Il diritto pubblico ro¬ mano lascia, assai meglio del diritto privato, osser¬ vare le discontinuità e le suture, a testimonianza delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimu¬ lare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoc¬ cupazione costante dei Romani è di salvare la con¬ tinuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto il ricco contenuto degli acquisti posteriori. La città è per essi un più saldo organismo che non la jtóXi? dei Greci: il principio della sovranità popolare, come fondamento della costituzione, vi è assai più stabil¬ mente riconosciuto e presidiato, e, principalmente, le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere e quel prestigio monarchico, che vivamente impres¬ sionava un greco romanizzato come Polibio. Lo spi¬ rito militare è in gran parte causa della maggiore coesione e dell^ccentramento della vita pubblica; ma esso è anche il principio della espansione della città in più vaste associazioni politiche, aventi per base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse militare suggerisce infatti la prima grande federa- I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO <51 zione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello delle future aggregazioni. Il principio federale è quello che salva il nucleo della città, pur mirando oltre la sparsa vita citta¬ dina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa insieme con le sue conquiste. Il lento processo di assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dis¬ soluzione degli originari stati nazionali e indigeni e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea del decentramento amministrativo è certo una delle più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia tramandato; ma essa ha per l’antichità un valore anche maggiore che per noi, perché storicamente l’autonomia municipale è un passo importantissimo nella formazione del nuovo principio dello stato, che sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul ricono¬ scimento delle più minute unità cittadine, confluenti con la loro vita propria nel più vasto organismo politico. Si forma così una patria communis, che ha sotto di sé una patria particolare, domus od origo Questa doppia istanza della vita pubblica, che da una parte favorisce la profonda esigenza del self- government t dall’altra include il particolarismo lo¬ cale, come momento subordinato, nella più compren¬ siva vita statale, è una grande creazione romana. I Greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nes¬ suna idea superiore e comune; cosi perdettero il frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di 1 Mommsen. Le droit public romain. tr. fr., t. VI, parte 2*, Paris, 1889, pp. 417, 426. 32 LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in vita una folla di particolari in luogo di una univer¬ salità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera nettamente da quella dei Romani. Il municipio costituito in seno allo stato e subor¬ dinato allo stato è certo una delle manifestazioni dìù notevoli e feconde dell’età di Siila. Il periodo sillano rappresenta però ancora un’età di transizione tra i due momenti, della città e dello stato, quando I antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo questa via, fino all’età di Cesare, è rapido e sicuro. E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto del numero dei cittadini, mediante l’estensione del diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un nu¬ mero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza legalmente determinata in rapporto allo stato ro¬ mano; indipendenza, o meglio, autonomia ammini¬ strativa. Il processo di romanizzazione è sollecito per la sua stessa spontaneità: in presenza delle pro¬ gredite istituzioni romane, le città della provincia sono volontariamente tratte ad imitarle, abbando¬ nando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un se¬ gno della spontaneità di questo lavoro di assimila¬ zione è la scomparsa delle stesse tradizioni della religione locale nell’Occidente romano, come il drui¬ dismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come un premio ambito ciò che pure è suo interesse precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia spe¬ rare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO 33 suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gra¬ dazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità verso la capitale. La più grande forza di attrazione è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, for¬ manti la vera ossatura romana della vasta compagine imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio Gracco, autore di un primo grande disegno organico, a Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre patria. Il principio veramente romano che presiede a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal motto: ubicumque vicit Romanus, habitat 1 * 3 . Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configu¬ razione politica del grande stato federale sul Unire della repubblica, e prima che Cesare avesse stampato nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore, essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro con¬ gestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricon¬ dotto alla metropoli; i magistrati municipali di Roma sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non sono che un’appendice della capitale. Il rigido prin¬ cipio della conquista sforza fino alle estreme conse¬ guenze il potente particolarismo nazionale dal quale prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma, nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza nuova di sé, viene mortificata e depressa da una taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla na¬ zione dominante. Manca un’idea unica che attraversi e vivifichi tutte le membra del grande organismo; il legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto, riassumendosi nella forza deH’imperium, che sanci- 1 Sbn-ec., ad litio., 7, 7. \ 3 — De Ruggiero, La filosofia del cristianesimo - I. 34 LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza militare romana. Piccole città isolate e sterminati regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma non si preoccupa della vita che internamente si svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbi¬ trio di despoti indigeni *. Essa regna sul mondo, ma non lo governa; si appaga di un compito estrinseco di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci; la sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa defi¬ cienza veniva osservata specialmente dagli orientali, presso i quali erano più vive le esigenze della comu¬ nione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato. Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva portato molto più avanti il lavoro di unificazione del mondo, lamentava l’eccessiva materialità del governo romano, che si straniava ed alienava gli spiriti 1 2 . Una profonda trasformazione di regime s’inizia però con Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia al nazionalismo latino e fonda la nuova idea impe¬ riale, distaccandone il centro dal territorio di Roma e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge cesarea dei municipi comincia col parificare, in diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguen¬ temente, il significato della preminenza di Roma: questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle municipalità dell’impero, e le sue magistrature scen¬ dono al livello di semplici cariche municipali. La figura del monarca si distacca nettamente da quella del magistrato; non è più il princeps , cittadino tra 1 Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin. 1901, UI.'p. 110. 2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep. 54. * I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO 35 i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria autorità direttamente da Dio. Questa idea è affatto nuova allo spirito romano; Cesare l’attinge all’Oriente e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un significato teocratico e mistico, che viene accolto con diffidenza e senza convinzione dallo scetticismo frivolo dell’ultima età repubblicana, ma conquista l’età seguente, dominata da uno spirito di concen¬ trato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la sua fede viva ed ardente. Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità giuridica della vita: sotto il primo aspetto, egli è il re-dio, l’incarnazione vivente della divinità, che al¬ laccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri, tutto il mondo sottoposto; sotto l’aspetto giuridico, egli è il re-proprietario, al quale appartengono per diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quel¬ l’unità che i popoli sono incapaci di concepire sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza, essi la vedono incarnata e personificata nel Signore. In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spiri¬ tuale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un senso alla propria riunione sotto un giogo comune e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella vi¬ sione di un alto fine religioso di cui sono partecipi. Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto reli¬ gioso della sua missione : la sanctitas regum 1 è per lui il fondamento stesso del nuovo regime monar¬ chico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero. 1 Svet.. Jul. Caes., 6. 36 LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO Le conseguenze di questa premessa sono, per il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento politico e amministrativo, airindifferenza per la vita locale delle città e degli stati particolari, in una parola al regime del mero stato di polizia, subentra un regime accentratore, dove un sovrano assoluto vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull an¬ damento di tutte le cose del regno, che ormai gli appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle li¬ bertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio dominio. Una volta che il mondo non è più un aggre¬ gato inorganico di città, ma forma un’unità reale e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando all’autonomia che disgrega e disperde le forze. Cesare fu sul punto di realizzare questa vasta trasformazione politica; pero mancò non soltanto a lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria per portarla a compimento *. Più di tre secoli occor¬ reranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata; per il momento, gl’immediati successori rinunziano ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradata- mente ai loro fini. Augusto è, almeno all’apparenza, ben poco innovatore. Egli conserva integro il prin¬ cipio della sovranità popolare, ripristina le magistra¬ ture repubblicane sospese nel tempo della guerra civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea dell’impero emerge per lui dallo stesso regime poli¬ tico tradizionale, di cui porta a compimento lo spi¬ rito monarchico che già gli era immanente. Nella sua concezione, il principe è il primo cittadino tra i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome 1 Mommskn. Le drolt pnblic romain. cit., V, pp. 13, 18. MONDO ROMANO £ MONDO ELLENISTICO 37 cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradi¬ zione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o po¬ tenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclu¬ sivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa posizione preponderante dal punto di vista della forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sot¬ tratta giuridicamente al potere proconsolare — Au¬ gusto vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo, la magistratura più popolare e praticamente effi¬ cace '. Così, per via di successive sovrapposizioni di cariche preesistenti, come il pontificato e la cen¬ sura 1 2 oltre quelle già nominate, si forma il potere nuovo del principe, e si consolida con un prolunga¬ mento, dapprima limitato e poi indefinito, della durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di suscitare reazioni popolari; dopo il regime eccezio¬ nale della dittatura militare e del triumvirato, esso ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle ma¬ gistrature ordinarie. Alla monarchia vagheggiata da Cesare subentra, almeno in principio, una diarchia, una divisione del potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia viene separata in due parti, imperiale e senatoriale, con diversi magistrati; e al senato viene attribuita ramministrazione dell’ Italia, che Augusto non crede opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usur¬ pare le libertà della corrotta capitale e della lontana provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi 1 Mommsen, op. cit., V, p. 111. 2 Augusto rifiutò la censura, ma la riassunse Domiziano, per l'opportunità che gli offriva questa carica di influire sulla nomina del senato. 38 LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO italici. Di fatto però questa diarchia si converte gradatamente in una vera monarchia, perché l’im¬ peratore può esercitare una preponderante influenza sulla costituzione e sul funzionamento del senato, che finisce col divenire un passivo strumento nelle sue mani. Con felice incoerenza, Augusto però tien fermo al principio cardinale della concezione monarchica del suo grande predecessore, accettando l’idea della divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella della sovranità popolare, che informa di sé la nuova carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconosci¬ mento della sua divinità dopo la morte e la conse¬ guente attribuzione degli stessi onori riserbati agli dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati—.costi¬ tuisce la parte più importante della riforma religiosa di Augusto. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto, includendovi l’adorazione dello stesso imperatore vivente: una trasformazione piena di significato, perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia concezione occidentale della religione dei mani, che in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla, e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero completa e ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’impera¬ tore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un identico destino storico. A questo punto terminano le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono nella storia universale. Il migliore ammaestramento filosofico che ci vien ofTerto dalla conoscenza dello sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’ap¬ punto nella conquistata coscienza dell’unità e del- • * I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO 39 l’universalità del piano della storia, che vince la sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sem¬ pre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella vasta orbita della sua azione e a collaborare a una opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie particolari e che gli uomini accettano quasi come un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che li legava e li circoscriveva materialmente. Essa è una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una umanità ancora pregna di materialità ingombrante e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti con¬ tingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi com¬ piti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune; ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivela¬ zione che non si esaurisce in essa e crea forme di consapevolezza sempre più profonde.
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