Friday, May 31, 2024

GRICE E RUGGIERO

  Il diritto pubblico ro¬   mano lascia, assai meglio del diritto privato, osser¬  vare le discontinuità e le suture, a testimonianza  delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta  un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto  un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che  fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimu¬  lare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoc¬  cupazione costante dei Romani è di salvare la con¬  tinuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il  primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto  il ricco contenuto degli acquisti posteriori. La città  è per essi un più saldo organismo che non la jtóXi?  dei Greci: il principio della sovranità popolare, come  fondamento della costituzione, vi è assai più stabil¬  mente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,  le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere  e quel prestigio monarchico, che vivamente impres¬  sionava un greco romanizzato come Polibio. Lo spi¬  rito militare è in gran parte causa della maggiore  coesione e dell^ccentramento della vita pubblica;  ma esso è anche il principio della espansione della  città in più vaste associazioni politiche, aventi per  base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle  esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse  militare suggerisce infatti la prima grande federa-      I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO <51   zione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune  città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello  delle future aggregazioni.   Il principio federale è quello che salva il nucleo  della città, pur mirando oltre la sparsa vita citta¬  dina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa  insieme con le sue conquiste. Il lento processo di  assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla  civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dis¬  soluzione degli originari stati nazionali e indigeni  e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali  autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea  del decentramento amministrativo è certo una delle  più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia  tramandato; ma essa ha per l’antichità un valore  anche maggiore che per noi, perché storicamente  l’autonomia municipale è un passo importantissimo  nella formazione del nuovo principio dello stato, che  sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul ricono¬  scimento delle più minute unità cittadine, confluenti  con la loro vita propria nel più vasto organismo  politico. Si forma così una patria communis, che ha  sotto di sé una patria particolare, domus od origo  Questa doppia istanza della vita pubblica, che  da una parte favorisce la profonda esigenza del self-  government t dall’altra include il particolarismo lo¬  cale, come momento subordinato, nella più compren¬  siva vita statale, è una grande creazione romana. I  Greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose  colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono  tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nes¬  suna idea superiore e comune; cosi perdettero il  frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di    1 Mommsen. Le droit public romain. tr. fr., t. VI, parte 2*,  Paris, 1889, pp. 417, 426.       32    LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO    riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in  vita una folla di particolari in luogo di una univer¬  salità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera  nettamente da quella dei Romani.   Il municipio costituito in seno allo stato e subor¬  dinato allo stato è certo una delle manifestazioni  dìù notevoli e feconde dell’età di Siila. Il periodo  sillano rappresenta però ancora un’età di transizione  tra i due momenti, della città e dello stato, quando  I antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non  balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo  questa via, fino all’età di Cesare, è rapido e sicuro.  E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto  del numero dei cittadini, mediante l’estensione del  diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un nu¬  mero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime  consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza  legalmente determinata in rapporto allo stato ro¬  mano; indipendenza, o meglio, autonomia ammini¬  strativa. Il processo di romanizzazione è sollecito  per la sua stessa spontaneità: in presenza delle pro¬  gredite istituzioni romane, le città della provincia  sono volontariamente tratte ad imitarle, abbando¬  nando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti  inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un se¬  gno della spontaneità di questo lavoro di assimila¬  zione è la scomparsa delle stesse tradizioni della  religione locale nell’Occidente romano, come il drui¬  dismo nella Gallia.   Roma, da parte sua, è parca nel concedere come  un premio ambito ciò che pure è suo interesse  precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città  un’adeguazione politica completa, ma la lascia spe¬  rare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che  hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine      I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO 33    suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gra¬  dazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità  verso la capitale. La più grande forza di attrazione  è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, for¬  manti la vera ossatura romana della vasta compagine  imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani  coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio  Gracco, autore di un primo grande disegno organico,  a Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge  un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di  Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre  patria. Il principio veramente romano che presiede  a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal  motto: ubicumque vicit Romanus, habitat 1 * 3 .   Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configu¬  razione politica del grande stato federale sul Unire  della repubblica, e prima che Cesare avesse stampato  nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore,  essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro con¬  gestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricon¬  dotto alla metropoli; i magistrati municipali di Roma  sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non  sono che un’appendice della capitale. Il rigido prin¬  cipio della conquista sforza fino alle estreme conse¬  guenze il potente particolarismo nazionale dal quale  prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma,  nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza  nuova di sé, viene mortificata e depressa da una  taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla na¬  zione dominante. Manca un’idea unica che attraversi  e vivifichi tutte le membra del grande organismo; il  legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto,  riassumendosi nella forza deH’imperium, che sanci-    1 Sbn-ec., ad litio., 7, 7.   \   3 — De Ruggiero, La filosofia del cristianesimo - I.          34 LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO   sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza  militare romana. Piccole città isolate e sterminati  regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso  carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma  non si preoccupa della vita che internamente si  svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbi¬  trio di despoti indigeni *. Essa regna sul mondo, ma  non lo governa; si appaga di un compito estrinseco  di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci; la  sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello  sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa defi¬  cienza veniva osservata specialmente dagli orientali,  presso i quali erano più vive le esigenze della comu¬  nione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato.  Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva  portato molto più avanti il lavoro di unificazione del  mondo, lamentava l’eccessiva materialità del governo  romano, che si straniava ed alienava gli spiriti 1 2 .   Una profonda trasformazione di regime s’inizia  però con Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce  a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia  al nazionalismo latino e fonda la nuova idea impe¬  riale, distaccandone il centro dal territorio di Roma  e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge  cesarea dei municipi comincia col parificare, in  diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguen¬  temente, il significato della preminenza di Roma:  questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle  municipalità dell’impero, e le sue magistrature scen¬  dono al livello di semplici cariche municipali. La  figura del monarca si distacca nettamente da quella  del magistrato; non è più il princeps , cittadino tra   1 Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin.  1901, UI.'p. 110.   2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep. 54.        *    I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO 35   i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il  mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria  autorità direttamente da Dio. Questa idea è affatto  nuova allo spirito romano; Cesare l’attinge all’Oriente  e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un  significato teocratico e mistico, che viene accolto  con diffidenza e senza convinzione dallo scetticismo  frivolo dell’ultima età repubblicana, ma conquista  l’età seguente, dominata da uno spirito di concen¬  trato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla  all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la  sua fede viva ed ardente.   Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità  giuridica della vita: sotto il primo aspetto, egli è il  re-dio, l’incarnazione vivente della divinità, che al¬  laccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri,  tutto il mondo sottoposto; sotto l’aspetto giuridico,  egli è il re-proprietario, al quale appartengono per  diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quel¬  l’unità che i popoli sono incapaci di concepire  sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è  un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza,  essi la vedono incarnata e personificata nel Signore.  In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spiri¬  tuale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un  senso alla propria riunione sotto un giogo comune  e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella vi¬  sione di un alto fine religioso di cui sono partecipi.  Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto reli¬  gioso della sua missione : la sanctitas regum 1 è per  lui il fondamento stesso del nuovo regime monar¬  chico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza  e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero.    1 Svet.. Jul. Caes., 6.       36    LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO    Le conseguenze di questa premessa sono, per  il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento  politico e amministrativo, airindifferenza per la vita  locale delle città e degli stati particolari, in una  parola al regime del mero stato di polizia, subentra  un regime accentratore, dove un sovrano assoluto  vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull an¬  damento di tutte le cose del regno, che ormai gli  appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle li¬  bertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio  dominio. Una volta che il mondo non è più un aggre¬  gato inorganico di città, ma forma un’unità reale  e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino  per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando  all’autonomia che disgrega e disperde le forze.   Cesare fu sul punto di realizzare questa vasta  trasformazione politica; pero mancò non soltanto a  lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria  per portarla a compimento *. Più di tre secoli occor¬  reranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata;  per il momento, gl’immediati successori rinunziano  ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle  istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradata-  mente ai loro fini. Augusto è, almeno all’apparenza,  ben poco innovatore. Egli conserva integro il prin¬  cipio della sovranità popolare, ripristina le magistra¬  ture repubblicane sospese nel tempo della guerra  civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea  dell’impero emerge per lui dallo stesso regime poli¬  tico tradizionale, di cui porta a compimento lo spi¬  rito monarchico che già gli era immanente. Nella  sua concezione, il principe è il primo cittadino tra  i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli  anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome    1 Mommskn. Le drolt pnblic romain. cit., V, pp. 13, 18.        MONDO ROMANO £ MONDO ELLENISTICO    37    cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale  invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradi¬  zione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o po¬  tenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclu¬  sivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa  posizione preponderante dal punto di vista della  forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sot¬  tratta giuridicamente al potere proconsolare — Au¬  gusto vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più  tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo,  la magistratura più popolare e praticamente effi¬  cace '. Così, per via di successive sovrapposizioni di  cariche preesistenti, come il pontificato e la cen¬  sura 1 2 oltre quelle già nominate, si forma il potere  nuovo del principe, e si consolida con un prolunga¬  mento, dapprima limitato e poi indefinito, della  durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce  cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni  repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di  suscitare reazioni popolari; dopo il regime eccezio¬  nale della dittatura militare e del triumvirato, esso  ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle ma¬  gistrature ordinarie.   Alla monarchia vagheggiata da Cesare subentra,  almeno in principio, una diarchia, una divisione del  potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia  viene separata in due parti, imperiale e senatoriale,  con diversi magistrati; e al senato viene attribuita  ramministrazione dell’ Italia, che Augusto non crede  opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usur¬  pare le libertà della corrotta capitale e della lontana  provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi    1 Mommsen, op. cit., V, p. 111.   2 Augusto rifiutò la censura, ma la riassunse Domiziano,  per l'opportunità che gli offriva questa carica di influire sulla  nomina del senato.        38    LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO    italici. Di fatto però questa diarchia si converte  gradatamente in una vera monarchia, perché l’im¬  peratore può esercitare una preponderante influenza  sulla costituzione e sul funzionamento del senato,  che finisce col divenire un passivo strumento nelle  sue mani.   Con felice incoerenza, Augusto però tien fermo  al principio cardinale della concezione monarchica  del suo grande predecessore, accettando l’idea della  divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella  della sovranità popolare, che informa di sé la nuova  carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconosci¬  mento della sua divinità dopo la morte e la conse¬  guente attribuzione degli stessi onori riserbati agli  dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati—.costi¬  tuisce la parte più importante della riforma religiosa  di Augusto. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente  spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,  includendovi l’adorazione dello stesso imperatore  vivente: una trasformazione piena di significato,  perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia  concezione occidentale della religione dei mani, che  in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla,  e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente.   L’unificazione religiosa dell’impero completa e  ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’impera¬  tore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni  e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza  spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un  identico destino storico. A questo punto terminano  le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono  nella storia universale. Il migliore ammaestramento  filosofico che ci vien ofTerto dalla conoscenza dello  sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’ap¬  punto nella conquistata coscienza dell’unità e del-    • *    I. MONDO ROMANO E MONDO ELLENISTICO 39   l’universalità del piano della storia, che vince la  sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse  a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sem¬  pre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il  brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della  loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella  vasta orbita della sua azione e a collaborare a una  opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce  egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova  patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie  particolari e che gli uomini accettano quasi come  un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che  li legava e li circoscriveva materialmente. Essa è  una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una  umanità ancora pregna di materialità ingombrante  e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti con¬  tingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi com¬  piti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune;  ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivela¬  zione che non si esaurisce in essa e crea forme di  consapevolezza sempre più profonde. 

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