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NAZIONALE < FONDO o UJ DORI A < H 0 IV 0 73 0 J m ni 2 a 40 f NAPOLI r. ■'S, ''v. ''/Ss. Digitized by Google Digitized by Google Digitized by Google Digitized by Google tasto xoma s\ uv* bui slocùm MCOlAVfi MACHIAVELLI os.taì: a p-v ciaoxxvi: i ,. Digitized by Google t 1 I u l * t % t • A v * > ( UHNZF, ber a, editore. 4 864. Digitized by Google J Digitized by Google DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO pi NICCOLÒ MACHIAVELLI. FIRENZE, G. BARBÈRA, EDITORE. 4 864. Digitized by Google ^Jo<roLo Digitized by Google S&M lt: NICCOLÒ MACHIAVELLI A ZANOBI BUONDELMONTI E COSIMO RUCELLÀI SALUTE. lo vi mando un presente , il quale se non corrisponde agli obblighi clic io ho con voi, è tale senza dubbio, quale ha potuto Niccolò Machiavelli mandarvi maggiore. Perchè in quello io ho espres- so quanto io so, c quanto io ho impa- ralo per una lunga pratica e continova lezione delle cose del mondo. E non por lendo nè voi nè altri disiderare da me più, non vi potete dolere se io non vi ho donato più. Bene vi può incrcsccre della povertà dello ingegno mio, quando M \chi avelli, Discorsi. — i. 1 ÌKÌRÌ ■.»' ■ Digitized by Google 2 31CC0LÒ MACHIAVELLI siano queste mie narrazioni povere ; e della fallacia del giudizio , quando io in molte parli , discorrendo , m' inganni. Il che essendo , won so quale di noi si abbia ad esser meno obbligato all' altro; o io a voi , che mi avete forzalo a scri- vere quello eh' io mai per me medesimo non arci scritto; o voi a me, quando scrivendo non abbi soddisfatto . Pigliate, adunque, questo in quello modo che si pigliano tulle le cose degli amici: dove si considera più sempre la intenzione di chi manda, che le qualità della cosa che è mandata. E crediate che in que- sto io ho una salis fazione , quando io penso che, sebbene io mi fussi ingan- nato in molle sue circostanze, in questa sola so eh * io non ho preso errore, di avere delti voi, ai quali sopra tutti gli altri questi miei Discorsi indirizzi : sì A Z. BUOSDELMOIHTI E C. BUCELLAI. 3 perché, facendo questo, ini pnre aver mostro qualche gratitudine de* benefizii ricevuti : si perchè e* mi pare esser uscito fuora dell * uso comune di coloro che scrivono , i quali sogliono sempre le loro opere a qualche Principe indi- rizzare ; e, accecati dall* ambizione c dall* avarizia, laudano quello di tutte le virtuose qualitadi, quando di ogni vituperevole parte doverrebbono biasi- marlo. Onde io, per non incorrere in questo errore, ho eletti non quelli che sono Principi, ma quelli che per le in- finite buone parti loro meriterebbono di essere ; nè quelli che polrebbono di gra- di, di onori e di ricchezze riempiermi, ma quelli che, non polendo, vorrebbono farlo. Perchè gli uomini, volendo giu- dicare dirittamente, hanno a stimare quelli che sono , non quelli che possono A MCCOLÒ MACHIAVELLI EC. esser liberali; e così quelli che sanno , non quelli che , senza sapere, possono governare un regno. E gli scrittori lau- dano più Icronc Siracusano quando egli era privato, che Perse Macedone quan- do egli era re: perchè a Icronc a esser principe non mancava altro che il prin- cipato ; quell * altro non avera parte alcuna di re, altro che il regno. Gode- tevi, pertanto quel bene o quel male che voi medesimi avete voluto : e se voi sta- rete in questo errore, che queste mie oppinioni vi siano grate , non manche- rò di seguire il resto della istoria, se- condo che nel principio vi promisi. Valete. DEI DISCOESI ’!! LIBRO PRIMO. Ancouaciiè, per la invida natura de- gli uomini, sia sempre stato pericoloso il ritrovare modi ed ordini nuovi, quanto il cercare acque e terre incognite, per essere quelli più pronti a biasimare che a laudare le azioni d’ altri ; nondimeno, spinto da quel naturale desiderio che fu sempre in me di operare, senza al- cun rispetto, quelle cose che io creda rechino comune benefìzio a ciascuno, ho deliberato entrare per una via, la quale, non essendo stata per ancora da al- cuno pesta, se la mi arrecherà fastidio e di ffìcultù, mi potrebbe ancora arre- I • 6 DEI DISCORSI care premio, mediante quelli che uma- namente di queste mie fatiche conside- rassero. E se T ingegno povero, la poco esperienza delle cose presenti, la de- bole notizia delle antiche, faranno que- sto mio conato difettivo e di non molta utilità ; daranno almeno la via ad al- cuno, che con più virtù, più discorso e giudizio, potrà a questa mia intenzione satisfare: il che se non mi arrecherà laude, non mi dovrebbe partorire bia- simo. E quando io considero quanto onore si attribuisca all’antichità, c co- me molte volte, lasciando andare molti altri esempi, un frammento d’ una an- tica statua sia stato comperato gran prezzo, per averlo appresso di sè, ono- rarne la sua casa, poterlo fare imitare da coloro che di quella arte si diletta- no; e come quelli poi con ogni indu- stria si sforzano in tutte le loro opere rappresentarlo: e vcggendo, dall’altro canto, le virtuosissime operazioni che le istorie ci mostrano, che sono state ope- LIBRO PRIMO. rate da regni c da repubbliche auliche, dai re, capitani, cittadini, datori di leggi, ed ultri che si sono per la loro atfaticati, esser più presto ammirate che imitate; au/i in tanto da ciascuno in ogni parte fuggite, che di quella antica virtù non ci è rimaso alcun seguo: posso fare che insieme non me ne lavigli e dolga; e tanto più, quanto veggio nelle differenze che intra i ladini civilmente nascono, o nelle ina lattie nelle quali gli uomini incorrono, essersi sempre ricorso a quelli giudicii o a quelli rimedi che dagli antichi sono stati giudicati o ordinati. Perchè le leggi civili non sono altro che sentenzio date dagli antichi iurcconsulti, le quali, ri- dotte in ordine, a’ presenti nostri iure- consulti giudicare insegnano; nè ancora la medicina è altro che cspcrienzia fatta dagli antichi medici, sopra la quale fon- dano i medici presenti li loro giudicii. Nondimeno, nello ordinare le repubbli- che, nel mantenere gli Stati, nel govcr- s DEI DISCORSI nai e i regni, nell’ ordinare la milizia ed amministrar la guerra, nel giudicare i sudditi, nello accrescere lo imperio, non si trova uè principi, nè repubbliche, nè capitani, nè cittadini che agli esempi degli antichi ricorra. Il che mi persuado che nasca non tanto dalla debolezza nella quale la presente educazione ha condotto il mondo, o da quel male che uno ambizioso ozio ha fatto a molte provincie c città cristiane, quanto dal nou avere vera cognizione delle istorie, per non trarne, leggendole, quel senso, nè gustare di loro quel sapore che le hanno in sè. Donde nasce che infiniti che leggono, pigliano piacere di udire quella varietà delli accidenti che in esse si contengono, senza pensare altrimeute d’ imitarle, giudicando la imitazione non solo difficile ma impossibile: come se il cielo, il sole, gli elementi, gli uomini fossero variati di moto, d’ordine e di potenza, da quello eli’ egli erano antica- mente. Volendo, pertanto, trarre gli uo- LIBRO PRIMO. 9 mini di questo errore, ho giudicalo ne- cessario scrivere sopra tutti quelli libri di Tito Livio che dalla malignità dei tempi non ci sono stati interrotti, quello che io, secondo le antiche e moderne cose, giudicherò esser necessario per maggiore intelligenzia d'essi; acciocché coloro che questi miei Discorsi legge- ranno, possino trarne quella utilità per la quale si debbe ricercare la cogni- zione della istoria. G benché questa im- presa sia difficile, nondimeno, aiutato da coloro che mi hanno ad entrare, sotto a questo peso confortato, credo portarlo in modo, che ad un altro resterà breve cammino a condurlo al luogo destinato. Cap. I. — Quali siano stati universal- mente i pr incipit’ di qualunque città , c quale fosse quello di Roma. Coloro che leggeranno qual principio fosse quello della città di Roma, e da quali legislatori e come ordinato, non 10 DEI DISCORSI si maraviglieranno che tanta virtù si sia per più secoli mantenuta in quella città; e che dipoi ne sia nato quello im- perio, al quale quella repubblica ag- giunse. E volendo discorrere prima il nascimento suo, dico che tutte le città sono edificate o dagli uomini natii del luogo dove le si edificano, o dai fore- stieri. 11 primo caso occorre quando agli abitatori dispersi in molte e pic- cole parli non par vivere sicuri, non potendo ciascuna per sè, e per il sito e per il piccol numero, resistere all’im- peto di chi le assaltasse; e ad unirsi per loro difensione, venendo il nemico, non sono a tempo; o quando fossero, con- verrebbe loro lnsciare abbandonati molti de’ loro ridotti, e cosi verrebbero ad es- ser sùbita preda dei loro nemici: tal- mente che, per fuggire questi pericoli, mossi o da loro medesimi, o da alcuno che sia infra di loro di maggior auto- rità, si ristringono ad abitar insieme in luogo eletto da loro, più comodo a vi- LIBRO PRIMO. I l vere e più facile a difendere. Di queste, infra molle altre, sono state Atene e Vi- ncaia. La prima, sotto l’autorità di Te- seo, fu per simili cagioni dalli abitatori dispersi edificata; l’altra, sendosi molti popoli ridotti in certe isolette che erano nella punta del mare Adriatico, per fug- gire quelle guerre che ogni dì, per lo avvenimento di nuovi barbari, dopo la declinazione dello imperio romano, na- scevano in Italia, cominciarono infra loro, senza altro principe particolare clic gli ordinassi, a vivere sotto quelle leggi che parvono loro più atte a man- tenerli. Il che successe loro felicemente per il lungo ozio che il sito dette loro, non avendo quel mare uscita, e non avendo quelli popoli che affliggevano Italia, navigi da poterli infestare: talché ogni picciolo principio li potò fare ve- nire a quella grandezza nella quale sono. 11 secondo caso, quando da genti fore- stiere è edificata una città, nasce o da uomini liberi, oche dipendano da altri: 12 DEI DISCORSI come sono le colonie mandate o da una repubblica o da un principe, per Sgra- vare le . loro terre d’abitatori, o per di- fesa di quel paese che, di nuovo acqui- stato, vogliono sicuramente e senza spesa mantenersi; delle quali città il Popolo romano ne edificò assai, e per tutto l’imperio suo: ovvero le sono edi- ficate da un principe, non per abitarvi, nia per sua gloria; come la città di Alessandria da Alessandro. E per non avere queste cittadl la loro origine libera, rade volte occorre che le facciano pro- gressi grandi, e possinsi intrai capi dei regni numerare. Simile a queste fu V edi- ficazione di Firenze, perchè (fi edificata da’ soldati di Siila, o, a caso, dagli abita- tori dei monti di Fiesole, i quali, confi- datisi in quella lunga pace che sotto Ot- taviano nacque nel mondo, si ridussero ad abitare nel piano sopra Arno) si edi- ficò sotto 1* imperio romano; nè potette, ne’ principii suoi, fare altri augumenti che quelli che per cortesia del principe LIBRO PRIMO. 13 li erano concessi. Sono liberi li edifica- tori delle cittadi, quando alcuni popoli, o sotto un principe o da per sé, sono costretti, o per morbo o per fame o per guerra, od abbandonare il paese potrio, e cercarsi nuova sede : questi tali, o egli abitano le cittadi elle e’ trovano nei paesi eli’ egli acquistano, come fece Moi- sè; o ne edificano di nuovo, come fe Enea. In questo caso è dove si conosce la virtù dello edificatore, e la fortuna dello edificato: la quale è più o meno meravigliosa, secondo che più o meno è virtuoso colui che ne è stato principio. La virtù del quale si conosce in duoi modi: il primo è nella elezione del sito; F altro nella ordinazione delle leggi. E perchè gli uomini operano o per neces- sità o per elezione; e perchè si vede quivi esser maggiore virtù dove la ele- zione ha meno autorità; è da conside- rare se sarebbe meglio eleggere, per la edificazione delle cittadi, luoghi sterili, acciocché gli uomini, costretti ad indù* * 1 4 dei discorsi striarsi, meno occupati dall’ozio, vives- sino più uniti, avendo, per la povertà del sito, minore cagione di discordie; come intervenne in Raugia, e in molte altre cittadi in simili luoghi edificate: la quale elezione sarebbe senza dubbio più savia e più utile, quando gli uo- . mini fossero contenti a vivere delloro, e non volcssino cercare di comandare altrui. Pertanto, non potendo gli uomini assicurarsi se non con la potenza, è necessario fuggire questa sterilità del pnese, e porsi in luoghi fertilissimi ; dove, potendo per la ubertà del sito am- pliare, possa e difendersi da chi l’ assal- tasse, e opprimere qualunque alla gran- dezza sua si opponesse. G quanto a quell’ozio che le arrecasse il sito, si debbe ordinare che a quelle necessitadi le leggi la costringhino che ’l sito non la costringesse; ed imitare quelli che sono stati savi, ed hanno abitato in paesi amenissimi e fertilissimi, c alti a prò durre uomini oziosi ed inabili ad ogni Digitized by Google LIBRO PRIMO. \ 5 virtuoso esercizio: chè, per ovviare a quelli danni i quali l’amenità del paese, mediante l’ozio, arebbero causati, hanno posto una necessità di esercizio a quelli che avevano a essere soldati: di qualità che, per tale ordine, vi sono diventati migliori soldati che in quelli paesi i quali naturalmente sono stati aspri e sterili. Intra i quali fu il regno degli Egizi, che non ostante che il paese sia amenissi- mo, tanto potette quella necessità ordi- nata dalle leggi, che vi nacquero uo- mini eccellentissimi; e se li nomi loro non fussino dalla antichità spenti, si vedrebbe come meriterebbero più laude che Alessandro Magno, c molti altri dei quali ancora* è la memoria fresca. E chi avesse considerato il regno del Soldano, e l’ordine de’Mammaluchi. e di quella loro milizia, avanti che da Sali, Gran Turco, fusse stata spenta ; arebbe ve- duto ili quello molti esercizi circa i sol- dati, ed arebbe in fatto conosciuto quanto essi temevano quell’ozio a che IO DEI DISCORSI la benignità del paese gli poteva con- durre, se non vi avessino con leggi for- tissime ovviato. Dico, adunque, essere più prudente elezione porsi in luogo fertile, quando quella fertilità con le leggi infra* debili termini si restringe. Ad Alessandro Magno, volendo edificare una città per sua gloria, venne Dino- erate architetto, e gli mostrò come ei la poteva fare sopra il monte Albo; il quale luogo, oltre allo esser forte, po- trebbe ridursi in modo che a quella città si darebbe forma umana; il che sarebbe cosa meravigliosa e raro, e de- gna della sua grandezza: e domandan- dolo Alessandro di quello che quelli abi- tatori viverebbono, rispose, non ci avere pensato: di che quello si rise, e lasciato stare quel monte, edificò Alessandria, dove gli abitatori avessero a stare vo- lentieri per la grassezza del paese, e per la comodità del mare e del Nilo. Chi esa- minerò, adunque, la edificazione di Ro- ma, se si prenderà Enea per suo primo LIBRO PRIMO. progenitore, sarà di quelle citladi edifi- cate da’ forestieri ; se Romolo, di quelle edificate dagli uomini natii del luogo; ed in qualunciic modo, la Vedrà avere principio libero, senza depcndere da al- cuno: vedrà ancora, come di sotto si dirà, a quante necessitadi le leggi fatte da Romolo, Numa, e gli altri, la costrin- gessino ; talmente clic la fertilità del sito, la comodità del mare, le spesse vittorie, la grandezza dello imperio, non la po- terono per molti secoli corrompere, e Ir» -» ** mantennero piena di tante virtù, djp^ quante mai fusse alcun’ altra repubblica ornata. E perchè le cose operate da lejj, ^ e che sono da Tito Livio celebrate, sono seguite o per pubblico o per privato consiglio, o dentro o fuori della cittade, io comincerò a discorrere sopra quelle cose occorse dentro, e per consiglio pub- blico, le quali degne di maggiore an- notazione giudicherò, aggiungendovi tut- to quello che da loro dependessi : con i quali Discorsi questo primo libro, Uachiavklm, Discorsi. — 1. 2 I I S DEI DISCORSI ovvero Questa prima parte, si termi- nerà. Cap. II. — Di quante spezie sono le *e- pnbbtiche , e di quale fu la Repubblica Romana. Io voglio porre da parte il ragionare di quelle cittadi clic hanno avuto il loro principio sottoposto ad altri; e parlerò di quelle che hanno avuto il principio 'ontano do ogni servitù esterna, nia si ; j sono subito governate per loro arbitrio, o come repubbliche o come principato: U quali hanno avuto, come diversi prin- cipi, diverse leggi ed ordini. Perchè ad alcune, o nel principio d’esse, o dopo non molto tempo, sono state date da un solo le leggi, e ad un tratto ; come quelle che furono date da Licurgo agli Spar- tani: alcune le hanno avute a caso, ed in più volte, e secondo li accidenti, come Roma. Talché, felice si può chiamare quella repubblica, la quale sortisce uno Digitized by Google udrò rniMo. i9 uomo sì prudente, che le dia leggi or- dinate in modo, che senza avere bisogno di correggerle, possa vivere sicuramente sotto quelle. E si vede che Sparta le osservò più che ottocento anni senza corromperle, o senza alcuno tumulto pe- ricoloso: e, pel contrario, tiene qualche grado d’ infelicità quella città, che, non si sendo abbattuta ad uno ordinatore prudente, è necessitata da sè medesima riordinarsi: e di queste ancora è più infelice quella che è più discosto dal- l’ordine; e quella è più discosto, con suoi ordini è al tutto fuori del dritto cammino, che la possi condurre al per- fetto e vero fine: perchè quelle clic sono iu questo grado, è quasi impossibile che per qualche accidente si rassettino. Quel le altre che, se le non hanno V ordine perfetto, hanno preso il principio buono, e atto a diventare migliori, possono per la occorrenza delli accidenti diventare perfette. Ma fia ben vero questo, mai non si ordineranno senza pericolo 20 DEI DISCORSI perchè li assai uomini non si accordano mai ad una legge nuova che riguardi uno nuovo ordine nella cit tà, se non è mostro loro da una necessità che biso- gni farlo ; e non potendo venire questa necessità senza pericolo, è facil cosa che quella repubblica rovini, avanti che la si sia condotta a una perfezione d’ or- dine. Di che ne fa fede appieno la re- pubblica di Firenze, la quale fu dallo accidente d’ Arezzo, nel 11, riordinata, e da quel di Prato, nel XII, disordinata. Volendo, adunque, discorrere quali fu- rono li ordini della città di Roma, e quali accidenti alla sua perfezione la condussero) dico, come alcuui che hanno scritto delle repubbliche, dicono essere in quelle uno de' tre stati, chiamati da loro Principato, d’Ottimati e Popolare; e come coloro che ordinano una città, debbono volgersi ad uno di questi, se- condo pare loro più a proposito. Alcuni altri, e secondo la oppinione di molti più savi, hanno oppinione che siano di LIBRO PRIMO. 24 sei ragioni governi; delti quali tre ne siano pessimi; tre altri siano buoni in loro medesimi, ma sì focili a corrom- persi, che vengono ancora essi ad es- sere perniziosi. Quelli che sono buoni, sono i soprascritti tre: quelli clic sono rei, sono tre altri, i quali da questi tre dependono; c ciascuno d’ essi è in modo simile a quello che gli è propinquo, che facilmente saltano dall’ uno all’ altro: perchè il Principato facilmente diventa tirannico; li Ottimati con facilità diven- tano stato di pochi ; il Popolare senza diflìcultà in licenzioso si converte. Tal- mente che, se uno ordinatore di repub- blica ordina in una città uno di quelli tre stati, ve lo ordina per poco tempo; perchè nessuno rimedio può farvi, a far che non sdruccioli nel suo contrario, per la similitudine che ha in questo caso la virtù ed il vizio. Nacquono que- ste variazioni di governi a caso intra li uomini: perchè nel principio del mon- do, sendo li abitatori rari, vissono un 22 DEI DISCORSI tempo dispersi, a similitudine delle be- stie; dipoi, multiplicando la generazione, si ragunorno insieme, e, per potersi meglio difendere, cominciorno a riguar- dare fra loro quello che fusse più ro- busto c di maggiore cuore, c fecionlo come capo, e lo obedivano. Da questo nacque la cognizione delle cose oneste e buone, differenti dalle perniziose e ree: perchè, veggendo che se uno no- I* ceva al suo benefattore, ne veniva odio e compassione intra gli uomini, biasi- mando li ingrati ed onorando quelli che fusscro grati, e pensando ancora che quelle medesime ingiurie potevano esser fatte a loro; per fuggire simile male, si riducevano a fare leggi, ordinare puni- zioni a chi contea facesse: donde venne la cognizione della giustizia. La qual cosa faceva che avendo dipoi ad eleg- gere un principe, non andavano dietro al più gagliardo, ma a quello che fussi più prudente c più giusto. Ala come di- poi si cominciò a fare il principe per Digitized by Google LIBRO PRIMO. 23 successione, e non pei* elezione, subito cominciorno li eredi a degenerare dai loro antichi ; e lasciando 1’ opere vir- tuose, pensavano che i principi non avessero a fare altro clic superare li altri di sontuosità e di lascivia c d’ ogni altra' qualità deliziosa: in modo che, comin- ciando il principe ad essere odialo, e per tale odio a temere, e passando to- sto dal timore all’ offese, ne nasceva presto una tirannide. Da questo nacquero appresso i principi» delle rovine, c delle conspirazioni e congiure contea i prin- cipi; non fatte da coloro clic fussero o timidi o deboli, ma da coloro che per genei'osità, grandezza d’ animo, ricchezza e nobiltà, avanzavano gli altri; i quali non potevano sopportare la inonesta vita di quel principe. La moltitudine, adun- que, seguendo l’ autorità di questi po- tenti, si armava contra al principe, c quello spento, ubbidiva loro come a suoi liberatori. E quelli, avendo in odio il nome d’ uno solo capo, constituivano di u DEI DISCORSI loro medesimi un governo; e nel piin- cipio, avendo rispetto alla passata tirati- nide, si governavano secondo le leggi ordinate da loro, posponendo ogni loro comodo alla comune utilità ; e le cose private e le pubbliche con somma dili- genzia governavano c conservavano. Ve- nuta dipoi questa amministrazione ai loro figliuoli, i quali, non conoscendo la variazione della fortuna, non avendo mai provato il male, e non volendo stare contenti alla civile equalità, ma rivoltisi alla avarizia, alla ambizione, alla usur- pazione delle donne, feciono clic d’ uno governo d’ Ottimati diventassi un go- verno di pochi, senza avere rispetto ad alcuna civiltà : tal che in breve tempo intervenne loro come al tiranno; perchè infastidita da’ loro governi la moltitu- dine, si fe ministra di qualunque dise- gnassi in alcun modo offendere quelli governatori; e cosi si levò presto al- cuno che, con I’ aiuto della moltitudine, li spense. Ed essendo ancora fresca la LIBRO PRIMO. 25 memoria del principe e delle ingiurie ricevute da quello, avendo disfatto lo Stato de’ pochi e non volendo rifare quel del principe, si volsero allo Stato popo- lare; c quello ordinarono in modo, che nè i pochi potenti, nè uno principe vi avesse alcuna autorità. E perchè tutti gli Stali nel principio hanno qualche re- verenza, si mantenne questo Stato po- polare un poco, ma non molto, massi- me spenta che fu quella generazione che l’aveva ordinato; perchè subito si ven- ne alla licenzia, dove non si temevano nè li uomini privati nè i pubblici; di qualità che, vivendo ciascuno a suo modo, si facevano ogni di mille ingiurie: tal- ché, costretti per necessità, o per sug gestione d’ alcuno buono uomo, o per fuggire tale licenzia, si ritorna di nuovo al principato; e da quello, di grado in grado, si riviene verso la licenzia, nei modi e per le cagioni dette. E questo è il cerchio nel quale girando tutte le re- pubbliche si sono governate, e si go- tifi OKI DISCORSI vernano: ina rade volte ritornano nei governi medesimi; perchè quasi nes- suna repubblica può essere di tanta vita, che possa passare molle volte per que- ste mutazioni, c rimanere in piede. Ma bene interviene che, nel travagliare, una repubblica, mancandoli sempre consiglio e forze, diventa suddita d'uno Stato pro- pinquo, clic sia meglio ordinato di lei : ina dato che questo non fusse, sarebbe atta una repubblica a rigirarsi infinito tempo in questi governi. Dico, adunque, che lutti i detti modi sono pestiferi, per la brevità della vita che è ne’ tre buoni, e per la malignità che è ne* tre rei. Tal- ché, avendo quelli che prudentemente ordinano leggi conosciuto questo difetto, fuggendo ciascuno di questi modi per se stesso, n’ elessero uno che partiei- passe di lutti, giudicandolo più fermo e più stabile ; perchè l’ uno guarda l’altro, scudo in una medesima città il Princi- pato, li Ottimati ed il Governo Popo- lare. Infra quelli che hanno per simili LIBRO PRIMO. 27 constituzioni meritato più laude, è Li- curgo; il quale ordinò in modo le sue leggi in Sparta, che dando le parti sue ai He, agli Ottimali e al Popolo, fece uno Stato che durò più che ottocento anni, con somma laude sua, e quiete di quella città. Al contrario intervenne a Solone, il quale ordinò le leggi in Atene che per ordinarvi solo lo Stato popolare lo fece di sì breve vita, che avanti mo- risse vi vide nata la tirannide di Pisi- strato: e benché dipoi anni quaranta ne fusscro cacciati gli suoi eredi, c ri- tornasse Atene in libertà, perchè la ri- prese lo Stato popolare, secondo gli or- dini di Solone; non lo tenne più clic cento anni, ancora che per mante- nerlo facesse molte constituzioni, per le quali si reprimeva la iusolenzia grandi c la licenzia dell’ universale, le quali non furou da Solonc considerate nientedimeno, perchè la non le mescolò con la potenzia del Principato e con quella dclli Ottimali, visse Atene, « 28 DEI DISCORSI spetto di Sparla, brevissimo tempo. Ria vegniamo a Roma ; la quale nonostante che non avesse uno Licurgo che la ordi- nasse in modo, ilei principio, che la po- tesse vivere lungo tempo libera, nondi- meno furon tanti gli accidenti che in quella nacquero, per la disunione che era intra la Plebe ed il Senato, che quello che non aveva fatto uno ordina- tore, lo fece il caso. Perchè, se Roma non sortì la prima fortuna, sortì la se- conda; perchè i primi ordini se furono defettivi, nondimeno non deviarono dalla diritta via che li potesse condurre alla perfezione. Perchè Romolo e tutti gli al- tri Re fecero molte e buone leggi, con- formi ancora al vivere libero: ma perchè il fine loro fu fondare un regno e non una repubblica, quando quella città ri- mase libera, vi mancavano molte cose che era necessario ordinare in favore della libertà, le quali non erano state da quelli Re ordinate. E avvengachè quelli suoi Re perdessero V imperio per Digilized by Google LIBRO PRIMO. 29 le cagioni e modi discorsi; nondimeno quelli clic li cacciarono, ordinandovi su- bito duoi Consoli, che stessino nel luogo del Re, vennero a cacciare di Roma il nome, e non la potestà regia: talché, essendo in quella Repubblica i Consoli ed il Senato, veniva solo ad esser mista di due qualità delle tre soprascritte: cioè di Principato e di Ottimali. Resta- vali solo a dare luogo al Governo Popo- lare: onde, essendo diventatala Nobiltà romana insolente per le cagioni che di sotto si diranno, si levò il Popolo con- tro di quella ; talché, per non perdere il tutto, fu costretta concedere al Popolo la sua parte; e, dall’altra parte, il Se- nato e i Consoli restassino con tanta autorità, che potcssino tenere in quella Repubblica il grado loro. E cosi nacque la creazione de’ Tribuni della plebe ; dopo la quale creazione venne a essere più stabilito lo stato di quella Repubblica, avendovi tutte le tre qualità di governo la parte sua. E tanto li fu favorevole la DE! DISCORSI 30 fortuna, che benché si passasse dal go- verno de’ Re e delli Ottimati al Popolo, per quelli medesimi gradi e per quelle medesime cagioni che di sopra si sono discorse : nondimeno non si tolse mai, per dare autorità alli Ottimati, tutta l’autorità alle qualità regie; nè si dimi- nuì l’autorità in tutto alli Ottimati, per darla al Popolo; ina rimanendo mista, fece una repubblica perfetta : alla quale perfezione venne per la disunione della Plebe e del Senato, come nei duoi pros- simi seguenti capitoli largamente si di- mostrerà. C.aP. III. — Quali accidenti facessino creare in Roma i Tribuni della plebe ; il che fece la Repubblica più perfetta. Come dimostrano lutti coloro che ra- gionano del vivere civile, e come ne è piena di esempi ogni istoria, è necessa- rio a chi dispone una repubblica, ed ordina leggi in quella, presupporre tutti LIBRO PRIMO. 31 gli uomini essere cattivi, e clic li abbino sempre od usure la malignità dello ani- mo loro, qualunchc volta ne abbino li- bera occasione: e quando alcuna mali- gnità sta occulta un tempo, procede da una occulta cagione, ebe, per non si es- sere veduta esperienza del contrario, non si conosce; ma la fa poi scoprire il tempo, il quale dicono essere padre d’ogni verità. Pareva clic fusse in Roma intra la Plebe cd il Senato, cacciati i Tarquiili, una unione grandissima; e che i Nobili, avessino deposta quella loro superbia, c russino diventati d'animo popolare, c sopportabili da qualuncbc, ancora ebe infimo. Stette nascoso que- sto inganno, nè se ne vide la cagione, infino ebe i Tarquini vissono; de’ quali temendo la Nobiltà, ed avendo paura che la Plebe mal trattata non si acco- stasse loro, si portava umanamente con quella: ma come prima furono morti i Tarquini, e die a’ Nobili fu la paura fuggita, cominciarono a sputare contro 32 DEI DISCORSI r Olla Plebe quel veleno che si avevàno tenuto nel petto, ed in tutti i modi che potevano la offendevano: la qual cosa fa testimonianza a quello che di sopra ho detto, che gli uomini non operano mai nulla bene, se non per necessità; ma dove la elezione abbonda, e che vi si può usare licenzia, si riempie subito ogni cosa di confusione e di disordine. Però si dice che la fame e la povertà fu gli uo- mini industriosi, e le leggi gli fanno buoni. E dove una cosa per sè medesima senza la legge opera bene, non è neces- saria la legge; ma quando quella buona consuetudine manca, è subito la legge necessaria. Però, mancati i Tarqnini, che con la paura di loro tenevano la Nobiltà a freno, convenne pensare a uno nuovo ordine ehe facessi quel medesimo effetto che facevano i Tarquini quando erano vivi. E però, dopo molte confu- sioni, romori e pericoli di scandali, che nacquero intra la Plebe c la Nobiltà, si venne per sicurtà della Plebe alla crea- Digitized by Google unno primo. 3 3 zionc ile* Tribuni ; e quelli ordinarono con laute preminenze e tanta riputa- zione, che potcssino essere sempre di poi mezzi intra la Plebe e il Senato, e ovviare alla insolenzia de’ Nobili. €ap. IV. — Che la disunione della Plebe c del Senato romano fece libera e polente quella Repubblica. H0U njt fil ùi òVvil tf, ; il "iit* lo non voglio mancare di discorrere sopra questi tumulti che furono in Ro- ma dalla morte de’ Tarquini alla crea- zione de’ Tribuni; e di poi alcune cose contro la oppinionc di molti clic dicono. Roma esser stata una repubblica tumul- tuaria, e piena di tanta confusione, clic se la buona fortuna c la virtù militare non avesse supplito a’ loro difetti, sa- rebbe stata inferiore ad ogni altra re- pubblica. Io non posso negare che la fortuna e la milizia non fussero cagioni dell’imperio romano; ma e’ mi pare bene, che costoro non si avvegghino, Macuutelii, Discorsi.— 1. 3 34 dei nisconsi clic dove è buona milizia, conviene clic sia buono ordine, e rade volte anco oc- corre clic non vi sia buona fortuna. Ma vegniamo all i altri particolari di quella città. Io dico clic coloro clic dannano i tumulti intra i Nobili c la Plebe, mi pare clic biasimino quelle cose che fu- rono prima cagione di tenere libera Ro- ma ; c clic considerino più a’ romori ed alle grida clic di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti clic quelli partori- vano: e che non considerino come ei sono in ogni repubblica duoi umori di- versi, quello del popolo, c quello dei grandi ; c come tutte le leggi che si fanno in favore delia libertà, nascono dalla disunione loro, come facilmente si può vedere essere seguito in Roma: perchè da’Tarquini ai Gracchi, che furono più di trecento anni, i tumulti di Roma rade volte partorivano esilio, radissime san- gue. Nè si possono, per tanto, giudicare questi tumulti nocivi, nè una repubblica divisa, che in tanto tempo per le sue Lineo pr. imo. 35 differenze non mondò in esilio più che otto o dieci cittadini, e ne ammazzò po- chissimi, e non molti ancora condennò in danari. Nè si può chiamare in alcun modo, con ragione, una repubblica inor- dinata, dove siano tanti esempi di virtù; perchè li buoni esempi nascono dalla buona educazione; la buona educazione dalle buone leggi ; e le buone leggi da quelli tumulti che molti inconsiderata- mente dannano: perchè chi esaminerò bene il fine d’essi, non troverà ch’egli abbino partorito alcuno esilio o violenza in disfavore del comune bene, ma leggi ed ordini in benefizio della pubblica li- bertà. E se alcuno dicesse : i modi erano straordinari, e quasi efferati, vedere il Popolo insieme gridare contro il Senato, il Senato contra il Popolo, correre tu- multuariamente per le strade, serrare le botteghe, partirsi tutta la Plebe di Ro- ma. le quali tutte cose spaventano, non clic altro, chi legge; dico come ogni città debbe avere i suoi modi, con i DEI DISCORSI 36 quali il popolo possa sfogare l’ambi- zione sua, e massime quelle ciltadi che uelle cose importanti si vogliono va- lere del popolo: intra le quali la città di Roma aveva questo modo, che quan- do quel Popolo voleva ottenere una leg- ge, o e’ faceva alcuna delle predette co- se, o e’ non voleva dare il nome per andare alla guerra, tanto che a placarlo bisognava in qualche parte satisfargli. E i desiderò de’ popoli liberi, rade volle sono perniziosi alla libertà, perchè e’na- seono o da essere oppressi, o da suspi- zionc di avere a essere oppressi. E quando queste oppinioni fussero false, e’ vi è il rimedio delle concioni, che sorga qualche uomo da bene, che, orando, dimostri loro come c’ s’ ingannano: e li popoli, come dice Tullio, benché siano igno- ranti, sono capaci della verità, e facil- mente cedono, quando da uomo degno di fede è detto loro il vero. Debbesi, adunque, più parcamente biasimare il governo romano, e considerare che tanti LIBRO PRIMO. buoni effetti quanti uscivano di quella repubblica, non erano causati se non da ottime cagioni. E se i tumulti furono ca- gione della creazione dei Tribuni, meri- tano somma laude; perchè, oltre al dare la parte sua all’ amministrazione popo- lare, furono constituiti per guardia della libertà romana, come nel seguente ca- pitolo si mostrerà. '• •" [ *» » . ì t % l * , * ) C\p. V. — Dove più sccurnmentc si pon- ga la guardia della libertà , o nel Popolo o ne * Grandi ; c c/uali hanno maggior cagione di tumultuare , o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere. ~~ • ìr>7 1 Quelli clic prudentemente hanno con- stituita una repubblica, intra le più necessarie cose ordinate da loro, è stato constituire una guardia alla liberta: e secondo che questa è bene collocala, dura più o meno quel vivere libero. E perché in ogni repubblica sono uomin grandi e popolari, si è dubitato nelle 38 DEI DISCORSI mani di quali sia meglio collocata detta guardia. Ed appresso i Lacedemoni, c, ne’ nostri tempi, appresso de’ Viniziani, la è stata messa nelle mani de’ Nobili ; ma appresso de’ Romani fu messa nelle mani della Plebe. Per tanto, è necessa- rio esaminare, quale di queste repub- bliche avesse migliore elezione. E se si andassi dietro alle ragioni, ci è che dire da ogni pajte: ma se si esaminassi il fine loro, si piglierebbe la parte de’ Nobili, per aver avuta la libertà di Sparla c di Vinegia più lunga vita che quella di Roma. E venendo alle ragio- ni, dico, pigliando prima la parte de’ Ro- mani, come e’ si debbe mettere in guar- dia coloro d’ una cosa, che hanno meno appetito di usurparla. E senza dubbio, se si considera il fine de’ nobili e deili ignobili, si vedrà in quelli desiderio grande di dominare, cd in questi solo desiderio di non essere dominati; e, per conseguente, maggiore volontà di vivere liberi, potendo meno sperare d’ usur- unno primo. 30 parla che non possono li granili: tal- ché, essendo i popolani preposti a guar- dia d’ una libertà, ò ragionevole ne abbino più cura : e non la putendo occu- pare loro, non permettino clic altri la occupi. Dall’ altra parte, chi difende l’ordine sparlano e veneto, dice clic coloro che mettono la guardia in inano de’ potenti, fanno due opere buone: I’ una, che satisfanno più all’ ambizione di coloro che avendo più parte nella repubblica, per avere questo bastone in mano, hanno cagione di contentarsi più; I’ altra, clic bevano una qualità di au- torità dagli animi inquieti della plebe, che è cagione d’ infinite dissensioni e scandali in una repubblica, e alta a ri- durre la nobiltà a qualche disperazio- ne, che col tempo faccia cattivi eliciti. E ne danno per esempio la medesima Roma, che per avere i Tribuni della plebe questa autorità nelle mani, non bastò loro aver un Consolo plcbeio, che gli vollono avere ambedue. Da questo, 40 DEI DISCORSI c* voltano la Censura, il Pretore, e tutti li altri gradi dell’imperio della città: nè bastò loro questo, chè, menati dal medesimo furore, cominciorno poi, col tempo, a adorare quelli uomini che ve- devano atti a battere la Nobiltà ; donde nacque la potenza di Alarlo, e la rovina di Roma. E veramente, chi discorresse bene I’ una cosa c l’ altra, potrebbe stare dubbio, quale da lui fusse eletto per guardia tale di libertà, non sapen- do quale qualità d’ uomini sia più no- civa in una repubblica, o quella ohe desidera acquistare quello che non ha, ‘ o quella che desidera mantenere V ono- re già acquistato. Ed in fine, chi sot- tilmente esaminerà tutto, ne farà que- sta conclusione: o tu ragioni d’ una repubblica che vogli fare uno imperio, come Roma ; o d’ una che li basti man- tenersi. Nel primo caso, gli è necessa- rio fare ogni cosa come Roma; nel se- condo, può imitare Yinegia e Sparta per quelle cagioni, e come nel seguente Digitized by Google LIBRO PRIMO. 41 capitolo si dirà. .Ma, per tornare a di- scorrere quali uomini siano in una re- pubblica piu nocivi, o quelli clic desi- derano d’acquistare, o quelli clic te- mono di perdere lo acquistato; dico die, scudo fatto Marco Meiiennio ditta- tore, e Marco Fulvio maestro de’ caval- li, tutti duoi plebei, per ricercare certe congiure clic si erano falle in Capova conlro a Roma, fu dato ancora loro au- torità dal Popolo di poter ricercare chi in Roma per ambizione e modi straor- dinari s’ ingegnasse di venire al con- solato, ed agli altri onori della città. E parendo alla Nobiltà, che tale autorità fusse data al Dittatore contro a lei, sparsero per Roma, clic non i nobili erano quelli che cercavano gli onori per ambizione e modi straordinari, ma gl’ ignobili, i quali, non confidatisi nel sangue e nella virtù loro, cercavano per vie straordinarie venire a quelli gradi; e particolarmente accusavano il Ditta- tore. E tanto fu potente questa accusa, 4“2 DEI DISCORSI che Mencnnio, fatta una conclone c do- lutosi deite calunnie dategli da* Nobili, depose la dittatura, e sottomessesi ai giudizio che di lui fussi fatto dal Po* polo; c dipoi, agitala la causa sua, ne fu assoluto: dove si disputò assai, quale sia più ambizioso, o quel che vuole mantenere o quel che vuole acquistare; perchè facilmente 1* uno e V altro ap- petito può essere cagione di tumulti grandissimi. Pur nondimeno, il più delle volte sono causali da chi possiede, per- chè la paura del perdere genera in loro le medesime voglie che sono in quelli che desiderano acquistare; perchè non pare agli uomini possedere sicuramente quello clic P uomo ha, se non si acqui- sta di nuovo dell’ altro. E di più vi è, che possedendo molto, possono con mag- gior potenzia c maggiore moto fare al- terazione. Ed ancora vi è di più, che li loro scorretti e ambiziosi portamenti accendono ne’ petti di chi non possiede voglia di possedere, o per vendicarsi Digitized by Google LIBRO PRIMO. 43 contro di loro spogliandoli, o per po- tere ancora loro entrare in quella ric- chezza c in quelli onori clic veggono essere male usati dagli altri. Cap. VI. — Se in 1 ionia si poteva ordi- nare uno stalo che togliesse via le inimicizie intra il Popolo ed il Senato. Noi abbiamo discorsi di sopra gli ef- fetti che facevano le controversie intra il Popolo ed il Senato. Ora, sendo quelle seguitate in fino al tempo de’ Gracchi, dove furono cagione della rovina del vi- vere libero, potrebbe alcuno desiderare che Roma avesse fatti gli effetti grandi che la fece, senza che in quella fussino tali inimicizie. Però mi è parso cosa degna di considerazione, vedere se in Roma si po- teva ordinare uno stato che togliesse via dette controversie. Ed a volere esaminare questo, è necessario ricorrere a quelle repubbliche le quali senza tante inimi- cizie c tumulti sono state lungamente li- il DEI DISCORSI bere, e vedere quale stato era il loro, e se si poteva introdurre in Roma. In esempio tra lì antichi ci è Sparta, tra i moderni Yinegia, state da me di sopra uominate. Sparla fece uno Re, con un picciolo Senato, che la governasse. Vi- negia non ha diviso il governo con i nomi ; ma, sotto una appellazione, lutti quelli che possono avere amministra- zione si chiamano Gentiluomini. Il quale modo lo dette il caso, più che la pru- denza di elùdette loro le leggi: perchè, sendosi ridotti in su quegli scogli dove è ora quella città, per le cagioni dette di sopra, molti abitatori; come furon cresciuti in tanto numero, che a volere vivere insieme bisognasse loro far leggi, ordinorono una forma di governo; c convenendo spesso insieme ne’ consigli a deliberare della città, quando parve loro essere tanti che fussero a sufficienza ad un vivere politico, chiusono la via a tutti quelli altri che vi venissino ad abitare di nuovo, di potere convenire ne’ loro Digitized by Google LIBRO PRIMO. governi: e, col tempo, trovandosi in quel luogo assai abitatori fuori del go- verno, per dare riputazione a quelli clic governavano, gli chiamarono Gentiluo- mini, e gli altri Popolani. Potette questo modo nascere e mantenersi senza tu- multo, perchè quando e’ nacque, qua- lunque allora abitava in Vinegia fu fatto del governo, di modo che nessuno si po- teva dolere; quelli che. dipoi vi vennero ad abitare, trovando lo Stato fermo c terminato, non avevano cagione nè co- modità di fare tumulto. La cagione non y* era, perchè non era stato loro tolto cosa alcuna: la comodità non v’era, perché chi reggeva gli teneva in freno, c non gli adoperava in cose dove e’ po- tessino pigliare autorità. Oltre di que- sto, quelli che dipoi vennono ad abitare Vinegia, non sono stali molli, c di tanto numero, che vi sia disproporzione da chi gli governa a loro che sono gover- nati; perchè il numero de’ Gentiluomini o egli è eguale a loro, o egli è supe- f- 46 DEI DISCORSI riore: sicché, per queste cagioni, Vine- gia potette ordinare quello Stalo, e man- tenerlo unito. Sparta, come ho detto, es- sendo governata da un Re c da una stretto Senato, potette mantenersi così lungo tempo, perchè essendo in Sparta pochi abitatori, ed avendo tolta la via n chi vi venisse ad abitare, ed avendo prese le leggi di Licurgo con repu- tazione, le quali osservando, levavano via tutte le cagioni de’ tumulti, po- terono vivere uniti lungo tempo: perchè Licurgo con le sue leggi fece in Sparta più cqualità di sustanze, e meno equa- lità di grado; perchè quivi era una eguale povertà, ed i plebei erano manco ambiziosi, perchè i gradi della città si distendevano in pochi cittadini, ed erano tenuti discosto dalla plebe, uè gli nobili col trattargli male dettero mai loro de- siderio di avergli. Questo nacque dai Re spartani, i quali essendo collocati in quel principato e posti in mezzo di quella nobiltà, non avevano maggiore ri- LIBRO PRIMO. 47 medio a tenere fermo la loro degnità, ehc tenere la plebe difesa da ogni in- giuria : il che faceva che la plebe non temeva, c non desiderava imperio ; e non avendo imperio nè temendo, era levata via la gara che la potessi avere con !u nobiltà, c la cagione de’ tumulti; e po- terono vivere uniti lungo tempo. Ma due cose principali causarono questa unione: T una esser pochi gli abitatori di Sparta, e per questo poterono esser governati da pochi; l’altra, che non accettando forestieri nella loro repubblica, non ave- vano occasione nè di corrompersi, nè di crescere in tanto che la fusse insoppor- tabile a quelli pochi che la governavano. Considerando, adunque, tutte queste cose , si vede come a’ legislatori di Roma era necessario fare una delle due cose, a vo- lere che Roma stessi quieta come le so- praddette repubbliche: o non adoperare la plebe in guerra, corne i Viniziani;o non aprire la via a’ forestieri, come gli Spartani. E loro feceno 1’una e l’altra; |MH[ 48 DEI DISCOBSI il che dette alla plebe forza ed augu- mento, ed infinite occasioni di tumul- tuare. E se lo stato romano veniva ad essere più quieto, ne seguiva questo in- conveniente, ch’egli era anco più debile, perchè gli si troncava la via di potere venire a quella grandezza dove ei per- venne: in modo che volendo Roma le- vare le cagioni de’ tumulti, levava anco le cagioni dello ampliare. Ed in tutte le cose umane si vede questo, chi le esa- minerà bene: che non si può mai can- cellare uno inconveniente, che non ne surga un altro. Per tanto, se tu vuoi fare un popolo numeroso ed armato per potere fare un grande imperio, lo fai di qualità che tu non lo puoi poi ma- neggiare a tuo modo: se tu lo mantieni o piccolo o disarmato per potere ma- neggiarlo, se egli acquista dominio, non lo puoi tenere, o diventa sì vile, che tu sei preda di quaiunche ti assalta. E però, in ogni nostra deliberazione si debbe considerare dove sono meno inconve- Digitized by Google LIBRO PniMO. 49 nienti, c pigliare quello per migliore partito: perchè tutto netto, tutto senza sospetto non si trova mai. Poteva, adun- que, Roma a similitudine di Sparta fare un Principe a vita, fare un Senato pic- colo; ma non poteva, come quella, non crescere il numero de’ cittadini suoi, vo- lendo fare un grande imperio; il che faceva che il- Re a vita ed il picciol nu- mero del Senato, quanto alla unione, gli sarebbe giovato poco. Se alcuno volesse, per tanto, ordinare una repubblica di nuovo, arebbe a esaminare se volesse ch’ella ampliasse, come Roma, di domi- nio e di potenza, ovvero ch’ella stesse dentro a brevi termini. Nel primo caso, è necessario ordinarla come Roma, e dare luogo a’ tumulti e alle dissensioni universali, il meglio che si può; perchè senza gran numero di uomini, e bene armati, non mai una repubblica potrà crescere, o se la crescerà, mantenersi. Nel secondo caso, la puoi ordinare come Sparta c come Yinegia: ma perchè l’ani- Macbhvelli, Discorsi. — 1. * 50 DEI DISCORSI pitale è il veleno di simili repubbliche, tlebbc, in tutti quelli modi che si può, citi le ordina proibire loro lo acqui' stare; perchè tali acquisti fondati sopra una repubblica debole, sono al tutto la rovina sua. Come intervenne a Sparta ed a Yinegia : delle quali la prima aven- dosi sottomessa quasi tutta la Grecia, mostrò in su uno minimo accidente il debole fondamento suo ; perchè, seguita la ribellione di Tebe, causata da Pelo- pitia, ribellandosi V altre cittadi, rovinò al tutto quella repubblica. Similmente Yinegia, avendo occupato gran parte d’Italia, e la maggior parte non con guerra ma con danari e con astuzia, come la ebbe a fare prova delle forze sue, perdette in una giornata ogni cosa. Crederei bene, che a fare una repub- blica che durasse lungo tempo, fussi il miglior modo ordinarla dentro come Sparla o come Yinegia ; porla in luogo forte, e di tale potenza, che nessuno cre- desse poterla subito opprimere; e dal- Digitized by Google « »» LIBRO PRIMO. 51 l’altra parte, non fussi si grande, che la fussi formidabile a’ vicini : c così po- trebbe lungamente godersi il suo stato. Perchè, per due cagioni si fa guerra ad una repubblica: Cuna per diven- tarne signore, l’altra per paura ch’ella non ti occupi. Queste due cagioni il so- praddetto modo quasi in tutto toglie via; perchè, se la è difficile ad espugnarsi, come io la presuppongo, sendo bene or- dinata alla difesa, rade volte accadere, o non mai, che uno possa fare disegno d’ acquistarla. Se la si starà intra i ter- mini suoi, e veggasi per esperienza, che in lei non sia ambizione, non occorrerà mai che uno per paura di sè gli faccia guerra : e tanto più sarebbe questo, se e’ fusse in lei constituzione o legge che le proibisse l’ampliare. E senza dubbio credo, clic polendosi tenere la cosa bi- lanciata in questo modo, che e’ sarebbe il vero vivere politico, e la vera quiete di una città. Ma scudo tutte le cose de- gli uomini in moto, c non potendo stare 52 DEI DISCORSI salde, conviene che le saglino o clic le scendino ; e a molte cose che la ragione non t' induce, t’ induce lo necessità: tal- mente che, avendo ordinata una repub- blica atta a mantenersi non ampliando, e la necessità la conducesse ad ampliare, si verrebbe a torre via i fondamenti suoi, ed a farla rovinare più presto. Così, dall’altra parte, quando il Cielo le fusse si benigno, che la non avesse a fare guerra, ne nascerebbe che l’olio la farebbe o effeminata o divisa; le quali due cose insieme, o ciascuna per sè, sorebbono cagione della sua rovina. Per- tanto, non si potendo, come io credo, bilanciare questa cosa, nò mantenere questa via del mezzo a punto ; bisogna, nello ordinare la repubblica, pensare alla parte più onorevole; ed ordinaria in modo, che quando pure la necessità la inducesse ad ampliare, ella potesse quello ch’ella avesse occupato, conser- vare. E, per tornare al primo ragiona- mento, credo che sia necessario seguire Digitized by Google LIBRO PRIMO. • 53 l'ordine romano, e non quello dell’altre repubbliche; perchè trovare un modo, mezzo infra l’uno e l’altro, non credo si possa: e quelle inimicizie che intra il popolo ed il senato nascessino, tolle- rarle, pigliandole per uno inconveniente necessario a pervenire alla romana gran- dezza. Perchè, oltre all’ altre ragioni alle- gate dove si dimostra Y autorità tribun zia essere stata necessaria per la guardia della libertà, si può facilmente consi- derare il benefizio che fa nelle repub- bliche l’autorità dello accusare, la quale era intra gli altri commessa a’ Tribuni ; come nel seguente capitolo si discorrerà. Gap. VII. — Quanto siano necessarie in una repubblica le accuse per mante- nere la libertà. A coloro che in una città sono pre- posti per guardia della sua libertà, non si può dare autorità più utile e neces- saria, quanto è quella di potere acca- 54 . DEI DISCORSI sare i cittadini ai popolo, o a qualun- que magistrato o consiglio, quando che pcccassino in alcuna cosa contea allo stato libero. Questo ordine fa duoi ef- fetti utilissimi ad una repubblica. Il primo è che i cittadini, per paura di non essere accusati, non tentano cose contro allo Stato: e tentandole, sono in- continente e senza rispetto oppressi. 1/ altro è che si dà via onde sfogare a quelli umori che crescono nelle citladi, in qualunque modo, contea a qualun- que cittadino: e quando questi umori non hanno onde sfogarsi ordinariamen- te, ricorrono a’ modi straordinari, che fanno rovinare in tutto una repubblica. G non è cosa che faccia tanto stabile e ferma una repubblica, quanto ordinare quella in modo, che l’ alterazione di questi umori che la agitano, abbia una via da sfogarsi ordinata dalie leggi. Il che si può per molti esempi dimostra- re, e massime per quello che adduce Tito Livio di Coriolano, dove ei dice, LIBRO PRIMO. 55 che essendo irritala contro alla Plebe la Nobiltà romana, per parerle che la Plebe avesse troppa autorità mediante la creazione de’ Tribuni che la difende- vano; ed essendo Roma, come avviene, venuta in penuria grande di vettova- glie, ed avendo il Senato mandato per grani in Sicilia; Coriolano, nimico alla fazione popolare, consigliò come egli era venuto il tempo da potere gasti- gare la Plebe, e torte quella autorità die ella si aveva acquistata c in pre- giudizio della nobiltà presa, tenendola affamata, c non li distribuendo il fru- mento; la qual sentenza sendo venuta alii orecchi del Popolo, venne in tanta indegnazione contro a Coriolano, che allo uscire del Senato lo arebbero tu- multuariamente morto, se gli Tribuni non 1’ avessero citato a comparire a di- fendere la causa sua. Sopra il quale accidente, si nota quello che di sopra si è detto, #quanto sia utile e necessa- rio che le repubbliche, con le leggi loro, 56 DEI DISCORSI diano onde sfogarsi oli’ ira clic concepc la universalità contra a uno cittadino; perchè quando questi modi ordinari non vi siano, si ricorre agli estraordinari; c senza dubbio questi fanno molto peg- giori effetti che non fanno quelli. Per- chè, se ordinariamente uno cittadino è oppresso, ancora che li fusse fatto tor- to, ne seguita o poco o nessuno disor- dine in la repubblica: perchè la esecu- zione si fa senza forze private, e senza forze forestiere, che sono quelle che rovinano il vivere libero; ma si fa con forze ed ordini pubblici, che hanno i termini loro particolari, nè trascendono a cosa che rovini la repubblica. E quan- to a corroborare questa oppinione con gli esempi, voglio che degli antichi mi basti questo di Coriolano; sopra il quale ciascuno consideri, quanto male saria resultato alla repubblica romana, se tumultuariamente ci fussi stato morto; perchè ne nasceva offesa ila privati a privati, la quale offesa genera paura; LIBRO PRIMO. 57 la paura cerca difesa; per la difesa si procacciano i partigiani; dai partigiani nascono le parti nelle cittadi; dalle parti la rovina di quelle. Ma sendosi governata la cosa mediante chi ne ave- va autorità, si vennero a tór via tutti quelli mali che ne potevano nascere go- vernandola con autorità privata. Noi avemo visto ne’ nostri tempi, quale no- vità ha fatto alla repubblica di Firenze non potere la moltitudine sfogare l’ nni- ino suo ordinariamente contra a un suo cittadino; come accadde nel tempo di Francesco Valori, clic era come prin- cipe della città : il quale essendo giudi- calo ambizioso da molti, e uomo che volesse con la sua audacia e animosità trascendere il vivere civile; e non es- sendo nella repubblica via a poterli re- sistere se non con una setta contraria alla sua ; ne nacque che non avendo paura quello, se non di modi straordi- nari, si cominciò a fare fautori che lo difendessino; dall’ altra parte, quelli clic DEI DISCOIDI ó8 lo oppugnavano non avendo via ordi- naria a reprimerlo, pensarono alle vie straordinarie : intanto che si venne alle armi. E dove, quando per l’ordinario si fusse potuto opporseli, sarebbe la sua autorità spenta con suo danno solo; avendosi a spegnere per lo straordina- rio, seguì con danno non solamente suo, ma di molti altri nobili cittadini. Potrebbesi ancora allegare, a fortifica- zione della soprascritta conclusione, l’ accidente seguito pur in Firenze so- pra Piero Soderini; il quale al tutto segui per non essere in quella Repub- blica alcuno modo di accuse contra alla ambizione de’ potenti cittadini: perchè lo accusare un potente a otto giudici in una repubblica, non basta : bisogna che i giudici siano assai, perchè pochi sempre fanno a modo de’ pochi. Tanfo che, se tali modi vi fussono stati, o i cittadini lo arebbono accusato, vivendo egli male; e per tal mezzo, senza far venire l’ esercito spagnuolo, arebbono Digitized by Google LIBRO PRIMO. 59 sfogato l’animo loro: o non vivendo male, non arebbono avuto ardire ope- rarli contra, per paura di non essere accusati essi : e cosi sarebbe da ogni parte cessato quello appetito che fu ca- gione di scandalo. Tanto che si può concludere questo, che qualunque volta si vede che le forze esterne siano chia- mate da una parte d’ uomini che vi- vono in una città, si può credere na- sca da’ cattivi ordini di quella, per non esser dentro a quello cerchio, ordine da potere senza modi islraordinari sfo- gare i maligni umori che nascono nelli uomini: a che si provvede al tutto con ordinarvi le accuse alii assai giudici, e dare riputazione a quelle. Li quali modi furono in Roma sì bene ordinati, che in tante dissensioni della Plebe e del Senato, mai o il Senato o la Plebe o alcuno particolare cittadino non dise- gnò valersi di forze esterne; perche avendo il rimedio in casa, non erano necessitati andare per quello fuori. E DEI DISCORSI 60 benché gli esempi soprascritti siano as- sai sufficienti a provarlo, nondimeno ne voglio addurre un altro, recitato da Tito Livio nella sua istoria: il quale riferisce come, scudo stato in Chiusi, città in quelli tempi nobilissima in To- scana, da uno Lucumone violata una sorella di Aruntc, c non potendo Arunte vendicarsi per la potenia del violatore, se n'andò a trovare i Franciosi, che al- lora regnavano in quello luogo che oggi si chiama Lombardia; e quelli confortò a venire con annata mano a Chiusi, mostrando loro come con loro utile lo potevano vendicare della ingiuria rice- vuta : che se Arunte avesse veduto po- tersi vendicare con i modi della città, non arebbe cerco le forre barbare. Ma come queste accuse sono utili in una repubblica, così sono inutili e dannose le calunnie ; come nel capitolo seguente discorreremo. - 6 ì \ LIBRO PRIMO. Cap. Vili. — Quanto le accuse sono utili alle repubbliche, tanto sono per niziose le calunnie. Non ostante che la virtù di Cnmmillo, poi ch’egli ebbe libera Roma dalla oppressione de’ Franciosi, avesse fatto che tutti i cittadini romani, parer loro tòrsi reputazione o cedevano a quello; nondimeno Maulio Capitolino non poteva sopportare che gli fusse attribuito tanto onore e tanta gloria; parendogli, quanto alla salute di Roma, per avere salvato il Campi- doglio, aver meritato quanto Cammillo; c quanto all’ altre belliche laudi, non essere inferiore a lui. Di modo che, ca- rico d’ invidia, non potendo quietarsi per la gloria di quello, c veggendo non potere seminare discordia infra i Padri, si volse alla Plebe, seminando varie oppinioni sinistre intra quelfb. E intra V altre cose che diceva, era come il tc- ■Digitizc G2 DEI DISCORSI soro il quale si era adunato insieme per dare ai Franciosi, e poi non dato loro, era stato usurpalo da privati cittadini ; e quando si riavesse, si po- teva convertirlo in pubblica utilità, al- leggerendo la Plebe da’ tributi, o da \ ' qualche privato debito. Queste parole poterono assai nella Plebe; talché co- minciò avere concorso, ed a fare u sua posta tumulti assai nella città: la qual cosa dispiacendo al Senato, e pa- rendogli di momento e pericolosa, creò uno Dittatore, perchè ei riconoscesse questo caso, e frenasse lo impeto di Manlio. Onde che subito il Dittatore lo fece citare, e eondussonsi in pubblico all’incontro l’uno dell’altro; il Ditta- tore in mezzo de’ Nobili, e Manlio in mezzo della Plebe. Fu domandato Manlio che dovesse dire, appresso a chi fusse questo tesoro che ei diceva, perchè ne era cosi desideroso il Senato d’ inten- derlo come la Plebe: a che Manlio non rispondeva particularmenfe; ma, an- LIBRO PRIMO. 63 dando fuggendo, diceva come non era necessario dire loro quello die e’ si sa- pevano: tanto che il Dittatore lo fece mettere in carcere. È da notare per questo testo, quanto siano nelle città libere, ed in ogni altro modo di vivere, detestabili le calunnie; e come per re- primerle, si debbe non perdonare a or- dine alcuno che vi faccia a proposito. Nè può essere migliore ordine a torle via, che aprire assai luoghi alle accu- se; perchè quanto le accuse giovano alle repubbliche, tanto le calunnie nuo- cono: e dall’ altra parte è questa diffe- renza, che le calunnie non hanno biso- gno di testimone, nè di alcuno altro particulare riscontro a provarle, in modo che ciascuno da ciascuno può essere calunniato; ma non può già essere ac- cusato, avendo le accuse bisogno di ri- scontri veri, e di circostanze, che mo- strino la verità dell’ accusa. Accusatisi gli uomini a’ magistrati, a’ popoli, a’ con- sigli ; calunniatisi per le piazze è per le G4 DEI DISCORSI logge. Usasi più questa calunnia dove si usa meno 1’ accusa, c dove le città sono meno ordinate a riceverle* Però, uno ordinatore d’ una repubblica debbe ordinare che si possa in quella accu- sare ogni cittadino, senza alcuna paura o senza alcuno sospetto; e fatto questo e bene osservato, debbe punire aere- mente i calunniatori: i quali non si possono dolere quando siano puniti, avendo i luoghi aperti a udire le ac- cuse di colui che gli avesse per le logge calunniato. E dove non è bene ordinata questa parte, seguitano sempre disor- dini grandi : perchè le calunnie irrita- no, c non castigano i cittadini; e gli irritali pensano di valersi, odiando più presto, che temendo le cose che si di- cono contea a loro. Questa parte, come è detto, era bene ordinata in Roma ; ed è stata sempre male ordinala nella nostra città di Firenze. E come a Roma questo ordine fece molto bene, a Fi- renze questo disordine fece molto male. Digitized by Google LIBRO PRIMO. 65 E chi legge le istorie di questa città, vedrà quante calunnie sono state in ogni tempo date a’ suoi cittadini che si sono adoperati nelle cose importanti di quella. Dell’ uno dicevano, ch’egli aveva rubati danari al comune; dell’ altro, che non aveva vinto una impresa per es- sere stato corrotto; e che quell’ altro per sua ambizione aveva fatto il tale e tale inconveniente. Del che ne nasceva che da ogni parte ne surgeva odio : donde si veniva alla divisione; dalla di- visione alle sètte; dalle sètte alla rovi- na. Che se fusse stato in Firenze or- dine d’ accusare i cittadini, c punire i calunniatori, non seguivano infiniti scan- dali che sono seguiti: perchè quelli cit- tadini, o condennati o assoluti che rus- sino, non arebbono potuto nuocere alla città; e sarebbono stati accusati meno assai clic non ne erano calunniali, non si potendo, come ho detto, accusare come calunniare ciascuno. Ed intra l’ al- tre cose di clic si è valuto alcuno ci Al ^CHIAVELLI, Discorsi. — 1. s 66 DEI DISCO*#! tadino per ventre alla grandezza sua, sono state queste calunnie: le quali ve- nendo conira a’ cittadini potenti che allo appetito suo si opponevano, face- vano assai per quello; perchè, piglian- do la parte del Popolo, e confirmandolo nella mala oppiatone eh’ egli aveva di loro, se lo fece amico. E benché se ne potesse addurre assai esempi, voglio essere contento solo d’ uno. Era lo eser- cito fiorentino a campo a Lucca, coman- dato da niesser Giovanni Guicciardini, commissario di quello. Vollono o i cat- tivi suoi governi, o la cattiva sua for- tuna, che Ja espugnazione di quella città non seguisse. Pur, comunque il caso stesse, ne fu incolpato inesser Gio- vanni, dicendo com’ egli era stato cor- rotto da’ Lucchesi: la quale calunnia sendo favorita da’ nimici suoi, condusse messer Giovanni quasi in ultima dispe- razione. E benché, per giustificarsi, ei si volessi mettere nelle mani del Capi- tano; nondimeno non si potette mai Digitized by Google LIBRO PRIMO. 67 giustificare, per non essere modi in quella repubblica da poterlo fare. Di che ne nacque assai sdegno intra li amici di messer Giovanni, che erano la maggior parte delli uomini Grandi, ed infra coloro che desideravano fare no- vità in Firenze. La qual cosa, e per queste e per altre simili cagioni, tanto crebbe, che ne seguì la rovina di quella repubblica. Era dunque Manlio Capito- lino calunniatore, e non accusatore*, ed i Romani mostrarono in questo caso appunto, come i calunniatori si debbono punire. Perchè si debbe fargli diventare accusatori; e quando 1’ accusa si riscon- tri vera, o premiarli, o non punirli : ma quando la non si riscontri vera Uf»5 65 DEI DISCORSI Cap. IX. — Come egli è necessario esser solo a volere ordinare una repubblica di nuovo , o al lutto fuori delti anti- chi suoi ordini riformarla. E’ porrà forse ad alcuno,- che io sia troppo trascorso dentro nella istoria ro- mana, non avendo fatto alcuna menzione ancora degli ordinatori di quella Repub- blica, nè di quelli ordini che o alla re- ligione o alla milizia riguardassero. E però, non volendo tenere più sospesi gli animi di coloro che sopra questu parte volessino intendere alcune cose; dico, come molti per avventura giudicheranno di cattivo esempio, che uno fondatore d’ un vivere civile, quale fu Romolo, ab- bia prima morto un suo fratello, dipoi consentito alla morte di Tito Tazio Sa- bino, eletto da lui compagno nel regno; giudicando per questo, che gli suoi cit- tadini potessero con T autorità del loro principe, per ambizione e desiderio di LIBRO PRIMO. 60 comandare, offendere quelli che alla loro autorità si opponessino. La quale oppi- nionc sarebbe vera, quando non si con- siderasse che line l’avesse indotto a fare lai omicidio. E debbesi pigliare questo per una regola generale: clic non mai o di rado occorre che alcuna repubblica o regno sia da principio ordinato bene, o al tutto di nuovo fuori delti ordini vecchi riformato, se non è ordinato da uno; anzi è necessario che uno solo sia quello clic dia il modo, e dalla cui mente dependa qualunque simile ordinazione. Però, uno prudente ordinatore d’ una repubblica, e che abbia questo animo di volere gio- vare non a sé ma al bene comune, non alla sua propria successione ma alla co- mune patria, debbe ingegnarsi di avere l’autorità solo; nè mai uno ingegno sa- vio riprenderà alcuno di alcuna azione istraordinaria, che per ordinare un re- gno o constituire una repubblica usasse. Conviene bene, che, accusandolo il fallo, lo effetto lo scusi ; e quando sia buono, DEI DISCORSI 70 come quello di Romolo, sempre lo scu- serà: perchè colui che è violento per guastare, non quello che è per raccon- ciare, si debbe riprendere. Debbe bene in tanto esser prudente e virtuoso, che quella autorità che si ha presa, non la lasci ereditaria ad un altro : perchè, es- sendo gli uomini più proni al male che al bene, potrebbe il suo successore usare ambiziosamente quello che da lui vir- tuosamente fusse stato usato. Oltre di questo, se uno è atto ad ordinare, uoti è la cosa ordinata per durare molto, quando la rimanga sopra le spalle d’ uno; ma si bene, quando la rimane alla cura di molti, e che a molti stia il mante- nerla. Perchè, cosi come molti non sono atti ad ordinare una cosa, per non co- noscere il bene di quella, causato dalle diverse oppinioni che sono fra loro; cosi conosciuto che lo hanno, non si accordano a lasciarlo. E che Romolo fusse di quelli che nella morte del fra- tello e del compagno meritasse scusa; Digitizecf by Google LIMO MIMO. 71 e che quello che fece, fusse per il bene comune, e non per ambizione propria ; lo dimostra lo avere quello subito or- dinato uno Senato, con il quale si con- sigliasse, e secondo l’oppinione del quale deliberasse. E chi considera bene P au- torità che Romolo si riserbò, vedrà non se ne essere riserbata alcun’ altra che comandare alli eserciti quando si era deliberata la guerra, e di ragunare il Senato. Il che si vide poi, quando Roma divenne libera per la cacciata de’ Tar- quini; dove da’ Romani non fu inno- vato alcun ordine dello antico, se non che in luogo d’ uno Re perpetuo, fus- sero duoi Consoli annuali; il che testi- fica, tutti gli ordini primi di quella città essere stati più conformi ad uno vivere civile e libero, che ad uno as- soluto e tirannico. Polrebbesi dare in corroborazione delle cose sopraddette infiniti esempi; come Moisè, Licurgo, Solonc, ed nitri fondatori di regni e di repubbliche, i quali poterono, per aversi 72 DEI DISCORSI attribuito un’ autorità, formare leggi a proposito del bene comune; ma gli vo- glio lasciare indietro, come cosa nota. Addurronne solamente • uno, non si ce* lebre, ma da considerarsi per coloro che desiderassero essere di buone leggi ordinatori: il quale è, che desiderando Agide re di Sparta ridurre gli Spar- tani intra quelli termini che le leggi di Mcurgo gli avessero rinchiusi, paren- doli che per esserne in parte deviati, la sua città avesse perduto assai di quella antica virtù, e, per conseguente, di forze e d’ imperio ; fu ne' suoi primi principii ammazzato dalli Efori sparta- ni, come uomo che volesse occupare la tirannide. .Ma succedendo dopo lui . nel regno Cleomene c nascendogli il mede- simo desiderio per gli ricordi e scritti eh’ egli aveva trovati di Agide, dove si vedeva quale era la mente ed intenzione sua, conobbe non potere fare questo bene alla sua patria se non diventava solo di autorità; parendogli, per 1* ara- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 73 bizione degli uomini, non potere fare utile a molti contra alla voglia di po- chi: e presa occasione conveniente, fece ammazzare tutti gli Efori, e qualunque altro gli potesse contrastare ; dipoi rin- novò in tutto le leggi di Licurgo. La quale deliberazione era atta a fare ri- suscitare Sparta, e dare a Clcomcne quella reputazione che ebbe Licurgo, se non fussc stato la potenza de’ Mace- doni e la debolezza delle altre repub- bliche greche. Perchè, essendo dopo tale ordine assaltato da’ Macedoni, e tro- vandosi per sè stesso inferiore di for- ze, c non avendo a chi rifuggire, fu vinto; e restò quel suo disegno, quan- tunque giusto e laudabile, imperfetto. Considerato adunque tutte queste cose, conchiudo, come a ordinare una repub- blica è necessario essere solo; c Romolo per la morte di Remo e di Tazio me- ritare iscusa, e non biasmo. rv i .. f"- V, * .V? '•■*‘“■5/ . 74 DEI DISCORSI Cap. X. — Quanto sono laudabili * fon- datori d* una repubblica o dJ uno re- gno, tanto quelli dJ una tirannide sono vituperabili. Intra tutti gli uomini laudati, sono i laudatissimi quelli die sono stati capi e ordinatori delle religioni. Appresso dipoi, quelli che hanno fondato o re- pubbliche o regni. Dopo costoro, sono celebri quelli che, preposti alti esercì* ti, hanno ampliato o il regno loro, o quello della patria. A questi si aggiun- gono gli uomini iilterati; e perchè que* - sti sono di più ragioni, sono celebrati ciascuno d’ essi secondo il grado suo. A qualunque altro uomo, il numero de’ quali è infinito, si attribuisce quut* che parte di laude, la quale gli arreca l’ arte e V esercizio suo. Sono, per lo contrario, infumi e detestabili gli uo- mini destruttori delle religioni, dissipa- tori de’ regni e delie repubbliche, ini- LIBRO PRIMO. 75 mici delle virtù, delle lettere, e d'ogni altra arte che arrechi utilità ed onore alla umana generazione; come sono gli empii e violenti, gl* ignoranti, gli ozio- si, i vili, e i dappochi. E nessuno sarà mai sì pazzo o si savio, si tristo o si buono, che, propostogli la elezione delle due qualità d’ uomini, non laudi quella che è da laudare, e Biasini quella che è da biasmare: nientedimeno, dipoi, quasi tutti, ingannati da un falso bene e da una falsa gloria, si lasciano andare, o voluntariamente o ignorantemente, ne’ gradi di coloro che meritano più bia- simo che laude; c potendo fare, con perpetuo loro onore, o una repubblica o un regno, si volgono alla tirannide: nè si avveggono per questo partito quanta fama, quanta gloria, quanto ono- re, sicurtà, quiete, con satisfazione d’ani- mo, e’fuggono; e in quanta infamia, vituperio, biasimo, pericolo e inquietu- dine incorrono. Ed è impossibile che quelli che in stato privato vivono in una mmmm DEI DISCORSI 76 repubblica, o che per fortuna o virtù ne diventano principi, se leggcssino l’ istorie, e delle memorie delle antiche cose facessino capitale, che non voles- sero quelli tali privati, vivere nella loro patria piuttosto Soipioni che Ce- sari; e quelli che sono principi, piut- tosto Agesilai, Timolconi e Dioni, clic Nabidi, Falari e Dionisi : perchè ve- drebbono questi essere sommamente vi- tuperati, e quelli eccessivamente laudati. Vedrebbono ancora come Timoleone e gli altri non ebbero nella patria loro meno autorità che si avessiuo Dionisio e Falari; ma vedrebbono di lungo avervi avuto più sicurtà. Nè sia alcuno che si inganni per la gloria di Cesare, senten- dolo, massime, celebrare dagli scrittori: perchè questi che lo laudano, sono cor- rotti dalla fortuna sua, e spauriti dalla lunghezza dello imperio, il quale reg- gendosi sotto quel nome, non permet- teva che gli scrittori parlassero libera-* mente di lui. Ma chi vuole conoscere libro primo. 77 quello che gli scrittori liberi ne direb- bono, vegga quello che dicono di Cali* lina: E tanto è più detestabile Cesare, quanto più è da biasimare quello che ha fatto, che quello che ha voluto fare un inule. Vegga ancora con quante laudi celebrano Bruto; talché, non potendo bia- simare quello per la sua potenza, e’ ce- lebrano il nemico suo. Consideri ancora quello eh’ è diventato principe in una repubblica, quante laudi, poiché Roma fu diventata imperio, meritarono più quelli imperadori che vissero sotto le leggi e come principi buoni, che quelli che vissero al contrario: e vedrà come a Tito, Nerva, Traiano, Adriano, Anto- nino e Marco, non erano necessari i sol- dati pretoriani nè la moltitudine delle legioni a difenderli, perchè i costumi L loro, la benivolenza del Popolo, lo amore i del Senato gli difendeva. Vedrà ancora come a Caligola, Nerone, Vitellio, ed a tanti altri scellerati imperadori, non ba- starono gli eserciti orientali ed occiden- 7S DEI DISCORSI Itili a salvarli conira a quelli nemici, che li loro rei costumi, la loro malvagia vita aveva loro generati. E se la istoria di costoro fusse ben considerata, sarebbe assai ammaestramento a qualunque priu- cipe, a mostrargli la via della gloria o del biasmo, e della sicurtà o del timore suo. Perchè, di ventisei imperadori che furono da Cesare a Massimiuo, sedici ne furono ammazzati, dicci morirono ordi- nariamente; c se di quelli che furono morti ve ne fu alcuno buono, come Galba e Pertinace, fu morto da quella corruzione che lo antecessore suo aveva lasciata nc’ soldati. E se tra quelli che morirono ordinariamente ve ne fu al- cuno scellerato, nome Severo, nacque da una sua grandissima fortuna e virtù ; le quali due cose pochi uomini accompa- gnano. Vedrà ancora, per la lezione di questa istoria, come si può ordinare un regno buono: perchè tutti gl' imperadori che succederono all* imperio per eredità, eccetto Tito, furono cattivi ; quelli che per Digitized by Google LIBHO PRIMO. 79 adozione, furono tutti buoni, come furono quei cinque da Nervo a Marco: e come P imperio cadde negli eredi, ei ritornò nella sua rovina. Pongasi, adunque, in- nanzi un principe i tempi da Nerva a Marco, e conferiscagli con quelli che erano stati prima e che furono poi; e dipoi elegga in quali volesse essere nato, o a quali volesse essere preposto. Per- chè in quelli governali da’ buoni, vedrà un principe sicuro in mezzo de’ suoi si- curi cittadini, ripieno di pace e di giu- stizia il mondo: vedrà il Senato con la sua autorità, i magistrati con i suoi ono- ri ; godersi i cittadini ricchi le loro ric- chezze ; la nobiltà c la virtù esaltata : vedrà ogni quiete ed ogni bene; e, dal- l’altra parte, ogni rancore, ogni licenza, corruzione e ambizione spenta: vedrà i tempi aurei, dove ciascuno può tenere e difendere quella oppinione che vuole. Ve- drà, in fine, trionfare il mondo; pieno di riverenza e di gloria il principe, d’ amore e di sveurilà i popoli. Se con- 80 DEI DISCORSI sidererà, dipoi, tritamente i tempi degli altri imperadori, gli vedrà atroci per le guerre, discordi per le sedizioni, nella pace e nella guerra crudeli: tanti prin- cipi morti col ferro, tante guerre civili, tante esterne ; P Italia afflitta, e piena di nuovi infortunii ; rovinate e saccheggiate le città di quella. Vedrà Roma arsa, il Campidoglio da’ suoi cittadini disfatto, desolati gli antichi templi, corrotte le cerimonie, ripiene le città di adulterii: vedrà il mare pieno di esilii, gli scogli pieni di sangue. Vedrà in Roma seguire innumerabili crudeltadi ; e la nobiltà, le ricchezze, gli onori, e sopra tutto ia virtù essere imputata a peccato capitale. Ve- drà premiare li accusatori, essere cor- rotti i sèrvi contro al signore, i liberi contro al padrone; e quelli a chi fus- scro mancati i nemici, essere oppressi dagli amici. E conoscerà allora benis- simo quanti obblighi Roma, Italia, e il mondo abbia con Cesare. E senza, dub- bio, se e* sarà nato d’uomo, si sbigottirà Digitized by Google LIBRO PRIMO. I da ogni imitazione dei tempi cattivi, c accenderassi d’uno immenso desiderio di * I - seguire i buoni. E veramente, cercando un principe la gloria del mondo, dover- rebbe desiderare di possedere una città corrotta, non per guastarla in tutto co- me Cesare, ma per riordinarla come llo- inolo. E veramente i cieli non possono dare all i uomini maggiore occasione di gloria, nè li uomini la possono maggiore desiderare. E se, a volere ordinare bene una città, si avesse di necessità n dc- porrc il principato, meriterebbe quello clic non la ordinasse, per non cadere di quel grado, qualche scusa: ma po- tendosi tenere il principato ed ordinarla, non si merita scusa alcuna. E in som- ma, considerino quelli a chi i cieli dan- no tale occasione, come sono loro pro- poste due vie: 1’ una che gli fa vivere sicuri, e dopo la morte gli rende glo- riosi ; I’ altra gli fa vivere in continove angustie, e dopo la morte lasciare di sè una sempiterna infamia. \ 31 *CHtAVELLf , Discorsi. — i. S2 DEI DISCORSI Gap. XI. — Delta religione de* Romani. Ancora che Roma avesse il primo suo ordinatore Romolo, e che da quello abbi a riconoscere come figliuola il nasci- mento e la educazione sua; nondimeno, giudicando i cieli che gli ordini di Ro- molo non bastavano a tanto imperio, niessono nel petto del Senato romano di eleggere Numa Pompilio per successore a Romolo, acciocché quelle cose che da lui fossero state lasciate indietro, fossero da Numa ordinate. II quale trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle ubbidienze civili con le arti della pace, si volse alla religione, come oosa al tutto necessaria a volere mantenere una civiltà ; e la costituì in modo, che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella Repubblica : il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare. E ehi discorrerà in- -j Digitized by Google Libro primo. finite azioni, e del popolo di Roma lutto insieme, e di molli de’ Romani di per sé, vedrà come quelli cittadini temevano più assai rompere il giuramento che le leggi ; come coloro clic stimavano più la po- tenza di Dio, che quella degli uomini: come si vede manifestamente per gli esempi di Scipione e di Manlio Torquuto. Perchè, dopo la rotta che Annibale aveva dato a’ Romani a Canne, molti cittadini si erano adunati insieme, c sbigottiti e paurosi si erano convenuti abbandonare l’Italia, e girsene in Sicilia: il che sen- tendo Scipione, gli andò a trovare, e col ferro ignudo in mano gli costrinse a giurare di non abbandonare la patria. Lucio Manlio, padre di Tito Manlio, che fu dipoi chiamato Torquato, era stato accusato da Marco Pomponio, Tribuno della plebe ; ed innanzi che venissi il di del giudizio, Tito andò a trovare Marco, e minacciando d’ ammazzarlo se non giurava di levare l’accusa al padre, lo costrinse al giuramento ; e quello, 84 DEI DISCORSI per timore avendo giurato, gli levò t'ac- cusa. E cosi quelli cittadini i quali l'amore della patria e le leggi di quella non ritenevano in Italia, vi furon rite- nuti da un giuramento che furono for- zati a pigliare; e quel Tribuno pose da parte l'odio che egli aveva col padre, la ingiuria che gli aveva fatta il figliuolo, c i’ onore suo, per ubbidire al giura- mento preso: il che non nacque da al- tro, che da quella religione che Numa aveva introdotta in quella città. E ve- desi, chi considera bene le istorie ro- mane, quanto serviva la religione a co- mandare agli eserciti, a riunire la plebe, a mantenere gli uomini buoni, a fare vergognare li tristi. Talché, se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obbligata, o a Romolo o a Numa, credo più tosto Numa otterrebbe il pri- mo grado: perchè dove è religione, fa- cilmente si possono introdurre l’armi; e dove sono l’armi e non religione, con diflìcultà si può introdurre quella. E si LIBRO PRIMO. vede che a Romolo per ordinare il Se- nato, e per fare altri ordini civili e mi- litari, non gli fu necessario dell’ autorità di Dio; ma fu bene necessario a Numa, il quale simulò di avere congresso con una Ninfa, la quale lo consigliava di quello ch’egli avesse a consigliare il popolo : e tutto nasceva perchè voleva mettere ordini nuovi ed inusitati in quella città, e dubitava che la sua auto- rità non bastasse. G veramente, mai non fu alcuno ordinatore di leggi straordi- narie in uno popolo, che non ricorresse a Dio ; perchè altrimenlc non sarebbero accettate: perchè sono molli beni cono- sciuti da uno prudente, i quali non hanno in sè ragioni evidenti da potergli persuadere ad altri. Però gli uomini savi, che vogliono torre questa diflìcultà, ricorrono a Dio. Cosi fece Licurgo, cosi Solone, cosi molti altri che hanno avuto il medesimo fine di loro. Ammirando, adunque, il popolo romano la bontà e la prudenza sua, cedeva ad ogni sua deli- 86 DEI DISCORSI Iterazione, Ben è vero che l’essere quelli tempi pieni di religione, e quelli uomini, con i quali egli aveva a travagliare, grossi, gli detlono facilità grande a con- seguire i disegni suoi, potendo impri- mere in loro facilmente qualunche nuova forma. E senza dubbio, ehi volesse ne’pre- senti tempi fare una repubblica, più fa- cilità troverebbe negli uomini monta- nari, dove non è alcuna civilità, che in quelli che sono usi a vivere nelle città, dove la civilità è corrotta: ed uno scul- tore trarrà più facilmente una bella sta- tua d’ uno marmo rozzo, che d’ uno male abbozzato d’altrui. Considerato adun- que tutto, conchiudo che la religione introdotta da Piuma fu intra le prime cagioni della felicità di quella città: per- chè quella causò buoni ordini; i buoni ordini fanno buona fortuna ; e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione delia grandezza delle repubbliche, cosi il dispregio di Digitized by Google LIBRO PRIMO. 87 quella è cagione della rovina d’esse. Per- chè, dove manca il timore di Dio, con- viene che o quel regno rovini, o che sia sostenuto dal timore d’ un principe che supplisca a’ difetti della religione. E perchè i principi sono di corta vita, conviene che quel regno manchi presto, secondo che manca la virtù d’ esso. Don- de nasce che i regni i quali dependono solo dalla virtù d’ uno uomo, sono poco durabili, perchè quella virtù manca con la vita di quello ; e rade volte accade che la sia rinfrescata con la successione, come prudentemente Dante dice: tt Rade volte risurge per li rami L'umana probitade: e questo vuolo Quel che la dà, perchè da lui si chiami. „ Non è, adunque, la salute di una repub- blica o d’uno regno avere uno principe che prudentemente governi mentre vive ; ma uno che l’ordini in modo, clic, mo- rendo ancora, la si mantenga. E benché agli uomini rozzi più facilmente si per- suade uno ordine o una oppinione nuo- bS DEI DISCORSI va, non è per questo impossibile per- suaderla ancora agli uomini civili, e che si presumono non essere rozzi. Al po- polo di Firenze non pare essere nè igno- rante nè rozzo: nondimeno da frate Gi- rolamo Savonarola fu persuaso che par- lava con Dio. lo non voglio giudicare s’egli era vero o no, perchè d’ un tanto uomo se ne debbe parlare con reve- renza : ma io dico bene, che infiniti lo credevano, senza avere visto cosa nes- suna istraordinaria da farlo loro cre- dere; perchè la vita sua, la dottrina, il soggetto che prese, erano sufhzienti a fargli prestare fede. Non sia, pertanto, nessuno che si sbigottisca di non potere conseguire quello che è stato conseguito da altri ; perchè gli uomini, come nella Prefazione nostra si disse, nacquero, vissero e morirono sempre con un me- desimo ordine. Digitized by Google LIBRO PRIMO. Cap. XIF. — Di quanta importanza sia tenere conto della religione j e come la Italia per esserne mancata mediante la Chiesa romana y è rovinata. Quelli principi, o quelle repubbliche, le quali si vogliono manienere incorrot- te, hanno sopra ogni altra cosa a man- tenere incorrotte le cerimonie della re- ligione, e tenerle sempre nella loro venerazione; perchè nissuno maggiore indizio si puote avere della rovina d’una provincia, che vedere dispregiato il culto divino. Questo è facile a intendere, co- nosciuto che si è in su che sia fondata la religione dove V uomo è nato; perchè ogni religione ha il fondamento della vita sua in su qualche principale ordine suo. La vita della religione gentile era fondata sopra i responsi delti oracoli e sopra la setta delli aridi e delli aruspici: tutte le altre loro cerimonie, sacrifìcii, riti, dependevano da questi; 90 DEI DISCORSI perchè loro facilmente credevano che quello Dio che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potessi ancora concedere. Di qui nascevano i tempii, di qui i sacrifici!, di qui le supplicazioni, ed ogni altra cerimonia in venerarli: perchè l’oracolo di Deio, il tempio di Giove Aminone, ed altri celebri oracoli, tenevano il mondo in ammirazione, e devoto. Come costoro cominciarono dipoi a parlare n modo de’ potenti, e questa falsità si fu sco- perta ne’ popoli, divennero gli uomini increduli, ed atti a perturbare ogni or- dine buono. Debbono, adunque, i Prin- cipi d’uria repubblica o d’un regno, i fondamenti della religione che loro ten- gono, mantenerli; e fatto questo, sarà loro facil cosa a mantenere la loro re- pubblica religiosa, e, per conseguente, buona ed unita. C debbono, tutte le cose che nascono in favore di quella, come che le giudicassino false, favorirle ed accrescerle; e tanto più Io debbono Digitized by Google LIBRO PRIMO. 91 fare, quanto più prudenti sono, e quanto più conoscitori delle cose naturali. E perchè questo modo c stato osservato dagli uomini savi, ne è nata l’oppinione dei miracoli, che si celebrano nelle re- ligioni eziandio false: perchè i prudenti gli aumentano, da qualunche principio e’ si nascano; e l’autorità loro dà poi a quelli fede appresso a qualunque. Di questi miracoli ne fu a Roma assai; e intra gli altri fu, che saccheggiando i soldati romani la città de’ Veienti, alcuni di loro entrarono nel tempio di Giuno- ne, ed accostandosi alla immagine di quella, e dicendole vis venire Romani , parve od alcuno vedere che la accen- nasse; ad alcun altro, che ella dicesse di si. Perchè, sendo quelli uomini ri- pieni di religione (il che dimostra Tito Livio» perchè nell’entrare nel tempio, vi entrarono senza tumulto, tutti devoti e pieni di reverenza), parve loro udire quella risposta che alla domanda loro per avventura si avevano presupposta : 92 DEI DISCORSI la quale oppiuione e credulità, da Cam* millo e dagli altri principi della città fu ni tutto favorita ed accresciuta. La quale religione se ne’ Principi della repubblica cristiana si fusse mantenuta, secondo che dal datore d’ essa ne fu ordinato, sa- rebbero gli stati e le repubbliche cri- stiane più unite e più felici assai ch’elle non sono. Nè si può fare altra maggio- re conieltura della declinazione d’essa, quanto è vedere come quelli popoli che sono più propinqui alla Chiesa romana, capo della religione nostra, hanno meno religione. E chi considerasse i fonda- menti suoi, e vedesse l’ uso presente quanto è diverso da quelli, giudiche- rebbe esser propinquo, senza dubbio, o la rovina o il flagello. E perchè sono alcuni d’oppinione, che ’l ben essere delle cose d’ Italia dipende dalla Chiesa di Roma, voglio contro ad essa discor- rere quelle ragioni che mi occorrono : e ne allegherò due potentissime, le quali, secondo me, non hanno repugnanza. La UDRÒ PRIMO. , prima è, che per gli esempi rei di quella i corte, questa provincia ha perduto ogu I divozione ed ogni religione: il clic si i lira dietro infiniti inconvenienti e infi- niti disordini; perchè, così come religione si presuppone ogni bene, dove ella manca si presuppone il con- trario. Abbiamo, adunque, con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obbligo, d’essere diventati senza reli- gione c cattivi: ma ne abbiamo ancora un maggiore, il quale è cagione della rovina nostra. Questo è die la Chiesa ha tenuto e tiene questa nostra provin- cia divisa. E veramente, alcuna provincia non fu mai unita o felice, se la non viene tutta alla obedienza d’ una repub- blica o d’uno principe, come è avvenuto alla Francia cd alla Spagna. E la ca- gione che la Italia non sia in quel me- desimo termine, nè abbia aneli’ ella o una repubblica o uno principe che la governi, è solamente la Chiesa ; perchè, avendovi abitalo e tenuto imperio tem- 94 DEI DISCORSI ponile, non è stata sì potente nè dì tal virtù, che l'abbia potuto occupare il re- stante d’Italia, e farsene principe; e non è stata, dall’altra parte, si debile, che, per paura di non perder il domi- nio delie cose temporali, la non abbi potuto convocare uno potente che la di- fenda contra a quello che in Italia fusse diventato troppo potente: come si è ve- duto anticamente per assai esperienze, quando mediante Carlo Magno la ne cac- ciò i Lombardi, eh’ era no già quasi re di tutta Italia; e quando ne’ tempi no- stri ella tolse la potenza a’ Veneziani con l’aiuto di Francia; dipoi ne cacciò i Franciosi eoa l’aiuto de’ Svizzeri. Non essendo, dunque, stata la Chiesa potente da potere occupare l’ Italia, nè avendo permesso che un altro la occupi, è stata cagione che la non è potuta venire sotto un capo; ma è stata sotto più principi e signori, da’ quali è nata tanta disu- nione e tanta debolezza, che la si è con- dotta ad essere stata preda, non sola- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 95 melile di barbari polenti, ma di qualun- que I* assalta. Di clic noi altri Italiani abbiamo obbligo con la Chiesa, c non con altri. E chi ne volesse per esperienza certa vedere più pronta la verità, biso- gnerebbe che fusse di tanta potenza, che mandasse ad abitare la corte romana, con l’autorità che l’ha in Italia, in le terre de’ Svizzeri; i quali oggi sono quelli soli popoli che vivono, e quanto alla religione e quanto agli ordini militari, secondo gli antichi : e vedrebbe che in poco tempo furebbero più disordine in quella pro- vincia i costumi tristi di quella corte, che qualunchc altro accidente clic in qualunche tempo vi potessi surgere. Cap. XIII. — Come t Romani si servi- rono della religione per ordinare la città, e per seguire le loro imprese e fermare i tumulti. Ei non mi pare fuor di proposito ad- durre alcuno esempio dove i Romani si SJ6 DEI DISCORSI servirono della religione per riordinare la cillà, e per seguire l’imprese loro; e quantunque in Tito Livio ne siano molti, nondimeno voglio essere contento a que- sti. Avendo creato il Popolo romano i Tribuni, di potestà consolare, e, fuorché uno, tutti plebei; ed essendo occorso quello anno peste c fame, e venuti certi prodigii ; usorono questa occasione i No- bili nella nuova creazione de’ Tribuni, dicendo che li Dii erano adirati per aver Roma male usata la maestà del suo im- perio, e che non era altro rimedio a placare gli Dii, che ridurre la elezione de’ Tribuni nel luogo suo: di che nacque che la Plebe, sbigottita da questa reli- gione, creò i Tribuni tutti nobili. Vedesi ancora nella espugnazione della città de’ Ycienti, come i capitani degli eserciti si valevano della religione per tenergli disposti ad una impresa : ehè essendo il lago Albano, quello anno, cresciuto mira- bilmente, ed essendo i soldati romani in- fastiditi per la lunga ossidione, e volendo Digitized by Google LIBRO PRIMO. 97 tornarsene a Roma, trovarono i Romani, come Apollo e certi altri responsi dicevano che quell* anno si espugnerebbe la città de’ Veienti, che si derivasse il Ingo Albano : la qual cosa fece ai soldati sopportare i fastidi della guerra e della ossidione, presi da questa speranza di espugnare la terra ; e stettono contenti a seguire la impresa, tanto che Cammillo fatto Ditta- tore espugnò detta città, dopo dieci anni che l’era stala assediata. E cosi la reli- gione, usata bene, giovò e per la espu- gnazione di quella città, e per la resti- tuzione dei Tribuni nella Nobiltà: chè senza detto mezzo difficilmente si sa- rebbe condotto e l’uno e l’altro. Non voglio mancare di addurre a questo proposito un altro esempio. Erano nati in Roma assai tumulti per cagione di Terentillo Tribuno, volendo lui promul- gare certa legge, per le cagioni che di sotto nel suo luogo si diranno ; e tra i primi rimedi che vi usò la Nobiltà, fu la religione: della quale si servirono in SI achutelli, Discorsi. — !• 7 Digitized by C DEI DISCORSI y.s duo modi. Nel primo fecero vedere i li- bri Sibillini, e rispondere, come alla città, mediante la civile sedizione, sopra- stavano quello anno pericoli di non per- dere la libertà : la qual cosa, ancora che fusse scoperta da’ Tribuni, nondimeno messe tanto terrore ne* petti della plebe, che la raffreddò nel seguirli. L’altro modo fu, che avendo uno Appio Erdo- nio, con una moltitudine di sbanditi e di servi, in numero di quattromila uo- mini, occupato di notte il Campidoglio, in tanto che si poteva temere, che se gli Equi ed i Volsci, perpetui nemici al nome romano, ne fossero venuti a Ro- ma, la arebbono espugnata ; e non ces- sando i Tribuni per questo di insistere nella pertinacia loro di promulgare la legge Terentilla, dicendo che quello in- sulto era fittizio c non vero: uscì fuori del Senato uno Publio Rubezio, cittadino grave e di autorità, con parole parte amorevoli, parte minacciatiti, mostran- doli i pericoli della città, e la intempe- ~ Digitized by Google LIBRO PRIMO. 99 stiva domanda loro; tanto che e’ con- strinse la Plebe a giurare di non si par- tire dalla voglia del Consolo: onde che la Plebe obediente, per forza ricuperò il Campidoglio. Ma essendo in tale espu- gnazione morto Publio Valerio consolo, subito fu rifatto consolo Tito Quinzio; il quale per non lasciare riposare la Plebe, nè darle spazio a ripensare alla legge Te- rentilla, le comandò s’ uscissi di Roma per andare contra a’ Volsci, dicendo che per quel giuramento aveva fatto di non abbandonare il Consolo, era obbligata a seguirlo: a che i Tribuni si oppone- vano, dicendo come quel giuramento s’era dato al Consolo morto, e non a lui. Nondimeno Tito Livio mostra, come la Plebe per paura della religione volle più presto obedire al Consolo, che cre- dere a’ Tribuni; dicendo in favore della antica religione queste parole: Nondum htiDPj quce nunc tenet sceculum, negli- gcntict Dcùm venerai , nec interpretando sibi quisque jasjurandum et legcs aplas ■ a La * t jK A.* Ir • ii** « . 100 DEI DISCORSI faciebal. Per la qual cosa dubitando i Tribuni di non perdere allora tutta la lor degnila, si accordarono col Consolo di stare alla obedienza di quello; e che per uno anno non si ragionasse della legge Terentilla, ed i Consoli per uno anno non potessero trarre fuori la Plebe alla guerra. E cosi la religione fece al Senato vincere quella diffìcultà, che sen- za essa mai non arebbe vinto. Cap. XIV. — I Romani interpretavano gli auspicii secondo la necessità , c con la prudenza mostravano di osser- vare la religione j quando forzali non V osservavano ; c se alcuno (emwa- riamente la dispregiava , lo punivano. Non solamente gli auguri!, come di so- pra si è discorso, erano il fondamento in buona parte dell'antica religione de’ Gentili, ma ancora erano quelli che erano cagione del bene essere della Re- pubblica romana. Donde i Romani ne Digitized by Google LIBRO PRIMO. 101 uvevano più cura che di alcuno altro or- dine di quella; ed usavangli ne’ comizi consolari, nel principiare le imprese, nel trai* fuori gli eserciti, nel fare le giornate, ed in ogni azione loro impor- tante, o civile o militare; nè maisareb- bono iti ad una espedizionc, che non avessino persuaso ai soldati che gli Dei promettevano loro la vittoria. Ed infra gli altri nuspicii, avevano negli eserciti certi ordini di aruspici, che e’ chiama- vano Pollarii: e qualunque volta eglino ordinavano di fare la giornata col ne- mico, volevano che i Pollarii fucessino i loro auspicii; e beccando i polli, com- battevano con buono augurio: non bec- cando, si astenevano dalla zuffa. Nondi- meno, quando la ragione mostrava loro una cosa doversi fare, non ostante che gli auspicii fossero avversi, la facevano in ogni modo; ma rivoltavanla con termini e modi tanto attamente, che non paresse che la fucessino con di- spregio dello religione : il quale ter- 102 DEI DISCORSI mine fu usato da Papirio consolo in una zuffa clic fece importantissima coi Sanniti, dopo la quale restorno in lutto deboli ed afflitti. Perchè sendo Papirio in su’ campi rincontro ai Sanniti, e pa- rendogli avere nella zuffa la vittoria certa, e volendo per questo fare la gior- nata, comandò ai Pollarii che fucessino i loro auspicii; ma non beccando i polli, e veggendo il principe de’ Pollarii la gran disposizione dello esercito di -com- battere, e la oppinione che era nei ca- pitano cd in tutti i soldati di vincere, per non torre occasione di bene operare a quello esercito, riferi al Consolo come gli auspicii procedevano bene: talché Papirio ordinando le squadre, ed es- sendo da alcuni de' Pollarii detto a certi soldati, i polli non aver beccato, quelli lo dissono a Spurio Papirio nipote del Consolo; e quello riferendolo al Con- solo, rispose subito, eh’ egli attendesse a fare l’oflìzto suo bene, e che quanto a lui ed allo esercito gli auspicii erano Digitized by Google LIBRO PRIMO. J03 rolli; e se il Pollarlo aveva detto le bu- gie, ritornerebbono in pregiudicio suo. E perchè lo effetto corrispondesse al pronostico, comandò ni legati clic con* stituìssino i Pollarii nella primo fronte della zuffa. Onde nacque che, andando contra ai nemici, sendo da un soldato romano tratto uno dardo, a caso am- mazzò il principe de’ Pollarii; la qual cosa udita il Console, disse come ogni cosa procedeva bene, e col favore degli Dii; perchè lo esercito con la morte di quel bugiardo si era purgato da ogni colpa, e da ogni ira che quelli avessi- no preso contra di lui. E cosi, col sa- pere bene accomodare t disegni suoi agli auspicii, prese partito di azzuffarsi, senza clic quello esercito si avvedesse che in alcuna parte quello avesse ne- gletti gli ordini della loro religione. Al contrario fece Àppio Pillerò in Sicilia, nella prima guerra punica: che volendo azzuffarsi con P esercito cartaginese, fece fare gli auspicii a’ Pollarii; e referendo- fwr Ì « r « •j b : « < * ! 104 DEI DISCORSI gli quelli, come i polli non beccavano, disse : veggiamo se volessero bere ; e gli fece giUare in mare. Donde che, az- zuffandosi, perdette la giornata : di che egli ne fu a Roma condennato, e Papirio onorato; non tanto per aver V uno vinto e P altro perduto, quanto per aver 1’ uno fatto contra agli auspicii prudentemente e l’altro temerariamente. Nè ad altro line tendeva questo modo dello aruspi- care, che di fare i soldati confidente- mente ire alla zuffa ; dalla quale confi- denza quasi sempre uasce la vittoria. La qual cosa fu non solamente usala dai Romani, ma dalli esterni : di che mi pare di addurre uno esempio nel seguente capitolo. Cap. XV. — Come i Sanniti, per estre- mo rimedio alle cose loro afflitte, ri - corsono alla religione. Avendo i Sanniti avute più rotte dai Romani, ed essendo stati per ultimo di- 4 Digitized by Google Linuo piumo. 105 strutti in Toscana, e morti i loro eserciti e gli loro capitani ; ed essendo stali vinti i loro compagni, come Toscani, Franciosi ed Umbri ; ncc suis, nec extcrnis viri- bus jam slare polcrant : t amen bello non abstinebantj adeo ne infeliciler quidem defensae libcrtatis tcedcbalj et vinci > quarti non tentare victorianij malebant. Onde deliberarono far ultima prova: e perché ei sapevano che a voler vincere era necessario indurre ostinazione negli animi de’ soldati, c che a indurla non v’ era miglior mezzo che la religione; pensarono di ripetere uno antico loro sa- crifìcio, mediante Ovio Faccio, loro sa- cerdote. Il quale ordinarono in questa forma : che, fatto il sacrificio solenne, e fatto intra le vittime morte e gli altari accesi giurare lutti i capi dello esercito, di non abbandonare mai la zuffa, cita- rono i soldati ad uno ad uno ; ed intra quelli altari, nel mezzo di più centurioni con le spade nude in mano, gli face- vano prima giurare che non ridirebbono I 0(1 DEI DISCORSI cosa che vedessino o sentissino; dipoi, con parole esecrabili e versi pieni di spa- vento, gli facevano giurare e promettere agli Dii, d’essere presti dove gli impe- radori gli comandassino, c di non si fug- gire mai dalla zuffa, e d’ ammazzare qualunque vedessino che si fuggisse: la qual cosa non osservata, tornasse sopra il capo della sua famiglia e della sua stirpe. Ed essendo sbigottiti alcuni di loro, non volendo giurare, subito da’ loro centurioni erano morti; talché gli altri che succedevano poi, impauriti dalla fe- rocità dello spettacolo, giurarono tutti. E per fare questo loro assembramento più magnifico, sendo quarantamila uo- mini, ne vestirono la metà di panni bianchi, con creste e pennacchi sopra le celate ; e così ordinati si posero presso ad Aquilonia. Contra a costoro venne Papirio; il quale, nel confortare i suoi soldati, disse: Non enim crislas vulnera facere, et pietà alque aurata scuta tran- sirc ttomanum pileum. E per debilitare Digitized by Google nono primo. 407 la oppinione clic avevano i suoi soldati de’ nemici per i) giuramento. preso, disse che quello era per essere loro a timore, non a fortezza; perchè in quel medesi- mo tempo avevano uvere paura de’ cit- tadini, degli Dii, c de* nemici. E venuti al conflitto, furono superati i Sanniti; perchè la virtù romana, ed il timore conccputo per le passate rotte, superò qualunque ostinazione ei potessino avere presa per virtù della religione e per il giuramento preso. Nondimeno si vede come a lóro non parve potere avere al- tro rifugio, nè tentare altro rimedio a poter pigliare speranza di ricuperare la perduta virtù. Il che testifica appieno, quanta confidcnzia si possa avere me- diante la religione bene usata. E benché questa parte piuttosto, per avventura, si richiederebbe esser posta intra le cose estrinseche ; nondimeno, dependendo da uno ordine de’ più importanti della Repubblica di Roma, mi è parso da commetterlo in questo luogo, per non r*' ^7 108 DEI DISCORSI dividere questa materia, cd averci a ritornare più volte. Gap. XVI. — Un popolo uso a vìvere sotto un principe, se per qualche ac- cidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà. Quanta difficultà sia ad uno popolo uso a vivere sotto un principe, preser- vare dipoi la libertà, se per alcuno ac- cidente l’acquista, come l’acquistò Ro- ma dopo la cacciala de’Tarquini; io dimostrano infiniti esempi che si leggono nelle memorie delle antiche istorie. E tale difficultà è ragionevole; perchè quel popolo è non altrimenti che uno ani- male bruto, il quale, ancora che di fe- roce natura e silvestre, sia stato nu- drito sempre in carcere ed in servitù, che dipoi lasciato a sorte in una cam- pagna libero, non essendo uso a pa- scersi, nè sappiendo le latebre dove si abbia a rifuggire, diventa preda del Digitized by Google LIBRO PRIMO. Ì09 primo che cerca rincatenarlo. Questo me- desimo interviene ad uno popolo, il quale setido uso a vivere sotto i governi d’al- tri, non snppiendo ragionare nè delle difese o offese pubbliche, non cogno- scendo i principi nè essendo conosciuto ila loro, ritorna presto sotto un giogo, il quale il più delle volte è più grave che quello che per poco innanzi si aveva levato d’ in su ’1 collo : e trovasi in que- ste difficullà, ancora che la materia non sia in tutto corrotta; perchè in uno popolo dove in lutto è entrata la corru- zione, non può, non che picciol tempo, ma punto vivere libero, come di sotto si discorrerà: e però i ragionamenti no- stri sono di quelli popoli dove la corru- zione non sia ampliata assai, c dove sia più del buono che del guasto. Aggiun- gesi alla soprascritta, un’ altra difficultò; la quale è, che lo Stato che diventa li- bero, si fa partigiani nemici, e non partigiani amici. Partigiani nemici gli diventano tutti coloro che dello Stalo ti- no dei dìscorsi Tannico si prevalevano, pascendosi delle ricchezze del principe; a’ quali sendo tolta la facoltà del valersi, non possono vivere contenti, e sono forzati ciascuno di tentare di riassumere la tirannide, per ritornare nell’ autorità loro. Non si acquista, come ho detto, partigiani ami- ci ; perchè il vivere libero propone onori e premii, mediami alcune oneste e de- . terminate cagioni, e fuori di quelle non premia nè onora alcuno; e quando uno ha quelli onori e quelli utili che gli pare meritare, non confessa avere obbligo con coloro che lo rimunerano. Oltre a que- sto, quella comune utilità che del vivere libero si trae, non è da alcuno, mentre che ella si possiede, conosciuta: la quale è di potere godere liberamente le cose sue senza alcuno sospetto, non dubitare dell’onore delle donne, di quel de’ fi- gliuoli, non temere di sè; perchè nis- suno confesserà mai aver obbligo con uno che non 1’ offenda. Però, come di sopra si dice, viene ad avere lo Stato Digitized by Google LIBRO PRIMO. libero c che «li nuovo surge, partigiani non partigiani amici. E vo nemici lendo rimediare a questi inconvenienti, c a quegli disordini che le soprascritte diflìculta si arrecherebbono seco, non ci è più potente rimedio, nè più valido, nè più sano, nè più necessario, che am- mazzare i figliuoli di Bruto: i quali, come l’istoria mostra, non furono in- dotti, insieme con altri gioveni romani, n congiurare contra alla patria per al- tro, se non perchè non si potevano va- lere straordinariamente sotto i Consoli, come sotto i Re; in modo che la libertà di quel popolo pareva che fusse diven- tata la loro servitù. E chi prende a go- vernare una moltitudine, o per via„di libertà o per via di principato, e non si assicura di coloro che a quell’ ordine nuovo sono nemici, fa uno Stato di poca vita. Vero è ch’io giudico infelici quelli principi, che per assicurare lo Stato loro hanno a tenere vie straordinarie, avendo per. nemici la moltitudine: perchè quello 112 DEI DISCORSI che ha per nemici i pochi, facilmente e senza molti scandali, si assicura; ma chi ha per nemico 1’ universale, non si assicura mai; e quanta più crudeltà usa, tanto diventa più debole il suo princi* palo. Talché il maggior rimedio che si abbia, è cercare di farsi il popolo amico. E benché questo discorso sia disformo dal soprascritto, parlando qui d’ un principe e quivi d’ una repubblica ; non- dimeno, per non avere a tornare più in su questa materia, ne voglio parlare bre- vemente. Volendo, pertanto, un principe guadagnarsi un popolo che gli fusse ne- mico, parlando di quelli principi che sono diventati della loro patria tiranni ; dico eh’ ci debbe esaminare prima quello che il popolo desidera, e troverà sem- pre ch’ei desidera due cose; Y una ven- dicarsi contro a coloro che sono cagione che sia servo; l’altra di riavere la sua libertà. Al primo desiderio il principe può satisfare in tutto, al secondo in parte. Quanto al primo, ce n’ è lo csem- Digitized by Google LIBRO PRIMO. m pio appunto. Clearco, tiranno di Era- elea, scudo in esilio, occorse che, per controversia venuta intra il popolo e gli ottimati di Eraclea, veggendosi gli otti- mati inferiori, si volsono a favorire Clearco, c congiuratisi seco lo missono, contea alla disposizione popolare, in Eraclea, c toisono la libertà al popolo. In modo che, trovandosi Clearco intra la insolenzia degli ottimati, i quali non poteva in alcun modo nè contentare nè correggere, c la rabbia de’ popolari, che non potevano sopportare lo avere per- duta la libertà, deliberò ad un tratto liberarsi dal fastidio de’ grondi, c gua- dagnarsi il popolo. E presa sopra que- sto conveniente occasione, tagliò a pezzi tutti gli ottimali, con una estrema sati- sfazione de’ popolari. E così egli per que- sta via satisfece ad una delle voglie che hanno i popoli, cioè di vendicarsi. Ma quanto all’altro popolare desiderio di riavere la sua libertà, non potendo il principe satisfargli, debbe esaminare Machiavelli, Discorsi. — 1. Hi DEI DISCORSI quali cagioni sono quelle che gli fanno desiderare d’essere liberi; e troverà che una piccola parte di loro desidera d’es- sere libera per comandare; ma tutti gli altri, che sono infiniti, desiderano la li- bertà per vivere securi. Perchè in tutte le repubbliche, in qualunque modo or- dinate, ai gradi del comandare non ag- giungono mai quaranta o cinquanta cit- tadini: e perchè questo è piccolo nu- mero, è facil cosa assicurarsene, o con levargli via* o con far lor parte di tanti onori, che secondo le condizioni loro essi abbino in buona parte a contentarsi. Quelli altri, ai quali basta vivere securi, si satisfanno facilmente, facendo ordini e leggi, dove insieme con la potenza sua si comprenda la sicurtà universale. E quando uno principe faccia questo, e che il popolo vegga che per accidente nessuno ei non rompa tali leggi, comin- cerà in breve tempo a vivere sccuro e contento. In esempio ci è il regno di Francia, il quale non vive securo per Digitized by Google LIBItO PRIMO. 145 altro, che per essersi quelli Re obbligati ad infinite leggi, nelle quali si com- prende la securtn di tutti i suoi popoli. E chi ordinò quello Stato, volle che quelli Re, dell’ arme e del danaio facessino a loro modo, ma che d’ogni altra cosa non ne potessino altrimenti disporre che le leggi si ordinassino. Quello principe, adunque, o quella repubblica che non si assicura nel principio dello stato suo, conviene che si assicuri nella prima oc- casione, come fecero i Romani. Chi lascia passare quella, si pente tardi di non aver fatto quello che doveva fare. Sendo, pertanto, il popolo romano ancora non corrotto quando ci recuperò la libertà, potette mantenerla, morti i figliuoli di Bruto e spenti i Tarquini, con tutti quelli rimedi ed ordini che altra volta si sono discorsi. Ma se fussc stato quel popolo corrotto, nè in Roma nè altrove si trovano rimedi validi a mantenerla; come nel seguente capitolo mostreremo. IIG DEI DISCORSI Cai». XVII. — Uno popolo coitoIIo , ve- nuto in libertà, si può con difficullà ( grandissima mantenere libera. lo giudico che gli era necessario, o die i Re si estinguessino in Roma, o che Roma in brevissimo tempo divenissi de- bole, e di nessuno valore: perchè, con- siderando a quanta corruzione erano venuti quelli Re, se l'ussero seguitati così due o tre successioni, e che quella corruzione che era in loro, si fossi co- minciata a distendere per le membra; come le membra fussino state corrotte, era impossibile mai più riformarla. Ma perdendo il capo quando il busto era intero, poterono facilmente ridursi a vi- vere liberi cd ordinati. E debbesi pre- supporre per cosa verissima, che una città corrotta che vive sotto un prin- cipe, ancora che quel principe con tutta la sua stirpe si spenga, inai non si può ridurre libera; anzi conviene che Putì Digitized by Google LIBRO PRIMO. 117 principe spenga l’ allro; e senza crea- zione d’un nuovo signore non si posa mai, se già la bontà d’ uno, insieme con la virtù, non la tenessi libera ; ma du- rerà tanto quella libertà, quanto durerà la vita di quello: come intervenne a Si- racusa di Dione e di Timoleone, la virtù de’ quali in diversi tempi, mentre vis- sero, tenne libera quella città; morti clic furono, si ritornò nell'antica tirannide. Ma non si vede il più forte esempio che quello di Roma; la quale cacciati i Tar- quini, potette subito prendere e mante- nere quella libertà: ma morto Cesare, morto Caligula, morto Nerone, spenta tutta la stirpe cesarea, non potette inai, non solamente mantenere, ma pure dare principio alla libertà. Nè tanta diversità di evento in una medesima città nacque da altro, se non da non essere ne’ tempi de’Tarquini il popolo romano ancora corrotto; ed in questi ultimi tempi es- sere corrottissimo. Perchè allora, a man- tenerlo saldo e disposto a fuggire i Re, iis DEI DISCORSI bastò solo furio giurare che non eon- sentirebbe mai che a Roma alcuno re- gnasse; e negli altri tempi, non bastò T autorità e severità di Bruto, con tutte le legioni orientali, a tenerlo disposto a volere mantenersi quella libertà che es- so, a similitudine del primo Bruto, gli aveva rendutu. Il che nacque da quella corruzione che le parli mariane avevano messa nel popolo; delle quali essendo capo Cesare potette accecare quella mol- titudine, eh* ella non conobbe il giogo che da sè medesima si metteva in sul collo. E benché questo esempio di Roma sia da preporre a qualunque altro esem- pio, nondimeno voglio a questo proposito addurre innanzi popoli conosciuti ne* no- stri tempi. Pertanto dico, che nessuno ac- cidente, benché grave e violento, potrebbe redurre mai Milano o Napoli libere, per essere quelle membra tutte corrotte. H che si vide dopo la morte di Filippo Vi- sconti; che volendosi ridurre Milano alia libertà, non potette e non seppe man- LIBRO PRIMO. i i 9 tenerla. Però, fu felicità grande quella di Koma, che questi Re diventassero corrotti presto, acciò ne fussino cacciati, cd innanzi che la loro corruzione fosse passata nelle viscere di quella città: la quale incorruzione fu cagione che gl’ in- finiti tumulti che furono in Roma, avendo gli uomini il fine buono, non nocerouo, anzi giovarono alla Repubblica. E si può fare questa conclusione, che dove la materia non è corrotta, i tumulti cd altri scandali non nuòcono: dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non gio- vano, se già le non son mosse da uno che con una estrema forza le facci os- servare, tanto che la materia diventi buona. Il che non so se sie mai inter- venuto, o se fusse possibile ch’egli in- tervenisse: perchè c’ si vede, come poco di sopra dissi, che una città venuta in declinazione per corruzione di materia, se mai occorre che la si levi, occorre per la virtù d’ uno uomo eh’ è vivo al- lora, non per la virtù dello universale DEI DISCORSI 1 20 clic sostengo gli ordini buoni ; c subito che quei tale è morto, la si ritorna nei suo pristino abito; come intervenne a Tebe, la quale per la virtù di Epami- nonda, mentre lui visse, potette tenere forma di repubblica e di imperio ; ma morto quello, la si ritornò ne’ primi di- sordini suoi. La cagione è, che non può essere un uomo di tanta vita, che ’l tempo basti ad avvezzare bene una città lungo tempo male avvezza. E se uno d’ una lunghissima vita, o due succes- sioni virtuose conlinove non la dispon- gono; come una manca di loro, come di sopra è detto, subito rovina, se già con molti pericoli c molto sangue c’ non la facesse rinascere. Perchè tale corru- zione e poca attitudine olla vita libera, nasce da una inequulità che è in quella città: e volendola ridurre equale, è ne- cessario usare grandissimi estraordi- nari; i quali pochi sanno o vogliono usare, come in altro luogo più partico- larmente si dirà. Digitized by Google LIBRO PRIMO. Cap. XVIII. — In che modo «ci.c; min corrotte si potesse mantenere tino stalo liòerOj essendovi; o non essendovi , ordinartelo. Io credo clic non sia fuori di propo- sito, nè disformo dal soprascritto di- scorso, considerare se in una città cor- rotta si può mantenere lo stato libero, scndovi ; o quando e’ non vi fosse, se vi si può ordinare. Sopra la qual cosa dico, come gli è mollo difficile fare o l’uno o l' altro: e benché sia quasi im- possibile darne regola, perchè sarebbe necessario procedere secondo i gradi della corruzione; nondimnneo, essendo bene ragionare d’ogni cosa, non voglio lasciare questa indietro. E presuppongo una città corrottissima, donde verrò ad accrescere più tale difficoltà; perché non si trovano nè leggi nè ordini che ba- stino a frenare una universale corru- zione. Perchè, così come gli buoni co- 122 DEI DISCORSI stumf, per mantenersi, hanno bisogno delle leggi; cosi le leggi, per osservarsi, hanno bisogno de’ buoni costumi. Oltre di questo, gli ordini e le leggi fatte in una repubblica nel nascimento suo, quando erano gli uomini buoni, non sono dipoi più a proposito, divenuti che sono tristi. E se le leggi secondo gli accidenti in una città variano, non variano mai, 0 rade volte, gli ordini suoi: il che fa che le nuove leggi non bastano, perchè gli ordini, che stanno saldi, le corrom- pono. E per dare ad intendere meglio questa parte, dico come in Roma era l’ordine del governo, o vero dello Stato; c le leggi dipoi, che con i magistrati frenavano i cittadini. L’ordine dello Stato era l’ autorità del Popolo, del Se- nato, dei Tribuni, dei Consoli, il modo di chiedere e del creare i magistrati, ed il modo di fare le leggi. Questi or- dini poco o nulla variarono nelii acci- denti. Variarono le leggi che frenavano 1 cittadini; come fu la legge degli adul- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 123 feri!, la suntuaria, quella della ambi- zione, e molte altre ; secondo clic di mano in mano i cittadini diventavano corrotti. Ma lenendo fermi gli ordini dello Stato, che nella corruzione non erano più buoni, quelle leggi che si rin- novavano, non bastavano a mantenere gli uomini buoni; ma sarebbonn bene giovate, se con la innovazione delle leggi si fussero rimutati gli ordini. G che sia il vero che tali ordini nella- città cor- rotta non fossero buoni, e’ si vede espresso in due capi principali. Quanto al creare i magistrati e le leggi, non dava il Popolo romano il consolato, e gli altri primi gradi della città, se non a quelli che lo dimandavano. Questo or- dine fu nel principio buono, perchè e’ non gli domandavano se non quelli cittadini che se ne giudicavano degni, ed averne la repulsa era ignominioso; si che, per esserne giudicati degni, cia- scuno operava bene. Diventò questo modo, poi, nella città corrotta pernizio* 424 DEI DISCORSI -f7 sissiiuo ; perchè non quelli che avevano più virtù, ma quelli che avevano più potenza, domandavano i magistrali; e gl’ impotenti, comecché virtuosi, se ne astenevano di domandargli per paura. Vcnnesi a questo inconveniente, non ad un tratto, ma per i mezzi, come si cade in tutti gli altri iuconveiiienti : perchè avendo i Romani domata l’Affrica e l’Asia, e ridotta quasi tutta la Grecia a sua ohi* dienza, erano divenuti sicuri della li- bertà loro, nè pareva loro avere più nimici che dovessero fare loro paura. Questa securtà e questa debolezza de’ ne- mici fece che il Popolo romano, nel dare il consolato, non riguardava più la virtù, ma la grazia ; tirando a quel grado quelli che meglio sapevano iutrattenere gli uomini, non quelli che sapevano me- glio vincere i nemici: di poi, da quelli che avevano più grazia, discesero a dar- gli a quelli che avevano più potenza; talché i buoni, per difetto di tale ordi- ne, ne rimasero al tutto esclusi. Poteva Digitized by Google LIBRO PRIMO. 425 uno Tribuno, e qualunque altro citta- dino, proporre al Popolo una legge; so- pra la quale ogni cittadino poteva par- lare, o in favore o incontro, innanzi che la si deliberasse. Era questo ordine buo- no, quando i cittadini erano buoni ; per- che sempre fu bene, che ciascuno clic intende uno bene per il pubblico, lo possa proporre; ed è bene che ciascuno sopra quello possa dire l’oppinione sua, acciocché il Popolo, inteso ciascuno, possa poi eleggere il meglio. Ma diven- tati i cittadini cattivi, diventò tale or- dine pessimo, perchè solo i potenti pro- ponevano leggi, non per la comune li- bertà, ina perla potenza loro;ccontra a quelle non poteva parlare alcuno per paura di quelli : talché il Popolo veniva o ingannato o sforzato a deliberare la sua rovina. Ero necessario, pertanto, a volere che Roma nella corruzione si mantenesse libera, che, cosi come aveva nel processo del vivere suo fatte nuove leggi, l’avesse fatti nuovi ordini: per- 126 DEI DISCORSI «thè altri ordini e modi di vivere si debbe ordinare in un soggetto cattivo, che in un buono ; nè può essere la for- ma simile in una materia al tutto con- traria. Ma perchè questi ordini, o e’ si hanno a rinnovare tutti ad un tratto, scoperti che sono non esser più buoni, o a poco a poco, in prima che si co- noschiuo per ciascuno ; dico che 1* una e l’altra di queste due cose è quasi im- possibile. Perchè, a volergli rinnovare a poco a poco, conviene che ne sia ca- gione uno prudente, che veggio questo inconveniente assai discosto, e quando e’ nasce. Di questi tali è facilissima cosa che in una città non ne surga mai nes- suno : e quando pure ve ne surgesse, non potrebbe persuadere mai ad altrui quello che egli proprio intendesse; per- chè gli uomini usi a vivere in un mo- do, non lo vogliono variare; e tanto più non veggiendo il male in viso, ma avendo ad essere loro mostro per con letture. Quando ad innovare questi ordini ad un Digitized by Google LIBRO PRIMO. I 27 (ratio, quando ciascuno conosce clic non sono buoni, dico che questa inutilità, clic facilmente si conosce, è diffìcile a ricorreggerla: perchè a fare questo, non basta usare termini ordinari, essendo i modi ordinari cattivi; ma è necessario venire allo istraordinario, come è alla violenza ed all’ armi, e diventare in* nanzi ad ogni cosa principe di quella città, e poterne disporre a suo modo. E perchè il riordinare una città al vivere politico presuppone uno uomo buono, ed il diventare per violenza principe di una repubblica presuppone un uomo cattivo; per questo si troverà che radis- sime volte accaggia, che uno uomo buono voglia diventare principe per vie cattive, ancoraché il fine suo fusse buono; e che uno reo divenuto principe, voglia ope- rare bene, e che gli caggia mai nell’ani- mo usare quella autorità bene, che egli ha male acquistata. Da tutte le sopra- scritte cose nasce la diffìcultà, o impos- sibilità, che è nelle città corrotte, a 1*28 DKI DISCORSI mantenervi una repubblica, o a crear- vela di nuovo. E quando pure la vi si avesse a creare o a mantenere, sarebbe necessario ridurla più verso lo stato re- gio, che verso lo stato popolare; accioc- ché quelli uomini i quali dalle leggi, per la loro insolenzia, non possono essere corretti, lusserò da una podestà quasi regia in qualche modo frenati. Ed a vo- lergli fare per altra via diventare buo- ni, sarebbe o crudelissima impresa, o al tutto impossibile; come io dissi di so- pra che fece Cleomene; il quale se, per essere solo, ammazzò gli Efori; e se Ro- molo, per le medesime cagioni, ammazzò il fratello e Tito Tazio Sabino, e dipoi usarono bene quella loro autorità ; non- dimeno si debbe avvertire che V uno e T altro di costoro non avevano il sog- getto di quella corruzione macchiato della quale in questo capitolo ragionia- mo, e però poterono volere e, volendo, colorire il disegno loro. Digitized by Google Linno primo. Cai*. XIX. — Dopo uno eccellente prin- cipio si può mantenere un principe debole ; ma dopo un debole, non si può con un (diro debole mantenere alcun regno. » jt 4 I* f..« I n i f < K F ijk | • * (•» Considerato la virtù ed il modo del procedere di Romolo, Ninna c di Tulio, i primi tre Re romani; si vede come Roma sortì una fortuna grandissima, avendo il primo Re ferocissimo e belli- coso, 1’ altro quieto e religioso, il terzo simile di ferocia a Romolo, e più ama- tore della guerra che della pace. Perchè in Roma era necessario che surgesse ne’ primi principii suoi un ordinatore «lei vivere civile, ina era bene poi necessario che gli altri Re ripiglias- sero la virtù di Romolo; altrimenti, quella città sarebbe diventala effeminata, e preda de’ suoi vicini. Donde si può notare, che uno successore non di tanta virtù quanto il primo, può mantenere • è 9 Machiavelli, Discorm. — ». 1 30 DE! DISCORSI uno Stato per la virtù di colui che PIm retto innanzi, e si può godere te sue fatiche: ma s’ egli avviene o che sia di lunga vita, o che dopo lui non surga un altro che ripigli la virtù di quel pri- mo, è necessitato quel regno a rovinare. Cosi, per il contrario, se due, 1* uno dopo P altro, sono di gran virtù, si vede spesso che fanno cose grandissime, e che ne vanno con la fama in fino al cielo. Da- vit, senza dubbio, fu un uomo per arme, per dottrina, per giudizio eccellentissi- mo; e fu tanta la sua virtù, che, avendo vinti ed abbattuti tutti i suoi vicini, la- sciò a Salomone suo figliuolo un regno pacifico: quale egli si potette con le arti «Iella pace, e non della guerra, conser- vare; e si potette godere felicemente la virtù di suo padre. Ma non potette già lasciarlo a Roboan suo figliuolo; il quale non essendo per virtù simile allo avolo, nè per fortuna simile al padre, rimase con fatica erede della sesta parte del rt'guo. Baisit, sultan de’ Turchi, ancora Digitized by Google LIBRO PRIMO. 131 die fusse più amatore della pace che della guerra, potette godersi le fatiche di Maumelto suo padre; il quale avendo, come Davit, battuti i suoi vicini, gli la- sciò un regno fermo, e da poterlo con F arte della pace facilmente conservare. Ma se il figliuolo suo Salì, presente si- gnore, fusse stalo simile al padre, c non all’avolo, quel regno rovinava : ma e’ si vede costui essere per superare la glo- ria dell'avolo. Dico pertanto con questi esempi, clic dopo uno eccellente principe si può mantenere un principe debole; ma dopo un debole non si può con un altro debole mantenere alcun regno, se già e’ non fusse come quello di Francia, che gli ordini suoi antichi lo mantenes- sero: e quelli principi sono deboli, che non stanno in su la guerra. Couchiudo pertanto con questo discorso, clic la virtù di Romolo fu tanta, che la po- tette dare spazio a Numa Pompilio di potere molti anni con 1’ arte della pace reggere Roma : ma dopo lui successe DEI DISCORSI 13*2 Tulio, il quale pei* la sua ferocia ri- prese la reputazione di Romolo: dopo il quale venne Anco, in modo dalla na- tura dotato, che poteva usare la pace, e sopportare la guerra. E prima si di- rizzò a volere tenere la via della pace: ma subito conobbe come i vicini, giu- dicandolo effeminato, lo stimavano poco: talmente che pensò che, a voler mante- nere Roma, bisognava volgersi alla guer- ra, e somigliare Romolo, e non Numa. Da questo piglino esempio tutti i prin- cipi che tengono stato, che chi somi- glierà Numa, lo terrà o non terrà, se- condo ehe i tempi o la fortuna gli girerà sotto: ma chi somiglierà Romolo, e lui come esso armato di prudenza e d’armi, lo terrà in ogni modo, se da una osti- nata ed eccessiva forza non gli è tolto. K certamente si può stimare, che se Roma sortiva per terzo suo Re un uomo che non sapesse con le armi renderle la sua reputazione, non arebbe mai poi, o con grandissima dilTìcultà, potuto pi- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 133 gliare piede, nè fare quelli effetti ch’ella fece. E così, in mentre eh’ ella visse sotto i Re, la portò questi pericoli di rovi- nare sotto un Re o debole o tristo. Cap. XX. — Due continove successioni di principi virtuosi fanno grandi effetti: c come le repubbliche bene ordinate hanno di necessità virtuose successio- ni: c però gli acquisti ctl auQumcnli loro sono grandi. Poi che Roma ebbe cacciati i Re, mancò di quelli pericoli i quali di sopra detti che la portava, succedendo in lei uno Re o debole o tristo. Perchè la somma dello imperio si ridusse nc’ Con- soli, i quali non per eredità o per in- ganni o per ambizione violenta, ma per suffragi liberi venivano a quello impe- rio, ed erano sempre uomini eccellen- tissimi: de’quali godendosi Roma la virtù e la fortuna di tempo in tempo, potette venire a quella sua ultima grandezza in DEI DISCORSI IU altrettanti unni, che la era stata sotto i Re. Perchè si vede, come due coutinove successioni di principi virtuosi sono suf- fìzienti ad acquistare il mondo: come fu- rono Filippo di Macedonia ed Alessandro Magno, il clic tanto più debbe fare una repubblica, avendo il modo dello eleg- gere non solamente due successioni, ma infiniti principi virtuosissimi, che sono l’uno dell'altro successori: la quale vir- tuosa successione fia sempre in ogni re- pubblica bene ordinata. Cap. XXI. — Quanto biasimo meriti quel principe e quella repubblica che manca d'armi proprie. Debbono i presenti principi c le mo- derne repubbliche, le quali circa le di- fese ed offese mancano di soldati pro- pri, vergognarsi di loro medesime j e pensare, con lo esempio di Tulio, tale difetto essere non per mancamento d’uo- mini alti alla milizia, ma per colpa loro, .-J Digitized by Google LIBRO PRIMO. 135 che non hanno saputo fare i loro uo- mini militari. Perchè Tulio, scudo stata Roma in pace quaranta anni, non trovò, succedendo lui nel regno, uomo che fussc stato mai alla guerra : nondimeno, dise- gnando lui fare guerra, non pensò di valersi nè di Sanniti, nè di Toscani, nè di altri che fussero consueti stare nel- l'armi; ma deliberò, come uomo pru- dentissimo, di valersi de’ suoi. E fu tanta la sua virtù, che in un tratto il suo go- verno gli potè fare soldati eccellentissi- mi. Ed è più vero che alcuna altra ve- rità, che se dove sono uomini non sono soldati, nasce per difetto del principe, e non per altro difetto o di sito o di natura : di che ce n’*è uno esempio fre- schissimo. Perchè ognuno sa, come ne’ prossimi tempi il re d’Inghilterra as- saltò il regno di Francia, nè prese altri soldati clic i popoli suoi ; e per essere stato quel regno più clic trenta anni senza far guerra, non aveva nè soldato nè capitano che avesse mai militato: , i I, i 1 1 , * ■ j Vi | !ì t . i|! • j 13G DEI DISCORSI nondimeno, ei non dubitò con quelli as- saltare uno regno pieno di capitani e di buoni eserciti, i quali erano stati continovamcnte sotto l'armi nelle guerre d’Italia. Tutto nacque da essere quel re prudente uomo, e quel regno bene ordi- nato; il quale nel tempo della pace non intermette gli ordini della guerra. Pelo- • pida ed Epaminonda tebani, poiché gli * ebbero libera Tebe, e trattola dalla ser- vitù dello imperio spartano; trovandosi in una città usa a servire, ed in mezzo di popoli effeminati ; non dubitarono, tanta era la virtù loro ! di ridurgli sotto Parrai, e con quelli andare a trovare alla campagna gli eserciti spartani, e vincergli : e chi he scrive, dice come questi due in breve tempo mostrarono, che non solamente in bacedemonia na- scevano gli uomini di guerra, ma in ogni altra parte dove nascessino uomini, pur che si trovasse chi li sapesse indi- rizzare alla milizia, come si vede che Tulio seppe indirizzare i Romani. E Vir- Digitized by Google LIRR0 PRIMO. gilio non potrebbe meglio esprimere questa oppinione, nè con altre parole mostrare di aderirsi a quella, dove dice: u ... . Desidesque movebit Tullus in arma viros. „ Cap. XXII. — Quello che sia da notare nel caso dei tre Orazi romani , e dei Ire Curiazi albani. Tulio, re di Roma, e Mezio, re di Al- ba, convennero che quel popolo fusse si- gnore dell’ altro, di cui i soprascritti tre uomini vincessero. Furono morti tutti i Curiazi albani, restò vivo uno degli Orazi romani; e per questo, restò Me- zio, re albaiio, con il suo popolo, sug- gello ai Romani. E tornando quello Ora- zio vincitore in Roma, e scontrando una sua sorella, che era ad uno de’ tre Cu- riazi morti maritata, clic piangeva la morte del marito; 1* ammazzò. Donde quello Orazio per questo fallo fu messo' in giudizio, e dopo molte dispute fu li* 13S DEI DISCORSI bero, più per li prìeglii del padre, clic per li suoi meriti. Dove sono da notare Ire cose: una, che mai non si debbe con parte delle sue forze arrischiare tutta la sua fortuna ; l’ altra, che non mai in una città bene ordinata li dev meriti con li ineriti si ricompensano; la terza, che non mai sono i partiti savi, dove si debba o possa dubitare della inosservanza. Perchè, gl’ importa tanto a una città lo essere serva, che mai non si doveva credere che alcuno di quelli Re o di quelli Popoli stessero contenti che tre loro cittadini gli avessino sotto* messi ; come si vide che volle fare Me- zio: il quale, benché subito dopo la vit- toria de’ Romani si confessassi vinto, e promettessi la obedienza a Tulio; non- dimeno nella prima espedizione che egli ebbono a convenire contra i Veienli, si vide come ci cercò d’ ingannarlo ; come quello che tardi s’era avveduto della temerità del partito preso da lui. E per- chè di questo terzo notabile se n’’è pnr- j Digitized by Google LIBRO PRIMO. 139 luto assai, parleremo solo degli altri due ne’ seguenti duoi capitoli. Cap. XXIII. — Che non si debbe met- tere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze ; c per questo j spesso il guardare i passi è dannoso. Non fu mai giudicato partito savio mettere a pericolo tutta la fortuna tua, e non tutte le forze. Questo si fu in più modi. L’uno è facendo come Tulio e Me- zio, quando e’ commissouo la fortuna tutta della patria loro, e la virtù di tanti uomini quanti avea l’uno e l’altro di costoro negli eserciti suoi, alla virtù e fortuna di tre de’loro cittadini, clic veniva ad essere una minima parte delle forze di ciascuno di loro. Nè si avvidono, co- me per questo partito tutta la fatica che avevano durata i loro antecessori nel- l’ ordinare la repubblica, per farla vivere lungamente libera e per fare i suoi cit- tadini difensori della loro libertà, era DEI DISCORSI uo quasi che suta vana, stando nella po- tenza di sì pochi a perderla. La qual cosa da quelli Re non potè esser peggio con- siderata. Cadesi ancora in questo incon- veniente quasi sempre per coloro, che, venendo il nemico, disegnano di tenere i luoghi diffìcili, e guardare i passi: per- chè quasi sempre questa deliberazione sarà dannosa, se giù in quello luogo diffìcile comodamente tu non potessi te- nere tutte le forze tue. In questo caso, tuie partito è da prendere; ma scndo il luogo aspro, e non vi potendo tenere tutte le forze tue, il partito è dannoso. Questo mi fa giudicare cosi lo esempio di coloro che, essendo assaltati da un nemico potente, ed essendo il paese loro circondato da’ monti e luoghi alpestri, noti hanno mai tentato di combattere il nemico in su’ passi e in su’ monti, ma sono iti ad incontrarlo di là da essi: o, quando non hanno voluto far questo, lo hanno aspettato dentro a essi monti, in luoghi benigni e non alpestri. E la cu- Digitized by Google LIBRO MIMO. 141 gioite ne è suta la preallegata : perchè, non si polendo condurre alla guardia de’ luoghi alpestri molli uomini, sì per non vi potere vivere lungo tempo, si per essere i luoghi stretti e capaci di pochi; non è possibile sostenere un ne- mico clic venga grosso ad urtarti: ed al nemico è facile il venire grosso, perchè la intenzione sua è passare, e non fer- marsi; ed a chi l’ aspetta è impossibile aspettarlo grosso, avendo ad alloggiarsi per più tempo, non sapendo quando il nemico voglia passare in luoghi, com’ io ho detto, stretti e sterili. Perdendo, adunque, quel passo che tu ti avevi presupposto tenere, e nel quale i tuoi popoli e lo esercito tuo confidava, entra il più delle volte ne’ popoli e nel residuo delle genti tue tanto terrore, che senza potere esperimentare la virtù di esse, rimani perdente; c così vieni ad avere perduta tutta la tua fortuna con parte delle tue forze. Ciascuno sa con quanta diftìcultà Annibaie passasse r Alpi che 142 DEI DISCORSI dividono la Lombardia dalia Francia, e con quanta difficoltà passasse quelle che dividono la Lombardia dalla Toscana : nondimeno i Romani l’aspettarono prima in sul Tesino, e dipoi uel piano d’Arez- zo; e vollon più tosto, che il loro eser- cito fusse consumato dal nemico nelli luoghi dove poteva vincere, che con- durlo su per l’Alpi ad esser destrutto dalla malignità del sito. E chi leggerà sensatamente tutte le istorie, troverà po- chissimi virtuosi capitani over tentato di tenere simili passi, e per le ragioni dette, e perchè e' non si possono chiu- dere tutti; sendo i monti come campa- gne, ed avendo non solamente le vie consuete e frequentate, ma molte altre, le quali se non sono note a’ forestieri, sono note a’ paesani ; con l’aiuto de’quali sempre sarai condotto in qualunque luo- go, contra alla voglia di citi ti si op- pone. Di che se ne può addurre uno freschissimo esempio, nel T 51 5 . Quando Francesco re di Francia disegnava pas- Digitized by Google LIBRO PRIMO. Wò sare in Italia per lu recuperatone dello Stalo di Lombardia, il maggiore fonda- mento clic facevano coloro eli’ erano alla sua impresa contrari, era che gli Sviz- zeri lo terrebbono a’ passi in su’ monti. E, come per esperienza poi si vide, quel loro fondamento restò vano: perché, lasciato quel re da parte due o tre luoghi guardati da loro, se ne venne per un’ altra via incognita ; e fu prima in Italia, e loro ap- presso, che lo avessino presentilo. Talché loro isbigottiti si ritirarono in Milano, e tutti i popoli di Lombardia si aderirono alle genti franciose; sendo mancali di quella oppinione avevano, che i Franciosi dovessino essere tenuti su’ monti. Cap. XXIV. — Le repubbliche bene or- dinate costituiscono premii c pene aJ loro cittadini; ne compensano mai r uno con l* altro. Erano stati i meriti di Orazio gran- dissimi, avendo con la sua virtù vinti 1U DLk uisconsi i Curiazi. Era stato il fallo suo atroce, avendo morto la sorella : nondimeno dis- piacque tanto tale omicidio ai Romani, che io condussero a disputare della vita, non ostante che gli meriti suoi fossero tanto grandi c sì freschi. La qual cosa a chi superficialmente la considerasse, parrebbe uno esempio d’ ingratitudine popolare: nondimeno chi la esaminerà meglio, e con migliore considerazione ricercherà quali debbono essere gli or- dini delle repubbliche, biasimerà quel popolo più tosto per averlo assoluto, che per averlo voluto condeunare. E la ragione è questa, che nessuna repub- blica bene ordinata, non mai cancellò i demeriti con gli meriti de’ suoi cittadi- ni; ma avendo ordinati i preraii ad una buona opera e le pene ad una cat tiva, ed avendo premiato uno per aver bene operato, se quel medesimo opera dipoi male, lo gastica, senza avere ri- guardo alcuno alle sue buone opere. E quando questi ordini sono bene osser- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 445 vati, una città vive libera molto tempo; altrimenti, sempre rovinerà presto. Per- chè, se ad un cittadino che abbia fatto qualche egregia opera per la città, si aggiugne, oltre alla riputazione che quella cosa gli arreca, una audacia e confidenza di potere, senza temer pena, fare qualche opera non buona ; diven- terà in brievc tempo tanto insolente, che si risolverà ogni civilità. È ben neces- sario, volendo clic sia temuta la pena per le triste opere, osservare i premii per le buone; come si vede che fece Roma. C benché una repubblica sia po- vera, e possa dare poco, debbe di quel poco non astenersi; perchè sempre ogni piccolo dono, dato ad alcuno per ricom- penso di bene ancora che grande, sarà stimato, da chi lo riceve, onorevole e grandissimo. È notissima la istoria di Orazio Code, e quella di Muzio Sccvola: come V uno sostenne i nemici sopra un ponte, tanto che si tagliasse: l’altro si arse la mano, avendo errato, volendo .VAcnuvELti, Discorsi. — 1. 10 140 DEI DISCORSI ammazzare Porscna, re delli Toscani. A costoro per queste due opere tanto egre- gie, fu donato dal pubblico due staiora di terra per ciascuno. È nota ancora la istoria di Manlio Capitolino. A costui, per aver salvato il Campidoglio da' Galli che vi erano a campo, fu dato da quelli che insieme eon lui vi erano assediati dentro, una piccola misura di farina, il quale premio, secondo la fortuna che al- lora correva in Roma, fu grande; e di qualità che, mosso poi Manlio, o da in- vidia o dalla sua cattiva natura, a far nascere sedizione in Roma, e cercando guadagnarsi il popolo, fu, senza rispetto alcuno de’ suoi meriti, gittato precipite da quello Campidoglio ch’egli prima, cou tanta sua gloria, aveva salvo. Digitized by Google LIBRO PRIMO. 147 Cap. XXV. — Chi vuole riformare uno stalo antico in una città libera, ri- tenga almeno l’ombra desmodi an- tichi. Colui che desidera o clic vuole rifor- mare uno stato d’una città, a volere elle sia accetto, e poterlo con satisfazione di ciascuno mantenere, è necessitato a ri- tenere l’ombra almanco de’ modi anti- chi, acciò che a’ popoli non paia avere mutato ordine, ancora che in fatto gli ordini nuovi fussero al tutto alieni dai passati; perchè lo universale degli uo- mini si pasce così di quel che pare, co- me di quello che è; anzi molte volte si muovono più per le cose che paiono, che per quelle clic sono. Per questa ca- gione i Romani, conoscendo nel princi- pio del loro vivere libero questa neces- sità, avendo in cambio d’ un Re creali duoi Consoli, non vollono ch’egli aves- sino più clic dodici littori, per non pas- 448 DEI DISCORSI sare il numero di quelli che ministra- vano ai Re. Olirà di questo, facendosi in Roma uno sacrifizio anniversario, il quale non poteva esser fatto se non dalla persona del Re; e volendo i Ro- mani che quel popolo non avesse a de- siderare per la assenzia degli Re alcuna cosa dell’ antiche j, creorono un capo di detto sacrifìcio, il quale loro chiamo- rono Re Sacrifìcolo, e lo sottomessono al sommo Sacerdote : talmentechè quel po- polo per questa via venne a satisfarsi di quel sacrifizio, e non avere mai ca- gione, per mancamento di esso, di de- siderare la tornata dei Re. E questo si debbe osservare da tutti coloro che vo- gliono scancellare uno antico vivere in una città, e ridurla ad uno vivere nuovo c libero. Perchè alterando le cose nuove le menti degli uomini, ti debbi ingegnare che quelle alterazioni ritenghino più del- r antico sia possibile; e se i magistrati variano e di numero e d'autorità e di tempo dagli antichi, che almeno riten- Digitized by Google I UDRÒ PRIMO. -149 gliino il nome. E questo, come ho detto, debbe osservare colui che vuole ordi- nare una potenza assoluta, o per via di repubblica o di regno: ma quello che vuol fare una potestà assoluta, quale dagli autori è chiamala tirannide, debbe rin- novare ogni cosa, come nel seguente ca- pitolo si dirò. I . .. I Cap. XXVI. — Un principe nuovo , in i ima città o provincia presa da lui , 1 debbe fare ogni cosa nuova. Qualunque diventa principe o d’ una città o d’uno Stato, e tanto più quando i fondamenti suoi lussino deboli, c non si volga o per via di regno o di repub- blica alla vita civile; il mcgliore rime- dio che egli abbia a tenere quel prin- cipato, è, sendo egli nuovo principe, fare ogni cosa di nuovo in quello Stalo: come è, nelle città fare nuovi governi con nuovi nomi, con nuove autorità, con nuovi uomini; fare i poveri ricchi, 4 50 DEI DISCORSI fece Davil quando ei diventò Re: qui csuricnles implevil bonis, et divites di * mirti inanes ; edificare oltra di questo nuove città, disfare delie fatte, cambiare gli abitatori da un luogo ad un altro; ed in somma, non lasciare cosa niuna intatta in quella provincia, e che non vi sia nè grado, nè ordine, nè stato, uè ricchezza, che chi la tiene non la rico- nosca da te; c pigliare per sua mira Filippo di Macedonia, padre di Alessan- dro, il quale con questi modi, di pic- colo Re, diventò principe di Grecia. E chi scrive di lui, dice che tramutava gli uomini di provincia in provincia, come i mandriani tramutano le mandrie loro. Sono questi modi crudelissimi, e nemici d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano; e debbegli qualunche uomo fuggire, c volere piuttosto vivere pri- vato, che Re con tanta rovina degli uo- mini : nondimeno, colui che non vuole pigliare quella prima via del bene, quando si voglia mantenere, conviene Digitized by Google LIBRO PRIMO. 151 die entri in questo male. >la gli uomini pigliano certe vie del mezzo, clic sono dannosissime; perchè non sanno essere nè tutti buoni nè tutti cattivi: come nel seguente capitolo, per esempio, si mo- strerà. Cap. XXVII. — Sanno rarissime volle gli uomini essere al lutto tristi o al fulto buoni. Papa Giulio secondo, andando nel 1505 a Bologna per cacciare di quello Stato la casa de’Bentivogli, la quale aveva te- nuto il principato di quella città cento anni, voleva ancora trarre Giovampa- goto Buglioni di Perugia, della quale era tiranno, come quello che aveva congiu- rato contro a tutti gli tiranni che occu- pavano le terre della Chiesa. E perve- nuto presso a Perugia con questo animo e deliberazione nota a ciascuno, non aspettò di entrare in quella città con lo esercito suo che lo guardasse, mn %i ibi DEI DISCORSI entrò disarmato, non ostante vi fusse dentro Giovampagolo con genti assai, quali per difesa di sè aveva ragunate. Sicché, portato da quel furore con il quale governava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimesse nelle mani del nemico ; il quale dipoi ne menò seco, lasciando un governadore in quella citta, che rendesse ragione per la Chie- sa. Fu notala dagli uomini prudenti che col papa erano, la temerità del papa e la viltà di Giovampagolo ; uè potevano stimare donde si venisse che quello noti avesse, con sua perpetua fama, oppresso ad un tratto il nemico suo, e sè arric- chito di preda, sendo col papa tutti li cardinali, con tutte le lor delizie. Nè si poteva credere si fusse astenuto o per bontà, o per conscienza che lo ritenesse; perchè in un petto d’ un uomo facinoroso, che si teneva la sorella, che aveva morti i cugini cd i nepoti per regnare, non poteva scendere alcuno pietoso rispetto: ina si conchiuse, che gli uomini non Digitized by Google UDRÒ PRIMO. 153 sanno essere onorevolmente tristi, o per- fettamente buoni; e come una tristizia ha in sè grandezza, o è in alcuna parte generosa, eglino non vi sanno entrare. Cosi Giovampagolo, il quale non stimava essere incesto e pubblico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, aven- done giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l’animo suo, e avesse di sè lasciato memoria eterna; sendo il primo che avesse dimo- stro ai prelati, quanto sia da stimar poco chi vive c regna come loro; ed avesse fatto una cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pe- ricolo, clic da quella potesse depeudere. Cap. XXVIII. — Per qual cagione i Ro- mani furono meno ingrati agli loro cittadini che gli Ateniesi. Qualunque legge le cose fatte dalle repubbliche, troverà in tutte qualche spezie di ingratitudine contro a’ suoi cit- 154 DEI DISCORSI *¥ I . il A « * 1 I 'R ladini; ma ne troverà meno in Roma che in Atene> e per avventura in qua- lunque altra repubblica. E ricercando la cagione di questo, parlando di Roma c di Atene, credo accadesse perchè i Ro- mani avevano meno cagione di sospet- tare de’ suoi cittadini, che gli Ateniesi. Perchè a Roma, ragionando di lei dalla cacciata dei Re intino a Siila e Mario, non fu mai tolta la libertà da alcuno .suo cittadino: in modo che in lei non era grande cagione di sospettare di loro, e, per conseguente, di offendergli incon- sideratamente. intervenne bene ad Atene il contrario: perché, sendole tolta la li- bertà da Pisistrato nel suo più florido tempo, e sotto uno inganno di bontà ; come prima la diventò poi libera, ricor- dandosi delle ingiurie ricevute e della passata servitù, diventò acerrima vendi- catrice non solamente degli errori, ma delP ombra degli errori de' suoi citta- dini. Di qui nacque l’esilio e la morte di tanti eccellenti uomini; di qui Por- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 155 dine dello ostracismo, ed ogni altra vio- lenza che contra i suoi ottimati in vari tempi da quella città fu fatta. Ed è ve- rissimo quello che dicono questi scrit- tori della civiltà: che i popoli mordono più fieramente poi ch’egli hanno recu- perala la libertà, che poi che l’hanno conservala. Chi considerrà adunque, quanto è detto, non biasimerà in que- sto Atene, nè lauderà Roma; ma ne ac- cuserà solo la necessità, per la diversità degli accidenti che in queste città nacque- ro. Perchè si vedrà, chi considererà le cose sottilmente, che se a Roma fusse siila tolta la libertà come a Atene, non sarebbe stata Roma più pia verso i suoi cittadini, che si fusse quella. Di che si può fare verissima conieltura per quello che occorse, dopo la cacciata dei Re, contra a Collatino ed a Publio Valerio: de’ quali il primo, ancora elicsi trovasse a liberare Roma, fu mandato in esilio non per altra cagione che per tenere il nome de’ Tarquini ; P altro, avendo solo 156 DEI DISCORSI «lato di sè sospetto per edificare una casa in sul monte Celio, fu ancora per essere fatto esule. Talché si può sti- mare, veduto quanto Roma fu in questi due sospettosa e severa, che Farebbe usata la ingratitudine come Atene, se da’suoi cittadini, come quella ne’ primi tempi ed innanzi allo augumento suo, fosse stata ingiuriata. G per non avere a tornare più sopra questa materia della ingratitudine, ne dirò quello ne occor- rerà nel seguente capitolo. Cap. XXIX. — Quale sia più ingrato , o un popolo j o un principe. Egli mi pare, a proposito della so- prascritta materia, da discorrere quale usi con maggiori esempi questa ingra- titudine, 0 un popolo, o un principe. E per disputare meglio questa parte, dico, come questo vizio della ingratitudine nasce o dalla avarizia, o dal sospetto. Perchè, quando o un popolo o un pria- LIBRO PRIMO. 457 cipe ha mandato fuori un suo capitano in una cspedizione importante, dove quel capitano, vincendola, ne abbia acquistata assai gloria ; quel principe o quel popolo è tenuto allo incontro a pre- miarlo: e se, in cambio di premio, o ei lo disonora o ei T offende, mosso dalla avarizia, non volendo, ritenuto da que- sta cupidità, satisfarli; fa uno errore che non ha scusa, anzi si tira dietro una infamia eterna. Pure si trovano mol- ti principi che ci peccano. E Cornelio Tacito dice, con questa sentenzia, la ca- gione: Proclivius est inj ur ite, quarti be- neficio vicem cxsolvcre, quia grafia one- ri, ultio in questu fiabe tur. Ma quando ei non lo premia, o, a dir meglio, l’of- fende, non mosso da avarizia, ma da so- spetto; allora merita, e il popolo e il principe, qualche scusa. E di queste in- gratitudini usate per tal cagione, se ne legge assai : perchè quello capitano il quale virtuosamente ha acquistato uno imperio al suo signore, superando i ne- i58 DEI DISCORSI mici, e riempiendo sè di gloria e gli suoi soldati di ricchezze; di necessità, e con i soldati suoi, e con i nemici, e coi sudditi propri di quel principe acquista tanta reputazione, che quella vittoria non può sapere di buono a quel signore che lo ha mandato. G perchè la natura degli uomini è ambiziosa e sospettosa, e non sa porre modo a ntssuna sua for- tuna, è impossibile che quel sospetto che subito nasce nel principe dopo la vit- toria di quel suo capitano, non sia da quel medesimo accresciuto per qualche suo modo o termine usato insolente- mente. Talché il principe non può peu- sare ad altro che assicurarsene; e per fare questo, pensa o di farlo morire, o di torgli la reputazione che egli si ha guadagnala nel suo esercito e ne’ suoi popoli: e con ogni industria mostrare che quella vittoria è nata non per la virtù di quello, ma per fortuna, o per viltà dei nemici, o per prudenza degli altri capitani clic sono stati seco in tale Digitized by GooqI LIBRO PRIMO. 151) l’azione. Poiché Vespasiano, sendo in Giu- dea fu dichiarato dal suo esercito im- peradore ; Antonio Primo, che si trovava con un altro esercito in llliria, prese le parti sue, e ne venne in Italia contea a Vitellio il quale regnava a Roma, e vir- luosissimamente ruppe due eserciti Vi- telliani, c occupò Roma ; talché Muziano, mandato da Vespasiano, trovò per la virtù d’Antonio acquistato • il tutto, e vinta ogni di ffìcultà. 11 premio che Au- tonio ne riportò, fu che Muziano gli tolse subito la ubidienza dello esercito, e a poco a poco io ridusse in Roma senza alcuna autorità: talché Antonio ne andò a trovare Vespasiano, il quale era ancora in Asia; dal quale fu in modo ricevuto, che, in breve tempo, ridotto in nessun grado, quasi disperato morì. E di questi esempi ne sono piene le isto- rie. Ne’ nostri tempi, ciascuno che al presente vive, sa con quanta industria e virtù Consalvo Ferrante, militando nel regno di Napoli contra a’ Franciosi per HO DEI DISCORSI Ferrando Re di Ragona, conquistasse e vincesse quel regno; e come, per pre- mio di vittoria, ne riportò che Ferrando si parti da Ragona, e, venuto a Napoli, in prima gli levò la obedienza delle genti d’ arme, c dipoi gli tolse le fortezze, ed appresso lo menò seco in Spagna; dove poco tempo poi, inonorato, mori. È tanto, dunque, naturale questo so- spetto ne’ principi, che non se ne pos- sono difendere; ed è impossibile ch’egli usino gratitudine a quelli che con vit- toria hanno fatto sotto le insegne loro grandi acquisti. E da quello che non si difende un principe, non è miracolo, nè cosa degna di maggior considerazione, s.e un popolo non se ne difende. Perchè, avendo una città che vive libera, duoi fini, V uno lo acquistare, l’altro il man- tenersi libera ; conviene che nell’ una cosa e nell’ altra per troppo amore erri. Quanto agli errori nello acquistare, se ne dirà nel luogo suo. Quanto agli er- rori per mantenersi libera, sono, intra J Digitized by Google LIBRO PRIMO. i 6 1 gli altri, questi: di offendere quei cit- tadini elicla doverrebbe premiare; aver sospetto di quelli in cui si doverrebbe confidare. E benché questi modi in una repubblica venuta alla corruzione siano cagione di grandi mali, c che molle volte piuttosto la viene alla tirannide, come intervenne a Roma di Cesare, che per forza si tolse quello che la ingrati- tudine gli negava; nondimeno in una repubblica non corrotta sono cagione di gran beni, e fanno che la ne vi\e li- bera più, mantenendosi per paura ili punizione gli uomini migliori, e meno ambiziosi. Vero è che infra tutti i po- poli che mai ebbero imperio, per le ca- gioni di sopra discorse, Roma fu la meno ingrata : perchè della sua ingratitudine si può dire che non ci sia altro esem- pio che quello di Scipione; perchè Co- riolano c Cammillo fumo fatti esuli per ingiuria che l’uno e l’altro aveva fatto alla Plebe. Ma all’ uno non fu per- donato, per aversi sempre riserbato MACHIAVELLI, Discorsi.— 1- DEI DISCORSI % 162 contea al Popolo l’animo nemico; Pai* teo non solamente fu richiamato, ma per tutto il tempo della sua vita ado* rato come principe. Ma la ingratitudine usata a Scipione, nacque da un sospetto che i cittadini cominciorno avere di lui, che degli altri non s’era avuto: il quale nacque dalla grandezza del nemico che Scipione aveva vinto; dalla reputazione che gli aveva data la vittoria di sì lunga e pericolosa guerra; dalla celerità di essa ; dai favori che la gioventù, la pru* denza, e le altre sue memorabili virtuti gli acquistavano. Le quali cose furono tante, che, non che altro, i magistrati di Roma temevano della sua autorità: la qual cosa spiaceva agli uomini savi, come cosa inconsueta in Roma. E parve tanto straordinario il vivere suo, che Catone Prisco, riputato santo, fu il primo a fargli contra ; e a dire che una città non si poteva chiamare libera, dove era un cittadino che fusse temuto dai ma- gistrati. Talché, se il popolo di Roma Digitized by Google LIBRO PRIMO. 463 1 seguì in questo caso la opinione di Ca- tone, merita quella scusa che di sopra ho detto meritare quelli popoli e quelli principi che per sospetto sono ingrati. Conchiudendo adunque questo discorso, dico, che usandosi questo vizio della in- gratitudine o per avarizia o per sospet- to, si vedrà come i popoli non mai per T avarizia la usorno, e per sospetto assai i manco che i principi, avendo meno ca- gione di sospettare: come di sotto si dirà. • Irli li ^ lì r J.& uiut » 4 - ìlì'J Cap. XXX. — Quali modi debbo usare un principe o una repubblica per fug- gire questo vizio della ingratitudine : c quali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella. Un principe, per fuggire questa ne- cessità di avere a vivere con sospetto, o esser ingrato, debbe personalmente andare nelle espedizioni; come facevano nel principio quelli imperadori romani, I 16t DEI DISCORSI 9 4J tV % * t i 1 come fu ne’ tempi nostri il Turco, c co- me hanno fatto e fanno quelli che sono virtuosi. Perchè, vincendo, la gloria e lo acquisto è tutto loro; e quando non vi sono, sendo la gloria d’altrui, non pare loro potere usare quello acquisto, s’ ei non spengono in altrui quella gloria che loro non hanno saputo guadagnarsi, e diventare ingrati ed ingiusti : e senza dubbio, è maggiore la loro perdita, che il guadagno. Ma quando, o per negli- genza o per poca prudenza, e’ si riman- gono a casa oziosi, c mandano un capi- tano; io non ho che precetto dar loro altro, che quello che per lor medesimi si sanno. .Ma dico bene a quel capitano, giudicando io che non possa fuggire i morsi della ingratitudine, che faccia una delle due cose: o subito dopo la vittoria lasci lo esercito c rimettasi nelle mani del suo principe, guardandosi da ogni atto insolente o ambizioso; acciocché quello, spogliato d’ogni sospetto, abbia cagione o di premiarlo o di non lo of- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 465 fendere : o, quando questo non gli paia di fare, prenda animosamente la parte contraria, e tenga tutti quelli modi per li quali creda che quello acquisto sia suo proprio e non del principe suo, fa- cendosi benivoli i soldati ed i sudditi; e faccia nuove amicizie coi vicini, oc- cupi con li suoi uomini le fortezze, cor- rompa i principi del suo esercito, e di quelli che non può corrompere si. assi- curi; e per questi modi cerchi di pu- nire il suo signore di quella ingratitu- dine che esso gli userebbe. Altre vie non ci sono: ma, come di sopra si disse, gli uomini non sanno essere nè al tutto tristi, nè al tutto buoni: e sempre in- terviene che, subito dopo la vittoria, lasciare lo esercito non vogliono, por- tarsi modestamente non possono, usare termini violenti e che abbino in sè Tono- revole, non sanno; talché, stando am- bigui, intra quella loro dimora ed am- biguità, sono oppressi. Quanto ad una repubblica, volendo fuggire questo vizio * . « ".1 1 J • ! I» !' 466 DEI DISCORSI dello ingrato, non si può dare il mede- simo rimedio che al principe; cioè che vadia, e non mandi, nelle cspedizioni sue, sendo necessitate a mandare un suo cittadino. Conviene, pertanto, che pei* rimedio io le dia, che la tenga i mede- simi modi che tenne la repubblica ro- mana, ad esser meno ingrata che l’altre: il che nacque dai modi del suo governo. Perchè, adoperandosi tutta la città, e gli nobili e gli ignobili, nella guerra, sur- geva sempre in Roma in ogni età tanti uomini virtuosi, ed ornati di varie vit- torie, che il popolo non avea cagione di dubitare di alcuno di loro, sendo assai, c guardando P uuo Patirò. E in tanto si mantenevano interi, e respettivi di non dare, ombra di alcuna ambizione, uè cagione al popolo, come ambiziosi, d* offendergli ; che venendo alla dittatu- ra, quello maggior gloria ne riportava, che più tosto la deponeva. E cosi, non potendo simili modi generare sospetto, non generavano ingratitudine. In modo Digitized by Google LIBRO PRIMO. 167 che, una repubblica che nott voglia avere cagione d’essere ingrata, si debbo governare come Roma ; c uno cittadino che voglia fuggire quelli suoi morsi, debbc osservare i termini osservati dai cittadini romani. Cap. XXXI. — Che » capitani romani per errore commesso ?io« furono mai istraordinariamcnlc puniti; nè furono mai ancora puniti quando, per la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro, ne fissino seguiti danni alla repubblica. 1 Romani, non solamente, come di so- pra avemo discorso, furono manco in- grati die V altre repubbliche, ma furono ancora più pii e più respctlivi nella pu- nizione de’ loro capitani degli eserciti, che alcune altre. Perchè, se il loro er- rore fussc stato per malizia, e’ lo ga- stigavano umanamente; se gli era per ignoranza, non che lo punissino, e’ lo m DEI DISCORSI premiavano ed onoravauo. Questo modo del procedere era bene considerato da -loro: perchè e' giudicavano che fusse di tanta importanza a quelli che governa» vano gli eserciti loro, lo avere l’animo libero ed espedito, e senza altri estrin- sechi rispetti nel pigliare i parliti, che non volevano aggiugnere ad una cosa per sè stessa difficile e pericolosa, nuove difficultà c pericoli ; pensando che ag- giugttendovcli, nessuno potesse essere che operasse mai virtuosamente. Verbi- grazia, e’ mandavano uno esercito in Grecia contra a Filippo di Macedonia, o in Italia contra ad Annibale, o contro a quelli popoli che vinsono prima. Era questo cupitano clic era preposto a tale espedizione, angustiato da tutte quelle cure che si arrecavano dietro quelle faccende, le quali sono gravi e impor- tantissime. Ora, se a tali cure si fus» sino aggiunti più esempi di Romani ch’eglino avessino crucifissi o altrimenti morti quelli che avessino perdute le Digitized by Google LIBRO PRIMO. 169 giornale, egli era impossibile che quello capitano intra tanti sospetti potesse de- liberare strenuamente. Però, giudicando essi che a questi tali fusse assai pena la ignominia dello avere perduto, non gli vollono con altra maggior pena sbi- gottire. Uno esempio ci è, quanto allo errore commesso non per ignoranza. Erono Sergio e Virginio a campo a Veio, ciascuno preposti ad una parte dello esercito; de’ quali Sergio era all’incon- tro donde potevano venire i Toscani, c Virginio dall’ altra parte. Occorse che sendo assaltato Sergio dai Falisci e da altri popoli, sopportò d’ essere rotto c fugato prima che mandare per aiuto a Virginio. E dall’altra parte, Virginio aspettando che si umiliasse, volle piut- tosto vedere, il disonore della patria sua, e la rovina di quello esercito, clic soc- correrlo. Caso veramente esemplare e tristo, c da fare non buona coniettura della Repubblica romana, se 1’ uno c l’al- tro non fusscro stati gasligali. Vero è no DEI DISCORSI che, dove un’altra repubblica gli a r ebbe puniti di pena capitale, quella gli punì in danari. II che nacque non perchè i peccali loro non meritassino maggior punizione, ma perchè -gli Romani voi* iono in questo caso, per le ragioni già dette, mantenere gli antichi costumi loro. E quanto agii errori per ignoranza, non ci è il più bello esempio che quello di Varrone: per la temerità del quale sendo rotti i Romani a Canne da Annibaie, dove quella Repubblica portò pericolo della sua libertà; nondimeno, perchè vi fu ignoranza e non malizia, non sola* mente non lo gastigorno ma lo onoror- no, e gli andò incontro nella tornata sua in Roma tutto l’Ordine senatorio; e non lo potendo ringraziare della zuffa, Io ringraziarono eh’ egli era tornato in Roma, c non si era disperato delle cose romane. Quando Papirio Cursore volevu fare morire Fabio, per avere contea al suo comandamento combattuto coi San- niti; intra le altre ragioni che dal pa- Digitized by Google Lior.o PRIMO. 171 tire di Fabio erano assegnale conira alla ostinazione del Dittatore, era che il Po- polo romano in alcuna perdita de’ suoi Capitani non aveva fatto mai quello che Papirio nella vittoria voleva fare. Cap. XXXII. — Una repubblica o uno principe non < lebbe differire a bene- ficare gli uomini nelle sue necessitati. Ancora che ai Romani succedesse fe- licemente essere liberali al Popolo, so- pravvenendo il pericolo, quando Por- sena venne ad assaltare Roma per rimettere i Tarquini ; dove il Senato du- bitando della Plebe, che non volesse piut- tosto accettare i Re che sostenere la guerra, per assicurarsene la sgravò delle gabelle del sale, e d’ogni gravezza ; di- cendo come i poveri assai operavano in benefizio pubblico se ci nutrivano i loro figliuoli ; e che per questo benefizio quel Popolo si esponesse a sopportare ossi- dione, fame e guerra: non sia alcuno 172 DEI DISCORSI .‘t « 1* . ,1 '■ che, confidatosi in questo esempio, diffe- risca ne’tempi de’ pericoli a guadagnarsi il Popolo; perchè mai gli riuscirà quello che riuscì ni Romani. Perchè lo univer- sale giudicherà non avere quel bene da te, ma dogli avversari tuoi; e dovendo temere che, passata la necessità, tu ri- tolga loro quello che hai forzatamente loro dato, non arà tcco obbligo alcuno. E la cagione perchè ai Romani tornò bene questo partilo, fu perchè lo Stato era nuovo, e non per ancora fermo; ed aveva veduto quel Popolo, come innanzi si erano fatte leggi in benefizio suo, come quella delia appellagione alla Plebe; in modo che ei potette persuadersi che quel bene gli era fatto, non era tanto causato dalla venuta dei nemici, quanto dalla disposizione del Senato in benefi- carli. Olirà di questo, la memoria dei Re era fresca; dai quali erano stati in molti modi vilipesi ed ingiuriati. E per- chè simili cagioni accaggiono rade volte, occorrerà ancora rade volte che simili Digitized by Google LIBRO PRIMO. 173 remedi giovino. Però, debbe qualunque tiene stato, cosi repubblica come prin- cipe, considerare inuanzi, quali tempi gli possono venire addosso contrari, c di quali uomini ne’ tempi avversi si può avere di bisogno; e dipoi vivere con loro in quel modo che giudica, soprav- vegnente qualunque caso, essere neces- sitato vivere. E quello che altrimenti si governa, o principe o repubblica, e mas- sime un principe; e poi in sul fatto crede, quando il pericolo sopravviene, coi benefìzii riguadagnarsi gli uomini; se ne inganna : perchè non solamente non se ne assicura, ma accelera la sua rovina. Cap. XXXIII. — Quando uno inconve- niente è cresciuto o in uno Stalo o con tra ad uno Stato , è più salutifero partito temporeggiarlo che urtarlo. Crescendo In Repubblica romana in reputazione, forze ed imperio, i vicini, i 174 DEI DISCORSI quali prima non avevano pensato quanto quella nuova Repubblica potesse arre- care loro di danno, coniinciorno, ma tardi, a conoscere lo errore loro ; e vo- lendo rimediare a quello che prima non avevano rimediato, conspirorno ben qua- ranta popoli contra a Roma : donde i Romani, intra gli altri rimedi soliti farsi da loro negli urgenti pericoli, si volsono a creare il Dittatore ; cioè dare potestà ad uno uomo che senza alcuna consulta potesse deliberare, e senza alcuna ap- pellagione potesse eseguire le sue deli- berazioni. Il quale rimedio come allora fu utile, e fu cagione che vincessero gl* imminenti pericoli, cosi fu sempre utilissimo in tutti quelli accidenti che, nello augumento dello imperio, in qua- lunque tempo surgessino contra alla Re- pubblica. Sopra il qual accidente è da discorrere prima, come quando uno in- conveniente che surga, o in una repub- blica o contra ad una repubblica, cau* sato da cagione intrinseca o estrinseca, I Digitized by Google LIDI’.O PRIMO. 475 è diventalo lauto grande clic e’ cominci a far paura a ciascuno; è mollo più si- curo partilo temporeggiarsi con quello, che tentare di estinguerlo. Perchè, quasi sempre coloro che tentano di ammor- zarlo, fanno le sue forze maggiori, e fanno accelerare quel male che da quello si suspettava. E di questi simili acci- denti ne nasce nella repubblica più spesso per cagione intrinseca, che estrin- seca : dove molte volte, o e’ si lascia pi- gliare ad uno cittadino più forze che non è ragionevole, o e’ si comincia a corrompere uua legge, la quale è il nervo e la vita del vivere libero; e lasciasi trascorrere questo errore in tanto, che gli è più dannoso partito il volervi ri- mediare, che lasciarlo seguire. E tanto più è difficile il conoscere questi incon- venienti quando e’ nascono, quanto e’pa- re più naturale agli uomini favorire sempre i principii delle cose. E tali fa- vori possono, più che in alcuna altra cosa, nelle opere che paiono che abbino 176 DEI DISCORSI in sè qualche virtù, e siano operale da’ giovani: perchè, se in una rcpub* blica si vede surgere un giovane nobile, quale abbia in sè virtù istraordinaria, lutti gli occhi de’ cittadini si cominciano a voltare verso di lui, e concorrono senza alcuno rispetto ad onorarlo ; in modo che, se in quello è punto d* ambi- zione, accozzati i favori che gli dà la natura e questo accidente, viene subito in luogo, che quando i cittadini si av- veggono dell'errore loro, hanno pochi rimedi ad ovviarvi; e volendo quelli tauti ch’egli hanno, operarli, non fanno altro che accelerare la potenza sua. Di questo se ne potrebbe addurre assai esempi, ma io ne voglio dare solamente uno della citta nostra. Cosimo de’ Medici, dal quale la casa de’ Medici in la nostra città ebbe il principio della sua gran- dezza, venne in tanta reputazione col favore che gli dette la sua prudenza e la ignoranza degli altri cittadini, che ei cominciò a fare paura allo Stato; in Digitized by Google LIBRO PRIMO. 4 77 modo clic gli altri cittadini giudicavano l’offenderlo pericoloso, ed il lasciarlo stare cosa pericolosissima. Ma vivendo in quei tempi Niccolò da Uzzano,' il quale nelle cose civili era tenuto uomo espertissimo, ed avendo fatto il primo errore di non conoscere i pericoli clic dalla reputazione di Cosimo potevano nascere; mentre che visse, non permesse mai clic si facesse il secondo, cioè che si tentasse di volerlo spegnere, giudi- cando tale tentazione essere al tutto la rovina dello Stato loro; come si vide in fatto clic fu, dopo la sua morte : perchè, non osservando quelli cittadini che ri- masono, questo suo consiglio, si feciono forti contra a Cosimo, e lo cacciorno da Firenze. Donde ne nacque che la sua parte, per questa ingiuria risentitasi, poco dipoi lo chiamò, e lo fece principe della repubblica: al quale grado senza quella manifesta opposizione non sarebbe mai potuto ascendere. Questo medesimo intervenne a Roma con Cesare; chè fa- SI ACHIAVK.U i, Discorsi. — 1. 12 DEI DISCORSI ir ' ' fc ; i 1 * il i * t 4 t t h * ti 17$ vorita da Pompeio e dagli altri quella sua virtù, si convertì poco dipoi quel favore in paura: di che fa testimonio Cicerone, dicendo che Pompeio aveva tardi cominciato a temer Cesare. La qual paura fece che pensorono ai ri- medi ; e gli rimedi che feciono, accele- rorno la rovina della loro Repubblica. Dico adunque, che dipoi che gii è diffi- cile conoscere questi mali quando e’sur- gono, causata questa difficultà da uno inganno che ti fanno le cose in princi- pio ; è più savio partito il temporeg- giarle poiché le si conoscono, che l’op- pugnarle : perchè temporeggiaudole, o per lor medesime si spengono, o al- meno il male si differisce in più lungo tempo. E in tutte le cose debbono aprir gli occhi i principi che disegnano can- cellarle, o alle forze ed impeto loro op- porsi; di non dare loro, in cambio di detrimento, augumento ; e credendo so- spingere una cosa, tirarsela dietro, ov- vero soffocare una pianta con anuaf- Digitized by Google unno primo. 479 fiarla. Ma si debbe considerare bene le forze del malore, c quando ti vedi suf- fizientc a sanarlo, mettervili senza ri- spetto: altrimenti, lasciarlo stare, nò in alcun modo tentarlo. Perchè interver- rebbe, come di sopra si discorre, e come intervenne a’ vicini di Roma: ai quali, poiché Roma era cresciuta in tanta potenza, era più salutifero con gli modi della pace cercare di placarla c ritenerla addietro, che coi modi della guerra farla pensare a nuovi or- dini e nuove difese. Perchè quella loro congiura non fece altro che farli più uniti, più gagliardi, e pensare a modi nuovi, medinoti i quali in più breve tempo ampliorono la potenza loro. In- tra’quali fu la creazione del Dittatore; per lo quale nuovo ordine non sola- mente superorono gli imminenti peri- coli, ma fu cagione di ovviare a infiniti mali , ne’ quali senza quello rimedio quella repubblica sarebbe incorsa, v-.j. ;• vk'u Urlimi* llìl tòt* . DEI DISCORSI | 4 l > 1 A I I , fl' ISO Cap. XXXIV. — l/autorità dittatoria fece bene , c non danno , alla repubblica romana: c come le autorità che i cit- tadini si tolgono s non quelle che sono loro dai suffragi liberi date , sono alla vita civile perniciose. E’ sono stati dannati da alcuno scrit- tore quelli Romani che trovorono in quella città il modo di creare il Ditta- tore, come cosa che fusse cagione, col tempo, della tirannide di Roma; alle- gando, come il primo tiranno che fusse in quella città, la comandò sotto questo titolo dittatorio; dicendo che se non vi fusse stato questo, Cesare non arebbe potuto sotto alcuno titolo pubblico adone- stare la sua tirannide. La qual cosa non fu bene da colui che tenne questa op- pinione esaminala, e fu fuori d’ogni ra- gione creduta. Perchè, e’ non fu il nome nè il grado del Dittatore che facesse serva Roma, ma fu l’ autorità presa dai Digitized by Google LIBRO PRIMO. 181 cittadini per ia diuturnità dello impe- rio: c se in Roma fusse mancato il no- me dittatorio, ne arebbon preso un altro; perchè e’ sono le forze che facilmente s’acquistano i nomi, non i nomi le for- ze. E si vedde che ’1 Dittatore, mentre che fu dato secondo gli ordini pubblici, c non per autorità propria, fece sempre bene alla città. Perchè e’ nuocono alle repubbliche i magistrati che si fanno e l’autoritati che si danno per vie istraor- dinarie; non quelle che vengono per vie ordinarie: come si vede che segui in Roma in tanto progresso di tempo, che mai alcuno Dittatore fece se non bene alla Repubblica. Di che ce ne sono ra- gioni evidentissime. Prima, perchè a vo- lere che un cittadino possa offendere e pigliarsi autorità istraordinaria, conviene ch’egli abbia molte qualità le quali in una repubblica non corrotta non può mai avere: perchè gli bisogna essere ricchissimo, ed avere assai aderenti e partigiani, i quali non può avere dove 482 DEI DISCORSI le leggi si osservano; e quando pure ve gli avesse, simili uomini sono in modo formidabili, che i suffragi liberi non concorrono in quelli. Oltra di questo, il Dittatore era fatto a tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamente a quella cagione mediante la quale era creato ; e la sua autorità si estendeva in potere deliberare per sè stesso circa i modi di quello urgente pericolo, e fare ogni cosa senza consulta, e punire cia- scuno senza appellagione: ma non po- teva far cosa che fusse in diminuzione dello Stato; come sarebbe stato torre autorità al Senato o al Popolo, disfare gli ordini vecchi della città, e farne de’ nuovi. In modo che, raccozzato il breve tempo della sua dittatura, c l’ au- torità limitata che egli aveva, ed il po- polo romano non corrotto; era impos- sibile ch’egli uscisse de’ termini suoi, e noccsse alla città: e per esperienza si vede che sempre mai giovò. E veramen- te, infra gli altri ordini romani, questo J Digitized by Google LIBRO PRIMO. 183 è uno che merita esser consideralo, e connumerato infra quelli che furono ca- gione della grandezza di tanto imperio; perchè senza un simile ordine le città con difficoltà usciranno degli accidenti istraordinari : perchè gli ordini consueti nelle repubbliche hanno il moto tardo (non potendo alcuno consiglio nè alcuno magistrato per sè stesso operare ogni cosa, ma avendo in molle cose bisogno l’uno dell’altro), e perchè nel raccozzare insieme questi voleri va tempo, sono i rimedi loro pericolosissimi, quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspetti tempo. E però le repubbliche debbono intra’ loro ordini avere un sl- mile modo : e la Repubblica veneziana, la quale intra le moderne repubbliche è eccellente, ha riservato autorità a pa- chi cittadini, che ne’ bisogni urgenti, senza maggiore consulta, tutti d’accordo possino deliberare. Perchè quando in una repubblica manca un simil modo, è necessario, o servando gli ordini ro- | U4 DEI DISCORSI vinate, o per non rovinare rompergli. Ed in una repubblica non vorrebbe mai accader cosa, che coi modi estraordinari s’ avesse a governare. Perchè, ancora che il modo istraordinario per allora facesse bene, nondimeno lo esempio fa male ; perchè si mette una usanza di rompere gli ordini per bene che poi sotto quel colore si rompono per male. Talché mai Ha perfetta una repubblica, se con le leggi sue non ha provvisto a tutto, e ad ogni accidente posto ti ri* medio, e dato il modo a governarlo. E però, conchiudendo, dico che quelle re- pubbliche le quali negli urgenti pericoli non hanno rifugio o al Dittatore o a simili autoritati, sempre ne’ gravi acci- denti rovineranno. È da notare in que- sto nuovo ordine, il modo dello elegger- lo, quanto dai Romani fu saviamente provvisto. Perchè, sendo la creazione del Dittatore con qualche vergogna dei Consoli, avendo, di capi della città, a venire sotto una ubidienza come gli al- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 185 tri ; e presupponendo che di questo avesse a nascere isdegno fra i cittadini; vollono che l' autorità dello eleggerlo fusse nei Consoli: pensando che quando V accidente venisse, che Roma avesse bisogno di questa regia potestà, e’ lo avessino a fare volentieri; e facendolo loro, che dolessi lor meno. Perchè le ferite ed ogni altro male che Y uomo si fa da sè spontaneamente e per elezione, dolgono di gran lunga tneuo, che quelle che ti sono fatte da altri. Ancora che poi negli ultimi tempi i Romani usassi- no, in cambio del Dittatore, di dare tale autorità al Cousole, con queste pa- role: Videat Constila ne Respublica quid detrimenti captai . E per tornare alla materia nostra, conchiudo, come i vicini di Roma cercando opprimergli, gli fc- ciono ordinare, non solamente a potersi difendere, ma a potere, con più forza, più consiglio e più autorità, offender loro. 4 86 DEI DISCORSI Cip. XXXV.- — La cagione perchè in Roma la creazione del decemvirato fa nociva alla libertà di quella repub' blicaj non ostante che fosse creato po' suffragi pubblichi e liberi. E’ pare contrario a quel clic di sopra è discorso; che quella autorità che si occupa con violenza, non quella eh’ è data con gli suffragi, nuoce alle repubbli- che; la elezione dei dicci cittadini creati dal Popolo romano per fare le leggi in Roma: i quali ne diventorno col tempo tiranni, e senza alcun rispetto occu- porno la libertà di quella. Dove si debbe considerare i modi del dare {'autorità, ed il tempo perchè la si dà. E quando e’ si dia autorità libera, col tempo lungo, chiamando il tempo lungo un anno, o più; sempre fia pericolosa; e farà gli effetti o buoni o tristi, secondo che fieno tristi o buoni coloro a chi la sarà data. E se si considera l’autorità che ebbero i Dicci, e quella che avevano i Ditta- .J Digitized by Google LIBRO PRIMO. 187 P* lori, si vedrò senza comparazione quella de’ Dieci maggiore. Perchè, creato il Dit- tatore, rimanevano i Tribuni, i Consoli, il Senato, con la loro autorità ; nò il Dittatore la poteva torre loro: e s* egli avesse potuto privare uno del consolato, uno del senato, ei non poteva annul- lare l’ordine senatorio, e fare nuove leggi. In modo che il Senato, i Consoli ed i Tribuni, restando con l’autorità loro, venivano ad essere come sua guar- dia, a farlo non uscire della via diritta. Ma nella creazione dei Dieci occorse tutto il contrario ; perchè gli annullorno i Consoli cd i Tribuni, dettono loro au- torità di fare leggi, ed ogni altra cosa, come il Popolo romano. Talché, trovan- dosi soli, senza Consoli, senza Tribuni, senza appcllagionc al Popolo ; e per questo non venendo ad avere chi osscr- vassegli, ei poterono, il secondo anno, mossi dall’ ambizione di Appio, diventare insolenti. E per questo si debbo notare, che quando e’ si è detto che una auto- 188 DEt DISCORSI rità data da’ suffragi liberi, non of- fese mai alcuna repubblica; si pre- suppone che un popolo non si conduca inai a darla, se non con le debite cir- constanzie, e ne’ debiti tempi: ma quando, o per essere ingannato, o per qualche altra cagione che lo accecasse, e’ si conducesse a darla imprudentemen- te, e nel modo che ’l Popolo romano la dette a’ Dieci, gl’ interverria sempre co- me a quello. Questo si prova facilmente, considerando quali cagioni mantenessero i Dittatori buoni, e quali facessero i Dieci cattivi; e considerando ancora, come hanno fatto quelle repubbliche che sono state tenute bene ordinate, nel dare 1* autorità per lungo tempo; come dava- no gli Spartani agli loro Re, e come danno i Veniziani ai loro Duci: perchè si ve- drà, all* uno ed all’ altro modo di costoro esser poste guardie, che facevano che i Re non potevano usare male quella au- torità. Nè giova in questo caso, che la materia non sia corrotta; perchè una Digitized by Google LIBRO PRIMO. U9 autorità assoluta, in brevissimo tempo corrompe la materia, c si fa amici c partigiani. Nè gli nuoce o esser povero, o non avere parenti; perché le ricchez- ze cd ogni altro favore subito gli corre dietro: come particolarmente nella crea- zione de’ detti Dieci discorreremo. Gap. XXXVI. — Pioti debbono i cittadini che hanno avuti » maggiori onori, sdegnarsi de* minori. Avevano i Romani fatti Marco Fabio e G. Manilio consoli, e vinta una glorio- sissima giornata contea a’ Veicnti e gli Etruschi; nella quale fu morto Quinto Fabio, fratello del consolo, quale Io anno davanti era stato consolo. Dove si deb- be considerare, quanto gli ordini di quella città erano atti a farla grande; c quanto le altre repubbliche che si di- scostano dai modi suoi, s’ingannano. Perchè, ancora che i Romani fussino amatori grandi della gloria, nondimeno TJ « * « I \ f J p « I 190 DEI DISCORSI non stimavano cosa disonorevole ubbi- dire ora a chi altra volta essi avevano comandato, e trovarsi a servire in quello esercito del quale erano stati principi. 11 qual costume è contrario alla oppi- nione, ordini e modi de’ cittadini de’tempi nostri: ed in Vinegia è ancora questo errore, che uno cittadino avendo avuto un grado grande, si vergogni di accet- tare uno minore; e la citta gli consente che se ne possa discostare. La qual cosa, quando fusse onorevole per il privato, è al tutto inutile per il pubblico. Per- chè più speranza debbe avere una re- pubblica, e più confidare in uno citta- dino che da un grado grande scenda a governare uno minore, che in quello clic da uno minore salga a governare un maggiore. Perchè a costui non può ra- gionevolmente credere, se non li vede uomini intorno, i qiiali siano di tanta riverenza o di tanta virtù, che la novità di colui possa essere con il consiglio ed autorità loro moderata. E quando in Digitized by Google LIBRO PRIMO. 191 Roma fosse stata la consuetudine quale in Vinegia, e nell' altre repubbliche c regni moderni, che chi era stato una volta Consolo, non volesse mai più an- dare negli eserciti se non consolo; ne sarebbono nate infinite cose in disfavore del viver libero; e per gli errori che arebbono fatti gli uomini nuovi, e per P ambizione che loro arebbono potuto usare meglio, non avendo uomini intor- no, nel conspetto de’ quali ei temessino errare; e cosi sarebbero venuti ad es- sere più sciolti : il che sarebbe tornato tutto in detrimento pubblico. Cap. XXXVII. — Quali scandali partorì in Roma la legge agraria : e come fare una logge in una repubblica che risguardi assai indietro > e sia conira ad una consuetudine antica della città , è scandalosissimo. Egli è sentenza degli antichi scrittori, come gli uomini sogliono affliggersi nel t 192 DEI DISCORSI male c stuccarsi nel benej e come dul- 1’ una e dall* altra di queste due passioni nascono i medesimi effetti. Perchè, qua- lunque volta è tolto agli uomini il com- battere per necessità, combattono per ambizione: la quale è tanto potente ne’ petti umani, che mai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. La cagione è, perchè la natura ha creati gli uomini in modo, che possono desiderare ogni cosa, e non possono conseguire ogni cosa : talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acqui- stare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sati- sfazionc di esso. Da questo nasce il va- riare della fortuna loro: perchè deside- rando gli uomini, parte di avere più, parte temendo di non perdere lo acqui- stato, si viene alle inimicizie ed alla guerra ; dalla quale nasce la rovina di quella provincia, e la esaltazione di quel- 1’ altra. Questo discorso ho fatto perchè alla Plebe romana non bastò assicurarsi Digitized by Google LIBRO PRIMO. 193 de’ Nobili per la creazione de’ Tribuni, al quale desiderio fu constretta per ne- cessità ; che lei subito, ottenuto quello, cominciò a combattere per ambizione, e volere con la Nobiltà dividere gli onori e le sustanze, come cosa stimata più dagli uomini. Da questo nacque il morbo che partorì la contenzione della legge agraria, ed in (ine fu causa della distru- zione della Repubblica romana. E per- chè le repubbliche bene ordinate hanno a tenere ricco il pubblico, e li loro cit- tadini poveri ; convenne che fusse nella città di Roma difetto in questa legge: la quale o non fusse fatta nel principio in modo che la non si avesse ogni di a ritrattare; o che la si differisse tanto in farla, che fusse scandotoso il riguar- darsi indietro; o sendo ordinata bene da prima, era stata poi dall’ uso cor- rotta; talché, in qualunque modo si fus- se, mai non si parlò di questa legge in Roma, che quella città non andasse sotto- sopra. Aveva questa legge duoi capi Botti I 1, |v BiP ! IrvH ■sn «- li. Sv IlVJal Ai achi avelli > Discorsi. — 1. 13 Digitized by tloogle m obi Diseonsr principali. Ter l’ uno si disponeva clic non si potesse possedere per alcun cit- tadino più che tanti iugeri di terra; per V altro, che i campi di che si pri- vavano i nimici, si dividessino intra il popolo romano. Veniva pertanto a fare di duoi sorte offese ai Nobili: perchè quelli che possedevano più beni non permetteva la legge (quali erano la mag- gior parte de’ Nobili), ne avevano ad es- ser privi ; e dividendosi intra la Plebe i beni de’ nimici, si toglieva a quelli la via dello arricchire. Sicché, venendo ad essere queste offese contra ad uomini potenti, e che pareva loro, contrastan- dola, difendere il pubblico; qualunque volta, com’ è detto, si ricordava, andava sottosopra quella città : ed i Nobili con pazienza ed industria la temporeggiava- no, o con trac fuora un esercito, o che a quel Tribuno che la proponeva si op- ponesse uno altro Tribuno; o talvolta cederne parte; ovvero mandare una co- lonia in quel luogo che si avesse a di* i Digitized by Google LIBRO PRIMO. 195 stribuire: come intervenne del contado di Anzio, per il quale surgendo questa disputa della legge, si mandò in quel luogo una colonia traila di Roma, alla quale si consegnasse detto contado. Do- ve Tito Livio usa un termine notabile, dicendo clic con ditTìcultà si trovò in Roma eli i desse il nome per ire in detta colonia: tanto era quella Plebe più pron- ta a volere desiderare le cose in Homa, che a possederle in Anzio ! Andò questo umore di questa legge così travaglian- dosi un tempo, tanto che i Romani co- minciarono a condurre le loro armi nelle estreme parti di Italia, o fuori di Italia; dopo al qual tempo parve che la restasse. Il che nacque perchè i campi che pos- sedevano i nimici di Roma essendo di- scosti dagli occhi della Plebe, cd in luogo dove non gli era facile il coltivargli, veniva meno ad esserne desiderosa: ed ancora i Romani erano meno punitori tic’ loro nemici in siinil modo; e quando pure spogliavano alcuna terra del suo 106 DEI DISCORSI contado, vi distribuivano colonia. Tanto che per tali cagioni questa legge stette come addormentata inOno a’ Gracchi: da’ quali essendo poi svegliata, rovinò al tutto la libertà romana; perchè la trovò raddoppiata la potenza de’ suoi avversari, e si accese per questo tante odio intra la Plebe ed il Senato, che si venne all’ armi ed al sangue, fuor d’ogni modo e costume civile. Talché, non po- tendo i pubblici magistrati rimediarvi, nè sperando più alcuna delle fazioni in quelli, si ricorse a’ rimedi privati, e cia- scuna delle parti pensò di farsi uno capo che la difendesse. Pervenne in questo scandalo e disordine la Plebe, e volse la sua riputazione a Mario, tanto che la lo fece quattro volte Consolo; ed in tanto continuò con pochi intervalli il suo con- solato, che si potette per sè stesso far Consolo tre altre volte. Contra alla qual peste non avendo la Nobiltà alcuno ri- medio, si volse a favorir Siila; e fatto quello capo della parte sua, vennero alle Digilized by Google LIBRO PltlMO. 197 guerre civili * e dopo molto sangue e variar di fortuna, rimase superiore la Nobiltà. Risuscitorono poi questi umori a tempo di Cesare c di Pompeo; perchè, fattosi Cesare capo della parte di Mario, c Pompeo di quella di Siila, venendo alle mani rimase supcriore Cesare: il quale fu primo (iranno in Roma; talché mai fu poi libera quella città. Tale, adun- que, principio e fine ebbe la legge agra- ria. E benché noi mostrassimo altrove, come le inimicizie di Roma intra il Se- nato c la Plebe mantenessero libera Ro- ma, per nascerne da quelle leggi in fa- vore della libertà ; e per questo paia disforme a tale conclusione il fine di questa legge agraria ; dico come, per questo, io non mi rimuovo da tale op- pinionc: perchè egli è tanta P ambizio- ne de’ grandi, che se per varie vie ed in vari modi la non ò in una città sbat- tuta, tosto riduce quella città alla rovina sua. In modo che, se la contenzione della legge agraria penò trecento anni a fare DEI DISCORSI \ 198 Roma serva, si sarebbe condotta, per avventura, molto più tosto iti servitù, quando la Plebe, e con questa legge c con altri suoi appetiti, non avesse sem- pre frenato la ambizione de’ Nobili. Ve- dasi per questo ancora, quanto gli uo- mini stimano più la roba che gli onori. Perchè la Nobiltà romana sempre negli onori eedè senza scandali istraordinari alla Plebe; ma come si venne alla ro- ba, fu tanta la ostinazione sua nel di- fenderla, che la Plebe ricorse, per Sfo- gare 1’ appetito suo, a quelli istraordi- nari che di sopra si discorrono. Del quale disordine furono motori i Gracchi; de’ quali si dcbbe laudare più la inten- zione che la prudenza. Perchè, a voler levar via uno disordine cresciuto in una repubblica, e per questo fare una legge che riguardi assai indietro, è partito male considerato; e, come di sopra lar- gamente si discorse, non si fa altro che accelerare quel male a che quel disor- dine ti conduce : ma temporeggiandolo, Digilized by Google LIBRO PRIMO. 199 o il male viene più tardo, o per sè me- desimo col tempo, avanti che venga al fine suo, si spegne. Cap. XXXVIII. — Le repubbliche deboli sono male risolute , e non si sanno deliberare ; c se le pigliano mai al- cuno partito j nasce più da necessità che da elezione. Essendo in Roma una gravissima pe- stilenza, e parendo per questo agli Vol- aci ed agli Equi che fusse venuto il tempo di potere oppressar Roma; fatti questi due popoli uno grossissimo eser- cito, assalirono gli Latini e gli Ernici, e guastando il loro paese, furono con- stretti gli Latini c gli Ernici farlo in- tendere a Roma, c pregare che fussero difesi da' Romani: ai quali, sendo i Ro- mani gravati dal morbo, risposero che pigliassero partito di difendersi da loro medesimi e con le loro armi, perchè essi non li potevano difendere. Dove si 200 DE! DISCÓRSI conosce la generosità e prudenza di quel Senato, e come sempre in ogni for- tuna volle essere quello che fusse prin- cipe delle deliberazioni che avessero a pigliare i suoi; nè si vergognò mai de- liberare una cosa che fusse contraria al suo modo di vivere o ad altre deli- berazioni fatte da lui, quando la neces- sità gliene comandava. Questo dico per- chè altre volte il medesimo Senato aveva vietato ai detti popoli l’armarsi e di- fendersi ; talché ad uno Senato meno prudente di questo, sarebbe parso ca- dere del grado suo a concedere loro tale difensione. Ma quello sempre giu- dicò le cose come si debbono giudicare, e sempre prese il meno reo partilo per migliore; perchè male gli sapeva non potere difendere i suoi sudditi; male gli sapeva che si armassino senza loro, per le ragioni dette, e per molte altre che si intendono: nondimeno, conoscendo * che si sarebbono armati, per necessità, a ogni modo, avendo il nimico addos- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 201 so; prese la parte onorevole, e volle che quello clic gli avevano a fare, lo facessino con licenzia sua, acciocché avendo disubbidito per necessità, non si avvezzassino a disubbidire per ele- zione. E benché questo paia partito che da ciascuna repubblica dovesse esser preso; nientedimeno le repubbliche de- boli e male consigliate non gli sanno pigliare, nè si sanno onorare di simili necessità. Aveva il duca Valentino presa Faenza, e fatto calare Bologna agli ac- cordi suoi. Dipoi, volendosene tornare a Roma per la Toscana, mandò in Fi- renze uno suo uomo a domandare il passo per sé e per il suo esercito. Con- sultossi in Firenze come si avesse a go- vernare questa cosa, nè fu mai consi- gliato per alcuno di concedergliene. In che non si seguì il modo romano: per- chè, sendo il Duca armatissimo, ed i Fiorentini in modo disarmati che non gli potevano vietare il passare, era molto piu onore loro, che paresse che passasse 202 DEI DISCORSI con permissione di quelli, che a forza; perchè, dove vi fu al tutto il loro vitu- perio, sarebbe stato in parie minore quando I* avessero governata altrimenti. Ma la più cattiva parte che abbino le repubbliche deboli, è essere irresolute; in modo che lutti i partili che le pi- gliano, gli pigliano per forza; e se vieti loro fatto alcuno bene, lo fanno forzato, c non per prudenza loro. Io voglio dare di questo duoi altri esempi, occorsi ne* tempi nostri nello stato della nostra città, nel mille cinquecento. Ripreso che il re Luigi XII di Francia ebbe Milauo, desideroso di rendergli Pisa, per aver cinquanta mila ducati che gli erano stati promessi da’ Fiorentini dopo tale resti- tuzione, mandò gli suoi eserciti verso Pisa, capitanati da monsignor Beau- monte; benché francese, nondiraanco uomo in cui i Fiorentini assai confida- vano. Condussesi questo esercito e que- sto capitano intra Cascina e Pisa, per andare a combattere le mura; dove di- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 203 morando alcuno giorno per ordinarsi alla espugnazione, vennero oratori Pi- sani a Beaumonte, e gli offerirono di dare la città allo esercito francese con questi patti: che, sotto la fede del re, promettesse non la mettere in mano de’ Fiorentini, prima che dopo quattro mesi. Il qual partito fu dai Fiorentini al tutto rifiutato, in modo che si seguì nello andarvi a campo, e partissene con vergogna. Nè fu rifiutato il partito per altra cagione, che per diffidare della fede del re; come quelli che per debo- lezza di consiglio si erano per forza messi nelle mani sue: e dall’altra par- te, non se ne fidavano, nè vedevano quanto era meglio che il re potesse ren- dere loro Pisa sendovi dentro, e non la rendendo scoprire P animo suo, che non la avendo, poterla loro promettere, e loro essere forzati comperare quelle promesse. Talché molto più utilmente arebbono fatto a consentire che Beau- monlc V avesse, sotto qualunque prò- 204 DEI DISCORSI ' i i messa, presa: come se ne vide la espc- rienza dipoi nel 4502, die essendosi ribellato Arezzo, venne a’ soccorsi de* Fio- rentini mandato dal re di Francia mon- signor Imbalt con gente francese; il qual giunto propinquo ad Arezzo, dopo poco tempo cominciò a praticare ac- cordo con gli Aretini, i quali sotto certa fede volevano dare la terra, a similitu- dine de’ Pisani. Fu rifiutato in Firenze tale partito ; il che veggendo monsignor Imbalt, e parendogli come i Fiorentini se ne inlendessino poco, cominciò a te- nere le pratiche dello accordo da se, senza participazione de’ Commessaci : tanto che e’ io conchiuse a suo modo, e sotto quello con le sue genti se ne en- trò in Arezzo, facendo intendere a’ Fio- rentini come egli erano matti, e non si intendevano delle cose del mondo: che se volevano Arezzo, lo fucessino inten- dere al re, il quale lo poteva dar loro molto meglio, avendo le sue genti in quella città, che fuori. Non si restava Digitized by Google LIBRO PRIMO. 205 in Firenze di lacerare e biasimare detto Imbalt; nè si restò mai, infino a tanto che si conobbe che se Beaumonte fusse stato simile a Imbalt, si sarebbe avuto Pisa come Arezzo. E cosi, per tornare a proposito, le repubbliche irresolute non pigliano mai partiti buoni, se non per forza, perchè la debolezza loro non le lascia mai deliberare dove è alcuno dubbio; e se quel dubbio non è can- cellalo da una violenza, che le sospinga, stanno sempre mai sospese. Cap. XXXIX. — In diversi popoli si veggono spesso i medesimi accidenti. E’ si conosce facilmente per chi con- sidera le cose presenti e le antiche, co- me in tutte le città ed in tutti i popoli sono quelli medesimi desiderii e quelli medesimi umori, e come vi furono sem- pre : in modo che gli è facil cosa a chi esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni repubblica le future, DEI DISCORSI *206 c farvi quelli rimedi che dagli antichi sono stati usati ; o non ne trovando de- gli usati, pensarne de’ nuovi, per la si- militudine degli accidenti. Ma perchè queste considerazioni sono neglette, o non intese da chi legge ; o se le sono intese, non sono conosciute da chi go- verna ; ne seguita che sempre sono i medesimi scandali in ogni tempo. Avendo la città di Firenze, dopo il 94, perduto parte dello imperio suo, come Pisa ed altre terre, fu necessitata a fare guerra * a coloro che le occupavano. E perchè chi le occupava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nella guerra, senza alcun frutto ; dallo spendere assai ne risultava assai gravezze ; dalle gravezze, infinite querele del popolo ; e perchè questa guerra era amministrata da uno magistrato di dieci cittadini che si chia- mavano i Dieci della guerra, 1* univer- sale cominciò a recarselo in dispetto, come quello che fusse cagione della guerra e delle spese di essa; e cornili- -2 Digitized by Google LIBRO PRIMO. 207 ciò a persuadersi che tolto via detto magistrato, fusse tolto via la guerra : tanto che avendosi a rifare, non se gli fecero gli scambi ; e lasciatosi spirare, si commisero le azioni sue alla Signoria. La qual deliberazione fu tanto pernizio- sa, che non solamente non levò la guer- ra, come lo universale si persuadeva ; ma tolto via quelli uomini che con pru- denza la amministravano, ne seguì tanto disordine, die, oltre a Pisa, si perde Arezzo e molti altri luoghi: in modo che, ravvedutosi il popolo dello errore suo, e come la cagione del male era la febbre e non il medico, rifece il magi- strato de’ Dieci. Questo medesimo umore si levò in Roma conira al nome de’ Con- soli : perchè, veggendo quello Popolo na- scere 1’ una guerra dall' altra, e non po- ter mai riposarsi ; dove e' dovevano pensare che la nascesse dalla ambizione de’ vicini che gli volevano opprimere; pensavano nascesse dall’ ambizione dei Nobili, che non potendo dentro in Roma DEI DISCORSI 208 gastigar la Plebe difesa dalla potestà tri- bunizia, la volevano condurre fuori di Roma sotto i Consoli, per opprimerla dove non aveva aiuto alcuno. E pensa- rono per questo, che fusse necessario o levar via i Consoli, o regolare in modo la loro potestà, che e* non avessino au- torità sopra il popolo, nè fuori nè in casa. 11 primo che tentò questa legge, fu uno Terentillo tribuno ; il quale propo- neva che si dovessero creare cinque uomini che dovessino considerare la po- tenza de* Consoli, e limitarla. II che al- terò assai la Nobiltà, parendoli che la maiestà dell’ imperio fusse al tutto de- clinata, talché alla Nobiltà non restasse più alcuno grado in quella Repubblica. Fu nondimeno tanta la ostinazione dei Tribuni, che il nome consolare si spen- se ; e furono in fine contenti, dopo qualche altro ordine, piuttosto creare Tribuni con potestà consolare, che i Con- soli : tanto avevano più in odio il nome che le autorità loro. E cosi seguitorno LIBRO MIMO. ! 1 i ' i i i ! t » I I I 209 lungo tempo, infino che conosciuto io errore loro, còme i Fiorentini ritornorno ai Dieci, così loro ricreorno i Consoli. Gap. XL. — /.a creazione del decemvirato in Roma, e quello che in essa è da notare: dove si considera , intra molte altre cose, come si può salvare per simile accidente, o oppressore una re- • pubblica. Volendo discorrere particolarmente sopra gli accidenti che nacquero in Ro- ma per la creazione del decemvirato, non mi pare soperchio narrare prima tutto quello che segui per simile crea- zione, e dipoi disputare quelle porti che sono in esse azioni notabili : le quali sono molte, e di grande considerazione, cosi per coloro che vogliono mantenere una repubblica libera, come per quelli che disegnassino sommetterla. Perchè in tale discorso si vedranno molti errori fatti dal Senato e dalla Plebe in disfavore Machiavelli, Discorsi. — 1. 1* 210 DEI DISCORSI della libertà; e molli errori fatti da Ap- pio, capo del decemvirato; in disfavore di quella tirannide che egli si aveva pre- supposto stabilire in Roma. Dopo molte deputazioni c contenzioni seguite intra il Popolo e la Nobiltà per fermare nuove leggi in Roma, per le quali e’ si stabi- lisse più la libertà di quello stato; man- darono, d’ accordo, Spurio Postumio con duoi altri cittadini ad Atene per gli es- senti di quelle leggi che Solone dette a quella città, acciocché sopra quelle po- tessero fondare le leggi romane. Andati e tornati costoro, si venne alla creazione degli uomini eh’ avessino ad esaminare e fermare de.tte leggi; e ercorno dieci cittadini per un anno, tra i quali fu creato Appio Claudio, uomo sagace ed inquieto. E perchè e' potessimo senza al- cuno rispetto creare tali leggi, si leva- rono di Roma tutti gli altri magistrati, ed in particolare i Tribuni e i Consoli, e levossi lo appello al Popolo ; in modo che tale magistrato veniva ad essere al Digitized by Google libro primo. • 211 tulio principe di Roma. Appresso ad Appio si ridusse tutta 1’ autorità degli altri suoi compagni, per gli favori clic gli faceva la Plebe : perché egli s’ era fatto in modo popolare con le dimostra- zioni, che pareva meraviglia eh’ egli aves- se preso sì presto una nuova natura c uno nuovo ingegno, essendo stato te- nuto innanzi a questo tempo un cru- dele persecutore della Plebe. Governa- ronsi questi Dieci assai civilmente, non tenendo più che dodici littori, i quali andavano davanti a quello ch’era infra loro preposto. E bench’egli avessino 1’ autorità assoluta, nondimeno avendosi a punire un cittadino romano per omi- cidio, lo citorno nel conspelto del Po- polo, e da quello lo fecero giudicare. Scrissero le loro leggi in dicci tavole, ed avanti che le confirmassero, le mes- sono in pubblico, acciocché ciascuno le potesse leggere c disputarle; acciocché si conoscesse se vi era alcuno difetto, per poterle binanti alla confirmazionc 213 DEI DISCORSI loro emendare. Fece, in su questo, Ap- pio nascere un rornorc per Bomn, che se a queste dieci tavole se n’ aggiungcs- siuo due altre, si darebbe a quelle la loro perfezione ; talché questa oppinionc dette occasione al Popolo di rifare i Dieci per uno altro anno: a che il Popolo si ac- cordò volentieri; si perchè i Consoli non si rifacessino; sì perchè speravano loro po- tere stare senza Tribuni, sendo loro giu- dici delle cause, come di sopra si disse. Preso, adunque, partito di rifargli, tutta la Nobiltà si mosse a cercare questi ono- ri, ed intra i primi era Appio; ed usava tanta umanità verso la Plebe nel doman- darla, che la cominciò ad essere sospetta a suoi compagni : credebant cnim liaud gratuitam in lanla superbia comilatcm fore. E dubitando di opporsegli aperta- mente, diliberarono farlo con arte; e benché e’ fusse minore di tempo di tutti, dettono a lui autorità di proporre i fu- turi Dieci al popolo, credendo eh* egli osservasse i termini degli altri di non Digitized by Google LIBRO PRIMO. 21 3 proporre sè medesimo, sendo cosa inu- sitata e ignominiosa in Roma, Me ve- ro imprdimentum prò occasione arri* puit ; e nominò sè intra i primi, con meraviglia e dispiacere di tutti i Nobili: nominò poi nove altri al suo proposito. La qual nuova creazione fatta per uu altro anno, cominciò a mostrare al Po- polo cd alla Nobiltà lo error suo. Per- chè subito Appio: finem fedi ferenda aliena persona ; e cominciò a mostrare la innata sua superbia, ed in pochi dì riempiè di suoi costumi i suoi compa- gni. E per Sbigottire il Popolo ed il Se- nato, in scambio di dodici littori, ne fe- ciono cento venti. Stette la paura eguale qualche giorno ; ma cominciarono poi ad intrattenere il Senato, e battere la Plebe: e s’ alcuno battuto dall* uno, ap- pellava ali’ altro, era peggio trattalo nel- P appeltagione che nella prima causa. In modo che la Plebe, conosciuto lo errore suo, cominciò piena di afflizione a riguar- dare in viso i Nobili; et inde libcrtatis Digitized by Google DEI DISCORSI 21 i captare a urani , linde servitutem tiinendoj in cum s taluni rempublicam adduxerant. E alla Nobiltà era grata questa loro af- flizione, ut ipsij teedio prcesenliunij Con * sules desiderar ent. Vennero i di clic terminavano l’anno: le due tavole delle leggi erano fatte, ma non pubblicate. Da questo i Dicci presono occasione di con- tinovare nel magistrato, c cominciorono a tenere con violenza lo Stato, e farsi satelliti della gioventù nobile, alla quale davano i beni di quelli che loro con- dannavano. Quibus donis Juventus coi'- rumpebatur , et malebat liccnliam suoni , i quatn omnium liberlatcm. Nacque in que- sto tempo, che i Sabini ed i Volsci mos- sero guerra a’ Romani: in su la qual paura cominciarono i Dieci a vedere la debolezza dello Stato loro; perchè senza il Senato non potevano ordinare la guer- ra, e ragunando il Senato pareva loro perdere lo Stato. Pure, necessitati, pre- sono questo ultimo partito: e ragunali i Senatori insieme, molti de’ Senatori Digitized by Google LIBRO PRIMO. 2iÓ parlorono contro alla superbia de’Dieci, ed in particolare Valerio ed Orazio : e la autorità loro si sarebbe al tutto spen- ta, se non che il Senato, per invidia della Plebe, non volle mostrare l’auto- rità sua, pensando che se i Dieci depo- nevano il magistrato voluntarii, che po- tesse essere che i Tribuni della plebe non si rifacessero. Dcliberossi adunque la guerra; uscissi fuori con due eser- citi guidati da parte di detti Dieci; Ap- pio rimase a governare la città. Donde nacque che si innamorò di Virginia, e che volendola torre per forza, il padre Virginio, per liberarla, l’ammazzò: don- de seguirono i tumulti di Roma e degli eserciti ; i quali ridottisi insieme con il rimanente della Plebe romana, se ne an- darono nel Monte Sacro, dove stettero tanto clic i Dieci deposono il magistrato, e che furono creali i Tribuni ed i Con- solide ridotta Roma nella forma della antica sua libertà. Notasi, adunque, per questo testo, in prima esser nato in Ro- 216 DEI DISCORSI • ma questo inconveniente di creare que- sta tirannide, per quelle medesime ca- gioni che nascono la maggiore parte delie tirannidi nelle città: e questo è da troppo desiderio del popolo d* esser libero, e da troppo desiderio de’ nobili di comandare. E quando c’ non conven- gono a fare una legge in favore della libertà, ma gettasi qualcuna delle parti a favorire uno, allora è che subito la tirannide surge. Convennono il Popolo ed i Nobili di Poma a creare i Dieci, e crearli con tanta autorità, per desiderio che ciascuna delle parti aveva, 1’ una di spegnere il nome consolare, l’altra il tribunizio. Creati che furono, parendo alla Plebe che Appio fusse diventato popolare c battesse la Nobiltà, si volse il Popolo a favorirlo. E quando un po- polo si conduce a far questo errore di dare riputazione ad uno perchè balta quelli che egli ha in odio, e che quello uno sia savio, sempre interverrà che di- venterà tiranno di quella città. Perchè LIBRO PRIMO. 217 egli attenderà, insieme con il favore del popolo, a spegnere la nobiltà ; e non si volterà inai alla oppressione del popolo, se non quando ei V arà spenta; nel qual tempo conosciutosi il popolo essere ser- vo, non abbi dove rifuggire. Questo modo hanno tenuto tutti coloro che hanno fon- dato tirannidi in le repubbliche: c se questo modo avesse tenuto Appio, quella sua tironnide arebbe preso più vita, e non sarebbe mancata si presto. Ma ei fece tutto il contrario, nè si potette go- vernare più imprudentemente; cliè per tenere la tirannide, c’si fece inimico di coloro che glie T avevano data c che gliene potevano mantenere, ed amico di quelli che non erano concorsi a dar- gliene e che non gliene arebbono potuta mantenere; e perdèssi coloro che gli erano amici, e cercò di avere amici quelli che non gli potevano essere amici. Per- chè, ancora che i nobili desiderino ti- ranneggiare, quella parte della nobiltà che si truova fuori della tirannide, è ± H- « jft Digitized by Google 218 DEI DISCORSI 4 I l J 1 « sempre inimica al tiranno; nè quello se la può mai guadagnare tutta, per l’am- bizione grande e grande avarizia che .è in lei, non polendo il tiranno avere nè tante ricchezze nè tanti onori, che a tutta satisfaccia. E così Appio, lasciando il Popolo ed accostandosi a’ Nobili, fece uno errore evidentissimo, e per le ragioni dette di sopra, e perchè a volere con violenza tenere una cosa, bisogna che sia più potente chi sforza, che chi è sforzato. Donde nasce che quelli tiranni che hanno amico lo universale ed mi- mici i grandi, sono più sicuri; per es- sere la loro violenza sostenuta da mag- gior forze, che quella di coloro che hanno per inimico il popolo ed amica la no- biltà. Perchè con quello favore bastano a conservarsi le forze intrinseche; co- me bastorno a Nabide tiranno di Sparta, quando tutta Grecia ed il popolo romano lo assaltò : il quale assicuratosi di pochi nobili, avendo amico il popolo, con quello si difese; il che non arebbe potuto fare Digitized by Google . : LIBRO PRIMO. fili) avendolo inimico. In quello nitro grado per aver pochi amici dentro, non bastano le forze intrinseche, ma gli conviene cer- care di fuora. Ed hanno ad essere di tre sorti: 1’ una satelliti forestieri, die li guardino la persona; l’altra armare il contado, che faccia quell’ oflìzio che arebbe a fare la plebe; la terza aderirsi co’ vicini potenti, che li difendino* Chi tiene questi modi e gli osserva bene, ancora ch’egli avesse per inimico il po- polo, potrebbe in qualche modo salvarsi. Ma Appio non poteva far questo di gua- dagnarsi il contado, scudo una medesima cosa il contado e Roma; c quel che po- teva fare, non seppe: talmente che ro- vinò nc’ primi principii suoi. Fecero il Senato ed il Popolo in questa creazione del decemvirato errori grandissimi : per- chè ancora che di sopra si dica, in quel discorso che si fa del Dittatore, che quelli magistrati che si fanno da per loro, non quelli che fa il popolo, sono nocivi alla libertà; nondimeno il popolo 220 DEI DISCORSI debbe, quando egli ordina i magistrali, fargli in modo che gli abbino avere qual- che rispetto a diventare tristi. E dove e’ si debbe proporre loro guardia per mantenergli buoni, i Romani lalevorono, facendolo solo magistrato in Roma, ed* annullando tutti gli altri, per la ecces- siva voglia (come di sopra dicemmo) che il Senato aveva di spegnere i Tribuni, e la Plebe di spegnere i Consoli; la quale gli accecò in modo, che concorsono in tale disordine. Perchè gli uomini, come diceva il re Ferrando, spesso fanno co- me certi minori uccelli di rapina ; ne’ quali è tanto desiderio di conseguire la loro preda, a che la natura gli incita, che non sentono un altro maggior uc- cello che sia loro sopra, per ammazzar- gli. Conoscesi, adunque, per questo di- scorso, come nel principio proposi, lo errore del Popolo romano, volendo sal- vare la libertà ; e gli errori di Appio, volendo occupare la tirannide. Digitized by Google LIBIIO PRIMO. 221 Cap. XLI. — Sahare dalla Umilila alla superbia j dalla pietà alta crudeltà senza debiti mezzij è cosa impruden- te ed inutile. Oltre agli altri termini male usati da Appio per mantenere la tirannide, non fu di poco momento saltare troppo pre- sto da una qualità ad un’altra. Perchè la astuzia sua nello ingannare la Plebe, simulando d’essere uomo popolare, fu bene usata; furono ancora bene usati i termini che tenue perchè i Dieci si avessino a rifare; fu ancora bene usata quella audacia di creare sè stesso con- tra alla oppinione della Nobiltà; fu bene usato creare colleghi a suo pro- posito: ma non fu già bene usato, come egli ebbe fatto questo, secondo che di sopra dico, mutare in un subito natu- ra; e di amico, mostrarsi nimico alla Plebe; di umano, superbo; di facile, difficile; e farlo tanto presto, che senza DEI DtSCOI'.St 222 scusa veruna ogni uomo avesse a cono- scer la fallacia dello animo suo. Perchè chi è paruto buono un tempo, e vuole a suo proposito diventar tristo, io deb- be fare per gli debiti mezzi ; ed in modo condurvisi con le occasioni, che innanzi che la diversa natura ti tolga de’ favori vecchi, la te ne ubbia dati tanti degli nuovi, che tu non venga a diminuire la tua autorità: altrimenti, trovandoti sco- perto e senza amici, rovini. Cap. XL1I. — Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere. Notasi ancora in questa materia del decemvirato, quanto facilmente gli uo- mini si corrompono, e fatinosi diventare di contraria natura, ancora che buoni e bene educati; considerando quanto quella gioventù che Appio si aveva eletta intorno, cominciò ad essere ami- ca della tirannide per uno poco d’uti- lità che gliene conseguiva ; e come Digitized by Google LIBRO PRIMO. Quinto Fabio, uno del numero de’ se- condi Dieci, sendo uomo oliimo, acce- calo da un poco di ambizione, e per- suaso dulia malignità di Appio, mutò i suoi buoni costumi in pessimi, e diven- tò simile a lui. Il che esaminato bene, farà tanto più pronti i legislatori delle repubbliche o de’ regni a frenare gli appetiti umani, c torre loro ogni spe- ranza di potere impune errare. Cap. XLIII. — Quelli che combattono per la gloria propria, sono buoni e fe- deli soldati. Considerasi ancora per il soprascritto trattato, quanta differenza è da uno esercito contento e che combatte per la gloria sua, a quello che è male disposto e che combatte per la ambizione d’ altri. Perchè, dove gli eserciti romani solevano sempre essere vittoriosi sotto i Consoli, sotto i Decemviri sempre perderono. Da questo essempio si può conoscere parte 224 DEI DISCORSI delle cagioni della inutilità de’ soldati mercenurii; i quali non hanno altra ca- gione clic li tenga fermi, che un poco di stipendio che tu dai loro. La qual cagione non è nè può essere bastante a fargli fedeli, nè tanto tuoi amici, che voglino morire per le. Perchè in quelli eserciti che non è una affezione verso di quello per chi e’ combattono, che gli facci diventare suoi partigiani, non mai vi potrà essere tanta virtù che basti a resistere ad uno nimico un poco virtuo- so. G perchè questo amore non può nascere, nè questa gara, da altro che da’ sudditi tuoi; è necessario a volere tenere uno stato, a volere mantenere una repubblica o uno regno, armarsi de’ sudditi suoi : come si vede che han- no fatto tutti quelli che con gli eserciti hanno fatti grandi progressi. Avevano gli eserciti romani sotto i Dieci quella medesima virtù; ma perchè in loro non era quella medesima disposizione, non facevano gli usilati loro effetti. Ma come Digitized by Googlc LIBRO PRIMO. 225 prima il magistrato de’ Dieci fu spento, e che loro come liberi cominciorno a militare, ritornò in loro il medesimo animo; e per conscguente, le loro im- prese avevano il loro fine felice, secon- do la antica consuetudine loro. C\p. XLIV. — Una moltitudine senza capo, è inutile: e non si debbo mi- nacciare prima, c poi chiedere l'au- torità. Era la Plebe romana per lo acciden- te di Virginia ridotta armata nel Monte Sacro. Mandò il Senato suoi ambascia- dori a dimandare con quale autorità egli avevano abbandonati i loro capita- ni, e ridottisi nel Monte. E tanta era stimata l’autorità del Senato, che non avendo la Plebe intra loro capi, ninno si ardiva a rispondere. E Tito Livio dice, ohe e’ non mancava loro materia a rispondere, ma mancava loro chi fa- cesse la risposta. La qual cosa dimon- UACHI AVELLI, Discorsi. — 1. 15 226 dei discorsi stra appunto la inutilità d’ una molti- tudine senza capo. Il qual disordine fu conosciuto da Virginio, e per suo ordi- ne si creò venti Tribuni militari, che fussero loro capo a rispondere e con- venire col Senato. Ed avendo chiesto che si mandasse loro Valerio ed Orazio, ai quali loro direbbono la voglia loro, non vi volsono andare se prima i Dieci non deponevano il magistrato: ed arrivati sopra il Monte dove era la Plebe, fu domandato loro da quella, che volevano che si creassero i Tribuni della plebe, e che si avesse ad appellare al Popolo da ogni magistrato, e che si dessino loro tutti i Dieci, chè gli volevano ar- dere vivi. Laudarono Valerio cd Orazio le prime loro domande; biasimorono P ultima come impia, dicendo : Crude - litatcm dannatisj in crudclitaiem ruitis ; e consigliamogli che dovessino lasciare il fare menzione de’ Dieci, e ch’egli at- tendessino a pigliare V autorità e pote- stà loro: dipoi non mancherebbe loro Digitized by Google LIBRO PRIMO. 227 modo a satisfarsi. Dove apertamente si conosce quanta stultizia c poca pru- denza è domandare una cosa, e dire prima: io voglio far male con essa; perchè non si debbo mostrare l’animo suo, ma vuoisi cercare d’ottenere quel suo desiderio in ogni modo. Perchè e’ basta a dimandare a uno le armi, senza dire: io ti voglio ammazzare con esse; potendo poi che tu bai l’arme in mano, satisfare allo appetito tuo. I Cap. XLV. — E cosa di malo esempio | non osservare una legge falla , c mas- I sime dallo autore d'essa: e rinfre- ► scare ogni di nuove ingiurie in una t città, è a chi la governa dannosis- i simo. Seguito lo accordo, e ridotta Roma in la antica sua forma, Virginio citò Appio innanzi al Popolo a difendere la sua causa. Quello comparse accompagnato da molti Nobili. Virginio comandò che DEI DISCORSI 228 fussc messo in prigione. Cominciò Appio a gridare, ed appellare al Popolo. Vir- ginio diceva che non era degno di ave- re quella nppellagionc che egli aveva distrutta, ed avere per difensore quel Popolo che egli aveva offeso. Appio re- plicava, come e’ non aveano a violare quella appellagionc ch'egli avevano con tanto desiderio ordinata. Pertanto egli fu incarcerato, ed avanti al dì dei giu- dizio ammazzò sè stesso. E benché la scellerata vita di Appio meritasse ogni supplicio, nondimeno fu cosa poco civile violare le leggi, e tanto più quella che era fatta allora. Perchè io non credo che sia cosa di più cattivo esempio in una repubblica, che fare una legge e non la osservare; e tanto più, quanto la non è osservata da chi l’ ha falla. Essendo Firenze, dopo il XCIV, stala riordinala nel suo stato con l'aiuto di frate Girolamo Savonarola, gli scritti del quale mostrano la dottrina, la pru- denza, la virtù dello animo suo ; ed i Digitized by Google LIBRO PRIMO. 229 avendo intra P altre conslituzioni per assicurare i cittadini, fatto fare una legge, che si potesse appellare al popolo dalle sentenze che, per caso di Stato, gli Otto c la Signoria dessino; la qual legge persuase più tempo, e con diffi- coltà grandissima ottenne: occorse che, poco dopo la confirmazicne d’essa, fu- rono condcunati a morte dalla Signoria per conto di Stato cinque cittadini; e volendo quelli appellare, non furono lasciati, e non fu osservata la legge. Il che tolse più riputazione a quel frate, che nessun altro accidente: perchè, se quella appellagione era utile, ei doveva farla osservare; s’ ella non era utile, non doveva farla vincere. E tanto più fu notato questo accidente, quanto che il frate in tante predicazioni che fece poi clic fu rotta questa legge, non mai o dannò chi P aveva rotta, o lo scusò ; come quello che dannare non voleva, come cosa che gli tornava a proposito ; e scusare non la poteva. Il che avendo DEI DISCORSI 230 scoperto l’animo suo ambizioso e pai*' tigiano, gii tolse riputazione, e dettegli assai carico. Offende ancora uno Stato assai, rinfrescare ogni dì nello animo de’ tuoi cittadini nuovi umori, per nuo- ve ingiurie ebe a questo e quello si fucciano : come intervenne a Roma dopo il decemvirato. Perché tutti i Dieci, ed altri cittadini, in diversi tempi furono accusati e condannati: in modo che gli era uno spavento grandissimo in tutta la Nobiltà, giudicando che e’ non si aves- se mai a porre fine a simili condenna- gioni, fino a tanto che tutta la Nobiltà non fusse distrutta. Ed arebbe generato in quella città grande inconveniente, se da Marco Duellio tribuno non vi fusse stato provveduto; il qual fece uno edit- to, che per uno anno non fusse lecito ad alcuno citare o accusare alcuno cit- tadino contano : il che rassicurò tutta la Nobiltà. Dove si vede quanto sia dan- noso ad una repubblica o ad un prin- cipe, tenere con le continove pene ed Digitized by Google LIBRO PRIMO. 231 offese sospesi e paurosi gli animi dei sudditi. E senza dubbio, non si può te- nere il più pernicioso ordine: perchè gli uomini che cominciano a dubitare di avere a capitar male, in ogni modo si assicurano ne’ pericoli, e diventano più audaci, e meno rispettivi a tentare cose nuove. Però è necessario, o non offen- dere mai alcuno, o fare le offese ad un tratto; e dipoi rassicurare gli uomini, e dare loro cagione di quietare e fer- mare l’animo. Cap. XLVI. — Gli uomini salgono da una ambizione ad unJ altra ; c prima si cerca non essere offeso t dipoi di offendere altrui. Avendo il Popolo romano ricuperala la libertà, ritornato nel suo primo gra- do, ed in tanto maggiore, quanto si erano fatte dimolte leggi nuove In cor- roborazione della sua potenza ; pareva ragionevole che Roma qualche volta quic- 232 DE! DISCORSI tasse. Nondimeno, per esperienza si vide il contrario; perchè ogni di vi surgeva nuovi tumulti e nuove discordie. E per- chè Tito Livio prudentissimamente rende la ragione donde questo nasceva, non mi pare se non a proposito riferire ap- punto le sue parole, dove dice che sem- pre o il Popolo o la Nobiltà insuperbi- va, quanto V altro si umiliava ; e stando la Plebe quieta intra i termini suoi, co- minciarono i giovani nobili ad ingiu- riarla ; ed i Tribuni vi potevano fare pochi rimedi, perchè ancora loro erano violati. La Nobiltà, dalP altra parte, an- cora che gli paresse che la sua gioventù fusse troppo feroce, nondimeno aveva a caro che avendosi a trapassare il modo, lo trapassassino i suoi, e non la Plebe. E cosi il desiderio di difendere la li- bertà faceva che ciascuno tanto si pre- valeva, eh’ egli oppressava l’ altro. E V or- dine di questi accidenti è, che mentre clic gli uomini cercano di non temere, cominciano a far temere altrui; e quella Digitized by Googlc LIBRO PRIMO. 233 ingiuria ch’egli scacciano da loro, la pongono sopra un altro: come se fussc necessario offendere, o essere offeso. Ve- desi, per questo, in quale modo, fra gli altri, le repubbliche si risolvono; e in che modo gli uomini salgono da una ambizione ad un’ altra ; e come quella sentenza salustiaua posta in bocca di Cesare, è verissima : quod omnia mala exempla bonis mitiis orla sunt. Cerca- no, come di sopra è detto, quelli citta- dini clie ambiziosamente vivono in una repubblica, la prima cosa di non potere essere offesi, non solamente dai privati, ma eziam da’ magistrali : cercano, per potere fare questo, amicizie ; e quelle acquistano per vie in apparenza oneste, o con sovvenire di danari, o con difen- dergli da’ potenti : e perchè questo pare virtuoso, s’ inganna facilmente ciascuno, c per questo non vi si pone rimedio ; intanto che egli senza ostacolo perseve- rando, diventa di qualità, che i privati cittadini ne hanno paura, ed i magistrati ■r.p teft; 234 DEI DISCORSI gli hanno rispetto. E quando egli è sa* Jito a questo grado, c non si sia prima ovvialo alla sua grandezza, viene od es- sere in termine, che volerlo urtare è pericolosissimo, per le ragioni che io dissi di sopra del pericolo che è nello urtare uno inconveniente che abbi di già fatto augumento in una città: tanto che la cosa si riduce in termine, che bisogna o cercare di spegnerlo con pericolo di una subita rovina j o lasciandolo fare, entrare in una servitù manifesta, se morte o qual- che accidente non te ne libera. Perchè, venuto a’soprascrilti termini, che i citta- dini ed i magistrati abbino paura ad of- fender lui e gli amici suoi, non dura dipoi molta fatica a fare che giudichino ed of- fendino a suo modo. Donde una repubblica intra gli ordini suoi debbe avere questo, di vegghiarc che i suoi cittadini sotto ombra di bene non possino far male ; e di’ egli abbino quella riputazione che giovi, e non nuoca, alla libertà: come nel suo luogo da noi sarà disputato. I Digitized by Google LIBRO PRIMO. Cap. XLVII. — Gli nomini j ancora clic si ingannino ncJ generali j nei parti- colari non si ingannano. Essendosi il Popolo romano, come di sopra si dice, recato a noia il nome consolare, e volendo che potessiao esser fatti Consoli uomini plebei, o che fusse limitata la loro autorità ; la Nobiltà, per non deonestare l’ autorità consolare nè con Tuna nè con 1’ altra cosa, prese una via di mezzo, e fu contenta che si creas- sino quattro Tribuni con potestà conso* lare, i quali potcssino essere cosi plebei come nobili. Fu contenta a questo la Plebe, parendogli spegnere il consolato, ed avere in questo sommo grado la parte sua. Nacquene di questo un caso nota* bile : che venendosi alla creazione di questi Tribuni, e potendosi creare tutti plebei, furono dal Popolo romano creati tutti fiobiii. Onde Tito Livio dice queste parole: Quorum comitiorum eoenlus do- m Ip Ri! p * £• i m Bb- : Iti:- IttRS Digitized by Google 236 DEI DISCORSI cuit, alias animo s in contcntione l ib er- ta ti s et honoris, alios secundum depo- sita certamina in incorrupto judicio esse. Ed esaminando donde possa proce- dere questo, credo proceda che gii uo- mini nelle cose generali s’ ingannano assai, nelle particolari non tanto. Pareva generalmente alla Plebe romana di me- ritare il consolato, per avere più parte in la città, per portare più pericolo nelle guerre, per esser quella che con le brac- cia sue manteneva Roma libera, e la fa- ceva potente. E parendogli, come è det- to, questo suo desiderio ragionevole, volse ottenere questa autorità in ogni modo. Ma come la ebbe a fare giudizio degli uomini suoi particolarmente, conobbe la debolezza di quelli, e giudicò che nessuno di loro meritasse quello che tutta insie- me gli pareva meritare. Talché vergo- gnatasi di loro, ricorse a quelli che Io meritavano. Della quale deliberazione meravigliandosi meritamente Tito Livio, dice queste parole : /lane modestiam , Digitized by Googl unno primo. 237 aquila IcmquCj et allitudinem animi, ubi moie in uno inveneris , qua: lune populi universi fuit ? In corroborazione di que- sto, se ne può addurre un altro notabile essempio, seguito in Capova da poi che Annibaie ebbe rotti i Romania Canne; per la qual rotta sendo tutta sollevata Italia, Capova stava ancora per tumul- tuare, per P odio eli’ era intra il Popolo ed il Senato; e trovandosi in quel tempo nel supremo magistrato Pacuvio Calano, e conoscendo il pericolo che portava quella città di tumultuare, disegnò con suo grado riconciliare la Plebe con la Nobiltà ; e fatto questo pensiero, fece ragunare il Senato, c narrò loro Podio che M popolo aveva contra di loro, ed i pericoli che portavano di essere ammaz- zati da quello, e data la città ad Anni- baie, sendo le cose de’ Romani afflitte : dipoi soggiunse, che se volevano lasciare governare questa cosa a lui, farebbe in modo che si unirebbono insieme ; ma gli voleva serrare dentro al palazzo, e col 23 $ DEI DlSCOHSt fare potestà al popolo di potergli gasti- gare, salvargli. Cederono a questa sua oppinione i Senatori, e quello chiamò il Popolo a coocione, avendo rinchiuso in palazzo il Senato ; e disse com’ egli era venuto il tempo di potere domare la su* perbia della Nobiltà, e vendicarsi delle ingiurie ricevute da quella, avendogli rinchiusi tutti sotto la sua custodia : ma perchè credeva che loro non volessino che la loro città rimanesse senza gover- no, era necessario, volendo ammazzare i Senatori vecchi, crearne de* nuovi. E per tanto aveva messo tutti gli nomi degli Senatori in una borsa, e comin- cierebbe a trargli in loro presenza j ed egli farebbe i tratti di mano in mano morire, come prima loro avessino tro- vato il successore. E cominciato a trarne uno, fu al nome di quello levato un ru- more grandissimo, chiamandolo uomo superbo, crudele ed arrogante : e chie- dendo Paeuvio che facessino lo scambio, si racchetò tutta la conclone ; c dopo Digitized by Google LIBRO PRIMO* 239 alquanto spazio, fu nominato uno della plebe ; al nome del quale chi cominciò a fischiare, chi a ridere, chi a dirne male in uno modo, e chi in un altro: o così seguitando di mano in mano, tutti quelli che furono nominati, gli giudica- vano indegni del grado senatorio. In modo che Pacuvio, presa sopra questo occasione, disse: Poiché voi giudicate che qucslu città stia male senza Senato, ed a fare gii scambi a’ Senatori vecchi non vi accordate, io penso che sia bene che voi vi riconciliate insieme ; perchè que- sta paura in la quale i Senatori sono stati, gli arà fatti in modo raumiliare, che quella umanità che voi cercavate al- trove, troverete in loro. Ed accordatisi a questo, ne segui la unione di questo ordine ; e quello inganno in che egli erano si scoperse, come e’ furono con- stretti venire a’ particolari. Ingannansi, olirà di questo, i popoli generalmente nel giudicare le cose e gli accidenti di esse j le quali dipoi si conoscono parti- 240 ► ■ 1 < • DEI DISCORSI colamento, si avveggono di tale ingan- no. Dopo il 4494, sendo stati i principi della città cacciati da Firenze, e non vi essendo alcuno governo ordinato, ma piuttosto una certa licenza ambiziosa, ed andando le cose pubbliche di inale in peggio ; molti popolari veggiendo la ro- vina della città, e non ne intendendo al- tra cagione, ne accusavano la ambizione di qualche potente che nutrisse i disor- dini, per poter fare uno Stato a suo pro- posito, c torre loro la libertà : c stavano questi tali per le logge c per le piazze, dicendo male di molti cittadini, e minac- ciandoli che se mai si trovassero de’ Si- gnori, scoprirebbono questo loro ingan- no, e gli gastigarebbono. Occorreva spesso che de’ simili ne ascendeva al supremo magistrato; e come egli era salilo in quel luogo, e che e* vedeva le i cose più dappresso, conosceva i disor- dini donde nascevano, ed i pericoli che soprastavano, e la difficoltà del rime- ! citarvi. C veduto come i tempi, e non J Digitized by Google LIBRO PRIMO. 241 gli uomini, causavano il disordine, di- ventava subito d’ un altro animo, c di un’ altra fatta ; perché la cognizione delle cose particolari gli toglieva via quello inganno che nel considerare generalmente si aveva presupposto. Dimodoché, quelli che lo avevano prima, quando era pri- vato, sentito parlare, e vedutolo poi nel supremo magistrato stare quieto, crede- vano che nascesse, non per più vera co- gnizione delle cose, ma perchè fusse stalo aggirato e corrotto dai grandi. Ed ac- cadendo questo a molti uomini c molte volte, ne nacque tra loro un proverbio, che diceva : Costoro hanno uno animo in piazza, cd uno in palazzo. Conside- rando, dunque, tutto quello si è discor- so, si vede come e’ si può fare tosto aprire gli occhi a’ popoli, trovando mo- do, veggendo che uno generale gl’ in- ganna, ch’egli abbino a descenderc ai particolari ; come fece Pacuvio in Capo- va, ed il --Senato in Roma. Credo ancora, che si possa conchiudere, che mai un Machiavelli, Discorsi. — 1. 242 DEI DISCORSI uomo prudente non debbe fuggire il giudizio popolare nelle eo9e particolari, circa le distribuzioni de' gradi e delle dignità : perchè solo in questo il popolo non si inganna ; e se si inganna qualche volta, Ha sì raro, che s’ inganneranno più volte i pochi uomini che avessino a fare simili distribuzioni. Nè mi pare su- perfluo mostrare nel seguente capitolo, P ordine che teneva il Senato per isgan- nare il popolo nelle distribuzioni sue. V Cap. XLYIII. — Chi vuole che uno ma- gistrato non sia dato ad un vile o ad un tristo j lo facci domandare o ad un troppo vile e troppo tristo , o ad uno troppo nobile c troppo buono. Quando il Senato dubitava che i Tri- buni con potestà consolare non fussino fatti d’ uomini plebei, teneva uno de’duoi modi: o egli faceva domandare ai più riputati uomini di Roma;o veramente, per i debiti mezzi, corrompeva qualche Digitized by Google unno primo. i 243 plebcio sordido ed ignobilissimo, che me- scolati con i plebei che, di miglior qua- lità, per T ordinario lo domandavano, anche loro lo domandassino. Questo ul- timo modo faceva che la Plebe si ver- gognava a darlo ; quel primo faceva che la si vergognava a torlo, li che tutto tor- na a proposito del precedente discorso, , dove si mostra che il popolo se s’ inganna ^ de’ generali, de’particolari non s’inganna. CaP. XLIX. — Se quelle città che hanno avuto il principio libcrOj come Romaj hanno diffìcultà a trovare leggi che le mantenghino ; quelle che lo hanno immediate servo , ne hanno quasi una impossibilità. Quanto sia difficile, nello ordinare una \ repubblica, provvedere a tutte quelle leggi che la mantenghino libera, lo di- mostra assai bene il processo della Re- pubblica romana: dove non ostante che fussino ordinate di molte leggi da Ro- i DEI DISCORSI 241 molo prima, dipoi da Nuraa, da Tulio Ostilio e Servio, ed ultimamente dai dieci cittadini creali a simile opera ; non- dimeno sempre nel maneggiare quella città si scoprivano nuove necessità, ed era necessario creare nuovi ordini: co- me intervenne quando crearono i Cen- sori, i quali furono uno di quelli prov- vedimenti che aiutarono tenere Roma libera, quel tempo che la visse in libertà. Perchè, diventati arbitri de’ costumi di Roma, furono cagione potissima che i Romani diflerissino più a corrompersi. Feciono bene nel principio della crea- zione di tal magistrato uno errore, crean- do quello per cinque anni; ma, dipoi non molto tempo, fu corretto dalla pru- denza di Mamereo dittatore, il qual per nuova legge ridusse detto magistrato a diciolto mesi. Il che i Censori che veg- ghiavano, ebbono tanto per male, che privorno Mamcrco del senato: la qual cosa e dalla Plebe c dai Padri fu assai biasimata. E perchè la istoria non ino* Dicfitfzca by Google LIBRO PRIMO. 245 stra che Mamerco se ne potesse difen- dere, conviene o che lo istorico sia di- fettivo, o gli ordini di Roma in questa parte non buoni : perchè non è bene che una repubblica sia in modo ordinata, ebe un cittadino per promulgare una legge conforme al vivere libero, ne possa essere senza alcuno rimedio offeso. Ma tornando al principio di questo discorso, dico che si dehbe, per la creazione di questo nuovo magistrato, considerare, che se quelle città che hanno avuto il principio loro libero, e che per se me- desimo si è retto, come Roma, hanno difHcultà grande a trovar leggi buone per mantenerle libere ; non è meravi- glia che quelle città che hanno avuto il principio loro immediate servo, abbino, non che dilfìcultà, ma impossibilità ad . ordinarsi mai in modo che le possino vivere civilmente e quietamente. Come si vede che è intervenuto alla città di Firenze; la quale, per avere avuto il principio suo sottoposto allo imperio ro- DEI DISCORSI 24G mano, ed essendo vivuta sempre sotto governo d* altri, stette un tempo sog- getta, e senza pensare a sè medesima: dipoi, venuta la occasione di respirare, cominciò a fare suoi ordini; i quali sendo mescolati con gli antichi, che erano tri- sti, non poterono essere buoni: e così è ita maneggiandosi per dugento anni che si lia di vera memoria, senza avere mai avuto stato per il quale ella possa veramente essere chiamata repubblica. E queste diflicultà che sono state in lei, sono state sempre in tutte quelle città che hanno avuto i principii simili a lei. E benché molte volte, per suffragi pub- blici e liberi, si sia dato ampia autorità a pochi cittadini di potere riformarla; non pertanto mai l’ hanno ordinata a comune utilità, ma sempre a proposito della parte loro : il che ha fatto non ordine, ma maggiore disordine in quella città. E per venire a qualche essempio particolare, dico come intra le altre cose che si hanno a considerare da uno or- I LIBRO PRIMO. 247 dinatore d’ una repubblica, è esaminare nelle mani di quali uomini ci ponga 1’ autorità del sangue coutra de’ suoi cittadini. Questo era bene ordinato in Roma, perchè e’ si poteva appellare al Popolo ordinariamente : e se pure fussc occorsa cosa importante, dove il differire la esecuzione mediante la appellagione fusse pericoloso, avevano il refugio del Dittatore, il quale eseguiva immediate; al qual rimedio non rifuggivano mai, se non per necessità. Ma Firenze, c Y altre città nate nel modo di lei, sendo serve, avevano questa autorità collocata in un forestiero, il quale mandato dal principe faceva tale uffizio. Quando dipoi ven- nono in libertà, mantennero questa au- torità in un forestiero, il quale chiama- vano Capitano: il che, per potere essere facilmente corrotto da’ cittadini potenti, era cosa perniciosissima. Ma dipoi, mu- randosi per la mutazione degli Stati que- sto ordine, creorno otto cittadini che fa- cessino V uffizio di quel Capitano. Il quale 548 DEI DISCORSI ordine, di cattivo, diventò pessimo, per le cagioni che altre volte sono dette: che i pochi furono sempre ministri dc’po- ehi, e de* più potenti. Da che si è guar- data la città di Vinegia; la quale ha dieci cittadini, che senza appello possono punire ogni cittadino. E perchè e* non basterebbono a punire i potenti, ancora die ne nvessino autorità, vi hanno con- stituito le Quarnntie: c di più, hanno voluto che il Consiglio de’ Pregai, elicè il Consiglio maggiore, possa gastigargli; In modo che non vi mancando lo accu- satore, non vi manca il giudice a tener gli uomini potenti a freno. Non è dun- que meraviglia, reggendo come in Roma, ordinata da sè medesima e da tanti uomini prudenti, surgevano ogni di nuove cagioni per le quali si aveva a fare nuovi ordini in favore del viver li- bero j se nelle altre città che hanno più disordinalo principio, vi surgono tuli difficoltà, che le non si possino rior- dinar mai. Digitized by Google Cap. L. — iVon dcbbc uno consiglio o uno magistrato potere fermare le azio- ni della città. tirano consoli in Roma Tito Quinzio Cincinnato c Gneo Giulio Mento, i quali sendo disuniti, avevano ferme tutte le azioni di quella Repubblica. 11 che veg- gcndo il Senato, gli confortava a creare il Dittatore, per fare quello che per le discordie loro non poteva fare. Ma i Con- soli discordando in ogni altra cosa, solo in questo erano d’accordo, di non voler creare il Dittatore. Tanto che il Senato, non avendo altro rimedio, ricorse allo aiuto de’ Tribuni; i quali, con l’autorità del Senato, sforzarono i Consoli ad ub- bidire. Dove si ba a notare, in prima, la utilità del tribunato; il quale non era solo utile a frenare l’ ambizione che i potenti usavano contra alla Plebe, ma quella ancora ch’egli usavano infra loro: 1’ altra, che mai si debba ordinare in 250 DEI DISCORSI una città, che i pochi possino tenere al- cuna deliberazione di quelle che ordina- riamente sono necessarie a mantenere la repubblica. Yerbigrazia, se tu dai una autorità nd uno consiglio di fare una distribuzione di onori c di utile, o ad uno magistrato di amministrare una fac- cenda; conviene o imporgli una neces- sità perchè ei l’ abbia a fare in ogni modo; o ordinare, quando non la voglia fare egli, che la possa e debba fare un altro: altrimenti, questo ordine sarebbe difettivo e pericoloso; come si vedeva che era in Roma, se alla ostinazione di quelli Consoli non si poteva opporre P autorità de’ Tribuni. Nella Repubblica veneziana il Consiglio grande distribui- sce gli onori e gli utili. Occorreva alle volte che P universalità, per isdegno o per qualche falsa suggestione, non crea- va i successori ai magistrati della città, ed a quelli che fuori amministravano lo imperio loro. Il che era disordine gran- dissimo: perchè in un tratto, e le terre Digitized by Google LIBRO PRIMO. 251 suddite e la città propria mancavano de’ suoi legittimi giudici; nè si poteva ottenere cosa alcuna, se quella univer- salità di quel Consiglio non si satisfa- ceva, o non s’ingannava. Ed avrebbe ridotta questo inconveniente quella città a mal termine, se dagli cittadini pru- denti non vi si fusse provveduto: i quali, presa occasione conveniente, fecero una legge, che tutti i magistrati che sono o fussino dentro e fuori della città, mai vacassero, se non quando fussino fatti gli scambi e i successori loro. E cosi si tolse la comodità a quel Consiglio di po- tere, con pericolo della repubblica, fer- mare le azioni pubbliche. • Cap. LI. — Una repubblica o uno prin- cipe debbe mostrare di fare per libe- ralità quello a che la necessità lo con- siringe. Gli uomini prudenti si fanno grado sempre delle cose, in ogni loro azione, 262 DEI DISCORSI ancora che la necessità gli constringesse a farle in ogni modo. Questa prudenza fu usata bene dal Senato romano, quan- do ei deliberò che si desse lo stipendio del pubblico agli uomini che militavano, essendo consueti militare del loro pro- prio. Ma veggendo il Senato come in quel modo non si poteva fare lunga- mente guerra, e per questo non potendo nè assediare terre, uè condurre gli eser- citi discosto; e giudicando essere neces- sario potere fare 1* uno e 1’ altro ; deli- berò che si dessino detti stipendi; ina lo feciono in modo, che si fecero grado di quello a che la necessità gli constrin- geva; e fu tanto accetto alla Plebe que- sto presente, che Roma andò «sottosopra per la allegrezza, parendole uno bene- fizio grande, quale mai speravano di avere, e quale mai per loro medesimi arebbono cerco. E benché i Tribuni s* in- gegnassero di cancellare questo grado, mostrando come ella era cosa che ag- gravava, non alleggeriva, la Plebe, scodo Digitized by Google LIBRO PRIMO. 253 necessario porre i tributi per pagare questo stipendio ; nientedimeno non po- tevano fare tanto che la Plebe non lo avesse accetto: il che fu ancora augu- mentalo dal Senato per il modo che di- stribuivano i tributi; perchè i più gravi ed i maggiori furono quelli chVposono alla Nobiltà, e gli primi che furono pagati. Cap. LII. — A reprimere la insolenza di uno che surga in una repubblica po- tente , non vi c più securo e meno scan- daloso modo , che preoccuparli quelle vie per le quali e* viene a quella po- tenza. Yedesi per il soprascritto discorso, quanto credito acquistasse la Nobiltà con la Plebe per le dimostrazioni fatte in benefizio suo, sì del stipendio ordinato, si ancora del modo del porre i tributi. Nel quale ordine se la Nobiltà si fosse mantenuta, si sarebbe levato via ogni tumulto in quella città, e sarebbesi tolto 254 DEI DISCORSI ai Tribuni quel credito che egli aveva- no con la Plebe, e, per conseguente, quel- la autorità. E veramente, non si può in una repubblica, e massime in quelle che sono corrotte, con miglior modo, meno scandaloso e più facile, opporsi alla am- bizione di alcuno cittadino, che preoc- cuparli quelle vie, per le quali si vede che esso cammina per arrivare al grado che disegna, li qual modo se fusse stalo usato contra Cosimo de’ Medici, sarebbe stato miglior partito assai per gli suoi avversari, che cacciarlo da Firenze: per- chè, se quelli cittadini che gareggiavano seco, avessino preso lo stile suo di fa- vorire il popolo, gli venivano senza tu- multo e senza violenza a trarre di mano quelle arme di che egli si valeva più. Piero Soderini si aveva fatto riputazione nella città di Firenze con questo solo, di favorire l’universale: il che nello uni- versale gli dava riputazione, come ama- tore della libertà della città. E veramente, a quelli cittadini che portavano invidia Digitized by Google LIBRO PRIMO. 255 alla grandezza sua, era molto più facile ed era cosa molto più onesta, meno pe- ricolosa, e meno dannosa per la repub- blica, preoccupargli quelle vie con le quali si faceva grande, che volere con* trapporsegli, acciocché con la rovina sua rovinasse tutto il resto della repubblica: perchè, se gli avessero levate di mano quelle armi con le quali si faceva ga- gliardo (il che potevano fare facilmente), arebbono potuto in lutti i consigli, e in tutte le deliberazioni pubbliche, oppor- segli senza sospetto, e senza rispetto al- cuno. E se alcuno replicasse, che se i cittadini che odiavano Piero, feciono er- rore a non gli preoccupare le vie con le quali ei si guadagnava riputazione nel popolo, Piero ancora venne a fare errore, a non preoccupare quelle vie per le quali quelli suoi avversari lo facevano temere; di’ che Piero merita scusa, si perchè gli era difficile il farlo, sì per- chè le non erano oneste a lui : impe- rocché le vie con le quali era offeso, DEI DISCORSI 256 ciano il favorire i Medici; con li quali favori essi io battevano, e alla fine !o rovinorno. Non poteva, pertanto, Piero onestamente pigliare questa parte, per non potere distruggere con buona fama quella libertà alla quale egli era stato preposto a guardia : dipoi, non potendo questi favori farsi segreti e ad uno tratto, erano per Piero pericolosissimi; perchè comunelle ei si fusse scoperto amico de’ Medici, sarebbe diventato sospetto ed odioso al popolo; donde ai nimici suoi nasceva molto più comodità di oppri- merlo, che non avevano prima. Debbono, pertanto, gli uomini in ogni partito con- siderare i difetti ed i pericoli di quello, e non gli prendere, quando vi sia più del pericoloso che dell’ utile ; nonostante che ne fusse stata data sentenza con- forme alla deliberazion loro. Perchè, fa- cendo altrimenti, in questo caso inter- verrebbe a quelli come intervenne a Tullio; il quale volendo torre i favori a Marc’ Antonio, gliene accrebbe. Perchè, Digitized by Google LIBRO PRIMO. 257 sondo Marc’ Antonio stato giudicalo ini- mico del Senato, ed avendo quello grande esercito insieme adunato, in buona parte, dei soldati che avevano seguitato la parte di Cesare; Tullio, per torgli questi sol- dati, confortò il Senato a dare riputa- zione ad Ottaviano, e mandarlo con lo esercito e con i Consoli contra a Marc' An- tonio: allegando, che subito che i sol- dati che seguitavano Marc’ Antonio, scn- tissino il nome di Ottaviano nipote di Cesare, e che si faceva chiamar Cesare, lascerebbono quello, c si aceosterebbono a costui ; e così restato Marc’ Antouio ignudo di favori, sarebbe facile lo oppri- merlo. La qual cosa riuscì tutta al con- trario; perchè Marc’ Antonio si guadagnò Ottaviano; e lasciato Tullio ed il Senato, si accostò a lui. La qual cosa fu al tutto la destruzione della parte degli Ottimati. 11 che era facile a conietturare: nè si doveva credere quel che si persuase Tul- lio, ma tener sempre conto di quel nome che con tanto gloria aveva spenti i ni- Macuiavelu, Discorsi. — i. 17 25S DLl DISCORSI mici suoi, ed acquistatosi il principato in Roma; nè si dovea credere mai potere, o da suoi eredi o da suoi fautori, avere cosa che fusse conforme al nome libero. Cap. LUI. — Il popolo molte volte desi- dera la rovina sua j ingannato da una falsa spezie di bene : e come le grandi speranze e gagliarde promesse facil- mente lo muovono. Espugnata che fu la città de’ Veienti, entrò nel Popolo romano una oppinione, che fusse cosa utile per la città di Ro* ma, che la metà de’ Romani andasse ad abitare a Veio ; argomentando che, per essere quella città ricca di contado, piena di edifizii e propinqua a Roma, si poteva arricchire la metà de’ cittadini romani, e non turbare per la propin- quità del sito nessuna azione civile. La qual cosa parve al Senato ed a’ più savi Romani tanto inutile e tanto dannosa, che liberamente dicevano, essere piut- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 259 tosto per patire la morte, che consen- tire ad una tale deliberazione. In modo che, venendo questa cosa in disputa, si accese tanto la Plebe contra al Senato, che si sarebbe venuto alle armi cd al sangue, se il Senato non si fusse fatto scudo di alcuni vecchi e stimati citta- dini ; la riverenza dc’quali frenò la Ple- be, che la non procede più avanti con la sua insolenza. Qui si hanno a notare* due cose. La prima, che ’l popolo molte volte, ingannato da una falsa immagine di bene, desidera la rovina sua ; e se non gli è fatto capace, come quello sia male, e quale sia il bene, da alcuno in chi esso abbia fede, si pone in le re- pubbliche infiniti pericoli c danni. E quando la sorte fu che il popolo non abbi fede in alcuno, come qualche volta occorre, sendo stato ingannato per lo addietro o dalle cose o dagli uomini; si viene alla rovina di necessità. E Dante dice a questo proposito, nel discorso suo che fa De Monarchia > che il popolo mol- DEI DISCORSI 260 te volte grida viva la sua morie j C muoia la sua vita. Da questa incredulità nasce, che qualche volta in le repubbliche i buoni partiti non si pigliano : come di sopra si disse de’ Veneziani, quando as- saltati da tanti inimici non poterono prendere partito di guadagnarsene al- cuno con la restituzione delle cose tolte ad altri (per le quali era mosso loro la 'guerra, e fatta la congiura de’ principi loro contro), avanti che la rovina ve- nisse. Pertanto, considerando quello che è facile o quello che è diffìcile persua- dere ad un popolo, si può fare questa distinzione: o quel che tu hai a per- suadere rappresenta in prima fronte guadagno, o perdita ; o veramente pare partito animoso, o vile: e quando nelle cose che si mettono innanzi ai popolo, si vede guadagno, ancora che vi sia na- scosto sotto perdila; e quando e* paia animoso, ancora che vi sia nascosto sotto la rovina della repubblica, sempre sarà facile persuaderlo alla moltitudine: e Digitized by Google LIBRO PRIMO. 261 così fia sempre difficile persuadere quelli partiti dove apparisce o viltà o perdita, ancoraché vi fusse nascosto sotto salute e guadagno. Questo che io ho detto, si conferma con infiniti esempi, romani e forestieri, moderni ed antichi. Perchè da questo nacque la malvagia opinione che surse in Roma di Fabio Massimo, il quale non poteva persuadere al Popolo roma- no, che fusse utile a quella Repubblica procedere lentamente in quella guerra, e sostenere senza azzuffarsi V impeto di Annibaie; perchè quel Popolo giudicava questo partito vile, c non vi vedeva den- tro quella utilità vi era ; nè Fabio aveva ragioni bastanti a dimostrarla loro: c tanto sono i popoli accecati in queste oppinioni gagliarde, che benché il Po- polo romano avesse fatto quello errore di dare autorità al Maestro de’ cavalli di Fabio di potersi azzuffare, ancora che Fabio non volesse; e che per tale auto- rità il campo romano fusse per esser rotto, se Fabio con la sua prudenza non 262 DEI DISCORSI vi rimediava; non gli bastò questa espe- rienza, che fece dipoi consolo Yarrone, non per altri suoi meriti che per avere, per tutte le piazze e tutti i luoghi pub- blici di Roma, promesso di rompere An- nibaie, qualunque volta gliene fusse data autorità. Di che ne nacque la zuffa e rotta di Canne, e presso che la rovina di Roma. Io voglio addurre a questo proposito ancora uno altro essempio ro- mano. Era stato Annibaie in Italia otto o dieci anni, aveva ripieno di occhio- ne de’ Romani tutta questa provincia, quando venne in Senato Marco Centenio Penula, uomo vilissimo (nondimanco aveva avuto qualche grado nella milizia), ed offersegli, che se gli davano autorità di potere fare esercito di uomini voluti- tari in qualunque luogo volesse in Italia, ei darebbe loro, in brevissimo tempo, preso o morto Annibaie. Al Senato parve la domanda di costui temeraria; non- dimeno ei pensando che s’ ella se gli negasse, e nel popolo si fusse dipoi sa- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 263 pula la sua chiesta, che non ne nascesse qualche tumulto, invidia e mal grado con- tro all’ordine senatorio, gliene concesso- no : volendo più tosto mettere a pericolo tutti coloro che lo seguitassino, che fare surgere nuovi sdegni nel Popolo; sap- piendo quanto simile partito fusse per essere accetto, e quanto fusse difficile il dissuaderlo. Andò, adunque, costui con una moltitudine inordinata ed in- composita a trovare Annibaie; e non gli fu prima giunto all* incontro, che fu con tutti quelli che lo seguitavano rotto e morto. In Grecia, nella città di Atene, non potette mai Nicia, uomo gravissimo e prudentissimo, persuadere a quel po- polo, che non fusse bene andare ad as- saltare Sicilia: talché, presa quella de- liberazione contra alla voglia de’ savi, ne seguì al tutto la rovina di Atene. Sci- pione quando fu fatto consolo, e che desiderava la provincia di Affrica, pro- mettendo al tutto la rovina di Cartagi- ne; a che non si accordando il Senato 264 DEI DISCORSI per la sentenza di Fabio Massimo, mi- nacciò di proporla nel Popolo, come quello clic conosceva benissimo quanto simili deliberazioni piaccino a’ popoli. Potrebbesi a questo proposito dare esem- pi della nostra città : come fu quando messere Ercole Bentivogli, governadore delle genti fiorentine, insieme con An- tonio Giacomini, poiché ebbono rotto llartolommeo d’ Alviano a San Vincenti, andarono a campo a Pisa ; la qual im- presa fu deliberata dal popolo in su le promesse gagliarde di messcr Ercole, ancora che molti savi cittadini la bia- simassero: nondimeno non vi ebbero rimedio, spinti da quella universale vo- lutila, la qual era fondata in su le pro- messe gagliarde del governadore. Dico, adunque, come non è la più facile via a fare rovinare una repubblica dove il popolo abbia autorità, che metterla' in imprese gagliarde : perchè, dove il po- polo sia di alcuno momento, sempre fieno accettale; nè vi arà, chi sarà d’ altra LIBRO PIUMO. 265 oppinione, alcuno rimedio. Ma se di que- sto nasce la rovina della città, ne nasce ancora, e più spesso, la rovina partico- lare de* cittadini che sono preposti a simili imprese : perchè, avendosi il po- polo presupposto la vittoria, eomee’vienc la perdita, non ne accusa nè la fortu- na, nè la impotenza di chi ha governato, ma la tristizia e la ignoranza sua; e quello il più delle volte o ammazza, o imprigiona, o confina: come intervenne a infiniti capitani Cartaginesi, ed a molti Ateniesi. Nè giova loro alcuna vittoria che per lo addietro avessino avuta, per- chè tutto la presente perdita cancella : come intervenne ad Antonio Giacomini nostro, il quale non avendo espugnata Pisa, come il popolo aveva presupposto ed egli promesso, venne in tanta dis- grazia popolare, che non ostante infinite sue buone opere passate, visse più per umanità di coloro che ne avevano auto- rità, che per alcun’ altra cagione che nel popolo lo difendesse. 2C6 DEt DISCORSI CaP liv# — Quanta autorità abbia uno uomo grande a frenare una moltitu - dine concitata. Il secondo notabile sopra il testo nel superiore capitolo allegato, è, che ve- runa cosa è tanto atta a frenare una moltitudine concitata, quanto è la rive- renza di qualche uomo grave e di au- torità, che se le faccia incontro j nè senza cagione dice Virgilio: “Tutn vietate graverà ac meritis si forte virum r (gwcm Conspexere , sileni , arrectisque aur^®n^ci* Per tanto, quello che è proposto a uno esercito, o quello che si trova in una città, dove nascesse tumulto, debbe rap- presentarsi in su quello con maggior grazia e piu onorevolmente che può, met- tendosi intorno le insegne di quel grado che tiene, per farsi più reverendo. Era, pochi anni sono, Firenze diviso in due fazioni, Fratesche ed Arrabbiate, che cosi Digitized by Google LIBRO PRIMO. 267 si chiamavano; e venendo ali’ arme, ed essendo superati i Frateschi, intra i quali era Pagolantonio Soderini, assai in quelli tempi riputato cittadino; cd andandogli in quelli tumulti il popolo armato a casa per saccheggiarla; messer Francesco suo fratello, allora vescovo di Volterra, ed oggi cardinale, si trovava a sorte in casa : il quale, subito sentito il romore e ve- duta la turba, messosi i più onorevoli panni indosso, e di sopra il rocchetto episcopale, si fece incontro a quelli ar- mati, e con la persona e con le parole gli fermò ; la qual cosa fu per tutta la città per molti giorni notata e celebrata. Conchiudo, adunque, come e’ non è il più fermo nè il più necessario rimedio a frenare una moltitudine concitata, che la presenza d’ uno uomo che per pre- senza paia e sia reverendo. Vedesi, adun- que, per tornare al preallegato testo, con quanta ostinazione la Plebe romana accettava quel partito d’ andare a Yeio, perchè Io giudicava utile, nè vi cono- Digitized by Google DEI DISCORSI 268 sceva sotto il danno vi era ? e come na- scendone assai tumulti, ne sarebbero nati scandali, se il Senato con uomini gravi e pieni di riverenza non avesse frenato il loro furore. Cap. lv. — Quanto facilmente si con - duellino le cose in quella città dove la moltitudine non è corrotta: e che dove è e qualità , non si può fare principato / e dove la non èj non si può far repubblica. Ancora clie di sopra si sia discorso assai quello sia da temere o sperare delle città corrotte; nondimeno non mi pare fuori di proposito considerare una deliberazione del Senato circa il voto ehe Cammillo aveva fatto di dare la decima parte ad Apolline della preda de’ Veienti : la qual preda sendo venuta nelle mani della Plebe romana, nè se ne potendo altrimenti riveder conto, fece il Senato uno editto, che ciascuno do- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 269 vesse rappresentare al pubblico la de- cima parte di quello gli aveva predalo. E benché tale deliberazione non avesse luogo, avendo dipoi il Senato preso al- tro modo, c per altra via satisfatto ad Àpolliue in satisfazione della Plebe; non- dimeno si vede per tali deliberazioni quanto quel Senato confidasse nella bontà di quella, e come e’ giudicava che nes- suno fusse per non rappresentare ap- punto tutto quello che per tale editto gli era comandato. E dall’ altra parte si vede, come la Plebe non pensò di frau- dare in alcuna parte lo editto con il dare meno che non doveva, ma di libe- rarsi da quello con il mostrarne aperte indignazioni. Questo essempio, con molti altri che di sopra si sono addotti, mo- strano quanta bontà e quanta religione fusse in quel Popolo, e quanto bene fusse da sperare di lui. E veramente, dove non è questa bontà, non si può sperare nulla di bene; come non si può sperare nelle provincic che in questi Digitized by Google 270 DEI DISCORSI tempi si veggono corrotte: come è la Italia sopra tutte le altre; ed ancora la Francia e la Spagna di tale corruzione ritengono parte. E se in quelle provin- cie non si vede tanti disordini quanti nascono in Italia ogni di, deriva non tanto dalla bontà de' popoli, la quale ìh buona parte è mancata; quanto dallo avere uno re che gli mantiene uniti, non solamente per la virtù sua, ma per l’ordine di quelli regni, che ancora non sono guasti. Vedesi bene nella provin- cia della Magna, questa bontà e questa religione ancora in quelli popoli esser grande; la qual fa che molte repubbli- che vi vivono libere, ed in modo osser- vano le loro leggi, che nessuno di fuori nè di dentro ardisce occuparle. E che sia vero che in loro regni buona parte di quella antica bontà, io nc voglio da- re uno essempio simile a questo detto di sopra del Senato e della Plebe roma- na. Usano quelle repubbliche, quando gli occorre loro bisogno di avere a spen- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 27 i dere alcuna quantità di danari per conto pubblico, che quelli magistrati o consi- gli che ne hanno autorità, ponghino a tutti gli abitanti della città uno per cen- to, o dua, di quello che ciascuno ha di valsente. E fatta tale deliberazione se- condo 1’ ordine della terra, si rappre- senta ciascuno dinanzi agli esecutori di tale imposta; e, preso prima il giura- mento di pagare la conveniente somma, getta in una cassa a ciò deputata quello clic secondo la conscienza sua gli pare dover pagare: del qual pagamento non è testimonio alcuno, se non quello che paga. Donde si può conictturare, quanta bontà e quanta religione sia ancora in quelli uomini. E debbesi stimare che ciascuno paghi la vera somma: perchè, quando la non si pagasse, non pitte- rebbe la imposizione quella quantità che loro disegnassero secondo le anti- che che fussino usitate riscuotersi; e non gitlando, si conoscerebbe la fraude; e conoscendosi, arebbon preso altro modo DEI DISCORSI 272 che questo. La quale bontà è tanto più da ammirare in questi tempi, quanto ella è più rara : anzi si vede essere ri- masa sola in quella provincia. Il che nasce da due cose : Y una, non avere avuti commerzi grandi co’ vicini; per- chè nè quelli sono ili a casa loro, nè essi sono iti a casa altrui; perchè sono stati eontenli di quelli beni, e vivere di quelli cibi, vestire di quelle lane che dà il paese: d’onde è stata tolta via la cagione d’ogni conversazione, ed il prin- cipio di ogni corruttela; perchè non hanno possuto pigliare i costumi nè franciosi nè spagnuoli nè italiani, le quali nazioni tutte insieme sono la cor- ruttela del mondo. L’ altra cagione è, che quelle repubbliche dove si è man- tenuto il vivere politico ed incorrotto, non sopportano che alcuno loro citta- dino nè sia nè viva ad uso di gentil- uomo: anzi mantengono infra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gen- tiluomini che sono in quella provincia, Digitized by Googl LIBRO PRIMO. 273 sono inimicissimi ; c se per caso alcuni pervengono loro nelle mani, come pria* cipi di corruttela e cagione di ogni scan- dalo, gli ammazzano. E' per chiarire questo nome di gentiluomini quale e’ sia. dico che gentiluomini sono chiamali quelli che ociosi vivono de’ proventi delle loro possessioni abbondantemente, senza avere alcuna cura o di coltivare, o di alcuna altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniciosi in ogni repubblica ed in ogni provincia; ma più perniciosi sono quelli che, oltre alle predette fortune, comandano a ca- stella, ed hanno sudditi che ubbidiscono a loro. Di queste due sorti di uomini ne sono pieni il regno di Napoli, terra di Roma, la Romagna e la Lombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non è mai stata alcuna repubblica, nè alcuno vivere politico; perchè tali ge- nerazioni di uomini sono al tutto ne- mici di ogni civiltà. Ed a volere in pro- vincie fatte in simil modo introdurre Machiavelli, Discorsi — 1. 13 Digitized by Google 274 DEI DISCORSI una repubblica, non sarebbe possibile: ma a volerle riordinare, se alcuno ne fusse arbitro, non arebbe altra via che farvi un regno. La ragione è questa, che dove è tanto la materia corrotta che le leggi non bastino a frenarla, vi bisogna ordinare insieme con quelle maggior forza ; la quale è una mano regia, che con la potenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessiva am- bizione e corruttela de’ potenti. Verifi- casi questa ragione cou lo esempio di Toscana : dove si vede in poco spazio di terreno stale longamente tre repub- bliche, Firenze, Siena e Lucca ; e le al- tre città di quella provincia essere in modo serve, che, con l’ animo e con T ordine, si vede o che le mantengono, o che le vorrebbono mantenere la loro libertà. Tutto è nato per non essere in quella provincia alcun signore di ca- stella, c nessuno o pochissimi gentiluo- mini ; ma esservi tanta equalità, che facilmente da uno uomo prudente, e che Digitized by Google LIBRO PRIMO. 275 delle antiche civilità avesse cognizione, vi si introdurrebbe un viver civile. Ma lo infortunio suo è stato tanto grande, che infino a questi tempi non ha sor- tito alcuno uomo che lo abbia potuto o saputo fare. Trassi adunque di que- sto discorso questa conclusione: che co- lui che vuole fare dove sono assai gen- tiluomini una repubblica, non la può fare se prima non gli spegne tutti: e che colui che dove è assai equalità vuole fare uno regno o uno principato, non lo potrà mai fare se non trae di quella «qualità molti di animo ambizioso ed inquieto, e quelli fa gentiluomini in fat- to, e non in nome,, donando loro ca- stella e possessioni, c dando loro fa- vore di sustanze e d’uomini ; acciocché, posto in mezzo di loro, mediante quel- li mantenga la sua potenza ; cd essi, mediante quello, la loro ambizione; e gli altri siano constretti n sopportare quel giogo che la forza, e non altro mai, può far sopportare loro. Ed essen- Digitized by Google 276 DEI DISCORSI do per questa via proporzione da chi sforza a chi è sforzato, stanno fermi gli uomini ciascuno nello ordine loro. E perchè il fare d’ una provincia atta ad essere regno una repubblica, c d’ una atta ad essere repubblica farne un re- gno, è materia da uno uomo che per cervello e per autorità sia raro; sono stati molti che Io hanno voluto fare, e pochi che lo abbino saputo condurre. Perchè la grandezza della cosa parte sbigottisce gli uomini, parte in modo gli ’mpedisce, che ne’ primi principii mancano. Credo che a questa mia op- piatone, che dove sono gentiluomini non si possa ordinare repubblica, parrà con- traria la esperienza della Repubblica veneziana, nella quale non usano avere alcuno grado se non coloro che sono gentiluomini. A che si risponde, come questo essempio non ci fa alcuna op- pugnazione, perchè i gentiluomini in quella Repubblica sono piu in nome che in fatto; perchè loro non hanno grandi Digitized by Google LIBRO PRIMO. 277 entrate di possessioni, sendo le loro ricchezze grandi fondate in sulla mer- canzia e cose mobili; e di più, nessuno di loro tiene castella, o ha alcuna iuris- dizione sopra gli uomini: ma quel no- me di gentiluomo in loro è nome di degnila e di riputazione, senza essere fondato sopra alcuna di quelle cose che fa che nell’ altre città si chiamano i gentiluomini. E come le altre repubbli- che hanno tutte le loro divisioni sotto vari nomi, così Vinegia si divide in gentiluomini e popolari ; e vogliono che quelli abbino, ovvero possino avere, tutti gli onori; quelli altri ne sieno al tutto esclusi. Il che non fa disordine in quella terra, per le ragioni altra volta dette. Gonstituisca, adunque, una repubblica colui dove è, o è fatta una grande egua- lità; ed alP incontro ordini un princi- pato dove è grande inequalità : altri- menti farà cosa senza propprzione, e poco durabile. Digitized by Google 278 DEI DISCORSI Gap. LYI. — Innanzi che segnino i grandi accidenti in una città o in una provincia , vengono segni che gli prò - ìioslicanOj o uomini che gli predicono. Donde e* si nasca io non so, ina si vede pei* gli antichi e per gli moderni essempi, che mai non venne alcuno grave accidente in una città o in una provin- cia, che non sia stato, o da indovini o da revelazioni o da prodigi, o da altri segni celesti, predetto. E per non mi di- scostare da casa nei provare questo, sa ciascuno quanto da frate Girolamo Sa- vonarola fusse predetta innanzi la venuta del re Carlo Vili di Francia in Italia; e come, olirà di questo, per tutta To- scana si disse esser sentite in aria e ve- dute genti d’ arme, sopra Arezzo, che si azzuffavano insieme. Sa ciascuno olirà di questo, come avanti la morte di Lo- renzo de’ Medici vecchio fu percosso il duomo nella sua più alta parte con una Digitized by Google LIBRO PRIMO. 279 saetta celeste, con l'ovina grandissima di quello edilìzio. Sa ciascuno ancora,, come poco innanzi che Piero Soderini, quale era stato fatto gonfaloniere a vita dal popolo fiorentino, fosse cacciato e privo del suo grado, fu il palazzo me- desimamente da un fulgore percosso. Po- trcbbesi, olirà di questo, addurre più essempi, i quali per fuggire il tedio la- scerò. Narrerò solo quello che Tito Li- vio dice, innanzi alla venuta de’ Fran- ciosi in Roma : cioè, come uno Marco Cedizio plebeio, riferì al Senato avere udito di mezza notte, passando per la Via Nuova, una voce maggiore che uma- na, la quale lo ammoniva che riferisse ai magistrati, come i Franciosi venivano a Roma. La cagione di questo credo sia da essere discorsa ed interpretata da uomo che abbia notizia delle cose natu- rali e soprannaturali: il che non abbia- mo noi. Pure, potrebbe essere che, sendo questo aere, come vuole alcuno filosofo, pieno d’ intelligenze ; le quali per na- Digitized by Google 280 DEI DISCORSI turale virtù prevedendo le cose future, ed avendo compassione agli uomini, ac- ciò si possino preparare alle difese, gli avvertiscono con simili segni. Pure, co- munelle si sia, si vede cosi essere la verità; e che sempre dopo tali accidenti sopravvengono cose istraordinarie e nuo- ve alle provincie. (’ap. L VII. — La plebe insieme è gagliarda; di per se è debole. Erano molti Romani, scudo seguita per la passata de* Franciosi la rovina della lor patria, andati ad abitare a Yeio, contea alla constituzione ed ordine del Senato: il quale, per rimediare a que- sto disordine, comandò per i suoi editti pubblici che ciascuno, infra certo tempo e sotto certe pene, tornasse ad abitare a Roma. De’quali editti, da prima per coloro contea a chi e* venivano, si fu fatto beffe; dipoi, quando si appressò il tempo dello ubbidire, tutti ubbidirono. Digitized by Google LIBRO PRIMO. 281 E Tito Livio dice queste parole : Ex fc- rocibus universtSj singtili metti suo obe~ dienfes fuere. E veramente, non si può mostrare meglio la natura d’ una molti- tudine in questa parte, che si dimostri in questo testo. Perchè la moltitudine è audace nel parlare molte volte contra alle deliberazioni del loro principe; di- poi, come veggono la pena in viso, non si fidando Y uno dell’ altro, corrono ad ubbidire. Talché si vede certo, che di quel che si dica uno popolo circa la mala o buona disposizion sua, si debbe tenere non gran conto, quando tu sia ordinato in modo da poterlo mantenere, s’ egli è ben disposto; s’ egli è mal di- sposto, da poter provvedere che non ti offenda. Questo s’intende per quelle male disposizioni che hanno i popoli, nate da qualunque altra cagione, che o per avere perduto la libertà, o il loro principe stato amato da loro, e che ancora sia vivo; perchè le male disposizioni che nascono da queste cagioni, sono sopra Digitized by Google 282 DEI DISCORSI ogni cosa formidabili, e che hanno bi- sogno di grandi rimedi a frenarle : 1' al- tre sue indisposizioni fieno facili, quando ci non abbia capi a chi rifuggire. Per- chè non ci è cosa, dall’ un canto, più formidabile che una moltitudine sciolta e senza capo; e, dall’ altra parte, non è cosa più debole : perchè, quantunque ella abbi 1’ armi in mano, fia facile ridurla, purché tu abbi ridotto da potere fug- gire il primo impeto; perchè quando gli animi sono un poco raffreddi, e che cia- scuno vede di aversi a tornare a casa sua, cominciano a dubitare di loro me- desimi, e pensare alla salute loro, o con fuggirsi o con l’accordarsi. Però una moltitudine così concitata, volendo fug- gire questi pericoli, ha subito a fare in- fra sè medesima un capo che la correg- ga, tenghila unita e pensi alla sua di- fesa ; come fece la Plebe romana, quando dopo la morte di Virginia si partì da Roma, e per salvarsi feciono infra loro venti Tribuni: e non facendo questo, in- Digitized by Google LIBRO PRIMO. 283 terviene loro scmj)re quel che dice Tito Livio nelle soprascritte parole, che tutti insieme sono gagliardi; e quando cia- scuno poi comincia a pensare al proprio pericolo, diventa vile e debole. Cap. LVIIL — ì.a moltitudine è più savia e più costante che un principe. Nessuna cosa essere più vana e più inconstante che la moltitudine: cosi Tito Livio nostro, come tutti gli altri isto- rici affermano. Perchè spesso occorre, nel narrare le azioni degli uomini, ve- dere la moltitudine avere condannato alcuno a morte, e quel medesimo di poi pianto e sommamente desiderato: come si vede avere fatto il Popolo romano di Manlio Capitolino, il quale avendo con- dcnnato a morte, sommamente dipoi de- siderava. E le parole dell* autore son queste: Populum brevi, posteaquam ab co periculum nullum eral , dcsidcrium rjus tenuit. Ed altrove, quando mostra DEI DISCORSI 284 gli accidenti che nacquero in Siracusa dopo la morte di Girolamo nipote di Ie- rone, dice: Hcec natura mulliludinis est : aut umiliter servii , aut superbe domi • natur. Io non so se io mi prenderò una provincia dura, e piena di tanta diffi- coltà, che mi convenga o abbandonarla con vergogna, o seguirla con carico; volendo difendere una cosa, la quale, come ho detto, da tutti gli scrittori è accusata. Ma, comunehc si sia, io non giudico nè giudicherò mai essere difetto difendere alcune oppinioni con le ragioni, senza volervi usare o la autorità o la forza. Dico adunque, come di quello di- fetto di che accusano gli scrittori la moltitudine, se ne possono accusare tutti gli uomini particolarmente, e massime i principi; perchè ciascuno che non sia regolato dalle leggi, farebbe quelli me- desimi errori che la moltitudine sciolta. E questo si può conoscere facilmente, perchè e’ sono c sono stati assai prin- cipi, e de’ buoni e de’ savi ne sono stati Digitized by Google LIBRO PRIMO. 285 pochi; io dico de’ principi che hanno potuto rompere quel freno che gli può correggere; intra i quali non sono que- gli re che nascevano in Egitto, quando in quella antichissima antichità si go- vernava quella provincia con le leggi; nè quelli che nascevano in Sparta; nè quelli che a’ nostri tempi nascono in Francia: il quale regno è moderato più dalle leggi, che alcuno altro regno di che ne’ nostri tempi si abbi notizia. E questi re che nascono sotto tali consti- tuzioni, non sono da mettere in quel numero, donde si abbia a considerare la natura di ciascuno uomo per sè, e vedere se egli è simile alla moltitudine: perchè a rincontro loro si debbe porre una moltitudine medesimamente regolata dalle leggi come sono loro; e si troverà in lei essere quella medesima bontà che noi veggiamo essere in quelli, e vedrassi quella nè superbamente dominare nè umilmente servire: come era il Popolo romano, il quale mentre durò la Repub- Digitized by Google 286 DEI DISCORSI blica incorrotta, non servì mai umil- mente nè mai dominò superbamente; anzi con li suoi ordini e magistrati tenne il grado suo onorevolmente. E quando era necessario insurgerc contra a uno potente, lo faceva; come si vede in Man- lio, ne’ Dieci, ed in altri che cercorno opprimerla : e quando era necessario ubbidire a’ Dittatori ed a’ Consoli per la salute pubblica, lo faceva. E se il Po- polo romano desiderava Manlio Capito- lino morto, non è meraviglia; perchè e* desiderava le sue virtù, le quali erano state tali, che la memoria di esse recava compassione a ciascuno; cd arebbono avuto forza di fare quel medesimo ef- fetto in un principe, perchè 1* è senten- za di tutti li scrittori, come la virtù si lauda e si ammira ancora negli inimici suoi: e se Manlio, infra tanto desiderio, fusse risuscitato, il Popolo di Roma arebbe dato di lui il medesimo giudizio, come ei fece, tratto che lo ebbe di prigione, che poco di poi lo condennò a morte; Digitized by Google LIBRO PRIMO. 287 nonostante die si vegga di principi te- nuti savi, i quali hanno fatto morire qualche persona, e poi sommamente de- sideratala : come Alessandro, Clito ed altri suoi amici ; ed Erode, Marianne. Ma quello che lo istorico nostro dice della natura della moltitudine, non dice di quella che è regolata dalle leggi, come era la romana; ma della sciolta, come era la siracusana: la quale fece quelli errori che fanno gli uomini infuriati e sciolti, come fece Alessandro magno, ed Erode, ne’ casi detti. Però non è più da incolpare la natura della moltitudine che de’ principi, perchè tutti egualmente er- rano, quando tutti senza rispetto pos- sono errare. Di che, oltre a quello che ho detto, ci sono assai essempi, ed in- tra gli imperadori romani, ed intra gli altri tiranni e , principi; dove si vede tanta incostanza e tanta variazione di vita, quanta mai non si trovasse in al- cuna moltitudine. Conchiudo, adunque, contea olla comune oppimene, la qual Digitized by Google 288 DEI DISCORSI dice come i popoli, quando sono prin- cipi, sono vari, mutabili, ingrati; affer- mando che in loro non sono altrimente questi peccati che si siano ne’ principi particolari. Ed accusando alcuni i popoli ed i principi insieme, potrebbe dire il vero; ma traendone i principi, s’ingan- na; perchè un popolo che comanda e sia bene ordinato, sarà stabile, prudente e grato non altrimenti che un principe, o meglio che un principe, eziandio stimato savio: e dall’altra parte, un priucipe sciolto dalle leggi, sarà ingrato, vario ed imprudente più che uno popolo. E che la variazione del procedere loro nasce non dalla natura diversa, perchè in tutti è ad un modo: e se vi è vantaggio di bene, è nei popolo; ma dallo avere più o meno rispetto alle leggi, dentro alle quali l’uno e l’altro vive. E chi consi- derrà il Popolo romano, lo vedrà essere stato per quattrocento anni iuimico del nome regio, ed amatore della gloria e del bene comune della sua patria: vedrà Digitized by Google LIBRO PRIMO. 2MJ tanti essempi usati da lui, clic testiiuo- niauo 1’ una cosa e V altra. £ se alcuno mi allegasse la ingratitudine eh7 egli usò centra a Scipione, rispondo quello die di sopra lungamente si discorse in que- sta materia, dove si mostrò i popoli es- sere meno iugraii de’ principi. Ma quanto alla prudenza ed alla stabilità, dico, co- me uno popolo è più prudente, più sta- bile e di miglior giudicio che un prin- cipe. E uon senza cagione si assomiglia la voce d7 un popolo a quella di Dio; perchè si vede una oppinioue univer- sale fare effetti meravigliosi ne’ prono- stichi suoi: talché pare che per occulta virtù e’ prevegga il suo male ed il suo bene. Quanto al giudicare le cose, si vede rarissime volte, quando egli ode due concionanti che tendino in diverse parti, quando e’ sono di egual virtù, che non pigli *ia oppinione migliore, e che non sia capace di quella verità ch’egli ode. £ se nelle cose gagliarde, o che paiano utili, come di sopra si dice, egli erra ; mol- IIacuuvelli, Discorsi. — 1. 19 Digitized by Google 290 DEI DISCORSI te volte erra ancora uri principe nelle sue proprie passioni, le quali sono molle più che quelle de’ popoli. Yedesi ancora, nel- le sue elezioni ai magistrati, fare di lunga migliore elezione che uno prin- cipe; nè mai si persuaderà ad un po- polo, che sia bene tirare alla degnila uno uomo infame e di corrotti costumi: il che facilmente e per mille vie si per- suade ad un principe. Yedesi un popolo cominciare ad avere in orrore una cosa, e molti secoli stare in quella oppinione: il che non si vede in uno principe. E dell’ una e dell’ altra di queste due cose voglio mi basti per testimone il Popolo romano: il quale, in tante centinaia d’anni, in tante elezioni di Consoli e di Tribuni, non fece quattro elezioni di che quello si avesse a pentire. Ed ebbe, co- me ho detto, tanto in odio il nome regio, che nessuno obbligo di alcuno suo cit- tadino, che tentasse quel nome, potette fargli fuggire le debite pene. Yedesi, oltra di questo, le città dove i popoli Digitized by Google LIBRO PRIMO. 291 sono principi, fare in brevissimo tempo augumenti eccessivi, e molto maggiori che quelle che sempre sono state sotto un principe ! come fece Roma dopo la cacciata de’ re, ed Atene da poi che la si liberò da Pisistrato. 11 che non può nascere da altro, se non che sono mi- gliori governi quelli de* popoli che quelli de* principi. Nè voglio che si opponga a questa mia oppinione tutto quello che lo istorico nostro ne dice nel preallcgato testo, ed in qualunque altro; perchè, se si discorreranno tutti i disordini de’po- poli, tutti i disordini de* principi, tutte le glorie de* popoli, tutte quelle de’ prin- cipi, si vedrà il popolo di bontà e di gloria essere di lunga supcriore. E se i principi sono superiori a* popoli nel- lo ordinare leggi, formare vite civili, ordinare statuti ed ordini nuovi ; i popoli sono tanto superiori nel mante- nere le cose ordinate, eh’ egli aggiun- gono senza dubbio alla gloria di coloro che l’ordinano. Ed in somma, per epi- Digitized by Google 29-2 DEI DISCORSI legare questa materia, dico come hanno durato assai gli stati de’ principi, hanno durato assai gli stati delle repubbliche, e l’uno e l’ altro ha avuto bisogno d’es- sere regolato dalle leggi : perchè un prin- cipe che può fare ciò che vuole, è pazzo; un popolo che può fare ciò che vuole, non è savio. Se, adunque, si ragionerà d' un principe obbligato alle leggi, e d’ un popolo incatenalo da quelle, si ve- drà più virtù nel popolo che nel prin- cipe: se si ragionerà dell’ uno e dell’al- tro sciolto, si vedrà • meno errori nel popolo che nei principe; e quelli minori, ed aranno maggiori rimedi. Perchè ad un popolo licenzioso e tumultuario, gli può da un uomo buono esser parlato, e facilmente può essere ridotto nella via buona : ad un principe cattivo non è al- cuno che possa parlare, nè vi è altro rimedio che il ferro. Da che si può far coniettura della importanza della malat- tia dell’uno e dell’altro: chè se a cu- rare la malattia del popolo bastano le Digitized by Google LIBRO PRIMO. 293 parole, ed a quella del principe bisogna il ferro, non sarà mai alcuno che non giudichi, che dove bisogna maggior cura, siano maggiori errori. Quando un popolo è bene sciolto, non si temono le pazzie che quello fa, nè si ha paura del mal presente, ma di quello che ne può na- scere, potendo nascere infra tanta con- fusione un tiranno. Ma ne’ principi tri- sti interviene il contrario: che si teme il male presente, e nel futuro si spera; persuadendosi gli uomini che la sua cat- tiva vita possa far surgere una libertà. Sì che vedete la differenza dell’ uno e dell’ altro, la quale è quanto dalle cose che sono, a quelle che hanno ad essere. Le crudeltà della moltitudine sono con- tra a chi ei temono clic occupi il ben comune : quelle d’ un principe sono con- tro a chi ci temono che occupi il bene proprio. Ma la oppiti ione contro ai po- poli nasce perchè de’ popoli ciascuno dice male senza paura e liberamente, ancora mentre che regnano: de’ principi i Digitized by Google 294 DEI DISCORSI si parla sempre con mille paure e mille rispetti. Nè mi pare fuor di proposito, poiché questa materia mi vi tira, dispu- tare nel seguente capitolo di quali con- federazioni altri si possa più fidare, o di quelle falle con una repubblica, o di quelle fatte con ui> principe. Cap. LIX. — Di quali confederazioni , o lega, altri si può più fidare ; o di quella fatta con una repubblica , o di quella fatta con uno principe. Perchè ciascuno dì occorre che P uno principe con l’altro, o V una repubblica con l’altra, fanno lega ed amicizia in- sieme ; ed ancora similmente si contrae confederazione ed accordo intra una re* pubblica ed uno principe mi pare di esaminare qual fede è più stabile, e di quale si debba tenere più conto, o di quella d’ una repubblica, o di quella d’ uno principe, lo, esaminando tutto, credo che in molti casi e’ siano simili. Digitized by Google | LIBRO PRIMO. 295 ed in alcuni vi sia qualche disformità. Credo per tanto, che gli accordi fatti per forza non ti saranno nè da un principe nè da una repubblica osservali; credo che quando la paura dello stato venga, l'uno e l'altro, per non lo perdere, ti romperà la fede, e ti userà ingratilu* dine. Demetrio, quel che fu chiamato espugnatore delle cittadi, aveva fatto agli Ateniesi infiniti benefici! : occorse dipoi, che sendo rotto da’ suoi inimici, e ri- fuggendosi in Atene, come in città amica ed a lui obbligata, non fu ricevuto da quella : il che gli dolse assai più che non aveva fatto la perdita delle genti e dello esercito suo. Pompeio, rotto che fu da Cesare in Tessaglia, si rifuggì in Egitto a Tolomeo, il quale era per lo addietro da lui stato rimesso nel regno; e fu da lui morto. Le quali cose si vede che ebbero le medesime cagioni; non- • dimeno fu più umanità usata e meno • ingiuria dalla repubblica, che dal prin- cipe. Dove è, pertanto, la paura, si tro- Digitized by Google 296 dei Diseonsi verà in fallo la medesima fede. E se si troverà o una repubblica o uno prin- cipe, che per osservarti la fede aspetti di rovinare, può nascere questo ancora da simili cagioni. E quanto al principe, può molto bene occorrere che egli sia amico d’ un principe potente, che se bene non ha occasione allora di difen- derlo, ei può sperare che col tempo e* lo restituisca nel principato suo; o vera- mente che, avendolo seguito come par- tigiano, ei non creda trovare nè fede nè accordi con il nimico di quello. Di questa sorte sono stati quelli principi del reame di Napoli che hanno seguite le parti franciose. E quanto alle repub- bliche, fu di questa sorte Sagunto in Ispagna, che aspettò la rovina per se- guire le parti romane; e di questa Fi- renze, per seguire nel 4512 le parti franciose. E credo, computata ogni cosa, che in questi casi, dove è il pericolo urgente, si troverà qualche stabilità più nelle repubbliche, che ne’ principi. Per- Digitized by Google libro primo. 297 che, sebbene le repubbliche avessino « quel medesimo animo e quella medesima voglia che un principe, lo avere il moto loro tardo, farà che le porranno sem- pre più a risolversi che il principe, e per questo porranno più a rompere la fede di lui. Romponsi le confederazioni per lo utile. In questo le repubbliche sono di lunga più osservanti degli ac- cordi, che i principi. E potrebbesi ad- durre essempi, dove uno miuinio utile ha fatto rompere la fede ad uno prin- cipe, e dove una grande utilità non ha fatto rompere la fede ad una repubblica : come fu quello partito che propose Te- mistocle agli Ateniesi, a’ quali nella con- clone disse che aveva uno consiglio da fare alla loro patria grande utilità ; ma non lo poteva dire per non lo scoprire, perchè scoprendolo si toglieva la occa- sione del farlo. Onde il popolo di Atene elesse Aristide, al quale si comunicasse la cosa, e secondo dipoi che paresse a lui se ne deliberasse: al quale Temisto- Digitized by Google 298 DEI DISCORSI de mostrò come I* armata di tutta Gre- cia, ancora che stesse sotto la fede loro, era in lato che facilmente si poteva gua- dagnare o distruggere; il che faceva gli Ateniesi al tutto arbitri di quella pro- vincia. Donde Aristide riferì ai popolo, il partito di Temistocle essere utilissi- mo, ma disonestissimo : per la qual cosa il popolo al tutto lo ricusò. II che non arebbe fatto Filippo Macedone, e gli al- tri principi che più utile hanno cerco e più guadagnato con il rompere la fede, che con verun altro modo. Quanto a rompere i patti per qualche cagione di inosservanza, di questo io non parlo come di cosa ordinaria; ma parlo dì quelli che si rompono per cagioni istra- sordinarie: dove io credo, per le cose (lette, che il popolo facci minori errori che il principe, e per questo si possa Fidar più di lui che del principe. Digitized by Google f i ! * ' « LIBRO PRIMO. 299 i l Gap. LX. — Come il consolato e qualun- gue altro magistrato in Roma si (lava senza rispetto di età. ► . E’ si vede per V ordine della istoria, come la Repubblica romana, poiché ’i consolato venne nella Plebe, concesse quello ai suoi cittadini senza rispetto di età o di sangue; ancora cbe il rispetto della età mai non fusse in Roma, ma sempre si andò a trovare la virtù, o in giovane o in vecchio cbe la fusse. Il che si vede per il testimone di Valerio Cor- vino, che fu fatto Consolo nell! ventitré anni: e Valerio detto, parlando ai suoi soldati, disse come il consolato crai prce- tnium virfulisj, non sanguinis. La qual cosa se fu bene considerata, o no, sarebbe da disputare assai. E quanto al sangue, fu concesso questo per necessità ; e quella ne- cessità che fu in Roma, sarebbe in ogni città che volesse fare gli effetti che fece Roma, come altra volta si è detto: per- i! Digitized by Google 300 DEI DISCORSI chè e’ non si può dare agli uomini di- sagio senza premio, nè si può torre la speranza di conseguire il premio senza pericolo. E però a buona ora convenne che la Plebe avesse speranza di avere il consolato ; e di questa speranza si nutrì un tempo senza averlo. Dipoi non bastò la speranza, che e’ convenne che si venisse allo effetto. Ma la città che non adopera la sua plebe ad alcuna cosa gloriosa, la può trattare a suo modo, come altrove si disputò: ma quella elle vuole fare quel che fe Roma, non ha a fare questa distinzione. E dato che così sia, quella del tempo non ha replica ; anzi è necessaria : perchè nello eleggere uno giovane in uno grado che abbi bi- sogno d’ una prudenza di vecchio, con- viene, avendovelo ad eleggere la molti- tudine, che a quel grado lo facci per- venire qualche sua nobilissima azione. E quando un giovane è di tanta virtù, che si sia fatto in qualche cosa notabile conoscere ; sarebbe cosa dannosissima Digitized by Google LIBRO PRIMO. 301 che la città non se «e potesse valere al- lora, e che la avesse ad aspettare che fusse invecchiato con lui quel vigore deir animo, quella prontezza, della quale in quella età la patria sua si poteva va- lere : come si valse Roma di Valerio Cor- vino, di Scipione, di Pompeio e di molti altri che trionfarono giovanissimi. Digitized by Google DEI DISCORSI LIBRO SECONDO. Laudano sempre gli uomini, ma noti sempre ragionevolmente, gli antichi tem- pi, e gli presenti accusano: ed in modo sono delle cose passate partigiani, che non solamente celebrano quelle etadi che da loro sono state, per la memoria che ne hanno lasciata gli scrittori, co- nosciute ; ma quelle ancora che, sendo già vecchi, si ricordano nella loro gio- vanezza avere vedute. E quando questa loro oppinionc sia falsa, come il più delle volte è, mi persuado varie essere le cagioni che a questo inganno gli con- ducono. E la prima credo sia, che delle Digitized by Google DEI DISCORSI — LIBRO SECONDO. 308 cose antiche non s’intenda al tutto lu verità; e che di quelle il più delle volle si nasconda quelle cose che rechereb- bono a quelli tempi infamia; e quelle altre che possono partorire loro gloria, si remlino magnifiche ed amplissime. Però che i più degli scrittori in modo * alla fortuna de’ vincitori ubbidiscono, che per fare le loro vittorie gloriose, non solamente accrescono quello che da loro è virtuosamente operato, ma an- cora le azioni de’ nimici in modo illu- strano, che qualunque nasce dipoi in qualunque delle due provincie, o nella vittoriosa o nella vinta, ha cagione di maravigliarsi di quelli uomini e di quelli tempi, ed è forzato sommamente lau- dargli ed amargli. Olirà di questo, odiando gli uomini le cose o per timo- re o per invidia, vengono ad essere spente due potentissime cagioni del - P odio nelle cose passate, non ti po- tendo quelle offendere, e non ti dando cagione d’ invidiarle. Ma al contrario Digitized by Google DEI DISCORSI 304 interviene di quelle cose che si maneg- giano e veggono ; le quali, pei* la intera cognizione di esse, non ti essendo in alcuna parte nascoste* e conoscendo in quelle insieme con il bene molte altre cose che ti dispiacciono, sei forzato giu- dicarle alle antiche molto inferiori, an- ✓ cora che in verità le presenti molto più di quelle di gloria e di fama meritas- sero: ragionando non delie cose perti- nenti alle arti, le quali hanno tanta chiarezza in sè, che i tempi possono torre o dar loro poco più gloria che per loro medesime si meritino ; ma par- lando di quelle pertinenti alla vita e costumi degli uomini, delle quali non se ne veggono sì chiari testimoni. Re- plico, pertanto, essere vera quella con- suetudine del laudare e biasimare so- prascritta ; ma non essere già sempre vero che si erri nel farlo. Perchè qual- che volta è necessario che giudichino la verità ; perchè essendo le cose uma- ne sempre in molo, o le salgono, o le Digitized by Google LIBRO SECONDO. 305 scendono. E vedesi una città o una pro- vincia essere ordinata al vivere politico da qualche uomo eccellente; ed, un tem- po, per la virtù di quello ordinatore, andare sempre in augumento verso il meglio. Chi nasce allora in tale stato, ed ei laudi più li antichi tempi che i moderni, s’ inganna ; ed è causato il suo inganno da quelle cose che di sopra si sono dette. Ma coloro che nascono dipoi, in quella città o provincia, che gli è venuto il tempo che la scende verso la parte più rea, allora non s’ ingannano. E pensando io come queste cose proce- dino, giudico il mondo sempre essere stalo ad un medesimo modo, ed in quello esser stato tanto di buono quanto di tristo ; ma variare questo tristo e que- sto buono di provincia in provincia: come si vede per quello si ha notizia di quelli regni antichi che variavano dal- l’uno all’altro per la variazione de’ co- stumi; ma il mondo restava quel me- desimo. Solo vi era questa differenza, Machiavelli, Discorsi. — 1. 20 Digitized by Google DEI DISCORSI m che dove quello aveva prima collocata la sua virtù in Assiria, la collocò in Media, dipoi in Persia, tanto che la ne venne in Italia ed a Roma: e se dopo 10 imperio romano non è seguito impe- rio che sia durato, nè dove il mondo abbia ritenuta la sua virtù insieme; si vede nondimeno essere sparsa in di molte nazioni dove si viveva virtuosa- mente; come era il regno de’ Franchi, 11 regno de’ Turchi, quel del Soldano; ed oggi i popoli della Magna ; e prima quella setta Saracina che fece tante gran cose, ed occupò tanto mondo, poiché la distrusse lo imperio romano orientale. In tutte queste provincie, adunque, poi- ché i Romani rovinorono, ed in tutte queste sètte è stata quella virtù, ed è ancora in alcuna parte di esse, che si desidera, e che con vera laude si lauda. E chi nasce in quelle, e lauda i tempi passati più che i presenti, si potrebbe ingannare; ma chi nasce in Italia ed in Grecia, e non sia divenuto o in Italia I Digitized by Google LIBRO SECONDO. 307 oltramontano o in Grecia turco, ha ra- gione di biasimare i tempi suoi, e lau- dare gli altri : perchè in quelli vi sono assai cose, che gli fanno meravigliosi ; in questi non è cosa alcuna che gli ri- comperi da ogni estrema miseria, infa- mia e vituperio: dove non è osservanza di religione, non di leggi, non di mili- zia; ma sono maculati d’ ogni ragione bruttura. E tanto sono questi vizi più detestabili, quanto ei sono più in coloro che seggono prò tribunali, comandano a ciascuno, e vogliono essere adorati. .Ha tornando al ragionamento nostro, dico che se il giudicio degli uomini è corrotto in giudicare quale sia migliore, o il secolo presente o l’antico, in quelle cose dove per l’antichità ei non ha pos- suto avere perfetta cognizione come egli ha de’ suoi tempi ; non doverrebbe cor- rompersi ne’ vecchi nel giudicare i lem • pi della gioventù e vecchiezza loro, aven- do quelli e questi egualmente conosciuti e visti. La qual cosa sarebbe vera, se Digitized by Google DEI DISCOHSl 30 & gli uomini per tutti i tempi della lor vita l'ussero del medesimo giudizio, ed avessero quelli medesimi appetiti : ma variando quelli, ancora che i tempi nou variino, non possono parere agli uomini quelli medesimi, avendo altri appetiti, altri diletti, altre considerazioni nella vecchiezza, che nella gioventù. Perchè, mancando gli uomini quando li invec- chiano di forze, e crescendo di giudizio e di prudenza; è necessario che quelle cose che in gioventù parevano loro sop- portabili e buone, ineschino poi invec- chiando insopportabili e cattive ; e dove quelli ne doverrebbono accusare il giu- dicio loro, ne accusano i tempi. Sendo. ultra di questo, gli appetiti umani in- saziabili, perchè hanno dalla natura di potere e voler desiderare ogni cosa, e dalla fortuna di potere conseguirne po- che; ne risulta continuamente una mala contentezza nelle menti umane, ed un fastidio delle cose che si posseggono: il che fa biasimare i presenti tempi, lau- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 309 dare i passati, e desiderare i futuri ; ancora che a fare questo non fussino mossi da alcuna ragionevole cagione. Non so, adunque, se io meriterò d’ essere numerato tra quelli che si ingannano, se in questi mia discorsi io lauderò troppo i tempi degli antichi Romani, e biasimerò i nostri. E veramente, se la virtù che allora regnava, ed il vizio che ora regna, non fussino più chiari che il sole, andrei col parlare più rattenu- to, dubitando non incorrere in quello inganno di che io accuso alcuni. Ma es- sendo la cosa si manifesta che ciascuno la vede, sarò animoso in dire manife- stamente quello che intenderò di quelli e di questi tempi; acciocché gli animi de’ giovani che questi mia scritti legge- ranno, possino fuggire questi, e prepa- rarsi ad imitar quegli, qualunque volta la fortuna ne dessi loro occasione. Per- chè gli è offizio di uomo buono, quel bene che per la malignità de’ tempi e della fortuna tu non hai potuto operare. Digitized by Google 310 DEI DISCORSI insegnarlo nd altri, acciocché sendone molti capaci, alcuno di quelli, più ama- to dal Cielo, possa operarlo. Ed avendo ne’ discorsi del superior libro parlato delle deliberazioni fatte da* Romani per- tinenti al di dentro della città, in que- sto parleremo di quelle, che ’\ Popolo romano fece pertinenti allo augumento dello imperio suo. Cap. I. — Quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i Romani , o la virtùj o la fortuna. Molti hanno avuta oppinione, intra i quali è Plutarco, gravissimo scrittore, che ’1 Popolo romano nello acquistare lo imperio fusse più favorito dalla for- tuna che dalla virtù. Ed intra le altre ragioni che ne adduce, dice che per con- fessione di quel popolo si dimostra, quello avere riconosciute dalla fortuna tutte le sue vittorie, avendo quello edi- ficati più templi alla Fortuna, che ad Digitized by Goo LIBRO SECONDO. SII alcun altro Dio. E pare che a questa oppinione si accosti Livio; perchè rade volte è che facci parlare ad alcuno Ro- mano, dove ei racconti della virtù, che non vi aggiunga la fortuna. La qual cosa io non voglio confessare in alcun modo, nè credo ancora si possa soste- nere. Perchè, se non si è trovato mai repubblica che abbi fatti i progressi che Roma, è nato che non si è trovata mai repubblica che sia stata ordinata a po- tere acquistare come Roma. Perchè la virtù degli eserciti gli feciono acqui- stare Io imperio; e l’ordine del pro- cedere, ed il modo suo proprio, e tro- vato dal suo primo legislatore, gli fece mantenere lo acquistato: come di sotto largamente in più discorsi si narrerà. Dicono costoro, che non avere mai ac*» cozzate due potentissime guerre in uno medesimo tempo, fu fortuna e non vir- tù del Popolo romano ; perchè e’ non ebbero guerra con i Latini, se non quando egli ebbero non tanto battuti Digitized by Google DEI DISCORSI 31-2 i Sanniti, quanto che la guerra fu da* Ro- mani fatta in difensione di quelli ; non combatterono con i Toscani, se prima non ebbero soggiogati i Latini, ed ener- vati con le spesse rotte quasi in tutto i Sanniti: che se due di queste potenze intere si fussero, quando erano fresche, accozzate insieme, senza dubbio si può facilmente conietturare che ne sarebbe seguito la rovina della romana Repub- blica. Ma, comunelle questa cosa nasces- se, mai non intervenne che eglino aves- sino due potentissime guerre in un medesimo tempo: anzi parve sempre, o nel nascere dell’ una, l’altra si spe- gnesse; o nel spegnersi dell’ una, l’altra nascesse. 11 che si può facilmente ve- dere per T ordine delle guerre fatte da loro: perchè, lasciando stare quelle che feciono prima che Roma fusse presa dai Franciosi, si vede che, mentre che combatterno con gli Equi e con i Vol- sci, mai, mentre questi popoli furono potenti, non si levarono contro di loro Digitized by Google LIBRO SECONDO. 313 uitre genti. Domi costoro, nacque la guerra contea ai Sanniti; e benché in- nanzi che finisse tal guerra i popoli latini si ribellassero da’ Romani, non- dimeno quando tale ribellione segui, i Sanniti erano in lega con Roma, e con il loro esercito aiutorono i Romani do- mare la insolenza latina. I quali domi, risurse la guerra di Sannio. Battute per molte rotte date a’ Sanniti le loro forze, nacque la guerra de’ Toscani; la qual composta, si rilevarono di nuovo i San- niti per la passata di Pirro in Italia. Il quale come fu ribattuto, e rimandato in Grecia, appiccarono la prima guerra con i Cartaginesi: nè {ìrima fu tal guer- ra finita, che tutti i Franciosi, e di là e di qua dall’ Alpi, congiurarono conti a i Romani; tanto che intra Popolonia e Pisa, dove è oggi la torre a San Vin- centi, furono con massima strage supe- rati. Finita questa guerra, per ispazio di venti anni ebbero guerra di non molta importanza; perchè non eombat- Digitized by Google DE! D'.SCORS! 314 terono con altri che con i Liguri, c con quel rimanente de’ Franciosi che era in Lombardia. E così stettero tanto che nacque la seconda guerra cartaginese, la qual per sedici anni tenne occupata Italia. Finita questa con massima gloria, nacque la guerra macedonica ; la quale tìnita, venne quella d’ Antioco e d’ Asia. Dopo la qual vittoria, non restò in tutto il mondo nè principe nè repubblica che, di per sè, o tutti insieme, si potessero opporre alle forze romane. Ma innanzi a quella ultima vittoria, chi considerrà l’ ordine di queste guerre, ed il modo del . procedere loro, vedrà dentro me- scolate con la fortuna una virtù e prudenza grandissima. Talché, chi esa- minasse la cagione di tale fortuna, la ri- troverebbe facilmente: perchè gli è cosa certissima, che come un principe e un popolo viene in tanta riputazione, che ciascuno principe e popolo vicino abbia di per sè paura ad assaltarlo, e ne te- ma, sempre interverrà che ciascuno di Digitized by Google LIBRO SECONDO. 31 Ó essi mai lo assalterà, se non necessi- tato ; in modo che e’ sarà quasi come nella elezione di quel polente, far guer- ra con quale di quelli suoi vicini gli parrà, e gii altri con la sua industria quietare. I quali, parte rispetto alla po- tenza suo, parte ingannati da quei modi che egli terrà per nddormentargli, si quietano facilmente; e gli altri potenti che sono discosto, e che non hanno coinmerzio seco, curano la cosa come cosa longinqua, e che non appartenga loro. Nel quale errore stanno tanto che questo incendio venga loro presso : il quale venuto, non hanno rimedio a spe- gnerlo se non con le forze proprie; le quali dipoi non bastano, sendo colui diventato potentissimo. Io voglio lasciare andare, come i Sanniti stettero a vedere vincere dal Popolo romano i Yolsci e gli Equi; e per non essere troppo pro- lisso, mi farò da’ Cartaginesi : i quali erano di gran potenza c di grande esti- mazione quando i Romani combattevano Digitized by Google DEI Disconsi 316 con i Sanniti e con i Toscani ; perchè tii già tenevano tutta 1’ Affrica, tenevano ia Stintigna e la Sicilia, avevano domi- nio in parte della Spagna. La quale po- lenza loro, insieme con V esser discosto ne’ confini dal Popolo romano, fece che non pensarono mai di assaltare quello, nè di soccorrere i Sanniti e Toscani: anzi fecero come si fa nelle cose che crescono, più tosto in lor favore colle- gandosi con quelli, e cercando l’ami- cizia loro. Nè si avviddono prima del- 1’ errore fatto, che i Romani, domi tutti i popoli mezzi infra loro ed i Cartagi- nesi, cominciarono a combattere insieme dello imperio di Sicilia e di Spagna. Intervenne questo medesimo a’ Franciosi che a’ Cartaginesi, e cosi a Filippo re de’ Macedoni, e ad Antioco; e ciascuno di loro credea, mentre che il Popolo ro- mano era occupato con l’altro, che quell’ altro lo superasse, ed essere a tempo, o con pace o con guerra, difen- dersi da lui. In modo che io credo che Digitized by Google LIBRO SECONDO. 317 la fortuna che ebbono in questa parte i Romani, 1’ arebbono tutti quelli prin- cipl che procedessero come i Romani, c fussero di quella medesima virtù che loro. Sarebbeci da mostrare a questo proposito il modo tenuto dal Popolo romano nello entrare nelle provincie d’ altri, se nei nostro trattato de’ prin* cipati non ne avessimo parlato a lungo ; perchè in quello questa materia è diffu- samente disputata. Dirò solo questo bre- vemente, come sempre s’ingegnarono avere nelle provincie nuove qualche ami- co che fusse scala o porta a salirvi o entrarvi, o mezzo a tenerla : come si vede che per. il mezzo de’ Capovani en- trarono in Sannio, de’ Camertini in To- scana, de’ Mamertini in Sicilia, de’ Sa- guntini in Spagna, di Massinissa iti Affrica, degli Eloli in Grecia, di Eumene ed altri principi in Asia, de’ Massiliensi e deili Edui in Francia. E così non man- carono mai di simili appoggi, per po- tere facilitare le imprese loro, e nello Digitized by Google m DEI DISCORSI acquistare le provincie e nel tenerle. Il che quelli popoli che osserveranno, ve- dranno avere meno bisogno della for- tuna, che quelli che ne saranno non buoni osservatori. E perchè ciascuno possa meglio conoscere, quanto potè più la virtù che la fortuna loro ad acqui- stare quello imperio ; noi discorreremo nel seguente capitolo di che qualità fu- rono quelli popoli con i quali egli eb- bero a combattere, e quanto erano osti- nati a difendere la loro libertà. Cap. 11. — Con quali popoli i Romani eb- bero a combattere , e come ostinatamen- te quelli difendevano la loro libertà. Nessuna cosa fece più faticoso a* Ro- mani superare i popoli d* intorno, c parte delle provincie discosto, quanto lo amore che in quelli tempi molti popoli avevano alla libertà; la quale tanto osti- natamente difendevano, che mai se non da una eccessiva virtù sarebbono stati Digitized by Google LIBRO SECONDO. &J9 * soggiogati. Perchè, per molti essempi si conosce a quali pericoli si mettessino per mantenere o ricuperare quella ; quali vendette e’ facessino contra a co- loro che V avessino loro occupata. Co* noscesi ancora nelle lezioni delle istorie, quali danni i popoli e le città riccvino per la servitù. E dove in questi tempi ci è solo una provincia la quale si possa dire che abbia in sè città libere, ne* tempi antichi in tutte le provincie erano assai popoli liberissimi. Vedesi come in quelli tempi de’ quali noi parliamo al presente, in Italia, dall’ Alpi che dividono ora la Toscana dalla Lombardia, insino alla punta d’Italia, erano molti popoli liberi; com’erano i Toscani, i Romani, i San- niti, e molti altri popoli che in quel re- sto d’ Italia abitavano. Nè si ragiona mai che vi fusse alcuno re, fuora di quelli che regnarono in Roma, e Porsena re di Toscaua; la stirpe del quale come si estinguesse, non ne parla la istoria. Ma si vede bene, come in quelli tempi che i . Digitized by Google 320 DE! DISCORSI Romani andarono a campo a Veio, la Toscana era libera : e tanto si godea della sua libertà, e tanto odiava il nome del principe, che avendo fatto i Veienti per loro difensione un re in Veio, e domandando aiuto a' Toscani contra ai Romani ; quelli, dopo molte consulte fatte, deliberarono di non dare aiuto a’Veienti, infino a tanto che vivessino sotto ’1 re; giudicando non esser bene difendere la patria di coloro che V avevano di già sottomessa ad altrui. E facil cosa è co- noscere donde nasca ne’ popoli questa affezione del vivere libero; perchè si vede per esperienza, le cittadi non avere mai ampliato nè di domiuio nè di ricchezza, se non mentre sono state in libertà. E veramente meravigliosa cosa è a consi- derare, a quanta grandezza venne Atene per ispazio di cento anni, poiché la si liberò dalla tirannide di Pisistrato. Ma sopra tutto meravigliosissima cosa è a considerare, a quanta grandezza venne Roma, poiché la si liberò da’ suoi Re. I Digitized by Google LIBRO SECONDO. 321 La cagione è facile ad intendere; per* chè non il bene particolare, ma il bene comune è quello che fa grandi le città. E senza dubbio, questo bene comune non è osservato se non nelle repubbliche; perchè lutto quello che fa a proposito suo, si eseguisce; e quantunque e’ torni in danno di questo o di quello privato, e’ sono tanti quelli per chi detto bene fa, che lo possono tirare innanzi contra alla disposizione di quelli pochi che ne fussino oppressi. Al contrario interviene quando vi è uno principe; dove il più delle volte quello che fa per lui, offende la città; e quello che fa per la città, offende lui. Dimodoché, subito che nasce una tirannide sopra un viver libero, il manco male che ne resulti a quelle città, è non andare più innanzi, nè crescere più in potenza o in ricchezze ; ma il più delle volte, anzi sempre, interviene loro, che le tornano indietro. E se la sorte facesse che vi surgesse un tiranno vir- tuoso, il quale , per animo e per virtù Machiavelli, Discorsi. — 1. 21 Digitized by Google DEI DISCORSI Ii22 d’ arme ampliasse il dominio suo, non ne risulterebbe alcuna utilità a quella repubblica, ma a lui proprio: perchè e’ non può onorare nessuno di quelli cittadini che siano valenti c buoni, che egli tiranneggia, non volendo avere ad avere sospetto di loro. Non può ancora le città che egli acquista, sottometterle o farle tributarie a quella città di che egli è tiranno: perchè il farla potente non fa per lui; ma per lui fa tenere lo Stato disgiunto, e che ciascuna terra e ciascuna provincia riconosca lui. Talché di suoi acquisti, solo egli ne profitta, e non la sua patria. E chi volesse confer- mare questa oppinione con infinite altre ragioni, legga Senofonte nel suo trat- tato che fa De Tirannide. Non è mera- viglia adunque, che gli antichi popoli con tanto odio perseguitassino i tiranni, ed nmassiiio il vivere libero, e che il nome della libertà fusse tanto stimato da loro: come intervenne quando Giro- lamo nipote di lerone siracusano fu Digitized by Google LIBRO SECONDO. 323 morto in Siracusa, che venendo le no- velle della sua morte in nel suo eser- cito, che non era molto lontano da Si* racusa, cominciò prima a tumultuare, e pigliare 1’ armi contro agli ucciditori di quello; ma come ei sentì che in Sira- cusa si gridava libertà, allettato da quel nome, si quietò tutto, pose giti V ira contra a’ tirannicidi, e pensò come iti quella città si potesse ordinare un viver libero. Non è meraviglia ancora, che i popoli faccino vendette istraordinaric contra a quelli che gli hanno occupata la libertà. Di che ci sono stali assai esempi, de’ quali ne intendo referire solo uno, seguilo in Coreica, città di Grecia, ne’ tempi della guerra peloponnesiaca; «love sendo divisa quella provincia in due fazioni, delle quali 1’ una seguitava gli Ateniesi, V altra gli Spartani, ne na- sceva che di molte città, che erano infra loro divise, T una parte seguiva F ami- cizia di Sparta, l’altra di Atene: ed es- sendo occorso clic nella detta città prc- Digitized by Google 324 DEI DISCORSI valessino i nobili, e togliessino la libertà al popolo, i popolari per mezzo degli Ateniesi ripresero le forze, e posto le mani addosso a tutta la nobiltà, gli rin- chiusero in una prigione capace di tutti loro; donde gli traevano ad otto o dieci per volta, sotto titolo di mandargli in esilio iti diverse parli, e quelli con molti crudeli essempi facevauo morire. Di che sendosi quelli che restavano accorti, de- liberarono, in quanto era a loro possi- bile, fuggire quella morte ignominiosa ; ed armatisi di quello potevano, combat- tendo con quelli vi volevano entrare, la entrata della prigione difendevano; di modo che il popolo, a questo romore fatto concorso, scoperse la parte supe- riore di quel luogo, e quelli con quelle rovine sufìbeorno. Seguirono ancora in delta provincia molti altri simili casi orrendi e notabili : talché si vede esser vero, che con maggiore impeto si ven- dica una libertà che ti è suta tolta, che quella che li è voluta torre. Pensando Digitized by Google LIBRO SECONDO. 325 dunque donde possa nascere, che in quelli tempi antichi, i popoli fussero più ama- tori della libertà che in questi; credo nasca da quella medesima cagione che fa ora gli uomini manco forti : la quale credo sia la diversità della educazione nostra dalla antica, fondata nella di- versità della religione nostra dalla an- tica. Perchè avendoci la nostra reli- gione mostra la verità e la vera via, ci fa stimare meno l’onore del mon- do: onde i Gentili stimandolo assai, ed avendo posto in quello il sommo be- ne, erano nelle azioni loro più feroci. Il che si può considerare da molte loro constituzioni, cominciandosi dalla ma- gnificenza de’ sacrificii loro, alla umilila de’ nostri ; dove è qualche pompa più dilicata che magnifica, ma nessuna azione feroce o gagliarda. Quivi non mancava la pompa nè la magnificenza delle ce- rimonie, ma vi si aggiungeva 1* azione del sacrificio pieno di sangue e di ferocia, ammazzandovisi moltitudine di animali : Digitized by Googl< 326 DEI DISCORSI il quale aspetto sendo terribile, rendeva gli uomini simili a lui. La religione an- tica, oltre di questo, non beatificava se non gli uomini pieni di mondana gloria: come erano capitani di eserciti, e prin- cipi di repubbliche. La nostra religione ha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, che gli attivi. Ha dipoi posto il sommo bene nella umilila, abie- zione, nello dispregio delle cose umane: quell’ altra lo poneva nella grandezza dello animo, nella fortezza del corpo, ed in tutte le altre cose atte a fare gli uo- mini fortissimi. E se la religione nostra richiede che abbi in te fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fare una cosa forte. Questo modo di vivere, adunque, pare che abbi rendutoil mondo debole, e datolo in preda agli uomini scellerati; i quali sicuramente lo pos- sono maneggiare, veggendo come la uni- versità degli uomini, per andare in pa- radiso, pensa più a sopportare le sue battiture, che a vendicarle. E benché paia Digitized by Google LIBRO SECONDO. 327 che si sia effeminato il mondo, e disar- mato il cielo, nasce più senza dubbio dalla viltà degli uomini, che hanno in- terpretato la nostra religione secondo l’ ozio, e non secondo la virtù. Perchè, se considerassino come la permette la esultazione e la difesa della patria, ve- drebbono come la vuole che noi l’amia- ino ed onoriamo, e prepariamoci ad es- ser tali che noi la possiamo difendere. Fanno adunque queste educazioni, e si false interpretazioni, che nel mondo non si vede tante repubbliche quante si ve- deva aulicamente; nè, per conscguente, si vede ne’ popoli tanto amore alla libertà quanto allora : ancora che io creda piut- tosto essere cagione di questo, che lo imperio romano con le sue arme e sua grandezza spense tutte le repubbliche e lutti i viveri civili E benché poi tal im- perio si sia risoluto, non si sono potute le città ancora rimettere insieme nè rior- dinare alla vita civile, se non in po- chissimi luoghi di quello imperio. Pure, Digitized by Google 348 DEI DISCORSI comunelle si fusse, i Romani in ogni minima parte del mondo trovarono una congiura di repubbliche armatissime, ed ostinatissime atia difesa della libertà loro. Il che mostra che '1 Popolo romano senza una rara ed estrema virtù mai non le arebbe potute superare. E per darne esseinpio di qualche membro, voglio mi basti lo essempio de’ Sanniti : i quali pare cosa mirabile, e Tito Livio lo con- fessa, che fussero sì potenti, e 1’ arme loro si valide, che potessero infino al tempo di Papirio Cursore consolo, figliuo- lo del primo Papirio, resistere a’ Romani (che fu uno spazio di XLVI anni), dopo tante rotte, rovine di terre, e tante stragi ricevute nel paese loro; massime veduto ora quel paese dove erano tante cittadi e tanti uomini, esser quasi che disabi- tato : ed allora vi era tanto ordine, e tanta forza, eh’ egli era insuperabile, se da una- virtù romana non fusse stato assaltato. E facil cosa è considerare donde nasceva quello ordine, c donde proceda Digitized by Google LIBRO SECOSDO. 329 questo disordine; perchè tutto viene dal viver libero allora, ed ora dal viver servo. Perchè tutte le terre e le provincie che vivono libere in ogni parte, come di so- pra dissi, fanno i progressi grandissimi. Perchè quivi si vede maggiori popoli, per essere i matrimoni più liberi, e più desiderabili dagli uomini : perchè cia- scuno procrea volentieri quelli figliuoli che crede potere nutrire, non dubitando che il patrimonio gli sia tolto; thè eT co- nosce non solamente che nascono liberi e non schiavi, ma che possono mediante la virtù loro diventare principi. Veg- gonvisi le ricchezze multiplicare in mag- giore numero, e quelle che vengono dalla cultura, e quelle che vengono dalle arti. Perchè ciascuno volentieri multiplica in quella cosa, e cerca di acquistare quei beni, che crede acquistati potersi godere. Onde ne nasce che gli uomini a gara pen- sano ai privati ed a’ pubblici comodi; e l’ uno e l’altro viene meravigliosamente a crescere. II contrario di tutte queste cose Digitized by Google 330 DEI DISCORSI segue in quelli paesi che vivono scivi; c tanto più mancano del consueto bene, quanto è più dura la servitù. E di tutte" le servitù dure, quella è durissima che li sottomette ad una repubblica : E una, perchè la è più durabile, e manco si può sperare d’ uscirne; Y altra, perchè il fine della repubblica è enervare ed indebo- lire. per accrescere il corpo suo, tutti gli altri corpi. 11 che non la un prin- cipe che ti sottometta, quando quel principe non sia qualche principe bar- baro, destruttore de’ paesi, e dissipatore di tutte le civilità degli uomini, come sono i principi orientali. Ma s’ egli ha in sè ordini umani ed ordinari, il più delle volte ama le città sue soggette egualmente, ed a loro lascia T arti tutte, e quasi lutti gli ordini antichi. Talché, se le non possono crescere come libere, elle non rovinano anche come serve; in- tendendosi della servitù in quale ven- gono le città servendo ad un forestiero, perchè di quella d’ uno loro cittadino Digitized by Google LIBRO SE CO >1)0. 331 ne parlai di sopra. Chi considerrù, adun- que, tutto quello che si è detto, non si meraviglierà della potenza che i Sanniti avevano sendo liberi, e della debolezza in che e’ vennero poi servendo: e Tito Livio ne fa fede in più luoghi, e mas- sime nella guerra d’ Annibaie, dove ei mostra che essendo i Sanniti oppressi da una legione d’ uomini che era in Nola, mandorono oratori ad Annibale, a pre- garlo che gli soccorresse; i quali nel parlar loro dissono, che avevano per cento anni combattuto con i Romani con i propri loro soldati e propri loro ca- pitani, e molte volte avevano sostenuto duoi eserciti consolari e duoi consoli; e che allora a tanta bassezza erano venuti, che non si potevano a pena difendere da una piccola legione romana che era in Nola. Digitized by Google 332 DEI DISCOIDI Cap. III. — Roma divenne grande città ro- vinando le città circonvicine , e riceven- do i forestieri facilmente aJ suoi onori. Crescit inlerea Roma Albce ruinis. Quelli che disegnano che una città fac- cia grande imperio, si debbono con ogni industria ingegnare di farla piena di abitatori ; perchè senza questa abbon- danza di uomini, mai non riuscirà di fare grande una città. Questo si fa in duoi modi; per amore, e per forza. Per amore, tenendo le vie aperte e se- cure a’ forestieri che disegnassero ve- nire ad abitare in quella, acciocché cia- scuno vi abiti volentieri : per forza, di- sfacendo le città vicine, e mandando gli abitatori di quelle ad abitare nella tua città. Il che fu tanto osservato in Ro- ma, che nel tempo del sesto Re in Roma abitavano ottantamila uomini da portare armi. Perchè i Romani vollono fare ad uso del buono cultivatore; il quale, per* Digitized by Google —waiBìi mgmrn LIBRO SECONDO. 333 che una pianta ingrossi, e possa prò* durre e maturare i fruiti suoi, gli ta- glia i primi rami che la mette, acciocché, rimasa quella virtù nel piede di quella pianta, possino col tempo nascervi più verdi e più fruttiferi. E che questo modo tenuto per ampliare e fare imperio, fusse necessario e buono, lo dimostra Io essempio di Sparta e di Atene : le quali essendo due repubbliche armatis- sime, ed ordinate di ottime leggi, non- dimeno non si condussono alla gran- dezza dello imperio romano; e Roma pareva più tumultuaria, e non tanto bene ordinata quanto quelle. Di che non se ne può addurre altra cagione, che la preallegata: perchè Roma, per avere ingrossato per quelle due vie il corpo della sua città, potette di già mettere in arme dugentottantamila uo- mini; e Sparta ed Atene non passarono mai ventimila per ciascuna. Il che nac- que, non da essere il sito di Roma più benigno che quello di coloro, ma sola- Digitized by Google r Vk -«t 1' .1 . 334 DEI DISCORSI mente da diverso modo di procedere. Perché Licurgo, fondatore della repub- blica spartana , considerando nessuna cosa potere più facilmente risolvere le sue leggi che la commistione di nuovi abitatori, fece ogni cosa perchè i fore- stieri non avessino a conversarvi: ed, oltre al non gli ricevere ne’ matrimoni, alla civiltà, ed alle altre conversazioni che fanno convenire gli uomini insieme, ordinò che in quella sua repubblica si spendesse monete di cuoio, per tor via a ciascuno il desiderio di venirvi per portarvi mercanzie, o portarvi alcuna arte; di qualità che quella città non potette mai ingrossare di abitatori. E perchè tutte le azioni nostre imitano la natura, non è possibile nè naturale che uno pedale sottile sostenga un ramo grosso. Però una repubblica piccola non può occupare città nè regni che siano più validi nè più grossi di lei; e se pu- re gli occupa, gP interviene come a quel- lo albero che avesse più. grosso il ramo Digitized by Google LiBRO SECONDO. 335 che ’l piede," che sostenendolo con fati- ca, ogni piccolo vento lo fiacca: come si vede che intervenne a Sparla, la quale avendo occupate tutte le città di Grecia, non prima se gli ribellò Tebe, che tutte P altre cittadi se gli ribellarono, e ri- mase i! pedale solo senza rami. Il che non potette intervenire a Roma, avendo il piè si grosso, che qualunque ramo poteva facilmente sostenere. Questo mo- do adunque di procedere, insieme con gli altri che di sotto si diranno, fece Roma grande e potentissima. Il che di- mostra Tito Livio in due parole, quando disse: Crcscit intcrea Roma Albce ruinis. Gap. IV. — Le repubbliche hanno te- ntili tre modi circa lo ampliare. Chi ha osservato le antiche istorie, Iruova come le repubbliche hanno tre modi circa lo ampliare. L* uno è stato quello che osservorono i Toscani anti- chi, di essere una lega di più repub- Digitized by Google 336 DEI DISCORSI bliche insieme, dove non sia alcuna che avanzi l’ altra nè di autorità nè di gra- do; e nello acquistare, farsi 1’ altre città compagne, in simil modo come in que- sto tempo fanno i Svizzeri, e come nei tempi antichi feciono in Grecia gli Achei e gli Etoli. E perchè gli Romani feciono assai guerra con i Toscani, per mostrar meglio la qualità di questo primo modo, ini distenderò in dare notizia di loro particolarmente. In Italia, innanzi allo imperio romano, furono i Toscani per mare e per terra potentissimi: e ben- ché delle cose loro non ce ne sia par- ticolare istoria, pure c’è qualche poco di memoria, e qualche segno della gran- * dezza loro; e si sa come e* mandarono una colonia in su ’l mare di sopra, la quale chiamarono Adria, che fu si no- bile, che la dette nome a quel mare che ancora i Latini chiamano Adriatico. In- tendesi ancora, come le loro arme fu- rono ubbidite dal Tevere per infìno ai piè dell’ Alpi, che ora cingono il grosso Digilized by Google LIBRO SECONDO. 337 di Italia; non ostante che dugento anni innanzi che i Romani crescessino in molte forze, detti Toscani perderono lo imperio di quel paese che oggi si chia- ma la Lombardia; la quale provincia fu occupata da’ Franciosi : i quali mossi o da necessità, o dalla dolcezza dei frutti, e massime del viuo, vennono in Italia sotto Bellovcso loro duce; e rotti e cac- ciati i provinciali, si posono in quel luogo, dove edificarono di molte cittadi, e quella provincia chiamarono Gallia, dal nome che tenevano allora ; la quale tennono fino che da’ Romani fussero domi. Vivevano, adunque, i Toscani con quella equalità , e procedevano nello ampliare in quel primo modo che di sopra si dice: e furono dodici città, tra le quali era Chiusi, Yeio, Fiesole, Arez- zo, Volterra, e simili: i quali per via di lega governavano lo imperio loro; nè poterono uscir d’Italia con gli acqui- sti ; e di quella ancora rimase intatta gran parte, per le cagioni che di sotto 51 \Chutei Li, Discorsi. — t. 22 Digitized by Google 33S DEI DISCORSI si diranno. V altro modo è farsi com- pagni j non tanto però che non ti ri- manga il grado del comandare, la sedia dello imperio ed il titolo delle imprese : il quale modo fu osservato da’ Romani. 11 terzo modo è farsi immediate sud- diti, e non compagni; come fecero gli Spartani e gli Ateniesi. De' quali tre modi, questo ultimo è al tutto inutile; come c’ si vide che fu nelle sopraddette due repubbliche: le quali non rovina- rono per altro, se non per avere acqui- stato quel dominio che le non potevano tenere. Perchè, pigliar cura di avere a governare città con violenza, massime quelle che tassino consuete a viver li- bere, è una cosa diffìcile e faticosa. E se tu non sei armato e grosso d’ armi, non le puoi nè comandare nè reggere. Ed a voler esser così fatto, è necessa- rio farsi compagni che ti aiutino in- grossare la tua città di popolo. E per- chè queste due città non feciono nè 1’ uno nè I’ altro, il modo del procedere Digitized by Google LIBRO SECONDO. 339 loro fu inutile. E perché Roma, la quale è nello esempio del secondo modo, fece l’uno e T altro; però salse a tanta ec- cessiva potenza. E perchè la è stata sola a vivere cosi, è stata ancora sola a di- ventar tanto potente : perchè, avendosi ella fatti di molti compagni per tutta Italia, i quali in di molte cose con eguali leggi vivevano seco; e dall’ altro canto» come di sopra è detto, sendosi riser- vato sempre la sedia dello imperio ed il titolo del comandare; questi suoi com- pagni venivano, che non se ne avvede- vano, con le fatiche e con il sangue loro a soggiogar sè stessi. Perchè, co- me cominciorono a uscire con gli eser- citi di Italia, e ridurre i regni in pro- vincie, e farsi soggetti coloro che per esser consueti a vivere sotto i Re, non si curavano d* esser soggetti; ed avendo governadori romani, ed essendo stati vinti da eserciti con ii titolo romano ; non riconoscevano per superiore altro che Roma. Di modo che quelli compa- Digitized by Google DEI DISCORSI 340 gni di Roma che erano in Italia, si tro- varono in un tratto cinti da’ sudditi romani, cd oppressi da una grossissima città come era Roma ; e quando e’ si avviddono dello inganno sotto i! quale erano vissuti, non furono a tempo a rimediarvi: tanta autorità aveva presa Roma con le provincie esterne, e tanta forza si trovava in seno, avendo la sua città grossissima ed armatissima. E ben- ché quelli suoi compagni, per vendicarsi delle ingiurie, gli congiurassino contea, furono in poco tempo perditori della guerra, peggiorando le loro condizioni; perchè di compagni, diventarono anco- ra loro sudditi. Questo modo di pro- cedere, come è detto, è stato solo os- servato da’ Romani: nè può tenere altro modo una repubblica che voglia am- pliare; perchè la esperienza non te ne ha mostro nessuno più certo o più vero. 11 modo preallegato delle leghe, come viverono i Toscani, gii Achei e gli Etoli, e come oggi vivono i Sviz- Digitized by Google LIBRO -SECONDO 341 zeri, è dopo a quello de’ Romani il miglior modo; perchè non si potendo con quello ampliare assai, ne seguitano duoi beni: l’ uno, che facilmente non ti tiri guerra addosso; l’altro, che quel tanto che tu pigli, lo tieni facilmente. La cagione del non potere ampliare, è lo essere una repubblica disgiunta, e posta in varie sedi: il che fa che diffi- cilmente possono consultare e deliberare. Fa ancora che non sono desiderosi di dominare: perchè essendo molte comu- nità a* participarc di quel dominio, non istimano tanto tale acquisto, quanto fa una repubblica sola, che spera di go- derselo tutto. Governansi, oltra di que- sto, per concilio, c conviene che siano più tardi ad ogni deliberazione, che quelli che abitano dentro ad un mede- simo cerchio. Vedesi ancora per espe- rienza, che simile modo di procedere ha un termine fisso, il quale non ci è esem- pio che mostri che si sia trapassato: e questo è di aggiugnere a dodici o quat- Digitized by Google 342 DEI DISCORSI tordici comunità ; dipoi non cercare di andare più avanti : percliè sendo giunti al grado che par loro potersi di- fendere da ciascuno, non cercano mag- giore dominio ; sì perchè la necessità non gli stringe di avere piò potenza; si per non conoscere utile negli acqui- sti, per le cagioni dette di sopra. Per- chè gli arebbono a fare una delle due cose; o seguitare di farsi compagni, e questa moltitudine farebbe confusione; o gli arebbono a farsi sudditi : e per- chè e’ veggono in questo difficultà, e non molto utile nel tenergli, non lo sti- mano. Pertanto, quando e’ sono venuti a tanto numero che paia loro vivere sicuri, si voltano a due cose: P una a ricevere raccomandati, e pigliare pro- tezioni ; c per questi mezzi trarre da ogni parte danari, i quali facilmente intra loro si possono distribuire: 1* al- tra è militare per altrui, e pigliar sti- pendio da questo e da quello principe che per sue imprese gli soldo ; come si Digitized by Google LIBRO SECONDO. ÓA'Ò vede che fanno oggi i Svizzeri, e come si legge che facevano i preallegati. Di che il* è testimone Tito Livio, dove dice che, venendo a parlamento Filippo re di Macedonia con Tito Quinzio Flammi- nio, e ragionando d'accordo alla pre- senza d’ un pretore degli Etoli ; in ve- nendo a parole detto pretore con Filip- po, gli fu da quello rimproverato la avarizia e la infidelità, dicendo che gli Etoli non si vergognavano militare con uno, e poi mandare loro uomini ancora al servigio del nimico ; talché molte volte intra dnoi contrari eserciti si ve- devano le insegne di Etolia. Conoscesi, pertanto, come questo modo di proce- dere per leghe, è stato sempre simile, ed ha fatto simili effetti. Vedesi ancora, che quel modo di fare sudditi è stato sempre debole, ed avere fatto piccoli profitti; e quando pure egli hanno pas- sato il modo, essere rovinati tosto. E se questo modo di fare sudditi è inutile nelle repubbliche armate, in quelle che Digitized by Google 34 Ì- DEI DISCORSI sono disarmate è inutilissimo: come sono state ne’ nostri tempi le repubbliche di Italia. Conoseesi, pertanto, essere vero modo quello che tennono i Romani 5 il quale è tanto più mirabile, quanto e’ non ee il’ era innanzi a Roma essempio, e do- po Roma non è stalo alcuno elio gli abbi imitati. E quanto alle leghe, si trovano solo i Svizzeri e la lega di Sve- via che gli imita. E, come nel fine di questa materia si dirà, tanti ordini os- servati da Roma, così pertinenti alle cose di dentro come a quelle di fuora, non sono ne* presenti nostri tempi non solamente imitati, ma non n’è tenuto alcuno conto ; giudicandoli alcuni non veri, alcuni impossibili, alcuni non a proposito ed inutili : tanto che standoci con questa ignoranza, siamo preda di qualunque ha voluto correre questa pro- vincia. E quando la imitazione de’ Ro- mani paresse difficile, non doverrebhe parere cosi quella degli antichi Toscani, massime a’ presenti Toscani. Perchè, se Digitized by Google •A-- LIBRO SECONDO. •345 quelli non poterono, per le cagioni dette, fare uno imperio simile a quel di Roma, poterono acquistare in Italia quella po- tenza che quel modo del procedere con- cesse loro. 11 che fu per un gran tempo securo, con somma gloria d’ imperio e d’arme, e massima laude di costumi e di religione. La qual potenza e gloria fu prima diminuita da’ Franciosi, dipoi spenta da’ Romani; e fu tanto spenta, che, ancora che duemila anni fa la po- tenza de’ Toscani fusse grande, al pre- sente non ce n’ è quasi memoria. La qual cosa mi ha fatto pensare donde nasca questa oblivione delle cose: come ' nel seguente capitolo si discorrerà. Gap. V. — Che la variazione delle sèlle e delle lingue insieme con l'acci- dente de' diluvi o delle pesti j spegno - la memoria delle cose. A quelli filosofi che hanno voluto che’l mondo sia stato eterno, credo che si Digitized by Google 346 dei discorsi potesse reificare, che se tanta antichità fusse vera, e’ sarebbe ragionevole che ci fusse memoria di più che cinque mila anni; quando e’ non si vedesse co- me queste memorie de* tempi per di- verse cagioni si spengano: delle quali parte vengono dagli nomini, parte dal cielo. Quelle che vengono dagli uomini, sono le variazioni delle sètte e delle lingue. Perchè quando surge una setta nuova, cioè una religione nuova, il pri- mo studio suo è, per darsi reputazione, estinguere la vecchia; e quando egli oc- corre che gli ordinatori delia nuova setta siano di lingua diversa, la spen- gono facilmente. La qual cosa si cono- sce considerando i modi che ha tenuti la religione cristiana contra alla setta gentile; la quale ha cancellati tutti gli ordini, tutte le ceremonie di quella, e spenta ogni memoria di quella antica teologia. Vero è che non gli è riuscito spegnere in tutto la notizia delle cose fatte dagli uomini eccellenti di quella : Digitized by Google LIBRO SECONDO. 347 il die è nato per avere quella mante- nuta la lingua latina ; il che fecero forzatamente, avendo a scrivere questa legge nuova con essa. Perchè, se V aves- sino potuta scrivere con nuova lingua, considerato le altre persecuzioni gli fe- ciono, non ci sarebbe ricordo alcuno delle cose passate. E chi legge i modi tenuti da san Gregorio e dagli altri capi della religione cristiana, vedrà con quanta ostinazione e’ perseguitarono tutte le memorie antiche, ardendo P o- pere de* poeti e delli istorici, minando le immagini, e guastando ogni altra cosa che rendesse alcun segno della antichità. Talché, se a questa persecuzione egli avessino aggiunto una nuova lingua, si sarebbe veduto in brevissimo tempo ogni cosa dimenticare. È da credere, pertanto, che quello che ha voluto fare la religione cristiana contra alla setta gentile, la gentile abbi fatto contra u quella che era innanzi a lei. E perchè queste sètte in cinque o in seimila anni ✓ Digitized by Google 348 DEI DISCORSI variarono due o tre volle, si perdè in memoria delle cose fatte innanzi a quel tempo. E se pure ne resta alcun segno, si considera come cosa favolosa, e non è prestato loro fede : come interviene alla istoria di Diodoro Siculo, che ben- ché e’ renda ragione di quaranta o cin- quanta mila anni, nondimeno è riputata, come io credo che sia, cosa mendace. Q uanto alle cause che vengono dal cie- lo, sono quelle che spengono la umana generazione, e riducono a pochi gli abi- tatori di parte del mondo. E questo viene o per peste o per fame o per una inondazione d* acque : e la più impor- tante è questa ultima, sì perchè la è più universale, sì perchè quelli che si salvano sono uomini tutti montanari e rozzi, i quali non avendo notizia di al- cuna antichità, non la possono lasciare a’ posteri. E se infra loro si salvasse alcuno che ne avesse notizia, per farsi riputazione e nome, la nasconde, e la perverte a suo modo ; talché ne resta V Digitized by Google LIBRO SECONDO. 349 solo a* successori quanto ei ne ha vo- luto scrivere, e non altro. E che queste inondazioni, pesti e fami venghino, non credo sia da dubitarne; sì perchè ne sono piene tutte le istorie, sì perchè si vede questo effetto della oblivione delle cose, sì perchè e’ pare ragionevole che sia: perchè la natura, come ne’ corpi semplici, quando vi è ragunato assai materia superflua, muove per sè mede- sima molte volte, e fa una purgazione, la quale è salute di quel corpo ; così interviene in questo corpo misto della umana generazione, che quando tutte le provincie sono ripiene di abitatori, in modo che non possono vivere, nè pos- sono andare altrove, per esser occupati e pieni tutti i luoghi; e quando la astu- zia e malignità umana è venuta dove la può venire, conviene di necessità che il mondo si purghi per uno de’ tre mo- di ; acciocché gli uomini essendo dive- nuti pochi e battuti, vivano più como- damente, e diventino migliori. Era Digitized by Google 350 DEI DISCORSI ' adunque, come di sopra è detto, già tu Toscana potente, piena di religione e di virtù ; aveva i suoi costumi e la sua lingua patria: il che tutto è stato spento dalla potenza romana. Talché, come si è detto, di lei ne rimane solo la memo- ria del nome. Cap. Vi. — Come i Romani procedevano nel fare la guerra. I 4 Avendo discorso come i Romani pro- cedevano nello ampliare, discorreremo ora come e’ procedevano nel fare la guerra ; ed in ogni loro azione si ve- drà con quanta prudenza ei diviarono dal modo universale degli altri, per fa- cilitarsi la via a venire a una suprema grandezza. La intenzione di chi fa guerra per elezione, o vero per ambi- zione, è acquistare e mantenere lo acqui- stato; e procedere in modo con esso, che I’ arricchisca c non impoverisca il paese e la patria sua. È necessario dun- Digitized by Google «■ i LIBRO SECONDO. 351 quc, e nello acquistare e nel mantene- re, pensare di non spendere; anzi far ogni cosa con utilità del pubblico suo. Chi vuol fare tutte queste cose, convie- ne che tenga lo stile e modo romano: il quale fu in prima di fare le guerre, come dicono i Franciosi, corte e gros- se; perchè, venendo in campagna con eserciti grossi, tutte le guerre eh’ egli ebbono co’ Latini, Sanniti e Toscani le espedirono in brevissimo tempo. E se si noteranno tutte quelle che feciono dal principio di Roma infino alla ossidione de’ Yeienti, tutte si vedranno espedite, quale in sei, quale in dieci, quale in venti di. Perchè l’uso loro era questo: subito che era scoperta la guerra, egli uscivano fuori con gli eserciti all’ in- contro del nimico, e subito facevano la giornata. La quale vinta, i nimici, per- chè non fussc guasto loro il contado affatto, venivano alle condizioni; ed i Romani gli condennavano in terreni: i quali terreni gli convertivano in privati Digitized by Google 35 2 DEI DISCORSI comodi, o gli consegnavano ad una co- lonia; la quale posta in su le frontiere di coloro, veniva ad esser guardia de’ con- fini romani, con utile di essi coloni, che avevano quelli campi, e con utile del pubblico di Roma, che senza spesa te- neva quella guardia. Nè poteva questo modo esser più seeuro, o più forte, o piu utile: perchè mentre che i nimici non erano in su i campi, quella guar- dia bastava : come e’ fussino usciti fuori grossi per opprimere quella colonia, ancora i Romani uscivano fuori grossi, e venivano a giornata con quelli; e fatta e vinta la giornata, imponendo loro più gravi condizioni, si tornavano in casa. Così venivano ad acquistare di mano in mano riputazione sopra di loro, e forze in sè medesimi. E questo modo vennono tenendo infino che mutorno modo di procedere in guerra: il che fu dopo la ossidione de’ Veienti ; dove, pei* potere fare guerra lungamente, gli or- dinarono di pagare i soldati, che pri- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 353 ma, per non essere necessario, essendo le guerre brevi, non gli pagavano. E benché i Rotflani dessino il soldo, e che per virtù di questo ei potessino fare le guerre più lunghe, e per farle più di- scosto la necessità gli tenesse più in su’ campi ; nondimeno non variarono mai dal primo ordine di finirle presto, secondo il luogo ed il tempo; nè varia- rono mai dal mandare le colonie. Per- chè nel primo ordine gli tenne, circa il fare le guerre brevi, olirà il loro na- turale uso, T ambizione de’ Consoli ; i quali avendo a stare un anno, e di quello anno sei mesi alle stanze, vole- vano finire la guerra per trionfare. Nel mandare le colonie, gli tenne 1’ utile e la comodità grande che ne risultava. Variarono bene alquanto circa le prede, delie quali non erano cosi liberali come erano stati prima ; sì perchè e* non pa- reva loro tanto necessario, avendo i sol- dati lo stipendio; sì perchè essendo le prede maggiori, disegnavano d* ingras- Macbiatelli, Discorsi. — 1. 23 Digitized by Googl DEI DISCORSI 'ÒÒ ì saie di quelle in modo il pubblico, che non lussino constretti a fare le imprese con tributi della città. li * quale ordine in poco tempo fece il loro erario ric- chissimo. Questi duoi modi, adunque, e circa il distribuire la preda, e circa il mandar le colonie, feciono che Roma ar- ricchiva della guerra j dove gli altri principi e repubbliche non savie ne impoveriscono. E ridusse la cosa in ter- mine, che ad un Consolo non pareva poter trionfare, se non portava col suo trionfo assai oro ed argento, e d’ ogni altra sorte preda, nello erario. Cosi i Romani con i soprascritti termini, e coti il finire le guerre presto, sendo con- tenti con lunghezza straccare i nemici, e con rotte e con le scorrerie e con accordi a loro avvantaggi, diventarono sempre più ricchi e più potenti. Digitized by Google LIBRO SECOXDO. 855 Cap. VII — Quanto terreno i Romani davano per colono. Quanto terreno i Romani distribuii- sino per colono, credo sia molto diffìcile trovarne la verità. Perchè io credo ne dessino più o manco, secondo i luoghi dove e* mandavano le colonie. E giudi- casi che ad ogni modo ed in ogni luogo la distribuzione fusse parca : prima, per poter mandare più uomini, sendo quelli diputati per guardia di quel paese; di- poi perchè vivendo loro poveri a caso, non era ragionevole che volessino che I loro uomini abbondassino troppo fuo- ra. E Tito Livio dice, come preso Veio e’ vi mandorno una colonia, e distribui- rono a ciascuno tre iugeri e sette once di terra; che sono al modo nostro . . Perchè, oltre alle cose soprascritte, e’ giudicavano che non lo assai terreno, ma il bene coltivato ba- stasse. È necessario bene, che tutta la Digitized by Google DEI DISCORSI 356 colonia abbi campi pubblici dove cia- scuno possa pascere il suo bestiame, e selve dove prendere del legname per ar- dere ; senza le quali cose non può una colonia ordinarsi. Gap. Vili. — La cagione perchè i po- poli si partono da * luoghi patriij cd inondano il paese altrui. Poiché di sopra si è ragionato del modo nel procedere della guerra osser- vato da’ Romani, c come i Toscani fu- rono assaltati da* Franciosi ; non mi pare alieno dalla materia discorrere, come e’ si fanno di due generazioni guerre. L’una è fatta per ambizione de* principi o delle repubbliche, che cercano di propagare lo imperio; come furono le guerre che fece Alessandro Magno, e quelle che fe- ciono i Romani, e quelle che fanno cia- scuno di, 1* una potenza con F altra. Le quali guerre sono pericolose, ma non cacciano al tutto gli abitatori d* una pro- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 357 vincia ; perchè e’ basta al vincitore solo la ubbidienza de’ popoli, e il più delle volte gli lascia vivere con le loro leggi, e sempre con le loro case, e ne’ loro beni. L’altra generazione di guerra è, quando un popolo intero con tutte le sue famiglie si beva d’ uno luogo, ne- cessitato o dalla fame o dalla guerra, e va a cercare nuova sede e nuova pro- vincia; non per comandarla, come quelli di sopra, ma per possederla tutta par- ticolarmente, e cacciarne o ammazzare gli abitatori antichi di quella. Questa guerra è crudelissima e paventosissima. E di queste guerre ragiona Salustio nel fine dell’ Iugurtiuo, quando dice che vinto lugurta, si senti il moto de’ Franciosi che venivano in Italia : dove e’ dice che ’l Popolo romano con tutte le altre genti combattè solamente per chi dovesse co- mandare, ma con i Franciosi si com- battè sempre per la salute di ciascuno. Perchè ad un principe o una repub- blica che assalta una provincia, basta Digitized by Google 358 DEI DISCORSI spegnere solo coloro che comandano ; ma a queste popolazioni conviene spegnere ciascuno, perchè vogliono vivere di quel- lo che altri viveva. I Romani ebbero tre di queste guerre pericolosissime. La prima fu quella quando Roma fu presa, la quale fu occupata da quei Franciosi che ave- vano tolto, come di sopra si disse, la Lombardia a’ Toscani, e fattone loro se- dia; della quale Tito Livio ne allega due cagioni: la prima, come di sopra si dis- se, che furono allettati dalla dolcezza delle frutte, c del vino di Italia, delle quali mancavano in Francia; la secon- da che, essendo quel regno francioso moltiplicato in tanto di uomini, che non vi si potevano più nutrire, giudicarono i principi di quelli luoghi, che fusse ne- cessario che una parte di loro andasse a cercare nuova terra; e fatta tale de- liberazione, elcssono per capitani di quelli che si avevano a partire, Bello- veso e Sicoveso, duoi re de’ Franciosi : de’ quali Belloveso venne in Italia, e Si» Digitized by Google LIBRO SECONDO. 359 coveso passò in Ispagna. Dalla passata del quale Belloveso, nacque la occupa- zione di Lombardia, c quindi la guerra che prima i Franciosi fecero a Roma. Dopo questa, fu quella che fecero dopo la prima guerra cartaginese, quando tra Piombino e Pisa ammazzarono più che dugentomila Franciosi. La terza fu quando i Todeschi e Cimbri vennero in Italia : i quali avendo vinti più eserciti romani, furono vinti da Mario. Vinsero adunque i Romani queste tre guerre pericolosis- sime. Ne era necessario minore virtù a vincerle; perchè si vede poi, come la virtù romana mancò, e che quelle arme perderono il loro antico valore, fu quello imperio distrutto da simili popoli : i quali furono Goti, Vandali c simili, che oc- cuparono tutto lo imperio occidentale. Escono tali popoli de* paesi loro, rome di sopra si disse, cacciati dalla neces- sitò: e la necessitò nasce o dalla fame, o da una guerra ed oppressione clic ne’ paesi propri è loro fatta; talché e’ Digitized by Google •360 DEI DISCORSI sono constretti cercare nuove terre. E questi tali, o e’ sono grande numero ; ed allora con violenza entrano ne' paesi altrui, ammazzano gli abitatori, posseg- gono i loro beni, fanno uno nuovo re- gno, mutano il nome della provincia: come fece Moisè, e quelli popoli che oc- cuparono lo imperio romano. Perchè que- sti nomi nuovi che sono nella Italia e nelle altre provincie, non nascono da altro che da essere state nomate così da’ nuovi occupatoci : come è la Lombardia, che si chiamava Gallia Cisalpina: la Francia si chiamava Gallia Transalpina, ed ora è nominata da’ Franchi, chè cosi si chia- mavano quelli popoli che la occuparono: la Schiavoniu si chiamava Illiria, l’Un- gheria Pannonia; l’Inghilterra Britan- nia: c molte altre provincie che hanno mutato nome, le quali sarebbe tedioso raccontare. Moisè ancora chiamò Giudea quella parte di Soria occupata da lui. E perchè io ho detto di sopra, che qual- che volta tali popoli sono cacciati della Digitized by Google LIBRO SECOSDO. 361 propria sede per guerra, donde -sono constretti cercare nuove terre; ne vo- glio addurre lo essempio de’ Maurusii, popoli anticamente in Soria : i quali, sen- - tendo venire i popoli ebraici, e giudi- cando non poter loro resistere, pensarono essere meglio salvare loro medesimi, t* lasciare il paese proprio, che per volere salvare quello, perdere ancora loro; e levatisi con loro famiglie, se ne anda- rono in Affrica, dove posero la loro se- dia, cacciando via quelli abitatori che in quelli luoghi trovarono. G così quelli che non avevano potuto difendere il loro paese, poterono occupare quello d’ altrui. E Procopio, che scrive la guerra che fece Bellisario co’ Vandali occupatori della Affrica, riferisce aver letto lettere scritte in certe colonne ne’ luoghi dove questi Maurusii abitavano, le quali dicevano : S os Maurusii , qui fugimus a facie Jesu latronis filii flava. Dove apparisce In cagione della partita loro di Soria. Sono, pertanto, questi popoli formidolosissimi, Digitized by Google 362 DEI DISCORSI sendo cacciati da una ultima necessità ; e s’ egli non riscontrano buone armi, non saranno mai sostenuti. Ula quando quelli che sono constretti abbandonare la loro patria non sono molti, non sono sì pe- ricolosi come quelli popoli di chi si è ragionato; perchè non possono usare tanta violenza, ma conviene loro con arte occupare qualche luogo, e, occupa- tolo, mantenervisi per via di amici e di confederali : come si vede che fece Enea, Didone, i Massiliesi e simili ; i quali lutti, per consentimento de’ vicini, dove e’ po- sorno, poterono mantenervisi. Escono i popoli grossi, e sono usciti quasi tutti de’ paesi di Scizia ; luoghi freddi e po- veri: dove, per essere assai uomini, cd il paese di qualità da non gli potere nu- trire, sono forzati uscire, avendo molte cose che gli cacciano, e nessuna che gli ritenga. E se da cinquecento anni in qua, non è occorso che alcuni di questi po- poli abbino inondato alcuno paese, è nato per più cagioni. La prima, la grande Digitìzed by Google LIBRO SECONDO. 363 evacuazione che fece quel paese nella declinazione dello imperio; donde usci- rono più di trenta popolazioni. La se- conda è che la Magna e 1’ Ungheria, donde ancora uscivano di queste genti, hanno ora il loro paese bonificato in modo, che vi possono vivere agiatamente; talché non sono necessitati di mutare luogo. Dall’ altra parte, sendo loro uomini bel- licosissimi, sono come uno bastione a tenere che gli Sciti, i quali con loro con- finano, non presumino di potere vincer- gli o passargli. E spesse volte occorrono movimenti grandissimi da’ Tartari, che sono dipoi dagli Ungheri e da quelli di Polonia sostenuti; e spesso si gloriano, che se non fussino 1’ arme loro, la Italia e la Chiesa arebbe molle volle sentito il peso degli eserciti tartari. E questo vo- glio basti quanto a’ prefati popoli. : ’j i < ; i.i Digitized by Google 364 DEI DISCORSI Cap. IX. — Quali cagioni comunemente faccino nascere le guerre intra i polenti. La cagione che fece nascere guerra intra i Romani ed i Sanniti, che erano stati in lega gran tempo, è una cagione comune che nasce infra tutti i princi- pati potenti. La qual cagione o la viene a caso, o la è fatta nascere da colui che desidera muovere la guerra. Quella che nacque intra i Romani ed i Sanniti, fu a caso; perchè la intenzione de’ Sanniti non fu, muovendo guerra a’Sidicini, e dipoi a’ Campani, muoverla ai Romani. .\Ia sendo i Campani oppressati, e ricor- rendo a Roma fuora della oppinione de’ Romani e de’ Sanniti, furono forzati, dandosi i Campani ai Romani, come cosa loro difendergli, e pigliare quella guerra che a loro parve non potere con loro onore fuggire. Perchè e’pareva benea’Ro- mani ragionevole non potere difendere i Campani come amici, eontra ai San- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 365 uiti amici, ma pareva ben loro vergo- gna non gli difendere come sudditi, ov- vero raccomandali; giudicando, quando e’ non avessino presa tal difesa, torre la via a tutti quelli che disegnassino ve- nire sotto la potestà loro. Ed avendo Roma per fine lo imperio e la gloria, e non la quiete, non poteva ricusare que- sta impresa. Questa medesima cagione dette principio alla prima guerra conira a’ Cartaginesi, per la difensione che i Romani presono de* Messinesi in Sicilia: la quale fu ancora a caso. Ma non fu già a caso di poi la seconda guerra che nacque infra loro; perchè Annibaie ca- pitano Cartaginese assaltò i Saguntini amici de’ Romani in Ispagna, non per offendere quelli, ma per muovere l’arme romane, ed avere occasione di combat- terli, c passare in Italia. Questo modo nello appiccare nuove guerre è stato sempre consueto intra i potenti, e che si hanno e della fede, e d’altro, qual- che rispetto. Perchè, se io voglio fare Digitized by Google DEI DISCORSI 366 guerra con uno principe, ed infra noi siano fermi capitoli per un gran tempo oservati, con altra giustificazione e con altro colore assalterò io un suo amico che lui proprio 5 sappiendo massime, che nello assaltare lo amico, o ci si risen- tirà, ed io arò V intento mio di fargli guerra ; o non si risentendo, si scuo- prirà la debolezza o la infidelità sua di non difendere un suo raccomandato. E 1’ una e I' altra di queste due cose è per torgli riputazione, e per fare più facili i disegni miei. Debbesi notare, adunque, e per la dedizione de' Campani, circa il muovere guerra, quanto di sopra si è detto; e di più, qual rimedio abbia una città che non si possa per sè stessa di- fendere, e voglisi difendere in ogni modo da quel clic l'assalta: il quale è darsi Uberamente a quello che tu disegni che ti difenda; come feciono i Capovani ai Romani, ed i Fiorentini al ré Roberto di Napoli : il quale non gli volendo di- fendere come amici, gli difese poi come Digitized by Google LIBRO SECONDO. 367 sudditi contra alle forze di Castruceio da Lucca, die gli opprimeva. CàP. X. — I danari non sono il nervo della guerra j secondo che è la comune oppi ninne. Perchè ciascuno può cominciare una guerra a sua posta, ma non finirla, debbe uno principe, avanti che prenda una im- presa, misurare le forze sue, e secondo quelle governarsi. Ma debbe avere tanta prudenza, che delle sue forze ei non s’inganni; ed ogni volta s’ingannerà, quando le misuri o dai danari, o dal sito, o dalla benivoienza degli uomini, mancando dall’ altra parte d’ arme pro- prie. Perchè le cose predette ti accre- scono bene le forze, ma le non te ne danno ; e per sè medesime sono nulla ; e non giovano alcuna cosa senza l’arme fedeli. Perchè i danari assai, non ti ba- stano senza quelle; non ti giova la for- tezza de! paese; e la fede ‘e benivoienza Digitized by Google 365> DE! DISCORSI degli uomini non dura, perchè questi non ti possono essere fedeli, non gli po- tendo difendere. Ogni monte, ogni lago, ogni luogo inaccessibile diventa piano, dove i forti difensori mancano. I danari ancora non solo non ti difendono, ina ti fanno predare più presto. Nè può es- sere più falsa quella comune oppinione che dice che i danari sono il nervo della guerra. La quale sentenza è detta da Quinto Curzio nella guerra che fu in- tra A'ntipatro macedone c il re spartano: dove narra, che per difetto di danari il re di Sparta fu necessitato azzuffarsi, e fu rotto; che se ei differiva la zuffa pochi giorni, veniva la nuova in Grecia della morte di Alessandro, donde e* sa- rebbe rimaso vincitore senza combattere. Ma mancandogli i danari, e dubitando che lo esercito suo per difetto di quelli non Io abbandonasse, fu constretto ten- tare la fortuna della zuffa: talché Quinto Curzio per questa cagione afferma, i da- nari essere il nervo della guerra. La Digitized by Google LIBRO SECONDO. .3 CU qual sentenza è allegata ogni giorno, v da’ principi non tanto prudenti che ba- sti, seguitata. Perchè, fondatisi sopra quella, credono che basti loro a difen- dersi avere tesori assai, e non pensano che se ’1 tesoro bastasse a vincere, che Dario arebbe vinto Alessandro, i Greci nrebbon vinti i Romani; ne’ nostri tempi il duca Carlo arebbe vinti i Svizzeri; e pochi giorni sono, il Papa ed i Fio- rentini insieme non arebbono avuta dif-, ficultà in vincere Francesco Maria, ni- pote di papa Giulio II, nella guerra di Urbino. Ma tutti i soprannominali fu- rono vinti da coloro che non il danaro, ma i buoni soldati stimano essere il ner- vo della guerra. Intra le altre cose che Creso re di Lidia mostrò a Solone ate- niese, fu un tesoro innumerabile ; c do- mandando quel che gli pareva della po- tenza sua, gli rispose Solone, che per quello non lo giudicava più potente; per- chè la guerra si faceva col ferro e non con P oro, e che poteva venire uno che HI ACHIAVELI.!t Discorsi. — 1. 2* Digitized by Google 370 DEI DISCORSI avesse piu ferro di lui, e torgliene. Ol- ir’ a questo, quando, dopo la morte di Alessandro Magno, una moltitudine di Franciosi passò in Grecia, e poi in Asia; e mandando i Franciosi oratori al re di Macedonia per trattare certo accordo ; quel re, per mostrare la potenza sua e per {sbigottirli, mostrò loro oro ed ar- gento assai: donde quelli Franciosi che di già avevano come ferma la pace, la j uppono ; tanto desiderio in loro crebbe di torgli quell’oro: e cosi fu quel re spogliato per quella cosa che egli aveva per sua difesa accumulata. 1 Yeniziani, pochi anni sono, avendo ancora lo era- rio loro pieno di tesoro, perderono tutto lo Stato, senza potere essere difesi da quello. Dico pertanto, non l’ oro, come grida la comune oppinione, essere il nervo della guerra, ma i buoni soldati : perchè 1’ oro non è suflìzienle a trovare i buoni soldati, ma i buoni soldati son ben sutlìzienti a trovare l’ oro. Ai Ro- mani, s’egli avessero voluto fare la guerra Digitized by Google LIDHO SECONDO. 371 più con i danari che con ii ferro, non sarebbe bastato avere tutto il tesoro del . mondo, considerato le grandi imprese che fcciono, e le difficoltà che vi ebbono dentro. Ma facendo le loro guerre con il ferro, non patirono mai carestia del- l' oro; perchè da quelli cheli temevano era portato Toro infino ne’ campi. E se quel re spartano per carestia di danari ebbe a tentare la fortuna della /uffa, intervenne a lui quello, per conto de’da- nari, che molte volte è intervenuto per altre cagioni; perchè si è veduto che, mancando ad uno esercito le vettovaglie, ed essendo necessitati o a morire di fame o azzuffarsi, si piglia il partito sempre di azzuffarsi, per essere più ono* revole, e dove la fortuna ti può in qual- che modo favorire. Ancora è interve- nuto molte volte, che veggendo uno capitano al suo esercito nimico venire soccorso, gli conviene o azzuffarsi con quello e tentare la fortuna della zuffa ; o aspettando eh’ egli ingrossi, avere a Digitized by Google 372 DEI DISCORSI combattere in ogni modo, con mille suoi disavvantaggi. Ancora si è visto (come intervenne ad Asdrubale quando nella Marca fu assaltato da Claudio Verone, insieme con l’altro Consolo romano), che un capitano che è necessitato o a fug- girsi o a combattere, come sempre elegge il combattere ; parendogli in questo par- tito, ancora che dubbiosissimo, potere vincere; ed in quello altro, avere a per- dere in ogni modo. Sono, adunque, molte necessitati che fanno a uno capitano fuor della sua intenzione pigliare partito di azzuffarsi; intra le quali qualche volta può essere la carestia de’ danari : nè per questo si debbono i danari giudicare essere il nervo della guerra, più che le altre cose che inducono gli uomini n simile necessità. Non è, adunque, repli- candolo di nuovo. 1’ oro il nervo della » guerra; ma i buoni soldati. Son bene necessari i danari in secondo luogo, ina è una necessità che i soldati buoni per sè medesimi la vincono; perchè è ini- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 373 possibile che a’ buoni soldati manchino i danari, come che i denari pei* loro medesimi truovino i buoni soldati. Mo- stra questo che noi diciamo essere vero, ogni istoria in mille luoghi; non ostante che Pericle consigliasse gli Ateniesi a fare guerra con tutto il Peloponneso, mostrando che e* potevano vincere quella guerra con la industria e con la forza del danaio. E benché in tale guerra gli Ateniesi prosperassino qualche volta, in ultimo la perderono; e valsoti più il con- siglio e gli buoni soldati di Sparta, che la industria ed il danaio di Atene. Ma Tito Livio è di questa oppinione più vero testimone che alcuno altro, dove discor- rendo se Alessandro Magno fusse venuto in Italia, s’ egli avesse vinto i Romani, mostra esser tre cose necessarie nella guerra ; assai soldati e buoni, capitani prudenti, e buona fortuna : dove esami- nando quali o i Romani o Alessandro prevalessino in queste cose, fa dipoi la sua conclusione senza ricordare mai i Digitized by Google 374 DEI DISCORSI danari. Doverono i Capovani, quando furono ricfiiesti da’ Sidicini che prendes- sino T arme per loro contea ai Sanniti, misurare la potenza loro dai danari, c non dai soldati: perchè, preso ch’egli ebbero partito di aiutarli, dopo due rotte furono constretti farsi tributari de’ Ro- mani, se si vollono salvare. Cap. Xf. — Non è partito prudente fa- re amicizia con un principe che abbia più oppinionc che forze. Volendo Tito Livio mostrare lo erro- re de’ Sidicini a fidarsi dello aiuto de’ Campani, e lo errore de’ Campani a credere potergli difendere, non lo po- trebbe dire con più vive parole, dicen- do: Campani magie nomen in auxilium Sidicinorunij quam vires ad prcesidium atlulcrunl. Dove si debbe notare, che le leghe si fanno co’ principi che non ab- bino o comodità di aiutarti per la di- stanzia del sito, o forze di farlo per suo Digitized by Google LIBRO SECONDO. 375 disordine o altra sua cagione, arrecano più fama che aiuto a coloro ehe se ne fidano: come intervenne ne’ dì nostri a* Fiorentini, quando, nel 147£t, il papa ed il re di Napoli gli assaltarono; che essendo amici del re di Francia, tras- sono di quella amicizia magis nomcn , r/nam praesidium : come interverrebbe ancora a quel principe, che confidatosi di Massimiliano imperatore, facesse qual- che impresa; perchè questa è una di quelle amicizie che arrecherebbe a chi la facesse magis nomcn 9 quam prassi - ditinij come si dice in questo testo, che arrecò quella de’ Capovani ai Sidicini. Errarono, adunque, in questa parte i Capovani, per parere loro avere più forze che non avevano. E così fa la poca prudenza delti uomini qualche vol- ta, che non sappiendo nè potendo di- fendere sè medesimi, vogliono prendere imprese di difendere altrui : come fece- ro ancoro i Tarentini, i quali, sendo gli eserciti romani allo Incontro dello eser- Digitized by Google 376 DEI DISCORSI cito de’ Sanniti, mandorono ambasciadori al Consolo romano, a fargli intendere come ci volevano pace intra quelli duoi popoli, e come erano per fare guerra centra a quello che dalla pace si di- scostasse*, talché il Consolo, ridendosi di questa proposta, alla presenza di detti ambasciadori fece sonare a batta- glia, ed al suo esercito comandò che andasse a trovare il nimico, mostrando ai Tarentini con 1’ opera, e non con le parole, di che risposta essi erano de- gni. Ed avendo nel presente capitolo ragionato dei parliti che pigliano i prin- cipi al contrario per la difesa d’ altrui, voglio nel seguente parlare di quelli che si pigliano per la difesa propria. Cap. XII. — Scegli è meglio , temendo di essere assaltalo > inferire , o aspet- tare la guerra. lo lio sentito da uomini assai prati- chi nelle cose della guerra qualche volta Digitized by Google LIBRO SECONDO. 377 disputare, se sono duoi principi quasi di eguali forze, se quello più gagliardo abbi bandito la guerra contra a quello altro, quale sia miglior partito per Pol- tro; o aspettare il nimico dentro ai con- fini suoi, o andarlo a trovare in casa, ed assaltare lui: e ne fio sentito ad- durre ragioni da ogni parte. E chi di- fende lo andare assaltare altrui, nc al- lega il consiglio che Creso dette a Ciro, quando arrivato in su* confini de’ Mas- sageli per fare lor guerra, la lor re- gina Tarniri gli mandò a dire, che eleg- gesse quale de' duoi partiti volesse; o entrare nel regno suo, dovè essa Ip aspetterebbe; o volesse che ella venisse a trovar lui. E venuta la cosa in di- sputazionc, Creso, contra alla oppinione degli altri, disse che si andasse a tro- var lei ; allegando che se egli la vin- cesse discosto al suo regno, che non gli torrebbe il regno, perchè ella arebbe tempo a rifarsi; pia se la vincesse den- tro a’ suoi confini, potrebbe seguirla in Digitized by Google DEI DISCORSI 378 su la fuga, e non le dando spazio a rifarsi, torli io Stato. Allegane ancora il consiglio che dette Annibaie ad Antioco, quando quel re disegnava fare guerra ai Romani: dove ei mostrò come i Ro- mani non si potevano vincere se non in Italia, perchè quivi altri si poteva valere delle arme e delle ricchezze e degli amici loro ; chi gli combatteva fuora d’ Italia, e lasciava loro la Italia libera, lasciava loro quella fonte, che mai li mancava vita a somministrare forze dove bisogna ; e conchiuse che ai Romani si poteva prima torre Roma che lo imperio; prima la Italia che le altre provincie. Allega ancora Agatocle. che non potendo sostenere la guerra di casa, assaltò i Cartaginesi clic glieuc facevano, e gli ridusse a domandare pace. Allega Scipione, che per levare la guerra d’ Italia, assaltò la Affrica. Chi parla al contrario dice, che chi vuole fare capitare male uno nimico, lo di- scosti da casa. Allegane gli Ateniesi, Digitized by Google LIBRO SECONDO. 379 che mentre che feciono la guerra co- moda alla casa loro, restarono superio- ri; e come si discostarono, ed andaro- no con gli eserciti in Sicilia, perderono la libertà. Allega le favole poetiche, dove si mostra che Anteo, re di Libia, assal- tato da Ercole Egizio, fu insuperabile mentre che Io aspettò dentro a* confini del suo regno; ma come e’ se ne disco- sto per astuzia di Ercole, perdè lo Stalo e la vita. Onde è dato luogo alla favola di Anteo, che sendo in terra ripigliava le forze da sua madre, che era la Ter- ra; e che Ercole avvedutosi di questo, lo levò in alto, e discostollo dalla terra. Allegane ancora i giudizi moderni. Cia- scuno sa come Ferrando re di .Napoli fu ne’ suoi tempi tenuto uno savissimo principe: e venendo la fama, duoi anni avanti la sua morte, come il re di Fran- cia Carlo Vili voleva venire ad assal- tarlo, avendo fatte assai preparazioni, ammalò; e venendo a morte, intra gli altri ricordi che lasciò ad Alfonso suo Digitized by Google 380 DEI DISCORSI figliuolo, fu che egli aspettasse il ni- mico dentro al regno; e per cose del mondo non traesse forze fuori dello Stato suo, ma lo aspettasse dentro ai suoi confini tutto intero; il che non fu osservato da quello; ma mandato uno esercito in Romagna, senza combattere perdè quello c lo Stato. Le ragioni che, oltre alle cose dette, da ogni parte si adducono, sono : che chi assalta viene con maggiore animo che chi aspetta, il che fa più confidente lo esercito; toglie, oltra di questo, molte comodità al ni- mico di potersi valere delle sue cose, non si potendo valere di quei sudditi che sieno saccheggiati; e per avere il nimico in casa, è constretto il signore avere più rispetto a trarre da loro da- nari ed affaticargli : sicché e’ viene a seccare quella fonte, come dice Anniba- ie, che fa che colui può sostenere la guerra. Oltre di questo, i suoi soldati, per trovarsi ne* paesi d’ altrui, sono più necessitati a combattere; e quella nc- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 3S1 cessila fa virtù, come più volte abbia- mo detto. Dall’ altra parte si dice ; come aspettando il nimico, si aspetta con as- sai vantaggio, perchè senza disagio alcuno tu puoi dare a quello molti di- sagi di vettovaglia, e d’ ogni altra cosa che abbia bisogno uno esercito : puoi meglio impedirli i disegni suoi, per la notizia del paese cheta hai più di lui: puoi con più forze incontrarlo, per po- terle facilmente tutte unire, ma non po- tere già tutte discostarle da casa: puoi sendo rotto rifarti facilmente; sì perchè del tuo esercito se ne salverà assai, per avere i rifugi propinqui; si perchè il supplemento non ha a venire disco- sto: tanto che tu vieni arrischiare tutte le forze, e non tutta la fortuna ; e di- scostandoti, arrischi tutta la fortuna, e non tutte le forze. Ed alcuni sono stati che per indebolire meglio il suo nimi- co, Io lasciano entrare parecchie gior- nate in su il paese loro, e pigliare assai terre; acciò che lasciando i presidii in Digitized by Google 382 DEI DISCORSI tutte, indebolisca il suo esercito, e pos- siulo dipoi combattere più facilmente. Ma, per dire ora io quello che io ne intendo, io credo che si abbia a fare que- sta distinzione: o io ho il mio paese armato, come i Romani, o come hanno i Svizzeri; o io l’ho disarmato, come avevano i Cartaginesi, o come Y hanno i re di Francia e gli Italiani. In questo caso, si debbe tenere il nimico discosto a casa; perchè scudo la tua virtù nel danaio e non negli uomini, qualunque volta ti è impedita la via di quello, tu sei spacciato; nè cosa veruna te lo im- pedisce quanto la guerra di casa. In es- sempi ci sono i Cartaginesi; i quali mentre che ebbero la casa loro libera, poterono con le rendite fare guerra con i Romani; e quando la avevano assal- tata, non potevano resistere ad Agato- eie. I Fiorentini non avevano rimedio ulcuuo con Castruccio signore di Lucca, perchè ci faceva loro la guerra in casa; tanto che gli ebbero a darsi, per essere Digitized by Google LIBRO SECONDO. 383 difesi, al re Roberto di Napoli. Ma morto Castruccio, quelli medesimi Fiorentini ebbero animo di assaltare il duca di Milano in casa, ed operare di torgli il regno: tanta virtù monstrarono nelle guerre louginque, e tanta viltà nelle propinque. Ma quando i regni sono ar- mati, come era armata Roma e come sono i Svizzeri, sono più difficili a vin- cere quanto più ti appressi loro: perchè questi corpi possono unire più forze a resistere ad uno impeto, che non pos- sono ad assaltare altrui. Nè mi muove in questo caso I’ autorità di Annibaie, perchè la passione e Y utile suo gli fa- ceva cosi dire ad Antioco. Perchè, se i Romani avessino avute in tanto spazio di tempo quelle tre rotte in Francia* ch’egli ebbero in .Italia da Annibaie, senza dubbio erano spacciati: perchè non si sarebbono valuti de’ .residui de- gli eserciti, come si valsono in Italia; non arebbono avuto a rifarsi quelle co- modità; nè potevano con quelle forze * Digitized by Google DEI DISCORSI 384 resistere ai nimico, che poterono. Non si trova che, per assaltare una provin- cia, loro mandassino mai fuora eserciti clic passassino cinquantamila persone; ma per difendere la casa ne misono in arme conira ai Franciosi, dopo la prima guerra punica, diciotto centinaia di mi- gliaia. Nè arebbono potuto poi romper quelli in Lombardia, come gli ruppono in Toscana; perchè contro a tanto nu mero di ninnici non arebbono potuto condurre tante forze sì discosto, nè com- battergli con quella comodità. I Cimbri ruppono uno esercito romano in la Ma- gna, nè vi ebbono i Romani rimedio. Ma come egli arrivorono in Italia, e che poterono mettere tutte le loro forze in- sieme, gli spacciarono. I Svizzeri è fa- cile vincergli fuori di casa, dove e’ non possono mandare più che un trenta o quarantamila uomini; ma vincergli in casa, dove e’ ne possono raccozzare cen- tomila, è difficilissimo. Conchiuggo adun- que di nuovo, che quel principe che ha \ Digitized by Google LIBRO SECONDO. 385 i suoi popoli armati ed ordinali alla guerra, aspetti sempre in casa una guerra potente e pericolosa, e non la vadia a rincontrare: ma quello che ha i suoi sudditi disarmati, ed il paese inusitato della guerra, se la discosti sempre da casa il più che può. E così r uno e l* altro, ciascuno nel suo grado, si difenderà meglio. Gap. XIII. — Che si viene di bassa a gran fortuna più con la fraude, che con la forza. Io stimo essere cosa verissima, che rado, o non mai, intervenga che gli uomini di piccola fortuna venghino a gradi grandi, senza la forza e senza la fraude; purché quel grado al quale al- tri è pervenuto, non ti sia o donalo, o lasciato per eredità. Xè credo si truovi mai che la forza sola basti, ma si tro- verà bene che la fraude sola basterà: còme chiaro vedrà colui che leggerà la Machiavelli, Discorsi — i. 25 Digitized by Google 3S6 DEI DISCORSI vita di Filippo di Macedonia, quella di Agatocle siciliano, e di molti altri simili, che d’ infima ovvero di bassa fortuna, sono pervenuti o a regno o ad imperi grandissimi. Mostra Senofonte, nella sua vita di Ciro, questa necessità delio in- gannare; consideralo che la prima ispe- dizione che fa fare a Ciro contea il re di Armenia, è piena di fraude, e come con inganno, e non con forza, gli fa oc- cupare il suo regno; e non conchiude altro per tale azione, se non che ad un principe che voglia fare gran cose, è necessario imparare a ingannare. Fagli, olirà di questo, ingannare Ciassare, re de’ .Medi, suo zio materno, in più modi; senza la quale fraude mostra che Ciro non poteva pervenire a quella gran- dezza che venne. Nè credo che si truovi mai alcuno constiluito in bassa fortuna, pervenuto a grande imperio solo con la forza aperta ed ingenuamente, ma sì bene solo con la fraude : come fece Gio- vanni Galeazzo per tor lo Stato e lo Digilized by Google LIBRO SECONDO. 387 imperio di Lombardia a messer Bernabò suo zio. E quei che sono necessitati fare i principi ne’ principi! degli augumenti loro, sono ancora necessitate a fare le repubbliche, infimo che le sieno diven- tate potenti, e che basti la forza sola. E perchè Roma tenne in ogni parte, o per sorte o per elezione, tutti i modi necessari a venire a grandezza, non mancò ancora di questo. Nè potè usare, nel principio, il maggiore inganno, che pigliare il modo di sopra discorso da noi, di farsi compagni ; perchè sotto questo nome se li fece servi: come fu- rono i Latini, ed altri popoli all’ intor- no. Perchè prima si valse dell* arme loro in domare i popoli convicini, e pigliare la riputazione dello Stato: dipoi, doma- togli, venne in tanto augumento, che la poteva battere ciascuno. Ed i Latini non si avviddono mai di essere al tutto servi, se non poi che viddono dare due rotte ni Sanniti, e costrettigli ad accordo. La (piale vittoria, come ella accrebbe gran Digitized by Google DEI DISCORSI !i88 riputazione ai Romani eoi principi lon- ginqui, clic mediante quella sentirono il nome romano e non l’armi; così ge- nerò invidia e sospetto in quelli che vedevano e sentivano l’armi, intra i quali furono i Latini. E tanto potè que- sta invidia e questo timore, che non solo i Latini, ma le colonie che essi ave- vano in Lazio, insieme con i Campani, stati poco innanti difesi, congiurarono contra al nome romano. E mossono que- sta guerra i Latini nel modo che si dice di sopra, che si muovono la maggior parte delle guerre, assaltando non i Ro- mani, ma difendendo i Sidicini contra ai Sanniti; a’ quali i Sanniti facevano guerra con licenza de’ Romani. E che sia vero che i Latini si movessino per avere conosciuto questo inganno, lo dimostra Tito Livio nello bocca di Annio Setiuo pretore latino, il quale nel consiglio loro disse queste parole : Nam, si ctìam mine sub umbra feederis cequi servilutem pati « possumus ctc. Yedesi pertanto i Romani Digitized by Google LIBRO SECONDO. 3K9 ne’ primi augumenti loro non essere mancati eziam della fraude; la quale fu sempre necessaria ad usare a coloro che di piccoli principii vogliono a su- blimi gradi salire : la quale è meno vi- tuperabile quanto è più coperta, come fu questa de’ Romani. « Gap. XIV. — Ingannatisi molte volle gli uomini j credendo con la umilila vin- cere la superbia. Vedesi molle volte come la umilila non solamente* non giova, ma nuoce, massi- mamente usandola con gli uomini in- solenti, che, o per invidia o per altra cagione, hanno concetto odio teco. Di che ne fa fede lo istorico nostro in que- sta cagione di guerra intra i Romani ed i Latini. Perchè, dolendosi i Sanniti con i Romani, che i Latini gli avevano assaltati, i Romani non vollono proibire ai Latini tal guerra, desiderando non gli irritare: il che non solamente non Digitized by Google DEI DISCORSI 390 gli irritò, ma gli fece diventare più ani- mosi contro a loro, e si scopersono più presto inimici. Di che ne fanno fede le parole usate da! prefato Annio pretore latino nel medesimo concilio, dove dice: Tentaslis patientiam negando mililem: (jais dubitai cxarsisse eos ? Pcrtulerunt (amen hunc dolorem. Excrcitus nos pa- rare adversus Snmnilcs feederatos suos audierunl, ncc mnverunt se ab urbe. I Inde hcec illis tanta modestia j, ni si a eonscienlia virium , et n os trarum , et suarum? Conoscesi, pertanto, chiaris- simo per questo testo, quanto la pa- zienza de’ Romani accrebbe P arroganza de’ Latini. E però, mai uno principe debbe volere mancare del grado suo, e non debbe mai lasciare alcuna cosa d’ac- cordo, volendola lasciare onorevolmente, se non quando e’ la può, o e’ si crede che la possa tenere : perchè gli è me- glio quasi sempre, sendosi condotta la cosa in termine che tu non la possa la- sciare nel modo detto, lasciarsela torre Digilized by Google LIBRO SECONDO. 391 con le forze, che con la paura delle forze. Perchè se tu la lasci con In paura, lo fai per levarli la guerra, ed il più delle volte non te la lievi: perche colui a chi tu arai con una viltà scoperta concesso quella, non starà saldo, rao ti vorrà torre delle altre cose, e si accen- derà più contra di te, stimandoti meno; e dall'altra parte, in tuo favore trove- rai i difensori più freddi, parendo loro che tu sia o debole, o vile: ma se tu, subito scoperta la voglia dello avversa- rio, prepari le forze, ancoraché le siano inferiori a lui. quello ti comincia a sti- mare; stimanti più gli altri principi allo intorno; ed a tale viene voglia di aiutarti, sendo in su P arme, che ab- bandonandoti non ti aiuterebbe mai. Questo si intende quando tu abbia uno inimico; ma quando ne avessi più, ren- dere delle cose che tu possedessi ad al • euno di loro per riguadagnarselo, an- coraché fusse di già scoperta la guerra, e per smembrarlo dagli altri confede- Digitized by Google 392 DEI DISCORSI rati tuoi inimici, fia sempre partito pru- dente. ( ì a p . XV. — Gli Stati deboli sempre fieno ambigui nel risolversi : e sem- pre le deliberazioni lente sono nocive. in questa medesima materia, ed in questi medesimi principi! di guerra in- tra i Latini ed i Romani, si può notare come in ogni consulta è bene venire allo individuo di quello die si ha a delibe- rare, e non stare sempre in ambiguo, nè in su lo incerto della cosa. Il che si vede manifesto nella consulta che fe- ciono i Latini, quando c’pensavano alie- narsi da’ Romani. Perchè avendo presen- tito questo cattivo umore che ne’ popoli latini era entrato, i Romani, per eerti- ficarsi della cosa, c per vedere se po- tevano senza mettere mano all’arme ri- guadagnarsi quelli popoli, fecero loro intendere, come e’ mandassero a Roma otto cittadini, perchè avevano a consul- Digitized by Google libro si.condo. 393 lare con loro. I Latini, inteso questo ed avendo conscienza di molte cose fatte centra alla voglia de’ Romani, fcciono consiglio per ordinare chi dovesse ire a Roma, e dargli commissione di quello ch’egli avesse a dire. E stando nel con- siglio in questa disputa, Annio loro pre- tore disse queste parole: Ad sumiuam veruni nostrarum pertinerc arbitrar , ut vogilctis magis , quid agendum nobis, quam quid loqucndum sii. Facile crii, cxphcatis consiliis j accommodarc rebus nerba. Sono, senza dubbio, queste pa- role verissime, e debbono essere da ogni principe e da ogni repubblica gustate : perchè nella ambiguità e nella incerti- t udine di quello che altri voglia fare, non si sanno accomodare le parole; ma fermo una volta 1’ animo, e deliberalo quello sia da eseguire, è facil cosa tro- varvi le parole, lo ho notato questa parte più volentieri, quanto io ho molte volte conosciuto tale ambiguità avere nociuto alle pubbliche azioni, con danno Digitized by Google 394 DEI Disconsi i* con vergogna della repubblica nostra. E sempre mai avverrà, che ne* partiti ilubbii, e dove bisogni animo a delibe- rargli, sarà questa ambiguità, quando abbino ad esser consigliati e deliberati da uomini deboli. Non sono meno nocive ancora le deliberazioni lente e tarde, che ambigue ; massime quelle che si hanno a deliberare in favore di alcuno amico : perchè con la lentezza loro non si aiuta persona, e nuocesi a sè mede- simo. Queste deliberazioni così fatte pro- cedono o da debolezza di animo e ili forze, o da malignità di coloro che hanno a deliberare; i quali, mossi dalla pas- simi propria di volere rovinare lo Stato o adempire qualche suo desiderio, non lasciano seguire la deliberazione, ma la impediscono e la attraversano. Perchè i buoni cittadini, ancora che vegghino una foga popolare voltarsi alla parte perni- ciosa, mai impediranno il deliberare, massime di quelle cose che non aspet- tano tempo. Morto che fu Girolamo li- Digitized by Googl LIBRO SECONDO. 395 ranno in Siracusa, essendo la guerra grande intra i Cartaginesi ed i Romani, vennono i Siracusani in disputa se do- vevano seguire V amicizia romana o la cartaginese. E tanto era lo ardore delle parti, che la cosa stava ambigua, uè se ne prendeva alcuno partito; insino a tanto che Apollonide, uno de’ primi in Siracusa, con una sua orazione piena di prudenza, mostrò come non era da biasmare chi teneva E oppinione ili ade- rirsi ai Romani, nè quelli che volevano seguire la parte cartaginese; ma era bene da detestare quella ambiguità e tardità di pigliare il partito, perchè ve- deva al tutto in tale ambiguità la ro- vina della repubblica; ma preso che si fusse il partito, qualunque e’ si fosse, si poteva sperare qualche bene. Nè po- trebbe mostrare più Tito Livio che si faccia in questa parte, il danno che si tira dietro lo stare sospeso. Dimostralo ancora in questo caso de’ Latini : per- chè, sendo i Latini ricerchi da loro Digitìzed by Google LIBRO SECONDO. 307 gli stessine neutrali, e che il re ve- nendo in Italia gli avesse a mantenere nello Stato e ricevere in proiezione: e dette tempo un mese alla città a rati- ficarlo. Fu differita tale ratificazione da chi per poca prudenza favoriva le cose di Lodovico: intantoehè, il re già sendo in su la vittoria, e volendo poi i Fio- rentini ratificare , non fu la ratifica- zione accettata ; come quello che conobbe i Fiorentini essere venuti forzati, e non voluntari nella amicizia sua. Il che costò alla città di Firenze assai danari, e fu per perdere lo Stato : come poi altra volta per simile causa li intervenne. E tanto più fu dannabile quel partito, per- chè non si servi ancora il duca Lodo- vico; il quale se avesse vinto, arebbe mostri molti più segni di inimicizia con- ira ai Fiorentini, che non fece il re. E benché del male che nasce alle repub- bliche di questa debolezza se ne sia di sopra in uno altro capitolo discorso; nondimeno, avendone di nuovo occasione Digitized by Google DEI DISCORSI 398 per un nuovo accidente, ho voluto re- plicarne', parendomi, massime, materia che debba esser dalie repubbliche simili alla nostra notala. Gap. XVI. — Quanto i soldati ne’ nostri tempi si disformino dalli anttcht or- dini. ha più importante giornata che fu mai fatta in alcuna guerra con alcuna na- zione dal Popolo romano, fu questa che ei fece con i popoli latini, nel consolato di Torquato e di Decio. Perchè ogni ra- gione vuole, che cosi come i Latini per averla perduta diventarono servi, così sarebbono stati servi i Romani, quando non la avessino vinta. E di questa op- pinone è Tito Livio; perchè in ogni parte fa gli eserciti pari di ordine, di virtù, di ostinazione c di numero : solo vi fa differenza, che i capi dello esercito romano furono più virtuosi che quelli dello esercito latino. Yedesi ancora come Digitized by Google LIBRO SECOSDO. 399 nel maneggio di questa giornata nacque- ro duoi accidenti non prima nati, e che dipoi hanno rari esempi: che de’ duoi Consoli, per tenere fermi gli animi de’ soldati, ed ubbidienti al comanda- mento loro, e diliberati al combattere, 1’ uno ammazzò sè stesso, e I’ altro il figliuolo. La parità, che Tito Livio dice essere in questi eserciti, era che, per avere militato gran tempo insieme, erano pari di lingua, d’ ordine e d’ arme: per- chè nello ordinare la zuffa tenevano uno modo medesimo $ e gli ordini ed i capi degli ordini avevano medesimi nomi. Era dunque necessario, sondo di pari forze e di pari virtù, che nascesse qual- che cosa istraordinaria, che fermasse e facesse più ostinati gli animi dell’ uno che dell’altro: nella quale ostinazione consiste, come altre volte si è detto, la vittoria; perchè, mentre che la dura ne’ petti di quelli che combattono, mai non danno volta gli eserciti. E perchè la durasse più ne’ petti de’ Romani che Digitized by Google 400 DEI DISCORSI de’ Latini, parte la sorte, parte la virtù de’ Consoli fece nascere, che Torquato ebbe ad ammazzare il figliuolo, e Decio sè stesso. Mostra Tito Livio, nel mo- strare questa purililà di forze, tutto l’ ordine che tenevano i Romani nelli eserciti e nelle zuffe. Il quale esplicando egli largamente, non replicherò altri- menti; ma solo discorrerò quello che io vi giudico notabile, e quello che per es- sere negletto da tutti i capitani di que- sti tempi, ha fatto negli eserciti e nelle zuffe di molti disordini. Dico, adunque, che per il testo di Livio si raccoglie, come lo esercito romano aveva tre di- visioni principali, le quali toscanamente si possono chiamare tre schiere; e no- minavano la prima astati, la seconda principi, la terza triarii: e ciascuna di queste aveva i suoi cavalli. Nello ordi- nare una zuffa, ei mettevano gli astati innanzi ; nel secondo luogo, per diritto, dietro alle spalle di quelli, ponevano i principi ; nel terzo, pure nel mede»imo Digilized by Google LIBRO SECONDO. 401 filo, collocavano i triadi. I cavalli di tulli questi ordini gli ponevano a destra ed a sinistra di queste tre battaglie; le schiere de’ quali cavalli, dalla forma loro e dal luogo, si chiamavano alce , perchè parevano come due alie di quel corpo. Ordinavano la prima schiera delli astati, che era nella fronte, serrata in modo insieme che la potesse spignere e so- stenere il nimico. La seconda schiera de’ principi, perchè non era la prima a combattere, ma bene le conveniva soc- correre alla prima quando fusse battuta o urtata, non la facevano stretta, ma mantenevano i suoi ordini radi, e di qualità che la potesse ricevere in sè senza disordinarsi la prima, qualunque volta, spinta dal nimico, fusse necessi- tata ritirarsi. La terza schiera de* triadi aveva ancora gli ordini più radi che la seconda, per potere ricevere in sè, bi- sognando, le due prime schiere de’ prin- cipi e degli astati. Collocate, dunque, queste schiere in questa forma, appic- ci ACHIAVELLI, Discorsi.— 1. 20 Digitized by Google 402 DEI DISCORSI cavano la zuffa : e se gli astati erano sforzati o vinti, si ritiravano nella ra- dila degli ordini de’ principi ; e tutti insieme uniti, fatto di due schiere un J corpo, rappiccavano la zuffa: se questi ancora erano ributtati e sforzati, si ri- tiravano tutti nella radila degli ordini de* trioni; e tutte tre le schiere diven- tate un corpo, rinnovavano la zuffa : dove essendo superati, per non avere più da rifarsi, perdevano la giornata. E perchè ogni volta che questa ultima schiera de’ triarii si adoperava, lo eser- cito era in pericolo, ne nacque quel pro- verbio: Res redacta est ad triarios ; che ad uso toscano vuol dire: Noi abbiamo messo I’ ultima posta. I capitani dei no- stri tempi, come egli hanno abbando- nato tutti gli altri ordini, e della antica disciplina ei non ne osservano parte al- cuna, cosi hanno abbandonata questa parte, la quale non è di poca impor- tanza: perchè chi si ordina da potersi nelle giornate rifare tre volte, ha ad Digitized by Google LIBRO SECONDO. 40.3 avere tre volte inimica la fortuna a vo- lere perdere, ed ha ad avere per riscon- tro una virtù che sia atta tre volte a vincerlo. Ma chi non sta se non in su M primo urto, come stanno oggi gli eser- citi cristiani, può facilmente perdere ; perchè ogni disordine, ogni mezzana virtù gli può torre la vittoria. Quello che fa agli eserciti nostri mancare di potersi rifare tre volte, è lo avere per- duto il modo di ricevere I* una schiera uelP altra. Il che nasce perchè al pre- sente sf ordinano le giornate con uno di questi duoi disordini: o ei mettono le loro schiere a spalle P una delP al- tra, e fanno la loro battaglia larga per traverso, e sottile per diritto; il che la fa più debole, per aver poco dal petto alle schiene. E quando pure, per farla più forte, ei riducono le schiere per il verso de’ Romani, se la prima fronte è rotta, non avendo ordine di essere ri- cevuta dalla seconda, s’ ingarbugliano insieme tutte, e rompono sè medesime: Digitized by Google DEI DISCORSI 404 perché se quella dinanzi è spinta, ella urta la seconda; se la seconda si vuol far innanzi, ella è impedita dalla prima : donde che urlando la prima la seconda, e la seconda la terza, ne nasce tanta confusione, che spesso uno minimo ac- cidente rovina uno esercito. Gli eserciti spagnuoli e franciosi nella zuffa di Ra- venna, dove mori monsignor de Pois, capitano delle genti di Prandi (la quale fu, secondo i nostri tempi, assai bene combattuta giornata) s’ ordinarono con uno de’ soprascritti modi; cioè clic l’uno e 1’ altro esercito venne con tutte le sue genti ordinate a spalle : in modo che non venivano’ avere nè 1’ uno nè 1’ altro se non una fronte, ed erano assai più per il traverso cìie per il diritto. E que- sto avviene loro sempre dove egli hanno la campagna grande, come gli avevano a Ravenna : perché, conoscendo il disor- dine che fanno nel ritirarsi, mettendosi per un filo, lo fuggouo quando e’ pos- sono col fare la fronte larga, coni’ t Digitized by Google LIBRO SECONDO. 405 detto ; ma quando il paese gli ristringe, si stanno nel disordine soprascritto, senza pensare il rimedio. Con questo medesimo disordine cavalcano per il paese inimico, o se e’ predano, o se e’ fanno altro maneggio di guerra. Ed a santo Regolo in quel di Pisa, ed al- trove, dove i Fiorentini furono rotti da' Pisani ne’ tempi della guerra che fu tra i Fiorentini e quella città, per la sua ribellione dopo la passata di Carlo re di Francia in Italia, non nacque tal ro- vina d’ altronde, clic dalla cavalleria amica; la quale sendo davanti e ribut- tata da’ nimici, percosse nella fanteria fiorentina, e quella ruppe : donde tutto il restante delle genti dierono volta : e messcr Ciriaco dal Borgo, capo antico delle fanterie fiorentine, ha affermato alla presenza mia molte volle, non es- sere mai stato rotto se non dalla caval- leria degli amici. 1 Svizzeri, che sono i maestri delle moderne guerre, quando ei militano coi Franciosi, sopra tulle le Digitized by Google 406 DEI DISCORSI cose hanno cura di mettersi in lato, che la cavalleria amica, se fusse ributtata, non gli urti. E benché queste cose paiano facili ad intendere, e facilissime a farsi; nondimeno non si è trovato an- cora alcuuo de’ nostri contemporanei ca- pitani, che gli antichi ordini imiti, e gli moderni corregga. E benché gli ab- bino ancora loro tripartito lo esercito, chiamando 1’ una parte antiguardo, l’al- tra battaglia e l’altra retroguardo; non se ne servono ad altro che a coman- dargli nelli alloggiamenti: ma nello ado- perargli, rade volte è, come di sopra è detto, che a tutti questi corpi non fac- cino correre una medesima fortuna. E perchè molti, per scusare la ignoranza loro, allegano che la violenza delle ar- tiglierie non patisce che in questi tempi si usino molti ordini degli antichi, vo- glio disputare nel seguente capitolo que- sta materia, ed esaminare se le arti- glierie impediscono che non si possa usare l’ antica virtù. Digitìzed by Google LIBRO SECONDO. 407 Cap. XVII. — Quanto si debbino sii inave dagli eserciti ne' presenti tempi le artiglierie; e se quella oppiatone che se ne ha in universale j è vera. Considerando io, oltre alle cose so- prascritte, quante zuffe campali (chia- mate ne’ nostri tempi, con vocabolo francioso, giornate, e dagl’ Italiani fatti d’arme) furono fatte dai Romani in diversi tempi ; mi è venuto in considerazione la oppinione universale di molti, che vuole che se in quelli tempi fussino state le artiglierie, non sarebbe stato lecito a’ Romani, nè sì facile, pigliare le provincie; farsi tributari i popoli, come e’ feciono ; nè arebbono in alcuno modo fatti si gagliardi acquisti. Dicono aiTcora, che mediante questi instrumenti de’ fuochi, gli uomini non possono usare nè mostrare la virtù loro, come e’ po- tevano anticamente. E soggiungono una terza cosa : che si viene con piu diflì- Digitized by Google 408 DEI DISCORSI eultà alle giornale che non si veniva allora, nè vi si può tenere dentro que- gli ordini di quelli tempi ; talché la guerra si ridurrà col tempo in su le artiglierie. E giudicando non fuora di proposito disputare se tali oppiuioui sono vere, e quanto le artiglierie ab- bino cresciuto o diminuito di forze agli eserciti, e se le tolgano o danno occa- sione ai buoni capitani di operare vir- tuosamente ; comiucerò a parlare quanto alla prima loro oppinione : che gli eser- citi antichi romani non arebbono fatto gli acquisti che feciono, se le artiglierie lussino state. Sopra che, rispondendo, dico: come e’si fa guerra o per difen- dersi, o per offendere; donde si ha pri- ma ad esaminare a quale di questi duoi modi di guerra le faccino più utile, o più danno. E benché sia che dire fla ogni parte, nondimeno io credo che senza comparazione faccino più danno a chi si difende, che a chi offende. La ragione che io ne dico è, che quel che Digitized by Google LIBRO SECONDO. •401) si difende, o egli è dentro a una terra, o egli è in su’ campi dentro ad uno stec- cato. S* egli è dentro ad una terra, o questa terra è piccola, come sono la maggior parte delle fortezze, o la è grande: nel primo caso, chi si difende è al tutto perduto, perchè P impeto delle artiglierie è tale, che non trova muro, ancoraché grossissimo, che in pochi giorni ei non abbatta; e se chi è dentro- non ha buoni spazi da ritirarsi c con fossi e con ripari, si perde; nè può so- stenere 1* impeto del nimico che volesse dipoi entrare per la rottura del muro, nè a questo gli giova artiglieria che avesse: perchè questa è una massima, che dove gli uomini in frotta e con im- peto possono andare, le artiglierie non gli sostengono. Però i furori oltramon- tani nella difesa delle terre non sono sostenuti: sou bene sostenuti gli assalti italiani, i quali non in frolla, ma spic- ciolati si conducono alle battaglie, le quali loro, per nome mollo proprio, Digitized by Google DEI DISCORSI 410 chiamano scaramuccio. E qucsli che vanno con questo disordine e questa freddezza ad una rottura d’ un muro dove sia artiglierie, vanno ad una ma- nifesta morte, c conira a loro le arti- glierie vogliono: ma quelli clic in frotta condensati, e che runo spinge l’altro, vengono ad una rottura, se non sono sostenuti o da fossi o da ripari, en- trano in ogni luogo, c le artiglierie non gli tengono; e se ne muore qualcuno, non possono essere tanti che gl’ impe- dischino la vittoria. Questo esser vero, si è conosciuto in molte espugnazioni fatte dagli oltramontani in Italia, e mas- sime in quella di Brescia : perchè, sen- dosi quella terra ribellata da’ Franciosi, e tenendosi ancora per il re di Francia la fortezza, avevano i Veneziani, per so- stenere V impeto che ila quella potesse venire nella terra, munita tutta la strada di artiglierie che dalla fortezza alla città scendeva, e postane a fronte e ne’ fian- chi, ed in ogni altro luogo opportuno. Digitized by Google LIBRO SECONDO. 411 Delle quali monsignor di Fois non fece alcuno conto ; anzi quello con il suo squadrone, disceso a piede, passando per il mezzo di quelle, occupò la città, nè per quelle si sentì eli’ egli avesse rice- vuto alcuno memorabile danno. Talché, chi si difende in una terra piccola, conte è detto, c trovisi le mura in terra, e non abbia spazio di ritirarsi con r ri- pari e con fossi, ed abbiasi a fidare in su le artiglierie, si perde subito. Se tu difendi tuta terra gronde, e che tu ab- bia comodità di ritirarti, sono nondi- inanco senza comparazione più utili le artiglierie a chi è di fuori, che a chi è dentro. Prima, perchè a volere che una artiglieria nuoca a quelli che sono di fuora, tu sei necessitato levarti con essa dal piano della terra; perchè, stando in sul piano, ogni poco di argine e di riparo che il nimico faccia, rimane si- curo, e tu non gli puoi nuocere. Tanto che avendoti ad alzare, e tirarti sul cor- ridoio delle mura, o in qualunque modo Digitized by Google 412 DEI DISCO l>SI levarti da terra, tu ti tiri dietro due difficoltà: la prima, che non puoi con- durvi artiglieria della grossezza e della potenza che può trarre colui di fuora, non si potendo ne’ piccoli spazi maneg- giare le cose grandi ; I’ altra, che quando bene tu ve la potessi condurre, tu non puoi fare quelli ripari fedeli e sicuri, per salvare detta artiglieria, che pos- sono fare quelli di fuora, essendo in su M terreno, ed avendo quelle comodità e quello spazio che loro medesimi voglio- no: talmentechè, gli è impossibile a chi difende una terra, tenere le artiglierie ne’ luoghi alti, quando quelli che soli di fuora abbino assai artiglierie e polenti; e se egli hanno a venire con essa ne’ luo- ghi bassi, ella diventa in buona parte inutile, come è detto. Talché la difesa della città si ha a ridurre a difenderla con le braccia, come anticamente si fa- ceva, e con la artiglieria minuta : di che se si trae un poco di utilità rispetto a quella artiglieria minuta, se ne cava ligitized by Google LIBRO SECONDO. 413 incomodità che contrappesa alia como- dità della artiglieria ; perchè, rispetto a quella,. si riducono le mura delle terre, basse e quasi sotterrate ne’ fossi: tal- ché, com’e’ si viene alle battaglie di mano, o per essere battute le mura o per essere ripieni i fossi, ha chi è den- tro molti più disavvantaggi che non aveva allora, E però, come di sopra si disse, giovano questi instrumenti molto più a chi campeggia le terre, che a chi è campeggiato. Quanto alla terza cosa, di ridursi in uno campo dentro ad uno steccato per non fare giornata, se non a tua comodità o vantaggio; dico che in questa parte tu non hai più rimedio ordinariamente a difenderti di non com- battere, che si avessino gli antichi; e qualche volta, per conto delle artiglie- rie, hai maggiore disavvantaggio. Per- chè, se il nimico ti giunge addosso, ed abbia un poco di vantaggio del paese, come può facilmente intervenire; e truo- vìsi più alto di te; oche nello arrivare Digitized by Google ili DF.l DISCORSI alio tu non abbi ancora fatti i gini, e copertoli bene con que luto, e senza che tu abbi alcun ti disalloggia, e sei forzato usci fortezze tue, e venire alla zuffa intervenne agli Spagnuoli nel nata di Ravenna* i quali essent nili tra il fiume del Ronco ed gine, per non lo avere tirato U che bastasse, e per avere i Frai poco il vantaggio del terreno, constretti dalle artiglierie usci fortezze loro, e venire alla zi dato, come il più delle volte de sere, che il luogo che tu avess con il campo fusse più eminenti altri all’ incontro, c che gli ar; sino buoni e sicuri, tale che, r il sito e 1’ altre tue preparazio miro non ardisse di assaltarti; in questo caso a quelli modi c cainente si veniva, quando uno il suo esercito in lato da non pi sere offeso: i quali sono, co LIBRO SECONDO. 445 paese, pigliare o campeggiare le terre tue amiche, impedirti le vettovaglie; tanto che tu sarai forzato da qualche necessità a disalloggiare, e venire a gior- nata ; dove le artiglierie, come di sotto si dirà, non operano molto. Considerato, adunque, di quali ragioni guerre feciono i Romani, e reggendo come ei feciono quasi tutte le lor guerre per offendere altrui, e non per difender loro; si ve- drà, quando sieno vere le cose dette di sopra, come quelli arebbono avuto più vantaggio, e piu presto arebbono fatto i loro acquisti, se le fussino state in quelli tempi. Quanto alla seconda cosa, che gli uomini non possono mostrare la virtù loro, come ei potevano antica- mente, mediante la artiglieria ; dico eh’ egli è vero, che dove gli uomini spicciolati si hanno a mostrare, eh’ e’ portano più pericoli che allora, quando avessino a scalare una terra, o fare si- mili assalti, dove gli uomini non ristretti insieme, ma di per sè 1’ uno dall’ altro Digitìzed by Google DEI DISCORSI 416 avessiuo a comparire. E vero die gli capitoni e capi degli stanno sottoposti più al perii! morte che allora, potendo esser con le artiglierie in ogni lu giova loro lo essere nelle ultii «Ire, e muniti di uomini fortissi dimeno si vede che P uno c P questi duoi pericoli fanno ra danni istraordinari : perchè munite bene non si scalano, i con assalti deboli ad assaltarh volerle espugnare, si riduce la una ossidionc, come anticamen ceva. Ed in quelle clic pure pe si espugnano, non sono molto i pericoli che allora: perchè n cavano anche in quel tempo a fendeva le terre, cose da trarre se non erano si furiose, facevam all’ ammazzare gli uomini, *il s fello. Quanto alla morte de’ci de’ condottieri, ce ne sono, in v tro anni che sono state le guerre Digilized by Google LIBRO SECONDO. 417 « simi tempi in Italia, meno esempi, che non era in dieci anni di tempo appresso agii antichi. Perchè, dal conte Lodovico della Mirandola, che morì a Ferrara quando i Veniziani pochi anni sono as- saltarono quello Stato, ed il Duca di Nemors, che morì alla Ciriguuola, in fuori; non è occorso che d’artiglierie ne sia morto alcuno; percdiè monsignor di Pois a Ravenna mori di ferro, e non di fuoco. Tanto che, se gli uomini non dimostrano particolarmente la loro virtù, nasce non dalle artiglierie, ma dai cat- tivi ordini, e dalla debolezza degli eser- citi; i quali, mancando di virtù nel tutto, non la possono dimostrare nella parte. Quanto alla terza cosa detta da costoro, che non si possa venire alle mani, fc che la guerra si condurrà tutta in su P artiglierie, dico questa oppinione essere al tutto falsa; e così ila sempre tenuta da coloro che secondo P antica virtù vorranno adoperare gli eserciti loro. Perchè, chi vuole fare uno esercito GIACHI AVELLI, Discorsi. — 1. 27 Digitized by Google 41S DEI DlSCOP.Sl buono, gli conviene, con eser< o veri, assuefare gli uomini s costarsi al nimico, e venire c menare della spada, e al pig il petto; e si debbe fondare i le fanterie clic in su’ cavagli, gioni che di sotto si diranno, si fondi in su i fanti ed in i predetti, diventano al tutto le inutili; perchè con più facilit terie nello accostarsi al nimict fuggire il colpo delle artiglieri) potevano anticamente fuggire degli elefanti, de’ carri falcati riscontri inusitati, clic le far mane riscontrarono ; contra sempre trovarono il rimedio: più facilmente lo arebbono tr< tra a queste, quanto egli è pi tempo nel quale le artiglierie i nuocere, che non era quello potevano nuocere gli elefanti < Perchè quelli nel mezzo delb disordinavano; queste solo in LIBRO SECONDO. 419 zuffa (i Spediscono: il quale impedì- mento facilmente le fanterie fuggono, o con andare coperte dalla natura del sito, o con abbassarsi in su la terra quando le tirano. 11 che unclie per esperienza si è visto non essere necessario, mas- sime per difendersi dalle artiglierie grosse ; le quali non si possono in modo bilanciare, o che se le vanno alte le non ti truovino, o che se le vanno basse le non ti arrivino. Venuti poi gli eserciti alle mani, questo è più chiaro che la luce, che nè le grosse nè le piccole ti possono poi- offendere: perchè, se quello che ha 1’ artiglierie è davanti, diventa tuo prigione; s’ egli è dietro, egli of- fende prima 1’ amico che te; a spalle ancora non ti può ferire in modo che tu non lo possa ire a trovare, e ne vie- ne a seguitare l’effetto detto. Nè questo ha molta disputa ; perchè se ne è visto l’essempio de’ Svizzeri, i quali a No- vara, nel 4513, senza artiglierie e senza cavagli, andarono a trovare lo esercito Digitized by Google 420 DEI DISCORSI francioso munito di artiglierie alle fortezze sue, e Io ruppon aver alcuno impedimento da q la ragione è, oltre alle cose sopra, clic l’artiglieria ha biso sere guardata, a volere che la da mura o da fossi o da argini gli manca una di queste guani prigione, o la diventa inutile : interviene quando la si ha a e con gli uomini; il che gli ii nelle giornate e zuffe campali. P le non si possono adoperare, s quel modo che adoperavano gl gli instrumenti da trarre; che levano fuori delle squadre, p comhatlessino fuori dell i ordini volta che o da cavalleria o erano spinti, il refugio loro er alle legioni. Chi altrimenti ne ! non la intende bene, e fidasi s< cosa che facilmente lo può in E se il Turco, mediante l’ ar conila al Sofi ed il Soldauo h Digitized by Google ria LIBRO SECONDO. 421 vittoria, è nato non per altra virtù di quella, che per lo spavento elle lo inu- sitato roraore messe nella cavalleria loro. Conchiuggo pertanto, venendo al fine di questo discorso, l’ artiglieria essere utile in uno esercito quando vi sia mescolata l’antica virtù; ma senza quella, contea a uno esercito virtuoso è inutilissima. Cap. XVIII. — Come per V autorità de’ Ro- mani j c per lo cssempio della antica milizia, si debbe stimare più lè fan- terie che i cavagli. E’ si può per molte ragioni e per molti essempi dimostrare chiaramente, quanto i Romani in tutte le militari azioni sti- massino più la milizia a piè che a ca- vallo, e sopra quella fondassino tutti i disegni delle forze loro: come si vede per molti essempi, ed infra gli altri, quando si azzuffarono con i Latini ap- presso il lago Regiilo; dove già essendo inclinato lo esercito romano, per soc- Digitized by Google DUI DISCORSI 422 correre ai suoi fecero discenti uomini da cavallo a piede, e f via, rinnovata la zuffa, ebbon< toria. Dove si vede manifeste Romani avere più confidato in scudo a piede, che manleneiu vallo. Questo medesimo termini in molte altre zuffe, e sempre rono ottimo rimedio in gli lort Nè si opponga a questo la < di Annibaie, il quale veggendo i nata di Canne, che i Consoli fatto discendere a piè gli loro facendosi belle di simile parti Quatti tnallem vinclos milii cquilcs ; cioè: io arci più car gli dessino legati. La quale < ancoraché la sia stata in bo uomo eccellentissimo, nondimt ha a ire dietro alla autorità, più credere ad una Repubblicf e a tanti Capitani eccellentissin rono in quella, che ad uno s< baie: ancoraché senza le auto LIBRO SECONDO. 423 siano ragioni manifeste. Perchè 1’ uomo a piede può andare in molti luoghi, dove uon può andare il cavallo; puossi in- segnarli servare 1' ordine, e turbato che fusse, come e’ lo abbia a riassumere: a’ cavagli è diffìcile fare servare l’ordi- ne, ed impossibile, turbati che sono, riordinargli. Olirà di questo, si trova, come negli uomiui, de’ cavagli che kanno poco animo, e di quelli che ne hanno assai: e molte volte interviene che un cavallo animoso è cavalcato da un uomo vile, ed uno cavallo vile da uno animo- so; ed in qualunque modo che segua questa disparità, ne nasce inutilità e di- sordine. Possono le fanterie ordinate fa- cilmente rompere i cavagli, e difficil- mente esser rotte da quelli. La quale oppinione è corroborata, oltre a molti essempi antichi e moderni, dalla auto- rità di coloro che danno delle cose ci- vili regola : dove mostrano come in pri- ma le guerre si cominciarono a fare con i cavagli, perchè non era ancora Digitized by Google DEI DISCORSI iU 1’ onlinc delle fanterie; ma coi si ordinarono, si conobbe subi loro erano più utili, che quell per questo però che i cavalli i necessari negli eserciti, e per perle, e per scorrere e predai per seguitare i nimici quando in fuga, c per essere ancora una opposizione ai cavagli dej. sari: ma il fondamento e il n l’esercito, c quello chesi debl mare, debbono essere le fan infra i peccali de* principi ita1 hanno fatto Italia serva de’ I n q ii ci è il maggiore, clic ave poco conto di questo ordine, volto tutta la loro cura alla cavallo. Il quale disordine è na malignità de* capi, e per la ign coloro che tenevano stato. Pere dosi ridotta la milizia italiana, ticinque anni indietro, in uo non avevano stato, ma erano < pitali! di ventura, pcusorono s unno secondo. 425 me polessino mantenersi la riputazione stando armati loro, e disarmati i prin- cipi. E perchè uno numero grosso di fanti non poteva loro essere continua- mente pagato, e non avendo sudditi da poter valersene, ed uno piccolo numero non dava loro riputazione, si volgono a tenere cavagli : perchè dugcnto o tre- cento cavalli che erano pagati ad uno condottiere, lo mantenevano riputato; ed il pagamento non era tale, che dagli uomini che tenevano stato non potesse essere adempiuto. E perchè questo se- guisse più facilmente, e per mantenersi più in riputazione, levarono tutta l’ affe- zione e la riputazione da’ fanti, e ridus- sonla in quelli loro cavalli: e in tanto crebbono questo disordine, che in qua- lunque grossissimo esercito era una mi- nima parte di fanteria. La quale usanza fece in modo debole, insieme con molti altri disordini che si mescolarono con quella, questa milizia italiana, che que- sta provincia è stata facilmente calpe- 426 DEI DISCORSI sta (ia tutti gii oltramontani. > più apertamente questo errore, mare più i cavalli che le fantei uno altro essempio romano. E Romani a campo a Sora, ed i usciti fuori della terra una tu cavalli per assaltare il campo, fece all’ incontro il Maestro de romano con la sua cavalleria, e di petto, la sorte dette che nel scontro i capi dell’ uno e dell’ alti cito morirono; e restali gli alti* governo, e durando nondimeno I i Romani per superare più fac lo inimico, scesono a piede, e cc sono i cavalieri nimici, se si voi fendere, a fare il simile: e co questo, i Romani ne riportarom toria. Non può esser questo eì maggiore in dimostrare quanto virtù nelle fantericche ne’ cavag che se nelle altre fazioni i Con cevano discendere i cavalieri i era per soccorrere alle fanterie i L1BH0 SECONDO. 4*27 tivano, e che avevano bisogno ili aiuto; ma in questo luogo e’ discesono, non per soccorrere alle fanterie nè per eombat- tere con uomini a piè de’ nimici, ma combattendo a cavallo co’ cavalli, giudi* careno, non potendo superargli a ca- vallo, potere scendendo più facilmente vincergli. Io voglio adunque conchiude- re, che una fanteria ordinata non possa senza grandissima diffìcultà esser su* perata, se non da una altra fanteria. Crasso e Marc’ Antonio romani corsone per il dominio de’ Parti molte giornate con pochissimi cavalli ed assai fanteria, ed all’ incontro avevano innumerabili cavalli de’ Parti. Crasso vi rimase con parte dello esercito morto. Marc’ Anto- nio virtuosamente si salvò. Nondimanco, in queste afflizioni romane si vede quanto le fanterie prevalevano ai cavalli : per- chè essendo in un paese largo, dove i monti son radi, ed i fiumi radissimi, le marine longinque, e discosto da ogni co- modità; nondimanco Marc’ Antonio, al Digilized by Google 428 DEI DISCORSI giudicio de’ Parti medesimi, mente si salvò; nè mai ebbe tutta la cavalleria pnrtica te ordini dello esercito suo. Se rimase, chi leggerà bene le s vedrà come e’ vi fu piuttosto che forzato: nè mai, in tutti sordini, i Parti ardirono di uri sempre andando costeggiando pedendogli le vettovaglie, prò gli e non gli osservando, lo et od una estrema miseria. Io avere a durare più fatica in p quanto la virtù delle fanterie lente ebe quella de’ cavalli, : fussino assai moderni essenv rendono testimonianza pieniss è veduto novemila Svizzeri i da noi di sopra allegata, and frontale diecimila cavalli ed fanti, e vincergli: perchè i cf li potevano offendere: i fanti, ] gente in buona parte guascoi ordinata, stimavano poco. Yid LIBRO SECONDO. 429 ventiseimila Svizzeri andare a trovare sopra Milano Francesco re di Francia, che aveva seco ventimila cavalli, qua- ♦ rantamila fanti e cento carra d’arti- glieria ; e se non vinsono la giornata come a Novara, combatterono due giorni virtuosamente; e dipoi, rotti che furono, la metà di loro si salvarono. Presunse Marco Regolo Attilio, non solo con la fan- teria sua sostenere i cavalli, ma gli ele- fanti; e se il disegno non gli riuscì, non fu però che la virtù della sua fan- teria non fusse tanta, che ei non con- fidasse tanto in lei che credesse supe- rare quella difficoltà. Replico, pertanto, che a voler superare i fanti ordinati, è necessario opporre loro fanti meglio or- dinati di quelli: altrimenti, si va ad una perdita manifesta. Ne’ tempi di Filippo Visconti, duca di Milano, scesouo ili Lombardia circa sedicimila Svizzeri: donde il Duca avendo per capitano al- lora il Carmignuola, lo mandò con circa mille cavalli e pochi fanti allo incontro Digitized by Google 430 DEI DISCORSI loro. Costui non sappiendo 1* 01 combatter loro, ne andò ad inc< con i suoi cavalli, presu me nd( subito rompere. Ma trovatogli i avendo perduti molti de’ suoi u ritirò : ed essendo valentissimo sappiendo negli accidenti nuovi nuovi partiti, rifattosi di gente a trovare; e venuto loro all’i fece smontare a piè tutte le s d’ arme, e fatto testa di quelle fanterie, andò ad investire i S quali non ebbono alcun rimet chè, sendo le genti d’arme de gnuola a piè e bene armate, facilmente entrare infra gli 01 Svizzeri, senza patire alcuna lei entrati tra questi, poterono- fu offendergli: talché di tutto il ni quelli, ne rimase quella parte per umanità del Carmignuola servata. Io credo che molti co questa differenza di virtù che I’ uno e 1’ altro di questi ordir: Digitized by Google LIBRO SECONDO. 431 tanta la infelicità di questi tempi, che nè gli essempi antichi nè i moderni, nè la confessione dello errore è sufficiente a fare che i moderni principi si rav- vegghino ; e pensino che a volere ren- dere riputazione alla milizia d’ una pro- vincia o d’ uno Stato, sia necessario ri- suscitare questi ordini, tenergli appresso, dar loro riputazione, dar loro vita, ac- ciocché a lui e vita c riputazione ren- dino. E come e’diviano da questi modi, così diviano dagli altri modi detti di sopra : onde ne nasce che gli acquisti sono a danno, non a grandezza d’uno Stato, come di sotto si dirà. Cap. XIX. — Che gli acquisii nelle re- pubbliche non bene ordinate e che secondo la romana virtù non proce- dono, sono a rovina, non a esalta- zione di esse. Queste contrarie oppinioni alla verità, fondale in su’ mali essempi che da que- Digitized by Google 432 DEI DISCORSI sti nostri corrotti secoli sono stati in- trodotti, fanno che gli uomini non pen- sano a limare dai consueti modi. Quando si sarebbe potuto persuadere a uno ita- liano da trenta anni in dietro, che die- cimila fanti potessino assaltare in uii piano diecimila cavalli ed altrettanli,fanti, e con quelli non solamente combattere, ina vincergli; come si vede per lo es- sempio da noi più volle allegato, a No- vara? E benché le istorie ne siano piene, /amen non ci arebbero prestato fede; e se ci avessero prestato fede, arebbe- ro detto che in questi tempi s’arma meglio, e che una squadra d’ uomini d’arme sarebbe atta ad urtare uno sco- glio, non che una fanteria: e così con queste false scuse corrompevano il giu- dizio loro; nè arebbero considerato, che Lucullo con pochi fanti ruppe cento cin- quanta mila cavalli di Tigrane; e che tra quelli cavalieri era una sorte di ca- valleria simile al tutto agii uomini d’arme nostri: c così questa fallacia è stata sco- Digilized by Google LIBRO SECONDO. 433 perla dallo essempio delle genti oltra- montane. E come e’ si vede per quello essere vero, quanto alla fanteria, quello che nelle istorie si narra; così doverreb- bero credere esser veri ed utili tutti gli altri ordini antichi. E quando questo fusse credulo, le repubbliche ed i principi er- rerebbero meno; sariano più forti ad op- porsi ad uno impeto che venisse loro ad- dosso; non spererebbero nella fuga: e quelli che avessino nelle mani un vivere civile, Io saperebbero meglio indirizzare, o per la via dello ampliare, o per la via del mantenere; e crederebbero che lo accrescere la città sua d’ abitatori, farsi compagni e non sudditi, mandare colonie a guardare i paesi acquistati, far capitale delle prede, domare il ni- mico con le scorrerie e con le giornate e non con le ossidioni, tenere ricco il pubblico, povero il privato, mantenere con sommo studio li esercizi militari, sono le vie a fhre grande una repub- blica, ed acquistare imperio. E quando M achiavfLLi, Discorsi. — 1. 28 Digitized by Google 434 DEI DISCORSI questo modo dello ampliare non gli pia- cesse, penserebbe che gli acquisti per ogni altra via sono la rovina delle re- pubbliche, e porrebbe freno ad ogni ambizione; regolando bene la sua città dentro con le leggi e co’ costumi, proi- bendogli r acquistare e solo pensando a difendersi, e le difese tenere ordinate bene: come fanno le repubbliche della Magna, le quali in questi modi vivono e sono vi v ute libere un tempo. Nondi- meno, come altra volta dissi quando di- scorsi la differenza che era da ordinarsi per acquistare a ordinarsi per mante- nere; è impossibile che ad una repub- blica riesca lo stare quieta, c godersi la sua libertà e gli pochi confini: perchè, se lei non molesterà altrui, sarà mole- stata ella ; e dallo essere molestata le nascerà la voglia e la necessità dello acquistare; c quando non avesse il ni- mico fuora, lo troverebbe in casa : come pare necessario intervenga a tutte le grandi cittadi. b se le repubbliche della Digitized by Google LIBRO SECONDO. 435 Magna possono vivere loro in quel mo- do, ed hanno potuto durare un tempo; nasce da certe condizioni che sono in quel paese, le quali non sono altrove, - senza le quali non potrebbero tenere si- mil modo di vivere. Era quella parte della Magna di che io parlo, sottoposta allo imperio romano come la Francia e la Spagna: ma venuto dipoi in declina- zione 1* imperio, e ridottosi il titolo di tale imperio in quella provincia, comin- ciarono quelle ciltadi più potenti, se- condo la viltà o necessità degFimpera- dori, a farsi libere, ricomperandosi dallo imperio, con riservargli un piccolo censo annuario; tanto che, a poco a poco, tutte quelle cittadi che erano immediate dello imperadore, e non erano soggette ad alcuno principe, si sono in simil modo ricomperate. Occorse in questi medesi- mi tempi che queste cittadi si ricompe- ravano, che certe comunità sottoposte al duca d’Austria si ribellarono da lui; tra le quali fu Filiborgo, c Svizzeri, e si- Digitìzed by Google 436 DEI DISCORSI mili ; le quali prosperando nel principio, pigliarono a poco a poco tanto augu- mento, che, non che e’sieno tornati sotto il giogo d’ Austria, sono in timore a tutti i loro vicini: e questi sono quelli che si chiamano Svizzeri. É, adunque, questa provincia compartita in Svizzeri, repubbliche (che chiamano terre fran- che), principi ed imperadore. E la ca- gione che, intra tante diversità di vivere, non vi nascono, o, se le vi nascono, non vi durano molto le guerre, è quel segno dell’ imperadore ; il quale, avvenga che non abbi forze, nondimeno ha fra loro tanta riputazione, eli’ egli è uno loro conciliatore, e con T autorità sua, inter- ponendosi come mezzano, spegne subito ogni scandalo. E le maggiori e le più lunghe guerre vi siano state, sono quelle che sono seguite intra i Svizzeri ed il duca d’Austria; e benché da molti anni in qua lo imperadore ed il duca d’Au- ' stria sia una cosa medesima, non per tanto non ha mai potuto superare l’au- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 437 dacia ilei Svizzeri, dove non è mai stato modo d’accordo, se non per forza. Nè il resto della Magna gli ha porti molti aiuti; sì perchè le comunità non sanno offendere chi vuole vivere libero come loro ; sì perchè quelli principi, parte non possono per esser poveri, parte non vogliono per avere invidia alla potenza sua. Possono vivere, adunque, quelle comunità contente del piccolo loro do- minio, per non avere cagione, rispetto aii’dulorità imperiale, di disiderarlo mag- giore: possono vivere unite dentro alle mura loro, per aver il nimico propin- quo, e. che piglierebbe 1’ occasione d’-oc- euparle, qualunque volta le discordassino. Che se quella provincia fusse condizio- nata altrimenti, converrebbe loro cer- care d’ ampliare e rompere quella loro quiete. E perchè altrove non sono tali condizioni, non si può prendere questo modo di vivere; e bisogna o ampliare per via di leghe, o ampliare come i Ro- mani. E ehi si governa altrimenti, cerca Digitized by Google 438 DEI DISCORSI non la sua vila, ma la sua morte e ro- vina: perchè in mille modi e per molte cagioni gli acquisii sono dannosi; per- chè gli sta molto bene insieme acqui- stare imperio, c non forze; e chi acqui- sta imperio e non forze insieme, conviene che rovini. Non può acquistare forze chi impoverisce nelle guerre, ancora che sia vittorioso; che ei mette più che non trae degli acquisti: come hanno fatto i Veniziani ed i Fiorentini, i quali sono stati molto più deboli, quando V uno aveva la Lombardia e V altro la Toscana, che non erano quando 1’ uno era con- tento del mare, e V altro di sei .miglia di confini. Perchè tutto è nato da avere voluto acquistare, e non avere saputo pigliare il modo; e tanto più meritano biasimo, quanto egli hanno meno scusa, avendo veduto il modo hanno tenuto i Romani, ed avendo potuto seguitare il loro essempio, quando i Romani, senza alcuno essempio, per la prudenza loro, da loro medesimi lo seppono trovare. Digitized by Google LIBRO SECO.NDO. ' 439 Fanno, oltra di questo, gli acquisti qual- che volta non mediocre dauuo ad ogni bene ordinata repubblica, quando e’ si acquista una città o una provincia piena di delizie, dove si può pigliare di quelli costumi per la conversazione che si ha con quelli: come intervenne a Roma, prima, nello acquisto di Capova; e di- poi, ad Annibale. E se Capova fusse stata più longinqua dalla città, che lo errore de* soldati non avesse avuto il rimedio propinquo; o che Roma fusse stata in alcuna parte corrotta; era senza dubbio quello acquisto la rovina della Repubblica romana. E Tito Livio fa fede di questo con queste parole: Jam lune minime salubris militari disciplina Ca- pita j instrumentum omnium nolupta- tunij dclinitos militimi animos avertit a memoria patria, E veramente, simili città o provincie si vendicano contra al vincitore senza zuffa e senza sangue ; perchè, riempiendoli de’ suoi tristi co- stumi, gli espongono ad essere vinti da i ♦ f i ti a * t: Li Digitized by Google 440 DEI DISCORSI qualunque gli assalta. E Iuvenale non potrebbe meglio, nelle sue salire, aver considerata questa parte, dicendo: thè nei petti romani per gli acquisti delle terre peregrine erano intrati i costumi peregrini ; ed in cambio di parsimonia e di altre eccellentissime virtù, gala et luxuria incubuitj victumque ulciscìtur orbem. Se, adunque, V acquistare fu per esser perniziosi ai Romani nei tempi che quelli con tanta prudenza e tanta virtù procedevano, che sarà adunque a quelli che discosto dai modi loro pro- cedono ? e che, oltre agli altri errori che fanno, di che se ne è di sopra di- scorso assai, si vagliono dei soldati o mercenari o ausiliari ? Donde ne risulta loro spesso quei danni di che nel se- guente capitolo si farà menzione. Digitized by Google LlBr.O SECONDO. 441 Gap. XX. — Quale pericolo porti quel principe o quella repubblica che si vale della milizia ausiliare o merce- naria. Se io non avessi lungamente trattato in altra mia opera, quanto sia inutile la milizia mercenaria ed ausiliare, e quanto utile la propria, io mi disten- derei in questo discorso assai più clic non farò ; ma avendone altrove parlato a lungo, sarò in questa parte brieve. Nè mi è paruto in tutto da passarla, avendo trovato in Tito Livio, quanto ai soldati ausiliari, sì largo essempio ; per- chè i soldati ausiliari sono quelli che un principe o una repubblica manda, ca- pitanati c pagati da lei, in tuo aiuto. E venendo al testo di Tito Livio, dico che, avendo i Romani, in diversi luoghi, rotti due eserciti de’ Sanniti con li eser- citi loro, i quali avevano mandati al soc- corso de* Capovani; e per questo liberi Digitized by Google DEI DISCORSI i Capovani da quella guerra ehe i San- niti facevano loro; e volendo ritornare verso Roma; ed acciò che i Capovani, spogliati di presidio, non diventassino di nuovo preda dei Sanniti; lasciarono due legioni nel paese di Capova, che gli difendesse. Le quali legioni marcendo nell* ozio, cominciarono a dilettarsi in quello; tanto che, dimenticata la patria e la riverenza del Senato, pensarono di- prendere T armi, ed insignorirsi di quel paese che loro con la loro virtù avevano difeso, parendo loro che gli abitatori non fussino degni di possedere quelli beni che non sapevano difendere. La qual cosa presentita, fu dai Romani op- pressa e corretta: come, dove noi par- leremo delle congiure, largamente si mostrerà. Dico pertanto di nuovo, come di tutte V altre qualità di soldati, gli ausiliari sono i più dannosi. Perchè in essi quel principe o quella repubblica che gli adopera in suo aiuto, non ha autorità alcuna, ma vi ha solo V autorità Digitìzed by Google LIBRO SECO.XBO. 413 . colui che li manda. Perchè i soldati au- siliari sono quelli che ti sono mandati da un principe, come ho detto, sotto suoi capitani, sotto sue insegne e pagati da lui: come fu questo esercito che i Romani mandarono a Capova. Questi tali soldati, vinto eh’ egli hanno, il più delle volte predano così colui che gli ha condotti, come colui contea a chi e’ sono condotti ; e lo fanno o per malignità del principe che gli manda, o per ambizion loro. E benché la intenzione de’ Romani non fusse di rompere 1’ accordo e le convenzioni che avevano fatte coi Capo- vani; nondimeno la facilità che pareva a quelli soldati di opprimergli fu tanta, che gli potette persuadere a pensare di torre ai Capovani la terra e lo stato. Potrebbesi di questo dare assai essempi; ma voglio mi basti questo, e quello dei Regini, ai quali fu tolto la vita e la terra da una legione che i Romani vi avevano messa in guardia. Debbe, adun- que, un principe o una repubblica pi- Digitized by Google 4U DE! DISCORSI gliare prima ogni altro partilo, che ri- correre a conti aì re nello Stato suo per sua difesa genti nusiliarie, quando ei s’ abbia a fidare sopra quelle ; perchè ogni patto, ogni convenzione, ancora che darà, di’ egli arà col nemico, gli sarà più leggieri che tal partito. E se si leg- geranno bene le cose passate, c diseor- rerannosi le presenti, si troverà, per uno che n’abbia avuto buon fine, infi- niti esser rimasi ingannati. Ed uno prin- cipe o una repubblica ambiziosa non può avere la maggiore occasione di oc- cupare una città o una provincia, che esser richiesto che mandi gli eserciti suoi alla difesa di quella. Pertanto, co- lui che è tanto ambizioso che, non so- lamente per difendersi ma per offendere altri, chiama simili aiuti, cerca d’acqui- stare quello che non può tenere, e che da quello che gliene acquista gli può facilmente esser tolto. Ma l’ ambizione dell’ uomo è tanto grande, che per ca- varsi una presente voglia, non pensa al Digitized by Google LIBRO SECONDO. 445 male che è in brieve tempo per risul- targliene. Nè lo muovono gli antichi es- sempi, cosi in questo come nell’ altre cose discorse; perchè, se e’ fussino mossi da quelli, vedrebbero come quanto più si mostra la liberalità coi vicini, e d’es- sere più alieno da occupargli, tanto più ti si gettano in grembo: come di sotto, per lo essempio de’ Capovani, si dirà. Gap. XXI. — Il primo Pretore che i Ro- mani mandarono in alcun luogoj fu a Capova, dopo quattrocento anni che cominciarono a far guerra. Quanto i Romani nei modo del pro- cedere loro circa Y acquistare fossero differenti da quelli che ne’ presenti tempi ampliano la iuri&dUionc loro, si è assai di sopra discorso; e come e’ lasciavano quelle terre, che non disfacevano, vivere con le leggi loro, eziandio quelle che non come compagne, ma come soggette si arrendevano loro; ed in esse non lu- Digitized by Google DEI DISCORSI 446 sciavano alcun segno d’ imperio per il Popolo romano, ma Y obbligavano ad alcune condizioni, le quali osservando, le mantenevano nello stato e dignità loro. E conoscesi questi modi esser stati osservati infino che gli uscirono d’ Ita- lia, e che cominciarono a ridurre i re- gni e gli Stati in provincie. Di questo ne è chiarissimo essempio, che il primo Pretore che fusse mandato da loro in alcun luogo, fu a Capova: il quale vi mandarono, non per loro ambizione, ma perchè e’ ne furono ricerchi dai Capo- vani; i quali, essendo intra loro discor- dia, giudicarono esser necessario avere dentro nella città un cittadino romano che gli riordinasse e riunisse. Da questo essempio gli Anziati mossi, e constretti dalla medesima necessità, domandarono ancora loro un Prefetto; e Tito Livio dice in su questo accidente, ed in 6U questo nuovo modo d’ imperare, quod /aro non solttm arma j sed jura romana pollebant. Yedesi, pertanto, quanto qu$- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 447 sto modo facilitò I’ augumento romano. Perché quelle città, massime, che sono use a viver libere, o consuete governarsi per suoi provinciali, con altra quiete stanno contente sotto uno dominio che non veggono, ancora eli’ egli avesse in sè qualche gravezza, che sotto quello che veggendo ogni giorno, pare loro che ogni giorno sia rimproverata loro la servitù. Appresso, ne seguita un al- tro bene per il principe: che non avendo i suoi ministri in mano i giudizi, ed i magistrati che civilmente o criminal- mente rendono ragione in quelle cittadi, non può nascere mai sentenza con ca- rico o infamia del principe; e vengono per questa via a mancare molte cagioni «li calunnia e d’ odio verso di quello. E che questo sia il vero, oltre agli antichi esscinpi che se ne potrebbono addurre, ee n’ è uno essempio fresco in Italia. Perchè, come ciascuno sa, scudo Genova stata più volte occupata da’ Franciosi, sempre quel re, eccetto che ne’ presenti Digitized by Google 448 DEI DISCORSI tempi, vi ha mandato un governatore francioso che in suo nome la governi. Al presente solo, non per elezione del re, ma perchè cosi ha ordinato la ne- cessità, ha lasciato governarsi quella città per sè medesima, e da un gover- natore genovese. E senza dubbio, chi ricercasse quali di questi duoi modi rechi più sicurtà al re dell* imperio di essa, e più contentezza a quelli popolari, senza dubbio approverebbe questo ultimo modo. Oltra di questo, gli uomini tanto più ti si gettano in grembo, quanto più tu pari alieno dallo occupargli ; e tanto meno ti temono per conto della loro li- bertà, quanto più sei umano e dome- stico con loro. Questa dimestichezza e liberalità fece i Capovani correre a chie- dere il Pretore ai Romani : che se dai Romani si fusse mostro una minima voglia di mandarvelo, subito sarebbono ingelositi, c si sarebbono discostati da loro. Ma che bisogna ire per gli essempi a Capova ed a Roma, avendone in Fi- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 449 lenze ed in Toscana? Ciascuno sa quanto tempo è che la città di Pistoia venne volontariamente sotto V imperio fioren- tino. Ciascuno ancora sa quanta inimi- cizia è stata intra i Fiorentini, ed i Pi- sani, Lucchesi e Sanesi : e questa diver- sità d’animo non è nata perchè i Pi- stoiesi non prezzino la loro libertà come gli altri, e non si giudichino da quanto gli altri; ma per essersi i Fio- rentini portoti con loro sempre come fratelli, e con gli altri come nimici. Questo ha fatto clic i Pistoiesi sono corsi volontari sotto F imperio loro : gli altri hanno fatto e fanno ogni forza per non vi pervenire. E senza dubbio, i Fioren- tini se, o per vie di leghe o di aiuto, avessero dimesticati e non inselvatichiti i suoi vicini, a quest’ora sarebbero si- gnori di Toscana. Non è per questo che io giudichi che non si abbia ad operare l’armi e le forze; ma si debbono riser- vare in ultimo luogo, dove e quando gli altri modi non bastino. Machiavelli, Discorsi. — i- 29 Digitized by Google 450 DEI DISCORSI Cap. XXII. — Quanto siano false molte volte le oppinioni degli uomini nel giudicare le cose grandi. Quanto siano false molte volle le op- pinioui degli uomini, 1’ hanno visto e veggono coloro che si trovano testimoni delle loro deliberazioni: le quali molle volte, se non sono deliberate da uomini eccellenti, sono contrarie ad ogni verità. E perchè gli eccellenti uomini nelle repubbliche corrotte, nei tempi quieti massime, e per invidia c per altre am- biziose cagioni, sono inimicati; si va dietro a quello che da uno comune in- ganno è giudicato bene, o da uomini che più presto vogliono i favori che il bene deir universale, è messo innanzi. Il quale inganno dipoi si scuopre nei tempi avversi, e per necessità si rifugge a quelli che nei tempi quieti erano come dimenticati : come nel suo luogo in questa parte appieno si discorrerà. Nascono an- Digitized by Google « LIBRO SECONDO. 451 cora certi accidenti, dove facilmente sono ingannali gli uomini che non hanno grande Esperienza delle cose, avendo in sè quello accidente che nasce molti ve* risimili, atti a far credere quello die gli uomini sopra tal caso si persuadono. Queste cose si sono dette per quello che Numicio pretore, poiché i Latini furono rotti dai Romani, persuase loro; e per quello che pochi anni sono si credeva per molti, quando Francesco 1 re di Francia venne ali’ acquisto di Milano, che era difeso dai Svizzeri. Dico per- tanto, che, essendo morto Luigi XII, e succedendo nel regno di Francia Fran- cesco d’ Angolem, c desiderando resti- tuire al regno il ducato di Milano, stato pochi anni innanzi occupato dai Sviz- zeri mediante il conforto di Papa Giu- lio II, desiderava aver aiuti in Italia che gli facilitassero l’ impresa ; cd oltre ni Veniziani, che il re Luigi s’aveva rigua- dagnati, tentava i Fiorentini e Papa Leone X ; parendogli la sua impresa più Digitlzed by Google 452 DEI DISCORSI fucile qualùnque volta s’ avesse riguada- gnati costoro, per essere le genti del re di Spagna in Lombardia, ed altre forze dello imperadore in ^Verona. Non cede \ Papa Leone alle voglie del re, ma fu persuaso da quelli che lo consigliavano (secondo si disse), si stesse neutrale, mostrandogli in questo partito consistere la vittoria certa: perchè per la Chiesa non si faceva avere potenti in Italia nè il re nè i Svizzeri; ma volendola ridurre nell’antica libertà, era necessario libe- rarla dalla servitù dell’ uno e dell’altro. E perchè vincere 1’ uno e 1’ altro, o di per sè o tutti due insieme, non era possi- bile 'r conveniva che superassino 1’ uno l’altro, e che la Chiesa con gli amici suoi urlasse quello poi che rimanesse vincitore. Ed era impossibile trovare migliore occasione che la presente, sen- do 1’ uno e 1’ altro in su’ campi, ed aven- do il Papa le sue forze ad ordine da potere rappresentarsi in sui confini di Lombardia, e propinquo all’ uno e l’altro Digitized by Google LIBRO SECONDO. 453 esercito, sotto colore di voler guardare le cose sue, e quivi tanto stare che ve- nissero alla giornata; la quale ragione- volmente, sendo Y uno e V altro esercito virtuoso, doverrebbe esser sanguinosa per tutte due le parti, e lasciare in modo debilitato il vincitore, che fusse al Papa facile assaltarlo e romperlo: e cosi ver- rebbe con sua gloria a rimanere signore di Lombardia, ed arbitro di tutta Italia. E quanto questa oppiuione fusse falsa, si vide per lo evento della cosa: perchè, sendo dopo una lunga zuffa sufi supe- rati i Svizzeri, non che le genti del Papa c di Spagna presumessero assaltare i vincitori, ma si prepararono alla fuga ; la quale ancora non sarebbe loro giovata, se non fusse stato o la umanità o la freddezza del re, che non cercò la se- conda vittoria, ma gli bastò fare accordo con la Chiesa. Ha questa oppinione certe ragioni che discosto paiono vere, ma sono al tutto aliene dalla verità. Perchè, rade volte accade che M vincitore perda Digitized by Google 454 DEI DISCORSI assai suoi soldati: perchè de5 vincitori ne muore nella zuffa, non nella fuga ; e nello ardore del combattere, quando gli uo- mini hanno volto il viso 1* uno all* altro, ne cade pochi, massime perchè la dura poco tempo il più delle volte; e quando pur durasse assai tempo, e de’ vincitori ne morisse assai, è tanta la riputazione che si tira dietro la vittoria, ed il ter- rore che la porta seco, che di lunga avanza il danno che per la morte de'suoi soldati avesse sopportato. Talché, se uno esercito il quale, in su la oppinione che e* fusse debilitato, andasse a trovarlo, si troverebbe ingannato; se già non fusse l’esercito tale, che d’ogni tempo, e to- nanti alla vittoria e poi, potesse com- batterlo. In questo caso e’ potrebbe, se- condo la sua fortuna e virtù, vincere e perdere; ma quello clic si fusse az- zuffato prima, ed avesse vinto, arebbe piuttosto vantaggio dall’altro. 11 che si conosce certo per la esperienza de’ Lati- ni e per la fallacia che Nummo pretore Digitized by Google LIBRO SECONDO. 455 prese, e per il danno che ne riportorno quelli popoli che gli crederono: il quale, vinto che i Romani ebbero i Latini, gri- dava per tutto il paese di Lazio, che allora era tempo assaltare i Romani de- bilitati per la zuffa avevano fatta con loro; e che solo appresso i Romani era rimaso il nome della vittoria, ma tutti gli altri danni avevano sopportati come se fussino stati vinti; c che ogni poco di forza che di nuovo gli assaltasse, era per spacciargli. Donde quelli popoli che gli crederono, fecero nuovo esercito, e su- bito furono rotti, e patirono quel danno che patiranno sempre coloro che ter- ranno simili oppinioni. Gap. XXIIL — Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno acci- dente che necessitasse tal giudizio j fuggivano la via del mezzo. Jam Laiio is status crai rerum * ut ncque pacem , ncque bcllum pati possnnt. DEI DISCORSI ÌÒ6 Di tutti gli stati infelici, è infelicissimo quello d’ un principe o d’ una repub- blica clic è ridotto in termine che non può ricevere la pace, o sostenere la guerra : a che si riducono quelli che sono dalie condizioni della pace troppo offesi ; e dall’ altro canto, volendo far guerra, convien loro o gittarsi in preda di chi gli aiuti, o rimanere preda del nimico. Ed a tutti questi termini, si viene per cattivi consigli, e cattivi pala- titi, da non avere misuralo bene le forze sue, come di sopra si disse. Perchè quella repubblica o quei principe che bene le misurasse, con difficultà si cou- durrebbe nel termine si condussono i Latini: i quali quando non dovevano accordare con i Romani, accordarono; e quando non dovevano rompere loro guerra, la ruppono: e così seppono fare in modo, che la inimicizia ed amicizia dei Romani fu loro ugualmente danno- sa. Erano, adunque, vinti i Latini ed al tutto afflitti, prima da Manlio Torquato, Digitized by Google LIBRO SECONDO. 457 e dipoi da Cammillo: il quale avendogli costretti a darsi e rimettersi nelle brac- cia de’ Romani, ed avendo messo la guar- dia per tutte le terre di Lazio, e preso da tutte gli staticità ; tornato in Roma, riferì al Senato come tutto Lazio era nelle mani' del Popolo romano. E per- chè questo giudizio è notabile, e inerita d’ essere osservato, per poterlo imitare quando simili occasioni sono date a’ prin- cipi, io voglio addurre le parole di Li- vio poste in bocca di Cammillo; le quali fanno fede e del modo che i Romani tennono in ampliare, e come ne’ giudizi di Stato sempre fuggirono la via del mezzo, e si volsono agli estremi: perchè un governo non è altro che tenere in modo i sudditi, che non ti possano o debbano offendere. Questo si fu o con assicurarsene in tutto, togliendo loro ogni via da nuocerti; o con beneficargli in modo, che non sia ragionevole ch’egli- no abbino a desiderare di mutar for- tuna. li che tutto si comprende, e prima Digitized by Google 458 DEI Disconsi per la proposta di Cammillo, c poi per il giudizio dato dal Senato sopra quella. Le parole sue furono queste: Dii im- mortale s ita vos potentcs hujus constiti fecerunl, ut sit Lalium, an non sii , in vostra manu posuerint. Jtaque pacctn vobiSj quod ad Lalinos allinei, parare in perpeluum, vcl scevicndo, vel ig na- scendo potestis. Vultis crudeliter consti- leve in dedilos, viclosque ? licei delere omno I. aduni. Vultis, exemplo majorum, auqcrc rem romanam , viclos in civita- lem accipiendo ? materia crescendi per summam gloriam suppeditat. Certe id fìrmissimum imperium est, quo obedien- tes gaudenl. Illorum igitur anirnos , dum cxpcctatione , slupenl, seti pana, seu benefìcio prceoccupari opportet. A questa proposta successe la deliberazione del Senato: la quale fu, secondo le parole del Consolo, che recatosi innanzi, terra per terra, tutti quelli eh’ erano di mo- mento, o gli beneficarono o gli spenso- no ; facendo ai beneficati esenzioni, pri- Digitized by Google LIBRO SECOSDO. 45‘J vilegi, donando loro la città, e da ogni parte assicurandogli ; di quelli altri dis- fecero le terre, mandaronvi colonie, ri- dussongli in Roma, dissiparongli tal- mente che con \9 arme e con il consiglio non potevano più nuocere. Nè usorno mai la via neutrale in quelli, come ho detto, di momento. Questo giudizio deb- bono i principi imitare. A questo do- vevano accostarsi i Fiorentini, quando nel 1502 si ribellò Arezzo, e tutta la Val di Chiana : il che se avessino fatto, nrebbero assicurato l’ imperio loro, e fatta grandissima la città di Firenze, e datogli quelli campi che per vivere gli mancano. Ma loro usarono quella via del mezzo, la quale è perniziosissima nel giudicare gli uomini; e parte degli Aretini ne confinarono, parte ne con- dennarono; a tutti tolsono gli onori e gli loro antichi gradi nella città; e la- sciarono la città intera. E se alcuno cit- tadino nelle deliberazioni consigliava che Arezzo si disfacesse ; a quelli che pareva DEI DISCORSI Ì60 esser più savi, dicevano come sarebbe poco onore della repubblica disfarla, perchè parrebbe che Firenze mancasse di forze di tenerla. Le quali ragioni sono di quelle che paiono e non sono vere; perchè con questa medesima ragione non si arebbe ad ammazzare uno parricida, uno scellerato e scandaloso, sendo ver- gogna di quel principe mostrare di non aver forze da poter frenare uno uomo solo. E non veggono questi tali che hanno simili oppinioni, come gii uomini particolarmente, ed una città tutta in- sieme pecca talvolta contra ad uno Stato, che per esempio agli altri, per sicurtà di sé, non ha altro rimedio un principe che spengerla. E l’onore con- siste nel sapere e potere castigarla ; non nel potere con mille pericoli tenerla: perchè quel principe che non castiga chi erra, in modo che non possa più erra- re, è tenuto o ignorante o vile. Questo giudizio che i Romani dettero, quanto sia necessario si conferma ancora per Digitized by Google TT « LIBRO SECONDO. 461 la sentenza che dettero de’ Privernati. Dove si debbe, per ii testo di Livio, no- tare due cose: 1’ una, quello che di so- pra si dice, che i sudditi si debbono o beneficare o spengere: Poltra, quanto la generosità dell’ animo, quanto il par- lare il vero giovi, quando egli è detto uel conspetto degli uomini prudenti. Era ragunato ii Senato romano per giudicare de’ Privernati, i quali sendosi ribellati, erano di poi per forza ritornati sotto la ubbidienza romana. Erano mandati dal popolo di Priverno molti cittadini per impetrare perdono dal Senato; ed essendo venuti al conspetto di quello, fu detto ad un di loro da un de’ Sena- tori, quam pcenam merilos Privernales censeret. Al quale Privernate rispose : E am y quam merentur qui se libevtale dignos ccnsent. Al quale il Consolo re- plicò : Quid si pcenam remiltimus vobis, qualcm nos pacati i vobiscum habituros speremus ? A che quello rispose: Si bo~ m tm dederitis , et fidelem et perpetuarli ; « ■ii J i • * 4 •4 , I | » I, Digitized by Google 4G'2 DEI DISCORSI si malam , haud diuturna m. Donde la più savia parte del Senato, ancora che molli se n’ alterassino, disse: se audi • visse vocem el liberi et viri ; nec credi posse Uhm popolum , aul hominem, de- nique in ea condilione cujus eum pestìi - teat, diutius quam nccesse sii, mansu- rum. ibi pacem esse fidam , ubi volun- tarii pacati svit , ncque eo loco ubi scr- vitutem esse velini , / idem sperandovi esse. Ed in su queste parole, deliberorno che i Privcrnati fussero ciltadini roma- ni, e de’ privilegi della civililà gli ono- rarono, dicendo : eos demum qui nihil prceterquam de liberiate cogitant,dignos esse , qui Romani fiant. Tanto piacque agli animi generosi questa vera e ge- nerosa risposta; perchè ogni altra ri- sposta sarebbe stata bugiarda e vile. E coloro che credono degli uomini altri- menti, massime di quelli che sono usi o ad essere o a parere loro essere li- beri, se n’ingannano; e sotto queslo inganno pigliano partiti non buoni per Digitized by Google LIBRO SECO.IDO. 463 sé, e da non satisfare a loro. Di che nascono le spesse ribellioni e le rovine degli Stati. Ma per tornare al discorso nostro, conchiudo, e per questo e per quello giudizio dato dai Latini: quando si ha a giudicare cittadi potenti, e che sono use a vivere libere, conviene o * spegnerle o carezzarle ; altrimenti, ogni giudizio è vano. E debbesi fuggir al tutto la via del mezzo, la quale è pcr- niziosn, come la fu a’ Sanniti quando avevano rinchiuso i Romani alle forche Caudine; quando non volleno seguire il parere di quel vecchio, che consigliò che i Romani si lasciassero andare ono- rati, o che s’ ammazzassero tutti ; ma pigliando una via di mezzo disarman- dogli c mettendogli sotto il giogo, gli lasciarono andare pieni d’ ignominia e di sdegno. Talché poco dipoi conobbero con lor danno la sentenza di quel vec- chio essere stata utile, e la loro dili- berazione dannosa; come nel suo luogo più appieno si discorrerà. Digitized by Google m DEI DISCORSI Cap. XXIV. — Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili. Parrà forse a questi savi de* nostri tempi cosa non bene considerata, che i Romani nel volere assicurarsi dei popoli di Lazio e della città di Priverno, non pensassino di edificarvi qualche fortezza, la qual fusse un freno a tenergli in fe- de; sendo, massime, un detto in Firenze, allegato da* nostri savi, che Pisa e P al- tre simili città si debbono tenere con le fortezze. E veramente, se i Romani fus- sino stati fatti come loro, egli arebbero pensato di edificarle; ma perchè egli erano d* altra virtù, d’ altro giudizio, d’ altra potenza, e’ non le edificarono. E mentre che Roma visse libera, e che la seguì gli ordini suoi e le sue vir- tuose constiluzioni, mai n’edificò per tenere o città o provincie; ma salvò bene alcune delle edificate. Donde ve- duto il modo del procedere de’ Romani Digitized by Google LIBRO SECONDO. 5G5 in questa parte, e quello eie’ prìncipi de’ nostri tempi, mi pare da mettere in considerazione, se gli è bene edificare fortezze, se le fanno danno o utile a quello che I’ edifica. Dehbesi, adunque, considerare come le fortezze si fanno o per difendersi da’nimici, o per difen- dersi da’ soggetti. Nel primo caso le non sono necessarie; nel secondo dan- nose. E cominciando a render ragione perchè nel secondo ^caso le siano dan- nose, dico che quel principe o quella repubblica che ha paura de’ suoi sud- diti e delta ribellione loro, prima con- viene che tal paura nasca da odio che abbiano i suoi sudditi seco; l’odio, da’ mali suoi portamenti ; i mali porta- menti nascono o da poter credere te- nergli con forza, o da poca prudenza di chi gli governa : ed una delle cose clic fa credere potergli forzare, è l’ avere loro addosso le fortezze; perchè i mali trattamenti, clic sono cagione dell’ odio, nascono in buona parte per avere quel .Vachi avelli, Discorsi. — 1. 30 Digitized by Google DEI DISCORSI 4<36 principe, o quella repubblica, le fortez- ze: le quali, quando sia vero questo, di gran lunga sono più nocive, che utili. Perchè in prima, come è detto, le ti fanno essere più audace e più violento nei sudditi; dipoi, non ci è quella si- curtà che tu ti persuadi : perchè tutte le forze, tutte le violenze che si usano per tenere un popolo, sono nulla eccetto che due; o che tu abbia sempre da met- tere in campagna* un buono esercito, come avevano i Romani; o che gli dis- sipi, spenga, disordini, disgiunga, in modo che non possino convenire ad of- fenderti. Perchè se tu gP impoverisci, spoliatis arma supersunt : se tu gli di- sarmi, furor arma ministrai: se tu ammazzi i capi, e gli altri segui d’ ingiu- riare, rinascono i capi, come quelli det- P idra: se tu fai le fortezze, le sono utili ne’ tempi di pace, perchè ti danno più animo a far loro male; ma ne’ tempi di guerra sono inutilissime, perchè le so- no assaltate dal nimico e da’ sudditi, nè è Digitized by Google LIBRO SECONDO. 467 possibile che le faccino resistenza ed all’uno ed all’altro. E se inai furono disutili, sono ne’ tempi nostri rispetto alle artiglierie ; per il furore delle quali i luoghi piccoli, e dove altri non si possa ritirare con li ripari, è impossibile di- fendere, come di sopra discorremmo. Io voglio questa materia disputarla più tritamente. 0 tu, principe, vuoi con que- ste fortezze tenere in freno il popolo delia tua città; o tu, principe, o tu, re- pubblica, vuoi frenare una città occu- pata per guerra. Io ini voglio voltare al principe, e gli dico: che tal fortezza per tenere in freno i suoi cittadini non può essere più inutile di quello eh’ ella è, per le cagioni dette di sopra ; perchè la ti fa più pronto c men rispettivo ad oppressateli ; e quella oppressione gli fa si esposti alla tua roviua, e gli ac- cende in modo, che quella fortezza che ne è cagione, non ti può poi difendere. Tanto che un principe savio e buono, per mantenersi buono, per non dare Digilized by Google 4G8 DEI DISCORSI cagione nè ardire a’ figliuoli di diven- tare tristi, mai non farà fortezza, ac- ciocché quelli non in su le fortezze, ina in su la benivolenza degli uomini si fondino. E se il conte Francesco Sforza, diventato duca di Milano, fu riputato savio, e nondimeno fece in Milano una fortezza ; dico che iti questo caso ei non fu savio, e V effetto ha dimostro, come tal fortezza fu a danno, e non a sicurtà de’ suoi eredi. Perchè giudicando me- diante quella viver sicuri, e potere of- fendere gli cittadini e sudditi loro, non perdonarono ad alcuna generazione di violenza; talché diventati sopra modo odiosi, perderono quello Stato come prima il nimico gli assaltò: nè quella fortezza gli difese, nè fece loro nella guerra utile alcuno, e nella pace avea loro fatto danno assai. Perchè se non avessiuo avuto quella, e se per poca prudenza avessino maneggiati agramente i loro cittadini, arebbero scoperto il pe- ricolo più presto, e sarebbonsene riti- Digitized by Googl LIBRO SCCOXDO. 46ì> rati; ed orebbero poi potuto più ani- mosamente resistere all’ impeto francioso co’ sudditi amici senza fortezza, die con quelli inimici con la fortezza: le quali non ti giovano in alcuna parte; perchè, o le si perdono per frali de di chi le guarda, o per violenza di chi I’ assalta, o per fame. E se tu vuoi che le ti gio- vino, e ti aiutino a ricuperare uno Stato perduto, dove ti sia solo rimaso la for- tezza ; ti conviene avere uno esercito, con il quale tu possa assaltare colui che t’ha cacciato: e quando tu abbia questo esercito, tu riavesti lo Stato in ogni mo- do, eziandio che la fortezza non \i fusse ; c tanto più facilmente, quanto gli uomini ti fussiuo più amici che non ti erano avendogli mal trattati per l’orgoglio della fortezza. E per isperienzn s’ è vi- sto, come questa fortezza di Milano, nè agli Sforzeschi nè a’ Franciosi, ne’ tempi avversi dell’ uno e dell’ altro, non ha fatto a alcunb di loro utile alcuno; anzi a tutti ha recato danni e rovine assai. Digitized by Google 470 DEI DISCORSI non avendo pensato mediante quella a più onesto modo di tenere quello Stato. Guido Ubaldo duca di Urbiuo, figliuolo di Federigo, che fu ne’ suoi tempi tanto stimato capitano, sendo cacciato da Ce* sarc Borgia, figliuolo di papa Alessan- dro VI, dello stato; come dipoi, per uno accidente nato, vi ritornò, fece rovinare tutte le fortezze clic erano in quella pro- vincia, giudicandole dannose. Perchè, sendo quello amato dagli uomini, per rispetto di loro non le voleva ; e per conto de’ nimici, vedeva non le poter di- fendere, avendo quelle bisogno d’ uno esercito in campagna, che le difendesse; talché si volse a rovinarle. Papa Iulio, cacciati i Bentivogli di Bologna, fece in quella città una fortezza ; e dipoi faceva assassinare quel popolo da un suo go- vernatore : talché quel popolo si ribellò, e subito perde la fortezza ; e cosi non gli giovò la fortezza e 1* offese, intanto clic portandosi altrimenti, gli arebbe giovato. Niccolò da Castello, padre de’ Yi- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 471 teili, tornato nella sua patria donile era esule, subito disfece due fortezze vi aveva edificale papa Sisto IV, giudican- do, non la fortezza, ma la benivolenza del popolo l’avesse a tenere in quello stato. Ma di tutti gli altri essempi il più fresco, il più notabile in ogni parte, ed atto a mostrare la inutilità dello edi- ficarle e 1’ utilità del disfarle, è quello di Genova, seguito ne’ prossimi tempi. Ciascuno sa come, nel 1507, Genova si ribellò da Luigi XII re di Francia, il quale venne personalmente e con tutte le forze sue a racquietarla ; e ricuperata che 1’ ebbe, fece una fortezza, fortissima di tutte l’ altre delle quali al presente si avesse notizia: perchè era per silo e per ogni altra circonstanza inespugna-) bile, posta in su una punta di colle che si distende nel mare, chiamato dai Ge- novesi Codefa ; e per questo batteva tutto il porto, e gran parte della terra di Ge- nova. Occorse poi, nel 1512, che sendo cacciate le genti franciose d’ Italia,. Gc- Digitized by Google 472 DEI DISCORSI novo, nonostante la fortezza, si ribellò; e prese lo stalo di quella Ottaviano Fre- * goso, il quale con ogni industria, in termine di sedici mesi, per fame la espugnò. E ciascuno credeva e da molti» n* era consigliato, che la conservasse per suo rifugio in ogni accidente: ma esso, come prudentissimo, conoscendo che non le fortezze, ma la volontà degli uomini mantenevano i principi in stato, la ro- vinò. E cosi, senza fondare lo stato suo in su la fortezza, ma in su la virtù e prudenza sua, lo ha tenuto e tiene. E dove a variare lo stato di Genova sole- vano bastare mille fanti, gli avversari suoi l’ hanno assaltato con diecimila, e non T hanno potuto offendere. Vedesi adunque per questo, come il disfare la fortezza non ha offeso Ottaviano, ed il farla non difese il re di Francia. Per- chè, quando e’ potette venire in Italia con l’ esercito, e’ potette ricuperare Ge- nova, non vi avendo fortezza; ma quando e’ non potette venire in Italia con l’cser- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 473 cito, e* non potette tenere Genova, aven- dovi la fortezza. Fu, adunque, di spesa al re di farla, e vergognoso il perderla; a Ottaviano glorioso il racquistarla, ed utile il rovinarla. Ma vegnamo alle re- pubbliche che fanno le fortezze noli nella patria, ma nelle terre che le acqui- stano. Ed a mostrare questa fallacia, quando e’ non bastasse V essempio detto di Francia e di Genova, voglio mi basti Firenze e Pisa : dove i Fiorentini fecero le fortezze per tenere quella città ; e non conobbero che una città stata sempre inimica del nome fiorentino, vissuta li- bera, e che ha alla ribellione per rifu- gio la libertà, era necessario, volendola tenere, osservare il modo romano; o farsela compagna, o disfarla. Perchè la virtù delle fortezze si vidde nella venula del re Carlo; al quale si dettono o per poca fede di chi le guardava, o per ti- more di maggior male: dove, se le non fussino state, i Fiorentini non arcbbero fondato 11 potere tenere Pisa sopra Digitized by Google 474 DEI DISCORSI quelle, e quel re non arebbe potuto per quella via privare i Fiorentini di quella città; e gli modi con li quali si fussi mantenuta fino a quel tempo, sarebbero stati per avventura sufficienti a conser- varla, e senza dubbio non arebbero fatto più cattiva pruova che le fortezze. Con- chiudo dunque, che per tenere la patria propria, la fortezza è dannosa ; per te- nere le terre che si acquistano, le for- tezze sono inutili: e voglio mi basti I’ autorità de’ Romani, i quali nelle terre che volevano tenere con violenza, smu- ravano, e non muravano. E chi contra questa oppinione n’allegassi negli anti- chi tempi Taranto, e ne’ moderni Bre- scia, i quali luoghi mediante le fortezze furono ricuperati dalla ribellione dei sudditi ; rispondo che alla ricuperazione di Taranto, in capo d’ uno anno, fu mandato Fabio Massimo con tutto lo esercito, il quale sarebbe stato alto a ricuperarlo eziandio se non vi fusse stata la fortezza; e se Fabio usò quella Digitized by Google LIBRO SECONDO. • F>f 4/o via, quando la non vi fusse stata dareb- be usata un’altra, che arebbe fatto il medesimo effetto. Ed io non so di che utilità sia una fortezza che, a renderti la terra, abbia bisogno, per la ricupe- razione d’ essa d* uno esercito consolare, e d’ un Fabio Massimo per capitano. E che i Romani 1* avessino ripresa in ogni modo, si vide per V essempio di Capova ; dove non era fortezza, e per virtù dello esercito la riacquistarono. Ma vegliamo a Brescia. Dico, come rade volte occorre quello che è occorso in quella ribellione, clic la fortezza che rimane nelle forze tue, sendo ribellata la terra, abbia uno esercito grosso e propinquo, coiti’ era quel de’ Franciosi : perchè, essendo mon- signor di Fois, capitano del re, con l’esercito a Bologna, intesa la perdita di Brescia, senza differire ne andò a quella volta, ed in tre giorni arrivato a Brescia, per la fortezza riebbe la terra. Ebbe, pertanto, ancora la fortezza di Brescia, a volere clic la giovasse, bi- Digitized by Google 476 DEI DISCORSI sogno d’ un monsignor di Fois, c d’ un esercito francioso che in tre dì la soc- corresse. Sì clic F esscmpio di questo, all’ incontro degli essempi contrari, non basta ; perchè assai fortezze sono state, nelle guerre de’ nostri tempi, prese e riprese con la mcdesimu fortuna che si è ripresa e presa la campagna, non so- lamente in Lombardia, ma in Romagna, nel regno di Napoli, c per tutte le parti d’ Italia. Ma, quanto allo edificar for- tezze per difendersi da’ n inaici di fuora, dico che le non sono necessarie a quelli popoli nè a quelli regni che hanno buoni eserciti; ed a quelli che non hanno buoni eserciti, sono inutili: perchè i buoni eserciti senza le fortezze sono sufficienti a difendersi ; le fortezze senza i buoni eserciti non ti possono difendere. E que- sto si vede per isperienza di quelli che sono stati e nei governi e nell* altre cose tenuti eccellenti; comesi vede dei Romani e degli Spartani: che se i Ro- mani non edificavano fortezze, gli Spar- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 477 tani non solamente si astenevano da quelle, ma non permettevano d’ aver mura alla loro città; perchè volevano che la virtù dell* uomo particolare, non .altro difensivo, gli difendesse. Dondechè, essendo domandato uno Spartano da uno Ateniese, se le mura d’ Atene gli parevano belle, gli rispose: Si, se le fussino abitate da donne. Quel principe, adunque, che abbi buoni eserciti, quan- do in sulle marine alla fronte dello Stato suo abbia qualche fortezza che possa qualche dì sostenere lo inimico infino che sia a ordine, sarebbe qualche volta cosa utile, ma la non è necessaria. Ma quando il principe non ha buono esercito, avere le fortezze per il suo Stato o alle frontiere, gli sono o dan- nose o inutili : dannose, perchè facil- mente le perde, e perdute gli fanno guerra ; o se pur le fussino sì forti che M nimico non le potesse occupare, sono lasciate indietro dallo esercito nimico, e vennono ad essere di nessuno frutto: V Digitized by Google 478 DEI DISCORSI perchè i buoni eserciti, quando non hanno gagliardissimo riscontro, entrano nei paesi nitnici senza rispetto di città o di fortezza che si lascino indietro; come si vede nell* antiche istorie, e come si vede fece Francesco Maria, il quale ne’ prossimi tempi per assaltare Urbino si lasciò indietro dieci città ni miche, senza alcuno rispetto. Quel principe, adunque, che può fare buono esercito, può fare senza edificare fortezza; quello che non ha V esercito buono, non debbe edificare. Debbe bene afforzare la città dove abita, e tenerla munita, e ben di- sposti i cittadini di quella, per poter sostenere tanto un impelo nimico, o che accordo, o che aiuto esterno lo liberi. Tutti gli altri disegni sono di spesa ne’ tempi di pace, ed inutili ne’ tempi di guerra. E così, chi considererà tutto quello ho detto, conoscerà i Romani, come savi in ogni altro loro ordine, cosi furono prudenti in questo giudizio dei Latini e de’ Privernati ; dove, non Digitized by Google LIBRO SECONDO. 479 pensando a fortezze, con più virtuosi modi e più savi se ne assicurarono. Gap. XXV. — Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediante la sua disunione, è partito contrario. Era tanta disunione nella Repubblica romana intra la Plebe e la Nobiltà, clic i Veienti insieme con gli Etrusci, me- diante tale disunione, pensarono potere estinguere il nome romano. Ed avendo fatto esercito, e corso sopra i campi di Roma, mandò il Senato loro contra Gii. Manlio e 2M. Fabio; i quali avendo con- dotto il loro esercito propinquo allo eser- cito de’ Veienti, non cessavano i Veien- ti, e con assalti e con obbrobri, offendere e vituperare il nome romano: e fu tanta la loro temerità ed insolenza, che i Ro- mani di disuniti diventarono uniti; e venendo alla zuffa, gli ruppono e vin- sono. Vedesi pertanto, quanto gli uomini s’ ingannano, come di sopra discorrem- Digitized by Google DEI DISCORSI 480 mo, nel pigliare de’ parliti; c come molte volte credono guadagnare una cosa, e la perdono. Credeltono i Veienti assal- tando i Romani disuniti, vincergli; c quello assalto fu cagione della unione di quelli, e della rovina loro. Perchè la cagione della disunione delle repubbli- che il più delle volte è P ozio e la pace; la cagione della unione è la paura e la guerra. E però, se i Veienti fussiuo stati savi, eglino arebbono, quanto più disu- nita vedevano Roma, tanto più tenuta da loro la guerra discosto, e con Parti della pace cerco d’oppressargli. Il modo è cercare di diventare confidente di quella città ciré disunita; ed infino che non vengono alP arme, come arbitro, maneg- giarsi intra le parli. Venendo alParme, dare lenti favori alla parte più debole; si per tenergli più in su la guerra, e fargli consumare; si perchè le assai forze non gli facessero tutti dubitare che tu volessi opprimergli, e diventar loro principe. E quando questa parte è go- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 481 vernata bene, interverrà quasi sempre che Y ara quel fine che tu hai presup- posto. La città di Pistoia, come in altro discorso e ad altro proposito dissi, non venne alla Repubblica di Firenze con altra arte che con questa; perchè, sendo quella divisa, c favorendo i Fio- rentini or Furia parte or l’altra, senza carico dell’ una e dell’ altra, la condus- sono in termine, che, stracca di quel suo vivere tumultuoso, venne sponta- neamente a gittarsi nelle braccia di Fi- renze. La città di Siena non ha mai mu- tato stato col favore de’ Fiorentini,' se non quando i favori sono stati deboli e pochi. Perchè, quando e’ sono stali assai e gagliardi, hanno fatto quella città unita alla difesa di quello stato che regge. Io voglio aggiungere ai soprascritti un al- tro essempio. Filippo Visconti, duca di Milano, più volte mosse guerra ai Fio- rentini, fondatosi sopra le disunioni loro, e sempre ne rimase perdente; talché gli ebbe a dire, dolendosi delle sue im- Machiavei li, Discorsi. — 1. 31 Digitized by Google ORI DISCORSI 482 prese, come le pazzie de’ Fiorentini gli avevano fatto spendere inutilmente due milioni d’ oro. Restarono, adunque, co- me di sopra si dice, ingannati i Veienli e gli Toscani da questa oppinione, e fu- rono alfine in una giornata superati dai Romani. IT così per Io avvenire ne re- sterà ingannato qualunque per simile via e per simile cagione crederà oppres- sore un popolo. Cai». XXVI. — Il vilipendio e V impro- perio genera odio conira a coloro che r usano j senza alcuna loro utilità. • lo eredo che sta una delle grandi pru- denze che usino gli uomini, astenersi o dal minacciare, o dallo ingiuriare alcuno con le parole: perchè 1’ una cosa e l’al- tra non tolgono forze al nimico; ma l’una lo fa più cauto; l’altra gli fa avere maggiore odio contra di te, e pensare con maggiore industria di of- fenderti. Yedesi questo per lo essempio . -J Digitized by Google LIBRO SECONDO. 483 de* Veienti, de’ quali nel capitolo supe- riore si è discorso; i quali alla ingiu- ria della guerra aggiunsono, contra ai Romani, l’obbrobrio delle parole: dal quale ogni capitano prudente debbe fare astenere i suoi soldati ; perchè le son cose che infiammano ed accendono il nimico alla vendetta, ed in uessuna parte lo impediscono, come è detto, alla offesa; tanto che le sono tutte arme che ven- gono contra a te. Di che ne seguì già uno essempio notabile in Asia: dove Gabade, capitano de’ Persi, essendo stato a campo ad Amida più tempo, ed avendo diliberato, stracco dal tedio della ossi- dione, partirsi; levandosi già col campo, quelli della terra venuti tutti in su le mura, insuperbiti della vittoria, non perdonarono a nessuna qualità d’ ingiu- ria, vituperando, accusando, rimprove- rando la viltà e la poltroneria del ni- mico. Da che Gabade irritato, mutò consiglio; e ritornato alla ossidione, tan- ta fu la indegnazione della ingiuria, che Digitized by Google DF.I DISCORSI 484 in pochi giorni gli prese e saccheggiò. E questo medesimo intervenne a’Veienti: a’ quali, coni’ è detto, non bastando il far guerra a’ Romani, ancora con le pa- role gli vituperarono; ed andando in- iìno in su lo steccato del campo a dir loro ingiuria, gl’ irritarono molto più con le parole che con P arme : e quelli soldati che prima combattevano mal vo- lentieri, costrinsero i Consoli ad appic- care la zuffa; talché i Veienti portarono la pena, come gli antedetti, della con- tumacia loro. Hanno adunque i buoni principi di esercito, ed i buoni governa- tori di repubblica, a far ogni opportuno l imedio, che queste ingiurie e rimproveri non si usino o nella città o nello eser- cito suo, nè infra loro, nè contra il ni- mico: perchè usati contra al nimico, ne nascono gli inconvenienti soprascritti; infra loro, farebbono peggio non vi si riparando, come vi hanno sempre gli uomini prudenti riparato. Avendo le le- gioni romane state lasciate a Capova Digitized by Goo LIBRO SECONDO. -4*5 congiurato conil a a’ Capovani, come nel suo luogo si narrerà; ed essendone di questa congiura nata sedizione, la quale fu poi da Valerio Corvino quietata ; in- tra all* altre conslituzioni che nella con- venzione si fecero, ordinarono pene gra- vissime a coloro che improverassino mai ad alcun di quelli soldati tale sedizione. Tiberio Gracco, fatto nella guerra di An- nibaie capitano sopra certo numero di servi che i Romani, per carestia d’uo- mini, avevano armati, ordinò, intra le prime cose, pena capitale a qualunque rimproverasse la servitù di alcuno di loro. Tanto fu stimato dai Romani, co- me di sopra s’è detto, cosa dannosa il vilipendere gli uomini, ed il rimprove- rare loro alcuna vergogna; perchè non è cosa che accenda tanto gli animi loro, nè generi maggiore sdegno, o da vero o da beffe che si dica : ISam facetice aspcrcCj quando nimium ex vero traxe- rc, acretn sui memorianx relinquunt. DEI DISCORSI 48G Cap. XXVII. — Ai principi e repubbli- che prudenti debbe bastare vincere; perchè il più delle volle j quando non basti j si perde. Lo usare parole contra al nimico poco onorevoli, nasce il più delle volte da una insolenza che ti dà o la vittoria o la falsa speranza della vittoria; la quale falsa speranza fa gli uomini ‘non sola- mente errare nel dire, ma ancora nello operare. Perchè questa speranza, quando la entra ne’ petti degli uomini, fa loro passare il segno, e perdere il più delle volte quella occasione d’ avere un bene certo, sperando d’ avere un meglio in- certo. E perchè questo è un termine die merita considerazione, ingannando- cisi dentro gli uomini molto spesso, e con danno dello stato loro; e’ mi pare da dimostrarlo particolarmente con es- sempi antichi e moderni, non si potendo con le ragioni così distintamente dimo- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 487 strare. Annibaie, poi ch’egli ebbe rotti i Romani a Canne, mandò suoi oratori a Cartagine a significare la vittoria, e chiedere sussidi. Disputossi nel senato di quello s’ avesse a fare. Consigliava Annone, un vecchio e prudente cittadino cartaginese, che si usasse questa vitto- ria saviamente in far pace coi Romani, potendola avere con condizioni oneste avendo vinto; e non s’aspettasse d’averla a fare dopo la perdita: perchè la in- tenzione de’ Cartaginesi doveva essere, mostrare ai Romani come e’ bastavano a combattergli ; ed avendosene avuto vittoria, non si cercasse di perderla per la speranza d’ una maggiore. Non fu preso questo partito; ma fu bene poi dal senato cartaginese conosciuto savio, quando 1’ occasione fu perduta. Avendo Alessandro Magno già preso tutto l’orien- te, la repubblica di Tiro, nobile in quelli tempi e potente per avere la loro città in acqua come i Veniziani, veduta la grandezza d’ Alessandro, gli mandarono Digitized by Google 488 DEI DISCORSI oratori a dirgli, come volevano essere suoi buoni servitori e dargli quella ub- bidienza voleva, ma che non erano già per accettare nè lui nè le sue genti nella terra : donde sdegnato Alessandro che una città gli volesse chiudere quelle porte che tutto il mondo gli aveva aper- te, gli ributtò, e non accettate le condi- zioni loro, vi mandò a campo. Era la terra in acqua, e benissimo di vettova- glie e d’ altre munizioni necessarie alla difesa munita: tanto che Alessandro do- po quattro mesi s* avvide, che una città gli toglieva quel tempo alla sua gloria che non gli avevano tolti molti altri acquisti ; e diliberò di tentare 1* accordo, e concedere loro quello che per loro medesimi avevano domandato. Ma quelli di Tiro insuperbiti, non solamente non volsero accettare l* accordo, ina ammaz- zorono chi venne a praticarlo. Di che Alessandro sdegnato, con tanta forza si mise alla espugnazione, che la prese e disfece, ed ammazzò e fece schiavi gli Digitized by Google LIBRO SECONDO. 489 uomini. Venne, nel 4512, uno esercito spagnuolo in su 'I dominio fiorentino per rimettere i Medici in Firenze, e ta- glieggiare la città, condotti da’ cittadini d’ entro, i quali avevano dato loro spe- ranza, che subito fussero in su ’1 domi- nio fiorentino, piglierebbono V arme in loro favore; ed essendo entrati nel piano, e non si scoprendo alcuno, ed avendo carestia di vettovaglie, tentarono V ac- cordo: di che insuperbito il popolo di Firenze, non lo accettò-; donde ne nacque la perdita di Prato, e la rovina di quello Stato. Non possono, pertanto, i principi che sono assaltati far il maggiore errore, quando 1* assalto è fatto da uomini di gran lunga più potenti di loro, che ri- cusare ogni accordo, massime quando gli è offerto: perchè non sarà mai of- ferto si basso, che non vi sia dentro in qualche parte il bene essere di colui che io accetta, e vi sarà parte della sua vittori?. Perchè e’ doveva bastare al po- polo di Tiro, clic Alessandro accettasse Digilized by Google 490 DEI DISCORSI quelle condizioni che egli aveva prima rifiutate; ed era assai vittoria la loro, quando con Y armi in mano avevano fatto condiscendere un tanto uomo alla voglia loro. Doveva bastare ancora al popolo fiorentino, e gli era assai vittoria, se lo esercito spagnuolo cedeva a qual- cuna delle voglie di quello, e le sue non adempieva tutte: perchè la intenzione di quello esercito era mutare lo stato in Firenze, e levarlo dalla devozione di Francia, e trarre da lui danari. Quando di tre cose e’ ne avesse avute due, che son 1’ ultime; ed al popolo ne fusse re* stata una, che era la conservazione dello stato suo; ci aveva dentro ciascuno qual- che onore e qualche satisfazione, nè si doveva il popolo curare delle due cose, rimanendo vivo ; nè doveva, quando bene egli avesse veduta maggiore vittoria, e quasi certa, voler mettere quella in al- cuna parte a discrezione della fortuna, andandone Y ultima posta sua: la quale qualunque prudente mai arrischierà se Digilized by Google LIBRO SECOSDO. 491 non necessitato. Annibaie partito iT Ita- lia, dove era stato sedici anni glorioso, richiamato da’ suoi Cartaginesi a soc- correre la patria, trovò rotto Asdrubale e Siface; trovò perduto il regno di Nu- midia; ristretta Cartagine intra i termini delle sue mura, alla quale non restava altro rifugio, che esso e T esercito suo : e conoscendo come quella era 1’ ultima posta della sua patria, non volle prima metterla a rischio, di’ egli ebbe ten- tato ogni altro rimedio; e non si ver- gognò di domandare la pace, giudicando se alcuno rimedio aveva la sua patria, era in quella, e non nella guerra: quale sendogli poi negata, non volle mancare, dovendo perdere, di combattere; giudi- cando potere pur vincere ; o perdendo, perdere gloriosamente. E se Annibaie, il quale era tanto virtuoso ed aveva il suo esercito intero, cercò prima la pace che la zuffa, quando ci vide che per- dendo quella, la sua patria diveniva ser- va ; che debbe fare un altro di manco Digitized by Google I 492 DEI DISCORSI virtù e di manco isperienza di lui? Ma gli uomini fanno questo errore: che non sanno porre termini alle speranze loro, ed in su quelle fondandosi, senza mi* surarsi altrimenti, rovinano. Cap. XXVIII. — Quanto sia pericoloso ad una repubblica o ad uno principe non vendicare una ingiuria falla con- tro al pubblico o conira al privalo. Quello che facciano fare agli uomini gli sdegni, facilmente si conosce per quello che avvenne ai Romani, quando e’ mandarono i tre Fabi oratori ai Fran- ciosi, che erano venuti ad assaltare la Toscana, ed in particolare Chiusi. Per- chè, avendo mandato il popolo di Chiusi per aiuto a Roma, i Romani mandarono ambasciatori a’ Franciosi, che in nome del Popolo romano significassero a quelli, si astenessino di far guerra ai Toscani. I quali oratori, sendo in su M luogo, e più atti a fare che a dire, venendo i Digitized by Google LIBRO SECONDO. 493 Franciosi c i Toscani alla zuffa, si mi- sero intra i primi a combattere contra a quelli : onde ne nacque che essendo conosciuti da loro, tutto lo sdegno che avevano contra a’ Toscani, volsero con- tea ai Romani. 11 quale sdegno diventò maggiore, perchè, avendo i Franciosi per loro ambasciadori fatto querela con il Senato romano di tale ingiuria, e do- mandato che in satisfazione del danno fussino dati loro i soprascritti Fabi; non solamente non furono consegnati loro, o in altro modo castigati; ma ve- nendo i comizi, furono fatti Tribuni con potestà eousolare. Talché, veggendo i Franciosi quelli onorati che dovevano esser puniti, ripresono tutto esser fatto in loro dispregio ed ignominia; ed ac- cesi d’ ira e di sdegno, vennero ad as- saltare Roma, e quella presero, eccetto il Campidoglio. La quale rovina nacque a* Romani solo per la inosservanza della giustizia; perchè avendo peccato i loro ambasciatori conira jus gcntiunij e do- Digitized by Google 494 DE! DISCORSI vendo esser gastigati, furono onorati. Però è da considerare quanto ogni re- pubblica ed ogni principe debbe tenere conto di fare simile ingiuria, non sola- mente contra ad una universalità, ma ancora contra ad uno particolare. Per- chè, se uno uomo è offeso grandemente o dal pubblico o dal privato, e non sia vendicato secondo la satisfazione sua; se e’ vive in una repubblica, cerca an- cora con la rovina di quella vendicarsi ; se e’ vive sotto un principe, ed abbia in sè alcuna generosità, non si acquieta mai, in fino che in qualunque modo si vendichi contra di lui, ancora che egli vi vedesse dentro il suo proprio male. Per verificare questo, non ci è il più bello nè il più vero essemrpio che quello di Filippo di Macedonia, padre di Ales- sandro. Aveva costui in la sua corte Pausania, giovine bello e nobile, del quale era innamorato Aitalo; uno de' pri- mi uomini che fusse presso a Filippo; cd a\endolo più volte ricerco che dovesse Digitized by Googl LIBRO SECONDO. 495 consentirgli, e trovandolo alieno da si- mili cose, deliberò di avere con inganno e per forza quello che per altro verso vedeva non potere avere. E fatto un so- lenne convito, nel quale Pausania e molti altri nobili baroni convennero, fece, poi- ché ciascuno fu pieno di vivande e di vino, prendere Pausania ; e condottolo allo stretto, non solamente per forza sfogò la sua libidine, ma ancora, per maggiore ignominia, lo fece da molti degli altri in simile modo vituperare. Della quale ingiuria Pausania si dolse più volte con Filippo ; il quale, avendolo tenuto un tempo in speranza di vendi- carlo, non solamente non lo vendicò, ma prepose Attalo al governo d’ una provincia di Grecia. Donde Pausania, vedendo il suo nimico onorato e non gastigato, volse tutto lo sdegno suo non contra a quello che gli aveva fatto in- giuria, ma conira a Filippo che non P aveva vendicato: ed una mattina so- lenne, in su le nozze della figliuola di Digitized by Google DEI DISCORSI 496 Filippo maritata ad Alessandro di Epiro, andando Filippo al tempio a celebrarle, in mezzo di due Alessandri, genero e figliuolo, l’ammazzò. Il quale essempio è molto simile a quello de’ Romani, no- tabile a qualunque governa: che mai non debba tanto poco stimare un uomo, che e’ creda, aggiungendo ingiuria sopra ingiuria, che colui che è ingiuriato non pensi di vendicarsi con ogni .suo peri- colo e particolar danno. Cap. XXIX. — La fortuna accieca gli animi degli uominij quando la non imolc che quelli si opponghino a* di- segni suoi. / Se e’ si considerrà bene come proce- dono le cose umane, si vedrà molte volte nascere cose e venire accidenti a’ quali i cieli al tutto non hanno voluto che si provvegga. E quando questo eh’ io dico intervenne a Roma, «love era tanta virtù, tanta religione e tanto ordine; non è Digitized by Googl LIBRO SECONDO. 497 meraviglia che gli intervenga molto più spesso in una città o in una provincia che manchi delle cose sopradette. E per- chè questo luogo è notabile assai a di- mostrare la potenza del cielo sopra le cose umane, Tito Livio largamente e con parole efficacissime lo dimostra ; di- cendo come, volendo il cielo a qualche fine, che i Romani conoscessono la po- tenza sua, fece prima errare quelli Fa- bi che andarono oratori a’ Franciosi, e mediante F opera loro gli concitò a far guerra a Roma: dipoi ordinò, che per reprimere quella guerra non si fa- cesse in Roma cosa alcuna degna del Popolo romano; avendo prima ordinato che Camillo, il quale poteva essere solo unico rimedio a tanto male, fusse man- dato in esilio ad Ardea: dipoi venendo i Franciosi verso Roma, coloro che per rimediare allo impeto de’Volsci, ed altri finitimi loro inimici, avevano creato molte volte un Dittatore, venendo i Franciosi non lo crearono. Ancora, nel fare la Machiavelli, Discorsi.— 1. 32 Digitized by Google 498 DEI DISCORSI elezione de’ soldati, la feciono debole e senza alcuna istraordinaria diligenza; e furono tanto pigri a pigliare l’ arme, che a fatica furono a tempo a scontrare i Franciosi sopra il fiume d’ Allia, disco* sto a Roma dieci miglia. Qui i Tribuni posero il loro campo, senza alcuna con* sueta diligenza ; non provvedendo il luogo prima, nou si circondando con fossa e con steccato, non usando alcuno rimedio umauo o divino ; e nello ordi- nare la zuffa, fecero gli ordini rari e deboli: in modo che nè i soldati uè i capitani fecero cosa degna della romana disciplina. Combattessi poi senza alcuno sangue; perchè e’ fuggirono prima che fussiuo assaltati, e la maggior parte se ne andò a Veio, 1’ altra si ritirò a Ro- ma; i quali senza entrare altrimenti nelle case loro, se ne entrarono in Cam- pidoglio; in modo che il Senato, senza peusare di difender Roma, non chiuse, non che altro, le porte; e parte se ne fuggi, parte con gli altri se ne entra- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 499 rono in Campidoglio Pure, nel difender quello usarono qualche ordine non tu- multuario; perchè e’ non lo aggravarono di genti inutili; messonvi tutti i fru- menti che poterono, acciocché potessino sopportare 1’ ossidione j e della turba inutile de’ vecchi e delle donne e de’ fan- ciulli, la maggior parte se ne fuggi nelle terre circunvicine, il rimanente restò in Roma in preda de’ Franciosi. Talché, chi avesse letto le cose fatte da quel popolo tanti anni innanzi, e leggesse dipoi quelli tempi, non potrebbe a nessun modo cre- dere che fusse stato un medesimo po- polo. E detto che Tito Livio ha tutti i sopraddetti disordini, conchiude: Adeo obcoecat animo» fortuna , cum vini suam ingruentem refringi non vult. Nè può essere -43ÌÙ vera «{«està conclusione: on- de gli uomini che vivono ordinariamente nelle grandi avversità 0 prosperità, me- ritano manco laude 0 manco biasimo. Perchè il più delle volte si vedrà quelli ad una rovina e ad una grandezza es- Digitized by Google 500 DF.1 DISCORSI scr stati condotti da una comodità grande che gli hanno fatto i cieli, dandogli oc- casione, o togliendoli di potere operare virtuosamente. Fa bene la fortuna que- sto, che la elegge uno uomo, quando la voglia condurre cose grandi, di tanto spirito e di tanta virtù, che e’ conosca quelle occasioni che la gli porge. Cosi medesimamente, quando la voglia con- durre grandi rovine, la vi prepone uo- mini che aiutino quella rovina. E se alcuno fusse che vi potesse ostare, o la lo ammazza, o la lo priva di tutte le facultà da potere operare alcun bene. Conoscesi questo benissimo per questo testo, come la fortuna per far maggiore Roma, e condurla a quella grandezza venne, giudicò fusse necessario batterla (come a lungo nel principio del seguente libro discorreremo), ma non volle già in tutto rovinarla. E per questo si vede che la fece esulare, e non morire, Cam- mino; fece pigliare Roma, e non il Cam- pidoglio ; ordinò che i Romani, per ri- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 501 parare Roma, non pensassino alcuna cosa buona; per difendere il Campido- glio, non mancarono di alcuno buono or- dine. Fece, perchè Roma fusse presa, che la maggior parte de’ soldati che fu- rono rotti ad Allia, se n’ andarono a Veio; e così, per la difesa della città di Roma, tagliò tutte le vie. E nell’ ordinar questo, preparò ogni cosa alla sua ricupe- razione ; avendo condotto uno esercito romano intero a Veio, e Cammillo ad Ardea, da poter fare grossa testa, sotto un capitano non maculato d’ alcuna igno- minia per la ' perdita, ed intero nella sua riputazione, per la ricuperazione della patria sua. Sarebbeci da addurre in confirmazione delle cose delle qual- che essempio moderno; ma per non gli giudicare necessari, potendo questo a qualunque satisfare, gli lascerò indietro. Affermo bene di nuovo, questo essere verissimo, secondo che per tutte ì’islo- rie si vede, che gli uomini possono se- condare la fortuna e non opporsegli; Digitized by Google DEI DISCORSI 502 possono tessere gli orditi suoi, e non rompergli. Debbono bene non si abban- donare mai ; perchè non sappiendo il fine suo, ed andando quella per vie tra- verse ed incognite, hanno sempre a spe- rare, e sperando non si abbandonare in qualunque fortuna ed in qualunque tra- vaglio si trovino. Cap. XXX. — Le repubbliche c gli prin- cipi veramente polenti non comperano l* amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazione delle forze. Erano i Romani assediati nel Campi- doglio, ed ancoraché gli aspettassino il soccorso da Veio e da Cammillo, sendo cacciati dalla fame, vennono a compo- sizione con i Franciosi di ricomperarsi certa quantità d'oro; e sopra tale con- venzione pesandosi di già l’oro, so- pravvenne Cammillo con V esercito suo : il che fece, dice lo istorico, la fortuna, ut Romani auro redempti non vivcrent. Digitized by Google LIBRO SECONDO. 503 La qual cosa non solamente è notabile in questa parte, ma cziam nel processo delle azioni di questa Repubblica ; dove si vede che mai acquistarono terre con danari, mai feciono pace con danari, ma sempre con la virtù delle armi: il che non credo sia mai intervenuto ad alcuna altra repubblica. Ed intra gli altri segni per i quali si conosce la po- tenza d’ uno Stato, è vedere come e' vive con gli vicini suoi. E quando e’ si go- verna in modo che i vicini, per averlo amico, siano suoi pensionari, allora è certo segno che quello Stato è potente: ma quando detti vicini, ancoraché in- feriori a lui, traggono da quello danari, allora è segno grande di debolezza di quello. Legghinsi tutte le istorie romane, e vedrete come i Massiliensi, gli Edui, Rodiani, lerone siracusano, Eumene e Massinissa regi, i quali tutti erano vi- cini ai confini dello imperio romano, per avere l’amicizia di quello, concor- revano a spese ed a tributi ne’ bisogni Digitized by Google 504 DEI DISCORSI d’ esso, non cercando da lui altro pre- mio che lo essere difesi. Al contrario si vedrà negli Stati deboli: e comin- ciandosi dal nostro di Firenze, ne’ tempi passati, nella sua maggior riputazione, non era signorotto in Romagna che non avesse da quello provvisione; e di più la dava ai Perugini, ai Castellani, e a tutti gli altri suoi vicini. Che se questa città fusse stata armata e gagliarda, sa- rebbe tutto ito per contrario: perchè tutti, per avere la protezione di essa, arebbero dato danari a lei, e cereo non di vendere la loro amicizia, ma di com- perare la sua. Nè sono in questa viltà vissuti soli i Fiorentini, ma i Yiniziani, ed il re di Francia; il quale, con uno tanto regno, vive tributario de’ Svizzeri e del re d’ Inghilterra. Il che tutto na- sce dallo avere disarmali i popoli suoi, ed avere piuttosto voluto, quel re e gli altri prenominati, godersi un presente utile di potere saccheggiare i popoli, e fuggire uno immaginato piuttosto che Digitized by Google LIBRO SECONDO. 505 vero pericolo, che fare cose che gli as- sicurino, e faccino i loro Stati felici in perpetuo. li quale disordine se parto- risce qualche tempo qualche quiete, è cagione col tempo di necessità, di danni e rovine irrimediabili. E sarebbe lungo raccontare quante volte i Fiorentini, Ve- niziani, e questo regno, si sono ricom- perati in su le guerre ; e quante volte si sono sottomessi ad una ignominia, che i- Romani furono una sola volta per sottomettersi. Sarebbe lungo raccontare quante terre i Fiorentini e Veniziatri hanno comperate; di che si è veduto poi ii disordine, e come le cose che si acquistano con 1’ oro, non si sanno difendere col ferro. Osservarono i Ro- mani questa generosità e questo modo di vivere, mentre che vissono liberi; ma poiché egli entrarono sotto gli im- peradori, e che gli imperadori comin- ciarono ad esser cattivi, ed amore più P ombra che il sole, cominciarono an- cora essi a ricomperarsi, ora dai Parti, 506 DE! DISCORSI ora dai Germani, ora da altri popoli convicitty: il che fu principio della ro- vina di tanto imperio. Procedevano, per- tanto, simili inconvenienti dallo avere disarmati i suoi popoli: di che ne re- sulta un altro maggiore, che quanto il nimico più ti s’ appressa, tanto ti trova più debole. Perchè chi vive ne’ modi delti di sopra, traila male quelli sud- diti che sono dentro all’ imperio suo, per avere uomini ben disposti a tenere il nimico discosto. Di questo nasce, che per. tenerlo più discosto, ei dà provvi- sione a questi signori e popoli che sono propinqui ai confini suoi. Donde nasce che questi Stati così fatti fanno uu poco di resistenza in sui confini, ma comeii nimico gli ha passati, ei non hanno ri- medio alcuno. E non si avveggono, co- me questo modo del loro procedere è conila ad ogni buono ordine. Perchè il cuore c le parti vitali d* uu corpo si hanno a tenere armate, e non l’ estre- mità d’esso; perchè senza quelle si vive, 4 4 Digitized by Google LIBRO secondo. 507 • ed offeso quello si muore : c questi Stati tengono il cuore disarmato, e le maui c li piedi armati. Quello che abbia fatto questo disordine a Firenze, si è veduto, e vedesi ogni di: chè come uno eser- cito passa i confini, e che gli entrano propinquo al cuore, non ritrova più alcuno rimedio. De’ Veniziani si vidde pochi anni fono la medesima pruova; c se la lorp città non era fasciata dal- P acque, se ne sarebbe veduto it fine. Questa isperienza non si è vista sì spesso in Francia, per essere quello sì gran regno, eh* egli ha pochi nimici supe- riori. Nondimeno, quando gli Inghilesi, nel 1513, assaltarono quel regno, tremò tutta quella provincia; ed il re mede- simo, e ciascuno altro, giudicava che una rotta sola gli potesse torre lo Stato. Ai Romani interveniva il contrario; per- chè quanto più il nimico si appressava a Roma, tanto più trovava quella città potente a resistergli. E si vidde nella ventila d’ Annibaie in Italia, che dopo Digitized by Google 508 DEI DISCORSI tre rotte, c dopo tante morti di capi- tani e di soldati, ei poterono non solo sostenere il nimico, ma vincere la guerra. Tutto nacque dallo avere bene armato il cuore, e delle estremità tenere poco conto. Perchè il fondamento dello stato suo era il popolo di Roma, il nome la- tino, e V altre terre compagne in Italia, e le loro colonie; donde e' traevano tanti soldati, che furono suftmenti con quelli a combattere, e tenere il mondo. E che sia vero, si vede per la domanda che fece Annone cartaginese a quelli oratori d’ Annibaie dopo la rotta di Canne: i quali avendo magnificato le cose fatte da Annibaie, furono domandali da An- none, se del popolo romano alcuno era venuto a domandar pace, e se del nome latino e delle colonie alcuna terra si era ribellata dai Romani; e negando quelli l’ una e l’altra cosa, replicò Annone: Questa guerra è ancora intera come prima. Vedesi, pertanto, e per questo discorso, e per quello che più volte ab- Digilized by Google LIBRO SECONDO. 509 bianio altrove detto, quanta diversità sia dal modo del procedere delle repub- bliche presenti, a quello delle antiche. Vedesi ancora per questo ogni di mira- colose perdite e miracolosi acquisti. Per- chè, dove gli uomini hanno poca virtù, la fortuna dimostra assai la potenza sua; e perchè la è varia, variano le repub- bliche e gli Stati spesso; e varieranno sempre, iniino che non surga qualcuno che sia dell’ antichità tanto amatore, che la regoli in modo, che la non abbi ca- gione di dimostrare ad ogni girare di sole quanto ella puote. Cap. XXXI. — Quanto sia pericoloso credere agli sbandili. E’ non mi pare fuori di proposito ra- gionare, intra questi altri discorsi, quanto sia cosa pericolosa credere a quelli che sono cacciati della patria sua, essendo cose che ciascuno di si hanno a prati- care da coloro che tengono Stati: po- Digilized by Google 510 DEI DISCORSI tendo, massime, dimostrare questo con uno memorabile essempio detto da Tito Livio nelle sue istorie, ancora che sia foo- x ra di proposito suo. Quando Alessandro Magno passò con Y esercito suo in Asia, Alessandro di Epiro, cognato e zio di quello, venne con genti in Italia, chia- mato dagli sbanditi Lucani, i quali gli dettono speranza che potrebbe mediatiti loro occupare tutta quella provincia. Donde che quello, sotto la lode e spe- ranza loro, venuto in Italia, fu morto da quelli; sendo loro promesso Hi ritor- nata nella patria dai loro cittadini, se 10 ammazzavano. Debbesi considerare, pertanto, quanto sia vana e la fede e le promesse di quelli che si trovano privi della loro patria. Perchè, quanto alla fede, si ha ad estimare che qualunque volta possono per altri mezzi che per 11 tuoi rientrare nella patria loro, che iasceranno te ed aceosterannosi ad altri, nonostante qualunque promessa ti aves- sino fatta. E quanto alla vana promessa Digitized by Google LIBRO SECONDO. 51 i e speranza, egli è tanta la voglia estrema die è in loro di ritornare in casa, che e’ credono naturalmente molte cose che sono false, e molte ad arte ne aggiun- gono: talché, tra quello che credono e quello che dicono di credere, ti riem- piono di speranza }. tulmentechè fonda- toti in su quella, tu fai una spesa in vano, o tu fai una impresa dove tu ro- vini. Io voglio per cssempio mi basti Alessandro predetto, e di più Temisto- cle ateniese; il quale essendo fatto ri- bello, se ne fuggi in Asia a Dario, dove gli promisse tanto, quando ei volesse assaltare la Grecia, che Dario si volse alla impresa. Le quali promesse non gli potendo poi Temistocle osservare, o per vergogna o per tema di supplicio, av- velenò sè stesso. E se questo errore fu fatto da Temistocle, nomo eccellentissi- mo, si debbe stimare che tanto più vi errino coloro che, per minor virtù, si lasceranno più tirare dalla voglia e dalla passione loro. Debbe, adunque, un prin- Digitized by Google 512 DEI DISCORSI cipe andare adagio a pigliare imprese sopra la relazione d’ un confinato, per- chè il più delle volle se ne resta o con vergogna, o con danno gravissimo. E perchè ancora rade volle riesce il pi- gliare le terre di furto, e per intelli- genza che altri avesse in quelle, non mi pare fuor di proposito discorrerne nel seguente capitolo; aggiungendovi con quanti modi i Romani le acquistavano. Cap. XXXII. — In quanti modi i Romani occupavano le terre. 4 Essendo i Romani tutti volti alla guer- ra, fecero sempre mai quella con ogni vantaggio, e quanto alla spesa, e quanto ad ogni altra cosa che in essa si ricerca. Da questo nacque che si guardarono dal pigliare le terre per ossidione ; perchè giudicavano questo modo di tanta spesa e di tanto scomodo, che superasse di gran lunga la utilità che dello acquisto si potesse trarre: e per questo pensa- Digitized by Google LIBRO SECONDO. 513 rono che fusse meglio e più utile sog- giogare le len e per ogni altro modo che assediandole; donde in tante guerre ed in tanti anni ci sono pochissimi essem- pi di ossidioni fatte da loro. I modi, adunque, con i quali gli acquistavano le città, erano o per espugnazione, o per dedizione. La espugnazione era o per forza e per violenza aperta, o per forza mescolata con fraude. La violenza aperta era o con assalto, senza percuo- tere le mura (il che loro chiamavano aggredì urbem coronaj perchè con tutto l’ esercito circondavano la città, e da tutte le parti la combattevano; e molte volte riuscì loro che in uno assalto piglia- rono una città, ancora che grossissima, come quando Scipione prese Cartagine nuova in (spaglia) : o, quando questo assalto non bastava, si dirizzavano a rompere le mura con arieti, o con al- tre loro macchine belliche: o e’ facevano una cava, e per quella entravano nella città (nel qual modo presono la città JIachiavel' I, Discorsi. — 1. 33 Digitized by Google 514 DEI DISCORSI de’ Veìenti) : o, per essere eguali a quelli che difendevano le mura, facevano torri di legname, o facevano argini di terra appoggiati alle mura di fuori, per ve- nire all’ altezza di esse sopra quelli. Contea questi assalti, chi difendeva le terre, nel primo caso circa lo essere assaltato intorno intorno, portava più subito pericolo, ed avea più dubbi rime- di: perchè bisognandoli in ogni loco avere assai difensori, o quelli ch’egli aveva non erano tanti che potessero o supplire per tutto, o cambiarsi ; o se potevano, non erano tutti di eguale ani- mo a resistere, e da una parte che fusse inclinata la zuffa, si perdevano tutti. Però occorse, come io ho detto, che molte volte questo modo ebbe felice suc- cesso. Ma quando non riusciva al primo, non lo ritentavano molto, per esser mo- do pericoloso per lo esercito : perchè difendendosi in tanto spazio, restava per tutto debile a potere resistere ad una eruzione che quelli di dentro avessino Digitized by Googl LIBRO SECONDO. 515 fatta, ed anche si disordinavano e strac- cavano i soldati; ma per una volta ed allo improvviso tentavano tal modo. Quanto alla rottura delle mura, sì op- ponevano, come re’ presenti tempi, con ripari. E per resistere alle cave, face- vano una contraccava, e per quella si opponevano al nimico, o con le armi o con altri ingegni: intra i quali era que- sto, che egli empivano dogli di penne, nelle quali appiccavano il fuoco, ed ac- cesi gli mettevano nella cava, i quali con il fumo e con il puzzo impedivano l'entrata a' nimici. E se con le torri gli assaltavano, s' ingegnavano con il fuoco rovinarle. E quanto agli argini di terra, rompevano il muro da basso, dove l'ar- gine s'appoggiava, tirando dentro la ter- ra che quelli di fuori vi ammontavano; talché ponendosi di fuori la terra, e le- vandosi di dentro, veniva a non cre- scere 1' argine. Questi modi di espugna- zione non si possono lungamente tentare: ma bisogna o levarsi da campo, e cer- Digitized by Google 516 DEI DISCORSI care per altri modi vincere la guerra; come fece Scipione, quando entrato in Affrica, avendo assaltato litica e non gli riuscendo pigliarla, si levò dal campo, e cercò di rompere gii eserciti cartagi- nesi: ovvero volgersi alla ossidione; come feciono a Vcio, Capova, Cartagine e lerusalem e simili terre, che per os- sidione occuparono. Quanto allo acqui- stare le terre per violenza furtiva, oc- corre come intervenne di Palepoli, che per trattato di quelli di dentro i Romani la occuparono. Di questa sorte espugna- zione dai Romani c da altri ne sono state tentate molte, e poche ne sono riu- scite : la ragione è che ogni minimo impedimento rompe il disegno, e gli impedimenti vengono facilmente. Perchè, o la congiura si scuopre innanzi che si venga all’atto : e scuopresi non con molta diftìcultà, sì per la infedelità di coloro con chi la è comunicata, sì per la diffì- cullù del praticarla, avendo a convenire con nimici, e con chi non ci è licito, se Digitized by Google 1 LIBRO StCOXDO. 517 non sotto qualche colore, parlare. Ma quando la congiura non si scoprisse nel maneggiarla, vi surgono poi nel met- terla in atto mille dilYicultà. Perchè, o se tu vieni innanzi al tempo disegnato, o se tu vieni dopo, si guasta ogni cosa : se si lieva un rumore furtivo, come 1’ oche del Campidoglio : se si rompe uno ordine consueto : ogni minimo erro- re ed ogni minima fallacia che si piglia, rovina la impresa. Aggiungonsi a que- sto le tenebre della notte; le quali met- tono più paura a chi travaglia in quelle cose pericolose. Ed essendo la maggior parte degli uomini che si conducono a simili imprese, inesperti del sito del paese e de’ luoghi, dove ei sono menati, si confondono, inviliscono, ed implicano per ogni minimo e fortuito accidente; ed ogni immagine falsa è per fargli met- tere in volta. Nè si trovò mai alcuno che fusse più felice in queste espedizioni fraudolente c notturne, che Arato Sicio- neo; il quale quanto valeva in queste, Digilized by Google 518 DEI DISCORSI tanto nelle diurne ed aperte fazioni era pusillanime: il che si può giudicare fusse più tosto per una occulta virtù clic era in lui, che perchè in quelle natu- ralmente dovesse essere più felicità. Di questi modi, adunque, se ne praticano assai, pochi se ne conducono alla pruova,- e pochissimi ne riescono. Quanto allo acquistare le terre per dedizione, o le si danno volontarie, o forzate. La vo- lontà nasce o per qualche necessità estrin- seca che gli costringe a rifuggirsi sotto; come fece Capova ai Romani; o per de- siderio di esser governati bene, sendo allettati dal governo buono che quel prin- cipe tiene in coloro che se gli sono vo- lontari rimessi in grembo ; come fcrono i Rodiani, i Massiliensi ed altri simili cittadini, che si deltono al Popolo ro-' mano. Quanto alla dedizione forzata, o tale forza nasce da una lunga ossidione, come di sopra si è detto; o la nasce da una continua oppressione di correrie, depredazioni, ed altri mali trattamenti, i Digillzed by Googl LIBRO SECONDO. 519 » quali volendo fuggire, una città si arren- de. Di tutti i modi detti, ì Romani usa- rono più questo ultimo che nessuno; ed attesono più che quattrocento cinquanta anni a straccare i vicini con le rotte e con le scorrerie, e pigliare mediani! gli accor- di riputazione sopra di loro, come altre volte abbiamo discorso. E sopra tal modo si fondarono sempre, ancora che gli ten- tassino tutti; ma negli altri trovarono cose o pericolose, o inutili. Perchè nella ossidione è la lunghezza e la spesa; nella espugnazione, dubbio e pericolo; nelle congiure, la incerlitudine. E vid- dono che con una rotta d’esercito ini- mico acquistavano un regno in un gior- no; e nel pigliare per ossidione una città ostinata, consumavano molti anni. * i Cap. XXXUI. — Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti le commissioni libere. lo stimo che sia da considerare, leg- gendo questa liviana istoria, volendone Digilized by Google DEI DISCORSI 520 far profitto, tutti i modi del procedere del Popolo e Senato romano. E infra P altre cose che meritano considerazione, sono : vedere con quale autorità ei man- davano fuori i loro Consoli, Dittatori ed altri Capitani degli eserciti ; de’ quali si vede V autorità essere stata grandis- sima, ed il Senato non si riservare al- tro che P autorità di muovere nuove guerre, e di confirmare le paci; tutte P altre cose rimetteva nell’ arbitrio e potestà del Consolo. Perchè, deliberata eh* era dal Popolo e dal Senato una guerra, verbigrazia contra ai Latini, tutto il resto rimettevano nelP arbitrio del Consolo; il quale poteva o fare uua giornata o non la fare, e campeggiare questa o quell* altra terra, come a lui pareva. Le quali cose si verificano per molti essempi, e massime per quello che occorse in una ispedizione contra ai Toscani. Perchè, avendo Fabio Consolo vinto quelli presso a Sutri, e disegnando con P esercito dipoi passare la selva Digitized by Googli LIBRO SECONDO. .V2 1 Cimino, ed andare in Toscana; non so- lamente non si consigliò col Senato, raa non gli ne dette alcuna notizia, an- cora che la guerra fusse per aversi a fare in paese nuovo, dubbio e pericoloso. Il che si testifica ancora per la dilibe- razione che all’ incontro di questo fu fatta dal Senato : il quale avendo inteso la vittoria che Fabio aveva avuta, du- bitando che quello non pigliasse partito di passare per le dette selve in Tosca- na, giudicando che fusse bene non ten- tare quella guerra e correre quel peri- colo, mandò a Fabio due Legati u far- gli intendere non passasse in Toscana; i quali arrivarono che vi era già pas- sato, ed aveva avuta la vittoria, ed in cambio di impeditoci della guerra, tor- narono ambasciadori dello acquisto e della gloria avuta. E chi considera bene questo termine, lo vedrà prudentissima- mente usato : perchè, se il Senato avesse voluto che un Consolo procedesse nella guerra di mano in mano, secondo che Digitized by Google 52 2 DEI DISCORSI quello gli commelteva, lo faceva meno circunspetlo e più lento; perchè non gli sarebbe parato che la gloria della vittoria fusse tutta sua, ma che ne par- ticipasse il Senato con il consiglio del quale ei si fusse governato. Oltra di questo, il Senato si obbligava a voler consigliare una cosa che non se ne po- teva intendere; perchè, nonostante che in quello fussino tutti uomini esercita- tissimi nella guerra, nondimeno non essendo in sul luogo, e non sappiendo infiniti particolari che sono necessari sapere a voler consigliar bene, areb- bono, consigliando, fatti infiniti errori. E per questo e’ volevano che ’1 Consolo per sè facesse, e che la gloria fusse tutta sua; lo amore della quale giudica- vano che fusse freno e regola a farlo operar bene. Questa parte si è più vo- lentieri notata da me, perchè io veggio che le repubbliche de’ presenti tempi, come è la veneziana e fiorentina, la intendono altrimenti ; e se gli loro ca- Digilized by Googl UBnO SECONDO. 523 pitani, provveditori o commissari hanno a piantare una artiglieria, lo vogliono intendere, e consigliare. Il quale modo merita quella laude che meritano gli altri, i quali tutti insieme I’ hanno con- dotte ne’ termini che al presente si truovano. . - DEI DISCORSI LIBRO TERZO. Cap. I. — A volere che una sella o una repubblica viva lungamente , è neces- sario ritirarla spesso verso il suo principio. Egli è cosa verissima, come tutte le cose del mondo hanno il termine della vita loro. Ma quelle vanno tutto il corso che è loro ordinato dal cielo general- mente, che non disordinano il corpo loro, ma tengonlo in modo ordinato, o che non altera, o s' egli altera, è a sa- lute, e non a danno suo. E perchè io parlo de’ corpi misti, come sono le re- pubbliche e le sètte, dico clic quelle al- Digitized by Google DEI DISCORSI — LIBRO TERZO. 525 (eruzioni sono u salute, che le riducono verso i principi! loro. E però quelle sono meglio ordinate, ed hanno più lunga vita, che mediatiti gli ordini suoi si pos- sono spesso rinnovare; ovvero che per accidente, fuori di detto ordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è cosa più chiara che la luce, che non si rinnovando que- sti corpi, non durano. Il modo del rin- novargli è, come è detto, ridurgli verso i principii suoi. Perchè tutti i pri nei pi i delle sètte, e delle repubbliche, e dei regni, conviene che abbino in sè qual- che bontà, mediante la quale ripiglino la prima riputazione, ed il primo augu- mento loro. E perchè nel processo del tempo quella bontà si corrompere non interviene cosa che la riduca al segno, ammazza di necessità quel corpo. E que- sti dottori di medicina dicono, parlando dei corpi degli uomini, quoti quolidie aggregatur aliquidj quod quandoque indiget curalione. Questa riduzione verso il principio, parlando delle repubbliche, Digitized by Google 526 DEI DISCORSI si fa o per accidente estrinseco, o per prudenza intrinseca. Quanto al primo, si vede come gli era necessario che Roma fusse presa dai Franciosi, a volere che la rinascesse; e rinascendo, ripigliasse nuova vita e nuova virtù; e ripigliasse la osservanza della religione e della giu- stizia, le quali in lei cominciavano a macularsi. Il che benissimo si comprende per l’istoria di, Livio, dove ei mostra che nel trar fuori 1’ esercito contra ai Franciosi, e nel creare i Tribuni con potestà consolare, non osservarono al- cuna religiosa cerimonia. Così medesi- mamente, non solamente non privarono i tre Fabi i quali conira jus gcntium avevano combattuto contra i Franciosi, ma gli crearono Tribuni. E debbesi fa- cilmente presupporre, che dell’ altre con- stituzioni buone ordinate da Romolo, e ila quelli altri principi prudenti, si co- minciasse a tenere meno conto che non era ragionevole e necessario a tenere il vivere libero. Veline, adunque, questa Digitized by Google LIBRO TERZO. 527 battitura estrinseca, acciocché tutti gii ordini di quella città si ripigliassero; e si mostrasse a quel popolo, non so- lamente essere necessario mantenere la religione e la giustizia, ma ancora sti- mare i suoi buoni cittadini, e far più conto della loro virtù, che di quelli co- modi che e’ paresse loro mancare me- diante 1’ opere loro. Il che si vede che successe appunto; perchè, subito Ripresa Roma, rinnovarono tutti gli ordini del- 1’ antica religione loro; punirono quelli Fabi die avevano combattuto conira jus genfìum ; ed oppresso stimarono tanto la virtù e bontà di Cammillo, che posposto, il Senato e gli altri, ogni in- vidia, rimettevano in lui tutto il pondo di quella Repubblica. È necessario, adun- que, come è detto, che gli uomini che vivono insieme in qualunque ordine, spesso si riconoschino, o per questi ac- cidenti estrinsechi o per gli intrinsechi. E quanto a questi, conviene che nasca o da una legge la quale spesso rivegga Digitized by Google DEI DISCORSI 528 il conto agii uomini che sono in quel corpo; o veramente da uno uomo buono che nasca fra loro, il quale con gli suoi essempi e con le sue opere virtuose, faccia il medesimo effetto che l’ordine. Surge, adunque, questo bene nelle re- pubbliche, o per virtù d’un uomo o per virtù d’ uno ordine. E quanto a questo ultimo, gli ordini che ritirarono la Re- pubblica romana verso il suo principio, furono i Tribuni della plebe, i Censori, e tutte 1’ altre leggi che venivano con- tra all’ambizione ed alla insolenza degli uomini. I quali ordini hanno bisogno d’ esser fatti vivi dalla virtù d’ un cit- tadino, il quale animosamente concorra ad eseguirli contra alla potenza di quelli che gli trapassano. Delle quali esecu- zioni, innanzi alla presa di Roma dai Franciosi, furon notabili, la morte de’ figliuoli di Bruto, la morte de’ dieci cit- tadini, quella di Melio Frumentario: dopo la presa di Roma, fu la morte di Man- lio Capitolino, la morte del figliuolo di Dlgilized by Googl LIBRO TERZO. ' 529 Manlio Torquato, la esecuzione di Papi- rio Cursore conira a Fabio suo maestro de’ Cavalieri, la accusa degli Scipioni. Le quali cose, perchè erano eccessive e notabili, qualunque volta ne nasceva una, facevano gli uomini ritirare verso il se- gno: e quando le cominciarono ad es- ser più rare, cominciarono ancora a dare più spazio agii uomini di corrompersi, e farsi con maggiore pericolo e più tu- multo. Perchè dalP una all’altra di simili esecuzioni non vorrebbe passare, il più, dieci anni: perchè, passato questo tempo, gli uomini cominciano a variare co’ co- stumi, e trapassare le leggi ; e se non nasce cosa per la quale si riduca loro a memoria la pena, e ritruovisi negli animi loro la paura, concorrono tosto tanti delinquenti, che non si possono più punire senza pericolo. Dicevano, a questo proposito, quelli che hanno go- vernato lo Stato di Firenze dal 1434 infino al 1494, come egli era necessario ripigliare ogni cinque anni lo Stato; Machiavelli, Discorsi. — 1. 3» Digitized by Google 530 DEI DISCORSI altrimenti, era difficile mantenerlo : e chiamavano ripigliare lo Stato, mettere quel terrore e quella paura negli uo- mini che vi avevano messo nel pigliarlo, avendo in quel tempo battuti quelli che avevano, secondo quel modo di vivere, male operato. Ma come di quella batti- tura la memoria si spegne, gli uomini prendono ardire di tentare cose nuove, e di dir male; c però è necessario prov- vedervi, ritirando quello verso i suoi principii. Nasce ancora questo ritira- mento delle repubbliche verso il loro principio dalle semplici virtù d’un uomo, senza dipendere da alcuna legge che ti stimoli ad alcuna esecuzione: nondiman- co sono di tanta riputazione e di tanto essempio, che gli uomini buoni dispe- rano imitarle, e gli tristi si vergognano a tenere vita contraria a quelle. Quelli che in Roma particolarmente feciono questi buoni effetti, furono Orazio Code, Scevola, Fabrizio,* i duoi Deci, Regolo Attilio, ed alcuni altri ; i quali con i loro Digitized by Googl LIBRO TERZO. 531 essempi rari e virtuosi facevano in Roma quasi il medesimo effetto che si faces- sino le leggi e gli ordini. E se le ese- cuzioni soprascritte, insieme con questi particolari essempi, fussino almeno se- guite ogni dieci anni in quella città, ne seguiva di necessità che la non si sarebbe mai corrotta: ma coinè e’ cominciarono a diradare 1’ una e V altra di queste due cose, cominciarono a moltiplicare le cor- ruzioni. Perchè dopo Marco Regolo non vi si vidde alcun simile essempio: e ben- ché in Roma surgessino i duoi Catoni, fu tanta distanza da quello a loro, ed intra loro dall’ uno all’ altro, e rimasono sì soli, che non potettono con gli es- sempi buoni fare alcuna buona opera; e massime P ultimo Catone, il quale tro- vando in buona parte la città corrotta, non potette con lo essempio suo fare che i cittadini diventassino migliori. E questo basti quanto alle repubbliche. Ma quanto alle sètte, si vede ancora queste rinnovazioni essere necessarie per lo es- Dlgilized by Googl 5a2 DEI DISCORSI sempio della nostra religione; la quale se non fusse stata ritirata verso il suo principio da san Francesco c da san Do- menico, sarebbe al lutto spenta. Perchè questi, con la povertà e con ressempio della vita di Cristo, la ridussono nella mente degli uomini, che già vi era spen- ta : e furono sì potenti gli ordini loro nuovi, cli’ei sono cagione che la diso- nestà de’ prelati e de’ capi della reli- gione non la rovini; vivendo ancora po- veramente, ed avendo tanto credito nelle confessioni con i popoli e nelle predi- cazioni, che c’ danno loro ad intendere come egli è male a dir male del male, e che sia bene vivere sotto 1* ubbidienza loro, e se fanno errori, lasciargli gasli- gare a Dio: e così quelli fanno il peg- gio che possono, perchè non temono quella punizione che non veggono e non credono. Ha, adunque, questa rinnova- zione mantenuto, e mantiene questa re- ligione. Hanno ancora i regni bisogno di rinnovarsi, e ridurre le leggi di quelli Digitized by Google LìBRO TLRZO. 533 verso il suo principio. E si vede quanto buono effetto fa questa parte nel regno di Francia; il quale regno vive sotto le leggi e sotto gli ordini più clic alcuno altro regno Delle quali leggi ed ordini ne sono mnntenitori i parlamenti, c mas- sime quel di Parigi ; le quali sono da lui rinnovate qualunque volta e’ fa una esecuzione contra ad uno principe di quel regno, e che ei condanna il re nelle sue sentenze. Ed infino a qui si è mantenuto per essere stato uno ostinato esecutore contra a quella nobiltà : ma qualunque volta e’ ne lasciasse alcuna impunita, c che le venissino a multi- plicare, senza dubbio ne nascerebbe o che le si arebbono a correggere con disordine grande, o che quel regno si risolverebbe. Conchiudesi, pertanto, non esser cosa più necessaria in un vivere comune, o setta o regno o repubblica che sia, che rendergli quella riputazione ch’egli aveva ne’ princi pii suoi; ed in- gegnarsi che siano ol gli ordini buoni Digitized by Google 534 DEI DISCORSI O i buoni uomini che facciano questo effetto, e non l’ abbia a fare una for/.a estrinseca. Perchè, ancora che qualche volta la sia ottimo rimedio, come fu a Roma, ella è tanto pericolosa, che non è in modo alcuno da disperarla. E per dimostrare a qualunque, quanto le azioni degli uomini particolari facessino grande Roma, e causassimo in quella città molti buoni effetti, verrò alla narrazione e is- corso di quelli: intra i termini de qua I. questo terzo libro ed ultima parte d. questa prima Deca si conchiudera. E benché le azioni degli re bissino grand, e notabili, nondimeno, dichiarandole la istoria diffusamente, le lasceremo indie- tro; nè parleremo altrimenti di loro, eccetto che di alcuna cosa che «vessino operata appartenente alti loro privat, comodi ; e coniincierenci da BiutOj pa drc della romana libertà. Digitized by Google LIBRO TERZO. 535 Cap. FI. — Come gli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia. Non fu alcuno mai tanto prudenti1, - nè tanto stimato savio, per alcuna sua egregia operazione, quanto merita d’ es- ser tenuto lunio Bruto nella sua simu- lazione della stultizia. Ed ancora che Tito Livio non esprima altro che una cagione che Io inducesse a tale simula- zione, quale fu di potere più sicura- mente vivere, e mantenere il patrimonio suo; nondimanco, considerato il suo modo di procedere, si può credere che simulasse ancora questo per essere man- co osservato, ed avere più comodità di opprimere i re e di liberare la sua pa- tria, qualunque volta gliene fussc data occasione. E che pensasse a questo, si vide, prima, nello interpretare l’oracolo di Apolline, quando simulò cadere per baciare la terra, giudicando per quello aver favorevoli gli Dii ai pensieri suoi; Digitized by Google DEI DISCORSI 536 e dipoi, quando sopra la moria Lucre- zia, inira il padre ed il marito ed altri parenti di lei, ei fu il primo a trarle il coltello dalla ferita, e far giurare ai circonstanli, che mai sopporterebbono che per lo avvenire alcuno regnasse in Roma. Dallo essempio di cgsIuì hanno ad imparare tutti coloro che sono mal- contenti d’ uno principe; e debbono pri- ma misurare e pesare le forze loro, e se sono si potenti che possino scoprirsi suoi nimici e fargli apertamente guerra, debbono entrare per questa via, come manco pericolosa e più onorevole. Ma se sono di qualità che a fargli guerra aperta le forze loro non bastino, deb- bono con ogni industria cercare di far- segli amici ; cd a questo effetto, entrare per tutte quelle vie che giudicano esser necessarie, seguendo i piaceri suoi, e pigliando diletto di tutte quelle cose che veggono quello dilettarsi. Questa dipie- sticliezza, prima, ti fa vivere sicuro; e, senza portare alcun pericolo, ti fa go- Digitized by Google LIBRO TERZO. Ó37 derc la buona fortuna di quel principe insieme con esso lui, e ti arreca ogni comodità di satisfare all* animo tuo. Vero è ebe alcuni dicono che si vorrebbe con gli principi non stare sì presso che la rovina loro ti coprisse, nè sì discosto che rovinando quelli tu non fussi a tempo a salire sopra la rovina loro: la qual via del mezzo sarebbe la più vera, quando si potesse conservare; ma per- chè io credo che sia impossibile, con- viene ridursi ai duoi modi soprascritti, cioè di allargarsi o di stringersi con loro. Chi fa altrimenti, e sia uomo per le qualità sue notabile, vive in conti* novo pericolo. Nè basta dire: io non mi curo d’ alcuna cosa, non desidero nè onori nè utili, io mi voglio vivere quie- tamente e senza briga; perchè queste scuse sono udite e non accettate : nè possono gii uomini che hanno qualità eleggere lo starsi, quando bene lo eleg- gessino veramente e senza alcuna am- bizione, perchè non è loro creduto ; tal- Digitized by Google DEI DISCORSI 538 chè se si vogliono star loro, non sono lasciati stare da altri. Conviene adun- que fare il pazzo, come Bruto ; ed assai si fa il matto, laudando, parlando, veg- gendo, faccendo cose eontra all* animo tuo, per compiacere al principe. E poi- ché noi abbiamo parlato della prudenza di questo uomo per ricuperare la li- bertà di Roma, parleremo ora della sua severità in mantenerla. Cap. HI. — Come egli è necessariOj a voler mantenere una libertà acquistata di nuovo 9 ammazzare i figliuoli di Bruto. Non fu meno necessaria che utile la severità di Bruto nel mantenere in Roma quella libertà che egli vi aveva acqui- stala ; la quale è di un essempio raro in tutte le memorie delle cose: vedere il padre sedere prò tribunali, e non solamente condennare i suoi figliuoli a morte, ma esser presente alla morte Digitized by Google LIBRO TERZO. 539 loro. E sempre si conoscerà questo per coloro che le cose antiche leggeranno: come dopo una mutazione di Stato, o da repubblica in tirannide o da tiran- nide in repubblica, è necessaria una esecuzione memorabile contra a’ nimici delle condizioni presenti. E chi piglia una tirannide e non ammazza Bruto, e chi fa uno Stato libero e non ammazza i figliuoli di Bruto, si mantiene poco tempo. E perchè di sopra è discorso questo luogo largamente, mi rimetto a quello che allora se ne disse: solo ci addurrò uno essempio stato ne’ dì no- stri, e nella nostra patria memorabile. E questo è Piero Soderini, il quale si credeva con la pazienza e bontà sua superare quello appetito che era ne’ fi- gliuoli di Bruto di ritornare sotto un altro governo, e se ne ingannò. E ben- ché quello, per la sua prudenza, cono- scesse questa necessità J e che la sorte e la ambizione di quelli che lo urtava- no, gli desse occasione a spegnerli ; non- Digitized by Google 540 DEI DISCORSI dimeno non volse mai Y animo a farlo. Perchè, oltre al credere di potere con la pazienza e con la bontà estinguere i mali umori, e con i premi verso qual- cuno consumare qualche sua inimicizia; giudicava (e molte volle ne fece con gli amici fede) che a volere gagliardamente urtare le sue opposizioni, e battere i suoi avversari, gli bisognava pigliare straordinaria autorità, e rompere con le leggi la civile equalità : la qualcosa, ancora che dipoi non fusse da lui usata tirannicamente, arebbe tanto sbigottito I’ universale, che non sarebbe mai poi concorso dopo la morte di quello a ri- fare un gonfaloniere a vita; il quale ordine egli giudicava fusse bene uugu- mentarc c mantenere. Il quale rispetto era savio e buono : nondimeno, e’ non si debbe mai lasciare scorrere un male rispetto ad un bene, quando quel bene facilmente possa essere da quel male oppressalo. E doveva credere che, aven- dosi a giudicare* Y opere sue c la in- Digitized by Google LIBRO TERZO. 541 tenzione sua dal One, quando la fortuna e la vita lo avesse accompagnato, che poteva certificare ciascuno, come quello aveva fatto, era per salute della patria, e non per ambizione sua ; e poteva re- golare le cose in mòdo, che un suo suc- cessore non potesse fare per male quello che egli avesse fatto per bene. Ma lo ingannò la prima oppinione, non cono- scendo che la malignità non è doma da tempo, nè placata da alcun dono. Tanto che, per non sapere somigliare Bruto, ei perde, insieme con la patria sua, lo Stato e la riputazione. E come egli è cosa difficile salvare uno Stato libero, cosi è difficile salvarne un regio; come nel seguente capitolo si mostrerà. Cap. IV. - — Non vive sicuro un prin- cipe in un principato, mentre vivono coloro che ne sono stati spogliali. La morte di Tarquinio Prisco causata dai figliuoli di Anco, e la morte di Ser- Digitized by Google DEI DISCORSI 542 vio Tulio causata da Tarquinio Super- bo, mostra quanto difficile sia e peri- coloso spogliar uno del regno, e quello lasciar vivo, ancora che cercasse con meriti guadagnarselo. E vedesi come Tarquinio Prisco fu ingannato da pa- rergli possedere quel regno giuridica- mente, essendogli stato dato dal Popolo, e confermato dal Senato: nè credette che nei figliuoli di Anco potesse tanto lo sdegno, che non avessino a conten- tarsi di quello che si contentava tutta Roma. E Servio Tulio s’ ingannò, cre- dendo potere con nuovi meriti guada- gnarsi i figliuoli di Tarquinio. Dimodo- ché, quanto al primo, si può avvertire ogni principe, che non viva mai sicuro del suo principato, finché vivono coloro che ne sono stati spogliati. Quanto al secondo, si può ricordare ad ogni po- tente, che mai le ingiurie vecchie non furono cancellate da’ benefizi nuovi; e tanto meno, quanto il benefizio nuovo è minore che non è stata l’ingiuria. E Digitized by Google LIBRO TERZO. 5 43 senza dubbio, Servio Tulio fu poco pru- dente a credere che i figliuoli di Tar- quinio fussino pazienti ad esser generi di colui di chi e’ giudicavano dovere es- sere re. E questo appetito del regnare è tanto grande, che non solamente en- tra nei petti di coloro a chi s’ aspetta il regno, ma di quelli a chi non s’ aspet- ta: come fu nella moglie di Tarquinio giovine, figliuola di Servio; la quale, mossa da questa rabbia, coutra ogni pietà paterna, mosse il marito contro al padre a torgli la vita ed il regno: tanto stimava più essere regina, che figliuola di re ! Se, adunque, Tarquinio Prisco e Servio Tulio perdettono il regno per non si sapere assicurare di coloro a chi ei l’ avevano usurpato, Tarquinio Superbo lo perdè per non osservare gli ordini degli antichi re; come nel se- guente capitolo si mostrerà. i*- Digitized by Google 544 Dei DISCORSI Cap. V. — Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia ereditario di quello. Avendo Tarquinio Superbo morto Ser- vio Tulio, e di lui non rimanendo eredi, veniva a possedere il regno sicuramen- te, non avendo a temere di quelle cose che avevano offeso i suoi antecessori. E benché il modo dell’ occupare il regno fusse stato istraordinario ed odioso; nondimeno, quando egli avesse osservato gli antichi ordini degli altri re, sarebbe stato comportato, nè si sarebbe conci- tato il Senato e la Plebe contra di lui per torgli lo Stato. Non fu, adunque, costui cacciato per aver Sesto suo figliuo- lo stuprata Lucrezia, ma per aver rotte le leggi del regno, e governatolo tiran- nicamente; avendo tolto al Senato ogni autorità, e ridottola a sé proprio; e quelle faccende che nei luoghi pubblici con satisfazione del Senato romano si Digitized by Google LIBRO TERZO. 545 facevano, le ridusse a fare nel palazzo suo con carico ed invidia suo ; talché in breve tempo egli spogliò Roma di tutta quella libertà cl»’ ella aveva sotto gli altri Re mantenuta. Nò gli bastò farsi nimici i Padri, che si concitò an- cora contra la Plebe, affaticandola in cose meccaniche, e tutte aliene da quello a che P avevano adoperata i suoi ante- cessori: talché, avendo ripiena Roma di essempi crudeli e superbi, aveva dispo- sti già gli animi di tutti i Romani alla ribellione, qualunque volta ne avessino occasione. E se lo accidente di Lucrezia non fusse venuto, come prima ne fussc nato un altro, arebbe partorito il me- desimo effetto. Perchè, se Tarquinio fusse vissuto come gli altri Re, e Sesto suo figliuolo avesse fatto quello errore, sarebbero Bruto e Collatino ricorsi a Tarquinio per la vendetta contru a Se- sto, e non al Popolo romano. Soppino adunque i principi, come a quella ora e* cominciano a perdere lo Stato, eh’ ei Machi stelli, Discorsi. — 1. Dfcjitized by Google 546 DEI DISCORSI cominciano a rompere le leggi, e quelli modi e quelle consuetudini che sono antiche, e sotto le quali gli uomini lungo tempo sono vivuti. E se privati di’ ei sono dello Stato, e' diventassino mai tanto prudenti, che conoscessino con quanta facilità i principati si tenghino da coloro che saviamente si consiglia- no; dorrebbe molto più loro tal perdi- ta, ed a maggiore pena si condanne- rebbono, che da altri fussino condan- nati. Perchè egli è molto più facile es- sere amato da’ buoni che dai cattivi, ed ubbidire alle leggi che volere comandare loro. E volendo intendere il modo aves- sino a tenere a fare questo, non hanno a durare altra fatica che pigliare per loro specchio la vita dei principi buo- ni; come sarebbe Tiinoleone Corintio, Arato Sicioneo, e simili: nella vita de’ quali ei troveranno tanta sicurtà e tanta «atisfazione di chi regge e di chi è retto, che doverrebbe venirgli voglia di imitargli, potendo facilmente, per le Digitized by Google LIBRO TERZO. 547 ragioni dette, farlo. Perchè gli uomini, quando sono governati bene, non cer- cano uè vogliono altra libertà : come intervenne ai popoli governati dai duoi prenominati ; che gli costrinsono ad es- sere principi mentre che vissono, ancora che da quelli più volte fusse tentato di ridursi in vita privata. E perchè in que- sto, e ne' duoi antecedenti capitoli, si è ragionato degli umori concitati contra a' principi, e delle congiure fatte dai figliuoli di Bruto contra alla patria, e di quelle fatte contra a Tarquinio Pri- sco ed a Servio Tulio; non mi pare cosa fuori di proposito, nel seguente capitolo, parlarne diffusamente, sendo materia degna di essere notata dai prin- cipi e dai privati. Cap. VI. — Delle congiure. E' non mi è parso da lasciare indie- tro il ragionare delle congiure, essendo cosa tanto pericolosa ai principi ed ai Digitized by Google DEI DISCORSI 548 privali ; perché si vede per quelle molli più principi aver perduta la vita e lo Stato, die per guerra aperta. Perchè il poter fare aperta guerra con un prin- cipe, è conceduto a pochi ; il potergli congiurar contra, è conceduto a ciascuno' DalP altra parte, gli uomini privati non entrano in impresa più pericolosa nè più temeraria di questa; perchè la è difficile e pericolosissima in ogni sua parte. Donde ne nasce, che molte se ne tentano, e pochissime hanno il line de- siderato. Acciocché, adunque, i principi imparino a guardarsi da questi pericoli, e che i privati più timidamente vi si niellino; anzi imparino ad esser contenti a vivere sotto quello imperio che dalla sorte è stato loro preposto; io ne par- lerò diffusamente, non lasciando indietro alcun caso notabile in documento del- 1’ uno e dell’ altro. E veramente, quella sentenza di Cornelio Tacito è aurea, che dice: che gli uomini hanno ad ono- rare le cose passate, ed ubbidire alle Digitized by Google LIBRO TLRZO. 549 presenti ; e debbono desiderare i buoni principi, e comunque si siano fatti tol- lerargli. E veramente chi fa altrimenti, il più delle volte rovina sè e la sua patria. Dobbiamo, adunque, entrando nella materia, considerare prima contra a chi si fanno le congiure; e troveremo farsi o contra alla patria, o contra ad uno principe; delle quali due voglio che al presente ragioniamo; perchè di quelle che si fanno per dare una terra ai nimici che la assediano, o che abbino per qualunque cagione similitudine con questa, se, n’ è parlato di sopra a suf- ficienza. E tratteremo in questa prima parte di quelle contra al principe, e pri- ma esamineremo le cagioni di esse: le quali sono molte; ma una ne è impor- tantissima più che tutte V altre. E que- sta è l’essere odiato dall’universale; perchè quel principe che si è concitato questo universale odio, è ragionevole che abbi de’ particolari i quali da lui siano stati più offesi, e che desiderino Digitized by Google 550 DEI Disconsi vendicarsi. Questo desiderio è accresciuto loro da quella mala disposizione univer- sale, che veggono essergli concitata con- tra. Debbe, adunque, un principe fug- gire questi carichi pubblici : e come egli abbia a fare a fuggirli, avendone altrove trattato, non ne voglio parlare qui; per- chè guardandosi da questo, le semplici offese particolari gli faranno meno guer- ra. L’ una, perchè si riscontra rade volte in uomini che stimino tanto una ingiu- rio, che si menino a tanto pericolo per vendicarla; l’altra, che quando pur ei lussino d’animo e di potenza da farlo, sono ritenuti da quella benivolenza uni- versale, che veggono avere ad uno prin- cipe. Le ingiurie, conviene che siano nella roba, nel sangue, o nell’onore. Di quelle del sangue sono più pericolose le minacce che la esecuzione; anzi, le mi- nacce sono pericolosissime, e nella ese- cuzione non vi è pericolo alcuno: perchè chi è morto, non può pensare alla ven- detta; quelli che rimangono vivi, il più Digitìzed by Google LIBRO TERZO. 551 delle volte ne lasciano il pensiero al morto. Ma colui che è minacciato, e che si vede constretto da una necessità o di fare o di patire, diventa un uomo pe- ricolosissimo per il principe: come nel suo luogo particolarmente diremo. Fuora di queste necessità, la roba e l’onore sono quelle due cose che offendono più gii uomiui che alcun’ altra offesa, e dalle quali il principe si debbe guardare : per- chè e’ non può mai spogliare uno tanto, che non gli resti un coltello da vendi- carsi: non può mai tanto disonorare uno, che non gli resti un animo ostinato alla vendetta. E degli onori che si tol- gono agli uomini, quello delle donne importa più: dopo questo, il vilipendio della sua persona. Questo armò Pausa- sania contro a Filippo di Macedonia; questo ha armato molti altri contra a molti altri principi: e nei nostri tempi Iulio Belanti non si mosse a congiurare contra Pandolfo tiranno di Siena, se non per avergli quello data, e poi tolta per Digitized by Google DEI DISCORSI 5d“2 moglie una sua figliuola ; come nel suo luogo diremo. La maggior cagione che fece che i Pazzi congiurarono contea a’ Medici, fu l’eredità di Giovanni Bon- romei, la quale fu loro tolta per ordine di quelli. Un’altra cagione ci è, e gran- dissima, che fu gli uomini congiurare contro al principe; la quale è il, disi- derio di liberare la patria stata da quello occupata. Questa cagione mosse Bruto e Cassio contro a Cesare; questa ha mosso molti altri contro ai Palali, Dionisi, ed altri oceupatori della patria loro. Nè può da questo umore alcuno tiranno guardarsi, se non con diporre la tirannide. E perchè non si truovu alcuno che faccia questo, si truovauo pochi che non capitino male; donde nacque quel verso di Iuvenale: « Adgcnerum Cereria sineccedeet vulnere parici Descendunt reges, et sicca morte tiranni. » 1 pericoli che si portano, come io dissi di sopra, nelle congiure, sono grandi, portandosi per lutti i tempi; perchè in Digitized by Googl LIBRO TERZO. 5Ó3 tali casi si coire pericolo nel maneg- giarli, nello eseguirli, ed eseguiti che sono. Quelli che congiurano, o e’sono uno, o e’ sono più. Uno non si può dire che sia congiura, ma è una ferma dispo- sizione nata in un uomo d’ ammazzare il principe. Questo solo dei tre pericoli che si corrono nelle congiure, manca del primo; perchè innanzi alla esecu- zione non porta alcun pericolo, non avendo altri il suo segreto, nè portando pericolo che torni il disegno suo all* orec- chie del principe. Questa diliberazione cosi fatta può cadere in qualunque uomo, di qualunque sorte, piccolo, grande, no- bile, ignobile, famigliare e non famiglia- re al principe; perchè ad ognuno è le- cito qualche volta parlargli; ed a chi è lecito parlare, è lecito sfogare T animo suo. Pausanio, del quale altre volte si è parlato, ammazzò Filippo di Macedonia che andava al tempio, con mille armati d* intorno, ed in mezzo intra il figliuolo ed il genero: ma costui fu nobile e co- Digitized by Google 554 DEI DISCORSI gnito al principe. Uno Spagnuolo povero ed abietto, dette una coltellata in su M collo al re Ferrante, re di Spagna : non fu la ferita mortale, ma per questo si vidde che colui ebbe animo e comodità a farlo. Uno dervis, sacerdote turchesco, trasse d’ una scimitarra a Baisit, padre del presente Turco: non lo ferì, ma ebbe pur animo e comodità a volerlo fare. Di questi animi «fatti cosi, se ne truo- vano, credo, assai che lo vorrebbono fare, perchè nel volere non è pena uè pericolo alcuno ; ma pochi che lo facci- no. Ma di quelli che lo fanno, pochis- simi o nessuno che non siano ammaz- zati in sul fatto: però non si truova chi voglia andare ad una certa morte. Ma lasciamo andare queste uniche volontà, e veniamo alle congiure intra i più. Dico, trovarsi nelle istorie, tutte le con- giure esser fatte da uomini grandi, o famigliarissimi de! principe: perchè gli altri, se non sono matti affatto, non pos- sono congiurare ; perchè gli uomini de- Digitized by Google LIBRO TERZO. 555 boli, e non famiglial i al principe, man- cano di tutte quelle speranze e di tutte quelle comodità che si richiede alla ese- cuzione d’ una congiura. Prima, gli uo- mini deboli non possono trovare riscon- tro di chi tenga lor fede; perchè uno non può consentire alla volontà loro, sotto alcuna di quelle speranze che fa entrare gli uomini ne’ pericoli grandi; in modo che, come e’ si sono allargati in due o in tre persone, e’ trovano lo accusatore c rovinano: ma quando pure ei fussino tanto felici che mancassino di questo accusatore, sono nella esecu- zione intorniati da tale difficultà, per non aver V entrata facile al principe, che gli è impossibile che in essa ese- cuzione ei non rovinino. Perchè, se gli uomini grandi, e che hanno Y entrata facile, sono oppressi da quelle difficultà. che di sotto si diranno, conviene che in costoro quelle difficultà senza fine crc- schino. Pertanto gli uomini (perchè dove ne va la vita e la roba non sono al tutto % Digitized by Google DEI DISCORSI 556 insani), quando si veggono deboli, se ne guardano; e quando egli hanno a noia un principe, attendono a biastemmarlo, cd aspettano che quelli che hanno mag- giore qualità di loro, gli vendichino. E se pure si trovasse che alcuno di que- sti simili avesse tentato qualche cosa, si debbe laudare in loro la intenzione, e non la prudenza. Vedesi, pertanto, quelli che hanno congiurato, essere stali tutti uomini grandi, o famiglial i del princi- pe; de’ quali molti hanno congiuralo, mossi cosi da troppi benefìzi, come dalle troppe ingiurie: come fu Peren- nio contra a Commodo, Plauziano con- tro a Severo, Sciano contra a Tiberio. Costoro tutti furono dai loro imperadori con stituiti in tanta ricchezza, onore e grado, che non pareva che mancasse loro alla perfezione della potenza altro che l’ imperio; e di questo non volendo mancare, si missono a congiurare con- ila al principe: ed ebbono le loro con- giure tutte quel fine che meritava la Digitized by Google LIBRO TERZO. 557 loro ingratitudine; ancora che di que- ste simili ne’ tempi più freschi ne avesse buon fine quella di Iacopo d’Appiano contra a messer Piero Gambacorti, prin- cipe di Pisa : il quale Iacopo, allevato e nutrito e fatto riputato da lui, gli tolse poi lo Stato. Fu di queste quella del Coppola, ne’ nostri tempi, contra al re Ferrando d' Aragona ; il quale Coppola venuto a tanta grandezza che non gli pareva gli mancasse se non il regno, per volere ancora quello, perde la vita. E veramente, se alcuna congiura contra a’ principi fatta da uomini grandi do- vesse avere buon fine, doverrebbé es- sere questa; essendo fatta da un altro re, si può dire, e da chi ha tanta co- modità di adempire il suo desiderio: ma quella cupidità del dominare che gli accieca, gli accieca ancora nel ma- neggiare questa impresa ; perchè, se sapessino fare questa cattività con pru- denza, sarebbe impossibile non riuscisse loro. Debbe, adunque, un principe che Digitized by Google DEI DISCORSI 558 si vuole guardare dalie congiure, temere più coloro a chi egli ha fatto troppi piaceri, che quelli a chi gli avesse fatte troppe ingiurie. Perchè questi mancano di comodità, quelli ne abbondano; e la voglia è simile, perchè gli è così grande o maggiore il desiderio del dominare, che non è quello della vendetta. Deb- bono, pertanto, dare tanta autorità agli loro amici, che da quella al principato sia qualche intervallo, e che vi sia in mezzo qualche cosa da disiderare: al- trimenti, sarà coso rara se non inter- verrà loro come ai principi soprascritti. .Ma torniamo all’ ordine nostro. Dico, che avendo ad esser quelli che congiu- rano uomini grandi, e che abbino l’adito facile al principe, si ha a discorrere i successi di queste loro imprese quali siano stati, e vedere la cagione che gli « ha fatti essere felici ed infelici. E come io dissi di sopra, ci si trovano dentro in tre tempi, pericoli: prima, in su ’l fatto, e poi. Però se ne trovano poche Digitized by Google LIBRO TERZO. 559 che abbiano buono esito, perchè gli è impossibile quasi passargli tutti felice- mente. E cominciando a discorrere i pericoli di prima, che sono i più impor- tanti; dico, come e’ bisogna essere molto prudente, ed avere una gran sorte, che nel maneggiare una congiura la non si scuopra. E si scuoprono o per relazio- ne, o per coniettura. La relazione nasce da trovare poca fede, o poca prudenza, negli uomini con chi tu la comunichi. La poca fede si truova facilmente, per- chè tu non puoi comunicarla se non con tuoi fidati, che per tuo amore si mettino alla morte, o con uomini che siano malcontenti del principe. De’ fidati se ne potrebbe trovare uno o due; ma come tu Li distendi in molti, è impos- sibile gli truovi: dipoi, c’bisogna bene che la benevolenza che ti portano sia grande, a volere che non paia loro mag- giore il pericolo e la paura della pena. Dipoi gli uomini s' ingannano il più delle volte dello amore che tu giudichi Digitized by Google DEI DISCORSI 500 che un uomo ti porti, nè le ne puoi mai assicurare, se tu non ne fai espe- rienza: e farne esperienza in questo è pericolosissimo: e sebbene he avessi fatto esperienza in qualche altra cosa perico- losa dove e’ ti fussono stali fedeli, non puoi da quella fede misurare questa, passando questa di gran lunga ogni al- tra qualità di pericolo. Se misuri la fede dalla mala contentezza che uno abbia del principe, in questo tu ti puoi facil- mente ingannare: perchè subito che tu hai manifestato a quel malcontento l’ani- mo tuo, tu gli dai materia di conten- tarsi, e convien bene o che 1’ odio sia grande, o che 1’ autorità tua sia gran- dissima a mantenerlo in fede. Di qui nasce che assai ne sono rivelate ed oppresse ne’ primi principii loro; e che quando una è stata infra molti uomini segreta lungo tempo, è tenuta cosa mi- racolosa: come fu quella di Pisone con- tea a Nerone, e ne' nostri tempi quella de’ Pazzi conira a Lorenzo e Giuliano Digitized by Googl LIBRO TERZO. 561 de' Medici; delle quali erano consapevoli più clic cinquanta uomini, c condus- sonsi alla esecuzione a scoprirsi. Quanto a scoprirsi per poca prudenza, nasce quando uno congiurato ne parla poco cauto, in modo che un servo o altra terza persona intenda; come intervenne ai figliuoli di Bruto, che nel maneggiare la cosa con i legali di Tarquinio, fu- rono intesi da un servo, che gli accusò: ovvero quando per leggerezza ti viene comunicala a donna o a fanciullo che tu ami, o a simile leggieri persona ; come fece Dinno, uno de* congiurati con Filota centra ad Alessandro Magno, il quale comunicò la congiura a Nicomaco fanciullo amato da lui, il quale subito lo disse a Ciballino suo fratello, e Ci- bullino al re. Quanto a scoprirsi per conieltura, ce tf è in essempio la con- giura Pisoniana conira a Nerone; nella quale Scevino, uno de’ congiurati, il dì dinanzi eh’ egli aveva ad ammazzare Nerone, fece testamento, ordinò che Me- Machiavelli, Discorsi — i. 36 Digitized by Google 562 DEI DISCORSI lichio suo liberto facesse arrotare un suo pugnale vecchio e rugginoso, liberò tutti i suoi servi e dette loro danari, fece ordinare fasciature da legare ferite: per le quali conietture accertatosi .Meli- chio della cosa, lo accusò a Nerone. Fu preso Scevino, e con lui Natale, un altro congiurato, i quali erano stati veduti parlare a lungo e di segreto insieme il di davanti; e non si accordando del ragionamento avuto, furono forzati a confessare il vero; talché la congiura fu scoperta, con rovina di tutti i con- giurati. Da queste cagioni dello scoprire le congiure è impossibile guardarsi, che per malizia, per imprudenza o per leg- gerezza, la non si scuopra, qualunque volta i conscii d’essa passano il numero di tre o di quattro. E come e’ ne è preso più che uno, è impossibile non riscon- trarla, perchè due non possono esser convenuti insieme di tutti i ragiona- menti loro. Quando e’ sia preso solo uno che sia uomo forte, può egli con la Digitized by Googl LIBRO TERZO. 563 fortezza dello animo tacere i congiurati; ina conviene che i congiurati non ab- bino meno animo di lui a star saldi, e non si scoprire con la fuga : perchè da una parte che P animo manca, o da chi è sostenuto o da chi è libero, la congiura è scoperta. Ed è raro lo es- sempio addotto da Tito Livio nella con- giura fatta contra a Girolamo re di Siracusa ; dove, sendo Teodoro uno de’ congiurati preso, celò con una virtù grande tutti i congiurati, ed accusò gli amici del re; e dall’altra parte, tulli i congiurati confidarono tanto nella virtù di Teodoro, che nessuno si parti di Siracusa, o fece alcuno segno di timore. Passasi, adunque, per tutti questi peri- coli nel maneggiare una congiura in- nanzi che si venga alla esecuzione d'essa: i quali volendo fuggire, ci sono questi rimedi. Il primo ed il più vero, anzi a dir meglio, unico, è non dare tempo ai congiurati di accusarti; e perciò comunicare loro la cosa quando Digitized by Google 564 DEI DISCORSI tu ia vuoi fare, e non prima: quelli che hanno fatto cosi, fuggono al certo i pericoli che sono nel praticarla, e il più delle volte gli altri ; anzi hanno tutte avuto felice fine: e qualunque prudente arebbe comodità di governarsi in que- sto modo, lo voglio che mi basti ad- durre due essempi. Nelemato, non po- tendo sopportare la tirannide di Ari- slotimo tiranno di Epiro, ragunò in casa sua molti parenti ed amici, e conforta- togli a liberare la patria, alcuni di loro chiesono tempo a deliberarsi ed ordi- narsi; donde Nelemato fece a’ suoi servi serrare la casa, ed a quelli che esso aveva chiamati, disse: 0 voi giurerete di andare ora a fare questa esecuzione, o io vi darò tutti prigioni ad Aristoti- mo. Dalle quali parole mossi coloro, giurarono; ed andati senza intermissio- ne di tempo, felicemente l’ ordine di Nelemato eseguirono. Avendo un Mago, per inganno, occupato il regno de’Persi, ed avendo Orlano, uno de’grandi uomini Digitized by Google LIBRO TERZO. 565 del regno, intesa e scoperta la fraude, lo conferì con sei altri principi di quello Stato, dicendo come egli era da vendi- care il regno dalla tirannide di quel Mago; e domandando alcuno di loro tempo, si levò Dario, uno de’ sei chia- mati da Orlano, e disse: 0 noi andre- mo ora a far questa esecuzione, o io vi andrò ad accusar tutti. E così d’ac- cordo levatisi, senza dar tempo ad al- cuno di pentirsi, eseguirono felicemente i disegni loro. Simile a questi duoi essempi ancora è il modo che gli Etoli tennero ad ammazzare Nabide, tiranno spartano ; i quali mandarono Alessame- no loro cittadino, con trenta cavalli e dugento fanti, a Nabide, sotto colore di mandargli aiuto; ed il segreto solamente comunicarono ad Alessameno; ed agli altri imposono che lo ubbidissino in ogni e qualunque cosa, sotto pena di esilio. Andò costui in Sparta, e non co- municò mai la commissione sua se non quando ei la voile eseguire: donde gli r Digitized by Google 566 DEI DISCORSI riusci d’ ammazzarlo. Costoro, adunque, per questi modi hanno fuggiti quelli pericoli che si portano ne! maneggiare le congiure ; e chi imiterà loro, sempre gli fuggirà. E che ciascuno possa fare come loro, io ne voglio dare lo essein- pio di Pisone, preallegato di sopra. Era Pisone grandissimo e riputatissimo uomo, e famigliare di Nerone, e in chi egli confidava assai. Andava Nerone ne’ suoi orli spesso a mangiare seco. Poteva, adunque, Pisone farsi amici uomini d’animo, di cuore, e di dispo- sizione atti ad una tale esecuzione (il che ad uno uomo grande è facilissimo); e quando Nerone fusse stato ne* suoi orti, comunicare loro la cosa, e con parole convenienti inanimirli a far quello che loro non avevano tempo a ricusa- re, e che era impossibile che non riu- scisse. E cosi, se si esamineranno tutte 1’ altre, si troverà poche non esser po- tute condursi nel medesimo modo: ma gli uomini per lo ordinario poco inten- Digitized by Google LIBRO TERZO. 567 denti delie azioni del mondo, spesso fanno errori grandissimi, e tanto mag- giori in quelle che hanno più dello istraordinario, come è questa. Debbesi, adunque, non comunicare mai la cosa se non necessitato ed in sul fatto; e se pure la vuoi comunicare, comunicala ad un solo, del quale abbi fatto lun- ghissima isperienza, o che sia mosso dalle medesime cagioni che tu. Tro- varne uno così fatto è molto più facile che trovarne più, e per questo vi è meno pericolo; dipoi, quando pure ei ti ingannasse, vi è qualche rimedio a difendersi, che non è dove siano con- giurati assai: perchè da alcuno prudente ho sentito dire che con uno si può par- lare ogni cosa, perchè tanto vale, se tu non ti lasci condurre a scrivere di tua mano, il sì dell* uno quanto il no del- l’altro; e dallo scrivere ciascuno debbe guardarsi come da uno scoglio, perchè non è cosa che più facilmente ti con- vinca, che lo scritto di tua mano. Plau- Digitized by Google 568 DEI DISCORSI ziano volendo fare ammazzare Severo imperadore ed Antonino suo figliuolo, commise la cosa a Saturnino tribuno; il quale volendo accusarlo e non ubbi- dirlo, e dubitando che venendo alla ac- cusa non fusse più creduto a Plauziano che a lui, gli chiese una cedola di sua mano, che facesse fede di questa cora- missione ; la quale Plauziano , acce- cato dalla ambizione, gli fece: donde seguì che fu dal tribuno accusato e convinto ; e senza quella cedola, e certi altri contrassegni, sarebbe stato Plauziano superiore : tanto audacemente negava. Truovasi, adunque, nella accusa d’uno qualche rimedio, quando tu non puoi esser da una scrittura, o altri contrassegni, convinto: da che uno si debbe guardare. Era nella congiura Pi- soniana una femmina chiamata Epicari, 9tata per lo addietro amica di Nerone; la quale giudicando che fusse a propo- sito mettere tra i congiurati uno capi- tano di alcune triremi che Nerone teneva Digitized by Google LIBRO TERZO. 569 per sua guardia, gli coipunicò la con- giura, ma non i congiurati. Donde, rom- pendogli quel capitano la fede ed accu- sandola a Nerone, fu tanta l’ audacia di Epicari nel negarlo, che Nerone, rimaso confuso, non la condennò. Sono, adun- que, nel comunicare la cosa ad un solo due pericoli : l’ uno, che non ti accusi in pruova; l’altro, che non ti accusi con- vinto e constretto dalla pena, sendo egli preso per qualche sospetto o per qual- che indizio avuto di lui. Ma nell’ uno e nell’altro di questi duoi pericoli è qual- che rimedio, potendosi uegare l’uno al- legandone l’odio che colui avesse teco, e negare l’altro allegandone la forza che lo costringesse a dire le bugie. E, adunque, prudenza non comunicare la cosa a nessuno, ma fare secondo quelli essenipi soprascritti; o quando pure la comunichi, non passare uno, dove se è qualche più pericolo, ve n’è meno assai che comunicarla con molti. Propinquo a questo modo è quando una necessità Digitized by Google 570 DEI DISCORSI ti constringa a fare quello al principe che tu vedi che '1 principe vorrebbe fare a te, la quale sia tanto grande che non ti dia tempo se non a pensare d’as* sicurarti. Questa necessità conduce quasi sempre la cosa al (ine disiderato: ed a provarlo voglio bastino duoi essempi. Aveva Commodo, imperadore, Leto ed Eletto, capi de’ soldati pretoriani, intra i primi amici e famigliaci suoi, ed aveva Marzia intra le sue prime concubine ed amiche; e perchè egli era da costoro qualche volta ripreso de' modi con i quali maculava la persona sua e lo im- perio, deliberò di fargli morire, e scrisse in su una lista: Marzia, Leto ed Eletto, ed alcuni altri che voleva la notte se- guente far morire; e questa lista messe sotto il capezzale del suo letto. Ed essen- do ito a lavarsi, un fanciullo favorito di lui scherzando per camera e su pel letto, gli venne trovata questa lista, ed uscendo fuora con essa in mano, ri- scontrò Marzia; la quale gliene tolse, Digitized by Google LIBRO TERZO. 571 e lettola, e veduto il contenuto d’essa, subito mandò per Leto ed Eletto; e co- nosciuto tutti tre il pericolo in quale erano, diliberarono prevenire; e, senza metter tempo in mezzo, la notte seguente ammazzarono Commodo. Era Antonino Caracalla, imperadore, con gli eserciti suoi in Mesopotamia, ed aveva per suo prefetto Macrino, uomo più civile che armigero; e, come avviene che. i prin- cipi non buoni temono sempre che altri non operi contra di loro quello che par loro meritare, scrisse Antonino a Ma- terniano suo amico a Roma, che inten- desse dagli astrologi, se gli era alcuno che aspirasse allo imperio, e gliene av- visasse. Donde Materniano gli riscrisse, come Macrino era quello che vi aspira- • va; e pervenuta la lettera, prima alle mani di Macrino che dello imperadore, e per quella conosciuta la necessità o d’ammazzare lui prima che nuova let- tera venisse da Roma, o di morire, commise a Marziale centurione, suo fida- Digitized by Google 572 DEI DISCORSI lo, ed a chi Antonino aveva morto pochi giorni innanzi un fratello, che lo am- mazzasse: il che fu eseguito da lui fe- licemente. Vedesi, adunque, che questa necessità che non dà tempo, fa quasi quel medesimo effetto che ’l modo da me sopraddetto che tenne Nelemato di Epiro. Vedesi ancora quello che io dissi quasi nel principio di questo discorso, come le minacce offendono più gii prin- cipi, e sono cagione di più efficaci con- giure che le offese : da che un principe si debbe guardare; perchè gli uomini si hanno o a carezzare, o assicurarsi di loro, e non gli ridurre mai in termine che gli abbino a pensare che bisogni loro o morire, o far morire altrui. Quanto ai pericoli che si corrono in su la esecuzione, nascono questi o da va- riare l’ordine, o da mancare V animo a colui che eseguisce, o da errore che lo esecutore faccia per poca prudenza, o per non dar perfezione alla cosa, ri- manendo vivi parte di quelli che si di- Digitized by Google LIBRO TERZO. 673 segnavano ammazzare. Dico, adunque, come e' non è cosa alcuna che faccia tanto sturbo o impedimento a tutte le azioni degli uomini, quanto è in uno instante, senza aver tempo, avere a va- riare un ordine, e pervertirlo da quello che si era ordinato prima. E se questa variazione fa disordine in cosa alcuna, lo fa nelle cose della guerra, ed in cose simili a quelle di che noi parliamo; per- chè in tali azioni non è cosa tanto ne- cessaria a fare, quanto che gli uomini fermino gli animi loro ad eseguire quella parte che tocca loro; e se gli uomini hanno volto la fantasia per più giorni ad un modo e ad uno ordine, e quello subito varii, è impossibile che non si perturbino tutti, e non rovini ogni co- sa; in modo ch'egli è meglio assai ese- guire una cosa secondo l' ordine dato, ancora che vi si vegga qualche incon- veniente, che non è, per voler cancellare quello, entrare in mille inconvenienti. Questo interviene quando e’ non si ha Digitized by Google • 574 DEI DISCORSI tempo a riordinarsi; perchè quando si ha tempo, si può 1’ uomo governare a suo modo. La congiura de’ Pazzi contra a Lorenzo e Giuliano de’ Medici, è nota. L’ ordine dato era, che dessino desinare al cardinale di San Giorgio, ed a quel desinare ammazzargli: dove si era di- stribuito chi aveva a ammazzargli, chi aveva a pigliare il palazzo, e chi correre la città e chiamare il popolo alla libertà. Accadde che essendo nella chiesa catte- drale in Firenze i Pazzi, i Medici ed il Cardinale ad uno offizio solenne, s’in- tese come Giuliano la mattina non vi desinava : il che fece che i congiurati s’adunarono insieme,^ quello che gli avevano a far in casa i Medici, dilibe- rarono di farlo in chiesa. Il che venne a perturbare tutto l’ordine; perchè Gio- vambatista da Montesecco non volle con- correre all’ omicidio, dicendo non lo co- lere fare in chiesa: talché gli ebbono a“ mutare nuovi ministri in ogni azione; i quali, non avendo tempo a fermare l’ani- Digitized by Googl LIBRO TERZO. 575 mo, feci ono tali errori, che in essa ese- cuzione furono oppressi. Manca l’animo a chi eseguisce, o per riverenza, o per propria viltà dello esecutore, lì) tanta la maestà e la riverenza che si tira dietro la presenza d’uno principe, eh’ egli è fa- cil cosa o che mitighi o ch’egli sbigot- tisca uno esecutore. A Mario, essendo preso da’ Minturnesi, fu mandato uno ser- vo che lo ammazzasse ; il quale spaventato dalla presenza di quello uomo e dalla me- moria del nome suo divenuto vile, per- de ogni forza ad ucciderlo. E se que- sta potenza è in uno uomo legato e prigione, ed affogato in la mala fortuna, quanto si può temere che la sia mag- giore in un principe sciolto, con la maestà degli ornamenti, della pompa c della comitiva sua? talché ti può questa pompa spaventare, o vero con qualche grata accoglienza raumiliare. Congiura- rono alcuni contro a Sitalce re di Tra- cia; deputarono il dì della esecuzione; convennono al luogo deputato, dov’ era Dlgitized by Google 576 DEI DISCORSI il principe; nessuno di loro si mosse per offenderlo: Unto che si partirono senza aver tentato alcuna cosa e senza sapere quello che se gli avesse impediti; ed incolpavano 1’ uno 1’ altro. Caddono in tale errore più volte ; tanto che sco- pertasi la congiura, portarono pena di quel male che poterono e non volleno fare. Congiurarono contra Alfonso duca di Ferrara due suoi fratelli, ed usarono mezzano Giennes prete e cantore del duca; il quale più volte a loro richiesta, condusse il duca fra loro, talché gli avevano arbitrio di ammazzarlo. Nondi- meno, mai nessuno di loro non ardì di farlo; tanto che scoperti, portarono la pena della cattività e poca prudenza loro. Questa negligenza non potette na- scere da altro, se non che convenne o che la presenza gli sbigottisse o che qualche umanità del principe gli umi- liasse. Nasce in tali esecuzioni inconve- niente o errore per poca prudenza, o per poco animo; perchè V una e 1’ altra Digitized by G LIBRO TERZO. 577 di queste due cose ti ’nvasa, e, portato da quella confusione di cervello, ti fa dire e fare quello che tu non debbi. E che gli uomini invasino e si confondino, non lo può meglio dimostrare Tito Livio quando descrive d’ Alessameno elolo, quando ei volse ammazzare Nabide spar- tano^ di che abbiamo di sopra parlato; che, venuto il tempo della esecuzione, scoperto che egli ebbe a’ suoi quello che af aveva a fare," dice Tito Livio queste parole: Collegi! et i psc animunij confusimi tanice cogilatione rei. Perchè gli è impossibile eh* alcuno, àncora che di animo fermo, ed uso alla morte de- gli uomini e ad operare il ferro, non si confonda. Però si debbe eleggere uo- mini sperimentati in tali maneggi, ed a nessun altro credere, ancora che tenuto animosissimo. Perchè, dello animo nelle cose grandi, senza avere fatto isperien- za, non sia alcuno che se ne prometta cosa certa. Può, adunque, questa con- fusione o farti cascare Panni di mano, .Machiavelli, Discorsi. — 1. 37 Digitized by Google DEI DISCORSI o farti dire cose che faccino il medesi- mo effetto. Lucilla, sorella di Commodo, ordinò che Quinziano lo ammazzasse. Costui aspettò Commodo nella entrata dello anfiteatro, c con un pugnale ignudo accosta ndosegli, gridò: Questo ti manda il Senato: le quali parole fecero che fu prima preso eh’ egli avesse calato il braccio per ferire. Messer Antonio da Volterra, diputato, come di sopra si disse, ad ammazzare Lorenzo de* Medici, nello accostategli, disse: Ah traditore! la qual voce fu la salute di Lorenzo, e la rovina di quella congiura. Può non si dare perfezione alla cosa, quando si congiura contro ad un capo, per le ca- gioni delle: ma facilmente non se le dà perfezione quando si congiura contro a due capi; anzi è tanto difficile, che gli è quasi impossibile eli» la riesca. Per- chè fare una simile azione in un mede- simo tempo in diversi luoghi, è quasi impossibile; perchè in diversi tempi non si può fare, non volendo che l’una Digitized by Google LIBRO TLRZO. 579 guasti 1’ altra. In modo clic, se il con- giurare contro ad uu principe è cosa dubbia, pericolosa e poco prudente ; congiurare contro a due, è al tutto vana e leggieri. E se non fusse la riverenza dello istorieo, io non crederei mai che fusse possibile quello che Erodiano dice di Plauziano, quando ei commise a Sa- turnino centurione, che egli solo am- mazzasse Severo ed Antonino, abitanti in diversi luoghi: perchè la è cosa tanto discosto dal ragionevole, che altro che questa autorità non me lo farebbe cre- dere. Congiurarono certi giovani ateniesi contra a Diocle ed Ippia, tiranni di Alene. Ammazzarono Diocle; ed Ippia che rimase, Io vendicò. Chione e Leo- nide, eradensi e discepoli di Platone, congiurarono contro a Clearco e Satiro, tiranni: ammazzarono Clearco; e Satiro che restò vivo, lo vendicò. Ai Pazzi, piu volte da noi allegati, non successe di ammazzare se non Giuliano. In modo che, di simili congiure contro a più capi Digitized by Google 580 DEI DISCORSI se ne dcbbe astenere ciascuno, perchè non si fa bene nè a sè nè olla patria nè ad alcuno: anzi quelli che riman- gono , diventano più insopportabili c più acerbi; come sa Firenze, Atene ed Eraclea, state da ine preallegate. È vero che la congiura clic Pelopida fece per liberare Tebe sua patria , ebbe tutte le diffìcultù; nondimeno ebbe felicissimo fine: perchè Pelopida non solamente congiurò contra a due tiranni, ma contra a dieci; non sola- mente non era confidente e non gli era facile 1’ entrata ai tiranni, ma era ri- bello: nondimeno ei potè venire iti Te- be, ammazzare i tiranni, e liberare la patria. Pur nondimeno fece lutto, con I’ aiuto d’ uno Carione, consigliere de’ ti- ranni, dal quale ebbe 1’ entrata fucile alla esecuzione sua. Non sia alcuno, non- dimeno, che pigli lo essempio da co- stui : perchè come la fu impresa impos- sibile, e cosa maravigliosa a riuscire, cosi fu ed è tenuta dagli scrittori i Digitìzed by Google LIBRO TERZO. 581 quali la celebrano come cosa rara, e quasi senza essempio. Può essere inter- rotta tale esecuzione da una falsa im- maginazione, o da uno accidente im- provviso che nasca in su M fatto. La mattina che Bruto e gli altri congiurati volevano ammazzare Cesare, accadde, che quello parlò a lungo con Gneo Popiiio Cenate, uno de’ congiurati ; e vedendo gli altri questo lungo parlamento, du- bitarono che detto Popiiio non rivelasse a Cesare la congiura. Furono per ten- tare d* ammazzare Cesare quivi, e non aspettare che fusse in Senato; ed areb- bonlo fatto, se non che il ragionamento fini, e visto non fare a Cesare moto alcuno straordinario, si rassicurarono. Sono queste false immaginazioni da con- siderarle, ed avervi con prudenza ri- spetto ; e tanto più, quanto egli è facile ad averle. Perchè chi ha la sua con- l| scienza macchiata, facilmente crede che si parli di lui: puossi sentire una pa- rola detta ad un altro fine, che ti fac- Digitized by Google DEI DISCORSI h 8 2 eia perturbare t’ animo, e credere che ia sia detta sopra il caso tuo; e farti o con la fuga scoprire la congiura da te, o confondere I' azione con accelerarla fuora di tempo. E questo tanto più fa- cilmente nasce, quanto ei sono molti ad esser consci della congiura. Quanto agli accidenti, perchè sono insperati, non si può se non con gli essempi mostrargli, e fare gli uomini cauti secondo quelli, lulio Belanti da Siena, del quale di so- pra abbiamo futto menzione, per lo sdegno aveva contra a Pandolfo, che gli aveva tolta la figliuola che prima gli aveva data per moglie, deliberò d’ am- mazzarlo, ed elesse questo tempo. An- dava Pandolfo quasi ogni giorno a vi- sitare un suo parente infermo, e nello andarvi passava dalle case di lulio. Co- stui adunque, veduto questo, ordinò d* avere i suoi congiurali in casa ad ordine per ammazzare Pandolfo nel pas- sare ; e messisi dentro alP uscio armati, teneva uno alla fenestra, che, passando Digitized by Google LIBRO TERZO. Ò.S3 Pandolfo, quando ci fosse slato presso all’ uscio, facesse un cenno. Accadde che venendo Pandolfo, ed avendo fallo colui il cenno, riscontrò uno amico che Io fermò; ed alcuni di quelli che erano con lui, vennero a trascorrere innanti, e veduto e sentito il rornore d’arme, sco- persono l’agguato; in modo che Pan- dolfo si salvò, e tulio coi compagni s’ eh* bono a fuggire di Siena. Impedì quello accidente di quello scontro quella azione, e fece a Iulio rovinare la sua impresa. Ai quali accidenti, perchè ei sono rari, non si può fare alcuno rimedio. È ben necessario esaminare tutti quelli che possono nascere, e rimediarvi. Restaci, * al presente, solo a disputare de’ pericoli che si corrono dopo la esecuzione : i quali sono solamente uno; e questo è, quando e’ rimane alcuno che vendichi il principe morto. Possono rimanere, adunque, suoi fratelli, o suoi figliuoli, o altri aderenti, a chi s’ aspetti il prin- cipato; e possono rimanere o per tua. Digitized by Google DEI DISCORSI 584 negligenza, o per le cagioni dette di so- pra, che faccino questa vendetta: come intervenne a Giovannandrea da Lampo- gnano, il quale, insieme con i suoi con- giurati, avendo morto il duca di Mi- lano, ed essendo rimaso uno suo figliuolo c due suoi fratelli, furono a tempo a vendicare il morto. E veramente, in questi casi i congiurati sono scusati, perchè non ci hanno rimedio; ma quando ei ne ripiene vivo alcuno per poca pru- denza, o per loro negligenza, allora è che non meritano scusa. Ammazzarono alcuni congiurati Forlivesi il conte Gi- rolamo loro signore, presono la moglie, cd i suoi figliuoli, che erano piccoli ; e non parendo loro poter vivere sicuri se non si insignorivano della fortezza, e non volendo il castellano darla loro, Madonna Caterina (che così si chiamava la contessa) promise a’ congiurati, se la lasciavano entrare in quella, di farla consegnare loro, e che ritenessino ap- presso di loro i suoi figliuoli per ista- Digitized by Google LIBRO TERZO. 585 ticiii. Costoro sotto questa fede ve la la- sciarono entrare ; la quale come fu den- tro dalie mura rimproverò loro la morte del marito, e minacciógli d’ ogni qua- lità di vendetta. B per mostrare che de’ suoi figliuoli non si curava, mostrò loro le membra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne. Cosi costoro, scarsi di consiglio e tardi av- vedutisi del loro errore, con uno per- petuo esilio patirono pene della poca prudenza loro. Ma di tutti i pericoli che possono dopo la esecuzione avvenire, non ci è il più certo, nè quello che sia più da temere, che quando il popolo è amico del principe che tu hai morto: perchè a questo i congiurati non hanno rimedio alcuno, perchè e’ non se ne pos- sono mai assicurare. In essempio ci è Cesare, il quale per avere il popolo di Roma amico, fu vendicato da lui; per- chè avendo cacciati i congiurati di Ro- ma, fu cagione che furono tutti in vari tempi e in vari luoghi ammazzati. Le Digitized by Google DEI DISCORSI 586 congiure che si fanno contro alla patria sono meno pericolose per coloro che le fanno, che non sono quelle che si fanno contro ai principi: perchè nel maneg- giarle vi sono meno pericoli che in quelle; nello eseguirle vi sono quelli medesimi; dopo la esecuzione, non ve li* è alcuno. Nel maneggiarle non vi è pericoli molti: perchè un cittadino può ordinarsi alia potenza senza manifestare l’animo e disegno suo ad alcuno; e se quelli suoi ordini non gli sono inter- rotti; seguire felicemente I* impresa sua; se gli sono interrotti con qualche legge, aspettar tempo, ed entrare per altra via. Questo s’ intende in una repubblica dove è qualche parte di corruzione; perchè iu una non corrotta, non vi avendo luogo nessuno principio cattivo, non possono cadere in un suo cittadino que- sti pensieri. Possono, adunque, i cittadini per molti mezzi e molte vie aspirare al principato, dove ei non portano peri- colo d’ essere oppressi: si perchè le re- Digitized by Google LIBRO TERZO. òhi pubbliche sono più tarde che uno prin- cipe, dubitano meno, e per questo sono manco caute; sì perchè hanno più ri- spetto ai loro cittadini grandi, e per questo quelli sono più audaci e più animosi a far loro contro. Ciascuno ha letto la congiura di Catilina scritta da Salustio, e sa come poi che la congiura fu scoperta, Catilina non solamente stette in Roma, ma venne in Senato, e disse villania al Senato ed al Consolo: tanto era il rispetto che quella città aveva ai suoi cittadini. E partito che fu di Roma, e eh’ egli era di già in su gli eserciti, non si sarebbe preso Lentolo e quelli altri, se non si fussero avute lettere di lor mano che gli accusavano manifesta- mente. Annone, grandissimo cittadino in Cartagine, aspirando alla tirannide, aveva ordinato nelle nozze d’ una sua figliuola di avvelenare tutto il Senato, e dipoi farsi principe. Questa cosa in- tesasi, non vi fece il Senato altra prov- visione che d’ una legge, la quale po- Dlgitized by Googl DEI DISCORSI 588 neva termine alle spese de’ conviti e delle nozze: tanto fu il rispetto die gli ebbero alle qualità sue. È ben vero, che nello eseguire una congiura contra alla patria, Vi è più difficoltà e maggiori pericoli; perchè1 rade volte è che ba- stino le tue forze proprie conspirando contra u tanti; e ciascuno non è prin- cipe d’ uno esercito, come era Cesare o Agatocle o Cleomene e simili, che hanno ad un tratto e con la forza occupata la patria. Perchè a simili è la via assai facile, ed assai sicura; ma gli altri che non hanno tante aggiunte di forze, con- viene che faccino la cosa o con inganno ed arte, o con forze forestiere. Quanto allo inganno ed all’arte, avendo Pisi- strato ateniese vinti i Megarensi, e per questo acquistata grazia nel popolo, uscì una mattina fuori ferito, dicendo che la nobiltà per invklia P aveva ingiuria- to, e domandò di poter menare armati seco per guardia sua. Da questa auto- rità facilmente salse a tanta grandezza, Digitized by Google • LIBRO TERZO. 589 che diventò tiranno d’ Alene. Pandolfo Petrucci tornò con altri fuorusciti in Siena, e gli fu data la guardia della piazza in governo, come cosa meccanica, e che gli altri rifiutarono; nondiinaneo quelli armati, con il tempo, gli dierono tanta riputazione, che in poco tempo ne diventò principe. Molti altri hanno tenute altre industrie ed altri modi, e con ispazio di tempo e senza pericolo vi si sono condotti. Quelli che con forza loro, o con eserciti esterni, hanno con- giurato per occupare la patria, hanno avuti vari eventi, secondo la fortuna. Catilina preallegato vi rovinò sotto. An- none, di chi di sopra facemmo men- zione, non essendo riuscito il veleno, armò di suoi partigiani molte migliaia di persone, e loro ed eglino furono mor- ti. Alcuni primi cittadini di Tebe per farsi tiranni chiamarono in aiuto uno esercito spartano, e presono la tirannide di quella città. Tanto che, esaminate tutte le congiure fatte contro alla pa- Digitized by Google DEI DISCORSI 590 Iria, non ne troverai alcuna, o poche, che nel maneggiarle siano oppresse; ma tutte q sono riuscite, o sono rovi- nate nella esecuzione. Eseguite che le sono, ancora non portano altri pericoli, che si porti la natura del principato in sé: perchè divenuto che uno è tiranno, ha i suoi naturali ed ordinari pericoli che gli arreca la tirannide, alli quali non ha altri rimedi che di sopra si siano discorsi. Questo è quanto mi è occorso scrivere delle congiure; e se io ho ragionato di quelle che si fanno con il ferro, e non col veleno, nasce che P hanno tutte un medesimo ordine. Vero è che quelle del veleno sono più pe- ricolose, per esser più incerte: per- chè non si ha comodità per ognuno; e bisogna conferirlo con chi la ha ; e questa necessità del conferire ti fa pe- ricolo. Dipoi, per molte cagioni, un be- veraggio di veleno non può esser mor- tale: come intervenne a quelli che am- mazzarono Commodo, che, avendo quello Digitized by Googl LIBRO TERZO. 591 ributtato il veleno che gli avevano dato, furono forzati a strangolarlo, se volleno che morisse. Non hanno, pertanto, i principi il maggiore nimico che la con* giura ; perchè fatta che è una congiura loro conira, o la gli ammazza, o la gli infama. Perchè, se la riesce, e’ muoio- no; se la si scopre, e loro ammazzino i congiurati, si crede sempre che lu sia stata invenzione di quel principe, per isfogarc 1* avarizia e la crudeltà sua conira al sangue ed alla roba di quelli eh’ egli ha morti. Non voglio però man- care di avvertire quel principe o quella repubblica contra a chi fusse congiu- rato, che abbino avvertenza, quando una congiura si manifesta loro, innanzi che faccino impresa di vendicarla, di cercare ed intendere molto bene la qua- lità di essa, e misurino bene le condi- zioni de’ congiurati e le loro ; c quando la truovino grossa e potente, non la scuoprino mai, infimo a tanto che si siano preparati con forze sufficienti ad Digitized by Google DEI DISCORSI 592 opprimerla: altrimenti facendo, scopri- rebbono la loro rovina. Però debbono con ogni industria dissimularla, perchè i congiurati veggendosi scoperti, cac- ciati da necessità, operano sema ris- petto. In esseinpio ci sono i Romani; i quali aveudo lasciate due legioni di soldati a guardia de’ Capovani contra ai Sanniti, come altrove dicemmo, con- giurarono quelli capi delle legioni in- sieme di opprimere i Capovani: la qual cosa intesasi a Roma, commessono a Rutilio nuovo consolo che vi provve- desse: il quale, per addormentare i con- giurali, pubblicò come il Senato aveva raffermo le stanze alle legioni capovane. Il che credendosi quelli soldati, e pa- rendo loro aver tempo ad eseguire il disegno loro, non cercarono di accele- rare la cosa ; e così stettono infino che cominciarono a vedere che il Consolo gli separava 1’ uno dull’ altro ; la qual cosa generato in loro sospetto, fece che si scopersono, e mandarono ad esecu- Digitized by Googl LIBRO TERZO. 503 zionc la voglia loro. Nè può essere questo maggiore essempio nell’ una e nel- Y altra parte: perchè per questo si vede, quanto gli uomini sono lenti nelle cose dove ei credono avere tempo; e quanto ei sono presti dove la necessità gli cac- cia. Nè può uno principe o una repub- blica, che vuole differire lo scoprire una congiura a suo vantaggio, usare ter- mine migliore che offerire di prossimo occasione con arte ai congiurati, accioc- ché aspettando quella, o parendo loro aver tempo, diano tempo a quello o a quella a castigargli. Chi ha fatto altri- menti, ha accelerato la sua rovina: come fece il duca di Atene e Guglielmo de* Pazzi. Il duca, diventato tiranno di Firenze, ed intendendo essergli congiu- rato contro, fece, senza esaminare altri- menti la cosa, pigliare uno de’ congiu- rali: il che fece subito pigliare V anni agli altri e torgli lo Stato. Guglielmo, sendo commessario in Val di Chiana nel 1501, ed avendo inteso come in SI achuvelii. Discorsi. — 1. 38 Digitized by Google DEI DISCOr.Si 59Ì Arezzo erti congiura in favore de* Vi- telli per tórre quella terra ai Fiorentini, subito se uè andò in quella città, e senza pensare alle forze de’ congiurati o alle sue, e senza prepararsi di alcuna forza, con il consiglio del Vescovo suo figliuolo, fece pigliare uno de’ congiu- rati: dopo la qual presura, gli altri subito presono 1’ armi e tolseno In ter- ra ai Fiorentini; e Guglielmo, di com- tnessario, diventò prigione. Ma quando le congiure sono deboli, si possono e debbono senza rispetto opprimere. Non è ancora da imitare in alcun modo duoi termini usati, quasi contrari 1’ uno al- I’ altro ; 1’ uno dal prenominato duca d’ Atene, il quale, per mostrare di cre- dere d’ avere la benivolenza de’ cittadini fiorentini, fece morire uno che gli ma- nifestò una congiura: l’altro da Dione siracusano, il quale, per tentare 1’ animo di alcuno ch’egli aveva a sospetto, con- sentì a Callippo, nel quale ei confidava, che mostrasse di fargli una congiura Digitized by Google LIBRO TERZO. 595 contra. E tutti due questi capitarono male: perchè l’uno tolse l’animo agli accusatori, e dettelo a chi volse congiu- rare: l’altro dette la via fucile alta morte sua, anzi fu egli proprio capo della sua congiura; come per isperienza gli intervenne, perchè Callippo potendo senza rispetto praticare contra a Dione, praticò tanto, che gli tolse lo Stato e la vita. Cap. VII. — Donde nasce che le muta- zioni dalla libertà alla servitù , e dalla servitù alla libertàj alcuna n' è senza sangue , alcuna n* è piena. Dubiterà forse alcuno donde nasca che molte mutazioni che si fanno dalla vita libera alla tirannica e per contra- rio, alcuna se ne faccia con sangue, al- cuna senza ; perchè, come per le istorie si comprende, in simili variazioni alcuna volta sono stali morti infiniti uomini, alcuna volta non è stato ingiurialo al- Digitized by Google 596 DEI DISCORSI cimo: come intervenne nella mutazione clic fece Roma dai Re ai Consoli, dove non furono cacciati altri die i Tarquini, fuora delia offensione di qualunque altro. Il che dipende da questo: perchè quello stato che si muta, nacque con violenza, o non ; e perchè quando e’ nasce con violenza, conviene nasca con ingiuria di molti, è necessario poi, nella rovina sua, che gl’ ingiuriati si vogliono vendicare; e da questo disiderio di vendetta nasce il sangue e la morte degli uomini. Ma quando quello stato è causato da uno comune consenso di una universalità che lo lia fatto grande, non ha cagione i poi, quando rovina detta universalità, di offendere altri che il capo. E di que- sta sorte fu lo stato di Roma e la cac- ciata de* Tarquini; come fu ancora in Firenze lo stato de* Medici, che poi nelle rovine loro nel 1494, non furono offesi altri che loro. E così tali mutazioni non vengono ad esser molto pericolose : ma son bene pericolosissime quelle che sono Digitized by Google LIBRO TERZO. 597 fatte da quelli che si hanno a vendica- re; le quali furono sempre mai di sorte, da fare, non che altro, sbigottire chi le legge. E perchè di questi essempi ne- son piene l’ istorie, io le voglio lasciare indietro. Cap. Vili. — Chi vuole alterare una re- pubblicaj debbo considerare il sogget- to di quella. E’ si è di sopra discorso, come un tri- sto cittadino non può male operare in una repubblica clic non sia corrotta : la quale conclusione si fortifica, oltre alle ragioni che allora si dissono, con l’es* sempio di Spurio Cassio e di Manlio Capitolino. 11 quale Spurio sendo uomo ambizioso, e volendo pigliare autorità istraordinaria in Roma, e guadagnarsi la Plebe con il fargli molti benefizi, come era di vendergli quelli campi che i Ro- mani avevano tolti alt i Ernici; fu sco- perta dai Padri questa sua ambizione, Digitized by Google 598 DEI DISCORSI ed in tanto recata a sospetto, r:lie par- lando egli al Popolo, ed offerendo dì dargli quelli danari che s’ erano ritratti de’ grani che il pubblico aveva fatti ve- nire di Sicilia, al tutto gli recusò, pa- rendo a quello che Spurio volesse dare loro il pregio della loro libertà. Ma se tal Popolo fusse stato corrotto, non areb- be recusato detto prezzo, e gli arebbe aperta alla tirannide quella via che gli chiuse. Fa molto maggiore essempio di questo, Manlio Capitolino ; perchè me- diante costui si vede quanta virtù d’ani- mo e di corpo, quante buone opere fatte in favore della patria, cancella dipoi una brutta cupidità di regnare: la quale, come si vede, nacque in costui per la invidia che lui aveva degli onori erano fatti a Cammillo; e venne in tanta cecità di niente, che nou pensando al modo del vivere della città, non esaminando il soggetto quale esso aveva, non atto a ricevere ancora trista forma, si mise a fare tumulti in Roma contra al Se- Digi \ ed by Google LIBRO TERZO. 59# nato e con tra alle leggi patrie. Dove si conosce la perfezione di quella città, e la bontà della materia sua : perchè nel caso suo nessuno della Nobiltà, an- cora che fussino acerrimi difensori l’uno deli’ altro, si mosse a favorirlo ; nessuno de’ parenti fece impresa in suo favore: e con gli altri accusati solevano com- parire sordidati, vestiti di nero, tutti mesti, per cattare misericordia in fa- vore dello accusato; e con Manlio non se ne vide alcuno. I Tribuni della plebe, che solevano sempre favorire le cose che pareva venissino in benefizio del Popolo ; e quanto erano più contra ai Nobili, tanto piu le tiravano innanzi; in questo caso si unirono coi Nobili, per opprimere una comune peste. Il Popolo di Roma, disiderosissimo dello utile pro- prio, ed amatore delle cose che veniva- no contra alla Nobiltà, avvenga clic facesse a Manlio assai favori; nondi- meno, come i Tribuni lo citarono, e che rimessono la causa sua al giudizio del Digitized by Googl eoo DEI DISCORSI Popolo, quel Popolo, diventalo di difen* sore giudice, sema rispetto alcuno lo condennò a morte. Pertanto io non credo che sia essempio in questa istoria più atto a mostrare la bontà di tutti gli ordini di quella Repubblica, quanto è questo ; veggendo che nessuno di quella città si mosse a difendere un cittadino pieno d’ ogni virtù, e che pubblicamente e privatamente aveva fatte moltissime opere laudabili. Perchè in tutti loro potè più T amore della patria, che nessuno -altro rispetto; e considerarono molto più ai pericoli presenti che da lui di- pendevano, che ai meriti passati: tanto che con la morte sua e’ si liberarono. .E Tito Livio dice: Hunc ex itimi habuìt vii', nisi in libera civilate natus esset, memorabili Dove sono da considerare due cose: P una, che per altri modi s’ ha a cercare gloria in una città cor- rotta, che in una che ancora viva poli- ticamente; V altra (che è quasi quel me- desimo che la prima) , che gli uomini Digitized by Google LIBRO TERZO. 601 nel proceder loro, e tanto più nelle azioni grandi, debbono considerare i tempi, ed accomodarsi a quelli. E coloro cbe, per cattiva elezione o per naturale inclinazione, si discordano dai tempi, vivono il più delle volte infelici, ed hanno cattivo esito razioni loro; al contrario Y hanno quelli cbe si concordano col tempo. E senza dubbio, per le parole preallegate dello istorico si può con- chiudere, che se Manlio fusse nato ne’ tempi di Mario e di Siila, dove già la materia era corrotta e dove esso arebbe potuto imprimere la forma dell’ ambi- zione sua, arebbe avuti quelli medesimi seguiti e successi cbe Mario e Siila, e gli altri poi, che dopo loro alla tiran- nide aspirarono. Così medesimamente, se Siila e Mario fussino stati ne’ tempi di Manlio, sarebbero stati intra le prime loro imprese oppressi. Perchè un uomo può bene cominciare con suoi modi e con suoi tristi termini a corrompere un popolo di uno città, ma gli è impossi- Digitized by Google 602 DEI DISCOIISI bile che la vita d* uno basti a corrom- perla in modo che egli medesimo ne possa trai* frutto; e quando bene e’fusse - possibile con lunghezza di tempo che lo facesse, sarebbe impossibile quanto al modo del procedere degli uomini, che sono impazienti, e non possono lunga- mente differire una loro passione. Ap- presso, s’ ingannano nelle còse loro, ecl in quelle, massime, che disiderano assai: talché, o per poca pazienza o per in- gannarsene, entrerebbero in impresa contea a tempo, e capiterebbero male. Però è bisogno, a voler pigliare auto- rità in una repubblica e mettervi trista forma, trovare la materia disordinata dal tempo, e che a poco a poco, e di generazione in generazione, si sia con- dotta al disordine: la quale vi si con- duce di necessità, quando la non sia, come di sopra si discorse, spesso rin- frescata di buoni essempi, o con nuove leggi ritirata verso i principii suoi. Sa- rebbe, adunque, stato Manlio un uomo Digitized by Google LIBRO TERZO. 603 raro e memorabile, se lusso nato in una città corrotta. E però debbono i citta- dini che nelle repubbliche fanno alcuna impresa o in favore della libertà o in favore della tirannide, considerare il soggetto che eglino hanno, e giudicare da quello la dilficultà delle imprese loro. Perchè tanto è diffìcile e pericoloso voler fare libero un popolo che voglia viver servo, quanto è voler fare servo un po- polo che voglia viver libero. E perchè di sopra si dice, che gli uomini nello operare debbono considerare la qualità de’ tempi e procedere secondo quelli, ne parleremo a lungo nel seguente capi- tolo. Cap. IX. — Come conviene variare coi tempi , volendo sempre aver buona fortuna. Io ho considerato più volte come la cagione della trista e della buona for- tuna degli uomini è riscontrare il modo Digitized by Google DEI DISCORSI 604 del procedere suo coi tempi: perché e’ si vede che gli uomini nell’ opere loro pro- cedono alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione. E perchè nel- l’uno e nell’ altro di questi modi si pas- sano i termini convenienti, non si po- tendo osservare la vera via, nell’uno e nell’ altro si erra. Ma quello viene ad errar meno, ed avere la fortuna pro- spera, che riscontra, come io ho detto, con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede, secondo ti sforza la natura. Ciascuno sa come Fabio Massimo proce- deva con lo esercito suo rispettivamente c cautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audacia romana; e la buona fortuna fece, che questo suo modo ris- contrò bene coi tempi. Perchè, sendo venuto Annibaie in Italia, giovine e con una fortuna fresca; ed avendo già rotto il popolo romano due volte; ed essendo quella repubblica priva quasi della sua buona milizia, e sbigottita ; non potette sortire miglior fortuna, che avere un Digitized by Google LIBRO TERZO. 605 capitano il quale, con la sua tardità e cauzione, tenesse a bada il nimico. Nè ancora Fabio potette riscontrare tempi più convenienti ai modi suoi: di che nacque che fu glorioso. E che Fabio facesse questo per natura e non per elezione, si vede, che volendo Scipione passare in Affrica con quelli eserciti per ultimare la guerra, Fabio la con- tradisse assai, come quello che non si poteva spiccare dai suoi modi e dalla consuetudine sua; talché, se fosse stato , a lui, Annibaie sarebbe ancora in Italia, come quello che non si avvedeva che gli erano mutati i tempi, e che bisogna- va mutar modo di guerra. E se Fabio fusse stato re di Roma, poteva facil- mente perdere quella guerra : perchè non arebbe saputo variare col proce- dere suo, secondo che variavano i tempi : ma sendo nato in una repubblica dove erano diversi cittadini e diversi umori, come la ebbe Fabio, che fu ottimo ne’ tempi debiti a sostenere la guerra, cosi Digitized by Google 606 DEI DISCORSI ebbe poi Scipione ne’ tempi atti a vin- cerla. Di qui nasce, che una repubblica ha maggior vita, ed ha più lungamente buona fortuna che un principato; per- chè la può meglio accomodarsi alla di- versità de’ temporali, per la diversità de’ cittadini che sono in quella, che non può un principe. Perchè un uomo che sia consueto a procedere in un modo, non si muta mai, come è detto; e con- viene di necessità, quando si mutano i tempi disformi a quel suo modo, che rovini. Piero Soderini, altre volte preal- legato, procedeva in tutte le cose sue con umanità e pazienza. Prosperò egli e la sua patria mentre che i tempi fu- rono conformi al modo del proceder suo: ma come vennero dipoiìempi dove bisognava rompere la pazienza e 1’ umi- lila, non lo seppe fare; talché insieme con la sua patria rovinò. Papa lulio 11 procedette in tutto il tempo del suo pon- tificato con impeto e con furia ; e per- chè i tempi l’accompagnarono bene, gli Digitized by Google LIBRO TERZO. 607 riuscirono le sue imprese tulle. Ma se fossero venuti altri tempi che avessero ricerco altro consiglio, di necessità ro- vinava; perchè non arebbe mutato nè modo nè ordine nel maneggiarsi. E clic noi non ci possiamo mutare, ne sono cagione due cose: V una, che noi non ci possiamo opporre a quello a che c’ in- clina la natura ; 1* altra, che avendo uno con un modo di procedere prosperato assai, non è possibile persuadergli che possa far bene a procedere altrimenti: donde ne nasce che in uno uomo la for- tuna varia, perchè ella varia i tempi, ed egli non varia i modi. Nascene an- cora la rovina della città, per non si variare gli ordini delle repubbliche co’ tempi ; come lungamente di sopra dis- corremmo : ma sono più tarde, perchè le penano più a variare, perchè biso- gna che venghino tempi che commovino tutta la repubblica; a che un solo col variare il modo del procedere non ba- sta. E perchè noi abbiamo fatto inenzio- Digitized by Google 608 DEI DISCORSI ne di Fabio Massimo che tenne a bada * « Annibale, mi pare da discorrere nel ca- pitolo seguente, se un capitano, volendo far la giornata in ogni modo col nimico, può essere impedito da quello, che non la faccia. Cap. X. — Che un capitano non può fuggire la giornata , quando V av- versario la vuol fare in ogni moda. Cncus Sulpitius Diclator advcrsus Gal- lo s bcllum trahcbal, nolens se fot tunce coturni Nere ad versus hostentj qucm lem- pus dcteriorcm in dieSj et locus alte- rnisi faccrct. Quando e’ seguita uno er- rore dove lutti gli uomini o la maggior parte s' ingannino, io non credo che sia male molte volle riprovarlo. Pertanto, ancora che io abbia di sopra più volte mostro, quanto le azioni circa le cose grandi siano disformi a quelle degli antichi tempi, nondimeno non mi par superfluo al presente replicarlo. Perchè, Digitized by Google LIBRO TERZO. 609 se in alcuna parte si devia dagli anti- chi ordini, si devia massime nelle azioni militari, dove al presente non è osser- vata alcuna di quelle cose che dagli an- tichi erano stimate assai. Ed è nato questo inconveniente, perchè, le repub- bliche ed i principi hanno imposta que- sta cura ad altrui; e per fuggire i pe- ricoli, si sono discostati da questo eser- cizio: e se pure si vede qualche volta un re de’ tempi nostri andare in per - sona, non si crede però che da lui na- scano altri modi clic meritino più laude. Perchè quello esercizio, quando pure Io fanno, lo fanno a * pompa, e non per alcuna altra laudabile cagione. Pure, questi fatino minori errori rivedendo i loro eserciti qualche volta in viso, te- nendo appresso di loro il titolo del- V imperio, che non fanno le repubbli- che, e massime le italiane; le quali, * fidandosi d’ altrui, nè s’ intendendo in alcuna cosa di quello che appartenga alla guerra; e dall’ altro canto, volendo, Machiavelli, Discorsi. — 1. 39 Digitized by Google 610 DEI DISCORSI per parere d* essere loro il principe, diliberarne, fanno in tale diliberazione mille errori. E benché d’ alcuno ne abbi discorso altrove, voglio al presente non ne tacere uno importantissimo. Quando questi principi ociosi, o repubbliche ef- feminate, mandano fuori un loro capi- tano, la più savia commissione che paia loro darli, è quando gl* impongono che per alcun modo non venga a giornata, anzi sopra ogni cosa si guardi dalla zuffa ; e parendo loro in questo imitare la prudenza di Fabio Massimo, clic dif- ferendo il combattere salvò lo Stato a’ Romani, non intendono che la mag- giore parte delle volte questa commis- sione è nulla o è dannosa. Perchè si debbe pigliare questa conclusione: che un capitano che voglia stare alla cam- pagna, non può fuggire la giornata qualunche volta il nimico la vuole fare in ogni modo. E non è altro questa commissione che dire : fa* la giornata a posta del nimico, e non a tua. Perchè Digitized by Google LIBRO TERZO. 611 a volere stare in campagna, e non far la giornata, non ci è altro rimedio si- curo che porsi cinquanta miglia almeno discosto al nimico; e dipoi tenere buone spie, che venendo quello verso di te, tu abbi tempo a discostarti. Uno altro partito ci è; rinchiudersi in una città: e P uno e P altro di questi due partiti è dannosissimo. Nel primo si lascia in preda il paese suo al nimico ; ed uno principe valente vorrà più tosto tentare la fortuna della zuffa, che allungare la - guerra con tanto danno de’ sudditi. Nel secondo partito è la perdita manifesta; perchè conviene che, riducendoti con uno esercito in una città, tu venga ad essere assediato, ed in poco tempo pa- tir fame, e venire a dedizione. Talché fuggire la giornata per queste due vie, è dannosissimo. Il modo che tenne Fa- bio Massimo di stare ne’ luoghi forti, è buono quando tu hai si virtuoso eser- cito, che il nimico non abbia ardire di venirti a trovare dentro a’ tuoi vantag- 612 DEI DISCORSI gi. Nè si può dire che Fabio I la giornata, ma più tosto che la fare a suo vantaggio. Perchè s buie fusse ilo a trovarlo, Fabio 1 aspettato, e fatto giornata se Annibale non ardi mai di con con lui a modo di quello. Tanti giornata fu fuggita cosi da A come da Fabio: ma se uno l’ avesse voluta fare in ogni mo Irò non vi aveva se non uno rimedi; cioè i due sopraddetti girsi. Clic questo eh’ io dico si si vede manifestamente con n sempi, e massime nella guerra Romani feciono con Filippo di nia, padre di Perse: perchè seudo assaltato dai Romani, non venire alla zuffa; e per nc nire, volle fare prima come ave Fabio Massimo in Italia; e si ; suo esercito sopra la sommil monte, dove si afforzò assai, giu che i Romani non avessero ardii V LIBRO TER i£0 . 613 ilare a trovarlo. Ma andativi c combat- tutolo, lo cacciarono di quel monte; ed egli non potendo resistere, si fuggì con la maggior parte delle genti. E quel che lo salvò, che non fu consumato in tutto, fu la iniquità del paese, qual fece che i Romani non poterono seguirlo. Filippo, adunque, non volendo azzuf- farsi, ed essendosi posto con il campo presso ai Romani, si ebbe a fuggire; ed avendo conosciuto per questa espe- rienza, come non volendo combattere, non gli bastava stare sopra i monti, e nelle terre non volendo rinchiudersi, diliberò pigliare l’altro modo, di stare discosto molte miglia al campo romano. Donde, se i Romani erano in una pro- vincia, ei se ne andava nell’altra; e così sempre donde i Romani, partivano, esso entrava. E veggendo, al fine, come nello allungare la guerra per questa via, le sue condizioni peggioravano, e che i suoi soggetti ora da lui ora dai minici erano oppressi, diliberò di ten- t. i i j. 1' » f ‘ i < v r t ì i ¥ * ? Digitized by Google 614 DEI D1SC0RS lare la fortuna della zu(¥ coi Romani ad una giori utile, adunque, non comi gli eserciti hanno queste aveva 1’ esercito di Fabic quello di Caio Sulpizio: esercito sì buono, che il disca venirti a trovare < tezze tue ; e che il nimh tua senza avere preso ir ei patisca necessità del questo caso il partito ut gioni che dice Tito Li' far lance commi lieve adì quem lempus deteriorati cus alicnuSj faccret. Ma termine non si può fugg se non con tuo disonore che fuggirsi, come fece essere rotto; e con più vi meno s’ è fatto prova de se a lui riuscì salvarsi, i ad un altro che non fus paese come egli. Che Ann B V ». LIBRO TERZO. 615 » maestro di guerra, nessuno mai non io dirà ; ed essendo allo ’neontro di Sèi- li* pione in Affrica, s’egli avesse veduto vantaggio in allungare la guerra, ei Farebbe fatto; e per avventura, sendo lui buon capitano, ed avendo buono esercito, lo arebbe potuto fare, come fece Fabio in Italia: ma non l’avendo fatto, si debbe credere che qualche ca- gione importante lo movesse. Perchè un principe che abbi uno esercito messo insieme, e vegga che per difetto di da- !> nari o di amici ei non può tenere lun- gamente tale esercito, è matto al tutto se non tenta la fortuna innanzi che tale esercito si abbia a risolvere: perchè aspettando, ei perde al certo; tentando, potrebbe vincere. Un’altra cosa ci è ancora da stimare assai : la quale è, che si debbe, eziandio perdendo, volere acquistar gloria; e più gloria si ha ad esser vinto per forza, che per altro in- conveniente che t’abbia fatto perdere. Sì che Annibaie doveva essere constretto Digitized by Google GI6 dei niscons «la queste necessità. E dì Scipione, quando Anuiba ferita la giornata, e non stalo l’animo andarlo a t ghi forti, non pativa, pe vinto Siface, e acquistate Affrica, che vi poteva sta comodità come in Italia, terveniva ad Annibaie, q V incontro di Fabio ; nè ciosi, che erano all’ inct zio. Tanto meno ancora giornata colui che con l’ il paese altrui ; perchè, trare nel paese del nii viene quando il nimico s contro, azzuffarsi seco; < campo ad una terra, si più alla zuffa: come ne’ t tervenne al duca Carlo di sendo a campo a Moratto, zeri, fu da’ Svizzeri assa come intervenne all’ ese eia, che campeggiando P desimamentc da’ Svizzeri LIBRO TERZO. 617 Cap. XI. — Che chi ha a fare con assaij ancora che sia inferiore, purché possa sostenere i primi impeli, vince. La potenza de’ Tribuni della plebe nella città di Roma fu grande, e fu necessaria, come molte volte da noi è stato discorso; perchè altrimenti non si sarebbe potuto por freno all’ambizione della Nobiltà, la ({«ale arebbe molto tempo innanzi corrot- ta quella Repubblica, che la non si cor- ruppe. Nondimeno, perchè in ogni cosa, come altre volte si è detto, è nascoso qualche proprio male, che fa surgere nuo- vi accidenti, è necessario a questi con nuovi ordini provvedere. Essendo, per- tanto, divenuta l’autorità tribunizia in- solente e formidabile alla Nobiltà ed a tutta Roma, e’ ne sarebbe nato qualche inconveniente dannoso alla libertà ro- mana, se da Appio Claudio non fosse stato mostro il modo con il quale si avevano a difendere contro all’ ambizione Digitized by Google Gl 8 DEI DISCORÌ de’ Tribuni: il quale fu sempre infra loro qualci pauroso, o corruttibile, comun bene ; talmenteebè ad opporsi alla volontà che volessino tirare inn liberazione contro alla i nato. Il quale rimedio temperamento a tanta f molti tempi giovò a Ron ha fatto considerare, volta e’ sono molli poter ad un altro potente, an insieme siano molto più nondimanco si debb più in quello solo ■ , che in quelli assai, gliardissimi. Perchè,» 1 ulte quelle cose delle q più die molti previ infinite), sempre occorri potrà, usando un poco sunire gli assai, e quel gagliardo, far debole. li LIBRO TERZO. 619 questo addurre antichi essempi, che ce ne sarebbono assai j ma voglio mi ba- stino i moderni, seguiti ne’ tempi no- stri. Congiurò net 1484 tutta Italia con- . tra a’ Vinizianij e poiché loro al tutto erano persi, e non potevano stare più con 1’ esercito in campagna, corruppono il signor Lodovico che governava Mi* lano; e per tale corruzione feciono uno accordo, ne! quale non solamente deb- bono le terre perse, ma usurparono parte dello Stato di Ferrara. E cosi co- loro che perdevano nella guerra, resta- rono superiori nella pace. Pochi anni sono congiurò contea a Francia tutto il mondo: nondimeno, avanti che si ve- desse il fine della guerra, Spagna si ribellò da’ confederati, e fece accordo seeo; in modo che gli altri confederati furono constretti poco dipoi ad accor- darsi ancora essi. Talché, senza dubbio, si debbe sempre mai fare giudizio, quando e’ si vede una guerra mossa da molti contea ad uno, che quello uno Digitized by Google C20 DEI Discoli* abbia a restar superio» di tale virtù, che possa se impeti, e col temporegg tempo. Perchè quando e’ porterebbe mille perieoi venne ai Viniziani nclP avessero potuto tempori esercito francioso, ed i guadagnarsi alcuni di erano collegati contra, ai quella rovina; ma non i armi da potere temporeg c per questo non aventi a separarne alcuno, rovi si vidde che il papa, 1 ebbe le cose sue, si fece così Spagna : e molto v e V altro di questi due bono salvato loro lo Stai contea a Francia, per i grande in Italia, se gli ; Potevano, adunque, i parte per salvare il resti avessino fatto in tempo LIBRO TERZO. 621 la non fusse stata necessità, ed innanzi ai moti della guerra, era savissimo par- tito; ma in su’ moti era vituperoso, e per avventura di poco profitto. Ma in- uanzi a tali moti, pochi in Yinegia de’ cittadini potevano vedere il pericolo, pochissimi vedere il rimedio, e nessuno consigliarlo. Ma, per tornare al princi- pio di questo discorso, conchiudo: che così come il Senato romano ebbe rime- dio per la salute della patria contra al- 1' ambizione de’ Tribuni, per essere mol- ti; così arà rimedio qualunque principe che sia assaltato da molti, qualunque volta ei sappia con prudenza usare ter- mini convenienti a disunirgli. r « « , Cap. XII. — Come un capitano prudente debbo imporre ogni necessità di com- battere ai suoi soldati, e a quelli delti ninnici torta. Altre volte abbiamo discorso quanto sia utile alle umane azioni la necessità, 622 DEI DISCORSI ed a qual gloria siano sul da quella; c come da alcuni sofi è slato scritto, le mani degli uomini, due nobilissimi i a nobilitarlo, non arcbbero o fellamente, nè condotte l’op a quella altezza si veggono < dalla necessità non fussero sp conosciuto, adunque, dagli a talli degli eserciti la virtù c sita, e quanto per quella de’ soldati diventavano ostini battere; facevano ogni oper soldati loro fussino costretti E dall’altra parte, usavano stria, perchè gli nimiei se sino: e per questo molte voli al nimico quella via che lor vano chiudere ; ed a’ suoi s< pri chiusono quella che pc sciare aperta. Quello, adì disidera o che una città si di natamente, o che uno esercì paglia ostinatamente comba LIBRO TERZO. 623 sopra ogni altra cosa, ingegnarsi di mettere ne’ petti di chi ha a combat- lere, tale necessità. Onde, un capitano pi udente, che avesse ad andare ad una espugnazione d’ una città, debbe misu- rai e la facilità o la difficultà ilell’ espu- gnarla dal conoscere e considerare quale necessità costringa gli abitatori di quella a difendersi: e quando vi trovi assai necessità che gli constringa alla difesa, giudichi la ispugnazioue difficile; altri- menti la giudichi facile. Di qui nasce che le terre dopo la ribellione sono più difficili ad acquistare, che le non sono nel primo acquisto: perchè nel princi- pio non avendo cagione di temer di pena, per non avere offeso, si arrendono facilmente; ma parendo loro, scndosi dipoi ribellate, avere offeso, e per que- sto temendo la pena, diventano difficili ad essere ispugnate. Nasce ancora tale ostinazione dai naturali odii che hanno i principi vicini e repubbliche vicine l’uno con l’altro: il che procede da Digitized by Google g-24 DEl DISCORSI ambizione di dominare, e gelosia del loro Stato, massimamente se le sono repubbliche, come interviene in Tosca- na • la quale gara c contenzione ha fatto e farà sempre difficile la espugnatone p una dell’ altra. Pertanto, chi considerila bene i vicini della città di Firenze ed i vicini della città di Yincgia, non si me- ra viglierà, come molti fanno, che Firenze abbia più speso nelle guerre, ed acqui- stato meno di Yinegia: perchè tutto nasce da non avere avuto i NmUiani le terre vicine si ostinate alla difesa, quanto ha avuto Firenze, per esser state tutte le ciltadi finitime a Yinegia use a vi- vere sotto un principe, e non libere; c quelli che sono consueti a servire, sti- mano molte volle poco il mutare pa- drone, anzi molte volte lo desiderano. Talché Yinegia, benché abbia avuti i vicini più potenti che Firenze, per avere trovate le terre meno ostinate, le ha potute piu tosto vincere, che non ha fatto quella scudo circundala da tutte LIBRO TERZO. 625 città libere. Debbe adunque un capitano, per tornare al primo discorso, quando egli assalta una terra, con ogni dili- genza ingegnarsi di levare a* difensori di quella tale necessità, e per conse- guenza tale ostinazione; promettendo perdono, se gli hanno paura della pe- na ; c se gli avessino paura della li- bertà, mostrare di non andare contra al comune bene, ma contra a pochi ambiziosi della città: la quale cosa molte volte ha facilitato V imprese e 1’ espu- gnazioni delle terre. E benché simili co- lori siano facilmente conosciuti, e mas- sime dagli uomini prudenti; nondimeno vi sono spesso ingannati i popoli, i quali, cupidi della presente pace, chiug- gono gli occhi a qualunque altro laccio che sotto le larghe promesse si ten- desse. E per questa via infinite città sono diventale serve: come intervenne a Firenze nei prossimi tempi; e come intervenne a Crasso ed allo esercito suo, il quale ancora che conoscesse le vane Machiavelli, Discorsi. — i. 40 Digitized by Google nr.i discorsi 626 promesse de’ Parti, le qu per tor via la necessità \ del difendersi, nondimam tenerli ostinati, accecati della pace che erano fall nimici: come si vnde p leggendo la vita di quel tanto, che avendo i Sano convenzione dello accordo zionc di pochi corso e pi campi de’ confederali Rom dipoi mandati ambasciati chieder pace, offerendo d cose predate, c di dare p tori de’ tumulti e della \ ributtati dai Romani: e ri nio senza speranza d’ acc Ponzio, capitano allora de’ Sanniti, con una sua zionc mostrò, come i Roi in ogni modo guerra; e l)< si desiderasse la pace, la faceva seguire la guerra ; sic parole : Juslum est bi LIBRO TtnZO. 627 necessariuitij et pia arma , quibus ni si in armis spes est : sopra la qual ne- cessità egli fondò con gli suoi soldati la speranza della vittoria. E per non avere a tornare più sopra questa ma- teria, mi pare da addurvi quelli essempi romani che sono più degni (E annota- zione. Era Caio Manilio con lo esercito alP incontro dei Vcienti; ed essendo parte dello esercito veicolano entrato dentro agii steccati di Manilio, corse Manilio con una banda al soccorso di quelli; e perchè i Vcienti non potessino salvarsi, occupò tutti gli aditi del cam- po: donde veggendosi i Veienti rin- chiusi, cominciarono a combattere con tanta rabbia, eh’ egli ammazzarono Ma- nilio; ed arebbero tutto il resto dei Romani oppressi, se dalla prudenza d* uno Tribuno non fusse stato loro aperta la via ad andarsene. Dove si ve- de, come mentre la necessità costrinse i Veienti a combattere, e* combatterono ferocissiraamente; ma quando videro Digitized by Google G2S DEI DISCORSI aperta la via, pensarono | elio a combattere. Erano < sci e gli Equi con gli nc* confini romani. Mandi I’ incontro i Consoli. Talcl gliare la zuffa, lo esercito del quale era capo Vetti trovò ad un tratto rinchit steccati suoi occupali da P altro esercito romano; eome gli bisognava o mor via col ferro, disse ai suo ste parole: Ile mecum ; n< valium , armati arinatis obi pareSj qii(e ullùnum ac ma est, necessitate super iores questa necessitò è chiama vio ultimum ac maximum millo prudentissimo di tui romani, sendo già dentro i Yeienti con il suo esercito, il pigliare quella e torre i ultima necessità di difende in modo che i Yeienti udir UDRÒ TERZO. 629 suno offendesse quelli che fussino disar- mati; talché, gittate Tarmi in terra, si prese quella città quasi senza sangue. Il quale modo fu dipoi da molli capi- tani osservato. Gap. XIII. — Dove sia più da confidare , o in uno buono capitano che abbia l* esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il capitano debole. Essendo diventato Coriolano esule di Roma, se ne andò ai Volsci, dove con- tratto uno esercito per vendicarsi con- tro ai suoi cittadini, se ne venne a Ro- ma ; donde dipoi si parti, più per pietà della sua madre, che per le forze dei Romani. Sopra il quale luogo Tito Li- vio dice, essersi per questo conosciuto, come la Repubblica romana crebbe più per la virtù dei Capitani, che de’ sol- dati; considerato come i Volsci per lo addietro erano stati vinti, e solo poi avevano vinto che Coriolano fu loro Digitized by Google 030 DEI DISCORSI Capitano. E benché Livio pinionc, nondimeno si v luoghi della sua istoria I; dati senza capitano aver gliose pruove, ed esser sta e più feroci dopo la nr soli loro, che innanzi cl come occorse nello esercì mani avevano in Ispagna pioni ; il quale, morti i < potè con la virtù sua n salvare sè stesso, ma vin e conservare quella provi pubblica. Talché, discorre troverà molli essempi, dov dei soldati ara vinto la molti altri, dove solo la pitan i ara fatto il medesi modo che si può giudicar bisogno dell’ altro, e V a Ecci bene da considerare sia più da temere, o d’ ui cito male capitanato, o capitano accompagnato d LIBRO TERZO. 631 cito. E seguendo in questo 1’ oppiniouc di Cesare, si debbe stimare poco l’uno e l’altro. Perchè andando egli in Ispa- gna contra ad Afranio e Petreio, che avevano un buono esercito, disse che gli stimava poco, quia ibat ad exercitum sino duce, mostrando la debolezza dei capitani. Al contrario, quando andò in Tessaglia conira Pompeo, disse: Vado ad ducem sine exerciiu. Puossi consi- derare un’ altra cosa : a quale è più fa- cile, o ad uno buono capitano fare un buono esercito, o ad uno buono eser- cito fare un buono capitano. Sopra che dico, che tale questione pare decisa ; perchè più facilmente molti buoni tro- veranno o inslruiranno uno, tanto che diventi buono, che non farà uno molti. Lucullo, quando fu mandato contra a Mitridate, era al tutto inesperto della guerra; uondimanco quel buono eser- cito, dove erano assai ottimi capi, lo feciono tosto un buon capitano. Arma- rono i Komani, per difetto d’ uomini, Digitized by Google G32 DEI DISCORSI assai servi, o gli dierono n Sempronio Gracco, il qi tempo fece un buono eseri ed Epaminonda, come alt r< poich’egli ebbero tratta T trio della servitù degli Spa: tempo feciono de’conladin dati ottimi, che poterono n sostenere la milizia spartii cerla. Sì clic la cosa è V uno buono' può trovare dimeno, un esercito buoni buono suole diventare ins ricoloso; come diventò l’e cedonia dopo la morte di come erano i soldati veleran civili. Tanto che io credo da confidare assai in uno abbi tempo a instruire ut dità di armargli, che in insolente, con uno capo fatto da lui. Però è da dii ria e la laude a quelli caj solamente hanno avuto a LIBRO TERZO. 633 mieo, ma prima che venghino alle mani con quello, è convenuto loro instruire l’esercito loro e farlo buono: perchè in questi si mostra doppia virtù, e tanto rara, che se tale fatica fusse stata data a molti, ne sarebbero stimati e ri- putati meno ussai che non sono. Cap. XIV. — Le invenzioni nuove che appariscono nel mezzo della zuffa, e le voci nuove che si odono, quali ef- fetti faccino. Di quanto momento sia ne* conflitti e nelle zuffe un nuovo occidente che na- sca per cosa che di nuovo si vegga o oda, si dimostra in assai luoghi, e mas- sime per questo essempio che occorse nella zuffa che i Romani fecero coi Vol- sci ; dove Quinzio veggendo inclinare uno de’ corni del suo esercito, cominciò a gridare forte, che gli stessino saldi, perchè 1’ altro corno dello esercito era vittorioso: con la qual parola, avendo Digitìzed by Google 631 DEI DISCORSI dato animo a’ suoi e si nimici, vinse. E se tali ve cito bene ordinato fanno in uno tumultuario e ni; fanno grandissimi, pere mosso da siinil vento. Io durre uno cssenipio nc ne’ nostri tempi. Era la ( pochi anni sono divisa Oddi e Buglioni Questi re altri erano esuli: i qua elianti loro amici, ragun ridottisi iu alcuna loro t a Perugia con il favor una notte entrarono in senza essere scoperti, s per pigliare la piazza. F città iu su tutti i cani catene che la tengono sb; le genti oddesche davani una mazza ferrata romjr di quelle, acciocché i C£ passare; e restandogli i quella che sboccava iu pi; LIBRO TERZO. I VÒJ già levato il romore all7 armi, ed essen- do colui che rompeva oppresso dalla turba che gli veniva dietro, nè potendo per questo alzare bene le braccia per rompere per potersi maneggiare gli venne detto: Fatevi indietro: la qual voce andando di grado in grado dicendo addietro, cominciò a far fuggire gli ultimi, e di mano in mano gii altri, con tanta furia, che per loro medesimi si ruppono; e cosi restò vano il disegno degli Oddi, per cagione di sì debole acci- dente. Dove è da considerare, che non tanto gli ordini in uno esercito sono necessari per potere ordinatamente com- battere, quanto perchè ogni minimo accidente non ti disordini. Perchè, non per altro le moltitudini popolari sono disutili per la guerra, se non perchè ogni rumore, ogni voce, ogni strepito gli altera, e fagli fuggire. E però un buon capitano intra gli altri suoi ordini debbe ordinare chi sono quelli che ab- bino a pigliare la sua voce e rimetterla Digitized by Google 636 DEI DISCORSI ad altri, ed assuefare i suoi soldati che non credino se non a quelli suoi capi, che non dichino se non quel che da lui è commesso ; perchè, non osservata bene questa parte, si è visto molte volte avere fatti disordini grandissimi. Quanto al vedere cose nuove, debbe ogni capi- tano ingegnarsi di farne apparire al- cuna, mentre che gli eserciti sono alle mani, che dia animo agli suoi e tolgalo agli nimici; perchè, intra gli accidenti che ti diano la vittoria, questo è effica- cissimo. Di che se ne può addurre per testimone Caio Sulpizio dittatore roma- no; il quale venendo a giornata con i Franciosi, ormò tutti i saccomanni e gente vile del campo; e quelli fatti sa- lire sopra i muli ed altri somieri con armi ed insegne da parere gente a ca- vallo, gli mise dietro a un colle, e co- mandò che ad un segno dato, nel tempo che la zuffa fusse più gagliarda, si sco- prissero e mostrassiusi a* nimici. La qual cosa così ordinata e fatta, dette Digitized by Google LIBRO TERZO. 637 tanto terrore ai Franciosi, che perita- rono la giornata. E però un buon ca- pitano debbo fare due cose: 1* una, di vedere con alcune di queste nuove in- venzioni di sbigottire il nimico; 1’ altra, di stare preparato che essendo fatte dal nimico contro di lui, le possa sco- prire, c fargliene tornar vane: come fece il re d’india a Semiramis; la quale veggendo come quel re aveva buon nu- mero d’elefanti, per sbigottirlo, e per mostrargli che ancora essa n’ era co- piosa, ne formò assai con cuoia di bu- fali e di vacche, e quelli messi sopra i cammelli, gli mandò davanti; ma cono- sciuto dal re 1’ inganno, gli tornò non solamente quel suo disegno vano, ma dannoso. Era Mamerco dittatore contea a’ Fidenati, i quali, per isbigott ire lo esercito romano, ordinarono che in sul- P ardore della zuffa uscisse fuora di Fi- ttane numero di soldati con fuochi in sulle lance, acciocché i Romani occupati dalla novità della cosa, rompessino in- Digitized by Google 63S DEI DISCORSI Ira lóro gli ordini. Sopra clic è da no- tare, che quando tali invenzioni hanno più del vero che del fìnto, si può bene allora rappresentarle agli uomini, per- chè avendo assai del gagliardo, non si può scoprire così presto la debolezza loro: ma quando Y hanno pjp del fìnto che del vero, è bene o non le fare, o, facendole, tenerle discosto, di qualità clic le non possino essere così presto sco- perte; come fece Caio Sulpizio de* mu- lattieri. Perchè quando vi è dentro de- bolezza, appressandosi, le si scuoprono tosto, e ti fanno danno, e non favore; come feciono gii elefanti a Semiramis, e a’ Fidenali i fuochi: i quali benché nel principio turbassino un poco l’eser- cito; nondimeno come e’ sopravvenne il Dittatore, e cominciò a sgridargli, di- cendo che non si vergognavano a fug- gire il fumo come le pecchie, e che do- vessino rivoltarsi a loro, gridando: Suis flammit deletc FidenaSj qnas veslris bc - nefìctts placare non potuistis ; tornò Digitized by Google LIBRO TERZO. 6^9 quello trovato ai Fidenati inutile, e re- starono perditori della zuffa. Cap. XV. — Come uno c non molti sia- no preposti ad uno esercito , e coinè i più comandatovi offendono. Essendosi ribellati i Fidenati, ed aven- do morto quella colonia che i Romani avevano mandata in Fidene, crearono i Romani, per rimediare a questo insulto, quattro Tribuni con potestà consolare; de’ quali lasciatone uno alla guardia di Roma, ne mandarono tre contro ai Fi- denati ed i Veienti: i quali per esser divisi intra loro e disuniti, ne riporta- rono disonore, e non danno. Perchè del disonore, ne furono cagione loro; del non ricevere danno, ne fu cagione la virtù de* soldati. Donde i Romani, veu- gendo questo disordine, ricorsono alla creazione del Dittatore, acciocché un solo riordinasse quello che tre avevano disordinato. Donde si conosce la inuti- Digitized by Google DEI DISCORSI 640 lilà di molti comandatoci in uno eser- cito, o in una terra die s’abbia a di- fendere; e Tito Livio 11011 lo può più chiaramente dire che con le infrascritte parole! Tres Tribuni potcsUitc consil- iari documento fucre , quam plurium imperium bello inutile esscl ; tendendo ad sua quisque consilia , cutn aht ali ad videreluvj aperuerunt ad occasionem lo- cum hosti. E beneliè questo sia assai csscmpio a provare il disordine che fanno nella guerra i più comandatori, ne voglio addurre alcuno altro, e mo- derno ed antico, per maggiore dichia- razione. Nel 1500, dopo la ripresa che fece il re di Trancia Luigi XII di Mi- lano, mandò le sue genti a Pisa per restituirla ai Fiorentini; dove furono mandali commessaci Giovambatista Ri- dolfi e Luca iV Antonio degli Albizi. E perchè Giovambatista era uomo di ri- putazione, e di più tempo, Luca lasciava al tutto governare ogni cosa a lui: e se egli non dimostrava la sua ambizione Digitized by Googl LIBRO TERZO. 641 con opporseli, la dimostrava col ta- cere, e con lo stracurare e vilipendere ogni cosa in. modo, che non aiutava le azioni dei campo nè coll’ opere nè col consiglio, come se fosse stato uomo di nessuno momento. Ma si vidde poi tutto il contrario quando Giovambatista, per certo accidente seguito, se n* ebbe a tor- nare a Firenze; dove Luca, rimasto solo, dimostrò quanto con V animo, con la industria e con il consiglio valeva : le quali tutte cose mentre vi fu la com- pagnia erano perdute. Voglio di nuovo addurre in confirmazione di questo le parole di Tito Invio; il quale referendo come essendo mandato dai Romani con- tro agli Equi Quinzio cd Agrippa suo collega, Agrippa volle che tutta 1* am- ministrazione della guerra fusse ap- presso a Quinzio, e’ dice: Suluberri - mum in adminislralione magnarum re- rum eilj summam imperii apud unum esse. Il che è contrario a quello che oggi fanno queste nostre repubbliche c SIaciii atcli.1, Discorsi. — i. -VI Digitized by Google 642 DEI DISCORSI princìpi, (li mandare ne’ luoghi, per mi- nistrargli meglio, più d’ un commessa- rio e più d’ un capo: il che fa una inestimabile confusione. E se si cercasse la cagione della rovina degli eserciti italiani e franciosi ne’ nostri tempi, si troverebbe la potissima cagione essere stata questa. E puossi conchiudere ve- ramente, come gli è meglio mandare in una espedizione un uomo solo di co- munale prudenza, che duoi valentissimi uomini insieme con la medesima au- torità. Cap XVf. — Che la vera viriti si va ne ' tempi difficili a trovare ; e ne3 tem- pi facili non gli uomini virtuosi , ma quelli che per ricchezze o per paren- tado prcvaglionO; hanno più grazia. Egli fu sempre, e sempre sarà, che gli uomini grandi e rari in una repub- blica nei tempi pacifichi sono negletti ; perchè per la invidia che s’ ha tirato Digitized by Google LIBRO TERZO. 643 dietro la riputazione che la virtù d’essi ha dato loro, si truova in tali tempi assai cittadini che vogliono, non che esser loro eguali, ma esser loro supe- riori. E di questo n’ è un luogo buono in Tucidide istorico greco; il quale mo- stra come sendo la repubblica ateniese rimusa superiore in la guerra pelopon- nesiaca, ed avendo frenato l’ orgoglio degli Spartani, e quasi sottomessa tutta la Grecia, satse in tanta riputazione, che la disegnò d’ occupare la Sicilia. Venne questa impresa in disputa in Atene. Alcibiade e qualche altro citta- dino consigliavano che la si facesse, come quelli che pensando poco al bene pubblico, pensavano all’ onor loro, di- segnando esser capi di tale impresa. Ma Micia, che era il primo intra i ri- putati d’ Atene, la dissuadeva; e la mag- gior ragione che nel concionare al po- polo, perchè gli fusse prestato fede, adducesse, fu questa: clic consigliando esso che non si facesse questa guerra, Digitized by Google Gii DEI DISCORSI ci consigliava cosa che non faceva per lui; perchè stando Atene in pace, sa- peva come v’ erano infiniti cittadini che gli volevano andare innanzi; ma facen- dosi guerra, sapeva che nessuno citta- dino gli sarebbe superiore, o eguale. Vedesi, pertanto, come nelle repubbliche è questo disordine, di fare poca stima de’ valentuomini ne’ tempi quieti. La qua) cosa gli fa indeguare in due modi: I’ uno per vedersi mancar del grado loro; l’altro per vedersi fare compagni e superiori uomini indegni e di manco sufficienza di loro. 11 quale disordine nelle repubbliche ha causato di molte rovine; perchè quelli cittadini che ini- meritamenle si veggono sprezzare, e co- noscono clic e’ ne sono cagione i tempi facili c non pericolosi, s’ ingegnano di turbargli, movendo nuove guerre in pregiudizio della repubblica. E pensan- do quali potessino essere i rimedi, ce ne trovo due: l’uno, mantenere i cit- tadini poveri, acciocché con le ricchezze Digitized by Google LIBRO TERZO. G 45 senza virtù non potessino corrompere ni loro nò altri; l’altro, eli ordinarsi in modo alla guerra, die sempre si po- tesse far guerra, e sempre s’avesse bi- sogno di cittadini riputati, come fe Ro- ma ne’ suoi primi tempi. Perchè te- nendo fuori quella città sempre eserciti, sempre v’ era luogo alla virtù degli uo- mini ; nè si poteva torre il grado .ad uno che lo meritasse, e darlo ad uno altro che non lo meritasse. Perchè se pure lo faceva qualche volta per er- rore, o per provare, ne seguiva tosto tanto suo disordine e pericolo, che la ritornava subito nella vera via. Ma le altre repubbliche che non sono ordinate come quella, e che fanno solo guerra quando la necessità le constringe, non si possono difendere da tale inconve- niente: anzi sempre vi correranno den- tro; e sempre ne nascerà disordine, quando quel cittadino negletto e vir- tuoso, sia vendicativo, ed abbia nella città qualche riputazione e aderenza. Digitìzed by Google 616 DEI DISCORSI E se la città (ti Roma un tempo se ne difese, a quella ancora, poiché la ebbe vinto Cartagine cd Antioco (come al- trove si disse), non temendo più di guerra, pareva poter commettere gli eserciti a qualunque la voleva ; non ri- guardando tanto alla virtù, quanto alle altre qualità che gli dessino grazia nel popolo. Perchè si vede che Paulo Emi- lio ebbe più volte la repulsa nel con- solato, nò fu prima fatto Consolo che surgesse la guerra macedonica ; la quale giudicandosi pericolosa, di consenso di tutta la città fu commessa a lui. Sendo nella città nostra di Firenze seguite dopo il 1494 di molte guerre, ed aven- do fatto i cittadini fiorentini tutti una cattiva pruova, si riscontrò la città, a sorte, in uno che mostrò in che ma- niera s’aveva a comandare agli eser- citi; il quale fu Antonio Giacomini: e mentre che si ebbe a far guerre peri- colose, tutta P ambizione degli altri cit- tadini cessò, e nella elezione del Com- Digitized by Google LIBRO TERZO. 647 messa rio e capo degli eserciti non aveva competitore alcuno ; ma come s’ ebbe u fare una guerra dove non era dubbio alcuno, ed assai onore e grado, ei vi trovò tanti competitori, che avendosi ad eleggere tre Commessa ri per campeg- giar Pisa, fu lasciato indietro. E benché e* non si vedesse evidentemente che male ne seguisse al pubblico per non v’avere inandato Antonio, nondimeno se ne potette fare facilissima coniettura; perchè non avendo più i Pisani da di- fendersi nè da vivere, se vi fusse stalo Antonio, sarebbero stati tanto innanzi stretti, che si sarebbero dati a discre- zione de’ Fiorentini. Ma sendo loro as- sediati da capi che non sapevano nè stringerli nè sforzarli, furono tanto in- trattenuti, che la città di Firenze gli comperò, dove la gli poteva avere a forza. Convenne che tale sdegno potesse assai in Antonio; e bisognava che fusse bene paziente e buono, a non dispe- rare di vendicarsene o con la rovina Digitized by Google DEI DISCORSI 648 della città, potendo, o con i* ingiuria d’ alcuno particolare cittadino; da che si debbe una repubblica guardare; come nel seguente capitolo si discorrerà. Cap. XVII. — Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in am- ministrazione e governo d* impor- tanza. Debbe una repubblica assai conside- rare di non preporre alcuno ad alcuna importantè amministrazione, al quale sia stato fatto da altri alcuna notabile ingiuria. Claudio Nerone, il quale si part ì dallo esercito che lui aveva a fronte ad Annibaie, e con parte d’esso n’andò nella Marca a trovare 1* altro Consolo per combattere con Asdrubale avanti che si congiungesse con Annibaie ; s’ era trovato per lo addietro in Ispagna a fronte d’ Asdrubale, ed avendolo serrato in luogo con lo esercito, che bisognava o che Asdrubale combattesse con suo Digitized by Google LIBRO TERZO. 649 disavvantaggio, o si morisse di fame, fu da Asdrubale astutamente tanto in* trattenuto con certe pratiche d* accordo, che gli usci di sotto, e totsegli quella occasione d’ oppressarlo. La qual cosa saputa a Roma, gli dette carico grande appresso al Senato ed al Popolo, e di lui fu parlato inonestamente per tutta quella città, non senza suo grande di- sonore ed isdegno. Ma sendo poi fatto Consolo, e inandato all* incontro d’ An- nibale, prese il soprascritto partito: il quale fu pericolosissimo; talmente che Roma stette tutta dubbia c sollevata, infino a tanto che vennono le nuove della rotta d’ Asdrubale. Ed essendo do- mandato poi Claudio per qual cagione avesse preso si pericoloso partito, dove senza una estrema necessità egli aveva giocata quasi la libertà di Roma ; ri- spose che V aveva fatto perchè sapeva che, se gli riusciva, riacquistava quella gloria che s'aveva perduta in Ispagua; e se non gli riuscivo, e che questo suo Digitized by Google 650 DEI DISCORSI partito avesse avuto contrario fine, sa- peva come ei si vendicava contra a (jucila città ed a quelli cittadini clic Tavevano tanto ingratamente ed indi- scretamente offeso. E quando queste passioni di tali offese possono tanto in un cittadino romano, e in quelli tempi che Roma ancora era incorrotta, si debbe pensare quanto elle possino in un cittadino d’ una città che non sia fatta come era allora quella. E perchè a si- mili disordini che nascono nelle repub- bliche non si può dare certo rimedio, ne seguita che gli è impossibile ordi- nare una repubblica perpetua, perchè per mille inopinate vie si causa la sua rovina. Cip. XVIII. — Nessuna cosa è più de- gna d* un capitano che presentire « parlili del nimico. Diceva Epaminonda tebano, nessuna cosa esser più necessaria c più utile ad Dlgilized by Googl LIBRO TERZO. 65i un capitano, che conoscere le ^libera- zioni e partiti del nimico. E perchè tale cognizione è diffìcile, merita tanto più laude quello che adopera in modo che le conicttura. E non tanto è diffìcile in- tendere gli disegni del nimico, eh’ egli è qualche volta diffìcile intendere le azioni sue ; e non tanto le azioni sue che per lui si fanno discosto, quanto le presenti e le propinque. Perché molte volte è accaduto, che sendo durala una zuffa infino a notte, chi ha vinto crede aver perduto, e chi ha perduto crede aver vinto. 11 quale errore ha fatto di- liberare cose contrarie alla salute di co- lui che ha diliberato: come intervenne a Bruto e Cassio, i quali per questo er- rore perderono la guerra; perchè, aven- do vinto Bruto dal corno suo, credette Cassio, che aveva perduto, che tutto 1’ esercito fusse rotto ; e disperatosi per questo errore della salute, ammazzò «è stesso. Nei nostri tempi, nella giornata che fece in Lombardia a Santa Cecilia Digitized by Google 652 dei discorsi Francesco re di Francia con i Svizzeri, sopravvenendo la notte, credetleno quella parte dei Svizzeri che erano rimasti in- teri aver vinto, non sappiendo di quelli che erano stati rotti e morti: il quale errore fece che loro medesimi non si salvarono, aspettando di ricombattere la mattina con tanto loro disavvantag- gio ; e fecero ancora errare, e per tale errore presso che rovinare, F esercito del papa e di Spagna, il quale in su la falsa nuova della vittoria passò il Po, e se procedeva troppo innanzi, re- stava prigione de’ Franciosi che erano vittoriosi. Questo simile errore occorse ne’ campi romani e in quelli delli Equi. Dove, sendo Sempronio consolo con l’esercito all’ incontro degli inimici, ed appiccandosi la zuffa, si travagliò quella giornata infino a sera con varia fortuna dell’ uno e dell’altro: e venuta la notte, sendo l’ uno e l’ altro esercito mezzo rotto, non ritornò alcuno di loro ne’ suoi alloggiamenti; anzi ciascuno si ritrasse Digitìzed by Google LIBRO TERZO. 653 uc’ prossimi colli, dove credevano esser più sicuri; e l’esercito romano si di- vise in due parti : 1’ una n’ andò col Consolo, 1’ altra con un Teinpanio cen- turione, per la virtù del quale 1’ eser- cito romano quel giorno non era stato rotto interamente. Venuta la mattina, il Consolo romano senza intendere altro de’ nimici si tirò verso Roma ; il simile fece l’esercito degli Equi: perchè cia- scuno di questi credeva che il nimico avesse vinto, c però ciascuno si ritrasse senza curare di lasciare i suoi allog- giamenti in preda. Accadde che Tempa- nio, eh’ era col resto dello esercito ro- mano, ritirandosi ancora esso, intese da certi feriti degli Equi, come i capi- tani loro s’ erano partiti, cd avevano abbandonati gli alloggiamenti: donde che egli, in su questa nuova, se ne en- trò negli alloggiamenti romani, c salvò- gli; e dipoi saccheggiò quelli degli Equi, e se ne tornò a Roma vittorioso. La qual vittoria, come si vede, consistè solo Digitized by Googl DE! DISCORSI 65-4 in chi prima di loro intese i disordini del nimico. Dove si debbe considerare, come e’ può spesso occorrere che i duci eserciti che siano a fronte V uno del- P altro, siano nel medesimo disordine, e patischino le medesime necessità; e che quello resti poi vincitore che è il primo a intendere le necessità dell’ al- tro. Io voglio dare di questo un essem- pio domestico e moderno. Nel 1498, quando i Fiorentini avevano uno eser- cito grosso in quel di Pisa, e stringe- vano forte quella città; della quale avendo presa i Viniziani la protezione, non veggeudo altro modo a salvarla, diliberarono di divertire quella guerra, assaltando da un’altra banda il domi- nio di Firenze; e fatto uno esercito po- tente, entrarono per la Val di Lamona, ed occuparono il borgo di Marradi, ed assediarono la ròcca di Castiglione, che è in sul colle di sopra. Il che sentendo i Fiorentini, diliberarono soccorrer Mar- radi, e non diminuire le forze avevano Digitized by Google LIBRO TERZO. 655 in quel di Pisa; e fatte nuove fanterie, ed ordinale nuove genti a cavallo, le mandarono a quella volta: delle quali ne furono capi Iacopo quarto d’ Appiano signore di Piombino, ed il conte Rinuc- cio da Marciano. Sendosi, adunque, con* dotte queste genti in sul colle sopra Marradi, si levarono i ninnici di ’ntorno a Castiglione, e ridussonsi tutti nel bor- go: ed essendo stato P uno e P altro di questi due eserciti a fronte qualche giorno, pativa P uno e l’altro assai di vettovaglie e d’ogni altra cosa neces- saria : e non avendo ardire P uno d* af- frontare P altro, nè sappiendo i disor- dini P uno dell’altro, diliberarono in una sera medesima P uno e P altro di levare gli alloggiamenti la mattina ve- gnente, e ritirarsi in dietro; il Mili- ziano verso Berzighella e Faenza, il Fiorentino verso Casaglia e il Mugello. Ve- nula adunque la mattina, ed avendo cia- scuno de’ campi cominciato ad avviare* i suoi impedimenti; a caso una donna Digitized by Google DEI DISCORSI 656 si partì dal borgo di Ùarradi, e venne verso il campo fiorentino, secura per la vecchiezza e per la povertà, disiderosa di vedere certi suoi che erano in quel campo: dalla quale intendendo i capitani delle genti fiorentine, come il campo vi- niziano partiva, si fecero in su questa nuova gagliardi; e mutato consiglio, come se gli avessino disalloggiati i ni- nnici, ne andarono sopra di loro, e scris- sero a Firenze avergli ributtati, e vinta la guerra. La qual vittoria non nacque da altro, che dallo aver inteso prima dei nemici, come e’ se ne andavano: la quale notizia se fusse prima venuta dal- r altra parte, arebbe fatto conira ai no- stri il medesimo effetto. Cap. XIX. — Se a reggere una molti- tudine è più necessario lo ossequio che la pena. Era la Repubblica romana sollevata per le inimicizie de’ Nobili e de’ Plebei: Digitized by Google LIBRO TERZO. 057 nondimeno, soprastando loro la guerra, mandarono fuori con gli eserciti Quin- zio ed Appio Claudio. Appio, per essere crudele e rozzo nel comandare, fu male ubbidito da’ suoi; tanto che quasi rotto si fuggì della sua provincia. Quinzio, per esser benigno e di umano ingegno, ebbe i suoi soldati ubbidienti, e ripor- to mie la vittoria. Donde e’ pare elle sia meglio, a governare una moltitudine, essere umano che superbo, pietoso che crudele. Nondimeno, Cornelio Tacito, al quale molti altri scrittori acconsentono, in una sua sentenza couchiude il con- trario, quando dice : In molliludine regenda plus pana, quam obsequium vaici. E considerando come si possa sal- vare I’ una e l’altra di queste oppinio- ni, dico: o clic tu bai a reggere uomini che ti sono per l’ordinario compagni, o uomini che ti sono sempre soggetti. Quando ti sono compagni, non si può interamente usare la pena, nè quella se- verità di che ragiona Cornelio: e perchè U «chiavelli, Discorsi. — 1. 42 Digitized by Google 05 S DEI DISCORSI la Plebe romana aveva in Roma eguale imperio con la Nobiltà, non poteva uno che ne diventava principe a tempo, con crudeltà e rozzezza maneggiarla. £ molte volle si vide che miglior frutto feciono i Capitani romani che si facevano amare dagli eserciti, e che con ossequio gli maneggiavano, che quelli che si face- vano straordinariamente temere; se già e’ non erano accompagnati da una ec- cessiva virtù, come fu Manlio Torquato. Ma chi comanda ai sudditi, de’ quali ragiona Cornelio, acciocché non diven- tino insolenti, e che per troppa tua fa- cilità non ti calpestino, debbe volgersi più tosto alla pena che allo ossequio. Ma questa ancora debbe esser iu modo moderata, che si fugga l’odio; perchè farsi odiare non torna mai bene ad al- cuno principe. Il modo del fuggirlo è lasciar stare la roba de’ sudditi: perchè del sangue, quando non vi sia sotto ascosa la rapina, nessuno principe ne è disideroso se non necessitato, c que- LIBRO TLRZO. 659 sta necessità viene rare volte; ma seti» dovi mescolata la rapina, viene sempre, nè mancano mai le cagioni ed il disi* derio di spargerlo: come in altro trat- tato sopra questa materia s’ è larga- mente discorso. Meritò, adunque, più laude Quinzio che Appio ; e la sentenza di Cornelio dentro ai termini suoi, c non ne* casi osservati da Appio, merita d* essere approvata. E perchè noi ab- biamo parlato della pena e dello osse- quio, non mi pare superfluo mostrare, come uno essempio d’ umanità potè ap- presso ai Falisci più che V armi. Cap. XX. — Uno essempio df umanità appresso ai Falisci potette più d* ogni forza romana. Essendo Cammillo con V esercito in- torno alla città de* Falisci, e quella as- sediando, un maestro di scuola de’ più nobili fanciulli di quella città, pensando di gratificarsi Cammillo ed il Popolo Digitized by Google DEI DISCORSI C60 romano, sotto colore di esercizio usciendo con quelli fuora della città gli con- dusse lutti nel campo innanzi a Cani- inilio, e, presentatigli, disse, come me- diami loro quella terra si darebbe nelle sue mani. Il quale preseute non sola- mente non fu accettato da Cammillo, ma fatto spogliare quel maestro, c lega- togli le mani di dietro, e dato a cia- scuno di quelli fanciulli una verga in inano, lo fece da quelli con di molte bat- titure accompagnare nella terra. La qual cosa intesa da quelli cittadini, piacque tanto loro l’ umanità ed integrità di Cammillo, che senza voler più difendersi, diliberarono di dargli la terra. Dove è da considerare, con questo vero essem- pio, quanto qualche volta possa più nelli animi degli uomini un atto umano e pieno di carità, che un atto feroce e violento; e come molte volte quelle pro- vincie e quelle città che le armi, gl’ instru- menti bellici ed ogni altra umana forza non ha potuto aprire, uno essempio Dlgilized by Google LIBRO TERZO. GG I ti* umanità c di pietà, di castità o di liberalità, ha aperte. Di che ne sono nelle istorie, oltre a questo, molti altri essempi. E vedesi come 1* armi romane non potevano cacciare Pirro d’ Italia, e ne lo cacciò la liberalità di Fabrizio, quando li manifestò Y offerta die aveva fatta ai Romani quel suo famigliare, d’avvelenarlo. Vedesi ancora, come a Sci- pione Afifricano non dette tanta riputa- zione in Ispagna la espugnazione di Cartagine nuova, quanto gli dette quello essempio di castità, d’ aver fenduta la moglie giovine, bella ed intatta al suo marito; la fuma della quale azione gli fece amica tutta l’Ispagna. Vedesi ancora questa parte quanto la sia disiderata dai popoli negli uomini grandi, c quanto sia laudata dagli scrittori ; e da quelli che descrivono la vita dei principi, e da quelli che ordinano come debbono vivere. Intra i quali Senofonte s' affatica assai in dimostrare quanti onori, quante vittorie, quanta buona fama arrecasse a Digitìzed by Google DEI DISCORSI 662 Ciro l’essere umano ed affabile; c non dare alcuno essempio di sè nè di su- perbo, nè di crudele, nè di lussurioso, nè di nessuno altro vizio che macelli la vita degli uomini. Pur nondimeno, veggendo Annibaie con modi contrari a questi avere conseguito gran fama e grandi vittorie, mi. pare da discorre* re nel seguente capitolo, donde questo nacque. Cap. XXI. — Donde nacque che Annibaie con diverso modo dì procedere da ScipionCj fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in I spugna. Io stimo che alcuni si potrebbono meravigliare veggendo qualche capitano, nonostante eh’ egli abbia tenuta contra- ria via, aver nondimeno fatti simili ef- fetti a coloro che sono vissuti nel modo soprascritto : talché pare che la cagione delle vittorie non dipenda dalle predette cause; anzi pare che quelli modi non Digitized by Google LIBRO TLRZO. G63 fi rechino nè più forza nè più fortuna, potendosi per contrari modi acquistare gloria e riputazione. E per non mi par- tire dagli uomini soprascritti, e per chiarir meglio quello che io ho voluto dire; dico come e’ si vede Scipione entrare in Ispagna, c con quella sua umanità e pietà subito farsi amica quella provincia, e adorare ed ammirare dai popoli. Vedesi, all* incontro, entrare An- nibaie in balia, e con modi tutti con- trari, cioè con violenza e crudeltà e rapina ed ogni ragione d’ infedeltà, fa- re il medesimo effetto che aveva fatto Scipione in Ispagna; perchè ad Annibaie si ribellarono tutte le città d’ Italia, tutti i popoli lo seguirono. E pensando donde questa cosa possa nascere, ci si veggono dentro più ragioni. La prima è, che gli uomini sono disiderosi di cose nuove; in tanto che cosi desiderano il più delle volte novità quelli che stanno bene, come quelli che stanno male : perchè come altra volta si disse, ed è il vero, gli uomini si Digitized by Google tì'U DEI DISCORSI stuccano nel bene, e nel male s’ afflig- gono. Fu, adunque, questo disiderio apri- re le porle a ciascuno che in una pro- vincia si fa capo d’ una innovazione; e s’ egli è forestiero, gli corrono dietro; s’ egli è provinciale, gli sono intorno, angumentanlo e favoriscono: lalmente- cliè, in qualunque modo che egli pro- ceda, gli riesce il fare progressi grandi in quelli luoghi. Oltre a questo, gli uomini sono spinti da due cose princi- pali ; o dallo amore, o dal timore: tal- ché cosi gli comanda chi si fa amare, come colui che si fa temere; anzi, il più delle volte è seguito ed ubbidito più chi si fa temere, che chi si fa amare. Imporla, pertanto, poco ad un capitano, per quaiunehe di queste vie ei si cam- mini, purché sia uomo virtuoso, e che quella virtù lo faccia riputato intra gli uomini. Perchè, quando la è grande, come la fu in Annibaie ed in Scipione, ella cancella tutti quelli errori che si fanno per farsi troppo amare, o per Digitized by Google Lì BKO TERZO. 665 farsi troppo temere. Perchè dell’ uno c delP altro di questi duoi modi possono nascere inconvenienti grandi, ed atti a far rovinare un principe : perchè co- lui che troppo disidera esser amato, ogni poco che si parte dalla vera via, diventa disprezzabile: quell’ altro che disidera troppo d’ esser temuto, ogni poco ch’egli eccede il modo, diventa odioso. E tenere la via del mezzo, non si può appunto, perchè la nostra natura non ce io consente: ma è necessario queste cose che eccedono mitigare con una eccessiva virtù, come faceva Anni- baie e Scipione. Nondimeno si vede co- me l’ uno e l’ altro furono offesi da questi loro modi di vivere, e così furono es- saltati. La essudazione di tutti due s’è detta. La offesa quanto a Scipione fu, che gl» suoi soldati in Ispagna se gli ribellarono insieme con pai*te degli suoi amici: la qual cosa non nacque da altro che da non lo temere; perchè gli uomini sono tanto inquieti, che ogni poco di Digitized by Google DI'.! Dlsl'.onsi C66 porta clic si apra loro all’ambizione, dimenticano subito ogni amore ch’egli avessero posto al principe per la uma- nità sua; come fecero i soldati ed amici predetti: tanto che Scipione, per rime- diare a questo inconveniente, fu con- stretto usare parte di quella crudeltà che egli aveva fuggita. Quanto ad Au- nihaie, non ci è essempio alcuno parti- colare, dove quella sua crudeltà e poca fede gli nocesse: ma si può bene pre- supporre che Napoli e molte altre terre, che stettero in fede del Popolo romano, stessero per paura di quella. Vedcsi bene questo, che quel suo modo di vi- vere impio, lo fece più odioso al Popolo romano, che alcuno altro nimico che avesse mai quella Repubblica: in modo che dove a Pirro, mentre che egli era con lo esercito in Italia, manifestarono quello che lo voleva avvelenare, ad An- nibaie mai, ancora che disarmalo e disperso, perdonarono, tanto che lo fe- ciono morire. Nacquero, dunque, ad Digitized by Google LIBRO TERZO. 667 Annibaie, per essere tenuto impio e rom- pitore di fede e crudele, queste incomo- dità; ma gliene risultò all’ incontro una comodità grandissima, la quale è am- mirata da tutti gli scrittori: clic nel suo esercito, ancoraché composto di varie generazioni d’ uomini, non nacque mai alcuna dissensione, nè infra loro medesimi, nè contra di lui. Il che non potette derivare da altro, che dal ter- rore che nasceva dalla persona sua: il quale era tanto grande, mescolato con la riputazione che gli dava la sua vir- tù, che teneva gli suoi soldati quieti ed uniti. Conchiudo, adunque, come e’ non importa molto in qual modo un capi- tano si proceda, purché in esso sia virtù grande, che condisca bene l’uno e l’al- tro modo di vivere: perchè, come è detto, nell’uno e nell’ altro è difetto e pericolo, quando da una virtù istraor- dinaria non sia corretto. C se Annibaie e Scipione, l’uno con cose laudabili, l’altro con detestabili, feciono il mede- Digitized by Google DEI DISCORSI 668 simo effetto; non mi pare ila lasciar indietro il discorrere ancora di duoi cittadini romani, che conseguirono con diversi modi, ma tutti duoi laudabili, una medesima gloria. Cap. XXII. — Come la durezza di Man- lio Torquato e T umanità di Valerio ' Corvino acquistò a ciascuno la mede- sima gloria. E* furono in Roma in un medesimo tempo due capitani eccellenti, Manlio Torquato e Valerio Corvino: i quali di pari virtù, di pari trionfi e gloria, vis- sono in Roma; e ciascuno di loro, in quanto s’ apparteneva al nimico, con pari virtù l’acquistarono; ma quanto s’apparteneva agli eserciti ed agl’ in- trattenimenti de’ soldati, diversissima- mente procederono: perchè Manlio con ogni generazione di severità, senza in- termettere ai suoi soldati o fatica, o pe- na, gli comandava: Valerio, dall’ altra Digitized by Google LIBRO TERZO. G6U parte, con ogni modo e termine umano, e pieno d’ una famigliare dimestichezza gl’ intratteneva. Perchè si vede, che per aver 1’ ubbidienza dei soldati, 1’ uno ani' mazzo il figliuolo, e 1’ altro non offese mai alcuno. Nondimeno, in tanta diver- sità di procedere, ciascuno fece il me- desimo frutto, e contro a’ nimici, ed in favore della Repubblica e suo. Perchè nessuno soldato non mai o detratto la zuffa, o si ribellò da loro, o fu in alcuna parte discrepante dalla voglia di quel! i ; quantunque gl’ imperii di Manlio fussino si aspri, che tutti gii altri imperii che eccedevano il modo, erano chiamati man- liana imperia. Dove è da considerare prima donde nacque che Manlio fu co- stretto procedere sì rigidamente; l’al- tro, donde avvenne che Valerio potette procedere si umanamente; l’altro, qual cagione fe che questi diversi modi faces- sero il medesimo effetto; ed in ultimo, quale sia di loro meglio e più utile imita- re. Se alcuno considera bene la natura di Digitized by Google 070 DEI DISCORSI Manlio dall’ora che Tilo Livio nc comin- cia a far menzione, lo vedrà uomo fortissi- mo, pietoso verso il padre e verso la pa- tria, e reverentissimo a’ suoi maggiori. Queste cose si conoscono dalla morte di quel Francioso; dalla difesa del padre contea al Tribuno; e come avanti ch'egli andasse alla zuffa del Francioso, ei n’andò al Consolo con queste parole: Injussu tuo adversus hoslem nunquam pugnalo, non si ccrtam victoriam vi- dcam. Venendo, adunque, un uomo così fatto a grado che comandi, desidera di trovare tutti gli uomini simili a sè; e l’animo suo forte gli fa comandare cose forti; e quel medesimo, comandate che le sono, vuole si osservino. Ed è una regola verissima, che quando si coman- da cose aspre, conviene con asprezza farle osservare: altrimenti, te ne tro- veresti ingannato. Dove è da notare, clic a voler essere ubbidito, è necessario saper comandare : e coloro sanno co- mandare, che fanno comparazione della Digìtized by Googl LIBRO TIIRZO. G71 qualità loro a quelle ili dii ha a ubbi- dire; e quando vi veggnino proporzio- ne, allora comandino; quando spropor- zione, se ne astenghino. E però diceva un uomo prudente, che a tenere una repubblica con violenza, conveniva fusse proporzione da chi sforzava a quel ch’ero sforzato. E qualunque volta questa pro- porzione v’ era, si poteva credere che quella violenza fusse durabile: ma quan- do il violentato era più forte del violen- tante, si poteva dubitare che ogni giorno quella violenza cessasse. Ma tornando al discorso nostro, dico che a comandare le cose forti, conviene esser forte; e quello che è df questa fortezza e che le comanda, non può poi con dolcezza farle osservare. Ma chi non è di questa for- tezza d’animo, si debbe guardare da- gl’imperii istraordinari, e negli ordi- nari può usare la sua umanità: perchè le punizioni ordinarie non sono impu- tate al principe, ma alle leggi ed agli ordini. Debbesi, adunque, credere che Digitized by Google 672 DEI DISCORSI Manlio fosse costretto procedere si ri- gidamente dagli istraordinari suoi im- perii, ai fjuali lo inclinava la sua natu- ra: i quali sono utili in una repubblica, perchè e’ riducono gli ordini di quella verso il principio loro, e nella sua an- tica virtù. E se una repubblica fussc si felice, eh* ella avesse spesso, come di sopra dicemmo, citi con io esseinpio suo le rinnovasse le leggi; e non solo la ri- tenesse che la non corresse alla rovi- na, ma la ritirasse indietro; la sarebbe perpetua. Si che Manlio fu uno di quelli che con l’asprezza de’ suoi i inperii ri- - tenne la disciplina mUitarc in Roma, constretto prima dalla natura sua, dipoi dal desiderio che aveva s’ osservasse quello che il suo naturale appetito gii aveva fatto ordinare. Dall’ altro canto, Valerio potette procedere umanamente, come colui a cui bastava s’ osservassino le cose consuete osservarsi negli eserciti romani. La qual consuetudine, perchè era buona, bastava ad onorarlo, c non Digitized by Google LIBRO TERZO. 673 era faticosa ad osservarla, e non neces- sitava Valerio a punire i transgressori; si perchè e’ non ve n’ erano; sì perchè quando e* ve ne Tassino stati, imputa- vano, come è detto, la punizione loro agli ordini, c non alla crudeltà del prin- cipe. In modo che, Valerio poteva far nascere da lui ogni umanità, dalla quale ei potesse acquistare grado con i solda- ti, e la contentezza loro. Donde nacque, che avendo l’uno e l’altro la medesima ubbidienza, poterono, diversamente ope- rando, fare il medesimo effetto. Possono quelli che volessero imitar costoro, ca- dere in quelli vizi di dispregio e d* odio che io dico di sopra d’ Annibaie e di Scipione: il che* si fugge con una virtù eccessiva che sia in te, e non altrimenti. Resta ora considerare quale di questi modi di procedere sia più laudabile. Il che credo sia disputabile, perchè gli scrittori lodano l’ un modo e l’ altro. Nondimeno, quelli che scrivono come un principe s’ abbia a governare, si Machiavelli, Discorsi.-—!. *3 Digitized by Google DEI DISCORSI C74 accostano piu a Valerio che a Manlio ; c Senofonte, preallegato da me, dando di molti essempi della umanità di Ciro, si conforma assai con quello che dice di Valerio Tito Livio. Perchè, sendo fatto Consolo contro i Sanniti, e venendo il dì che doveva combattere, parlò ai suoi soldati con quella umanità con la quale ei si governava ; e dopo tal parlare, Tito Livio dice queste parole: Non alias militi familiarior dux fuit , inter infimos militimi omnia hauti gravate munia obcuntlo. In ludo praterea mili- tari, cum velocitatis viriumquc in ter se cequales cer lamina ineuntj comiler faci- lis vincere ac vinci, nulla eodcm ; nec qucmquam aspcrnari parem qui se offer- ret ; factis benignus prò re; clic ti s, hauti minus libertalis aliena , quam sua dignilatis memor ; et (quo nihil popu- lariit8 est) quibus artibus pelierat magi- strati^, iisdem gerebat. Parla medesi- mamente di Manlio Tito Livio onorévol- mente, mostrando che la sua severità Digitized by Google LIBRO TERZO. G75 nella mol te del figliuolo fece tanto ub- bidiente l' esercito al Consolo, che fu cagione delia vittoria che il Popolo ro- mano ebbe contro ai Latini ; ed in tanto procede in laudarlo, che dopo tal vit- toria, descritto eh’ egli ha tutto 1’ ordine di quella zuffa, e mostri tutti i pericoli che ’1 Popolo romano vi corse, e le dif- ficoltà che vTTurono a vincere, fa questa conclusione: che solo la virtù di Manlio dette quella vittoria ai Romani. E facen- do comparazione delle forze dell’ uno .e dell’ altro esercito, afferma come quella parte arebbe vinto che avesse avuto per Consolo Manlio: talché, considerato tutto quello che gli scrittori ne parlano, sa- rebbe difficile giudicarne. Nondimeno, per non lasciare questa parte indecisa, dico, come in un cittadino che viva sotto le leggi d’ una repubblica, credo sia piu laudabile c meno pericoloso il procedere di Manlio; perchè questo modo tutto è in favore del pubblico, e non risguarda in alcuna parte all’ ambizione Digitized by Google (J7G DEI DISCORSI privata; perchè per tale modo non si può acquistare partigiani, mostrandosi sempre aspro a ciascuno, ed amando solo il ben comune; perchè chi fa que- sto, non s’ acquista particolari amici, quali noi chiamiamo, come di sopra si disse, partigiani. Talmentechè, simil modo di procedere non può esser più utile nè più desiderabile in una repub- blica; non mancando in quello l’ utilità pubblica, e non vi potendo essere alcun sospetto della potenza privata. Ma nel modo di procedere di Valerio è il con- trario: perchè se bene in quanto al pubblico si fanno i medesimi effetti, nondimeno vi surgono molte dubitazioni, per la particolar benivolenza che colui s’ acquista con i soldati, da fare in un lungo imperio cattivi effetti contra alla libertà. E se in Publicola questi cattivi effetti non nacquero, ne fu cagione non essere ancora gli animi dei Romani cor- rottile quello non esser stato lun- gamente e continovamente al governo Digitized by Google LIBRO TERZO. 677 loro. Ma se noi abbiamo a considerare un principe, come considera Senofonte, noi ci accosteremo al tutto a Valerio, e lasceremo Manlio; perchè un principe debbe cercare nei soldati e nei sudditi 1* ubbidienza e 1’ amore. 1/ ubbidienza gli dà lo essere osservatore degli ordini, Tesser tenuto virtuoso: lo amore gli dà P affabilità, P umanità, la pietà e quell' altre parli che erano in Valerio, e che Senofonte scrive essere state in Ciro. Perchè lo essere un principe ben ^voluto particolarmente, ed avere lo eser- cito suo partigiano, si conforma con tutte P altre parti dello Stato suo: ma in un cittadino che abbia P esercito suo partigiano, non si conforma già questa parte con P altre sue parti, che P hanno a far vivere sotto le leggi, ed ubbidire ai magistrali. Leggesi intra le cose an- tiche della Repubblica viniziana, come essendo le galee viniziane tornate in Vinegia, e venendo certa differenza in- tra quelli delle galee ed il popolo, donde Digitized by Google C78 DEI DISCORSI si venne al tumulto ed all’ armi; nè si potendo la cosa quietare nè per forza di ministri, nè per reverenza de’ citta- dini, nè timore di magistrati; subito che a quelli marinari apparve innanzi un gentiluomo che era 1’ anno davanti stato capitano loro, per amore di quello si partirono e lasciarono la zuffa. La qual ubbidienza generò tanta sospizioue al Senato, che poco tempo dipoi i Vini- ziani, o per prigione o per morte, se ne assicurarono. Conchiudo pertanto, il procedere di Valerio essere utile in uno principe, e pernizioso in un cittadino; non solamente alia patria, ma a sè: a lei, perchè quelli modi preparano la via alla tirannide; a sè, perchè in sospet- tando la sua città del modo del proce- dere suo è costretta assicurarsene con suo danno. E così, per il contrario, af- fermo il procedere di Manlio in un prin- cipe esser dannoso, ed in uno cittadino utile, e massime alla patria: ed aneora rare volte offende; se già questo odio Digitized by Google LiBRO TERZO. 679 clic ti tira dietro la tua severità non è accresciuto da sospetto che 1’ altre tue virtù per la gran riputazione ti arrecas- sino: come di sotto di Cammillo si di- scorrerà. Cap. XXIH. — Per quale cagione Cammillo fosse cacciato di Roma. Noi abbiamo conchiuso di sopra, come procedendo come Valerio, si nuoce alla patria ed a sè; c procedendo come Manlio, si giova alia patria, e nuocesi qualche volta a sè. Il che si pruova as- sai bene per lo essempio di Cammillo, il quale nel procedere suo simigliava più. tosto Manlio che Valerio. Donde Tito Livio, parlando di lui, dice, come ejus virlutem mililes odorante et mira- banlur . Quello che lo faceva tenere me- raviglioso, era la sollicitudine, la pru- denza, la grandezza dell’ animo, il buono ordine che lui servava nello adoperarsi e nel comandare agli eserciti: quello Digitized by Google 680 DEI DISCORSI che lo faceva odiare, era essere piu se- vero nel gastigargli, che liberale nel ri- munerargli. G Tito Livio ne adduce di questo odio queste cagioni: la prima, che i danari che si trassero de* beni dei Veienti che si venderono, esso gli applicò al pubblico, e non gli divise con la preda : V altra, che nel trionfo ei fece tirare il suo carro trionfale da quattro cavagli bianchi, dove essi dissero che per superbia ei s’ era voluto agguagliare al sole : la terza, che fece voto di dare ad Apolline la decima parte della preda dei Veienti, la quale, volendo satisfare al voto, s’ aveva a trarre dalle mani dei soldati che l’ avevano di già occupata. Dove si notano bene e facilmente quelle cose che fanno un principe odioso ap- presso il popolo; delle quali la princi- pale è privarlo d’ uno utile. La qual co- sa è di importanza assai; perchè le cose che hanno in sè utilità, quando I’ uomo n* è privo, non le dimentica mai, ed ogni minima necessità te ne fa ricorda- j- — Digitized by Google LIBRO TERZO. 681 re; e perchè le necessità vengono ogni giorno, tu te ne ricordi ogni giorno. L’altra cosa è lo apparire superbo ed enfiato; il che non può essere più odioso ai popoli, e massime ai liberi. E ben- ché da quella superbia e da quel fasto non ne nascesse loro alcuna incomodi- tà, nondimeno hanno in odio chi l’usa: da che un principe si debbe guardare come da uno scoglio; perchè tirarsi odio addosso senza suo profitto, è al tutto partito temerario e poco pru- dente. Cap. XXIV. — La prolungazione degl* imperi fece serva Roma. Se si considera bene il procedere della Repubblica romana, si vedrà due cose essere state cagione della resolu- zione di quella Repubblica: l’una fu- rono le contenzioni che nacquero dalla legge agraria; l’altra la prolungazione degli imperi: le quali cose se fussino Digitized by Google 682 DEI DISCORSI stale conosciute bene da principio, e fattivi debiti rimedi, sarebbe stato il vi- ver libero più lungo, e per avventura più quieto. C benché, quanto alia pro- lungazione dello imperio, non si vegga che in Roma nascesse mai alcuno tu- multo; nondimeno si vedde in fatto, quanto noce alla città quella autorità che i cittadini per tali diliberazioni pre- sono. E se gli altri cittadini a chi era prorogato il magistrato, fussino stali savi e buoni come fu Lucio Quinzio, non si sarebbe incorso in questo incon- veniente. La bontà del quale è d’ uno essempio notabile; perchè, sendosi fatto intra la Plebe ed il Senato convenzione d’ accordo, ed avendo la Plebe prolun- gato in uno anno V imperio ai Tribuni, giudicandogli atti a poter resistere al- l’ambizione dei Nobili, volle il Senato, per gara della Plebe e per non parere da meno di lei, prolungare il consolato a Lucio Quinzio: il quale al tutto negò questa diliberazionc, dicendo che i cat- Digitized by Google LIBRO TERZO. 683 livi essempi si volevano cereare ili spe- gnergli, non di accrescergli con uno al- tro più cattivo essempio; e volle si fa- cessino nuovi Consoli. La qual bontà e prudenza se fusse stata in tutti i citta- dini romani, non arebbe lasciata intro- durre quella consuetudine di prolungare i magistrati, e da quella non si sarebbe venuto alla prolungazione delti imperi: la qua! cosa, col tempo, rovinò quella Repubblica. Il primo a eli i fu proro- gato l’imperio, fu Publio Pilone; il quale essendo a campo alla città di Pa- lepoli, e venendo la line del suo conso- lato, e parendo al Senato ch’egli avesse in mano quella vittoria, non gli manda- rono il successore, ma lo fecero Procon- solo; talché fu il primo Proconsolo. La qual cosa, ancora che mossa dal Senato per utilità pubblica, fu quella che con il tempo fece serva Roma. Perchè, quanto più i Romani si discostaron con le ar- mi, tanto più pareva loro tale proroga- zione necessaria, e più P usarono. La % Digitized by Google tìS4 DEI DISCORSI qual cosa fece due inconvenienti: l’uno che meno numero di uomini si eserci- tarono negl’imperi; e si venne per questo a ristringere la reputazione in pochi: l’altro, che stando un cittadino assai tempo comandatole d’ uno eserci- to, se lo guadagnava, e facevaselo par- tigiano; perchè quello esercito col tem- po dimenticava il Senato, e riconosceva quello capo. Per questo Siila e Mario po- terono trovare soldati che contea al bene pubblico gli seguitassino : per questo Ce- sare potette occupare la patria. Che se mai i Romani non avessiuo prolungati i magistrati e gli imperi, se non venivano si tosto a tanta potenza, e se fussino stati più tardi gli acquisti loro, sarebbe- ro ancora venuti più tardi nella servitù. Cap. XXV. — Della povertà di Cincinnato , e di molti cittadini romani. ; Noi abbiamo ragionato altrove, come la più ulil cosa che si ordini in un vi- Digitized by Google LIBRO TERZO. 685 ver libero è che si mantenghino i citta- dini poveri. E benché iti Roma non ap- parisca quale ordine fusse quello che facesse questo effetto, avendo, massime, la legge agraria avuta tanta oppugna- zione; nondimeno per esperienza si vid- de, ' che dopo quattrocento anni che Roma era stata edificata, v’era una gran- dissima povertà ;**nè si può credere che altro ordine maggiore facesse questo ef- fetto, che vedere come per la povertà non t’ era impedita la via a qualunque grado ed a qualunque onore, e come s’ andava a trovare la virtù in qualun- que casa l'abitasse. 11 qual modo di vivere faceva manco disperabili le ric- chezze. Questo si vede manifesto; per- chè essendo Minuzio consolo assediato con lo esercito suo dagli Equi, si empiè di paura Roma, che quello esercito non si perdesse; tanto che ricorsero a creare il Dittatore, ultimo rimedio nelle loro cose afflitte. E crearono Lucio Quinzio Cincinnato, il quale allora si trovava Digitized by Google DEI DISCORSI C$6 «ella sua piccola villa, la quale lavora- va di sua mano. La qual cosa con pa- role auree è celebrala da Tito Livio, di- cendo: Opera precium est audire, qui omnia prue divifiis Humana spera uni, ncque honori magno locum, neque tir- tuli putanl esse, nisi effuse affluant opes. Arava Cincinnato la sua piccola villa, la quale non trapassava il termi- ne di quattro iugeri, quando da Roma vennero i Legati del Senato a signifi* Carli la elezione della sua dittatura, ed a mostrarli in quale pericolo si trovava la romana Repubblica. Egli, presa la sua toga, venuto in Roma e ragunato uno esercito, n’andò a liberar Minuzio; ed avendo rotti e spogliati i nimici, e libe- rato quello, non volle che 1’ esercito as- sediato fusse partecipe della preda, di- cendogli queste parole: Io non voglio che tu participi della preda di coloro de’ quali tu sei stato per essere preda; — e privò Minuzio del consolato, e fe- eclo Legato, dicendogli: Starai tanto in Digitized by Google LIBRO TERZO. 6S7 questo grado, che tu impari a sapere essere Consolo. — Aveva fatto suo Maestro de’ cavalli Lucio Tarquiuio, il quale per la povertà militava a piede. Notasi, co- me è detto, T onore che si faceva in Roma alla povertà; e come ad uno uo- mo buono e valente, quale era Cincin- nato, quattro iugeri di terra bastavano a nutrirlo. La quale povertà si vede co- me era ancora nei tempi di Marco Re- golo; perchè sendo in Affrica con gli eserciti, domandò licenzia al Senato per poter tornare a custodire la sua villa, la quale gli era guasta da’ suoi lavora- tori. Dove si vede due cose notabilissi- me : 1* una la povertà, e come vi sta- vano dentro contenti, e come bastava a quelli cittadini trarre della guerra ono- re, e l’ utile tutto lasciavano al pub- blico. Perchè, s’ egli avessero pensato d’arricchire della guerra, gli sarebbe dato poca briga, che i suoi campi fus- sino stati guasti. L’ altra è, considerare la generosità dell’ animo di quelli citta- Digitized by Google 688 DEI DISCORSI dini, i quali preposti ad uno esercito, saliva la grandezza dell’animo loro so- pra ogni principe; non stimavano i re, non le repubbliche ; non gli sbigottiva nè spaventava cosa alcuna; e tornati dipoi privati, diventavano parchi, umili, curatori delle piccole facultà loro, ubbi- dienti ai magistrati, reverenti alti loro maggiori: talché pure impossibile che uno medesimo animo patisca tanta mu- tazione. Durò questa povertà ancora to- sino ai tempi di Paulo Emilio, che fu- rono quasi gli ultimi felici tempi di quella Repubblica, dove un cittadino che col trionfo suo arricchì Roma, nondi- meno mantenne povero sè. E cotanto si stimava ancora la povertà, che Paulo nell’ onorare chi s’ era portato bene nella guerra, donò a un suo genero una tazza d’ oriento, il quale fu il primo oriento che fusse nella sua casa. E po- trebbesi con un lungo parlare mostrare quanti migliori frutti produca la po- vertà che la ricchezza, e come V una ha Digitized by Google LIBRO TERZO. 689 onorato le città, le provincia, le sètte; c l’altra V ha rovinate; se questa ma- teria nou fusse stata molte volte da al- tri uomini celebrata. 4 C\p. XXVI. — Come per cagione di femmine si rovina uno Slato. Nacque nella città d’ Ardea intra i pa- trizi e i plebei una sedizione per ca- gione d’ un parentado, dove avendosi a maritare una. femmina erede, la doman- darono parimente un plebeo ed un no- bile; e non avendo quella padre, i tu- tori la volevano congiugnere al plebeo, la madre al nobile: di che nacque. tanto tumulto, che si venne all’ armi ; dove tutta la Nobiltà s’ armò in favore del nobile, e tutta la Plebe in favore del plebeo. Talché essendo superata la Ple- be, s’ uscì d’ Ardea, e mandò ai Yolsci per aiuto: i nobili mandarono a Roma. Furono prima i Volsci, e, giunti intorno ad Ardea, s’accamparono. Sopravvenne- Machiave.hi, Discorsi — l. '*'* Digitized by Google 690 DEI DISCORSI ro i Romani, e rinchiusone i Volsci in- fra ia terra e loro; tanto che gli co; slrinsono, essendo stretti dalla fame, a darsi a discrezione. Ed entrati i Romani in Ardea, e morti lutti i capi della se- dizione, composono le cose di quella città. Sono in questo testo più cose da notare. Prima si vede, come le donne sono state cagioni di molte rovine, ed hanno fatti gran danni a quelli che go- vernano una città, ed hanno causato di molte divisioni in quella : e, come si è veduto in questa nostra istoria, V ec- cesso fatto contra a Lucrezia tolse lo stato ai Tarquini; quell’ altro fatto con- tra a Virginia privò i Dieci dell’ auto- rità loro. Ed Aristotele intra le prime cose che mette della rovina dei tiranni, è V avere ingiuriato altrui per conto di donne, o con stuprarle, o con violarle, o corrompere i matrimoni ; come di que- sta parte, nel capitolo dove noi trat- tammo delle congiure, largamente si parlò. Dico, adunque, come i principi Digitized by Google LIBRO TERZO. 691 assoluti ed i governatot i delle repub* bliche non hanno a tenere poco conto di questa parte ; ma debbono conside- rare i disordini clic per tuie accidente possono nascere, e rimediarvi in tempo che il rimedio non sia con danno e vi- tuperio delio Stato loro o della loro re? pubblica: come intervenne agli Ardenti, i quali per avere lasciato crescere quella gara intra i loro cittadini, si condusso- tio a dividersi infra loro; e volendo riu- nirsi, ebbono a mandare per soccorsi esterni : il che è un gran principio d’una propinqua servitù. Ma vegniamo all’ al- tro notabile del modo del riunire le città, del quale nel futuro capitolo parleremo. C*r. XXVII. — Come e* si ha a unire una città divisa ; c come quella oppi- nionc non è vera , che a tenere le città bisogna tenerle disunite. Per lo essempio dei Consoli romani che riconciliarono insieme gli Ardeati, Digitized by Google 692 DEI DISCORSI si nota il modo come si debbe comporre una citta divisa: il quale non è altro, nè altrimenti si debbe medicare, clic ammazzare i capi de’ tumulti. Perché gli è necessario pigliare uno de’ tre modi : o ammazzargli, come fecero co- storo ; o rimuovergli della città; o far loro far pace insieme, sotto obblighi di non si offendere. Di questi tre modi, questo ultimo è più dannoso, men cer- to e più inutile. Perchè gli è impossi- bile, dove sia corso assai sangue, o al- tre simili ingiurie, che una pace fatta per forza duri, riveggendosi ogni di in- sieme in viso; ed è difficile che si asten- gano dallo ingiuriare V uno V altro, po- tendo nascere infra loro ogni dì, per la conversazione, nuove cagioni di querele. Sopra che non si può dare il migliore essempio che la città di Pistoia. Era di- visa quella città, come è ancora, quin- dici anni sono, in Panciatichi e Cancel- lieri ; ma allora era in sull’ orme, ed oggi V ha posate. E dopo molte dispute Digitized by Google LIBRO TERZO. 693 infra loro, vennero al sangue, alla ro- vina delle case, al predarsi la roba, e ad ogni altro termine di nimico. Ed i Fiorentini, che gli avevano a comporre, sempre vi usarono quel terzo modo; e sempre ne nacquero maggiori tumulti c maggiori scandali: tanto che, strac- chi, si venne al secondo modo, di ri- muovere i capi delle parli; de’ quali al- cuni messono in prigione, alcuni altri confinarono in vari luoghi: tanto che 1’ accordo fatto potette stare, ed è stato infino a oggi. Ma senza dubbio più si- curo saria stato il primo. Ma perchè simili esecuzioni hanno il grande ed il generoso, una repubblica debole non le sa fare, ed ènne tanto discosto, che a fatica la si conduce al rimedio secondo. E questi sono di quelli errori che io dissi nel principio, che fanno i principi dei nostri tempi, che hanno a giudicare le cose grandi; perchè doverebbouo vo- ler vedere, come si sono governati co- loro che hanno avuto a giudicare auti- A. Digitized by Google 694 DEI DISCORSI canìcole simili casi. Ma la debolezza de’ presenti uomini, causala dalla debole educazione loro e dalla poca notizia delle cose, fa che si giudichino i giudizi antichi parte inumani, parte impossibili. Ed hanno certe loro moderne oppinioni discoste al tutto dal vero; corn’è quella che dicevano i savi della nostra città, un tempo è: che bisognava tener Pi- stoia con le parti j e Pisa con le for- tezze ; e non s’avveggono, quanto runa e l’ altra di queste due cose è inutile. Io voglio lasciare le fortezze, perchè di sopra ne parlammo a lungo; e voglio discorrere la inutilità che si trae dai tenere le terre, che tu hai iu governo, divise. In prima, c impossibile che tu ti mantenga tutte due quelle parti amiche o principe o repubblica che le governi. Perchè dalla natura è dato agli uomini pigliar parte in qualunque cosa divisa, e piacergli più questa che quella. Tal- ché, avendo una parte di quella terra malcontenta, fa che lu prima guerra che Digitized by Googl LIBRO TERZO. 605 viene, tu la perdi ; perchè gli è impos- sibile guardare una città che abbia i ni mici fuori e dentro. Se la è una re- pubblica che la governi, non ci è il più bel modo a far cattivi i tuoi cittadini cd a far dividere la tua città, clic avere in governo una città divisa; perchè cia- scuna parte cerca d’aver favori, ciascu- na si fa amici con varie corruttele : tal- ché ne nasce due grandissimi inconve- nienti; l’uno, che tu non to gli fai mai amici, per non gli poter governar bene, variando il governo spesso, ora con l’uno, ora con l’altro umore; l’altro, clic tale studio di parte divide di neces- sità la tua repubblica. Ed il Biondo, parlando dei Fiorentini c de’ Pistoiesi, ne fa fede, dicendo: Mentre che i Fio- ventini disegnavano di riunir PistoiaJ divisano se medesimi. Pertanto, si può facilmente considerare il male che da questa divisione nasca. Nel 1501, quan- do si perdè Arezzo, c tutto Val di Te- vere e Val di Chiana, occupatoci dai Digitized by Google 69o DEI DISCORSI Vitelli e dal duca Valentino, venne un monsignor di Lant, mandato dal re di Francia a fare restituire ai Fiorentini tutte quelle terre perdute; e trovando Lant in ogni castello uomini die, nel visitarlo, dicevano che erano della parte di Marzocco, biasimò assai questa divi- sione: dicendo, che se in Francia uuo di quelli sudditi del re dicesse d’essere della parte del re, sarebbe gastigato, perchè tal voce non significherebbe al- tro, se non che in quella terra fusse gente nimica del re ; e quel re vuole che le terre tutte siano sue amiche, uni- te, e senza parti. Ma tutti questi modi e queste oppinioni diverse dalla verità nascono dalla debolezza di chi sono si- gnori; i quali, veggendo di non poter tenere gli Stati con forza e con virtà, si voltano a simili industrie: le quali qual- che volta nei tempi quieti giovano qual- che cosa; ma come e’ vengono l’avver- sità ed i tempi forti, le mostrano la fallacia loro. Digitized by Google LIBRO TERZO. 697 Gap. XXVIII. — Che si debbe por mente alle opere de* cittadini , perchè molte volte sotto un'opera pia si nasconde un principio di tirannide. Essendo la città di Roma aggravata dalla fame, e non bastando le provvi- sioni pubbliche a cessarla, prese animo uno Spurio Melio, essendo assai ricco secondo quelli tempi, di far provvisione di frumento privatamente, e pascerne con suo grado la Plebe. Per la qual cosa egli ebbe tanto concorso di popolo in suo favore, che ’l Senato pensando al- P inconveniente che di quella sua libe- ralità poteva nascere, per opprimerla avanti che la pigliasse più forze, gli creò un Dittatore addosso, e fecelo mo- rire. Qui è da notare, come molle volte P opere che paiono pie c da non le po- tere ragionevolmente dannare, diventano crudeli, e per una repubblica sono pe- ricolosissime, quando non siano a buo- Digitized by Google 69S DEI DISCORSI n* oi a corrette. E per discorrere questa cosa più particolarmente, dico che una repubblica senza cittadini riputati non può stare, nè può governarsi in alcun modo bene. Dall’ altro canto, la ripu- tazione de’ cittadini è cagione della ti- rannide delle repubbliche. E volendo re- golare questa cosa, bisogna talmente ordinarsi, che i cittadini sieno riputati di riputazione che giovi, c non nuoca, alla città ed alla libertà di quella. E però si debbe esaminare i modi con i quali ei pigliano riputazione j che sono in effetto due: o pubblici o privati. I modi pubblici sono, quando uno consi- gliando bene, e operando meglio in be- nefìzio comune, acquista riputazione. A questo onore si debbe aprire la via ai cittadini, e proporre prèmi ed ai con- sigli ed all’ opere, talché se n’abbino ad onorare e satisfare. E quando queste riputazioni prese per queste vie, siano schiette e semplici, non saranno mai pericolose: ina quando le sono prese Digitized by Coogle LIBRO TERZO. 699 per vie private, che è l’altro modo preal- legato, sono pericolosissime ed in tutto nocive. Le vie private sono, facendo be- nefizio a questo ed a quell’ altro privato, con prestargli danari, maritargli le fi- gliuole, difendendolo dai magistrali, e facendogli simili privati favori, i quali si fanno gli uomini partigiani, e danno animo a chi è cosi favorito di poter corrompere il pubblieoe sforzar le leggi. Debbe, pertanto, una repubblica bene ordinata aprire le vie, come è detto, a chi cerca favori per vie pubbliche, e chiuderle a chi li cerca per vie private; come si vede che fece Roma: perchè in premio di chi operava bene per il pubbli- co, ordinò i trionfi c tutti gli altri onori che la dava ai suoi cittadini ; ed in danno di chi sotto vari colori per vie private cercava di farsi grande, ordinò l’accuse; e quando queste non bastassero, per èssere accecato il popolo da una spezie di falso bene, ordinò il Dittatore, il quale con il braccio regio facesse tornare den- Digitìzed by Google 700 DEI DISCORSI tro al seguo chi ne fusse uscito, come la fece pei* punir Spurio Melio. Ed una che di queste cose si lasci impunita, è atta a rovinare una repubblica; perchè difficilmente con quello essempio si ri- duce dipoi in la vera via. Cap. XXIX. — Che gli peccali dei popoli nascono dai principi. Non si dolghino i principi d’ alcuno peccato che faccino i popoli €11’ egli ab- biano in governo ; perchè tali peccali conviene che naschino o per sua negli- genza, o per esser lui macchialo di si- mili errori. E chi discorrerà i popoli che nei nostri tempi sono stati tenuti pieni di ruberie e di simili peccati, ve- drà che sarà al tutto nato da quelli che gli governavano, che erano di simile natura. La Romagna, innanzi che in quella fossero spenti da papa Alessan- dro \ 1 quelli signori che la comanda- vano, era uno essempio d’ ogni seclle- Digitized by Google LIBRO TERZO. 701 ratissima vita, perchè quivi si vedeva per ogni leggiere cagione seguire occi- sioni e rapine grandissime. Il che na- sceva dalla tristizia di quei principi $ non dalla natura trista degli uomini, come loro dicevano. Perchè sendo quelli principi poveri, e volendo vivere da ric- chi, erano forzati volgersi a molte ra- pine, e quelle per vari modi usare. Ed intra Poltre disoneste vie che e’ tene- vano, facevano leggi, e proibivano alcuna azione; dipoi erano i primi che davano cagione della inosservanza d’ esse, nè inai punivano gli inosservanti, se non poi quando vedevano esser incorsi assai in simile pregiudizio; ed allora si vol- tavano alla punizione, non per zelo della legge fatta, ma per cupidità di riscuo- ter la pena. Donde nascevano molti in- convenienti, e sopra tutto questo: che i popoli si impoverivano, e non si cor- reggevano; e quelli che erano impove- riti, s’ ingegnavano contra ai meno po- tenti di loro prevalersi. Donde surgevano Digitized by Google 702 DEI DISCORSI tutti questi mali che di sopra si dicono, de’ quali era cagione il principe. E che questo sia vero, lo mostra Tito Livio quando ei narro, che portando i Legati romani il dono della preda dei Veienti ad Apolline, furono presi dai corsari di Lipari in Sicilia, e condotti in quella terra : ed inteso Timasiteo loro principe che dono era questo, dove egli andava e chi lo mandava, si portò, quantunque nato a Lipari, come uomo romano, e mostrò al popolo quanto era impio oc- cupare simil dono; tanto che, con il con- senso dell* universale, ne lasciò andare i Legati con tutte le cose loro. E le pa- role dello istorieo sono queste: Tima- sitheus muhitudinem religione implevilj guoe seniper regenti est similis. E Lorenzo dei Medici, a con Orinazione di questa sentenza, dice : « u E quel che fa il signor, fanno poi molti ; Chè nel signor son tutti gli occhi volti. „ Digitized by Google LIBRO TERZO. 703 Cap. XXX. — Ad uno cittadino che t co- glia nella sua repubblica far di sua autorità alcuna opera buona , è neces- sario prima spegnere /* invidia: c co- me, venendo il nimico j s' ha a ordi- nare la difesa dJ una città. Intendendo il Senato romano come la Toscana tutta aveva fatto nuovo deletto per venire a' danni di Roma; e cornei Latini e gli Ernici, stati per lo addietro amici del Popolo romano, s’ erano acco- stati coi Volaci, perpetui nimici di Ro- ma ; giudicò questa guerra dovere esser pericolosa. E trovandosi Cnnimilio tri- buno di potestà consolare, pensò che si potesse fare senza creare il Dittatore, quando gli altri Tribuni suoi colleglli volessino cedergli la somma dello impe- rio. Il che detti Tribuni fecero volonta- riamente: nec quicquam (dice Tito Livio) de majestate sua delractum crcdcbant, rjund ma j està li ejus concessissent. Onde Digitized by Google DEI DISCORSI 704 Cammillo, presa a parole questa ubbi- dienza, comandò che si scrivessino tre eserciti. Del primo volse esser capo lui, per ire eontra i Toscani. Del secondo fece capo Quinto Servilio, il quale volle stesse propinquo a Roma, per ostare ai Latini ed agli Ernici, se si movessino. Al terzo esercito prepose Lucio Quinzio, il quale scrisse per tenere guardata la città, e difese le porte e la curia, in ogni caso che nascesse. Oltre a questo ordinò che Orazio, uno de’ suoi colleglli, provvedesse 1* arme, ed il frumento, e l’ altre cose che richieggono i tempi della guerra. Prepose Cornelio, ancora suo collega, al Senato ed al pubblico consiglio, acciocché potesse consigliare le azioni che giornalmente s’ avevano a fare ed eseguire. Iu questo modo furo- no quelli Tribuni, in quelli tempi, per la salute della patria disposti a coman- dare e ad ubbidire. Notasi per questo testo, quello che faccia uno uomo buono e savio, e di quanto bene sia cagione, Digitized by Googli LIBRO TERZO. 705 c quanto utile ei possi fare alla sua pa- tria, quando, mediante la sua bontà e virtù, egli ba spenta l’ invidia ; la quale è molte volte cagione che gli uomini rton possono operar bene, non permet- tendo detta invidia che gli abbino quella autorità la quale è necessaria avere nelle cose d’ importanza. Spegnesi que- sta invidia in duoi modi: o per qualche accidente forte e difficile, dove ciascuno veggendosi perire, posposta ogni ambi- zione, corre volontariamente ad ubbidi- re a colui che crede che con la sua virtù lo possa liberare: come interven- ne a Cammillo; il quale avendo dato di sè tanti saggi d’ uomo eccellentissimo, ed essendo stato tre volte Dittatore, ed avendo amministrato sempre quel grado ad utile pubblico, e non a propria uti- lità, aveva fatto che gli uomini non te- mevano della grandezza sua ; e per esser tanto grande e tanto ripututo, non sti- mavano cosa vergognosa essere inferio- re a lui. E però dice Tito Livio savia* Machiavelli. Discorsi. — 1. 45 Digitized by Google DEI DISCORSI 706 mente quelle parole: JSep quicquam eie. In un altro modo si spegne l’invidia, quando o per violenza o per ordine na- turale muoiono coloro che sono stati tuoi concorrenti nel venire a qualche riputazione ed a qualche grandezza ; i quali veggendoti riputato più di loro, è impossibile che mai acquieschino, e stia- no pazienti. E quando sono uomini eh» siano usi a vivere in una citta corrot- ta, dove la educazione non abbia fatto in loro alcuna bontà, è impossibile che per accidente alcuno mai si indichino; e per ottenere la voglia loro, e satisfare alla loro perversità d’animo, sarebbero contenti vedere la rovina della loro pa- tria. A vincer questa invidia non ci è altro rimedio che la morte di coloro che l’hanno; e quando la fortuna è tanto propizia a quell’ uomo virtuoso, che si muoiano ordinariamente, diventa senza scandalo glorioso, quando senza ostacolo e senza offesa ei può mostrare la sua virtù: ma quando ei non abbi Digitized by Google LIBRO TERZO. 707 questa ventura, gli conviene pensare per ogni via torsegli dinanzi; e prima che ei facci cosa alcuna, gli bisogna tenere modi eli* ei vinca questa difTìcultà. E chi legge la Bibbia sensatamente, vedrà Moisè essere stato sforzato, a volere che le sue leggi e gli suoi ordini andassero innanzi, ad ammazzare infiniti uomini, ì quali, non mossi da altro che da in- vidia, si opponevano a* disegni suoi. Questa necessità conosceva benissimo frate Girolamo Savonarola; conoscevala ancora Pietro Soderini, gonfaloniere di Firenze. V uno non potette vincerla, per non avere autorità a poterlo fare (che fu il frate), e per non essere inteso be- ne da coloro che lo seguitavano, che ne arebbono avuto autorità. Nondimeno per lui non rimase, e le sue prediche sono piene d’ accuse dei savi del mondo, e di invettive contro a loro; perchè chiama- va così questi invidi, e quelli che si op- ponevano agli ordini suoi. Quell’ altro credeva col tempo, con la bontà, con la Digitized by Google 70S DEI DISCORSI fortuna sua, con beneficarne alcuno, spe- gner questa invidia ; vedendosi d* assai fresca età, e con tanti nuovi favori che gli arrecava il modo del suo procedere, che credeva poter superare quelli tanti che per invidia se gli opponevano, senza alcuno scandalo, violenza e tumulto : e non sapeva che M tempo non si può aspettare, la bontà non basta, la fortu- na varia, e la malignità non trova dono che la plachi. Tanto che V uno e l’altro di questi due rovinarono, e la rovina loro fu causata da non aver saputo o potuto vincere questa invidia. 1/ altro notabile è 1’ ordine che Cammillo dette dentro e fuori per la salute di Roma. E veramente, non senza cagione, gli isto- rici buoni, com’ è questo nostro, metto- no particolarmente e distintamente certi casi, acciocché i posteri imparino come gli abbino in simili accidenti a difen- dersi. E debbesi in questo testo notare, che non è la più pericolosa nè la più inutile difesa, che quella che si fa tu- Digilized by Google LIBRO TERZO. 709 multuariamente e senza ordine. E que- sto si mostra per quello terzo esercito che Carminilo fece scrivere per lasciarlo in Roma a guardia della città : perchè molti arebbero giudicato e giudichereb- bono questa parte superflua, scudo quel popolo per 1’ ordinario armato e belli- coso; e per questo, che non gli biso- gnasse di scriverlo altrimente, ma ba- stasse farlo armare quando il bisogno venisse. Ma Cammillo, e qualunche fusse savio come era esso, la giudica altri- mente; perchè non permette mai che una moltitudine pigli 1’ arme, se non cou certo ordine e certo modo. E però, iu su questo essempio, uno che sia prepo- sto a guardia d’ una città, debbe fug- gire come uno scoglio il fare armare gli uomini tumultuosamente; ma dcbbc prima avere scritti e scelti quelli che voglia s’ armino, chi gli abbino a ubbi- dire, dove a convenire, dove andare; ed a quelli che non sono scritti, comanda- re che stiano ciascuno alle case sue a Digitized by Google DEI DISCORSI 710 guardia di quelle. Coloro che terranno questo ordine in uiia città assaltata, fa- cilmente si potranno difendere: chi farà altrimenti, non imiterà Cammillo, e non si difenderà. » » Gap. XXXI. — Le repubbliche forti e gli uomini eccellenti ritengono in ogni fortuna il medesimo animo e la loro medesima dignità. .Intra 1* altre magnifiche cose che il nostro istorico fa dire e fare a Cammil- lo, per mostrare come debbo esser fatto un uomo eccellente, gii mette in bocca queste parole: iSec mi hi diclattira ani - mo8 fecilj nec exilium ademil. Per le quali parole si Yede, come gli uomini grandi sono sempre io ogni fortuna quelli medesimi ; e se la varia, ora con esaltargli ora con opprimergli, quelli non variano, ma tengono sempre P ani- mo fermo, ed in tal modo congiunto con il modo del vivere loro, che fncil- Digitized by Google ♦ LIBRO TERZO. 711 mente si conosce per ciascuno, la for- tuna non aver potenza sopra di loro. Altrimenti si governano gli uomini de- boli; perchè invaniscono ed inebriano nella buona fortuna, attribuendo tutto il bene che gli hanno a quelle virtù che ' non conobbero mai. D’onde nasce che diventano insopportabili ed odiosi a tutti coloro che gli hanno intorno. Da che poi dipende la subita variazione della sorte; la quale come veggono in viso, caggiono subito nell’ altro difetto, e di- ventano vili ed abietti. Di qui nasce che i principi così fatti pensano nella av- versità più a fuggirsi che a difendersi, come quelli che per aver male usata la buona fortuna, sono ad ogni difesa im- preparati. Questa virtù e questo vizio, eh’ io dico trovarsi in uno uomo solo, si trova ancora in una repubblica: ed in fessempio ci sono i Romani ed i Vini- ziani. Quelli primi, nessuna cattiva sorte gli fece mai divenire abietti, nè nessu- na buona fortuna gli fece mai essere in- Digitized by Google 7i-2 DEI DISCORSI solenti; come si vidde manifestamente dopo la rotta eli’ egli ebbouo a Canile, e dopo la vittoria eli’ egli ebbono con- tea ad Antioco; perchè per quella rot- ta, ancora che gravissima per esser stata la terza, non invilirono mai; e mandarono fuori eserciti; non volleno riscattare i loro prigioni contra agli or- dini loro; non mandarono ad Annibaie o a Cartagine a chiedere pace : ma, la- sciate stare tutte queste cose abiette in- dietro, pensarono sempre alla guerra ; armando, per carestia d’ uomini, i vec- chi ed i servi loro. La qual cosa cono- sciuta da Annoile cartaginese, come di sopra si disse, mostrò a quel Senato quanto poco conto s’ aveva a tenere della rotta di Canne. E così si vidde come i tempi difficili non gli sbigottiro- no, nè gli renderono umili. Dall’ altra parte, i tempi prosperi non gli fecero insolenti; perchè mandando Antioco ora- tori a Scipione a chiedere accordo, avanti che fussino venuti alla giornata, Digitized by Google LIBRO TERZO. 713 e eh' egli avesse perduto, Scipione gli delle certe condizioni della pace; quali erano che si ritirasse dentro alla Siria, ed il resto lasciasse nello arbitrio de’ Ro- mani. Il quale accordo ricusando Antio- co, e venendo alla giornata, e perden- dola, rimandò ambasciadori a Scipione, con commissione che pigliassero tutte quelle condizioni erano date loro da) vincitore: ai quali non propose altri patti che quelli s’avesse offerti innanzi che vincesse; soggiungendo queste pa- role: quod Romani j si vincunluVj non minuunlur animi s ; ncc si vincimi in- solescere solent. Al contrario appunto di questo s’è veduto fare ai Yiniziani: i quali nella buona fortuna, parendo loro aversela guadagnata con quella virtù che non avevano, erano venuti a tanta inso- lenza, che chiamavano il re di Francia figliuolo di San Marco; non stimavano la Chiesa ; non capivano in modo alcu- no in Italia; e avevansi presupposto nel- 1’ animo d’ aver a fare una monarchia Digitized by Google 714 DEI DISCORSI simile alla romana. Dipoi, come la buo- na sorte gli abbandonò, e eli’ egli eb* bero una mezza rotta a Vaila dal re di Francia, pcrderono non solamente tutto lo Stato loro per ribellione, ma buona parte ne dettero ed al papa ed al redi Spagna per viltà ed abiezione d’animo; ed in tanto invilirono, che mandarono nmbasciadori allo imperadore a farsi (libatori; e scrissono al papa lettere piene di viltà, e di sommissione per muoverlo a compassione. Alla quale in* felicità pervennero in quattro giorni, e dopo una mezza rotta: perchè avendo combattuto il loro esercito, nel ritirarsi venne a combattere ed essere oppresso circa la metà; in modo che, l’uno de’ provveditori che si salvò, arrivò a Ve- rona con più di venticinquemila soldati, intra piè e cavallo. Talmentechè, se a Vinegia e negli ordini loro fusse stata alcuna qualità di virtù, facilmente si po- tevano rifare, e dimostrare di nuovo il viso alla fortuna ed essere a tempo o a Digitized by Googl LIBRO TERZO. 715 vincere, o a perdere più gloriosamente, o ad avere accordo più onorevole. Ma la viltà dell’ animo loro, causata dalla qua- lità de’ loro ordini non buoni nelle cose della guerra, gli fece ad un tratto per- dere lo Stato e 1’ animo. E sempre in- tervewà così a qualunque si governi come loro. Perchè questo diventare in- solente nella buona fortuna ed abietto nella cattiva, nasce dal modo del pro- ceder tuo, e dalla educazione, nella quale tu sei nudrito: la quale quando è de- bole c vana, ti rende simile a sè: quan- do-è stata altrimenti, ti rende ancora d’ un’ altra sorte; e facendoli migliore conoscitore del mondo, ti fa meno ral- legrare del bene, e meno rattristare del male. E quello che si dice d’ un solo, si dice di molti che vivono in una repub- blica medesima; i quali si fanno di quella perfezione, che ha il modo del vivere di quella. E benché altra volta si sia detto, come il fondamento di tutti gli Stali è la buona milizia ; e come do- Digitized by Google DEI DISCORSI 716 ve non è questa, non possono essere nè leggi buone, nè alcuna altra cosa buo- na ; non mi pare superfluo replicarlo : perchè ad ogni punto nel leggere que- sta istoria si vede apparire questa ne- cessità; e si vede come la milizia non puote essere buona, se la non è «ecci- tata; e come la non si può esercitare, se la non è composta di tuoi sudditi. Perchè sempre non si sta in guerra, nè si può starvi ; però conviene poterla cser-, citare a tempo di pace: e con altri che con sudditi non si può fare questo eser- cizio, rispetto alla spesa. Era Cammillo andato, come di sopra dicemmo, con l’esercito conira ai Toscani; ed avendo i suoi soldati veduto la grandezza dello esercito dei nimici, s’ erano tutti sbigot- titi, parendo loro essere tanto inferio- ri da non poter sostenere l’ impeto di quelli. E pervenendo questa mala dispo- sizione del campo agli orecchi di Cam- millo, si mostrò fuora, ed andando par- lando per il campo a questi ed a quelli Digitized by Googl LIBRO TERZO. 717 soldati, trasse loro del capo quella op- pinione; e nell’ultimo, senza ordinare altrimenti il campo, disse: Quod qinsque didicit, aiti consucvilj facict. E chi con- sidererà bene questo termine, e le pa- role disse loro, per inanimarli a ire con- tro al nimici, considererà come e’ non si poteva nè dire nè far fare alcuna di quelle cose ad uno esercito che prima non fusse stalo ordinato ed esercitato ed in pace ed in guerra. Perchè di quelli soldati che non hanno imparato a far cosa alcuna, non può un capitano fidar- si. e credere che faccino alcuna cosa che stia bene; e se gli comandasse un nuo- vo Annibaie, vi rovinerebbe sotto. Per- chè, non potendo un capitano essere mentre si fa la giornata in ogni parte, se non ha prima in ogni parte ordinato di potere avere uomini che abbino lo spirito suo, e bene gli ordini ed i modi del procedere suo, conviene di necessità che ci rovini. Se, adunque, una città sarà armata ed ordinata come Roma; c Digitized by Google DEI DISCORSI 718 che ogni dì ai suoi cittadini, ed in par* ticolare ed in pubblico, tocchi a fare isperienza c della virtù loro, e delia po- tenza della fortuna; interverrà sempre che in ogni condizione di tempo e’ siano dei medesimo animo, e manterranno la medesima loro degnila: ma quaudo e’ sia- no disarmati, e che si appoggeranno solo olii impeti della fortuna, e non alla propria virtù, varieranno col variare di quella, e daranno sempre di loro quello essempio che hanno dato i Viniziani. Gap. XXXII. — Quali modi hanno tentili alcuni a turbare una pace. Essendosi ribellate dal Popolo romano Circe» e V elitre, due sue colonie, sotto speranza d’ esser difese dai Latini; ed essendo dipoi vinti i Latini, e mancando di quelle speranze; consigliavano, assai cittadini che si dovesse mandare a Roma oratori a raccomandarsi al Senato : il qual partilo fu turbato da coloro che Digitized by Google LIBRO TKRZO. 719 erano stali autori della ribellione, i quali temevano che tutta la pena non si vol- tasse sopra le teste loro. E per tor via ogni ragionamento di pace, incitarono la moltitudine ad armarsi, ed a correr sopra i confini romani. E veramente, quando alcuno vuole o che uno popolo o un principe levi al tutto 1’ animo da uno accordo, non ci è altro modo più vero nè più stabile, che fargli usare qualche grave scelleratezza contro a co- lui con il quale tu non vuoi che l’ac- cordo si faccia : perchè sempre lo terrà discosto quella paura di quella pena che a lui parrà per lo errore commesso aver meritata. Dopo la prima guerra che i Cartaginesi ebbono coi Romani, quelli soldati che dai Cartaginesi erano stati adoperati in quella guerra in Si* cilia ed in Sardigna, fatta che fu la pa- ce, se ne andarono in Affrica; dovè non essendo satisfatti del loro stipendio, mos- sono l’armi contra ai Cartaginesi; e fatti di loro due capi, Nato e Spendio, Digitized by Google DEI DJSCOnSl 720 occuparono molte terre ai Cartaginesi, e molte ne saccheggiarono. I Cartagine- si, per tentare prima ogni altra via che la zuffa, mandarono a quelli ainbascia- dore Asdrubale loro cittadino, il quale pensavano avesse alcuna autorità con quelli, essendo stato per lo addietro lor capitano. Ed arrivato costui, e volendo Spendio e .Muto obbligare tutti quelli sol- dati a non sperare d’ aver mai più pace coi Cartaginesi, e per questo obbligarli alla guerra; persuasono loro, ch’egli era meglio ammazzare costui, con lutti i cittadini cartaginesi, quali erano ap- presso loro prigioni. Donde, non sola- mente gli ammazzarono, ma con mille supplizii in prima gli straziarono ; ag- giungendo a questa scelleratezza uno editto, che tutti i Cartaginesi che per lo avvenire si pigliassino, si dovessino in simil modo oecidere. La qual dilibera- zione ed esecuzione fece quello esercito crudele ed ostinato contra ai Cartagi- nesi. Digitized by Google Lier.O TLRZO. 721 Gap. XXXlll. — Egli è necessario , a vo- ler vincere una giornalaj fare lJ eser- cito confidente ed infra lorOj e con il capitano. A volere che uno esercito vinca una giornata, è necessario farlo confidente, in modo che creda dovere in ogni mo- do vincere. Le cose che lo fanno confi- dente sono: che sia armato ed ordinato bene; conoschinsi l’uno 1’ altro. Nè può nascer questa confidenza o questo ordi- ne, se non in quelli soldati che sono nati e vissuti insieme. Conviene che ’l capitano sia stimato, di qualità che con- fidino nella prudenza sua: e sempre confideranno, quando lo vegghino ordi- nato, sollecito ed animoso, e che tenga bene e con riputazione la maestà del grado suo: c sempre la manterrà, quan- do gli punisca degli errori, e non gli affatichi invano; osservi loro le promes- se; mostri facile la via del vincere; M fieni elli, Discorsi. — t . *0 Digitized by Google DEI DISCORSI 722 quelle cose che discosto potessino mo- strare i pericoli, le nasconda, le allegge- risca. Le quali cose osservate bene, sono cagione grande che P esercito confida, e confidando vince. Usavano i Romani di far pigliare agli eserciti loro questa con- fidenza per via di religione: donde na- sceva, che con gli augurii ed auspizii creavano i Consoli, facevano il dcletto, partivano con li eserciti, e venivano alla giornata: e senza aver fatto alcuna di queste cose, non inai arebbe un buon capitano e savio tentata alcuna fazione, giudicando d’ averla potuta perdere fa- cilmente, se i suoi soldati non avessero prima inteso gli dii essere dalla parte loro. E quando alcuno Consolo, o altro loro capitano, avesse combattuto contra agli auspizii, P arebbero punito; come e* punirono Claudio Pulero. E benché questa parte in tutte P istorie romane si conosca, nondimeno si pruova più certo per le parole che Livio usa nella bocca di Appio Claudio; il quale, dolen- Digitized by Google LIBRO TERZO. 723 dosi col popolo della insolenza de’ Tri- buni della plebe, e mostrando che me- diatiti quelli, gli auspizii e 1’ altre cose pertinenti alla religione si corrompeva- no, dice così : Etudaut nttnc licet reli - gionem. Quid cnim interest , si pulii non pasccnlur , si ex cavea tardine rxierint , si occinuerit avis ? Parva sunt hcec ; sed parva isla non contemnendoj major e* nostri maximam Itane Rcmpublicam fe- cerunt. Perchè in queste cose piccole è quella forza di tenere uniti e confidenti i soldati: la qual cosa è prima cagione d’ ogni vittoria. Nondi manco, conviene con queste cose sia accompagnata la virtù: altrimenti, le non vogliono. I Pre- nestini, avendo contra ai Romani fuori il loro esercito, se n* andarono ad al- loggiare in sul fiume d’ Allia, luogo do- ve i Romani furono vinti da* Franciosi ; il che fecero per metter fiducia nei loro soldati, e sbigottire i Romani per la fortuna del luogo. E benché questo loro partito fusse probabile, per quelle ra- Digitized by Google 724 DEI Disconsi gioni che di sopra si sono discorse ; nientedimeno il (ine della cosa mostrò, che la vera virtù non teme ogni mini- mo accidente. Il che l’ istorico benissi- mo dice con queste parole, in bocca po- ste del Dittatore, che parla così al suo Maestro de’ cavagli : Vides tu, fortuna illos fvelos ad Alliam conscdisse ; al tu, frelus armis animisque, invade mediani acietn. Perchè una vera virtù, un ordi- ne buono, una sicurtà presa da tante vittorie, non si può con cose di poco momento spegnere; nè una cosa vana fa lor paura, nè un disordine gli offen- de: come si vede certo, che essendo due Manlii consoli contra ai Volsci, per aver mandato temerariamente parte del cam- po a predare, ne seguì che in un tem- po e quelli che erano iti, e quelli che erano rimasti, si trovarono assediati; dal qual pericolo non la prudenza dei Consoli, ma la virtù de’ propri soldati gli liberò. Dove Tito Livio dice queste parole: Militimi, etiam sine reclorc , sta - Digitized by Google UDRÒ TERZO. 725 bilia virtus lutala est. Non voglio lascia- re indietro un termine usato da Fabio, sendo entrato di nuovo con V esercito in Toscana, per farlo confidente; giudi- cando quella tal fidanza esser più ne- cessaria per averlo condotto in paese nuovo, e contra a ninnici nuovi : che, parlando avanti la zuffa ai soldati, e detto eli* ebbe molte ragioni, mediante le quali e’ potevano sperare la vittoria, disse che potrebbe ancora loro dire certe cose buone, e dove e’ vedrebbono la vit- toria certa, se non fusse pericoloso il ma- nifestarle. Il qual modo come fu savia- mente usato, così merita d’essere imitato. Cap. XXXIV. — Quale fama o voce o oppiatone fa che il popolo comincia a favorire un cittadino: e se ei di- stribuisce i magistrati con maggior prudenza che un principe. Altra volta parlammo come Tito Man- lio, clic fu poi detto Torquato, salvò Lu- Digitized by Google 726 DEI DISCORSI ciò Manlio suo padre da una accusa clic gli aveva fatta Marco Pomponio tribuno della plebe. E benché il modo del sal- varlo fusse alquanto violento ed istraor- dinario, nondimeno quella Oliale pietà verso del padre fu tanto grata all’uni- versale, che non solamente non nc fu ripreso, ma avendosi a fare i Tribuni delle legioni, fu fatto Tito Manlio nel secondo luogo. Per il quale successo, credo che sia bene considerare il modo che tiene il popolo a giudicare gli uo- mini nelle distribuzioni sue; e che per quello noi veggiamo, se egli è vero quanto di sopra si conchiuse, che il popolo sia migliore distributore che un principe. Dico, adunque, come il popolo nel suo distribuire va dietro a quello che si dice d’uno per pubblica voce e fama, quando per sue opere note non lo conosce al- trimenti; o per presunzione o oppinione che s’ ha di 1 ni. Le quali due cose sono causate o dai padri di quelli tali, che per esser stati grandi uomini e valenti Digitized by Google LIBRO TERZO. 727 nelle città, si crede che i figliuoli deb- bino esser simili a loro, infino a tanto che per l’ opere di quelli non s’intende il contrario; o la è causata dai modi che tiene quello di chi si parla. I modi migliori che si possono tenere, sono : avere compagnia d’uomini gravi, di buoni co- stumi, e riputati savi da ciascuno. E per- chè nessuno indizio si può aver mag- giore d’uii uomo, che le compagnie con quali egli usa; meritamente uno che usa con compagnia onesta, acquista buon nome, perchè è impossibile che non ab- bia qualche similitudine con quella. 0 veramente s’ acquista questa pubblica fama per qualche azione istraordinaria e notabile, ancora che privata, la quale ti sia riuscita onorevolmente. E di tutte tre queste cose che danno nel principio buoua riputazione ad uno, nessuna la dà maggiore che questa ultima : perchè quella prima de’ parenti e de’ padri è sì fallace, che gli uomini vi vanno a rilento ; ed in poco si consuma, quando Digitized by Google 728 dei discorsi la virtù propria di colui che ha ad es- sere giudicato non I’ accompagna. La seconda che ti fa conoscere per via delle pratiche tue, è miglior della prima, ma è mollo inferiore alla terza ; perchè, in- fino a tanto che non si vede qualche segno che nasca da te, sta la riputa- zione tua fondata in su V oppili ione, la quale è facilissima a cancellarla. Ma quella terza, essendo principiata e fon- data in su le opere lue, ti dà nel prin- cipio tanto nome, che bisogna bene che tu operi poi molte cose contrarie a que- sto, volendo annullarla. Debbono, adun- que, gli uomini che nascono in una repubblica pigliare questo verso, ed in- gegnarsi con qualche operazione istraor- dinaria cominciare a rilevarsi. Il che molti a Roma in gioventù feciono o con il promulgare una legge che venisse in comune utilità ; o con accusare qualche pytente cittadino come transgressore delle leggi; o col fare simili cose nota- bili c nuove, di che s’ avesse a parlare. Digitized by Google LIBRO TERZO. 729 Nè solamente sono necessarie simili cose per cominciare a darsi riputazione, ma sono ancora necessarie per mantenerla ed accrescerla. Ed a voler fare questo, bisogna rinnovarle; come per tutto il tempo della sua vita fece Tito Manlio: perchè, difeso eh’ egli ebbe il padre tanto virtuosamente e straordinariamen- te, e per questa azione presa la prima reputazione sua, dopo certi anni com- battè con quel Francioso, e morto gli trasse quella collana d’oro che gli dette il nome di Torquato. Non bastò questo, che dipoi, già in età matura, ammazzò il figliuolo per aver combattuto senza licenza, ancora ch’egli avesse superato il nimico. Le quali tre azioni allora gli dettono più nome e per tutti i secoli lo fanno più celebre, che non lo fece alcuno trionfo, alcuna vittoria, di che egli fu or- natoquanto alcun altro Romano. E la ca- gione è perchè in quelle vittorie Manlio ebbe moltissimi simili; in queste partico- lari azioni n’ebbe o pochissimi o nessu- Digitized by Google 730 DEI DISCORSI no. A Scipione maggiore non arrecarono tanta gloria tutti i suoi trionfi, quanto gli dette l'avere, ancora giovinetto, in sul Tesino difeso il padre; e l’aver, dopo la rotta di Canne, animosamente con la spada sguainata fatto giurare più gio- veni romani, che ei non abbandonerei)- bono Italia, come di già intra loro ave- vano diliberato: le quali due azioni fu- rono principio alla riputazione sua, e gli fecero scala ai trionfi della Spagna e dell’ Affrica. La quale oppinione da lui fu ancora accresciuta, quando ei ri- mandò la figliuola al padre e la moglie al marito in Ispagna. Questo modo del procedere non è necessario solamente a quelli cittadini che vogliono acqui- star fama per ottenere gli onori nella loro repubblica, ma è ancora necessa- rio ai principi per mantenersi la ri- putazione nel principato loro : perchè nessuna cosa gli fa tanto stimare, quan- to dare di sè rari esempi con qualche fatto o detto raro, conforme al bene Digitized by Google LIBRO TERZO. 73 1 comune, il quale mostri il signore o magnanimo o liberale o giusto, e che sia tale che si riduca come in prover- bio intra i suoi soggetti. Ma, per tor- nare donde noi cominciammo questo discorso, dico come il popolo quando ei comincia a dare un grado ad un suo cittadino, fondandosi sopra quelle tre cagioni soprascritte, non si fonda male; ma quando poi gli assai essempi de’ buoni portamenti d’uno lo fanno più noto, si fonda meglio, perchè in tal caso non può essere che quasi mai s’ inganni, lo parlo solamente di quelli gradi che si danno agli uomini nel principio, avanti che per ferma isperienza siano cono- sciuti, o che passano da una azione ad un’altra dissimile: dove, e quanto alia falsa oppinione, e quanto alla corru- zione, sempre fanno minori errori che i principi. E perchè e’ può essere che i popoli s’ ingannerebbono della fama, della oppinione e delle opere d’ uno uomo stimandole maggiori che in verità Digitized by Google DEI DISCORSI 732 non sono; il che non interverrebbe ad uno principe, perchè gli sarebbe detto, e sarebbe avvertito da chi lo consiglias- se : perchè ancora i popoli non man- chino di questi consigli, i buoni ordi- natori delle repubbliche hanno ordinalo che, avendosi a creare i supremi gradi nelle città, dove fusse pericoloso met- tervi uomini insufficienti, e reggendosi la voglia popolare esser diritta a creare alcuno che fusse insuffiziente, sia lecito ad ogni cittadino, e gli sia imputato a gloria, di pubblicare nelle concioni i di- fetti di quello, acciocché il popolo, non mancando della sua conoscenza, possa meglio giudicare. E che questo si usasse a Roma, ne rende testimonio la ora- zione di Fabio Massimo, la quale ei fece al Popolo nella seconda guerra punica, quando nella creazione dei Consoli i favori si volgevano a creare Tito Otta- cilio;e giudicandolo Fabio insuffiziente a governare in quelli tempi il consolato, gli parlò contro, mostrando la insuffi* Digitized by Google UDRÒ TF.RZO. 733 ziciua sua ; tanto che gli tolse quel gra- do, e volse i favori del Popolo a chi più lo meritava che lui. Giudicano, adun- que, i popoli nella elezione a’ magistrati secondo quei contrassegni che degli uo- mini si possono aver più veri; e quando ei possono esser consigliati come i prin- cipi, errano meno che i principi; e quel cittadino che voglia cominciare ad avere i favori del popolo, debbe con qualche fatto notabile, come fece Tito Manlio, guadagnarseli. Cap. XXXV. — Quali perìcoli si portino nel farsi capo a consigliare una cosa ; e quanto ella ha più dello straordi- nario, maggiori pericoli vi si cor~ rono. Quanto sia cosa pericolosa farsi capo d’ una cosa nuova che appartenga a molti, e quanto sia difficile trattarla ed a condurla ; e condotta, a mantenerla, sarebbe troppo lunga e troppo alta ma- Digltized by Google DEI DISCORSI 734 leria a discorrerla: però, riserbandola a luogo più conveniente, parlerò solo di quelli pericoli che portano i cittadini, o quelli che consigliano uno principe a farsi capo d’ una diliberazione grave ed importante, in modo che tutto il consi- glio d’ essa sia imputato a lui. Perchè, giudicando gli uomini le cose dal fine, tutto il male che ne risulta, s’ imputa all’autore del consiglio; e se ne risulta bene, ne è commendato: ma di lunga il premio non contrappesa il danno. Il pre- sente Sultan Sali, dello Gran Turco, es- sendosi preparato (secondo che uè ri- feriscono alcuni che vengono de’ suoi paesi) di fare l’ impresa di Soria e di Egitto, fu confortato da un suo Rascia, quale ei teneva ai confini di Persia, d’an- dare contea al Sofi: dal quale consiglio mosso, andò con esercito grossissimo a quella impresa; ed arrivando in paese larghissimo, dove sono assai deserti e le fiumare rade, e trovandovi quelle diflìculta che già fecero rovinare molli Digitized by Google LIBRO TERZO. 735 eserciti romani, fu in modo oppressalo da quelle, che vi perdè per fame e per peste, ancora che nella guerra fusse su- periore, gran parte delle sue genti : tal- ché irato contro all’autore del consiglio, l’ammazzò. Leggesi, assai cittadini stati confortatori d’ una impresa, e per avere avuto quella tristo fine, essere stati man- dati in esilio. Fecionsi capi alcuni cit- tadini romani, che si facesse in Roma il Consolo plebeo. Occorse che il primo che uscì fuori con gli eserciti, fu rotto ; onde a quelli consigliatori sarebbe av- venuto qualche danno, se non fusse stata tanto gagliarda quella parte, in onore della quale tale diliberazione era venuta. È cosa adunque certissima, che quelli che consigliano una repubblica, e quelli che consigliano un principe, sono posti intra queste angustie, che se non con- sigliano le cose che paiono loro utili, o per la città o per il principe, senza ri- spetto, ei mancano dell’ uffìzio loro; se le consigliano, egli entrano nel pericolo Digitized by Google 736 DEI DISCORSI della vita e dello Stato: essendo lutti gli uomini in questo ciechi, di giudi- care i buoni e cattivi consigli dal fine. E pensando in che modo ei potessino fuggire o questa infamia o questo pe- ricolo, non ci veggo altra via che pi- gliar le cose moderatamente, e non ne prendere alcuna per sua impresa, e dire V oppinione sua senza passione, e senza passione con modestia difenderla : in modo che, se la città o il principe la segue, (die la segua volontario, e non paia che vi venga tirato dalla tua importunità. Quando tu faccia così, non è ragione- vole che un principe ed un popolo del tuo consiglio ti voglia male, non essendo seguito contra alla voglia di molti : perchè quivi si porta pericolo dove molti han- no contradetto, i quali poi nello infelice fine concorrono a farti rovinare. E se in questo caso si manca di quella gloria che si acquista nell’ esser solo contra molti a consigliare una cosa, quando ella sortisce buon fine, ci sono al riu- Digitized by Google LIBRO TERZO. 737 contro due beni : il primo, di mancare del pericolo ; il secondo, che se tu con- sigli una cosa modestamente, e per la contradizione il tuo consiglio non sia preso, e per il consiglio d’altrui ne se- guiti qualche rovina, ne risulta a te grandissima gloria. E benché la gloria che s’acquista de’ mali che abbia o la tua città o il tuo principe, non si possa godere, nondimeno è da tenerne qualche conto. Altro consiglio non credo si possa dare agli uomini in questa parte: per- chè consigliandogli che tacessino, e non dicessino I’ oppinione loro, sarebbe cosa inutile alla repubblica o ai loro principi, e non fuggirebbono il pericolo ; perchè in poco tempo diventerebbono sospetti: e ancora potrebbe loro intervenire co- me a quelli amici di Perse re dei Ma- cedoni, il quale essendo stato rotto da Paulo Emilio, c fuggendosi con pochi amici, accadde che nel replicar le cose passate, uno di loro cominciò a dire a Perse molti errori fatti da lui, che erano Machiavelli, Discorsi. — t. *7 Digitized by Google 73S DEI DISCORSI stati cagione della sua rovina; al quale Perse rivoltosi, disse: Traditore, si che tu hai indugiato a dirmelo ora ch’io non ho più rimedio; e sopra queste pa- role, di sua mano l’ammazzò. E cosi colui portò la pena d’essere stato cheto quando ci doveva parlare, e d’aver par- lato quando ei doveva tacere; nè fuggi il pericolo per non avere dato il con- siglio. Però credo che sia da tenere ed osservare i termini soprascritti. " Gap. XXXVI. — La cagione perchè « Fran- ciosi sono stali e sono ancora giudi- cati nelle zuffe da principio più che uomini j e dipoi meno che femmine. La ferocità di quel Francioso che pro- vocava qualunque Romano appresso al Piume Aniene a combatter seco, dipoi la zuffa falla intra lui e Tito Manlio, mi fa ricordare di quello che Tito Livio più volte dice, che i Franciosi sono ne principio della zuffa più che uomini, e Digitized by Google LIBRO TERZO. 739 nel successo di combattere riescono poi meno che femmine. E pensando donde questo nasca, si crede per molti che sia la natura loro così fatta: il che credo sia vero; ma non è per questo, che questa loro natura che gli fa feroci nel principio, non si potesse in modo con I* arte ordinare, che la gli mantenesse feroci infino nell’ ultimo. Ed a voler provare questo, dico come e’ sono di tre ragioni eserciti: V uno dove è furore ed ordine; perchè dall’ ordine nasce il furo- re e la virtù, come era quello dei Ro- mani: perchè si vede in tutte l’ istorie, clic in quello esercito era uno ordine buono, che v’ aveva introdotto una di- sciplina militare per lungo tempo. Per- chè in uno esercito bene ordinato, nes- suno debbe fare alcuna opera se non regolato: e si troverà per questo, che nello esercito romano, dal quale, avendo egli vinto il mondo, debbono prendere essempio tutti gli altri eserciti, non si mangiava, non si dormiva, non si mer- Digitized by Google 740 DEI DISCORSI calava, non si faceva alcuna azione o militare o domestica senza l'ordine del consolo. Perchè quelli eserciti che fanno altrimenti, non sono veri eserciti; c se fanno alcuna pruova, la fanno per fu- rore e per impeto, non per virtù. Mu dove è la virtù ordinata, usa il furore suo coi modi e co’ tempi; nè diflicultà veruna lo invilisce, nè gli fa mancare l'animo: perchè gli ordini buoni gli rinfrescano l’ animo ed il furore, nu- triti dalla speranza del vincere; la quale mai non manca, infìno a tanto che gli ordini stanno saldi. Al contrario inter- viene in quelli eserciti dove è furore c non ordine, come erano i franciosi : i quali tuttavia nel combattere mancavano; perchè non riuscendo loro col primo impeto vincere, e non essendo sostenuto da una virtù ordinata quello loro furore nel quale egli speravano, nè avendo fuori di quello cosa in la quale ei confidassi- no, come quello era raffreddo, manca- vano. Al contrario i Romani, dubitando Digitized by Google LIBRO TER 7.0. 741 meno dei pericoli per gli ordini loro buoni, non diffidando della vittoria, fer- mi ed ostinali combattevano col mede- simo animo e con la medesima virtù nel fine che nel principio: anzi, agitati dall’ arme, sempre s’ accendevano. La terza qualità d’eserciti, è, dove non è furore naturale, nè ordine accidentale: come sono gli eserciti nostri italiani de’ nostri tempi, i quali sono al tutto inutili; e se non si abbattono ad uno esercito che per qualche accidente si fugga, mai non vinceranno. E senza ad- durne altri essempi, si vede ciascuno di come ei fanno pruove di non avere alcuna virtù. E perchè con il testimo- nio di Tito Livio ciascuno intenda co- me debbe esser fatta la buona milizia, e come è fatta la rea; io voglio addurre le parole di Papirio Cursore, quando ei voleva punire Fabio maestro de’ cavalli, quando disse: Nano hominum y nano Deorum verecundiam hubcat ; non cdù da impcralorum^ non auspicio, obser- Digitized by Google 742 DEI DISCORSI ventar: sine commenta , vagì tnililcs in pacato , in hostico errcnt; immcmores sacramenti , se ubi velini exauctorenl / infrequentia deserant tigna ; ncque con - veniant ad edictum, nec discernant in- terdiuj nodo ; (equo, iniquo loco, jussu, injussu imperatorie pugncnt ; et non sigila, non ordines serventi lalroctnti modo, cieca et fortuita, prò solcami et sacrala rnilitia sit. Puossi per questo testo, adunque, facilmente vedere, se la milizia de’ nostri tempi è cieca e fortuita, o sacrata e solenne j e quanto le manca ad esser simile a quella die si può chiamar milizia ; e quanto ella è discosto da. es- sere furiosa ed ordinala come la roma- na, o furiosa solo come la franciosa. Cap. XXXVII. — Se le piccole battaglie innanzi alla giornata sono necessarie, e come si debbe fare a conoscere un nimico nuovo , volendo fuggire quelle. E’ pare che nelle azioni degli uomini, come altre volte abbiamo discorso, si Digitized by Google LIBRO TERZO. 743 tvuovi, oltre all’ altre diftìcultà, nel vo- ler condurre la cosa olla sua perfezio- ne, che sempre propinquo al bene sia qualche male, il quale con quel bene sì facilmente nasce, che pare impossibile poter mancare dell’ uno volendo I’ altro. E questo si vede in tutte le cose che gli uomini operano. E però s’ acquista il bene con diftìcultà, se dalla fortuna tu non se’ aiutato in modo, che ella con la sua forza vinca questo ordinario e naturale inconveniente. Di questo mi ha fatto ricordare la zuffa di Manlio Tor- quato e dei Fraucioso, dove Tito Livio dice: Tanti ca dimicatio ad universi belli eventtim momenti fuitj ut Gallo- rum excrciluSj relictis trepide castri s, in Tiburlem agrum , inox in Campaniam transierit. Perchè io considero dall’ un canto, che un buon capitano debbe fug- gire al tutto di operare alcuna cosa che, essendo di poco momento, possa fare cattivi effetti nel suo esercito: perchè cominciare una zuffa dove non si ope- Digitized by Google 744 DEI DISCORSI l ino tutte le forze e vi si arrisichi tutta la fortuna, è cosa al tutto temeraria; come io dissi di sopra, quando io dan- nai il guardare de’ passi. Dall’ altra parte io considero come capitani savi, quando ei vengono all’ incontro d’ un nuovo ni- mico, e che sia riputato, ei sono neces- sitati, prima che venghino alia giornata, far provare con leggieri zuffe ai loro soldati tali nimici; acciocché comincian- dogli a conoscere c maneggiare, perdino quel terrore che la fama e la riputa- zione aveva dato loro. E questa parte in un capitano è importantissima ; per- chè ella ha in sé quasi una necessità che ti constringe a farla, parendoti andare ad una manifesta perdita, senza aver prima fatto con piccole isperienze de- porre ai tuoi soldati quello terrore che la riputazione del nimico aveva messo negli animi loro. Fu Valerio Corvino mandato dai Romani con gli eserciti contro ai Sanniti, nuovi nimici, e che per lo addietro mai non avevano pro- Digitized by Google LIBRO TERZO. 745 vate 1* arme 1’ uno dell’ altro; dove dice Tito Livio, che Valerio fece fare ai Ro- mani coi Sanniti alcune leggieri zuffe: jV© eos novum bellutn , ne novus hoslis . lerreret. Nondimeno è pericolo grandis- simo, che restando i tuoi soldati in quelle battaglie vinti, la paura e la viltà non cresca loro, e ne conseguitino contrari effetti ai disegni tuoi; cioè che tu gli sbigottisca, avendo disegnalo d’ assicu- rarli: tanto che questa è una di quelle cose che ha il male sì propinquo al bene, e tanto sono congiunti insieme, che gli è facil cosa prendere l’ uno credendo pigliar P altro. Sopra che io dico, che • un buon capitano debbo osservare con ogni diligenza, che non surga alcuna cosa che per alcuno accidente possa torre Panimo alP esercito suo. Quello che gli può torre P animo è cominciare a per- dere; e però si debbe guardare dalle zuffe piccole, e non le permettere se non con grandissimo vantaggio e con certa speranza di vittoria ; non debbo Digitized by Google 746 ■ DEI DISCORSI fare impresa di guardar passi, dove non possa tenere tutto l’esercito suo: non debbe guardare terre, se non quelle che perdendole di necessità ne seguis- se la rovina sua; e quelle che guar- da, ordinarsi in modo, e con le guar- die d’ esse e con l’esercito, clic trat- tandosi della espugnazione di esse, ei possa adoperare tutte le forze sue; P altre debbe lasciare indifese. Perchè ogni volta che si perde una cosa che si abbandoni, e P esercito sia ancora in- sieme, e’ non si perde la riputazione della guerra, nè la speranza di vincerla: ma quando si perde una cosa che tu hai disegnata difendere, e ciascuno crede che tu la difenda, allora è il danno e la per- dita ; ed hai quasi, come i Franciosi, con una cosa di piccolo momento perduta la guerra. Filippo di Macedonia padre di Perse, uomo militare e di gran condi- zione ne’ tempi suoi, essendo assaltato dai Romani; assai de’ suoi paesi, i quali ei giudicava non potere guardare, ab- Digitized by Googl LIBRO TERZO. 747 bandonò e guastò scoine quello che, per essere prudente, giudicava più perni- cioso perdere la riputazione col non po- tere difendere quello che si metteva a difendere, che lasciandolo in preda al nimico, perderlo come cosa negletta. I Romani, quando dopo la rotta di Canne le cose loro erano afflitte, negarono a molti loro raccomandati e sudditi li aiuti, commettendo loro che si difendessino il meglio potessino. I quali partiti sono migliori assai, che pigliare difese, e poi non le difendere: perchè in questo par- tito si perde amici e forze; in quello, amici solo. Ma tornando alle piccole zuffe, dico che se pure un capitano è costretto per la novità del nimico far qualche zuffa, debbe farla con tanto suo vantaggio, che non vi sia alcun pericolo di perderla : o veramente far come Mario (il che è migliore partito), il quale andando con- tro ai Cimbri, popoli ferocissimi, che venivano e predare Italia, e venendo con uno spavento grande per la ferocità e Digitized by Google 748 DEI DISCORSI moltitudine loro, e per avere di già vinto un esercito romano ; giudicò Mario esser necessario, innanzi che venisse alla zuffa, operare alcuna cosa per la quale l’ eser- cito suo deponesse quel terrore che la paura del nimico gli aveva dato; e, co- me prudentissimo capitano, più che una volta collocò l’esercito suo in luogo donde i Cimbri con 1* esercito loro dovessino passare. E così, dentro alle fortezze del suo campo, volle che i suoi soldati gli vedessino, ed assuefacessino gli occhi alla vista di quello nimico ; acciochè, ve- dendo una moltitudine inordinata, piena di impedimenti, con arme inutili, e parte disarmati, si rassicurussino, e diventas- sino disiderosi della zuffa. 11 quale par- tito come fu da Mario saviamente preso, così dagli altri debbe essere diligente- mente imitato, per non incorrere in quelli pericoli che io di sopra dico, e non avere a fare come i Franciosi, qui ob rem parvi ponderis trepidi iti Ti- burietn agrum et in Campaniam trans- ed by Google Digiti LIBRO TERZO. 749 ierunt. E perchè noi abbiamo allegato in questo discorso Valerio Corvino, vo- glio, mediatiti le parole sue, nel seguente capitolo, come debbe esser fatto un ca- pitano, dimostrare. Cap. XXXVIII. — Come debbe esser fatto un capitano nel quale V esercito suo possa confidare. Era, come di sopra dicemmo, Valerio Corvino con 1’ esercito contea ai Sanniti, * nuovi nimici del Popolo romano: donde che, per assicurare i suoi soldati, e per fargli conoscere i nimici, fece fare ai suoi certe leggieri zuffe j nè gli bastando questo, volle avanti alla giornata parlar loro, e mostrò con ogni efficacia quanto e' dovevano stimare poco tali nimici, al- legando la virtù de’ suoi soldati e la pro- pria. Dove si può notare, per le parole che Livio gli fa dire, come debbe essere fatto un capitano in chi I’ esercito abbia a confidare j le quali parole sono queste: Digitized by Google 750 DEI DISCORSI Tutti ctiam intuerì cujtis ductu auspi- cioque ineunda pugna sii: ulritm qui audtcndus dumlaxat magnifìcus adhor- tator sit, ver bis tantum ferox , operimi mililarium expers ; an qui, et ipsc tela frodare, procedere ante signa, versavi media in mole pugna sciai. Facla mea, non dieta vos militcs sequi volo ; nec disciplinavi modo, sed cxcmplum ctiam a me potere , qui hac dextra tnihi tres consulalus, summamque laudem pepcri. Le quali parole considerate bene, inse- gnano a qualunque, come ei debbe pro- cedere a voler tenere il grado del capi- tano : e quello che sarà fatto altrimenti, troverà, con il tempo, quel grado, quando per fortuna o per ambizione vi sia con- dotto, torgli e non dargli riputazione; perchè non i titoli illustrano gli uomini, ma gli uomini i titoli. Debbesi ancora dal principio di questo discorso consi- derare, che se i capitani grandi hanno usato termini istraordinari a fermare gli animi d’uno esercito veterano quando Digitized by Google LIBRO TERZO. 751 coi nimici inconsueti debbe affrontarsi ; quanto maggiormente si abbia ad usare l’ industria quando si comandi uno eser-> cito nuovo, che non abbia mai veduto il nimico in viso. Perchè, se lo inusitato nimico allo esercito vecchio dà terrore, tanto maggiormente lo debbe dare ogni nimico ad uno esercito nuovo. Pure, s’ò veduto molte volte dai buoni capitani tutte queste diflìcultù con somma pru- denza esser vinte: come fece quel Gracco romano, ed Epaminonda tebano, de’quali altra volta abbiamo parlato, che con eserciti nuovi vinsono eserciti veterani ed esercitatissimi. I modi che tenevano, erano: parecchi mesi esercitargli in bat- taglie fìnte; assuefargli alla ubbidienza ed all’ ordine: e da quelli dipoi, con massima confidenza, nella vera zuffa gli adoperavano. Non si debbe, adunque, diffidare alcuno uomo militare di non poter fare buoni eserciti, quando non gli manchi uomini ; perchè quel prin- cipe che abbonda d’ uomini e manca di Digitized by Google 752 DEI DISCORSI soldati, debbe solamente, non della viltà degli uomini, ma della sua pigrizia e e poca prudenza dolersi. C*p. XXXIX. — Che un capitano debbe esser conoscitore dei eiti. Intra 1’ altre cose che sono necessarie ad un capitano d’ eserciti, è la cogni- zione dei sili e de’ paesi; perchè senza questa cognizione generale e particola- re, un capitano d’ eserciti non può be- ne operare alcuna cosa. E perchè tutte le scienze- vogliono pratica a voler per- fettamente possederle, questa è una che ricerca pratica grandissima. Questa pra- tica, ovvero questa particolare cognizio- ne, s’ acquista più mediatiti le cacce, che per verun altro esercizio. Però gli antichi scrittori dicono, che quelli ^roi che governarono nel loro tempo il mon- do, si nutrirono nelle selve e nelle cac- ce; perchè la caccia, oltre a questa co- gnizione, ti insegna infìttile cose che Digitized by Googli LIBRO TERZO. 753 sono nella guerra necessarie. E Seno- fonte, nella vita di Ciro, mostra che andando Ciro od assaltare il re d’ Arme- nia, nel divisare quella fazione, ricordò a quelli suoi, che questa non era altro che una di quelle cacce le quali molle volte avevano fatte seco. E ricordava a quelli che mandava in aguato su i monti, che gli erano simili a quelli eh’ anda- vano a tendere le reti in su i gioghi; ed a quelli che scorrevano per il piano, che erano simili a quelti che andavano a levare del suo covile la fera, acciocché, cacciata, desse nelle reti. Questo si dice per mostrare come le cacce, secondo che Senofonte appruova, sono una immagine d’ una guerra: e per questo agli uomini grandi tale esercizio è onorevole e ne- cessario. Non si può ancora imparare questa cognizione de’ paesi in altro co- modo modo che per via di caccia; per- chè la caccia fa a colui che 1’ usa sa- pere come sta particolarmente quel paese dove ei 1* esercita. E fatto che uno s’ è Machiavelli, Discorsi. — t . 48 Digitized by Google DEI DISCORSI 754 familiare bene una regione, con facilità comprende poi tulli i paesi nuovi j per- chè ogni paese ed ogni membro di quelli hanno insieme qualche conformità, in modo clic dalla cognizione d’ uno facil- mente si passa alla cognizione dell’ al- tro. Ma chi non ne ha ancora bene pra- tico uno, con difficoltà, anzi non mai se non con un lungo tempo, può conoscer 1’ altro. E chi ha questa pratica, in un voltar d’ occhio sa come giace quel pia- no, come surge quel monte, dove arriva quella valle, e tutte l* altre simili cose, di che ei ha per lo addietro fatto una ferma scienza. E che questo sia vero, ce lo mostra Tito Livio con lo essempio di Publio Decio; il quale essendo Tri- buno de’ soldati nello esercito che Cor- nelio consolo conduceva contro ai San- niti, ed essendosi il Consolo ridotto in una valle, dove l’ esercito dei Romani poteva dai Sanniti esser rinchiuso, e vedendosi in tanto pericolo, disse al Con- solo : Vtdes tuj Aule Corneli, cacume» Digltized by Google LIBRO TERZO. ‘V3 iilud supra hostcm ? arx ilici est spei salutisquc nostra, si eam fquoniam caa rcliquerc SamnitesJ impigre capimus. Ed innanzi a queste parole dette da Decio, Tito Livio dice: Publtus Dcctus, tribù - nus militimi , unum editum in saltu col - lenij immincnteni hostium castns , adilu arduum impedito agmini, expeditis haud difficilcm. Donde, essendo stato mandato sopra esso dal Consolo con tremila soldati, ed avendo salvo l’esercito romano j e dise- gnando, venendo la notte, di partirsi e sal- vare ancora sè ed i suoi soldati, gii fa dire queste parole: Ite niecum, ut dum lucis aliquid superest, quibus locts hostes prcesidia ponant, qua palcat hinc exitus, exploremus. Hcec ornnta sagulo militari amiclus, ne ducem circuire hostes no- larentj perlustrarli. Chi considererà, adunque, tutto questo testo, vedrà quanto sia utile e necessario ad un capitano sapere la natura de’ paesi: perché se Decio non gli avesse saputi e conosciuti, non arebbe potuto giudicare qual utile 756 DEI DISCORSI faceva pigliare quel colle allo esercito romano; uè arebbe potuto conoscere di discosto, se quel colle era accessibile o no ; e condotto che si fu poi sopra esso, volendosene partire per ritornare al Con- solo, avendo i nimici intorno, non arebbe dal discosto potuto speculare le vie dello andarsene, e li luoghi guardati dai ni- mici. Tanto che, di necessità conveniva, che Decio avesse tale cognizione per- fetta: la qual fece che con il pigliare quel colle, ei salvò l’esercito romano; dipoi seppe, scndo assedialo, trovare la via a salvare sè e quelli che erano stati seco. Cap. XL. — Come, usare la fraude nel maneggiare la guerra è cosa gloriosa. Ancoraché usare la fraude in ogni azione sia detestabile, nondimanco nel maneggiar la guerra è cosa laudabile e gloriosa; e parimente è laudato colui che con fraude supera il nimico, come Digitized by Google LIBRO TERZO. 757 quello che M supera con le forze. E ve- desi questo pei* il giudizio che ne fanno coloro che scrivono le vite degli uomini grandi, i quali lodano Annibaie e gli * altri che sono stati notabilissimi in si- mili modi di procedere. Di che per leg- gersi assai essempi, non ne replicherò alcuno. Dirò solo questo, che io non intendo quella fraudo essere gloriosa, che ti fa rompere la fede data ed i patti fatti; perchè questa, ancora che la ti acquisti qualche volta stalo e regno, co- me di sopra si discorse, la non ti acqui- sterà mai gloria. Ma parlo di quella fraudo che si usa con quel nimico che non si fida di te, e che consiste proprio nel maneggiare la guerra : come fu quella d’Annibale, quando in sul lago di Peru- gia simulò la fuga per rinchiudere il Consolo e lo esercito romano; e quando, per uscire di mano di Pabio Massimo, accese le corna dello armento suo. Alle quali fraudi fu simile questa che usò Ponzio capitano dei Sanniti, per rin- Digitized by Google 758 DEI DISCORSI chiudere 1’ esercito romano dentro alle forche Caudine-. i( quale avendo messo lo esercito suo a' ridosso dei monti, mandò più suoi soldati sotto vesti di pastori con assai armento per il piano; i quali sen-- do presi dai Romani, e domandati dove era l’esercito dei Sanniti, convennero tutti, secondo 1’ ordine dato da Ponzio, a dire come egli era allo assedio di No- terà. La qual cosa creduta dai Consoli, fece eh’ ei si rinchiusero dentro ai balzi caudini; dove entrati, furono subito as- sediati dai Sanniti. E sarebbe stata que- sta vittoria, avuta per fraude, glorio- sissima a Ponzio, se egli avesse seguitati i consigli del padre ; il quale voleva che i Romani o si salvassino liberamente, o si ammazzassino tutti, e che non si pi- gliasse la via del mezzo, qu ce neque ami- co* parai , ncque inimicos tollil. La qual via fu sempre perniziosa nelle cose di Stato; come di sopra in altro luogo si discorse. Digitized by Google LIBRO TERZO. 759 C*p. XLi. — Che la patria si debbo di- fendere o con ignominia o con glo- ria; ed in qualunque modo è ben di- fesa. Era, come di sopra s’è dello, il Con- solo e l’esercito romano assedialo dai Sanniti: i quali avendo proposto ai Ro- mani condizioni ignominiosissime; come era, volergli mettere sotto il giogo, e disarmati mandargli a Roma: e per que- sto stando i Consoli come attoniti, e tutto l’esercito disperato; Lucio Lentolo le- gato romano disse, che non gli pareva che fusse da fuggire qualunque partito per salvare la patria: perchè, consisten- do la vita di Roma nella vita di quello esercito, gli pareva da salvarlo in ogni modo; e che la patria è ben difesa in qualunque modo la si difende, o con ignominia, o con gloria : perchè salvandosi quello esercito, Roma era a tempo a cancel- lare l’ignominia: non si salvando, ancora Digitized by Google 760 DEI DISCORSI che gloriosamente morisse, era perduta Koma e la libertà sua. E così fu segui- tato il suo consiglio. La qual cosa me- rita d’ esser notata ed osservata da qua- lunque cittadino si truova a consigliare la patria sua: perchè dove si dilibera al tutto della salute della patria, non vi debbe cadere alcuna considerazione nè di giusto nè di ingiusto, nè di pie- toso, nè di crudele, nè di laudabile, nè di ignominioso; anzi, posposto ogni al- tro rispetto, seguire al tutto quel par- tito che li salvi la vita, e mantenghile la libertà. La qualcosa è imitata con i detti e con i fatti dai Franciosi, per difendere la maestà del loro re e la potenza del loro regno; perchè nessuna voce odono più impazientemente che quella che dicesse: il tal partito è ignominioso per il re; perchè dicono che il loro re non può patire vergogna in qualunque sua dili- berazione, o in buona o in avversa for- tuna: perchè se perde o se vince, tutto dicono esser cosa da re. Digitized by Google LIBRO TERZO. 761 Cap. XLII. — Che le promesse fatte per forza non si debbono osservare. ♦ » Tornati i Consoli con 1’ esercito di- sarmato e con la ricevuta ignominia a Roma, il primo che in Senato disse che la pace fatta a Cuudo non si do- veva osservare, fu il consolo Spurio Po- stumio; dicendo, come il Popolo romano non era obbligato, ma eh’ egli era bene obbligato esso, e gli altri che avevano promesso la pace : e però il Popolo vo- lendosi liberare da ogni obbligo, aveva a dar prigione nelle mani dei Sanniti lui e tutti gli altri che V avevano pro- messa. E con tanta ostinazione tenne que- sta conclusione, che il Senato ne fu con- tento; e mandando prigioni lui e gli altri in Sannio, protestarono ai Sanniti, la pace non valere. E tanto fu in que- sto caso a Postumio favorevole la for- tuna, che i Sanniti non lo ritennero; e ritornato in Roma, fu Postumio appresso Digitized by Google 762 DEI DISCORSI .ai Romani più glorioso per avere per- duto, che non fu l’onzio appresso ai San- niti per aver vinto. Dove sono da no- tare due cose ; 1* una, che in qualunque azione si può acquistar gloria, perchè nella vittoria s’ acquista ordinariamente; nella perdita s’ acquista o col mostrare tal perdita, non esser venuta per tua colpa, o per far subito qualche azione virtuosa che la cancelli : 1’ altra è, che non è vergognoso non osservare quelle promesse che ti sono state fatte pro- mettere per forza ; e sempre le promesse forzate che riguardano il pubblico, quan- do e’ manchi la forza, si romperanno, e fia senza vergogna di chi le rompe. Di che si leggono in tutte l’ istorie vari essempi, e ciascuno dì ne’ presenti tempi se ne veggono. E non solamente non si osservano intra i principi le promesse forzate, quando e* manca la forza ; ma non si osservano ancora tutte \* altre promesse, quando e’ mancano le cagioni che le fanno promettere. Il che se è cosa Digitìzed by Google LIBRO TERZO. 763 laudabile o no, o se da un principe si debbono osservare simili modi o no, largamente è disputato da noi nel no- stro trattato del Principe; però al pre- sente lo taceremo. Cap. XLIII. — Che gli uomini che nasco- no in una provincia , osservano per lutti i tempi quasi quella medesima natura. Sogliono dire gli uomini prudenti, e non a caso nè immeritamente, che cbi vuol veder quello che ha ad essere, con- sideri quello che è stato; perchè tutte le cose del mondo, in ogni tempo, hanno il proprio riscontro con gli antichi tem- pi. Il che nasce perchè essendo quelle operate dagli uomini che hanno ed eb- bero sempre le medesime passioni, con- viene di necessità che le sortischino il medesimo effetto. Vero è, che le sono P opere loro ora in questa provincia più virtuose che in quella, ed in quella più Digitized by Google DEI DISCORSI 764 che in questa, secondo la forma delia educazione nella quale quelli popoli hanno preso il modo del viver loro. Fa ancora facilità il conoscere le cose future per le passate; vedere una nazione lungo tempo tenere i medesimi costumi, essendo o continovamente avara, o continovamen- te fraudolenta, o avere alcun altro si* mile vizio o virtù. E chi leggerà le cose passale della nostra città di Firenze, e considererà ancora quelle che sono ne* prossimi tempi occorse, troverà i popoli tedeschi e franciosi pieni d’ avarizia, di superbia, di ferocia e di infcdelità; per- chè tutte queste quattro cose in diversi tempi hanno offeso molto la nostra città. E quanto alla poca fede, ognuno sa quante volte si dette danari al re Carlo Vili, ed egli prometteva rendere le fortezze di Pisa, c non mai le rendè. In che quel re mostrò la poca fede, e la assai ava- rizia sua. Ma lasciamo andare queste cose fresche. Ciascuno può avere inteso quello che segui nella guerra che fece Digitized by Google LIBRO TERZO. 765 il popolo fiorentino contea ai Visconti duchi di Milano; che essendo Firenze privo degli altri espedienti, pensò di condurre T iroperadore in Italia, il quale con la riputazione e forze sue assaltasse la Lombardia. Promise l’ imperadore ve- nire con assai gente, e far quella guerra contra ai Visconti, e difendere Firenze dalla potenza loro, quando i Fiorentini gli dessino centomila ducati per levarsi, e centomila poi che fusse in Italia. Ai quali patti consentirono i Fiorentini; e pagatogli i primi danari, e dipoi i secon- di, giunto che fu a Verona, se ne tornò indietro senza operare alcuna cosa, cau- sando esser restato da quelli che non avevano osservato le convenzioni erano fra loro. In modo che, se Firenze non fusse stata o constretla dalla necessità o vinta dalla passione, ed avesse letti e conosciuti gli antichi costumi de’borbari, non sarebbe stata nè questa nè molte altre volte ingannata da loro; essendo loro stati sempre a un modo, ed avendo Digitized by Google 760 DEI DISCORSI in ogni parte e con ognuno usati i me- desimi termini. Come e' si vede eh’ e’ fe- cero anticamente ai Toscani ; i quali essendo oppressi dui Romani, per essere stati da loro più volte messi in fuga e rotti; e veggendo mediami le loì* forze non poter resistere aìr impeto di quelli; convennero con i Franciosi che di qua dall' Alpi abitavano in Italia, di dar loro somma di danari, e che fussino obbli- gati congiugnere gli eserciti con loro, ed andare contea ai Romani: donde ne seguì che i Franciosi, presi i danari, non volleno dipoi pigliare l’ arme per loro, dicendo averli avuti non per far guerra coi loro nimici, ma perchè s’aste- nessino di predare il paese toscano. E così i popoli toscani, per l’ avarizia e poca fede dei Franciosi, rimasono ad un tratto privi de' loro danari, e degli aiuti che gli speravano da quelli. Talché si vede per questo essempio dei Toscani antichi, e per quello de’ Fiorentini, i Franciosi avere usati i medesimi termi- Digitized by Google L!BRO TERZO. 767 ni; e per questo facilmente si può con- ielturare, quanto i principi si possono fidare di loro. Cap. XLIV. — E' si ottiene con V impeto c con lJ audacia molte volte quello che con modi ordinari non si otterrebbe mai. Essendo i Sanniti assaltati dallo eser- cito di Roma, e non polendo con l’eser- cito loro stare alla campagna a petto ai Romani, diliberarono, lasciate guar- date le terre in Sannio, di passare con tutto V esercito loro in Toscana, la quale era in triegua coi Romani; e vedere per tal passata, se ei potevano con la pre- senza dello esercito loro indurre i To- scani a ripigliar 1’ arme ; il che avevano fregato ai loro ambasciadori. E nel par- lare che feeiono i Sanniti ai Toscani, nel mostrar, massime, qual cagione gli aveva indotti a pigliar 1* arme, usarono un termine notabile, dove dissono : Re- Digitized by Google 768 DEI DISCORSI bollasse j quod pax sci'vicnlibus gravior t quam liboris bcllum esset. E cosi, parie con le persuasioni, parte con la pre- senza dello esercito loro, gli indussono a pigliar 1* arme. Dove è da notare, che quando un principe disidera d’ ottenere una cosa da un altro, debbe, se l’ oc- casione lo patisce, non gli dare spazio a diliberarsi, e fare in modo ch’ei vegga la necessità della presta diliberazione: la quale è quando colui che è doman- dato vede che dal negare o dal differire ne nasca una subita e pericolosa inde- gnazione. Questo termine s’ è veduto bene usare nei nostri tempi da papa lulio con i Franciosi, e da monsignor di Fois capitano del re di Francia col marchese di Mantova : perchè papa lulio volendo cacciare i Bentivogli di Bologna, e giudicando per questo aver bisogno delle forze franciose, e che i Yiniziani stessino neutrali j ed uvendone ricerco F uno e I’ altro, e traendo da loro ri- sposta dubbia e varia j diliberò col non Digitized by Google LIBRO TERZO. 769 dare lor tempo far venire I’ uno e l’al- tro nella sentenza sua : e, partitosi da Roma con quelle tante genti cli’ei potò raccozzare, n’ andò verso Bologna, ed a’Viniziani inandò a dire che stessino neutrali, ed ai re di Francia che gli mandasse le forze. Talché, rimanendo tutti ristretti dal poco spazio di tempo, e veggeudo come nel papa doveva na- scere una manifesta indegnazione difle- rendo o negando, cederono alle voglie sue; ed il re gli mandò aiuto, ed i Vi* uiziani si steltono neutrali. Monsignor di Fois, ancora, essendo con l’esercito ili Bologna, ed avendo intesa la ribel- lione di Brescia, e volendo ire alla ri- cuperazione di quella, aveva due vie ; F una per il dominio del re, lunga e tediosa; l’altra brievc per il dominio di Mantova: e non solamente era neces- sitato passare per il dominio di quel marchese, ina gli conveniva entrare per certe chiuse intra paludi e laghi, di che è piena quella regione, le quali con for- II acuì avelli, Discorsi. — 1. 49 Digitized by Google 770 DF.I DISCORSI lezzo cd altri modi erano serrate c guar- dale da lui. Onde che Pois, diliberalo d* andare }>er la più corta, e per vin- cere ogni di (Tic ulta nè dar tempo al mar- chese a diliberarsi, ad un tratto mosse le sue genti per quella via, cd al mar- chese significò gli mandasse le chiavi di quel passo. Talché il marchese, occu- pato da questa subita diliberazione, gli mandò le chiavi: le quali mai gli arebbe mandate se Pois più lepidamente si fussc governato, essendo quel marchese in lega eoi papa e coi Viniziani, ed avendo uu suo figliuolo nelle mani del papa; le quali cose gli davano molte oneste scuse a negarle. Ma assaltato dal subito par- tito, per le cagioni che di sopra si di- cono, le concesse. Cosi feciono i Toscani eoi Sanniti, avendo per la presenza del- T esercito di Sannio preso quelle arme che gli avevano negato per altri tempi pigliare. Digitized by GoOffll LIBRO TERZO. 77 1 Cap. XLV. — Qual sia miglior partito nelle giornale , o sostenere lf impeto de* nimicij c sostenuto urtargli ; ov- vero dapprima con furia assaltargli. Erano Decio e Fabio, consoli romani, con due eserciti all’ incontro degli eser- citi dei Sanniti e dei Toscani; e venendo alla zuffa ed alla giornata insieme, è da notare in tal fazione, quale di due di- versi modi di procedere tenuti dai due Consoli sia migliore. Perchè Decio con ogni impeto e cor» ogni suo sforzo as- saltò il nimico; Fabio solamente lo so- stenne, giudicando V assalto lento es- sere più utile, riserbando l' impeto suo nell’ ultimo, quando il nimico avesse perduto il primo ardore del combat- tere, e come noi diciamo, la sua foga. Dove si vede, per il successo della eosa, che a Fabio riuscì molto meglio il di- segno che a Decio : il quale si straccò nei primi impeti ; in modo che, veden- Digitized by Google 772 DEI DISCORSI do la banda sua piuttosto in volta die altrimenti, per acquistare con la morte quella gloria alla quale con la vittoria non aveva potuto aggiungere, ad imita- zione del padre sacrificò sè stesso per le romane legioni. La qual cosa intesa da Fabio, per non acquistare manco ono- re vivendo, che s’avesse il suo collega acquistato morendo, spinse innanzi tutte quelle forze che s’ aveva a tale necessità riservate ; donde ne riportò una felicis- sima vittoria. Di qui si vede che ’l modo del procedere di Fubio è più sicuro e più imitabile. Cap. XLVI. — Donde nasce che una fa- mìglia iìi una città tiene un tempo i medesimi costumi. E’ pare clic non solamente 1’ una città dall* altra abbi certi modi ed instituti diversi, e procrei uomini o più duri o più effeminati; ma nella medesima città si vede tal differenza esser nelle fumi- Digitized by Google LIBRO TERZO. 773 glie I’ una dall’ altra. H che si riscontra essere vero in ogni città, e nella città ili Roma se ne leggono assai essempi : perché e’ si vede i Manlii essere stati duri ed ostinati, i Pubi icoli uomini be- nigni ed amatori del popolo, gli Appii ambiziosi e ni mici della Plebe: e cosi molte altre famiglie avere avute ciascuna le qualità sue spartite dall’ altre. La qual cosa non può nascere solamente dal san- gue, perchè e’ conviene eh’ ei varii me- diante la diversità dei matrimoni; ma è necessario venga dalla diversa educa- zione che ha una famiglia dall’ altra. Perchè gl’ importa assai che un giova- netto dai teneri anni cominci a sentir dire bene o male di una cosa; perchè conviene che di necessità ne faccia im- pressione, e da quella poi regoli il modo del procedere in tutti i tempi della vita sua. E se questo non fosse, sarebbe im- possibile che tutti gli Appii avessino avuta la medesima voglia, c Rissino stati agitati dalle medesime passioni, come Digitized by Google 774 DF.I DISCORSI* nota Tilo Livio in molti di loro: e per ultimo, essendo uno di loro fatto Cen- sore, ed avendo il suo collega alla fine de* diciotto mesi, come ne disponeva la legge, deposto il magistrato, Àppio non lo volle deporre, dicendo che lo poteva tenere cinque anni secondo la prima legge ordinata dai Censori. E benché sopra questo se ne facessero assai con- cioni, e se ne generassino assai tumulti, non pertanto ci' fu mai rimedio che vo- lesse deporlo, conira alla volontà del Popolo e della maggior parte del Senato. E chi leggerà P orazione che gli fece contro Publio Sempronio tribuno della plebe, vi noterà tutte l’ insolenze oppiane, e tulle le bontà ed umanità usale da in- finiti cittadini per ubbidire alle leggi ed agli auspicii della loro patria. Digitized by Googl LIBRO TERZO. 775 Cap. XLVII. < — Che un buon cittadino per amore della patria debbo dimen- ticare l* ingiurie private. Era Manlio consolo con l’esercito con- ira ai Sanniti* ed essendo stato in una zuffa ferito, e per questo portando le genti sue pericolo, giudicò il Senato es- ser necessario mandarvi Papirio Cur- sore dittatore, per sopplire ai difetti del Consolo. Ed essendo necessario che ’l Dittatore fusse nominato da Fabio, il quale era con gli eserciti in Toscana; e dubitando, per essergli nimico, che non volesse nominarlo; gli mandarono i Se- natori due ambasciadori a pregarlo, che, posti da parte gli privati odii, dovesse per benefìzio pubblico nominarlo. Il che Fabio fece, mosso dalla carità della pa- tria; ancora che col tacere e con mol- ti altri modi facesse segno che tale nominazione gli premesse. Dal quale debbono pigliare essempio tutti quelli, Digitized by Google 776 DEI DISCORSI che cercano d* essere tenuti buoni cit- tadini. Cap. XLVJII. — Quando si vede fare uno errore grande ad un nimico , si debbe credere che vi sia sono in- ganno. Essendo rintaso Fulvio Legato nello esercito che i Romani avevano in To- scana, per esser ito il Consolo per al- cune cerimonie a Roma; i Toscani, per vedere se potevano avere quello alla tratta, posono un aguato propinquo ai campi romani, e mandarono alcuni sol- dati con veste di pastori con assai ar- mento, e gli feciono venire alla vista dello esercito romano: i quali così tra- vestiti si accostarono allo steccato del campo; onde il Legato meravigliandosi di questa loro presunzione, non gli pa- tendo ragionevole, tenne modo ch’egli scoperse la fraude; e cosi restò il di* >igno de Toscani rotto. Qui si può co- Digitized by Google LIBRO TERZO. 777 moramente notare, che un capitano di eserciti non debbe prestar fede ad uno errore che evidentemente si vegga fare al nimico: perchè sempre vi sarà sotto fronde, non sendo ragionevole che gli uomini siano tanto incauti. Ma spesso il disiderio del vincere acceca gli animi degli uomini, che non veggono altro che quello pare facci per loro. I Franciosi avendo vinti i Romani ad Allia, e ve- nendo a Roma, e trovando le porte aperte e senza guardia, stettero tutto quel giorno e la notte senza entrarvi, temendo di fraude, e non potendo credere clic fusse tanta viltà c tanto poco consiglio ne’ petti romani, che gli nbbandonassino la patria. Quando nel 4508 s’andò per gli Fiorentini a Risa a campo, Alfonso del Mutolo, cittadino pisano, si trovava pri- gione dei Fiorentini, e promise che s’egli era libero, darebbe una porta di Pisa all’esercito fiorentino. Fu costui libero. Dipoi, per praticare la cosa, venne molte volte a parlare coi mandati dc’commis- Digitized by Google 778 DEI DISCORSI sari; e veniva non di nascosto, ma sco- perto, ed accompagnato da’ Pisani; i quali lasciava da parte, quando parlava eoi Fiorentini. Talmentechè si poteva conietturare il suo animo doppio ; per- chè non era ragionevole, se la pratica fussc stata fedele, eh’ egli 1’ avesse trat- tata sì alla scoperta. .Ma il disiderio che s* aveva d’ aver Pisa, accecò in modo i Fiorentini, che condottisi con l’ ordine suo alla porta a Lucca, vi lasciarono più loro capi ed .altre genti con diso- nore loro, per il tradimento doppio che fece detto Alfonso. Cap. XLIX. — Una repubblica, a volerla mantenere libera, ha ciascuno di bi- sogno di nuovi provvedimenti ; e per guali meriti Quinto Fabio fu chiamato Massimo. . E di necessità, come altre volte s’ è «letto, che ciascuno dì in una città grande 'taschino' accidenti che abbino bisogno Digitized by Googl LIBRO TERZO. 779 elei medico ; e secondo che gli importano più, conviene trovare il medico più savio. E se in alcune città nacquero mai si- mili accidenti, nacquero in t\oma e strani ed insperati; come fu quello quando e’ parve cha tutte le donne romane aves- sino congiurato contra ai loro mariti d’ ammazzargli : tante se ne trovò clic gli avevano avvelenati, e tante eh’ ave- vano preparato il veleno per avvelenar- gli. Come fu ancora quella congiura de’ Baccanali, clic si scopri nel tempo della guerra macedonica, dove erano già in- viluppati molti migliaia d’ uomini e di donne; e se la non si scopriva, sarebbe stata pericolosa per quella città ; o sep- pure i Romani non fussino stati con- sueti a gasligare le muititudiui degli uo- mini erranti: perchè, quando e’ non si vedesse per altri infiniti segni la gran- dezza di quella Repubblica, e la potenza delle esecuzioni sue, si vede per la qua- lità della pena che la imponeva a chi errava. Nè dubitò far morire per via di Digitized by Google DEI DISCORSI 780 giustizia una legione intera per volta, ed una città tutta; e di confinare otto o diecimila uomini con condizioni straor- dinarie, da non essere osservate da un solo, non che da tanti: come intervenne a quelli soldati che infelicemente ave- vano combattuto a Canne, i quali con- finò in Sicilia, c impose loro che non alkergassino in terre, e che mangias- sino ritti. Ma di tutte 1’ altre esecuzioni era terribile il decimare gli eserciti, dove a scorte da tutto uno esercito era morto d’ogni dieci uno. Nè si poteva, a gasli- gare una multit udine, trovare più spa- ventevole punizione di questa. Perchè quando una moltitudine erra, dove non sia 1’ autore certo, tutti non si possono gastigare, per esser troppi; punirne parte e parte lasciare impuniti, si fa- rebbe torto a quelli che si punissino, e gli impuniti arebbono animo di errare un’ altra volta. Ma ammazzare la decima parte a sorte, quando lutti la meritano, 0,1 ' è punito si duole della sorte; ehi Digitized by Google LIBRO TERZO. 781 non è punito, ha paura che un’ altra volta non tocchi a lui, c guardasi di er- rare. Furono punite, adunque, le vene- fiche e le baccanali secondo che meri- tavano i peccali loro. K. benché questi morbi in una repubblica faccino cattivi effetti, non sono a morte, perchè sempre quasi s’ ha tempo a correggerli : ma non s’ ha già tempo in quelli che riguardano lo Stato, i quali se non sono da un pru- dente corretti, rovinano la città. Erano in Roma, per la liberalità che i Romani usavano di donare la civilità a’ forestieri, nate tante genti nuove, che le comin- ciavano avere tanta parte ne’ suffragi, che ’l governo cominciava a variare, e partivasi da quelle cose e da quelli uo- mini dove era consueto andare. Di che accorgendosi Quinto Fabio che era Cen- sore, messe tutte queste genti nuove da chi dipendeva questo disordine sot- to quattro Tribù, acciocché non po- tessino, ridotte in si piccioli spazi, corrompere tutta Roma. Fu questa cosa Digitized by Google 7S2 DEI DISCORSI — LIBRO TERZO. ben conosciuta da Fabio, e postovi sen* za alterazione conveniente rimedio; il quale fu tanto accetto a quella civi- lità, che meritò d’esser chiamato Mas* sirno. F I .v E. 962472 Digitized by Google INDICE. Niccolò Machiavelli a Zanobi Buondel- monti e Cosimo Rucellai salute. Pag. 1 Libro Primo. . I. Quali siano stati universalmente i principii di qualunque città, e quale fosse quello di Roma 9 II. Di quanto spezie sono le repubbliche, e di quale fu la Repubblica Romana. 1$ III. Quali accidenti facessino creare in Roma i Tribuni della plebe; il che fece la Repubblica più perfetta ... 30 IY. Che la disunione della Plebe e del Senato romano' fece libera e potente quella Repubblica ; . . . 33 Y. Dove più securamente si ponga la guardia della libertà, o nel Popolo o ne’ Grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere. . . 37 VI. Se in Roma si poteva ordinare uno Stato che togliesse via le inimicizie intra il Popolo ed il Senato 43 Digitized by Google SS .$®P 784 INDICE, VII. Quanto siano necessarie in una Re- pubblica le accuse per mantenere la libertà Pag. 53 Vili. Quanto lo accuse sono utili alle repubbliche, tanto sono perniziose le calunnie. hi IX. Come egli è necessario esser solo a volere ordinare una repubblica di nuovo, o al tutto fuori delli antichi suoi ordini riformarla 68 X. Quanto sono laudabili i fondatori d’una repubblica o d’uno regno, tanto quelli d’ una tirannide sono vitupera- bili 74 XI. Della religione de’ Romani 8*2 XII. Di quanta importanza sia tenero conto della religione, e come la Italia per esserne mancata mediante la Chie- sa romana, è rovinata 89 XIII. Come i Romani si servirono della religione per ordinare la città, e per seguire le loro imprese e fermare i tumulti . . 9.~> XIV. I Romani interpretavano gli au- spicii secondo la necessità, o con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non 1‘ osser- vavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, lo punivano 100 dio alle cose loro afflitte, ricorsono alla religione ~104 Digitized by Google INDICE. 7s: XVI. Un popolo USO a vivere sotto un principe, se per qualche accidente di- venta libero, con difficult-à mantiene la libertà. . ^ag. ^ XVII. Uno popolo corrotto, venuto in li- bertà, si può con dit'ticnltà grandis- sima mantenere libero LLH XVIII. In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere uno Stato libero, essendovi; o non essendovi, ordinar- velo XIX. Dopo uno eccellente principe si può mantenere un principe debole; ma dopo un debole, non si può con un altro debole mantenere alcun regno. 1*20 XX. Due continove successioni di prin- cipi virtuosi fanno grandi effettive come le repubbliche bene ordinate hanno di necessità virtuose succes- sioni: e però gli acquisti ed augu- menti loro sono grandi ~ • XXI. Quanto biasimo meriti quel prin- cipe e quella repubblica che manca d"armi proprie XXII. Quello che sia da notare nel caso dei tre Orazi romani, e dei tre Curiazi albani 133 1M 131 XXIII. Che non si debbe mettere a pe- ricolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e per questo, spesso il guar- dare i passi è dannoso XXIV. Le repubbliche bene ordinate Machiavelli, Discorsi. — 1. SO Digitized by Google 786 INDICE. costituiscono premii e pene a' loro cittadini, nè compensano mai P uno con r altro Pag. 143 XXV. Chi mole riformare nno Stato antico in una città libera, ritenga al- meno V ombra desmodi antichi . . . . HI XXVI. Un principe nnoro, in nna città o provincia presa da Ini, debbo faro ogni cosa nnova ♦ . 14y XXVII. Sanno rarissime volte gli nomi- ni essere al tutto tristi o al tatto buoni. Ini XXVIII. Per qual cagione i Romani fu- rono meno ingrati agli loro cittadini che gli Ateniesi 153 XXIX. Quale sia più ingrato, o un po- polo, o un principe 15<* XXX. Quali modi debbe usare un prìn- cipe o nna repubblica per fuggirò que- sto vizio della ingratitudine; e qnali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella 163 XXXI. Che i capitani romani per errore commesso non furono mai istraordi- nariamente puniti; nè furono inai an- cora puniti quando, per la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro» ne fussino seguiti danni alla repubblica, lfil XXXII. Una repubblica o nno principe non dobbe differire a beneficare gli uomini nelle sue necessitati. . . . . . ITI XXXIII. Quando uno inconveniente è Dlgitized by Google INDICE. 787 cresciuto o in uno Stato o contra ad uno Stato, è più salutifero partito tem- poreggiarlo che urtarlo P&g» XXXIV. L'autorità dittatoria fece tene, e non danno, alla repubblica romana : o come lo autorità che i cittadini si toP gono, non quelle che sono loro dai suffragi liberi date, sono alla- vita ci^ vile perniciose XXXV. La cagione perchè in Roma la creazione del decemvirato fu nociva alla libertà di quella repubblica, non ostante che fosse creato per suffragi pubblichi e liberi XXXVI. Non debbono i cittadini che hanno avuti i maggiori onori, sdegnarsi de' minori 113 ISO 186 139 XXXVII. Quali scandali partorì in Ro- ma la legge agraria: e come fare una legge in una repubblica che risguardi assai indietro, e sia contra ad una consuetudine antica della città, è scandolosissimo XXXVIII. Le repubbliche deboli sono male risolute, e non si sanno delibe- rare; e se le pigliano mai alcuno par- tito, nasce più da necessità che da elezione XXXIX. In diversi popoli si veggono spesso i medesimi accidenti . . rrr~. m XL. La creazione del decemvirato in Roma, e quello che in essa è da no- Digitized by Google 788 IXD1CE. tare: dove si considera, intra molte altre cose, come si può salvare per simile accidente, o oppressare una re- pubblica Pag. 200 XLI. Saltare dalla urailità alla superbia, dalla pietà alla crudeltà, senza debiti mezzi, è cosa imprudente ed inutile. 221 XLII. Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere . * 222 XLIII. Quelli che combattono per la glo- ria propria, sono buoni e fedeli soldati 223 XL1Y. Una moltitudine senza capo è inutile: e non si debbe minacciare prima, e poi chiedere P autorità . . . 225 XLY. È cosa di malo esempio non os- servare una legge fatta, e massime dallo autore d'essa: e rinfrescare ogni dì nuove ingiurie in una città, è a chi la governa dannosissimo 227 XLYI. Gli uomini salgono da un' ambi- zione ad un'altra; e prima si cerca non essere offeso, dipoi di offendere altrui 231 XLVII. Gli uomini, ancora che si ingan- nino ne’ generali, nei particolari non si ingannano 235 XLYIII. Chi vuolo che uno magistrato non sia dato ad un vile o ad un tri- sto, lo facci domandare o ad un troppo vile e troppo tristo, o ad uno troppo nobile e troppo buono 242 XLIX. Se quelle città che hanno avuto Digitized by Google INDICE. 789 il principio libero, come Roma, hanno difficoltà a trovare leggi che le man- tenghino; quelle che lo hanno im- mediate servo, ne hanno quasi una impossibilita Pag. 2411 L. Non debbo uno consiglio o uno ma- gistrato potere fermare le azioni della città 249 LT. Una repubblica o uno principe debbo mostrare di fare per liberalità quello a che la necessità lo constringe ... 251 LII. A reprimere la insolenza di uno che sorga in una repubblica potente, non vi è piu securo e meno scando- loso modo, che preoccuparli quelle vie per lo quali o’vieno a quella potenza. 253 LIII. Il popolo molte volto desidera la rovina sua, ingannato da una falsa spezie di bene : e come le grandi spe- ranze e gagliardo promesse facilmente lo muovono 25S LIV. Quanta autorità abbia uno uomo grande a frenare una moltitudine 2fìfi LY. Quanto facilmente si conduchino le cose in quella città dove la moltitu- dine non è corrotta: e che dove è eqnalità, non si può faro principato; e dove la non è, non si può far re- pubblica 26S LVI. Innanzi che seguino i grandi acci- denti in una città o in una provin- Digitized by Google 700 ÌNDICE. eia, vengono segui che gli pronosti- cano, o Domini che gli predicono. Pag. 279 LV1I. La plebe insieme è gagliarda; di per se è debole 260 LVIII. La moltitudine è più savia e più costante che un principe 283 altri si può più fidare; o di quella fatta con una repubblica, o di quella fatta con nno principe 294 LX. Come il consolato o qualunque al- tro magistrato in Roma si dava senza rispetto di età 299 Libro Secondo. I. Quale fu più cagione dello imperio che acquistorono i Romani, o la virtù, o la fortuna 310 . II. Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come ostinatamente quelli difendevano la loro libertà. . . 31S III. Roma divenne grande città rovi- nando le città circonvicine, e rice- vendo i forestieri facilmente a' suoi onori 333 IV. Le repubbliche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare 335 lingue, insieme con 1~ accidente de-1 di- luvi o delle pesti, spegno la memo- ria dello cose, . 34.r> Digitized by Google IXD'.CE. 791 VI. Come i Romani procedevano nel fare la guerra Pag. 350 VII. Quanto terreno i Romani davano per colono 355 Vili. La cagione perchè i popoli si par- tono da’ luoghi patrii, ed inondano il paose altrui 356 IX. Quali cagioni comunemente faccino X. I danari non sono il nervo della guerra, secondo elio è la comune op- pinone 367 XI. Non è partito prudento fare amici- zia con un principe che abbia più oppinione che forze 374 assaltato, inferire, o aspettare la guerra 37fi XIII. Che si viene (li bassa a gran for- tuna più con la fraude, che con la forza t 385 XIV. Ingannansi molte volto gli uomini, credendo con la nmilità vincere la su- perbia 389 XV. Gli Stati deboli sempre fieno ambi- gui nel risolversi: e sempre le deli- berazioni lente sono nocive 392 XVI. Quanto i soldati ne’ nostri tempi si disformino dalli antichi ordini . 398 XVII. Quanto si debbino stimare dagli eserciti ne’ presenti tempi le artiglie- Digitized by Google 702 IKDlCE. rie ; e se quella oppinione che se ne ha in universale, è vera Pag. iiLZ XYIII. Come per I’ autorità de* Romani, e per lo essempio della antica mili- zia, si debbe stimare più le fanterie che i cavagli . 421 XIX. Che gli acquisti nelle repubbli- che non bene ordinate e che secondo la romana virtù non procedono, sono a rovina, non a esaltazione di esse . 431 XX. Quale pericolo porti quel principe o quella repubblica che si vale della milizia ausiliare a mercenaria . . . . 441 XXI. Il primo Pretore che i Romani mandarono in alcun luogo, fu a Capo- va, dopo quattrocento anni che co- minciarono a far guerra 445 XXII. Quanto siano false molte volte le oppinioni degli uomini nel giudicare le cose grandi 450 XXIII. Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno accidente che ne- cessitasse tal giudizio, fuggivano la via del mezzo 455 XXIY. Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili 464 XXV. Che Io assaltare una città disu- nita, per occuparla mediante la sua disunione, è partito contrario. . . . .479 XVI. Il vilipendio e l’improperio ge- nera odio contra a coloro che l’usa- no, senza alcuna loro utilità 482 Digitized by Google INDICE. 793 XXVII. Ai principi e repubbliche pru- denti debbe bastare vincere ; perchè il più delle volte, quando non basti, si perde Pag. 4S0* XXVIII. Quanto sia pericoloso ad una repubblica o ad uno principe non ven- dicare una ingiuria fatta contra al pubblico o contra al privato 492 XXIX. La fortuna accieca gli animi de- gli uomini, quando la non vuole che quelli si opponghino a’ disegni suoi . 49(5 XXX. Le repubbliche e gli principi ve- ramente potenti non comperano l' ami- cizie con danari, ma con la virtù e con la riputazione delle forzo .... 502 XXXI. Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi 509 XXXII. In quanti modi i Romani occu- pavano le terre 512 XXXIII. Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti le commis- sioni libere 519 Libro Terzo. I. A volere che una setta o una repub- blica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio. 524 II. Come gli è cosa sapientissima simu- lare in tempo la pazzia 535 III. Come egli è necessario, a voler mantenere una libertà acquistata di Digitized by Google 79-1 INDICE. nuovo, ammazzare i figliuoli di Bru- to Pag- 538 IV. Non vive sicuro un principe in un principato, mentre vivono coloro che ne sono stati spogliati 541 V. Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia ereditario di quello . 544 VI. Delle congiure 547 VII. Donde nasce che le mutazioni dalla libertà alla servitù, e dalla servitù alla libertà, alcuna n1 è senza sangue, alcuna n" è piena 595 Vili. Chi vuole alterare una repubbli- ca, debbo considerare il soggetto di quella 591 IX. Come conviene variare coi tempi, volendo sempre aver buona fortuna . 603 X. Che uu capitano non può fuggire la giornata, quando 1’ avversario la vuol fare in ogni modo 608 XI. Che chi ha a fare con assai, an- cora Che sia inferiore, purché possa sostenere i primi impeti, vince. . . . 617 XTI. Come un capitano prudente debbo imporre ogni necessità di combattere ai suoi soldati, e a quelli delli minici torla gol P0Ye 8*a Più confidare, o in nuo buono capitano che abbia l;eser- cp° debole, o in uno buono esercito che abbia il capitano debole . , . , . 629 Digitìzed by Google INDICE. 795 XIV Le invenzioni nuove che appari- scono nel mezzo della zuffa, e le voci nuove che si odono, quali effetti fac- cino Pag. 633 XV. Come uno e non molti siano pre- posti ad uno esercito, o come i più comandatori offendono 630 XVI. Che la vera virtù si va ne' tempi difficili a trovare; e ne* tempi facili non gli uomini virtuosi, ma quelli che per ricchezze o per parentado pre- vagliono, hanno più grazia 642 XVII Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in ammini- strazione e governo d’ importanza . . 648 XVIII. Nessuna cosa è più degna d' un capitano, che presentire i partiti del nimico 650 XIX. Se a reggere una moltitudine è più necessario lo ossequio che la pena. 656 XX. Uno essempio d'umanità appresso ai Falisci potette più d' ogni forza romana XXI. Donde nacque che Annibaie con diverso modo di procedere da Sci pio- ne, fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in Ispagna 662 XXII. Come la durezza di Manlio Tor- quato e l’umanità di Valerio Corvino acquistò a ciascuno la medesima gloria. . 669 Digitized by Google 796 indice. XXIII. Per quale cagione Cammillo fnsse cacciato di Roma ....... Pag^ 679 XXIV. La prolungazione degl1 imperi fece serva Roma . .... . 7 681 XXV. Della povertà di Cincinnato, e di molti cittadini romani 681 XXVI. Come per cagione di femmine si rovina uno Stato . 689 XXVII. Come e' si ha a nnire una città divisa; e come quella oppinione non è vera, che a tenere le città bisogna tenerle disunite 691 XXVIII. Che si debbe por mente alle opere de’ cittadini, perchè molte volte sotto un’opera pia si nasconde un prin- cipio di tirannide 697 XXIX. Che gli peccati dei popoli na- scono dai principi. 109 XXX. Ad uno cittadino che voglia nella sua repubblica far di sua autorità al- cuna opera buona, è necessario prima spegnere T invidia: e come, venendo il nimico, s’ha a ordinare la difesa d’ una città 708 XXXI. Le repubbliche forti o gli uo- mini eccellenti ritengono in ogni for- tuna il medesimo animo e la loro me- desima dignità 710 XXXII. Quali modi hanno tenuti alcuni a turbare una paco 718 XXXIII. Egli è necessario, a voler vin- cere una giornata, fare T esercito con- Digitized by Google 13 DICE . 71)7 Attente ed infra loro, e con il capi- _ tano Pag* '-1 XXXIV. Quale fama o voce o oppinione fa che il popolo comincia a favorire un cittadino: e se ei distribuisce i magistrati con maggior prudenza che un principe 72o XXXV. Quali pericoli si portino nel farsi capo a consigliare una cosa ; e quanto ella ha più dello straordinario, mag- giori pericoli vi si corrono . . . . ... 733 XXXVI. La cagione perchè i Franciosi sono stati e sono ancora giudicati nelle zuffe da principio più che uomi- ni, e dipoi meno che femmine .... 738 XXXVII. Se le piccolo battaglie innanzi alla giornata sono necessarie, e come si debbo fare a conoscere un nimico nuovo, volendo fuggire quelle .... 742 XXXVIII. Come debbe esser fatto un ca- pitano nel quale 1’ esercito suo possa confidare 749 XXXIX. Che un capitano debbe esser conoscitore dei siti 752 XL. Come usare la fraudo nel maneg- giare la guerra è cosa gloriosa. . . . 756 XLI. Che la patria si debbe difendere o con ignominia o con gloria; ed in qualunque modo è ben difesa 759 XLII. Che le promesse fatte per forza non si debbono osservare 761 Digitized by Google 798 INDICE. XLIII. Clie gli uomini che nascono in una provincia, osservano per tutti i tempi quasi quella medesima na- tura Pag. 763 XL1Y. E’ si ottiene con l'impeto e con 1’ audacia molte volte quello che con modi ordinari non si otterrebbe mai . 767 XLV . Qual sia miglior partito nelle gior- nate, o sostenere l'impeto de' nimici, e sostenuto urtargli; ovvero dappri- ma con furia assaltargli ...... 771 XLVI. Donde nasce che una famiglia in una città tiene un tempo i medesimi costumi 772 XLYII. Che un buon cittadino per amore della patria debbe dimenticare P in- giurie private 775 XLVIII. Quando si vede fare uno errore , grande ad un nimico, si debbe credere die vi sia sotto inganno 776 XLIX. Una repubblica, a volerla man- tenere libera, ha ciascuno di bisogno di nuovi provvedimenti; e per quali meriti Quinto Fabio fu chiamato Mas- simo 778 Digitized by Goocle \p Digitized by Google * ^ J x ,y . /yy- — ; ^ ; : ; :,,.^'.y'' .ryyy;$y 4 y.v • ■ xxx. '.V'j ■ ■ ' y 5 -• V.' , ^ • ,'N- ^ ••' . • NN .Ss- '^ . •■■ -NS : - y yy y^x -S '.xx yà » •• ■ ? ■' ' A ‘ V ' v 4 - >N> xx ' ^ x ' ^;. ^x y^x. J '. N-x yy. . y" v» '■> •% . y^y yyl;. ^ • • "y " ^ .#• :y\yN' ì I - • i . X,. y& <• : y>' , :xyy ' | ' . vi- x^' 5S' x'y.x yxy.yyy .cy:. 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