosseto group sex Hadewijch Halperin, David 1Harvey, Elizabeth hearts,
gifting of Hercules Homer homoeroticism: between nuns in master-apprentice relationship
in religious imagery in in Renaissance Italian art in Sodoma’s secular work
homosexuality: among clergy clothing denoting in early modern Italy Il Sodoma
and in Renaissance scholarship Saslow’s use of term 203n5; see also lesbians;
sodomy honour: and adultery in Decameron
male and sexual violence honour killings
Il Sodoma (Gianantonio Bazzi) “Allegorical Man” biography of early
religious works historiography of later religious works of painting of
Catherine of Siena secular art of Iliad images: holy sexual imagination,
phallic imagines agentes imitatio Christi immagine see images, holy impotence
incest, laws on incontinence of desire inns, and prostitution Inquisition
instruments see dildos interdisciplinarity intersectionality inversions Italian
Renaissance: idealised image of scholarship on sex and gender in Jews: and
prostitutes in Rome Kodera La Raffaella (Piccolomini) and Aretino’s
Ragionamenti depiction of women textual sources Labalme labyrinth lactation,
miracle of Landriani Marsilio lavoratori Leda and the swan lenzuola Leo X Leonardo
da Vinci lesbians, use of term for
Renaissance women levitation Liberata see Gerusalemme liberata loci, in art of
memory Lorenzo the bathhouse worker love: in La Raffaella masculine Neoplatonic
discourse of Lucanica sausages Lucretia, wife of Cynthio Perusco Lucretia
(Roman heroine) Lucretia the madam Lugeria lust luxuria Machiavelli magic:
charges of and love natural Magrino male dress see also clothing, and
masculinity male solidarity malmaritate Malpertuso manly masquerade Mantuana, Chiara Marcutio,
Marino Marema, Caterina Margaret of Cortona Maria Maddalena de’ Pazzi, Saint
marital debt see conjugal debt marriage: arranged mystical and passion married
women, sexual laws about Martelli Martinengo, Maria Maddalena marvels Mary
Magdalene Mary mother of Christ: and Catherine of Siena in Gerusalemme
conquistata images of as mourner and mystical marriage Visitation of
masculinity: arms and letters in as conformity and courtiers’ self-presentation
Renaissance masturbation maternal longings Mattei Matthews-Grieco Matuccio Mauro
McCall McCarthy Mea see Crivelli, Bartolomea meat: eating and sexuality see
also carne; sausages memory, art of Messisbugo Michelangelo militarism Mills,
Robert Minotaur misogyny mixti fori
monogamy, serial monstrous offspring
Montalcino Montanari, Massimo Montauto, Federico Barbolani di Monte of
the Riformatori Monteoliveto Maggiore
Moroni, Doralice Moulton, Ian Frederick
Murnaghan, Sheila Muslim women mysticism: erotic physical signs of myths, classical naked
bodies: physiognomy of in Titian Negri Neoplatonism Niccoli Nolli Plan
normative codes Nosadella novelle nunneries see convents nuns: as brides of
Christ in fiction lust of clergy for and prostitutes sexual activities of
Office of the Night Olimpia Ordeaschi Ordinances of Justice Orsini Otto di
custodia Ottonelli Ovidio Paleotti Pallavicino Palloni, Agostino Panicarolo,
Pietropaolo panopticon Paolo Parabosco Parigi Parker parlar disgiunto parodies parties, prostitutes throwing
Partner Pasiphaë Pasulini Pater patria potestas Paul III Paul IV pederasty
pedagogical Pellizani personae, in art of memory Perusco Pesenti Petrarca version
of Griselda story Phaeton phallus, sexuality centred around the see also
genitals, male Philip II of Spain 3physiognomy Piazza Navona Piccolomini Oration
in Praise of Women see also La Raffaella Piccolomini Piéjus Pietro piety,
emotive register of pity Pius V Pizzoli Platina (Bartolommeo Sacchi)“poco
conesso” poetry, and homosexuality Ponce Pontano Poor Clares Porcellio pork:
poetic praise of social attitudes to pork sausage Porta Porta Procola Porta Stiera 56–7 postmodernism power, in
gender relations printing, transformative effects of procuresses prostitution:
behaviour associated with and courtesans and courtiers in della Porta evidence
of ex-prostitutes in fiction and Ludovico Santa Croce male men’s interaction
with female residential patterns in Bologna social and familial circles of Puff
queer studies queer visuality Querzola, Giovanna Randolph, Adrian rape see
sexual violence Raphael (Raffaello Sanzio da Urbino) Raymond of Capua reception
theory Reed re-focalization Renaissance Italy see Italian Renaissance
Renaissance scholarship, sexuality and gender in Renaissance sex Rice the Ripetta Rocke Rojas Roman
antiquity, effeminacy in Roman law romance Romantic Friendships Rome: adultery
trials in early modern street plan prostitution in regulation of illicit sex in
Renaissance demography of sexual bohemianism in Romoli Rosetti Rossi Rossi Ruggiero
Sacchetti Sacchi Romana Sack of Rome saints, failed same-sex eroticism see
homoeroticism San Colombano Santa Caterina di Saragozza Santa Croce Santa Croce
family Sarteano sausages Savi sbirri Scapuccio Schutte Sebastian Sedgwick self-expression
self-fashioning self-harm semen
sensuality: in Renaissance Italy and spirituality women known for Senzanome
Sercambi sex crimes sex ratio, in Rome sexual fantasies sexual identity sexual
innuendos sexual non-conformity sexual positions sexual violence: against women
and young girls against young boys in
art in classical myth by clergy laws on in Renaissance Italy sexuality: female
Foucault on male (see also phallus); and meat eating Neoplatonic discourse on
newer approaches to in poetry see also homosexuality Sforza, Caterina Sforza,
Galeazzo Shakespeare, William shrines, prostitution around sibille Siena:
administration of justice in Il Sodoma in sexual violence in Vasari on Simio Simon
Simone Simons sin, sexual single women, vulnerability of Sixtus V slander,
sexual social constructionism social control Socrates sodomy: defences of in
early modern Italy and meat preachers against regulating Roman laws on Sienese
laws against see also anal penetration; homosexuality; Il Sodoma Sofronia: episode
of Giordano’s paintings of inscrutability of Song of Songs Speroni Sperone
spirituality, sensual imagery Spisana Splenditello Spoloni sponsa spousal
violence, and adultery sprezzatura Stanton statues, living Statuta Stefani Stiera
stigmata Storey, Tessa strada dritta stufa subcultures Symonds synecdoche
synopsis Tagliarini Tarozzi Tasso “Allegoria del Poema” and female bodies
Giudizio del poema riformato and Sofronia episode Gerusalemme conquistata; Gerusalemme liberata
Taylor Tedeschi Teresa Terracina Tiziano Torre Sanguigna torture Toschi transgender
Traub, Valerie Trevisana, Margareta and Francesca Tridentine rules see Council
of Trent Tuscany, duchy of Tylus Ufficiali sopra la pace Ufficio delle Bollette
Urban VIII Ursini Usinini, Terenzio Utili, Mariella The Vagina Monologues 218
vaginas see genitals, female Vallati Vanna of Orvieto Vanni, Francesco Varchi, Benedetto Vasari,
Giorgio Venetiana, Vienna Venice: prostitution in sex crimes in Veronica
Giuliani, Saint Via del Portico d’Ottavia
Via Santa Anna Vicario
Vignaiuoli Villani, Giovanni Virgil
Virgil virtù: in Boccaccio in Tasso
Virtuosi visions, religious
visual culture Vives, Juan-Luis Walter of Brienne whores see prostitution witchcraft 1 see also
magic women: abuse of depictions in Renaissance culture honest and dishonest (see also prostitution); in the Intronati men
writing about men writing for 2in myth
published and unpublished texts by see also female bodies women’s
history word play Yavneh Zanetti Zanrè Zapata Zonta. Giovanni Battista Modio.
Modio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Modio” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Moiso: ROMOLO, o dell’implicatura conversazionale della filosofia della
mitologia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Moiso; I would think my two favourite of his treatises is one on the ‘filosofia
della mitologia’ (think Beowulf!) --; the other is a consideration on Goethe on
‘nature and her forms’ – having built my career on the natural/non-natural
distinction, it cannot but fascinate me!”
Esperto di storia della filosofia e della scienza di fama internazionale,
ha insegnato nelle Torino, Macerata e Milano. Le sue ricerche hanno riguardato
la filosofia post-kantiana, con particolare attenzione al pensiero di Salomon
Maimon, l'idealismo tedesco, con ricerche su Kant, Fichte, Schelling e Hegel,
Goethe e l'età goethiana, Achim von Arnim, il concetto di esperienza ed
esperimento nel Romanticismo, la filosofia di Nietzsche nel suo rapporto con le
scienze, il pensiero di Mach. È stato membro della Schelling Kommission per
l'edizione critica di Schelling. Ha partecipato alla Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche di Rai Educational con due interventi sulla La
filosofia della natura tedesca e sulla "Scienza specialistica e visione
della natura nell’età goethiana". Presso l'Udine è stato istituito il Centro
Interdipartimentale di Ricerca sulla Morfologia. Fondamentali per la ricerca
filosofica e le oltre 100 pagine dedicate a “Pre-formazione ed epigenesis”, in
“Il vivente -- aspetti filosofici, biologici e medici,” – Grice: “Interesting
idea, ‘il vivente’ – we don’t have that thing in English, ‘a loose liver’ --.
Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Caratteristica degli suoi
studi è la connessione tra ricerca storico-filosofica e impianto teoretico,
fatto particolarmente evidente in suo saggio su Schelling. “La filosofia
di Maimon” (Milano, Mursia); “Natura e cultura” (Milano, Mursia); “Vita, natura
libertà” (Milano, Mursia); “Pre-formazione ed epigenesi nell'età goethiana, in “II
problema del vivente” Aspetti filosofici, biologici e medici, Verra, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana); Nietzsche e le scienze” (Milano, Martino)--
Grice: cf. ‘gaia scienza’ – “Tra arte e scienza” (Milano, Marino);“La natura e
le sue forme,” C. Diekamp (Milano,
Mimesis); “La filosofia della mitologia,” M. Alfonso (Milano, Mimesis); “Il
nulla e l'assoluto” "Annuario Filosofico", “Teleo-logia dopo Kant” in:
Giudizio e interpretazione in Kant. Convegno sulla Critica del Giudizio
(Macerata, Genova, Idee in Schelling, in IDEA Colloquio, Roma, Fattori e Bianchi (Olschki,
Firenze); Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà
umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O.
Höffe (Milano, Guerini); Le Ricerche:
una svolta in Schelling?, in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza
della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi (Milano, Guerini); “Dio
come persona,” in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della
libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario Pieper e
Höffe (Milano, Guerini); “I paradossi dell'infinito, in: "Romanticismo e
modernità", Torino, La scoperta dell’osso inter-mascellare e la questione
del tipo osteologico, in Giorello, Grieco, Goethe scienziato” (Torino, Einaudi);
“Schelling: il romano antico nella filosofia dell'arte, in "Rivista di
estetica", Torino, pensatore e narratore dell'Europa, Milano, Gargnano del
Garda, Milano: Cisalpino (Acme/Quaderni); E ho visto le idee addirittura con gl’occhi,
in: Goethe: la natura e le sue forme, atti del Convegno Arte, scienza e natura
in Goethe; Torino (Milano, Mimesis); C. Diekamp,
Experientia/experimentum nel Romanticismo, in Veneziani, Experientia” (Firenze:
Olschki); “L'albero della malattia -- motivi della medicina in età romantica,
in Atti della sofferenza. Atti del seminario di studi. Udine,. Casale e
Garelli, Itinerari, La percezione del
fenomeno originario e la sua descrizione, in: Arte, scienza e natura in Goethe.
Torino, R. Pettoello, In memoriam, "Acme", Alfonso, Matteo, In guisa
di introduzione. La filosofia della luce di Fichte, in "Rivista di storia
della filosofia,” Ivaldo, La fichtiana dottrina della scienza, In memoria
di M.. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", Ziche, "Un terzo più alto, la loro
sintesi comune". Teorie della mediazione, In memoria di Moiso. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", S. Poggi,
Dopo Schelling, dopo Goethe. lettore di Mach, La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", F. Vercellone, Da Goethe a Nietzsche. Tra
morfologia ed ermeneutica, in In memoria di M.. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", Giordanetti, Interprete di Kant", in
Rivista di storia della filosofia, Frigo, Natura della forma e storicità della
sua comprensione, testimonianze di colleghi e allievi, Torino, La responsabilità dell'uomo per la natura nel
pensiero degli scienziati romantici in Testimonianze (Torino, Trauben); F.
Cuniberto, Corpo e mistero, in Testimonianze (Torino, Trauben, M. Alfonso, I
corsi: una lezione di ricerca, in Testimonianze (Torino, Trauben); Giordanetti,
Il kantismo di Nietzsche, Testimonianze” (Torino, Trauben); L. Guzzardi, Tra
filosofia della natura e morfologia dei saperi: un ruolo per l'enciclopedismo,
in Testimonianze” (Torino, Trauben); Viganò, Morfologia e filosofia: la filosofia
della natura come "tropica" del reale, in Testimonianze (Torino,
Trauben); Potestio, Lo Schelling di Heidegger (Torino, Trauben); Mainardi, L'estetica pittorica di Friedrich, Testimonianze,
Torino, Trauben, Cazzaniga, La filosofia
dell'evoluzione, testimonianze Torino, Trauben, La natura osservata e compresa:
saggi in memoria, Viganò, Milano, Guerini,
Moro, In ricordo , in "Rivista di Storia della
Filosofia", antzen, In memoriam: In
ricordo, Università degli Studi di Milano, Sala Crociera Alta, La rivoluzione di Lavoisier, in Enciclopedia delle
Scienze, Goethe e la natura, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Goethe
poeta e scienziato, in Enciclopedia delle Scienze La ri-culturalizzazione della
scienza, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Scheda biografica su Mimesis.
Grice: “Plato is clear about this: other than predicated of ‘shape’ (forma),
‘beautiful’ has no SENSE! Moiso learned that from Gothe –problem with Goethe is
that he was interested in the German mandibule!” Grice: “Pliny understood this
best: it’s one boring thing to see Apollo Belvedere, larger than life. The good
thing is to see or experience a ‘symtagm’, such as ‘I lottatori’ della Tribuna
– a statuary group of two males – one may say there is ONE form in the
Lottatori – Goethe would say that each body is a form – and so there are two
forms. -- Francesco Moiso. Moiso. Keywords:
la morfologia e la fisiologia del vivente --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moiso” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mondin: l’implicatura conversazionale dell ritorno dell’angelo – la semantica
filosofica – semantica pel sistema G – interpretazione e validità -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Monte di Malo). Filosofo
italiano. Grice:“Trust an Aquino to
provide a systematic philosophy! Mind, I’ve been called a systematic
philosopher, too!” Grice: “At
Oxford, we are very familiar with angels – but only Mondin takes angeologia
seriously! Trust an Italian! Ponte Sant’Angelo comes to mind!” Dottore di Filosofia e Religione a
Harvard. È stato decano della Facoltà di Filosofia presso la Pontificia
Università Urbaniana di Roma. Mondin membro della Congregazione dei
Missionari Saveriani. Nei suoi studi, le principali figure di riferimento sono
state AQUINO e Tillich, da cui ha tratto l'ideale di un accordo e di un mutuo sostegno
tra filosofia e teologia. “Etica, Etica e politica, Filosofia,
Antropologia filosofica, Manuale di filosofia sistematica, La Metafisica di
Aquino e i suoi interpreti,” “Storia dell'antropologia filosofica” Antropologia
filosofica e filosofia della cultura e dell'educazione; “Epistemologia e
cosmologia; “Logica, semantica e gnoseologia; Ontologia e metafisica Storia
della metafisica, Storia della metafisica, Storia della metafisica,
“Ermeneutica, metafisica, analogia in Aquino; Storia della filosofia medievale
Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale Il sistema filosofico
di Aquino Corso di storia della filosofia, L'uomo: chi è? Introduzione alla
filosofia. Problemi, sistemi, filosofi La filosofia dell'essere di Aquino
Teologia, Piccolo trattato di mariologia “Il ritorno degl’angeli” -- trattato
di angelologia, Roma, Pro Sanctitate. Ospitato su archive.is. Dizionario
storico e teologico delle missioni Dizionario enciclopedico del pensiero di AQUINO, Essere cristiani oggi. Guida al cristianesimo
Il problema di Dio. Filosofia della religione e teologia filosofica La
cristologia di Aquino. Origine, dottrine principali, attualità Storia della
teologia Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia, Gli
abitanti del cielo Gesù Cristo salvatore dell'uomo La chiesa sacramento d'amore
La trinità mistero d'amore Dizionario dei teologi Introduzione alla teologia
Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica Scienze umane e teologia Cultura,
marxismo e cristianesimo I teologi della liberazione, “Il problema del
linguaggio teologico dalle origini ad oggi” Filosofia e cristianesimo I teologi
della speranza I grandi teologi Professore
I grandi teologi Professore I
teologi della morte di Dio Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e
morale. Software Filosofia della cultura e dei valori Le realtà ultime e la
speranza cristiana Religione Nuovo dizionario enciclopedico dei papi. Storia e
insegnamenti Commento al Corpus Paulinum (expositio et lectura super epistolas
Pauli apostoli) La chiesa primizia del regno. Trattato di ecclesiologia Mito e
religioni. Introduzione alla mitologia religiosa e alle nuove religioni L'uomo
secondo il disegno di Dio. Trattato di antropologia teologica Preesistenza,
sopravvivenza, reincarnazione Teologie della prassi L'eresia del nostro secolo
Società Storia dell'antropologia filosofica Antropologia filosofica. L'uomo: un
progetto impossibile? Philosophical anthropology Una nuova cultura per una
nuova società. In ricordo di M.. Un
tomista ed "oltre" del XX secolo: M. di PMontini, Congresso tomista
internazionale, Roma, nel sito "E-
Aquinas" Studium thomisticum. Grice: “M. attempts a systematic semantics.
Rather he has a section on ‘semantics’ --. The expressions have to be used
carefully. System itself, should be used alla Gentzen, or as Myro does with
System G in my gratitude. A semantics for System G should include an
interpretation and provisions for validity and truth!” – Grice: “Most likely,
as most Italian philosophers who haven’t read me do – he uses ‘system’ and
‘semantic’ in a rather pompouns way!” -- Battista Mondin. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mondin” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mondolfo – la filosofia
romana – antica filosofia italica -- la filosofia italiana – Luigi Speranza (Senigallia). Filosofo italiano. Grice:
“Mondolfo is one of the few who have focused on ‘gli eleati’ as involving a
locus – pretty much as I do when I talk of Oxonian dialectic.” Grice:
“Mondolfo’s study of the politics of Risorgimento is good; especially since
every Englishman seemed to endorse it!” -- essential Italian philosopher. Like
Grice, Mondolfo believed seriously in the longitudinal unity of philosophy and
made original research on the historiography of philosophy, especially during
the Eleatic, Agrigento, and later Roman periods. Figlio
di Vito Mondolfo e Gismonda Padovani, una famiglia benestante di commercianti.
Aderisce alle idee marxiste e socialiste. Studia a Firenze. Si laurea con
F. Tocco, discutendo una tesi su Condillac dal titolo: "Contributo alla
storia della teoria dell'associazione", un saggio da cui saranno poi
tratti alcuni dei suoi primi saggi di storia della filosofia. Frequenta un
gruppo socialista. Insegna a Potenza, Ferrara, Mantova, Padova, Torino, e Bologna.
Consigliere comunale nelle file del Partito Socialista. Collabora con la
rivista "Critica Sociale" fino a quando viene soppressa dal regime
fascista. Compone "Saggi per la storia della morale utilitaria"
di Hobbes ed Helvetius”; "Tra il diritto di natura e il comunismo", "Rousseau
nella formazione della coscienza moderna", "Il materialismo storico
in F. Engels" (Formiggimi, La Nuova Italia) "Sulle orme di Marx".
E tra i firmatari del manifesto degli
intellettuali anti-fascisti, redatto da Benedetto Croce. Si dedica alla
filosofia italica antica. Ciò nonostante, pur in questo periodo, grazie alla
politica di Gentile che volle coinvolgere filosofi di diverso orientamento
nell'impresa, collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Compone la
voce Socialismo. In seguito alle leggi razziali fasciste che vietavano agli
ebrei di ricoprire cariche pubbliche, Mondolfo scrisse il proprio curriculum di
benemerenze e vi inserì lo stesso Gentile come testimone il quale ha a propormi
per il Premio Reale di filosofia presso i lincei". Gentile autorizza
Mondolfo a citarlo tra i testimoni e tenta inutilmente di farlo ri-entrare tra
gli esclusi dalle leggi razziali. Costretto a lasciare l'Italia Gentile scrive
ad Alberini e lo aiuta a trovare lavoro in Argentina. Il suo archivio personale
è depositato in parte a Firenze presso la Fondazione di Studi Storici Filippo
Turati ed in parte presso Milano. Altre saggi: Sulle orme di Marx,” –
Grice: “Whitehead used to say that metaphysics has been but footnotes to Plato;
and Strawson used to say that to rob peter to pay paul you must show first that
pragmatics is but footnotes to Grice!” --
Grice: “But of course a footnote is not a footprint – only similar!” –
Grice: “While ‘footprint’ involves Roman pressum, ‘orma’ obviates that!”
-- Cappelli); “L'infinito nel pensiero
dei greci, Felice Le Monnier, La Nuova Italia); “Problemi e metodi di ricerca
nella storia della filosofia” (Zanichelli, La Nuova Italia, Firenze, Milano,
Bompiani, “Gli albori della filosofia in Grecia,” «La Nuova Italia», Editrice
Petite Plaisance, Pistoia,. La comprensione del soggetto umano nella cultura
antica, La Nuova Italia (Milano, Bompiani ). Alle origini della filosofia della
cultura, Il Mulino, “Il pensiero politico nel Risorgimento italiano,” Nuova
accademia, Cesare Beccaria, Nuova Accademia Editrice,. “Moralisti greci: la
coscienza morale da Omero a Epicuro,” Ricciardi, “Da Ardigò a Gramsci,” Nuova
Accademia, “Il concetto dell'uomo in Marx,” Città di Senigallia, “Momenti del
pensiero greco e cristiano,” Morano, “Umanismo di Marx. Studi filosofici, Einaudi,
“Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica, Lacaita, Polis, lavoro
e tecnica, Feltrinelli, Educazione e socialismo, Lacaita, “Gli eleati,”
Bompiani,. Note Vedi Paolo Favilli, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in. Fu una delle prime donne
italiane a conseguire la laurea (cfr. Le donne nell'Firenze). Sposò civilmente
a Firenze in Palazzo Vecchio Cesare Battisti. La sorella di Ernesta, Irene,
sposerà Giovanni Battista Trener, per anni collaboratore di Cesare. Amedeo Benedetti, L'Enciclopedia Italiana
Treccani e la sua biblioteca, "Biblioteche Oggi", Milano, Enciclopedia
Treccani, vedi alla voce futuro di Cesare Medail, Corriere della Sera, Archivio
storico. «SOCIALISMO» la voce nella
Enciclopedia Italiana, Volume XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Paolo
Simoncelli41. Paolo Simoncelli42.
Paolo Simoncelli43. Vedi Fabio Frosini, Il contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, riferimenti in. Archivio, Inventari Stefano Vitali e Piero
Giordanetti. Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per
i beni archivistici. Archivio Rodolfo
Mondolfo. Inventari, Stefano Vitali e Piero Giordanetti, Roma, Ministero per i
beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici, Paolo
Simoncelli "Non credo neanch'io alla razza" Gentile e i colleghi
ebrei, Le Lettere, Firenze, L. Vernetti,
R. Mondolfo e la filosofia della prassi, Morano, E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel
pensiero socialista, Tamari); A. Santucci, Pensiero antico e pensiero moderno
in Mondolfo, Cappelli, Bologna); Bobbio, Umanesimo di Rodolfo Mondolfo, in
Maestri e compagni, Passigli Editore, Firenze 1984. M. Pasquini, Del Vecchio,
il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di Rodolfo Mondolfo
(Alfagrafica, Città di Castello); C. Calabrò, Il socialismo mite: tra marxismo
e democrazia, Polistampa, Firenze); E. Amalfitano, Dalla parte dell'essere
umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo, L'asino d'oro, Roma.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere Fabio Frosini, MONDOLFO, Rodolfo, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Vita opere e
pensiero Diego Fusaro, sito "filosofico.net". Fondo Rodolfo Mondolfo
Università degli Studi di Milano. Biblioteca di Filosofia. Fondo Rodolfo
Mondolfo Fondazione di Studi Storici Filippo Turati. Italiani emigrati in Argentina – Antica
filosofia italica. La filosofia italica sin dai tempi antichi era cosi deita, e
quel che più monta, dai Greci stessi, e l'autorità non sospetta di un Platone e
di un Aristotele, che non la chiamarono con altro nome, ci sembra dar peso alle
ragioni di quanti la vogliono originaria, contro l'opposta opinione di chi tra
noi la dice portata dalle colonie greche. Comunque sia, certo è che in questa
seconda supposizione, l'Italia non perde tutto il suomerito, perchè la scienza
quisorse più splendida mercè il concorso del genio e il sussidio delle
tradizioni italiane. Le scuole di cui essa può menar vanto sono due, la di
Crotone/Ponto/Taranto e la dei velini. La setta di Crotone e fondata da
Pitagora, di cui si tiene incerta così l'origine come iltempo della nascita;
l'origine, perchè è dubbio s'ei nascesse à Samo della Ionia od a Samo della
Magna Grecia; il tempo, perchè chi lo vuol nato nell'anno 584 av. C.,chi nel
608,e chi ancor prima, ai tempi di Numa, il quale, come ciè noto, mori nel 672,
dopo quarantatrè anni di regno. Tra i filosofi che vi appartennero, chiamati
ancor essi pitagorici, con un ARCHITA di TARANTO (il più celebre di tutti), che
capitana più volte gl’eserciti, e non fu mai sconfitto, si ricordano un FILOLAO,
probabilmente di Crotone, un TIMEO di LOCRI, ed un OCELLO di LUCANIA. Taciamo i
minori o dimen nota dottrina, come LISIDE, CLINIA, EURITE, ZELEUCO, e CARONDA
-- i quali due ullimi, legislatori entrambi, di Locri l'uno, l'altro di CATANIA,
insigni rese l'efficacia che, per loro opera specialmente, ha allora la
filosofia negl’ordini civili, quando, mutata la forma, i governi regi si
convertirono in popolari. La setta di CROTONE ha vita dal bisogno di una
scienza, che, professata da uomini austeri e ornati di grandi virtû, e con
giunta all'operosità civile -- in ciò la consorteria pitagorica, chè tale fu
veramente, distinguesi dalle indiane -- serve di criterio per una riforma
riconosciuta necessaria in mezzo al guasto ognor crescente della religione, dei
costumi e della libertà; lo che ci spiega le persecuzioni a cui andò soggetto.
Scuola pitagorica. -Nuovo affatto è nella scienza il metodo recatovi dai CROTONESI.
Questo metodo -- e lo stesso dicasi del linguaggio -- è il matematico; il quale consiste
nell'applicare le idee di quantità alla natura interna ed esterna, ed al
principio sommo della medesima; metodo che, tutto essendo nel mondo capace di
numero e di misura, non sarebbe forse tanto strano quanto a prima vista appare,
se non fosse che i Crotonesi all'esperienza, che la verità ci rivela
nell'ordine dei contingenti, il più delle volte preferirono il ragionamento a
priori, error palese a chi consideri che dal concetto, per esempio, di circolo,
di triangolo, di pentagono, non si può argomentare che questi tipi si
effettuino in natura, e chi lo fa si espone al pericolo manifesto di costruire
da sè un mondo fantastico, un mondo che non esiste fuori della sua mente. Ma i crotonesi
sono educati allo studio delle matematiche; perciò non è meraviglia cheil
metodo di queste scienze trasportassero nelle regioni della filosofia. Il gran
problema metafisico dei CROTONESI riducesi adunque al seguente: trovare la legge
mentale della quantità effettuate nella realtà, e con queste salire alla prima
cagione. Ed ecco perchè tutto è numero nel loro sistema. I principi delle cose
sono i numeri. Un numero, una unità parziale è ogni cosa. Un numero, una unità
generale il loro complesso, cio è l'universo o mondo, il quale comprendendo in
sè tutti i numeri od unità parziali, à in sè la pienezza d'ogni grado di
entità, epperciò è decade; e la prima cagione, il principio di tutti iprincipi
delle cose, la causa che ad ogni altra causa antecede, è numero essa pure, ma
il numero per antonomasia, e quindi può chiamarsi l'unità, la diade, la triade,
il quadernario (o solido), il settenario e la decade. Ma lasciamo da banda
questo gergo simbolico, e vediamo che di sostanziale si peschi in fondo alla
dottrina dei Crotonesi, e come s'abbia a intendere la sua formula. Ogni cosa è
un numero. Che cosa è il numero per eccellenza, la Monade somma, infinita, il divino
dei Crotonesi? E che sarà l'essere individuo? Che cosa il mondo od universo? Il
divino èl'ente che in sè contiene la propria essenza e quella di tutti gl’esseri,
epperò tutti i contrari, cioè le cose più opposte e disparate (inito ed
infinito, dispari e pari, uno e più, positivo e negativo, quiete e moto, luce e
tenebre, bene e male, ecc.), ed inoltre la moltiplicità loro insieme concilia,
risultandone una suprema unità, un'armonia universale. Il divino, insomma, è
l'unità suprema di tutti icontrari. Le cose particolari, gl’esseri derivati da lei
sono immagini sue, epperò consteranno anch'esse di elementi contrari, a unità
ed armonia ridotti; dunque ogni essere è un numero ed armonia parziale. Poni
assieme tutti questi numeri, tutti gl’esseri finiti, e in modo che i contrary non
cozzino, ma formino un solo numero , una sola unità vastissima, immagine
essa pure della monade divina. Tale il mondo od universo dei crotonesi, il
quale e l'assieme dei contrari, non già nell'unità somma inesistenti, ma in
atto e dal divino ridotti ad armonia. Ora, in qual modo la generalità dei
contrari, cioè la decade, il mondo in esi steva nell'unità per eccellenza, nel
divino? Qui crotenesi tacciono, di modo che nulla di positivo e certo può
rilevarsi dalla loro dottrina. Bensi e'ci apprendono come l'universo o mondo si
venisse formando per ispirazione od aspirazione.La monade universale e suprema,
contenente in sè le unità particolari, da principio e una, continua, indivisa,
ma non indivisibile, e da ogni parte circondata da un vuoto immenso; il quale, aspirato
da essa,come l'aria entra nei polmoni, si introduce fra i contrari,ossia fra le
monadi particolari, e cosi separandoli, individuolli, e produsse la grande
moltiplicità delle cose mondiali. La formolaesprimentel'armoniauniversale
(tuttoènumero) per la scuola pitagorica può dirsi il principio di tutta la filo
sofia, dappoichè essa l'applicò in tutti tre gl’ordini --metafisico, logico e
morale. Che cosa è l'anima umana , la quale, dice Filolao, giace nel corpo come
in un sepolcro? Risponde il crotonesi: un numero, un'armonia, insieme
conciliando essa due contrari, cioè i sensi e la ragione, che sono ilnegativo
ed il positivo, l'irragionevole ed il ragionevole. E la verità, la co gnizione
che cosa è mai ? Un numero, un'armonia, come fuor dell'armonia è l'errore,
essendo che per l'acquisto della medesima cooperano gli stessi contrari,
quantunque la ragione si spinga più oltre dei sensi, i quali non escono dalla
sfera dei contingenti o fenomeni. E che sarà, infine, la virtù? Un numero,
un'armonia, che risulia anch'essa dall'accordo dell'irragionevole col
ragionevole, essendo la virtù riposta nella soggezione dei sensi all'impero
della ragione, toltalaquale, all'armonia sotten traladisarmonia, alla virtû il vizio.
Vadasè che la virtù ci rimena alla monade suprema, all'ordine od armonia
universale, che d'ogni essere è principio e fine. Critica. Bene esaminando la
dottrina dei crotonesi, si scuopre nella medesima un error capitale, che à per
sorgente l'abuso del metodo trascendentale, come quello che li condusse a
trasportare nell'ordine delle realtà le astrazioni della matematica, e a
concepir il divino quasi unità generica o numero per eccellenza, che è come
dire quale un'essenza in cui si contengono e si immedesimano le cose tutte quante.
Nè a salvarli dal panteismo implicito bastano le alte verità frammischiatevi, eladichia Senofane,
schernitore dei politeisti, i qualiammettono più dei, e degli antropomorfisti,
che li fingono a loro immagine e somiglianza, insegna che il divino è
potentissimo, uno ed eterno; potentissimo, perchè egli è l'ente (entità, forza,
energia e potenza per la scuola italica sono termini sinonimi). Uno, perchè,
tra più dèi uguali, nessuno è potentissimo per l'uguaglianza, e se inferiori,
nessuno è potentissimo per inforiorità; eterno, perchè l'ente non può non
essere, e il non ente non può divenire. Si fosse egli qui arrestato! ma fra gli
altributi divini ne annovera un quinto, dal quale poi con falsa logica deduce
una (1) Colonia ionica di Elea. (2) Velia ha un'altra scuola, fondatavi da
Leucippo e Democrito, i quali spiegavano la formazione del mondo con ammettere
nel vacuo immenso una infinità di atomi eterni, il cui fortuito accozzamento
avrebbe dato origine a tutte cose (atomismo). Questa scuola,chiamata fisica,non
siconfonda coll'eleaticasemplicemente detta, e denominata anche metafisica per
distinzione. Uno razione di Filolao, Dio essere imperatore e duce sommo,
ed eterno, potentissimo, supremo e diverso dalle altre cose; per chè d'uopo è
che accetti le conseguenze chi non rinunzia al l'erroneità dei principi. E
l’erroneità del principio pitagorico sta appunto nel far di Dio un tutto, un
numero che comprende in sè ogni altro numero. « Il sentimento religioso e
morale, scri ve il dottissimo Bertini (Idea d'una filosofia della vita) induce
va i Pitagorici a collocare Dio molto al dissopra del mondo;ma il fato della logica
li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza, e ricacciavali nel
panteismo ». La scuola eleatica ebbe tal nome da quello della città dove sorse,
poco dopo la di Crotone, per opera di Senofane, che, nato a Colofone della
Ionia tardi migra di là per l'invasione della patria,e venuto nella Magna
Grecia, prenfr stanza in Velia, e vi morì nella grave età di oltre a cent'an
ni.- SenofaneebbediscepoloParmenide,eParmenideZenone, buon patriota, che,
condannato a morte da un tiranno, corag giosamente sostenne ilsupplizio.Questi
due,d'Elea entrambi, con Melisso di Samo, il quale capitano gl’Italioti contro
Pericle, continuarono la dottrina del primo, e vi dettero forma più rigorosa,
se non incremento. D'altri nomi più famosi non la menzione la storia della
filosofia eleatica. Una dottrina si ripugnante al senso comune non poteva
menarsi per buona; perciò si levarono a impugnarla e combat terla gli
empiristi, o fautori del metodo a posteriori, sostenendo contro gli Eleati
el'esistenza reale di sostanze finite, e la loro contingenza e varietà, e la mutabilità
loro, attestata dall'evidenza dei fatti. Zenone, quel valente Zenone che
Aristotele riconobbe quale inventore della dialettica -- scienza ed arte di
ragionare e disputare -- come lo fu senza dubbio tra gli Occidentali, a sua
volta non lascia senza difesa la filosofia della sua scuola e del suo maestro, anzi
incalzò gliavversari con molta lena e con buona copia d'argomenti diretti a
dimostrare, per una parte la fallacia dei sensi e l'autonomia della ragione,
per l'altra, e con sofismi ad homincm , che l'empirismo, ilquale all'autorità
della ragione oppone quella dei sensi, contiene in sè contraddizioni ben più
gravi di quelle che si dicevano implicite nella metafisica eleatica. Ed allora,
se la memoria non ci falla, sorse la prima delle po lemiche che, per la loro
importanza, ànno meritato una pagina nella storia della scienza. ~ Famoso
argomento di Zenone deyto l'Achille. strana conseguenza: l'ente è tutto
od intiero, epperò nulla a lui può aggiugnersi; donde segue che nulla può
incominciare ad essere.Qui l'error di illazione, il sofisma del conseguente è
manifesto; quanto viene all'esistenza è forse un che d'aggiunto
all'infinitudine divina? D'altronde, se nulla può nascere o di venire, che
pensare degli esseri contingenti e mutabili, cosi detti perchè nei vari momenti
del tempo sono e non sono, e mutano continuamente ? Senofane se la spicciò
nettamente con negare a dirittura l'esistenza delle sostanze finite, e
sentenziò: « Tali cose non ànno altra vita fuorchè l'apparenza, ed appartengono
all'opinione. O che! sarà dunque menzognera sempre la voce dei sensi ? E ci
ingannerà di continuo l'intimo sentimento ? Che si, rispondono in coro gli
Eleati , quanto ci rilevano i sensi altro non è che illusione; e la ragione è
il mezzo unico per giungere al vero; e il vero è che tutto è uno, e l'uno è
tuito. Critica. Ma l’arte dei Zenoni, che con sofismi strani pro pugnano la
falsità del vero, e quel che è più, l'incertezza del l'evidente, e, prova non
dubbia di grande acume, perfin riesco no a dimostrare, contro la possibilità
del moto, che nella più rapida sua corsa il più celere cavallo non raggiungerà
mai una tartaruga,quantochè tardissima, la quale anche di poco la pre ceda
("), tutta l'arte dialettica, ripeto, non sarà mai da tanto che possa
collocare sopra una base solida isistemi della scuola Filosofia
presso i Greci antichi. Principio, mezzo e fine; infanzia,virilità e
decrepitezza, o decadimento, ecco i tre stadi o periodi, le tre età dell'antica
fi losofia greca. Tra il principio e la fine corrono ben sette secoli,
all'incirca; ma noi li percorreremo in minor tempo, se non ci manchi lena. da
l'alete a Socrate. La prima età della filosofia greca antica incomincia con
Talete, e termina al comparire della filosofia socratica. Talete, già è delio,
nacque 600 anni av. C. e Socrate nel 170 ; qui dunque abbiamo press'a poco un
periodo di centotrenť anni, durante i quali sorsero due scuole, la ionica e la
sofistica; le quali, aggiunte alla pitagorica ed all'eleatica, ci dànno in com
plesso l'antica filosofia designata col nome di italo-greca. Scuola ionica.
Fondata in Mileto della Ionia, sua patria, da Talete,primo tra i filosofi greci
conosciuti, ma forse non tale veramente, que sta scuola è, come vedremo, la men
filosofica di tutte le pre cedenti. Nè la ragione è difficile a comprendersi da
chi sappia che la scienza ebbe allor contrari i voluttuosi costumi e la ser
vitù di quelle cit tà, soggette ai Lidi ed ai Persiani, e che , a
giudicarnedalsilenzioe dai pochi cenni della storia, coloroi quali la
professavano erano ben lontani dalle virtù che adorna vano i pitagorici; virtù
che col venir meno a poco a poco, pois cleatica; e sono tre: l'idealismo
logico, perchè si nega l'au torità dei sensi, per riconoscere soltanto quella
della ragione; l'idealismo metafisico, perchè si esclude la materialità,
ilmolte plice ed ogni mutamento; e, conseguenza di ciò, ilpanteismo, che
ammette la sola esistenza dell'ente immutabile ed eterno, e cosi rimuove ogni
concetto di creazione. Il primo nacque colla scuola pitagorica,mada Senofane fu
recatoasistema ;ilsecon do venne accolto dagli Eleati per evitare le
contraddizioni della medesima, che nell'uno identificava le cose più opposte;
il terzo sidirebbe comune alle due scuole,se non fosse che nell'eleatica si
lasciò da banda la parte corporea e mutabile, e così si riusci a un panteismo
parziale, al panteismo idealistico. Grice: You have to love Mondolfo. As a Jew
he was into Sartre’s existentialism, and the rest of it – when Gentile
inhibited Jews from teaching Italians, M. had to stream his energy into the
study of ‘antica filosofia italica’! for our glory!” -- o ABBAHU di
Cesarea (Rabbi) Abraham (= educazione, in Filone) Achei Acheronte Acherusia,
vedi Acheronte Achille Adamo Adamson Ade AEZIO Africa, africani Afrodite
Agamennone ACATARCO AGATONE Agostino agostiniana corrente filosofia Aiace
Albertelli ALCEO Alcibiade ALCMEONE ALESSANDRINA FILOSOFIA ALESSANDRINI
MATEMATICI Alessandro, vedi Paride. ALESSANDRO Afrodisia Alessandro
Magno ALESSIDE Alfieri Altamura 447. Ambrogio Amerio Amicizia Amleto
Amore ANACARSI di Scizia ANACREONTE Ananke ANASSACORA DISCEPOLI di -
ANASSIMANDRO ANASSIMENE Anfione 671. Anima universale Anselmo ANTICHI
POETI E SAGGI 237, ANTICHITÀ CLASSICA, antica scienza, cultura, antico spirito,
pen-siero, etc. ANTICO TESTAMENTO ANTIFANE ANTIFONTE Antigone ANTIcoNo di
Caristo ANTISTENE Apatia stoica Apocalissi di Pietro Apollo Apollo Lairberos
(santuario di) Aquitania ARCAICo pensiero ARCESILAO ARCHELAO ARCHILOCO
ARCHIMEDE ARCHITA Ardizzoni AREIOs DIDYMOS Areopago Aridea, vedi
Thespesio. ARISTARCO ARISTIPPO ARISTOCLE ARISTOFANE ARISTOSSENO ARISTOTELE
Armstrong Arnauld Arnim ARTE Artemide ASCLEPIo
(commentatore di Aristotele) Asclepio (dio) Asia minore Asiatico principio
AssIoco Atarassia epicurea Atargatis
(dea) Ate Atena Atene, ateniesi ATENIONE di Atene ATOMISMO, ATOMISTI Atreo
Atride Augusto Aulide Aymard Baccanti Вассо Bacone Bacone Baeumker Bailey Baius
Barbari del nord Barth BASILICA PITACORICA della Porta Maggiore a Roma
Battaglia F. Bauch B. Beare Becker 0.
Behaviourismo Bello Bene Bergk Berkeley BIANTE BIBLICA tradizione Bignone Bill
A. Billeter Binder Blanchet Blankert Blondel Boas Lovejoy Boemia Bolland
Bossuet Bovis Bréhier Breier F. 241. Brochard Brune Buccellato Buonaiuti
Burnet Bywater CARNEADE CARONDA 250, 692. Carteron H. 480.
Cartesio, cartesiano Cassandra 420. Cataudella Q. 640, 653,
654. Cattolicesimo 424. Cattolici filosofi, storici
30. Cefalo 448, CELSO 38. CENSORINO 676. Centimani 406.
Ceramone 612. Cerbero 108, 417. Cesarea 515. Charisio Charu
446. Cherecrate 485. CHEREMONE 637. Cherniss H. 72, 126, 128,
133, 135, 137, 163, 251, 269, 274,
Chimera 129. Chronos 91. Ciaceri E. 641. Cibele
83. CICERONE, ciceroniano 47, 66, 93, 100, 102, 144, 146, Ciclopi
670. Caino 457. Cairo 414. Calcidio 153, 154, 199,
200. Callahan J. F. 94. CALLICLE CALLIPPO Calogero G. 33, 34, 35,
123, 121, 126, 128, 167, 198, 258. Calvino 423, 424, 425, 426,
431. Cameron A. Campanella T. 387, 640, 666, Campidoglio 717.
Canosa 447. Cantarella R. 406. Carcopino J. 452. Carlini A.
Cilento V. 382. Cilonidi 436. CINICI 205, 207, 209, 311, 416, 483,
589, 593, 614, 625, 634, 641, 690, 722, CIRENAICI Classicista concezione
ix, 10, CLASSICO spirito, mondo, CA cultura ix, x, 15, 462, 463,
Claudio 452. CLEANTE 101, CLEIDEMO 234. CLEMENTE alessandrino 42,
87, 94, 127, Clitennestra Clodd E. 47. Cohn CoLòTE di Lampsaco 275.
Colchide 717. Combarieu COMMEDIA DI MEZZO 518. COMMENTATORI DI
ARISTOTELE 363, 378. Comparetti D. 443. Comte A. 579.
Condillac E. B. de CoNoNE di Samo 608. Contese 86. Croiset M.
413. Croce B. 4. Cusano N. 203. Cypselo (arca di) Dahlmann J.
H. 660, 661. Daimon 172, 182, 490, 492, 499. Dal Pra M. DAMONE
Danaidi 108, 418, 447. Dante 451. Dardania, Dardano 676.
Daremberg Ch. e Saglio E. Dario 418. Dedalo 656, 671, 692.
Controriforma 424. Copernico N. 684. Coribanti 83. Corinto,
corinzi 588, Conford F. M. 240. CORPUs HIPPOCRATICUM 648, 656-
658. COSMOLOGHI (primi) 01. Couissin P. 204, Cousin V. 579.
Covotti A. 128, 136. CRATETE 483. CRATILO Credaro L. 146, 313,
Creso 414. Creta 443. Crimine oggettivo CRISIPPO Cristianesimo,
cristiano spirito, pensiero, cristiana era, na, filosofia, etc. Cristo
20, 32, 395. CRITIA Criticismo kantiano Critone 486. Ctesibio
700. Delatte DELFICA religione, DELFICO «ePto, le a 170, 469, 478,
55%. Delfi 96, 446. Del Grande Del Re R. 554. Delvaille J.
580, 581. Demetra 646, 654. DEMETRIo cinico 535. DEMETRIO
LACONE DEMOCRITO DEMOCRITEA tradizione 453; DEMOCRITEO-ARISTOTELICA
stinzione 737. di- Demoni del cristianesimo 401. DEMOSTENE
152, 430, 446, 448. Deonna W., vedi De Ridder A. Derenne E.
100. De Ridder A. e Deonna W. 446. Derketo 454. De Ruggiero
G. 33, 34, 35, 582, Descartes, vedi Destino 491,
503. De Strycker E. 480. Deucalione 669, 676, 678. Dewey J.
112, 113, 114, 142. Dialettica moderna 34. Diano C. 102, 103,
107. DICEARCO 675, 684, 688, 691, 694. Diderot D. 263, 338.
Diela Diels H. e Kranz W. 137, Diès A. 357, 480. Dieterich A. 443, 447,
448. Dike 407, 408. Diller H. 276, 277. Dimenticanza Dio
natura 31; persona 31. DIODORO CRONO 501, 504. DIODORO SICULO
660, 661, DIOGENE di Enoanda 205, 283, 316, 317, 688, 691, 697, 698, 701,
703. DIOGENE DIOCENE LAERZIO Dione
314. DIONE CRISOSTOMO 483, 691. DIONISIACO culto, spirito 13,
83. Dioniso 411, 441, 448, 654. Discordia 67, 86, 235.
Discorsi menzogneri 86. Aiacol Royor 176, 257. Divinazione
85. Doering A. 136. Dornseiff Fr. 593. Dostoiewski F. 431,
461. DRACONE 430. Ducati P. 446. Dümmler _F. 158, 297, 655,
691. Dupréel E. 133, 135, 162, EBRAICO-CRISTIANE eredenze, reli-
gione, tradizione 422, 441, 585, 586. EBRAISMo, ebrei 27, 59, 515,
586; EBRAICA religione 223; EBRAICHE suggestioni ed ispirazioni
155; EBRAICE elementi 515. Ecabe 87, 88, 417. Ecate 83, 448,
451. EcATEo d'Abdera 648, 660, 661, 706. EcATEo di Mileto
48. Eden 436, 586. Edipo 410, 420, 432. Efesto 650, 654,
668. EcESIA di Cirene 11. Egisto 81, 82, 85, 405, 420. Egitto
593, 604, 623, 669, 681. Egizi 186; EGIZIANO tradizionalismo
672. ELEATI, ELEATISMO, scuola, dottrina, 125, 128, 132, 133,
134, 136, 138, 139, 142, 145, 148, 149, 169, Elena 87, 400, 404,
417. Elettra 88, 429. Eleusi 728. Eleutherna 444.
ELLENICO genio, spirito, pensie- ro, etc. 446; ELLENISMO 38,
59; ELLENISTICA eredità 37. ELLENISTICA ROMANA filosofia 29.
ELVIDIO PRISCO 549. EMPEDOCLE, EMPIRISTICHE correnti 231. Empusa
451. Endimione 621. Enea 449, 456. ENESIDEMO 277, 317, 319,
320, 329. Enoanda 698. Enoch (= pentimento, in
Filo- ne) 515, 521. Enos (= speranza, in Filone) 521.
Enriques F. e Mazziotti M. 648. E3, 524, 532, 600, 602, 610470,
EPICARMICO principio 169. EPICUREI, EPICUREISMO EPICURO Epidamno 588,
606. Epifanio 93, 285, 053. EPIMENIDE 436, 671. Epimeteo
650. EPITTETO 501, 524, 525, 528, 548- 550, 552, 560. Er
armeno (mito di) Era 87. Eracle ERACLIDE PONTICO ERACLITO FRACLITEA
dottrina 297; esigenza 221; — proposizione 240; ERACLITISMO
302. BRASISTRATO 625. BRATOSTENE 317, 608. Brinni ERMIPPO
ERMOTIMO 709. Ernout A. 103. Erodico di Selimbria 615.
ERODOTO 152, 251, 402, 414, 593, 604, 634. ERoFILo di Calcedone
625. Eros Esaminatore interno (elenchos) 519. ESCHILO ESCHINE
301, 302. Esculapio 102, 105. ESICHIO 414. EsIoDo ESIODEO
principio 169. Espero 498. Età post-omerica 591. Eteocle 415,
420, 427, 447. ETICA ANTICA, CLASSICA cristiana e moderna 497, 572,
573; — GRECA 69, 397; →, morale moderna 391, 392, 393; - STOICA
397, 520. Etiopi 80, 233. Ettore 81, 400, 404. Eucken EUDEMO
502, 593. EuDosso 608, 677, 683, 684. Eumenidi 429. Eumeo
406. Euromo di Polignoto 187. EURIPIDE Euristeo 315. Eusebio
Eva 436. Evangeli 393, 401, evangelico messaggio Fabre P.
539. Falaride, toro di, 206. Farrington B. Fatica 86. Fato
81, 401, Fedra FERECRATE 634, 641, 646. Festa Festugiere Feuerbach L. 68,
88, 89. Fichte J. G. 51, 723. Ficino M. 28, 221, 666. Fidia
624, 656. Fiere 448. FILEMONE 602, 636. FILISCO 602.
Fränkel H. 128, 317, 444. Frazer Friedländer P. 298. Frigia Frinide
683. Furie 88, 108, 448, 449. GALENO 275, 281, Galileo Callavotti
C. 64, 65. Gallia 717, 725. Ganter 201. Gassendi Gea
639. Geffcken Geiger GELLIO AULO 636. Gelosia degli dei 414.
Genius malignus di Cartesio 314. Gentile GEREMIA 515. Germani Сет FILODEMO
FILOLAO 136, 137. FILONE FILONIANO testo Filoponia FILOSOFIA
NATURALISTICA (ionica) FILOSOFIA OCCETTIVISTICA 43. FILOSOFIA
PRESOCRATICA 63. FILOSSENO 700. FILOSTRATO 168, 169. FISICI
ANTICHI 124. Fitzralph R. 314. Flegias 455. Flint R. 580,
581. FoCILIDE 615. Fougères Frank Gerusalemme 393. GesÚ
figlio di Sirach 606. GIAMBLICO Giansenio C. 61, 423, 424, 425.
Gige, anello di, 90, 91, 96, 97, 407, 414, 472, 496. Gigon 0. 126,
260, 479. Gileon É. 29, 30. GIMNOSOFISTI indiani 317. GIoBBE
535, 536. Giovanni di Rodington 314. GIOVANNI FILOPONO 142, 273,
288, 675, 676, 680, 684, 689, 701, 735, 739. Giove 344,
714. GIOVENALE 715. GIUDAISMO, giudaica chiesa, etc. 27,
395. Giuliano imperatore 109. Giuliano di Eclano (pelagiano)
442. Giussani C. 694. Glaser K. 163. Glauco di Chio
594. Glotz G. 404, 409, 588, 589, 606, 607, 624. GNoMIcI poeti
76; CNOMICA saggezza 332. GNOSEOLOGIA ANTICA X; GRECA
118; medievale 60; NEOPLATONICA 230. Goedeckemeyer A. 312. Gomar
F. 424, 425, 426. Gomperz H. 167, 168, 240. Gomperz
Goodenough E. R. 516. GORCIA Gorgoni 448. Gottschalk 424.
Grande Anno 679. GRECA morale 12. GRECA tragedia, vedi
TRAGEDIA. GRECI, greco pensiero, popolo, spirito, etc.; greca anima,
arte, cultura, filosofia, etc. Grecia Greene Grilli Grousset R. 38,
59. Guthrie W. K. C. 444, 445. Guyau J. M. 580, 694, 698, 700.
Halbfass W. 241. Harnack A. 27. Hegel G. 3, 410, 17-21, 22, Heidel
W. A. Heinemann F. 691. Heinze R. 201, 449. Henz G. 673.
Herbertz R. 128. Herder J. G. 579. Hermann G. 639, 644.
Hermes 81, 89, 217, 248, 650, 697. Hildebrand G. H. 581, 629, 652,
Himeros 86. Hirzel R. 313, 708. Hobbes Th. 60. Hoffmann E.
128. Howald E. 413. Hume D. 303, 316. Hus J. 424, 425.
Huyghens Ch. 280. Hybris 403, Ida 676. Idealismo assoluto 28, 29,
32, 33; cristiano 32; GRECO
32; postkantiano 32. Idealisti Idra 448. IEROCLE 376.
Ifigenia 433. Ilio 676. ILLUMINISMO, ILLUMINISTI, etc.
Musionismo 163. Indiani 42. Inferi (Enfers) 448. Inganno
86. Inge W. R. 570, 571. Innocenzo III 708. Intelletto 226,
227. Invidia degli dei 436. lo 427, 428. Ionia, ionico mondo,
ionica civil- ta, etc. JONICA poesia 48, 49, 63; IONICI poeti 49,
67.IONICI (Glosofi) IONICA filosofia 63, 198; - scienza 677.
Ipermestra 427. IPPIA (sofista) IP
POCRATE, IPPOCRATICI, ippocrati- ci scritti, trattati, Ippolito
649. Ippolito 433, 434. Iris 681. Isaac (= natura, in Filone)
521. Isaac (Abn Jacob Jsaac?) 121. ISAIA 155, 520. Isdoso
scolastico 154. Isis 460; isiaco culto 459. ISOcRATE,
pseudo, 276, 453, 487, 518. Issione 447. Jaeger Jago 411.
Jacob (= ascetismo e perfezione, in Filone) 521. Janet P. 579.
Jardé A. 603. Jehova 436, 586. Jeat K, 5, 448, 49, 50, Kaibel G.
150, 469, 641. Kant I. 28, 33, 127, 346, 392, 477, 498. Kêr,
Kêres 447. Kern O. 441, 443, 632. Kierkegaard S. 394, 541.
Kirk G. S. 301. Kitto H. D. F. 413. Kleingünther A. 94, 654.
Klimke 30. Kock Th. 454, 523, 566. Kranz W. 413, 414; v. Diels
H. Krokiewicz A. 101. Kronos 667. Laas E. 241.
Laberthonnière L. 27, 30-32, 33, Labriola A. 600. Lachesi 490,
492. Lachete 636. Laconia 603. Laio 413, 420. Lamennais
F. 424. Lamenti 86. Laminette auree 443, 444, 445. Lana I.
139, 158, 161, 162, 250, 253, 641, 642, 643, 648, 661, 695,
700, 701. Langerbeck H. 242, 246, 254, 267, 284, 298. Latini
569. Lattanzio 529. . Latzarus B. 449, 450, 566, 568.
Laurent F. 579. Lavagnini B. 414. Leibniz G. 60, 121.
Leonardo da Vinci 595, 599. Leone Ebreo 28. Leonte di Salamina
549. Leonzio 102. Leroux P. 579. Lesky A. 413. LeuCIPPO
13, 13 139, 268, 281, 648, 649, 696. Levi Levi Lévy-Bruhl L.
84. Licurgo 692. Lidia, Lidi 455, 604. Liénard E. 463.
— IONICO-EOLICA 66. LISIA 152, 408, 448. Locke J. 139.
Lodge R. C. 673. LOGICA ANTICA 34. Logos divino 517, 519.
Loisy A. 30, 33. Losacco M. 441, 582. Lotte 86. Lovejoy A. 0.
e Boas G. 635. LUCIANO Lucido 424. Lucifero 498. Lucilio
726. LUCREZIO Lugdunum (Lione) 725. Luria S. 257, 655.
Lusitania 717. Lutero Maddalena A. 413, 418, 427. Magalhães Vilhena
Y. de 169, 177, 479, 481, 605, 671, 673. Magia 163-164.
Maieutica 41. Maier H. 90. Malcovati E. 634, 635. Mancini G.
215, 218, 223, 374, 379, 381. Manetti G. 640, 713.
MANICHEISMO 554. Marbach G. O. 3. Marchesi C 533, 534, 544,
546, Marchesini G. 92. MARCO AURELIO Mario Vittorino 374.
Marouzeau J. 260. Marsia 171, 671. Martin J. 457. Martinazzoli
Marx K. 671, 721. MASSIMO TIRIO 691. Mazziotti M., vedi Enriques
F. Meautis G. 413, 447. MEDICI 48, 63; — EMPIRICI O
METODICI 310; - IPPOCRATICI 298, 622, 634, 647; mediche
scuole 598. Medievale gnoseologia, scienza, filosofia, teologia —
coscienza 401. Medio Evo MECARICA teoria 501; MECARICI 504.
Meineke MELIsso di Samo 129. MENANDRO 454, 455, 523, 566, 602,
636. Menelao 422, 452, 470. Menzel A. MENONE 125,276, 179,
188. Mercier D. 117. Messaggio evangelico, ellenizza- zione del,
27. METRODoRo di Chio 140, 285. Milesi 73. Mill J. 306.
Milton J. 586. Minucio MISTICA, MISTICA soggettività, MI-CORRENTI,
CRECO 44, 45, 48, 63, 76, 529; - (medievale) 27. MITOLOGIA
ANTROPOMORFICA 43; - CRECA, mitologiche rappresentazioni 43, 44,
79, 80; — OMERICO-ESIODEA 232. Mitre 102. Modernismo 30,
32. Moderni, moderno spirito, pen- cultura, hlosofia, sia,
etc. Ix, 388, Moeller 491. Moira 408. Momigliano Arn.
569. Mondo classico 463; — cristiano 463; greco precristiano
444; — ionico arcaico 65; - orientale, greco, romano, germanico M.
A. M. vedi Zel-Monoteismo cristiano e greco MORALISTI GRECI 392.
Morrison J. S. 661. MOSCHIONE 636, 641, 645, 700. Mose 211,
586. Mullach G. A. 482. Murray G. 413. MUSoNIo RUFo 548, 625,
626. Nardi B. 192, 193, 314, 332, 354, 374, 375, 401, 582.
Natorp P. 297. NATURALISMO PRESOCRATICO, NATURALISTI PRESOCRATICI Nauck
Nausicaa 432. Neikos 86. Nekyia omerica 447, 448. Nenci G.
153. NEOACCADEMICI 312, 313, 314. Neohegeliani 17, 21, 22, 61,
394, NEOPITAGORICI 443, 458. NEOPLATONICI, NEOPLATONISMO,
NEOPLATONICA teoria, etc. Nestle Nestore 168. Newmann J. H. 30, 31,
33. Nicia di Atene 447. Nietzsche F. W. 38, 43, 44, 61, 393,
394. Noè (- giustizia, in Filone) 521. Norden NUMENIO 176.
Nuovo Testamento 32. Occhio di Zeus 407. Occhio vendicatore degli
dei 91, 406, 473. Oceanidi 418. OCCETTIVISMO ANTICO 26,
59. Olimpica religione 13. Olimpo, olimpici dei 86.
Olimpo Olivieri A. 150, 443, 508. OMERO OMERICHE concezioni
440. Ontologica prova 142; ontologico argomento 143. ORACOLO
DELFICO, lemma dell', vedi DELFico precetto. Oratorio 27.
ORAZIO 580, 706, 715. Oreste Orfeo 671. ORFICI, ORFICO
misticismo, reli- gione, etc oRFISMO Oriente, orientali 19, 42,
604. Origene 424. Otium Otto F. W. 13. OVIDIO 443, Pacioli L.
598. PAGANESIMO, PAGANI FILOSOFI, etc. 30, 539, 541, 568.
Palamede 639, 645, 671. Pan 83, 419. PANEZIO Paolo (S.) 27, 30, 38,
401, 462, Paratore Parche 86, 490.Paride 87, 400, 404, 419.
PARMENIDE DISCEPOLI di — 129, 131; parmenideo ente 123; — mondo 47;
parmenidea 865x 266, 269, 323. Pascal B. 27, 424, 579. Pascal C.
446. Pasquali Patristica 27, 30, 463; patristica
eredità Pearson A C. 690, 691. Peipers D. 298. Pelagio,
pelagianismo 423, 442. Pelasgo 418. Pelope 420. Penía
188. Pericle PERIPATETICI, PERIPATETICA teo-ria, etc. 215, 534,
688. Пері téXvNS Perrotta Perse 592. Persiani 414, 418, 604.
Pesce D. 499, 501, 548, 549, 550. Petelia 444. Petersen E.
413. Petrarca F. 27. Pettazzoni R. 454, 455, 456, 458, Philippson
R. 101, 105, 144, 511, 661. Piat Cl. 192. Pico della
Mirandola G. 28, 640, 709. Pieper 1F. 578, 606, 621. Pilade
429. PINDARO 52, 65, 69, 173, 444, 489, Piriflegetonte 451. PIRRONE
310, 312, 316, PITAGORA PITAGORICI, PITACORISMO, etc. Pittura greca 446;
etrusca 446. PLATONE PLATONICO mito 57; PLATONISMO 694.
PLAUTO 446. Pleiadi 666. PLINIO 447, 707, 712. PLOTINO 110,
127, 157, 214-230, 363, 367, 374, 377, 378-388,
569-573, 734. PLUTARCO POETI COMICI 602, 665; TEOCONICI
70; TRAGICI Pohlenz PoLIBIO Policleto 596, 622, 624. POLICRATE
605. Polignoto di Taso 96, 446, 447. Polinice 420, 432, 447.
POLITEISMO GRECO 95. PoLo 496, 596, 622. Poppe W. 691.
PORFIRIO 374, 454, 566. Puech A. 30. Póros 188. Porzig W.
413. Posidone PoSIDONIO 449, 526, 548, 594, 596, 691,
POSTARISTOTELICA epoca, filoso- fia, etc., POSTARISTOTELICI
FILO-SOFI 22, 471, 483, 503, 504, Praechter K., vedi Ueberweg F. Pragmatismo,
pragmatisti 113, 155, 245. Predestinaziani 424.
Positivismo, positivisti 29, 578. PRESOCRATICI FILOSOFI, NATURALI-STI,
etc., PRESOCRATICA filosofia Priamo 400. PRIMI FILOSOFI 124.
Primitivi popoli 84. PROCLO PRODICO Prometeo PROTAGORA PROTACORIS NO
3035, 671, 700; PROTAGORISMO Protestanti, protestantesimo 61,
423, 424, 425, 586; protestante storiografia 27. Provvidenza
504. PSICOLOGIA « behaviourista», del comportamento 70, 323; —
platonica 357. Radamanto 456. Radermacher L. 640. RAFFINATI
del Teeteto 201, 297. 310, 338, 340, 342, 343. Ragione divina
151. Regenbogen 0. 276, 277. Regnum hominis 26. Reinach S.
449. Reinhardt K. 123, 126, 127, 413, 648, 660, 691.
Reminiscenza platonica 181, 182, 184, 189, 190, 194, 219. Rey A.
138, 598. Rinascimento rinascimentale distinzione 139;
- rivoluzione 61; rinascimentali 666; celebrazioni —
innovatori 294; - scrittori 713. Ritter H. 3. Rivelazione
461. Rivaud A. 298, 443, 635. Robin Rohde E. 13, 76, 443, 446,
448. Roma 443, 444, 445, 706, 707, 725. Romanticismo 45.
Rosmini A. 27. Ross D. 342, 359. Rossi Rosei P. 169, 541.
Rostagni A. 63, 162, 257, 143, 458, 534. Rousseau J.-J. 634.
Rudberg G. 691. Ruvo 447. Saffo 64. Saglio E., vedi Daremberg
Ch. Saitta SALLUSTIO SALOMONE 155. Satana 401. Saturnia età
707, 713, 714, 715. Saturno 713, 714. SCETTICI, SCETTICISMO 22, 41,
146- 148, 214, 242, 257, 263, 310-331, 332, 505, 506, 552;
SCETTICA critica 136. Schaerer R. 491, 568. Schiller J. 158.
Schleiermacher F. 297, 298. Schmid W. 92, 641, 648. Schuhl Sciacca
M. F. 16. Scilla 129. Seiti 604. Scolastica, etc. 24, 27, 28,
30, 62, 118, 335, Scrittura, Scritture (Sacre) 515, Segni
indicativi, teoria dei, Segni memorativi, utilizzazione dei, 323.
SENECA 144, SENOFANE SENOFONTE Senso comune aristotelico 357. Senso
interiore agostiniano 357. Serse 418. Sertillanges A.-D. 117.
SESTIO, SESTIL, scuola dei, 513, 519, 525, 560. EMPIRICO
Sette savi 76, 677. Shakespeare W. 11, 411. Shorey P. 480.
Sibari 250. Sibilla 713. SIMONIDE di Ceo 52. SIMPLICIO 140,
380, 381. SINESIO 64. Siri Sisifo 108, 413, 447, 448. Snell
B. 413. SOCRATE SOCRATICA esigenza 195; esperienza
56; predica 57. SOCRATICI, SOCRATISMO Sofferenze 86. SOFISTI,
SOFISTICA SOFOCLE Sofronisco 478. Soggettivismo cristiano-moder- no
59. Sogni 86. Solari G. 414. Soliman 121. SOLONE Sorley
W. R. 59. Sparta Spencer H. 61. Spengel L. 193, 355, 502.
Spengler 0. 61. SPEUSIPPO 631. Spinoza B. 60. Spirito
classico antico ix; — cristiano moderno ix, x, 10; greco
classico 10. Spiritualisti cristiani, spiritualismo cristiano Stefanini
L.. 480. TEOCONIE, TEOGONICI POETI 67, 70, 79, 86. Teologi di
Oxford 314. Teone 315. Stein L. 201. Stenzel Stige
450. STILPONE 56. SToBEo 376, 600, 601, 625, 639, STOICI,
STOICISMO, etc. Sroic, HOMAN Storicismo, storicistica concezione 29.
Stragi 86. STRATONE di Lampsaco 625. Strycker E. de 480.
TALETE 594, 688. Tannery P. 136. Tantalo 108, 420, 447, 418.
Tarozzi G. 16. Tartaro 108, 522; tartareo abisso 450.451.
Tatto interno 377. Taylor A. E. 478. Tebe Teeteto Teggart F. F.
581, 629. Temesa 447. TEMISTIO Tempo 636, 638, 645. Tenebre
108. TEODETTE 413, 601. Teodoreto 156, 288. Teodoro di Beza
TEOFRASTO TEOGNIDE 408. TERENZIO 532. Тевео Thamus 186, 644,
652. Thaumante 681. Theiler W. 643. Thespesio Theuth 180,
64*, 652. Thurii 250, 443, 445. Tieste 413, 420. Tifeo
406. Tifone 554. Tilgher TIMEO 173. TIMONE 311. TIMOTEO
683, 700. Tindaro 446. Tiresia 93. Tiro 608. TISIA
165. Titani, Titano 406, 418, 441. Tizio 108, 448. Tommaso
(S.) 60, 117. Tomismo, etc. 27, 29, 117, 423. Traci 80, 233,
604.- TRADIZIONE DEMOCRITEO-EPICUREA 572. Traducianismo
424. TRAGEDIA. GRECA 400, 409, 410, 413, 414, 425, TRAGICI POETI TRASIMACO
161, 168. Traversari 101, 102. Treves P. 432. Trieber
257. Troia, troiani Tuchulca TUCIDIDE Türk Tylor Tzetzes Uccisioni
Ueberweg Ulisse 4Uno Untersteiner Usener Uxkull Vaihinger Weil Wendland
Wilamowitz Windelband Wundt Wycliffe algimigli Vangelo Vangelo Vaso arcaico di
Palermo Vespasiano Vico Vidari Vlastos Walzer Wehrli Zafiropulo ZALEUCO ZARATHUSTRA ZENONE ZENONE Zeller. L'eredità
in T. Tasso, in «Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia
criminale», Torino, Memoria e associazione nella
scuola cartesiana (Cartesio, Malebranche, Spinoza), con appendice per la storia
dell'inconscio, M. Ricci, Firenze. Per le
relazioni fra genialità e degenerazione: Guerrazzi, in «Archivio di
psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale», Torino, Spazio e tempo
nella psicologia di Condillac, in «Rivista filosofica», Pavia, Scienza
e opinioni di B. Varisco, in «Scienza sociale», Palermo, Uno psicologo
associazionista: E. B. de Condillac, R. Sandron, Palermo. In esso viene
riportato anche lo scritto sullo spazio e il tempo in Condillac
precedentemente citato Il concetto di bene e la psicologia dei sentimenti in
Hobbes, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, L'educazione
secondo il Romagnosi, in «Rivista filosofica», Pavia, Ora anche in Tra teoria
sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza
moderna. Scritti 1903-1931, a cura di R. Medici, CLUEB, Bologna Ancora a
proposito di refezione scolastica: il pensiero di Romagnosi, in «Critica
Sociale», Milano, Saggi per la storia morale utilitaria: I - La morale di T. Hobbes,
Drucker, Padova. 1904 11. Saggi per la storia morale utilitaria: II - Le
teorie morali e politiche di C. A. Helvétius, Drucker, Padova. 12.
La politica degli insegnanti, in «Critica Sociale», Milano, XIV, n. 24,
16 dicembre, pp. 371-373. 1905 Il
dubbio metodico e la storia della filosofia, Prolusione a un corso di storia
della filosofia nell'Università di Padova, con appendice storico-critica,
Drucker, Padova. Per una filosofia naturale, in «Rivista di filosofia e scienze
affini», Bologna, Recensione a G. Marchesini, La funzione dell'anima, Laterza,
Bari 1905, in «Critica Sociale», Milano, XV, n. 8, aprile, p. 128. L'insegnamento
liceale della filosofia. Considerazioni pratiche, in «Rivista di filosofia e
scienze affini», Bologna, II, fasc. 7, n. 1-3, luglio-settembre, pp. 442-448. L'insegnamento
della filosofia nei licei e la riforma della scuola media al congresso di
Milano, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, VII, n. 4-6,
ottobre-dicembre, pp. 754-763. Per la
riforma della scuola media: la scuola unica, in «Critica Sociale», Milano, XV,
n. 21, novembre, pp. 326-330. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma Gentile), a cura di T.
Pironi, Laicata, Manduria 2005, pp. 59-70. Ancora
per la riforma della scuola media: polemica fra colleghi, in «Critica Sociale»,
Milano, XV, n. 22, 16 novembre-1 dicembre, pp. 342-345. 1906 20. Di
alcuni problemi della pedagogia contemporanea, in «Rivista di filosofia e
scienze affini», Bologna, Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
71-121. 21. Dalla dichiarazione dei diritti al Manifesto dei comunisti,
in «Critica Sociale», Milano, Con alcune variazioni è stato inserito da
Mondolfo anche nella raccolta Tra il diritto di natura e il comunismo: studi di
storia = •archive.org INTERNET ARCHIVE e
filosofia, parte I, Tip. degli operai, Mantova 1909, pp. 5-41. Ora anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti Intorno al convegno filosofico di Milano, in
«Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, fasc. 8, ottobre-dicembre,
pp. 728. 1907 Politica
scolastica: per la riforma della scuola media, in «Critica sociale», Milano,
XVII, n. 4, 16 febbraio, pp. 53-55. Questioni
varie: il problema della laicità nella scuola media, in «Rivista di filosofia e
scienze affini», Bologna, IX, n. 3-4, marzo-aprile, pp. 279- 282. Ristampato
anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi
del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp. 137-141. 25. Ancora Mazzini e
il socialismo, in «La fiaccola», Senigallia, anno II, n. 9 e 11,
marzo. Altre obiezioni alle idee di Salvemini sugli esami, in «Nuovi
doveri», Palermo, n. 6-7, 30 giugno-15 luglio, pp. 108-109. Il
contratto sociale e la tendenza comunista in J. J. Rousseau, in «Rivista di
filosofia e scienze affini», Bologna, IX, ottobre-dicembre, Presente anche in
Tra il diritto di natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte II,
Tip. degli operai, Mantova 1909. 1908 Il
pensiero di Roberto Ardigo, Tip. G. Mondovì, Mantova. La
dottrina della proprietà del Montesquieu, in «Rivista filosofica», Pavia, Il,
fasc. 46, gennaio-febbraio, pp. 129-135. Pubblicato anche in Tra il diritto di
natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte II, cit. 30. La
filosofia della proprietà alla Costituente e alla Legislativa nella rivoluzione
francese, in «Rivista di filosofia e di scienze affini», Bologna, Pubblicato
anche in Tra 761 of 824 [3 il diritto di natura e il
comunismo: studi di storia e filosofia, parte II, cit. Sulla
laicità della scuola, in «Critica sociale», Milano, XVII, n. 5, 1 marzo, pp.
69-70. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica
(dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), Religione, fanciulli, educazione,
in «Nuovi doveri», Palermo, II, n. 29-30, 30 giugno-15 luglio, pp. 186-187.
Ristampato in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli
inizi del '900 alla Riforma Gentile), La fine del marxismo?, in «Critica
sociale», Milano, XVIII, n. 20, 16 ottobre, pp. 311-312. Pubblicato anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, a cura di N. Bobbio, Einaudi,
Torino Roberto Ardigò nelle scuole di Mantova. Notizie e documenti, Tip.
Operai, Mantova. Studi sui tipi
rappresentativi. Ricerche sull'importanza dei movimenti dell'immaginazione,
nelle funzioni del linguaggio, nelle pseudoalluci-nazioni e nella
localizzazione delle immagini, in «Rivista di filosofia», Roma, I, 2,
marzo-aprile, pp. 38-92. Tra il
diritto di natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte I, Tip.
Operai, Mantova. La filosofia di Feuerbach e le critiche del Marx, in «La Cultura
filosofica», Firenze, III, marzo-giugno, pp. 134-170, 207-25. Accolto in Sulle
orme di Marx. Studi di marxismo e di socialismo a partire dalla prima edizione
(Cappelli, Bologna 1919, pp. 64-114) con il titolo Feuerbach e Marx. È stato
poi successivamente integrato di due capitoli, precisamente il sesto e il
settimo, nella terza edizione (Cappelli, Bologna Ora anche disponibile, sempre
con il titolo Feuerbach e Marx, in Umanismo di Marx. Studi filosofici La
filosofia della storia di Ferdinando Lassalle (Per nozze Mondolfo-Sacerdote),
Pirola, Milano. Poi nelle prime due edizioni de Sulle orme di Marx: Cappelli,
Bologna 1919, pp. 129-163; Cappelli, Bologna Recensione a G. Vidari,
L'individualismo nelle dottrine morali del secolo XIX, in «Cultura Filosofica»,
La riforma della scuola media: fra la Commissione Reale e il
congresso della federazione, in «Critica sociale», Milano, XX, n. 1, 1 gennaio,
pp. Politica scolastica: il dovere presente della federazione degli
insegnanti, in «Critica sociale», Milano, XX, n. 6-7, 16 marzo-1 aprile, pp.
89-90. 1911 La vitalità della filosofia nella caducità dei sistemi, Prolusione
all'Università di Torino (tenuta il 1° dicembre 1910), in «La Cultura
filosofica», Firenze, V, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-31. Rovistando
in soffitta, in «Critica sociale», Milano, Pubblicato anche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 79-85. Fra
l'ideale e l'azione: per l'unità di teoria e praxis, in «Critica sociale»,
Milano, XXI, n. 16, 16 agosto, pp. 247-248. Disponibile anche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 86-90. La
filosofia di Giordano Bruno e l'interpretazione di Felice Tocco, in «La Cultura
filosofica», Firenze, V, n. 5-6, aprile, pp. 450-482. Pubblicato poi a sé: La
filosofia di Giordano Bruno e l'interpretazione di Felice Tocco, Tip. Collini e
Cencetti, Firenze 1912. 1912 45. Sul concetto di plus-valore, in «Critica
sociale», Milano, XXII, n. 4, 16 febbraio, pp. 59-63. L'articolo è in parte
tratto e riassunto dal cap. XIII (La pretesa antieticità del materialismo
storico - il sopravalore e il passaggio dalla necessità alla libertà) de Il
materialismo storico in Federico Engels, Formiggini, Genova 1912. Nell'edizione
del 1973 (La Nuova Italia) è compreso tra p. 351 a p. 386. Il
concetto di necessità nel materialismo storico, in «Rivista di filosofia», IV,
fasc. 1, pp. 55-74. È un articolo tratto dal cap. X (II fatalismo
materialistico o dialettico e il concetto di necessità storica) de Il
materialismo storico in Federico Engels. Nell'edizione del 1973 (La Nuova
Italia, Firenze) corrisponde alle pp. 209-36, 246-47. Pubblicato anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 96-114. Il
materialismo storico in Federico Engels, Formiggini, Genova. I
ginnasi magistrali, in «Unità», Firenze, Partiti politici e generi letterali,
in «Unità», Firenze, I, n. 18, 13 aprile, pp. 71-72. Intorno
alla filosofia di Marx, in «Critica sociale», Milano, Presente anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 91-95. La
crisi magistrale, in «Unità», Firenze, I, n. 21, 4 maggio, p. 84. La
preparazione dei maestri elementari, in «Unità», Firenze, I, n. 23, 18 maggio,
p. 91. Intorno alla morale sessuale, in «Critica sociale», Milano, Ancora
la morale sessuale, in «Critica sociale», Milano, Rousseau nella formazione
della coscienza moderna, in «Rivista pedagogica», Roma-Milano-Napoli, VI, vol.
1, fasc. 3, dicembre, pp. 433-478. Saggio che Mondolfo ripropone nel volume Per
il centenario di G. G. Rousseau (Formiggini, Genova 1913) e poi con alcune
modifiche nell'Introduzione alle opere di Rousseau (Discorsi e il Contratto
sociale, a cura di R. Mondolfo, Cappelli, Bologna 1924). Nuovamente
ripubblicato nel volume Rousseau e la coscienza moderna (La Nuova Italia,
Firenze 1954), di cui si ha una precedente edizione in lingua spagnola
(Rousseau y la consciencia moderna, Imán, Buenos Aires 1944). Ora disponibile
anche in Tra teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo
interprete della coscienza moderna. Scritti Socialismo e filosofia: I.
La crisi e la necessità di un orientamento filosofico; II. Materialismo,
realismo storico e lotta di classe; III. La necessità della filosofia della praxis,
in «Unità», Firenze, Ristampato nelle prime due edizioni di Sulle orme di Marx,
Cappelli, Bologna Nella terza edizione in due volumi (Cappelli, Bologna
19233) fu pubblicato privato della prima parte (La crisi e la necessità di un
orientamento filosofico) e con qualche aggiunta. Anche in La cultura italiana
del '900 attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra,
Einaudi, Torino 1962, pp. 238-247. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici Personalità e responsabilità nella democrazia, in «La Cultura
filosofica», Firenze, VII, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 19-36. Per
l'amore della moralità e per la moralità dell'amore, in «Critica sociale»,
Milano, XXIII, n. 4, 16 febbraio, pp. 54-58. La
preparazione degli insegnanti, in «Unità», Firenze, La
crisi della scuola media e il compito delle Università, in «Nuova Antologia»,
Roma, Ripubblicato da Mon-dolfo, con alcune modifiche, in Libertà della scuola,
esame di stato e problemi di scuola e di cultura, Cappelli, Bologna 1922, pp.
113-144. Discutendo di materialismo storico, in «Rivista di filosofia
neoscolastica», Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, fasc. 5, pp. 313
ss. 62. Zur soziologie der Geschlechtsmoral, in «Archiv für
Sozialwis-senschaft und Sozialpolitik», Tübingen, J.C.B. Mohr, vol. 36, pp.
920 SS. Per la biografia di
Giordano Bruno, in «Rivista d'Italia», Roma, XVI, 2, ottobre, pp. 542-545. Appunti
di Storia della filosofia La filosofia di Giordano Bruno, R. Università di
Torino, Facoltà di Lettere e filosofia, Torino.1914 Francesco
Acri e il suo pensiero, Discorso tenuto nella R. Università di Bologna,
Zanichelli, Bologna. Il pluralismo
nell'etica, in «Rivista d'Italia», Roma, n. 2, febbraio, pp. 162-187. Francesco
Acri, in «Rivista pedagogica», Roma-Milano-Napoli, VII, vol. I, giugno, pp.
523-528. 1915 La
filosofia in Belgio, «Rivista di filosofia», Genova, VII, n. 1, gennaio-marzo,
pp. 25-46. La crisi del socialismo e l'ora presente, in «Unità», Firenze, IV,
n. 8, febbraio, p. 632. Ristampato anche in La cultura italiana del '900
attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra, Einaudi, Torino
1962, pp. 455-458. Revolutionärer Geist und
historischer Sinn, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der
Arbeiterbewegung», her-ausgegeben von Prof. Carl Grünberg Hischfeld Verlag,
Leipzig. Successivamente in italiano: Spirito rivoluzionario e senso storico,
in «Nuova Rivista Storica» (1917), Roma, I, fasc. 3, pp. 504-17.
1916 71. Le matérialisme historique chez F. Engels, Trad. de l'Italien
par S. Jankelevitch, Giard et Brière, Paris. 72. Chiarimenti sulla
dialettica engelsiana, in «Rivista di filosofia», Genova, VIII,
novembre-dicembre, fasc. V, pp. 701-715. Ripubblicato nelle prime due edizioni
di Sulle orme di Marx con il titolo La dialettica di Engeis (Cappelli, Bologna Cappelli,
Bologna 19203, pp. 153-166). Poi in appendice alle edizioni del 1952 e
1973 de Il materialismo storico in Federico Engels. Ristampato anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti Spirito rivoluzionario e senso storico, in «Nuova
rivista storica», Roma, I, fasc. 3, pp. 504-17. Titolo originale:
Revolutionärer Geist und historischer Sinn, in «Archiv für die Geschichte des
Sozialismus und der Arbeiterbewegung» (1915), herausgegeben von Prof. Carl
Grünberg, Hischfeld Verlag, Leipzig. Nella versione italiana è apparso anche
nella prima edizione di Sulle orme di Marx (Cappelli, Bologna 1919, pp. 50-63)
e nelle successive. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici Dai
sogni d'egemonia alla rinuncia della libertà. Discorso letto per la solenne
inaugurazione degli studi nell'Università di Bologna il 5 novembre 1917,
Zanichelli, Bologna. Confluito con una nota introduttiva e con il titolo La
teoria della egemonia tedesca in Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L.
Bassi, Cappelli, Bologna 1958, pp. 108-142. Ristampato anche in Rodolfo
Mondolfo e la guerra delle idee. Scritti a cura di G. Ferrandi, Museo storico
del Trentino e Società aperta di Trento, Trento 1998, pp. 55-77. 1918 Imperialismo
e libertà, in «Unità», VII, 1, p. 4. Il
primo assertore della missione germanica: Herder, in «Rivista delle nazioni
latine», III, vol.1, n. 3, pp. 155-168. Ristampato in Rodolfo Mondolfo e la
guerra delle idee - Scritti (1917-1919), cit., pp. 95-106 Tra
il primato d'un popolo e la missione universale delle nazioni, in «Nuova rivista
storica», Milano, vol. II, fasc. V-VI, settembre-dicembre, pp. 582-94.
Pubblicato anche in Rodolfo Mondolfo e la guerra delle idee - Scritti Leninismo
e marxismo, in «Critica sociale», Milano,Poi in Sulle orme di Marx, a partire
dalla seconda edizione (Cappelli, Bologna 19203, pp. 29-37). Ristampato nella
raccolta di saggi Studi sulla rivoluzione russa, a cura del Centro Studi di
Critica Sociale, Morano, Napoli 1968, pp. 21-32. Presenteanche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici Leninismo e socialismo, in «Critica sociale», Milano,
XXIX, n. 7,8, 9, aprile-maggio, pp. 76-78, pp. 87-88, pp. 104-106. Confluito
poi nella seconda e nella terza edizione di Sulle orme di Marx, Ristampato
anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 32-55. Il
socialismo e il momento storico presente, in «Energie Nove», Torino, Poi
inserito nelle prime due edizioni di Sulle orme di Marx: Cappelli, Bologna
1919, pp. 1-13; Cappelli, Bologna 1920, pp. 1-15. Nella terza edizione con un
cambiamento di titolo (Il socialismo dopo la guerra): Cappelli, Bologna
Recentemente anche in M. e la guerra delle idee - Scritti (1917-1919),
cit., pp. 123-134. 81. L'insegnamento di Marx, in «Critica sociale»,
Milano, Saggio apparso anche come Prefazione alla prima edizione di Sulle orme
di Marx. Studi di marxismo e di socialismo, Cappelli, Bologna 1919, pp.
I-VIII. Sulle orme di Marx. Studi di marxismo e di socialismo, Cappelli,
Bologna. Per una coscienza realistica della storia e della rivoluzione
sociale, in «Critica sociale», Milano, XXIX, n. 24, 16-31 dicembre, pp.
338-343. Ristampato nella seconda edizione di Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna 19203, pp. 89-99 e nella 3ª edizione, I volume a pp. 71-81 con il
titolo Visioni realistiche e utopie rivoluzionarie. Presente anche in Umanismo
di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 158-168. 1920 Problemi
concreti: la scuola: I. L'azione «pro schola» e la difesa della coscienza
laica, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 23-26. Campane
d'allarme, in «Il Progresso», Bologna, 17 gennaio, p. 3. Problemi
concreti: II. Il proletariato e la scuola media. La difesa dellafunzione
sociale della finalità educativa della scuola di Stato, in «Critica sociale»,
Milano, XXX, n. 2, 15 marzo, pp. 72-76. Più recentemente in Educazione e
socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma
Gentile), cit., pp. 175-188. Problemi
concreti: III. Linee di un programma d'azione scolastica: a) Premesse generali;
b) il concetto di servizio pubblico e la scuola, in «Critica sociale», Milano,
XXX, n. 7, 1-15 aprile, pp. 108-110. Problemi
concreti: c) L'amministrazione della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXX,
n. 8, 16-30 aprile, pp. 125-126. Problemi
concreti: d) La partecipazione del proletariato alla cultura, in «Critica
sociale», Milano, Riportato anche in Libertà della scuola, esame di stato e
problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 99-106. Gli
adulatori del proletariato, in «Cultura popolare», Milano,n. 8, agosto, pp.
375-378. Anche in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 107-112. Intorno
al progetto Rignano, in «Critica sociale», Milano, Recensione a E. di Carlo,
Ferdinando Lassalle, in «Critica sociale», Milano, Ardigò, in «Critica
sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30 settembre, pp. 285-288. Recensione
a G. Bevilaqua, C'è uno spettro in Italia, Modernissima, Milano 1920, in
«Critica sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30 settembre, p. 288. Roberto
Ardigò, in «Il Tempo», 16 settembre. Socialismo
e lezioni della realtà, intervista con Rodolfo Mondolfo, in «Il piccolo della
sera», Trieste, 24 settembre. Il
marxismo e la crisi europea, in «Scientia», XIV, n. 6, 28, dicembre, pp.
457-466. Il problema sociale contemporaneo, relazione al IV congresso
italianodi filosofia, in «Rivista di filosofia», Bologna, vol. XII, n. 4,
ottobre-dicembre, pp. 303-324. Confluito poi in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Parte di questo articolo apparve con il titolo Le condizioni della
rivoluzione, in «Critica sociale», Milano, Anche in Umanismo di Marx.
Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 186-203. 99. Le condizioni della
rivoluzione, in «Critica sociale», XXX, n. 24, 16- 31 dicembre, pp.
374-376. Sulle orme di Marx, 2ª edizione accresciuta di nuovi saggi,
Cappelli, Bologna. La rivoluzione e il
blocco, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 11 dicembre, p. 1. Per
la realtà del socialismo, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 16 dicembre, p. 1.
1921 103. Le condizioni della rivoluzione, in «La Giustizia», Reggio
Emilia, 1 gennaio, p.1. Martoff
contro Zinovieff e l'antitesi fra socialismo e bolscevismo, in «Critica
sociale», Milano, XXXI, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 21-23. Poi in Sulle orme di
Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 134-140. Ristampato anche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 55-63. Introduzione
a F. Turati, Le vie maestre del socialismo, Cappelli, Bologna. Forza
e violenza nella storia, Introduzione a S. Panunzio, Diritto, forza e violenza.
Lineamenti di una teoria della violenza, n. III della «Biblioteca di Studi
sociali diretta da R. Mondolfo», Cappelli, Bologna. Pubblicata con l'aggiunta
di alcune note in Sulle orme di Marx, II vol., Cappelli, Bologna 19233, pp.
57-69. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 204-215. 1 corsi di esercitazione nelle Università, in «Educazione
nazionale», Roma, n. 1, 1-15 gennaio, p. 11 funzione sociale della finalità
educativa della scuola di Stato, in «Critica sociale», Milano, Più recentemente
in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi
del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp. 175-188. Problemi
concreti: III. Linee di un programma d'azione scolastica: a) Premesse generali;
b) il concetto di servizio pubblico e la scuola, in «Critica sociale», Milano,
Problemi concreti: c) L'amministrazione della scuola, in «Critica sociale»,
Milano, XXX, n. 8, 16-30 aprile, pp. 125-126. Problemi
concreti: d) La partecipazione del proletariato alla cultura, in «Critica
sociale», Milano, Riportato anche in Libertà della scuola, esame di stato e
problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 99-106. Gli
adulatori del proletariato, in «Cultura popolare», Milano,n. 8, agosto, pp.
375-378. Anche in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 107-112. Intorno
al progetto Rignano, in «Critica sociale», Milano, Recensione
a E. di Carlo, Ferdinando Lassalle, in «Critica sociale», Milano, Ardigò, in
«Critica sociale», Milano, Recensione a G. Bevilaqua, C'è uno spettro in
Italia, Modernissima, Milano 1920, in «Critica sociale», Milano,Ardigò, in «Il
Tempo», 16 settembre. Socialismo e lezioni
della realtà, intervista con Rodolfo Mondolfo, in «Il piccolo della sera»,
Trieste, 24 settembre. Il marxismo e la crisi
europea, in «Scientia», XIV, n. 6, 28, dicembre, pp. 457-466. Il
problema sociale contemporaneo, relazione al IV congresso italiano= • archive.
di filosofia, in «Rivista di filosofia», Bologna, vol. XII, n. 4,
ottobre-dicembre, pp. 303-324. Confluito poi in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Parte di questo articolo apparve con il titolo Le condizioni della
rivoluzione, in «Critica sociale», Milano, XXX n. 24, 16-31 dicembre
1920, pp. 374-376. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici Le
condizioni della rivoluzione, in «Critica sociale», XXX, n. 24, 16- 31 dicembre,
pp. 374-376. Sulle orme di Marx, 2ª
edizione accresciuta di nuovi saggi, Cappelli, Bologna. La
rivoluzione e il blocco, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 11 dicembre, p. 1. Per
la realtà del socialismo, in «La Giustizia», Reggio Emilia, Le condizioni della
rivoluzione, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 1 gennaio, p.1. Martoff
contro Zinovieff e l'antitesi fra socialismo e bolscevismo, in «Critica
sociale», Milano, XXXI, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 21-23. Poi in Sulle orme di
Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 134-140. Ristampato anche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 55-63. Introduzione
a F. Turati, Le vie maestre del socialismo, Cappelli, Bologna. Forza
e violenza nella storia, Introduzione a S. Panunzio, Diritto, forza e violenza.
Lineamenti di una teoria della violenza, n. III della «Biblioteca di Studi
sociali diretta da R. Mondolfo», Cappelli, Bologna. Pubblicata con l'aggiunta
di alcune note in Sulle orme di Marx, II vol., Cappelli, Bologna 19233, pp. 57-69.
Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp.
204-215. 1 corsi di esercitazione nelle Università, in «Educazione
nazionale», Roma, n. 1, 1-15 gennaio, p. 11.108. Il proletariato e la scuola,
in «La squilla», anno XXI, n. 8, 21-22 gennaio. Recentemente anche in
Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900
alla Riforma Gentile), cit., pp. 189- 192. La
scuola e i partiti, in «Il Progresso», Bologna, marzo. I
discorsi di F. Turati ai Congressi Socialisti, in «Critica sociale»,
Milano, Il saggio corrisponde ad alcuni
paragrafi tratti dalla prefazione di R. Mondolfo a F. Turati, Le vie maestre
del socialismo, Cappelli, Bologna 1921. Collaborazione
e lotta di classe, in «Critica sociale», Milano, XXXI, n. 18, 16-31 settembre,
pp. 276-278. Con alcune modifiche inserito anche Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Per la comprensione storica del fascismo, in «Critica sociale»,
Milano, Il saggio corrisponde ad alcuni paragrafi (in particolare il IV e parte
del V) dell' introduzione alla raccolta Il fascismo e i partiti politici
italiani, I volume, Cappelli, Bologna 1924. Significato
e insegnamento della rivoluzione russa, in «Critica sociale», Milano, La
contraddizione iniziale; II. La conquista compiuta; La nuova contraddizione
risultante e la progressiva consapevolezza del problema. Ristampati con alcune
modifiche e aggiunte in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 67 ss.
Estratto poi in edizione Benporad, Firenze 1922. 1922 114. Significato e
insegnamento della rivoluzione russa, in «Critica sociale», Milano, La
rivincita della realtà; V. L'inevitabile soluzione: dal libero commercio al
capitalismo; VI. La lotta e l'immediato rapporto delle forze; n. 2, 16-31
gennaio, pp. 26-29: VII. L'anello e la catena; VIII. Le nuove condizioni
del proletariato e la sua scissione in gruppi concorrenti; I nuovi problemi del
Governo: la rivalutazione della moneta; Gli insegnamenti: a) non il
dissolvimento ma lo sviluppo è condizionato dalla rivoluzione; b) on ne détruit
que ce qu'on substitue; n. 4, 16-28 febbraio, 61-63: c) Le condizioni di un
regime socialista: produzione e distribuzione; d) I limiti dell'azione
politica: forza ed economia. Ristampato con alcune modifiche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 126 ss. e pp. 212 ss. 115. La libertà della
scuola, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 6, 16-31 marzo, pp.
90-95. Riportato in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 9-23. Recentemente in Educazione e socialismo. Scritti
sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile),
cit., pp. 193-208. Scuola
e Stato. Lettera a Luigi Miranda, in «Il Tempo», Roma, 20 aprile. Libertà della
scuola, esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 30-32. La
libertà e la scuola, in «Il Tempo», Roma, 16 giugno, p. 3. L'esame
di Stato, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 12 e 13, 16-31 giugno e 1-15
luglio, pp. 189-192 e pp. 197-202. Riportato anche in Libertà della scuola,
esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 35-43. La
formazione storica delle arti e dello spirito umano in Vitruvio, in «L'Arduo»,
Bologna, II, n. 3, giugno, pp. 153-159. Presente anche in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 117-123. Sempre
nuove opposizioni al progetto su l'esame di Stato, in «L'istru-zione media»,
Perugia-Bologna-Firenze, n. 18, 15-25 luglio, pp. 1-2. Lettera
a Piero Gobetti, in «La Rivoluzione liberale», Torino, a. 1, n. 22, 16 luglio,
p. 81-82. Ricostruire, in «La Giustizia», 24-25 luglio. Per
la comprensione storica del fascismo, introduzione alla raccolta Il fascismo e
i partiti politici italiani, I volume, Cappelli, Bologna. Per
la difesa della libertà, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 15, 1-15
agosto, pp. 229-231. 125. Il problema della cultura popolare, in «Critica
sociale», Milano, XXXII, n. 18, 16-30 settembre, pp. 286-288.
772pp. Il comunismo è la negazione del marxismo, in «La Giustizia»,
Milano, 1 ottobre. Libertà della scuola,
esame di Stato e problemi di scuola e di cultura, Cappelli, Bologna. 1923
Prefazione a S. Diambrini Palazzi, Il pensiero filosofico di
Antonio Labriola, Zanichelli, Bologna. Educazione
e rinnovamento sociale in Mazzini e in Marx, in «Rivista di filosofia», XIV, n.
1, gennaio-marzo, pp.7-15. Con alcune modifiche anche in Sulle orme di Marx,
Cappelli, Bologna 19233, pp. 142-149. Ora anche in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 125-133. Mazzini
e Marx, in «Critica sociale», Milano, Poi confluito in Sulle orme di Marx,
Cappelli, Bologna, 19233, pp. 73-104. Il
monito delle tradizioni del Risorgimento nazionale, in «Istruzione media», n.
5, 25 febbraio, p. 1. Ripubblicato successivamente con il titolo Scuola, patria
e libertà, in «La Giustizia», quotidiano del Partito Socialista Unitario,
Milano, n. 52, 2 marzo 1923, p. 2. Più recentemente anche in Educazione e
socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma
Gentile), cit., pp, 227-231. Scuola,
patria e libertà, in «La Giustizia», quotidiano del Partito Socialista
Unitario, Milano, n. 52, 2 marzo, p. 2. Il
materialismo storico: conferenza all'Università Proletaria di Milano, in
«L'Avanti!», Milano, 13 marzo. Volontà
e necessità nella storia, scambio di lettere tra E. C. Longobardi e R.
Mondolfo, in «L'Avanti!», 25 e 30 marzo. 135. Il materialismo storico, in
«La Rivoluzione liberale», Torino, II, п. 8, 3 aprile, p. 33-34.
Ristampato con l'aggiunta di una nota (datata 1958) in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 217-227. Mentre
la riforma si compie, in «L'istruzione media», n. 9, 5 aprile, p. 1. I
punti oscuri, in «L'istruzione media», n. 15, 25 maggio-5 giugno, p. 1. La
riforma della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 11, 1-15 giugno,
pp. 168-170. Ora anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
233-241. Il problema sociale in Mazzini e Marx, in «Critica sociale»,
Milano, Con alcune modifiche confluito in Sulle orme di Marx, Cappelli, Bologna
19233, pp. 123-137. Scuola e libertà (Note
polemiche), in «Critica sociale», Milano,196. Risposta
all'inchiesta tra scrittori italiani: Dove va il mondo?, Libreria politica
moderna, Roma. Aspetti della crisi contemporanea, in «Studi politici», anno 1, n.
9-10, settembre-ottobre, pp. 221-224. 143. La riforma universitaria, in
«Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 20, 16-31 ottobre, pp.
318-321. Libertà e funzione sociale della scuola nella riforma Gentile, in
«Cultura popolare», n. 10-11, ottobre-novembre, rispettivamente a pp. 470-483 e
pp. 519-535. Recentemente anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
243-283. Si chiedono dati statistici, in «L'istruzione media», n. 26, 5
novembre, p. 1. L'esperimento russo, in «La Rivoluzione liberale», Torino, II, п.
36, 20 novembre, p. 146. Verso
la scuola confessionale?, in «L'istruzione media», n. 28, 25 novembre, p. 1. Si
chiedono dati statistici, in «L'istruzione media», n. 26, 5 novembre, p. 1. La
lotta di classe in Russia, in «La Rivoluzione liberale», Torino, II, n. 37, 27
novembre, p. 150. 150. Le attività del bilancio, in «Critica sociale»,
Milano, XXXIII, n. 21, novembre, pp. 328-330. Anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 328-330. Contadini
e proletariato nella Rivoluzione russa, in «Nuova rivista storica», Milano,
VII, fasc. VI, novembre-dicembre, pp. 541-566. Sulle
orme di Marx, 3ª edizione in due volumi, Cappelli, Bologna: vol. 1 Studi sui
tempi nostri, vol. Il Lineamenti di teoria e di storia critica del marxismo. La
filosofia e l'insegnamento di Francesco Acri (commemorazione nel decennale
della sua morte), in «Rivista di filosofia», XVI, n. 4, dicembre, pp. 289-319. Significato
e insegnamenti della rivoluzione russa, con prefazione di C. Treves, Bemporad,
Firenze. 1924 Contributo
a un chiarimento di idee, in «Critica sociale», Milano, XXXIV, n. 1, gennaio,
pp. 14-16. Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 235-241. Il rispetto dei diritti acquisiti e l'interesse della nazione, in
«L'istruzione media», n. 3, 21-31 gennaio, p. 1. Marxismo
e revisionismo, in «Libertà», quindicinale della gioventù socialista, Milano,
n. 4, 18 febbraio. La filosofia politica in
Italia nel sec. XIX, in Raccolta sulla Storia d'Italia nel secolo XIX, a cura
dell'Istituto superiore di perfezionamento pergli studi politico sociali e
commerciali in Brescia, Litotipo editrice, Padova, pp. 82 ss. Dal
naturalismo di Feuerbach allo storicismo di Marx, in «Rivista di psicologia»,
Bologna, XX, n. 1, gennaio-marzo, pp. 36-42. Si tratta di un breve estratto da
Feurbach e Marx pubblicato in versione ampliata nella 3ª edizione (vol. II) di
Sulle orme di Marx. Si trova anche in Tra teoria sociale e filosofia politica.
Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti Ricordando
Antonio Labriola, in «Critica sociale», Milano, XXXIV, n. 4, febbraio, pp.
61-63. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp.
242-246. L'esame di Stato professionale, in «L'istruzione media», n. 7,
1-10 marzo,p. 1. J. J. Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R.
Mondolfo, Cappelli, Bologna. L'idealismo
di Jaurés e la funzione storica delle ideologie, in «Cri-tica sociale», Milano,
Ristampato in Tra teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo
interprete della coscienza moderna. Scritti 1903-1931, cit., pp. 143-147. Dopo
il primo esperimento, in «Istruzione media», n. 25 e n. 26, 1-20 e 21-30
settembre, rispettivamente a p. 1 e p. 2. Le
cose più grandi di lui (i programmi degli esami di Stato), in «Istruzione
media», n. 28, 29 e 30, 20 e 30 ottobre e 10 novembre, rispettivamente a p. 1,
pp. 1-2, p. 1. Necrologio di Felice Momigliano, in «Rivista di filosofia»,
Torino, XV, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 86-87. Prefazione
a F. Dal Monte, Filosofia e mistica in Bonaventura da Bagnorea, Libreria di
scienze e lettere, Roma. 1925 168. Sintomi premonitori in Russia. Nuove
forze politiche in vista, in«Critica sociale», Milano, XXXV, n. 2, 16-31
gennaio, pp. 22-25. Anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp.
235-245. 169. Opere scelte di Cesare Beccaria, con introduzione e note a
cura di R. Mondolfo, Cappelli, Bologna. 170. La questione
istituzionale, in «La Rivoluzione liberale», Torino, IV, n. 3, 18
gennaio, p. 9. 171. Francesco Fiorentino, in «Nuova rivista storica»,
Milano, Confluito poi in R. Mondolfo, Da Ardigò a Gramsci, Nuova Accademia,
Milano 1962, pp. 45-97. Discussioni
marxiste, in «La Rivoluzione Liberale», Torino, IV, n. 13, 29 marzo, p. 53.
Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908- 1966, cit., pp. 248-253. Intorno
ai nuovi concorsi, in «L'Istruzione media», n. 9, 31 marzo, p. 1. I
punti del problema: per definire la discussione marxista, in «La Rivoluzione
Liberale», Torino, IV, n. 17, 26 aprile, p. 69-70. Ristampato in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 254-259. Liberalismo
della vecchia destra, in «Critica sociale», Milano, L'opera di Ferdinande
Lassalle, in «Critica sociale», Milano, Il problema delle classi medie, in
«Critica Sociale», Milano, Uscito anche come opuscolo con un preambolo di
Filippo Turati nell'edizione La Giustizia, Milano 1925. Il
pensiero di Engels e la prassi storica della classe lavoratrice, in «Critica
sociale», Milano, XXXV, n. 14, 16-31 luglio, pp. 162-163. Proletariato
e ceti intellettuali, in «La Giustizia», 15 luglio, p. 3. Beccaria
e Kant, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Di-ritto», Genova, anno V,
fasc. IV, ottobre-dicembre, pp. 617-619. Ristampato in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 149-151. La
negazione della realtà dello spazio in Zenone di Elea, in «Rendiconti
dell'Istituto Marchigiano di scienze, lettere ed arti», I, pp. 41-49. Poi in
Problemi del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 146-155. Per
la serietà dell'esame di Stato, in «Istruzione Media», Parma, n. 22, 22 agosto,
p. 1 Critiche esagerate?, in «L'istruzione media», Parma, n. 25, 10
ottobre, p. 1. Veritas filia temporis in Aristotele, in Scritti filosofici per le
onoranze nazionali di Bernardino Varisco, Vallecchi, Firenze, pp. 235-253.
Presente anche in Momenti del pensiero greco, Morano, Napoli 1964, pp.
1-20. 185. Das Problem der Mittelklassen in seiner Bedeutung für
den Sozialismus in Italien, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus
und der Arbeiterbewegung», herausgegeben von Carl Grünberg, XII, p. 1
ss. 186. Beccaria filosofo, in «Rivista di filosofia», Torino, XVI, n. 1,
dicembre, pp. 1-11 ss. Tratto dall' introduzione a Opere scelte di Cesare
Beccaria, Cappelli, Bologna 1925. 1926 187. Risposta a un'inchiesta
sull'idealismo, in «Il Baretti», Torino, a. 3., n. 1, gennaio, p.
72. Un cervello maschile, un cuore materno. In memoria di Anna
Kuliscioff, in «Critica Sociale», Milano, XXXVI, n. 1-2, 1-31 gennaio, p. 20. Moto
e vuoto, in «Il Baretti», Torino, a. 3, n. 2, febbraio, p. 76. Il
problema etico e culturale del socialismo nei rapporti col movimento
socialista, in «Critica sociale», XXXVI, n. 3, 1-15 febbraio, pp. 36-38. Materialismo,
idealismo, realismo critico-pratico, in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 4, 17
aprile, p. 3. Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966,
cit., pp. 261-265. Per la revisione del
bilancio idealistico, in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 21, 21 agosto, p. 3.
Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 266-273.
Primum intelligere..., in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 29, 23
ottobre, p. 1-2. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 274-276. Dall'esperienza agricola russa al problema contadino occidentale,
in «Critica sociale», Milano, XXXVI, n. 18-19, 16 settembre-31 ottobre pP.
280-287. Ristampato anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 247-271. Diderot,
D'Alambert e il Trattato delle sensazioni, in «L'idealismo realistico», Roma.
1927 Condillac contro Condillac. Critica della prima parte del Trattato
delle sensazioni, in «Rivista di Psicologia», n. 1. Sulla
nozione di progresso, sintesi di una comunicazione al Congresso della Società
per il progresso delle Scienza (sezione scienze filosofiche), in Atti del
Congresso di Bologna. Il trattato delle
sensazioni di Condillac, con introduzione su L'Opera di Condillac, Cappelli,
Bologna. Spinoza e la nozione del progresso umano, in «Rivista di
filosofia», XVIII, n. 3, luglio-settembre, pp. 262-266. Anche in Tra teoria
sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolo interprete della coscienza
moderna. Scritti La polemica di Zenone d'Elea contro il movimento, parte I, in
«Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, Confluito poi con
alcune aggiunte in R. Mondolfo, Problemi del pensiero antico, Der
Faschismus in Italien (sotto lo pseudonimo di «Rerum italicarum scriptor»), in
Internationaler Faschismus, herausgegeben von C. Landauer und H. Honegger,
Karlsruhe. La polemica di Zenone d'Elea contro il movimento, parte II, in
«Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, a. VI, n. 56, pp.
78-107. Confluito poi con alcune aggiunte in R. Mondolfo, Problemi del pensiero
antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 89-145. Fichte,
in «Dizionario di scienze pedagogiche», vol. I, Vallardi, Milano, Confluito poi
nella raccolta Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi, Cappelli,
Bologna Il realismo di Roberto Ardigò, in «Rivista di filosofia», XIX, n.
2, aprile-giugno, pp. 198-210. Anche in Tra teoria sociale e filosofia
politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti Nel
primo centenario di Roberto Ardigò, in «Rivista internazionale di filosofia del
diritto», Roma, VIII, fasc. III, maggio giugno, pp. 380-387. 1929 Romagnosi,
in «Dizionario di scienze pedagogiche», vol. II, Vallardi, Milano, Il pensiero
antico. Storia della filosofia greco-romana, esposta con tesi scelti dalle
fonti, Società Editrice Dante Alighieri, Roma-Genova-Milano-Napoli. Sintesi
storica del pensiero antico, Società Editrice Dante Alighieri, Roma-Genova. Rassegne
di storia della filosofia: I. Filosofia del Rinascimento, in «Rivista di
filosofia», XX, Torino, n. 2, aprile-giugno, pp. 159-170. L'antinomia
fondamentale nella visione della vita e della storia di F. Nietzsche, in
«L'idealismo realistico», VI, fasc. 2, pp. 13-18. 211. Die Anfänge der
Arbeiterbewegung in Italien bis 1872 und der Konflikt zwischen Mazzini
und Bakunin, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der
Arbeiterbewegung», herausgegeben von Prof. Carl Grünberg, Hischfeld
Verlag, XIV, heft 3, Leipzig, pp. 339- 365. 212. Il superamento
dell'utilitarismo e la coscienza morale nella dottrina epicurea, in «Rendiconto
delle sessioni della R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna», vol.
3, Azzoguidi, Bologna. Confluito poi in Problemi del pensiero antico, c
Responsabilità e sanzione nel più antico pensiero greco, in «Civiltà moderna»,
Firenze, II, n. 1, 15 febbraio, pp. 1-16. Poi confluito in Problemi del
pensiero greco, cit., pp. 3-20. 214. Razionalità e irrazionalità della
Storia: per una visione realistica del problema del progresso, in «Nuova
Rivista Storica», Milano, XVI, fasc. 1-II, gennaio-aprile, pp. 1
ss. Collaborazione alla «Encyclopedia of the Social Sciences» della
Columbia University di New York; voci: T. Campanella, A. Costa. I
primordi del movimento operaio in Italia avanti il 1872 e il conflitto tra
Mazzini e Bakunin, in «Nuova Rivista Storica», anno XIV, fasc. IV-V,
luglio-ottobre, pp. 394-412. Trad. it.: Die Anfänge der Arbeiterbewegung in
Italien bis 1872 un Konflikt zwischen Mazzini und Bakunin (cfr. n. 211). Riproposto
poi da Mondolfo in una rivista argentina nel 1955 (cfr. n. 410). Nella versione
italiana, anche in Tra teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo
interprete della coscienza moderna. Scritti Collaborazione
alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani); voce: Giordano Bruno, vita ed
opere, religione e filosofia, dio e l'universo: il monismo, l'etica, vol. VII,
pp. 980-984. Nella sua versione rielaborata Mondolfo ripropone questo articolo
in Figure e idee del Rinascimento, trad. di L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze
1963, pp. 35-111. Recensione a G. Tarozzi, L'esistenza e l'anima, in «Nuova Rivista
Storica», XIV, ottobre. 219. Collaborazione alla «Enciclopedia Italiana»
(Istituto Treccani); voci: Comunismo (esposizione critica della dottrina e
della storia), vol. IX, pp. 29-34; Filone di Alessandria, vol. XV, p. 352; C.
A. Helvétius, vol. XVIII, pp. 450-451. 1931 Collaborazione
alla «Encyclopedia of the social Sciences» della Columbia University di New
York; voci: Epicure and epicureanism, Giuseppe Ferrari, Gaetano Filangeri,
Pasquale Galluppi, Melchiorre Gioia, Gian Vincenzo Gravina, Theodor Karl Grün,
Peter Alexeyevitch, Antonio Labriola. Collaborazione
a «Pedagogia» (Enciclopedia delle Enciclopedie, Formiggini, Roma); voci:
Didattica della filosofia, pp. 305-312; Libertà e Laicità della scuola, pp.
820-835. Entrambi riportati in Educazione e cultura come problemi sociali,
Cappelli, Bologna 1957, pp. 149-161 e pp. 123-147. Comunicazione
al Congresso della Società Italiana per il progresso delle scienze su Criteri
di studio del problema riguardante le origini della filosofia greca. Germi
in Bruno, Bacone e Spinoza del concetto marxistico della storia, in «Civiltà
moderna», Firenze, anno III, n. 5, 15 ottobre, pp. 921-933. Scritto pubblicato
anche in Germania nel 1932 (cfr. n. 228) e, successivamente, nel 1936 sulla
rivista argentina «Dialéctica» (cfr. n. 277). Recentemente anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza
moderna. Scritti 1903-1931, cit., pp. 193-203. Un
educatore scomparso: Giovanni Marchesini, in «La Cultura popolare», XXI, 12,
pp. 467-473. Rapporti tra la speculazione religiosa e la filosofia nella Grecia
antica, I, in «La Nuova Italia», Firenze, II, dicembre, pp. 463-468. Intorno
al contenuto dell'antica teogonia orfica, in «Rivista di Filologia e
d'istruzione classica», a. IX, n. 59, dicembre, pp. 433-461.1932 Rapporti
tra la speculazione religiosa e la filosofia della Grecia antica, II, in «La
Nuova Italia», Firenze, III, gennaio, pp. 11-18. Il
concetto della «umwälzende Praxis» e i suoi germi in Bruno e Spinoza, in
«Grünbergs Fetschrift», C. L. Hirschfeld, Leipzig, pp. 365-376. I
Discorsi e il Contratto sociale di J. J. Rousseau, trad. con introduzione e
commento, 2ª edizione, Cappelli, Bologna. Collaborazione
alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani); voci: Antonio Labriola, vol.
XX, pp. 334-335; Internazionale e Internazionalismo, vol. XIX, pp. 394-396. Il
Giansenismo in Italia di A. C. Jemolo, in «Rivista di Filosofia», Torino. Discutendo
il problema dei caratteri differenziali tra filosofia antica e moderna, in
«Rivista di filosofia», Milano, XXII, n. 3, luglio-settembre, PP. 189-209.
Articolo contenente il paragrafo finale della Nota sul genio ellenico, inserita
nell'edizione italiana di E. Zeller-R.Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo
sviluppo storico, Parte I: I Presocratici; vol. 1: Origini, caratteri e periodi
della filosofia greca, La Nuova Italia, Firenze 1932. Nell'edizione del
1951 si trova alle pp. 344-355. 233. Arte e religione in Grecia secondo
gli schemi del neoumanesimo, in «Civiltà moderna», Firenze, IV, n. 2, giugno,
pp. 186-209. Tratto da R. Mondolfo, Nota sul genio ellenico in E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, cit.
Nell'edizione del 1951 si trova a pp. 336 ss. 234. Nota sulla divisione
in periodi della filosofia greca, in «Archivio di storia della filosofia», a.
I, fasc. 2, aprile-giugno, pp. 156-170. Anche in E. Zeller-R. Mondolfo, La
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 presocratici, vol. I:
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, La Nuova Italia, Firenze
1951, pp. 375-384. Poi anche in Id., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: I presocratici, vol. II: lonici e Pitagorici, La Nuova
Italia, Firene 1938, pp. 27-89. 235. Collaborazione a «Encyclopedia
of the Social Sciences» della Columbia University di New York; voci: Lucretius,
Karl Geory Winkelblech (Karl Marlo). E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca,
traduzione e aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. Studi
sopra l'infinito nel pensiero dei Greci, in «Memoria della R. Accademia delle
Scienze dell'Istituto di Bologna, classe di scienze morali», serie 3, tomo 6,
Gamberini e Parmeggiani, Bologna 1931- 1932. Pubblicato anche
nell'edizione Azzoguidi, Bologna 1932. 1933 Eternità
e infinità del tempo in Aristotele, in «Giornale Critico della Filosofia
Italiana», Firenze, XIV, pp. 30-43. Il
contributo di Zenone d'Elea alla scoperta dell'infinitesimale, in «Archivio di
storia della filosofia», IX, gennaio. La
preparazione dei greci alla comprensione dell'infinito, in «Civiltà moderna»,
Firenze, V, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-14. La
concezione dell'Empireo in Platone, in «La Nuova Italia», Firenze, marzo.
242. Il passaggio dal teleologismo al determinismo nella dottrina peripatetica
dell'eternità del mondo, in «Rivista di filosofia», Milano, XXIV, n. 2,
aprile-giugno, pp. 97-109. Articolo tratto da un capitolo della I edizione de
L'infinito nel pensiero dei Greci, Le Monnier, Firenze 1934.
Nell'edizione ampliata del 1956 corrisponde a pp. 141-159. L'infinità
divina nelle teogonie greche presocratiche, in «Studi e materiali di storia
delle religioni», Roma, vol. IX, pp. 72 ss. Tratto da L'infinito nel pensiero
dei greci, Le Monnier, Firenze 1934, pp. 271-294. L'infinità
della potenza divina in Aristotele (Dal concetto negativo al concetto positivo
dell'infinito), in «Ricerche religiose», Roma, IX, luglio, Pp. 305-311. Tratto
da L'infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier, Firenze 1934. L'infinità
dell'essere in Melisso di Samo (contributi a un processo di riabilitazione), in
«Sophia», Padova, 1, aprile-giugno, pp. 159 ss. L'infinità
divina da Filone ai neoplatonici e ai suoi precedenti, in «Atene e Roma»,
Firenze, Le Monnier, anno I, serie III, n. 3, luglio-settembre, pp. 192-200.
Articolo rielaborato tratto L'Infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier,
Firenze, 1934. L'infinità del numero dai Pitagorici a Platone e ad Archimede, in
«Archivio di filosofia», Roma, fasc. 2, aprile-giugno, pp. 68-79. «Prassi
che rovescia» o «Prassi che si rovescia»?, in «Rivista internazionale di
filosofia del diritto», Roma, XIII, fasc. VI, pp. 743 ss. Scritto che viene
successivamente inserito da Mondolfo in Il materialismo storico in Federico
Engels (1952). Nella successiva riedizione del 1973 si trova alle pp. 401-403. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana»; voce: Materialismo storico, vol. XXII, pp.
563-564; Il contratto di lavoro nella voce Il lavoro, in XX, pp. 663-665. Collaborazione
alla «Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New
York; voce: Paolo Paruta. Lezioni
di storia della filosofia svolte dal chiar. prof. Rodolfo Mondolfo durante
l'Anno accademico 1933-34, a cura di S. Bortolotti e E. Wittig Universita di
Bologna, Facoltà di Lettere e filosofia, Bologna. 1934 La
genesi storica della filosofia presocratica, in «La Nuova Italia», Firenze, 20
marzo, pp. 82-94. Prefazione al libro di G. Fontanesi, Il problema filosofico
dell'amore nell'opera di Leone ebreo, Libreria Emiliana, Venezia, pp. I-XIII. Problema
umano e problema cosmico nella formazione della filosofia greca, Memoria
presentata all'Accademia delle Scienze di Bologna nella sessione del 17 marzo,
Azzoguidi, Bologna, pp. 1-32. Anche in Problemi del pensiero antico, cit., pp.
23-85. 785 255. Note sull'eleatismo: a proposito degli Studi
sull'eleatismo di G. Calogero, in «Rivista di filologia e d'istruzione
classica», Torino, a. XII, n. 62, giugno, pp. 209-228. Poi in Problemi
del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 156-185. 256. I
problemi dell'infinità numerica e dell'infinitesimo in Aristotele, in
«Rivista di filosofia», Milano, XXV, n. 3, luglio-settembre, pp. 210-
219. Tratto da L'infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier, Firenze
1934. Caratteri e sviluppi della filosofia presocratica, in «Sophia»,
Roma, luglio-settembre, pp. 274-288. La
giustizia cosmica secondo Anassimandro ed Eraclito, in «Civiltà moderna»,
Firenze, vol. VI, n. 5-6, settembre-dicembre, pp. 409-424. L'infinito
nel pensiero dei Greci, Le Monnier, nella Collezione di «Studi filosofici»
diretta da G. Gentile, Firenze. Recensioni
in «Pan»: A. Rosemberg Storia del bolscevismo da Marx ai giorni nostri,
Sansoni, Firenze, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto»; N.
Festa, I frammenti degli stoici antichi, vol. I, Laterza, Bari 1932; G. Della
Valle, Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano, Accademia Pontaniana, Napoli
1933; Id., Dove nacque T. Lucrezio Caro?, Stab. industrie editoriali
meridionali, Napoli 1933, in «Sophia»; G. Pasquali, Pagine stravaganti di un
filologo, Carabba, Lanciano 1933; Conte di Gobineau, Il rinascimento, trad. di
F. Gentile Tarozzi, Cappelli, Bologna 1933, in «Civiltà moderna»; G. Mayer,
Friederich Engels: Eine Biographie, M. Nijhoff, Haag 1934; Marx-Engels,
Historische, Kritische, Gesamtausgabe Werke Schriften, Briefe, Berlin, in
«Rivista di filosofia»; C. Ottaviano, Joachimi abbatis liber contra
Lombardorum, Reale Accademia d'Italia, Roma 1934. 261. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana»; voce: Movimento Operaio, vol. XXV, pp.
402-405. 1935 262. Francesco Fiorentino e il positivismo, in AA.VV,
Onoranze a F. Fiorentino nel cinquantenario della sua morte, Morano,
Napoli, pp. 81- 97. 263. Infinità dell'istante e infinità
soggettiva nel pensiero degli antichi, in «Giornale critico della filosofia
italiana», Firenze, 16, pp. 205- 234. Successivamente in Problemi del
pensiero antico, cit., pp. 207- 250. Inserito poi nella V parte de
L'infinito nel pensiero dell'antichità classica, cit. 264. La
genesi e i problemi della cosmogonia di Talete, in «Rivista di filologia e
d'istruzione classica», Torino, XIII, n. 63, giugno, pp. 145- 167.
265. Physis e theion: intorno al carattere e al concetto centrale della
filosofia presocratica, in «Atene e Roma», Firenze, Le Monnier, serie III, a.
III, n. 2, aprile-giugno, pp. 81-100. Il
principio universale di Anassimandro, in «Civiltà moderna», Firenze,
luglio-agosto, pp. 344-354. Questioni
di storia della scienza greca, in «Rivista di filosofia», Torino, XXVI, n. 23,
luglio-settembre, p. 246-257. L'infinito
e le antinomie logiche nel pensiero greco, relazione al «Congresso della
Società italiana per il progresso delle scienze», tenutosi a Palermo il 12-18
ottobre, Società italiana per il progresso delle scienze, Roma. Confluito poi
in R. Mondolfo, I problemi del pensiero antico, Zanichelli, cit., pp. 251-265. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani»; voci: Sindacalismo,vol.
XXXI, pp. 830-832; Socialismo, vol. XXXI, PP. 990-997; Scienza (classificazione
delle scienze e storia della scienza), vol. XXXI, pp. 156-157. Problemi
del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935. Lezioni
di storia della filosofia, a cura di E. Zambrini, Università di Bologna,
Facoltà di lettere e filosofia, Bologna. Lezioni
di filosofia moderna: Benedetto Spinoza, tenute dal Chiar.mo Prof Rodolfo
Mondolfo nell'anno 1935-1936, a cura di G. C. Cavalli, GUF G. Venezian,
Bologna. 1936 Gli
albori della filosofia in Grecia, in «La Nuova Italia», Firenze, gennaio. Feuerbach
y Marx. La dialéctica y el concepto de la historia, trad. di M. P. Alberti,
Claridad, Buenos Aires. Su una
presunta affermazione antica della sfericità terrestre e degli antipodi, in
«Archeion», vol. XVIII, n. 1, gennaio-marzo, pp. 7-17. Anaximenea,
in «Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, XIV, n. 64, marzo,
pp. 15-26. Gérmenes en Bruno, Bacon y Espinoza de la concepción marxista de
la historia, in «Dialéctica», Buenos Aires, abril. Per
Diogene d'Apollonia, in «Rivista di filosofia», Torino, XXVII, 3,
luglio-settembre, pp. 189-197. Gli
atomisti antichi, in «Il Lavoro», 21 settembre, p. 3. Formes
et tendences actuelles du mouvement philosophique en Italie (in collaborazione
con il Prof. Limentani della R. Università di Firenze), in «Revue de Synthèse»,
XII, n. 2, octobre, Paris, pp. 141- L'utopia
di Platone, in «Il Lavoro», 17 novembre, p.3. Aristotele
ed Epicuro, in «La Nuova Italia», Firenze, dicembre, pp. 273-279. 1937 Echi
del centenario di Romagnosi, in «Il Lavoro», 22 gennaio, p. 3 La
vitalità di Aristotele, in «Il Lavoro». La
filosofia antica in terra d'Africa e le tendenze del soggettivismo. Estratto da
Atti della XXV Riunione della SIPS a Tripoli, Raduno coloniale della scienza
italiana, 1-7 novembre 1936. Relazione Congresso della Società per il
progresso delle scienze (Tripoli). Problemi
della cosmologia di Anassimandro, in «Logos», Napoli, XX, fasc. I,
gennaio-marzo, pp. 14-30. Da una Nota sulla cosmologia e la metafisica di
Anassimandro introdotta come aggiornamento nel Il vol. dell'edizione italiana
de E.Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte
I: I Presocratici, Il vol.: lonici e Pitagorici, La Nuova Italia, Firenze,
1938, pp. 190 ss. Ancora sull'infinito e gli antichi, in «Sophia», V, 1-2, gennaio-
giugno, pp. 146-152. La prima affermazione
della sfericità della terra. Nota dell'accademico effettivo prof Rodolfo
Mondolfo, comunicata il 12 dicembre, in «Rendiconti delle sessioni della R.
Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di scienze morali»,
serie IV, 1, Bologna, Tip. Azzoguidi, p. 18. Trad. it con l'aggiunta di una
postilla in Momenti del pensiero greco e cristiano, cit., pp. 101-117. Collaborazione
all'«Enciclopedia italiana Treccani»; voci: Unità, Universo (nella storia della
filosofia), vol. XXXIV, pp. 714 e 744. Per
l'interpretazione di F. Fiorentino, in «Archivio di storia della filosofia
italiana», I, VI, 1, p. 32. Sui
frammenti di Filolao (contributo a una revisione del processo di falsità), in
«Rivista di Filologia e d'istruzione classica», XV, n. 65, p. 225-245. Platone
e la storia del pitagorismo, in «Atene e Roma», Firenze, Le Monnier, serie III,
a. V, n. 4. ottobre-dicemre, pp. 235-251. Tratto da una Nota sulle fonti della
nostra conoscenza e ricostruzione storica del Pitagorismo, in E. Zeller-R.
Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, pp. 313 ss. Forme
e tendenze attuali del movimento filosofico in Italia, (in collaborazione con
il Prof. Limentani della R. Università di Firenze), in «Logos», Napoli, XX, pp.
189-215.1938 L'origine dell'ideale filosofico della vita. Comunicazione del
socio Rodolfo Mondolfo, presentata nella seduta del 26 maggio 1938, in
«Rendiconti delle sessioni della R. Academia delle scienze dell'Istituto di
Bologna. Classe di scienze morali», serie V, I, Azzoguidi, Bologna, pp.
121-144. E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: 1 Presocratici, vol. Il: lonici e Pitagorici, La Nuova
Italia, Firenze. Intorno ad Epicarmo, in «Civiltà moderna», Firenze, I, X, n. 2-3,
marzo-giugno, pp. 133-143. L'unità
del pitagorismo, in «La Nuova Italia», Firenze, giugno. 1940 Origen
y sentido del concepto de cultura humanista, para la inauguración de cursos del
Istituto de Humanidades de la Universidad Nacional de Córdoba, El Sol, La
Plata, pp. 21-36. Historia y filosofia, in «Sustancia», Tucumán, a. I, n. 4, marzo,
pp. 530-545. Trad. it. in Alle origini della filosofia della cultura, trad. di
L. Bassi, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 164-187. 300. El
materialismo histórico en Federico Engels, version castellana de A.
Mantica, Libreria y Editorial Ciencia, Rosario, vol. di pp. 362. 301. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di R. Mondolfo e E. Garin,
Sansoni, Firenze, pp. XXXIII-104. La traduzione e le note di Rodolfo
Mondolfo vennero pubblicate anonime in questa prima edizione, mentre
ricompaiono nelle ristampe successive al 1946. 302. R. Descartes,
Principi di filosofia, a cura di R. Mondolfo e E. Garin, Sansoni, Firenze, pp.
XXXIII-82. La traduzione e le note di Rodolfo Mondolfo vengono pubblicate
anonime in questa prima edizione, mentre ricompaiono nelle ristampe successive
al 1946. 1941 Sócrates,
edición de la Universidad Nacional de Córdoba, Córdoba. Anche in Moralistas
griegos. La conciencia moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires 1941. Sugestiones
de la técnica en las concepciones de los naturalistas presocráticos, in
«Archeion» de la Universidad Nacional del Litoral, XXIII, n. 1, julio, pp.
36-52. Trad. it di L. Bassi: Suggestioni della tecnica nelle concezioni dei
naturalisti presocratici, in Alle origini della filosofia della cultura, introduzione
di R. Treves, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 87-106. 305. Moralistas
griegos. La conciencia moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires. Trad. it.
accresciuta a cura di V. E. Alfieri, Moralisti greci. La coscienza morale da
Omero a Epicuro, Ricciardi, Napoli-Milano 1960. 306. Espíritu
revolucionario y conciencia histórica, in «Revista Mexicana de Sociología»,
Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 3, n. 4, 1 dicembre, pp.
71-86. 1942 El pensamiento antiguo,
historia de la filosofia greco-romana, 2 vol., Losanda, Buenos Aires. El
problema del conocimiento desde los presocráticos hasta Aristóteles,
Publicaciónes del Instituto de Humanidades de la Universidad Nacional de
Córdoba, n. 19, Córdoba. La
teoría del sentido interior en San Agustín y sus antecedentes griegos, in
«Insula», Buenos Aires. Trad. it. in Momenti del pensiero greco e cristiano,
cit., pp. 59-84. Espíritu revolucionario y conciencia histórica, in «Revista
mexicana de Sociología» e nel «Boletín del Instituto de Sociología de Bueons
Aires», pp. 43-55. La antinomia del
espíritu innovador, in «Sustancia», n. 9, Tucumán, pp. 12- La
filosofia política de Italia en el siglo XIX, Imán, Buenos Aires. En
los orígenes de la filosofía de la cultura, Imán, Buenos Aires. En
el centenario de Galileo, in «Sur», Buenos Aires, 2, 97-99, octubre-diciempre,
pp. 86 e pp. 90. 1943 La
crítica escéptica de la causalidad, in El problema de la causalidad,
Publicaciones del Instituto de Humanidades de Córdoba. El
genio helénico y los caracteres de sus creaciones espirituales, Cuadernos de la
Facultad de Filosofía y Letras de Tucumán, Tucumán. Roberto
Ardigó y el positivismo italiano, in «Sustancia», Tucumán, n. 13. Naturaléza
y cultura en la formación de la filosofía griega, Publicaciones del Instituto
de Humanidades, n. 25, Córdoba. Rousseau
y la consciencia moderna, Imán, Buenos Aires. Campanella
y Descartes, in «Estudios de Filosofía», Universidad Nacional de Córdoba. La
filosofía de la historia de Fernando Lassalle, in «Revista mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 5, n. 3, pp.
343-381. Traducción de Carmelo di Bruno del original italiano. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, 2ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. 1944 323. El pensamiento de Galileo y
sus relaciones con la filosofía y la ciencia antiguas, Publicaciones del
Instituto de Humanidades, n. 33, Córdoba. 30. La
filosofía de Giordano Bruno, trad. Ricardo Resta, in «Minerva», Buenos Aires,
a. 1, vol. 1, mayo-junio. La
ética antigua y la noción de conciencia morale, Imprenta de la Universidad
Nacional de Córdoba, Publicaciónes del Instituto de Humanidades, n. 41,
Córdoba, pp. 31. Misión de la cultura humanista, in «Papales», Buenos Aires. Determinismo
contra volontarismo en la filosofia de Nietzsche, in «Minerva», Buenos Aires,
II, n. 4. Anche Ensayos críticos sobre filósofos alemanes, Imán, Buenos Aires
1946, pp. 143-165. Trad. it. Determinismo contro volontarismo nella filosofia
di F. Nietzsche, in Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi,
Cappelli, Bologna 1958, pp. 145-164. La
politica y la utopía de Campanella. La Ciudad del Sol, in «Revista mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 6, n. 2, Mayo -
Augosto, pp. 213-223. Origen del ideal
filosófico de la vida, in «Revista de estudios clásicos de la Universidad de
Cuyo», Mendoza, n. 1, p. 47-78. Inserito successivamente in R. Mondolfo, En los
orígenes de la filosofía del la cultura, Libreria Hachette, Buenos Aires 19603,
pp. 281 ss. 1945 La trascendencia
extratemporal divina y la infinitud temporal en el período religioso de la
filosofía griega, in «Philosophia», Mendoza, Universidad de Cuyo, II, n. 2-3,
pp. 7-12. Eternidad e infinitud del tiempo en Aristóteles, Publicaciones del
Instituto de Filosofía y Humanidades, n. 44. Pubblicato nella «Revista de la
Universidad Nacional de Córdoba», año 32, n. 2. El
infinito y las antinomias lógicas de la filosofia antigua, «Publicaciones del
Instituto de Humanidades», n. 45, Córdoba. El
primer fragmento de Heráclito: texto, traduccion y comentario, in «Revista de
la Universidad de Buenos Aires», tomo V, a. III, n. 3-4, julio-diciembre, pp.
43-50. El pensamento antiguo, 2ª edición revis., Losanda, Buenos Aires. Sobre
la pena de muerte (Kant contra Beccaria), in «Bebel», Santiago del Chile, n.
27, pp. 97 ss. 1946 Bibliografia
de G. Bruno, in «Philosophia», Mendoza, Univer- sidad de Cuyo, 3, pp. 39-55. La
infinitud del espiritu en la filosofia antigua, Universidad Nacional de
Córdoba, Publicaciones del Instituto de Filosofía y Humanidades, Córdoba, n.
49, pp. 955-976. Qué es el materialismo histórico, in «Babel», Santiago del Chile,
n. 31, pp. 36 ss. 339. Prólogo a W. A. Heidel, La edad heroica de la
ciencia, Espasa Calpe, Buenos Aires. Cesar
Beccaria y su obra, Depalma, Buenos Aires, pp. 117. Trad. it con ampliamenti ed
aggiunte: Cesare Beccaria, La Nuova Accademia, Milano 1960. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, Sansoni,
Firenze, 2ª edizione. R. Descartes, Principi
di filosofia, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, Sansoni, Firenze, 2ª edizione. Il
problema del male in Agostino e nell'agostinismo, conferenza tenuta nell'aula
magna dell'Università di Montevideo il 31 agosto. Confluita in Momenti del
pensiero greco e cristiano, cit., pp. 85-97. 1947 344. Ensayos
críticos sobre filósofos alemanes, Imán, Buenos Aires. Trad. it a cura di L.
Bassi, Filosofi tedeschi: saggi critici, Cappelli, Bologna 1958. La
idea de progreso humano en G. Bruno, in «Babel», Santiago del Chile, n. 39, pp.
97 ss. Tres filósofos de Rinascimiento: Bruno, Galileo, Campanella,
Losanda, Buenos Aires. Poi rifuso in Figuras e ideas de la Filosofía del
Rinacimento, Losada, Buenos Aires 1955. San
Augustín y el problema del mal en el neoplatonismo cristiano, in «Revista de la
Facultad de Humanidades y Ciencias de Montevideo», n. 1, pp. 127-135.
1948 348. Interpretaciones de Heráclito en el último medio siglo, prólogo
a O. Spengler, Heráclito, Espasa-Calpe, Buenos Aires. Interpretaciones
italianas del materialismo histórico, in «Cultura italiana», Buenos Aires.
Trad. it: Il materialismo storico nelle interpre-tazioni italiane, in «Critica
sociale», Milano, XL, n. 3, pp. 54-58. Voluntarismo
y pedagogia de la acción en Mazzini y en Marx, in «Babel», Santiago del Chile,
n. 44, pp. 72 ss. La idea de cultura en el Rinacimiento italiano, in «Jornadas de
centro de cultura italiana», Tucumán, Universidad Nacional, 1, n. 1, pp. 1-20.
Poi in Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze, Die Klassische
Philosophie in Latein-Amerika, in «Universitas», Stuttgart. Problemas
y métodos de la investigación en historia de la filosofia, Cuadernos de
Instituto de Universidad Nacional de Tucumán, Tucumán. Sulle
orme di Marx, 4ª edizione, Cappelli, Bologna. Le
sujet humain dans la philosophie antique, in AA. VV., Proceedingof the Tenth
International Congress of Philosophy, North-Holland Publishing Co., Amsterdam
1949, pp. 1065-8. Voluntad y conocimiento
en Heráclito, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán, Spinoza y la noción
de progreso humano, in «Bebel», Santiago de Chile, n. 52, pp. 227 ss. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, 3ª edizione,
Sansoni, Firenze. R. Descartes, Principi di filosofia, a cura di E. Garin e R.
Mondolfo, 3ª edizione, Sansoni, Firenze. El
hombre como sujeto espiritual en la filosofía antigua, in Actas de primer
Congreso Nacional de Filosofía, tomo III, Mendoza, Universidad Nacional de
Cuyo. 1950 361. L'utopia di Campanella, in «Studi in onore di Gino
Luzzatto», Giuffrè, Milano. J. J.
Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, 3ª edizione,
Cappelli, Bologna. Il pensiero antico.
Storia della filosofía greco-romana, esposta con testi scelti dalle fonti, 2ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. Il
metodo di Galileo e la teoria della conoscenza, in «Rivista di filo-sofia»,
Torino, XLI, fasc. 4, ottobre-dicembre, pp. 375-389. Publicato
contemporaneamente in lingua spagnola (cfr. n. 366). Confluito poi in R.
Mondolfo, Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963, pp.
291-313. Ensayos sobre el Renacimiento italiano, Universidad Nacional de
Tucumán, Instituto de filosofía, Tucumán. El
método de Galileo y la teoría del conocimiento, in Actas de la Academia de
Ciencias Culturales y Artes de la Universidad Nacional de Tucumán, Tucumán, 1,
pp. 9-27. Trabajo manual y trabajo intelectual desde la antigüedad hasta el
Renacimiento, in «Revista de historia de las ideas de la Universidad Nacional
de Tucumán», Tucumán, n. 1, pp. 5-25. Lavoro
manuale e lavoro intellettuale dall'antichità al Rinascimento, in «Critica
sociale», Milano, Ristampato in Alle origini della filosofia della cultura, a
cura di R. Treves, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 125-149. Successivamente anche
in Polis, lavoro e tecnica, introduzione e cura di M. V. Ferriolo, Feltrinelli,
Milano 1982, pp. 51-71. 369. La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: I presocratici, vol. Il: Ionici e Pitagorici, 2ª edizione, La
Nuova Italia, Firenze. 1951 370. Lo humano y lo subjetivo en el
pensamiento antiguo, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán, Sobre una interpretación reciente de
Anaxagoras y los eleatas, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán,
Preparación profesional e investigación científica, in La universidad del siglo
XX, Universidad Nacional de San Marcos, Lima, pp. 333- 342. Trad. it. in
Educazione e cultura come problemi sociali, cit., pp. 46- 58. La
reminiscencia platónica y la actividad del espíritu, in «Actas del Congreso de
filosofía en Lima» y «Revista de la Universidad Nacional de S. Agustín de
Arequipa». Reseñas en «Notas y estudios de filosofía», sobre: M. Dal Pra, La
storiografia filosófica antica; C. Moeller, Sagesse grecque etparadoxe
chrétien; A. Nogueira, Universo, 1951-52. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, 3ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. 797 1952 376. El pensamiento
antiguo. Tomo I: Desde los orígines hasta Platón. Tomo II: Desde
Aristóteles hasta neoplatónicos, 3ª edizione, Losanda, 2 tomos, Buenos
Aires. 377. El infinito en el pensamiento de la antigüedad clásica, trad.
de F. Gonzáles Ríos, Ediciones Imán, Buenos Aires. La filosofía como problematicidad y el
historicismo, in «Philosophia», Universidad Nacional De Cuyo, Mendoza, Trad.
it: La filosofia come problematicità e lo storicismo, in «Il Dialogo», II, n.
5, ottobre, pp. 43-64. Il
materialismo storico in F. Engels, 2ª edizione italiana, La Nuova Italia,
Firenze. Leonardo teórico del arte y de la ciencia, in «Sur», Buenos Aires,
Eduard Zeller y la historia de la filosofía, in «Notas y estudios de
filosofía», Tucumán, 5, n. 12, octubre-diciembre, pp. 369-381. Intorno
alla gnoseologia di Democrito, «Rivista critica di storia della filosofia»,
Milano, a. VII, fasc. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-18. Articolo presente con
alcune modifiche anche in un capitolo di La comprensione del soggetto umano
nell'antichità classica, trad. di L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze 1958, pp.
267-297. 383. Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia,
La Nuova Italia, Firenze. 1953 I
cirenaici e i raffinati del Teeteto platonico, «Rivista di filosofia», Torino,
XLIV, n. 2, aprile, pp. 127-135. Tratto da La comprensione del soggetto umano
nell'età classica, cit., pp. 297-310. Il
valore del lavoro nel riconoscimento di Senofonte, Platone ed Aristotele, in
«Critica sociale», Milano, Trabajo y conocimiento según Aristóteles, in «Imago
mundi», Buenos Aires, 1, n. 1, pp. 14-22. L'unité
du sujet dans la gnoséologie d'Aristóte, in «Revue philosophique», Paris, 78,
luglio settembre, pp. 359-378. Platón
y el concepto unitario de cultura humana, in «Humanitas», Universidad Nacional
de Tucumán, a. 1, n. 1, pp. 15-24; nella versione italiana: Platone e il
concetto unitario di cultura umana, in Scritti di sociologia e politica in
onore di Luigi Sturzo, II, Zanichelli, Bologna, pp. 569-580. Dos
textos de Platón sobre Heráclito, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán,
4, pp. 233-244. Leonardo teorico dell'arte e della scienza, in «II Ponte»,
Firenze, IX, fasc. 8, pp. 1221-1238. Campanella
y su utopía, prólogo a T. Campanella, La Ciudad del Sol, Losada, Buenos Aires. Breve
historia del pensamiento antiguo, Losada, Buenos Aires, 1953-54. La
valoración del trabajo en la Grecia antigua hasta Sócrates, in «Revista de
economía», Córdoba, IV, n. 9, tomo 3, enero-junio, pp. 5-20. 1954
394. The greek attitude to manual labour, in «Past & Present»,
London, n. 6, november, pp. 1-5. Rousseau
e la coscienza moderna, La Nuova Italia, Firenze. Trad. it. di Rousseau y la
consciencia moderna, Imán, Buenos Aires 1944. Cultura
e libertà nel pensiero di Croce, in «Critica sociale», Milano, XLVI, n. 5, 5
marzo, pp. 77-80. Riportato in R. Mondolfo, Educazione e cultura come problemi
sociali, cit., pp. 91-104. Titolo originale Cultura y libertad en el
pensamiento de B. Croce, in AA.VV, Homenaje a Benedetto Croce en el primer
aniversario de su fallecimiento, de la Facultad de Filosofía y Letras de Buenos
Aires, 1956, pp. 202-212. Seneca
e l'infinità del progresso spirituale, in «Critica sociale», Milano, aprile. La
divisione del lavoro e il compito sociale dell'educazione, in «Critica
sociale», Milano, XLVI, n. 11, 5 giugno, pp. 172-173. Riportato anche in R.
Mondolfo, Educazione e cultura come problemi sociali, cit., pp. 35-43. Séneca
y la infinitud del progreso espiritual, in «La Torre», de la Universidad de
Puerto Rico, n. 5, pp. 63-74. Il
problema di Cratilo e l'interpretazione ai Eraclito, in «Rivista critica di
storia della filosofía», Milano, IX, n. 3, pp. 221-231. La
conciencia moral en Sócrates, Platón y Aristóteles, in «Humanidades», de la
Universidad Nacional de La Plata, n. 34, Seccíon Filosofía, pp. 7-29.
402. Figuras e ideas de la filosofía del Renacimiento, Losada, Buenos
Aires. Trad. it. a cura di L. Bassi: Figure e idee della filosofia del
Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963. 403. El problema de Cratilo
y la interpretación de Heráclito, in «Anales de Filología Clásica», Buenos
Aires, Universidad de Buenos Aires, VI, pp. 157-174. 1955 J.
J. Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, 4ª edizione,
Cappelli, Bologna. Educazione e democrazia
nel pensiero socialista, in «Critica sociale», Milano, XLVII, n. 3, 5 febbraio,
pp. 41-45. Historia de la filosofía e historia de la cultura, in «Imago
mundi», Buenos Aires, marzo. Trad it. Storia della filosofia e storia della
cultura, in Educazione cultura come problemi sociali, cit., 163-176. Intorno
a Gramsci e alla filosofia della prassi, in «Critica sociale», Milano, XLVII,
n. 6, 20 marzo, pp. 93-94; n. 7, 5 aprile, pp. 105- 108; n. 8, 20 aprile, pp.
123-127. Pubblicato anche in un opuscolo nell'edizione di «Critica sociale»,
Milano 1955, con prefazione di E. Bassi. Successivamente compreso nel
volume Da Ardigò a Gramsci, Nuova Academia, Milano 1962, pp. 139-190.
Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici Antologia di Aristotele,
La Nuova Italia, Firenze. La
comprensión del sujeto humano en la cultura antigua, Imán, Buenos Aires. Trad.
it. a cura di L. Bassi, La comprensione del soggetto umano nell'antichità
classica, La Nuova Italia, Firenze 1958. Giuseppe
Mazzini y los orígenes del movimiento obrero en Italia hasta 1872. El conflicto
entre Mazzini y Bakunin, in «Cuadernos de la cultura de Italia», Buenos Aires,
Sócrates, Colección filósofos y sistemas, Losange, Buenos Aires. Edizione
ampliata de Sócrates, edición de la Universidad Nacional de Córdoba, Cordoba
1941. Trad. it. in I moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro,
Ricciardi, Milano-Napoli 1960, pp. 65-136. Lavoro
e conoscenza nelle concezioni dell'antichità classica, «Sag-giatore», Torino.
Poi in Educazione e cultura come problemi sociali, Successivamente anche in
Polis, lavoro e tecnica, a cura di M. V. Ferriolo, cit., pp. 72-91. Espíritu
revolucionario y conciencia histórica, Ediciones Populares Argentinas, Buenos
Aires. Evolución del socialismo, Ediciones Populares Argentinas, Buenos
Aires. Historia de la Universidad de Bologna, in «La Torre», Puerto Rico,
Universidad de Puerto Rico, 3, 12, ottobre-dicembre, pp. 45 ss. Trad. it.
Storia dell' università di Bologna, in «La vita italiana», nel volume Estudios
italianos en la Argentina, publicado dal Centro di studi italiani, Buenos Aires
Cultura y libertad en el pensamiento de B. Croce, in AA.VV, Homenaje a
Benedetto Croce en el primer aniversario de su fallecimiento, de la Facultad de
Filosofía y Letras de Buenos Aires. Trabajo
y conocimiento en las concepciones de la antigüedad clásica, in «Cuadernos
Americanos», México, Universidad Nacional Autónoma de México, Titolo originale:
Lavoro e conoscenza nelle concezioni dell'antichità classica, in «Saggiatore»
Torino. Storia dell'università di Bologna, in «La vita italiana», nel
volume Estudios italianos en la Argentina, publicado dal Centro di studi
italiani, Buenos Aires 1956. Anche in Educazione e cultura come problemi
sociali, L'infinito nel pensiero dell'antichità classica, La Nuova Italia,
Firenze. El genio helénico: formación y caracteres, Editorial Columba,
Buenos Aires. La ciencia de la lógica de Hegel, trad. de Augusta y Rodolfo
Mondolfo, prólogo de R. Mondolfo, 2 tomos, Hachette, Buenos Aires. La
división del trabajo y la tarea de la educación, en «Estudios sociológicos» (IV
congreso de sociologia), México, y en «La Nación», Buenos Aires, abril. El
materialismo histórico en Engels y otros ensayos, nueva traduccion de la 2ª
edicion italiana con agregados, Editorial Raigal, Buenos Aires. Alle
origini della filosofia della cultura, trad. it di L. Bassi e con introduzione
di R. Treves, I Mulino, Bologna. Bolscevismo
e dittatura (la conseguenza del sistema), in «Critica sociale», Milano, XLVIII,
n. 19, 5 ottobre, pp. 305-309. Anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit.,
L'esigenza del nesso fra storia della filosofia e storia della cultura, in AA.
VV., Verità e storia: un dibattito sul metodo della storia della filosofia,
Società filosofica romana, Arethusa, Asti, pp. 131-144. Aristotele.
Antologia, 1ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze.1957 La
coscienza morale e la legge interiore in Plutarco, in «Filosofia», Torino, Sul
concetto di lavoro, in «Il comune», Senigallia, febbraio. Successivamente in S.
Anselmi, Incontro con Rodolfo Mondolfo. In appendice: R. Mondolfo, Il concetto
di lavoro, Libr. editrice Sapere, Senigallia 1961. La
filosofia della Critica sociale, in Esperienze e studi socialisti: in onore di
U. G. Mondolfo, La Nuova Italia, Firenze, pArte, religión y filosofía de los
Griegos, Columba, Buenos Aires. La
deuda de Aristóteles con Platón, in «La Nación», Buenos Aires, 10 de
febrero. Acerca de la primera traducción directa de la Ciencia de la lógica
de Hegel, in «La Prensa», Buenos Aires, 13 de enero. La
filosofía como problemática y su continuidad histórica, in «Revista de
filosofía de la Universidad de Costa Rica», San José de Costa Rica, Prólogo
a A. Nogueira, Ideas vivas e ideas muertas, Colecão Rex, Río de Janeiro. Problemas
de cultura y educación, Hachette, Buenos Aires. Trad. it Educazione e cultura
come problemi sociali, Cappelli, Bologna 1957: Prólogo
a Lamanna, Historia de la Filosofía, I: El pensamento antiguo, trad. de
Caletti, Hachette, Buenos Aires. Educazione
e cultura come problemi sociali, Cappelli, Bologna. Edizione spagnola:
Problemas de cultura y education, Hachette, Buenos Aires. La historia de
la filosofía y la historia integral, in «Revista de la Universidad de Buenos
Aires», Buenos Aires, Note intorno alla storia della filosofía, in «Rivista
critica di storia della filosofia», Milano,
L'influenza storica e la perennità di Socrate, in «Il Dialogo»,
Bologna, Evidence of Plato and Aristotele relating to the ekpyrosis in
Heraclitus, trad. D. J. Allan, in «Phronesis», Intorno
al problema storico di Hilferding, in «Critica sociale», Milano, Ristampato in
R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici, Filosofi tedeschi: saggi
critici, trad. di L. Bassi, Cappelli, Bologna. 445. Il pensiero stoico ed
epicureo. Antologia di testi, a cura di R. Mondolfo e D. Pesce, La Nuova
Italia, Firenze. 446. Determinismo contro volontarismo in Nietzsche, in
«Il Dialogo», Bologna, nTitolo originale: Determinismo contra volontarismo en
la filosofia de Nietzsche, in «Minerva», Buenos Aires. Nella sua traduzione
italiana il saggio si trova anche in Id. Filosofi tedeschi: saggi
critici, trad. di L. Bassi, Cappelli, Bologna Prospettive filosofiche: la
filosofia come problematicità e lo storicismo, con bibliografia degli scritti
di R. Mondolfo, in «Il Dialogo», Bologna, Titolo originale: La filosofía como
problematicidad y el historicismo, in «Philosophia», Universidad Nacional De
Cuyo, Mendoza, Rispetto all'originale spagnolo del 1949, Mondolfo inserisce una
breve postilla di aggiornamento. La
comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, trad. it. L. Bassi, La
Nuova Italia, Firenze. Titolo originale: La comprensión del sujeto humano en la
cultura antigua, Imán Buenos Aires Prefazione a L. Conti, L' assistenza e la
previdenza sociale. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano. 450.
Aristotele. Antologia, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. 1959 Eraclito
e Anassimandro, La Nuova Italia, Firenze. Eraclito
e Anassimandro (Dalle note di aggiornamento Zeller-Mondolfo, vol. III: Capitoli
su Eraclito), in «Filosofia», Torino, I
frammenti del fiume e il flusso universale in Eraclito, in «Rivista critica di
storia della filosofía», Milano, a. XV, fasc. 1, gennaio-marzo, pp. 3-13.
Titolo originale: El flujo universal de Heráclito y el símbolo del río, in
«Cultura Universitaria» Anche in E. Zeller e R. Mondolfo, La filosofia dei
Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 Presocratici, vol. IV: Eraclito, La
Nuova Italia, Firenze, Il pensiero politico del Risorgimento italiano, La Nuova
Accademia, Milano. Titolo originale: La filosofia política de Italia en el
siglo XIX, Imán, Buenos Aires. Rispetto all'edizione castigliana quella
italiana presenta aggiornamenti e arricchimenti. El
pensamiento antiguo. Historia de la filosofia greco-romana, vol. I-IL, 4ª
edición, Losada, Buenos Aires. Sócrates,
Editorial Universitaria, Buenos Aires. El sol
y las Erinias, según Heráclito, in «Universidad», Universidad Nacional del
Litoral, Santa Fe, La idea de una misión
del filósofo, en el pasado y en nuestros días, in «La Nación», Buenos Aires,
octubre. El flujo universal de Heráclito y el símbolo del río, in «Cultura
Universitaria», Caracas, Direccion de Cultura. Departamento de Publicaciones,
Nota sobre los Antecedentes en la historia de la filosofía, in «Philosophia»,
Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y Letras,
Instituto de Filosofía, La conflagración universal en Heráclito, in
«Philosophia», Mendoza, Revista del Instituto de Filosofía, Universidad
Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y Letras, Los
seminarios de investigación filosofíca, in «Revista de Educación», La Plata, La
missione della filosofia nell'epoca attuale, in «Critica sociale», Milano,
Anche in AA. VV., Prospettive storiche e problemi attuali dell'educazione.
Studi in onore di Ernesto Codignola, La Nuova Italia, Firenze Guía
bibliográfica de la filosofía antigua, Losada, Buenos Aires. Cesare
Beccaria, La Nuova Academia, Milano. Edizione italiana, con complementi ed
aggiunte de Cesare Beccaria, Editorial Depalma, Buenos Aires 1946. Moralisti
greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro, trad. a cura di V. E. Alfieri,
Ricciardi, Napoli-Milano. Titolo originale: Moralistas griegos. La conciencia
moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires 1941. Rispetto all'originale
edizione spagnola, quella italiana si presenta accresciuta. O
genio helénico, en V. de Magalhães Vilhena, Panorama do pensamiento filosófico,
Cosmos, Lisboa. En los orígenes de la filosofía de la cultura, 2ª edición
ampliada, Hachette, Buenos Aires. La
Universidad latino-americana como creadora de cultura, Cultura universitaria de
Caracas 1960; Universidad de la República, Montevideo; Universidades (Unión de
Universidades de América latina), Buenos Aires, IMarx y marxismo, Estudios
histórico-críticos, Trad. esp. parciale de M. H. Alberti, Fondo de cultura
económica, México-Buenos Aires. Socrates, 3ª edición, Eudeba, Buenos
Aires 471. Bibliografía heraclitea, in «Anales de filología clásica»,
Buenos Aires, VII, fasc. II, pp. 5-28. Il
pensiero stoico ed epicureo. Antologia di testi, introduzione critica e
commento a cura di D. Pesce, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. Presentazione
a AA.VV, Senigallia, a cura di S. Anselmi, Libreria Editrice Sapere,
Senigallia. Socialismo e cristianesimo, in «Critica sociale», Milano, El
genio helénico y Arte, religión y filosofía de los griegos, Editorial Columba, Buenos Aires. Notas
heraclíteas. La identidad de los caminos opuestos (B 59 y B 60), in
«Philosophia», Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y
Letras, Instituto de Filosofía, Heráclito y Parménides, in «Cuadernos
filosóficos», Universidad Nacional del Litoral, Rosario, De las notas de
actualización de Zeller-Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico. Problemas y métodos de la investigación en la historia de la
filosofia, 2ª edición ampliada, Edit. Universitaria, Buenos Aires. Il
pensiero neoplatonico. Antologia di testi, scelta, traduzione e note
introduttive di R. Mondolfo, introduzione critica e commento di D. Pesce, La
Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana esposta con testi scelti
dalle fonti, 3ª edizione aggiornata, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, I Parte: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte III:
La filosofia post-aristotelica, vol. VI: Giamblico e la Scuola di Atene, trad.
di E. Pocar, a cura di G. Martano, La Nuova Italia, Firenze. Nel
centenario di Filippo Turati, in «Quaderni italiani dell'Istituto italiano di
cultura», Buenos Aires. Arte, religion y
filosofia de los Griegos, Columba, Buenos Aires. Veritas
filia temporis en Aristóteles, in «Revista de la Universidad Nacional de
Córdoba», Personalità e responsabilità nella democrazia, I parte, in «Critica
sociale», Milano, Il movimento operaio fino al 1860, in «Critica sociale», Milano,
S. Anselmi, Incontro con Rodolfo Mondolfo. In appendice: M., Sul concetto di
lavoro, Libreria editrice Sapere, Senigallia. 1962 Personalità
e responsabilità nella democrazia, Il parte, in «Critica Sociale», Milano, Il
concetto dell'uomo in Marx, in «Il dialogo», Bologna, V, n. 20, pp. 1-47 e a
cura del Comune di Senigallia. Si tratta di una conferenza tenuta
all'Università di Montevideo per i corsi del Consejo Interuniversitario
Regional di Argentina, Cile e Uruguay, nel febbraio del 1962. Successivamente
pubblicata in spagnolo (trad. a cura di O. Caletti) nel testo Humanismo de
Marx, Fundo de la cultura económica, México Ora in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 324-345. Personalidad
y responsabilidad en la democracia, in «Buenos Aires. Revista de Humanidades»,
Buenos Aires, La conciencia moral de Homero a Demócrito y Epicuro,
Eudeba, Buenos Aires.493. Materialismo histórico. Bolschevismo y
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opere complete di Antonio Labriola, in «Critica sociale», Milano, in numero di
ripubblicazione dell Tesi di Critica Sociale, Rousseau y la conciencia moderna,
Eudeba, Buenos Aires. Homenaje a R. Mondolfo,
Universidad Nacional de Córdoba. Da
Ardigò a Gramsci, La Nuova Accademia, Milano. Testimonianze
su Eraclito anteriori a Platone, in «Rivista critica di Storia della
filosofia», Milano, Fratelli Bocca editori, n. 16, pp. 399- 424. Poi in
Eraclito, Testimonianze e imitazioni, a cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La
Nuova Italia, Firenze 1972, pp. XLI-LXXXIV. Breve
historia del pensamiento antiguo, Losanda, Buenos Aires. Siete
opiniones sobra la significación del humanismo en el mundo contemporáneo, in
«Revista de la Universidad de Buenos Aires», Buenos Aires. 1963 Un
precorrimento di Vico in Filone alessandrino, in AA. VV., Miscel-lanea di studi
alessandrini in onore di A. Rostagni, Bottega d'Erasmo, Torino, Successivamente
in R. Mondolfo, Momenti del pensiero greco e cristiano, Morano, Napoli Morale e
libertà in Labriola, recensione a Dal Pane, Ricerche sul problema della libertà
e altri scritti di filosofia e pedagogia (1870-1883), in «Critica sociale»,
Milano, L'uomo greco secondo Pohlenz, in «Il Ponte», Firenze, La Nuova
Italia, Poi in Momenti del pensiero greco e cristiano, Morano, Napoli, Fromm y
la interpretación de Marx, in «La Nación», Buenos Aires, julio. La
Universidad y sus antecedentes, in «La Gaceta», del Fondo de Cultura Económica,
Mexíco. Personalidad y responsabilidad en la democrazia, Buenos Aires. Sócrates,
Mestre Jou, São Paulo. Sócrates, 4ª edición,
Eudeba, Buenos Aires. En torno a la
contemporaneidad de la historia, in «La Torre», Puerto Rico, Universidad de
Puerto Rico, Trad. it. Intorno alla contemporaneità della storia, in «Critica
sociale», Milano, La obra de Condillac, prólogo a Condillac, Tratado de las
sensaciones, Eudeba, Buenos Aires. Problemas
y métodos de la investigación en la historia de la filosofía, Eudeba, Buenos
Aires. Fromm e il concetto dell'uomo in Marx, in «Critica sociale», Anche
in R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici, Figure e idee della
filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze. Trad. it. Figuras e ideas
de la filosofía del Rinacimento, Losanda, Buenos Aires. La
fondazione del materialismo storico (A proposito di recenti studi), in «Il
Dialogo», Bologna, Ristampato in Umanismo di Marx. Studi filosofici, Nuovi
studi su Feuerbach e Marx, a cura di M. e A. Testa, in «Il Dialogo», Bologna,
Marxismo e libertà, in «Il Ponte», Firenze, Anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici, Le antinomie di Gramsci, in «Critica sociale»,Decartes, Discorso
sul metodo, a cura di R. Mondolfo ed E. Garin, Sansoni,
Firenze. Galileo e la scienza, in
«Critica sociale», Milano, Ripubblicazione del saggio (cap II: Il pensiero di
Galileo e i suoi rapporti con l'antichità e con il Rinascimento) apparso nella
raccolta Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze In memoria di
Gino Luzzatto, in «Critica sociale», Galileo
y el método experimental, in «La Nación», junio. Momenti
del pensiero greco e cristiano, Il Morano, Napoli. A
quarant'anni della prima edizione de «La Rivoluzione Liberale», Rodolfo
Mondolfo a Piero Gobetti, Centro Studi Piero Gobetti, Quaderno Torino. El
humanismo de Marx, trad de O. Galetti, Fondo de la Cultura Económica,
México-Buenos Aires. Origen y desarrollo
histórico de la universidad, in «Revista de la Universidad de Córdoba»,
Córdoba. O pensamento antiguo, 2 tomos, Maestre You, São Paulo. Momentos
de pensamiento griego y cristiano, versión castellana de O. Caletti, Paidós,
Buenos Aires. 528. Materialismo histórico como humanismo realista, in «La
Gaceta», del Fondo de la Cultura Económica, México, septiembre. Si tratta di
una conferenza tenuta all'Università di Montevideo per i corsi del Consejo
Interuniversitario Regional di Argentina, Cile e Uruguay, nel febbraio del
1962. Pubblicata anche nel testo Humanismo de Marx, Fundo de la cultura
económica, México. La versione italiana (I materialismo storico come umanismo
realistico) si trova in «Il Dialogo», Bologna,
e in M., Umanismo di Marx. Studi filosofici, Discussioni su un testo di
Parmenide (Die Fragm. d. Vorsokr. -- Rivista critica di storia della
filosofia», Milano, Sul valore storico delle testimonianze di Platone, in
«Filosofia», XV, ottobre, pp. 583-601. Anche in Eraclito, Testimonianze e
imitazioni, a cura di M. e L. Tarán, La Nuova Italia, Firenze, Platón y la
interpretación de Jenófanes, in «Revista de la Universidad Nacional de
Cordoba». La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I
presocratici, vol. Il: Ionici e Pitagorici, La Nuova Italia, Firenze. K.
Marx, Crítica de la filosofia del derecho de Hegel, trad. del alemán, con notas
aclaratorias de R. Mondolfo, Ed. Nuevas, Buenos Aires. 1965 534. La lotta
di classe secondo Juan B. Justo, in «Critica sociale», Milano, Riproduzione
dell'Introduzione a AA. VV., Bilancio del marxismo, Cappelli, Bologna 1965; e
con il titolo Conclusioni sul marxismo, in «П Dialogo», Tecnica e scienza
nel pensiero antico, in «Athenaeum», Pavia, El pensamento antiguo, trad. del
italiano por S. A. Tri, tomo I-II, 5ª edición, Losada, Buenos Aires. Introduzione
a AA. VV., Bilancio del marxismo, Cappelli, Bologna. 1966 539. Le
testimonianze di Aristotele su Eraclito, in «Filosofia», Torino, Anche in
Heraclitus, Testimonianze e imitazioni, cura di R. Mondolfo e L. Tarán,
La Nuova Italia, Firenze, Aristotele. Antologia, 4ª edizione, La Nuova Italia,
Firenze. Verum ipsum factum desde la antigüedad hasta Galileo y Vico, in
«La Torre», Puerto Rico. Verum ipsum
factum dall'antichità a Galileo e Vico, in «Il Ponte», Firenze, La prima
inchiesta sul fascismo, in «Critica sociale», Milano, Il
centenario di Filippo Turati e introduzione e parti di F. Turati, Le vie
maestre del socialsimo, Morano, Napoli. Universidad:
pasado y presente, Eudeba, Buenos Aires. Sócrates,
5ª edición, Eudeba. Heráclito, textos y
problemas de su interpretacion, prologo de R. Frondizi, trad. de O. Caletti,
Siglo XXI, México, Madrid, Buenos Aires. 548. In memoria di Cesare
Battisti, in «Critica sociale», Milano, La lucha de clases según ]. B. Justo,
in Concepto humanista de la historia, Libera, Buenos Aires. Chiarimenti
sulla filosofia della prassi, in «Critica sociale», Anche in R. Mondolfo,
Umanismo di Marx. Studi filosofici, Prefazione e saggi: Per la comprensione
storica del fascismo e il fascismo in Italia in AA. VV., Il fascismo e i
partiti politici italiani. Testimonianze, a cura di R. De Felice,
Cappelli, Bologna. 552. Cesare Battisti socialista, in «Critica sociale»,
Milano, Zeller-M., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte II:
Da Socrate ad Aristotele, Aristotele e i Peripatetici più antichi, trad. di C.
Cesa, a cura di A. Plebe, La Nuova Italia, Firenze. La testimonianza di
Platone su Eraclito, in «De homine», Roma, Anche in Eraclito, Testimonianze e
imitazioni, a cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La Nuova Italia, Firenze Zeller-M.,
La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 Presocratici, vol.
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, testo della 5ª edizione
tedesca con nuovi aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. Zeller-M.,
La filosofia dei Greci, Parte I: 1 Presocratici, vol. III: Eleati, a cura di G.
Reale, La Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana: esposta con testi scelti
dalle fonti, La Nuova Italia, Firenze. Estudios
sobre Marx (histórico-críticos), Mestre You, São Paulo. La
questione delle ideologie, in «Critica sociale», Milano, Problemas de cultura e
de educaçao, trad. de Maillet, Mestre You, São Paulo. Rousseau
y la conciencia moderna, Eudeba, Buenos Aires. Capitalismo
di stato sovietico, in «Critica sociale», Milano. Figuras
y idéias de filosofía da Renascença, Mestre You, São Paulo. L'infinito
nel pensiero dell'antichità classica, La Nuova Italia, Firenze. La
comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, 8ª edizione, La Nuova
Italia, Firenze. Il pensiero neoplatonico. Antologia di testi, introduzione critica
e commento di Domenico Pesce, La Nuova Italia, Firenze. Aristotele.
Antologia, La Nuova Italia, Firenze. Alessandro Levi socialista, in «Critica
sociale», Milano, Espiritu revolucionario y conciencia histórica, Escuela, Buenos
Aires. Historia de ideas, Escuela, Buenos Aires. Studi
sulla rivoluzione russa, a cura del Centro Studi di Critica sociale, Morano,
Napoli. Umanismo di Marx. Studi filosofici, a cura diBobbio, Einaudi,
Torino. Bolchevismo y capitalismo de Estado. (Estudios sobre la revolucion
rusa), Trad. E. Rondanina, Libera, Buenos Aires. O
infinito no pensamento da antigüidade clássica, trad. L. Darós, 1ª ed. em
português, Mestre Jou, São Paulo. Figuras
e ideas de la filosofia del Renacimiento, 2ª edición, Losanda, Buenos
Aires. Il pensiero storico ed epicureo, La Nuova Italia, Firenze. La
conciencia moral de Homero a Demócrito y Epicuro, 2ª edición, Euseba, Buenos
Aires. O homem na cultura antiga, trad. de L. A. Caruso, Mestre Jou, São
Paulo. Sulle orme di Marx, 5ª edizione, Cappelli, Bologna. La
ciencia de la lógica de Hegel, trad. de Augusta y RodolfoMondolfo, prólogo de M.
Solar-Hachette, Buenos Aires. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte III:
La filosofia post-aristotelica, Giamblico e la Scuola di Atene, trad. di E.
Pocar, a cura di G. Martano, La Nuova Italia, Firenze. R.
Decartes, Discorso sul metodo, a cura di M. e Garin, G. C. Sansoni,
Firenze. Problemas y métodos de investigación en la historia de la
filosofia, 4ª edición, Eudeba, Buenos Aires. La
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Buenos Aires. Aristotele. Antologia, La
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Girgenti, Bompiani, Milano 2011. L'attrattiva della bellezza poetica, con
cui Lucrezio adorna la sua esposizione della teoria del progresso nella
filosofia dell’orto intensifica il potere suggestivo di questa sulla mente dei filosofi
romani. Cooperano, a Roma verso la visione ottimistica del progresso, altri
influssi, come quelli del lizio e del portico che si riconosceno nella
celebrazione da Cicerone del divino potere creatore dell'intelligenza
dell’uomo. L'influsso democriteo si ripercuoteva in Diodoro Siculo attraverso
Ecateo di Abdera. Quello dell’Orto agiva non solo sul grande poema di Lucrezio,
ma anche (attraverso questo) sulla filosofia di Virgilio, Orazio, e Vitruvio. Certo,
a Roma ci si mostrano due orientamenti opposti. Quello ottimistico, assertore
ed esaltatore del potere creatore dello spirito umano e del progresso. Quello
pessimistico, ispirato all'idea di una inferiorità naturale dell'uomo rispetto
agl’animali, ovvero di una sua caduta dalla perfezione e felicità primordiali
della mistica età saturnia alle miserie, alle fatiche e ai conflitti dell'epoca
storica. Queste voci tetre risuonano in Ovidio e Plinio, come già anteriormente
in quella di Sallustio (Catilina). Ovidio, in Metamorph.-, influsso di
Cicerone (De natura deorum), esalta la nascita dell'uomo (« natus est homo »),
come dell'animale piú savio e di maggior capacità mentale tra tutti, dominatore
della natura, di figura simile a quella degli dèi, l'unico che per la sua
posizione eretta possa contemplare il Cielo. Ma Ovidio limita l'epoca beata dell’uomo
all'età d’oro, quando non ancora l'uomo aveva scoperto i metalli, né inventato
la navigazione, né le armi, né le fortificazioni, e neppure l'aratro e iutte le
altre creazioni tecniche che sono per Ovidio fonti di pene e di danni per il
loro inventore. La creatività della mente dell’uomo ha cosí un riconoscimento
in Ovidio, ma come causa lamentevole d'infelicità. “Contra te sollers, hominum
natura, fuisti, et nimium damnis ingeniosa tais Amores). D'altra parte Plinio (Natur.
hist.) vuole umiliare l'orgoglio di coloro che - come Cicerone in De natura
deorum, — affermano che il mondo fu creato *per* l'uomo; e li richiama alla
considerazione di tutti gli elementi d'inferiorità che ha l'uomo rispetto agli
altr’animali, e dei motivi della sua infelicità: un'anticipazione del
pessimismo del
“De miseria hominis.” Ma
nell'atteggiamento di Ovidio il riconoscimento (fatto a denti stretti) del
potere creatore dell'intelligenza dell’uomo, rivela la forza con cui,
nonostante ogni pessimismo, tale idea s'imponeva allo spirito dell'epoca. Aiutata
certo nella sua diffusione dalla condizione storica, cioè dall'espansione
trionfale del potere di Roma. Ma
ispirata nella sua affermazione da suggestioni teoriche derivanti da filosofi.
Dall’orto attraverso l'affascinante esposizione poetica di Lucrezio, e da Cicerone.
Influenze combinate si devono riconoscere appunto in Cicerone, nella sua
celebrazione dell'eccellenza dell'uomo, del potere creatore dello spirito
umano, del lavoro, dell'industria e della co-operazione tra gl’uomini, come
fonti delle grandi conquiste della civiltà, che troviamo in “De natura deorum”,
“De finibus bonorum et malorum”, “De legibus”, e “De officiis”. L'uomo, dice
Cicerone in “De legibus,” questo animale previdente, sagace, molteplice, acuto,
dotato di memoria, pieno di ragione e di prudenza, ha da dio la sua natura
privilegiata, anzi partecipa con la sua ra- lavor dichiarate alle he Coceo
in “De officis”, L, s, dove ri corda che Panezio ha sviluppato molto
ampiamente e con numerosi esempi ciò che i capitoli 3-5 sintetizzano,
specialmente intorno alla co-operazione tra gli uomini, indispensabile per la
creazione di tante arti -- “senza le
quali la vita non meriterebbe d'esser vissuta” . . Modernamente l'influenza di
Panezio è sione di richiamare l'attenzione nel saggio L'infinito nel pen
siero dell'antichità classica, Firenze, La Nuova Italia] gione alla natura e
alla comunità divine 7. Seminato sulla terra, ha ricevuto il dono divino
dell'anima e la capacità della virtú, che è la natura perfezionata in se
stessa ed elevata al suo grado sommo (“in se perfecta et ad summum
perducta natura”); e, mediante l'imitazione della natura maestra, la ragione
umana, usando la sua capacità industriosa (“sollerter”), è pervenuta
all'invenzione di un numero infinito di arti (“artes innumerabiles
repertae sunt”). La natura diede all'uomo — mediante i sensi messaggeri,
la rapidità della mente e la luce dell'intelligenza -- i fondamenti della
scienza (“quasi fundamenta quaedam scientiae”), di modo che, per se stessa, la
natura umana sempre piú progredisce ed avanza (“ipsam per se natu-ram longius
progredi”) e, da sé, senza aver bisogno di maestri (“etiam nullo docente”),
arriva a consolidare e a perfezionare la ragione, partendo dalle cose le cui
specie ha conosciuto per mezzo della intelligenza primordiale ed iniziale (“ex
prima et inchoata intelligentia”) 3. In tal modo — ripete Cicerone alla
fine dell'Hortensius (come riferisce Agostino, De trinit.), con Aristotele,
Protrept. fr. c Walzer (61 Rose), l'intelligenza è forza visiva e sforzo attivo
della mente (“mentis aciem”), animata dal desiderio attivo dell'investigazione
(“ratione et investigandi cupiditate”). E come la sua attività è rivolta
ugualmente e congiuntamente [Eredità di ARISTOTELE, Protreptico, fr. c
Walzer = 61 Rose (che Anoke qul Cierone a apia al concet aristotelice
dele potenza che per se stessa tende all'atto. La potenza fondamentale
dell'intelligenza (“inchoatae intelligentiae”) considerata qui, è tanto teorica
(argumentamur, etc.) quanto pratica (conficimus), e non è privilegio di pochi
eletti, ma possesso di tutti (“communis omnium”). E Cicerone aggiunge (cap. 11)
ciò che già diceva Sofocle nel coro dell'Antigone e tornerà a dire nel
rinascimento Pico nel suo “De hominis dignitate”, cioè che l'uomo ha nella sua
natura la doppia possibilità, d'elevarsi verso la sommità del bene o di
sprofondare negli abissi del male alla conquista della scienza e alla creazione
delle arti, cosí — ripete Cicerone, “De finibus”, con lo stesso Protreptico di
Aristotele - si deve riconoscere che l'uomo è nato per una doppia finalità,
mentre ogni animale è nato per un unico compito: il cavallo per la corsa, il
bue per arare, il cane per cercare, ma l'uomo, come un dio mortale, per due
attività creatrici, intendere ed operare (“ut ad cursum equum, ad arandum
bovem, ad investigandum canem, sic hominem ad duas res, ut ait Aristoteles, ad
intelligendum et agendum esse natum, quasi mortalem deum”). Queste idee
hanno piú ampio sviluppo in “De natura deorum”, dove la superiorità dell'uomo
sugli animali è affermata da Cicerone, seguendo le orme di Panezio, negli
aspetti seguenti. La costituzione del suo corpo, la cui posizione eretta gli
permette la contemplazione del cielo e gli dà la possibilità di conoscere il
corso degli astri, di determinare le divisioni del tempo, di prevedere i
fenomeni astronomici per tutto l'avvenire (“in omne posterum tempus”) e di
trarre dall'ordine di essi la nozione della divinità legislatrice e
governatrice del mondo. I sensi che alla percezione associano i giudizi di
distinzione e di valutazione delle impressioni, e si fanno pertanto ispiratori
della creazione di arti rivolte a cogliere e ad usare le sensazioni (“ad quos
sensus ca-piendos et perfruendos, plures etiam quam vellem artes repertae sunt”);
l'intelligenza che comprende, definisce, connette le cose e crea
una scienza di tale potere ed eccellenza, che neppure in dio c'è qualcosa di
superiore (“qua ne in deo quidem est res ulla prestantior” § 59). E per questa
via l'uomo crea anche le arti, le une per le necessità della vita, le altre per
il diletto (secondo la distinzione tradizionale di Democrito e Aristotele); e a
questi risultati coopera anche il linguaggio che, come mezzo di comunicare le
conoscenze e di influire sul sentimento e la volontà altrui, e il vincolo
sociale che trasse l'umanità fuori della vita ferina primordiale (“haec nos
iuris, legum, urbium societate devinxit: haec a vita immani et fera
segregavit”). Ma nella creazione delle arti Cicerone torna a far notare,
con Anassagora, l'opera della mano, la cui conformazione e agilità permettono
all'uomo di operare tanto nelle arti di diletto (pittura, scultura, musica),
quanto in quelle di necessità (agricoltura, edilizia, tessitura, cucitura,
confezione di strumenti di metallo, etc.). «Per cui si comprende che noi
abbiamo conseguito tutto ciò che concerne le cose scoperte dallo spirito e
percepite dai sensi, mediante l'applicazione delle mani degli operai, per poter
essere protetti, vestiti e salvi, e avere città, difese, domicilii, templi ».
Possiamo prendere l'ali-mento e conservarlo; allevare e utilizzare animali per
il trasporto e per l'agricoltura; estrarre i metalli nascosti dalle profondità
della terra e forgiarli in strumenti e decorazioni; tagliare alberi per
riscaldamento, cottura di alimenti, edificazione di case, costruzione di navi,
che a noi — unici al mondo — permettono di dominare la forza del mare e dei
venti. In conclusione, l'uomo si converte in inventore delle arti e in
dominatore della natura, cioè in creatore di una nuova realtà, quella del mondo
della cultura. «Noi usufriamo dei campi, noi dei monti; nostri sono i
fiumi, nostri i laghi; noi seghiamo le messi, noi tagliamo gli alberi; noi,
mediante l'immissione di acque, diamo fecondità alle terre; noi chiudiamo i
fiumi tra dighe, li inalveiamo, li deviamo; insomma cerchiamo di creare con le
nostre mani una specie d'altra natura nella natura delle cose ». Non
seguiremo Cicerone nella sua dimostrazione successiva della tesi che il mondo
fu creato al servizio dell'uomo, che è la tesi contro cui polemizza Plinio, ma
che non interessa il nostro tema. Ciò che ci importa è la celebrazione
menzionata del potere creatore dell'umanità, che si può considerare un
eloquente commento esplicativo della citazione che il “De finibus” trae dal
Protreptico aristotelico, la quale dichiara che l'uomo è nato per la doppia
attività, conoscitiva e creativa, come un dio mortale. L'uomo contemplato qui
da Cicerone è appunto quello che crea il mondo della cultura e lo sovrappone al
mondo della natura; e Cicerone offre una formula efficace per esprimere tale
creazione: « nostris denique manibus in rerum natura quasi alteram naturam
efficere conamur». Formula che, insieme alla ricordata definizione (“dio
mortale”) tratta da Aristotele, ispira le 'linee memorabili dello Spaccio della
bestia trionfante di Bruno, che sintetizzano il contenuto essenziale della
dimostrazione ciceroniana: « gli dèi avevano donato a l'uomo l'intelletto e le
mani, e l'avevano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri
animali; la qual consiste non solo poter operar, secondo la natura ed
ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò, formando o possendo
formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l'ingegno.... venesse a
serbarsi Dio de la terra » (Gentile, Dialoghi morali, Bari, Laterza).
Anche quello che segue nella pagina bruniana, sulle necessità che acuiscono gli
ingegni e fanno inventare le arti — di modo che « sempre piú e piú....
allontanandosi dall'esser bestiale, piú altamente s'approssi-mano a l'esser
divino › — poteva ispirarsi alle frasi di Cicerone relative all'uomo che « se
segregavit a vita immani et fera »; frasi che, tuttavia, esprimevano un
concetto comune ad altri filosofi antichi, da Democrito a Lucrezio, i
quali insieme a Cicerone influiscono sulle celebrazioni della dignità dell'uomo
e della creatività dello spirito, rinnovate dagli scrittori rinascimentali, da
Manetti a Bruno e Campanella ?. Ma in un particolare caratteristico il
luogo citato dello Spaccio bruniano poté ispirarsi alla I Georgica di Virgilio,
vale a dire nel considerare la mitica età dell'oro come epoca di pigrizia e di stupidità
umane, e nel celebrare invece la dura necessità come causa del risveglio
dell'intelligenza e della creazione delle arti. « Ne l'età de l'oro,” dice
Bruno, “per l'Ocio gl’uomini non eran piú virtuosi, che sin al presente
cultadi, risorte le necessitadi, sono acuiti gl'ingegni, inventate le
industrie, scoperte le arti; e sempre di giorno in giorno, per mezzo de
l'egestade, dalla profundità de l'intelletto umano si eccitano nove e
maravigliose invenzioni. Onde, sempre piú e piú per le sollecite ed urgenti
occupazioni allontanandosi da l'esser bestiale, piú altamente 'approssimano a
l'esser divino » Senza dubbio il mito dell'età aurea o saturnia, pertamente
svalutato qui da Bruno, e motivo di sogni nostalgici per i filosofi dell'epoca
d’Ottaviano, quando Ovidio lo evoca in Metamorph., collegandolo con l'altro
mito esiodeo delle cinque età della degradazione umana, e lo stesso Virgilio
torna a sognare un ritorno del regno di Saturno (« redeunt Saturnia regna »)
nella profezia della Sibilla nell'Egloga IV. Tuttavia questi miti si
trovavano già in Esiodo in conflitto con la celebrazione del lavoro
condizionante la dignità della vita, oltre che ogni acquisizione di beni.
3 Cfr. anche Gentile, «Il concetto dell'uomo nel rinascimento › ne Il pensiero
del rinascimento, Firenze. E il problema torna a porsi per Virgilio, che lo
risolve nella I Georgica in un modo che precorre Bruno. L’abbondanza e la
facilità di vita della mitica età saturnia significano ozio e letargo mentale;
e Giove, che nel detronizzare Saturno introduce le difficoltà, l'indigenza e la
necessità del lavoro, da agli uomini per questa via il dono inestimabile
dell'attività dell'intelligenza, creatrice delle arti e trionfatrice di tutte
le avversità per mezzo del lavoro. «Giove, il padre (pater ipse), volle
che non fosse facile la via della coltivazione, e dapprima fa lavorare i campi
per mezzo dell'arte, e acuí per mezzo delle preoccupazioni gli spiriti dei
mortali, e non permite che il suo regno s'intorpidisse in un pesante letargo »,
come accadeva prima del suo governo, quando nessuno lavora la terra, e questa
concede tutto senz'esser sollecitata dal lavoro umano. Giove cancella
totalmente le facilità e comodità, « affinché la necessità suscitasse le
diverse arti, a poco a poco, mediante la meditazione ». Cosí nasce
l'agricoltura. Si scopre il modo di accendere il fuoco con la pietra focaia. Si
incanalano i fiumi. Si inventa la navigazione, e il navigante impara a
conoscere e nominare le stelle. Si inventano gl’artifici della caccia e della pesca.
Si forgia il ferro e se ne fanno strumenti come l'ascia e la sega. «Allora
vennero le varie arti; trionfano di tutte le difficoltà il lavoro instancabile
e l'indigenza che assilla [gli uomini] nell'asperità delle condizioni di
esistenza »: Tum variae venere artes; labor omnia vicit improbus, et
duris urguens in rebus egestas. In tal modo, per Virgilio, la necessità e
il lavoro, che Ovidio lamenta come una maledizione per la vita umana, sono una
vera benedizione, perché risvegliano l'intelligenza e l'attività creatrice
dell'uomo, e stimolano quella meravigliosa creazione delle arti e della
cultura, i cui momenti e aspetti Virgilio sintetizza ispirandosi alla
ricostruzione storica tracciata nel V libro di Lucrezio. Certo, Virgilio
s'allontana da Lucrezio nell'accettare il mito dell'età saturnia, pur
valutandolo negativamente rispetto a ciò che è piú essenziale e nobile
nell'umanità, vale a dire, l'intelligenza e la creatività dello spirito. Ma
un'eco piú fedele della concezione lucreziana sulla condizione primordiale
dell'umanità risuona in Orazio (“Satyr.”) con la descrizione dei primi uomini
che, come gl’altri animali, formano un gregge muto e turpe (mutum et turpe
pecus), lottano tra loro con unghie e pugni, poi con bastoni e piú tardi con
altre armi per soddisfare i primordiali bisogni di cibo e di riparo, finché non
creano il linguaggio, desistendo dalle guerre, edificando città e creando leggi
che impediscano i delitti. In una generazione successiva Giovenale (“Satyr.”, VI
e XIII) ripresenta una descrizione analoga dello stato bestiale dell'umanità
primitiva, satirizzando l'idea dell'età saturnia: anch'egli, probabilmente,
influenzato da Lucrezio e dalla concezione epicurea della storia
dell'umanità. Tuttavia, l'eco piú importante, teoricamente, di tale
concezione ci si presenta nell'età d'Ottaviano (come oggi si torna a
riconoscere da parte della critica storica) con Vitruvio, il quale sembra
raccogliere dagli ambienti colti della sua epoca o compiere lui stesso una
fusione delle idee esposte da Lucrezio con altre di varia provenienza, relative
al progresso umano, derivanti da Cicerone, al cui insieme aggiunge l'intuizione
dell'importanza che hanno per il progresso due fattori, apparentemente
contrari, ma connessi da lui in una dipendenza mutua, che sono la divisione del
lavoro e l'unità organica della cultura umana. Vitruvio mette in rilievo,
nella sua concezione del progresso storico dell'umanità e della creazione della
cultura, una molteplicità di fattori cooperanti: la durezza primordiale della
vita; le esperienze fortuite che suggeriscono qualche mezzo per mitigare tale
durezza; le capacità e potenze congenite negli uomini, che sono stimolate al
loro esercizio dai due fattori suddetti, e sono avviate cosí ad uno sviluppo
progressivo e alla produzione di risultati crescenti; la ripercussione che
hanno i fattori citati sulla formazione di raggruppamenti umani permanenti, a
partire da quelli temporanei primordiali, e sulla creazione del linguaggio;
l'effetto prodotto da tali innovazioni, che non solo permettono l'assommarsi
delle capacità individuali, ma provocano il loro acerescimento progressivo,
dovuto sia al mutuo aiuto e all'esperienza dei vantaggi della cooperazione, sia
allo stimolo reciproco derivante dall'attrito degli ingegni; il sussidio poderoso,
che dà a tale processo l'uso di due strumenti meravigliosi, che sono il
linguaggio, generato dalla convivenza sociale, e il possesso della mano, organo
naturale incomparabile per afferrare ed elaborare le cose, la cui efficacia,
già intuita da Anassagora, ha di nuovo posta in rilievo Cicerone; e infine
l'imitazione e trasformazione della natura effettuate dalle arti, dove il
conoscere è un fare e l'esperienza è un esperimento. Questo fare e
sperimentare воло геві possibili precisamente dal possesso e
dall'uso delle mani, che rendono capace l'uomo di tentare i piú vari modi
di combinazione ed elaborazione dei mezzi naturali, di modo che, a partire da
principi minimi, le arti si elevano nel loro sviluppo verso risultati sempre
maggiori e progressivi affinamenti delle loro capacità creative. Tutti
questi elementi sono messi in rilievo da Vitruvio nel cap. I del libro II del
De Architectura: Sulla vita degli uomini primitivi e sugl’inizi e incrementi
della civiltà e dell'architettura.” La prima esperienza che, secondo Vitruvio, ha
una funzione decisiva per togliere gli uomini dalla vita ferina primordiale e
generare la convivenza sociale permanente, fu quella dell'incendio di selve
prodotto da qualche tempesta. L'impressione di terrore iniziale è seguita dalla
curiosità, per la quale gli uomini, dopo esser fuggiti, tornano ad avvicinarsi
e, sentendo il calore del fuoco, intuiscono la sua utilità per la vita.
Attratti dallo spettacolo, gl’uomini si riuniscono, concepiscono la possibilità
di continuare ad alimentare il fuoco. E cosí iniziano la loro convivenza ed una
comunicazione mutua delle loro impressioni mediante voci, che a poco a poco,
con il tempo, si convertono in linguaggio. La posizione eretta e il possesso
delle mani, che permettono il maneggio di qualunque oggetto, portano gl’uomini
alla prima creazione di ripari e di tetti, mediante escavazione di tane o
costruzioni di rami e fango che imitano quelle dei nidi di rondini. Lucrezio
e Cicerone insieme suggerivano a Vitruvio questa concezione delle fasi e
dei fattori del processo. Vitruvio aggiunge l'idea di un'analogia generale di
questo sviluppo storico presso i diversi popoli, allegando i documenti offerti
da resti di costruzioni primitive che si trovavano in paesi civili come sul
Campidoglio di Roma, e dalle edificazioni che continuavano a farsi in paesi
barbari (Gallia, Aquitania, Colchide, Frigia, etc.). Queste osservazioni
comparate, che presentano il passato dei popoli civili come analogo al presente
dei barbari, potevano suggerire l'idea di un futuro progresso dei barbari verso
uno sviluppo analogo al presente dei popoli civili, tanto piúin quanto Vitruvio
rileva l'impulso che danno al progresso le relazioni mutue nell'interno d'ogni
popolo. L'osservazione reciproca (egli nota) desta non solo la capacità
d'imitazione, ma anche l'emulazione, per cui si perfezionano con il tempo i
prodotti e si affinano la stessa intelligenza e la facoltà di giudizio dei
produttori. Allora con l'osservazione delle costruzioni altrui e
l'aggiunta di novità per mezzo delle riflessioni proprie, di giorno in giorno
andavano migliorando il tipo delle costruzioni. Ed essendo gli uomini capaci
d'imitazione e d'istruzione, nel celebrare giornalmente le loro invenzioni, si
mostravano tra di loro i risultati delle loro costruzioni; e in tal modo,
nell'esercitare i loro ingegni in competizioni, di giorno in giorno si facevano
di giudizio piú raffinato ». Quest'ultima frase, “in dies melioribus
iudiciis efficiebantur,” anticipa l'idea di Bruno, che gli uomini acquistano
progressivamente giudizio « piú maturo »; il che si determina, secondo Bruno
per tre fattori: l'accumulazione delle osservazioni, l'attività riflessiva e
inventiva del pensiero, e la varietà delle cose osservate. Ma Vitruvio aggiunge
un altro fattore piú importante: l'esercizio attivo del potere dell'ingegno,
stimolato dalla emulazione (exercentes ingenia certationibus). In ciò Vitruvio
raccoglie la suggestione di Aristotele relativa all'affinamento progressivo del
giudizio per via del suo esercizio costante. Ma in Aristotele tale esercizio
nasce dall'insoddisfazione e dalla critica delle idee altrui. In Vitruvio dallo
sforzo d'emulazione. In entrambi, tuttavia, il processo si realizza tanto nello
spirito individuale quanto in quello collettivo; e Vitruvio riconosce cosí la
formazione storica dello spirito dell'umanità, considerando il vincolo e
l'azione reciproca tra il perfezionamento dei prodotti dell'arte e lo sviluppo
dello spirito produttore.Vitruvio esprime cosí u concetto tipicamente
storicistico, nel riconoscere che lo spirito umano è in sé e per sé storia
e sviluppo; concetto considerato abitualmente « tutto proprio dell'età
moderna», come lo define Gentile (Il pensiero del rinascimento, cit.), nel
trovarlo espresso da Bruno. Vitruvio riconosce e spiega tale carattere storico
dello spirito in rapporto con la storia dell'architettura, che nel suo sforzo
di perfezionamento progressivo, per rispondere sempre piú alle esigenze umane,
si fa, secondo lui, generatrice di altre arti e discipline, per via dell'esercizio
continuo cui obbliga la mente, che in tal modo si potenzia e sviluppa in se
stessa nuove capacità, madri di arti e scienze nuove. « Come, dunque, con
l'attività costante (quotidie faciendo) avevano [gli uomini] rese piú esperte
ed abili le loro mani per ogni costruzione (tritiores manus ad aedificandum
perfecissent), e mediante l'esercizio instancabile dei loro ingegni (solertia
ingenia exercendo) erano giunti con l'uso incessante alla creazione delle arti,
allora l'attività industriosa aggiunta da essi ai loro spiriti (industria in
animis eorum adiecta) fece sí che quelli che erano piú ben disposti e diligenti
(studiosiores) si convertissero in artefici professionali (fabros se esse
profiterentur) ». Nasce in questo modo, dal progresso delle capacità
intellettuali e pratiche, la divisione del lavoro; ma nasce e si mantiene
legata all'unità organica della cultura, affermata già, con notevole vigore, da
Vitruvio nel I cap. del libro I. Dove si fa notare per l'architettura il
vincolo reciproco dell'attività pratica (fabrica) e di quella teorica
(ratiocinatio), che non permette di raggiungere la perfezione dell'arte né al
puro homo faber né al puro homo sapiens, ma solo a chi riunisce in sé entrambe
le condizioni; e aggiunge Vitruvio che l'architetto ha bisogno di conoscenze di
letteratura, disegno, geometria, storia, filosofia, musica, medicina,
diritto, astronomia, cioè di possedere una cultura organica: « tutte le
discipline hanno tra loro un vincolo ed una comunicazione mutua.... e la [cosí
detta] disciplina enciclica come un corpo unico è costituita di tali
membri ». Certamente, come tecnico e teorico dell'architettura, convinto
e preoccupato dell'importanza preminente della sua arte, Vitruvio nel I cap.
del libro II, che stiamo analizzando, sembra che spieghi l'unità e connessione
reciproche di tutte le arti e discipline come dovute ad un germinare di tutte
dalla radice comune dell'archi-tettura, che per le sue esigenze ed i suoi
sviluppi genererebbe le altre arti e scienze, e ne determinerebbe i progressi.
« Dalla costruzione degli edifici progredendo gradualmente verso le altre arti
e scienze (e fabrica-tione aedificiorum gradatim progressi ad ceteras artes et
disciplinas) e utilizzando le armi del pensiero e la riflessione deliberativa',
con cui la natura rafforzò le loro menti (cum natura cogitationibus et
consiliis arma-visset mentes), essi trassero l'umanità dalla vita ferina e
selvaggia a quella civile (e fera agrestique vita ad mansuetam perduxerunt
humanitatem) ». Allora si genera negli uomini la capacità di prepararsi
nel loro spirito, e di guardar lontano per mezzo dei pensieri piú grandi, che
nascono dalla varietà delle arti (tum autem instruentes animo se et
prospicientes maioribus cogitationibus ex varietate artium natis); il che
Vitruvio applica, indubbiamente, ai progressi del-l'architettura, ma è un
concetto che s'estende da sé ad ogni sviluppo culturale. « Poi con le
osservazioni degli 1 Se leggessimo, con qualche edizione, conciliis
anziché con siliis, dovremmo pensare che Vitruvio rilevasse qui non già
l'importanza della riflessione deliberativa (consilia), bensi quella della
convivenza e della cooperazione sociale (concilia). Ma queste ul-
time sono per Vitruvio creazione umana e non dono della natura.
studi portarono [le loro opere] dai giudizi errati ed incerti alle ragioni
certe delle simmetrie. Quindi mediante le loro cure alimentarono e adornarono
di piaceri l'eleganza della vita, accresciuta dalle arti (trac- tando
nutriverunt et auctam per artes ornaverunt vo- luptatibus elegantiam
vitae) ». Si presenta pertanto, nella concezione di Vitruvio, tutto un
processo storico nel quale l'uomo, spinto dai bisogni, guidato dalle
esperienze, rafforzato dall'eserci-zio, sviluppa e traduce progressivamente in atto
le sue potenze naturali, creando le arti e le scienze; ma in questo processo i
prodotti reagiscono sul produttore; l'esercizio intensifica i poteri dello
spirito e genera nuove capacità; i risultati realizzati si convertono in mezzi
e impulsi per creazioni ulteriori; e in questo modo l'umanità progredisce e si
sviluppa, creando il mondo della cultura e creando nello stesso tempo
spiritualmente se stessa per mezzo del suo lavoro, come causa ed effetto
insieme dei suoi progressi. La concezione della creatività dello spirito appare,
dunque, raggiunta in pieno da Vitruvio. Lo scambio d'azione che Vitruvio vedeva
effettuarel tra lo spirito produttore e i suoi prodotti nella creazione e nello
sviluppo progressivo delle arti e delle scienze, significava per se stesso un
processo storico di autocreazione e d'autosviluppo incessanti dello stesso
spirito umano, che logicamente doveva presentarglisi come un processo infinito.
Ma Vitruvio non segnalò, e forse non intuí neppure questa conseguenza della sua
conce- ' (Appare in questa visione un barlume del processo chiamato da
Marx il processo della umwälzende Praxis, cioè dell'attività dell'uomo che si
rovescia su se stessa e sull'uomo, trasformandolo nel trasformare se
stessa. zione, cosí come non l'aveva espressa né vista Aristotele,
benché riconoscesse che il potere intellettuale dell'uomo va aumentando sempre,
quantitativamente e qualitativa- mente, con l'esercizio attivo delle sue
capacità di indagine e di riflessione critiche. La prima affermazione
esplicita dell'infinità del progresso spirituale umano ci appare nell'antichità
classica con Seneca, che tuttavia era stato precorso parzialmente da Filone
ebreo, come diremo. Ma mentre nella concezione di Vitruvio l'infinità
potenziale del progresso è in rapporto con il processo di creazione e sviluppo
delle arti, a cui egli collegava la scoperta delle scienze, Seneca invece nella
polemica contro Posidonio ripudia l'unità e identità tra l'homo faber e l'homo
sapiens, che quello aveva affermato (cfr. Epist.). Contro la celebrazione
del progresso tecnico, inserito da Posidonio nello sviluppo stesso della
saggezza, Seneca nella sua polemica sembrava ripudiare la creazione umana delle
arti, accusandola di complicare e render difficile la vita, e sembrava
ritornare, con l'evocazione di Diogene, all'ideale cinico-stoico della
semplicità primordiale della vita conforme alla natura, che facilmente soddisfa
le sue esigenze minime. «Non fu tanto nemica la natura, da concedere la
facilità della vita agli altri animali e volere che solo l'uomo non potesse
vivere senza tante arti.... Siamo noi che ci rendemmo tutto difficile per la
nostra tendenza a stancarci (fastidio) delle cose facili.... Tutte queste arti,
per le quali la città si eccita e rumoreggia, lavorano per il corpo, a cui
prima si imponeva ogni [sa-crificio] come ad uno schiavo, mentre ora gli si
prepara ogni [godimento] come ad un padrone » (epist. cit.). Tuttavia
questa posizione polemica non rappresenta integralmente l'orientamento
spirituale di Seneca. Seneca è ben lungi dall'identificare la saggezza —
nel cui culto vede l'unica attività che possa render degna la vita
umana - con la supposta felicità primordiale dello stato di natura. « Per
quanto egregia e priva di inganni fosse la vita di quelli (primitivi), essi non
furono savi.... non avevano ingegni perfezionati (consum-mata).... La natura
non dà la virtú, e il diventar buono è un'arte.... Quelli erano innocenti per
ignoranza; ma c'è una gran differenza tra il non volere e il non saper peccare
(multum interest utrum peccare aliquis no-lit an nesciat). Mancava loro la
giustizia, mancava loro la prudenza, la temperanza, la fortezza. La loro vita
incolta aveva qualcosa di simile a tutte queste virtú; ma la virtú non è
conseguita se non da uno spirito edu-cato, istruito e portato mediante
l'esercizio assiduo fino al vertice. Certo nasciamo per questo, ma senza
que-sto; e anche negli uomini migliori, prima che posseggano l'educazione,
esiste la materia della virtú, ma non la virtú stessa » (ibid.). In tal
modo, la virtú torna a presentarsi connessa alla cultura in questa stessa
Epistola 90, dove la critica a Posidonio sembrava portare ad una rivendicazione
della natura primordiale, simile a quella dei cinici. La virtú, dunque, per
Seneca non è un'ingenuità ignorante, ma deve avere chiara coscienza del male e
del vizio per trionfare di essi. Seneca fa in certo senso presentire il
concetto che ispira in tempi moderni la filosofia della storia di Fichte
(Caratteri fondamentali dell'epoca con- temporanea), secondo cui
l'umanità, dopo di essere uscita dalla sua primitiva rettitudine incosciente,
abbisogna della piú profonda coscienza ed esperienza del peccato, per elevarsi
alla sua cosciente redenzione. Con la rivalutazione della cultura come
condizione e fondamento dell'etica e della filosofia, tornano ad essere
pertanto rivalutate da parte di Seneca anche le arti, ed è riaffermato il
concetto del Protreptico aristotelico, della doppia e indivisibile
funzione che incombe al- Q l'uomo, cioè quella di esercitare tanto
l'attività intellettuale quanto quella pratica. Aristotele aveva affermato,
secondo la testimonianza di Cicerone (De finibus), che l'uomo nacque per due
cose: intendere e operare («ad duas res, ad intelligendum et agendum esse natum
»); e Seneca (De otio) ripete che la natura volle che facessimo le due cose:
operare e coltivare la contemplazione. « Natura autem utrumque fa-cere me
voluit, et agere et contemplationi vacare ». Anzi, aggiunge che egli le fa
entrambe, perché sono insepa-rabili, giacché neppure la contemplazione può
esistere senza azione: « utrumque facio; quoniam ne contem-platio quidem sine
actione est »'. Nessuna virtus è un bene reale, finché non passa all'azione (“in
otium sine actu proiecta”). «Chi potrebbe negare che essa deve comprovare nelle
opere i suoi progressi, e non limitarsi a pensare ciò che si deve fare, bensí
esercitare anche le sue mani e portare a realtà le sue meditazioni? » (* sed
etiam aliquando manum exercere, et ea quae meditata sunt ad verum perducere?
»). Questa rivalutazione dell'attività pratica, a causa del legame che
l'attività teorica ha con essa, doveva portar seco anche un apprezzamento delle
creazioni delle arti, che per questa via tornano ad inserirsi nel processo
creativo della cultura, dove si afferma il potere e il valore dello spirito
umano. Una celebrazione caratte ristica di questa creatività dello spirito,
applicata alle opere della civiltà e delle arti, merita di esser segna- É
evidente la derivazione da Seneca del noto luogo dello Spaccio bruniano
(ed. Gentile): « e per questo ha determinato la providenza, che vegna occupato
ne l'azione per le mani, e contemplazione per l'intelletto; de maniera che non
con-temple senza azione, e non opre senza contemplazione. Ne l'età dunque de
l'oro per l'Ocio gli uomini non erano piú virtuosi, che sin al presente le
bestie son virtuose ». lata nell'Epistola, relativa all'incendio
che in una sola notte aveva distrutto la città di Lione (Lugdunum), che era per
la sua bellezza la gloria della Gallia. Seneca si rende conto che le opere dei
mortali sono. condannate a perire e che noi viviamo tra cose caduche: « omnia
mortalium opera mortalitate damnata sunt. Inter peritura vivimus». Ma questo
carattere mortale delle opere è superato dall'imperitura energia creatrice
del-l'umanità, che ricostruisce sempre ciò che è caduto e lo ricostruisce piú
bello e perfetto, di modo che le distruzioni si convertono in fattore di
progresso. « Multa cecide-runt ut altius surgerent et in maius ». Come Roma
sempre risorse piú bella e potente dalle ceneri degli incendi subiti, cosí
anche a Lione tutti competeranno per ricostruirla in forma piú grande e piú
solida di quella per-duta: « ut maiora certioraque quam amisere restituant. Ciò
che caratterizza l'uomo, dunque, consiste per Seneca nell'esigenza e nello
sforzo costanti di superamento; per il loro mezzo lo spirito immortale
dell'umanità si sovrappone al carattere mortale delle sue creazioni. Sono
mortali - sembra dire Seneca — le creazioni partico-lari; ma è immortale la
creazione progressiva della cul-tura, per essere immortale e inesauribile lo
spirito creatore. In questo sforzo interminabile di superamento,
le attività pratiche delle arti e della tecnica in generale si unificano, per
Seneca, con le attività teoriche della scienza e della filosofia. Possiamo dire
che Seneca precorre Lessing nel considerare che questo sforzo spirituale
costituisce il valore della vita, che pertanto si afferma solo in quanto l'uomo
amplia progressivamente il suo orizzonte e le sue aspirazioni. Se mai l'umanità
potesse giungere ad un possesso pieno della scienza, e non avesse piú davanti a
sé un cammino ulteriore da percorrere e difficoltà nuove da superare, non
avrebbero piúsignificato la vita e il mondo in cui si sviluppa l'attività
umana. È lo sforzo ciò che costituisce il valore della vita; la sua persistenza
inestinguibile e il suo rinnovamento incessante presuppongono l'impossibilità
perenne di raggiungere il fine ultimo; ma questa condizione non significa per
l'uomo una maledizione o condanna ad una tensione vana che non può mai essere
soddisfatta, bensí alimenta e mantiene il valore della vita come milizia ' ed
aspirazione dignificatrice, che sono nello stesso tempo perfezionamento
spirituale progressivo. Quest'idea, dell'infinità dello sforzo e del
progresso umano, derivante dall'impossibilità di conseguire il fine supremo,
era stata intuita ed espressa parzialmente, prima di Seneca, da Filone ebreo.
La posizione degl’uomini in qualsivoglia delle loro attività, dice Filone, sta
sempre nel mezzo tra l'inizio e la fine: « Noi siamo trattenuti nell'intervallo
tra la fine e l'inizio nell'impa-rare, nell'insegnare, nel lavorare la terra,
nell'operare in ciascuna delle altre cose » (Quis rerum divin. heres sit); ma
questa inferiorità che caratterizza la nostra imperfezione costante in
confronto alla perfezione assoluta di Dio, non significa ristagno e immobilità
spi-rituali, bensí movimento e progresso incessanti: « A misura che uno avanza
nelle scienze e si pone stabilmente sul loro terreno, si fa tanto piú incapace
di raggiungere i loro limiti.... La scienza per i piú capaci è una sorgente
sempre in movimento, che produce sempre nuovo afflusso di idee» (De plantat.
Noë). In tal modo per Filone ogni approfondimento della nostra conoscenza
è nello stesso tempo un approfondi- [Cfr. Epist.: Atqui vivere, Lucili,
militare est. Itaque qui iactantur et per operosa atque ardua sursum ac deorsum
eunt, et expeditiones periculosissimas obeunt, fortes viri sunt,
primo- resque castrorum; isti, quos putida quies, aliis laborantibus,
mol- liter habet, turturillae sunt, tuti contumeliae causa ».
mento della coscienza della nostra ignoranza: dalla conoscenza acquisita
spuntano sempre problemi nuovi; ma dai problemi nasce il movimento progressivo
dell'intel-ligenza, in un processo che non finisce mai a causa
dell'impossibilità di raggiungere, con il pensiero, il termine ultimo. Questo,
per Filone, si raggiunge certo nel rapimento dell'estasi, che è estinzione di
ogni movimento attivo della mente; ma fuori della soluzione mistica, c'è solo
un processo infinito, conseguenza dell'infinita di- stanza, che ci divide
dall'irraggiungibile oggetto supremo. Vero è che di questi pensieri di
Filone non ebbe alcuna notizia Seneca, il quale giunse per una via parzialmente
analoga all'idea dell'infinito progresso conoscitivo, cou- siderandolo
determinato dall'infinita distanza, che ci separa sempre dal fine supremo delle
nostre aspirazioni e dai nostri sforzi. Ci sono delle realtà — osserva Seneca
in Natur. quaest., a proposito dell'igno-ranza del suo tempo riguardo alle
orbite e alle. leggi di movimenti delle comete:
- che non possono essere colte dai nostri occhi, o perché permangono in
luoghi sottratti alla nostra vista, o perché la loro sottigliezza è
irraggiungibile per la nostra acutezza visiva, o forse anche perché non abbiamo
la capacità di percepirle, nonostante che riempiano i nostri occhi. Tutte
queste realtà sono accessibili unicamente allo spirito (animo) e debbono essere
contemplate con il pensiero (cogitatione). Ma lo stesso pensiero che ci porta
fino all'idea dell'esistenza di Dio, che creò tutto l'universo intorno a sé e
lo governa, ed è la parte mag- derlo nella giore e migliore della
sua opera, non arriva a comprenderlo nella sua essenza. « Non possiamo sapere
che cos'è ciò, senza di cui nulla esiste, e ci stupiamo per non conoscer bene
certi piccoli fuochi (le comete), mentre ci resta celata la parte maggiore
dell'universo, dio. Quid sit hoc, sine quo nihil est, scire non possumus,
et miramur si quos igniculos parum novimus, cum maxima pars mundi, deus,
lateat »). Ma da questa situazione nasce in noi uno stimolo all'indagine,
che si intensifica con l'esperienza dei pro-gressi già realizzati. Ci sono
conoscenze che abbiamo acquisito di recente, altre in gran numero che ancora
non abbiamo raggiunto; ma - aggiunge Seneca - verrà un tempo in cui queste
cose, che ora permangono occulte, le porterà alla luce un giorno futuro ed una
indagine assidua di piú lunga durata.... Verrà un tempo in cui i nostri posteri
resteranno stupiti che noi igno-rassimo cose che per essi saranno tanto
evidenti. Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet; multa saeculis tune
futuris cum memoria nostri exoleverit reservantur. Pusilla res mundus est, nisi
in illo quod quaerat omnis mundus habeat. Questa inesauribilità dell'indagine e
delle scoperte supera con la sua infinità la gradualità progressiva. ma
limitata, del processo delle iniziazioni ai misteri, a cui Seneca la paragona.
Certo che, come ad Eleusi non si mostrano tutte le cose sacre al novizio,
riservandosi le piú importanti per gli iniziati, cosí si può dire che la natura
non concede in una sola volta ed a chiunque tutti i suoi sacri segreti, e anche
quando ci crediamo iniziati, siamo ancora nel vestibolo del tempio e gli arcani
rimangono chiusi nel sacrario interno. Ma nelle cerimonie mistiche gli iniziati
pervengono, alla fine, a veder tutto; e nella scienza, invece, il processo di
sco-perta non finisce mai. Dei suoi segreti, alcuni potrà sco-prirli la nostra
età, altri le età successive (« aliud haec aetas, aliud quae post nos subibit
aspiciet »); ma ri-marrà sempre campo per le investigazioni di « tutto il mondo
». E anche nell'ipotesi che gli uomini si dedi-chino completamente all'indagine
e alla comunicazione reciproca delle conoscenze acquisite, Seneca dice che
a mala pena (vix) si giungerebbe a quel fondo dove è collocata la verità
che ora cerchiamo alla superficie e con leggerezza (ibid., cap. 32); e
l'esplorazione di questo fondo, secondo le dichiarazioni precedenti, esigerebbe
sempre uno sforzo investigativo infinito. La sospensione dello sforzo e
del lavoro, dunque, non solo ritarda o impedisce del tutto le grandi conquiste
ulteriori (« tarde magna proveniunt, utique si labor ces-sat »: cap. 31), e impedisce
che si trovi alcunché di ciò che gli antichi indagarono in modo insufficiente,
ma fa perdere anche le stesse scoperte già realizzate (« adeo nihil invenitur
ex his quae parum investigata antiqui reliquerunt, ut multa quae inventa erant
obliterentur »: cap. 32). Donde la necessità e l'obbligo morale, per
cia-scuno, di mantenere attivo lo sforzo incessante e di cooperare attivamente
alla grande opera di conquista collettiva dell'umanità. Coloro che rimangono
soddisfatti delle acquisizioni già realizzate dagli antecessori, non si rendono
conto dell'immenso cammino da percorrere, che si estende davanti a noi. «Non si
troverebbe mai nulla, se restassimo contenti con ciò che è già stato trovato.
Inoltre, chi si limita a seguire un altro, non trova nulla per conto suo, anzi,
non cerca neppure.... Ma coloro che hanno promosso queste investigazioni
sono per noi guide, non padroni. [Il cammino del]la verità è aperto a tutti,
non è ancora occupato, anzi gran parte di esso resta ancora da percorrere agli
uomini del futuro › (Epist.). Confidiamo pertanto e molto nel giudizio dei
grandi uomini, ma rivendichiamo anche l'uso del giudizio nostro. Forse neppur
essi ci han lasciato scoperte effettuate, ma indagini da compiere » (* Num illi
quoque non inventa, sed quaerenda nobis reliquerunt »: Epist.).
«Non mi sembra che i predecessori si siano impadroniti con la forza
(praeripuisse) di ciò che si poteva dire, ma che ce lo abbiano
solamente mostrato (ape-ruisse). Se non che c'è molta differenza tra
l'avvicinarsi ad una materia esaurita (consumptam) e ad una solamente preparata
(subactam): questa va crescendo giorno per giorno, e le invenzioni effettuate
non sono ostacoli per chi realizzerà invenzioni ulteriori (« crescit in dies,
et inventuris inventa non obstant »: Epist.). Anzi, chi ha qualcosa da
insegnare agli altri, deve spargerlo come semente feconda (« seminis modo
spargenda sunt»), la quale, per quanto piccola, cadendo in terreno adatto
sviluppa le sue forze, e dalla sua piccolezza originaria, crescendo fino alle
sue dimensioni massime, si diffonde (« ex eo minimo in maximos auctus
diffunditur»). Gli insegnamenti son come le sementi: ancorché siano limitati
(angusta), possono sviluppare una grande efficacia, purché una mente idonea li
accolga e li raduni in se stessa; e a sua volta questa mente ne genererà molti
altri e ren- derà piú di quello che ricevette » (Epist. 38).
Naturalmente questo processo storico di accrescimento progressivo della
cultura, nella successione delle generazioni e delle comunicazioni da maestri a
disce-poli, esige l'attività vivente degli spiriti ricettori. Quindici secoli
piú tardi G. Bruno dirà che se « di questi alcuni, che son stati appresso, non
siino però stati piú accorti, che quei che furon prima.... questo accade per
ciò che quelli non vissero.... gli anni altrui, e, quel che è peggio, vissero
morti quelli e questi negli anni pro-prii » (Cena delle Ceneri, ed.
Gentile). Una esigenza analoga aveva affermato Seneca nella Epist.
84, dichiarando che gli insegnamenti devono, come alimenti digeriti,
trasformarsi in forze e sangue di chi li assimila (« in vires et sanguinem
transeunt»). Le conoscenze ingerite non debbon lasciarsi tali e quali sono
(integra), affinché non restino come cose estranee (alie-na): dobbiamo
digerirle (concoquamus), affinché sianonutrimento dell'ingegno e non peso della
memoria. I discepoli o le generazioni successive devono assomigliare ai loro
maestri e padri come figli viventi e attivi, non come immagini morte: « imago
res mortua est »; e nella trasmissione della cultura, invece, occorrono spiriti
viventi che (come dirà Bruno) vivano attivamente gli anni dei predecessori e
non vivano morti gli anni propri, bensí progrediscano sempre piú. Si deve
imprimere la forma della propria personalità a tutti gli elementi di cultura
che si raccolgono, affinché confluiscano in una unità (in unitatem illa
competant) come le voci di un coro. « Tale voglio che sia il nostro spirito,
che abbia in se stesso molte arti, molti precetti, gli esempi di molte
generazioni, ma facendoli confluire tutti in una unità», vivente e attiva (« ut
multae in illo artes, multa praecepta sint, multarum aetatum exempla, sed in
unum conspirata). L'Epistola 84 integra pertanto l'affermazione
del-l'Epistola 80, che lo spirito (animus) non è come il corpo, che abbisogna
dall'esterno di molto alimento, di molta bevanda, di molto olio e di lunghe
cure; lo spirito invece (continua l'Epistola 80) cresce da se stesso, si
alimenta e si esercita da sé, ed abbisogna solo della volontà per il suo
perfezionamento. L'Epistola 84, dunque, riconosce che anche lo spirito
abbisogna del suo alimento, che consiste nella cultura che riceve dalle
generazioni precedenti e dall'ambiente sociale in cui si sviluppa, e che
anch'esso deve, non meno del corpo, assimilare il suo alimento e trasformarlo
in proprio sangue e forza attivi. Certamente egli deve avere in sé
l'energia della volontà richiesta dall'Epistola 80: ossia deve, secondo il
paragone dell'Epistola 39, essere come una fiamma che s'innalza in linea retta
e che non può essere inclinata e oppressa, né tanto meno aver tregua: cosí lo
spirito è in movimento ed è mobile e attivo tanto piú quanto piú è
energico. Ma questa energia, questa attività, questo movimento spirituali non
si esercitano nel vuoto, bensí nel mondo della cultura, che è
creazione dello spirito; nel qual mondo si forma cosí la tradizione vivente e
attiva, che è conservazione e accrescimento in-cessanti. Seneca ha visto
che questo doppio aspetto della tradizione implica un doppio atteggiamento
spirituale: di dipendenza e d'indipendenza rispetto al passato. I diritti del
passato devono essere riconosciuti, ma come condizione e mezzo di salvare e
assicurare i diritti dell'avve-nire, che sono diritti di un progresso infinito.
Venero pertanto — dice l'Epistola 64 - le invenzioni della sapienza e i loro
inventori; bisogna avvicinarsi ad essi come ad una eredità collettiva. A nostro
beneficio sono state effettuate queste acquisizioni e questi lavori. Ma
comportiamoci come buoni padri di famiglia; rendiamo piú ampia l'eredità
ricevuta, cosi che questa passi da noi alla posterità fatta maggiore. Molto
lavoro resta ancora da compiere, e molto ne resterà poi; né a nessuno, anche se
nasca dopo migliaia di secoli, sarà preclusa l'occasione di aggiungere ancora
qualcosa di piú ». Anche nell'ipotesi assurda, che gli antichi avessero
inventato tutto, resterebbero sempre nuove l'utilizzazione, la scienza e la
disposizione delle invenzioni altrui. Ma siamo ben lungi dalla possibilità di
ammettere l'ipotesi citata. Quelli che esistettero prima di noi « multum
ege- runt, sed non peregerunt ». Certamente dobbiamo ammirarli e
onorarli come dei, e professare verso « i precettori del genere umano, da cui
ci vennero i principi di un bene tanto grande, la stessa venerazione che
dobbiamo ai nostri maestri personali ». Tuttavia l'onore migliore, anzi l'unico
onore degno ed efficace che i discepoli possano rendere ai mae-
stri e i figli ai padri, consiste, secondo le affermazioni esplicite di Seneca
già citate, nel far viva e operante la loro eredità, nel proseguire le vie che
essi ci aprirono, cioè nel compiere per ciò che possiamo il progresso della
cultura, la cui infinità esige sempre l'attività creatrice di ogni generazione
nel trascorrere infinito del tempo. In questo senso devono intendersi le
affermazioni della Epistola 102, relative allo spirito: « Lo spirito umano è
una realtà grande e generosa, che non tollera gli si pongano mai limiti che non
gli siano comuni anche con Dio»; cioè afferma la sua esigenza di infinità e
vuole tradurla in atto nel doppio aspetto spaziale e temporale. Lo spirito
pertanto non accetta che gli si attribuisca una patria umile e limitata, come
sarebbe la città natale di ciascuno, e reclama come propria patria tutto
l'universo; e «non permette che gli si assegni un'epoca limitata: tutti gli
anni sono miei (dice); nessun tempo è inaccessibile al pensiero ». Ma questa
doppia esigenza di infinità - che significa coscienza di un potere infinito, e
che, quanto al tempo, si estende ugualmente verso il passato e verso il futuro
— vale, secondo il pensiero espresso di Seneca, tanto per la contemplazione
quanto per l'azione creativa. La contemplazione si realizza per mezzo
dell'investigazione e (come vedemmo)
piccola cosa sarebbe il mondo se in esso non avesse sempre tutto il
mondo qualcosa da investigare
(Nat. quaest.); ma d'altra parte (come vedemmo) neppur la
contemplazione può darsi senza azione: ne con- templatio quidem sine
actione est › (De otio). Talché lo spirito deve effettuarle entrambe ad
un tempo, nella loro mutua correlazione, e considerare l'infinita estensione
dell'universo in tutte le sue dimensioni, e del tempo nella sua doppia
direzione di passato e futuro, non solo come oggetto di contemplazione
conoscitiva, ma anche come campo d'azione creativa. Per questa via,
nellaconcezione delineata da Seneca, lo spirito riconosce ве stesso
nell'infinita creazione della cultura, opera del suo infinito passato e compito
del suo infinito avvenire 1. m). In tal modo, nell'affermare
esplicitamente e mettere in evidenza sotto vari aspetti l'infinità del processo
storico di creazione della cultura e d'accrescimento dello spirito umano,
Seneca portava la teoria del progresso al suo piú alto grado di compimento
nell'antichità. Dopo di lui, nonostante l'attivismo della gnoseologia e della
pedagogia di Plutarco e di Plotino, il predominio crescente dell'orientamento
mistico nella filosofia non favorí certo nuovi sviluppi della teoria del
progresso; la cui tradizione, tuttavia, lungi dal perdersi, appare conservata —
come abbiamo visto a proposito di Aristotele anche
in scrittori tardi come Asclepio e Giovanni
1 Meritano di essere ricordate alcune altre dichiarazioni signi- Epansa
(Sice rel Eple 65) Eaar dee appreanere ne che a riferisce alle cose
divine e alle umane, alle passate e alle future, alle caduche e alle eterne, al
tempo, etc.»; e qui Seneca cita esempi delle « innumerabiles questiones» che si
pongono per la conoscenza di ogni sfera e di ogni aspetto della realtà
universale. Ma il De otio, mostra che all'infinito numero dei problemi
corrisponde l'infinita curiosità (curiosum ingenium) dell'uo- mo: il
desiderio di conoscere lo sconosciuto (cupiditas ignota no-scendi) ci spinge ai
viaggi ed alla navigazione, alle investigazioni naturali ed agli scavi, alle
ricerche storiche relative all'umanità ad che poe eseri al dd a del come
o aire dacueione dei probiem pelaurs ar ateria dd ale epifio)
relativi alla materia ed allo spirito, etc. Nello stesso capitolo del “De
otio” aggiunge (come abbiamo già ricordato) che la contemplazione non può mai
essere senza azione, e che le cose meditate esigono la loro realizzazione
mediante l'esercizio della mano; di modo che il processo infinito di creazione
della cultura è inteso nell'unità di teoria e pratica. Filopono; e la loro
fonte al riguardo, Aristotele, ci attesta che tale teoria si è trasmessa senza
soluzione di continuità. Ma Plutarco ci fa udire l'eco tanto di idee
provenienti da Archita e Democrito, intorno alla funzione che spetta alla
necessità nel processo storico delle creazioni umane, quanto dell'ordine
cronologico in cui Democrito e Aristotele distribuivano la creazione
progressiva delle arti di necessità, di quelle di abbellimento e delle scienze.
E nello stesso II secolo cui appartiene Aristocle, un documento caratteristico
ci dimostra la diffusione raggiunta dall'idea del progresso umano nella
coscienza pubblica dell'epoca; documento che consiste nell'utilizzazione che fa
Luciano (“Erotes”) di questa idea con fini satirici. L'apologia paradossale dell'amore
per gli efebi, che Luciano fonda sul principio che, essendo creazione piú
recente dell'amore per le donne, deve costituire un progresso rispetto a
questo, poteva avere significato come satira solo in un clima spirituale dove
l'idea del progresso figlio del tempo fosse divenuto generale e
dominante. Nella sua esposizione di questa teoria, Luciano dipende
specialmente dalla tradizione democriteo-epicurea, ma con infiltrazioni della
tradizione platonico-ari-stotelica relativa al rinnovamento ciclico successivo
alle catastrofi, e con derivazioni anche da altre fonti. Da Democrito ad
Epicuro deriva la descrizione della vita ferina primordiale: « i primi uomini
nati dovevano cercare un rimedio per la fame d'ogni giorno, e per il fatto che
erano preda della indigenza presente e che la pe- o chi il ato
nuria non permetteva loro alcuna scelta del migliore, dovevano mangiare le erbe
che trovavano, e le radici tenere che dissotterravano, e soprattutto le ghiande
delle querce. Mentre la loro vita permaneva cosí incolta e non
concedeva loro ancora la comodità per esperimenti giornalieri al fine di
trovare il meglio, essi dovevano accontentarsi di quelle stesse cose
necessarie, poiché il tempo, incalzandoli, non permetteva loro l'invenzione di
un buon regime». Anche per ciò che concerne la necessità di difese, gli uomini
subito, all'inizio della vita, avendo bisogno di coprirsi, 'avvolgevano nelle
pelli delle fiere scorticate ed escogitavano come rifugio contro il freddo le
grotte delle montagne o le cavità disseccate di radici o alberi antichi».
piú che democritea, poiché è scomparsa in essa, come pia wete
Questa descrizione è evidente eredità epicurea ancor tra gli epicurei, la
distinzione introdotta da Democrito tra i momenti successivi della prima fase
di vita del- l'umanità. Manca inoltre in Luciano ogni allusione
all'introduzione della convivenza sociale e del linguaggio e alla scoperta del
fuoco, già considerati dall'epicurei-smo; ma la suggestione epicurea si
riconosce nella spiegazione che dà tanto dell'uscita dallo stato primordiale
mediante l'agricoltura, quanto delle invenzioni della tessitura e dell'edilizia
per via di un'imitazione dei ripari naturali (pelli e caverne) usati
primordialmente. La capacità di un'imitazione dei processi naturali, che
ripro-ducendoli li modifica e li adatta alle proprie esigenze e finalità, era
già per gli epicurei un carattere che differenziava l'uomo dagli altri animali,
incapaci di uscire dalla loro condizione naturale originaria. Tuttavia sembra
che in Luciano si perda la comprensione della funzione attribuita dagli
epicurei alla necessità come forza stimolante dell'intelligenza umana; Luciano
la considera piuttosto un ostacolo alla ricerca del meglio. Solamente (dice) «
dopo che le necessità urgenti ebbero fine, le intelligenze (zoyouo) delle
generazioni successive, liberate dalla necessità, trovarono l'occasione
d'inventarequalche miglioramento, e di lí a poco a poco s'accreb-bero al tempo
stesso le scienze. E questo ci è possibile congetturarlo dalla considerazione
delle arti piú perfezionate ». Può esservi in queste linee un'eco (certo
confusa) della distinzione democriteo-aristotelica dei tre momenti successivi
di creazione progressiva: delle arti di neces-sità, di quelle d'ornamento e
delle scienze disinteressate; certo Luciano -- utilizzando l'esempio dell'arte
tessile, preso dagli epicurei, e quello dell'architettura, derivante forse da
Vitruvio - insiste specialmente sul carattere graduale e quasi insensibile dei
progressi, dicendo che «le arti presero per maestro il tempo » e progredirono «
segretamente». E questa idea di un processo graduale sembra associarsi a quella
di un rinnovamento ciclico, cioè alla teoria platonico-aristotelica della
rinascita progressiva della cultura dopo le catastrofi distruttrici -
idea rievocata nel II secolo da Aristocle - poiché Luciano scrive che «
ciascuna di queste arti e scienze, che giaceva muta e coperta in molto oblio,
come da un lungo tramonto a poco a poco si levò nella sua luce raggiante
». Questa confluenza di elementi di derivazione tanto diversa è un indice
interessante della conservazione di differenti rappresentazioni del progresso
nell'epoca di Luciano, che le mescola senza preoccuparsi molto dei loro
eventuali contrasti. E cosí, nonostante la sua apparente accettazione della
teoria ciclica platonico-aristote-lica, Luciano delinea un processo di sviluppo
della cul-tura, che per se stesso gli si presenta infinito, cosí come era
apparso a Seneca. « Poiché ciascuno che faceva qualche scoperta la trasmetteva
alla posterità; e quindi la successione di quelli che ricevevano l'eredità,
facendo aggiunte a ciò che avevano appreso, continuò a riempire le lacune
esistenti ». E cosí ‹ le scienze varie... mediante sforzi (uoris)
si preparano per arrivare (EUENOV 7ÇELV) alla loro chiara manifestazione,
spinte dal tempo infinito (úò To aiovos), che non lascia niente senza indagare.
Ma ciò che agisce attivamente sugli uomini attraverso il corso del tempo è (per
dichiarazione esplicita di Lu-ciano) « l'intelligenza (ppóvnois), che si
accompagna alla scienza e trae dal frequente sperimentare la possibilità di
scegliere l'ottimo ». Pertanto « dobbiamo considerare necessario lo studio
dell'antico, ma onorare come migliore ciò che la vita seppe trovare poi, dopo
aver raggiunto la possibilità di dedicarsi alla riflessione razionale
(поугомоїс) ». Torna cosí in Luciano il concetto della tradizione
vivente, che non è conservazione cristallizzata, bensí creazione progressiva
continua realizzata dalla vita; torna l'idea dell'infinità di questo processo,
che si estende dal passato e dal presente verso l'avvenire. Riassumendo,
possiamo dire che per tutti gli assertori antichi dell'idea del progresso umano
la natura offra il punto di partenza allo sviluppo dell'attività creatrice dell'intelligenza
dell'uomo; quindi le conquiste compiute da ogni generazione offrono alle
successive i mezzi e gli stimoli per nuovi incessanti esperimenti e nuove
acqui-sizioni; e in tal modo la creazione della cultura progredisce insieme con
l'intelligenza creatrice. L'antichità dichiara con Cicerone ciò che tornerà a
dichiarare il rinascimento con Bruno; cioè che l'umanità è caratterizzata dal
suo sforzo incessante di creare, mediante l'opera della sua intelligenza e
delle sue mani, un'altra natura, altri corsi e altri ordini al di sopra di
quelli che le furono dati naturalmente; e per questa creatività del suo spirito
l'uomo merita d'esser considerato «come un dio mortale» o « dio della
terra. Dai presocratici e dai poeti tragici fino a Seneca innegabilmente l'idea
della creatività dello spirito si afferma e si sviluppa nell'antichità, e si
ripercuote poi sugli ultimi secoli della cultura classica, da Luciano ed
Aristocle ad Asclepio e Giovanni Filopono. Per negare agl’antichi il
raggiungimento di tale intuizione, occorre chiudere gli occhi alla realtà
storica e cancellare l'ampia documentazione che conferma la sua esistenza. Rodolfo
Mondolfo. Mondolfo. Keywords: antica filosofia italica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Mondolfo, e la filosofia greco-romana,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Grice e Monferrato: l’implicatura
conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo italiano. Autore di opere di teologia e scienza e legato
pontificio. Entra nell'ordine francescano nella provincia genovese. Docente
presso lo studio francescano di Assisi. Compone il saggio. “Quaestio de
velocitate motus alterationis” (Venezia). In esso presenta un'analisi grafica
del movimento dei corpi uniformemente accelerati. La sua attività di
insegnamento in fisica matematica influenza gli studiosi che operarono a Padova
e Galilei che ri-propose idee simili. ‘Giovanni da Casale’, Treccani. Filosofia
Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale Monferrato Storia della scienza.
Grice: “Casali dicusses the velocity of motion of alternation. He wisely
remarks that if one takes the example of the quality of hotness, onemay
conceive of a UNI-FORM hotness throughout – ‘just as a rectangular
parallelolgram is formed between two equidistant lines, such that any part you
wish is equally wide with another. ‘Let there be throughout a UNIFORMLY DIFFORM
hotness, such that it is a triangle!” -- Giovanni da Casale Monferrato. Monferrato.
Keywords: corpi inanimati, corpi animati, inerzia, un corpo animato non e un
missile guidato – Grice. La liberta dei corpi animati, uniform, uniformly
difform, difformly difform. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Monferrato” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
e Monimo: l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza
(Siracusa). Filosofo italiano. A former slave. Wrote two books. Monimo.
Grice e
Montanari – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Massino Montanari.
Grice e Montani: l’implicatura conversazionale e il
debito del segno – implicatura riflessiva -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Teramo). Flosofo italiano. Allievo di
Emilio Garroni, è Professore di Estetica alla Sapienza Roma, è stato Directeur
d'Études Associé presso all'EHESS di Parigi e ha insegnato Estetica al Centro
sperimentale di cinematografia di Roma. La sua ricerca si concentra oggi
principalmente sui temi di filosofia della tecnica. Allievo di Emilio
Garroni, per M. l'estetica non va considerata come filosofia dell'arte, ma come
una teoria della sensibilità umana, che ha la peculiarità di essere aperta agli
stimoli del mondo esterno. La riflessione di M. si snoda in diversi passaggi e
attraverso il confronto con alcuni dei protagonisti della filosofia, della
linguistica, della semiotica e della teoria del cinema del Novecento, avendo
sempre come punto di riferimento la filosofia critica di Kant. Pensiero
Ermeneutica e filosofia critica. Pubblica Il debito del linguaggio, in cui,
partendo dal confronto con le teorie strutturaliste, in particolare quelle di
Jakobson e Mukarovsky, mostra come la questione del significato del testo
poetico non possa essere risolta mediante l'individuazione del codice
linguistico o semiotico di riferimento, ma rimandi ad una condizione estetica
della significazione. Questo tema viene ulteriormente approfondito in Estetica
ed ermeneutica. Prendendo le mosse dalla filosofia critica kantiana, propone di
ripensare la verità nel senso heideggeriano dell’ “a-letheia”, del
“dis-velamento” dell'essere come una situazione ermeneutica strettamente
legata all'effettiva esperienza del soggetto, seguendo la rilettura della
filosofia di Heidegger proposta da Gadamer.La formazione e il pensiero di M.
sono stati segnati dal suo interesse per il cinema e in particolare per Vertov
e Ėjzenštejn. Di entrambi ha curato l'edizione
degli scritti. Nel testo “L'immaginazione narrative” (Guerini)
coniuga l'interesse per il cinema con quello più strettamente filosofico per il
tema dell'immaginazione. Propone di considerare l'immaginazione nei termini in
cui, in Tempo e racconto, Ricœur parla della narrazione, ovvero come di un
processo di “rifigurazione” dell'esperienza del tempo da parte dell'uomo. Per
Ricoeur la narrazione ha il potere di far fare al lettore esperienza di un
tempo propriamente umano. Montani fa propria la tesi di Ricoeur, applicandola
però, all'ambito della narrazione cinematografica. M. ritiene che il territorio
dell'immaginazione in cui lavora il cinema sia quello dell'intreccio tra
finzione e testimonianza, tra la costruzione dell'intreccio narrativo e la
documentazione del reale. La trasformazione dell'esperienza del tempo avviene, così,
ad un livello più profondo e creativo. Tecnica ed estetica Con Bioestetica
si inaugura la fase più recente del pensiero di M., dedicata
all'approfondimento del rapporto tra tecnica e estetica. Attraverso il
paradigma della bioestetica M. propone di leggere i fenomeni di biopotere che
caratterizzano l'epoca contemporanea a partire dalla loro natura innanzitutto
tecnica ed estetica, cioè a partire dal fatto che la sensibilità dell'essere
umano viene sempre più orientata ed organizzata tecnicamente. Il biopotere
consiste proprio nella capacità di canalizzare la sensibilità umana. In
L'immaginazione intermediale Montani prende in analisi i modi in cui il cinema
risponde alle forme di anestetizzazione. Prendendo le mosse dalla
spettacolarizzazione della politica emersa in seguito all'attentato delle Torri
Gemelle, Montani introduce il concetto di "autenticazione
dell'immagine", che non consiste nell'accertamento del referente fattuale
dell'immagine (il vero, il reale) ma nella rigenerazione di un orizzonte di
senso condiviso, la capacità di riferimento dell'esperienza e del linguaggio,
in un'epoca caratterizzata da crescenti fenomeni di “indifferenza referenziale”
La riflessione sul rapporto tra estetica e tecnica continua in “Tecnologie
della sensibilità”, in cui viene teorizzata l'esistenza di una terza funzione
dell'immaginazione: accanto a quella produttiva e riproduttiva vi è una
funzione inter-attiva. L'immaginazione inter-attiva diventa il paradigma
attraverso cui leggere l'epoca contemporanea, attraversata profondamente da
fenomeni dell'inter-attività digitale e dalla proliferazione di ambienti
virtuali. Saggi: “Il debito del linguaggio: l'auto-riflessività nel discorso,”
– Grice: “There is the ‘debito’ and there is the ‘credito’ or ‘price’ of
semiosis, too!” -- Marsilio, Venezia; -- Grice: “Actually, Montani uses
‘aesthetic self-reflection,’ using ‘aesthetic’ etymologically, as per what he
calls ‘ermeneutica sensibile’ -- Fuori
campo: studi sul cinema e l'estetica, Quattroventi, Urbino; Estetica ed
ermeneutica: senso, contingenza, verità, Laterza, Roma); L'immaginazione narrativa: il racconto del
cinema oltre i confini dello spazio letterario, Guerini, Milano); Arte e verità
dall'antichità alla filosofia contemporanea: un'introduzione all'estetica,
Laterza, Roma); L'estetica contemporanea: il destino delle arti nella tarda
modernià, Carocci, Roma; Lo stato
dell'arte: l'esperienza estetica; Carboni e M., Laterza, Roma); Bioestetica:
senso comune, tecnica e arte” (Carocci, Roma; L'immaginazione intermediale:
perlustrare, ri-figurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma); Tecnologie
della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, Cortina, Milano. M.,
Il senso, Rai Scuola, su raiscuola.rai.
I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di M., Pellegrini, Censi,
Cine-occhi e cine-pugni: due modi di intendere il cinema, su Nazione
Indiana, L'immaginazione estatica.
Estetica, tecnica e biopolitica, su giornaledifilosofia.net. 2 lAlessandra
Campo, Biopolitica come an-estetizzazione. Il significato estetico della
biopolitica, su sintesidialettica. Montani, L'immaginazione intermediale,
Laterza, , M., L'immaginazione intermediale, Laterza, Anna Li Vigni, Gli
occhiali per immaginare, Il Sole 24 Ore. La vita immersa nell’estetica del
virtuale, su ilmanifesto. Pietro Montani. Montani. Keywords: il debito del
segno, Narciso e la reflexione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Montani” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Montinari: l’implicatura conversazionale del sovrumano
– torna a Surriento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Grice: “If I were asked
to identify the main difference between the Italian philosopher and the Oxonian
philosopher is that the Italian philosopher takes Nietzsche seriously! But then
he lived at Torino!” «Nelle istituzioni
esistenti, sostenute da immani forze di produzione e di distruzione, viene
assimilata e mercificata ogni e qualsiasi protesta, persino quella dei Lumpen,
ogni tentativo di lasciare la «nave dei folli». Se il metodo di Nietzsche può
ancora aiutarci, allora l'unica forza che ci è rimasta è quella della cultura,
della ragione.» Considerato uno dei massimi editori e interpreti di
Nietzsche. Ha definitivamente dimostrato che Nietzsche non ha mai scritto
un'opera dal titolo “La volontà di Potenza” e che le cinque diverse
compilazioni che la sorella del filosofo e altri editori dilettanti hanno
pubblicato sotto questo titolo sono testi del tutto inaffidabili per
comprendere il pensiero di Nietzsche. Si era formato alla Scuola Normale
Superiore di Pisa e all'Pisa, presso la quale si laureò con una tesi, “I
movimenti ereticali a Lucca.” Caduto il fascismo, divenne un attivista del
Partito comunista, presso il quale si occupava della traduzione di scritti dal
tedesco. Mentre visitava la Germani a Est per motivi di ricerca, fu testimone
della rivolta. Successivamente, in seguito alla repressione della Rivoluzione
ungherese del 1956, si allontanò dall'ortodossia marxista e dalla carriera nel
partito. Mantenne tuttavia la sua iscrizione al PCI, e rimase fedele agli
ideali del socialismo. Collabora con le Edizioni Rinascita, e per un anno fu
direttore dell'omonima libreria in Roma. Dopo averne rivisto la raccolta
di opere e manoscritti in Weimar, Colli e M. decisero di iniziarne una nuova
edizione critica. Essa divenne lo standard per gli studiosi, e fu pubblicata in
da Adelphi. Per questo lavoro fu preziosa la sia abilità nel decifrare la
scrittura a mano (praticamente incomprensibile) di Nietzsche, fino a quel
momento trascritta solo da "Gast“ (Köselitz). Fonda la rivista
Nietzsche-di cui fu coeditore. Attraverso le sue traduzioni ed i suoi commenti
di Nietzsche, diede un contributo fondamentale alla ricerca storica e
filosofica, inserendo Nietzsche nel contesto del proprio tempo. Saggi: “Che
cosa ha detto Nietzsche” Roma, Ubaldini,
ripubblicato come “Che cosa ha detto
Nietzsche,” [Grice: “I convinced Montinari that ‘veramente’ is a trouser word
and should be avoided!” -- Campioni, Milano, Adelphi. Su Nietzsche, Roma,
Riuniti, Teoria della Natura, Torino,
Boringhieri, Milano, SE, F Nietzsche,
Lettere a Rohde, Torino, Boringhieri, Nietzsche, Opere, (Milano, Adelphi, Nietzsche, Il caso Wagner: Crepuscolo degli
idoli; L'anticristo; Scelta di frammenti, S. Giametta, Ferruccio Masini,
Giorgio Colli, Milano, Mondadori Editore, Ecce homo; Ditirambi di Dioniso;
Nietzsche contra Wagner; Poesie e scelta di frammenti postumi, Milano, A.
Mondadori, Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Milano, Adelphi, Epistolario
di Nietzsche, Pampaloni Fama, Milano, Adelphi,
Nietzsche, Scritti, Milano, Adelphi, Schopenhauer, La vista e i colori
Carteggio con Goethe,Abscondita, Nota
introduttiva a Genealogia della morale, Nietzsche e Van Gogh, due cardini del
pensiero occidentale moderno di Bettozzi
(Liberal democaratici), su liberal democratici.. «Tant qu'il ne fut pas possible aux
chercheurs les plus sérieux d'accéder à l'ensemble des manuscrits de Nietzsche,
on savait seulement de façon vague que La Volonté de puissance n'existait pas
comme telle (...) Nous souhaitons que le jour nouveau, apporté par les inédits,
soit celui du retour à Nietzsche.» (Deleuze)
Aveva infatti ottenuto una borsa di studio della Scuola Normale
Superiore a Francoforte sul Meno.
Rinascita Che era stato il suo maestro. Giuliano Campioni, Dizionario
Biografico degli Italiani stituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Giuliano
Campioni, Giuliano Campioni, Lanata, Esercizi di memoria, Bari, Levante,
(notizie su M. M. nell'articolo su Colli anche a proposito dell'Enciclopedia di
autori classici, Boringhieri, progettata e diretta da Colli e a cui M. M.collaborò).
Paolo D’Iorio, L'arte di leggere Nietzsche, Firenze, Ponte alle grazie,Giuliano
Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell'edizione critica
Colli-Montinari. Con lettere e testi inediti, Pisa, M.: l'arte di leggere
Nietzsche Paolo D'Iorio, Pubblicato da Ponte alle grazie, Studi germanici — Di
Istituto italiano di studi germanici — Pubblicato da Edizioni dell'Ateneo,
Originale disponibile presso la l'Università della Virginia — "M.,
Nietzsche", di Tuca Giuliano Campioni, Da Lucca a Weimar: M. e Nietzsche
in Nietzsche. Edizioni e interpretazioni,
Fornari, ETS, Pisa, Die "ideelle Bibliothek Nietzsches". Von
Charles Andler M. Pensiero di Schopenhauer Roscani Torino#Filosofi Giuliano
Campioni, M., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Opere di M.,
Centro interdipartimentale di studi Colli-M. su Nietzsche e la Cultura Europea
— Pisa, Lecce, Padova e Firenze (Centronietzsche.net), su centronietzsche.net.
Grice: “Montinari is right that ‘la volonta di potenza’ ‘n’existe pas’ –
vacuous name. Torna a Surriento. Mazzino Montinari. Montinari. Refs. Luigi
Speranza, “Grice e Montinari: l’implicatura di Nietzsche” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Monte: l’implicatura
conversazionale – la prospettiva e la filosofia della percezione -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Grice: “I like to illustrate a ‘scientific revolution’ with Del
Monte’s refutation on the equilibrium controversy, since it involves a lot of
analyticity that only a philosopher can digest!” -- essential Italian
philosopher. Il marchese Guidubaldo Bourbon Del Monte (Pesaro), filosoMecanicorum
liber, Suo padre, Ranieri, originario da un famiglia benestante di Urbino,
discendente dalla schiatta dei Bourbon del Monte Santa Maria, fu notato per il
suo ruolo bellico e fu autore di due libri sull'architettura militare. Il duca
di Urbino, Guidobaldo II della Rovere, gli attribuì, per meriti, il titolo di
Marchese del Monte, dunque la famiglia divenne nobile solo un generazione prima
di Guidobaldo. Alla morte del padre, ottenne il titolo di Marchese. Studia
matematica a Padova. Mentre era lì, strinse una grande amicizia con Tasso. Combatté
nel conflitto in Ungheria, tra l'impero degli Asburgo e l'Impero Ottomano. Al
termine della guerra, torna nella sua tenuta a Mombaroccio, vicino Urbino, dove
passava i giorni studiando matematica, meccanica, astronomia e ottica. Studia
matematica con l'aiuto di Commandino. Divenne amico di Baldi, che fu anch'esso
studente di Commandino. Ispettore delle fortificazioni del Granducato di
Toscana, pur continuando a risiedere nel Ducato di Urbino. In quegli anni, corrisponde con numerosi
matematici inclusio Contarini, Barozzi e
Galilei e con alcuni di loro si dice
abbia avuto anche relazioni più che professionali. L'invenzione per la costruzione di poligoni
regolari e per dividere in un numero determinato di segmento qualsiasi linea fu
incorporata come caratteristica del compasso geometrico e militare di Galileo.
Proprio fu fondamentale nell'aiutare Galilei nella sua carriera, che e un promessa
ma disoccupato. Raccomanda il toscano al suo fratello Cardinale, che a sua
volta parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la
sua protezione, Galileo ha una cattedra di matematica all'Pisa. Guidobaldo
divenne un amico fidato di Galileo e lo aiutò nuovamente quando dovette
necessariamente fare domanda per poter insegnare matematica all'Padova, a causa
dell'odio e della macchinazione di Giovanni de' Medici, un figlio di Cosimo de'
Medici, contro Galileo. Nonostante la loro amicizia, M. fu un critico di alcune
teorie di GALILEI, come quella relativa alla legge dell'isocronismo delle oscillazioni.
Compone un importante saggio sulla prospettiva, “Perspectivae Libri VI”, pubblicato
a Pesaro che ha ampia diffusione. E sicuramente, anche secondo il parere di
Galileo, uno dei massimi studiosi di meccanica e matematica. “Mechanicorum
liber”. Pisauri. Saggi: “Mechanicorum” (Pisauri, Girolamo Concordia – Venezia,
Deuchino -- Mecanicorum); “Plani-sphaeriorum universalium theorica” (Pisauri,
Girolamo Concordia); “De ecclesiastici calendarii restitutione" (Pisauri,
Girolamo Concordia); “La prospettiva” (Pisauri, Girolamo Concordia -- Roma); “Problematum
astronomicorum” Venezia, Giunta); De cochlea,” Venezia, Deuchino); “Le mechaniche nelle quali si contiene la dottrina
di tutti gl’istrumenti principali da mover pesi grandissimi con picciola forza”
(Venezia, Franceschi); “Lettere”
(Venezia); “La teoria sui planisferi universali” (Firenze). Galileo (che nel
frattempo era stato molto probabilmente anche suo ospite) puo occupare la
cattedra di Padova, grazie anche all’intervento delduca., che nell’ambiente
veneto poteva contare, oltre che sull’amicizia di un Contarini e di un Pinelli,
sull’autorità e l’influenza di M., generale delle fanterie della
Repubblica": Fondazione cardinal Francesco maria delmonte -- guidobaldo-del-monte.
A. Giostra, La stella o cometa nelle lettere a Giordani, Giornale di
Astronomia. Galilei. Guidobaldo II della Rovere Mombaroccio, Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There possibly is no
equivalent to perspective for the other senses. Prospettiva, as the Italians
call it. They are obsessed with it. Consider the human body. Consider Apollo
del Belvedere – it is not just a body perceiving another body, there is a
perspectival side to it!” Giambattista del Monte. Guido Ubaldo de’ marchesi Del
Monte; Guidobaldo Del Monte. Monte. Keywords: implicature, perspective in
statuary. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Monte," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Moramarco: l’implicatura conversazionale
della tradizione massonica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio nell’Emilia). Filosofo italiano. Grice: “Unlike Moramarco, what most
people know about massoneria is via “Il flauto magico”!” Grice: “Moramarco
analyses massoneria aa a philosophical cult, talking about ‘brotherly link’
‘vincolo fraterno’ – he has unearthed a few fascinating details about
massoneria in Italy. Esponente della Massoneria te assertore di una sintesi
religiosa tra Mazdeismo e Cristianesimo. Discende da un'antica famiglia di
Altamura, di ascendenze latino-germaniche, cresciuta e ramificatasi durante il
dominio dei Farnese. Studioso di Massoneria, ha scritto la Nuova Enciclopedia
Massonica in tre volumi, importante testo di ricerca massonologica. Un suo
precedente volume, La Massoneria ieri e oggi fu tra i primi, sull'argomento,
pubblicati in Russia dopo il crollo del regime sovietico, che aveva proscritto
le Logge. Iniziato nel Grande Oriente d'Italia, divenne Maestro
Venerabile della Loggia Intelletto e Amore, ricevette la decorazione all'Ordine
di Bruno, conferita a quanti si distinguono nello studio e nella diffusione
degli ideali massonici. Coordinatore scientifico del Convegno
Internazionale anni di Massoneria in Italia, al quale parteciparono studiosi
quali Paolo Ungari, Alessandro Bausani, Mola, Basso, Roversi Monaco, Ricca. Il
convegno fiorentino costituì la prima risposta pubblica, da parte della
Comunione massonica di Palazzo Giustiniani, alle degenerazioni della P2.
Nello stesso anno, in qualità di Garante d'Amicizia tra il Grande Oriente d'Italia
e la Grand Lodge of South Africa, richiese, d'accordo con il Gran Maestro
Armando Corona, che tutte le Logge sudafricane, peraltro già avviate in tale
direzione (quando un gruppo di Liberi
Muratori della Massoneria Prince Hall era stato ammesso nella Loggia "De
Goede Hoop" di Cape Town), abrogassero l'apartheid, scelta che esse
fecero, qualificandosi tra le prime associazioni bianche a superare la
segregazione razziale. Uscì dal Grande Oriente d'Italia, rigettandone il
laicismo, per ravvivare i nuclei massonici di impronta cristiana e
spiritualista, che assunsero la denominazione Real Ordine degli Antichi Liberi
e Accettati Muratori. Su tale concezione della Massoneria ha scritto La via
massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide e cristiano (), un
testo dal quale emerge, fra l'altro, l'importanza della devozione alla Vergine
Maria, come madre del Cristo ed espressione umana della divina Sophia, nella
genesi della spiritualità massonica. Ha ricostruito le vicende della Gran
Loggia d'Italia, l'altra associazione maggioritaria di Liberi Muratori in
Italia, nel volume Piazza del Gesù. Documenti rari e inediti della tradizione
massonica italiana, contribuendo in seguito alla realizzazione di programmi
tematici per varie emittenti televisive, tra le quali Rossija 24, Reteconomy e
È TV Rete7. Ha conseguito il 33º grado del Rito scozzese antico ed
accettato e il VII del Rito filosofico italiano, che nel secondo decennio del
Novecento vide tra le sue fila i neopitagorici Arturo Reghini e Amedeo Rocco
Armentano. Fonda in Italia l'Antico Rito Noachita su patente ricevuta
presso il British Museum dall'ex Maestro Venerabile della Loggia
"Heliopolis" di Londra. Ha realizzato una colonna sonora per i
rituali massonici, dal titolo Masonic Ritual Rhapsody. presso la Loggia
"Gottfried Keller" di Zurigo, è stato ricevuto come membro
nell'Independent Order of Odd Fellows. Già attivo con Joseph L.
Gentili, editore del newsletter Brooklyn
Universalist Christian, in un progetto di restaurazione della Chiesa Universalista
d'America, contro la deriva liberal di quel movimento, ha ricevuto il navjote
zoroastriano. Nel volume Il Mazdeismo Universale propone una visione eclettica
di tale religione, collegando ad essa elementi del misticismo ebraico, del
dualismo platonico e cristiano, del buddhismo Mahāyāna, e riconoscendo in Gesù
il saoshyant (divino soccorritore, messia) profetizzato dall'antica religione
iranica, in una prospettiva teologica di tipo mazdeo-cristiano, intorno alla
quale si è formata una Fraternità Mazdea Cristiana. Si è avvicinato alle
correnti latitudinaria e mistica dell'Anglicanesimo e al percorso religioso di
Loyson, confluendo in una comunità religiosa di orientamento eclettico, ove ha
potuto conservare la doppia appartenenza, cristiana e zoroastriana. Entro tale
gruppo, che nel gennaio ha assunto la
denominazione Reformed Cloister of the Holy SpiritUnione Riformata
Universalista, è un oblato di San Pellegrino delle Alpi, secondo la Regola che,
ispirandosi alle tradizioni fiorite intorno alla vita di quell'eremita del
Cristianesimo celtico, contempla almeno un atto quotidiano "di giustizia,
o di soccorso fraterno" anche nei riguardi di animali e piante.
Laureatosi cum laude in Filosofia presso l'Bologna,, con una tesi sul pensatore
indiano Sri Aurobindo (relatore il noto indologo e sanscritista Giorgio Renato
Franci), nella seconda metà degli anni Ottanta si è formato in Training
autogeno e Psicoterapia con la procedura immaginativa sotto la guida di Luigi
Peresson. Ha trattato dei nessi tra Zoroastrismo e Cristianesimo nei
libri La celeste dottrina noachita (e I Magi eterni, di fenomenologia del sacro
ne L'ultima tappa di Henry Corbin e di tanatologia in Psicologia del morire. Ha
scritto sulle esperienze di autogestione dei lavoratori nel mondo e sui
rapporti tra socialismo e religione per Azione nonviolenta, la rivista fondata
da Aldo Capitini. Con il saggio Per una rifondazione del Socialismo partecipò
al simposio "Marxismo e nonviolenza" (Firenze) nel quale
intervennero, tra gli altri, Norberto Bobbio e Roger Garaudy. -- è un
sostenitore della lingua ausiliaria internazionale Esperanto. Ha aderito al
gruppo esperantista bolognese "Achille Tellini". In ambito
narrativo, ha scritto Diario californiano e Torbida dea. Si è occupato di
storia dello spettacolo, scrivendo I mitici Gufi, sul celebre quartetto di
cabaret degli anni sessanta, e partecipando all'allestimento del programma
Gufologia per Rai Sat; con l'ex "Gufo" Roberto Brivio ha collaborato
sia nella riproposta del repertorio del gruppo in teatri e circoli culturali,
sia nella realizzazione di un laboratorio teatrale e musicale che vide
attivamente coinvolti numerosi alunni portatori di disabilità, presso
l'Istituto medio superiore in cui insegnò psicologia. Ha inciso quattro
CD, Allucinazioni amorose (meno due), Gesbitando, Come al crepuscolo l'acacia e
Existenz, che contengono sue canzoni e brevi suites strumentali, ricevendo il
plauso, tra gli altri, di critici come Maurizio Becker, Mario Bonanno (Musica
& Parole) e Salvatore Esposito (Blogfoolk), di autori come Bruno Lauzi,
Ernesto Bassignano, Giorgio Conte e dei jazzisti Giulio Stracciati e Shinobu
Ito. Nel dicembre è stato chiamato
da Luisa Melis, figlia e continuatrice dell'opera di Ennio Melis, il patron
della RCA Italiana, a far parte della giuria del Premio De André. Saggi: “La Massoneria” (Vecchi, Milano), “La
Massoneria: cronaca, realtà, idee (Vecchi, Milano), “Per una rifondazione del
socialismo, in: Marxismo e non-violenza (Lanterna, Genova) – PARTITO SOCIALISTA
ITALIANO --; “La Libera Muratoria” (Sugar, Milano); “La Massoneria. Il vincolo fraterno
che gioca con la storia” (Giunti, Firenze) Diario (Bastogi, Foggia) Grande
Dizionario Enciclopedico POMBA (Torino); Antroposofia, Besant, Cagliostro,
Radiestesia, ecc.). L'ultima tappa di Henry Corbin, in Contributi alla storia
dell'Orientalismo, Franci (Clueb, Bologna) “La Massoneria in Italia” (Bastogi,
Foggia) Enciclopedia Massonica (Ce.S.A.S., Reggio E.; Bastogi, Foggia); Psicologia
del morire, in I nuovi ultimi
(Francisci, Abano Terme) Piazza del Gesù. “Documenti rari e inediti della
tradizione massonica italiana” (Ce.SA.S. Reggio Emllia); Sette Lodi Massoniche
alla Beata Vergine Maria (Real Ordine A.L.A.M., Reggio Emilia) La celeste
dottrina noachita (Ce.S.A.S, Reggio E.) I mitici Gufi (Edishow, Reggio Emilia);
“Torbida dea. Psicostoria d'amore, fantomi & zelosia (Bastogi, Foggia); Il
Mazdeismo Universale. Una chiave esoterica alla dottrina di Zarathushtra
(Bastogi, Foggia ) I Magi eterni. Tra Zarathushtra e Gesù (Om, Bologna ) La via
massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide (Om, Bologna )
Massoneria. Simboli, cultura, storia (consulenza scientifica di M.M.) (Atlanti
del Mistero/Giunti-Vecchi, Firenze ) Introduzione alla Libera Muratoria
(Settenario, Bologna ) Musica Allucinazioni amorose (meno due) (Bastogi Music Italia) (Bastogi Music Italia)
Gesbitando, (Bastogi Music Italia ) Come al crepuscolo l'acacia (Heristal Entertainment, Roma ) Existenz
((Heristal Entertainment, Roma ). Note
Aplogruppo Mola, Un valido impulso per una Massoneria "à parts
entières", in 250 anni di Massoneria in Italia, F. Ferrari, La Massoneria
verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) v. ) Una breve rassegna di testi fondamentali
sulla Massoneria si trova sul sito del Cesnur diretto da Massimo Introvigne.
Vedi anche le recensioni di E. Albertoni ne Il Sole 24 Ore, inserto domenicale,
e di G. Caprile ne La Civiltà Cattolica, Il volume fu pubblicato nell’anno
della dissoluzione dell'URSS, dalla casa editrice Progress, V. Brunelli,
Massoneria: è finito con la condanna della P2 il tempo delle logge e dei
"fratelli" coperti, in Corriere della sera, Il Corriere della Sera
dedicò un lungo articolo allo "scisma" (v. ). Del Real Ordine
A.L.A.M. si è occupato anche il centro di ricerca Cesnur, diretto dal noto
storico e sociologo delle religioni Massimo Introvigne,
v.//cesnur.org/religioni_italia/a/ appendice_02.htm. Il termine Real non aveva
alcun riferimento alla storia italiana, ma si richiamava alla leggenda,
contenuta negli Antichi doveri, secondo cui l'Ordine Massonico ricevé le sue
proto-costituzioni dal re Atelstano d'Inghilterra (Æðelstan); recentemente il
Real Ordine ha assunto la denominazione di Unione Cristiana dei Liberi
Muratori Rito filosofico italiano Antico Rito Noachita Masonic Ritual Rhapsody, Bastogi Music
Italia, youtube.com/watch?v=rSs0 4kpA36U. A questa esperienza è collegata la
sua iscrizione alla SIAE come autore musicale
Del percorso che lo ha condotto verso la visione di Zoroastro
(Zarathushtra) si è occupata la rivista parsi di Bombay, Parsiana, così come il
quotidiano torinese La Stampa v. mazdeanchristian.wordpress.com/ latitudinarismo, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, v.
riformati universalisti.wordpress // In questa comunità si ritrovano, su vari
temi, idee tratte dal Manicheismo, dall'Arianesimo, dal Quaccherismo,
dall'Unitarianismo, dal Giurisdavidismo e dall'universalismo hindu-cristiano
del movimento Navavidhan fondato da Keshab Chandra Sen. Frequenti e
significativi sono altresì i riferimenti al pensiero di aint-Martin e alla
"religione aperta"o della "compresenza dei morti e dei
viventi"elaborata da Capitini, Stracciati
Ito E. Albertoni, Tante fedi,
nessun dogma (recensione della Nuova Enciclopedia Massonica, Il Sole 24 Ore,I,
inserto culturale domenicale) M. Chierici, Nasce la Lega dei Venerabili
(Corriere della Sera) S. Esposito, Dalle radici del Mazdeismo all'Alleanza
Mazdea CristianaIntervista con M. (in Secreta Magazine S. Esposito, Gesbitando:
intervista con M. (Blogfoolk) F. Ferrari, La Massoneria verso il futuro (una
conversazione con M.) (Bastogi, Foggi8) S. Semeraro, Tra la via Emilia e l'Est.
Così parlò Zoroastro (La Stampa, Torino) S. Sari, Unico e plurimo al contempo,
Dio secondo gli Zoroastriani [intervista a M.M.](Libero) G. Giovacchini,
Cultura e spiritualità della Massoneria italiana nella seconda metà del '900
[prefazione di M.] (Tiphereth, Acireale-Roma )
Zoroastrismo Universalismo Massoneria Rosacroce michelemoramarco. blog del Real Ordine A.L.A.M., su
realordine.wordpress.com. Pagina sul sito di Heristal Entertainment, su
heristal.eu. blog degli anglicani latitudinari, su
riformatiepiscopali.wordpress.com. Grice: “The Romans are obsessed with what
Moramarco calls ‘paganesimo romano’ – the word ‘pagano’ only makes sense in
opposition to Christ. It would be very inappropriate of the greatest Italian
philosopher ever, Antonino, to consider his self pagan!” -- Michele Moramarco.
Moramarco. Keywords: la tradizione massonica italiana. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moramarco” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moravia: l’implicature conversazionali dei ragazzi
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Grice: “I like Moravia: he has philosophised on what makes us
‘human,’ (“il pungolo dell’umano”) – his analysis of ‘il ragazzo selvaggio’ is
sublime – and he has played with ‘reason,’ hidden and strutturata – and the
universi di senso with which I cannot but agree! – provided we don’t multiply
them ad infinitum!” -- Grice: “I like Moravia’s
idea of ‘la ragione nascosta’ – you have indeed to seek and thou shalt find!”
-- “Il Nietzsche che prediligo è il Nietzsche terreno, umano, presente nel
tempo. È il Nietzsche intrepido esploratore del sottosuolo dell'uomo e dei
disagi della civiltà. È il Nietzsche che fertilmente e sofferentemente (non
narcisisticamente) vive e pensa il nichilismo: ma per andare oltre il
nichilismo. È soprattutto il Nietzsche cheneo-illuminista forse malgrado
luivuole conoscere, capire, dare un (nuovo) senso alle cose.” Professore a
Firenze. Allievo diGarin, si è formato
in ambiente fiorentino conseguendovi la laurea in filosofia nel 1962 con tesi
su Gian Domenico Romagnosi. Professore incaricato, è poi diventato ordinario di
Storia della Filosofia all'Firenze. Nel
corso della sua carriera, si è interessato particolarmente dell'illuminismo
francese e del pensiero del Novecento, della storia e dell'epistemologia delle
scienze umane, con particolare attenzione all'antropologia, la filosofia della
mente e l'esistenzialismo. I suoi studi e le sue ricerche hanno aperto nuove
prospettive interdisciplinari fra pensiero filosofico e scienze umane. Attualmente, le sue attenzioni sono rivolte
verso l'opera e il pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche del quale pubblica
già una celebre antologia dal titolo La distruzione delle certezze e, nel 1985,
una raccolta di saggi intitolata Itinerario nietzscheano. Proprio un nuovo modo
di avvicinarsi e concepire il pensiero del filosofo tedesco lo hanno reso uno
dei suoi interpreti più originali e più discussi. Grazie ai suoi studi e contributi filosofici,
è stato visiting professor presso l'Università della California a Berkeley,
l'Università del Connecticut a Storrs e il Center for the Humanities della
Wesleyan University. Conferenziere
presso altre sedi universitarie americane (fra le quali, Harvard, UCLA, Boston)
ed europee (Francia, Belgio, Germania), è cofondatore della “Società italiana
degli studi sul XVIII secolo”, nonché membro del Comitato direttivo delle
Riviste filosofiche “Iride” e “Paradigmi”. Collabora ai giornali Corriere della
Sera, Quotidiano nazionale, La Repubblica. Saggi: “Il tramonto dell'Illuminismo
-- filosofia e politica” (Laterza, Roma); “La ragione nascosta” (Sansoni,
Firenze); La scienza dell'uomo” (Laterza, Roma); “L’antropologia strutturale” (Sansoni,
Firenze); “Esistenziale” (Laterza, Roma); “La teoria critica della società” (Sansoni,
Firenze); “Gl’idéologues -- scienza e filosofia” (Nuova Italia, Firenze); “La
distruzione delle certezze” (Nuova Italia, Firenze); “Linguaggio, scuola e
società not ‘storia’! -- Guaraldi, Firenze); “Filosofia e scienze umane
nell'età dei Lumi” (Sansoni, Firenze); “Pensiero e civiltà” (Monnier, Firenze);
“Il ragazzo selvaggio dell'Aveyron.” Pedagogia e psichiatria nei testi di
Itard, Pinel e dell'anonimo della "Décade" (Laterza, Roma); “Itinerario
nietzscheano, Guida, Napoli); Educazione e pensiero, Monnier, Firenze,
Filosofia: storia e testi, Monnier, Firenze, “L'enigma dell’animo” Laterza,
Roma); Compendio di filosofia, Monnier,
Firenze, L'enigma dell'esistenza -- soggetto, morale, passioni nell'età del
disincanto, Feltrinelli, Milano, L'esistenza ferita -- modi d'essere,
sofferenze, terapie dell'uomo nell'inquietudine del mondo, Feltrinelli, Milano,
Filosofia dialettico-negativa e teoria critica della società, Mimesis, Milano;
“Ragione strutturale e universi di senso” (Lettere, Firenze); “La Massoneria.
La storia, gli uomini, le idee, Mondadori, Milano); “Firenze e l’Umanesimo.
Arte, cultura, comunicazione” (Lettere, Firenze); Lo strutturalismo, Lettere,
Firenze); “Filosofia e psicoanalisi (POMBA, Torino); “L'universo del corpo,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma,
“Animo e realtà psichica” (Borla, Roma, "L'esistenza e il
male", in: "Mysterium
iniquitatis", Gregoriana, Padova, Linterpretazione
personologico-esistenziale dell'uomo", in:
La questione del soggetto tra filosofia e scienze umane, Monnier,
Firenze) – PERSONOLOGIA – PIROTOLOGIA – Grice, persona -- Lettura
Magistrale" al Convegno Dalla riabilitazione psicosociale alla promozione
della salute(Montecatini), "S.I.R.F. News", "Mente, soggetto,
esperienza nel mondo", in La filosofia italiana in discussione -- La
filosofia italiana in discussione, Società Filosofica Italiana, Firenze), Bruno
Mondadori, Milano, "Crisi della cultura e relazioni generazionali nel
mondo contemporaneo", in Giovani e adulti: prove di ascolto, Sansepolcro
(AR), "La filosofia degli idéologues. Scienza dell'uomo e riflessione epistemological,
Letteratura italiana tra illuminismo e romanticismo, Convegno, Italianistica,
Padova, "Libertà, finitudine,
impegno -- genesi e significato della responsabilità nel mondo", in: V.
Malagola Giustizia e responsabilità (Convegno, Firenze), Giuffré Milano, "Dal soggetto persona alla relazione
interpersonale", Maieutica, De-mitizzazione e de- valorizzazione. La crisi
della 'forma famiglia' nella società", in: Interazioni, "Illuminismo
e modernità", Hiram, "Prove d'ascolto. Crisi della cultura e
relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", Studi sulla formazione, "La
guerra giusta", Hiram, "La
filosofia, la conoscenza dell'umano, il dialogo col pensiero religioso",
Hiram, "Esistenza e felicità", Hiram, "L'Occidente e la pace.
Luci e ombre all'alba del terzo millennio", Hiram,"La filosofia e il
suo 'altro'. La riflessione metafilosofica di Adorno in 'Dialettica
negativa'", Iride, "L'uomo:
una storia infinita", in: Per una
scienza dell'umano, Arezzo,
"L’'interpretazione personologico-esistenziale dell'uomo" –
PERSONALOGIA – Grice, PERSONA. in: L. Neuro-fisiologia e teorie della mente,
Vita & Pensiero, Milano, "La scoperta dell'inconscio, l'ambiguità del
freudismo e il lavoro della psicoanalisi sull'animale, Convegno "Meta-psicologia”,
Napoli, La Biblioteca, Bari, "Un mondo negato. L'assolutizzazione del
corpo nella psico-umanologia contemporanea", UMANOLOGIA – ibrido -- Hermeneutica,
Corpo e persona, "Complessità, pluralità, confini", in: Dal
coordinatore al coordinamento,Coordinatori pedagogici in Emilia-Romagna,
Assessorato Servizi Sociali, Bologna, Bruno Maiorca, Filosofi italiani
contemporanei. Parlano i protagonisti, Bari, Dedalo, su sapere, De Agostini. Gran Loggia del GOI
dal titolo "Tu sei mio fratello" Registrazione video della Lectio
Magistralis "Al di qua del bene e del male Nietzsche esploratore
dell'umano" Modena e Reggio Emilia Tavola rotonda del GOI "Pedagogia
delle libertà Libertà civili" Convegno del GOI "La scienza non sia
ostacolata dall'ideologia, dalla politica e dalla religione" tavola
rotonda della Comunità Oasi "Significato e funzione della pena, della
punizione e della penitenza nella promozione umana e sociale" "Catturati dall'effimero?"
all'interno del Convegno Giovanile alla Cittadella di Assisi" dsu
arcoiris. Moravia. Keywords: ragazzi, personologia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moravia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mordacci: l’implicatura convresazionale e la
norma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “I like Mordacci – in a way, like I did with J. L. Mackie,
Mordacci opposes both ‘assolutismo’ and ‘relativismo’ – and tries to
‘construct’ an ‘inter-personal’ reason out of a full-fledged personal reason.
Whereas it would seem that we enjoin the principle of conversational
helpfulness out of altruism, there is this balance between conversational
self-love and conversational other-love; and we only ‘respect’ the other that
respects us as ‘pesonal;’ against Apel, the logic of the inter-personal reduces,
in a complex way, to the logic of the personal; without it, we would be
annihilating the autonomy of the will.” Grice: “I like Mordacci’s emphasis on
reason for normativity – interpersonal reason, as he calls it!” È preside della
Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele dove è Professore
di Filosofia Morale. È Direttore del Centro Internazionale di Ricerca per
la Cultura e la Politica Europea. Laurea in filosofia presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottorato in bioetica presso l'Università
degli Studi di Genova. Ha svolto attività di ricerca e insegnamento presso la
Scuola di Medicina e Scienze Umane dell'Istituto Scientifico Ospedale San
Raffaele. Insegnato presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, prima presso
la Facoltà di Psicologia e dal 2002 presso la Facoltà di Filosofia che ha
contribuito a fondare insieme con Massimo Cacciari, Edoardo Boncinelli, Michele
Di Francesco, Andrea Moro. Ha contribuito a progetti di ricerca ed è stato
membro del Consiglio d'Europa per l'insegnamento della bioetica. Dal è preside della Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, essendo stato rieletto nel
giugno per il secondo mandato.
Membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le
Scienze per la Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal al è
stato membro del Comitato Scientifico per EXPO
come delegato del Rettore dell'Università Vita-Salute San Raffele.
Dal è membro della Commissione per
l'Etica della Ricerca e la Bioetica del consiglio nazionale delle ricerche e
del consiglio direttiva della Società Italiana di Filosofia Morale. Si è
dedicato in particolar modo dei temi: "Etica e ragioni morali",
"Etica pubblica e rispetto", "Neuroetica". Attraverso
l'indagine delle "ragioni morali" e dell'"identità
personale" e ispirandosi alla filosofia kantiana, propone una forma di
"personalismo critico" in base alla quale il fondamento
dell'esperienza morale viene individuato nella ricerca, che ognuno compie,
delle "buone ragioni" che danno forma alla propria individualità
personale attraverso l'agire. Riconoscere ogni persona come autrice della
propria identità fonda un'etica del rispetto delle persone in quanto a ogni
individuo viene riconosciuto il diritto e il dovere di esprimere le proprie
abilità e costruire la propria personalità. Si è inoltre occupato di
bioetica essendo anche stato coordinatore del progetto Bioetica della genetica:
questioni morali e giuridiche negli impieghi clinici, biomedici e sociali della
genetica umana del Miur (FIRB, Tra i suoi interessi più recenti, la disciplina
della Film and Philosophy: la riflessione su come i film possono fare filosofia
e se possono argomentare vere e proprie tesi filosofiche. In questo contesto ha
dato vita al Laboratorio di Filosofia e Cinema presso la Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, conduce il sabato pomeriggio la
rubrica "Al cinema col Filosofo" su TgCom24 (stagioni - e -) e la
rubrica "Imparare ad amare i film" all'interno di Cinematografo
Estate () su Rai 1. Riviste È membro del comitato scientifico
dell'Annuario di Etica (ed. Vita e Pensiero), dell'Annuario di Filosofia (ed.
Mimesis) e della rivista online Etica & Politica. Dalla sua
fondazione è membro del Comitato Scientifico della rivista scientifica a cura
del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi. Attività teatrale
Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell'io moderno, Eloisa e Abelardo:
passione e negazione, Occidente, o identità fragile: Auster e le Follie di
Brooklyn, analisi filosofiche con letture sceniche, ciclo "Aperitivi con
Sophia", Teatro Franco Parenti,La violenza e l'ingiustiziaGorgia, ciclo
"Filosofi a teatro" M., Teatro Franco Parenti, L'individuo, la
libertà e il perdono. Hegel legge Dostoevskij, lettura scenica di M. e Sorel,
ciclo l'Intelligenza e la Fantasia, Teatro Strehler,L'isola della verità.
Divagazioni fotografiche e filosofiche, lettura scenica di M., Traini e
Stepparava, Cluster Isole, Mare e Cibo, Padiglione P03-Expo Milano (Rho-Fiera), Kant e il mare, lettura scenica
di Roberto Mordacci e Francesca Ria, agosto
Saggi:“Bio-etica della sperimentazione,” Angeli, Milano; “Salute e bio-etica,”
Einaudi, Milano); “Una introduzione alle teorie morali,” Feltrinelli,
Milano, La vita etica e le buone
ragioni, Mondadori, Milano, “Ragioni personali, ragione inter-personali: Saggio
sulla normatività morale,” Carocci, Milano, Elogio dell'Immoralista, Mondadori,
Milano; Rispetto, Cortina, Milano. Bioetica, Mondadori, Milano. L'etica è per
le persone, San Paolo, Cinisello Balsamo. Al cinema con il filosofo. Imparare
ad amare i film, Mondadori, Milano. La condizione neomoderna, Einaudi, Torino,.
Ritorno a utopia, Laterza, Bari,. Note
Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Governo/bioetica, su
governo.M., su Le Università per Expo,Commissione per l’Etica della Ricerca e
la Bioetica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, su cnr. Organi della società | SIFM, su sifm.
Intervista a L'accento di Socrate, su laccentodi socrate. Rai 1, Cinematografo estate, su rai.tv. Scienza e etica: in uscita la nuova rivista
della Fondazione Veronesi, su Fondazione Umberto Veronesi. Chi siamo
su scienceandethics. fondazioneveronesi. Feeding the Mind: Expo-Bicocca
Conversation Hour, su unimib. Lettura scenica de "I Sensi del Mare",
su//elbareport. 1 Pearson Imparare sempre su pearson. 1º agosto. Bioetica Mordacci Robertoe Book Mondadori
BrunoSai cos'è?FilosofiaePubIBS, su ibs. L'etica è per le personeEdizioni San
Paolo, su edizionisanpaolo. Riflessioni
sul senso della vita intervista di Ivo Nardi, sito "Riflessioni",
settembre. Ci vuole più rispetto intervista a Roberto Mordacci, Famiglia
Cristiana. Ma l'etica non è un'intrusa, intervista a Roberto Mordacci,
Avvenire, Ora smettiamola di parlare inglese, intervista a Roberto Mordacci, Il
Giornale. Mordacci. Keywords: la norma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mordacci” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Morelli – l’implicatura conversazionale e la
filosofia del digiuno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: ‘I once told
Austin, I don’t give a hoot what the dictionary says;’ ‘And that’s where you
make your big mistake,’ his crass response was!” -- Grice: “I once told
Ackrill, ‘should there be a manual of philosophy, must we follow it?’ He
replied, “One thing is to know the manual, another is to know how to abide by
it!” Si laurea a Pavia e l'anno dopo assolve all'obbligo di leva a
Trieste dove presta attenzione alle problematiche relazionali dei militari
nello svolgimento delle proprie mansioni; si è poi specializzato in Psichiatria
presso l'Università degli Studi di Milano. Direttore dell'Istituto Riza, gruppo
di ricerca che pubblica la rivista Riza Psicosomatica ed altre pubblicazioni
specializzate, con lo scopo di "studiare l'uomo come espressione della
simultaneità psicofisica riconducendo a questa concezione l'interpretazione
della malattia, della sua diagnosi e della sua cura". Inoltre è direttore
delle riviste Dimagrire e Salute Naturale. Dall'attività dell'Istituto
Riza è sorta anche la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad indirizzo
psicosomatico, riconosciuta ufficialmente dal Ministero dell'università e della
ricerca scientifica e tecnologica. Vicepresidente della Società Italiana di
Medicina Psicosomatica. Partecipa a numerose trasmissioni televisive sia per la
RAI sia per Mediaset (Maurizio Costanzo Show, Tutte le mattine, Matrix, ecc.) e
per la radio. Nelle sue opere ci sono molti riferimenti alle dottrine
orientali. Saggi: “Verso la concezione di un sé psico-somatico. Il corpo è come
un grande sogno della mente (Milano, UNICOPLI, Milano, Cortina); La dimensione
respiratoria. Studio psico-somatico del respiro, inspiro, expiro – spiro -- Milano, Masson Italia, Dove va la medicina
psico-somatica (Milano, Riza); Il sacro.
Antropoanalisi, psico-somatica, comunicazione, Milano, Riza-Endas, Convegno
internazionale Mente-corpo: il momento unificante. Milano, Atti, Milano,
UNICOPLI, Riza, I sogni dell'infinito, Milano, Riza, Autostima. Le regole
pratiche, Milano, a cura dell'Istituto Riza di medicina psicosomatica, Il
talento. Come scoprire e realizzare la tua vera natura, Milano, Riza, Ansia,
Milano, Riza, Insonnia, Milano, Riza, Cefalea, (Milano, Riza); Lo psichiatra e
l'alchimista. Romanzo, Milano, Riza, Le nuove vie dell'autostima. Se piaci a te
stesso ogni miracolo è possibile, Milano, Riza, Conosci davvero tuo figlio?
Sconosciuto in casa. Dal delitto di Novi Ligure al disagio di una generazione,
Milano, Riza, Come essere felici, Milano, Mondadori, Cosa dire e non dire nella
coppia, Milano, Mondadori, Come mantenere il cervello giovane, Milano, Mondadori,
Come affrontare lo stress, Milano, Mondadori, Come amare ed essere amati
(Milano, Mondadori); Come dimagrire senza soffrire (Milano, Mondadori); Come
risvegliare l'eros, Milano, A. Mondadori, Come star bene al lavoro, Milano,
Mondadori, Come essere single e felici, Milano, A. Mondadori, Cosa dire o non dire ai nostri figli, Milano,
A. Mondadori, La rinascita interiore, Milano, Riza, Volersi bene. Tutto ciò che
conta è già dentro di noi (Milano, Riza); L'amore giusto. C'è una persona che
aspetta solo te, Milano, Riza, Vincere i disagi. Puoi farcela da solo perché li
hai creati tu, Milano, Riza); Felici sul lavoro. Come ritrovare il benessere in
ufficio, Milano, Riza, I figli felici. Aiutiamoli a diventare se stessi,
Milano, Riza, La gioia di vivere. Scorre spontaneamente dentro di noi, Milano,
Riza, Essere se stessi. L'unica via per incontrare il benessere, Milano, Riza,
Accendi la passione. È la scintilla che risveglia l'energia vitale, Milano,
Riza, Alle radici della felicità. Editoriali dpubblicati su Riza psicosomatica,
rivista mensile delle Edizioni Riza, Milano, Riza, Ciascuno è perfetto. L'arte
di star bene con se stessi, Milano, Mondadori, Il segreto di vivere. Aforismi,
Milano, Riza, Realizzare se stessi, Milano, Riza, Vincere la solitudine,
Milano, Riza, Dimagrire senza fatica, Milano, Riza, Amare senza soffrire,
Milano, Riza, Guarire con la psiche, Milano, Riza, Superare il tradimento,
Milano, Riza, Dizionario della felicità, 6 voll, Milano, Riza, Non siamo nati
per soffrire, Milano, Mondadori,L'autostima. Le cinque regole. Vivere la vita.
Adesso, Milano, Riza, Conoscersi. L'arte di valorizzare se stessi. Via le
zavorre dalla mente, Milano, Riza, I figli
difficili sono i figli migliori, Milano, Riza, Il matrimonio è in crisi... che
fortuna!, Milano, Riza, Autostima, I consigli di M. per un anno di felicità,
Milano, Riza, Le parole che curano, Milano, Riza, Perché le donne non ne
possono più... degli uomini, Milano, Riza, Le piccole cose che cambiano la
vita, Milano, Mondadori, Come trovare l'armonia in se stessi, Milano,
Mondadori, Ama e non pensare, Milano,
Mondadori, Curare il panico. Gli attacchi vengono per farci esprimere le parti
migliori di noi stessi, con Vittorio Caprioglio, Milano, Riza, Non dipende da
te. Affidati alla vita così realizzi i tuoi desideri, Milano, Mondadori,
L'alchimia. L'arte di trasformare se stessi (Milano, Riza); Il sesso è amore.
Vivere l'eros senza sensi di colpa, Milano, Mondadori, Puoi fidarti di te,
Milano, Mondadori, La felicità è dentro di te, Milano, Mondadori, L'unica cosa
che conta (Milano, Mondadori); La felicità è qui. Domande e risposte sulla
vita, l'amore, l'eternità, con Luciano Falsiroli, Milano, Mondadori, Guarire
senza medicine. La vera cura è dentro di te (Milano, Mondadori); Lezioni di
autostima. Come imparare a stare beni con se stessi e con gli altri (Milano,
Mondadori); Il segreto dell'amore felice, Milano, Mondadori, La saggezza
dell'anima. Quello che ci rende unici (Milano, Mondadori); Pensa magro. Le 6
mosse psicologiche per dimagrire senza dieta (Milano, Mondadori); Vincere il
panico. Le parole per capirlo, i consigli per affrontarlo, cosa fare per guarirlo
(Milano, Mondadori) Nessuna ferita è per sempre. Come superare i dolori del
passato (Milano, Mondadori); Solo la mente può bruciare i grassi. Come attivare
l'energia dimagrante che è dentro di noi (Milano, Mondadori); Breve corso di
felicità. Le antiregole che ti danno la gioia di vivere (Milano, Mondadori); La
vera cura sei tu (Milano, Mondadori); Il meglio deve ancora arrivare. Come
attivare l'energia che ringiovanisce (Milano, Mondadori); Il potere curativo
del digiuno. La pratica che rigenera corpo e mente (Milano, Mondadori). Segui
il tuo destino. Come riconoscere se sei sulla strada giusta (Milano,
Mondadori); Il manuale della felicità. Le dieci regole pratiche che ti
miglioreranno la vita (Milano, Mondadori); Pronto soccorso per le emozioni. Le
parole da dirsi nei momenti difficili (Milano, Mondadori). Movie. Grice:
“Should there be a ‘dizionario della felicita,’ I would perhaps follow Austin’s
advice and go through it!” –. Raffaele Morelli. Morelli. Keywords: la
dimensione respiratoria, inspirare, respirare, spirare, spirito, il corpo
animato spira – il corpo spira – corpo spirante, corpo animato --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Morelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moretti – l’implicatura conversazionale e la
segnatura romantica – i romantici di roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Moretti – he uses a
good metaphor, ‘the wounded poet,’ unless we mean Owen, but he was more than
wounded, even if that implicature is cancellable --.” Grice: “I like Moretti
also because he wrote on ‘ermeneutica sensibile,’ which is exactly what I do.”
Grice: “I like Moretti also because he uses ‘segnatura’ etymologically, when he
writes of the ‘la segnatura romantica’ – talk of tokens!” Nasce nel borghese
quartiere Trieste, primo di due fratelli. Ottiene il diploma di maturità
classica presso il Liceo Giulio Cesare. Successivamente consegue una prima
laurea in Giurisprudenza, con una tesi in filosofia del diritto, e, nel una
seconda in filosofia, con una tesi in filosofia morale, entrambe presso l'Roma
La Sapienza. È poi borsista presso l'Friburgo in Brisgovia, dove imposta un
progetto di ricerca che, partendo dall'interpretazione di Heidegger, mira ad
un'analisi critica delle categorie filosofico-estetiche del “romantico” in
Germania, con particolare attenzione alle opere di autori del romanticismo di
Heidelberg, quali Creuzer, Görres, i Fratelli Grimm e Bachofen, che
contribuisce a tradurre e a far conoscere in Italia. Al suo rientro insegna
dapprima materie letterarie nelle scuole medie e, in seguito, filosofia presso
la Scuola germanica di Roma. La sua
ricerca si amplia poi al pensiero estetico di Novalis, di cui cura la prima
edizione completa in lingua italiana della Opera filosofica; durante questo
periodo consegue il dottorato di ricerca in Estetica presso l'Bologna. Vince la
cattedra di professore associato di Estetica all'Bari; Professore a Napoli
L’Orientale. Redattore di Itinerari e
Studi Filosofici, collabora con varie altre riviste filosofiche (Agalma,
Rivista di Estetica, Studi di Estetica, aut aut, Nuovi Argomenti, Filosofia e
Società, Filosofia Oggi, Estetica) e ha spesso partecipato a trasmissioni RAI
su temi filosofici e a numerosi convegni. Saggi: ”Il romantico: poesia, mito, storia, arte
e natura” (Itinerari, Lanciano); -- roma – romantico -- “Anima e immagine: sul
poetico” (Aesthetica, Palermo); “Nichilismo e romanticismo -- estetica e
filosofia della storia” (Cadmo, Roma); La segnatura romantica (Roma, Hestia); “Interpretazione
del romanticismo” (Ianua, Roma); “Estetica: analogia e principio poetico nella
profezia romantica” -- Rosenberg & Sellier, Torino); “La segnatura
romantica -- filosofia e sentimento” (Hestia, Cernusco L.); “Il genio” (Mulino,
Bologna); “Il poeta ferito.” Hölderlin, Heidegger e la storia dell'essere” (Mandragora,
Imola); “Anima e immagine.” Studi su Klages,
Mimesis, Milano, Heidelberg romantica. Romanticismo e nichilismo” Guida, Napoli,
Introduzione all'estetica del Romanticismo, Nuova Cultura, Roma, Il genio, Morcelliana, Brescia. Per immagini.
Esercizi di ermeneutica sensibile” (Moretti & Vitali, Bergamo); Heidelberg
romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia,
Novalis. Pensiero, poesia, romanzo Morcelliana, Brescia, Romano Guardini,
Hölderlin, Morcelliana, Brescia. Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana,
Brescia. J. J. Bachofen, Il matriarcato (Marinotti, Milano); Novalis, Opera
filosofica, I, Einaudi, Torino, Un video
con una trasmissione RAI. Un video con un intervento di Moretti. Giampiero
Moretti. Moretti. Keywords: roma, romanzo, romanzare, romanzato – non vero.
Romanticismo filosofico, I filosofi romantici italiani Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moretti: il
romanticismo romano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mori: l’implicatura conversazionale e la coerenza dell’intransigenza – la
ripproduzione sessuata fra i antici romani – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Cremona). Filosofo
italiano. Grice: “I like Mori; he
wrote a treatise on Stephen, better known as Virginia Woolf’s father; which
reminded me of Bergmann who once called me an English futilitarian!” --
Professore a Torino e presidente della Consulta di Bioetica Onlus,
un'associazione di volontariato culturale per la promozione della bioetica
laica. L’etica e la bioetica con le varie problematiche connesse sono le
tematiche al centro dei suoi interessi filosofici e teorici. Mori ha studiato all’Università degli Studi
di Milano, dove ha conseguito la laurea (con Bonomi e Pizzi) e il dottorato
sotto Scarpelli e Jori. Insegnato ad Alessandria e Pisa, prima di essere
chiamato a Torino. Studia i temi della meta-etica e della logica dell’etica con
le problematiche della teoria etica. Tra i primi a occuparsi di bioetica, nella
quale ha dato contributi in tutti i principali settori, con particolare
attenzione all’aborto e alla fecondazione assistita. Sollecitato dai casi Welby
e Englaro ha dato contributi anche sul fine-vita a difesa dell’autonomia
individuale. Per primo teorizza la contrapposizione paradigmatica tra bioetica
laica e bioetica cattolica, derivante dal fatto che quest’ultima propone
un’etica della sacralità della vita caratterizzata da divieti assoluti, mentre
l’altra avanza un’etica della qualità della vita senza assoluti e soli divieti
prima facie. Presta grande attenzione al problema della liberazione animale.
Fonda Bioetica. Rivista interdisciplinare (Ananke Lab, Torino). Membro di
numerosi comitati, tra cui il comitato scientifico di Notizie di Politeia, di
Iride del Journal of Medicine and Philosophy e altre. Saggi: “Manuale di
bioetica: verso una civiltà bio-medica secolarizzata” (Lettere, Firenze); “Introduzione
alla bioetica. temi per capire e discutere” (Piazza, Torino); Il caso Eluana
Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente
giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, Aborto e morale. Per
capire un nuovo diritto” (Einaudi, Torino); “La fecondazione artificiale. Una
forma di riproduzione umana” (Laterza, Roma-Bari); “La fecondazione
artificiale: questioni morali nell'esperienza giuridica Giuffrè, Milano); “Utilitarismo
e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, La
legge sulla procreazione medicalmente assistita. Paradigmi a confronto, Net,
Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto, Le
Lettere, Firenze, La fecondazione assistita dopo 10 anni di legge 40. Meglio
ricominciare da capo!, Ananke editore, Torino, Questa è la scienza, bellezze!
La fecondazione assistita come novo modo di costruire le famiglie, Ananke Lab,
Torino. Mori. Keywords: la coerenza dell’intransigenza.
Grice e Moriggi: la stretta di mano – Ercole e
Cerbero – le tre implicature conversazionali -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “I like it when Moriggi does
substantial metaphysics; he has edited a collection on ‘why is there something
rather than nothing?” – hardly rhetoric – and the subtitle is fascinating: the
vacuum, the zero, and nothingness! All in Italian, to offend Heidegger!”
Specializza in teoria e modelli della razionalità, fondamenti della probabilità
e di pragmatism. Insegna a Brescia, Parma, Milano e presso la European School
of Molecular Medicine è conosciuto al grande pubblico attraverso la
trasmissione TV E se domani di Rai 3 e per alcuni interventi ad altre
trasmissioni. Saggi: “Le tre bocche di Cerbero” (Bompiani. Perché esiste qualcosa
anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero, con P.Giaretta e G.Federspil (Itaca) Perché
la tecnologia ci rende umani (Sironi)
Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine (San Paolo) School
Rocks! La scuola spacca, con A. Incorvaia (San Paolo, ), con prefazione rap di
Frankie Hi-nrg. Stefano Moriggi. Moriggi. Keywords: le tre bocche di Cerbero. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Moriggi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mosca: l’implicatura conversazionale – filosofia
siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “When Austin was
defending the ‘man in the street,’ he was thinking Mosca!” -- Grice: “I like
Mosca; he speaks of elites – Gellner speaks of elites, too!” -- Grice: “Do
Italians consider Mosca a philosopher?” – Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul
governo parlamentare, Appunti sulla
libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi
di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale,
Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale, Saggi di storia delle dottrine politiche,
Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche,
Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia
potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello
Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura
di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di
Panebianco, Bologna. Appunti di diritto costituzionale dall’Enciclopedia
Giuridica Italiana. Milano. La genesi
delle cottituzion imoderne. Cenni storici sulla scienza del diritto costituzionale.
Definizione dello stato e della sovranità. Condizioni sociali che prepararono
il regime rappresentativo. Dottrine politiche che integrano l'azione
del dizioni sociali. La costituzione inglese e sua importanza con
dello di tutte le costituzioni moderne. Origini. Ordinamenti politici ed
amministrativi dell'Inghilterra. La prima rivoluzione inglese. La restaura:
Vhabecis corpus. La seconda rivoluzione inglese. Il seconc
dei diritti e Patto di stabilimento. Lo svolgimento della costituzione
inglese nel decimottavo. Lo statuto
albertino. Caratteri delle prime costituzioni moderne. più dirette dello statuto
albertino. Il re. Sue prerogative e norme della succezione monarchica. Il
gabinetto, i ministri ed il presidente del consiglio. La responsabilità penale
dei ministry. La formazione delle due Camere. Varii sistemi di suffragio.
La legge elettorale politica. Prerogative
e funzioni dell» due Camere. Dell’ordine giudiziario. Dei diritti individuali. Dei
rapporti fra la chiesa e lo stato. Lo studio del diritto pubblico in genere e
del diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto la
definizione esatta di certi concetti che, per quanto non nuovi, non hanno
acquistato ancora un significato preciso e determinato e nello stesso tempo
accolto da tutti. Il concetto di Stato, che è il più fondamentale di
tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla classica antichità e corrisponde a
ciò che i greci chiamavano “polis” ed i romani “respublica”. Eppure anche
oggi si disputa sulla origine e la natura dello stato. Fra tutte le
definizioni dello stato la migliore mi sembra quella che lo fa consistere
nella organizzazione politica e giuridica di un popolo entro un
determinato territorio, ma anche essa ha bisogno di spiegazioni e
commenti. Quando si dice infatti organizzazione politica di un
popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che dirigono politicamente
un popolo ossia esercitano funzioni statuali. Nello stato moderno perciò
vanno compresi non solo tutti i pubblici funzionari, tenendo conto pure
di quelli fra costoro che non sono pubblici impiegati, ma anche i membri
del parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali; e perfino gl’elettori
politici e comunali, quando sono convocati nei comizi, esercitano
funzioni statuali e perciò fanno parte dello stato. Ma per quanto in una
organizzazione statuale democratica lo stato comprende, almeno
giuridicamente dappoiché in fatto le cose vanno diversamente, la parte maggiore
della società, pure questa non si confonde mai intieramente collo stato. Perchè
anche nei paesi dove vige il suffragio universale vi sono molti individui che
pur fanno parte del sociale consorzio, come le donne, i minorenni e
coloro che per condanne sono esclusi dal suffragio, i quali in nessun caso
partecipano alle funzioni politiche o statuali. Ma se lo stato non è la
società, esso essendo costituito dal complesso di tutti gl’elementi
che partecipano alla direzione politica di questa non è certo al di
fuori della società. Il cervello non è tutto il corpo umano, ma ne fa
parte e senza di esso il corpo umano non può vivere. Bisogna però
notare che la vita del corpo sociale ha delle analogie non delle
identità con quelle dell'individuo umano. Infatti in questo ogni singola
cellula è fissata nell'organo di cui fa parte, mentre negl’organismi sociali
più perfezionati, nei quali le funzioni statuali sono suddivise in vari organi
le cui attribuzioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso che il
medesimo individuo fa parte dello stato nell'esercizio della sua pubblica
funzione e é sem-plice membro della società al di fuori della sua
funzione e di fronte a tutti gli altri organi dello stato. Ciò accade
tanto al semplice elettore che al magistrato ed allo stesso membro del parlamento,
se non vogliamo tener conto per i due ultimi delle poche speciali prerogative
che mirano a salvaguardarne l'indipendenza nell'esercizio delle loro
funzioni. Molti filosofi considerano intanto lo stato e la società
come due enti che per necessità vivono in continuo antagonismo, per
alcuni anzi lo stato è il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si
è scritto risulta evidente che il loro concetto è per lo meno
inesatto e sopratutto è difettoso perchè contribuisce piuttosto a confondere
che a chiarire le idee che si possono avere sull'argomento. Nondimeno
esso non è del tutto falso e può essere anzi riguardato come una
interpretazione sbagliata di una condizione di cose in tutto od in parte
verace. È indiscutibile infatti che in una società vi possono essere
elementi dirigenti che dalla costituzione in vigore sono tenuti lontani
dalla organizzazione statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta
fra questi elementi e quelli già accolti entro lo stato che può assumere
la parvenza di una lotta fra stato e società. E può anche accadere che i
progressi del senso morale e giuridico di una società
abbiano oltrepassato quel livello che si era aggiunto nel momento
della formazione del suo organismo politico. Sicché questo, rimasto arretrato,
permette ai rappresentanti dello stato un'azione che
riesce vessatoria ed arbitraria per gli altri membri
della società. Ma in sostanza i periodi di antagonismo acuto
fra gl’elementi statuali e quelli extra-statuali di una società possono
essere considerati come eccezionali e sogliono ordinariamente precedere le
grandi rivoluzioni. Tutto quanto si è detto spiega perchè lo stato sia
l'organizzazione politica di un popolo. Se si tiene poi presente che, in
tutti i paesi che hanno raggiunto un certo grado di civiltà, le condizioni
in base alle quali si arriva all'esercizio delle funzioni statuali ed i
limiti di queste funzioni sono determinati dalla LEGGE si vede facilmente
come questa organizzazione sia non solo politica ma anche giuridica;
perchè essa crea fra i diversi organi dello stato e fra coloro che
esercitano le funzioni statuali ed i semplici cittadini una serie di
rapporti giuridici. Questi rapporti nascono in base ad una facoltà
che lo stato esclusivamente possiede: la sovranità. La sovranità consiste nel
potere di conchiudere convenzioni e trattati con un’ altro stato e di
creare il diritto e farlo eseguire in tutto il territorio sottoposto allo
stato. I filosofi, educati quasi esclusivamente alle concezioni del
diritto privato, si sono spesso trovati in qualche imbarazzo riguardo a
questo attributo della sovranità. Essi stentano a spiegaisi come e perchè
l'ente che ha facoltà di fare la legge, di modificarla e disfarla e *sottoposto*
alla legge. Per darsi ragione di questo fatto i filosofi hanno ricorso a
tante ipotesi, fra le quali la più divulgata è quella che lo stato a
sorto in base ad una convenzione, ad un “contratto”, ad un atto
giuridico tacito od espresso, ma ad ogni modo consentito da coloro che
fanno parte del consorzio sociale sul quale esso esercita la sua
sovranità. Prendendo a base il concetto che già si è adottato sullo stato
e dei suoi rapporti con la società non riesce difficile di risolvere
la difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei filosofi e giureconsulti
romani si distinsero nello stato due personalità -- una di diritto PRIVATO, per
la quale esso potea contrarre obbligazioni come ogni altra persona
giuridica -- ed un'altra di diritto PUBBLICO che gli confere l'esercizio
dei poteri sovrani. L'esercizio di questi poteri produce la conseguenza che
lo Stato impone a tutti i cittadini degli obblighi, come ad esempio quello
dell'imposta e del servizio militare, senza offrire in cambio
alcun corrispettivo diretto. Senonchè è da osservare che nelle forme
di stato più perfezionato e sopratutto nello stato rappresentativo
moderno, quando si tratta d'imporre questi obblighi e di esercitare in genere
la funzione sovrana per eccellenza, che è quella di fare le leggi,
è necessario il consenso del capo dello stato e di tutte quelle forze
politiche che son rappresentate nei due rami del parlamento. Nel
momento nel quale, collettivamente e nelle forme volute, gl’elementi ai
quali è affidato il POTERE LEGISLATIVO esercitano questa funzione, essi
sono sovrani, cioè, SUPERIORI alla legge perchè la fanno e la
disfanno, in tutti gli altri momenti ed individualmente sono soggetti alla
sovranità, cioè all'impero della legge. A guardarci bene nello stato
moderno ciò non rappresenta una vera anomalia, perchè anche nell'esercizio
delle altre funzioni statuali gl’elementi che le disimpegnano agiscono,
sia individualmente che collegialmente, in nome dello stato e lo
rappresentano nei limiti delle loro attribuzioni. Mentre sono completamente
soggetti alla sovranità dello stato in qualunque *altra* manifestazione
della loro attività personale. Tanto i membri del POETER GIUDIZIARIO che
gl’agenti del POTERE ESECUTIVO si trovano infatti nelle condizioni
accennate, colla differenza però che, quando esorbitano dalla
loro funzione ed anche nell'esercizio della loro funzione, è sempre
possibile di esercitare sopra di essi un controllo che riesce malagevole,
se non impossibile, di fronte al potere legislativo. Gaetano Mosca. Mosca.
Keywords: implicatura, mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime
parlamentare, partito e sindacato. Refs.:
H. P. Grice: “Mosca’s liberalism;” Luigi
Speranza, "Grice e Mosca," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.
Grice e
Motta: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vercelli).
Filosofo italiano. Grice: “If Mill’s
claim to fame is to some his examination of Mill, Motta’s claim to fame is his
examination of Rosmini!” -- Il conte Emiliano Avogadro della Motta. Nacque dal
conte Ignazio della Motta e da Ifigenia Avogadro di Casanova, entrambi
appartenenti a nobili famiglie di vassalli e visconti, i cui antenati risalgono
a poco oltre il mille. Tra gli Avogadro vi fu anche Amedeo, inventore della
legge sui fluidi. Frequenta con profitto gli studi e si laureò in utroque iure,
ma proseguì lo studio in diverse aree della teologia e della filosofia, trasformando
le dimore familiari in piccole accademie dove giuristi, filosofi, studiosi di
diritto canonico e vescovi si riunivano, per discutere vari argomenti ed
approfondire la filosofia moderna e i diversi aspetti del nascente socialismo.
Ricevette l'incarico, che già fu del padre, di riformatore degli studi del
Vercellese e in un'epoca in cui si guardava ancora con diffidenza
all'istruzione delle classi popolari, egli visitava ciclicamente le scuole
d'ogni ordine, scegliendone accuratamente gli insegnanti, convinto che
l'istruzione e l'educazione fossero un diritto di tutti e dovessero procedere
simultaneamente. Assunse la carica di Consigliere di Formigliana e
continuò a dedicarsi allo sviluppo culturale della natia Vercelli, ove fondò la
Società di Storia Patria, per incrementare gli studi sul glorioso passato della
città. Divenne membro del Consiglio Generale del Debito Pubblico e più tardi
sindaco di Collobiano e “Consigliere di Sua Maestà per il pubblico
insegnamento” La sua notorietà varcò i confini del Piemonte, allorché ricevette
l'eccezionale invito di partecipazione alla fase preparatoria della definizione
del dogma dell'Immacolata e le sue riflessioni ebbero un seguito fra alcuni
importanti gesuiti, come il direttore de La Civiltà Cattolica, che fece dono a Pio
IX del Saggio intorno al socialismo. Azeglio, richiamandosi a M., espresse la
propria preferenza per una condanna esplicita di tali errori, da includere
nella bolla di definizione del dogma, ma l'autore sollecitò apertamente la
distinzione di due argomenti (definizione del dogma e condanna degli errori)
dalla portata tanto diversa e lo stesso Pio IX incaricò la Commissione, che
aveva già lavorato sulla definizione del dogma, di esaminare gli errori moderni
e di preparare il materiale necessario per la bolla e chiese al cardinale
Fornari di invitare formalmente alcuni laici a collaborare. Avogadro fu l'unico
laico italiano ad essere interpellato e inviò a Roma una risposta singolare e
ricca di argomentazioni. Ben presto la Commissione incaricata abbandonò la
trattazione univoca dei due argomenti e la solenne definizione su Maria sarà
fatta da Pio IX, mentre l'esame degli errori si trascinerà per altri dieci
anni, mentre prevaleva in ambito ecclesiastico l'idea di una severa
condanna. Attività parlamentare Diventò membro attivo nella vita
politica, quale deputato eletto nel collegio di Avigliana e operò nelle file
dello stesso schieramento politico della Destra. La proposta avanzata in
Parlamento di ridurre il numero delle feste, indusse Avogadro a scrivere un
apposito opuscolo, per difendere la dignità dell'uomo che, in quanto
essere intelligente e creativo, «senza tempo libero non vive da uomo, e mal lo
conoscono gli economisti che altro non sanno procacciargli se non “lavoro e
pane”». In Parlamento prendeva spesso la parola contro il progetto di legge che
prevedeva l'obbligo del servizio militare e criticò la cessione di Nizza e
Savoia alla Francia, smascherando le reali intenzioni che sull'Italia nutriva
l'ambiguo Napoleone III. Riceve la decorazione della Croce di Ufficiale
dei Santi Maurizio e Lazzaro e continuò a scrivere, oltre a collaborare con
l'Armonia, l'Unità cattolica, l'Apologista, il Conservatore, rivista
quest'ultima stampata a Bologna e di cui è ritenuto uno dei fondatori e
collaboratori. Muore in Torino”, come annotano diversi giornali e riviste, non
ultima La Civiltà Cattolica, che gli dedicò un sentito necrologio. Saggi:
“Saggio intorno al Socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche” (Torino,
Zecchi); -- partito socialista italiano
-- “Sul valore scientifico e sulle pratiche conseguenze del sistema filosofico
di Serbati (Napoli, Societa Editrice Fr. Giannini); “Teorica dell'istituzione
del matrimonio e della guerra moltiforme cui soggiace, M. già Riformatore delle
R. Scuole provinciali degli Stati Sardi, a spese della Societa Editrice
Speirani e Tortone, Teorica dell'istituzione del matrimonio Parte II che tratta
della guerra moltiforme cui soggiace, per M., già deputato al Parlamento
Subalpino, Torino, Speirani e Teorica dell'istituzione del matrimonio e della
guerra a cui soggiace, -- che tratta delle difese e dei rimedi, con una
Appendice intorno alla ricerca del principio teorico morale generatore degli
uffizi e dei doveri coniugali,” Torino, Speirani e Tortone, M. deputato al
Parlamento Nazionale, Torino, Tipografia Speirani e Tortone, “Teorica
dell'istituzione del matrimonio e della guerra a cui soggiace, Parte Documenti
per M. già deputato al parlamento nazionale (Torino, Speirani); “Gesù Cristo
nel secolo XIX, Studi religiosi e sociali, Modena, Tipografia dell'Immacolata
Concezione, “La filosofia di Serbati” (Napoli,
Giannini); “La festa di S. Michele e il mese di ottobre agli angeli santi,
Torino, Marietti, Il mese di novembre dedicato a suffragio dei morti, Torino,
Marietti); “Le colonne di S. Chiesa. Omaggi a S. Giovanni Battista e ai Santi
Apostoli nel mese di giugno e novena per la festa dei Santi Principi Pietro e
Paolo, Torino, Marietti); “Il mese di dicembre in adorazione al Verbo Incarnato
Gesu nascente e ad onore di Maria Madre SS.ma, Torino, Marietti); “Opuscoli di
carattere storico-giuridico; Rivista retrospettiva di un fatto seguito in
Vercelli con osservazioni al diritto legale di libera censura, Vercelli, De
Gaudenzi, Delle feste sacre e loro variazioni nel Regno sub-alpino, Torino,
Marietti); “Quistioni di diritto intorno alle istituzioni religiose e alle loro
persone e proprietà, in occasione della Proposta di Legge fatta al Parlamento
torinese per la soppressione di alcune corporazioni, Torino, Marietti, Cenni
sulla Congregazione degl’oblati dei SS. Eusebio e Carlo eretta nella Basilica
di S. Andrea in Vercelli e sulla proposta sua soppressione. Per un elettore
Vercellese, Torino, Marietti); “Parole di conciliazione sulla questione della
circolare di S. E. Arcivescovo di Torino); “Del diritto di petizione e delle
petizioni pel ritorno di S. E. l'Arcivescovo di Torino); “Lo statuto condanna
la Legge Siccardi, Torino, Fontana, Erroneità e pericoli di alcune teorie ed ipotesi
invocate a sostegno della proposta di Legge di soppressione di vari
stabilimenti religiosi” (Torino, Speirani e Tortone); “Alcuni schiarimenti
intorno alla natura della Proprietà Ecclesiastica allo stato di povertà
religiosa, ed alle quistioni relative ai diritti e ai mezzi temporali di
sussistenza della Chiesa. Con una Appendice intorno alla legalità nell'esecuzione
della legge sulle Corporazioni religiose” (Torino, Speirani); “Considerazioni
sugli affari dell'Italia e del Papa” (Torino, Speirani); “Una quistione
preliminare al Parlamento Torinese” (Torino, Speirani); “Il progetto di
revisione del Codice Civile Albertino e il matrimonio civile in Italia, Torino,
Speirani); La Rivoluzione e il Ministero Torinese in faccia al Papa ed
all'Episcopato Italiano. Riflessioni retrospettive e prospettive” (Torino,
Speirani); L'Armonia, Civiltà Cattolica, Rivista retrospettiva sopra la
discussione delle leggi Siccardi, Unità Cattolica, Angelo Ballestreri,
segretario della Famiglia, presso l'Archivio Storico di Torino. Enciclopedia
storico-nobiliare italiana, promossa e diretta dal marchese Vittorio Spreti, Milano,
Avogadro di Vigliano F., Pagine di storia Vercellese e Biellese, in Antologia,
M. Cassetti, Vercelli, Avogadro di Vigliano F., Antiche vicende di alcuni feudi
Biellesi degl’Avogadro di San Giorgio Monferrato (e poi Conti di Collobiano e
di Motta Alciata), dalla Illustrazione biellese, XIX, Biella, Corboli G., Per
le nozze del Conte Federico Sclopis di Salerano e della Contessa Isabella Avogadro,
Cremona, Feraboli, De Gregory G., Historia della Vercellese letteratura ed
arti, parte IV, Torino, Di Crollallanza G. B., Dizionario storico-blasonico
delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, I, Sala Bolognese, Dionisotti C., Notizie
biografiche dei vercellesi illustri, Biella, Amos, Manno A., Il patriziato
Subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche
desunte da documenti, I, Firenze, I vescovi di Italia. Il Piemonte, Savio F.,
Torino, Bocca, Bonvegna G., Filosofia sociale e critica dello Stato moderno nel
pensiero di un legittimista italiano: Emiliano Avogadro della Motta in Annali
Italiani. Rivista di studi storici, Bonvegna G., Il rapporto tra fede e ragione
in Avogadro della Motta, in Sensus Communis,
Valentino V., Un difensore rigoroso dei diritti della Chiesa e del Papa,
in Divinitas, rivista di ricerca e di critica teologica, Volumi e tesi
sull'autore Bonvegna, M. Il pensiero filosofico-politico e la critica al
socialismo, Tesi, Filosofia. Università Cattolica, Milano, De Gaudenzi L.,
Ultima parola su di una pretesa ritrattazione di M., Mortara, Cortellezzi,
De Gaudenzi L., Un'asserzione di Paoli D.I.D.C. tolta ad esame, Mortara,
Cortellezzi, De Gaudenzi, Istruzione del
vescovo di Vigevano al Ven.do Suo Clero sul Matrimonio, Vigevano, Spargella,
Manacorda G., Storiografia e socialismo, Padova, Martire G., II, Roma, Omodeo,
L'opera politica di Cavour, Firenze, Pirri, Carteggi delL. Taparelli
d'Azeglio, XIV di Biblioteca di Storia
Italiana Recente, Torino, La scienza e la fede,
XXIV, Napoli Spadolini, L'opposizione cattolica da porta Pia, Firenze, Storia
del Parlamento Italiano, N. Rodolico, Palermo
Traniello F., Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione
Rosminiana Lombardo-Piemontese, Milano, Valentino, Il matrimonio e la vita
coniugale, Facoltà dell'Italia Centrale, Valentino, Un'introduzione alla vita e
alle opere, Vercelli, Saviolo, Valentino V., Un laico tra i teologi, Vercelli,
Valentino, Il pensiero di Gioberti, Genova, Verucci, Dizionario Biografico
Italiano, Istituto dell'Enciclopedia, Roma. Guido Verucci, Emiliano Avogadro
della Motta, in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Opere di Emiliano Avogadro della Motta, Emiliano Della Motta
(Avogadro), su storia.camera, Camera dei deputati. DEL SOCIALISMO IN GENERALE. Origini
del socialismo nel razionalismo protestantico. Le prime eresie tentarono
soffocare la fede e la Chiesa; le seconde, viziar l'una, e sostituirsiall'altra.
Lutero e Calvinodistrussero il principio della fede, dell’amorale, dellasocietà.
Idolli germani cercarono rimedio nella scienza e nell'ecclettismo; la loro
filosofia, il loro diritto pubblico.Il protestantismo in Francia fa più audace e
ribelle.Combatiuto come selta religiosa produsse i liberi pensatori, che, a
titolo di scuola, ne dilatarono il razionalismo empio. Previsioni di Bossuet. Il
genio di Voltairee de'suoi discepoli fu essenzialmente anti-cristiano,
Paradossi del Gioberti. La guerra del filosofismo dcontro la fede e la scienza e
più radicale di quella del protestantesimo. Suo spirito non di separatismo ,ma
dicosmopolismo. Da secoli la preponderanza nell'ordine delle idee e devoluta in
Europa alla Germania e alla Francia, colà bisogna cercare le fonti dell'errar.
Diverso carattere delle due nazioni. Nel razionalismo dell'una, nell'incredulità
dell'altra, stette deposto il primo articolo della carta socialistica. Non più
autorild Progressi del razionalismo e dell'incredulità nell'idealismo. Kant, il
suo antidommatismo; I suoi seguaci. Non vollero dirsi atei, loro panteismo
spurio peggiore dell'ateismo. Non vollero comparir scettici ne materialisti, ma
sovvertirono la scienza e la morale con l'i dealismo apriori. Hegel, el'idealismo
trascendentale e pratico. I teologi protestanti lo seguirono. Il
protestantesimo avea sfigurato fin da principio l'idea di un “Cristo”; a cosa
la ridusse Strauss. Apparente regresso in Francia dal materialismo e dalle
teorie rivoluzionarie. Principio di tolleranza mal applicato in tutte le
ristorazioni; indi l'indifferenti. Prefazione Saggio. L'incredulismo e il
filosofismo francese e nell'indifferentismo. I tedeschi pensatori seguirono
l'esempio, non la frivolezza dei volteriani. Smo religio sue políticone
gli ordini pubblici, l'eclettismo nella scienza. Gl’eclettici vollero mitigare l'idealismo
germanico; vollero parer rispettosi al cristianesimo, ma lo condannarono come
decrepito. La loro religione filosofica. Non ebbero pensatori. Lamennais, e i
razionalisti cattolici. L'idealismo o l'indifferentismo sono morbi quasi
insanabili. Questi compongono il secondo articolo del simbolo socialistico: la
fede all'Idea propria. Ne sorge l'amore all'indeterminato futuro, l'odio a ciò cheesiste.
Giudizio di Staudenmayer. L'uomo nello stato suo presente non comporta nè
dommatismo assoluto, nè razionalismo assoluto. La natura e il cristianesimo lo educano
colla sede e colla ragione, somministrandogli un'ontologia reale e certa Alcune
riflessioni sulle cose anzi esposte. Il protestantismo, il filosofismo francese,
e il tedesco, sono professioni d'ignoranza. Pongono fuori delle condizioni di
possibilità la religione e la scienza, e abbattono la ragione individuale con
un'assurda emancipazione. Tolgono lo scopo della ricerca della verità. La fede
per contro è scienza iniziale, anche negl’ordini naturali promettitrice. Gli
spiriti penetranti previdero da gran tempo il socialismo moderno; i più furi
bondi ne proclamarono e praticarono le massime. La religione e la società reale
erano già condannate in teoria dall'Idea dei sofisti, cui non possono
corrispondere in fatto. La Chiesa ne è la salute, perchè pre dica la verità positiva,
e muta le ipotesi de'sofisti. Questi falsificarono anche I principii positivi,
che vollero conservare per ricostrurre la società; tolsero la possibilità
dell'amore; sfigurarono le idee di libertà, di eguaglianza, di fratellanza, che
portate all'assoluto si escludono mutuamente. Il socialisino vuole ricostituire
con queste l'uman genere. Gli uomini di distruzione, e quelli dell'utopia, sorti
a slagellare l'umanità colle sperienze d'applicazione e tresta di d'esistenza delle
sette. Siappoggianoa un fiero dommatismo. Non inventano dottrine, ma scelgonoe volgarizzano
le più acconce ai loro fini. Sono la gerarchia, il sacerdozio, l'esercito della
filosofia anticristiana e antisociale, che senza di quelle non sarebbe
largamente perniciosa. Ora non sono più mere associazioni, ma trasformandosi
divennero società e governi sotterranei. Una buona storia delle sette sarebbe
un gran beneficio; come vorrebbe essere fatta. La miglior difesa contro di quelle
è farle conoscere. I sommi Pontefici lo vennero facendo, furono mal secondati. Le
sette massoniche. Veisaupte l'illuminismo. Le sette moderne teoriche ed
esecutive. La Giovine Europa e Mazzini. Loro tre mezzi d'influenza, le loro arti,
le loro forze. Non aspirano che alla propria supremazia e tirannia solto nome
di repubblica sociale. Gioberti le descrisse con somma perizia mutando
l'applicazione. Avvenire delle sette. Non sono esse sole il socialismo, ma ne sono
la virtù plastica e direttrice. Carattere e spirito del socialismo. È l'
eterodossia. Essa porta all'apice, all'universalità, a l l'atto, le empietà ed aberrazioni
de'secoli precedenti. Le sue idee sono Le sette secrete demagogiche. Esse
aggiunsero alle teorie un organismo artilizioso ed attivo. Tre aspetti, però terrene
e ristrette. È un cattolicismo umanoe diabolico, che vuol essere più universale
di quello di Cristo. Il suo Messianismo. Le sue stolte promesse e stolte accuse
contro la società. Professa odio a Dio e a Cristo, odio all'uomo, odio alla
giustizia. Sovverte il naturale eil supernaturale. L'idea socialistica non è intiera
nella mente diverün10 mo, il solo spirito del male ne può abbracciare e volere il
tutto. Nelle menti umane prende diversi gradi e forme. Coldomma dell'idea il socialismo
raccoglie a sè tutti gli spiriti erranti e passionati; disordina i difensori della
verità; esi infiltra nelle menti. Potenza seduttrice del l'Idea e delle Idee. Semisocialismo.
Unità di pensiero, di scopo, di forze morali e materiali nel socialismo, collimanti
contro il cristianesimo. Fa predetto dai santi Apostoli. Lamorte confuta il domma
e le speranze del socialismo, erende calamito se le sue promesse. Il comunismo.
È doppio; altro filosofico e in apparenza economico, altro apertamente Jadro e sensuale.
Il solo principio della comunanza non valea fondare veruna società che basti a
sè stessa. Esseni; comunanze monastiche; sistemi utopistici. Socialismo e
comunismo sono due estremi della stessa idea.La Francia è travagliata di preferenza
dal secondo, la Germania dal primo, il perchè. Il principio Cristiano non può ameno
di somministrare la soluzione di tutti i loro problemi sociali.Sentenza di
Jouffroy DEGLI SCOMPARTIMENTI PRECIPUI DEL SOCIALISMO . Delle scuole e dei sistemi
sociali più insigni, e in particalare dicoli. Hegel le aprì un orizzonte vasto
e pratico colla sua teoria sulla storia, e colle sue viste sul mondo germanico.
Con queste infiamm di pietistic protestanti e i politici ambiziosi, specialmentein
Prussia.Trovo eco fra novatorianche cattolici e israeliti. Le sette demagogiche
germaniche s'impadronirono dell'idea hegeliana di nazionalità, ostile alla
religione e alla civiltà romana. I sofisti la parodiarono altrove, adadulare le
proprie nazioni CATO II. Sansimonismo, umanitarismo. Il misticismo di Sansimone
s'indirizza alle passioni sensuali nobilitando le, alle ambizioni ultra-democratiche
esaltando le capacità individuali. I suoi discepoli l'organizzarono amodo di
religione panteistica umanitaria. Molti eclettici dell'università francese ne
adottarono I principii ideali, compiendo con questi la metafisica hegeliana. Leroux
e l'umanitarismo universale; gli umanitarii ricusano le idee di patria e di nazionalità.
Il principio saņsimoniano penetra largamente in Francia,e per ogni dove; esso
improntò al socialismo l'aria di religione lasciva e cosmopolitica.
L'emancipazione della carne e conseguenza logica del l'emancipazione del pensiero
dell'hegelianesimo e neo-egelianesimo. Owen e Fourrier vestirono l'idea
socialistica e comunistica di sistemi ri . Del svoialismo anarchico e
trascendentalmente empio . Prudhon, discepolo intelligente e sfacciato dei socialisti
tedeschi, sveld le vere esigenze del socialismo. Professa esplicitamente l'odio
a Dio, l'abolizione di ogni diritto, l'anarchia; cosa intenda con tal parola. Flagella
i socialisti e comunisti, ma è peggiore di loro. Le sue idee fanno impressione,
perchè sono l'espressione la più semplice della idea d'indipendenza assoluta. Lecoutrier,
la sua cosmosofia materialistica, prosessa il culto di sè stesso. Condanna la
filosofia e la civilizzazione. Il materialismo e l'anarchia spaventano in
Francia; ostinazione di certi razionalisti, che non dimenonon ne vogliono vedere
il rimedio additato già da Napoleone. Del socialismo operativo o militante, e
di quello latente. Il socialismo pensante sta nelle scuole panteistiche
incredule, l'operativo nelle sette e fazioni rivoluzionarie. I suoi fasti
recenti. Lo scopo principale è distrurre il caltolicismo. Perciò cerca di
rivoluzionare moral mente e materialmentela Chiesa. Adocchia l'Italia che ne tiene
il centro. Mazzini, la sua filosofia panteistica, le sue idee di nazionalità e
di primato italico parodia del primato germanico di Hegel. Sue contraddizioni.
È lo strumento del socialismo universale, che non vuol altro in Italia che non
più Papi. Per progredire il socialismo vesti in Italia tutte le forme e le ipocrisie.
Cerca di alluarvi il comunismo politico. Il socialismo latente. L'Inghilterra
ne possiede grandi elementi. Cenni sull'utopia del Moro.La Russia. Nissuna
rivoluzione eguaglia quella voluta dal socialismo. Che cosa è una rivoluzione.
Diverse specie di rivoluzioni parziali, che ora lutte s'informano
dellospiritodelsocialismo.Sono ingiuste,ruinose,infrenabili nei confini voluti
dai moderati, dai dottrinarii, dai liberali. Cos'è la riforma vera.Coloro non
sono riformatori,ma rivoluzionarji. Possono chiamarsi semisocialisti; lo sono
altri in religione, allri in filosofia, altri in politica. Fanno penetrare a tratti
a tratti l'idea, ed eseguiscono per parti l'opera socialistica. Sono
incoerenti. Giudizi di Joutfroye di Prudhon sui rivoluzionari al minuto.
Giudizi di Quinet sui cattolici democratici predicatori d'indipendenza. Non
sorge dai loro sistemi la vera democrazia, ma l'anarchia prudoniana in tutte le
relazioni degl’individui, e delle società fra loro. L'indipendenza assoluta non
esiste al mondo. Epilogo. Giudizio di Sterne sul principio rivoluzionario
socialistico, eminentemente anticristiano. Il termine della rivoluzione
sociale. La rivoluzione universale sociale non si compirà mai appieno. La rivoluzione
religiosa, come è promossa dal socialismo,è nata a far luogo addi questa; e del
semi-socialismo. Della rivoluzione universale e sociale; scompartimenti
precipui Del panslavismo demagogico, e del ruteno. Un detto napoleonico inverosimile,
o malinteso. Il panslavismo. È doppio. L'Idea russa; la suavivacità per forze
morali e materiali. Le sue arti. È ostile all'idea Latina e cattolica. È
religiosa e politica, panslavi sticae panscismatica. L'Italia ne èminacciata doppiamente.
Calamità europea, che si è la dissoluzione dellaGermania nell'anarchia religiosa
e politica. L'idea russa, ora antirazionalistica e antidemagogica, può col
tempo mutare processo ed allearsi religiosamente al protestantesimo, politicamentealla
demagogia europea. La Chiesa non teme, ma aspeita negli ultimi tempi un grande
assalto dai popoli di quelle regioni, e dalla apostasia dei propria figli. Quel
panslavismo sembra destinato a chiudere l'era del socialismo nostrale. laci, esuberanti,
indefinite. La verità e l'autorità hanno l'adesione della maggioranza, ma sono malconosciute.
Il clerocattolico fa quella vagliatura per ufficio, ma fra popoli colti la scienza
e la dimostrazione è necessaria. Parte dei laici. La filosofia dee essere
ricondotta al suo stato normale, da cui si di parti negando o trascurando l’ontologia
cristiana e la scienza della socieià universale degli spiriti. In Italia
bisogna far conoscere le produzioni della scienza straniera, dei paesi cioè in
cui la controversiaè vivace. Bisogna svelare il fondo dei sistemi socialistici;
formolare con precision i problemi; porre in lume i principii assoluti; questi non
impediscono le temperazioni pratiche. Si fa alcontrario. Esempio nella
quistione capitalissima delle relazioni fra chiesa e Stato. Questa in assoluto non
è quistione di libertà, ma di autorità. Il principio di libertà non basta a
spiegare l'ordine morale.Teorie di Rosmini nel suo saggio Della Costituzione.
Il problema religioso vi è mal formolato. Il progetto di costituzione
rosminiana non guarentirebbe alla chiesa nemmeno libertà; include
l'indifferentismo politico; toglie all'ordine civile la base morale. Necessità
della professione religiosa dello stato. Il problema politico intorno al
diritto e alla giustizia sociale vi è del pari inesattamente formolato. Nel
criticare le costituzioni galliche Rosmini non netacci ai vizii principali. Quale
sia laquistione politica odierna; come sia formolata dai socialisti, come da
Lainennais. Le emende proposte dal Rosmini alle costituzioni da lui criticate
sono vane, o insufficienti a farargine al socialismo e comunismo.È inutile
adulare e contrastare a metà le idee di moda, se non si risolve il tema del
socialismo. Esso nega Dio e le due leggi provvidenziali per cui l'uo mo è
governato dall'uomo, e il diritto sulle cose materiali è diviso fra gl’uomini. I
dottrinarii italiani e francesi si contentano di massime generiche, di idee
dimezzate, scoza analisi e applicazione. Gli americo una nuova foggia di demonolatria;
la rivoluziones cientificaproducela perdita dell'unità di senso morale; la
civile,un'anarchia,e tirannia in curabile. La rivoluzione universale,se potesse
compiersi,distrurrebbe inultimol'umangenere.Come ilsocialismo l'odii dio dio satanico.
Il suo termine logico sarebbe la distruzione dell'ordine di natura e di so
prannatura. Il mondo non saràmai tutto socialista come fu tutto pagano, perchè la
chiesa ha delle promesse infallibili; ma le nazioni civili non ne hanno, e camminano
indolenti verso grandi ruine. Un altro socialism che si dispone a trasformare il
mondo europeo. Timori, speranze, rimedii contro l'invasione delle dottrine
socialistiche. Vuolsi una buona vagliatura delle idee, dei desiderii, delle
speranze fal mani italiani, e gl’anglomani francesi, non conoscono i tipi
stranieri che vogliono imitare. I cattolici idealisti e razionalisti non
comprendono che guastano e snaturano il cristianesimo colle misture
eterodosse,a vece di farne l'apologia. Quali sieno dunque le tre vagliature,or
peces sarie, delle dottrine e delle voglie del secolo. Ancora alcune
osservazioni sul modo di trattare ora le controversie. Partito violento. La rivoluzione
materiale è sopita, ma l'ideale si dilala. L'Italia odierna, e la Germania di tresecoli
fa. Dollinger. È quindiur gente il bisogno di grandi manisestazioni della verità,
per mezzo della fede e dellaragione. I governi, ora materialmente forti, sono
moralmente deboli; l'epoca presente di razionalismo e di opinioni indeterminate
piega alt ermine. Il socialismo vuol dommi e fatti, vuolsi contrap porgli la
scienza della fede cristiana, continuando il lavoro dei più grandi genii del
cristianesimo. Che cosa è una filosofia cristiana. La polemica dee essere
trattata con franchezza; tenendo conto di tutti i principii veri e di tutti i
fatti; distinguendo le ricerche di ciò che è giu sto, ediciò che è prudente. Non
dee contentarsidi debellare gl’errori singoli, ma metter in luce la storia fillosofica,
e il sistema universale dell'eterodossia .Ilpanteismo è lasostanza
dell'eterodossia moderna. Considerazioni sul panteismo, suls uo lungo regno, sulle
sue fasi.Non sarà l'ultimo errore.Voto umile e riservato per un oracolo della
Santa Sede, e una condanna dottrinale e solenne del socialismo e comunismo.
Motivi. Insufficienze e pericoli delle discussioni scientifiche. Il socialismo,
come sistema compiuto, ha del nuovo; spesso sembra sfuggire agli anatemi degli
errori antichi che rinnova. Fra icattolici stessi sinceri visono dubbiezze e
illusioni. La gloria del nome di Cristo è avvilita. L'idea di Cristo, e quindi quella
della Chiesa, sono meno mate in molte menti.Quella èl'antidoto a tuttol'errare moderno
.Lapedagogia pende ad insinuare ilnaturalism o e ilsensualismo. La Santa Sede spesso
unì alle decisioni, e condanne dommatiche contro gli errori, le lezioni
razionali a illustrar lementi dei fedeli. Esempi. Così bramerebbesi ora, perchè
da molti il socialismo e comunismo non sono conosciuti quali sono. Condannati, rimarrebbero
nolati d'infamia agli occhi del mondo cristiano, e resi moralmente impotenti. È
quel tutto un arcano di sata nasso, alla sola Santa Sede apparterrà svelarlo e
conquiderlo; a lei però sola il giudicare della opportunità dei mezzi. Intanto,
colle armi già pronte della fede e dellascienza, vuolsi da ognuno colle sue forze
combattere la rivoluzione ideale. Teologia e filosofia, rivelazione e ragione,
vogliono andar congiunte, distinte, ma non parallele. Un passo del Mancini. Due
filosofismi, due rivoluzioni, che neminaccia no una più terribile. Presunzione dei
moderni; giudizi dei posteri. Tutti i partiti scontenti del presentemirano all'avvenire;
I più sci occhi sono gli aspettanti e ineuirali. Il principio cristiano è
incarnato nella Chiesa, essa non fa quistioni di clericocrazia, quando parla
alle genti con autorità. L'Italia e isuoiri formatori sispecchino nella Germania
di tre secoli fa. La Chie sa benefica e invitta in tutti i secoli. I fedeli
hanno da incoraggirsi; fra l'idea socialistica e la cristiana sanno quale abbia
la verità,e quale ot Alcuni documenti intorno alle scriesegrere demagogiche. Emiliano
Avogadro, conte Della Motta. Il conte Emiliano Avogadro. Emiliano Avogadro
Collobiano e Della Motta. Il Conte Emiliano Avogadro della Motta. Conte
Emiliino Avogadro della Motta. Avogadro di Vigliano, Motta. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motta” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Motterlini: l’implicatura
conversazionale e la critica della ragione economica – il principio d’economia
dello sforzo razionale – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice:
“I like Motterlini – he has written, echoing Kant, a critique of economic
reason, which Stalnaker should read before saying I’m Kantian rather than Futilitarian!” Specializzato in filosofia della scienza,
economia comportamentale e neuro-economia, e noto per i suoi saggi in ambito
psico-economico su processi decisionali, emozioni e razionalità umana e per le
sue ricerche in ambito epistemologico sulla razionalità della scienza e il metodo
scientifico. Insegna a Milanodove. Consigliere per le Scienze Sociali e
Comportamentali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si laurea a
Milano, dove porta a termine il proprio dottorato in filosofia della scienza. Ricercatore
di economia politica e professore associato di filosofia della scienza presso
l'Trento; Visiting Associate Professor al Department of Social and Decision
Sciences della Carnegie Mellon di Pittsburgh, Visiting Research Scholar al
Department of Psychology della UCLA. Professore di filosofia della scienza
presso l'Università Vita-Salute San Raffaele. Tra gli altri incarichi è
collaboratore de Il Corriere Economia, Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore,
per cui ha curato per anni il blog Controvento. È stato consulente scientifico
di Milan Lab, A.C. Milan, fondatore e direttore di Anima FinLab, di Anima Sgr,
centro di ricerca di finanza comportamentale e Scientific advisor di
MarketPsychData, Ls Angeles. È direttore del CRESA (Centro di ricerca in
epistemologia sperimentale e applicata), da lui fondato a Milano presso la
facoltà di filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele. I progetti di
ricerca del centro si concentrano su vari aspetti della cognizione umana, dal
linguaggio al rapporto tra mente e cervello, dall'economia comportamentale alle
neuroscienze cognitive della decisione, con particolare attenzione all'indagine
sperimentale multidisciplinare e alle sue ricadute pratiche e applicative (per
esempio nell'ambito del policy making e dell'evidence-based policy). A
inizio, ha avviato il progetto di finanza comportamentale per Schroder Italia,
dal quale è nato Investimente, un test psicofinanziario al servizio di
risparmiatori, promotori finanziari e private banker, per raccogliere e quindi
analizzare i dati riguardanti le decisioni di investimento e i bias cognitivi
nell'ambito della gestione del risparmio. Attualmente è direttore
dell'E.ON Customer Behavior Lab e Chief Behavior Officer di E.ON Italia; stesso
incarico che ricopre per il Gruppo Ospedaliero San Donato. Analizza la proposta
falsificazionista, rivelando le difficoltà in cui si imbatte il progetto de-marcazionista
e anti-induttivista. Affrontano quindi il modo in cui si ha preteso superare
alcune di queste difficoltà, e insieme raccogliere la sfida di Duhem circa il
carattere olistico del controllo empirico, tenendo conto delle immagini che il
filosofo ha della sua stessa pratica e riferendosi a particolari casi storici
come termine di confronto. Sull'orlo della scienza e in edizione ampliata. Nel
suo “Filosofia e storia” avanza una interpretazione del progetto razionalista come
il prodotto di una peculiare combinazione delle idee di Platone e Hegel. Ciò è
motivo della straordinaria fecondità di Platone, ma anche di una inesauribile
tensione al suo interno. Una tensione che viene illustrata affrontando la
relazione tra filosofia e storia della filosofia (unita longitudinale) in
riferimento alla questione della valutazione di una data metodologia in base
alle 'ricostruzioni razionali' o construzioni logica a cui essa conduce.
Nell'idea che la metodologia filosofica va confrontate con la storia della
filosofia è contenuto il germe di una logica della scoperta in cui i canoni non
siano fissati una volta per sempre, ma mutano nel tempo, anche se con ritmi non
necessariamente uguali a quelli delle teorie filosofiche. Si focalizza su
questioni di metodologia dell'economia da una prospettiva interdisciplinare che
combina riflessione epistemologica, scienza cognitiva, ed economia sperimentale
con aspetti più tecnici di teoria della scelta e della decisione individuale in
condizioni d'incertezza. Le ricerche di questo periodo analizzano criticamente
lo status delle assunzioni della teoria della scelta razionale, valutando
l'impatto delle violazioni comportamentali sistematiche alle restrizioni
assiomatiche imposte dai modelli normativi di razionalità. Avanzano quindi
ragioni epistemologiche per la composizione della frattura economia e
psicologia cognitiva in ambito della teoria della decisione; e suggeriscono di
guardare ai recenti risultati dell'economia cognitiva in prospettiva di una
nuova sintesi 'quasi-razionale' in cui i modelli neoclassici, integrati da
teorie psicologiche che tengano conto dei limiti cognitivi dei soggetti
decisionali, rafforzano le previsioni del comportamento economico degli esseri
umani. Neuroeconomia e evidence-based policy Le sue ricerche indagano le
basi neurobiologiche della razionalità umana attraverso lo studio dei correlati
neurali dei processi decisionali in contesti economico-finanziari, con particolare
attenzione al ruolo svolto dalle emozioni, dal rimpianto, e dall'apprendimento
sociale. Parallelamente progetta ed esperimenta i modi in cui i risultati
dell'economia comportamentale e della neuroeconomia possono informare
politiche pubbliche più efficaci e basate sull'evidenza. Queste ricerche
sono oggetto dei corsi di Filosofia della scienza e di Economia cognitiva e
neuroeconomia che insegna all'università San Raffaele, e hanno altresì trovato
diffusione attraverso numerosi articoli divulgativi e due libri, Economia
emotiva e Trappole mentali. Il suo ultimo libro è Psicoeconomia di Charlie
Brown. Strategia per una società più felice. Saggi: “Sull'orlo della scienza,”
– Grice: “Must say that ‘orlo’ is a genial word, wish Popper knew it!” –Lakatos,
Feyerabend: Pro e contro il metodo, Cortina, Milano. Popper, Saggiatore-Flammarion, Milano, Lakatos.
Scienza, matematica e storia, Saggiatore, Milano, Decisioni mediche. Un
approccio cognitive, Cortina, Milano.
Critica della ragione economica. Tre saggi: McFadden, Kahneman, Smith,
Saggiatore, Milano, Economia cognitiva & sperimentale, Bocconi Editore,
Milano La dimensione cognitiva dell'errore in medicina, Fondazione Smith Kline,
Angeli, Milano Economia emotiva
(Emotional Economics), Rizzoli, Milano Trappole mentali, Rizzoli, Milano Mente,
Mercati, Decisioni. Introduzione all'economia cognitiva e sperimentale, Egea,
Milano Psico-economia di Charlie Brown.
Strategia per una società più felice, Rizzoli, Milano Alcuni articoli
scientifici, Lakatos between the Hegelian devil and the Popperian blue sea. In
Kampis, G., Kvasz, L., Stoeltzner, M. Considerazioni epistemologiche e
mitologiche sulla relazione tra psicologia ed economia, Sistemi intelligenti,
Il Mulino, Metodo e standard di valutazione in economia. Dall'apriorismo a
Friedman, Studi Economici, Milano. A fMRI Study, PlosONE', Vai in laboratorio e
capirai il mercato (con Francesco Guala) Prefazione a Vernon Smith, La
razionalità in economia. Tra teoria e analisi sperimentale, IBL, Milano.. Neuro-economia
e Teoria del prospetto, voci Enciclopedia dell'economia Garzanti, Milano. Investimente.
Test dell'investitore consapevole
Recensione di Hacking sulla The London Review of Books IlSole24Ore 22.5.//ilsole24ore. com/art/cultura/-05-18/motterlini-spinta-riforme--shtml?uuid=ADAaR2J
A Sito su matteo motterlini. CRESA, su cresa. I am strongly inclined to assent to a
principle which might be called a Principle of Economy of Rational Effort. Such
a principle would state that where there is a ratiocinative procedure for
arriving rationally at certain outcomes, a procedure which, because it is
ratiocinative, will involve an expenditure of time and energy, then if there is
a nonratiocinative, and so more economical procedure which is likely, for the
most part, to reach the same outcomes as the ratiocinative procedure, then
provided the stakes are not too high it will be rational to employ the cheaper
though somewhat less reliable non-ratiocinative procedure as a substitute for
ratiocination. I think this principle would meet with Genitorial approval, in
which case the Genitor would install it for use should opportunity arise. On
the assumption that it is cha~acteristic of reason to operate on pre-rational
states which reason confirms, revises, or even (sometimes) eradicates, such
opportunities will arise, provided the rational creatures can, as we can, be
trained to modify the relevant pre-rational states or their exercise, so that
without actual ratiocination the creatures 84 Paul Grice can
be more or less reliably led by those pre-rational states to the thoughts or
actions which reason would endorse were it invoked; with the result that the
creatures can do, for the most part, what reason requires without, in the
particular case, the voice of reason being heard. Motterlini. Keywords:
critica della ragione economica, principle of economy of rational effort, twice
in Grice – in Reply, etc. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motterlini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mummio: il portico romano -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Mummio Spurio. Portico. A distinguished orator. Writes a number of
letters on ethical issues. Mummio Spurio.
Grice e
Musatti: l’implicatura conversazionale dell’erote collettivo – filosofia
fascista – filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Dolo). Filosofo italiano. Grice: “Musatti reminds me of Malcolm,
“Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of
‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is
a rhetorical question – and Grimm is implicating that nobody should!” --
Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della
psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella
Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la
villeggiatura. Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista
amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né
battezzato -- durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato
di battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma -- e non
professa mai alcun credo religioso. Frequenta il liceo Foscarini di
Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il
corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia,
dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso
di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di
Padova, ma non sostenne esame alcuno. A diciannove anni fu chiamato a Roma
per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato
al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a
Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era
Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama a insegnare a Padova
dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente
volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il
cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle
mani di M. e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi
divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale
però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana
in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni
da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della
Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta Musatti rivelò che Benussi s'era
suicidato, non era morto a causa di un malore. Musatti divenne direttore
del Laboratorio di Psicologia dell'Padova. Porta in Italia la Psicologia della
Forma con importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in
Italia la psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di
psicoanalisi. Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi,
introdotta in Italia da Benussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne
il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne
allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della
psicoanalisi. Nell'Italia le teorie di Freud non erano state accolte bene né
dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale
gentiliana assunta dal fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne
limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della
società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre cattolica), e
allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante di liceo. Nominato
professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si ritrova con L. Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti
con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe
l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare
rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la
guerra. Nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato
Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a trasferirsi a
Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro
di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola
Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati.
Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte
francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra
di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà di Lettere
e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più florido
della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni. M. fu
il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra.
A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi.
Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del Centro
Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro
Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato
curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa
Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia La località a lui
dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di
Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due
volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche
consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la
pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti
civili. M. era ateo, come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima
delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di Sanremo. Muore nella
sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo una cerimonia laica
di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma e cremata a Lambrate. Le sue ceneri sono
tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di Brinzio, località
in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il suo archivio è
conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il comune di Dolo ha
ribattezzato la sua località natale Casello 12 località M. e gli ha intitolato
il locale istituto professionale. Musatti e il suicidio di Benussi Anche
dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla mai
volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di
Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista M. confessa di sognare a volte che
in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo
interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute
tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di
confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia.
«Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio
subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il
commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore,
ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario,
perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono
prescritti!”». ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio M., medico pediatra,
uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome del bonno
materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica); ‘Eugenio’
e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti; cfr. Musatti
IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome allude alla
fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno, presidente della
Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per raggiungere più
agevolmente Venezia. Musatti IX-XIII. Archivio dell'Università degli Studi di
Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di Lettere e filosofia, Padova,
Carriere scolastiche della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali,
Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo,
redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni, Reatto, Schwartz, M. Sforza, Stufflesser,
Milano Per una storia del Centro
Milanese di Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di
Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano Freud,
Opere (Torino, Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per M., la
Repubblica, è consultabile sul
dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia
italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio
Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni
di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze, Mia sorella gemella
la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, M. voce
dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano
alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco, Città di
Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di psicologia,
“Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e movimento” (Ferrari,
Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Gl’elementi
della psicologia della forma, Gruppo Universitario Fascista, Padova, Trattato
di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io individuale e Super io
collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni dell'esperienza e fondazione della
psicologia” (Universitaria, Firenze, Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e
incursioni nel mondo delle immagini (Boringhieri, Torino); Svevo e la
psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti personali Freud-Jung attraverso il
carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione accademica, Olschki, Firenze Nino
Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori Milano A
ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze); Hanno cancellato Livorno (Olschki,
Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi (Riuniti, Roma). Una famiglia
diversa ed un analista di campagna, Olschki, Firenze, Questa notte ho fatto un sogno, Riuniti, Roma,
Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e pazienti a
teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati Boringhieri,
Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori, Milano:
Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro, prefazione
di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare
Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Cesare
L. Musatti. Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario
fascista, il collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Musatti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Musonio: l’implicatura
conversazionale del Musonio di Gentile -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. (Bolsena) Gaio Musonio Rufo
esercita un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre
dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia
di Nerone. Segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a
togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove
e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura
di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la
sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma
da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del
Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi
soldati, ma senza successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa
davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel
processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei
filosofi da Roma (71), ma poi lo esiliò per la seconda volta ; però Tito,
che già lo aveva conosciuto, lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In
seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane
sembra che non fosse più in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti,
anzi sembra che si sia servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale,
però, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi
apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri
apoftegmi e trattazioni filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto
nel suo insegnamento-È e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo
; esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte
più estesa dei frammenti. È verosimile che provengano da uno scritto di quel
Lucio che si è già ricordato e che si deve ritenere la fonte più importante
dello Stobeo. Un’altra è Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione
(probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone
Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce. È giudicata falsa una lettera
di Musonio a un certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i
frammenti di Musonio e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto
pensare o alla dipendenza di questo da uno scritto di Lucio o alla derivazione
di ambedue da una fonte più antica. Della forte azione di Musonio sui
contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari, tra i quali si ricordano
(oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio il Giovane), i filosofi
Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate di
Eraclea, e insigni romani, come Plauto, Sorano e Minicio Fundano. Musonio si
avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia finalità radicalmente
etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei crotonesi. Ma nel complesso
dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascura
le esercitazioni logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ciò che
vi è detto degli dei, designati con le denominazioni della religione
tradizionale, non supera la sfera del pensiero comune e non ha carattere
filosofico determinato. Invece riporta al Portico l'affermazione della
necessità universale, che equivale alla teoria del fato. Però l'interesse di M.
si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che è assolutamente
necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi dai Cinargo) gli
uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale dev'essere
prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle donne non meno
che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e alla
realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di molti
discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore
importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni
uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve
dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici
giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino
la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in
primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale
di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere
ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso
delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male,
dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi
l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è
retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende
da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci
all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca.
Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è
indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre
l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè,
essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare
ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita
semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei
cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico,
esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la
limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti
di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata
dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il
valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto
mediocri e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole
l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a
quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato
da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge
l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,
in concomitanza della congiura di Pisone,
e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros,
inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrità morale
e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati
da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a
GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra
civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo
episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in
pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era
teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si
impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli
ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti
dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati
con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò
fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava
chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo
stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente
stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad
intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso
non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria
dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo
attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire
il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di
Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei
magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata
dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto
da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli
altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere
Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si
apprende che egli non era più in vita. Si proclama suo discendente il
poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario,
sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non
lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si
ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di
cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono
intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi
nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero
studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei
figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la
filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe
deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà
qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati
per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del
matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni
bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri
genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?”
“Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo
stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale,
poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo
figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il
medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica
si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto
rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti
minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in
numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da
rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio
Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione).
Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M.
rappresenta, con Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più
significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi
corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo
tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero
radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente,
cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti. Il ruolo
della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più utile,
in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere sono un
bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi
questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci
impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il
filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di studiare
filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche
altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da
comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di
altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro
anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che
impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come
conoscenza teorica. Piuttosto, M. insiste sul fatto che la pratica è più
importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più
efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a
vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può
aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di
vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico esperto,
un musicista , studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che
praticassero quelle abilità senza errori. In una delle sue diatribe, si
racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve
proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo,
utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è
proprio il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la
giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per
possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità,
capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore
e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva M., è l'unica disciplina
che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli
offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re
aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poiché l'essere
umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima
richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al
freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro,
all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo
rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito.
Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio
attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata
astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà,
le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare
tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato
come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno
per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla vita lussuosa si estendeva
alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso
desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che
illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti
sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati
alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio
come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro
natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile
nella sua mancanza di autocontrollo. M. difende l'agricoltura come
un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o all'insegnamento
di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio sottolineano
l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha sottolineato che ciò che
si mangia ha conseguenze significative. Crede che padroneggiare il proprio
appetito per il cibo e le bevande fosse la base dell'autocontrollo, una virtù
vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e rafforzare il corpo e
sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo non ci dà alcun piacere,
ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo supera di gran lunga il tempo
impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre il corpo, non il consumo.
Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo scopo quando lo
digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua convinzione che le
donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i
seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso
potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione è buona o
cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi
sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi
condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto,
le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità con
essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni
nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è
altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come
vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305: «Figlio di
Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico,
vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri.
Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad
Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr.
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua
etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14.
Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus
Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c),
inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione
Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re
dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La
maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di
quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo
Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza
tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico,
non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The
Incomplete Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason.
Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J.
Sihvola, Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia,
Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon, M. and Education in the Good Life: A Model of
Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio,
maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de
Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B.
Irvine. Create Space. DOTTARELLI, M. l'etrusco. La filosofia come scienza di
vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio,
in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su
Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library,
Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica Roma Portale Biografie
Categorie: Filosofi romani Filosofi del II secoloRomani del II
secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito – “Titus M. Rufum
philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e Nerone – Grice e
Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di maggior grido in
quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior numero di seguaci per
l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo infatti, lodando le virtú
singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per esse ei merito che a C. M.
ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener adsumeretur. E di Volsinio, in
Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto Claudio o sotto Caligola. Benché
sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne all'ordine equestre. L'incontriamo
la prima volta in Roma, quando ne è mandato in esilio da Nerone in quella serie
di condanne che segui alla sventata congiura di Pisone. A lui, come a Verginio
Flavo, celebre maestro di retorica, nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam
Verginius studia iuvenum eloquentia,
Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore
presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si
trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma
se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar
Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se,
adunque, il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale
vedremo con che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che
egli dove esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con
Rubellio, che al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni
consecutivi d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo
nominis che fu madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura
pisoniana trova tra i congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a
quanto pare, e Lucano. Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico
del suo odiato Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e
trasfondeva in tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono
Tacito e Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e
timori e fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato
nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte
di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché
Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola
accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo
si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella
specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero
tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista
dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato
afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi
rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda
un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a
Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla
morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui
da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba all'impero. A Roma, M. si
trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api
basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria
è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una
delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di
far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori
della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori.
Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo
sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli
pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è
uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora
pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli
anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito
invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E
quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette
essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri
legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo
cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e
di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a
confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del
più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla
a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di
Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che
Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina
disserens, armatos monere. Id plerisque ludibrio, pluribus taedio: nec deerant
qui propellerent propulsarent-que, ni admonitu modestissimi cuiusque et aliis
minitantibus omisisset intempestivam sapientiam. Ci si sente Tacito ammiratore
del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni che l'aveva sentito più
volte a fare circa il suo amore per la filosofia - ultra quam con-cessum Romano
ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto ex sapientia modum: e pare
che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e pietoso della fatuità d'un
filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito si scorge chiaramente
un quadro, che è eloquente testimonianza dell'atteggiamento morale e sociale di
questo stoi-cismo: nei seguaci del quale vedi l'anima piena di fede, ardente
degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo speculativo inesperto della vita, ma
un'anima infiammata da profonde idealità, non comprese dai molti. Un'anima
compagna a quella dei martiri coetanei della religione novella. Sotto la
pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco, dopo il trionfo di
Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa volta con un atto,
che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del tempo, come sotto
l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore, cosi sotto
l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano
spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che
occupa gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro
tutti i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale
Trasea Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che
nel suo proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle
speranze sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato
anche la giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore
filiale, s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre
(delitto anche questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e
propositi ribelli di novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza
della sua Servilia: e accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori
frappostisi glielo impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a
deporre contro il padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta
per il responso desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di
Publio Egnazio Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum
mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P.
Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe
il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po'
ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus
involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et
amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto
diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli
Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto,
ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a
vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre
che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli
facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio
Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si
apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota
Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii
delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a
salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo: quippe Sorani sancta memoria; Celer professus
sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se
magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili
che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi
Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche
il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un
giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu
condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice
Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di
un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa
della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa
condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che
un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite
di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo
imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione
di M., risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo
Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a
cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la
cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare
che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre
raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda
l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva
portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile
che il Gaio M. di q. 1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della
lettera a me non pare che lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci
generis”; Ab excessu; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche
la città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno
discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI,
587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo,
Epist. et M., socerum eius (sc. Artemidori), quantum licitum est per aetatem,
cum admiratione di-lexi deve far pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni
quando Plinio era ancora giovane; che perciò intorno all'80 avesse una
cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di lui tra il 20 e il 80 d.
C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27.
SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è ucciso: ma questo è certo un
errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO l'Apostata, riferito da
Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio, questi occupa una
pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed. Bernardy). Ma non
è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro Musonio, o al Musonio
vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art. seguente di Suida. Тас., Аб
ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona con lo scrittore di questo nome
ricordato da PliNio tra le fonti della Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index
historicus, s. v. Coeranus nella sua ediz. di Tacito) sospetta che sia da
sostituire Cornutus nel detto luogo Ab exc.; perchè la lezione è sicura; e
d'altra parte Cornuto in quel tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio
e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER;
TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v.
Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il Coeranus dovesse con lieve
mutazione di lezione identificarsi con quel Claranus, condiscepolo di Seneca,
di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero la probabile data di questa
lettera (Hu-GENFELD) e il dirsi in essa
che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos combinano con
l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di
Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può riferire la
notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che avrebbe
detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe toccato
di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA, TIS i
Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy
apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci
sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente
attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto
appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE
X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste.,
Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un
Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico
EPITETO (Diss.) dice:
POÚpO TIS ElEYE, l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi
yap dyú ool tot', egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il
concetto di Calba accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non
a Roma, dopo essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo
assai mite inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind.
plin.) Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello
di Girolamo, all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata
Musonio fu eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST,
Gesch. d. griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto
Trajano! -Molto probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III,
80,Tac., Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente un
legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava
sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva
forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava
Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead
spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE
EraßEpostquam pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo
stoicismo dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di
quel senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le
insegne pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo
onde Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto;
mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù
stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4).
Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo Baream Soranum falso
testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come s'è visto
più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e traditore
vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum officium
[Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la condanna
della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33. -
TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio
Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius defendisset
Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico, onorato da
tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio causidico,
delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat., Tac., 1.
c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et artes vel
maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio devono essere
state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch. d. junger.
Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con aggiunte
nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris, Franck,
Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND,
ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F.
VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage
de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et
belles lettres. Rufo (si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Musonio.
Grice e Mustè: l’implicatura conversazionale nella
filosofia dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di
Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Flosofo italiano.
Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto italiano per
gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e di ricerca,
collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della “Rivista
trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza. Lavora
alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici"
dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore
dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di
Storia della filosofia. Insegna a Roma. È membro del Consiglio
scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con
l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana
e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista
"Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra
cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della
Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse
riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale
critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi
storici", "Filosofia italiana". Nel è stato nominato dal Ministero dei beni
culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della
nascita di Bertrando Spaventa". Dal
al ha insegnato Ermeneutica
filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università Antonianum.
Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della filosofia italiana,
con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per quanto riguarda
l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure fondamentali (sino al
profilo complessivo) e le premesse nella filosofia dell'Ottocento, specie in
relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti (soprattutto con il libro su La
scienza ideale). Di particolare interesse gli studi su Bertrando Spaventa e le
monografie su Omodeo e Croce. Ha dedicato saggi e ricerche al pensiero di
Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero marxista italiano: del è la monografia su Marxismo e filosofia della
praxis, che ricostruisce la storia del marxismo italiano da Labriola a Gramsci.
Sono noti i suoi studi sul pensiero politico nell'Italia contemporanea, con
particolare riguardo alle figure di Rodano, Balbo, Noce. Ha approfondito
lo studio dell'opera di Marx e in generale la storia della filosofia tedesca
tra Hegel e Nietzsche. Particolare attenzione ha poi rivolto (con il
libro su La storia e con altri scritti,
tra cui quelli sull'evento e sulla teoria delle fonti) alle questioni
specifiche della teoria della storiografia. Metodi Conduce l’indagine
teoretica in stretta relazione con gli studi di storia della filosofia e di
storia della storiografia, in generale nell’ambito della storia delle idee,
adottando un metodo storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti
archivistiche e di documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare
l'analisi strutturale delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle
fonti e sulla tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di
lungo periodo della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia”
(Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli
Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino,
Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch,
Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria
Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium,
Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the
Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black
out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato
federale – federazione, governo federativo -- Rodano, Cristianesimo e società opulenta,
Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul
giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di
Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” Reale, LUISS
University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico
della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni
della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in
«La Cultura», La storia: teoria e
metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in
Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età
contemporanea, Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del
dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi --
Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P.
Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di
Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di
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Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero.
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Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La
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politica. Cesarale, M., Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica
nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr. Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,,
Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e Luca,
«Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as
Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di
storiografia filosofica italiana nel Novecento, Spinelli e F. Trabattoni,
Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e
il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia
italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella
storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana»,
Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali
di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico
della filosofia italiana», La “via alla
storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a “Storia
notturna” di Ginzburg, Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della
filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza
Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1.
Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di M.
su Croce del //diacritica/ letture-critiche/lo-
storicismo-di-croce-e-la-morte-della- metafisica-intervista-a- M. Socrate e
Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gentile,
troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con
alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Ferrai
(Padova), vi figurano le edizioni dell’Apologia curate da Acri (riproposta da
Guzzo) e da Manara Valgimigli (Bari); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra
cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di
Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo,
erano apparsi in Italia: quelli di Giuseppe Zuccante, che Felice Tocco aveva
presentato nel 1909 alla Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Covotti,
Mignosi, Labriola, Banfi, Levi,
Brocchieri. Ma a proposito di Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo-
menti della storiografia filosofica italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad
alcuni testi dello storico del cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del
romanista Pascal. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, i
riferimenti principali rimangono quelli di Zeller (a cui si era prevalente-
mente richiamato Spaventa), ma anche di Gomperz e di Tannery. Di Zeller,
Gentile possede i primi due volumi dell’edizione Mi piace ricordare che
la ricerca su libri, opuscoli e periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere
svolta online sul sito della Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma,
grazie al lavoro di digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione
del dott. Gaetano Colli: cfr. Colli. Anche il catalogo dei corrispondenti
dell’archivio di Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per
gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi
on-line” del Senato della Repubblica. italiana della Filosofia dei Greci
curata da Mondolfo; e di Tannery conservava la seconda edizione, di Pour
l’histoire de la science hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con
dedica, al figlio Giovannino. A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio
nel quale elogiò la sua opera di storico criticandone tuttavia i princìpi
neokantiani2; e avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery e quello, «così
geniale», di Gomperz. Pro- prio a Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più
che positivo riferi- mento nella prolusione palermitana su Il concetto della
storia della filosofia, dove parlò di un «concetto equivalente al mio, che
nella storia della filosofia si riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e,
nella lunga recensione che nel 1909 dedicò al Socrate di Zuccante, ne parlò
come di «uomo di gusto», sia pure privo del «bernoccolo del filosofo»,
assumendone soprattutto la critica della testimonianza di Senofonte. Gentile si
trovò di fronte, fin dalla giovinezza, due modelli inter- pretativi, tra loro,
per altro, connessi. In primo luogo le pagine che Ber- trando Spaventa aveva
dedicate a Socrate, dapprima discu- tendo sulla “Rivista contemporanea” la
memoria torinese di Giovanni Maria Bertini Considerazioni sulla dottrina di
Socrate6, poi nel grande corso sulla filosofia italiana, dove aveva aggiunto,
come appendice, lo Schizzo di una storia della logica, nel quale riprendeva il
tema socratico7. Il secondo riferimento è Labriola, la cui memoria su La
dottrina di Socrate era stata ripubblicata da Benedetto Croce per l’editore
Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica, nel discorso preliminare del
all’edizione degli Scritti filosofici di Spaventa, si limitò a un breve cenno
alla discussione con Bertini8, e anche nella Prefazione al Gentile. Bertini. Ma
la memoria, a cui Spaventa si riferisce, era stata presentata in una seduta. Poi
in Bertini. Da una lettera a Spaventa, si apprende che l’articolo di Bertrando
era solo il primo di una serie di scritti socratici, che poi non realizzò: cfr.
Spaventa La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, in
Spaventa Gentile Gentile e Socrrate volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare
nel merito della questione9, è da ritenere, per le ragioni che si vedranno, che
l’influenza spaven- tiana pesasse in maniera determinante nella sua prima
lettura di Socrate. Spaventa confuta l’interpretazione di Bertini, cercando di
definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro
lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era
appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e
all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del
pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia
della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò
ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve,
che se per Hegel è Parmenide il vero iniziatore della filosofia, perché ha
sollevato il pensiero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la
filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del
“concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La
critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte
all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo
dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo
Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo
di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa), ponendo un nuovo principio, quello
della «soggettività universale»: caratterizzata la filosofia presocratica come
indistinzione immediata di pensiero ed essere, Socrate aveva inaugurato
l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne l’unità e la sintesi, e
anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito ulteriore. I sofisti, dun-
que, lungi dall’essere dei distruttori, si presentavano quali profondi
innovatori, anche se il loro soggettivismo era piuttosto un individuali- smo,
fermo alla dimensione naturale ed empirica dell’individuo. So- crate
trasformava, con la dottrina del concetto, questo individualismo in un
autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» – scriveva Spaventa –
«Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini, si rassomigliano». Spaventa
Parmenide, Hegel [Ritter Cfr. Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a
Da questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo
pratico o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più
precisamente, il carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale
formalismo. Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa
espressione, per certi versi anticipando i temi della sua riforma della
dialettica. Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo
della «soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività
dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di
tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i
moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il
puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che
determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina
il soggetto». La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma
della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere -- appariva
qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato, come la
verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente
decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti
tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e
poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza
di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della
propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui
i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua
identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la
fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la
psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle
passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il
contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa
tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e
l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto.
Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse il premio della
Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Labriola non citò mai
lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese [Si veda per questo aspetto Mustè
La dottrina di Socrate, in Spaventa. Gentile e Socrate 43 almeno un paio di
aspetti14. In primo luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la
parte centrale dello scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme,
mostrando come «il suo di Socrate sapere è pura esigenza» e «quello che egli
cerca deve ancora trovarlo» (Labriola). In secondo luogo, insisté sulla
mancanza in Socrate di ogni notizia di psicologia, con accenti e motivi molto
simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma
certo mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la
scelta, molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza
di Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima,
o opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata
da Senofonte»; poi per il fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva
ora a recidere i rapporti tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica
(ibid., 555), superando il problema stesso che aveva animato la discussione tra
Spaventa e Bertini. Per Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate
come semplice filosofo – scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569);
e tanto meno poteva essere considerato come «il creatore del principio della
soggettività», neanche di una soggettività «universale» come quella di cui
Spaventa aveva parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due
linee fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo
di sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della
divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo», riuscendo per
questo «a isolare la sfera morale dalla naturale; d’altro lato, in relazione
agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca» interpretò
Socrate come concreta espressione della crisi della storia greca, come
l’emergere di una colli- sione tra forma della tradizione e volontà
dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé
quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con
l’esercizio del dialogo, le[ L’interpretazione di Labriola è stata analizzata
da Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e da Spinelli,
Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono
rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo3, Spinelli ricorda
opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Giannantoni, Il Socrate
di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera”. Tra gli altri studi, mi
limito a ricordare Cerasuolo, e le lucide osservazioni di Poggi domande
induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità.
Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne
modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico
della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del
mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di
Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle
prime riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti –
dove il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello
dell’intuito, e quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano dell’essere
puro e quello, platonico ma soprattutto prove- niente da Malebranche, delle
idee determinate e formate (Gentile) – i riferimenti a Socrate risentono della
discussione di Spa- venta con Bertini. Lo si vede, soprattutto, nella nota che
inserì per di- scutere la memoria di Aurelio Covotti Per la storia della
sofistica greca. Studi sulla filosofia teoretica di Protagora (pubblicata nel
1896 negli “An- nali” della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa), dove,
criticando le interpretazioni di Wilhelm Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì
la necessità di distinguere l’individualismo empirico di Protagora dal
soggettivismo di Socrate, pur sottolineando la sua distanza dal kanti- smo,
mancando ancora in Socrate «il concetto del pensiero come pro- duttività»
(Gentile). Una lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella
recensione al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione
soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto
sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard,
affermò anzi che la tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non
Demo- crito aveva appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica,
ma viceversa questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Democrito
(Gentile). Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde
essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano
appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando
oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» –
spiegava Gentile Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard (ma si
veda la 4° edizione ampliata, Paris, con l’introduzione di Delbos).
Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce altro soggettivismo
che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede
costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del maestro di Platone
non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile). Alla maniera di
Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non andava confuso né con
l’individualismo di Protagora né con la successiva dottrina pla- tonica delle
idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza di Socrate nel saggio su La
filosofia della prassi, dove, per dimostrare che Marx aveva assunto il concetto
della prassi dall’idealismo, e non dal mate- rialismo, chiamò in causa il
«soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico filosofo greco il primo
idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché, spiegava Gentile,
Socrate non concepiva la verità come un bene formato da trasmettersi, ma come
il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè del dialogo e
dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per Socrate un’attività
produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua e progressiva
prassi» (Gentile). Altrove scriveva che il merito di Socrate «consiste appunto
nel superamento di quella dualità di volontà e intelletto, che è presup- posta
così dal determinismo come dal concetto del libero arbitrio»: e arrivava ad
affermare che, se avesse approfondito questo aspetto, sa- rebbe stato condotto
«al concetto hegeliano dell’unità di libertà e ne- cessità razionale»
(Gentile). Di questa singolare definizione di Socrate come primo idealista,
Gentile darà una spiegazione, nei Discorsi di religione, quando dirà che, con
Socrate, «la filosofia acquista coscienza del suo carattere idealistico», anche
se questa co- scienza «si oscurerà tante volte nel corso del suo sviluppo storico»:
e quasi per dare un esempio di tale oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora
naturalistico» di Platone e Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione
socratica nel realismo del «mondo delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto
puro, o pensiero del pen- siero. . Questi primi riferimenti, in larga parte
ispirati dalla posizione di Spaventa, cominciarono a complicarsi negli anni
appena successivi, quando Gentile iniziò a elaborare la filosofia dell’atto
puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad approfondire la distanza tra dialettica
del pen- sato e dialettica del pensare, tra pensiero antico e pensiero moderno.
Un preludio della successiva lettura di Socrate può essere indicato,
d’altronde, nella lunga recensione al Socrate di Zuccante, dove Gentile,
richiamandosi implicitamente (senza mai citarla) alla posizione di Spaventa,
chiarì due aspetti fondamentali della pro- pria interpretazione. In primo
luogo, in un passaggio di particolare im- portanza, rielaborò e chiarì la tesi
del formalismo socratico, definito appunto come la sua «gloria». Scrisse
infatti: la verità è che la ricerca socratica è prevalentemente umana, perché
l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano della speculazione, segna- tamente
nella rettorica. E lo stesso tentativo di sollevare a scienza la rettorica,
operato dai sofisti, ne mette a nudo l’essenziale formalismo, e fa sentire il
bisogno di quella più schietta e più concreta scienza dello spirito, che
Socrate persegue col suo motto divino: conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità
del suo interesse speculativo, teorico, e del suo interesse morale, pratico:
qui anche la radice del formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo
stesso Socrate. Il quale supera la forma rettorica con l’affermazione del
contenuto della rettorica (giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non
definisce altro che la forma: il concetto come universale, non intravveduto da
nessuno dei filosofi precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il
concetto stesso del giusto (morale). In che consiste il valore di questa
scoperta, che è la gloria di Socrate (Gentile). In secondo luogo, stabilito il
senso del formalismo socratico, Gentile chiariva il significato della scoperta
logica di Socrate, affermando che si trattava non solo, e non tanto, della
scoperta del concetto, ma del «concetto del concetto», della «essenza dello
spirito»: se i filosofi prece- denti sempre avevano adoperato concetto e
definizione, ora Socrate sollevava il pensare a «pensiero del pensiero»,
conferendo agli uomini una «seconda vista», quella della schietta universalità.
Grazie a Socrate, il pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé
stesso, sostituendosi all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più
limitativo dell’assenza di un contenuto assoluto, era il carattere del suo
formalismo, inteso appunto come considerazione della forma logica in sé stessa.
Negli scritti di questo periodo, l’accento cominciava a battere con più forza
sulla continuità tra Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele
[non] si fa un passo avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone
(Gentile). Non solo infatti, come precisò nella prolusione palermitana su
Il concetto della storia della filosofia, Platone aveva «trasformato» il
concetto socratico in «idee eterne e immobili, puro oggetto della mente»; ma
iniziò a riportare la filosofia di Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a
quella parme- nidea, che ai suoi occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e
del So- fista: «Platone» – scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile
e realmente immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si
doveva arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito». Più che
Socrate, dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle
idee, l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di
Cratilo. Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia che il giudizio su
Socrate cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti
dell’opera: in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti;
in secondo luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo
che dedicò al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare
piuttosto singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere
affermato «il carattere uni- versale del vero» (Gentile); ma subito aggiunse
che quel con- cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una
forma che, conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione»,
era piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del
mondo: offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente
negativa, quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni
che, nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di
più, in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base
dell’erronea teoria platonica e aristotelica del concetto» , presupponeva la
scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito
che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La
filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come
si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di Socrate
all’origine del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla stessa
linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di
Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a
rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino
nell’uomo» e dunque di anticipare lo
spi- rito di libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone
aveva convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come
un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in
sé dalla nascita». Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta
ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai
accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà
(Gentile). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il
Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della scoperta della
soggettività universale, via via innestandovi i motivi essenziali nella propria
filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia parlerà di So- crate come del
«primo grande martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà
e grandezza» (Gentile), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto
l’antico naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella
più tarda Filosofia dell’arte arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e
labrioliano) della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più
radicale, dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte
in tutto il pensiero antico (Gentile). Ma la trasforma- zione essenziale e
decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in
modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo,
acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno
svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in
Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato
l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale, dove il
problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva
più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al
centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di
Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e
presocratico e carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da
Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato
«la netta distinzione tra genere e individuo», non riuscendo certo a trovare la
sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la
via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a
Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità in
cui concorre la va- rietà delle opinioni»: affermazione di grande
significato, Gentile e Socrate
perché, almeno in senso formale, indica una rottura dell’intero natu-
ralismo antico, un presagio – se così può dirsi – della sintesi e della vera
individualità, che solo il pensiero moderno, osservando il con- cetto come
conceptus sui e come autocoscienza, arriverà, dopo il cri- stianesimo, a compiere.
Però, come si diceva, solo nei due volumi del Sistema di logica, la figura di
Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso significato, all’interno della
dialettica del logo astratto e del logo concreto. Possiamo dire che il punto
centrale della considerazione delle forme storiche del logo astratto è proprio
il passaggio da Parmenide a Socrate, che è poi il passaggio dal naturali- smo
antico alla logica del pensiero pensato, inteso come momento eterno e
insuperabile del logo. Il punto socratico è quello fondamen- tale, se non altro
perché, superando la posizione, disperata e assurda, di Parmenide, Socrate
pone, nel concetto universale, l’intero circolo del pensiero antico, che in
Platone (con la teoria della divisione) e in Aristotele (con la teoria del
sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un adeguamento. All’altezza
della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con meno forza, rispetto ai
testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone, ma indicava con molta
più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero che, in un passaggio
non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava «il fondatore della
logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a intendere in tutto il
suo rigore il concetto del logo quale presupposto del pensiero» (Gentile). Ma
subito precisò che tale fondazione del logo era in verità una negazione del
pensiero, perché il suo essere, privo di determina- zione e di differenza, è in
realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen- siero, il semplice immediato: e
per Gentile, così come per Spaventa, non è l’essere di Parmenide a segnare
l’inizio della logica, come acca- deva in Hegel, ma il concetto universale di
Socrate. È con Socrate in- fatti, come ripete più volte (concordando, per
altro, con quanto Croce aveva sostenuto nella Logica), che «nasce formalmente
la scienza della logica» (Gentile), che viene posto non «l’immediato essere
astratto», ma la «mediazione», il «rapporto tra soggetto definito e predicato
onde si definisce», per cui, concludeva, «l’astratta identità dell’essere naturale
di Parmenide e di Democrito qui è vinta». E altrove Croce. chiariva: «la logica comincia
propriamente con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva
della immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati
e degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del
pensiero: identità che sia unità di differenze» . Nel concetto socratico, nella
definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella dialettica
platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo necessario. Più
precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il fondatore della
logica dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda immediatezza di A
(essere naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il principio d’identità e
l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del logo astratto: rapporto che è
già rapporto di pensiero, perché il primo A si distingue dal secondo A,
generando la figura del giudizio, sia pure di un giudizio analitico e
definitorio. Così, il passaggio (che impegnò il secondo volume dell’opera) dal
logo astratto al logo concreto indicava anche il merito e il limite della
posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché il «circolo
chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione del
pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e perciò
inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al
pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma
«mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del logo
astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto
nell’astratto» (Gentile). La lettura del momento socratico sembrava così
compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita,
Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della
collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere
solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata a
cura di Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero
lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco,
Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il manoscritto di un «prospetto» che si
riferisce alla parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla
sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici,
accademici e neoplatonici. Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli
Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati. Gentile e Socrate 51 In questo
ultimo scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro
dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica.
Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della
filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide
ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima
intuizione della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere
di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere,
si riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile
definiva come «misticismo» (Gentile), come «intellettualismo» e «for- malismo»,
cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il
cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il
successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito
naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire,
nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione». S’intende
perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di
elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto
che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce», e
che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico
compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la
potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di
Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola,
che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto
gli spettatori, ma vi facciamo da attori». Sono i sofisti, perciò, che
«preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono
possibile la scoperta di questo nuovo mondo». E il capitolo su Socrate, come si
diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile
proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte
an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di
Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa
«un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone,
che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante»: «il Socrate
storico – scriveva – non è il Socrate platonico». «Più attendibile» dunque
Aristotele, pur «ne’ suoi cenni sommari», perché in Aristotele emerge-
rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale
scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio,
cioè del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto
del pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano
dimostrato impossibile». Così Socrate
compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima
volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto
che può conoscere, e conosce».. Per questo, e solo per questo, Socrate rimane
per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una
delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come
vide So- crate, pensiero». La preferenza che Gentile accordava alla fonte
aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato
nella discussione con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc-
casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël,
aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di
Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature
dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gentile), soprattutto per la
tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando
quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto
saliente. Di conseguenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola,
che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni
altra testimonianza. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava
una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile
osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi
esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia
concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier), con una larga
sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine
etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica
e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora
in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con
riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Calogero nella voce Socrate del
dell’Enciclopedia italiana. Gentile e Socrate diverse letture di
Döring e di Joël), trascurava i possibili legami che alcuni autori, come
Heinrich Maier o Georg Busolt, avevano stabilito tra i passi socratici di
Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una
semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche, ma di una semplificazione
necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla filosofia antica, emergesse
in piena luce il posto assegnato a Socrate, come iniziatore della logica e
superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva, nelle pagine
che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione vivente della scoperta
del concetto come giudizio, e a questo principio del logo andavano ricondotti
tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu, pertanto, il maggiore dei
Sofisti (Gentile), perché convertì la parola di Gorgia nella nuova «fede nel
pensiero», restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con la loro
opera distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e della
verità. Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo, possiamo
dire, si superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come aveva
chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno dialogare
della mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e universale
costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui i
dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo
ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione
spaventiana del «formalismo socratico», ma in certo modo, come ora vedremo, ne
metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto
alla costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di
Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del
giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra-
scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile
trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo,
come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Omodeo o a
Ruggiero: la sua prosa si manteneva più sobria, [Si ricordi la netta
affermazione del Maier, che risale all’edizione di Tubinga del Sokrates: «debbo
confessare che mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta
importanza e tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier)
controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in
tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un
merito, non un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne
sottolineò l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica.
Limite che emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come
idea», dove, per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema
centrale di Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano
e il mondo naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva –
Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui
si nasce, si vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane
pur sempre da fare i conti» (Gentile). Era necessario segnare il limite di
Socrate, per offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo
«formalismo» ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al
naturalismo e al mito eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo
sull’«essere come idea», che copre quasi la metà della parte scritta
dell’opera, costituisce in effetti una delle pagine più importanti, e in fondo
drammatiche, che Gentile abbia composto negli ultimi giorni della sua vita.
Parlò di «un nuovo abisso, che si de- lineava tra Socrate e Platone, come
quello che aveva diviso la filosofia umana di Socrate da quella naturalistica
che lo aveva preceduto; e ne preparò l’analisi con una sottile considerazione
delle scuole socrati- che minori, culminante nella figura di Euclide, che
«proveniva dall’eleatismo» e che per primo, inaugurando l’opera che sarà di
Pla- tone, «trasferiva il concetto o universale socratico dalla mente dell’uomo
nella realtà in sé. Di fronte al dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin
da Aristippo o Teodoro, il vento gelido della vecchia cultura, che riempiva il
«formalismo» di un contenuto antico, quello della natura, della trascendenza,
del realismo. Platone stesso, in fondo, compì questa opera necessaria,
appoggiandosi ai suoi veri maestri, l’«eracliteo Cratilo» e Parmenide, e ab-
batté «la barriera tra l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio
possente che è la metafisica. All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva
fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente,
vita, dottrina (Gentile). Per Omodeo, il rinvio è a Omodeo; per Ruggiero, al
primo volume di Ruggiero Gentile e Socrate Quando, in una decina di pagine di
forte intensità, entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare
con più precisione il passag- gio che si era consumato dal formalismo di
Socrate alla metafisica di Platone, Gentile non mancò di osservare che la
«soluzione» che la dot- trina delle idee aveva dato al «problema» di Socrate,
unificando ciò che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen-
tare, perché metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva
tra eraclitismo ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone
riuscì più a mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare
Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate. Il poderoso sforzo da lui tentato
di strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza indomabile
dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non fallire. La
vicenda post-socratica delineava dunque la storia di un falli- mento; e di un
fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo elevato per la filosofia:
perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere di Parmenide («dire idea
– scriveva – è lo stesso che dire essere») e il dialogo, che Socrate aveva
coltivato come ricerca sogget- tiva della verità, si irretiva nella dialettica
oggettiva delle idee trascen- denti, dell’essere, nella «dialettica consistente
nella relazione che hanno le idee in se stesse», in «dialettica oggettiva, che
è norma e fine della soggettiva» Gentile parlava bensì di conquista del pensiero
platonico, di progresso, ma in tutta la sua pagina circolava l’impressione del
regresso e della decadenza, del passo indietro, della chiusura metafisica.
Impressione che si fece nitida nel brano in cui, mettendo a diretto confronto i
due filosofi, Socrate e Platone, affermò che il primo, di fronte all’antico
naturalismo, aveva scoperto il pen- siero come «relazione», «soggetto,
predicato e loro relazione», mentre l’altro quella relazione aveva ricondotta
«in un’idea suprema», unica e universale, e perciò l’aveva annientata e
assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve il pensiero:
«quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza la relazione,
l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa». E dunque metteva
capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un blocco, da
prendere LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come l’Essere
eleatico. Pare pensiero, e non è. Che era una critica della metafisica
platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate: il quale
restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità inesplosa
dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe
ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, “Considerazioni sulla dottrina
di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Opere
varie. Biella: Amosso. CERASUOLO.“Il “Socrate” di Labriola.” In La cultura
classica a Napoli. Napoli: Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica
dell’Università degli Studi di Napoli. BROCHARD, Études de philosophie ancienne
et de philosophie moderne. Paris: Alcan. COLLI. Biblioteche di filosofi nella
biblioteca di filosofia della Sapienza romana.” Culture del testo e del
documento. CROCE, Logica come scienza del concetto puro, Bari: Laterza. DE
RUGGIERO, GUIDO, Filosofia del cristianesimo, Dalle origini a Nicea. Bari:
Laterza. GENTILE Recensione a Zuccante, Socrate. Fonti, am- biente, vita,
dottrina (Torino). La Critica. Sistema di logica come teoria del conoscere. Firenze:
Sansoni. Rosmini e Gioberti. Saggio storico sulla filosofia italiana del
Risorgi- mento. Firenze: Sansoni. Sistema di logica come teoria del conoscere. Firenze:
Sansoni. La filosofia di Marx. Firenze: Sansoni. Teoria generale dello spirito
come atto puro. Firenze: Sansoni. Storia della filosofia (dalle origini a
Platone), a cura di V.A. Bellezza. Firenze: Sansoni. La religione. Firenze:
Sansoni. Gentile e Socrate. La riforma della dialettica hegeliana. Firenze:
Sansoni. La filosofia dell’arte. Firenze: Sansoni. Introduzione alla filosofia.
Firenze: Sansoni. Sommario di pedagogia come scienza filosofica. Firenze:
Sansoni. Spaventa. Firenze: Le Lettere. HEGEL, GEORG WILHELM FRIEDRICH, Lezioni
sulla storia della filosofia. Firenze: La Nuova Italia. Lezioni sulla storia
della filosofia (vol. II). Firenze: La Nuova Italia. Scienza della logica.
Roma-Bari: Laterza. LABRIOLA,“La dottrina di Socrate secondo Senofonte Platone
ed Aristotele.” In Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educa- zione,
a cura di L. Basile e L. Steardo. Milano: Bompiani. MAIER, Socrate. La sua
opera e il suo posto nella storia. Firenze: La Nuova Italia, ed. or. Sokrates:
sein Werk und seine geschichtliche Stellung. Tübingen: Mohr. MUSTÈ, “Il senso
della dialettica nella filosofia di Bertrando Spaventa.” Filosofia italiana.
OMODEO, Gesù e le origini del cristianesimo. Messina: Princi- pato, POGGI,
STEFANO, Introduzione a Labriola. Roma-Bari: Laterza. PUNZO Labriola.
Celebrazioni del centenario della morte. Cassino: Edizioni Dell’università
Degli Studi di Cassino, RITTER, Histoire de la philosophie ancienne, 4 voll.,
traduit de l’allemand par C.J. Tissot. Paris: Ladrange, SPAVENTA. Lettere,
scritti e documenti pubblicati da Benedetto Croce. Napoli: Morano, SPAVENTA,
Opere, a cura di Gentile. Firenze: Sansoni. Marcello Mustè. Mustè. Keywords: la filosofia
dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos –
natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico,
liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
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