Thursday, May 23, 2024

Grice e Spaventa

 SCRITTI DI BERTRANDO SPAVENTA 

A. SCRITTI PUBBLICATI DALL'AUTORE 


1. Sulla quantità considerata nella sua espressione, in 
“Giornale abruzzese” [Napoli], maggio 1840, pp. 65-74. 


Allo stato attuale delle ricerche, è il primo scritto 
pubblicato da S. Un manoscritto dell’articolo — datato: 
Montecassino, giugno 1840, e firmato: B. De Laurentiis — è 
conservato nella Biblioteca civica di Bergamo in n. 116]. 


Il breve saggio non sviluppa argomenti di carattere 
filosofico; tratta dell'oggetto e dei metodi dell’analisi 
matematica, richiamando l’attenzione del lettore sulla 
cosiddetta “serie di Taylor”, introdotta dal matematico 
Brook Taylor nello scritto Metbodus incrementorum diretta 
et inversa (1715). 

Il saggio Sulla quantità è stato ristampato da Domenico 
D’Orsi nella raccolta degli Scritti inediti e rari di S. [123], 
pp. 11-20. 


2. Pensieri sull'insegnamento della filosofia, in “Il 
Costituzionale” [Firenze], nn. 253 e 254, 3 e 4 maggio 


2400 


1850. 


È il primo scritto di S., fin quI conosciuto, che tratti di un 
argomento filosofico. Fu scoperto da Gentile dopo la 
pubblicazione del suo Bertrando Spaventa [204], sicché non 
comparve nella riordinata e accresciuta bibliografia inserita 
nella monografia gentiliana. 

I Pensieri indicano nella filosofia della storia la dottrina 
capace di introdurre i giovani ad una retta comprensione 
della filosofia hegeliana; e costituiscono un documento 
importante per la ricostruzione del primo “programma” 
filosofico di S. Sono stati ristampati da Gentile [109] nel 
“Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91- 
99 (= Opere, III, pp. 831-846). 


3. II Socialismo e il Comunismo in Francia — 
supplemento alla storia del secolo per L. Stein Professore in 
Kiel. Prima versione dell'originale tedesco di Bertrando 
Spaventa, in “Il Nazionale” [Firenze], n. 218, 14 
settembre 1850; e in “Rivista italiana” [Torino], nuova 
serie, I, settembre 1850, pp. 332-333. 


È un “avviso” scritto da S. allo scopo di raccogliere 
sottoscrizioni per la sua traduzione — forse mai pubblicata — 
della nota opera di L. von Stein, Der Socialismus und 
Communismus des heutigen Frankreichs (1842, 1848; 
ampliata e ripubblicata nel 1850 col titolo: Geschichte der 
sozialen Bewegung in Frankreich vom 1789 bis auf unsere 
Tage). Il testo dell’avviso pubblicato nel “Nazionale” di 
Firenze è stato rintracciato e ristampato da Sergio Landucci, 
nel saggio I/ giovane Spaventa fra hegelismo e socialismo 
[282], pp. 693-695; quello, identico, apparso nella “Rivista 
italiana” di Torino, è stata, ripubblicato da Domenico 


2401 


D’Orsi, nella sua edizione degli Scritti inediti e rari di S. 
[123], pp. 27-29. 


4. Studti sopra la filosofia di Hegel, Torino 1851, pp. 78. 


In questo estratto sono raccolti due saggi apparsi sulla 
“Rivista italiana” [Torino], nuova serie, novembre e 
dicembre 1850. Sono firmati: Bertrando Spaventa; non sono 
stati mai ristampati integralmente (v. p. 1036). 


Gli Studi sono un documento di primaria importanza per 
intendere la direzione in cui si muovono le idee filosofiche 
del giovane S. Offrono al lettore, nella prima parte, una 
“idea generale” del sistema hegeliano, costruita attraverso 
brevi riassunti delle opere di Hegel; nella parte seconda, 
propongono una traduzione — che è una parafrasi, e, sia 
pure in modesta misura, un commento — della Vorrede alla 
Fenomenologia dello spirito. 


5. La rivoluzione e l’Italia: I. Diritto della rivoluzione, II 
I filosofi III. Le conquiste della rivoluzione, in “Il 
Progresso” [Torino], II, nn. 130, 135 e 141; 3, 8 e 15 
giugno 1851. 


Con questa serie di articoli si apre la collaborazione di S. 
al giornali torinese “Il Progresso”, un foglio di sinistra, del 
cui consiglio di direzione faceva parte Agostino Depretis. 
Un primo, importante gruppo di scritti ali S. dedicati alla 
polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, e 
pubblicati sullo stesso giornale, è stato identificato e 
ristampato da Gentile nel volume La lbertà di insegnamento 
[108]; nello stesso anno (1920), Gentile ristampava nella 
rivista “La Critica” le False accuse contro l hegelismo, due 
articoli del “Progresso” dei quali l’a. aveva annunziato la 


2402 


ristampa, con quel titolo, nella raccolta dei suoi Saggi di 
critica, interrotta dopo il primo volume [107, 77]. A questi 
scritti rintracciati da Gentile (il quale, nel 1924, scriveva che 
molti altri articoli anonimi dello Spaventa sono nello stesso 
giornale [“Progresso”], facili a identificare per la materia e 
per la forma”), si aggiungono ora, con La rivoluzione e 
l’Italia, altri articoli identificati da I. Cubeddu, che rende 
conto del suo lavoro nello scritto Bertrando Spaventa 
pubblicista (giugno-dicembre 1851) [275]. Nello stesso 
articolo (p. 52 sg., nota) sono elencati alcuni scritti del 
“Progresso” che, per il contenuto e per lo stile, potrebbero 
attribuirsi a S., ma per i quali non è stato possibile trovare 
ragioni più persuasive della loro paternità. 


Gli articoli scritti per il “Progresso” costituiscono il 
documento più interessante delle convinzioni etico-politiche 
del giovane filosofo; in quelli identificati da Cubeddu sono 
più evidenti le tracce della lettura del libro di Stein, Der 
Socialismus und Communismus, che S. si propose di 
tradurre. 

Oltre quella gentiliana, già citata, degli scritti sulla libertà 
di insegnamento e delle False accuse, si veda, in “Giornale 
critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 66 sgg., la 
ristampa, con il titolo Rivoluzione e utopia, della serie La 
rivoluzione e l’Italia, della serie Le utopie [12], e dell’artiilo 
Rousseau, Hegel, Gioberti [14]. 


6. L’Armonia e l’Assemblée Nationale: I. L'idea, ILL 
L’uomo, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 137 e 138, 11 
e 18 giugno 1851. 


Scritti in polemica con il quotidiano cattolico torinese 
“L’Armonia”, questi due articoli sono apparsi anonimi, e 


2403 


non sono stati fin qui ristampati [cfr. n. 275]. 


7. Il sedicente partito cattolico, in “Il Progresso” 
[Torino], II n. 143, 18 giugno 1851. 


Articolo non firmato; non è stato mai ristampato [cfr. n. 
275]. 


8. L'Accademia di filosofia italica, in “Il Progresso” 
[Torino], II, n. 147, 24 giugno 1851. 


Articolo identificato da Gentile nel suo Bertrando 
Spaventa [204], p. 38 sg. nota (= Opere, I, pp. 32 sg. n. 2), 
ma non incluso poi da lui nella biblioorafia degli scritti di S. 
Non è stato mai ristampato; ma cfr. n. 9. 

9. Una riunione dell’Accademia di filosofia italica, in “Il 
Progresso” [Torino], II, n. 150, 27 giugno 1851. 


Seguito dell’articolo precedente. Lo scritto è stato 
ristampato da Gentile nel volume La libertà di insegnamento 


[108], pp. 135-138 (= Opere, IIL pp. 765-769). 


10. La libertà di insegnamento [1851]. 


Gli scritti raccolti sotto questo titolo furono identificati 
dal Gentile, e da lui ristampati in un volume apparso nel 
1920 [108]. Sono tredici articoli, tutti dedicati alla polemica 
sulla libertà di insegnamento in Piemonte, che apparvero nel 
“Progresso” del 1851 (anno II), tra il 27 luglio e T'11 
dicembre. I primi cinque portano le date: 27 e 31 luglio, 7, 
20 e 24 agosto; altri due articoli, destinati Az corzpilatori 
della “Croce di Savoia”, sono del 3 e 12 settembre; gli ultimi 
sei, scritti in polemica col giornale “Risorgimento” (Filosofia 


2404 


politico-offaciale), sono del 5, 8, 11 e 30 novembre, e del 3 e 
11 dicembre. 


Sono probabilmente di S. altri tre articoli che riguardano 
la stessa materia, e che apparvero sul “Progresso” il 12 
agosto (Ura lezione ai fautori della libertà di insegnamento), 
il 4 ottobre (La lbertà di insegnamento e il ministro della 
Pubblica istruzione) e il 28 ottobre (La lbertà dei gesuiti) 
dello stesso anno. Cfr. I Cubeddu, Bertrando Spaventa 
pubblicista [275], p. 52 sg., nota. 


11. False accuse contro l’hegelismo [1851]. 


È il titolo sotto il quale S. intendeva raccogliere e 
ristampare, nei Saggi di critica [77], gli articoli: 

L’hegelismo messo in croce, in “Il Progresso” [Torino], II, 
n. 204, 29 agosto 1851. 

Lettere filosofiche. Lettera prima, in “Il Progresso” 
[Torino], 11, n. 239, 9 ottobre 1851. 


I due articoli, firmati: Uro studente di filosofia, enunciano 
o riprendono questioni discusse da S. dalle colonne del 
giornale torinese: la distinzione di socialismo, comunismo e 
hegelismo; il problema del rapporto tra il cosiddetto 
“panteismo” hegeliano e la libertà dell’individuo; quello del 
rapporto di religione e filosofia; l’idea della filosofia “come 
principio di rigenerazione nazionale”, ecc. Sono interessanti 
anche perché contengono molti riferimenti a testi di Hegel, 
di Schelling, di Giordano Bruno, di Karl L. Michelet, ecc. Il 
primo articolo è una risposta allo scritto di D. Berti: I/ 
diritto individuale e il panteismo in politica, apparso nel 
giornale “La Croce di Savoia”, di ispirazione cavouriana. 


S. non giunse a ristampare questi articoli, che furono 
ripubblicati dal Gentile nel 1920, con il titolo voluto 


2405 


dall’autore [107]. 


12. Le utopie, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 206, 
215, 223, 234, 237, 241; 31 agosto, II e 20 settembre, 3, 7 
e II ottobre 1851. 


Si tratta di sei articoli non firmati che, riprendendo da L. 
Stein la distinzione di “utopie” e “idee storiche”, discutono 
il significato delle lotte politiche e sociali degli ultimi 
sessant’anni. 


La serie è stata ripubblicata nel “Giornale critico della 
filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 67 sgg. [118]. 


13. La scienza de’ fratelli della dottrina cristiana, in “Il 
Progresso” [Torino], II, n. 298, 17 dicembre 1851. 


Anonimo, mai ristampato [cfr. n. 275]. 


14. Rousseau, Hegel, Gioberti, in “Il Progresso” 
[Torino], II, n. 305, 26 dicembre 1851. 


Pubblicato anonimo, questo articolo è dedicato alla 
discussione del rapporto che si istituisce tra “libertà 
oggettiva” e “libertà soggettiva” nelle dottrine di Rousseau, 
di Hegel e di Gioberti; e contiene interessanti riferimenti, 
oltre che a testi hegeliani, al Rinzovamento civile d'Italia. Le 
argomentazioni di S. si sviluppano secondo una linea 
identica a quella con cui lo stesso tema è introdotto nei 
precedenti Studi sopra la filosofia di Hegel [4]; lo stesso 
discorso svolgerà S. nel 1855, in un articolo di risposta al 
Tommaseo [51]. 


Lo scritto Rousseau, Hegel, Gioberti è ristampato nel 


2406 


“Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 
90-93 [118]. 


25. Principii della filosofia pratica di Giordano Bruno, in 
Saggi di filosofia civile, tolti dagli Atti dell’Accademia di 
filosofia italica, Genova 1852, pp. 440-470. 


S. aveva dato pubblica lettura di questo saggio a Torino, 
la sera del 24 giugno 1851, nel corso di una riunione 
dell’Accademia di filosofia italica, fondata da T. Mamiani. Il 
lavoro su Bruno - ispirato alle idee di rinnovamento politico 
e sociale, che S. sosteneva negli articoli pubblicati dal 
“Progresso” — è stato ristampato dall’a. nei suoi Saggi di 
critica 177], pp. 139-175. 

Una lunga recensione dei  Princìpî è apparsa 
nell’Appendice alla filosofia delle scuole italiane di A. 
Franchi, Genova 1853, pp. 217-243 (la recensione è 
ricordata da G. Vacca, 141 bis, p. 10). Si legge a p. 217 sg. (e 
cfr. p. 234 sg.): “il discorso di Spaventa, l’unico in cui la 
filosofia apparisca trattata da un filosofo, l’unico di cui 
avrebbero potuto gloriarsi gli At d’un’Accademia, diventa 
la censura più severa, per non dire la satira più acerba, 
dell’Accademia italica e della sua filosofia; poiché le dottrine 
dell’ardito discepolo di Bruno distruggono ad una ad una le 
teorie monche, zoppe, tisicuzze, eunuche di Mamiani e 
Boncompagni”. Ma v. anche pp. 235 sgg., dove si nega 
l'esattezza “storica” del giudizio per il quale principio del 
cristia nesimo sarebbe l'identità di natura divina e natura 
umana; Franchi vuol sottolineare la totale divergenza di 
cristianesimo e “razionalismo”, l’abisso che separa le 
dottrine teoriche, morali, sociali del cristianesimo e la 
“democrazia moderna”, figlia della Rivoluzione dell’89 e 


della filosofia (p. 239). 


2407 


16. Frammenti di studii sulla filosofia italiana del secolo 
XVI, in “Monitore bibliografico” [Torino], 1852, nn. 32- 
33, pp. 48-54. 


Nella sua bibliografia delle opere di S. [204], Gentile 
segnala che lo scritto era preceduto dalla seguente 
avvertenza: “L'importante articolo che pubblichiamo è 
parte di un lavoro dell’egregio filosofo sig. B. Spaventa 
sopra la filosofia del secolo XVI, particolarmente su quella 
di Giordano Bruno”. Lo scritto non è stato mai ristampato; 
ad esso accenna lo stesso S., citandone qualche brano, nella 


prefazione ai Principi di filosofia, del 1867 [76]. 


17. La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in 
Alemagna, in “Il Cimento” [Torino], 15 febbraio 1854, 
pp. 342-360. 


È il primo scritto di rilievo [ma cfr. n. 35] stampato nel 
periodico “Il Cimento”, rivista di scienze, lettere e arti 
diretta da Zenocrate Cesari e pubblicata a Torino dal 1852 
al 1856 (anno della fusione con la “Rivista contemporanea”, 
diretta da Luigi Chiala). Del “Cimento” S. fu assiduo 
collaboratore: vi stampò, oltre a numerose recensioni, e a 
polemiche assai note (come quella con la “Civiltà 
cattolica”), studi di ampio respiro sulla filosofia italiana del 
Rinascimento. 


Il saggio La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in 
Alemagna, firmato con la sigla D. L. [De Laurentiis], fu 
scritto in occasione della traduzione italiana, a cura di Pietro 
Torre, della Storia della filosofia del diritto di Fr. J. Stahl 
(Torino, 1853); è importante per il rapporto che S. istituisce 
tra il pensiero di Gioberti e — attraverso Stahl — gli sviluppi 


2408 


della filosofia classica tedesca. 


Il saggio è stato ristampato da Gentile in Da Socrate a 
Hegel [98], pp. 213-245 (= Opere, II, pp. 207-236). 


18. Recensione: Studi sopra Gans relativi al diritto 
romano, di A. Tarchiarulo Napoli 1853; in “Il Cimento” 
[Torino], 31 marzo 1854, 


Recensione anonima, non segnalata da Gentile, e 


attribuita a S. da A. Plebe [252]. 


19. Tommaso Campanella. [Recensione delle] Opere di 
T. Campanella, precedute da un discorso sulla vita e le 
dottrine dell'autore per Alessandro D'Ancona, Torino 
1854; in “Il Cimento” [Torino], 31 agosto 1854, pp. 265- 
281. 


Recensione, non firmata, dell’edizione D'Ancona delle 
Opere di Campanella. Nell’indice del fascicolo l’autore della 
recensione è indicato con la sigla B. S. 

Lo scritto è stato ristampato da S. nei suoi Saggi di critica 
[77], pp. 3-32, come introduzione agli altri studi 
campanelliani [21, 46], raccolti nello stesso volume. 


20. Congratulazioni e quistioni alla “Civiltà cattolica”, in 
“Il Cimento” [Torino], 15 settembre 1854, pp. 370-376. 


Articolo, non firmato, con il quale si apre la serie degli 
scritti polemici contro la “Civiltà cattolica”. 


È stato ristampato da Gentile nel volume La politica dei 
gesuiti [101], pp. 1-16 (= Opere, II, pp. 747-761). 


2409 


21. Tommaso Campanella. Teoria della cognizione, in 
“Il Cimento” [Torino], 30 settembre 1854, pp. 425-440; 
31 dicembre 1854, pp. 1009-1030. 


Dopo la recensione al D'Ancona [19], che intendeva 
inquadrare la personalità di Campanella nella storia del 
pensiero moderno, questi saggi sulla gnoseologia 
campanelliana — apparsi nel “Cimento” con la firma: 
Bertrando Spaventa — offrono un raffronto della dottrina del 
pensatore italiano con gli sviluppi della nuova filosofia (in 
particolare, Cartesio, Kant, Fichte, e Hegel). 

Lo scritto è stato ristampato da S. nei Saggi di critica [77], 
pp.33-101. 


21. Schelling, in “Il Cimento” [Torino], 15 ottobre 
1854, pp. 521-532. 


Articolo non firmato, scritto in occasione della morte del 
filosofo tedesco. È interessante come documento delle 
letture che S. andava utilizzando in questi anni (tra l’altro, lo 
Hegels Leben [1844] di K. Rosenkranz), e per i riferimenti ai 
motivi “rivoluzionari” presenti nella filosofia del giovane 
Hegel e del primo Schelling; infine per il giudizio — negativo 
- sugli ultimi sviluppi del pensiero schellinghiano. 

Larghi brani dell’articolo sono citati da Sergio Landucci, 
Il giovane Spaventa tra begelismo e socialismo [282], pp. 684- 
686, 688-690; il saggio è ora ristampato per intero, a cura di 
D. D’Orsi, negli Scritti inediti e rari di S. [123], PP. 47-58. 


23. Recensioni: 


De immacolato Deiparae semper Vitginis Concepiti 
Caroli Passaglia e Societ. Jes. Commentarius Pars I, 


2410 


Romae MDCCCLIV (Della concezione immacolata di 


Maria Vergine ecc.); 


Elementi di filosofia del prof. Pier Antonio Corte, vol. 
2. Etica e storia della filosofia, Torino, Tip. Favale e 
Comp., 1854; 

Che cosa è il Diritto, ossia Introd. alla scienza della 
filosofia del diritto per Antonio Bartoli Avveduti, Firenze 
1854. Dispensa 1; in “Il Cimento” [Torino], 31 ottobre 
1854, pp. 660-668. 

Scritti non firmati, ristampati in parte (con esclusione del 
discorso sugli Elementi di filosofia di P. A. Corte) in La 
politica dei gesuiti [101], pp. 219-239 (= Opere, II, pp. 945- 
963) 


24. Nuove congratulazioni e quistioni alla “Civiltà 
cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 16 novembre 1854, 
pp. 689-704. 


Articolo firmato con la sigla: S.; ristampato in La politica 
dei gesuiti [101], (= Opere, pp. 763-796). 


25. Recensioni: 


Proposta di alcune difficoltà, che si oppongono alla 
definizione della immacolata concezione della B. Vergine 
Maria, Torino, Tipografia del Progresso, 1854; 


Lettera di un sacerdote cattolico ai Vescovi della Chiesa 
di Dio per rappresentar loro, che la sentenza 
dell’immacolata concezione della B. Vergine Maria non può 
essere definita dottrina di fede cattolica, Torino, Tipografia 
del Progresso, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 
novembre 1854, pp. 763-768. 


2411 


Le recensioni sono firmate: SS.; e sono state ristampate 
dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 241-252 (= 
Opere, II, pp. 964-975). 


26. Recensione: 

L’origine e l’ufficio della filosofia dimostrati col fatto da 
Epifanio Fagnani, Torino 1854, Pelazza, tipografia 
Subalpina; in “Il Cimento” [Torino], 30 novembre 1854, 
pp. 866-871. 


Recensione firmata con la sigla: SS.; non è stata mai 
ristampata. 


27. Recensioni: 
Questioni di Stato del conte Clemente Solaro della 

Margarita..., Torino, tipografia Speirani e Tortone, 1854; 

Della responsabilità dello scrittore, orazione recitata 

nella ... Università di Torino al 3 novembre 1854 

dall'avvocato D. Pier Alessandro Paravia..., Torino, 

Stamperia Reale, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 

dicembre 1854, pp. 986-996. 

Queste recensioni, firmate: SS., sono precedute da una 
breve nota intitolata: Le rostre riviste e la “Civiltà cattolica”. 
La recensione del libro del Solaro è stata ristampata da 
Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 253-267 (= 
Opere, Il, pp. 976-988); sull'argomento della seconda 
recensione S. ritorna in un numero successivo del 
“Cimento” [34]. 


28. I Sabbati de’ Gesuiti [1855-56]. 


Si tratta di 29 articoli stampati — anonimi — dallo S. 


2412 


nell’appendice del giornale “Il Piemonte”, quotidiano 
politico diretto da Luigi Carlo Farini, in due serie, tra il 16 
gennaio 1855 e il 28 marzo 1856 (il 30 marzo dello stesso 
anno, “Il Piemonte” cessava le pubblicazioni). 


I primi tre Sabbati sono stati ristampati dal Gentile in La 
politica dei gesuiti [101], pp. 179-216 (= Opere, 11, pp. 909- 
941); ma l’intera raccolta degli articoli si può leggere ora 
negli Scritti inediti e rari di S. a cura di D. D’Orsi [123], pp. 
213-489. 

Ci limitiamo qui a riprodurre le date degli articoli: 

PRIMA SERIE: I, “II Piemonte”, 16 gennaio 1855; I1, 10 
febbraio; III, 20 febbraio; IV, 10 marzo; V, 15 marzo; VI, 1° 
aprile; VII, 20 aprile; VIII, 10 maggio; IX, 17 maggio; X, 29 
maggio; XI, 13 giugno; XII, 10 luglio; XIII, 19 luglio; XIV, 
4 agosto; XV, 17 agosto; XVI, 28 agosto; XVII, 15 
settembre; XVIII, 29 settembre; XIX, 17 ottobre; XX, 7 
novembre; XXI, 25 novembre; XXII, 9 dicembre; XXIII, 23 
dicembre; XXIV, 1° gennaio 1856. 

SECONDA SERIE: I, 10 febbraio 1856; 11, 7 febbraio; 
III, 27 febbraio; IV, 9 marzo; V, 28 marzo. 


29. Recensione: 

Prospetto filosofico della storia del mondo umano di 
Cesare della Valle, duca di Ventignano, Napoli, Alberto 
Detken libraio editore, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 
16 gennaio 1855, pp. 66-70. 


La recensione è firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata 


in Da Socrate a Hegel [98], pp. 277-286 (= Opere, II, pp. 
265-273). 


30. Del principio della riforma religiosa, politica e 


2413 


filosofica nel secolo XVI, in “Il Cimento” [Torino], 31 

gennaio 1855, pp. 97-112; 15 marzo 1855, pp. 369-384; 

15 ottobre 1859, pp. 568-577. 

È un ampio studio, che apparve, firmato, nel “Cimento”, 
e che l’a. ristampò nei suoi Saggi di critica [77], pp. 269-328, 
con la data: Torino, 1854-1855. II saggio, che riprende e 
sviluppa il tema della genesi del pensiero moderno nell’età 
del Rinascimento, appare interrotto con la terza puntata; nel 
ristamparlo, S. osservò che esso può considerarsi ancora 
valido come introduzione alla “moderna filosofia italiana”, e 
che se ne debbono considerare prosecuzione e compimento 
le lezioni napoletane del 1861 [68]. 


31. Una nota della “Civiltà cattolica” contro “Il 
Cimento”, in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 
144-146. 


Articolo firmato con la sigla: S.; è stato ristampato dal 
Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 55-61, con il 
titolo: Lazzenti della “Civiltà cattolica” (= Opere, II, pp. 797- 
803). 


32. Recensione: 


Principi elementari di filosofia morale ad uso delle scuole 
secondarie, 2a edizione, Torino, tip. Paravia e comp., 
1854; in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 
158-164. 


La recensione, firmata: SS., non è stata mai ristampata. 


33. Del sistema della Curia romana opposto 
all'autonomia dello stato, in “Il Cimento” [Torino], 16 


2414 


febbraio 1855, pp.231-238. 


L’articolo, firmato SS., fu scritto in occasione della 
stampa della A/locuzione della Santità di Nostro Signore Pio 
IX del 22 gennaio 1855, seguita da una esposizione corredata 
di documenti, ecc., Torino, tipografia Franco, 1855. È stato 
ristampato dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 
269-281 (= Opere, II, pp. 989-1005). 


34. Recensioni: 


Ancora dell’orazione sulla Responsabilità ecc. del prof. 
Paravia; 

Maria Teresa e Maria Adelaide. Squarci di lezioni del 
prof. Paravia, Torino, tip. Marietti, 1855; 


Il governo di Piemonte e la corte di Roma, per Massimo 
d’Azeglio, Torino, Tip. Franco, 1855; in “Il Cimento” 
[Torino], 28 febbraio 1855, pp. 336-344. 


Recensioni firmate: SS. Per la prima, cfr. n. 27. La 
recensione al D'Azeglio è ristampata in La politica dei gesuiti 
[101], pp. 283-285 (= Opere, II, pp. 1006-1008). 


35. La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”, in “Il 
Cimento” [Torino], 15 marzo 1855, pp. 438-445. 


L’articolo — firmato con la sigla: S. — appartiene alla serie 
dedicata alla polemica con la “Civiltà cattolica”. Non fu 
segnalato da Gentile: lo ha identificato e ristampato 
Domenico D’Orsi, nella raccolta degli Scritti inediti e rari di 
S. [523], pp. 189-202. Al D’Orsi (op. cit., pp. 181 sgg.) 
sembra che il contenuto di questo articolo (e quello di uno 
scritto successivo, anche questo da lui identificato: cfr. n. 


2415 


39) presenti una sostanziale affinità con l’argomento di una 
“lettera” pubblicata dalla rivista torinese nel 1852 (A/ 
direttore del giornale “Il Cimento”. Frammento di una lettera 
sulla “Civiltà cattolica”, “Il Cimento”, I, 1852, pp. 334-338), 
lettera della quale dovrebbe essere considerato autore lo 
stesso Spaventa. 


36: Recensione: 


Corso d’estetica, letto nell'Università di Padova 
nell'anno 1844-45 dal prof. Vincenzo De Castro, seconda 
edizione, Milano, Borroni e Scotti, 1855, vol. I; in “Il 
Cimento” [Torino], 31 marzo 1855, pp. 549-555. 


La recensione, firmata con la sigla: SS., non è stata mai 
ristampata. 


37. Recensioni 


Opere complete di Emm. Kant tradotte in francese da 
G. Barni, con introduzioni analitiche e critiche. 1. Critica 
della ragione pratica ecc. 2. Elementi metafisici della 
dottrina del diritto, Parigi, 1848-1854; 


G. Barni (Esposizione critica della filosofia pratica di 
Kant); in “Il Cimento” [Torino], 16 e 30 aprile 1855, pp. 
653-659, 746-752. 


Recensione, firmata SS., delle traduzioni kantiane di Jules 
Barni, e dell’ Exazzen des Fondements de la métaphysique des 
moeurs et de la Critique de la raison pratique dello stesso 
Barni (Parigi, 1851). Lo scritto è stato ristampato da Gentile 
nella raccolta Da Socrate a Hegel [98], pp. 123-150, con il 
titolo: La filosofia pratica di Kant e Jules Barni (= Opere, II, 
pp. 125-150). 


2416 


38. Recensione: 


Alcune considerazioni intorno alla separazione dello 
Stato dalla Chiesa, del sacerdote Giacomo Margotti, 
dottore in teologia, Torino, tip. Deagostini, 1854; in “Il 
Cimento” [Torino], 16 maggio 1855, pp. 849-855. 


Recensione firmata con la sigla: SS.; ristampata da Gentile 
in La politica dei gesuiti [101], pp. 287-300 (= Opere, II, pp. 
1009-1020). 


39. Gli scolastici immaginarii della “Civiltà cattolica”, in 
“Il Cimento” [Torino], 16 maggio 1855, pp. 855-856. 


Breve risposta alla “Civiltà cattolica” — firmata con la 
sigla: S. — a proposito della interpretazione delle dottrine 
politiche di Suàrez e di Mariana. Lo scritto segue 
immediatamente, nelle pagine del “Cimento”, alla 
recensione del libro del Margotti (v. n. precedente). Non è 
stato segnalato da Gentile; lo ha ristampato D. D’Orsi negli 
Scritti inediti e rari di S. [123], pp. 205-206. 


40. Hegel confutato da Rosmini. Saggio primo, in “Il 
Cimento” [Torino], 31 maggio 1855, pp. 881-906. 


L’articolo — firmato: B. Spaventa — denuncia i 
fraintendimenti sostanziali che stanno alla base di alcune 
critiche di Rosmini alla filosofia di Hegel. La seconda parte 
del saggio, che avrebbe dovuto illustrare la soluzione — dal 
punto di vista hegeliano — delle difficoltà sollevate da 
Rosmini, non fu mai pubblicata. Ma la critica di S. ebbe un 
seguito in un articolo contro il Tommaseo [51]. 


2417 


Lo scritto su Rosmini è stato ristampato da Gentile in Da 
Socrate a Hegel [98], pp. 151-191 (= Opere, II, pp. 151-188). 


41. Recensione: 


Storia di uno studente di filosofia, di Giuseppe Piola, 
Milano, tip. G. Bernardoni, 1855; in “Il Cimento” 
[Torino], 31 maggio 1855, pp. 951-956. 


Recensione firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata da 
Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 287-298 (= Opere, II, 
pp. 274-284). Lo scritto ha suscitato di recente qualche 
interesse, per i severi rilievi di S. alle acritiche osservazioni 
del Piola sul socialismo (cfr. ad es. i saggi di Berti e di 
Landucci, nn. 255, 282). 


42. L'Accademia di filosofia italica e Terenzio Mamiani. 
[Recensione dei] Saggi di filosofia civile tolti dagli atti 
dell’Accademia di filosofia italica, Genova, Grondona, 
1855, vol. 2; in “Il Cimento” [Torino], 16 giugno 1855, 
pp. 1021-1033. 


Articolo firmato: B. Spaventa. Contiene, in fondo, un 
indice dei lavori pubblicati dall'Accademia, che non 
compare nella ristampa della recensione, inserita dall’a. nei 
suoi Saggi di critica [77], pp. 343-366. 


43. Dell’importanza civile del teatro drammatico, in “Il 
Cimento” [Torino], 30 giugno 1855, pp. 1108-1127. 


Il saggio è attribuito a S. da Domenico D’Orsi, che 
ristampa l’articolo nella sua raccolta degli Scritti inediti e rari 
del filosofo [123], pp. 65-88. Alla base dell’attribuzione sta 


2418 


il fatto che l’articolo è firmato con una sigla (= S.), che 
l’autore soleva apporre ad alcuni scritti pubblicati nel 
“Cimento”. Il saggio sembra peraltro presentarsi come 
stravagante, per dir così, nella produzione spaventiana di 
questo periodo: non tanto per l'argomento trattato, quanto 
per le idee che vi sono espresse (e, più che espresse, 
insinuate) e per la forma in cui tali idee vengono offerte al 
lettore. Il tema non è, di per sé, sconcertante: l’autore vuol 
sostenere il valore del teatro drammatico come strumento di 
educazione intellettuale, morale e sociale, in quanto esso è 
capace di presentare in veste sensibile l “idea”, di avvicinare 
il “popolo minuto” al mondo del sapere. Ma l’autore, nel 
giustificare la funzione mediatrice della letteratura 
drammatica, sembra inclinare verso una convinzione che mi 
appare alquanto distante dalle tesi difese altrove dallo S., in 
questi stessi anni: finisce infatti col suggerire la superiorità 
della “fantasia” e del “sentimento”, del “cuore” e della 
“fede”, sulla “ragione” e sull’ “intelletto”. E, similmente, il 
beneficio che la letteratura drammatica può arrecare alla 
società, vien fatto derivare dalla sua naturale capacità di 
insegnare le “vedute medie”, di additare una via che è 
egualmente distante da ogni estremismo. 


44, Recensioni: 


Corso sommario di filosofia razionale, del P. Vittorio 
Mazzini. Filosofia speculativa e filosofia morale, vol. due, 
Genova 1851-1853. 


La scienza della lingua di Guglielmo di Humboldt e la 
filosofia hegeliana, per Enrico Steinthal, Berlino; in “Il 
Cimento” [Torino], 15 luglio 1855, pp. 58-65. 


Recensioni firmate con la sigla: SS. Non sono state mai 


2419 


ristampate. 


45. Metodo della “Civiltà cattolica” nel rispondere al 
“Cimento”, in “Il Cimento” [Torino], 31 luglio 1855, pp. 
135-140. 


Articolo firmato con la sigla: SS., e ristampato da Gentile 
in La politica dei gesuiti [101], pp. 63-78 (= Opere, II, pp. 
805-820). 


46. Tommaso Campanella. III. Metafisica, in “Il 
Cimento” [Torino], 15 agosto 1855, pp. 189-212. 


L'articolo, che fa seguito alla recensione al D'Ancona e al 
saggio sulla gnoseologia di Campanella [19, 21], è firmato: 
B. Spaventa; è stato ristampato dall’autore nei Saggi di critica 
[77], pp. 102-135. 

È un esame della metafisica campanelliana, della quale S. 
intende cogliere e sceverare gli elementi nuovi, attraverso un 
raffronto con gli ultimi sviluppi del pensiero moderno. 
L'analisi viene spinta fino al tentativo di un confronto con il 
problema della logica e della fenomenologia di Hegel. 

L’articolo doveva essere seguito da un saggio sulla Teoria 
della volontà; ma l’ultima parte di questi studi campanelliani 
non fu mai pubblicata (cfr. Saggi di critica, p. 135 nota). 


47. La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”. La 
teocrazia, in “Il Cimento” [Torino], 31 agosto 1855, pp. 
307-314. 

Articolo firmato con la sigla: SS.; ristampato da Gentile in 
La politica dei gesuiti [101], pp. 79-96 (= Opere, II, pp. 821- 
836). 


2420 


48. La logica o il problema della scienza nuovamente 
proposto all'Italia da Paolo Morello, in “Il Cimento” 
[Torino], 15 settembre 1855, pp. 374-388. 


Recensione del libro del Morello (La logica ecc.), 
pubblicato a Firenze (Barbera, Bianchi e Comp.) nel 1855. 
È firmata: B. Spaventa; è stata ristampata da Gentile in Da 
Socrate a Hegel [98], pp. 299-321 (= Opere, Il, pp. 285-305). 

Una diversa redazione della recensione è stata rintracciata 
da P. C. Masini; cfr. Ur “pamphlet” antidemocratica... [116], 
pp. 308 sg. 


49. I trionfi dei gesuiti, in “Il Cimento” [Torino], 30 
settembre 1855, pp. 494-500. 


Articolo firmato con la sigla: AA. È ristampato in La 
politica dei gesuiti [101], pp. 97-110 (= Opere, II, pp. 837- 
848). 


50. La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”. Gli 
Scolastici, in “Il Cimento” [Torino], 31 ottobre 1855, pp. 
658-669. 


Articolo firmato con la sigla: SS. Ristampato parzialmente 
(manca una breve parte introduttiva) in La politica dei 
gesuiti [Joi], pp. 111-28 (= Opere, II, pp. 849-864). 


51. Sopra alcuni giudizi di N. Tommaseo, in “Il 
Cimento” [Torino], 15 novembre 1855, pp. 730-741. 


L’occasione a questa risposta di S. venne offerta dalla 
commemorazione di Rosmini, che Tommaseo aveva 


2421 


pubblicato nel 1855, in più puntate, nella “Rivista 
contemporanea” di Torino (cfr. ad es., nel fascicolo di 
settembre, pp. 25 sg., una chiara allusione alle 
argomentazioni sviluppate da S. in Hegel confutato da 
Rosmini [40]). L’articolo — che è firmato: B. Spaventa — è 
importante anche perché ribadisce il raffronto tra Hegel e 
Gioberti — già proposto dalle colonne del “Progresso” — a 
proposito dei concetti di legge, volontà generale, ecc. 
[Rousseau, Hegel, Gioberti: 14]; e perché riprende il motivo 
dell’accostamento Gioberti-Stahl [17]. 


Lo scritto è ristampato in Da Socrate a Hegel [98], pp. 
193-212 (= Opere, II, pp. 189-206). 


52. Gli Scolastici. Suarez, in “Il Cimento” [Torino], 30 
novembre e 15 dicembre 1859, pp. 851-867, 957-970. 


Articoli firmati con la sigla: SS., e ristampati in La politica 
dei gesuiti [101], pp. 129-178 (= Opere, II, pp. 865-907). 


53. Gli Scolastici. Concetto e metodo della dottrina 
tomistica, in “Il Cimento” [Torino], 30 dicembre 1855, 
pp. 1038-1045. 


È l’ultimo degli articoli di S., apparsi sul “Cimento”, 
dedicati alla interpretazione delle teorie politiche dei gesuiti 
del XVI secolo, in polemica con la “Civiltà cattolica”. 
Gentile lo aveva ristampato già nel 1905, in Da Socrate a 
Hegel [98], pp. 51-64 (con il titolo: Concetto e metodo della 
dottrina tomistica del diritto = Opere, II, pp. 57-68), prima 
ancora di raccogliere gli altri scritti di S. sull'argomento nel 
volume La politica dei gesuîti [101]. 


2422 


54. Dell’amore dell'eterno e del divino di G. Bruno, in 
“Rivista enciclopedica italiana” [Torino], I (1855), 
dispensa prima, pp. 44-58. 


Il saggio è dedicato alla esposizione del contenuto degli 
Eroici furori. È stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica 


[77], pp. 176-195. 


55. La “Civiltà cattolica” e la “Rivista contemporanea”, 
in “Il Piemonte” [Torino], II, n. 14, 16 gennaio 1856. 


L’articolo è stato ristampato dal Gentile nell’appendice 
(Le tribolazioni di B. Spaventa giornalista, pp. 183-193: dove 
sono riprodotti alcuni documenti delle vicende capitate allo 
S. in seguito alla fusione del “Cimento” con la “Rivista 
contemporanea” di Luigi Chiala) del suo Bertrando Spaventa 
[204], pp. 189-193 (= Opere, I pp. 163-166). 


56. Recensione: 


Della filosofia dopo Kant, ragionamenti di Michele 
Baldacchini, Napoli 1854; in “Il Cimento” [Torino], 
gennaio 1856, pp. 65-72. 


Recensione firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata da 
Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 322-337 (= Opere, II, 
pp. 306-319), con il titolo: La filosofia dopo Kant secondo 
Michele Baldacchini. 


57. Saggi sulla filosofia del Mamiani (Critica dell’infinità 
dell’attributo), in “Il Cimento” [Torino], febbraio 1856, 
pp. 122-146. 


Nell’articolo S. critica l’interpretazione proposta da T. 


2423 


Mamiani — nella prefazione alla traduzione italiana del 
Bruno di Schelling, a cura di M. Florenzi Waddington 
[1844] — della dottrina spinoziana della relazione sostanza- 
attributi. È da collegare agli studi che S. andava svolgendo 
in questi anni sulla filosofia di Spinoza, e di Giordano 
Bruno. L’articolo è stato ristampato dall’a. nei Saggi di 
critica [771], pp. 367-403. 


58. Recensione: 


La Enciclopedia scientifica, per T. Mora e F. Lavarino, 
Torino 1856; in “Il Cimento” [Torino], febbraio 1856, 
pp. 212-220; e in “Il Piemonte” [Torino], II, n. 51, 28 
febbraio 1856. 


Recensione, firmata con la sigla: SS., e pubblicata 
nell'ultimo fascicolo del “Cimento”, che quindi fu assorbito 
nella “Rivista contemporanea”. 

Nel “Piemonte”, lo scritto è firmato con la sigla: Z. Non è 
stato mai ristampato. 


59. Il sensualismo in Francia. [Recensione di] Études 
morales sur le temps présent, par E. Caro, prof. ecc. (Paris 
1856, Hachette éditeur); in “Rivista contemporanea” 
[Torino], maggio 1856, anno III, vol. VI, pp. 780-793. 


Recensione firmata con la sigla: S.; è stata ristampata da 
Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 247-273 (= Opere, II, 
pp. 237-261). 


60. Recensione: 


Compendio di logica, secondo l’ultimo programma, 


2424 


ecc., del prof. Giuseppe Tesio (Torino, Tip. scolastica di 
Sebastiano Franco e Comp., 1856); in “Rivista 
contemporanea” [Torino], giugno 1856, anno III, vol. 


VII, pp. 173-176. 


Recensione firmata con la sigla: S. Non è stata mai 
ristampata 


61. Recensione: 


Philosophie sensualiste au dix-buitième siècle par M. 
Victor Cousin (troisiîme éd. revue et corrigée, Parigi 
1856); in “Rivista contemporanea” [Torino], agosto 1856, 
anno III, vol.; VII, pp. 494-464. 


La recensione è firmata con la sigla: S. È stata ristampata 
da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 103-122 (= Opere, 
II, pp. 107-124). 


62. Recensione: 


Considerazioni sulla dottrina di Socrate del prof. G. M. 
Bertini (estratte dalle “Memorie della R. Accademia delle 
scienze” di Torino, serie II, torno XVI); in “Rivista 
contemporanea” [Torino], settembre 1856, anno IV, vol. 


VIII, pp. 89-114. 


Lo scritto, come molte altre recensioni di S., è in realtà un 
ampio studio; e tratta del pensiero di Socrate secondo i 
principi dell’hegelismo. A questo articolo — che è firmato: B. 
Spaventa — doveva seguirne un secondo, mai pubblicato: cfr. 
le notizie di Gentile premesse alla ristampa del saggio, da lui 
ripubblicato in Da Socrate a Hegel [98], pp. 1-50, con il 


2425 


titolo: La dottrina di Socrate (= Opere, II, pp. 11-56). 
63. Recensione: 


Logique, par A. Gratry ... (2 voll., Paris 1855); in 
“Rivista contemporanea” [Torino], ottobre-novembre 
1856, anno IV, vol. VIII, pp. 276-288. 


La recensione è firmata: Bertrando Spaventa; non è stata 
mai ristampata. 


64. Recensione: 


Della logica o della teoria della scienza, libri tre di 
Vincenzo Garelli, Oneglia, Tip. Tasso, 1856; in “Rivista 
contemporanea” [Torino], marzo 1857, anno V, vol. IX, 
pp. 474-480. 


È l’ultimo scritto pubblicato da S. nella “Rivista 
contemporanea”. Non stato mai ristampato. 


65. Articoli per la Nuova enciclopedia popolare [1859- 
1860]. 


Nel 1858 l'editore Pomba preparava una nuova edizione 
— che cominciò a pubblicarsi in quell’anno, ed ebbe diverse 
ristampe — della sua Erciclopedia popolare (Torino, 1842 
sgg.). A proposito della collaborazione di S. a questa 
iniziativa, riassumiamo in breve le notizie fornite da Gentile 
nella bibliografia degli scritti del filosofo inserita nel suo 
Bertrando Spaventa [204], pp. 204 sg. 


Quando, con lettera del 7 dicembre 1858, Francesco 
Predari, direttore dell’opera, propose a S. di collaborare 
all’Enciclopedia, si stava preparando il materiale relativo alla 


2426 


lettera E. Il primo articolo fornito da S. fu: Ellenismo; 
l’ultimo — a quanto pare — fu l’importante scritto su Kant 
[66]. S. collaborò all’Enciclopedia fino ai primi mesi del 
1860. 


Sul verso della lettera d’invito del Predari, S. ha annotato 
le “voci” — articoli interamente rifatti, oppure corretti sul 
testo della prima edizione dell’opera — via via consegnate 
all'editore. Ecco l’elenco delle voci annotate: E/leziszo, 
Empirismo, Ente supremo, Epicuro, Epitteto, Facoltà 
dell'anima, Fanatismo, Fantasma, Fatalismo, Fede, Felicità, 
Fenomeno, Ferecide, Fichte, Ficino, Filosofia, Galluppi (un 
brano di questo articolo si può leggere in G. Gentile, 
Bertrando Spaventa [204], pp. 95 sg. = Opere, Ig pp. 83 sg.), 
Germanica filosofia, Giamblico, Gioberti (corrisponde in 
parte al capitolo su Gioberti delle lezioni napoletane del 
1861: cfr. nn. 68, 99), Giudizio. È probabile, scrive Gentile, 
che S. abbia anche provveduto alla stesura di qualche altro 
articolo, compreso tra gli esponenti Giudizio e Kant. Come 
risulta dalla stessa lettera del Predari, S. avrebbe dovuto 
compilare anche gli articoli: Italica filosofia, Ermeneutica, 
Errore, Esegesi, Esistenza, Esoterico, Esperienza, Essenza, 
Essere, Eudemonismo, Evidenza. Gentile dà notizia, infine, 
di una lettera di Luigi Pomba allo S. del 2 gennaio 1861, che 
conteneva un invito a continuare la sua opera per 
l’Enciclopedia; e di una lettera di Antonio Tari del 28 luglio 
1861, che proponeva a S. di trattare per una eventuale sua 
collaborazione alla stessa opera. 


66. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia 
italiana, estratto dalla Nuova enciclopedia popolare, 
Torino 1860, pp. 72. 


Cfr. n. precedente. 


2427 


L’articolo, che si ispira largamente all’interpretazione 
hegeliana di Kant, contiene un ampio raffronto, assai 
articolato, degli sviluppi del criticismo in Germania e in 
Italia. Era stato scritto da S. già nel 1856, come risulta da 
una sua lettera del 10 dicembre di quell’anno al fratello 
Silvio (Silvio Spaventa, Da/ 1848 al 1861... [125], pp. 209- 
212); ma probabilmente, prima di darlo alla stampa, il 
filosofo ebbe modo di integrarlo e correggerlo. 


È stato ristampato da Gentile negli Scritti filosofici di S. 
[96], pp. 1-79 (= Opere, I, pp. 173-255); il saggio è 
composto di una breve introduzione, e di tre parti, intitolate 
rispettivamente: I) Principio speculativo della filosofia di 
Kant; 2) Il kantismo in Italia (Galluppi e Rosmini); 3) Il 


CHITICISINO. 


67. Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo 
XVI sino al nostro tempo, prolusione alle lezioni di storia 
della filosofia nell'Università di Bologna, Modena 1860, 


pp.39. 


È la nota prolusione in cui viene proposta la tesi della 
“circolazione del pensiero italiano” nel pensiero europeo, e 
vengono offerti i primi risultati dei nuovi studi sulla filosofia 
contemporanea in Italia, collegati ai lavori torinesi su Bruno 
e Campanella, e integrati da una nuova valutazione della 
dottrina di Giambattista Vico. 

Il discorso di S. è ristampato negli Scritti filosofici [96], 
pp. 115-152 (= Opere, I, pp. 293-332). 


68. Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia 
nella Università di Napoli, 23 novembre — 23 decembre 


1861, Napoli 1862, pp. IX214. 


2428 


È il testo che raccoglie i risultati fondamentali delle 
ricerche di S. intorno al “carattere” e allo “sviluppo” della 
filosofia italiana dall’età del Rinascimento fino al Gioberti. 


La prefazione è datata: Napoli, ottobre 1862. Il volume 
contiene: I) la prolusione Della nazionalità nella filosofia 
(con una appendice sulla filosofia indiana); 2) le dieci lezioni 
sulla storia del pensiero italiano, dai filosofi del XVI secolo 
ai contemporanei; 3) lo Schizzo di una storia della logica, che 
rende conto dello sviluppo “della filosofia occidentale” (i.e. 
della filosofia tedesca) considerato “dal punto di vista 
logico” (sono protagonisti di questa storia Kant, Fichte, 
Schelling e Hegel). Una nota allo Schizzo contiene un breve 
scritto su Spizoza e Cartesio, che riprende alcuni temi dei 
primi studi torinesi su Spinoza (l’interpretazione di 
Mamiani, la controversia Erdmann-Fischer sul concetto di 
attributo, ecc.). 


Per il “manifesto” che annunziava la pubblicazione 
dell’opera, proponendone la vendita per sottoscrizione, cfr. 
n. 69. 

Il volume è stato ristampato da Gentile nel 1908 e, in 
terza edizione, nel 1926, sempre con il titolo: La filosofia 
italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99 = 
Opere, IL pp. 405 sgg.). 


69. La filosofia di Gioberti, vol. I, Napoli 1863, pp. 
XIII-543. 


Alla prima parte dell’ampio studio, considerato da molti 
critici a partire dal Gentile, che lo definì il “capolavoro” di 
S.) l’opera maggiore del filosofo, doveva seguire un secondo 
volume, che non fu mai pubblicato. Questo “primo” volume 
è diviso in quattro libri, che sottopongono a critica: 4) la 


2429 


dottrina della conoscenza di Gioberti; 5) il carattere 
dogmatico della costruzione della formula ideale: l’ente crea 
l’esistente; c) il contenuto della formula, identico al 
contenuto del panteismo (Gioberti = Spinoza); d) il 
tentativo di Gioberti di ricorrere alla “rappresentazione” 
religiosa, per scongiurare l'esito panteistico della dottrina. 
Un quinto libro, che avrebbe occupato l’intero secondo 
volume, doveva dimostrare il passaggio dell’ultimo Gioberti 
(soprattutto dell'autore delle Postuzze) all’idealismo. Nella 
prefazione dell’opera, datata: Napoli, ottobre 1863, l’a. 
dichiara che i risultati dello studio su Gioberti costituiscono 
il presupposto e il fondamento delle tesi esposte nelle prime 
lezioni napoletane [cfr. n. precedente], e che il seguito del 
suo lavoro sarebbe stato costruito attraverso un raffronto 
minuzioso tra la dottrina di Gioberti e quella di Ilegel. 


Della Filosofia di Gioberti usciva, nel 1870, una curiosa 
“edizione”: Bernardo [sic] Spaventa, La filosofia di Gioberti, 
volume unico, Napoli, Tipografia del Tasso (le copie del 
1863 recavano l’indicazione: Napoli, Stab. tipogr. F. Vitale). 
Ma in questa “edizione” appare cambiato solo il 
frontespizio; e lo stesso deve dirsi della “seconda edizione”, 
Napoli, Domenico Morano, 1886. 


Come la Prolusione e introduzione [68], e insieme ad essa, 
la Filosofia di Gioberti fu pubblicata per sottoscrizione, e 
annunziata con un manifesto, che riproduciamo qui dalla 
bibliografia gentiliana del 1924 [204], pp. 206-208: “I. La 
Prolusione tratta della Nazionalità della Filosofia. — Sono 
possibili, dopo il medio evo e ne’ tempi moderni, tante 
filosofie nazionali, quanti sono i popoli civili di Europa? O 
invece quelle che si dicono filosofie nazionali non sono altro 
che momenti particolari dello sviluppo comune della 
filosofia moderna nelle diverse nazioni? Si può dire, p. e., 
che ci sia una filosofia italiana essenzialmente diversa da una 


2430 


filosofia francese, inglese, tedesca, come si dice che ci è stata 
una filosofia greca essenzialmente diversa da una filosofia 
indiana? E in generale, il genio proprio originario d’una 
nazione, il quale si specchia e riconosce così nettamente 
nella lingua, nella letteratura e nell’arte in generale, e ne’ 
costumi, deve e può discernersi anche — oggigiorno e in 
Europa — in quella forma e attività universale dello spirito, 
che si chiama filosofia? E discernersi in essa, non già come 
differenza e carattere naturale, letterario o artistico, ma 
come intuizione universale o pensiero della realtà delle cose: 
come problema, indirizzo, soluzione? 


“L’autore, compendiando gli ultimi risultati della storia 
della filosofia, ed esponendo la differenza essenziale della 
nazionalità moderna dall’antica, mostra che — se è vero che 
la filosofia indiana e la greca sono, più o meno, intimamente 
nazionali — comune, invece, ed unico è il carattere, lo 
sviluppo e l'indirizzo generale della filosofia ne’ popoli 
moderni; che, se ci ha una differenza tra il genio filosofico 
italiano e quello delle altre nazioni, o in altre parole se esso 
ha o almeno ebbe un privilegio sopra gli altri popoli — 
questo fu solo l’aver precorso due volte i due principali 
periodi della filosofia moderna: cioè il cartesiano ne’ filosofi 
del Risorgimento e specialmente in Bruno e Campanella, e il 
kantiano in Vico; e val quanto dire il nuovo Nazuralismo e il 
nuovo Spiritualismo; e che se noi vogliamo ancora e 
possiamo avere un privilegio, questo è quello di precorrere 
ed effettuare un nuovo e più largo indirizzo, una nuova e 
più ampia soluzione del problema dello spirito. Ma ciò a un 
patto; e questo è di non rigettare tutto quel che si è fatto da 
un gran pezzo fuori d’Italia o meglio che in Italia, ma 
studiarlo, comprenderlo, appropriarcelo; e solo così, entrati 
in più largo orizzonte, conosciuto meglio noi medesimi e 
ritemperata la nostra vita nella perpetua corrente della vita 


2431 


universale, fare un gran passo innanzi, non nel vuoto, ma 
colla piena coscienza delle nostre forze, del nostro cémpito, 
del compito comune. 


“E posto anche, che ci sia stata o ci sia una filosofia 
propria italiana, distinta essenzialmente o opposta a quelle 
delle altre nazioni, quale è e dove si trova ella mai? Si sa, che 
di libertà filosofica in Italia ce n'è stata sempre poca o 
niente, e chi se l’ha presa, gli è costato assai caro. Dov'è 
dunque la filosofia italiana, ne’ libri delle vittime o in quelli 
de’ persecutori? Il problema più difficile per noi — quello 
senza la cui soluzione noi non possiamo fare e progredire 
davvero — è il riconoscere qual sia e dove sia il vero pensiero 
italiano. Finché non si fa ciò — e il farlo non è cosa così 
agevole — il gridare nazionalità in ogni cosa servirà bene a 
eccitare e intorbidare il sentimento e talvolta anche le 
passioni, ma non produrrà niente di serio nella scienza. 


“La Introduzione è lo sviluppo e la dimostrazione della 
intenzione principale della Pro/ustone. L'autore espone il 
carattere e il progresso del pensiero italiano nei maggiori 
nostri filosofi dal secolo XVI sino al nostro tempo: 
Campanella, Bruno, Vico, Galluppi, Rosmini, Gioberti; e 
dimostra come questo pensiero non solo non si oppone al 
pensiero europeo, ma concorda schiettamente con esso; che 
Campanella e Bruno sono i precursori di Cartesio e Spinoza 
(e in parte di Locke e Leibniz); che Vico, esigendo una 
nuova Metafisica e fondando la filosofia della storia, anticipa 
il nuovo antropologismo, quello che il Gioberti chiama 
trascendente e identico al vero ontologismo; che Galluppi, 
Rosmini e Gioberti rappresentano in Italia questo nuovo 
indirizzo; e che Gioberti specialmente non è, come si crede, 
l’antitesi di tutta la filosofia moderna, ma differisce 
dall’ultimo gran filosofo europeo in tutt'altro che nel vero 
principio, metodo e risultato della sua filosofia. 


2432 


“IL Questa breve storia del pensiero italiano, considerato 
in sé stesso e nella sua intima connessione col pensiero 
europeo, è come una naturale introduzione alla seconda 
opera di maggior mole: la Filosofia di Gioberti. 

“Quest'opera è divisa in cinque parti; la prima delle quali 
concerne la teorica giobertiana della conoscenza, e le altre 
quattro il sistema propriamente detto. 


“Nella prima parte l’autore espone gli elementi del 
conoscere secondo Gioberti: intuito, riflessione (psicologica 
e ontologica), parola, sovrintelligenza; e dimostra come il 
concetto di questi elementi e della loro relazione (del 
conoscere) cangi e si sviluppi nella mente del Gioberti di 
maniera, che la teorica sembri una continua contradizione. 
E pure ciò che pare contradizione non è altro nel Gioberti, 
che una determinazione sempre più schietta e profonda del 
proprio pensiero. 

“Secondo l’autore, ci è nel Gioberti davvero una 
contradizione, radice di tutte le altre, la quale si manifesta 
chiaramente nella prima forma del sistema; e tutto il 
progresso della speculazione del nostro filosofo consiste nel 
risolverla. Così quel che pare contradizione e non è, è 
appunto la soluzione della vera contradizione. 


“Conforme a un tal concetto l’autore espone nelle tre 
altre parti questa contradizione, e considera il sistema nella 
sua prima forma. L'ultima parte comprende la soluzione più 
o meno reale della contradizione, e la seconda forma del 
sistema. 


“Tutta questa esposizione — così della teorica della 
conoscenza come del sistema — è fatta di maniera, che la 
vera e nuova forma della filosofia giobertiana apparisca 
come il risultato necessario della critica della prima: come 
una nuova posizione, che deriva per una dialettica 


2433 


necessaria dall’antica. Quel che nella storia della filosofia si 
vede comunemente solo nella successione de’ filosofi, cioè 
che l'uno compia l’altro risolvendo le contradizioni del suo 
predecessore, qui si vede in uno stesso filosofo: Gioberti 
nella seconda forma non fa che compiere e quasi ricreare sé 
stesso. — Tutta l’opera è corredata di documenti, 
specialmente dove l’interpretazione e la critica possono 
parere arbitrarie e forse troppo lontane dal modo 
comunemente ricevuto d’intendere il Gioberti”. 


70. Le prime categorie della logica di Hegel, in “Atti 
della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, 
I (1864), pp. 123-185. 


È il testo che racchiude il primo — e assai noto — tentativo 
spaventiano di interpretazione delle prime categorie della 
logica hegeliana [cfr., per gli altri scritti di S. sull'argomento, 
i nn. 76, 93, 103]. Suscitò già qualche interesse in ambiente 
hegeliano [cfr. n. 1441; doveva essere discusso più tardi da 
Gentile come documento della nascita del “nuovo 
idealismo” [cfr. in particolare il n. 103]. 


Il saggio, preceduto da una breve introduzione, si divide 
in tre parti: i) Esposizione de’ concetti: essere, non essere, 
divenire, esserci; 2) Obbiezioni e risposte; 3) Il movimento 
come primo (Trendelenbnrg). Fu letto all'Accademia 
napoletana in tre sedute, il 16 agosto, e il 6 e 30 settembre 
1863. Un riassunto della memoria fu pubblicato nella 
“Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”, II 
(1863), nn. 1-4 (1, 10, 20 novembre, e 1 dicembre 1863). Lo 
scritto si può leggere ora nella raccolta gentiliana degli 
Scritti filosofici di S. [96], pp. 185-252 (= Opere, I, pp. 367- 
437). 


2434 


71. Spazio e tempo nella prima forma del sistema di 
Gioberti, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della 
Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, III 
(1864), pp. 137-163. 


Nella concezione giobertiana dello spazio e del tempo 
appaiono manifeste le difficoltà e le contraddizioni della 
formula ideale, e, quindi, dell’intero sistema. È questo il 
tema della “nota”, letta all'Accademia di Napoli il 7 agosto 
1864, e ristampata più tardi negli Scritti filosofici [96], pp. 
153-184 (= Opere, I, pp. 333-365). 


72. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, in 
“Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche” di 
Napoli, II (1865), pp. 293-348. 


Ristampato dall’a. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 196- 
255. Tema centrale dello scritto è l’analisi del concetto di 
“mente” in G. Bruno: S. si propone di mostrare che non è 
legittimo identificare l’intuito intellettuale di Bruno con un 
atto di fede, o con una forma di apprensione nondiscorsiva, 
mistica, dell’assoluto. Ma il saggio è noto anche perché 
contiene una importante e assai discussa digressione sul 
tema della separazione dello stato della chiesa. 


73. Il concetto dell’infinità in Bruno, in “Rendiconto 
delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali 


e politiche” di Napoli, V (1866), pp. 155-164. 


Sul concetto di infinito in Bruno e Spinoza (e Hegel). 
L’avvio al discorso di S. è dato da una osservazione 
contenuta nella Storia della filosofia moderna di H. Ritter: in 
Bruno vi sarebbe confusione di infinito e indeterminato. Lo 


2435 


scritto di S. risale certamente, nel suo nucleo originario, al 
periodo torinese: nel ristamparlo nei Saggi di critica [77], pp. 
256-267, l’a. vi appose la data: “Torino 1853. Napoli 1866”. 


74. Il concetto dell’opposizione e lo spinozismo, in 
“Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di 
scienze morali e politiche” di Napoli, VI (1867), pp. 89- 
98. 


In Spinoza è già presente l’esigenza di attribuire alla 
sostanza una negatività interna, che consenta di superare 
gravi difficoltà della dottrina (il parallelismo degli attributi). 
Questa esigenza è soddisfatta dalla logica hegeliana, con il 
concetto di opposizione; il tema è, per l’a., ancora attuale, e 
viene riferito alle discussioni sul metodo delle scienze 
comparate. Il saggio fu letto all'Accademia napoletana il 7 
luglio 1867; lo ha ristampato Gentile negli Scritti filosofici 
[96], pp. 277-290 (= Opere, I, pp. 463-476). 


75. La Scolastica e Cartesio, in “Rendiconto delle 
tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e 
politiche” di Napoli, VI (1867), pp. 102-112. 

È una nota letta all'Accademia di Napoli il 18 agosto 
1867. L’autore l’ha ripubblicata nei Saggi di critica [77], pp. 
329-340, in appendice alla ristampa del saggio Del principio 
della riforma.., nel secolo XVI [30], come “chiarimento” 
tratto dalle lezioni bolognesi di storia della filosofia (1860- 
61), e dalle lezioni napoletane del 1864-65. 


76. Principii di filosofia, vol. I, Napoli 1867, pp. 
XXXV-248. 


2436 


L’opera, che si pubblicava a dispense, è rimasta interrotta. 
Comprende una prima sezione (La conoscenza) che 
riassume parzialmente il contenuto della Feromzenologia (è 
caduta tutta la parte cosiddetta “storica” del testo 
hegeliano), e una seconda sezione (La logica), che riproduce 
liberamente il contenuto della Wisserschaft der Logik, fino 
alla prima parte della logica dell’essenza (capitolo secondo 
della prima sezione: la differenza). L'esposizione della logica 
hegeliana accoglie i risultati del saggio sulle Prizze categorie 
[70], e si appoggia spesso ai manuali più noti, circolanti in 
ambiente hegeliano (Kuno Fischer, Karl Rosenkranz ecc.). 
Nelle “aggiunte” che S. introduce nel corso dell’esposizione 
sono frequenti i riferimenti e i confronti con i filosofi 
italiani, anche contemporanei. S. aveva esposto, e continuò 
ad esporre più volte la Logica di Hegel nei suoi corsi 
napoletani: secondo una testimonianza di Maturi, raccolta 
da Gentile, tre volte tra il 1862 e il 1869. 


In base a un manoscritto affidatogli da Maturi, Gentile 
poté pubblicare nel 1911 l'esposizione completa della logica 
di Hegel fatta dallo S. (102 = Opere, III, pp. 1-429). 


Interessante — e assai nota — la prefazione dei Principi; 
nella quale l’a. rifà la storia del proprio cammino, e ribadisce 
le ragioni del suo idealismo, in un clima filosofico ormai 
mutato o prossimo a mutare radicalmente. 


77. Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, vol. I, 
Napoli 1867, pp. VIII-403. 


L’a. cominciò a raccogliere e a ristampare i suoi scritti in 
questo primo volume di Saggi, rimasto poi unico. Una 
“seconda edizione” della raccolta porta la data del 1886; ma 
anche in questo caso, come per la Filosofia di Gioberti [69], 


2437 


è mutata solo l’indicazione dell’editore (Morano, anziché: 
Stab. tip. Ghio), e quindi il frontespizio. 

Nel volume sono ripubblicati, raggruppati sotto quattro 
titoli, i nn. 19, 21, 46 (con il titolo: Tomzzaso Campanella), 
15, 54, 72, 73 (con il titolo: Giordano Bruno), 30 (con il 
titolo: Del principio della riforma ...), 42 e 57 (con il titolo: 
Terengio Mamiani) di questa bibliografia. 

Alle pp. VI-VIII, l’a. ci offre un elenco generale dei saggi 
che si proponeva di ristampare nei prossimi volumi. Oltre a 
quelli già compresi in questo primo, avrebbero dovuto 
essere ripubblicati — raggruppati, anch’essi, sotto diversi 
titoli — gli scritti che in questa bibliografia compaiono con i 
nn.: 

40, 51 (titolo: Roswzini) 

66, 37 (Kant) 

68, 71 (Gioberti) 

70, 11 (Hegel) 

62 (Socrate) 

67 (Carattere e sviluppo ecc.) 

61, 59, 48, 29, 36, 41, 56, 58, 64, 32, 44, 55, 38, 35 (Scorse 
bibliografiche). 

Un ultimo gruppo di nove saggi, sotto il titolo: Polerzica 
con la “Civiltà cattolica”, doveva comprendere una scelta 
degli articoli pubblicati nel “Cimento”; ma i titoli forniti in 
questo elenco non corrispondono sempre a quelli originali. 

L’elenco dei saggi compilato da S. fornì a Gentile un 
valido strumento per rintracciare molti scritti del filosofo, ed 
un primo criterio generale per la sua edizione delle opere 
del maestro [96]. 

La raccolta spaventiana dei Saggi di critica è stata 
ristampata nel 1928 con il titolo: Rinascimento, Riforma, 


2438 


Controriforma [112]. 


78. Paolottismo, positivismo, razionalismo, lettera al 
prof. A. C. De Meis, in “Rivista bolognese di scienze e 
lettere”, II (1868), vol. I, fasc. 5, pp. 429-441. 


La “lettera”, che porta la data: 8 maggio 1868, è una 
chiara testimonianza dell’ “umanismo” di S.;} ed è anche un 
attacco violento rivolto contro certe alleanze strette in quegli 
anni tra cattolici e positivisti. Ricca di “sarcasmo heiniano”, 
come notò il Gentile, ha conservato gran parte della sua 
freschezza, ed è uno dei documenti che più hanno attirato 
l’attenzione dei critici. È ristampata negli Scritti filosofici 
[96], pp. 291-314 (= Opere, I, pp. 477-501), con una serie di 
note che ne chiariscono la genesi e i numerosi riferimenti. 


79. Studi sull’etica hegeliana. L’assoluto, il relativo e la 
relavione assoluta, in “Rivista bolognese di scienze e 
lettere”, III (1869), serie II, vol. I, fasc. 4, pp. 911-558. 


È il “proemio” agli Studi sull’etica hegeliana [cfr. n. seg.], 
del quale l’a. ha anticipato qui la pubblicazione. Il proemio 
ha, del resto, una sua autonomia: è destinato ai sostenitori 
del positivismo, per mostrar loro che nell’idealismo 
hegeliano sono già accolte, anzi soddisfatte, le esigenze 
fondamentali della filosofia positiva. 


80. Studi sull’etica hegeliana, in “Atti della Accademia 
di scienze morali e politiche” di Napoli, IV (1869), pp. 
271-440. 


Cfr. n. precedente. 
Libera esposizione dell’etica hegeliana, che ripercorre i 


2439 


motivi centrali della Filosofia del diritto. Occasione esterna 
dello scritto fu un rilievo di T. Mamiani, il quale osservò che 
la filosofia di Hegel comporta la negazione della vita morale. 
L’esposizione di S. si apre con un esame dei presupposti 
metafisici dell’etica; e contiene, nel suo sviluppo, 
interessanti riferimenti a questioni attuali (alle polemiche 
sulla pena di morte, per esempio, e alle difficoltà interne alla 
monarchia costituzionale). 


Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel 1904 (97 = 
Opere, I, pp. 595 sgg.). 


81. De’ limiti della cognizione, in “Rendiconto delle 
tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e 
politiche” di Napoli, X (1871), pp. 71-75; e in “Giornale 
napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, 
F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. II, pp. 43-56. 


Nel “Giornale napoletano” alla ristampa, col titolo Su 
limiti della cognizione, della nota del 1871 (pp. 43-47) è 
aggiunta la discussione di un’opera del Savarese del 1856 
(pp. 47-56). L’intero saggio è ristampato negli Scritti 
filosofici [96], pp. 315-332 (= Opere, I, pp. 503-521). 


82. Recensione: 


La vita di Giordano Bruno, scritta da D. Berti, Torino 
1868; in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, 
diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, 
vol. I, pp. 1-25. 


Severa recensione dell’opera del Berti; ripubblicata da 
Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 65-102 (= Opere, II, 
pp. 71-105). 


2440 


83. Sulle psicopatie in generale, in “Giornale napoletano 
di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. 
Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. I, pp. 127-136; 186- 
192; 321-352; 353-377. 


A proposito di una lezione di Salvatore Tommasi Sulle 
psicopatie, il cui testo fu pubblicato nel “Morgagni” 
[Napoli], luglio-agosto 1871, pp. 445-458. Con questa serie 
di articoli S. interviene anche nella polemica nata dalle 
osservazioni di Luigi De Crecchio (pubblicate dallo stesso 
“Morgagni”), alle quali rispose Tommasi in due lettere che 
replicano ad altrettanti scritti polemici del De Crecchio. La 
lezione Sulle psicopatie e le due risposte si possono leggere 
in S. Tommasi, I/ naturalismo moderno, scritti vari a cura di 
A. Anile, Bari 1913, pp. 155-170, 171-182, 183-193. 

La discussione sulla natura delle psicopatie è ripresa da S. 
sul piano di un discorso che abbraccia il problema generale 
del rapporto tra fatti organici e funzioni psichiche; il filosofo 
vuoi mostrare che l’idealismo hegeliano ha già superato le 
difficoltà “metafisiche” che sembrano rinascere sul piano 
della scienza. L’anima si distingue certo dal corpo, non però 
in virtù di una distinzione reale, sostanziale, ma come 
“funzione” e “processo” psichico, come “senso di sé” 
irriducibile ad una somma di elementi fisici o chimici: in 
questo senso le psicopatie non possono ridursi ad una 
semplice alterazione fisica o chimica dell’organismo. Gli 
articoli di S. sono ristampati in Da Socrate a Hegel [98], pp. 
339-430 (= Opere, II, pp. 321-404). 

La citata raccolta di scritti del Tommasi contiene in 
appendice un saggio di G. Gentile, La filosofia di Salvatore 
Tommasi (pp. 273-298), in cui sono accostate la prolusione 
del medico-filosofo: Il naturalismo moderno (del 15 


2441 


novembre 1866), e alcune pagine dei Principi di filosofia di 
S4 [76]: 


84. Note sulla metafisica dopo Kant, in “Rendiconto 
delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze 
morali e politiche” di Napoli, XII (1873), pp. 87-90. 


È una breve nota che riprende l'argomento già introdotto 
nel proemio agli Studi sull’etica begeliana [79], e che fu letta 
all Accademia napoletana il 17 ‘agosto 1873; è stata 
ristampata da Gentile nella raccolta degli Scritti filosofici 
[96], pp. 333-338 (= Opere, I, pp. 523-529). 

85. La legge del più forte, in “Rendiconto delle tornate e 
dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” 


di Napoli, XIII (1874), D. 75-85. 


Saggio breve, ma importante, che discute dal punto di 
vista idealistico la dottrina di Darwin. Fu letto 
all'Accademia napoletana il 3 settembre 1874; lo ha 
ristampato Gentile nella raccolta degli Scritti felosofici [96], 
pp. 339-352 (= Opere, I, pp. 531-544). 


86. Idealismo o realismo? Nota sulla teoria della 
conoscenza: Kant, Herbart, Hegel, in “Rendiconto delle 
tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e 


politiche” di Napoli, XIII (1874), pp. 87-97. 


La breve nota, letta all’Accademia di Napoli il 6 
settembre 1874, è stata ristampata negli Scritti filosofici [96], 
pp. 353-366 (= Opere, I, pp. 545-559). 


86 bis. Una delle principali difficoltà della 


Fenomenologia dello spirito, in “Rendiconto delle tornate 


2442 


e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” 


di Napoli, XV (1876), pp. 10-14. 


Riproduce, con lievi modifiche, alcune riflessioni che si 
leggono in una lettera al fratello Silvio dell’ottobre 1857 (cfr. 
Silvio Spaventa, Da/ 1848 al 1861... [125], 19232, pp. 239- 
243). 


87. Gli spaventiani spaventati, in “Fanfulla” [Roma], 26 
marzo 1876. 


È uno scritto satirico, in forma di lettera, documento della 
polemica nata dalle critiche di F. Acri allo scritto di F. 
Fiorentino: Considerazioni sul movimento della filosofia in 
Italia dopo l’ultima rivoluzione del 1860 (1874). La lettera si 
può leggere in F. Fiorentino, La filosofia contemporanea in 
Italia [158], pp. 467-471. 


88. Kant e l’empirismo, in “Atti della Accademia di 
scienze morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), pp. 41. 


È un ampio studio (ristampato da Gentile negli Scritti 
filosofici [96], pp. 81-114 = Opere, I, pp. 257-291), nel quale 
si intrecciano motivi tratti da antiche riflessioni, rinnovate a 
contatto o in polemica con gli sviluppi del “nuovo” 
empirismo, nato in Germania come revisione o come critica 
radicale dei risultati della filosofia di Kant. Il saggio anticipa 
una serie di argomentazioni e di conclusioni che saranno 
elaborate in un manoscritto del 1881, edito nel 1915 dal 
Gentile con il titolo: Introduzione alla critica della psicologia 
empirica [105]. 


89. Osservavi ioni del socio Spaventa sulla 


2443 


interpretazione letta dal socio Bonghi di un luogo di 
Platone (Repubblica, X, 611a), in “Atti della Accademia di 
scienze morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), pp. 7. 


Le Osservazioni sono ristampate in Scritti filosofici [96], 
pp. 367-376 (= Opere, I, pp. 561-569). Nella ristampa, 
Gentile fornisce chiarimenti sulla discussione sorta attorno 
alla memoria del Bonghi: Una prova dell'immortalità 
dell'anima nella “Repubblica” di Platone (pubblicata nello 


stesso volume degli “Atti”). 


90. La sintesi a priori e il nesso causale, in “Rendiconto 
delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze 
morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), 
pp. 14-16; e in “Giornale napoletano della domenica”, I, 
n. 18, 30 aprile 1882. 


È il sunto di una memoria letta all’Accademia di Napoli il 
2 aprile 1882. È ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 
379-382 (= Opere, L pp. 573-576); nel pubblicarlo, Gentile 
osserva che il sunto anticipa in forma contratta gli argomenti 
sviluppati nel secondo capitolo di Esperienza e metafisica 
[94], sicché la memoria intera si identifica con quel capitolo 
dell’opera di S. pubblicata postuma, nel 1888. 


91. Un luogo di Galilei, in “Rendiconto delle tornate e 
dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” 
di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), pp. 5-8. 


Sunto di una memoria letta all’ Accademia napoletana il 3 
luglio 1882; è ristampato in Scritti filosofici [96], pp. 383- 
387 (= Opere, I, pp. 577-581). Cfr. le notizie date da Gentile 
intorno a questo breve scritto: il luogo di Galilei riguarda il 


2444 


rapporto tra intelletto divino e intelletto umano, ed è tratto 
dalla Giornata prima, in fine, dei Dialoghi sui massimi 
sistemi; il sunto (e quindi la memoria) ha una evidente 
relazione con il capitolo XII di Esperienza e metafisica [94]. 


92. Un fatto logico e un problema metafisico, in 
“Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di 
scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (settembre 
1882), pp. 3-10. 


La logica formale ci insegna che da ogni determinazione 
del pensiero è possibile derivare sempre una nuova (anche 
solo formalmente) determinazione; ma è incapace di 
attingere il principio di questa “generazione”, di cogliere 
quella “produttività più alta e originaria” che sembra 
identificarsi con la “produttività del pensiero in generale”: 
così conclude S. questa nota letta all’ Accademia di Napoli il 
4 settembre 1882, e ristampata poi dal Gentile negli Scritti 
filosofici [96], pp. 389-399 (= Opere, I, pp. 583-594). 


93. Esame di un’obbieione di Teichmiiller alla dialettica 
di Hegel, in “Atti della Accademia di scienze morali e 
politiche” di Napoli, XVIII (1884), pp. 28. 


Questa memoria apparve negli Atti dell’Accademia 
napoletana dopo la morte di S., ma era già uscita in estratto 
— riferisce Gentile, ristampandola negli Scritti filosofici [96], 
pp. 253-276 (= Opere, I, pp. 439-462) — l’anno stesso della 
scomparsa del filosofo (1883); il quale ne aveva letto un 
sunto il io dicembre 1882, che fu pubblicato nel 
“Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di 
scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (novembre- 
dicembre 1882), pp. 23-24. 


2445 


La memoria riprende il problema della interpretazione 
della logica hegeliana, già impostato nel saggio sulle Prize 
categorie [70], ampliandone e in parte rinnovandone la 
discussione sotto lo stimolo delle riflessioni, maturate negli 
ultimi anni, sui progressi delle scienze naturali e della nuova 
psicologia. L’obbiezione alla dialettica di Hegel, a cui S. si 
riferisce, è nello scritto Die wirkliche und scheinbare Welt, 
1882, dell’herbartiano G. Teichmiller; il quale ricorda lo 
scritto e la figura dello S. nella sua Religronsphilosophie, del 
1886. 


B. SCRITTI PUBBLICATI DALLA SCUOLA 


94. Esperienza e metafisica. Dottrina della cognizione, 
Torino 1888, pp. XIX-274. 


Importante lavoro, pubblicato postumo a cura di Donato 
Jaja, il quale rende conto dei criteri adottati per l'edizione 
nella prefazione indirizzata a Silvio Spaventa. Jaja accenna 
agli ultimi studi di S., che, a partire dal 1870, si interessò 
esclusivamente della nuova filosofia dell’esperienza (p. VII), 
e vide e volle mettere in chiaro il concetto di una “nuova” 
metafisica, che non è quella avversata dai positivisti. Su 
questa idea e sul problema della nuova metafisica Jaja 
ritornerà, con un riferimento diretto a S., nella sua 
prefazione agli Scritti filosofici [96] curati da Gentile. 

Il manoscritto di Esperienza e metafisica fu elaborato da S. 
tra il 29 novembre 1881 e i primi di dicembre del 1882; 
rifluiscono in esso alcuni brevi scritti dati alle stampe in 
precedenza [cfr. nn. 90, 91]. Nel volume è ristampato, in 
appendice, l’abbozzo di un saggio su Protagora del giugno- 
luglio 1880, che ha una evidente relazione, per la data della 
composizione e per il contenuto, con il frammento sulla 


2446 


dialettica hegeliana edito da Gentile nel 1913 [103]. 


L’introduzione dell’a. all'opera, per la quale sembra 
avesse scelto egli stesso il titolo con il quale fu poi 
pubblicata, è un interessante bilancio della storia della 
filosofia negli ultimi vent'anni. La domanda, che presenta in 
forma semplificata il problema implicito in tutte le 
discussioni e in tutte le polemiche più recenti, riguarda la 
possibilità di una metafisica, dopo la critica kantiana. Il 
tema è trattato da S. attraverso una serie di riferimenti a 
Kant, in primo luogo, poi alla Ferorzenologia e ai problemi 
della logica hegeliana, a Darwin, a Spencer, a Stuart Mill, e, 
in generale, alle correnti e alle dottrine che confluiscono nel 
cosiddetto positivismo; il lavoro appare interrotto in quelle 
pagine nelle quali l’a. riprende il tema già abbozzato in Ur 


luogo di Galilei [91]. 


95. Una legione di Bertrando Spaventa (la prima 
dell’anno 1864-65), pubblicata da Sebastiano Maturi, 
Napoli 1901, pp. 19. 


Sul rapporto tra scienza (= scienze particolari) e filosofia 
(“quella sola che realizza l’umanità del sapere”). La lezione 
non è stata mal ristampata. 


C. OPERE EDITE DA GIOVANNI GENTILE* 
96. Scritti filosofici, raccolti e pubblicati con note e con 
un Discorso sulla vita e sulle opere dell'autore da 


Giovanni Gentile e preceduti da una prefazione di 
Donato Jaja, Napoli 1900, pp. CLII-408. 


Nella raccolta sono ristampati (pp. 1-399 = Opere, I, pp. 
171-594) gli scritti di S. ordinati in questa bibliografia con i 


2447] 


nn. 66, 88, 67, 71, 70, 93, 74, 78, 81, 84, 85, 86, 89, 90, 91, 
92: 

La breve prefazione di Jaja (pp. VII-XVII) condensa in 
poche pagine una decisa — e chiara, nella sua tematica 
semplificata — interpretazione della filosofia di S., 
interpretazione che costituìù per lo stesso Jaja un 
presupposto del proprio pensiero, e che era destinata a 
passare nella rielaborazione attualistica della problematica 
spaventiana. Il punto di partenza della nuova filosofia è 
nell’idealismo kantiano (preparato da Vico: secondo la 
“scoperta” di S.); è, chiarisce Jaja, nel tentativo di 
“spiegazione o intellezione, prima che degli avvenimenti che 
la storia registra, del grande, unico, perenne e perpetuo 
avvenimento, che è l’atto stesso dell’intellezione, l’atto del 
conoscere, il conoscere” (p. IX). Questa è l’eredità, questo il 
problema dell’idealismo “nuovo” (o “post-kantiano” o 
“assoluto”). La filosofia si riduce all’analisi della “potenza 
conoscitiva”; analisi iniziata da Kant, completata, nelle linee 
essenziali, da Hegel, ma “aperta sempre al pensiero 
speculativo”, giacché “per la difficoltà sua e per la nuova 
soluzione che prepara a tutti i problemi della vita, deve 
essere un farsi e rifarsi perenne nella umana coscienza”. 
Conclude Jaja: “Se analisi è luce, non poca è la luce di cui si 
ha bisogno, perché la potenza conoscitiva, così varia e 
complessa nei suoi elementi e nella costituzione sua, e 
nondimeno una sempre e identica a se stessa in tutti i 
periodi di sua storica esistenza, in tutta la sua sterminata 
esistenza, passi dallo stato iniziale dell’esser suo al suo stadio 
finale, non sopprimendo alcuno dei suoi interni stimoli, ma 
dando a tutti una più ordinata e sana e compiuta 
soddisfazione. Di quest’analisi splendono gli scritti, che in 
questo volume si ripubblicano, di B. Spaventa, e tutti gli 


altri suoi” (p. XIV). 


2448 


Il “discorso” di Gentile Della vita e degli scritti di B. S. 
(pp. XXI-CLII; ristampato con integrazioni e modifiche nel 
1924, cfr. 204), che si conclude con la prima bibliografia 
delle opere del filosofo (pp. CXLI-CLII), è diviso in sette 
paragrafi. Il primo (pp. XXI sgg.) raccoglie le notizie 
intorno agli studi e alle vicende di S. fino al 1850; va notato 
l’accenno all’influsso esercitato da O. Colecchi, il rilievo 
dato alla figura di S. Cusani (e alla sua “retta” 
interpretazione del concetto kantiano di categoria), infine 
l’assunzione delle idee espresse da Silvio S. sul “Nazionale” 
(“un giornale... politico filosofico arieggiante in qualche 
modo quelli della sinistra hegeliana tedesca”, p. XXXI) 
come documento delle prime convinzioni etico-politiche di 
S. Il secondo paragrafo (pp. XXXV sgg.) tratta degli esordi 
di S. scrittore a Torino (Studi sopra la filosofia di Hegel, 
primi lavori su Bruno, ecc.), con qualche riser va sul 
carattere “tra l’enfatico e il declamatorio” di questi scritti (p. 
XLII). Agli articoli contro la “Civiltà cattolica” è dedicato il 
terzo paragrafo (pp. XL11I sgg.): fornisce le notizie 
essenziali intorno alla polemica, e ai periodici “Il Cimento” 
e “Il Piemonte”, che l’ospitarono; e qualche indicazione 
sulle rassegne e sulle recensioni apparse sul “Cimento” e 
sulla “Rivista contemporanea”, nel decennio torinese di S. 
(1850-59). G. sottolinea il pregio anche letterario degli 
scritti polemici di S., nei quali l’a., “ingegno satirico”, Si 
serve con bravura dell’ “ironia”: un’ironia che coincide con 
la stessa “ironia della storia”, che veniva “ineluttabilmente 
trionfando degli antichi pregiudizi e interessi” della “vecchia 
reazione” contrapposta alle “nuove libertà” (p. LIV). Il 
quarto paragrafo, il più ampio di tutti (pp. LV-XC), è 
dedicato alla teoria della “circolazione del pensiero 
italiano”: che è — giudica ora G. — “il maggior titolo” di S. 
storico e filosofo (p. LV), un’ “intuizione geniale”, “che è, 


2449 


ripeto, la parte più originale dell’opera sua” (p. LKXXTX). 
G. distingue due parti o momenti nella costruzione della 
teoria, analizzandone minutamente l’elaborazione: gli studi 
sul Rinascimento (Bruno, Campanella, e il loro rapporto con 
Cartesio e Spinoza), poi quelli su Galluppi, Rosmini e 
Gioberti (con particolare attenzione al volume del 1863) e la 
posizione del rapporto Vico-Kant (che, malgrado Jacobi, 
non ha veri precedenti, e resta una “scoperta” autentica di 
S.). Nel quinto paragrafo (pp. XC-CXV) G. ricorda le 
vicende relative alla chiamata di S. a Napoli, introduce una 
rapida, netta caratterizzazione dell'ambiente napoletano 
(sono rimaste le pagine su “il tipo del giobertiano di 
Napoli”: pp. XCIII sgg.), riassume la polemica con L. 
Palmieri sulla “nazionalità” della filosofia. Passa quindi a 
trattare dei corsi di S. e dei suoi studi hegeliani, in primo 
luogo della memoria su Le prize categorie “dove si agita e 
risolve in maniera originale il problema fondamentale della 
dialettica hegeliana, che è pure il problema fondamentale di 
tutta la filosofia di Hegel” (p. CI). Lo studio di S., qui 
riassunto, è giudicato “assai rilevante”; G. ne richiama i 
precedenti (K. Werder, K. Fischer), lamentandosi — con 
Labriola — della scarsa attenzione che questi lavori hanno 
destato fuori d’Italia. Si occupa poi dei Prizcipi di filosofia e 
degli Studi sull’etica hegeliana, battendo sul carattere non 
dommatico dell’idealismo di S. (“non si chiuse mai in 
quell’astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere 
sperimentale”, p. CVII), ricordando l'affermazione — 
contenuta nei Principi — del carattere pratico del sapere (“la 
chiave d’oro della nuova gnoseologia dopo Kant”, già 
individuata da Marx, e ancora da sviluppare 
convenientemente, p. CVIII sg.), e riferendo estesamente le 
discussioni sulla pena di morte e la posizione assunta da S., 
diversa da quella del Vera (distinto da S., secondo uno 


2450 


schema ormai corrente, come campione dell’ “ortodossia”). 
Ricorda, G., il corso di antropologia del 1863-64, e 
conclude: “Di tal fatta erano tutti i suoi corsi. L’anima 
ispiratrice era sempre l’hegelismo; ma la sentenza hegeliana 
riceveva il conforto della storia ed era posta a cimento con le 
più recenti dottrine; infine raffrontata sempre a quelle dei 
nostri filosofi e come italianizzata e fatta nostra” (p. CXIII). 
Con le notizie intorno alla fondazione del “Giornale 
napoletano di filosofia e lettere” e alla lotta contro il 
“paolottismo” fiorentino si apre il sesto paragrafo (pp. 
CXVI-CXXXIII); che discute ampiamente lo scritto sulle 
psicopatie, l’interpretazione del darwinismo (“e anche in 
questa accettazione del trasformismo naturale il Nostro 
opponevasi agli insegnamenti di Hegel”, p. CXXII), infine 
Esperienza e metafisica (con i testi connessi), analizzando la 
tematica della “nuova metafisica” (il concetto di apriori, del 
trascendentale, ecc.; interessante, a p. CKXXIII, la saldatura 
tra questi studi e il saggio sulle Prizze categorie: “Questa 
sintesi [i.e. la sintesi apriori “presupposta” da Kant] da 
Hegel è rintracciata nella sua prima origine, nella forma più 
astratta, indeterminata: nel concetto del divenire dell'essere 
che è non essere, in quanto è pensiero, come l’autore aveva 
dimostrato nella memoria sulle Prizze categorie”). L'ultimo 
paragrafo (pp. CXXXIII-CXXXTX) tratta dello scritto 
contro Teichmuller sulla dialettica hegeliana, e si chiude con 
un “ritratto” del filosofo (G. si richiama anche alla 
commemorazione di Fiorentino: cfr. n. 163) e con una 
dedica “ai giovani” del volume: che imposta «i problemi 
fondamentali del pensiero moderno” e offre un sicuro 
orientamento per il futuro sviluppo degli studi filosofici, 
riassumendo l’opera di S. “le nostre tradizioni genuine, 
donde bisogna trarre gli auspici”. 


Dopo la bibliografia degli scritti di S. — che G. 


2451 


ripresenterà, corretta anch’essa e accresciuta, nella 
monografia del 1924: cfr. n. 204 — il curatore introduce una 
breve nota per chiarire i criteri della raccolta, tracciando 
anche il piano dei prossimi volumi. Gl Scritti filosofici 
raccolgono per ora i saggi più rilevanti, e “originali”, dell’a., 
dispersi in atti accademici e riviste non facilmente reperibili. 
L’elenco dei saggi spaventiani, introdotto dal filosofo nella 
raccolta del 1867 [cfr. n. 77] costituì per G., oltre che una 
guida per la ricerca, un criterio di scelta (G. rispetta 
l’esclusione dalla ristampa degli Studi sopra la filosofia di 
Hegel, e dei Frammenti del 1852); e un criterio, infine, per 
l'ordinamento degli scritti. 


97. Principi di etica, Napoli 1904, pp. XXIII-181. 


Ristampa degli Studi sull’etica hegeliana (80 = Opere, I, 
pp. 595 sgg.). Alle pp. 173-181, G. inserisce due brani tolti 
dai Principi di filosofia [76]: dalle pp. 94-97 (Concetto della 
filosofia. Relazione della filosofia con l’esperienza); dalle pp. 
65-75 (Il processo dell’autocoscienza riconoscitiva). 

Nella prefazione (ristampata in G. Gentile, Saggi critici, 
serie prima, Napoli 1921, pp. 141-158), dopo aver difeso lo 
stile e il linguaggio filosofico di S., G. si sofferma su due 
punti di qualche importanza; il rapporto tra diritto e 
moralità in Hegel (e in S.), il concetto e la collocazione del 
“sopramondo” (arte, religione, filosofia) nel sistema. 
Particolarmente interessante l’intervento sulla prima 
questione: la precedenza — ideale — del diritto (del diritto 
“astratto”, che non va confuso col diritto positivo, col 
diritto come legge) rispetto alla morale, come suo elemento 
costitutivo, non autorizza l’identificazione della dottrina 
hegeliana con quella “associazionistica”, che fa del 
sentimento del dovere un semplice effetto della sanzione. La 


2452 


discussione di questo punto consente a G. di toccare la 
questione dello “stato etico”, e di respingere 
l’interpretazione secondo la quale Hegel fa dipendere la 
morale dallo stato. È lo stato, anzi, che si fonda sulla morale; 
“né può dirsi, che Hegel torni col suo ideale dello stato al 
concetto pagano, per cui l’uomo esisteva per lo stato, e non 
lo stato per l’uomo... [perché] uomo e stato sono unu et 
idem” (p. XIX = Opere, I, p. 607). G. risponde così, senza 
nominare l’autore, a un rilievo di F. Masci (“Kant aveva 
considerato lo stato come mezzo, Hegel lo concepì come 
fine. Retrocesse così fino al concetto pagano, che l’uomo 
esiste per lo stato, non lo stato per l’uomo...”: La libertà nel 
diritto e nella storia secondo Kant e Hegel, Napoli 1903, p. 
43). 


98. Da Socrate a Hegel, nuovi saggi di critica filosofica, 
Bari 1905, pp. XVI-430. 


Ristampa (cfr. ora Opere, II, pp. 1-104) degli scritti 
ordinati in questa bibliografia con i nn. 62, 53, 82, 61, 37, 
40, 51, 17, 59, 29, 41, 48, 56, 83. 

La prefazione di G. (ripubblicata in G.G., Saggi critici, 
serie prima, Napoli 1921, pp. 167-175) spiega, in primo 
luogo, il sottotitolo (“nuovi saggi”): la raccolta viene 
presentata come “compimento” del “disegno dell’autore”, 
parzialmente realizzato con i Saggi del 1867 [77]. Un 
volume a sé costituiranno gli articoli ristampati poi sotto il 
titolo La politica dei gesuiti [101]; altri scritti (le False accuse 
contro l’hegelismo, 11) non sono stati ancora rintracciati dal 
curatore; G. dà notizia, infine, della scoperta dello studio 
Sulla quantità [I]. Non era prevista da S. la ristampa de La 
filosofia neocristiana e il razionalismo in Alemagna, ma il 
curatore ha voluto includere l’articolo, per il suo pregio 


2453 


intrinseco, e per la diffusione che ebbe in Italia la filosofia 
del diritto di J. Stahl, criticata qui da S. Concludono la 
prefazione alcune osservazioni sulla “forma clandestina” che 
ebbe l’attività letteraria del filosofo, e l'invito a riannodare, 
attraverso S., il “filo prezioso” della tradizione filosofica 
italiana; degna di rilievo la proposta — già introdotta, in 
forma diversa, nel Discorso del 1900 — di un parallelo S. — 
De Sanctis: “quello che furono per la letteratura i Saggi 
critici del De Sanctis, furono per la filosofia i Saggi di critica 


dello Spaventa” (p. XIV = Opere, II, p. 8). 


Tra le recensioni, va ricordata quella, positiva, di M. 
Losacco (Pagine sparse di B. S., “Fanfulla della domenica”, 
20 maggio 1906; poi in M. L., Educazione e pensiero, Pistoia 
1911, pp. 195-201), che sottolinea l’importanza degli articoli 
sulle psicopatie (de La frlosofia neocristiana e il razionalismo 
inAlemagna e di altri scritti spaventiani dedicati a Schelling 
discorre M. Losacco nella rassegna: La filosofia dello 
Schelling in Italia, in “La cultura contemporanea” [Roma], 
V, 1913, pp. 198-212; cfr. in particolare pp. 208-210). Una 
stroncatura di Giuliano il Sofista [= Giuseppe Prezzolini], 
in “Leonardo”, III (1905), ottobre-dicembre, pp. 204-209, 
denuncia il “profondo e fondamentale misticismo, 
accompagnato da forme teologiche e da espressioni 
religiose”, della dottrina di Hegel e di Spaventa. 


99. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia 
europea, nuova edizione con note e appendice di 
documenti, Bari 1908, pp. XXII-307; terza edizione, Bari 
1926, pp. XXIII-307. 


Ristampa, con il titolo cambiato dal curatore “in quello 
più determinato che era suggerito dallo stesso argomento 


del libro”, della Prolusione e introduzione del 1861-62 (68 = 


2454 


Opere, II, pp. 405-719); con l’aggiunta, in appendice, delle 
lettere (anch’esse del 1861-62) tratte dal carteggio tra Silvio 
e Bertrando S., e già pubblicate da G. nel 1901 [127]. 


La prefazione di G. (ristampata con il titolo La filosofia 
italiana e B.S. in G. G., Saggi critici, serie seconda, Firenze 
1927, pp. 197-208) è particolarmente importante, per due 
motivi. Primo, perché G. ribadisce la continuità tra il 
programma spaventiano del 1862 e il compito attuale della 
filosofia (sua giustificazione come “sapere assoluto”). La 
ricostruzione dei momenti attraverso i quali S. conquistò per 
sé, in queste lezioni, l’unità del punto di vista storico e del 
punto di vista scientifico (“il libro pare una polemica, ed è 
una ricerca; pare una mera storia, ed è una fenomenologia 
dello spirito, cioè vera e propria filosofia”) introduce G. alla 
discussione (allargata attraverso un rinvio esplicito allo 
scritto del 1907 I/ circolo della filosofia e della storia della 
filosofia) del secondo punto: identità di filosofia e storia 
della filosofia (grande storico è chi realizza, come S., la legge 
dell’identità di filosofia e storia della filosofia), identità e 
distinzione di storia delle idee e storia biografica, di storia 
delle idee e storia della civiltà. Se una riserva si può avanzare 
contro questa “storia” di S., essa riguarda la denuncia della 
responsabilità della chiesa cattolica, che avrebbe impedito il 
libero sviluppo del pensiero italiano del Rinascimento, e 
determinato il “vuoto” tra Campanella e Vico, tra Vico e 
Galluppi. Ma la prospettiva storiografica di S. resta, agli 
occhi di G., salda e valida tuttora. 


L’edizione del 1926 si avvale di un accurato raffronto con 
il testo del 1862 e scioglie e rende espliciti molti riferimenti 
di S. ai filosofi del Rinascimento. 

Tra le edizioni scolastiche della Filosofia italiana, va 
ricordata, in primo luogo, quella curata dallo stesso Gentile 


2455 


per la casa editrice Sansoni, Firenze 1937; poi un'edizione a 
cura di G. Tarozzi, Torino 1937; una a cura di E. Vigorita, 
Napoli 1938; una a cura di G. Ponzano, Padova 1941; e 
quella più recente curata da B. Widmar, Roma 1955. 


100. Due frammenti di uno scritto inedito di B. Spaventa 
contro il positivismo (I. La relatività della conoscenza 
secondo E. Littré; II. La smaterializzazione del cervello), in 
“La Critica”, VII (1909), pp. 479-484; VII (1910), pp. 
67-73. 


Si tratta di due frammenti dell’Introduzione alla critica 
della psicologia empirica, pubblicata per intero nel 1915 
[105]. 


101. La politica dei gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. 
Polemica con la “Civiltà cattolica” (1814-T1), Milano- 
Roma-Napoli 1911, pp. XXXIV-312. 


Sono ripubblicati qui, nell’ordine, gli articoli e le 
recensioni contrassegnate in questa bibliografia con i nn. 20, 
24,31, 45, 47, 49; 50,52, 28, 23,25, 21,,33,34; 38(ctr. 
Opere, II, pp. 721-1020). 

Molto importante la prefazione (si può leggere anche in 
G. G,, Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 173- 
196, dov'è ristampata con il titolo Gt scritti politici di B. S.) 
anche come documento della presa di posizione di Gentile, 
in questi anni, sulla questione dei rapporti tra lo stato e la 
chiesa. La prefazione si può dividere in due parti. La prima 
contiene una analisi delle opposte ragioni che si scontrano 
nelle polemiche sulla separazione della chiesa dallo stato, in 
Piemonte, nel decennio di preparazione. Sono due logiche 
che si oppongono; quella dei gesuiti, più stringente, ma 


2456 


formale (la logica “della morte”), e quella della politica di 
Cavour, la logica “della vita”, una logica forse “zoppicante”, 
ma conforme alla realtà, che “non è così impeccabilmente 
logica, come la vorrebbe la logica dei gesuiti; e si contenta, 
anzi vive di contraddizioni che è atta essa stessa a risolvere” 
(p. XI = Opere, II, p. 727). La vera religione dello Statuto 
era quella consentita dalla eguaglianza dei cittadini di fronte 
alla legge, la religione dello stato “che non riconosce se non 
se stesso, e nel cittadino non vuole se non il cittadino: la 
religione immanente al luogo della cattolica apostolica 
romana” (p. XII = Opere, II, p. 728). Nella seconda parte, 
G. chiarisce le occasioni delle polemiche di S., ricostruisce il 
programma del “Cimento”, traccia un profilo dei suoi 
collaboratori, e riconosce a S. un gran merito: “B. S. con la 
sua filosofia diede alla politica cavouriana la coscienza della 
logica che vi era immanente: che non era propriamente la 
logica della separazione della chiesa dallo stato, ma della 
negazione (e conservazione) della chiesa nello stato” (pp. 
XXIX sg. = Opere, II, p. 742). La fede nella immanenza del 
divino in tutte le forme della vita, e quindi nello stato, in 
quanto tale, consentì a S. di muovere, fin dal 1854-55, “in 
soccorso della politica emancipatrice dello stato”; la lotta 
non ebbe allora pieno successo, ma dagli scritti di S. è 
possibile trarre ancora serie indicazioni. “E poiché la lotta 
non è terminata e c’è sempre una chiesa, in Italia, contro lo 
stato, e questo ha sempre bisogno di acquistare la coscienza 
distinta della propria laicità, che è la infinità stessa, di cui 
parlava lo Spaventa, quel che la sua opera politica non 
ottenne nel decennio, l’otterrà senza dubbio, senza fretta, 
lungo il cammino della nostra democrazia nella libertà” (p. 
XXXII = Opere, II p. 744). 

Da La politica dei gesuiti edita da Gentile dipendono due 
edizioni più recenti di questi articoli di S.: la scelta a cura di 


2457 


F. Fergnani (B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano 1951; cfr. n. 
249), e quella curata da F. Alderisio (B. S., Lo stato moderno 
e la libertà di insegnamento, Firenze 1962 [cfr. n. 272]). 


Agli studi di S. sulle dottrine dei gesuiti, anticipatori, nel 
secolo XVI, di Rousseau e della sovranità popolare, si 
riferisce in più luoghi G. Saitta, La scolastica del secolo XVI 
e la politica dei gesuiti, Torino 1911, pp. XI-311, soprattutto 
nella seconda parte (pp. 113 sgg.), in cui sono esaminate le 
dottrine di Suàrez, Bellarmino, Mariana. 


Va segnalato infine un articolo pubblicato sull’ “Avvenire 
d’Italia” del 28 febbraio 1935 (I/ domina dell’immacolata e 
B.S.) che contiene un aspro attacco contro il filosofo (ma 
anche grossolani errori a proposito del testo spaventiano; 
cfr. La leggenda dell’idealismo, “Giornale critico della 
filosofia italiana”, XVI, 1935, pp. 426 sg... 


102. Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta 
di parti inedite, Bari 1911, pp. XI-456. 


Ristampa dei Principi di filosofia (76 = Opere, III, pp. 1- 
429) con l’aggiunta dell’ultima parte, rimasta fin qui inedita. 
Maturi — che ebbe modo di ascoltare più volte, tra il 1862 e 
il 1869, il corso di logica di S. — fornì a G. una copia 
dell'intero testo spaventiano. “Così abbiamo finalmente in 
Italia una esposizione completa di questa logica, e una 
esposizione magistrale, che viene incontro al bisogno 
sempre più vivo e sempre più largamente sentito, di essere 
guidati a penetrare nel segreto processo di questa nuova 
intuizione del mondo (ancora da conquistare nella sua 
integrità), che è risoluzione assoluta della natura nello 
spirito, della realtà nella sua coscienza, dell'esperienza nella 


logica pura” (p. X = Opere, III, p. 6). 


2458 


Gentile ha curato anche una edizione scolastica di Logsca 
e metafisica, Firenze 1933; un’altra edizione per le scuole è 
quella a cura di E. Vigorita, Torino 1940. 


103. Frammento inedito, in G. GENTILE, La riforma 
della dialettica begeliana, Messina 1913, pp. 45-71; ora in 
G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni Gentile 
per gli studi filosofici, vol. XXVII, pp. 40-65. 


Il frammento, come ha stabilito Gentile, risale al 1880- 
1881. Riprende, e conclude — anche attraverso riferimenti 
polemici alla Logigue de Hegel di A. Vera — la discussione 
sulle Prizze categorie, del 1863-64 [70], correggendo la 
prima interpretazione o “riforma” della dialettica hegeliana 
(“prima non appariva bene che il pensare è, per dir così, 
l’essere stesso dell’essere; appariva quasi come una funzione 
meramente soggettiva”, Opere, XXVII, p. 63) e richiamando 
nel discorso altri studi (più recenti, come lo scritto sulle 
psicopatie [83], pp. 52 sg., e La legge del più forte [85], p. 
53; ma anche l’analisi della distinzione giobertiana di 
riflessione psicologica e riflessione ontologica, pp. 54 sgg). 

Il testo spaventiano (ora in Opere, III, pp. 431-462) è 
stato pubblicato da G. in appendice al primo scritto (La 
riforma della dialettica hegeliana e B. S., con appendice; porta 
la data: 1912) della raccolta, che da quel famoso studio 
prese il titolo generale; e viene presentato come il 
documento che giustifica lo schema di derivazione: Hegel- 
Spaventa-Gentile. Il frammento presenta una impostazione 
del problema della dialettica hegeliana molto prossima alla 
soluzione attualistica (anche nella espressione verbale: “In 
altri termini, lo spettatore è anco attore. O, come dice Hegel 
in generale: la categoria non è soltanto essenza o semplice 
unità dell'ente, ma è tale unità solo in quanto è attualità 


2459 


mentale. E attualità vuoi dire atto: l’essere è essenzialmente 
atto del pensare”, pp. 47 sg.; cfr. pp. 55, 60 sg.); nei 
paragrafi settimo e ottavo del suo studio, G. ripercorre 
l’intero sviluppo della riflessione di S. sull’argomento, dallo 
scritto del 1863-64 (dove la soluzione del filosofo sarebbe 
identica a quella di Fischer) alla risposta a Teichmiiller [93], 
e, finalmente, a questo inedito che, pur vicino all’attualismo, 
è gravato ancora da oscurità (cfr. p. 39: “Ebbe lo Spaventa 
consapevolezza della portata di questa sua scoperta? 
L’oscurità stessa della sua esposizione fa pensare di no...”). 


104. La materia della sensazione, Palermo 1913, pp. 16. 


È un breve frammento dell’Introdugione 4/la critica della 
psicologia empirica [105], pubblicato in un opuscolo nuziale. 


105. Introduzione alla critica della psicologia empirica, 
estratto dagli “Annali delle Università toscane”, Pisa 


1915, pp. VI-98. 


È il testo - completo — di un manoscritto che, secondo 
G., fu composto da S. nell’estate del 1881: come primo 
abbozzo di Esperienza e metafisica [94], e come sviluppo 
delle indagini già avviate nella memoria Kant e l’empirismo 
[88]. Gentile ne aveva già pubblicati alcuni frammenti nel 
1909-10 [100] e nel 1913 [104]. 

Interessante il giudizio di G. su questa — pur non 
completamente svolta — critica dell’empirismo; nella quale è 
documentabile l'accostamento dell’a. “alla concezione del 
formalismo assoluto, ossia dell’impossibilità di postulare una 
materia fuori dell’atto o forma del conoscere” e quindi 
l'intenzione sua di “risolvere... la matura, l’antico 
presupposto dello spirito, nell’atto spirituale... Così gli 


2460 


ultimi capitoli di questi frammenti cessano evidentemente di 
essere una polemica, e mostrano come per necessità la 
psicologia empirica, attraverso la teoria della conoscenza, 
vada a finire nella metafisica dell'anima come atto” (p. VI; 
cfr. ora Opere, II, pp. 463-589, e, per il luogo cit. della 
presentazione di Gentile, p. 469). 


106. L’anima e l'organismo, in “Giornale critico della 
filosofia italiana”, I (1920), pp. 312-321. 


È il testo delle prime lezioni di un corso di antropologia, 
tenuto da S. nell’anno 1863-64. Per  l’esposizione 
dell’antropologia hegeliana — riferisce Gentile — S. teneva 
conto anche di sviluppi posteriori della dottrina; in 
particolare della Psychologie dell’hegeliano J. Schaller. Cfr. 
n. 115 e v. Opere, III, pp. 591-608. 


107. False accuse contro l’begelismo, in “La Critica”, 


XVIII (1920), Pp. 246-253, 312-320. 


Ristampa dei due articoli ordinati in questa bibliografia 
con il n. 11. Nella breve introduzione, Gentile pubblica 
anche una lettera di S. a Eugenio Camerini, dell’11 febbraio 
1860; lettera che ha consentito di rintracciare questi articoli 
nel quotidiano torinese “Il Progresso” (cfr. ora Opere, III, 


pp. 609-637). 


108. La libertà d'insegnamento. Una polemica di 
settant'anni fa, Firenze 1920, pp. 187. 


Alle pp. 41-131 sono ristampati (e in Opere, III, pp. 673- 
763) gli articoli ordinati in questa bibliografia con il n. lo. 
Nell’appendice, pp. 135-138, si può leggere l’articolo già 


2461 


indicato qui con il n. 9; altri documenti della polemica, in 
gran parte articoli di Domenico Berti, apparsi sui giornali 
“La Croce di Savoia” e “Il Risorgimento”, sono ristampati 
alle pp. 139 sgg. 

I documenti essenziali che servono a ricostruire le 
polemiche sulla libertà di insegnamento in Italia, dal 1840 
fino a questi interventi di S. (1851), sono raccolti e illustrati 
nell'ampia prefazione di Gentile (pp. 7-40 = Opere, III, pp. 
641-672), il quale dà anche importanti notizie sul 
programma e sui col-laboratori del giornale torinese “Il 
Progresso”. 


Una edizione più recente dei tredici articoli sulla libertà 
di insegnamento ha curato nel 1962 F. Alderisio [272]. 


109. Pensieri sull’insegnamento della filosofia e lettere 
inedite, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI 
(1925), pp. 91-105. 


Ristampa (pp. 91-99) dell’articolo ordinato in questa 
bibliografia col n. 2. Seguono (pp. 99 sgg.) sei lettere o 
frammenti di lettere di S. a De Meis (cfr. n. 126 e Opere, III, 
pp. 831-855). 


D. SCRITTI PUBBLICATI DA ALTRI AUTORI 


110. Una prolusione inedita di Bertrando Spaventa a un 
corso di diritto pubblico, a cura di A. Guzzo, in “Giornale 
critico della filosofia italiana”, V (1924), pp. 280-296. 


È il testo della prolusione di Modena del 25 novembre 
1859. Alle pp. 293-296 è riprodotto uno schema delle 
lezioni modenesi, tratto da un altro manoscritto di S. Cfr. n. 
122, 


2462 


111. Lezioni inedite di B. Spaventa, a cura di A. Guzzo, 
in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (19295), pp. 
198-222, 291-295, 360-369. 


Il primo gruppo di questi inediti (pp. 198-222, 291-295) è 
costituito dagli appunti — di mano “di uno o più scolari 
modenesi” — relativi a cinque lezioni sulla filosofia greca 
dettate da S. per la parte storica del suo corso del 1859-60 
(v. lo schema pubblicato da Guzzo nel 1924: cfr. n. 
precedente). Il secondo gruppo (pp. 360-369) raccoglie gli 
abbozzi, di mano dello S., di tre lezioni tenute 
nell'università di Bologna il 10 maggio e il 16 dicembre 
1860, e 11 marzo 1861. 


112. Rinascimento, Riforma, Controriforma e altri saggi 
critici, Venezia 1928, pp. 363. 


Ristampa dei Saggi di critica del 1867 [77] nella collana 
“Storici antichi e moderni” della Nuova Italia} con 
l’aggiunta di un indice dei nomi. 


113. Uno scritto inedito di Bertrando Spaventa sul 
problema della cognizione e in generale dello spirito 
(1858), a cura di F. ALDERISIO, in “Rendiconti 
dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, 
storiche e filologiche”, serie VI, vol. IX, fasc. 7-10, luglio- 
ottobre 1933, pp. 564-667. 


F. Alderisio descrive e commenta (pp. 564-583) 
l'importante inedito da lui scoperto in una delle buste dei 
manoscritti di S. conservati presso la Biblioteca Nazionale di 
Napoli, identificandolo con l’abbozzo in “parentesi” scritto 


2463 


tra il gennaio e il marzo del 1858, di cui S. dà notizia al 
fratello Silvio in una lettera dell’8 febbraio dello stesso anno 
(cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861 [125], 19232, pp. 248 
sgg.). 

Una più recente edizione dell’inedito a cura dello stesso 
Alderisio è: B.S., Sul problema della cognizione e in generale 


dello spirito, Torino 1958, pp. XLIII-156 [cfr. n. 266]. 


114. Rime satiriche di B. Spaventa sul connubio Sella- 
Nicotera, in “Rinascita”, XI (1954), p. 32. 


Queste “rime” sono conservate nel fondo Spaventa della 
Società napoletana di storia patria. 


115. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di Bertrando 
Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 


XXXIV (1955), PP. 489-495. 


Si tratta di alcuni estratti di F. Tocco, relativi a lezioni 
sulla filosofia della natura di Hegel, tenute da S. nel 1863 (i 
primi appunti sono del 1° gennaio). E. Garin, nel pubblicare 
questi estratti da lui scoperti, discute anche dei rapporti di 
Tocco con il maestro. 

Gli estratti sono stati poi ripubblicati in E. Garin, La 
cultura italiana tra ‘800 e ‘900, Bari 1962, pp. 67-76. 

Cfr. anche n. 106. 


116. Un “pamphlet” antidemocratico inedito di 
Bertrando Spaventa (1880), a cura di P. C. MASINI, in 
“Rivista storica del socialismo”, II (1959), pp. 304-326. 


Alle pp. 316-326 è riprodotto — con l’aggiunta di note 


2464 


esplicative — il testo di un pamphlet scritto da S. nell’agosto 
1880 contro Pietro Siciliani; è intitolato: Le conferenze 
pedagogiche a Firenze. Lettera a Fanfulla di Minchione 
Chiappanuvole maestro elementare inferiore a Peretola. 
L’opuscolo, già pronto per la stampa, come risulta dalle 
bozze corrette rinvenute (insieme al manoscritto originale) 
nella Biblioteca comunale “Angelo Mai” di Bergamo, 
doveva essere pubblicato anonimo; rimase inedito per una 
“indiscrezione dello stampatore’, come attesta una 
dichiarazione sul frontespizio del figlio di S., Camillo. 


Presentando il testo spaventiano, che contiene aspre 
invettive non solo contro Siciliani, ma anche contro De 
Sanctis, P. C. Masini propone un riesame della collocazione 
politica di S., “difensore del vecchio ordine culturale e 
politico di stampo moderat”. Il pamphlet contribuirebbe a 
rivedere la proposta della “linea” S.-Labriola-Gramsci, 
lanciata a partire dal 1952, e a smentire il rilievo di una 
evoluzione dell’ultimo S. verso il positivismo o il 
materialismo (cfr. in particolare le pp. 310-314). 


La scoperta dell’opuscolo del 1880 è il frutto di una 
esplorazione delle carte spaventiane conservate presso la 
Biblioteca comunale di Bergamo; alle pp. 304-310 sono 
riportate notizie su manoscritti editi e inediti del filosofo, 
dei quali M. fornisce un primo inventario. V. su questo 
punto l’introduzione premessa a questa bibliografia, pp. 863 
sg. 

Sul lavoro di M. cfr. E. Garin, Un ‘pamphlet’ 
antidemocratico inedito di B. Spaventa, “Giornale critico 
della filosofia italiana”, XXXVII (1959), pp. 572-574. 
Discutendo del testo di S. e della interpretazione di M., 
Garin rende noto l’annuncio di una traduzione spaventiana 
dell’opera di L. Stein, Der Socialismus und Communismus 


2465 


des heutigen Frankreichs, diffuso nel 1850 da una 
“Stamperia degli artisti tipografi” di Torino [cfr. n. 3]. 
Interessanti anche i rilievi di Garin sui rapporti di S. con i 
positivisti (in particolare con P. Siciliani). 


117. Il lavoro e le macchine, a cura di D. D'ORSI, in 
“Sophia”, XXXI (1963), n. 3-4, pp. 254-259; e in 
“Dialoghi”, XI (1963), n. 3-5, pp. 191-197. Cfr. n. 123. 


118. Rivoluzione e utopia, a cura di I CUBEDDU, in 
“Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 
66-93. 


Ristampa di dieci articoli, pubblicati nel 1851 nel giornale 
“Il Progresso” di Torino, e elencati in questa bibliografia 
con i nn. 5, 12, 14. Cfr. n. 275. 


119. L'essenza metempirica del filosofare, a cura di D. 
D’ORSI, in “Dialoghi”, XII (1964), n. 1-3 (gennaio- 
giugno), pp. 39-50. Cfr. n. 123. 


120. II Socialismo e il Comunismo in Francia — 
supplemento alla storia del secolo per L. Stein Professore in 
Kiel. Prima versione dall'originale tedesco di Bertrando 
Spaventa, a cura di S. LANDUCCI, in “Annali 
dell'Istituto Giangiacomo Feltrinell”, VI (1963), Milano 
1964, pp. 693-695. 


Ristampa del n. 3 di questa bibliografia. 
Cfr. n. 282. 


121. Uno scritto ignorato e una lettera inedita di B. 


2466 


Spaventa, a cura di D. D’ORSI, in “Rivista abruzzese” 
[Lanciano], XVIII (1965), n. I, pp. 4-19. 


Contiene: un annuncio della traduzione di Stein [3], e 
una lettera di S. a P. Villari del 14 ottobre 1850 [cfr. 123, 
141]. 


122. Della libertà e nazionalità dei popoli, a cura di D. 
D’ORSI, in “Rivista abruzzese” [Lanciano], XVIII 
(1965), n. 3, pp. 97-114; n. 4, pp. 144-152. 


Edizione critica della prolusione di Modena (cfr. 110). 


123. Scritti inediti e rari (1840-1880, con prefazione e 
note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, pp. XVI-590. 


Questa raccolta di testi editi e inediti di S. si divide in tre 
parti, più un’appendice di documenti. La prima parte 
(Scritti rari o ignorati o inediti, pp. 1-88) comprende la 
ristampa dello scritto Su/la quantità [1], un annuncio della 
traduzione dell’opera di Stein sul socialismo e il comunismo 
in Francia (3; pubblicato dal D’Orsi anche nella “Rivista 
abruzzese”, 1965 [cfr. n. 121]), il frammento I/ lavoro e le 
macchine (già pubblicato dal curatore nel 1963; cfr. n. 117), 
scritto nel 1851 sotto lo stimolo della lettura di Stein (v. p. 
34), l'articolo su Schelling del 1854 [22], e finalmente un 
articolo sul teatro drammatico apparso anonimo nel 
“Cimento” [43] e qui attribuito a S. Nella seconda parte 
(pp. 89-178) sono raccolti tre scritti filosofici inediti: una 
Fenomenologia del 1865 (pp. 101-152; pubblicata 
contemporaneamente in “Sophia”, 1965, pp. 349-366, 1966, 
pp. 344-368; e v. sopra, p. 864), uno scritto del 1880, 
Esperienza e coscienza (pp. 157-162), e uno del dicembre 


2467 


dello stesso anno, L'essenza metempirica del filosofare (pp. 
169-178), tratti entrambi dalle carte Spaventa della 
Biblioteca Nazionale di Napoli (le prefazioni del curatore a 
questi tre inediti erano state già pubblicate nel 1965 [285], il 
testo dell’ultimo inedito nel 1964 [119]). La parte terza 
(Scritti polemici ignorati e rari, pp. 179-489) raccoglie: due 
articoli pubblicati nel “Cimento”, del 1855 [cfr. nn. 35, 39], 
e i ventinove articoli della serie I Sabbati dei gesuiti, 
pubblicati nel “Piemonte” [cfr. n. 28]. Nell’appendice (pp. 
491 sgg.) sono riportate trentasette lettere di S. [cfr. n. 141]. 


Delle singole prefazioni ai testi spaventiani, è da vedere in 
particolare quella dedicata alla Ferorzerologia del 1865 (pp. 
93-100), un testo che, secondo D’Orsi, “finirà col 
modificare il tradizionale canone esegetico, invalso dal 
Gentile, secondo cui la lettura dell’ultimo Gioberti avrebbe 
indotto lo Spaventa a mutare o estinguere i suoi più radicati 
e appassionati interessi per la Ferorzenologia di Hegel e per 
le conseguenti interpretazioni via via formulate dagli esegeti 
tedeschi della destra hegeliana” (p. 95; sull'importanza che il 
curatore attribuisce al testo spaventiano, cfr. anche pp. 99 
sg.). Nella prefazione generale alla raccolta, D’Orsi anticipa 
le linee di una sua lettura di S., molto distante dalle 
interpretazioni più recenti, e dalla stessa interpretazione di 
Gentile (si può qui segnalare l'utilizzazione di testi 
spaventiani nel volume di D’Orsi Lo spirito come atto puro 
in Giovanni Gentile, Padova 1957). Il curatore intende 
rivalutare una fondamentale dimensione “spiritualistica” del 
pensiero di S., il quale risulterebbe, nell'intero arco della sua 
attività, un “moderato”, sia in politica che in filosofia. Nelle 
polemiche contro i gesuiti, S. combatte le “esagerazioni 
pratiche” dell’ortodossia (dommatismo, fanatismo), non il 
principio cattolico (p. XII sg.); la sua polemica può definirsi 
“anticlericale”, ma “non antireligiosa o, peggio, ateistica” (p. 


2468 


XIV; per i Sabbati, cfr. p. 208: essi “stimolano la riflessione 
sui problemi della Politica e della Religione e assicurano 
come un duplice antidoto agli opposti inconvenienti della 
fragile fede e dell’intransi genza dommatica”; cfr. inoltre la 
prefazione alla terza parte della raccolta, pp. 181 sgg.). Nella 
prefazione a I/ lavoro e le macchine, pp. 33 sg., dichiarando 
la dipendenza dello scritto dall’opera di Stein, D’Orsi parla 
di un “chiaro atteggiamento etico-politico che, per 
equilibrio e serietà d’indagine, può ritenersi, nell’ambito 
della vexatissima questione sociale, ‘una voce di ragione tra 
tante grida”” (con questo titolo apparvero sul “Lucifero” di 
Napoli, nell’aprile-maggio 1848, alcuni articoli firmati con la 
sigla: Sp., che il D’Orsi attribuisce senz’altro a S.; sul 
“Lucifero”, giornale moderato e giobertiano prima del 15 
maggio 1848, e, in seguito, conservatore, cfr. A. Zazo, I/ 
giornalismo politico napoletano nel 1848-9, “Archivio storico 
delle province napoletane”, XXXI [1947-1949], pp. 252, 
289). 


D’Orsi rende nota (p. XVI) la sua intenzione di portare a 
compimento una edizione critica di tutte le opere, edite e 
inedite, di S., a cui seguirà la pubblicazione di una 
monografia sul filosofo napoletano. A p. 88 n. è annunciata 
intanto la prossima pubblicazione di un volume che 
raccoglie le Lezioni inedite di Filosofia del diritto (1859- 
1860). 

Su questi Scritti inediti e rari curati dal D’Orsi, cfr. P. 
Piovani in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLVI 
(1967), pp. 160-161. 


124. Un articolo inedito di B. Spaventa circa l’unità 
organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenza di questa 


con la filosofia di Spinoa, a cura di F. ALDERISIO, in 


2469 


“Giornale critico della filosofia italiana”, XLV (1966), pp. 
218-225. 


Alle pp. 222-224 è riprodotto il testo fin qui inedito dell’ 
“avvertenza” di S. a un suo articolo su Giordano Bruno, mai 
pubblicato. Il manoscritto dell'articolo non è stato 
rintracciato. Secondo A., 1’ “avvertenza” è del 1870-1872; 
insieme all’articolo, avrebbe costituito l’ultimo lavoro di S. 
dedicato a Bruno, scritto, probabilmente, per il “Giornale 
napoletano di filosofia e lettere”. 


E. CARTEGGIO 


125. S. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere scritti 
documenti pubblicati da B. CROCE, Napoli 1898, pp. 
TX-314:; Bari 1923?, pp. XII-373. 


I rinvii alle pagine si riferiscono alla seconda edizione. 


Fondamentale raccolta di materiali — lettere, articoli, 
frammenti di studi ecc. — che illuminano le vicende 
personali e la biografia politica e intellettuale dei fratelli S. I 
documenti sono collegati da brevi narrazioni, chiarimenti e 
giudizi di Croce, che spesso riguardano da vicino anche B. 
S. Una aggiunta all’avvertenza del curatore nella seconda 
edizione — notevolmente accresciuta — porta la data: agosto 
1917, 


Di B. S. sono riprodotte nel volume: quarantadue lettere 
al fratello, la prima del 22 dicembre 1847, l’ultima del 16 
dicembre 1861 (p. 361, nota 2); una lettera al ministro sardo 
Cristoforo Mameli, del 1850 (p. 76 sg., n. 3); una lettera a 
Mamiani del 15 settembre 1854 (p. 210 sg., n. 2); una lettera 
al padre del 26 maggio 1859 (p. 298 sg.); due lettere alla 
moglie, dell’8 e 10 novembre 1860 (p. 356 sg.). A p.5, n. I, 


2470 


si legge un brano di una “confessione” del filosofo (1876), a 
proposito della sua ordinazione sacerdotale. Le lettere di 
Silvio al fratello sono più di ottanta, e vanno dal 30 
settembre 1849 al 28 ottobre 1860. Si segnalano in 
particolare le lettere “filosofiche” (sul pensiero italiano del 
Rinascimento, su Rosmini, Gioberti, sulla Ferorzenologia di 
Hegel, ecc.) che i fratelli si scambiarono tra il 1854 e il 1858 
(pp. 176-188, 202-215, 231-268). La raccolta comprende 
anche: una lettera di P. Villari a B. S., dell’ottobre 1850 (p. 
77 sg., nota); due lettere allo stesso di Antonio Ciccone (11 
luglio e 28 [?] luglio 1860, pp. 342 sg., 347); due lettere a B. 
S. di A. C. De Meis, del 23 luglio e del 10 novembre 1860, 
pp. 346 sg., 355 sg. 


Francesco D’Ovidio presentò il libro di Croce 
all Accademia di scienze morali e politiche di Napoli il 26 
giugno 1898, con un discorso che è ristampato alle pp. 86- 
96 della raccolta intitolata: Rirzpianti, Milano-Palermo- 
Napoli 1903, pp. XVI-464. Dal discorso di D’Ovidio si può 
ricavare qualche aneddoto o qualche coloritura diversa di 
notizie riguardanti la biografia di B., oltre che di Silvio, e i 
rapporti tra i due fratelli. Ma sul libro di D’Ovidio v. B. 
Croce, “La Critica”, I (1903), pp. 218-223. 


126. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa, 
pubblicate da G. GENTILE, Napoli 1901, pp. 32. 


Quattro lettere, del 9 febbraio e 4 giugno 1868, del 22 
gennaio e 6 aprile 1869. Ristampate in G. Gentile, A/bori 
della nuova Italia, varietà e documenti, parte seconda, 
Lanciano 1923, pp. 145-167. 


127. G. GENTILE, Per la storia aneddota della filosofia 


italiana nel secolo XIX, in Raccolta di studi critici dedicati 


2471 


a A. D'Ancona, Firenze 1901, pp. 335-358. 


Quattordici lettere del 1861-62, tratte dal carteggio dei 
fratelli S. Le lettere di B. sono undici: del 27 novembre, 
dell’8, 17 e 28 dicembre 1861, dell’8, lo, 21, 22 febbraio, del 
22 marzo, del 16 giugno e I luglio 1862. 

Vedile anche ristampate in appendice a B. S., La filosofia 
italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99; e in 
Opere, II, pp. 679-719). 

Cfr. anche n. 139. 


128. Documenti inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal 
carteggio di Bertrando Spaventa), a cura di B. CROCE, in 
“Ia Critica”, IV (1906), pp. 223-240. 


Lettere a S. — corredate di notizie e schiarimenti — di F. 
Hoffmann (12 ottobre 1865: tentativo di promuovere in 
Italia la divulgazione della filosofia di F. v. Baader), di A. 
Angiulli (15 dicembre 1862), di H. F. Amiel (24 aprile 
1868), di K. L. Michelet (6 agosto 1870), di A. Labriola 
(1875), di R. Hamerling (19 ottobre 1877), di T. v. 
Varnbiiler (17 maggio 1879), di G. Teichmiller (9 agosto 
1882). 


129. Documenti inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal 
carteggio di Bertrando Spaventa), a cura di G. GENTILE, 
in “La Critica”, IV (1906), PP. 397-410, 483-496. 


Nella prima parte, una lettera a S. di F. del Zio (30 giugno 
1861), lettere e brani di lettere allo stesso di M. Florenzi 
Waddington, una lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880. 
Nella seconda parte, lettere e brani di lettere di F. 
Fiorentino allo S., scritte tra il 1863 e il 1871. Con notizie e 


2472 


schiarimenti del curatore. 


I Documenti sono ristampati, con aggiunte, in G. Gentile, 
Frammenti di storia della filosofia, serie prima, Lanciano 
1926, pp. 181-236. 


130. B. CROCE, Ricerche e documenti desanctisiani, 
VII, Dal carteggio inedito di Francesco De Sanctis (5865- 
28(9), puntata quarta, pp. 32; IX, Dal carteggio inedito di 
A. C. De Mess, pp. 36; in “Atti dell’Accademia 
Pontaniana” di Napoli, XLV (1915). 


Nel primo fascicolo sono pubblicate, in appendice (pp. 
29-32), tre lettere di S. a De Meis, del zo novembre [cfr. n. 
133] e del 16 dicembre 1851, del 5 agosto 1855. Nel 
carteggio inedito di De Meis si leggono (pp. 1-16) dodici 
lettere di S. allo stesso: del 13 febbraio 1856, dell’11 marzo, 
19 e 20 maggio, 13 giugno 1860, del 23 giugno 1868, del 23 
febbraio e 3 aprile 1869, del 30 maggio 1870, del lo luglio 
1871, del 14 dicembre 1872, del 13 marzo 1874. 


131. R. ZAGARIA, Per la biografia di Pasquale Villari, 
in “La Rassegna” [già “Rassegna bibliografica della 
letteratura italiana”, fondata da A. D'Ancona], serie III, 
vol. V, n. 6, dicembre 1920, pp. 333-379. 


Riporta (pp. 343-355) tredici lettere di Villari a S., le 
prime dodici scritte tra il 1861 e il 1869, l’ultima del 1881. 


Cfr. n. 140. 


132. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, Firenze s. d. 
[1924], pp. 217. 


2473 


Cfr. n. 204. 

Nell’appendice (pp. 181 sgg. = Opere, I, pp. 157 sgg.) 
sono pubblicate: una lettera di S. a De Meis del 23 febbraio 
1856, una lettera di L. Chiala a S. del 4 aprile 1856, due 
lettere di S. a T. Mamiani (13 luglio e 10 ottobre 1854), due 
di Mamiani a S. (3 giugno 1852, 12 ottobre 1854). 

Nel testo: a pp. 55 sg. (= Opere, I, pp. 48 sg.) si legge una 
lettera di B. al fratello Silvio sull’abolizione delle facoltà di 
teologia, del io febbraio 1876; a pp. 94 sg., nota 2 (= Opere, 
I, p. 83) una lettera di De Meis a S. del 2 marzo 1863; alle 
pp. 162 sgg. (= Opere, I, pp. 140 sgg.) la lettera di S. a De 
Meis del 13 luglio 1880 [cfr. n. 129], e due lettere di De 
Ivleis a S.: la prima, s. d., in risposta alla precedente, l’altra 
del 10 gennaio 1881. 

Due lettere allo S., di L. Pomba (2 gennaio 1861) e di A. 
Tari (28 luglio 1861) sono segnalate nella bibliografia, p. 
205 (e v. 65). 


133. B. S., Pensieri sull’insegnamento della filosofia e 
lettere inedite, a cura di G. GENTILE, in “Giornale 
critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91-105. 


Cfr. nn. 2, 109. 


Alle pp. 99-109, sei lettere o frammenti di lettere di S. a 
De Meis: del 30 marzo 1850, s. d., del zo novembre 1851 
[ma cfr. n. 130], del 16 dicembre 1852, del 14 dicembre 
1872, del maggio 1880 (= Opere, III, pp. 847-855). 


134. S. SPAVENTA, Lettere politiche (1865-1893), 
edite da G. CASTELLANO, Bari 1926, pp. 185. 


Continuazione del carteggio pubblicato da B. Croce 


2474 


[125]. Il nucleo più importante è costituito da circa 140 
lettere o brani di lettere di Silvio a B. S., scritte tra il 20 
settembre 1861 e il 25 ottobre 1882; contengono interessanti 
ragguagli e giudizi, oltre che sulle vicende e sugli uomini 
politici del periodo, su alcuni casi più minuti della vita dei 
due fratelli (reazioni ai tumulti nell'Università di Napoli, del 
1862; rapporti col giovane Labriola, nel 1863; ecc.). Sono 
anche riprodotte dieci lettere di B. S. al fratello: del 13 
giugno, del 7 e 25 luglio 1863 (pp. 56 sg.), del 9 aprile e del 
settembre 1866 (pp. 95 sg., 102 sg., nota), del 2 settembre 
1868 (p. 116), del 21 aprile 1869 (p. 120), del 22 dicembre 
1873 (p. 128), del 25 maggio e 15 giugno 1874 (pp. 130, 132 
sgg.). 

Interessante la lettera-prefazione (datata: giugno 1925) di 
B. Croce al curatore, pubblicata anche su “La Critica” 
(XXIII, 1925, pp. 316 sgg.). Croce dissocia gli ideali politici 
di Silvio dal “concetto speculativo dello stato” elaborato dal 
fratello “senza particolare esperienza e intelligenza della 
materia, estraendo e compendiando la Filosofia del diritto 
dello Hegel” (p. 7). E intende soprattutto respingere, così, il 
recente tentativo di “presentare Silvio Spaventa come 
luomo e il pensatore politico al quale dottrinalmente 
risalgono la teoria e la pratica del partito ora dominante in 


Italia” (p.5). 


135. A. ROMANO, La vita culturale italiana dopo il 
1860 dal car teggio degli hegeliani meridionali, I. Un 
isolato: Vittorio Imbriani, in “Civiltà moderna”, V (1933), 
settembre-ottobre, pp. 473-483. 


Cfr. n. 138. 
Da un complesso di settantanove tra lettere e biglietti, 


2475 


scritti dall’Imbriani a S., l'a. sceglie e riproduce brani che 
contengono notizie sull'ambiente hegeliano tra il 1870 e il 
1880. Le lettere riportate vanno dal dicembre 1871 al 
dicembre 1879. 


136. B. CROCE, Voci da un ergastolo politico. Lettere 
inedite di Silvio Spaventa (1850-1856), in “Quaderni della 
Critica”, Il (1946), quad. 4, pp. 99-109. 


Undici lettere di Silvio al fratello, ritrovate 
fortunosamente dal Croce; integrano la raccolta del 1898, 
1923”[.125]; 


137. 123 lettere inedite di Antonio Labriola a Bertrando 
Spaventa, a cura di G. BERTI, in “Rinascita”, X (1953), 
supplemento al n. 12, pp. 713-736; XI (1954), 
supplemento al n. I, pp. 65-87. 


La prima lettera è del 1870-71, l'ultima del 6 gennaio 
1883. Importante l’introduzione del curatore (pp. 713-718): 
le lettere, che contribuiscono a chiarire i modi e i tempi del 
passaggio di L. al socialismo, sono la testimonianza di un 
legame che corrisponde perfettamente, sul piano delle 
relazioni personali e private, a un rapporto di “filiazione 
spirituale”. 

Gli originali sono conservati nel fondo S. della Biblioteca 
della Società di storia patria di Napoli. 


138. Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli hegeliani di 
Napoli, a cura di N. COPPOLA, Roma 1964, pp. 582. 


Sono pubblicate qui (pp. 34-166) diciotto lettere di S. a 
V. Imbriani (26 maggio e In novembre 1869, 17 [?], 17 


2476 


aprile, 27 agosto, 17, 20 e 27 settembre, 7 novembre, 3, 6, 
18, 19, 22 e 23 dicembre 1871, I e 6 dicembre 1872, 29 
settembre 1878), e settanta circa lettere o biglietti di 
Imbriani a S., spesso non datati, ma scritti anch'essi a partire 
dal 1869. Si leggono anche qui, indirizzate allo stesso S., una 
lettera di F. Tocco, s. d. (p. 99 sg.), una lettera di D. Jaja del 
30 novembre 1872 (p. 112 n.), e una di D. Marvasi del 9 
gennaio 1875 (p. 143). 

Le altre lettere indirizzate all’Imbriani sono di Silvio 
Spaventa, A. Vera, G. B. Passerini, A. C. De Meis, P. 
Siciliani, F. Tocco, F. Fiorentino, D. Marvasi, A. Tari e F. 
Toscano. Le lettere qui raccolte fanno parte di un blocco di 
autografi scoperti da C. nel 1935, e la cui pubblicazione era 
stata già iniziata in “Accademie e biblioteche d’Italia”, X 
(1936), n. 5-6, pp. 403-418; XI (1937), nn. 1-2, pp. 79-94, n. 
5, pp. 483-494; XIII (1938-1939), n. I, pp. 51-66. Per diversi 
riferimenti ai fratelli S. cfr. anche Vittorio Imbriani intimo. 
Lettere familiari e diari inediti, a cura di N. Coppola, Roma 
1963, pp. 402. 


Cfr. n. 135. 


139. Lettere inedite di Bertrando a Silvio Spaventa, a 
cura di V. MASEL-LIS, in “Critica storica”, IV (1965), 
pp. 691-710. 


Da un fondo spaventiano conservato presso l’archivio 
provinciale De Gemmis di Bari sono tratte le dieci lettere 
qui pubblicate, che portano le date: 25 gennaio, 27 marzo, 
21 e 27 settembre 1861, 29 gennaio, 17 marzo, 31 maggio, 
28 ottobre 1862, 19 e 31 ottobre 1864. Sono da collegare 
soprattutto alla raccolta, curata da Gentile, e pubblicata nel 
1901 [127]. 


2471 


140. G. VACCA, Nuove testimoniane sull’hegelismo 
napoletano, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e 
politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti in 


Napoli”, LXXVI (1965), pp. 26-73. 


La memoria è divisa in due parti. Nella prima (pp. 26-63) 
sono riprodotte circa cinquanta lettere o brani di lettere — la 
maggior parte inedite, o pubblicate solo parzialmente da 
precedenti editori, soprattutto da Croce [125] — di S. al 
fratello Silvio, scritte tra il 20 aprile 1857 e il 28 giugno 
1881. Le lettere contengono giudizi e informazioni politiche, 
notizie relative alla attività didattica di S. (soprattutto a 
Modena), ai rapporti del filosofo con P. Villari (v., a pp. 55- 
57, tre lettere di Villari a S. del 19 luglio 1861, del 21 marzo 
1862, del 21 luglio 1868; e cfr. n. 131), a un intervento di A. 
Tari in favore di Labriola (v. una lettera di Taxi a S. del 23 
luglio 1861, pp. 45 sg. nota 30), ecc. Nella seconda parte del 
lavoro (pp. 63-73) sono riprodotte lettere o brani o citazioni 
tratte da lettere a S. di P. Siciliani (7 giugno 1871, 29 aprile 
1877), di F. Masci (1876, maggio 1881, 16 aprile 1876), di F. 
D’Ovidio (1871-72), di B. Labanca (4 febbraio 1872, 23 
maggio e 14 giugno 1880, 26 gennaio, 29 marzo e 24 maggio 
1881, 29 dicembre 1882), di F. Del Zio (15 aprile 1861). 


140 bis. Dodici lettere inedite di Antonio Labriola a 
Bertrando Spaventa, a cura di G. VACCA, in “Studi 
storici”, VII (1966), pp. 757-766. 


Sono lettere scritte tra il 1867 e il 1882, ritrovate 
nell'Archivio De Gemmis di Bari [cfr. n. X39]. 


141. B. S., Scuitti inediti e rari (1840-1880), con 


2478 


prefazione e note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, pp. 
XVI-590. 


Chin: 123; 


Nell’appendice di documenti (pp. 491-579) sono 
pubblicate trentasette lettere di S.: a) sedici a P. Villari (12 
luglio, 14 ottobre, 1 dicembre 1850, 11 marzo 1851, 5 
agosto [1851?], 1 maggio [1852?], 11 febbraio 1853, 23 
marzo 1854, aprile 1854 [?], 14 gennaio 1857, ottobre 1857 
[2], 28 giugno, 12 e 14 luglio, 2 agosto e 19 novembre 
1869); b) una a F. Le Monnier (23 marzo 1854); c) una a E. 
Camerini [18562]; d) una a A. De Gubernatis (13 febbraio 
1865); e) quindici a V. Imbriani (26 maggio, 11 novembre 
1869, 17 [marzo?], 17 aprile, 27 agosto, 17, 20 C 27 
settembre, 3 ottobre, 6 novembre 1871, 7 novembre 
[18712], 18 e 19 novembre, 22 C 23 dicembre 1871; alcune 
date coincidono con quelle di lettere già pubblicate da N. 
Coppola: cfr. n. 138); f) tre a T. Mamiani (11 novembre 
1869, 5 marzo 1870, 15 marzo 1871). 


A p. 170, n. 6, è riportato un frammento di lettera (1856?) 
“ad un amico”, del quale non è indicato il nome. 


141 bis. G. VACCA, Gli hegeliani di Napoli nella 
politica e nella scuola. Carteggi, estratto dagli “Annali 
della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari”, 
1966, pp. 91. 


Le lettere qui pubblicate sono state ritrovate nella 
biblioteca provinciale De Gemmis di Bari. La raccolta 
comprende: otto lettere di Bertrando al fratello Silvio, sei 
del 1850-54, una del 1859, una del 1862; due spezzoni di 
lettere del filosofo a Labriola, del 1873 e 1874; una lettera 
dello stesso a D. Tartaglia, del 1861; una lettera di 


2479 


Bertrando alla moglie, del 17 novembre 1859. Inoltre: 
lettere allo S. di T. Mamiani, di P. Villari, di F. Selmi, di D. 
Marvasi, di A. Ciccone, di S. Tommasi, di D. Tartaglia, di A. 
Labriola [cfr. 140 bis], di P. Acri, di V. Imbriani, di F. 
Masci, di F. Tocco, di L. Miraglia, di L. Barbera, di P. 
Siciliani, di F. Fiorentino, di D. Jaja. Infine, lettere di P. 
Villari a D. Marvasi, di L. Settembrini a Silvio S., di Silvio S. 
a E. Pessina, di F. Selmi e C. Monzani a Silvio S., di L. 
Barbera a R. De Cesare, di F. Tocco a F. Fiorentino, di P. 
Del Giudice a L. Miraglia, di F. Fiorentino a Silvio 
Spaventa. 


142. Trenta lettere inedite di Bertrando Spaventa al 
fratello Silvio (1850-1861), a cura di G. VACCA, in “Atti 
dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società 
nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli”, LXXVIII 
(1967), pp. 327-395. 


Le lettere qui pubblicate (v. pp. 341 sgg.) sono tratte da 
copie di mano di Giovanni Beltrani, conservate nella 
biblioteca comunale Giovanni Bovio di Trani. Vanno dal 
gennaio 1850 all’aprile 1861; il nucleo più importante è del 
1854-56, sicché la raccolta integra soprattutto il carteggio 
“filosofico” dei fratelli S., noto attraverso l’edizione curata 
da Croce [125]. Le lettere offrono nuovi dati sull’attività di 
S. nel periodo torinese, indicazioni sugli studi, su lavori 
inediti e sull'attività giornalistica del filosofo, e contengono 
giudizi su avvenimenti e uomini politici. I documenti più 
interessanti sono analizzati dal curatore alle pp. 332-340; 
importanti i chiarimenti di Vacca sulla complessa vicenda 
dell'archivio epistolare del filosofo, venduto dal figlio 
Camillo e solo in parte recuperato da Croce [cfr. anche 


136]. 


2480 


PARTE SECONDA 
SCRITTI SU BERTRANDO SPAVENTA 


143. P. LUCIANI, Del libro di B. Spaventa intitolato 
“La filosofia di Gioberti”. Considerazioni, Napoli 1864, 


pp.21. 


Non è un’analisi minuziosa del libro di S., né vuole 
esserlo (p. 44); per affrontarla, l’a. aspetta la pubblicazione 
del secondo volume. Ma intanto, secondo L., va segnalata 
subito la minaccia di “intedeschimento”. S. accoglie da 
Hegel gli strumenti della sua critica e finisce col travisare 
completamente il pensiero di Gioberti. Non ha capito, 
soprattutto, il significato e la funzione dell’ “intuito”, perché 
vuol risolvere tutto nel “soggetto”; sicché gli sfugge il senso 
delle “formula ideale”, e vede dappertutto contraddizioni. 


Cfr. n. 147. 


144. K. L. MICHELET, Spaventa uber Hegel in der 
Akademie zu Neapel, in “Der Gedanke” [Berlino], V 
(1864), fasc. 2, pp. 114 117. 


Recensione del saggio: Le prime categorie della logica di 
Hegel [70], condotta sul testo del sunto pubblicato dalla 
“Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”, 
novembre-dicembre 1863. Nel corso dell’esposizione M. 
introduce due rilievi particolari. A_p. 115, afferma che è 
sbagliato attribuire a Hegel, come fa Trendelenburg (e S. 
seguendo Trendelenburg), l'intenzione di ricavare l'identità 
di essere e nulla dalla loro indeterminatezza (l’essere è il 
nulla = l’indeterminato è l’indeterminato); e rimanda, per 
questo punto, ad un suo intervento pubblicato nella stessa 
rivista (III [1862], pp. 207-210). A p. 116 osserva ancora 


2481 


che Hegel ha già posto in rilievo quella “differenza” nella 
indeterminatezza o identità di essere e nulla, di cui S. è 
andato in cerca nel suo saggio. Eccellente sembra tuttavia a 
M. la confutazione di Trendelenburg fatta da S. (da un “non 
hegeliano”, p. 117); ma il recensore non capisce a quali 
rappresentanti della scuola alluda il filosofo napoletano, 
quando afferma che alcuni hegeliani pretenderebbero che 
l’essere si muova da sé, senza il pensare. La memoria di S. è 
giudicata assai acuta, e ingegnosa; se tondo M., S. si 
muoverebbe, in questa sua interpretazione e apologia di 
Hegel, verso conclusioni simili a quelle raggiunte da K. F. 
Solger nei suoi Gespriche tber Sein, Nichtsein und 
Erkennen. 


145. [G. SALVIA], La più bella questione surta non ha 
guari dalla Università di Napoli, in “Il Campo dei filosofi 
italiani” [Napoli], I (1864), pp. 202-208, 323-328, 389- 
399, 469-477. 


L’articolo non è firmato, ma il nome dell’autore si ricava 
dall’intervento successivo di M. Tuddone [cfr. n. 148]. 


La “più bella questione” è quella della “nazionalità” della 
filosofia. Le prime pagine (202-208) riproducono i tratti 
essenziali della prolusione di L. Palmieri del 16 novembre 
1861, e una prima parte della prolusione spaventiana Della 
nazionalità nella filosofia [68]; le pp. 323-328 sono dedicate 
ancora alla esposizione del discorso di S.; nelle puntate 
successive, sono svolte le considerazioni dell’a. sulle due 
prolusioni. Sostenere la “nazionalità” della filosofia (come fa 
Palmieri) è questione di logica o di dialettica? Sembra che 
non ci possa essere “nazional filosofia” con le regole del 
ragionare, ma solo con quelle del disputare. L’a. vuole 
evidentemente salvare le argomentazioni di Palmieri, 


2482 


correggendole tuttavia e riproponendole sul piano della 
scienza: “Mi viene dunque in mente di cangiare, se io 
potessi, l'espediente dialettico in argomentazione scientifica, 
trovando in certa guisa il passaggio dagli argomenti suoi [= 
di Palmieri], presi 44 borzinerm, e senza più individuati, agli 
argomenti che vi corrispondono in uso non pur della logica 
ma della scienza, che val sicuramente generali” (p. 474). E 
corregge il discorso di Palmieri distinguendo “tre capi” 
dell’argomentazione: 1° “impronta” e l' “indole nazionale”, 
le “tradizioni”, e l “atteggiamento non servile” delle arti e 
delle scienze. Ora, per quel che ci riguarda, l’ “impronta” e 
l “indole” sono “cattoliche” entrambe. La “tradizione” è 
quella antichissima “delle ripruove e delle discussioni” (la 
tradizione degli eleatici). Quanto all’ “atteggiamento non 
servile”, che nasce dalla piena adesione della coscienza, 
anche per questo motivo l’hegelismo non può essere 
importato tra noi (come può Hegel aver detto in coscienza 
che l’essere è il nulla, il bene male, e il sì no?). 


146. T. STRAETER, Briefe tber die italienische 
Philosophie, in “Der Gedanke” [Berlino], V (1864), fasc. 
4, pp. 263-267; VI (1865), fasc. 1, pp. 71-77, fasc. 2, pp. 
123-135, fasc. 3, pp. 153-163, fasc. 4, pp. 230-243. 


Sono, in tutto, nove lettere scritte da Napoli tra il 5 
dicembre 1864 e il 20 luglio 1865. La prima (1864, fasc. 4), 
offre un ritratto dell'ambiente universitario napoletano (si 
parla anche di F. Tocco, che disserta in sede di esame sulle 
prime categorie della logica di Hegel). L’a. esprime la 
convinzione che la filosofia moderna può trovare nuova vita 
solo a Napoli; indica poi nella teoria della “circolazione” di 
S. lo strumento più efficace per eliminare dalla coscienza 
degli italiani i residui di cattolicesimo medievale, e per 


2483 


favorire la costruzione di uno stato moderno. La seconda 
lettera (1865, fasc. 1), tratta del Volksgeist napoletano 
(avverso per sua natura ad ogni forma di assurda e fantastica 
trascendenza) e parla della prolusione spaventiana del 1861; 
si conclude con un ritratto del filosofo: “Er ist dabei eine 
màachtige, imposante Persònlichkeit, gross und stark gebaut 
und von jenem phlegmatisch kraftigen Temperament, dem 
Hegel bekanntlich die gròsste Energie und Griindlichkeit 
vindicirt” (p. 76). Nella terza, quarta e quinta lettera (1865, 
fasc. 2), l’a. ritorna ancora sull'ambiente napoletano (Vera, 
S.-Vera, ecc.), e ricorda la prolusione bolognese di S. È nella 
terza lettera che Strter introduce un raffronto fra Vera e S. 
(e Tari), assai fortunato (Gentile lo cita nel Discorso del 
1900; Croce lo ricorda nel suo panorama della vita letteraria 
a Napoli dopo il 1860; ecc.): S. e Tari rappresentano a 
Napoli quella corrente a cui appartengono in Germania K. 
Fischer e i suoi scolari, e che si orienta verso una revisione 
della dialettica hegeliana su basi kantiane; Vera è la copia 
dignitosa, italo-francese, del “vecchio hegeliano” tedesco, 
degli “ortodossi” di stretta osservanza (p. 123). La sesta 
lettera (1869, fasc. 3) riassume la “circolazione” del pensiero 
italiano, loda il saggio sulle Prime categorie, e espone 
l’interpretazione spaventiana di Gioberti. Le lettere settima, 
ottava e nona (1865, fasc. 4), sono dedicate agli scritti di S. 
su Bruno e Campanella. 


147. P. LUCIANI, Gioberti e la filosofia nuova italiana, 
3 voll., Napoli 1866, 1869, 1872, pp. XXVIII-303, 335, 
514. 


Cfr. n. 143. 


Tutti gli scritti di Gioberti — le opere “essoteriche” 
(miranti “più a rinverdire il passato, che a gittare i semi 


2484 


dell'avvenire”; che riguardano la pratica piuttosto che la 
teoria, e oppongono il “nazionale” al “forestiere”) e le opere 
“acroamatiche” (le opere postume: hanno “carattere più 
scientifico che pratico”; riguardano l “avvenire” della 
filosofia, della religione, della civiltà, e mirano a “scoprire il 
nuovo aspetto della scienza e del cattolicismo, la nuova 
forma civile d’Italia, la dialettica del secolo ventesimo”; vol. 
III, p. 429) — appaiono composti secondo un disegno ben 
preciso e trovano una collocazione esatta entro un edificio 
armonico, perfettamente coerente. Negando che vi sia 
contraddizione, in Gioberti, tra filosofia essoterica (esposta 
e analizzata da L. nei primi due volumi) e filosofia 
acroamatica (studiata nel terzo volume), l’a. intende togliere 
alla ricostruzione critica resa pubblica da S. nel 1863 [69] il 
suo fondamento: non è vero che Gioberti si è arrestato a 
metà strada, lungo la via che porta a Hegel (di qui 
deriverebbero le contraddizioni — in realtà, inesistenti — 
denunciate da S.), ma, anzi, è andato “oltre” Hegel. Se si 
perde di vista il carattere unitario e armonico del pensiero di 
Gioberti, se ci si arresta al Gioberti “essoterico” (al Gioberti 
in apparenza “clericale”, “regressivo”, ecc.) si favorisce lo 
sviluppo dell’hegelismo in Italia. Se si coglie il vero senso 
delle Postuzze, si capirà che Gioberti è coerente, non solo, 
ma supera Hegel nella dottrina di Dio, dell'uomo e 
dell’universo (vol. III, pp. 456 sg.; e v. pp. 460-468 per un 
confronto Hegel-Gioberti, che va tutto a vantaggio del 
secondo; così come è superiore il “moto civile” italiano a 
quello tedesco). 


S. ha giudicato Gioberti dall’alto di alcuni presupposti 
hegeliani (identità di pensiero divino e pensiero umano; 
dottrina del sensibile e dell’intelligibile, e del loro rapporto, 
ecc.) e si è preclusa la via al retto intendimento del pensiero 
giobertiano; S. non capisce la soluzione “platonica” di 


2485 


Gioberti, non capisce la dottrina dell’ “intuito”, capace di 
superare lo psicologismo inaugurato da Cartesio (vol. I, pp. 
96 sg.) e “concluso” da Hegel (vol. II, pp. 278 sg.), travisa — 
da psicologista — la distinzione giobertiana di psicologismo e 
ontologismo (vol. I, pp. 267 sgg.), attribuisce falsamente a 
Gioberti un’oscillazione tra due diversi concetti di intuito e 
di riflessione (vol. II, pp. 304-306), non intende 
l’affermazione di Gioberti: l’ente è concreto (vol. 11, pp. 
306 sg.), non intende il concetto di creazione (vol. II, pp. 
378 sg.), non riesce a capire quale posto occupi la Protologia 
nel sistema (vol. II, pp. 379 sg.), stravolge la teoria 
giobertiana dell’intelligibile (vol. II, pp. 320-323). 

Queste le critiche principali mosse dall’a. a S.; su di esse, 
e sul giobertismo di L., v. ora G. De Crescenzo, La fortuna 
di Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d'Italia, Brescia 1964, 
pp. 569 (la prima parte del volume, Pietro Luciani e il 
giobertitmo meridionale, è un rifacimento e 
approfondimento di uno studio pubblicato a Napoli nel 
1960, con il titolo Pietro Luciani e il giobertismo). Si legge 
qui qualche riserva sul tentativo di confutare 
“speculativamente” Hegel in base al Gioberti; ma “... i 
lavori  storiografici di Pietro Luciani sul Gioberti 
costituiscono il validissimo precedente, purtroppo ignorato, 
di tutta quella odierna storiografia filosofica che ha reagito 
opportunamente alla artificiosa interpretazione idealistica 
del Gioberti, la quale, iniziatasi con Bertrando Spaventa, si è 
poi continuata col Fiorentino, col Gentile, col Saitta, con 
l’Anzilotti e col Caramella” (pp. 67 sg.). 


148. La questione della nostra Università superiormente 
lasciata a mezzo che si ripiglia qui e si termina da M. 


TUDDONE, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Napoli], 


2486 


III (1867), pp. 452-479. 


L’autore del precedente intervento [cfr. n. 145] è G. 
Salvia. Bisogna dargli un seguito, perché “quello che rende 
monca finoggi la trattazione, e bisognevole di un 
supplimento, si riduce a chiosare e discutere in simil guisa, 
per la logica un poco ma più per la dialettica le cose 
replicate in contrario [a Palmieri] dallo Spaventa” (p. 453). 
Per far questo l’a. divide la prolusione di S. in tre parti: 
“’’esordio con la proposizione” (concetto di filosofia 
nazionale), la “confermazione” (le prove storiche), la 
“conclusione” (la vera filosofia attuale è europea). La 
discussione è molto faticosa, ma la conclusione è chiara: 
“questo discorso sulla nazionalità della filosofia nostra è un 
cavalletto ben tormentoso per l’autore; il quale avria certo 
preferito ad essa ogni altro tema, mettendosi al sicuro dai 
divincolamenti, che gli convenne sopportare, e più o meno 
nascondere, questa prima volta che ascendea in cattedra” (p. 
455). Per l’hegeliano S., è impossibile accettare l’idea di una 
filosofia “nazionale” italiana. 


149. R. MARIANO, La pbilosophie contemporaine en 
Italie. Essai de philosophie hégélienne, Parigi 1868, pp. 
162. 


Si occupa di Galluppi, Rosmini, Gioberti, A. Franchi, e, 
nella conclusione, di A.Vera. Ma nell’introduzione discute 
(pp. 13-22) la questione della filosofia “nazionale” e la tesi 
spaventiana della “circolazione” del pensiero italiano, per 
rigettarla; v. in particolare la lunga nota alle pp. 14-20. S. 
subordina — falsamente — l’oggetto della filosofia allo spirito 
nazionale, costruisce un’assurda equazione: 
Gioberti=Hegel, introducendo un elemento di confusione; 


2487 


travisa Hegel, non solo, ma la storia della filosofia e la stessa 
filosofia. A_p. 20 qualche riga sui Princìpi di filosofia [76], 
appena pubblicati: quello di S. è un linguaggio tortuoso e 
ambiguo, un hegelismo che non è hegelismo, una logica che 
vuol essere nuova, ma lo è in modo pericoloso: genera 
l'equivoco, la confusione e l’indisciplina delle menti. 


Molti anni dopo, nel vol. X degli Scritti vari 
(Dall’idealismo nuovo a quello di Hegel, Firenze 1908) M. 
accenna a S. come responsabile dei nuovi sviluppi 
dell’idealismo in Italia (cfr. la recensione di B. Croce, in “La 
Critica”, VI [1908], pp. 204-206). Un tono diverso nei 
giudizi di M. si coglieva nelle pagine di Uorzini e idee (vol. 
VII degli Scritti vari), Firenze 1905. A p. 16 sg., S. è 
elogiato per gli studi su Bruno; alle pp. 313 sgg. (nel “saggio 
biografico” su A. Vera [Napoli 1887], qui ristampato, pp. 
227 sgg.) si legge che S. è stato “un logico e un metafisico di 
prima grandezza”, sordo alle tentazioni positivistiche, 
scettiche o neokantiane. La sua figura è inseparabile da 
quella del Vera; ma non riconobbe lo S., col Vera, il 
carattere solo universale della filosofia; se è vero che il 
pensiero moderno nasce col Rinascimento, l’interpretazione 
di Gioberti è tuttavia audace. Di Uomini e idee scrisse F. 
Tocco (Fra biografie e quadri storici, “Il Marzocco”, Firenze, 
25 giugno 1905), cogliendo l’occasione per discutere dei 
rapporti di S. col Vera, e per ricordare l’insegnamento del 
maestro: v. l'introduzione di questa bibliografia, p. 873. 


150. F. MORGOTT, Hegel in Italia, in “Il Campo dei 
filosofi italiani” [Torino], IV (1868), pp. 62-80; V (1869), 
pp. 16-38. 


Si ricava da una nota che l’a., allora professore di filosofia 
a Bichstadt, in Baviera, stava lavorando a una storia della 


2488 


fortuna di Hegel in Italia, da pubblicare in tedesco. La 
traduzione dell’articolo è del prof. F. Rossi. 


La prima parte è un’esposizione del pensiero di Vera (pp. 
68 sgg) e di S. (pp. 75 sgg.); per S. l’a. si serve — e lo dichiara 
— dei Briefe di Straeter [146]. M. si rammarica che ci siano 
in Italia filosofi che hanno abbandonato la tradizione, 
abbracciando una filosofia straniera. Segnala tuttavia con o 
cimento — nella seconda parte — il vasto moto di reazione 
all’idrillilnto liano guidato da V. De Grazia, da M. 
Liberatore, dalle riviste “La scienza e la fede” e “Civiltà 
cattolica”, e, ancora, da T. Mamiani, da N. Toni da V. Di 
Giovanni, da G. Allievo e A. Galasso, da A. Conti. 


151. P. SICILIANI, GX begeliani in Italia, in “Rivista 
bolognese di scienze e lettere”, II (1868), vol. I, fasc. 6, 
pp.516-549. 


È un’ampia rassegna, in cui si discorre dei Principi di 
filosofia di S. [76], del libro di De Meis: Dopo la laurea, del 
saggio sull’immortalità dell'anima di M. Florenzi 
Waddington, del Pietro Pomponazzi di F. Fiorentino, 

A proposito della “circolazione”, pur respingendo, 
almeno in soluzioni di S. (la relazione Gioberti-Hegel è 
estrinseca), l’a. loda l’ “accortezza” e la “prudenza” del 
filosofo, che ha saputo introdurre l’idealismo assoluto in 
Italia presentandolo come il frutto della nostra più autentica 
tradizione. Nel saggio sulle Prizze categorie [70], S. ha certo 
contribuito a rendere più “logico” il sistema di Hegel, ma 
non l’ha reso, per questo, più vero; l’a. si dichiara suo conto 
incapace di penetrare quel buio dell’ “indeterminato”, da 
viti vrebbe svilupparsi la logica. 


Sulle Prize categorie, Siciliani ritorna anche nel libro Su/ 


2489 


rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Firenze 1871, 
pp. XVII-542, nel quale propone “via di mezzo” tra i due 
estremi rappresentati dall’hegelismo e dal positivismo, 
appellandosi a Vico (v., ad es., pp. Il, 31). Per le Prize 
categorie, cfr. pp. 396 sgg.: quando S. risponde a 
Trendelenburg, “giusto nel momento che s’hanno a 
decidere le sorti della logica obbiettiva, giusto nell’istante 
supremo in cui la logica dee poter rivestire natura e valore di 
metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e invoca il 
pensiero, invoca l’astraente, invoca l’astrazione, e così 
dileguatasi a un tratto l’obbiettività, ci fa divagare nel 
mondo delle pure forme, ed eccoci di bel nuovo ricacciati e 
ravviluppati per entro alle fitte maglie della tela di ragno!” 
(pp. 403 sg.). Il libro è da vedere anche per molti altri 
riferimenti a S.: nell’avvertenza, sul tema del 
“rinnovamento” della filosofia italiana, è discussa, accanto a 
quelle di Mamiani, Rosmini e Gioberti, la posizione di S. 
(specialmente della Filosofia di Gioberti; e cfr. su questa 
opera anche le pp. 205 sg., 374, 455). Alle pp.115 sgg., 170 
sgg., si discute l’interpretazione spaventiana di Vico; sul 
rapporto Vera-Spaventa, v.. pp, 126 sgg.; sulla 
“circolazione”, pp. 189 sgg., 194 sgg.; sull’interpretazione di 
Rosmini 368 sgg. 

Siciliani fa comparire S. tra gli interlocutori della 
“giornata sesta” (367-492) de La critica nella filosofia 
zoologica del XIX secolo. Dialoghi, Napoli 1876, pp. XXXI- 
555. Il dialogo si svolge tra rappresentanti, sostenitori e 
critici di tre scuole: quella dei cuvieristi, quella dei 
trasformisti e quella degli idealisti. Nel dialogo si colgono 
allusioni all’intervento di S. nella polemica sulle psicopatie 
[83], e alla sua discussione sul metodo delle scienze 
comparate [74]; ma la conversazione investe soprattutto le 
teorie esposte da De Meis ne I tipi animali; e, più in 


2490 


generale, il valore metodologico della dialettica hegeliana. 


152. A. TAGLIAFERRI, Ur saggio della modestia e 
serietà filosopra dei nostri filosofi hegelisti, in “Il Campo 
dei filosofi italiani” Torino], IV (1868), pp. 324-352; e in 
A. T., Saggi di critica filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 
1882, pp. 1-28. 


Lo scritto di T. è una pronta replica alla “lettera” 
Paolottismo, positivismo, razionalismo [78]. Il tono è 
indignato e predicatorio; l’a. definisce “indegno” di un 
filosofo lo scritto di S., respinge l’aggettivo “paolotto”, 
denuncia l’altezzosità di S. nei confronti di Mamiani, accetta 
— ma a disdoro dell’hegelismo — la continuità (anzi, per T., 
l'identità) tra materialismo del Settecento e Fiosofia 
hegeliana, condanna l’adorazione del Dio-stato. Respinge, 
ancora, il nesso Vico-Kant stabilito da S. (Vico distingueva 
tra intelletto divino e intelleno umano, e il verumz ipsum 
factum non è accettabile fuori di quella distinzione), e si 
duole delle “nebbie teutoniche” trapiantate in Italia. Nelle 
ultime pagine, si scusa della “vivacità” del proprio 
intervento, provocata del resto dal tono “beffardo” di S.; e 
dichiara di riconoscere la parte di vero che c’è in Hegel: 
“l'universalità e la comprensione del concepire” (ma 
l’universalità è dall’armonia del cosmo, non dall’unità 
sostanziale di Dio e mondo) e la “presenzialità” del divino 
nel mondo e nell’uomo (che non va intesa, tuttavia, né come 
assoluta immedesimazione né come assoluta separazione). 


Cfr. anche n. 156. 


153. A. C. DE MEIS, Deus creavit, in “Rivista 
bolognese di scienze e lettere”, III (1869), serie II, vol. I, 


2491 


fasc. 5-6, pp. 724-773. 


È un dialogo, in cui si discute il problema studiato da S. 
nelle Prize categorie della logica di Hegel [70]; uno degli 
interlocutori (Giorgio) espone e soomene la soluzione 
spaventiana. Gentile interpreta il Deus creavit — nelle sue 
Origini della filosofia contemporanea in Italia  (v. 
nell'edizione e nel volume citato più avanti [cfr. n. 193] le 
pp. 61 sgg.) — come una disputa ideale tra i due filosofi; per 
A. Del Vecchio Veneziani (La vita e l’opera di Angelo 
Camillo de Meis, Bologna 1921, pp. XXIV-333) il dialogo è 
nato probabilmente da una conversazione realmente 
avvenuta (v. pp. 118 sgg.). Il volume della Del Vecchio 
Veneziani è utile per seguire alcune vicende di S. attraverso 
la biografia dell’amico (e, per un confronto tra S. e De Meis, 
v. pp.320 sg.). 

Due pagine dell’opera di De Meis Dopo la laurea (2 voll., 
Bologna 1868-69; vol. I, pp. 289 sg.) sono dedicate a un 
elogio di S.; del De Meis si veda anche il discorso tenuto a 
Bologna per l’inaugurazione dell’anno accademico 1886-87, 
Darwin e la scienza moderna (Bologna 1886, pp. 35), in cui 
l’a. aderisce alla nota tesi spaventiana secondo la quale 
l’idealismo hegeliano è la “profezia”, cioè l’ “organismo” e 
la “correzione” anticipata dalla scienza moderna (v. pp. 32 
sg.). 

Cfr. anche nn. 161, 162. 


154. L. FERRI, Essaz sur l’histoire de la philosophie en 
Italie au dix-neuvième siècle, 2 voll, Parigi 1869, pp. IX- 
496, 359. 


S. ha ragione come filosofo, quando cerca di trovare 
nell’ultimo Gioberti un punto d’incontro con la filosofia 


2492 


tedesca: questo punto d’incontro, di fatto, c'è (F. ne tiene 
conto: la discussione dell’ultimo Gioberti fa da introduzione 
all'esposizione dell’idealisimo italiano; il libro quinto, 
dedicato ai filosofi idealisti, si intitola: Derrière philosophie 
de Gioberti). Ma ha torto come storico, perché, come Hegel, 
procede del tutto apriori; la storia è, per lui, una 
generazione o genealogia di sistemi; S. predilige le ipotesi e 
ignora i fatti, l’osservazione dei fatti: di qui la debolezza 
della teoria della circolazione e della ricostruzione storica 
proposta nelle prime lezioni napoletane. Nella Filosofia di 
Gioberti [69] S. non discute le dottrine del filosofo tenendo 
conto del loro sviluppo storico; le diverse fasi del pensiero 
giobertiano sono per lui compresenti, e S. ha buon gioco nel 
moltiplicare le contraddizioni del sistema. 


A S. sono dedicate in particolare le pp. 193-206 del 
secondo volume (capitolo terzo del libro quinto). 


155. P. SICILIANI, Su/ rinnovamento della filosofia 
positiva in Italia, Firenze 1871, pp. XVII-452. 


Choi. 


156.A. TAGLIAFERRI, I/ materialismo plebeo e il 
materialismo aristocratico (1872); in A. T., Saggi di critica 
filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 1882, pp. 73-100. 


L’articolo è datato: agosto 1872; ma non ho rintracciato 
indicazioni relative alla prima pubblicazione. È un’analisi 
della polemica sulle psicopatie [83]. Tra l’idealismo di S., il 
“semi-materialismo” di Tommasi e il “puro materialismo” di 
De Crecchio, le differenze sono solo accidentali (quello di 
De Crecchio è, semmai, un materialismo “plebeo” o 
“schietto”; il materialismo di S. è “aristocratico” © 


2493 


“ipocrita”). Gli autori della polemica sono concordi nel 
riconoscere che l’anima senza il corpo non è, e riducono 
l’uomo alla sua pura “esistenza fenomenica”: tanto basta a 
qualificarli. S. critica, e con validi argomenti, il materialismo 
volgare; ma il suo idealismo non gli fornisce un principio 
capace di scongiurarne le conseguenze morali, religiose, e 
sociali (l’a. accenna anche ai “comunisti” di Parigi, che 
hanno senz'altro ragione, se si nega l’al di là). L'hegelismo 
ha una parte vera e buona [cfr. n. 152], ma è viziato alla 
base dalla identificazione di Dio e mondo. Per avvalorare il 
rilievo della insufficienza della morale idealistica, T. 
esamina, nelle ultime pagine, la recensione di S. a La vita di 
G. Bruno scritta da D. Berti [82]. E conclude: “Nel vostro 
aristocratico materialismo, non vi lasciate vincere di lealtà e 
sincerità da’ materialisti plebei, che voi combattete, ma che 
pur sono i vostri fratelli carnali”. 


Dei Saggi di T. v. la recensione di B. Labanca in “La 
filosofia delle scuole italiane”, XIV (1883), vol. XXII, pp. 
302-314. 


157. F. ACRI, Critica di alcune critiche di Spaventa, 
Fiorentino, Imbriani su i nostri filosofi moderni. Lettera... 
al prof. Fiorentino, Bologna 1875, pp. 153. 


Cfr. n. 158. 
158. F. FIORENTINO, La filosofia contemporanea in 


Italia. Risposta... al professore F. Acri, Napoli 1876, pp. 
XVI-474, 


Nel volume è ristampato, alle pp. 1-89, il testo italiano di 
uno scritto di F. del 1874: Considerazioni sul movimento 
della filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 7860, 


2494 


già pubblicato in tedesco nel secondo volume del periodico 
Italia edito da K. Hillebrand (un estratto dell’articolo, che 
porta la data 19 settembre 1874, e che era probabilmente 
posseduto dallo S., è conservato presso la Biblioteca civica 
A. Mai di Bergamo: F. F., Die philosophische Bewegung 
Italiens seit 1860, Separatabdruck aus K. Hillebrands Italia, 
Bd. II, Lipsia, s. d., pp. 56). Alla Philosophische Bewegung 
Italiens replicò F. Acri con una Critica di alcune critiche... 
[v. oltre; e cfr. n. 157]; a cui F. fa seguire ora, alle pp. 91- 
464 de La filosofia contemporanea in Italia, una Risposta al 
prof. F. Acri. La polemica ebbe ancora un seguito con la 
pubblicazione dell’opuscolo di F. Acri I critici della critica... 
[v. oltre; e cfr. n. 159]; nel 1911, Acri ristamperà tutti i suoi 
interventi nella vicenda, in una raccolta intitolata Dialettica 
turbata [186]. 


Nelle Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia 
(pubblicate anche in F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura, 
filosofia e critica, Napoli 1876, pp. 1-75), l'a. ricorda che la 
ricostruzione di tutta la storia della filosofia italiana, dal 
Rinascimento a oggi, è opera di B. S., il cui lavoro “sta a 
capo di tutto quel movimento storico e critico, che dura 
tuttavia, e che è il carattere precipuo della nostra filosofia 
presente” (p. 12). Parla del gruppo dei primi hegeliani, e 
riassume i risultati dei lavori storici di S., soffermandosi 
sugli studi bruniani, sulla Filosofia di Kant, del 1860 (“il 
miglior modello di critica filosofica, che vanti l’Italia 
contemporane”, p. 23), e sull’interpretazione di Galluppi, 
Rosmini e Gioberti; la critica di S. a Gioberti è la più ampia 
e la “più profonda” tra quelle elaborate dal maestro (p. 29). 
S. non è un ripetitore di Hegel, ma ne ha compreso lo 
spirito; l’a. accenna all’originalità delle Prime categorie (p. 
31), alla valutazione positiva della scuola di Herbart, per la 
psicologia (p. 32), e al riconoscimento della “ragionevole 


2495 


esigenza” del positivismo “per lo studio dei fatti storici” 
(ivi). S., ribadisce Fiorentino, non è un hegeliano ortodosso, 
e crede in una “nuova” metafisica, i cui caratteri sono 
delineati nella lettera del 1868 Paolottismo, positivismo, 
razionalismo. Alle pp. 33 sgg., F. tratta di Vera (e dei suoi 
rapporti con S.), di Mariano, di Franchi, di Mamiani (e del 
“mamianista” L. Ferri; l'a. coglie l’occasione per ribattere le 
obbiezioni a S. contenute nell’ Essai del 1869 [cfr. n. 154]), 
del Fornari, ecc. 


Il giudizio decisamente negativo espresso, nelle 
Considerazioni, sul Fornari (già attaccato da V. Imbriani per 
la sua “estetica”), e, più ancora, l'adesione incondizionata 
alle tesi storiografiche di S., provocarono la prima reazione 
di F. Acri. Nella Critica di alcune critiche (il libro è stato 
recensito favorevolmente da T. Mamiani in “La filosofia 
delle scuole italiane”, VII [1876], vol. XIII, pp. 138-142; v. 
la ristampa della recensione in Dialettica turbata cfr. n. 
186], pp. 127-132), Acri sostiene che il panorama delineato 
da Fiorentino è altrettanto sbagliato quanto lo è la 
ricostruzione spaventiana della filosofia moderna: 
l’interpretazione di Galluppi (pp. 9-39), l'interpretazione di 
Rosmini (pp. 40-68) e quella di Gioberti (pp. 68-113). Acri 
cerca di mostrare l'infondatezza delle conclusioni di S., 
contrapponendo ad affermazione negazione e a negazione 
affermazione (come dice lo stesso a.). Va segnalato anche, in 
queste pagine, il tentativo dell’Acri di provare che la 
“lettura” spaventiana di Spinoza discende direttamente dalle 
pagine della Geschichte der neuern Philosophie di K. Fischer 
(sull'argomento Acri ritornerà in uno scritto del 1877 edito 
a Firenze: Una nuova esposizione del sistema di Spinoza, 
ristampato nel 1911 [cfr. n. 186]; vedine la recensione in 
“La filosofia delle scuole italiane”, VIII, 1877, vol. XVI, pp. 
255-258). Alle pp. 135 sgg. della Critica, Acri si occupa 


2496 


dello scritto di Imbriani su V. Fornari estetico, apparso nel 
“Giornale napoletano” del 1872. 

Nella Risposta di Fiorentino al prof. Acri (La filosofia 
contemporanea..., pp. 91 sgg.) sono ribattute una per una le 
obbiezioni di Acri a S. 


(cfr. in particolare pp. 175-329). S. non intervenne 
direttamente in questa polemica contro Acri; cfr., nella 
Filosofia contemporanea, una sua lettera a Fiorentino del 10 
marzo 1876 (pp. IX-XV; a p. XVI, una lettera allo stesso di 
V. Imbriani). Nello stesso volume, pp. 467-471, è ristampato 
tuttavia l’articolo scritto da S. contro Fornari e pubblicato 
nel 1876 dal “Fanfulla” di Roma [87]. Dell’opuscolo di Acri 
in risposta alla risposta di Fiorentino [cfr. n. 159]va detto 
che l’a. racconta, nella prima parte, un sogno, in cui S., 
Fiorentino e Imbriani compaiono in veste di filosofi che 
bisticciano (il caposcuola rampogna i discepoli per 
l’imprudenza dei loro attacchi); nella seconda parte 
l'argomento è continuato sotto forma di dialogo tra l’a. e un 
amico. 

La polemica tra gli hegeliani e F. Acri è ricordata da 
diversi autori (v. sopra, introd., pp. 871 sg.); ma v. le pagine 
di Croce ne La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900 [cfr. 
n. 185] e, soprattutto, il volume di L. Russo su F. De Sanctis 
(nell’ed. cit. al n. 210, pp. 249 sgg.). 


159. F. ACRI, I critici della critica di alcune critiche, cioè 
i professori Spaventa, Fiorentino e Imbriani apparsi in 
sogno al professore Acri, Bologna 1876, pp. 44. 


Cfr. n. 158. 


160. P. SICILIANI, La critica nella filosofia zoologica 


2497 


del XIX secolo. Dialoghi, Napoli 1876, pp. XXX1I-555. 


Christi. dl 


161. R. DE CESARE, Bertrando Spaventa, in “Fanfulla 
della domenica” [Roma], V (1883), n. 9, 4 marzo; 
ristampato da G. Gentile in “Giornale critico della 
filosofia italiana”, VII (1926), pp. 378-382, con il titolo: 
Una notizia biografica di B. Spaventa. 


Necrologio del filosofo. De Cesare afferma, tra l’altro, che 
B. collaborò con articoli al giornale di Silvio, il “Nazionale”. 
Nel ristampare il breve profilo biografico di S., Gentile 
segnala l’importanza di quella indicazione, ma anche alcune 
inesattezze dell’a. (p. 382). Qualche anno dopo, Gentile 
renderà nota la fonte dell’articolo (e delle inesattezze): il 
testo di alcuni appunti di De Meis, consegnati a De Cesare 
per la pubblicazione del necrologio (A. C. De Meis, Ricordi 
di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 


XXI [1940], pp. 279-281). 


162. A. C. DE MEIS, Bertrando Spaventa, in “Gazzetta 
dell'Emilia”, XXIX, 23 febbraio 1883. 


Il testo di questo necrologio è riprodotto a p. XVII n. I 
della bibliografia degli scritti di De Meis raccolta nel volume 
di A. Del Vecchio Veneziani [cfr. n. 153]. 


163. F. FIORENTINO, Commemorazione di B. 
Spaventa, letta nell'aula magna dell’Università di Napoli il 
22 aprile 1883, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori 
dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, 
XXII (1883, aprile), pp. 35-59. 


2498 


È il primo ampio saggio biografico su S.; citato come 
fonte dal Gentile nel suo Discorso del 1900 [cfr. n. 96]. F. 
ricorda, oltre alle vicende del filosofo, le sue opere 
principali, delineando in breve anche la tesi dello scritto, 
ancora inedito, Esperienza e metafisica [94]. Tratto 
fondamentale del filosofo, l’ “ingegno critico”, e 
l'indipendenza del pensiero; doti che ben corrispondono 
alla fermezza del carattere, alla severità, all’austerità e alla 
franchezza, talvolta “ruvida”, dell’uomo. 


La commemorazione è pubblicata anche nel “Giornale 
napoletano di filosofia e lettere”, febbraio-marzo 1883, pp. 
473-499, negli “Atti” dell’Accademia di Napoli, XVIII 
(1884; con una bibliografia e indicazioni su lavori inediti di 
S.), nelle Onoranze funebri a Bertrando Spaventa [164], pp. 
37-63. Vedila ora in Fiorentino, Ritratti storici e saggi critici, 
Firenze 1935, PP. 299-319. 


164. Onoranze funebri a Bertrando Spaventa, Napoli 
1883, pp. 63. 


Contiene: una premessa di D. Jaja (pp. 3-5), il testo dei 
discorsi pronunciati da A. Vera (pp. 9-10), da E. Pessina 
(pp. 11-17), da R. Bonghi (pp. 18-19), da L. Miraglia (p. 20), 
da D. Jaja (p. 21), da G. Abignente (pp. 22-23), da R. 
Cotugno (pp. 24-25), da O. Testa (p. 26). A p. 27, il 
frammento di un discorso di F. D’Ovidio; alle pp. 37-63, la 
ristampa della commemorazione di F. Fiorentino [163]. 


165. K. WERNER, Die ttalienische Philosophie des 
neunzehbnten fabrbunderts, 5 voll., Vienna 1884-1886, pp. 
XV-472, XV-426, XIV-424, IX-281, XI-427. 


2499 


La seconda parte (Die pantbeistischhe Transformation des 
Ontologismus im italienischen Hegelianismus, pp. 232-333) 
del terzo volume (Die kritische Zersetzunr, und speculative 
Umbildung des Ontologismus) è dedicata agli hegeliani. L’a., 
ricorda le tesi delle prime lezioni napoletane di S., e illustra i 
caratteri che distinguono le due principali correnti 
dell’hegelismo, rappresentate da Vera e S. (Vera ortodosso; 
S. media Hegel con la tradizione idealistica italiana, e con le 
esigenze del realismo contemporaneo, antiidealistico). A_S. 
sono dedicate in particolare le pp. 264-287; per esporne la 
filosofia, W. riassume gli Studi sull’etica hegeliana [80]. 


166. F. MASCI, Relazione per la proposta di un 
monumento a Bertrando Spaventa, s. 1., s. d. [Napoli 1885 
21,pps12. 


Ribadisce un giudizio sul quale concordano gli scolari di 
S.: il filosofo napoletano fu soprattutto un ricercatore, uno 
spirito critico, che non trasmise dogmi ai suoi discepoli, ma 
volle e seppe sviluppare in loro l’attitudine alla ricerca. S. 
ebbe il merito di far conoscere all’Italia la filosofia di Kant, e 
l’idealismo assoluto; agli occhi dell’a., quest'ultimo appare 
come un semplice momento, certo necessario, ma ormai 
superato dal “ritorno” a Kant e della “vigorosa ripresa 
dell’empirismo” (v. in particolare pp. 7 sgg.). 

Una recensione dello scritto di M. si legge nella “Filosofia 


delle scuole italiane”, XVI (1885), vol. XXXI, pp. 303-305. 


167. M. KERBAKER, Per l'inaugurazione dei 
monumenti a L. Settembrini e B. Spaventa, Napoli 1886, 


pp. 24. 


Nel discorso di K., Settembrini e S. sono riavvicinati e 


2500 


elogiati: a) per l’ “indipendenza” del loro pensiero (pp. 5 
sgg.; in S. “la libera attività del pensiero era più inquisitiva 
che ermeneutica”; l’a. sottolinea il temperamento socratico, 
la capacità critica del filosofo; il miglior frutto di questa 
virtù è rappresentato dalle lezioni sulla filosofia italiana: 
“comprese pel primo lo Spaventa l’importanza del problema 
storico, quello cioè di scoprire le vere e genuine tradizioni 
filosofiche del genio italiano e quindi la sua propria 
attitudine e vocazione scientifica”, p. 12); b), per “il senno 
moderato e moderatore, il senso della giusta misura nel 
giudicare i fatti del mondo reale e trarne le norme regolatrici 
della civil convivenza”, pp. 15 sg. (cfr. pp. 17 sg.: S. “non 
credeva che il riscatto morale del popolo italiano fosse 
compiuto pel sol fatto della sua emancipazione civile e 
politica. Scorgeva invece e predicava la necessità che si 
rifacessero faticosamente i materiali dell’edificio, si 
sostituisse cioè a poco a poco, nella coscienza pubblica, il 
concetto dello stato organico, operaio, intraprendente a 
quello dello stato meccanico, stazionario, pacifico”). 


168. V. LAUREANI, Giordano Bruno e Bertrando 
Spaventa, Lanciano 1888, pp. 14. 


Sembra promettere, all’inizio, un discorso sulle 
interpretazioni spaventiane di Bruno; ma si esaurisce in un 
generico profilo del pensiero di S. 


169. L. FERRI, Ur Zibro postumo di Bertrando 
Spaventa. La dottrina della cognizione nell’Heghelianismo, 
in “Rivista italiana di filosofia”, anno IV, vol. I (1889), 
marzo-aprile, pp. 129-158; Il problema della coscienza 
divina in un libro postumo di Bertrando Spaventa, in 
“Rivista italiana di filosofia”, anno V, vol. I (1890), 


2501 


maggio-giugno, pp. 257-279. 


Due saggi su Esperienza e metafisica [94]. Nel primo, F. 
dichiara di accogliere la critica spaventiana del realismo 
ingenuo, ma di dover rigettare la concezione idealistica della 
“natura del vero, ossia della relazione del pensiero con 
l'essere” (p. 135). S. difende contro i kantiani il concetto 
dell’ “assoluto metodologico inseparabile dall'andamento 
del pensiero in quanto esso è guidato... [dalla]... presunta e 
dimostrabile unità” di “assoluto naturale, dialettico e 
religioso” (p.. 138); respinge l’idea  spenceriana 
dell’inconoscibile, il concetto di “posizione assoluta” di 
Herbart, e la soluzione darwinistica, che poggia “sopra fatti 
esteriori e dati empirici” (p. 139). 

Crede di aver dimostrato che l’uomo è “capace di 
pareggiare col pensiero l'essere”, che è capace di 
“conseguire il pensiero assoluto, l'assoluto sapere” (p. 141). 
Ma il timore del dualismo spinge S. “a diminuire da una 
parte l’ingerenza dell'esterno, e accrescere talmente quella 
dell'interno nella funzione conoscitiva, che alla fine la 
seconda rimane sola” (p. 145; e cfr. tutta la discussione di 
pp. 151 sgg., dove si denuncia l’indebita identificazione 
idealistica di processi della coscienza e processi della 
conoscenza, che conduce all'affermazione della presenza 
dell'essere infinito nell'uomo: F. pensa che si debba 
mantenere un concetto “ben circoscritto” dell’ “immanenza 
divina”, per salvare sia la “personalità” divina, sia quella 
umana, pp. 156 sg.). Per F. si deve continuare a riconoscere 
la presenza di dati irriducibili all’attività psichica; la 
relatività della conoscenza non va intesa semplicemente in 
relazione alla sua estensione, giacché si fonda sulla 
“materia” stessa del conoscere (p. 147). 


Nel secondo saggio, riprendendo il tema, già affrontato 


2502 


nella prima parte, del rapporto tra pensiero divino 
(“inconscio”, secondo S.) e pensiero umano (nel quale 
soltanto si realizzerebbe il sapere come coscienza), F. 
difende contro S. le ragioni del teismo. 


170. S. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere scritti 
documenti pubblicati da B. Croce, Napoli 1898, pp. IX- 
314; Bari 19232, pp. XII-373. 


Gfr: n.125, 


171. G. GENTILE, Della vita e degli scritti di 
Bertrando Spaventa, in B. S., Scritti filosofici, raccolti e 
pubblicati... da G. Gentile, Napoli 1900, pp. XXI-CLII. 


Cfr. n. 96. 


172. D. JAJA, Prefazione a B. S., Scritti filosofici, 
raccolti e pubblicati... da G. Gentile, Napoli 1900, pp. 
VILXVII. 


Cfr. n. 96. 


173. B. VARISCO, Razionalismo e empirismo, in 
“Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini”, III 
(1902), vol. VI, n. 3, pp. 298-315. 


L’a. si propone di “esporre e di criticare i concetti 
fondamentali del razionalismo kantiano e dell’hegeliano; e 
di dimostrare la possibilità d’un empirismo, soddisfacente 
alle esigenze, che queste due dottrine hanno avuto il merito 
di mettere in luce”. Nella sua ricerca, V. tiene presenti i 
saggi spaventiani raccolti negli Scritti filosofici [96]. L’a. 


2503 


riconosce a S. il merito di aver sostenuto le ragioni del 
“meccanismo”, di averne ammessa la necessità per la 
conoscenza dei fenomeni psichici. Ma al di là di alcuni 
parziali riconoscimenti, va detto che è fallita la “correzione” 
di Kant, tentata da Hegel e da S. L'esigenza di salvare 
l’oggettività del conoscere non può ritenersi soddisfatta 
attraverso la “prova” dell'identità di essere e pensiero, 
escogitata da S. nelle Prizze categorie. E la radice della 
difficoltà va ritrovata, in fondo, nello stesso Kant, che ha 
considerato la sensazione come un fatto soltanto soggettivo, 
e non come un dato che si “impone” a noi. 


All’articolo di V. replica prontamente Gentile [cfr. n. 
174], rivendicando a sé il diritto di rispondere in nome di S., 
e ribadendo, tra l’altro, la necessità di riprendere la 
tradizione rappresentata dal filosofo napoletano. La risposta 
alle difficoltà di V. è già contenuta nel saggio sulle Prize 
categorie. Il critico fraintende S. (e Hegel), perché confonde 
fenomenologia e logica, confonde una questione di ordine 
gnoseologico con una questione di ordine logico © 
metafisico. Un argomento, su cui Gentile insiste per 
avvalorare questa sua osservazione, consiste nel rilievo della 
impossibilità di richiamarsi al principio di contraddizione, 
nella discussione del rapporto essere-nulla: impossibilità ben 
nota, oltre che allo S., allo stesso Trendelenburg, ma non 
intesa da Varisco. 


Alla risposta di Gentile, V. replica con lo scritto: Per /a 
critica, sulla stessa rivista, nel fascicolo di ottobre del 
medesimo anno (pp. 377-399). Gentile chiude la discussione 
con: Polemica hegeliana, Napoli 1902, pp. 22. I due scritti di 
Gentile vedili anche ristampati in Saggi critici, serie prima, 
Napoli 1921, pp. 45-67, 69-87. 

174. G. GENTILE, Filosofia e empirismo, in “Rivista di 


2504 


filosofia, pedagogia e scienze affini”, III (1902), vol. VI, nn. 
5-6, pp. 588-604. 


Cfr. n. 173. 


174 bis. N. Lo PIANO, L’begelismo a Napoli, Potenza 
1903, pp. 72. 


Nel saggio sono indicate le ragioni — politiche e religiose, 
oltre che filosofiche — della fioritura dell’hegelismo a Napoli, 
e quelle del suo arresto o della sua “mancata diffusione”. Il 
secondo tema è trattato — tra l’altro — attraverso il ricorso a 
note argomentazioni (cfr. p. 68: “Alla mente italiana, dotata 
da natura di forme troppo originali per soffrire qualunque 
maniera d’imitazione; al pensiero italiano, naturalmente 
bisognoso di realtà e di vita, mal si convengono le astrazioni, 
spesse volte, troppo vuote dei Tedeschi”); ma proprio 
questo taglio del discorso consente all’a. di lodare in S. la 
figura del mediatore (v. il paragrafo XV, pp. 69-71, Ragioni 
del maggior credito e fama dello Spaventa rispetto agli altri 
begeliani; e cfr. p. 69: “Ha seguito Hegel non da noioso 
ripetitore, né da fedele e servile interprete, ma se ne è 
assimilato lo spirito più che le formule e le parole. È l’anello 
di congiunzione tra l’idealismo di Gioberti e quello di 
Hegel; è un moderatore o meglio il termine medio tra la 
filosofia esclusivamente nazionale e l’hegelismo puro...”). 
Nei paragrafi decimo e undicesimo (pp. 45-58) l’a, riassume 
Ia storia della filosofia italiana elaborata da S., la sua 
interpretazione delle prime categorie della logica di Hegel, e 
le tesi di Esperienza e metafisica; in alcuni punti (v. ad es. p. 
55, per il parallelo S.-Marx) il saggio sembra riflettere — ma 
senza espliciti riferimenti — qualche indicazione contenuta 
nel discorso premesso da Gentile all’edizione degli Scritti 


2505 


filosofici di S. [96]. 


175. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Principi di etica, 
Napoli 1904. 


Cfr. n. 97. 


176. N. SCHIAVONI, Silvio e Bertrando Spaventa, 
lettera all'avv. Michele Crisafulli (13 dicembre 1903); in 
Onoranze al prof. Vincenzo Lilla, Messina 1904, pp. 311- 
314. 


È un “ricordo” dei fratelli S.; ma riguarda soprattutto 
Silvio. 
177. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Da Socrate a 
Hegel, Bari 1905. 


Cfr. n. 98. 


178. R. MARIANO, Uorzini e idee (vol. VIII degli 
Scritti vari), Firenze 1905, pp. 488. 


Cfr. n. 149. 


179. F. TOCCO, Fra biografie e quadri storici, in “Il 
Marzocco” [Firenze], 25 giugno 1905. 


Cfr. n. 149. 


180. B. CROCE, Giovanni Bovio e la poesia della 
filosofia, parte prima, in “La Critica”, V (1907), pp. 335- 


2506 


361. 


Contiene alcune pagine su Vito Fornari e B. S. (sullo S. v. 
in partico lare pp. 343-348), ristampate più tardi in B. C., La 
letteratura della nuova Italia. Saggi critici, qui le citazioni 
sono tratte dalla seconda edizione (1921) del primo volume 
(lo scritto: V. Fornari-B. Spaventa occupa le pp. 379-391 SU 
8. v. pp. 385-391). 

Fornari viene incontrato da C. in “una visita di congedo, 
se non proprio di riverenza, alla prosa italiana del buon 
vecchio tempo, con le sue avvizzite graziette e moine” (p. 
379). S. Si schierò contro la tradizione dei “linguai e 
frasaioli” (p. 385), in forza del suo atteggiamento critico 
(anche rispetto a Hegel), e della sua attenzione alle nuove 
forme di pensiero. È un merito che gli va riconosciuto, 
“quale che sia il giudizio che si porti sulla sua filosofia” (p. 
385). A Fornari S. oppone l’ “asciuttezza del discorso, che 
aborre la divagazione e la chiacchiera” (p. 386), e una 
eloquenza, che è tuttavia “virilmente semplice”. Croce 
ricorda il vigore polemico del vecchio hegeliano, precisando 
che il “suo temperamento lo portava non all’ironia, ma al 
sarcasmo e alla rappresentazione grottesca” (p. 388). Di 
questo tratto del carattere di S. costituisce un documento la 
lettera contro Fornari, del 1876, G/ spaventiani spaventati 


[87]. 


181. G. BARZELLOTTI, Due filosofi italiani, Augusto 
Conti e Carlo Cantoni, in “Nuova Antologia”, 16 luglio 
1908, pp. 177-192; e in G. B., L’opera storica della 
filosofia, Milano, s.d., pp. 305-334. 


Nelle ultime pagine dell’articolo, B. muove alcune 
obbiezioni al “programma” degli hegeliani di Napoli — e, in 


2507 


particolare, di S. — che provocarono una risposta di Gentile 
[cfr. n. 182]. 


182. G. GENTILE, Per la sincerità della critica e per 
l'esattezza storica. Risposta al prof. Barzellotti, in “La 
Critica”, VI (1908), pp. 395-400; e in G. G., Saggi critici, 
serie seconda, Firenze 1927, pp. 209-216 (con il titolo: 
False accuse contro lo Spaventa. Risposta...). 


La risposta di G. all’articolo di B. [cfr. n. 181] è una 
difesa della tesi della “circolazione” e un richiamo a una più 
corretta lettura degli scritti di S. Secondo B., S. avrebbe 
voluto trapiantare in Italia il sistema di Hegel, questo 
prodotto “nazionale” della Germania, senza tener conto 
delle differenze specifiche dei due linguaggi e delle due 
mentalità, italiana e tedesca; avrebbe mostrato, ancora, di 
mancare affatto di “senso storico” nella sua interpretazione 
di Rosmini e di Gioberti, e con la sua affermazione del 
carattere “solamente europeo” della filosofia moderna. 
Nella sua risposta, G. mostra che le accuse di B. si fondano 
su di una interpretazione affrettata de La filosofia italiana; e 
che, in particolare, l’attribuzione a S. del giudizio: la 
filosofia è solamente europea, nasce da un errore materiale 
di lettura. 


183. G. GENTILE, prefazione a B. S., La filosofia 
italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari 
1908; terza edizione, Bari 1926. 


Cfr. n. 99. 


184. R. MARIANO, Dall’idealismo nuovo a quello di 
Hegel (vol. X degli Scritti vari), Firenze 1908, pp. XXXII- 


2508 


459. 


Cfr. n. 149. 


185. B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 
1900, in “La Critica”, VII (1909), pp. 325-351, 405-423; 
VII (1910), pp. 211-221, 241-262. 


Ampio panorama (ristampato in B. C., La letteratura della 
nuova Italia. Saggi critici; qui si cita la sesta edizione, Bari 
1954, vol. IV, pp. 267-355) della cultura universitaria e 
extrauniversitaria di Napoli nella seconda metà 
dell'Ottocento; con indicazioni ancora preziose sulla vita 
delle accademie e delle biblioteche, sulle riviste, sul teatro e 
sul giornalismo; sulla Società di storia patria, ecc. Il nome di 
S. vi compare più volte, e subito a p. 271 (S. rappresentò 
“nel modo più visibile” la “trionfante rivoluzione 
intellettuale”); qui il filosofo è legato al De Sanctis (e al Tari 
e al Settembrini) con un giudizio (erano, più che insegnanti, 
“educatori ed eccitatori di tutte le forze morali”, p. 295) che 
sarà poi ripreso e variamente accentuato da altri studiosi. Le 
pp. 271 sgg. offrono un quadro assai particolareggiato delle 
reazioni all’hegelismo di S. da parte dei giobertiani, dei 
seguaci di V. Fornari, e di alcuni “ultraprogressisti” in 
filosofia e politica (più o meno influenzati dal Mazzini). 
Degli scolari di S. (ma la sua scuola fu tutt'altro che una 
“chiesa”, p. 282) Si discorre alle pp. 281-286. Oltre alle 
pagine (con richiami alle testimonianze degli stranieri: di T. 
Straeter [cfr. n. 146], di M. Monnier, di I. Taine, ecc.) sulla 
vita dell’università napoletana, e sulla sua decadenza dopo il 
1883-85 (v. pp. 328 sgg.), sono da vedere in particolare 
quelle dedicate alle riviste (pp. 306-314), che contengono le 
indicazioni essenziali sugli scritti polemici di hegeliani e 


2509 


antihegeliani (polemiche di Fiorentino, Imbriani, S., con V. 
Fornari, F. Acri, ecc.). 


186. F. ACRI, Dialettica turbata, Bologna 1911, pp. 
VIII-262. 


Nella prefazione l’a. dichiara i sentimenti (assai delicati, e 
malinconici) che prova nel ristampare i documenti della 
disputa del 1875-76. Ripubblica qui: 1) con il titolo La 7754 
disputa con il Fiorentino e lo Spaventa e l’Imbriani, pp. 1- 
103, la Critica di alcune critiche del 1875 [157]; 2) col titolo 
Un sogno di B. Spaventa, pp. 104-110, la lettera di S. Gl 
spaventiani spaventati [87], con commenti in parentesi; 3) 
col titolo: Sogno di F. Acri, e Un dialogo dopo il sogno, pp. 
111-122, 123-127, lo scritto del 1876: I critici della critica... 
[159]; alle pp. 127-132, la recensione di Mamiani alla Critica 
del 1875 [158]; alle pp. 133-243, la Nuova interpretazione 
dello Spinoza [158], seguita, pp. 244-262, da: I/ Fiorentino e 
lo spirito dello Spinoza celato entro una fiammella. 


187. G. GENTILE, prefazione a B. S., La politica dei 
gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. Polemica con la “Civiltà 
cattolica” (1854-1855), Milano-Roma-Napoli 1911. 


Cfr. n. 101. 


188. G. GENTILE, prefazione a B. S., Logica e 
metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di parti inedite, 
Bari 1911. 


Cfr. n. 102. 


2510 


189. B. CROCE, Noterelle di critica hegeliana. I. Il 
“primo” o il “cominciamento”, in “La Critica”, X (1912), 
pp. 370-374. 


La breve nota (ad essa si può collegare, per un 
riferimento esplicito a S., la discussione dello studio di A. 
Moni, La dialettica positiva ossia il concetto del divenire, 
Teramo 1910, apparsa nella stessa annata della “Critica”, 
pp. 294-310; i due scritti di C. sono stati poi raccolti nel 
Saggio sullo Hegel, Bari 1913, pp. 177-184, più volte 
ristampato) precisa in termini chiari e definitivi la distanza 
che l’a. volle frapporre fra sé e il vecchio hegeliano (per altri 
giudizi di C. su S., formulati per lo più incidentalmente in 
pagine non dedicate al filosofo, v. l’introduzione di questa 
bibliografia, pp. 880 sgg.). C. non attribuisce dignità di 
problema alla questione del “primo scientifico” o del 
“cominciamento”, e rifiuta come vana ogni esercitazione, 
per ingegnosa che sia, sul tema delle prime categorie della 
logica di Hegel. Dando credito alla richiesta di una “prova” 
per il principio della scienza, S. ha finito con l’escogitare 
una soluzione davvero insostenibile: quella che fa nascere la 
filosofia da un dato immediato epperò non provato (il 
“primo” della fenomenologia), e che indica poi nell’ “idea”, 
assunta come maximum di intelligibilità (il “più che 
intelligibile”), il risultato ultimo del suo processo; sicché 
può dirsi che S. si muove sul piano di un duplice empirismo, 
“un empirismo del fenomeno e un empirismo del 
soprafenomeno o misticismo”. L’errore sta nel continuare a 
mantenere — pur dopo aver negato l’esistenza di una verità 
esterna al pensiero — la distinzione empirica o didascalica 
della fenomenologia dalla logica, e del non filosofo dal 
filosofo; distinzione che appare, ancora, indebitamente 
presupposta, quando S. indica nella “risoluzione” del 


ZIL1 


soggetto la possibilità di un cominciamento necessario per la 
filosofia. 


190. G. DE RUGGIERO, La filosofia contemporanea, 
Bari 1912, p. 485. 


Sullo S., v. le pp. 399-411 (nella quinta edizione in due 
volumi, Bari 1947, pp. 137-147 del secondo volume). Qui il 
giudizio di De Ruggiero è positivo, in linea con 
l’interpretazione di Gentile. Nelle Prime categorie S. svolge, 
attraverso Hegel, tutta la ricchezza del cogito cartesiano; 
della logica di Hegel conserva “lo scheletro”, sviluppandone 
il significato “più profondo”, intendendola cioè nel suo 
“motivo storico”, come preparazione dell’ “assoluto 
psicologismo” o “assoluto empirismo”. S. mantiene, certo, 
la partizione del sistema, distingue ancora la fenomenologia 
dalla logica, i.e. la verità “per noi” dalla verità “in sé”, e Si 
mostra, in questo senso, “platonico”, al di qua del “nuovo” 
idealismo. Ma c’è anche lo S. immanentista, lo S. della 
lettera Paolottismo, positivismo, razionalismo, e 
dell’introduzione ai Principi di etica, che raggiunge 
l'identità di pensiero in sé e di pensiero in noi, di 
conoscenza e scienza, e che afferma la coincidenza dell’e 
eterna soluzione” con l “eterno problema”: un motto, che è 
“linsegna della nostra vita speculativa”. Da confrontare 
anche l’articolo di De Ruggiero: Echi platonici nella filosofia 
italiana contemporanea (in “La Voce”, IV [1912], n. 51 [19 
dicembre]), che accetta la linea di sviluppo: Rosmini- 
Gioberti-Spaventa. 


A S. sono dedicate le ultime pagine di G. De Ruggiero, I/ 
pensiero politico meridionale nei secoli XVII e XIX, Bari 
1922, pp. 303. Quello di S. (e di De Meis) è “uno stato 
liberale secondo ragione”, che differisce dalla concezione 


4312 


che ne ebbe il “classico” liberalismo europeo, fondato sui 
diritti e la libertà dell’individuo. Ma Y “astratto 
razionalismo” di S. e De Meis “venne in buon punto 
incontro alla prassi politica dei ‘patrioti’ e formò la filosofia 
della Destra liberale italiana. Una dottrina che deduceva 
l’autorità e la legge dalla libertà, celando in un nembo la dea 
generatrice, doveva esser propizia all’azione storica di quelle 
minoranze che compirono l’unificazione ed a cui solo una 
finzione razionalistica poteva attribuire un titolo di 
rappresentanza universale. L’energica affermazione 
dell'autorità dello stato, dedotta dai principi stessi 
dell’autocoscienza, corrispondeva alla pratica 
dell’accentramento e della burocratizzazione; il legalismo e il 
costituzionalismo come criteri superiori per dirimere tutti i 
conflitti degli interessi particolari, erano le armi appropriate 
a un ceto di proprietari, cosiddetti liberali, una volta 
pervenuti al potere” (p. 301). Sicché “la dottrina filosofica 
ribadiva un complesso d’interessi conservatori e, in certa 
misura, reazionari”; la “grandezza storica” (compimento 
dell’unità) della Destra appare “quasi del tutto estranea a 
ciò che le ha conferito la qualifica liberale” (ivi). 


Nel volume della sua Storia della filosofia moderna 
dedicato a Hegel (Bari 1948), De Ruggiero ricorda S. solo 
per affermare che la sua opera è affatto inutile in un 
“riesame storico-critico del sistema hegeliano”. S. conserva 
“L’intonazione teologica” di Hegel, e non importa che il suo 
teologismo assuma i toni di un teologismo “laico”. La critica 
moderna rompe l’involucro del sistema hegeliano, per 
coglierne e svolgerne l’interna ricchezza; S. si muove nella 
direzione opposta, “verso l’involuzione del sistema” (pp. 
278 sg.). 


2513 


191. V. FAZIO ALLMAYER, I/ compito della filosofia 
italiana, in “La Voce”, IV (1912), n. 51 (19 dicembre). 


L'articolo di F. A. è il primo di una serie di scritti su La 
filosofia contemporanea in Italia, tema a cui è dedicato 
questo numero de “La Voce” (gli altri contributi sono di G. 
Gentile, F. Momigliano, A. Carlini, G. Natoli, L. 
Salvatorelli, G. Lombardo-Radice, B. Croce, T. Parodi, G. 
De Ruggiero [cfr. n. 190], G. Saitta). L’impianto 
dell’articolo — scritto con indubbia decisione e chiarezza — 
riflette le —linee’essenziali del programma 
spaventianogentiliano (e dell’ultimo Gioberti), accentuando 
una tematica (necessità di riassorbire la filosofia della natura 
e la logica nella fenomenologia dello spirito) che l'a. ha 
sviluppato per suo conto nell’elaborazione del proprio 
idealismo. Con S. e Gentile, F. A. legge nell’autentica 
tradizione italiana “la più forte tendenza verso l’immanenza 
e la libertà”; “noi siamo avviati alla concezione della logica 
come storia, sviluppo dello spirito umano concreto, e quindi 
al rifacimento della Feromzenologia dello spirito in cui, 
oltrepassato il dispiegamento della coscienza particolare 
riferentesi all'oggetto naturale, mostrata l'identità di 
coscienza ed autocoscienza fin nel primo atto dello spirito, 
si abbia il dispiegamento della coscienza umana come atto 
concreativo della storia umana, del mondo umano, quindi 
come storia e logica allo stesso tempo. Così riporteremo ai 
concreti problemi della vita e della storia quell’idealismo che 
altrove svapora nel misticismo o si deposita nel 
naturalismo”. 

Per questo articolo, l’a. fu chiamato in causa nel corso 
della polemica Boine-Prezzolini; e intervenne con una breve 
risposta ne “La Voce”, VI (1914), n. 13 (13 luglio), pp. 30 


sg. 


2514 


Il compito della filosofia italiana apre la raccolta degli 
studi ristampati nel volume di F. A. Ricerche hegeliane, con 
prefazione di G. Saitta, Firenze 1959, pp. XVI-325; il saggio 
del 1912 è qui pubblicato con un titolo diverso, (Spaventa e 
l’hegelismo) e “con alcune lievi modifiche dove era 
invecchiato per la contingenza di certe affermazioni”. Nelle 
Ricerche è ristampato anche, con il titolo Genzile e la 
riforma della dialettica hegeliana, pp. 20-42, uno studio già 
apparso nel “Giornale critico della filosofia italiana” del 
1947 [cfr. n. 243]. Per S. v. le pp. 36-40: la riforma 
gentiliana non si trova già in S., il quale “è ancora legato alla 
partizione della Enciclopedia hegeliana e ciò a cui è arrivato 
è che non ci è categoria senza pensare (mentalità) oggettivo, 
e che il pensiero oggettivo è presente al pensiero soggettivo, 
senza di che questo non è pensiero. Si potrà ancora 
sostenere perciò che per lui c’è una esigenza realistica [qui 
l’a. introduce un riferimento agli studi spaventiani di F. 
Alderisio], la quale invece è superata dal Gentile per cui 
tutta la realtà si identifica con quella vita del soggetto, in cui 
il mondo vive, e rivive; e rivivere è vivere” (pp. 39 sg.). 


191 bis. RODOLAN, Ieri e oggi. Bertrando e Silvio 
Spaventa, in “La Nazione” [Firenze], 7 aprile 1912. 


Sulle ragioni che hanno portato lo S. al sacerdozio, e sulla 
riconoscenza di Silvio per l’ “olocausto” del fratello. 


192. G. GENTILE, La riforma della dialettica hegeliana 
e B. Spaventa, con appendice (1912), in G. G., La riforma 
della dialettica hegeliana, Messina 1913, pp. 1-71; ora in 
G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni Gentile 
per gli studi filosofici, vol. XXVII, pp. 1-65. 


2919 


Cfr. n. 103. 


193. G. GENTILE, La filosofia in Italia dopo il 1850. 
VI. Gli hegeliani. V. La riforma dello hegelismo 
(Bertrando Spaventa), in “La Critica”, XI (1913), pp. 
365-384, 441-463; XII (1914), pp. 34-56, 133-146. 


Dei saggi gentiliani sulla filosofia italiana della seconda 
metà dell’Ottocento, raccolti poi dall’a. sotto il titolo: Le 
origini della filosofia contemporanea in Italia, viene tenuta 
presente in questa bibliografia l’ultima e definitiva edizione 
(nelle Opere complete di G. G. a cura della Fondazione 
Giovanni Gentile per gli studi filosofici, voll. XXXI- 
XXXIV) costruita attraverso il confronto delle edizioni del 
1917 e del 1925 (migliorate nello stile, ma mutilate di molti 
riferimenti ai testi e delle bibliografie) con il testo apparso 
ne “La Critica” tra il 1903 e il 1914. Il saggio su S. è 
ristampato nel vol. XXXIV delle Opere complete, pp. 83- 
189; ma sono da vedere anche i volumi precedenti: il XXXI, 
per alcuni riferimenti ai rapporti tra Mamiani (e il 
mamianista Ferri) e S., il XXXII, che contiene, nelle pagine 
sul Tommasi, indicazioni sulla polemica intorno alle 
psicopatie, e notizie sui rapporti di Angiull i e Siciliani con 
lo S.; infine, nel vol. XXXIII, sono da vedere il capitolo su 
F. Fiorentino, le pagine su F. Masci e le pagine che 
introducono alla storia degli hegeliani di Napoli. 


Il saggio su S. del 1913-14, scritto quando erano oramai 
acquisiti (soprattutto con la pubblicazione del Framzzzento 
sulla dialettica del 1880-81: cfr. n. 103) i documenti 
fondamentali su cui si basa l’analisi di G., fissa in termini 
conclusivi l’interpretazione avviata nel Discorso del 1900 
[96]. Le pagine su Bertrando Spaventa e la riforma 
dell’hegelismo sono precedute da due capitoli, intitolati: 


2516 


Pietro Ceretti e la corruzione dell’hegelismo (con paragrafi 
dedicati a P. D’Ercole, A. Tari, e alla Florenzi Waddington) 
e: A. C. De Mess e la filosofia della natura (sono da vedere le 
pp. 59 sgg., sui rapporti De Meis-S., dove si ragiona come e 
perché il primo non intese “il motivo segreto e le 
conseguenze” degli studi spaventiani sulla logica hegeliana); 
e precedono l’ultimo capitolo delle Origizi, dedicato agli 
Scolari di Bertrando Spaventa, S. Maturi e D. Jaja, da vedere 
anch'esso, per il rapporto istituito tra maestro e discepoli: 
Maturi subisce l’influsso anche di Vera, e dà un peso eguale 
alle due posizioni, distinte anzi opposte nella interpretazione 
corrente; Jaja “s’afferra al filo che già aveva porto lo 
Spaventa per uscire da quel labirinto del congegno della 
logica hegeliana, determinato dal rapporto delle prime 
categorie” (p. 206) e lavora all’elaborazione della metafisica 
della mente (p. 208). 


L’ultimo paragrafo dello scritto su S. riprende e conclude 
il giudizio avanzato nella dedica degli Scritti del 1900 [961: 
la filosofia di S. accoglie e compone “tutte le esigenze varie 
ed opposte che s’eran venute agitando nel pensiero italiano 
nella seconda metà del secolo XIX”, dando ad esse 
“legittima soddisfazione” (p. 187) e additando la via 
dell'ulteriore progresso. 


La ricostruzione del “punto di vista spiritualistico 
raggiunto dallo Spaventa” (p. 186) è preparata, in primo 
luogo, da una breve presentazione della figura del filosofo 
($$ 1-2, pp. 83-85), lodato come “uomo di parte” orientato 
“verso la concretezza” storica, e opposto, così, all’ortodosso 
Vera (sui diversi interessi — per la filosofia della natura e 
della religione in Vera, per la logica e la teoria della 
conoscenza in S. — dei due filosofi, e per la presentazione 
della loro opposizione secondo lo schema: metafisica 
dell’ente-metafisica della mente, v. pp. 140 sgg.) e ai mistici 


237 


Tari e Ceretti; in secondo luogo ($$ 3-32, pp. 86-129), da 
una riesposizione degli studi e scritti spaventiani sul 
Rinascimento, su Spinoza e sulla filosofia italiana 
contemporanea: soprattutto della Fy/osofia di Gioberti, qui 
giudicata il “capolavoro” di S. 


Nel corso di questa riesposizione, e già a proposito dei 
primi studi bruniani di S., G. osserva che “questa sua storia 
della filosofia, che qui si viene studiando, non è che una 
prima immagine della sua filosofia” (p. 109); richiama cioè 
un problema affrontato nella prefazione a La filosofia 
italiana [99] già dato per risolto, in quella stessa prefazione, 
attraverso la costruzione teorica della identità di filosofia e 
storia della filosofia. Nelle Origzzi, questa teorizzazione 
riaffiora in più punti, e soprattutto nelle pp. 147 sgg., dove 
si parla della “perfetta fusione di trattazione storica e 
filosofica” che solo può realizzare chi, come S., ha interesse 
di “intendere tutto il processo, come il processo genetico del 
risultato” (pp. 148 sg.). Ora, approfondito e conosciuto 
veramente il “risultato” (e cioè “rivalutata” via via la 
filosofia di Galluppi, Rosmini, Gioberti), è abbandonato da 
S. l’astratto appello al sistema di Hegel, del 1850: il 
problema non era più quello “dei rapporti tra i filosofi del 
secolo XVI e la posteriore filosofia europea” (i.e. 
l’enciclopedia di Hegel), bensì “quello dei rapporti degli 
ultimi tre filosofi italiani... con la filosofia tedesca da Kant a 
Hegel”. La teoria della “circolazione del pensiero” nasce 
quando il processo della filosofia moderna appare a S. non 
più “rettilineo e centrifugo, rispetto a noi”, ma anzi “come 
un moto circolare, che ritorna al suo punto di partenza” (p. 
117). Ora, l'abbandono o la correzione del programma del 
1850 era reso possibile — sottolinea G. — dall’atteggiamento 
indipendente assunto da S. nei confronti dello stesso Hegel; 
“Spaventa, avendo fatto suo succo e sangue la sostanza del 


2518 


pensiero hegeliano, non pensava né scriveva col modello 
innanzi, né si faceva dei paragrafi dell’Erciclopedia la regola 
del proprio giudizio” (p. 129); e G. si compiace di additare 
almeno un luogo della Filosofia di Gioberti (1863, pp. 48 
sg.) in cui S. mostra di avere, del pensiero, “un concetto 
conforme bensì alla Ferorzenologia hegeliana, ma non forse 
alla Enciclopedia, in cui il pensiero nostro, libero, personale, 
presuppone la logica in sé, nella stessa relazione che la 
riflessione giobertiana ha con l’intuito come sua base 
autorevole” (p. 131). Il vero significato della “circolazione” 
sta allora nella critica o meglio “autocritica” del processo 
storico del pensiero italiano che in S. si compie: “la vera 
importanza della critica dello Spaventa sul Galluppi, sul 
Rosmini e sul Gioberti è di rappresentare il progresso del 
pensiero italiano dopo Gioberti” (ivi). Con questo 
riconoscimento — e qui G. si discosta dai suoi precedenti 
studi, e approfondisce un’obbiezione avanzata nella 
prefazione a La filosofia italiana [99] — cade tuttavia lo 
stesso concetto della “circolazione”: “concetto, diciamolo 
pure, alquanto fantastico, implicando quello di una 
nazionalità come una sfera chiusa di vita spirituale: che, a 
sua volta, è concetto non sostenibile né storicamente, né 
filosoficamente, fondato su una rappresentazione fantastica 
della nazione, come qualche cosa di esistente in sé, in 
conseguenza di certi dati naturali” (p. 132). Certo, lo 
schema “rigido” della “circolazione” fu reso da S. più 
flessibile con la “scoperta” del nesso Vico-Kant ($$ 36-38, 
pp. 134-140), anche se il filosofo non riuscì a individuare la 
vera origine storica della dottrina vichiana (gli sfuggì l 
“aspetto incontestabilmente kantiano del De antiquissima”, 
p. 136) e della esigenza metafisica che pure ad essa 
riconobbe. Tuttavia, l’obbiezione di G. all'idea spaventiana 
del “circolo” resta: e viene giustificata, a) sul piano storico, 


2519 


attraverso numerosi riferimenti (pp. 133 sg.) che mostrano 
come la “circolazione” sia stata “continua” (p. 134), e h) sul 
piano filosofico, in virtù dell’equazione: 
nazione=spirito=universale (“e se la concretezza 
dell’universale importa le differenze, queste non cancellano 
mai quello: e la varietà della storia non è che l’eterna 
variazione dell'uno e l'eterna unificazione del vario”, p. 
133). La “circolazione”, per G., è “continua”, perché 
coincide col dialettismo del pensiero in atto. 

Le pagine, già richiamate, che chiariscono il rapporto 
Vera-S. (pp. 140-143) avviano G. allo intelligenza” 
dell’hegelismo spaventiano. 


Unico problema di S. quello della logica o teoria del 
conoscere, sviluppato nella linea della sinistra hegeliana (pp. 
144 sgg.) così come l’intende G., nella linea cioè di una 
ricerca volta all’ “affermazione dell’essere come mente” (p. 
141) contro le concezioni imperniate sulla rappresentazione 
religiosa del logo (p. 145). Ma il “problema della mente” 
come problema del conoscere diventa centrale in S. non 
attraverso una mera “riduzione” della filosofia a 
gnoseologia; è, infatti, sul piano storico — sul piano di quel 
reale processo storico che va da Kant a Hegel — che la critica 
del conoscere si è rivelata a S. nel suo valore: non pura 
gnoseologia, ma metafisica (p. 148). G. ripercorre allora ($$ 
44-50, pp. 149-159) le pagine dello Schizzo di una storia 
della logica [68] dedicate allo svolgimento del problema 
della conoscenza in Kant, Fichte, Schelling, Hegel; 
insistendo per suo conto — ma con l’indubbio conforto dei 
testi — sull'importanza della lettura spaventiana di Kant 
(della Critica della ragion pura, non della Critica della ragion 
pratica né della Critica del giudizio; e, all’interno della prima 
Critica, dell’Analitica piuttosto che della Dialettica, p. 151), 
che offrì al vecchio maestro un criterio fondamentale per 


2520 


orientare la sua ricerca teoretica e la stessa sua 
interpretazione di Hegel. Il Kant di S., il Kant “inteso a 
dovere” (i. e. il Kant della “vera sintesi a priori”, “unità del 
senso e dell’intelletto, in cui consiste l’atto dei conoscere”, 
p. 152), “rimase per lui sempre la vera pietra di paragone 
dello stesso hegelismo” (p. 151), e di ogni altro idealismo; il 
cui problema, come è noto, è presentato, nello Schizzo, 
secondo questo semplice schema di sviluppo: l’unità (di 
senso e intelletto, di essere e pensiero) richiesta da Kant, 
“pensata” da Fichte (ma solo “pensata”, come processo 
formale) e intuita da Schelling (ma solo intuita) come 
processo reale, fu “provata” da Hegel. O meglio: Hegel si 
accinse alla “prova” (a “pensare il pensiero come l’in sé 
della realtà”, p. 159); S., sottolinea G., non ci appare mai 
persuaso che Hegel fosse riuscito nell’intento attribuitogli, 
così come non ci appare mai convinto di essere riuscito a 
condurre a termine la “prova” richiesta (ivi). 


G. può procedere ormai ($$ 51-58, pp. 159-171) alla 
individuazione del “vero” hegelismo di S., il quale accenna 
in più luoghi — e a volte dà inizio — ad un reale progresso da 
compiere rispetto a Hegel, spesso restando impigliato in 
difficoltà delle quali gli rimase per lo più ignota la radice (p. 
160). Un primo tipo di difficoltà si rende manifesto già 
nell’ambito delle riflessioni emergenti nello Schizzo, e 
sviluppate in Logica e metafisica, intorno al tema del “primo 
scientifico”. La “prova dell’identità” si scinde in S. (come 
già in Hegel; e per Hegel v. in particolare il $ 55, pp. 165- 
167) in due prove, quella della fenomenologia (la “mente” 
non è semplice soggettività, ma è processo reale, è mente 
assoluta) e quella della logica (il processo della mente è 
logico; il logo non è oggetto d’intuito). La distinzione delle 
due prove comporta la separazione della logica dalla 
fenomenologia, e rende necessario l'abbandono del pensiero 


2921 


5 2% 


fenomenologico per attingere il pensiero logico, l’ “in sé 
della natura e dello spirito, destinato a non coincidere mai 
col “per sé” o col “per noi” (p. 165). S. volle certo affermate 
l’ “unità originaria” di fenomenologia e logica (pp. 166 sg.), 
e questo è un merito che gli va riconosciuto; ma la 
particolare soluzione da lui ora proposta (il principio della 
scienza — il “primo scientifico”, immediato in quanto primo 
— è mediato, provato, in quanto si identifica con l’ultimo 
grado della fenomenologia) appare “illusoria” e accolta solo 
“per effetto d’una mera abitudine scolastica” (p. 163; si 
ricordi un’obbiezione simile di Croce, che definisce 
“didascalica” la distinzione accolta da S.: cfr. n. 189). Il 
rilievo di G., che individua, senza appesantirne le 
conseguenze, l'accettazione da parte di S. del sistema 
hegeliano nella sua architettura fondamentale (implicante 
perciò l'esclusione della Fezorzenologia come semplice 
“propedeutica”), sembra confortato da un’osservazione 
precedente, in cui si parla delle “difficoltà insormontabili 
che [S.] incontrava sempre nel concetto della natura che 
non è per lui, come il logo, reale soltanto nel pensiero (ossia, 
analogamente, nel concetto della natura) ma in se stessa, 
benché non per se stessa” (p. 146). Su questo punto però, 
G. si affretta a ricorrere ai testi, in particolare alla lettera 
Paolottismo [78], per documentare l’avversione del filosofo 
al teismo e al naturalismo, egualmente travolti “dalla sua 
tendenza al più schietto e assoluto idealismo spiritualistico e 
umanistico” (ivi). E a gettare una miglior luce su quelle 
riflessioni di S. intorno al rapporto di pensiero logico e 
pensiero fenomenologico, interviene l’analisi degli studi 
sulle prime categorie della logica hegeliana: lo scritto del 
1863-64 [70], preparato dalla critica di Gioberti (p. 169), e, 
soprattutto, il Frazzzzento inedito del 1880-81 [103], dove 
l'essere è finalmente colto come “atto del pensare”; con 


2322 


questa “nuova soluzione lo Spaventa toccava il più alto 
segno a cui era indirizzata fin da principio la speculazione 
dell’idealismo trascendentale; e iniziava una radicale riforma 
dello hegelismo, ricollocando la logica al suo natural posto, 
al fastigio della fenomenologia, ma nella stessa 
fenomenologia; scrollando dalle fondamenta la nuova 
fortezza in cui con Hegel s’era andato a chiudere il vecchio 
ente — il trascendente — sotto nome di logo, sovrastante alla 
natura e allo spirito” (p. 170). 


Un altro gruppo di paragrafi ($$ 59-70, pp. 171-185), che 
prepara la conclusione del saggio, è dedicato da G. agli studi 
di S. sul positivismo, o sul “nuovo empirismo”: l’ultima 
fatica del filosofo. G. vuoi giustificare la “affinità 
sorprendente” dell’idealismo spaventiano con l’empirismo 
“raccomandato” dai positivisti (p. 171); ci ricorda (pp. 171 
sgg.) che lo stesso filosofo nella prefazione ai Principi del 
1867 si dichiarò positivista, e volle essere riconosciuto come 
tale, in forza di una concezione dell’uomo (l’ “uomo è 
essenzialmente storia”) che ha il suo sviluppo più 
conseguente negli Studi sull’etica hegeliana, del 1869: dove 
S. oppone alle anime sensibili — a chi si compiace di separare 
il dover essere dall’essere, la legge dal fatto, e così via — una 
concezione “rigorosamente immanentista”, che si presenta 
con un “aspetto pauroso di cruda storicità, ossia di schietto 
naturalismo” (p. 174). In che senso si muove la critica di S. 
al positivismo, se il suo idealismo immanentistico toglie 
l'opposizione di assoluto e relativo, apriori e aposteriori 
ecc.; se può apparite, come apparve ai difensori della 
tradizione, una sorta di “materialismo aristocratico”? (p. 
171; cfr. n. 156). “Dove s’era dunque cacciato lo spirito coi 
suoi imprescrittibili diritti”? (p. 176). Alla domanda, osserva 
G., si può rispondere solo se si sappiano collocare i concetti 
filosofici nel contesto del loro ptocesso storico: 


2523 


materialismo, naturalismo e empirismo sono momenti 
dell’idealismo “vero”, “storico”, introdotto da Kant come 
“sviluppo” dell’empirismo di Locke e di Hume (e già, per 
quanto riguarda S., va rilevato che la sua critica dell’intuito 
fatta nella Filosofia di Gioberti “è, per indiretto, la 
celebrazione dell’empirismo lockiano”, pp. 177). 
L’empirismo avversato da S. è quello che non riconosce la 
propria origine storica (e quindi la propria giustificazione 
speculativa) nello sviluppo dell’idealismo cartesiano, come 
critica dei “residui platonizzanti e scolastici” di quella 
filosofia (p. 178); è l’empirismo che non riconosce più la 
propria funzione nella critica dell'esperienza, contro la 
vecchia metafisica dell'ente (p. 179). S. ha contribuito 
(soprattutto in Kant e lempirismo [88], e negli scritti 
postumi Esperienza e metafisica [94] e Introduzione alla 
critica della psicologia empirica [105]) a svelare l'equivoco 
(astrazione dal processo storico) per cui si contrapponevano 
ancora, dai contemporanei, idealismo e positivismo; tenendo 
fede, per suo conto, a quel “principio della certezza del vero 
o della storicità dell’eterno, che era stato il primo motivo 
della filosofia cartesiana e l’idea madre del Saggio di Locke” 
(pp. 181 sg.). Di qui l’interpretazione spaventiana di Galileo 
(p. 182), ripresa in Esperienza e metafisica, nel contesto della 
sua critica dell’ “ontismo: della filosofia che concepisce la 
realtà come ente o enti (materia o idea)”, p. 183; di qui 
l’affermazione di un “fenomenismo” assoluto (la realtà è 
“fenomeno a se stessa, fenomenizzarsi eterno”, p. 184), che 
accoglie e legittima le esigenze del vero idealismo e del vero 
positivismo. Il “nuovo fenomenismo” di S., conclude G. M 
71-73, pp. 185-189), fu “annunziato”, più che “svolto”, 
nell'opera pubblicata postuma nel 1888; ma qui il vecchio 
maestro giunse a rivendicare l’ “essenza spirituale del 
mondo, meccanizzatasi nell’astratto spiritualismo platonico 


2524 


e cartesiano” (p. 185). 

Agli occhi di G., S. raggiunse proprio in queste pagine 
quel “punto di vista spiritualistico” che l’attualismo era 
destinato a svolgere, sviluppandone coerentemente il 
principio. Il “preattualismo” di S. è disegnato con estrema 
chiarezza e decisione: per il “nuovo” fenomenismo, “gli enti 
son negati nella loro astrattezza, dove non è dato scorgerne 
se non l’ombra fissa e fallace: ma riaffermati nella vita 
concreta che essi vivono in seno alla realtà spirituale, come 
saldi momenti del pensiero. La storia è la teofania di questa 
filosofia: ma questa storia non è la dura storia che l’uomo si 
trova innanzi, già realizzata e diventata una necessità che 
allo spirito simponga come limite naturale; è invece la storia 
che l’uomo non trova mai innanzi a sé, come un passato, ma 
che egli realizza, creandola. Tutto quello che è già, è ente. E 
l'ente come tale nasce dalla riflessione e dall’analisi della 
vera realtà, che non è, ma diviene, facendosi da sé” (p. 185). 


194. M. MISSIROLI, La monarchia socialista. Estrema 
destra, Bari 1914, pp. 224. 


Della Monarchia socialista v. anche la seconda edizione, 
Bologna 1922, pp. 145. Su S. Si veda specialmente il quinto 
capitolo (I/ pensiero della Destra, prima edizione, pp. 73-83; 
seconda edizione, pp. 71-79), che ricorda gli scritti sul 
problema del rapporto dello stato con la chiesa, quello 
contro Tommaseo sul tema: Rousseau-Hegel-Gioberti [51], 
ecc. La tesi è riassunta in modo chiaro nella prefazione alla 
seconda edizione: “lo stato moderno, inteso come stato 
etico, non è realizzabile, se non nelle nazioni, che abbiano 
superato l’idea cattolica mediante la Riforma protestante”. 
S., e con lui De Meis e Gioberti, nell’alternativa: ritorno al 
puro cattolicesimo e rinuncia alla rivoluzione, oppure 


2525 


riforma religiosa, ha scelto la seconda via (pp. 4, 10). 


Cfr. la recensione di G. Gentile alla prima edizione della 
Monarchia socialista in “La Critica”, XII (1914), pp. 234 sg. 


195. Un giudizio di Bovio su B. Spaventa, in A. 
CARLINI, La mente di Giovanni Bovio, Bari 1914, pp. 
183-184. 


Ristampa di uno scritto (Augusto Vera) pubblicato nel 
1885 sul “Giordano Bruno” di Napoli. S. è elogiato da 
Bovio, come il filosofo che seppe rendere esplicito il “lato 
nuovo” di Hegel. Il “giudizio” offre nelle prime righe una 
nuova presentazione del rapporto Vera-Spaventa: 
“Spaventa, geometra; Vera, dotto...” (nello stesso volume, 
p. 185, Si legge il testo di un’epigrafe dettata da Bovio per lo 
Sl 


196. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Introduzione alla 
critica della psicologia empirica, estratto dagli “Annali 
delle Università toscane “, Pisa 1915. 


Cfr. n. 105. 


197. C. CIPRIANI, La psicologia di B. Spaventa, 
Bologna 1916, pp. 15. 


Rapida esposizione e analisi delle vedute di S. intorno alle 
origini della percezione, ai rapporti tra fisiologia e 
psicologia, ecc.; il saggio segue il testo della Introduzione alla 
critica della psicologia empirica, pubblicato dal Gentile nel 
L915:[1051. 


2526 


198. V. FAZIO ALLMAYER, I/ problema della 
nazionalità nella filosofia di B. Spaventa, in “Giornale 
critico della filosofia italiana”, I (1920), pp. 173-190. 


Ricostruisce, con numerose citazioni dalle opere di S. e 
molti riferimenti e raffronti con le dottrine dei suoi 
contemporanei (Gioberti, in particolare, e Mamiani, Luigi 
Ferri, ecc.), la genesi e lo sviluppo dell’idea di nazionalità in 
S.: dalla primitiva negazione (contrapposta alla “boriosa” 
affermazione dei sostenitori di una tradizione propria, 
perché esclusiva, del pensiero italiano), al riconoscimento 
della necessità di una filosofia italiana nella lotta per l’unità 
nazionale; infine, al pieno superamento del concetto 
naturalistico di nazione (la nazione come “destino”) 
nell’idea dello “spirito che si crea in una forma 
determinata”. Un momento decisivo in questo itinerario di 
S. è rappresentato dalla elaborazione di un nuovo concetto 
di universale-concreto, che supera ad un tempo le posizioni 
di Gioberti e di Hegel; Hegel pensava “che il mondo 
germanico dovesse assorbire la nazionalità in quanto 
rappresentante della verità, e non intendeva lo spirito degli 
altri popoli né [la] personalità autonoma di ciascuno di 
essi”. Sono “indizi luminosi” di questo processo di 
superamento la riforma della dialettica hegeliana proposta 
nel 1863 e nel 1880-81, le “lunghe meditazioni sulla 
Fenomenologia”, il rifiuto della filosofia della natura, la 
critica del realismo e del positivismo in funzione di un 
idealismo “che è storia, vivezza di problemi, vera ricerca 
dell’identità del reale col razionale e del razionale col 
reale...” (p. 188). 

L’articolo è ristampato in V.F.A., Il problema morale come 
problema della costituzione del soggetto e altri saggi, Firenze 
1942, pp. 131-154. 


2527 


199 G. GENTILE, prefazione a B. S., La libertà 
d'insegnamento. Una polemica di settant'anni fa, Firenze 
1920. 


Cfr. n. 108. 


200. A. DEL VECCHIO VENEZIANI, La vita e 
l’opera di Angelo Camillo De Meis, Bologna 1921, pp. 
XXIV-3 33. 


Ct. :455, 


201. S. CARAMELLA, Il liberalismo hegeliano del 
Mezzogiorno. I. Bertrando Spaventa, in “La Rivoluzione 
liberale”, I (1922), n. 28 (28 settembre), p. 105. 


Il saggio, completato con due articoli su De Meis e Silvio 
Spaventa già pubblicati nello stesso periodico nel 1923, è 
ristampato nel volume: La filosofia dello stato nel 
Risorgimento, Napoli 1947, pp. 90 (lo scritto su S. occupa le 
pp. 47-55). 

Come si conciliano la sovranità dell'idea e l’autonomia 
dell’individuo? Qual è, cioè, “la libertà propria dello stato 
liberale?”. Questo il problema di S., problema che investe 
“la legittimità del liberalismo”. Per Hegel resta incerto se lo 
stato integra o disindividua il singolo. La richiesta 
spaventiana di una “mediazione tra il singolo e l’universale, 
tra la storia e l'assoluto” è studiata attraverso la lettura delle 
polemiche coi gesuiti [101], della Libertà d'insegnamento 
[108] e dei Principi di etica (97; e C. attribuisce senz'altro a 
S. un articolo del “Nazionale” del 5 marzo 1848). S. non 
riesce a conciliare i due termini, e resta fermo alla 


2528 


conclusione “che l’individuo trova nello stato valori più alti 
del suo spirito pratico, e nel suo aderire allo stato riconosce 
in esso raturaliter il suo più vero sé. Si son fatti molti passi 
innanzi e chiarite molte relazioni: ma la domanda non ha 
avuto né avrà pià da Spaventa una risposta diretta. Lo stesso 
conflitto tra libertà e tradizione, stato di diritto e stato di 
fatto, viene risolto senza nessun riguardo all’individuo (che 
invece lo sente più che mai), ma solo in rapporto allo stato 
per sé preso”. Ma S. è anche il critico del costituzionalismo 
del 1821 e del ‘48; e quando afferma che la costituzione non 
è uno schema astratto che si sovrappone alla vita dello stato 
storico, positivo in quanto storico, indica una via che sarà 
seguita “con più coerenza” dal fratello Silvio. 
“L'opposizione del singolo e della collettività, della 
coscienza e dell’autorità, rimasta impigliata nelle maglie 
della dialettica in Bertrando Spaventa, troncata 
imperiosamente a favore del secondo termine dal De Meis, 
appare nel nostro [= Silvio] meno ardua perché storica...”. 


202. G. DE RUGGIERO, I/ pensiero politico 
meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari 1922, pp. 303. 


Cfr. n. 190. 


203. C. CURCIO, I/ pensiero politico di Bertrando 
Spaventa, Napoli 1924, pp. 62. 


È una rapida ricostruzione e, per lo pè, nella stessa 
intenzione dell’a., una parafrasi delle tesi esposte da S. nei 
Principi di etica [97], nella Politica dei gesuiti [101], nella 
Libertà d'insegnamento [108], ecc., a sostegno di un ideale 
di stato liberale, che il C. ripropone in questa forma “per 
mostrare... quale sia il pensiero di un liberale autentico... 


2529 


del cui nome si son fatto scudo molti e molti per dire cose 
assai diverse, nonché tra loro, da quello che fu lo spirito del 
filosofo meridionale”. 


204. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, Firenze, s.d. 
[1924]; pp:217. 


Nuova presentazione del Discorso premesso agli Scritti 
filosofici di S. (cfr. n. 96 = Opere, I, pp. 1-170). 

G. dichiara nella prefazione di ristampare il saggio del 
1900 “con nuove cure e parecchie aggiunte, ma senza 
mutare una linea a quello che una volta dissi, o sapevo dire” 
(p. 9 = Opere, I, p. 7). L'aggiunta piè rilevante è costituita 
da un nuovo capitolo (VII. Contro la nuova corruzione 
italiana, pp. 161-171 = Opere, I, pp. 139-148), costruito con 
la riproduzione di una lettera di S. a De Meis del 13 luglio 
1880, e di due lettere dello stesso De Meis a S., del 1880-81: 
tre denunce amare — e, a giudizio di G. (p. 162 = Opere, I, p. 
140), parziali — del “positivismo” ormai imperante nella vita 
politica italiana, dopo l’avvento della Sinistra al potere. Va 
segnalata inoltre, nell’Appendice (pp. 181-199 = Opere, I, 
pp. 157-170), la pubblicazione — sotto il titolo Le 
tribolazioni di B. S. giornalista —di documenti relativi alla 
collaborazione di S. alla “Rivista contemporanea” (una 
lettera a De Meis del 23 febbraio 1856, un promemoria di 
S., una lettera a S. di L. Chiala del 4 aprile 1856, infine la 
ristampa dell’articolo di S. La Civiltà cattolica e la Rivista 
contemporanea, apparso sul “Piemonte” del 16 gennaio 
1856; su queste “tribolazioni” di S. giornalista vanno 
confrontate ora le integrazioni e precisazioni di S. Landucci, 
De Sanctis e Tommaseo. Lettere inedite, “Belfagor”, XVII, 
1962, pp. 207 sg., nota); e, sotto il titolo B.S. e l’Accaderzia 
di filosofia italica, la pubblicazione di due lettere di Mamiani 


2530 


a S. (3 giugno 1852, 12 ottobre 1854), e di due lettere di S. a 
Mamiani (13 luglio 1854, 10 ottobre 1854). 

Alle pp. 201-215, la Bibliografia degli scritti di B. S., 
accresciuta e corretta. 


Le “nuove cure” e le aggiunte minori (o le variazioni 
introdotte nel testo del 1900) sono dovute alla 
pubblicazione di nuovi documenti (come le Ricerche e 
documenti desanctisiani [cfr. n. 130] di Croce), e alla 
scoperta dei nuovi testi spaventiani editi dallo stesso G. tra il 
1900 e il 1920 (il Framziento inedito sulla dialettica, 
l’Introduzione alla critica della psicologia empirica, ecc.). 
Così, si legge ora che la teoria della “circolazione” del 
pensiero italiano è “uno dei maggiori titoli scientifici del 
nostro filosofo” (p. 63, e cfr. p. 102 = Opere, I, pp. 55, 90) e 
non più, senz'altro, il maggiore (com’era detto nel testo del 
1900); appare modificato il giudizio sulle Prize categorie 
(tentativo di soluzione, rispetto al Framzzzento del 1880-81); 
e così via. 

Degna di rilievo è infine la prefazione della monografia 
(pp. 7-9 = Opere, I, pp. 3-7); per la ripresa 
dell’accostamento S.-De Sanctis (già sottolineato nella 
prefazione a Da Socrate a Hegel; cfr. n. 98), che si specifica 
ora nel senso di una preminenza del primo sul secondo (“lo 
Spaventa, dalla parte sua, ridusse a concetto filosofico 
quello che in De Sanctis fu intuito largo, comprensivo, 
luminoso, ma non sempre coerente e fermo”); per le riserve 
mantenute a proposito della teoria della “circolazione” (cfr. 
allora i rilievi nelle Origini della filosofia contemporanea in 
Italia: n. 193; e, prima ancora, i rilievi della prefazione a La 
filosofia italiana, n. 99); per il compiacimento, infine, con 
cui G. può annunciare, dopo venti anni, il “successo” della 
lezione spaventiana. 


2531 


205. V. PICCOLI, Storia della filosofia italiana, Torino 
1924, pp. VII-338. 


Su S. cfr. in particolare alcune pagine del ventisettesimo 
capitolo (La lotta delle tendenze, pp. 271 sgg.). Malgrado 
alcuni riconoscimenti parziali, è respinta la ricostruzione 
spaventiana della storia della nostra filosofia, il cui carattere 
fondamentale va ritrovato, afferma l’a., nell’ “esigenza di un 
trascendentalismo che è, necessariamente, antihegeliano” (p. 
282). Il nome di S. è ricordato nel primo capitolo (La 
tradizione filosofica nazionale); anche qui si leggono analoghi 
rilievi, che interessano soltanto come documento della più 
ampia discussione sul problema della tradizione del 
pensiero italiano. 


206. B. CROCE, Documenti di vita italiana. V. Silvio 
Spaventa, in “La Critica”, XXIII (1925), pp. 316-318. 


È la prefazione di C. alle Lettere politiche di S. Spaventa, 
a cura di G. Castellano [134]. 


207. C. LICITRA, La storiografia idealistica. Dal 
“programma” di B. Spaventa alla scuola di G. Gentile, 
Roma 1925, pp. 224. 


Nel primo capitolo (I/ programma di Bertrando Spaventa, 
pp. 21-31), la. ribadisce che lo schema delle lezioni 
napoletane di S. è ancora valido come “programma di tutta 
l’attività storiografica e filosofica del nostro secolo” (p. 26); 
si tratta tuttavia di uno schema, che nasconde in forma 
contratta i suoi possibili sviluppi. Si veda allora il terzo 
capitolo (La filosofia italiana attraverso gli studi di Giovanti 
Gentile, pp. 595-116), in cui si mostra come Gentile abbia 


ZII 


portato a compimento il disegno del maestro, superandone 
le residue incertezze (e, per l'impostazione teorica del 
discorso dell’a., cfr. il quinto capitolo, Criteri storiografici 
dell’idealismo assoluto, pp. 133-143). 


208. G. SAITTA, Bertrando Spaventa, in “Il Giornale 
della cultura italiana” [Bologna], I (1925), fasc. 1, pp. 7-8. 


Scritto dopo la pubblicazione della monografia gentiliana 
del 1924 [204], il breve articolo mette in rilievo la solidità e 


la “serietà” del pensiero di S., e l'attualità delle opere del 
filosofo meridionale. 


209. G. GENTILE, Una notizia biografica di B. 
Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VII 
(1926), pp. 378-382. Cfr. n. 161. 


210. L. RUSSO, Francesco De Sanctis e la cultura 
napoletana (1860-1885), Venezia 1928, pp. 399. 


Lavoro fondamentale per la ricostruzione dell'ambiente, 
degli schieramenti, delle polemiche, delle varie relazioni — 
scontri, alleanze — tra le diverse “culture” che si incontrano 
nello sviluppo della cultura nazionale italiana. Dell’opera 
viene qui seguita la terza edizione, Firenze 1959, pp. XIV- 
415. 


Sono da vedere le pagine della prefazione alla seconda 
edizione — qui riprodotte, pp. XI-XIV — dove sono indicati i 
motivi ispiratori e le conclusioni generali della ricerca, in 
termini suggestivi e ancora stimolanti (De Sanctis 
riformatore “di uomini, cioè di indirizzi mentali e 
spirituali”; con lui la “cultura dell’Italia in esilio”, maturatasi 


2533 


tra il 1848 e il 1860, trionfa a Napoli; collocazione della 
cultura napoletana nella geografia culturale d’Italia; 
contributo di Napoli alla formazione di una “cultura 
nazionale”; ragioni del successo della cultura vichiana 
napoletana nel Novecento; ecc.). 


2534 


Nel primo capitolo (La decadenza dell’Università 
borbonica e la riforma del De Sanctis), alle pp. 30 sgg., sono 
rievocate le sommosse studentesche contro la nuova 
università, che toccarono da vicino lo S. Sul carattere 
dell’insegnamento e sull’ “antiaccademismo filosofico” di S. 
si vedano le pp. 90-102 del capitolo terzo (La nuova cultura 
e gli hegeliani); di seguito, alle pp. 202 sgg., è ripreso il tema 
dell’antitesi Vera-S. Nel sesto capitolo (Gli scienziati e la 
reazione alla metafisica) è ricostruita — pp. 181-184 — la 
polemica sulle psicopatie, tra il Tommasi e S. (accostati, poi, 
a p. 186: l’ “unità scientifica” promossa da Tommasi 
“poteva dirsi analoga a quell’altra che lo Spaventa realizzava 
nel campo della filosofia”). S., De Sanctis, De Meis sono 
riavvicinati fra loro, pp. 197 sg. (nel capitolo settimo: La 
cultura extrauniversitaria), in virtù del più avveduto e critico 
“positivismo” (“essi, che agli ebbri gerarchi del nuovo 
movimento, parevano già filosofi oltrepassati, ‘metafisici 
estetici’, ‘idealisti’, forse restavano ancora i più illuminati 
veggenti e teorizzatori e interpreti della nuova filosofia, 
maestri che, nella coscienza dei limiti di quella, 
precorrevano già alla sua correzione e al suo svolgimento”); 
dopo aver ricordato i difficili rapporti degli hegeliani con il 
“transfuga dell’idealismo”, P. Villari (pp. 214 sgg.), sono 
ribadite da R. le ragioni “morali” dell’avversione (condivisa 
dall’a.; v. pp. 195 sgg., 225 sg.) di S. al “facile” positivismo, 
alleato ai paolotti (pp. 217 sgg.). Il capitolo ottavo (Conflitti 
tra il vecchio e il nuovo, pp. 227 sgg.) è in gran parte 
dedicato alla battaglia degli hegeliani contro V. Fornari, e 
alle polemiche con F. Acri (per gli interventi di S. v. in 
particolare pp. 252 sgg.). I capitoli nono (Polerziche 
politiche, pp. 259 sgg.), decimo (Silvio Spaventa e il 
liberalismo di Destra, pp. 283 sgg.), undicesimo 
(L'educazione nazionale e il pensiero dei napoletani, pp. 309 


2393 


sgg.) e dodicesimo (I/ De Sanctis educatore politico, pp. 339 
sgg.) sono dedicati alla ricostruzione delle posizioni assunte 
dagli esponenti della cultura napoletana sul terreno dei 
conflitti etico-politici; sono pagine che tendono a 
concludersi con un elogio di quella “medietas” politica che 
De Sanctis seppe dimostrare (p. 343 sg.), e il cui senso 
mancò agli altri hegeliani, fatta eccezione per Silvio S. (“il 
solo napoletano che possa stare accanto a De Sanctis” per 
l’ampiezza delle vedute politiche, p. 380). Silvio S. è del 
resto salvato dall’accusa di statolatria, e lodato (come fece 
già Croce) per la sua battaglia intesa “a frenare l'eccessiva 
ingerenza autoritaria dello stato” (p. 287). Sul De Meis, e su 
B. S., per le opinioni espresse da loro sul tema 
dell'educazione religiosa e del rapporto dello stato con la 
chiesa, cade un pesante giudizio di “astrattezza” e un’accusa 
di “confusione”. S. “dialettizzava le relazioni tra la chiesa e 
lo stato, come fossero due concetti puri, e si trattava invece 
di due istituzioni storiche; e la separazione giuridica egli 
interpretava come separazione dialettica...” (p. 318). S. non 
vedeva “il pericolo dello stato etico” da lui teorizzato: 
“intesa la dottrina dello stato etico, come s'intende per lo 
più, come uno stato che dirige, che insegna, che moralizza, 
che ordina culti, avremmo uno stato pedantesco e 
autoritario e, in fatto di religione, avremmo lo stato teologo, 
lo stato calvinista, o, per rimanere nell’ambito della 
tradizione italiana, una specie di potere temporale, in laico 
ammanto” (e mazziniani, democratici e neoriformatori 
avrebbero ragione di considerare loro maestri lo S. e il De 
Meis, p. 319). Il “senso etico” nello stato moderno appare 
meglio salvaguardato dai politici che adottarono la formula 
cavouriana, intuendo (come intuì Silvio S.) che “la migliore 
soluzione del conflitto” era la “perpetuazione del conflitto 
stesso”, garanzia a un tempo della libertà religiosa e della 


2536 


libertà di pensiero (p. 321). 


Il nome di S. torna ancora nelle pagine conclusive (Napoli 
e la cultura nazionale, pp. 383 sgg.), che riassumono i 
caratteri generali della cultura napoletana, “lontana e 
comune genitrice della nostra presente cultura nazionale” 
(p. 390). E vi torna in ogni paragrafo: sia che si tratti di 
ribadire la “tendenza antiletteraria e antiaccademica” di 
quella cultura (tendenza condivisa da S. nella sua 
concezione della filosofia come “consapevolezza”, 
“riflessione di vita”); sia che si tratti di sottolinearne 
l'esigenza “cosmopolitica” (ma in senso nuovo, e moderno; 
la scienza e la filosofia diventano veramente nazionali “per 
la mediazione di una coscienza europea”) o la “tendenza 
critica e razionalistica”; sia che si tratti infine di lodare 1’ 
“antiteocratismo” dei vecchi maestri — fondato su una nuova 
fede religiosa, immanentistica — o il loro “animus critico” 
(come “senso storico dei problemi”: la “riforma del sistema 
hegeliano avviene allora più che per trasmutati sillogismi, 
per energica espressione della sua sostanza storica”, p. 395). 


Tra le recensioni, si ricorda qui quella di A. Omodeo, in 
“La Critica”, XXVI (1928), pp. 355-360 (ristampata in A. 
O., Difesa dei Risorgimento, Torino 1955, pp. 520-526). 
Omodeo raccoglie e ripete le obbiezioni allo “stato etico”, 
che può rovesciarsi in stato autoritario; la moralità è, 
kantianamente, “forma”, che vive nella coscienza 


dell’individuo. 


211. C. MAZZANTINI, Lo begelismo in Italia, in 


Hegel nel centenario della sua morte, supplemento 
speciale della “Rivista di filosofia neoscolastica”, XXIII 
(1931), pp. 1-52. 


2351 


Nello sviluppo interno del pensiero di S. è prefigurato 
l’intero svolgimento dell’hegelismo in Italia; di quel 
movimento che, nato con un orientamento umanistico- 
storicistico, sembra destinato a rovesciarsi in un positivismo 
integrale. Come attestano i più recenti sviluppi del 
neohegelismo: malgrado le resistenze dei maestri (di Croce, 
con la sua distinzione di teoria e pratica, e di Gentile, con la 
distinzione di io empirico e io trascendentale), gli ultimi 
seguaci della dottrina tendono verso un fenomenismo puro 
o assoluto positivismo. 


A S. sono dedicate specialmente le pp. 19-25. M. richiama 
i motivi centrali del suo pensiero (la storia della filosofia 
italiana — che viene respinta, soprattutto l’interpretazione di 
Rosmini —, la dottrina svolta nelle Prizzze categorie [70], ecc.), 
e pone in rilievo la naturale convergenza dell’ “umanismo” 
di S. col positivismo. S. sperò di poter costruire un 
“positivismo idealistico assoluto su basi hegeliane”, p. 21; 
ma ci sono, per l’a., antitesi inconciliabili tra idealismo e 
positivismo, anche se appaiono facili e suggestive certe 
concordanze (carattere “mondano” del filosofare, ecc.). 


211 bis. D. CANTIMORI, Sulla storia del concetto di 
Rinascimento, in “Annali della Scuola Normale Superiore 
di Pisa”, serie seconda, I (1932), fasc. 3, pp. 229-268. 


Su S. vedi in particolare il paragrafo sesto (La circolazione 
del pensiero italiano e l’importanza del Rinascimento per la 
filosofia europea), pp. 255-261; e per un raffronto col De 
Sanctis, il paragrafo successivo, pp. 161 sgg. Scrive l’a. che 
per S. la filosofia del Rinascimento “non è soltanto | 
‘aurora’ della Riforma religiosa, vero sole meridiano della 
civiltà e della filosofia, ma costituisce di per sé la ‘riforma 
filosofica. L’unilateralità schematica e sistematica dello 


2538 


Hegel e del Brucker è superata. La valutazione positiva della 
Riforma infatti è mantenuta, in quanto il Rinascimento 
acquista il suo valore dal paragone con essa, ed è 
considerato come un altro aspetto storico di quella 
‘rivoluzione degli spiriti’, che si manifestò come protesta e 
come Riforma in altri paesi. Così il concetto di ‘Riforma’ è 
allargato, ed il suo valore non è più derivato dalla sua 
significazione per la storia ecclesiastica, ma dalla sua 
importanza per la storia del pensiero” (p. 258). Anche se 
permangono qua e là, in S., suggestioni hegeliane (il 
Rinascimento come “germe indistinto e incosciente”, 
“torbido e inconsapevole”), il filosofo italiano ha colto, 
meglio di Hegel, l'intimo nesso di riforma religiosa e 
rivoluzione filosofica; nella storia della filosofia il pensiero 
del Rinascimento è “equivalente” — e non “subordinato” — 
alla Riforma: due aspetti di un'unica “rivoluzione 
spirituale”. Nello stesso paragrafo, utili indicazioni sui 
riflessi di questa prospettiva e “scoperta” spaventiana nella 
teoria della “circolazione”, e in tutta la ricostruzione storica 
del pensiero italiano elaborata dall’hegeliano di Napoli. 


212. E. GUASTALLA, Vincenzo Gioberti nella critica 
di B. Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia 
italiana”, I (1932), fasc. 4, pp. 349-357. 


Ricostruisce con accuratezza i termini in cui si esprime la 
critica di S. alla filosofia di Gioberti. Si tratta della nota 
interpretazione che, dopo aver denunciato la contraddizione 
tra il principio o contenuto (lo spirito) e la forma o metodo 
(l’intuito) della metafisica giobertiana, ritrova, nelle 
Postume, i germi del superamento idealistico del dualismo di 
ente e esistente, Dio e mondo. A questa interpretazione 
vengono mossi dall’autrice due rilievi. In primo luogo, S. 


2359 


sopravvaluta le opere postume, che sono un complesso di 
appunti frammentari, di materiali disorganici. In secondo 
luogo S., chiuso come è in una sua “visione unitaria” e 
semplificatrice dei problemi, perde di vista tutta la ricchezza 
e la vitalità di quel dualismo, che è certo presente in 
Gioberti. “Lo Spaventa non intende ‘il fuori’ dello spirito 
umano, e gli sfugge quell’elemento che si oppone allo 
schematico dottrinarismo ed è senso naturale e spontaneo, 
per cui l’Uno si moltiplica ed ha due lati, l'oscuro e 
sovrintelligibile ed il chiaro e intelligibile: quello oggetto di 
fede; questo, di ragione” (p. 354). L’idealismo di Gioberti 
non ha mai abbandonato del tutto “il suo carattere 
ontologico-obbiettivo”, il riferimento all’essere immutabile, 
“principio fondamentale del teismo, base della distinzione 
sostanziale di Dio e mondo”. Il motivo profondo che si 
esprime nella doppia formula giobertiana è l'affermazione 
del valore e della necessità dell'’immanentismo e del 
trascendentismo, al di là di ogni tentativo di concludere per 
la sola trascendenza o per la sola immanenza (p. 356). 


213. S. CARAMELLA, Urnzversalità e nazionalità nella 
storia della filosofia italiana, in S. C., Senso comune, teoria 
e pratica, Bari 1933, pp. 129-174. 


Il saggio era stato già pubblicato negli “Annali 
dell’Istituto superiore di Magistero di Messina”, 1930-1932. 


La teoria della “circolazione” è viziata dalla “concezione 
della storia della filosofia come concatenazione dialettica di 
sistemi fondati sul problema della conoscenza e come 
derivazione di essi e dei loro problemi l’uno dall’altro”. L’a. 
si dimostra molto sobrio nel porre in rilievo le forzature e gli 
squilibri cui il disegno storiografico di S. ha dato luogo, e 
preoccupato piuttosto di sottolineare la necessità, che da 


2540 


quella critica risulta, di allargare le maglie dello schema 
spaventiano, tra l’altro rinsanguando la storiografia 
filosofica con quella politica e culturale; il che consentirebbe 
di presentare in forma nuova il problema spaventiano del 
rapporto di nazionalità e filosofia, e di prospettare una più 
ampia continuità tra Rinascimento e Risorgimento, 
individuando i caratteri distintivi della tradizione italiana 
nella storia del pensiero europeo (umanismo e laicismo, ma 
non antiteologismo, cioè conciliazione, “nel contrasto”, di 
filosofia e religione; storicismo, coscienza dei valori storici, 
piuttosto che scientismo, ecc.). 


214. G. GENTILE, Hegel e il pensiero italiano, in 
“Leonardo”, 1933, n. 2, pp. 185-190; e in Verbandlungen 
des dritten Hegelkongresses vom: 19. bis 23. April 1933 in 
Rom, a cura di B. Wigersma, Tùbingen-Haarlem 1934, 
pp. 9-20. 


È il discorso inaugurale del terzo congresso hegeliano 
(Roma, 1933); vedilo anche ristampato in G. G., Merzorie 
italiane e problemi della filosofia e della vita, Firenze 1936, 
pp. 205-220. 


L’a. vuol chiarire in che senso noi italiani siamo hegeliani, 
“a modo nostro”. E si appoggia alla ricostruzione storica 
fatta da S. nelle lezioni napoletane del 1861 (la “prima storia 
della filosofia italiana”), ne ripete le grandi linee, e loda la 
scoperta di Vico, e la nuova concezione della dialettica 
introdotta da S. Interessante la presentazione del parallelo S. 
— De Sanctis, che offre alcune varianti rispetto a precedenti 
formulazioni del G. “Entrambi hegeliani, sebbene il De 
Sanctis, ingegno più geniale e robusto, dopo i primi passi si 
muovesse poi sempre con maggiore originalità e franchezza; 
ma entrambi sollevati dallo studio di Hegel al concetto della 


2541 


vita, che fu il nerbo di tutto il loro pensiero”. 


215. Uno scritto inedito di Bertrando Spaventa sul 
problema della cognizione e in generale dello spirito 
(1858), a cura di F. ALDERISIO, in “Rendiconti 
dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, 
storiche e filologiche”, serie VI, vol. IX, fasc. 7-10, luglio- 
ottobre 1933, pp. 964-667. 


Cfr. nn. 113 e 221. 


216. T. BARTOLOMEI, Bertrando Spaventa, in “Acta 
Pontificiae Academiae Romanae S. Thomae”, I (1934), 
pp. 94-125. 


Per S. l’uomo “è l’assoluto, l’unico e vero spirito, 
miscuglio d’eternità e di tempo, d’istantaneo e di successivo, 
d’intuito e di discorso. È questo il cavallo di battaglia di tutti 
i panteisti, ma anche il lato debole del loro sistema” (p. 
100). Il lato debole consiste nell’ “accozzaglia di attributi 
contraddittori” (finito-infinito, atto potenziale-atto puro, 
ecc.). Gli idealisti moderni propongono, sia pure in forma 
rinnovata, gli stessi argomenti già in uso presso i 
neoplatonici, presso i panteisti indiani ecc.; e cadono sotto 
le stesse obbiezioni e la stessa condanna. 

Alle pp. 105 segg., si legge una critica di S. storico della 
filosofia. 


217. S. CONTRI, Per una nuova interpretazione della 
storia dell’hegelianesimo in Italia, in “Sophia”, II (1934), 
pp. 125-127, 305-319. 


L’a, ricerca le ragioni, storiche e no, dell’atteggiamento 


2542 


negativo assunto dal neoidealismo italiano nei confronti del 
problema della costituzione della scienza, per confortare 
una sua tesi, qui accennata, che concilia e accorda la scienza 
con la filosofia (i. e. con la metafisica aristotelico-tomistica). 
In Hegel il problema si presenta come difficoltà del 
rapporto fenomenologia-logica; di fronte alla soluzione 
“arbitraria”, “dogmatica” dell’Hegel della maturità 
(autofondazione della logica o metafisica), S. (su di lui v. in 
particolare pp. 311 sgg.) scelse una posizione di “centro”, 
quella per cui si cerca di dimostrare la derivazione della 
logica dalla fenomenologia, ovvero la “coordinazione in 
ordine sistematico di gnoseologia e metafisica”. Ma 
l'esigenza rimase insoddisfatta (Logica e metafisica è una 
mera ripetizione della logica di Hegel). Gli epigoni 
imboccarono la strada della “sinistra”: “soppressione della 
logica a profitto della gnoseologia” (mentre la “destra” 
insiste nella presentazione “dommatica” della logica). Se è 
vero lo schema, l’a. spera di aver indicato “il senso di una 
nuova linea d’interpretazione della storia delle correnti 
idealiste in Italia”. 


218. G. GENTILE, Bertrando Spaventa nel primo 
cinquantenario della sua morte, in “Annali della Scuola 
Normale Superiore di Pisa”, serie seconda, III (1934), 
fasc. 2, pp. 165-182. 


È il testo di un discorso letto nell'aula magna 
dell’Università di Torino il 31 gennaio 1934 (vedilo anche in 
G. G., Memorie italiane e problemi della filosofia e della vita, 
Firenze 1936, pp. 121-149). Il discorso ripropone e chiarisce 
i “concetti originali” introdotti dallo S. nella filosofia 
italiana: la teoria della “circolazione del pensiero”, la 
riforma della dialettica hegeliana e il nuovo concetto 


2543 


dell'esperienza come “esperienza attiva”, raggiunto 
attraverso il superamento del positivismo e dell’empirismo e 
naturalismo posthegeliani. 


219. E. GUASTALLA, La fortuna di Bertrando 
Spaventa nell’idealismo attualistico, in “Archivio di storia 
della filosofia italiana”, III (1934), fasc. 4, pp. 334-346. 


Richiama i temi e i motivi che giustificano lo sviluppo 
della linea: Hegel-Spaventa-Jaja-Gentile. Ma l’autrice vuole 
soprattutto mostrare la necessità di abbandonare l’idealismo 
mistico o dogmatico per riguadagnare il senso di una 
problematicità più ricca e articolata (l’a. sembra rifarsi ad 
alcune indicazioni di A. Banfi, del quale v. l’articolo 
Lineamenti della tradizione speculativa italiana, in “Archivio 
di storia della filosofia italiana”, I [1932], fasc. 2, pp. 97- 
114). “La lettura attenta e diretta delle opere dello Hegel ci 
mette di fronte ad una implicita problematicità del reale, 
che scompare del tutto nello Hegel dello Spaventa, ma è 
appunto a quella implicita problematicità dello Hegel che 
dobbiamo volgere l’occhio attento...” (p. 345). 


220. A. PASTORE, Sulla “Parentesi” inedita di 
Bertrando Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia 
italiana”, III (1934), fasc. 4, pp. 273-290; e in A. P., Scritti 
di varia filosofia, Milano 1940, pp. 197-218. 


A proposito della recente pubblicazione della “parentesi” 
del 1858 [cfr. n. 113]. Le riflessioni spaventiane del ‘58, 
posteriori alla prima edizione della Protologia, costituiscono 
il primo documento fondamentale della scoperta del vero 
Gioberti da parte di S. Ma questa scoperta, secondo P., si 
deve interpretare nel senso che fu proprio la Protologia ad 


2544 


“aprire la nuova via ai pensiero di Spaventa, destandolo dal 
suo anti-giobertismo che era un equivoco e sostanzialmente 
portandolo a prendere maggiore e migliore notizia di sé”. 
L’a. rivendica la necessità di guardare al pensiero 
giobertiano come a un tutto unitario; non ci sono due 
Gioberti, il vecchio, e quello delle Postuzze, ma uno solo: ed 
è quello che S. cominciò a scoprire nel 1858, scoprendo se 
stesso. 


221. F. ALDERISIO, L'esigenza realistica 
nell’idealismo di B. Spaventa, in “Archivio di storia della 
filosofia italiana”, IV (1935), fasc. 2, pp. 99-132. 


L’autore riprende e sviluppa alcuni temi, da lui già 
introdotti nella presentazione della Parentesi del 1858 [cfr. 
n. 113], e che ora vengono approfonditi attraverso l'esame 
delle ultime opere di S., soprattutto l’Introduzione alla critica 
della psicologia empirica [105] e Esperienza e metafisica [94]. 
Nei suoi ultimi lavori, S. si domanda in che senso il pensiero 
possa ammettersi come causa delle cose. E la risposta è 
complessa: ci sono per S. “due fasi dell’essere (le mezze 
cose, e la vera realtà attinta dall’essere rel pensiero e co/ 
pensiero)”; e c'è anche “un duplice porre la realtà da parte 
del pensiero (prima inconsapevole e naturale e poi 
cosciente: sintesi apriori primitiva e sintesi secondaria)” (p. 
125). L’attualismo ha avuto il torto di assolutizzare — 
peccando così di unilateralità — l’ “esatto e importantissimo 
senso spirituale e idealistico” della soluzione spaventiana; 
amputandola della affermazione realistica, del 
riconoscimento della realtà delle “cose”, che S. non avrebbe 
mai negato, perché riteneva di non poter sacrificare “la 
innegabile diversità della realtà (il che di essa) dal pensiero”, 
da quel pensiero che ne ricerca e afferma il cos'è, e che in tal 


2545 


modo trae il reale alla sua verità (p. 126). S., secondo 
Alderisio, sarebbe più vicino a Hegel di quanto non faccia 
pensare la lettura gentiliana: questa convinzione verrà 
ribadita dall’a. in un più ampio lavoro del 1940 [232] nel 
quale è ristampato anche il presente articolo. 


222.F. FIORENTINO, Ritratti storici e saggi critici, 
raccolti da Giovanni Gentile, Firenze 1935, pp. VI-361. 


Cfr. n. 163. 


223. A. BRUERS, Pensatori antichi e moderni, Roma 
1936, pp. 308. 


Contiene (pp. 233-237) la ristampa di uno scritto del 
1926, nel quale si contesta la soluzione data da S. al 
problema della nazionalità della filosofia. Il “genio italiano”, 
dichiara B., è “sintetico”, ed ha una “tradizione specifica” 
che si esprime nella “formula” del “trascendentalismo”; 
nell’affermazione cioè della trascendenza come “legame 
potenziatore di tutte le dottrine e attività umane”. 


224. F. ALDERISIO, Revisioni e orientamenti 
idealistici, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, 
VI (1937), fasc. 3, pp. 201-224. 


Sono i primi due capitoli di un lavoro, che l’a. continuò a 
pubblicare nella stessa rivista (1938, 1939), e che ristampò 
poi in un volume del 1940: l’Esazze della riforma attualistica 
dell’idealismo in rapporto a Spaventa e a Hegel [232]. 


225. P. CARABELLESE, L’idealismo italiano. Saggio 


2546 


storico-critico, Napoli 1938, pp. 379; Roma 19462, pp. 
XII-304. 


Tesi centrale del libro: l’Italia “ha una sua originalità 
speculativa”, che si manifesta soprattutto nel nostro 
“idealismo storico”; si tratta di un idealismo “oggettivo” 
(affermazione dell’ “immanenza dell’Oggetto vero nei 
soggetti certi”), che si deve distinguere e opporre 
all’idealismo soggettivo, così come è lecito distinguere e 
opporre, storicamente, il Rinascimento alla Riforma e 
Rosmini a Fichte e a Hegel. Per S. va tenuto presente, allora, 
il capitolo sesto (Caratteri dell’idealismo storico italiano; 
nella seconda edizione, pp. 85 sgg.) e, in particolare, il 
paragrafo 36: L’idealismo italiano nella filosofia europea: 
inversione e integrazione delle tesi di Spaventa. S. ha voluto 
dimostrare il carattere europeo della filosofia italiana, e si 
trattava di fare proprio il contrario, di commisurare la 
filosofia straniera a quella italiana; di affermare la “vitalità” 
del nostro pensiero nel pensiero filosofico moderno, non la 
“circolazione” del pensiero italiano in quello tedesco. 

Annotazioni particolari a p. 12 (contro S.: non è vero che 
dalla Controriforma in poi non ci sia stata libertà filosofica 
in Italia), a p. 50 (S. e Gentile hanno costruito una 
interpretazione sbagliata di Vico: il vero Vico sta nel De 
antiquissima), a p. 118 (sul rapporto S.-Gentile-Croce: nei 
primi due è presente almeno l’esigenza dell’oggettività, a 
Croce sfugge persino il senso del problema), a pp. 125 sgg. 
(sul rapporto S.-Gentile; per C. tra i due filosofi c'è una 
linea di sviluppo perfettamente coerente). 


226. B. DONATI, L'insegnamento della Filosofia del 
diritto e l’attività didattica di Bertrando Spaventa alla 
Università di Modena nel 1859-60, in “Rivista 


254/ 


internazionale di filosofia del diritto”, XVIII (1938), pp. 
541-571. 


L'articolo è, in gran parte, frutto di ricerche di archivio. 
Sono raccolti qui e illustrati i dati relativi al conferimento, a 
S., della cattedra di Filosofia del diritto nell’università di 
Modena, al programma del corso e all’attività didattica del 
filosofo, al suo trasferimento a Bologna e all’insegnamento 
“interinale” a Modena, in relazione alla nomina del fratello 
Silvio. Importante l’analisi del discorso inaugurale del 25 
novembre 1859 [110], e il rilievo della sua autonomia 
rispetto alle altre prolusioni di S.: il discorso di Modena è il 
tentativo di costruire e di sostituire la “biografia della 
nazione” a quella delle grandi personalità. 


227.5. PELLEGRINI, Nazionalità e universalità della 
filosofia nel pensiero di B. Spaventa, Firenze 1938, pp. 45. 


Due modi di intendere lo svolgimento storico della 
filosofia: Hegel e Vico. “In Hegel, la preoccupazione che 
nella sua filosofia sistematica si esprime col concetto dello 
spirito obbiettivo dà luogo alla tipizzazione di gradi o 
momenti o atteggiamenti dello spirito in singole e diverse 
nazioni. Nel Vico la sistematicità delle forme acquista una 
sua concretezza nella vita di ciascun popolo” (p. 44). Nel 
concetto della “circolazione” del pensiero S. fa rivivere la 
prospettiva vichiana, che sola offre la possibilità di 
conciliare  l’universalità della filosofia con la sua 
“nazionalità”. Ma in S. è presente anche (per motivi 
polemici, e di “accondiscendenza storica”, p. 45) la visione 
hegeliana; e i due motivi non giungono a fondersi. “In lui c’è 
la salda preoccupazione di affermare l’elemento universale 
come costitutivo della filosofia e, nello stesso tempo, lo 
sforzo di rendere giustizia alla esigenza storicistica che è nel 


2548 


concetto, si potrebbe dire, nazionalistico della filosofia. Non 
si può dire che agli abbia potuto dare la vera risoluzione del 
problema, la quale avrebbe trasceso i limiti generali entro 
cui è contenuta tutta la speculazione spaventiana. La vera 
risoluzione suppone una filosofia dello spirito che faccia 
consapevolmente centro lo spirito come atto, e che in questo 
veda il determinarsi delle forme che sono della storia 
effettiva” (p. 42 sg.). La “realtà” della nazione va cioè, 
attualisticamente, “dedotta” dal pensiero, che solo può 
presentarla come “fatto necessario”. 

Sull’opuscolo v. una nota del “Giornale critico della 
filosofia italiana”, XX (1939), pp. 103-104, che richiama in 
breve i termini della discussione del problema dal punto di 
vista dell’attualismo. 


228. E. VIGORITA, Bertrando Spaventa, Napoli 1938, 
Di22 


Cfr. n. 229. 


229. E. VIGORITA, Gerovesi, Galluppi, Spaventa, 
Napoli 1938, pp. 173. 


A S. sono dedicate le pp. 87-173. Lo scritto vuol 
soddisfare una duplice esigenza: a) quella di “delineare lo 
svolgimento e illustrare le conclusioni” — “con maggior 
chiarezza e ampiezza che non si sia fatto fin qui dagli 
studiosi del filosofo abruzzese” — delle ricerche che 
condussero alla tesi della “circolazione”; b) quella di 
mostrare che, se S. non giunse a dare unità sistematica al suo 
pensiero, ci sono tuttavia nella sua opera “motivi originali” 
o “originalmente elaborati” che sono ancora da mettere in 
luce (p. 134). Quanto al primo punto, l’a. trascrive 


2549 


diligentemente dalle lezioni sulla filosofia italiana, dagli 
studi su Bruno e Campanella. Per il secondo punto, 
riassume accuratamente Logica e metafisica, le Prime 
categorie, il frammento sulla dialettica del 1880-81, i Principi 
di etica. Ne vien fuori l’immagine di uno S. che non si 
discosta molto da quello presentato da Gentile, sia nella 
valutazione della teoria della “circolazione” (equilibrio di 
“universalismo” e “nazionalità”, pp. 128 sgg.), sia nel 
giudizio complessivo sull’hegelismo del filosofo napoletano. 
S. si mostra indipendente da Hegel almeno in quattro punti: 
1) rielaborazione in senso attuali neo della dialettica 
hegeliana; 2) concetto dell’apriori come “attività immanente 
allo spirito”, i. e. come “potenza umana”; 3) riconoscimento 
del valore dell’attività pratica dello spirito nel costituirsi 
della conoscenza; 4) risoluzione del dualismo di logica e 
fenomenologia sul piano di un «empirismo assoluto”: 
l'identità di pensiero ed essere non è meramente logica, ma 
“viene ad identificarsi con lo stesso processo genetico della 
coscienza” (p. 167). 

Il testo di un opuscolo di V. (Bertrando Spaventa, Napoli 
1938, pp. 29) presenta in forma abbreviata il contenuto dei 
primi tre paragrafi (pp. 89-133) del saggio su S. pubblicato 
nel Gerovesi, Galluppi, Spaventa. 


230. A. BECCARI, Nazionalità e circolazione della 
filosofia italiana, in “Atti della Società italiana per il 
progresso delle scienze”, maggio 1939, pp. 549-554. 


Cfr. n. 231. 


231. F. MONTALTO, Carattere nazionale della 


filosofia italiana nel pensiero filosofico di B. Spaventa, in 


2550 


“Atti della Società italiana per il progresso delle scienze”, 
maggio 1939, pp. 555-558. 


È il testo di una relazione presentata nella ventisettesima 
riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, 
Bologna 4-11 settembre 1938. S. avrebbe scoperto che “il 
genio italico è precursore’; l’a. sviluppa questa tesi 
riferendosi direttamente alla situazione politica italiana del 
momento (qualche richiamo a S. anche nel libro di Montalto 
L’intuizione e la verità di fatto, Roma 1930, specialmente nel 
terzo capitolo). 

Nello stesso fascicolo è pubblicata una relazione di A. 
Beccari (Nazionalità e circolazione della filosofia italiana, pp. 
549-554), nella quale si afferma che S. non appare libero da 
pregiudizi universalistici, e dal “fanatismo per gli 
oltremontani” (oggi “l’esperienza storica... ci ha abituati a 
rifiutare simili intimità universali con nazioni con le quali 
preferiamo non identificarci”). S. ebbe anche il torto di 
affermare che la religione cattolica ha ostacolato il progresso 
del sapere. 


232. F. ALDERISIO, Esazze della riforma attualistica 
dell’idealismo in rapporto a Spaventa e a Hegel, Todi s.d. 
[1940], pp. 163; seconda edizione accresciuta, Napoli s. 
d. [1959], pp.211. 


Alle pp. 129-162 della prima (ma cfr. 224) edizione — che 
viene tenuta presente qui — è ristampato il saggio del 1935: 
L'esigenza realistica... [cfr. n. 221]. 

L’a. si domanda se S. sia soltanto un precorritore 
dell’attualismo, oppure se il suo pensiero “possa e debba... 
essere rivendicato a se stesso”, come “riviviscenza” — non 
come ripetizione — dell’hegelismo, del quale il filosofo 


2551 


corregge qualche punto, ma intende tuttavia e fa suo e 
conserva “il motore dialettico” (p. 7). Quello di S. è “il 
miglior punto di vista filosofico” guadagnato dal pensiero 
italiano; ma venne frainteso, oltre che da Gentile e dai 
gentiliani, da Benedetto Croce, del quale l’a. respinge i 
giudizi negativi (capitoli primo e secondo). Neppure gli 
attualisti hanno colto l’esatto senso del rapporto S.-Gentile, 
e cioè il carattere tutt'altro che lineare e pacifico dello 
“svolgimento” prospettato in quel rapporto. Solo A. Carlini 
ne ha tentato una revisione, accentuando il peso della 
trasformazione del pensiero di S. operata da Gentile, ma in 
un senso per cui il nesso viene pur sempre riaffermato come 
passaggio “da attualismo ad attualismo” (p. 18). L’analisi 
delle pagine dedicate da Gentile all’interpretazione di S. 
conferma, secondo l’a., che ci fu un “rivolgimento del 
pensiero del Gentile dopo il 1903” (p. 21), che rimane 
oscuro, ma che non è, in ogni caso, imputabile a S., proprio 
perché consiste nella trasformazione dell’originario 
idealismo realistico, hegeliano e spaventiano, a cui Gentile 
rimane ancora fedele nel discorso La rinascita dell’idealismo 
(1903), in un idealismo empirico o soggettivistico di stampo 
berkeleyano. Lo scritto di A. prosegue con un esame della 
Interpretazione e critica del Gentile al dialettismo hegeliano 
delle prime categorie (capitolo terzo, pp. 29 sgg.; qui si 
osserva che il “pensare”, in S. e in Hegel, ha un significato 
“cosmico, prespirituale e presoggettivo”, che Gentile volle 
poi negare), passa allo studio della Interpretazione gentiliana 
del dialettismo del Fischer (quarto capitolo, pp. 51 sgg.), poi 
alla discussione della Interpretazione gentiliana del 
dialettismo di Bertrando Spaventa (capitolo quinto, pp. 64 
sgg.). Alle pp. 69 sgg., l’a. osserva che Gentile ha “isolato” le 
pagine di S. da lui analizzate nella Riforzza della dialettica 
hegeliana sciogliendole dai testi ai quali sono di fatto 


ZIIR 


collegate, da Esperienga e metafisica e dall’Introduzione alla 
critica della psicologia empirica, due scritti nei quali risulta 
evidente l’esigenza realistica dell'autore [cfr. nn. 103, 94, 
105]. Segue un capitolo sul Frazzzzento del 1880-81 
(capitolo sesto, pp. 80 sgg.). L'ultimo capitolo (pp. 102 sgg.) 
si intitola: Senso e valore della memoria del 1864 su le prime 
categorie. La “dichiarazione” finale di Spaventa in Esperienza 
e metafisica (1882). Nella “dichiarazione finale” S. riesce a 
correggere il carattere soggettivistico della soluzione del 
1864, mostrando “una intelligenza acutissima ed una 
rielaborazione e ripresentazione, insieme personale e fedele, 
del punto di vista della logica di Hegel” (p. 114). 
Nell’epilogo (pp. 119 sgg.), A. indica le prospettive che 
vengono aperte da questa nuova interpretazione di S., che 
ne afferma il “real-idealismo”, e che lascia prosperare tutta 
la ricchezza del pensiero del filosofo napoletano e di Hegel: 
l'abbandono dell’equivoca critica alla tripartizione del 
sistema hegeliano, e la ripresa o la rielaborazione di tutte le 
“categorie logiche, naturali, spirituali” in funzione della 
possibile “fondazione razionale di una dottrina tanto della 
filosofia che della scienza” (p. 119). 

Nella seconda edizione sono aggiunti: un “discorso 
preliminare” (pp. 5-18), nel quale l’a. ripercorre la storia dei 
suoi studi spaventiani, e una “postilla” all’epilogo (pp. 164- 
175), che discute testi crociani. 


233. A. C. DE MEIS, Ricordi di B. Spaventa, in 
“Giornale critico della filosofia italiana”, XXI (1940), pp. 
279-281. 


Cfr. n. 161. 


2553 


234. M. GRILLI, The Nazionality of Philosophy and 
Bertrando Spaventa, in “Journal of the History of Ideas”, 
II, 3, giugno 1941, pp. 339-371. 


Contro le posteriori distorsioni “ultranazionalistiche” 
dell'idea di filofia nazionale, l’a. avvia qui un tentativo di 
chiarificazione, seguendo gli sviluppi del concetto di 
nazionalità della filosofia nel pensiero italiano del 
Risorgimento, e, in particolare, negli scritti di S. L'articolo 
riassume le posizioni dei protagonisti della nota discussione 
(Mamiani, Gioberti, Rosmini, Vera, Silvio Spaventa 
[riferendosi allo scritto del 1844, reso noto da Croce], 
Stanislao Gatti, e, infine, Bertrando S.), dopo averne 
individuato i motivi ispiratori in Herder, Fichte, Hegel 
(concetto di Vo/ksgeist e sua necessaria relazione al 
Weltgeist). Una distinzione preliminare guida l’analisi 
dell’a.: quella che oppone le vedute dei negatori della 
nazionalità della filosofia (“the universalists”, Vera) alle 
ragioni dei nazionalisti di stampo giobertiano, e che da 
entrambe dissocia “the cosmopolitan view”, affermazione 
della “traducibilità” delle idee pur nel riconoscimento della 
varietà della loro applicazione nei diversi paesi. L’a. 
ripercorre le fasi della formazione del pensiero di S. 
sull'argomento, soffermandosi sulla prolusione bolognese e, 
soprattutto, sulle prime lezioni napoletane. Il filosofo, 
sottolinea G., non fa cadere l’accento sulle differenze delle 
filosofie nazionali, ma cerca di individuare “la speciale 
funzione assegnata a ciascuna di esse nel contesto del 
pensiero europeo” (p. 367): la via di S. è quella del 
cosmopolitismo. “From the national to the international and 
back again — in the resolution of this dialectical antithesis — 
Spaventa, the Hegelian, sees the development of 
philosophy” (p. 369). Era una prospettiva destinata al 


2554 


successo, efficace; al di là dei limiti in cui si restringe il 
programma di Mamiani, al di là dell’ “esagerato” 
patriottismo di Gioberti e della “sterilità” di Rosmini, S. 
“dared to propose a clear-cut program of thoroughgoing 
reorganization for the future of philosophic studies in Italy” 
(p. 371). E nella linea indicata da questo programma si 
muoveranno Gentile e Croce, consapevoli degli errori di un 
vacuo universalismo, ma anche della necessità di partecipare 


al più largo moto della filosofia mondiale (p. 369). 


235. F. L. MUELLER, La pensée contemporaine en 
Italie et l’influence de Hegel, Ginevra 1941, pp. XVII-345. 


La prima parte del libro (La tradition hegélienne en Italie, 
pp. 1-28) è dedicata agli hegeliani dell'Ottocento (S., Vera, 
De Sanctis, Labriola). La seconda (pp. 83-202) e la terza 
parte (pp. 203-304), rispettivamente, a Croce e a Gentile; 
l’ultima (Philosopbie et culture en Italie, pp. 305-340) alle 
scuole di Croce e Gentile, e alle relazioni del neoidealismo 
con la vita politica e sociale italiana. Su S. si vedano in 
particolare i capitoli primo (La philosophie è Naples et le 
Risorgimento, pp. 3-16), secondo (B. Spaventa interprète de 
la philosophie italienne, pp. 17-25) e terzo (Spaventa contre le 
posttivisme, pp. 26-56) della parte prima; che contengono, 
nell’ordine, una rapida presentazione del filosofo e delle sue 
vicende, una esposizione delle tesi de La filosofia italiana 
(che l’a. non intende discutere singolarmente e in modo 
specifico, cfr. p. 96), e finalmente un riassunto degli studi 
sulla dialettica hegeliana; qui l’a. consente nel giudicare la 
soluzione di S. come una “véritable ébauche” 
dell’attualismo. Le opere di S. sono il frutto di uno spirito 
critico, più che di un pensiero veramente costruttivo; 
l'originalità del filosofo si manifesta soprattutto nella 


2399 


ricostruzione della storia della filosofia italiana. A distanza 
di anni, S. ci appare come un vero precursore, il cui 
programma risulta pienamente giustificato e confermato 
dalla rinascita e dal successo del nuovo idealismo, nei primi 
anni del nostro secolo. 


236. M. F. SCIACCA, La filosofia italiana, Milano 
1941, pp. 150. 


Cfr. in particolare i capitoli secondo (La filosofia italiana 
secondo B. Spaventa e G. Gentile) e terzo (Critica della tesi 
Spaventa-Gentile), pp. 9-37. Per l’a. “non bisogna 
commisurare la filosofia italiana a quella europea, ma la 
filosofia europea a quella italiana, perché siano messi in luce 
e fissati nei loro momenti inconfondibili e precisi il carattere 
e il valore del nostro pensiero, la perenne e potente vitalità 
di esso entro il pensiero filosofico europeo” (pp. 35 sg.; cfr. 
pp. 39 sgg., dove è discussa la tesi di P. Carabellese [cfr. n. 
225]). Il rifiuto degli schemi artificiosi di S. (e di Gentile) e 
il rilievo dell’antitesii tradizione italiana (anti 
immanentistica, cristiana) — idealismo tedesco, acquistano 
un significato più specifico nelle pagine dedicate dall’a, a 
Rosmini (cfr. p. es.: La filosofia morale di A. Rosmini, Roma 
1938, pp. 165; Antonio Rostrini nella storiografia italiana, in 
AA. V V.,, Studi rosminiani, Milano 1940, pp. 175 sgg.), che 
respingono l’interpretazione soggettivistica sostenuta da S.- 


Gentile. 
Cfr. anche n. 246. 


237. G. ALLINEY, I pensatori della seconda metà del 
secolo XIX, Milano 1942, pp. 423. 


Nel capitolo terzo (GL hegeliani) della seconda parte (Gt 


2556 


oncologi) sono dedicati a S. (e al rapporto S.-Gentile) tre 
paragrafi (7-9), pp. 264-294. Il paragrafo settimo (Bertrando 
Spaventa) espone gli studi del filosofo napoletano su Kant e 
sulla filosofia italiana, su Gioberti e sulle prime categorie 
della logica di Hegel (i saggi sulla dialettica hegeliana 
documentano, secondo l’a., la persistenza di un’oscillazione 
tra fichtismo [dialettica del pensare] e hegelismo [“magia” 
del sistema]). L’ottavo paragrafo (Spaventa e Gentile) 
richiama le difficoltà — per l’a., insuperabili — intorno a cui si 
affaticano invano gli epigoni di Hegel: la “condanna” 
dell’idealismo sta nella perdita dell’ “oggetto” (p. 284). Nel 
paragrafo nono (Urzanismo dello Spaventa) è respinta la 
teoria della “circolazione” e, con essa, il giudizio per cui S. 
riassumerebbe in sé tutta la problematica filosofica del 
secolo scorso; l’a. richiama i tratti dell’ “umanismo” di S. (il 
suo crudo storicismo, la sua fede immanentistica) e accentua 
il rilievo della sua vicinanza alle posizioni dei positivisti. Alle 
pp. 406-412 è collocata una bibliografia degli scritti di e su 
S., che non aggiorna completamente la bibliografia 
gentiliana del 1924 [cfr. n. 204]. 


238. [G. BERTI], Materiali in preparazione del 
centenario di Antonio Labriola, in “Stato operaio” [New 
York], II (1942), agosto, pp. 185-189; III (1943), marzo- 
aprile, pp. 61-63, maggio-giugno, pp. 92-94, dicembre, 
pp. 122-126. 


L’a. cominciò a pubblicare questi Mazerzali nel fascicolo 
di ottobre-novembre, anno I, 1941, di “Stato operaio” (la 
stampa dei Materiali si arresta col numero del dicembre 
1943). Qui sono indicati i fascicoli in cui si discute di S., e 
del rapporto S.-De Sanctis e S.-Labriola, in una prospettiva 
che anticipa il disegno dell’ampio studio pubblicato dal B., 


2091 


nel 1954, sulla rivista “Società” [255]. 


239. M. BUCCELLATO, Di un saggio sulla dottrina di 
Socrate di B. Spaventa, in “Sophia”, XII-XIV (1944-46), 
ottobre-dicembre 1946, PP. 294-307. 


Analisi del saggio pubblicato da S. a proposito delle 
Considerazioni sulla dottrina di Socrate di G. M. Bertini [62]. 
L’a. sostiene che lo scritto di S. non fornisce nessun 
contributo originale, giacché dipende direttamente e 
passivamente dalle pagine di Hegel e, soprattutto, di Zeller 
(un accenno alla nessuna originalità di S. storico della 
filosofia si trova nello stesso fascicolo di “Sophia”, in un 
noto articolo di A. Tilgher sulle fonti dell’attualismo, pp. 
280-293). 


240. A. GUZZO, Maturi, Brescia 1946, pp. 160. 


Cfr. n. 251. 


241. C. PAPA, La storiografia filosofica hegeliana in 
Italia nella seconda metà del secolo XIX, in “Rivista di 
storia della filosofia” [in seguito: “Rivista critica di storia 
della filosofia” ], I (1946), fasc. 3, pp. 301-319. 


Gli autori studiati nell’articolo sono: S., F. Fiorentino, F. 
Tocco. All’interno della stessa scuola hegeliana si è 
determinata una reazione ai canoni  storiografici 
dell’idealismo, con l’abbandono delle esigenze e 
preoccupazioni speculative che caratterizzano la posizione 
di S., e con il maturarsi di una “tendenza filologica” che 
affiora già in Fiorentino e appare ulteriormente sviluppata 


da F. Tocco. 


2558 


242. S. CARAMELLA, La filosofia dello stato nel 
Risorgimento, Napoli 1947, pp. 90. 


Cfr. n. 201. 


243. V. FAZIO ALLMAYER, La riforma della 
dialettica hegeliana, in “Giornale critico della filosofia 
italiana”, XXVI (1947), pp. 101-116. 


Cfr. n. 191. 


244. E. GARIN, Storia dei generi letterari italiani. La 
filosofia, 2 voll., Milano 1947, pp. IX-3 8 5, VIII-687. 


Cfr. n. 290. 


245. G. DE RUGGIERO, Hegel, Bari 1948, pp. 306. 


Cfr. n. 190. 


246. M. F. SCIACCA, La filosofia nell'età del 
Risorgimento, Milano 1948; seconda edizione con il titolo: 
Il pensiero italiano nell’età del Risorgimento, Milano 1963, 
pp. 494. 


Su S. v. in particolare le pp. 440-450. L’a. ripete [cfr. n. 
236] i rilievi contro l’interpretazione “tendenziosa” di 
Rosmini, di Gioberti, e, in generale, contro gli schemi della 
ricostruzione della storia della filosofia italiana proposta da 
S. Acuta e sottile, ma discutibile, è giudicata l’analisi 
spaventiana della sintesi apriori; incerta, la riforma della 
dialettica tentata nelle Prize categorie [70]. Il filosofo 


2999 


continua a oscillare tra soluzione soggettivistica e soluzione 
realistica, tra la riduzione della logica a psicologia e il 
riconoscimento dei diritti della metafisica. 


247. F. BATTAGLIA, L'insegnamento di Bertrando 
Spaventa a Bologna, in “Giornale critico della filosofia 


italiana”, XXVIII (1949), pp. 339-347. 


Chiarisce e precisa, in base a documenti d’archivio, le 
vicende del passaggio di S. da Modena a Bologna, e illustra 
la sua attività nell’ateneo bolognese; soffermandosi tra l’altro 
sulla nota prolusione del 1860 [67], che non fu letta, qui si 
dimostra, il 10 maggio, come è stato detto per una 
confusione col discorso proemiale alle lezioni di storia della 
filosofia. 


248. A. L. DE GAETANO, Machiavelli e alcuni 
discepoli della scuola idealistica. La politica e lo stato dei 
fratelli Spaventa, in “Italica” [The Quarterly Bulletin of 
the American Association of Teachers of Italian, 


Menasha, Wisconsin], XXVII (1950), pp. 214-224. 


Si vedano le pp. 214-218, per un raffronto tra le teorie 
politiche di Bertrando S. e quelle di Machiavelli, un autore 
mai discusso negli scritti del filosofo meridionale. Le 
conclusioni si leggono a p. 218: “Quanto ai fini, non vi sono 
divergenze per lo Spaventa e il Machiavelli. Entrambi 
vogliono uno Stato forte e libero dal clero. I mezzi possono 
essere anche gli stessi, e Spaventa cerca di giustificarli. Le 
disparità si riscontrano nel confrontare due concetti diversi 
della verità, cioè il concetto della verità razionale dello 
Spaventa col concetto della verità effettuale del 


Machiavelli”. 


2560 


249. F. FERGNANI, L’opera e l'eredità di Bertrando 
Spaventa, in B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano 1951, pp. 
TII-XXXI. 


Cfr. n. 101. 


L'introduzione di Fergnani è divisa in due parti. Nella 
prima (La posizione filosofica, pp. III sgg.), l’autore indica la 
necessità di allargare l’ “angolo visuale piuttosto ristretto” 
con cui Gentile guardò al filosofo hegeliano, lasciando “in 
ombra” la relazione Spaventa-Labriola. S. ci appare sempre 
orientato verso la “concretezza”, sia quando si tratti di 
cogliere il nesso di riflessione teorica e situazione storica, sia 
quando si tratti di considerare lo sviluppo storico della 
filosofia, o di impostare il problema del rapporto: filosofia 
nazionale-filosofia europea. Tanto basterebbe per 
comprendere perché “linsegnamento dello Spaventa sia 
entrato quale importante coefficiente nella elaborazione del 
materialismo storico compiuta da Antonio Labriola”. Ma ci 
sono punti di contatto più specifici. Risentono della lezione 
spaventiana l’ispirazione “strettamente monastica della 
concezione labriolana della storia”, le critiche di Labriola a 
E. v. Hartmann e a Spencer, e ancora l'affermazione 
dell'identità di lavoro e di storia, di teoria e prassi. Nella 
formulazione dell’identità di “conoscere e fare, e nella 
critica dell’Assoluto trascendente che lascia fuori di sé il 
relativo, sono, certo, i motivi più vitali dell’insegnamento 
dello Spaventa passati nel Labriola e confluiti poi nel 
ripensamento gramsciano della filosofia della prassi” (p. 
XV). Solo che S. sembra restaurare nell’ “al di qua” quella 
trascendenza che la vecchia metafisica aveva collocato in un 
mondo soprannaturale e sovrintelligibile: è questo il limite 
dell’ “immanentismo idealistico” di S. Nella seconda parte 


2561 


(La concezione politica, pp. XVI sgg.), l’autore afferma la 
profonda unità e continuità tra opere teoriche e opere 
polemiche di S., e il carattere progressivo della sua 
concezione dello stato e del rapporto stato-chiesa, politica- 
filosofia. Per aver innestato “la concezione dello stato etico 
nelle sue esperienze e convinzioni di liberale del 
Risorgimento italiano” (p. XX), S. sembra anche in grado di 
superare i limiti “burocratico-corporativi” della filosofia 
statuale di Hegel. La dottrina della eticità dello stato 
prospetta, naturalmente, una inversione mistificata del 
rapporto società civile-stato; una inversione che va 
rovesciata e che sarà rovesciata solo da un movimento 
“radicalmente innovatore”. Ma allora si renderanno 
plausibili ed effettivamente operanti le istanze di 
immanentismo e laicismo assoluto, di organicità ed 
unitarietà del convivere umano, che sono implicite nella 
concezione degli S. (p. XX1V). Nelle ultime pagine, l’autore 
segnala la profonda attualità delle polemiche spaventiane: 
oggi, dopo la “capitolazione ideologica della borghesia”, la 
solidarietà dell'ordine borghese con la chiesa cattolica può 
essere denunciata con le stesse accuse che S. rivolgeva 
contro la collusione di ancien régime e gesuiti, di chiesa 
romana e movimenti reazionari. 


250. G. ARFÈ, L’begelisno napoletano e Bertrando 
Spaventa, in “Società”, VIII (195 2), pp. 45-62. 


Gentile ha deformato la figura di S., lasciando sullo 
sfondo o travisando il ruolo svolto dal filosofo nella cultura 
italiana del secolo scorso. La prospettiva gentiliana va 
rovesciata: l’originalità del filosofo “non è grande”, la sua 
opera teorica “di secondo piano”, ma importante è la 
battaglia politico-culturale condotta dal vecchio hegeliano, 


2562 


che ebbe “alta e sicura fede nella libertà”, fu animato da una 
“profonda religiosità laica”, e combatté per l’affermazione 
di un ideale giacobino dello stato, concepito come 
strumento per la realizzazione delle più moderne e 
progredite forme di vita sociale. “In Spaventa le 
formulazioni teoriche restano confuse, ma gli atteggiamenti 
pratici affermati con appassionata decisione” (p. 49). Se la 
posizione teorica di S. è ambigua, lo è anche nel senso che 
poteva dar luogo a sviluppi diversi: Labriola fu «spaventiano 
di sinistra». 


251. Gli hbegeliani d’Italia. Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, 
Gentile, a cura di A. Guzzo e A. PLEBE, Torino 1953, 
pp. XIX-154. 


Antologia di testi di Vera, S. (pp. 39-72; da Logica e 
metafisica), Jaja, Maturi, Gentile. La scelta dei testi è curata 
da A. Plebe, autore anche dei brevi profili di Vera (pp. 3-8), 
di S. (pp. 33-38), di Jaja (pp. 75-78), di Gentile (pp. 141- 
144). Guzzo ha firmato la presentazione di Maturi (pp. 101- 
105), la prefazione e la prima parte dell’introduzione (pp. 
IX-XVIII), conclusa da Plebe (pp. XVIII sg.). Il volume è 
completato da una rapida nota bibliografica (pp. 151-153). 


L’antologia è costruita con l’intento di mostrare i tratti 
originali — e, complessivamente, poco “hegeliani” — 
dell’hegelismo italiano dell'Ottocento, fino a Gentile. Guzzo 
ricorda una conferenza di Gentile del 1942, “che purtroppo 
egli non scrisse” (cfr. l’introduzione alla raccolta La filosofia 
italiana fra Ottocento e Novecento, scritti di G. Tarozzi, V. 
Alemanni, A. Carlini, M. Marasca, U. Scatturin, A. Plebe, 
Torino 1954, pp. XIV-146; cfr. inoltre A. Guzzo, 
Cinquant'anni di esperienga idealistica in Italia, Padova 
1964, pp. 203: il libro è utile anche per diversi accenni a S., 


2563 


e ai suoi rapporti con i discepoli), e nella quale fu espressa 
forse la valutazione più serena di quei pensatori, e della loro 
importanza per il pensiero italiano: “gli hegeliani nell’ultimo 
ventennio dell’Ottocento raccolsero dai loro maestri e 
trasmisero ai loro discepoli alcuni concetti delicati e difficili 
che, estranei alla mentalità positivistica trionfante, sarebbero 
andati perduti se essi non li avessero affermati così a lungo 
da riuscire a dar la mano ai giovani che contribuirono alla 
rinascita dell’idealismo nel primo decennio del Novecento”. 
Tra questi concetti, in primo luogo, quello del 
“trascendentale” (p. XVI; per i giudizi di Guzzo su S., cfr. 
pp. XIV sg.). Plebe individua due caratteri specifici 
dell’hegelismo italiano: “il desiderio di studiare Hegel per 
‘riformarlo’; l'interesse limitato ad alcuni problemi, che fa 
sorgere un'immagine convenzionale di Hegel, propria degli 
interpreti italiani” (p. XVIII; e cfr. p. XIX: abbandono dei 
“grandi problemi della metafisica hegeliana” — con qualche 
eccezione in Vera —, attenzione esclusiva per alcuni temi 
della logica, ecc.). Con questo programma e con questa 
eredità si spiega la scarsa o nessuna incidenza, nell’Italia del 
primo Novecento, degli studi di Dilthey, di Lasson, ecc. 
Nella presentazione di S., Plebe accenna alla discussione di 
alcuni temi (accettazione, da parte di S., dello schema: Kant- 
Fichte-Schelling-Hegel; impianto fenomenologico- 
gnoseologico della logica, ecc.) che sono sviluppati in uno 
scritto dello stesso anno [cfr. n. 252]. Plebe attira 
l’attenzione del lettore su una caratteristica oscillazione del 
vecchio maestro, che si presenta ora come riformatore, ora 
come ripetitore di Hegel; e sottolinea il forte interesse di S. 
per il positivismo. Sui rapporti degli hegeliani fra loro, sono 
da vedere in particolare le pp. 4 sg. (Vera e S.), 75 sg., 78 
(Jaja più vicino al gnoseologismo spaventiano), 142 (Gentile 
erede di S. e dell’hegelismo italiano dell'Ottocento). Le 


2564 


pagine di Guzzo su Maturi (pp. 101 sgg.) ricordano 
l’evoluzione del filosofo dal gnoseologismo spaventiano a un 
idealismo non del tutto concorde con la lettura attualistica 
di S. e di Hegel. Su questo punto si veda anche il volume di 
Guzzo Maturi, Brescia 1946, pp. 160; in particolare le pp. 
138-144, dove è impostato il problema del rapporto tra 
Maturi e S., nel quadro di un più ampio discorso che chiama 
in causa Hegel e Vera, e che è svolto in funzione di una 
“possibilità di sviluppo critico” del pensiero del Maturi. 


252. A. PLEBE, Bertrando Spaventa a Torino, in 
“Filosofia”, IV (1953), pp. 305-322; Bertrando Spaventa a 
Napoli, in “Filosofia”, IV (1953), pp. 601-624. 


Il saggio è stato ripubblicato dall’a. nel volume Spaventa e 
Vera, Torino 1954 (aggiuntovi uno studio su Vera, a cui si 
accenna più avanti); e nella raccolta: La filosofia italiana fra 
Ottocento e Novecento [256]. 

In queste pagine, P. ha voluto “delineare la figura di 
Spaventa come hegeliano e come filosofo”, muovendosi al di 
fuori dello “schema di derivazione” Hegel-S.-Gentile, “che 
è uno dei non pochi preconcetti inesatti che ancora 
dominano la storia della filosofia” (p. 624). In base ai 
risultati raggiunti dall’a., lo “schema di derivazione” appare 
meno giustificato nella prima parte (l’hegelismo di S. è assai 
distante dalle intenzioni e dai testi di Hegel) che nella 
seconda: motivi spaventiani passano senz’altro in Gentile. 
Ma S. non sta tutto nel Frazzzento inedito del 1880-81 
[103], né si può dire che Gentile “abbia ereditato lo spirito 
e l’anima di Spaventa. Spaventa fu un logico, Gentile 
un’anima intimamente religiosa; Spaventa amava guardare il 
positivo, mentre Gentile amava guardare lo spirito puro” 
(pp. 623 sg.; e cfr. p. 618: Gentile “preferirà ignorare” 


2565 


quegli aspetti del pensiero dell’ultimo S., che documentano 
il suo orientamento verso una forma di “idealismo positivo”, 
che trovò la sua migliore espressione nell'opera di D. Jaja 
Sentire e pensare). Le conclusioni di P. sono raggiunte 
attraverso vari confronti, spesso dettagliati, di scritti di S. 
con pagine di Hegel, o con pagine di note esposizioni o 
rielaborazioni del sistema hegeliano. Si tratta di raffronti 
operati successivamente all’interno di diverse fasi di 
sviluppo del pensiero di S., e che tendono pertanto a 
misurare la persistenza di alcuni fraintendimenti, passati 
definitivamente nel disegno di un idealismo soggettivistico o 
gnoseologistico, più fichtiano che hegeliano. 


Il saggio Bertrando Spaventa a Torino si apre con 
un'analisi degli Studi del 1850. Dalla lettura della Vorrede 
della Feromenologia (la sola opera di Hegel che, secondo P., 
il filosofo mostra di conoscere direttamente, in questi anni) 
S. ricava già un’idea assai personale delle intenzioni 
dell'autore: l’opera di Hegel sta tutta nella polemica 
antikantiana e antischellinghiana della Vorrede, e la logica 
hegeliana è, o sarà, un semplice sviluppo della 
fenomenologia. Le False accuse del 1851 documentano il 
persistere e il radicarsi di un’idea mai abbandonata da S.: 
l’idea “della soggettività dell’essere logico hegeliano”; e 
registrano ancora, come già gli Studi, l'accettazione convinta 
dello schema di derivazione: Kant-Fichte-Schelling-Hegel. 
L'articolo su Schelling (1854) mostra un notevole 
arricchimento delle letture spaventiane, e segna anche 
l’inizio di un “caratteristico ondeggiamento per cui 
Spaventa, da una parte, vuol riformare Hegel, dall’altra si 
mostra come suo docile e fedele espositore” (p. 310). In una 
recensione del 1854, non segnalata da Gentile [18], S. 
manifesta la sua “fiducia illimitata” in Gans e negli altri 
hegeliani tedeschi. Nello Hegel confutato da Rosmini (1854), 


2566 


S. appare ormai padrone della Scienza della logica e 
dell’Erciclopedia, ma la distinzione di Denken e Gedanke, da 
lui sostenuta, è ancora ispirata da preoccupazioni 
gnoseologistiche che non possono trovare giustificazione in 
Hegel. E il gnoseologismo di S. diventa sempre più 
dominante nella recensione al Barni (37; “Sin da ora egli è 
convinto della continuità di sviluppo da Kant a Hegel. Che 
questa sia un'idea molto suggestiva è dimostrato dal 
successo che ebbe non solo in Italia, ma anche in 
Inghilterra, ad opera dello Stirling [The secret of Hegel, 
1865]; ma che essa sia una via molto pericolosa, che può 
portare ad un completo fraintendimento di Hegel, è stato 
mostrato da cinquant'anni in qua, attraverso la 
pubblicazione degli scritti inediti hegeliani”, p. 311) e, in 
generale, nelle pagine e negli studi di S. dedicati a Kant. 
Degli influssi degli hegeliani tedeschi P. tratta 
diffusamente nelle pp. 313 sgg.; segnalando le citazioni da 
Werder, da Erdmann, da Weissenborn, Rosenkranz, ecc., le 
probabili suggestioni esercitate da Karl Philipp Fischer 
(autore della Speculative Charakteristik und Kritik des 
Hegelschen Systeras, 1845, e dei Crundgtige des Systems der 
Philosophie, 1848), e, infine, la utilizzazione, da parte di S., 
della Logik und Metaphysik (1852) di Kuno Fischer, citata 
ben diciotto volte in Logica e metafisica, e seguita anche in 
pagine che semplificano eccessivamente o addirittura 
travisano la Scienza della logica (P. riporta alcuni esempi, 
tratti dall’esposizione della dialettica della parvenza, e della 
dialettica delle forme del giudizio). Di Fischer, S. condivide 
l'entusiasmo per Kant, e da Fischer accoglie le “forzature” 
del testo hegeliano che tendono ad attenuare o addirittura a 
mutare in lode la polemica antikantiana di Hegel. È nota poi 
l’affermazione di Fischer, secondo la quale la logica 
“comincia” con il Willensakt des Denkens: qui S. trova una 


2567 


conferma per il proprio soggettivismo, e qui siamo anche 
alle origini dell’attualismo gentiliano. A conforto della 
interpretazione soggettivistica della logica hegeliana, S. trae 
dai suoi studi sui filosofi italiani (soprattutto Campanella) 
quella idea della “mente” o “mentalità” che passerà 
senz'altro nella caratterizzazione spaventiana del problema 
della filosofia moderna. 


La seconda parte del saggio (Bertrando Spaventa a Napoli) 
è dedicata, in primo luogo, all'esame della riforma 
dell’hegelismo tentata da S.; al tentativo cioè di “chiarire e 
sviluppare un hegelismo di tipo italiano (cioè di tipo 
gnoseologico-soggettivistico), sistemandolo con più rigore di 
quel che fece Gioberti” (p. 601). Persiste anche ora 
l’oscillazione tra lo S. riformatore e lo S. ripetitore di Hegel, 
una oscillazione forse inspiegabile, ma che non impedisce, in 
ogni modo, di ricostruire con chiarezza le linee della 
singolare impresa di S. L'analisi delle Prize categorie [70] è 
preparata: 4) da un paragrafo, in cui P. mostra la fedeltà di 
S. alla “logica del giudizio” (la critica che S. muove a Kant — 
necessità del passaggio dal giudizio al sillogismo — “non esce 
essa stessa dalla mentalità diadica ed è una critica rivolta da 
un punto di vista non meno soggettivistico di quello 
kantiano”, perché “quel che importa a S., a differenza di 
Hegel, non è già la circolarità logica, bensì l’attività dello 
spirito”, p. 603); b), da alcune pagine sull’interpretazione 
spaventiana della logica dell'essenza, che occupano una 
posizione centrale nel saggio di P. (pp. 604-608); qui si 
rende manifesta, nella sua intera misura e nelle sue gravi 
conseguenze, la distanza che separa la logica di S. da quella 
di Hegel. Il movimento che conduce dall'essere all’essenza è 
visto da S. come un processo gnoseologico, e qui è l'origine 
del fraintendimento radicale: “se ... come voleva Hegel, 
Spaventa avesse visto il passaggio dall’essere all’essenza 


2568 


come processo di auto-internamento, di auto-giustificazione 
dell'essere, il problema delle prime categorie sarebbe 
passato in secondo piano di fronte a quelli della logica 
dell'essenza, che ne sono il fondamento” (p. 606). Coerente 
con questo fraintendimento è l’introduzione dell’attualità 
mentale nella logica dell’essenza, ravvisabile, secondo P., 
nelle pagine di S. dedicate al concetto di “esser-posto», alla 
discussione dell’ “identità” e del “fondamento” (pp. 607 
sg.). La fedeltà alla logica del giudizio, l’ “incomprensione” 
della logica dell’essenza, e l’assunzione dell’ “identità” come 
“atto” illuminano il significato delle Prize categorie, che 
confermano il carattere soggettivistico e gnoscologistico 
della logica spaventiana, di quella logica per la quale il 
filosofo ha richiesto, fin dal 1850, una fondazione 
gnoseologica. Le ultime pagine dell’articolo sono dedicate ai 
rapporti di S. col positivismo (pp. 616 sgg.) e, soprattutto, a 
Esperienza e metafisica [94]. Due convinzioni sempre più 
radicate nella mente di S., e già rese pubbliche negli scritti 
polemici: “l’affermazione dell’assoluta immanenza della 
ragione (e quindi la sua identificazione con la mente 
umana), e l’affermazione della naturalità del principio di 
ogni cosa.” (p. 616), preparano il maturarsi di un 
orientamento assai favorevole al positivismo, o almeno a 
quella forma di “idealismo positivo” che fu poi condiviso da 
Jaja. Anche questa evoluzione è spiegabile con il particolare 
impianto dell’interpretazione di Hegel: il kantismo (o 
neokantismo) e il “fenomenologismo gnoseologico” che 
stanno a fondamento di Esperienza e metafisica hanno 
un’origine assai lontana. E l “aporia fondamentale” 
dell’ultimo scritto di S. (come può giustificarsi una 
metafisica che deve “stare” al “dato”?) coincide con quella 
dell’interpretazione spaventiana di Hegel (come è possibile 
fondare la logica sulla fenomenologia, “lassoluto sul 


2569 


relativo, l’unità sul dualismo”?; pp. 620 sg.). Se questi rilievi 
sono esatti, Esperienza e metafisica costituisce il vero 
“testamento spirituale” di S.; il Frazzzzento sulla dialettica 
del 1880-81 [n. 103] non aggiunge nulla, secondo P., alla 
riforma del 1863, anzi oscura in più punti quella soluzione. 
Che è stata una soluzione feconda, per un certo aspetto (per 
lo sviluppo dell’attualismo), ma anche piena di pericoli: 
“Spaventa, identificando l’essere con l’atto del pensare, 
rende impossibile (senza accorgersene) il consistere delle 
determinatezze, che vengono tutte affogate nell’unità 
dell’atto” (p. 623). 

Dell’a. si veda anche il saggio: Augusto Vera, filosofo della 
mediazione, in “Filosofia”, V (1954), pp. 640-657 (Vera 
accoglie da Hegel il problema di una mediazione 
“metafisica” di reale e razionale, che in S. vive solo nella 
forma ristretta della mediazione “concettuale”; il saggio è 
ristampato in A. P., Spaventa e Vera, cit.). P. accenna ancora 
a S. (e a Esperienza e meta-fisica) nello scritto: L’empirismo 
come filosofia e come antifilosofia, in “Giornale critico della 
filosofia italiana”, XXXVII (1959), pp. 301-311. Cfr. 
inoltre di Plebe la voce “Spaventa” in Enciclopedia filosofica, 
vol. IV, Venezia-Roma 1957, coll. 824-827. 


253. F. ALDERISIO, Cownoscenza scientifica e 
conoscenza filosofica, Napoli 1934, pp. 112. 


Del libro esiste una seconda edizione riveduta e 
accresciuta, Napoli 1963, pp. 190. 

Per S. è da vedere soprattutto il capitolo settimo (La 
gnoseologia vichiana e galileiana nella rivalutazione critica di 
B. Spaventa, prima edizione, pp. 85-100). L’a. discute in 
particolare: la “lettera” Paolottismo, positivismo, 


2570 


razionalismo, del 1868; Un luogo di Galilei, del 1882; 
Esperienza e metafisica (1888). In questi scritti spaventiani, e 
specialmente nell’ultimo, “risultano vigorosamente illustrati 
non solo il vero significato del collegamento gnoseologico 
tra il Vico e il Galilei, ma anche la verità e il senso più alto 
che si possa dare all’altro rapporto... tra la gnoseologia e 
metafisica del Vico e quelle tedesche del periodo da Kant a 
Hegel”. 


254. G. ARFÈ, Labriola e Spaventa, in “Mondo 
operaio”, VII (1954), n. 7 (aprile), pp. 17-18. 


È riprodotta qui in breve la tesi già prospettata dall’a. in 
un articolo precedente [cfr. n. 250]. 


255. G. BERTI, Bertrando Spaventa, Antonio Labriola e 
l’hegelismo napoletano, in “Società”, X (1954), pp. 406- 
430, 583-607, 764-791. 


La tesi centrale dello scritto di B. si lascia riassumere 
agevolmente: da S. (“la mente filosofica dirigente 
dell’hegelisrno napoletano”, p. 415) al Labriola si delinea 
uno sviluppo dello storicismo italiano — certo complesso, ma 
coerente nel suo interno svolgimento, e conforme alle 
tendenze già dominanti negli hegeliani più avanzati — che 
trova il suo naturale punto di arrivo nella prima 
elaborazione del marxismo, in Italia. Gli intellettuali che si 
raccolsero attorno a S. e a De Sanctis costituirono un 
gruppo omogeneo, legato da tre caratteristiche: “lo stretto 
legame con la vita, con la lotta politica, con la storia”; 
l’avversione per l’ “idealismo dommatico, ortodosso...”; 
infine “il tentativo, nel gruppo a tutti comune, di un 
superamento dell’hegelismo che avveniva in tutti in una 


ZIFA 


analoga direzione: dall’astratto al concreto, dalla metafisica 
delle idee a un tentativo di filosofia dell'esperienza, di 
filosofia del reale” (p. 411). 


Nella prima parte del lavoro, B. studia soprattutto le 
riflessioni di S. sulla “grande questione della filosofia: 
materialismo-idealismo” (p. 415). Sono riflessioni in cui si 
rispecchia lo sforzo di comprendere la necessità del 
passaggio dal “vecchio” al “nuovo” (v. Esperienza e 
metafisica), anzi lo sforzo di favorire questo passaggio, pur 
tra incertezze che finirono per arrestare il cammino di S. (e 
di De Sanctis: sull'indirizzo e sui limiti comuni al De Sanctis 
e allo S., v. pp. 413 sg.). Il discorso sui “limiti” di S. non è 
mai abbandonato dall’a. “Dare un giudizio d’insieme su B. 
Spaventa non è semplice” (p. 428), proprio per le 
“contraddizioni” che permangono nella sua opera. E come è 
giusto sottolineare “la contraddizione tra il drastico 
radicalismo del suo pensiero e il suo moderato liberalismo” 
(p. 419), così è necessario respingere l’idea di una 
evoluzione chiara ed esplicita di S. dall’idealismo al 
materialismo (p. 429). Tuttavia i limiti di S. si collocano ai 
confini estremi di una posizione già prossima al suo 
rovesciamento. Allo S. “giacobino”, rappresentante di un 
“Illuminismo sui gezeris”, di un “illuminismo dopo Hegel”, 
bastava avvertire “che il prius doveva consistere non nella 
educazione della plebe e nella sua elevazione a popolo, ma 
nel cambiamento dei rapporti sociali (che avrebbe esso di 
conseguenza portato a questa elevazione)”, per trovarsi nella 
posizione che fu poi di Labriola (p. 421; cfr. p. 420, e, per il 
“cauto” atteggiamento di S. nei confronti dell'illuminismo 
francese, pp. 417 sgg.). Allo stesso modo, S. appare assai 
prossimo al materialismo nella polemica col Tommasi: “è 
nello studio Sulle psicopatie in generale che Spaventa arrivò 
alla formulazione ultima della sua filosofia, allorquando, 


ZITZ 


criticando radicalmente la definizione spiritualistica della 
psicopatia del Tommasi, combattendo il concetto di una 
esistenza sostanziale dell'anima, affermò che lo spirito era 
‘nulla senza la materia’, gli parve cioè, lo spirito, materia e 
nient'altro che materia, ma materia che nega e supera se 
stessa, ‘ed è quella che è solo in quanto la supera” (p. 424). 
Lo scritto del 1872 Si colloca nel punto estremo di “un 
momento decisivo” della evoluzione di S., che ha inizio nel 
1864. In questi anni, guidando Labriola, S. “riprese a 
considerate Feuerbach” (p. 422; e B. ritorna spesso sulle 
tracce di un incontro Spaventa-Feuerbach, che gioverebbe, 
tra l’altro, a spiegare le ragioni di un rifiuto, l’identificazione 
di tutto il materialismo con il materialismo settecentesco). 
Anche qui, B. nega di voler “puramente e semplicemente 
instaurare un parallelo storico-filosofico tra Spaventa e 
Feuerbach”; suggerisce tuttavia che un tale parallelo 
“sarebbe... forte di molte solide ragioni” (p. 429; e v. anche 
pp. 605-607). In nessun modo, comunque, sarebbe possibile 
negare l’energica tendenza del filosofo “a non lasciarsi 
incasellare... nell’una scuola o nell’altra, sotto l'una o l’altra 
denominazione. In lui, in altri termini, l'assoluto non era più 
lo spirito come in Hegel... e ... nemmeno la materia ...: 
l'assoluto, per lui, era il divenire — ma profondamente 
differenziato — dell’ ‘una e unica sostanza’. Qui non regge 
più il paragone con gli hegeliani spiritualisti o con 
Feuerbach. Qui è Spaventa” (p. 430). 

La seconda parte del saggio è dedicata alla 
interpretazione neoidealistica di S. L’a. discute in breve i 
giudizi incerti — e viziati, in ultima analisi, “da una antipatia 
preconcetta” — di Croce (pp. 583-586), per affrontare 
partitamente i tre temi — teoria della “circolazione”, riforma 
della dialettica, “tentativo di una filosofia dell’esperienza 
come esperienza attiva” — su cui si sofferma l’interpretazione 


2573 


di Gentile. Quanto al primo punto: Gentile tende a 
rovesciare la prospettiva spaventiana, attribuendo alla 
“circolazione” quella priorità che spetta invece al “nesso 
dialettico vita sociale-pensiero-storia”; sicché l’idea di S. 
diventa “una banale teoria dei vasi comunicanti” (pp. 589- 
591). Secondo punto (pp. 591-601). La riforma della 
dialettica tentata da S. si costruisce in due momenti ben 
precisi: a) riconoscimento che “il processo dialettico avviene 
interamente nella natura”, dando luogo al differenziarsi di 
spirito e materia come forme distinte di un’unica sostanza; 
b) su questa base, ma solo su questa base, affermazione 
dell'autonomia del pensiero e trascrizione “logica” delle 
leggi del divenire naturale. Dato l’impianto del suo discorso, 
S. non avrebbe mai potuto concludere, come Gentile, che il 
divenire è solo divenire del pensare (p. 598; e, per un 
confronto S.-Engels, v. pp. 599 sg.). Infine: nel concetto di 
“esperienza attiva” Gentile vede anticipata la costruzione 
attualistica della identità di teoria e prassi. Ma la forte 
accentuazione spaventiana del “lato attivo” dell’uomo va 
interpretata tenendo presenti le indicazioni di Esperienza e 
meta-fisica: l’esperienza è storia, ed è storia in quanto è 
lavoro; qui s'incontrano S. e Labriola (pp. 601-605). 
Nell'ultima parte del saggio, B. richiama, in primo luogo, 
l’attenzione del lettore sulle dimensioni politiche delle 
polemiche sostenute da S. negli anni dell’esilio torinese. 
Sono vicende non trascrivibili interamente sul piano di una 
storia delle idee; non si intendono appieno, se non si ha 
presente il quadro dell’ “accerchiamento ideologico e 
politico”, il quadro delle “generali e minacciose ostilità” (p. 
767) che colpirono gli hegeliani meridionali, a Torino. B. 
ricorda soprattutto l’attacco di Gioberti ai giovani hegeliani 
(democratici, quindi socialisti, comunisti) dalle pagine del 
Rinnovamento. La risposta di S. (nell’articolo contro 


2574 


Tommaseo [51]) è “abile”, se si vuole; ma va notato che mai 
il filosofo si difende dissociandosi dagli hegeliani di sinistra, 
e sottoscrivendo una professione di “fede moderata” (p. 
768, e cfr. p. 770). Un’altra importante testimonianza di 
questo atteggiamento è offerta dalla recensione alla Storia di 
uno studente di filosofia di G. Piola (pp. 768 sgg.; e cfr. n. 
41). Sono fatti che trovano la loro giusta interpretazione in 
Gramsci, e che indicano una diversa collocazione politica 
degli intellettuali meridionali, rispetto a quella dei liberali 
piemontesi e lombardi. Da “Hegel gli hegeliani napoletani 
avevano elaborata tutta una dottrina sulla funzione degli 
intellettuali ai quali sarebbe spettato il compito di elevare la 
plebe a popolo e di creare, quindi, le condizioni 
pregiudiziali per una futura democrazia: che essi vedevano 
possibile soltanto proiettata in un lontano avvenire” (p. 
771). Sarà, anche questo, un limite del loro democratismo; 
ma intanto sta a indicare la presenza di una ispirazione 
democratica, che B. trova confermata nel programma 
politico degli hegeliani nel 1848 (“utopistico, ma non certo 
conservatore”) e nelle prime formulazioni dello “stato etico” 
(pp. 773 sgg.). Le originarie convinzioni progressiste di un 
De Meis non si oscureranno mai del tutto, neppure nel 
Sovrano; e i Princìpi di etica di S. (pp. 776-779) 
confermeranno, ancora, la presenza vitale di un disegno 
rivoluzionario (e sia pure di una “rivoluzione intellettuale”). 
“Dopo il ‘60 Bertrando più di Silvio sentì la necessità di 
conservare al liberalismo il suo slancio rivoluzionario, il suo 
momento di rottura col passato” (p. 780). E mantenne una 
pur “inconfessata collaborazione” con i positivisti più 
avanzati, lungo una strada percorsa anche dal Labriola, che 
seppe distinguerci positivismo da positivismo (pp. 782 sgg.). 
Anche su questo piano Labriola si incontra col vecchio 
maestro, e meglio di ogni altro scolaro di S. (p. 785). Le 


ZITI 


ultime pagine dello studio di B. (pp. 787 sgg.) fissano le 
tappe del progressivo distacco di Labriola dallo illuminismo 
posthegeliano” dello S. e dalla concezione dello stato etico. 
In una lettera del luglio 1875 [cfr. n. 137] B. individua il 
momento in cui, agli occhi di Labriola, appare ormai 
“rovesciata”, con la subordinazione della rivoluzione 
intellettuale alla rivoluzione sociale, la posizione del 
maestro. Negli anni in cui Labriola veniva via via precisando 
il suo orientamento verso il socialismo, non venne mai meno 
tuttavia l’amicizia per il vecchio hegeliano (come non venne 
meno, più tardi, l'amicizia per Silvio). Anche questo dato 
esterno conferma in qualche modo i risultati di tutta la 
ricerca. 

Sui rapporti personali di Labriola e S., cfr. le lettere 
pubblicate a cura di B. [137]. Per alcune pagine dello stesso 
autore che anticipano il discorso del 1954, cfr. n. 238. 


256. La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, 
scritti di G. TAROZZI, V. ALEMANNI, A. CARLINI, 
M. MARESCA, U. SCATTURIN, A. PLEBE, Torino 
1954, pp. XIV-146. 


Contiene la ristampa, col titolo Bertrando Spaventa 
hegeliano eflosofo (pp. 85-126), del saggio pubblicato da A. 
Plebe in “Filosofia”, 1953 [z52]. Accennano variamente a S. 
i saggi qui raccolti (e anch'essi già pubblicati nella rivista 
“Filosofia”) di V. Alemanni (Pietro Ceretti, pp. 17 sgg.), di 
A. Carlini (F. Acri, pp. 33 sgg.), di M. Maresca (I/ pensiero 
filosofico di Filippo Nasci, pp. 51 sgg.). 

Cfr. inoltre n. 251. 


257. P. SALVUCCI, Di alcuni recenti interessi per i 


2576 


neohegeliani italiani dell'’800, in “Studi Urbinati”, 
XXVIII (1954), n. 1-2, pp. 420-423. 


La rassegna è dedicata all’antologia a cura di A. Guzzo e 
A. Plebe [251], ai saggi di A. Plebe del 1953 [252], 
all’articolo di G. Arfè del 1952 [250], allo scritto di F. 
Battaglia del 1449 [247]. 


258. P. TOGLIATTI, Per una giusta comprensione del 
pensiero di A. Labriola, in “Rinascita”, XI (1954), pp. 254- 
256, 336-339, 387-393, 483-491. 


Per S., si veda il quarto paragrafo (Movimento e crisi del 
pensiero italiano dell'Ottocento, pp. 483-491). L’a. rileva gli 
aspetti “contraddittori” della posizione del filosofo (S. 
afferma che la filosofia nasce dalla storia, ma tenta poi una 
deduzione logica del processo storico; ci offre una corretta 
valutazione del naturalismo, e di Darwin, ma resta 
imbrigliato nell’interpretazione “kantiana” di Hegel e 
precorre, nelle Prize categorie, l’attualismo, ecc.); ma 
conclude segnalando quelle pagine spaventiane (in 
particolare, la p. 138 di Esperienza e metafisica, dove è 
affermata l’identità di storia e lavoro) che ci consentono di 
comprendere come dalla scuola del “più grande dei filosofi 
hegeliani d’Italia” sia potuto uscire Antonio Labriola. 


259. F. ALDERISIO, R:presa spaventiana, in “Il 
Saggiatore”, V (1955), pp. 159-168, 325-365; VI (1956), 
pp. 157-208. 

Il saggio di A. (vedilo anche ristampato in volume: 
Ripresa spaventiana. Considerazioni sull'idealismo assoluto, 
sul materialismo evoluzionistico e sul materialismo storico, 
Napoli 1959, pp. 174; in questa edizione “riveduta e 


ZII 


accresciuta” l’aggiunta più notevole è lo scritto: Ri/lessioni 
di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della 
prassi, pp. 149 sgg.) è una rassegna assai minuziosa di 
recenti studi spaventiani. Nella prima parte (pp. 159-168), 
dopo un breve accenno al giudizio negativo sul filosofo 
napoletano espresso da G. De Ruggiero nel suo Hegel 
(1948), l'a. ripropone le linee della propria interpretazione 
di S., costruita a partire dal 1933 in una serie di scritti 
ordinati in questa bibliografia con i nn. 113, 221, 224, 232, 
253. S., secondo A., non fu, né volle essere, un 
“riformatore” della dialettica hegeliana, nel senso voluto 
dall’attualismo; intese semmai proporre una migliore 
interpretazione della deduzione delle prime categorie della 
Scienza della logica. Gentile costruì il proprio idealismo 
attuale indipendentemente da S.; la sua lettura del 
Frammento inedito del 880-81 è sostanzialmente sbagliata, e 
costituisce, in ogni caso, un riconoscimento post festum. 
Nella seconda parte (pp. 325-365), A. discute due scritti: 
quello di G. Berti, del 1954 [255], e il saggio di P. Togliatti, 
dello stesso anno [258]. A. respinge la tesi di una evoluzione 
di S. verso il materialismo, anche nella sua formulazione più 
cauta (S. avrebbe “vissuto” la contraddizione di idealismo e 
materialismo). Ma è giusto poi, secondo l’a., rivalutare, 
nell’opera di S., gli aspetti di un orientamento politico 
progressista; lo stesso Gentile, individuando nel 
riconoscimento spaventiano della natura “pratica” 
dell’autocoscienza la “chiave d’oro” della “nuova” 
gnoseologia, di Marx e di S., ha fornito una prima 
indicazione sul carattere “progressivo” di questi sviluppi 
paralleli di pensiero, nati da una comune ispirazione 
hegeliana. Su questo punto, l'a. si sofferma nel paragrafo 
intitolato: Breve indagine sul pensiero etico politico di 
Spaventa riguardante lo sviluppo storico della coscienza sociale 


2578 


(pp. 340 sgg.). La terza parte della Ripresa (pp. 157-208) è 
dedicata allo studio di A. Plebe del 1953 [252]: un saggio, a 
giudizio dell’a., “troppo denso e forse scarsamente 
elaborato”, che si riassume “in una critica negativa ed 
acerba”. Contro le stesse intenzioni del suo a. (rottura dello 
schema: Hegel-S.-Gentile), lo scritto di Plebe finisce per dar 
credito all’interpretazione gentiliana di S., solo rovesciando 
il giudizio di valore sui motivi dell’apprezzamento di 
Gentile per il vecchio maestro. A. discute e respinge via via 
le conclusioni di Plebe, difendendo l’autentico hegelismo di 
S., la sua corretta lettura dei testi e la sua interpretazione del 
sistema, per nulla ispirata dal proposito di una vistosa 
“riforma”. Né sembra giustificato, per A., assumere 
Esperienza e metafisica come il testo di un “idealismo 
positivistico”. La revisione delle analisi di Plebe, condotta 
attraverso una ricostruzione diversa ma altrettanto 
particolareggiata dei testi in discussione, e qui non 
riproducibile nel dettaglio, si conclude con la riaffermazione 
della “profonda hegelianità” del filosofo napoletano. 


260. N. BADALONI, La filosofia di Giordano Bruno, 
Firenze 1955, pp. 369. 


Si veda soprattutto il capitolo quinto (Intorzo alla fama 
del Bruno, pp. 279-366), nel quale sono ricordati (pp. 310 
sgg.) gli studi spaventiani sull’argomento. Gli scritti di S. 
sono accostati a quelli di Labriola e di De Sanctis (i quali 
seppero cogliere il “messaggio di liberazione umana” 
racchiuso nelle pagine del filosofo); ma all’a. sembrano poi 
viziati da un’analisi svolta in termini speculativi, e sorda alla 
comprensione del “fondo materialistico” del pensiero 
bruniano. Si vedano anche le pp. 54. sgg. 
(sull’interpretazione, in S., del mito di Atteone) e le pp. 113 


ZIT9 


sgg., 186 sg., sulla ricostruzione spaventiana della morale e 


della politica di G. Bruno. 


261. I CUBEDDU, Interpretazioni di Bertrando 
Spaventa, in “Rassegna di filosofia”, IV (1955), pp. 38-47. 


Breve resoconto degli scritti di G. Arfè [254], di G. Berti 
[255; limitato alle prime due parti del saggio], e di A. Plebe 
[252]. 


262. E. GARIN, Cronache di filosofia italiana. 1900- 
1943, Bari 1955, 19592; ristampa in due voll., Bari 1966, 
pp. VII-637. 


Cfr. n. 290. 


263. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di Bertrando 
Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 


XXXIV (1955), pp. 489-495. 
Cfr. n. 115. 


264. G. FICHERA, Il problema del cominciamento 
logico e la categoria del divenire in Hegel e nei suoi critici, 
Catania 1956, pp. 166. 


I critici di Hegel studiati dall’autore sono K. Fischer, S. e 
Gentile. Sullo S., v. in particolare il capitolo quarto, 
L’interpretazione spaventiana, pp. 99-137, che discute le 
Prime categorie [70] e il Frammento inedito del 1880-81 
[103]. Tesi centrale: nell’impostazione del problema del 
cominciamento c’è, in Hegel, un vizio di fondo, che riaffiora 
e permane nel discorso degli interpreti. Si vedano le pagine 


2580 


in cui l’autore conclude su S.: “la soluzione spaventiana vale, 
a nostro avviso, solo a chiarire l’insolubilità del problema 
del cominciamento logico e l’inconcepibilità dell'Essere, del 
Nulla e del Divenire come categorie, nella cui 
determinazione è implicito l'equivoco hegeliano di isolare i 
momenti strutturali della dialettica’ del pensiero 
(l’affermazione, la negazione, il superamento), per farne 
altrettante determinazioni categoriali che, come tali, 
presuppongono e non pongono il farsi o il dialettizzarsi del 
pensiero logico. Ecco perché Spaventa, allorché vuol 
mantenere la posizione hegeliana circa il problema del 
cominciamento, e parte dall’Essere come il puro Immediato, 
si avvolge nelle medesime aporie hegeliane di presupporre al 
processo del pensiero ciò che dovrebbe essere invece un suo 
prodotto. E quando [= nel Framzzento inedito] chiarisce 
l'equivoco, assumendo l’Essere come pensiero, deve 
sostanzialmente abbandonare il problema della deduzione 
del divenire: il divenire non può essere dedotto, ma è se mai 
implicito nell’autoriflessione dell'Essere, come pensare, 
essendo il pensare T'Essere stesso dell’Essere’”” (pp. 136- 
137). 


265. Sviluppi dello begelismo in Italia. F. De Sanctis, S. 
Tommasi, A. Labriola. Una antologia dagli scritti a cura di 


M. Rossi, Torino 1957, pp. CXI-201. 
A S. sono dedicate in particolare le pp. XVI-XXV 


dell’introduzione di Rossi, precedute da una ricostruzione 
dell'ambiente napoletano del 1840-48, in cui sono indicate 
le ragioni del prevalente interesse dei primi hegeliani per i 
problemi teoretico-gnoseologici, e quindi per 
l’interpretazione fischeriana del pensiero tedesco. All’a. la 
“circolazione del pensiero” appare una veduta “ingenua, 


2581 


semplicistica e unilaterale”, che ha avuto tuttavia il merito di 
sprovincializzare la nostra cultura, ponendola a contatto col 
pensiero europeo. Manca però in S. una reale esperienza e 
quindi una giusta valutazione dell’illuminismo. La riforma 
della dialettica hegeliana proposta da S. costituisce 
senz'altro la premessa da cui discende l’attualismo di 
Gentile. L’a. osserva che “il tentativo estremo di eliminare 
ogni residuo ontologico oggettivo, per quanto possa 
sembrare legittimo in quanto si operi sul vuoto e astratto 
primum che è l’essere”, si allarga fatalmente ad ogni 
determinatezza. Il tentativo può sembrare giustificato 
rispetto a Hegel, perché in Hegel c’è, appunto, anche questo 
aspetto; ma c’è anche l’altro, per cui la dialettica deve 
provarsi con il contenuto determinato delle scienze, della 
natura e della storia. Dall’attenzione per il lato formale 
nasce l’attualismo, dall’attenzione per i contenuti la nuova 
dialettica, della sinistra hegeliana e di Marx. S. anticipa, 
dunque, Gentile. Ma non trae tutte le conclusioni della sua 
riforma, e lascia vivere il sistema. Questa contraddizione, 
“positiva”, dal punto di vista di R., è il riflesso di un’altra 
contraddizione: tra lo S. prcattualista e lo S. liberale, l’esule, 
l’antigesuita, il filosofo attento all’evoluzionismo e al 
positivismo. L’accoglimento di Hegel corrispondeva alla 
volontà di uscire dal marasma intellettuale di Napoli. Ma S. 
“cercava la libertà e incontrò la monotriade dialettica”; “i 
suoi interessi etici di liberale procedettero paralleli ai suoi 
interessi teoretici, vi rimasero giustapposti, e con essi non 
s'incontrarono mai”. Tant'è vero, che nei Principi di etica S. 
lascia cadere la deduzione della monarchia ereditaria e 
ignora tutte le pagine reazionarie della Filosofia del diritto: 
“liberalizza” Hegel sopprimendo — semplicemente — il 
reazionario (a p. LIX cfr. anche un’annotazione particolare 
a proposito della polemica sulle psicopatie: S. ci offre una 


2582 


“stranissima soluzione”. che “contamina” il realismo 
herbartiano con la dottrina hegeliana dell’autocoscienza). 

Dalla linea S.-Gentile diverge la linea De Sanctis- 
Tommasi-Labriola, la linea “umanistica” dell’hegelismo 
italiano già proposta da F. Lombardi nel suo Ludovico 
Feuerbacb (1935) e ribadita in scritti posteriori. 

Degli Sviluppi dell’hegelismo cfr. la recensione di N. 
Merher, in “Società”, XIV (1958), pp. 125-132; e, per un 
successivo dibattito: G. Mastroianni, M. Rossi, N. Mediar, A 
proposito di alcuni studi recenti sul Labriola, in “Società”, 
XV (1959), pp. 1011-1032. 


266. F. ALDERISIO, Introduzione a B. S., Sul problema 
della cognizione e in generale dello spirito, Torino 1958, 


pp. IX-XXXVII. 


Nuova presentazione dell’introduzione al testo 
spaventiano del 1858 [113], qui ritoccata e adattata a 
“finalità didattiche”. L’a. riafferma la “piena e congeniale 
aderenza” dello scritto di S. “col principio e senso 
fondamentale dell’assoluto razionalismo di Hegel” (p. 


XXXIII). 


267. V. FAZIO ALLMAYER, Ricerche hegeliane, con 
prefazione di G. Saitta, Firenze 1959, pp. XVI-325. 


Cfr. n. 191. 


268. F. E. MARCIANO, Storia della filosofia italiana, 
Romza 1959, pp. VII-425. 


A S. sono dedicate le ultime pagine dell’ottavo capitolo, 


2583 


che espone il pensiero italiano dell'Ottocento (cfr. in 
particolare le pp. 334-337). Ma il nome del filosofo è citato 
spesso nell’introduzione, che riprende e dibatte la questione 
della “filosofia nazionale”, e quindi del “carattere” della 
filosofia italiana. La tesi di S. (e di Gentile) vien fatta reagire 
con quelle di M. F. Sciacca [cfr. nn. 236, 246], di P. 
Carabellese [cfr. n. 225], e con le vedute di F. De Sarto, che 
l’a. è incline ad accettate (la filosofia italiana è filosofia 
dell'esperienza, è sperimentalismo, ha carattere realistico, 
ecc.). 


269. Un “pamphlet” antidemocratico inedito di 
Bertrando Spaventa (1880), a cura di P. C. MASINI, ir 
“Rivista storica del socialismo”, II (1959), pp. 304-326. 


Cfr. n. 116. 


270. E. GARIN, Ur “pamphlet” antidemocratico inedito 
di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia 
italiana”, XXXVIII (1959), pp. 572-574. 


Cfr. n. 116. 


271. A. BERTONDINI, Irtorno al “Socrate” di Labriola 
e Spaventa, in “Studi Urbinati”, XXXV (1961), n. 2, pp. 
236-248. 


Dalla lettura dello scritto di Labriola su Socrate è 
possibile far affiorare il rifiuto della impostazione 
speculativa che caratterizza l’analisi spaventiana [62] delle 
Considerazioni di G. M. Bertini. 


2584 


272. F. ALDERISIO, Introduzione a B. S., Lo stato 
moderno e la libertà d'insegnamento, Firenze 1962, pp. V- 


XXXVII. 


Cfr. nn. 101, 108. L'’introduzione contiene utili 
indicazioni per favorire una prima lettura delle due 
polemiche di S., i cui testi — si legge nella “postilla”, pp. 
XXXVIIT-XLI — ben si prestavano, per la loro “affinità” e 
“complementarità”, per la “comune ispirazione filosofica ed 
ideologica, tutta protesa verso l'ammodernamento della 
cultura e dell'educazione e verso il rinnovamento più 
profondo della filosofia e della vita politica in Italia”, ad 
essere presentati in un’unica raccolta antologica (tra le 
recensioni dell’antologia cfr. S. C. Landucci in “Critica 
storica”, II, 1963, n. 1, pp. 112 sg.; e L. Pinto, in “Il 
Baretti”, IV, 1963, n. 21, pp. 168-171). 


273.S. MAZZILLI, L’hegelismo in Italia, in “Cynthia”, 
1962, n. 1-2, pp. 28-32. 


È l'undicesima puntata di un lavoro, che ha come 
sottotitolo costante: La problematicità. Qui sono avanzate 
esplicite riserve contro la teoria della circolazione e contro 
l’interpretazione spaventiana di Hegel (cfr. il saggio 
precedente, intitolato I/ divenire Iriadico, 1961, n. 5-6, pp. 
39-43: non è vero che Hegel volle “provare l'identità”, come 
pretende S.; ma v. anche le pagine dedicate a L’attualismo, 
1962, n. 4-5, pp. 27-33: è vero che S. ebbe una concezione 
intellettualistica dell’“atto”, ne vide l'impotenza ad 
autodeterminarsi; questo, che a Gentile apparve un limite, è 
per l’a. un pregio della posizione di S., il quale sembra 
offrirci una confutazione anticipata dell’attualismo). 


2585 


274. P. ZAMBELLI, Tradizione nazionale italiana e 
sovranità etica razionale nel’ideologia degli hegeliani di 
Napoli, in Problemi dell’unità d'Italia, atti del secondo 
convegno di studi gramsciani (19-21 marzo 1960), Roma 
1962, pp. 521-572. 


Contiene una minuziosa analisi e ricostruzione — con 
ricchi riferimenti bibliografici - del pensiero etico-politico 
di S.: dai primi documenti (Pensieri sull’insegnamento della 
filosofia [2]; l’a. tocca con la dovuta cautela la questione 
della collaborazione di S. al “Nazionale” del fratello Silvio) 
ai Principi di elica [97]. La posizione di S. appare all’a. assai 
“avanzata”, pur nei limiti suggeriti dalla lettura delle pagine 
dedicate da Gramsci al Risorgimento italiano. 

Muovendo da una primitiva avversione al Cousin, e dai 
suggerimenti del fratello Silvio, S. sviluppò il disegno di una 
storiografia fortemente critica, ispirata da una corretta 
concezione del nesso che collega la filosofia con il processo 
storico (va riconosciuto, del resto, che “per la provincia 
filosofica italiana lo ‘storicismo’ hegeliano non trovò 
superatori fino al 1895 del primo saggio di Labriola”, p. 
535); altrettanto progressive appaiono le vedute di S. sul 
problema della “nazionalità” della filosofia. Se è lecito 
riconoscere la disinvoltura “speculativa” dell'equazione: 
Gioberti = Hegel, assai più importante è individuare e 
ribadire il valore “pratico”, “efficace”, dell’operazione 
compiuta da S. (p. 556). Nella Libertà d'insegnamento [108] 
è disegnato il concetto della moralità autonoma dello stato, 
i. e. il concetto dello stato-guida, che prepara il momento 
della libertà, difendendo e promuovendo gli interessi dei 
cittadini (pp. 537 sg.); ci muoviamo qui su di un piano ben 
diverso da quello su cui Gentile affermerà il suo ideale dello 
“Stato forte” (cfr. p. 568: appare equivoca all’a. l'annessione 


2586 


di S. all’attualismo fascista; ai principi di S. si è potuto 
richiamare il gruppo liberale borghese più avanzato, 
rappresentato da Gobetti). L'analisi dei Principi di etica 
consente di concludere che nella prospettiva di S. “i 
problemi della tradizione nazionale e della autonomia 
razionale e etica dello stato vengono a convergere con 
un'impostazione che (se mantiene ovviamente il limite di 
classe di tutte le ideologie borghesi, che non prendono in 
considerazione le classi subalterne ed i loro specifici 
problemi, fittiziamente ridotti e dissolti nell'unità nazionale) 
pur rappresenta la raggiunta maturità della ideologia 
liberale in Italia; essa venne condivisa da tutto il gruppo 
d’opinione che faceva capo ai due Spaventa, a De Meis e a 
Francesco Fiorentino” (p. 563). Negli scritti della maturità 
non tornano più le rivendicazioni democratiche (l’appello 
alla “ragione”, che si identifica con la richiesta del suffragio 
universale e della gestione repubblicana dello stato) del 
1850-51; ma resta e si afferma ancora l’idea dell’ “evoluzione 
progressiva delle costituzioni” (p. 567). S. Si muoverà certo 
entro prospettive “borghesi”, e nutrirà forse eccessiva 
fiducia negli “espedienti” costituzionali; ma vi sono, nel suo 
pensiero, spunti e riconoscimenti che meriteranno di 
passare negli scritti e nell’opera del suo allievo Labriola. 


Nello studio della Z. si dà notizia di una lettera inedita di 
S. a G. Del Re, del 12 ottobre 1850, che costituisce un altro 
documento relativo al progetto di traduzione del volume di 
L. Stein sul socialismo e il comunismo in Francia. 


275. I CUBEDDU, Bertrando Spaventa pubblicista 
(giugno-dicermbre 1851), in “Giornale critico della filosofia 
italiana”, XLII (1963), pp. 46-65. 


Lo scritto presenta la ristampa dei testi ordinati in questa 


2587 


bibliografia con i nn. 5, 12, 14 [e cfr. n. 118]. L’autore rende 
note le ragioni che consentono di attribuirne la paternità 
allo S. (pp. 50 sg.); riproduce i titoli di altri articoli 
pubblicati sul “Progresso” di Torino e attribuibili anch'essi, 
ma con qualche dubbio residuo, al filosofo (pp. 52 sg., n. I); 
indica nello scritto di L. Stein Der Socialismus und 
Communismus des beutigen Frankreichs la fonte di alcuni 
articoli spaventiani (pp. 55 sgg.). L'autore conclude (pp. 62 
sgg.) con una cauta valutazione di questi testi “democratici” 
di Spaventa, nei quali il filosofo esprime convinzioni 
successivamente attenuate o abbandonate. 


276. S. LANDUCCI, Di un celebre paragone tra 
Rivolnione francese e filosofia classica tedesca, in 


“Belfagor”, XIII (1963), n. I, pp. 88-93. 


Analisi della formulazione spaventiana del nesso: 
Rivoluzione francese-pensiero tedesco (in Paolottismo, 
positivismo, razionalismo, 78), estesa dall’a. all'esame della 
presentazione del paragone nel discorso di De Meis Darwin 
e la scienza moderna. L’a. conclude per la derivazione da 
Heine (fonte anche del Carducci) del paragone spaventiano; 
e ne individua, attraverso le varianti introdotte da S., gli 
elementi di originalità. Si legge a p. 93 che S. — con De Meis 
— volle prospettare e sostenere un “idealismo filosofico” che 
è “il corrispettivo teoretico delle possibilità pratiche di 
razionalizzazione dcl mondo, di umanizzazione della realtà, 
potentemente messe in luce dalla Rivoluzione francese...”. 


277. F. TESSITORE, Crisi e trasformazioni dello stato, 
Napoli 1963, pp. 259. 


Si veda in particolare, nel primo capitolo (I compiti dello 


2588 


stato), il quinto paragrafo (I/ significato dello stato per Silvio 
e Bertrando Spaventa, pp. 24-44), che contiene un raffronto 
delle posizioni di Silvio e di B. sul concetto dello stato 
libetale e sul problema delle garanzie costituzionali (e cfr., 
per B., un’osservazione di pp. 30 sg.: lo S. “trascurava, quasi 
subito, l'interesse generoso di Hegel, che pur a tratti lo 
attirava, per le manifestazioni ‘oggettive’ del diritto, della 
moralità, dell’ethos, e seguiva... la via meno certa, meno 
hegeliana: quella di formulazioni  nell’intimo 
neogiusnaturalistiche, che ritrovano un’assonanza, certo non 
fortuita, con lo statalismo di Fichte”). 


279.1. CUBEDDU, Berztrando Spaventa, Firenze 1964, 
pp. 306. 


Il libro si divide in quattro capitoli. Nei primi due (La 
nazione vivente, pp. 11-64; Ragione e libertà, pp. 65-118) 
sono studiati gli scritti spaventiani del 1850-56, dal 
programma degli Studi sopra la filosofia di Hegel [41] e dei 
Pensieri sull'insegnamento della filosofia [21], al frammento 
sulla riforma filosofica, politica e religiosa nel XVI secolo 
[30]; attraverso gli articoli pubblicati sul “Progresso” nel 
1851 (è ripreso qui, pp. 70 sgg., il tema del rapporto S.- 
Stein), le polemiche con la “Civiltà cattolica”, gli scritti sulla 
libertà di insegnamento, i saggi su Bruno e Campanella. Un 
riepilogo (pp. 110-118) di questa prima parte discute l 
“ampiezza e la struttura specifica... della problematica nella 
quale si compongono e prendono rilievo gli interessi più vivi 
del filosofo”, in quegli anni; si allarga “alla considerazione 
del rapporto di Spaventa a Hegel e agli hegeliani, del 
significato che è possibile attribuire agli studi sul 
Rinascimento, e all’atteggiamento genericamente negativo 
nei confronti dei filosofi italiani contemporanei”; e si 


2589 


conclude “con qualche osservazione sugli orientamenti 
pratici e politici del giovane filosofo” (p. 110). Quanto al 
primo punto, l’a. indica in che senso e entro quali limiti le 
prime riflessioni e polemiche di S. presentino “uno sviluppo 
affine alle grandi linee della polemica di Hegel contro 
Schelling, contro l’empirismo e contro le filosofie della 
riflessione in genere” (p. 111). Nei saggi sul Rinascimento, 
viene messo in rilievo un “duplice orientamento” del 
filosofo, il quale, per un verso, tenta di rielaborare in modo 
autonomo i temi speculativi individuati in Bruno e 
Campanella, per un altro verso impegna quegli autori in un 
confronto esplicito con gli sviluppi dell’idealismo tedesco; 
con risultati non del tutto convincenti, o non ancora 
convincenti, prima che S. abbia raccolto i frutti degli studi 
su Spinoza e Jacobi, e della nuova lettura di Gioberti. I 
lavori sui Rinascimento vanno ricondotti tuttavia alla “più 
estesa prospettiva nella quale si inquadrano le esigenze e le 
convinzioni etico-politiche del giovane Spaventa”, che tenta 
di cogliere e di elaborare i primi germi di una concezione 
“organica” della società, nella quale sia dato finalmente 
“al’uomo di conciliare la propria individualità, la 
soggettività dei suoi impulsi e dei suoi bisogni, con la 
necessità della legge” (pp. 115 sg.). In quella prospettiva 
appaiono all’a. semplicemente riaccostati elementi attinti da 
diverse matrici (come per es. la critica di Rousseau, che 
coesiste con la piena affermazione della sovranità popolare). 
All’a. non sembra dubbio, tuttavia, che le formulazioni di S. 
“non costituiscono né vogliono costituire un vero e proprio 
programma politico chiaramente e concretamente articolato, 
e quindi valutabile e criticabile in quanto tale. Il quadro .... 
programmatico ... di quelle dichiarazioni va trasposto e 
interpretato su quello stesso terreno sul quale fermentano i 
propositi di una rigenerazione morale e intellettuale del 


2590 


popolo, che deve attuarsi attraverso una totale rivoluzione 
filosofica” (p. 117). Se è possibile ascrivere alla concezione 
di S. un limite, “che deriva dal carattere parziale della 
prospettiva in cui si muove il filosofo”, non sarebbe 
giustificato “svalutare i contributi particolari che Spaventa 
ha voluto apportare nella discussione di problemi concreti e 
attuali, come è risultato dall'esame delle polemiche 
sostenute in questi anni dalle colonne dei periodici 
piemontesi” (pp. 117 sg.). 

Il terzo capitolo (Fede e sapere, pp. 119-186) esamina gli 
scritti spaventiani dcl 1856-59. Tra i lavori studiati in queste 
pagine vanno segnalati, oltre ai primi saggi su Bruno e 
Spinoza, l'importante articolo su La filosofia di Kant e la sua 
relazione con la filosofia italiana, del 1856-60 [66], un 
manoscritto inedito di 66 pagine intitolato a Jacobi e qui 
datato: 1856-57 (per l’analisi dell’inedito, v. pp. 151 sgg.), e 
la cosiddetta “parentesi” del 1858, pubblicata da F. 
Alderisio nel 1933 [113] e qui discussa alle pp. 167 sgg. 
L’ultimo capitolo (La metafisica perplessa, pp. 187 sgg.) è 
dedicato all'esame delle prime lezioni napoletane e della 
Filosofia di Gioberti. [69], il “capolavoro” di S., 
minuziosamente ricostruito dall’a. (pp. 197-236); segue un 
ampio paragrafo dedicato agli scritti sulla logica e sull’etica 
di Hegel (pp. 236-274); le pp. 274-289 sono dedicate a 
Esperienza e metafisica [94], e agli scritti sulla psicologia 
empirica. Un riepilogo (pp. 290 sgg.), che discute tra l’altro 
lo scritto del 1881: Kart e l’empirismo [88], chiude anche 
questa seconda parte del lavoro. Per una presentazione 
sintetica delle conclusioni, si vedano le pp. 290-291: “Se 
volessimo indicare in breve, trasponendo queste 
considerazioni sul piano di un bilancio complessivo, quale 
sia il limite che ci sembra risultare dall’analisi della 
produzione scientifica di Spaventa, dopo il 1860, dovremmo 


2591 


parlare di una riflessione critica che ha spunti e accenti 
fortemente originali, che abbiamo visto maturarsi sul 
terreno di una sostanziale armonia con gli interessi e con le 
esigenze espresse nel programma del 1850, ma che non è 
riuscita a tradursi — e a placarsi — nella elaborazione di una 
dottrina altrettanto autonoma e originale. Nel corso 
dell’ultimo capitolo abbiamo sottolineato di volta in volta 
quali siano le oscillazioni, le suggestioni, e soprattutto le 
esitazioni che è legittimo porre in rilievo attraverso la lettura 
delle opere più fortunate ed anche più mature di Spaventa. 
La considerazione non ci dispensa dal compito di 
giustificare, almeno in forma sintetica, il titolo che abbiamo 
voluto dare all’ultima parte di questo lavoro. In esso si 
esprime la convinzione che l’interpretazione di Spaventa 
data da Gentile sia sostanzialmente aderente ai motivi 
fondamentali e alle esigenze autentiche del pensiero del 
maestro. Accentuando il tema della perplessità, abbiamo 
inteso indicare quali e quanti tributi il filosofo ha voluto 
pagare all’enciclopedia hegeliana, pur continuando a 
prospettarsi la necessità di prolungarne e di rielaborarne, in 
forma originale, i risultati e l'insegnamento. Non ci è 
sembrato proficuo ricercare minuziosamente quali 
fraintendimenti si frappongano fra l’analisi di Spaventa e il 
testo di Hegel. L’adesione del filosofo al programma della 
prefazione alla Ferorzenologia e, più in generale, alle pagine 
nelle quali Hegel sviluppa con maggiore asprezza la sua 
critica dei filosofi contemporanei, avrebbe dovuto 
consentire al maestro — tale era l'intenzione di Spaventa — la 
ricostruzione della vera ‘enciclopedia giobettiana. Ma il 
filosofo, a nostro avviso, si è dimostrato consapevole, e fin 
nelle sue ultime pagine, che questo programma non era 
giunto al suo perfetto compimento”. I risultati ultimi della 
ricerca sono resi anche più espliciti nella prefazione (pp. 5- 


2392 


6): “il proposito di ricondurre a unità l'insieme dei motivi 
che si innestano nella speculazione di Spaventa, di 
ricostruirne la fisionomia complessiva e di riprodurne la 
problematica in un linguaggio non troppo distante dalla 
nostra sensibilità, riesce a raggiungere il proprio scopo — è 
una conclusione certamente non nuova, della quale 
intendiamo tuttavia assumerci la nostra parte di 
responsabilità — soltanto accogliendo la critica spaventiana 
di Gioberti come l’unico strumento che ci consenta di 
penetrare agevolmente il senso riposto fin nelle pagine più 
disperse e frammentarie del filosofo, e più lontane, fra loro, 
nel tempo, dai primi scritti torinesi del 1850 alle ultime 
polemiche contro il positivismo. Svuotata dei toni e degli 
accenti ormai estranei al nostro gusto e ai nostri interessi, 
liberata dalle incrostazioni che costituiscono l’inevitabile 
residuo nella produzione di un autore dotato di una 
personalità per molti versi fortemente recettiva, la critica di 
Spaventa, largamente imperniata sulla polemica con il 
giobertismo, è in grado di restituirci l’esatta misura dello 
hegelismo di cui si nutrì il filosofo; il quale seppe mostrarsi 
hegeliano, per quel tanto che riuscì a tenere insieme le 
innegabili doti e tentazioni sistematiche con una polemica 
aderente al “carattere” e allo “sviluppo” proprio del 
pensiero moderno, italiano e europeo. Questo 
convincimento implica che si ritenga ancora esatto e 
accettabile, nelle sue linee essenziali, il giudizio che 
sull’opera di Spaventa volle dare Giovanni Gentile; il che 
non significa, ovviamente, accogliere anche le conclusioni 
teoriche dell’attualismo, ma, più semplicemente, attribuire a 
Spaventa il merito o la responsabilità di aver avviato — tra 
incertezze e perplessità che sono pure messe in luce in 
queste pagine — un’interpretazione di Hegel alla cui storia il 
suo nome ci appare tuttora indissolubilmente legato”. 


2593 


279. G. DE CRESCENZO, La fortuna di Vincenzo 
Gioberti nel mezzogiorno d’Italia, Brescia 1964, pp. 569. 


Cfr. n. 147. 


280. A. GUZZO, Cinquant'anni di esperienza idealistica 
in Italia, Padova 1964, pp. 203. 


Cfr. n. 251. 


281. S. LANDUCCI, Cultura e ideologia in Francesco 
De Sanctis, Milano 1964, pp. 512. 


Cfr. n. 287. 


282. S. LANDUCCI, Il giovane Spaventa fra hegelismo 
e socialismo, in “Annali dell'Istituto Giangiacomo 


Feltrinelli”, VI (1963), Milano 1964, pp. 647-707. 


Il titolo non vuole indicare un’incertezza o un’oscillazione 
che sia da addebitare al giovane S. democratico, 
collaboratore del “Progresso” e autore degli Studi sopra la 
filosofia di Hegel. La ristampa degli articoli su La rivoluzione 
e l’Italia e Le utopie [118], scritti negli stessi mesi in cui il 
filosofo combatteva dalle colonne del giornale torinese la 
sua polemica sulla libertà d’insegnamento, offre ormai — 
secondo L. — il materiale necessario per ricostruire nella sua 
intera e coerente fisionomia un momento ben preciso della 
biografia di S.; quel momento in cui si intrecciano, 
sostenendosi e confermandosi a vicenda, un hegelismo 
“assai preciso e articolato” (anche se “‘interpretato’ o 
fortemente sollecitato”, p. 661) e una autentica fede 


2594 


democratica e repubblicana, traducibile in termini di 
“démocratie sociale, alla francese” (p. 657); per cui gli scritti 
spaventiani del 1851 vanno a collocarsi “accanto alle opere 
dei repubblicani non mazziniani fiorite in questi stessi anni e 
caratterizzate dal continuo riferimento alle vicende francesi” 
(p. 658). Sullo stesso terreno in cui si incontrano hegelismo, 
democrazia e socialismo, fermentano i propositi di 
rigenerazione civile e intellettuale della società italiana, che 
caratterizzano il primo “programma” di S.; alle discussioni 
di questo tema L. contribuisce anche ripubblicando un 
“annuncio” della traduzione spaventiana di Stein [120], 
rimasto finora ignoto. L’ampio saggio di L. offre al lettore, 
in sessanta pagine, tante analisi, riflessioni, suggerimenti, 
non riproducibili qui nei particolari. In generale, il discorso 
è sviluppato con la preoccupazione di aderire alle varie 
utilizzazioni — da parte di S. — delle due fonti, Hegel e Stein, 
nella specifica situazione politica e culturale di quegli anni; 
sicché il rilievo di residue “astrattezze” non nasce da un 
impianto già “ideologico” della lettura (cfr. p. es. p. 663: 
“tutte le rappresentazioni dell’hegelismo italiano che 
partono da pregiudiziali equazioni ‘ideologiche’ (hegelismo 
= speculazione, o hegelismo = conservatorismo, ecc.), 
talvolta non distinguendo sufficientemente neppure tra 
Hegel e i vari ‘hegeliani’, non possono che fallire il 
bersaglio”). 

Nelle prime pagine del saggio, L. difende le convinzioni 
democratiche e repubblicane di S. (anche contro le riserve 
di altri interpreti [cfr. n. 275], p. 655; e v. ancora, per questi 
dissensi interpretativi, pp. 661, 673, 704), accettando la 
derivazione steiniana degli articoli sul “Progresso” (p. 649), 
ma rivendicando l’autonomia della lettura spaventiana in 
molti punti (v. pp. 650, 660, 671, 682). Nel democratismo di 
S. cè un’ “indubbia precarietà”; c'è una “astrattezza 


2595 


teorica” nella posizione del filosofo che, dopo il 1851, 
comincia a orientarsi verso un atteggiamento da ultimo 
conservatore-autoritario. Gioverà tener presenti i due 
aspetti dell'ideologia di S. (e di molti hegeliani, con lui): 
l’aspetto, appunto, “conservatore” dello “stato etico”, e 
quello “giacobineggiante e antidottrinario”, che ha la sue 
radici nelle polemiche torinesi del 1850-51, e che continuerà 
ad operare anche dopo il 1860 (pp. 656 sg.). Ma c'è, poi, 
“astrattezza” e “astrattezza”; c’è il socialismo “escatologico” 
e “universalistico” di La rivoluzione e Le utopie, c'è il più 
corposo antidottrinarismo della polemica sulla libertà 
d'insegnamento, in cui la prospettiva escatologica, a 
contatto con problemi attuali e reali, si precisa come 
“tentativo di sollecitare da sinistra un’evoluzione in senso 
più democratico della politica del Regno sardo” (pp. 681 
sg.: e cfr. p. 695). Gli articoli sul socialismo hanno certo un 
“carattere tutto teorico, ideologico’: “la formula 
democraticorepubblicana del popolo oppresso” non coglie gli 
effetti specifici del “meccanismo del profitto industriale” (p. 
671); ma da Stein S. mostra di ricavare anche indicazioni sul 
rapporto tra das Gesellschaftliche e das Wirtschaftliche (ivi; 
cfr. p. 649). Nella ricerca delle dimensioni reali, storiche, 
che strutturano gli orientamenti del giovane S., acquistano 
allora particolare rilievo, per il L., le prime battaglie del 
filosofo: la sua critica della religione (pp. 652 sgg.; e cfr. p. 
654, sull’uso “non speculativo” della dialettica hegeliana 
dello spirito assoluto), gli scritti sul problema della libertà 
d’insegnamento (contro le tesi del “Risorgimento”, organo 
dei cavouriani), e la polemica contro la “Civiltà cattolica”, e 
contro la critica cattolico-reazionaria dell’hegelismo (matrice 
del socialismo, del comunismo ecc.; v. soprattutto le pp. 663 
sgg.). Se si tiene presente il contesto storico (anche sotto il 
profilo della diffusione delle idee) da cui emergono questi 


2596 


primi scritti di S., sarà possibile trovare una collocazione 
reale per il socialismo “astratto” del loro autore; la 
prospettiva “escatologica”, espressa in termini “ideologici”, 
“speculativi”, non si traduce mai in mera esercitazione 
“retorica”: sicché non sarebbe giusto sommergere le 
formulazioni spaventiane sotto il peso dell’Ideologia tedesca 
(cfr. pp. 651, 658, 680), né sarebbe esatto, neppure 
filologicamente, rintracciarne i limiti nel peso esercitato 
dagli schemi di una filosofia della storia già distorta in senso 
speculativo. Giacché l’hegelismo del primo S. è tutt’altro 
che “accademico”; il rapporto filosofia hegeliana- 
democrazia francese si costruisce, in S., attraverso il 
richiamo alle pagine più “progressive” di Hegel (e alle 
pagine della Filosofia della storia, prima ancora che a quelle 
della Filosofia del diritto): si vedano i rilievi di L. a proposito 
della concezione della libertà come libertà “categoriale”, 
dell’ “assunzione estremamente seria, e praticizzata, dei 
concetti hegeliani di Fresbeitsbewusstsein e di freie 
Personlichkeit”, della giustificazione delle rivoluzioni in base 
allo “scarto” tra “ragione” e “esistente”, tra la realtà e le 
(nuove) idee, tra la realtà e gli istituti giuridico-politici ormai 
superati (pp. 660-663). Nella critica spaventiana di 
Rousseau — sviata, in certa misura, dagli equivoci giudizi di 
Hegel — va dato rilievo all’ “intenzione giacobina, contro i 
criteri formalistici di rispetto delle forme 
liberaldemocratiche” (p. 672 sg.). Nella critica degli appelli 
alla natura va letto il rifiuto di quella “tipica commistione 
del naturalismo biblico teologico con il naturalismo 
ideologico della moderna economia politica” che è 
prospettata nel Rirzovamento di Gioberti (p. 675). “In 
queste prese di posizioni, non si ha se non un’accentuazione 
estremamente progressiva della concezione hegeliana della 
storia: è del tutto superata l’identità settecentesca di ratura e 


2597 


ragione; tra i due termini è istituita una scissione radicale, e 
quella razionalità reale che domina nella storia universale è 
considerata foto coelo diversa e opposta alla immediata 
natura. Questo è il grande acquisto intellettuale ormai 
raggiunto dallo Spaventa” (ivi). È l'acquisto “vichiano” e 
“hegeliano” di S., la scoperta del “lato attivo” dell’uomo, nel 
suo rapporto con la natura; scoperta celebrata da Marx, e da 
Labriola (p. 676). Tutto questo implica l'abbandono del 
naturalismo illuministico, in una prospettiva ancora 
illuministica “se per ‘illuminismo’ si vuoi semplicemente 
intendere, categorizzando il termine, il particolare 
radicalismo di una critica razionalistica dell’esistente 
storico” (p. 677). 


In che senso le pagine di Hegel riescano a confortare 
questo orientamento di S. — che si sostiene, tra l’altro, in 
base a numerosi richiami a Kant, e al Kant della Critica della 
ragione pratica —, L . lo ricava da un’analisi (pp. 683-693) 
dell’articolo su Schelling, del 1854, qui largamente 
riprodotto [22]. Nel necrologio di Schelling vengono alla 
luce le “origini” della riflessione di S., “l’ispirazione 
rivoluzionaria, ‘francese’, l'ispirazione della Filosofia della 
storia... [e la]... polemica contro l’intuizionismo 
irrazionalistico, la rivendicazione della ragione e delle 
determinatezze in contrasto col formalismo insieme 
intellettualistico e mistico’ (i. e. l'ispirazione della 
Prefazione alla Fenomenologia): i due temi (pp. 690 sg.) che 
strutturano gli Studi sopra la filosofia di Hegel e che 
rappresentano i due aspetti di una stessa polemica, contro 
Gioberti (pp. 692 sg.; alle pp. 687 sg. v. anche alcune 
osservazioni sulle radici del parallelo Rivoluzione francese — 
filosofia tedesca in S., per il quale cfr. n. 276). 


Nell’ultima parte del saggio (pp. 693 sgg.) L. riproduce e 
commenta l’ “annuncio” della traduzione di Stein, da lui 


2598 


scoperto [cfr. n. 120]; un testo più “moderato” degli articoli 
del ‘51, ma che interviene anch’esso a confermare il quadro 
delle “origini” del pensiero di S.: le — prime — fonti 
hegeliane (Feromenologia e Filosofia della storia) 
confluiscono in una Weltgeschichte, la cui prospettiva 
universalistica appare anche come il riflesso del riconosciuto 
“carattere internazionale dei fenomeni economici e dei 
problemi sociali in età moderna” (p. 698). A p. 696 si legge 
questa osservazione: “In certo senso si potrebbe dire che la 
lettura dello Stein tenne il luogo, per Spaventa, di quegli 
studi degli economisti moderni che lo Hegel aveva compiuto 
in gioventù e dei quali il nostro autore poteva avere qualche 
sentore solo attraverso la biografia del Rosenkranz”. Ora L. 
conclude: “Così, attraverso questa presentazione [scil. l’ 
“annuncio” del 1850], l'interesse di Spaventa per lo Stein 
appare tutt'altro che estemporaneo nella biografia 
intellettuale del filosofo: in qualche modo parallelo a quello 
per Hegel. Da un lato una traduzione dal francese, dall’altro 
una traduzione dal tedesco; ma traduzioni che volevano 
essere interpretazioni, non ‘calchi’. Non provincialismo, ma 
neppure vacuo cosmopolitismo...” (p. 699). Dunque queste 
“origini” forniscono indicazioni concrete anche rispetto agli 
sviluppi posteriori del programma degli Stud:: alla teoria 
della “circolazione” e alle tesi sulla “nazionalità” della 
filosofia. Resta il problema del passaggio di S. (e degli altri 
hegeliani) dal democratismo avanzato degli inizi al più tardo 
conservatorismo, “certo illuminato ma anche assai chiuso e 
non di rado arcigno” (p. 703). Lo studio di L. si chiude con 
un richiamo alle indicazioni di Gramsci sulle ragioni di 
“classe” che determinarono l'assorbimento nelle file dei 
moderati di quegli intellettuali democratici. 


283. G. OLDRINI, Gt begeliani di Napoli. Augusto 


2399 


Vera e la corrente ortodossa, Milano 1964, pp. 299. 


La figura di Augusto Vera merita “la più attenta 
considerazione e il più attento esame” per “la complessa 
natura delle intersezioni della sua filosofia con i problemi 
della società contemporanea lungo tutto l’arco del 
Risorgimento europeo, in paesi chiave (Francia, Inghilterra, 
Italia) e in nodi storici culminanti (il 1848, l’unificazione 
italiana, la Comune, i prodromi dell’imperialismo)” (p. 13). 
L'impostazione e il metodo della ricerca, che tiene conto del 
vario e complesso intreccio di prospettive filosofiche e 
atteggiamenti pratici, sotto la spinta degli eventi via via 
maturati nella storia italiana e europea, consentono di offrire 
allo studioso di S. (e della sua scuola) nuove prospettive: in 
primo luogo, la presentazione del rapporto S.-Vera (del 
rapporto tra idealismo “critico” e idealismo “ortodosso”) al 
di fuori dello schema tradizionale, che oppone i due filosofi 
come rappresentanti di due diversi orientamenti speculativi, 
in ultima analisi come due diverse “personalità” filosofiche. 

Interessa lo studioso di S. e della scuola spaventiana 
soprattutto il secondo capitolo della parte seconda, 
intitolato: Le lotte filosofiche interne del circolo di Napoli, 
pp. 164-239. L’unità apparente (e necessariamente 
apparente, se si bada alle diverse “radici della formazione 
hegeliana di Vera”, che “non sono le stesse di quelle del 
gruppo spaventiano dei fuorusciti”, p. 168; ma su questo 
punto, si veda tutta la prima parte del lavoro, dedicata alla 
“genesi dell’hegelismo napoletano”, alla “formazione 
filosofica” e alla “svolta hegeliana” di Vera) che caratterizza 
il “fronte hegeliano” di Napoli fino al 1863-64, comincia a 
incrinarsi visibilmente nei primi scontri tra “ortodossi” e 
“critici” sul problema della nazionalità della filosofia (pp. 
167-171); la portata e le ragioni del dissidio che 


2600 


contrappone l’uno all’altro i due orientamenti si rendono 
più esplicite attraverso l’analisi delle divergenze rilevabili 
nella presa di posizione di S. e di Vera sulla questione del 
rapporto fenomenologia-logica (pp. 172-180; cfr. pp. 177 
sg.: dal momento che S. nella fenomenologia “non sottolinea 
come Vera — o non sottolinea accentuatamente come V era — 
il momento della denegazione del processo di elevazione 
della coscienza a scienza in favore dello sbocco nel ‘sapere 
assoluto’, può anche mantenere nei confronti della riforma 
‘auspicata da Trendelenburg un atteggiamento molto più 
elastico e libero... può... scorgere nel ‘movimento’ assunto 
come ‘primo’ ... il lato realmente attivo, positivo, che lo 
assimila al ‘pensiero’, poiché anche il pensiero, in se stesso, è 
movimento: movimento logico”). Il contrasto tra le due 
scuole si approfondisce sotto la spinta di nuove tendenze 
(naturalismo, positivismo...) che si impongono come riflesso 
del “progresso impetuoso dell’attività pratica” (p. 181), e 
che contribuiscono alla formazione di una “terza scuola” 
(Siciliani; Fiorentino, Tocco, poi Masci; ecc.), ancora in 
qualche modo controllata o almeno ispirata da S.; la nuova 
scuola si presenta come “fronte unico” contro l’ortodossia, e 
costringe gli ortodossi ad arroccarsi “in una strenua difesa a 
qualunque costo della filosofia della natura di Hegel” (p. 
194). La paura del positivismo e del materialismo spinge 
sempre più decisamente Vera sulla strada che sbocca nella 
presentazione della scienza e della metafisica “come rigidi 
estremi contrapposti” (p. 197). Ma se il destino di Vera e 
degli ortodossi si consuma, attraverso il progressivo 
“isolamento” del gruppo, nella totale autodissoluzione della 
dottrina (pp. 228-239), il profilarsi di una “sinistra 
materialista” come espressione di una spinta popolare 
sempre più minacciosa e temuta blocca gli intellettuali 
borghesi meridionali più avanzati su posizioni di difesa. Per 


2601 


l’analisi del fenomeno, allargata all’individuazione dei suoi 
fattori economici e politici, si vedano le pp. 201-215. “Gli 
intellettuali borghesi meridionali si stabilizzano sulle proprie 
posizioni egemoniche di classe, cessano di rappresentare, sia 
nei confronti dell'evoluzione sociale del paese, sia nei 
confronti della classe borghese in generale, una forza viva, 
attiva, storicamente progressiva, e preoccupati più di non 
cedere terreno, di non farsi soverchiare dalla pressione 
popolare in crescita, che di promuovere una spinta in avanti, 
perdono in capacità di iniziativa, organizzazione, 
penetrazione” (p. 207). Matura così la formazione di una 
“nuova destra” (Maturi, Jaja) nel circolo di Napoli. “Come 
le pericolose oscillazioni della struttura quanto mai instabile 
della società spingono la borghesia a puntare sulla 
dissoluzione dei vecchi partiti politici, così altrettanto, in 
filosofia, la vecchia destra ‘ortodossa’ e la vecchia sinistra 
‘critica’sono travolte e dissolte dal movimento della nuova 
generazione intellettuale; e come gli ideologi borghesi 
giustificano l’operazione dell’ ‘endosmosi istorica” e del 
‘trasformismo’ col pretesto di sbarrare la via alla marea 
montante del proletariato e di salvare in questo modo il 
patrimonio di libertà e di civiltà faticosamente acquistato nei 
lunghi anni delle lotte risorgimentali, così col pretesto di 
salvare tutt’intera l'eredità culturale dei vecchi maestri del 
circolo, di Vera e di Spaventa, la tendenza trasformistica del 
tardo idealismo filosofico napoletano giustifica il rilancio del 
loro insegnamento in guisa volutamente così truccata... da 
presentarne l’apporto in sostanza come identico, come due 
facce della stessa medaglia” (pp. 215 sg.). Ma né Spaventa 
né De Sanctis appaiono travolti in questo processo 
involutivo: si vedano le pagine dedicate al loro “tentativo di 
un superamento ‘critico’ interno dello hegelismo” (pp. 220- 
225), seguite da un paragrafo sulla “eredità spaventiana di 


2602 


Antonio Labriola” (pp. 225-227). Riprendendo, tra l’altro, 
la proposta di G. Berti [cfr. n. 255], l’a. scrive: “Contro la 
chiusura filosofica della ‘nuova destra’, contro l’involuzione 
trasformistica, in politica, della Sinistra storica, De Sanctis e 
Spaventa attuano in filosofia e in politica, per quanto 
riescono, rimedi lungo un arco che va, politicamente, dalla 
fondazione di una ‘giovane sinistra’ costituzionale... alla 
lotta per la moralizzazione e la riforma dello ‘spirito di 
consorteria prevalente nell’andazzo di una politica 
governativa che alimenta discriminazioni e privilegi in 
favore delle classi agiate, e a una linea programmatica di 
rinnovamento profondamente democratico del paese, di 
ricambio dei quadri dirigenti, di irradiazione e diffusione 
della libertà, della civiltà, della cultura, di una moderna 
concezione laica del mondo; e che ha d’altra parte il suo 
correlativo, sul piano delle idee, in un forte movimento di 
pressione per una svolta anche filosofica a sinistra, 
inaugurata proprio dal tentativo di Spaventa e De Sanctis di 
un superamento ‘critico’ interno dello hegelistno, che in 
loro avviene, come si è detto, nella stessa direzione: 
dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un 
assorbimento della metafisica nella ‘filosofia del reale’”” (pp. 
22330.) 

Oltre ai rimanenti, numerosi richiami a S., si veda, a p. 
250, il testo di una lettera inedita di Vera a S. sul rapporto di 
politica e religione, lettera che è l’“unico documento 
epistolare che ci resta” dei rapporti tra i due filosofi. 


Di G. Oldrini v. anche La crisi della cultura filosofica 
napoletana sul declino dell'Ottocento, in “Rivista critica di 
storia della filosofia”, XXI (1966), pp.141-177, 264-284. 


284. B. WIDMAR, Antonio Labriola, Napoli 1964, pp. 


2603 


561. 


Viene citato qui soprattutto per il primo capitolo (pp. 
393-441) della seconda parte, dedicata a Labriola e i suoi 
critici; il capitolo presenta un’ampia rassegna di studi, fra i 
quali il saggio di Berti del 1954 [255], lo scritto di Togliatti 
dello stesso anno [258], gli articoli di A. Plebe del 1953-54 
[252], la Ripresa spaventiana di F. Alderisio [259], gli 
Sviluppi dell’hegelismo di M. Rossi [265], ecc. Per i rapporti 
S.-Labriola vedi anche il primo capitolo della parte prima 
(La giovinezza di A. Labriola, pp. 9-81). L’a. tende ad 
attenuare il nesso S.-Labriola, rifiutando la tesi proposta da 
G. Berti (per il rilievo dei limiti della posizione di S., cfr. 
anche l’introduzione di W. All’edizione de La filosofia 
italiana, da lui curata [cfr. n. 99], pp. 5-19). 


285. D. D'ORSI, Uxa scoperta di notevole importanza; il 
testo inedito della “Fenomenologia” di Bertrando Spaventa, 


in “Sophia”, XXXIII (1965), n. 1-2, pp. 138-147. 


Ctr.fa- 123; 


286. E. GARIN, Antonio Labriola e i saggi sul 
materialismo storico, introduzione a A. LABRIOLA, La 
concezione materialistica della storia, Bari, 1965, p. VII- 


LXV. 


Cfr. n. 290. 


287. S. LANDUCCI, L’hegelismo in Italia nell’età del 
Risorgimento, in “Studi storici”, VI (1965), pp. 597-628. 


Alcuni temi già individuati in precedenti analisi [cfr. n. 


2604 


276, 282] sono ripresi qui e riproposti nel più ampio 
disegno di “un problema autentico nostro, di noi italiani” 
(p. 597, n.): un problema di “tradizione”, nei confronti di 
quell’hegelismo che “non è stato solo un movimento 
accademico, di professori, ma è stato un elemento della vita 
civile della nazione nel momento culminante del suo 
Risorgimento” (p. 615). C'è una duplice “eredità teorica” 
dello S. La scoperta della dimensione “pratica” 
dell’autocoscienza, nella rielaborazione della Ferorzenologia 
(pp. 605 sg.); la rivalutazione del “positivo umano” (pp. 607 
sgg.); la reinterpretazione della logica hegeliana nei termini 
di una metodologia imperniata sulla “definizione genetica” e 
il disegno di una antropologia filosofica, non naturalistica 
(p. 610): questa è l'eredità ripresa da A. Labriola. C’è anche 
l'eredità dell’ultimo S., raccolta da Jaja e da Gentile: la 
“rivendicazione dell’apriori gnoseologico”, che mette capo a 
“una forma di umanismo spiritualistico” (p. 611); l’ultimo S. 
lavora alla “conservazione del sistema [hegeliano]... con 
modificazioni al suo interno” (p. 614; sul “riformismo” di S. 
in sede di logica, cfr. pp. 603 sg., e relativa nota). 


Più complesso appare il discorso sullo S. politico. Per lui 
(come per De Sanctis, De Meis, ecc.) si “fanno subito avanti 
problemi di sviluppo ideologico legati allo sviluppo politico 
del nostro paese”; problemi che non si risolvono registrando 
-— semplicemente — la “conversione” di alcuni intellettuali 
democratici a posizioni di moderatismo variamente 
colorato, o rubricando, per S., le polemiche contro la 
“Civiltà cattolica” e le riflessioni sul rapporto stato-chiesa 
sotto la voce: “anticlericalismo” di moda (pp. 614, 627). Dal 
1848 l’hegelismo italiano acquistò un vigore “civile” che non 
andò perduto dopo il 1860. “Se nacque in provincia e finì 
poi come fenomeno ‘europeo’, nel suo momento di maggior 
vigore l’hegelismo italiano fu altro: un fatto nazionale — 


2605 


come interpretazione della rivoluzione ‘nazionale’ che 
s'andava compiendo e sollecitazione per uno sviluppo 
moderno, avanzato, di essa; e come teoria, in una parola, 
della connotazione eminentemente politica che avrebbe 
dovuto assumere il concetto di nazionalità” (p. 616). 
Riaffiorano ora nel discorso di L. temi già emersi nello 
scritto sul giovane S. [282]: l’appello alla Filosofia della 
storia, il motivo hegeliano-illuministico della ragione che 
“rovescia l'esistente”, il superamento del cosmopolitismo 
astratto (Vera) e del cosmopolitismo reazionario, 
controriformistico (Gioberti), nelle prime lezioni 
napoletane. Nella teoria della “circolazione”, al di là degli 
schemi e delle forzature, va letto “l’avvertimento di un 
problema reale, e di un grande problema, anzi la prima 
esatta presa di coscienza di esso in senso critico, il problema 
stesso al quale si ritroverà di fronte anche il Labriola in 
rapporto al materialismo storico”: il problema della 
tradizione nazionale. “Che l’hegelismo di Spaventa non sia 
stato solo teoria della rivoluzione nazionale, ma anche, in 
connessione, posizione del problema stesso della ‘tradizione 
nazionale’, comporta di nuovo ch’esso non risulta chiuso 
nella sua epoca storica, bensì lascia un’altra eredità che 
attraverso una linea precisa torna a giungere a noi. Inoltre, 
della concreta ricostruzione spaventiana rimangono 
indicazioni non più smentite: Bruno, Campanella, Vico” (p. 
620). E restano la battaglia contro il giobertismo, contro l’ 
“abito retorico” e la “mentalità retrograda” dei secoli bui, 
resta la rivendicazione dell’Italia del “libero pensiero” 
contro l’Italia “dei carnefici e degli oscurantisti” (p. 621). Le 
ultime pagine (622 sgg.) ribadiscono il “carattere 
accentuatamente radicale” che l’hegelismo di S. seppe 
mantenere anche negli ultimi scritti dedicati alla discussione 
di questioni etico-politiche; i motivi ispiratori del “giovane” 


2606 


S. continuarono ad operare nella difesa dello stato laico, che 
trae “la sua legalità dalla sovranità popolare anziché dal 
diritto storico o da consacrazioni superiori”, e nella 
delineazione di un “ethos nuovo” (p. 627 sg.). Questa è 
l'eredità che rimane, malgrado le formulazioni 
“ideologiche” di cui pur appare rivestita; “se una memoria 
tragica si è storicamente interposta fra noi e la formula dello 
‘stato etico’, ben di qui si impone di riattingere nella sua 
genuinità il contenuto di quell’eticità reale che allora 
rivendicarono, quando si costruiva una realtà nuova, i nostri 
hegeliani” (p. 628). 

Dello stesso autore va segnalato anche il volume: Cultura 
e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano 1964, pp. 512. Il 
nome di S. è avvicinato più volte a quello del De Sanctis, per 
indicare i numerosi punti di contatto tra i due autori, sul 
piano di un comune impegno culturale sviluppato in una 
direzione “nazionale” e non astrattamente intellettualistica o 
anacronisticamente  cosmopolitica, con. la piena 
consapevolezza del compito “politico-pedagogico” che 
spetta al lavoro degli intellettuali. 


288. F. ALDERISIO, Ur articolo inedito di B. Spaventa 
circa l’unità organica della filosofia di Bruno e circa 
l’attinenga di questa con la filosofia di Spinga, in “Giornale 
critico della filosofia italiana”, XLV (1966), pp. 218-225. 


Cfr. n. 124. 


289. D. D’ORSI, prefazione a B. S., Scritti inediti e rari 
(1840-1880), Padova 1966, pp. IX-XVI. 


Cfr. n. 123. 


2607 


290. E. GARIN, Storia della filosofia italiana, 3 voll., 
Torino 1966, pp. XIV-495, VII+496-954, VII+955-1383. 


Da vedere l’ “avvertenza” del 1966, per il raffronto tra 
questa edizione e la precedente [cfr. n. 244]. La seconda 
edizione presenta integrazioni e correzioni soprattutto 
nell’apparato delle note, “trasformato in un inizio di 
bibliografia essenziale ma sistematica”, che rende conto di 
nuove e mutate prospettive storico-critiche. Le pagine che 
riguardano direttamente S. appaiono sostanzialmente 
identiche nelle due edizioni. Si vedano, dell’introduzione 
del 1966 (vol. I), soprattutto le pp. 10-14 (= 1947, vol. I, pp. 
7-10), dedicate alle tesi delle prime lezioni napoletane di S. 
(con qualche riserva sulla storiografia spaventiana “fatta di 
precorrimenti”, ma anche col riconoscimento della sua 
fecondità), nel corso di una rassegna delle diverse 
interpretazioni e valutazioni della tradizione filosofica 
italiana nella storiografia illuministica e risorgimentale, fino 
a Croce e Gentile e agli storici più recenti (su S., cfr. ancora 
pp. 22-24). Nel capitolo sugli hegeliani italiani, a S. sono 
dedicate dieci pagine (vol. III, pp. 1229-1238 = 1947, vol. II, 
pp. 627-636). L’itinerario di S. si snoda, secondo G., senza 
fratture lungo una linea la cui coerenza risulta soprattutto se 
si tengono presenti il programma di rinnovamento culturale 
e i bersagli polemici del maestro; le pagine sulla nazionalità, 
la tesi della “circolazione”, la ricerca di un hegclismo 
“autonomo” (S. “intendeva ascendere alla sua logica 
attraverso una sv4 fenomenologia”) si accordano bene con 
le ultime indagini sul “valore dell’esperienza”, rivalutata 
appieno in nome di un “assoluto umanismo”, che è “rigida 
aderenza all'attualità spirituale nella sua storica 
concretezza”. 


Un “epilogo” (rinascita e tramonto dell’idealismo, vol. II, 


2608 


pp. 1261 sgg.) aggiunto nella edizione del 1966, indica già 
nel titolo il taglio con cui è condotto il discorso sulla 
filosofia italiana del Novecento. Si conclude accennando a 
una “problematica nuova”, ispirata alla lezione di Gramsci; 
e si apre con un richiamo alle reali, autentiche esigenze di S., 
filosofo “della rivoluzione” negli anni giovanili, aperto più 
tardi a una problematica ‘positiva’, anche se 
antipositivistica, mai chiuso entro “limiti provinciali”; 
interprete, sì, di Galluppi, Rosmini e Gioberti, teorico certo 
della “circolazione”, ma “sotto la doppia urgenza di un 
processo politico in atto, e di una presa di posizione 
polemica all’interno di quel processo politico medesimo”. 
La figura di S. appare nella sua giusta luce, più che nelle 
interpretazioni “speculative” dei suoi scritti, nella lettura 
attenta delle sue pagine polemiche, contro la tradizione 
platonizzante della filosofia italiana, contro il 
“rinnovamento” del Mamiani; si disegna chiara nella «più 
sfumata discussione del positivismo: una discussione, 
questa, ben consapevole dell’importanza dell’avversario”. 
Qui, S. si incontra con De Sanctis (vol. III, pp. 1262-1264). 


Questa insistenza sull’umanismo di S., sul carattere 
“positivo”, “critico” del suo filosofare; questa nuova 
presentazione del parallelo S.-De Sanctis (e del rapporto S.- 
Labriola), rimandano alla lettura di altre pagine di G. 
Intanto, al primo capitolo delle Cronache di filosofia italiana 
(nell'edizione del 1966 [Bari], pp. 1-20; cfr., in particolare, 
pp. 14 sgg.). Poi, allo scritto Antonio Labriola e i saggi sul 
materialismo storico, premesso a A. Labriola, La concezione 
materialistica della storia, Bari 1965, pp. VII-LXV. Sono da 
vedere, qui, soprattutto le’ pp. XXII-XXX, 
sull’insegnamento di S. dopo il 1862, e sul peso che ebbe, 
quell’insegnamento, nella formazione di Labriola. Il 
“rapporto fra Labriola e S., così come l’hegelismo e 


2609 


l’herbartismo coesistenti dialetticamente in Labriola, e il suo 
atteggiamento tanto duramente polemico contro il 
positivismo, e poi il suo movimento verso il marxismo, non 
si intendono se non si restituisce il suo volto al magistero 
napoletano di S. dal ‘62 in poi, così poco hegeliano 
‘ortodosso’, ma anche così lontano dalle vie percorse, 
attraverso l’esperienza feuerbachiana, dai ‘giovani hegeliani” 
tedeschi” (p. XXIX). L'incontro S.-Labriola ha avuto un 
significato decisivo, che va ribadito, non certo “ai fini di più 
o meno artificiose genealogie (Hegel-S.-Labriola) o di 
improponibili simmetrie (Hegel-S.-Labriola, corze Hegel- 
Feuerbach-Marx). Quel che importa sottolineare è altro: è la 
trascrizione della ‘circolazione’ operata da Labriola sul 
terreno storico, nel senso che nell’Italia comunale si 
individua l’avvio della società borghese (‘comincia prima 
che altrove... e poi si arresta’), ponendosi così il problema 
dei motivi di quell’arresto, e l’esigenza di una 
consapevolezza, necessaria per rientrare nel circolo del 
processo politico europeo” (p. XX sg.). Non basta, però: c’è 
un passaggio reale, un legame che resta, tra il rigore critico e 
scientifico del maestro, e quello dello scolaro, avviatosi poi 
su altra strada. Da S., Labriola eredita l’ “immagine della 
filosofia come ‘scienza’, come elaborazione di concetti, 
come coscienza critica”, “contrapponendola alla ‘filosofia 
scientifica”; con S., Labriola vede in Hegel “un punto 
fermo, ma non un sistema definitivo”; più tardi, “vedrà 
analogamente in Marx una conquista in campi determinati, 
una tappa necessaria, un’acquisizione metodica essenziale, 
non un’ ‘onniscienza’, una enciclopedia da ripetere per 
sempre” (p. XXXII). In questa prospettiva si può parlare di 
un nesso S.-Labriola, presentato qui in pagine che vogliono 
servire a illuminare la figura e l’opera di entrambi i filosofi. 


2610 


291. M. A. RASCHINI, Validità e limiti 
dell’interpretazione spaventiana del Rosmini e del 
Gioberti, in “Giornale di metafisica”, XXI (1966), pp. 
265-269. 


“Lo Spaventa afferma che la coscienza o unità originaria 
del conoscere come puro conoscere, in quanto è sintesi, è 
relazione tra i termini ad essa immanenti. In questo concetto 
fondamentale di relazione sta il problema attraverso cui 
cercare l’incontro; esso è veramente il centro della 
problematica post-kantiana e, per quel che ci interessa, 
spaventiana, rosminiana, giobertiana”. Su questo piano, che 
fissa i limiti entro i quali è autentico l’incontro di S. con 
Rosmini e Gioberti, può svilupparsi un discorso che indica 
nel concetto di “relazione” proposto da S., e nella dialettica 
che dovrebbe esprimerla, la “contrazione di una tesi più 
ampia”, di una più valida “mediazione” che, in Rosmini e 
Gioberti (e sia pure con qualche differenza tra i due autori), 
è aperta alla ricerca di una fondazione ontologica. 


292. G. VACCA, Recenti studi  sull’hegelismo 
napoletano, in “Studi storici”, VII (1966), pp. 159-209. 


L’ampia rassegna prende in esame tutti gli studi apparsi 
nell’ultimo quindicennio, ma si richiama anche a lavori e 
prospettive meno recenti (Croce, Gentile, L. Russo...) per 
presentare un preciso raffronto delle diverse linee in cui si 
svolgono, convergendo o divergendo fra loro, le varie 
interpretazioni. Il discorso critico di V. — sviluppato in 
forma autonoma nella ricerca condotta dall’a. sul nesso di 
politica e filosofia nello S. [cfr. n. 295] — è ispirato dalla 
esigenza di riconoscere nel momento etico-politico e 
politico-culturale il filo conduttore di tutta l’opera del 


2611 


filosofo napoletano. Tra le opere richiamate o esaminate 
dall’a. interessa qui segnalare: gli studi di G. Arfè [254], G. 
Berti [255], P. Zambelli [274], I/ giovane Spaventa di S. 
Landucci ([282]; ma anche il lavoro su De Sanctis e la 
relazione del 1965 [287]), lo Spaventa e Vera di A. Plebe 
[252], i lavori di I. Cubeddu [275, 278] e di G. Oldrini 
[283]. 


293. M. AGRIMI, Bertrando Spaventa e l'eredità 
hegeliana, in “Trimestre”, I (1967), n. I, pp. 141-153. 


Ampia nota, che prende l’avvio dal recente volume di G. 
Vacca [cfr. n. 295], “un lavoro rigoroso e certamente il più 
completo ad articolato sull'argomento, che inquadra 
l’accurata informazione critica e la dettagliata e lucida 
ricostruzione dello svolgimento del pensiero spaventiano in 
una più ampia prospettiva storiografica” (p. 150). A 
proposito del libro di Vacca, l’a. conclude: “Una così 
energica rivalutazione di Spaventa non può comunque non 
determinare un riesame della linea di svolgimento del 
pensiero italiano contemporaneo: linea peraltro in più parti 
indistinguibile o appena tratteggiata. Può muovere da 
Spaventa un filone di pensiero in direzione di una filosofia 
della prassi? Non è facile ammetterlo, e comunque si 
dovrebbe passare per mediazioni e recuperi molto difficili. 
Ma sono ancora ammissibili ricerche di genealogie 
filosofiche ‘nazionali’, in cospetto di eventi storici che ci 
costringono a ‘pensare mondialmente’? Gramsci, come si sa, 
su questo terreno urtava non di rado in contraddizioni e 
incertezze...” (p. 152). Per l’a., resta aperto il problema di 
“stabilire le ragioni per cui, malgrado l'appassionato sforzo 
spaventiano, l’hegelismo non riuscì a divenire l’ideologia 
politica e culturale del nuovo Stato nazionale...” (p. 148; 


2612 


cfr. p. 152: “lhegelismo spaventiano esce dalle pagine del 
Vacca ricco di una carica innovatrice e progressista, che non 
sembra però incidere sulla vita nazionale del tempo”). Per 
qualche suggerimento offerto dall’a., si veda, tra l’altro, pp. 
148. sg.: la teoria spaventiana della circolazione, 
l'adattamento dell’hegelismo “all’antica tradizione italiana” 
finisce col ricongiungersi — o comincia a ricongiungersi — 
con le intenzioni di uno storicismo pacificatore, che ha 
perduto il senso della lezione illuministica, il senso della 
“insopprimibile distanza” e dello “scontro dialettico tra 
‘razionale e reale’, tra ‘verità’ e ‘storia’, tra ‘pensiero’ e 
‘realtà’, condizione indispensabile di una tensione 
costruttiva e progressiva rivolta a trasformare la realtà...”. 


294. S. ONUFRIO, Lo “stato etico” e gli hegeliani di 
Napoli, in “Nuovi Quaderni del Meridione”, V (1967), 
pp. 76-90, 171-188, 271-287, 436-457. 


Alle pp. 76-90 e 171-188, ampia rassegna degli studi sul 
pensiero politico degli hegeliani napoletani, pubblicati a 
partire dal 1920 (l’a. esamina tra gli altri i lavori di De 
Ruggicro [202], S. Caramella [201], L. Russo [210], il S/vz0 
Spaventa di P. Romano [P. Alatri; 1942], gli studi della 
Zambelli [274] e di G. Berti [255], il volume di G. Oldrini 
su Vera [283]). Alle pp. 271-287 Onufrio affronta un 
riesame degli articoli del “Nazionale” (anche in connessione 
con le indicazioni di G. Vacca [295]); e nelle pagine 436- 
457 offre al lettore una analisi degli scritti politici di S. — 
dagli articoli sul “Progresso” ai Principi di etica — che, pur 
accogliendo diverse indicazioni dei più recenti studi 
sull'argomento, si conclude con il rilievo dell’ispirazione 
sostanzialmente liberale della filosofia politica del vecchio 
hegeliano. 


2613 


295. G. VACCA, Politica e filosofia in Bertrando 
Spaventa, Bari 1967, pp. 301. 


Tutti gli scritti di S. sono sorretti da “un’intenzione 
politico-culturale, risalente ad una precisa’ visione 
dell’unificazione nazionale e della necessaria ricostruzione 
culturale. La curvatura ideologica con cui Spaventa visse i 
fatti e le passioni del Risorgimento italiano, si delinea 
dunque come il filo rosso della sua filosofia”. L'analisi, 
condotta attraverso il continuo riferimento al terreno in cui 
si incontrano passione politica e riflessione teorica, restaura 
la connessione “genetica” dell’ “intero impianto” della 
filosofia di S. e consente la presentazione di uno S. 
“modernissimo e ‘europeo’, che andava smarrito nella 
prospettiva attualistica” (p. 7). La monografia di V. è 
sviluppata nella linea dei recenti studi, che tendono a 
recuperare la dimensione etico-politica dell’opera di S. (per 
una discussione di questi scritti impostata dall’a. del libro, 
cfr. n.292). V. disegna tuttavia con tratti più decisi la figura 
del primo S. democratico, ricollegando gli scritti sul 
“Progresso”, anche quelli ristampati nel 1963 [118], 
all’attività del “Nazionale”, e restaurando le linee di una 
“formazione politica militante” dei due S.; e rimette in 
discussione l’opera dello S. maturo, dello storico, del 
riformatore della dialettica e del critico del positivismo, che 
nasconde “a livelli sempre nuovi e a volte estremi di 
mediazione” (p. 66; cfr. pp. 119, 171), senza però 
abbandonarla, l’ispirazione e le esigenze originarie (l’ultimo 
capitolo si intitola: Storicismo e antropologia. La filosofia 
come fondazione metafisica della prassi). 


Il primo capitolo (Il “Nazionale” e il ‘48 napoletano nella 
formazione degli Spaventa, pp. 9-62) si conclude con 


2614 


un’importante appendice (pp. 63-84), in cui l’a. affronta il 
problema della formazione di B. nel decennio 1840-50, 
riprendendo l’ipotesi della sua collaborazione attiva al 
“Nazionale” e alla rivista di Silvio del 1844. È evidente lo 
stretto rapporto (identità di temi, e finanche di espressioni 
letterali) che lega gli articoli di B. del 1851 a quelli del 
“Nazionale”, attribuiti a Silvio. Le origini delle convinzioni 
democratiche e repubblicane degli S., la fonte — non libresca 
— del socialismo (si parla però di “una non ben precisa 
forma di socialismo” a p. 88; e cfr. p. 90 e relativa nota 13, a 
p. 144) di B., piuttosto che nella lettura del noto libro di L. 
Stein sul socialismo e comunismo in Francia, vanno ritrovate 
nell’azione politica dei due fratelli, nella loro appartenenza 
ad “uno schieramento politico che concepiva la lotta per 
l'indipendenza strettamente intrecciata alla lotta per 
l'emancipazione politica e costituzionale, senza ancora una 
precisa subordinazione della seconda alla prima” (p. 13). 
Contro il vecchio giudizio di Croce, V. parla dello schietto 
“liberalismo democratico’. (e non, semplicemente, 
“progressista”) degli S.; i quali, quando cederanno 
all'iniziativa piemontese, rimarranno tuttavia sempre fedeli 
alla loro concezione dello stato come formazione storica 
destinata ad evolversi sotto la spinta di nuove idee e dì nuovi 
bisogni (p. 16). AI di là di una prima caratterizzazione degli 
schieramenti politici e delle varie correnti compresenti, 
anche contraddittoriamente, nella stessa redazione del 
“Nazionale”, la ricostruzione della linea seguita dagli S. 
viene precisandosi attraverso la lettura del giornale di Silvio: 
V. documenta le “simpatie repubblicane” del “Nazionale” 
(p. 28 sgg.), ravvisa nei suoi articoli la difesa di una 
democrazia “piena, politica e sociale’, contro il 
contrattualismo giusnaturalistico (p. 31), chiarisce il 
carattere “strumentale” dell’ “albertismo” di Silvio e 


2615 


dell’accostamento al programma neoguelfo (pp. 33 sgg.), 
distingue dall’ “unitarismo” e dal “gradualismo” tattico (p. 
36) un complesso di richieste illuminate da principi più 
avanzati. E l’analisi si concentra su due temi che saranno 
costantemente presenti nei primi scritti di B. a Torino: l’idea 
di nazione e di stato, e la sovranità popolare (pp. 36 sgg.). 
Quanto al primo: il rapporto fra Stato e nazione è costruito 
secondo una dialettica idea-esperienza, dover essere-essere, 
che comporta e mantiene una polarità, per cui giammai 
l'essere annichila il dover-essere” (pp. 39 sg.). E, per il 
secondo punto, V. spiega la coesistenza della difesa della 
sovranità popolare con la critica della “volontà generale”, 
riadducendo quest’ultima non ai paragrafi antigiacobini 
della Filosofia del diritto di Hegel, ma alla convinzione che 
la legge del numero, meccanicamente intesa, serve a 
contrabbandare una forma particolare di volontà, in luogo 
della volontà del popolo. Emergono ancora, a chiusura del 
capitolo, tre punti importanti: il rilievo di una prima critica 
del diritto di proprietà come diritto innato (pp. 43 sg.); 
quello dell’apertura alle masse popolari, come sostegno 
indispensabile della rivoluzione; infine, in connessione con il 
punto precedente, la “formulazione di una teorica politico- 
pedagogica dello stato — che sarà compito degli Spaventa 
maturi sviluppare —, nella quale è sempre più chiaramente 
visibile la preoccupazione di accompagnare la fondazione 
del nuovo Stato alla fondazione di una reale egemonia 
borghese” (p. 46). 

Il secondo capitolo (Politica e filosofia nel primo Spaventa, 
pp. 85-152), studia gli scritti spaventiani del 1850-51, 
rilevando il carattere “pratico” dell’hegelismo di S., accolto 
in origine come strumento di rottura dell’egemonia eclettica 
operante nel liberalismo moderato napoletano (p. 121). 
Questa genesi dell’idealismo spaventiano va tenuta presente 


2616 


per una corretta lettura delle pagine “hegeliane” di questi 
anni. La difesa, dalle colonne del “Progresso”, della 
democrazia repubblicana e l'affermazione della necessità 
della “riforma sociale”, condizione anch'essa della pacifica 
convivenza di libere nazioni, vanno ricondotte ad 
un’autonoma concezione della storia, in cui è accentuato 
“laspetto deontologico del principio della libertà e della 
razionalità del reale” (p. 92). La funzione degli intellettuali 
così come è prospettata da S. richiama l’immagine 
illuministica del philosophe, piuttosto che la figura dell’ 
“eroe” hegeliano (p. 94). La distinzione di “utopie” e “idee 
storiche”, e la critica delle “utopie”, si sviluppa in virtù di 
“un criterio di discriminazione fra filosofie teologiche e 
filosofie scientifiche”, conformemente al “principio di una 
perfetta rispondenza, sempre, del pensiero con determinate 
posizioni della vita” (p. 97). Quello di S. è uno “storicismo 
avanzato”; la realtà è storia in quanto “opera umana”, 
“lavoro”; e 1° “assoluta mediazione” coincide col processo 
infinito della prassi (p. 101). La concezione politico- 
pedagogica dello stato, primo nucleo dello “stato etico”, 
nasce da una critica degli stati liberali sorti dalle rivoluzioni 
borghesi; nella polemica spaventiana sulla libertà 
d'insegnamento è posto in primo piano il problema 
“dell’eguaglianza materiale delle condizioni sociali dei 
destinatari dell’insegnamento” (p. 106). S. mira ad “una 
egemonia ideale laica come portato e cemento di una 
moderna costruzione pubblica dell’organizzazione della 
cultura” (p. 114); la richiesta si fonda sulla “concezione 
della filosofia come coerenza e rigore di principi, come unità 
logica del pensare e dell’operare degli uomini”: un “dato 
permanente del ‘carattere’ di Spaventa” (p. 115). La fedeltà 
a Hegel degli scritti del 1850-51 è apparente; nel processo di 
“adattamento dell’hegelismo alle lotte rivoluzionarie del 


2617 


Risorgimento” (p. 127). Si determina una elaborazione 
autonoma di temi hegeliani che tocca questioni di principio 
e di metodo. L’a. torna ora sulla “caratterizzazione 
deontologica del nesso reale-razionale” (p. 125), che 
distingue la filosofia di S. dalle ricostruzioni speculative del 
processo storico; l'identità di pensiero e essere affermata 
negli Studi del 1850 implica che la riflessione possa 
“spaziare fino ad identificarsi con tutta la storia degli 
uomini, nel senso di costituirne e rivelarne l’unità, 
l’intercompenetrazione e la conoscibilità da parte 
dell’uomo, come conseguenza dell’essere quella opera sua” 
(pp. 132 sg.). La riflessione non è abbandonata al gioco dell’ 
“astrazione indeterminata”; S. sa che la “concretezza” del 
nesso delle determinazioni astratte (ma non, appunto, 
“generiche”) fissate dalla riflessione non riposa su una mera 
“autoconsapevolezza dell’unità dell'esperienza, che rifiuti, in 
ultima analisi, la differenza”; lo sa “per un’originaria 
intelligenza della dialettica come nesso del pensiero come 
riflessione con l’essere come lavoro umano” (p. 135), come 
mostrano proprio le sue pagine sul tema del lavoro, visto 
sempre alla luce di rapporti e relazioni concrete (pp. 135 
sg.). Le pagine conclusive del capitolo offrono un primo 
quadro dei motivi che caratterizzano l’autonomia 
dell’hegelismo spaventiano (uso determinato della 
astrazione, consapevolezza del nesso storico di filosofia e 
vita, critica della metafisica teologica, teorizzazione del 
primato del fare, rifiuto, in ultima analisi, della “scissione 
hegeliana degli opposti”, pp. 138 sgg.). 


I mutamenti che affiorano nel programma di S. dopo il 
1851 sono studiati nel terzo capitolo (Etica e politica della 
maturità, pp. 153-217), che si conclude con un’analisi degli 
Studi sull’etica hegeliana (pp. 192 sgg.). Negli anni in cui il 
filosofo dà la sua adesione alla politica ufficiale del 


2618 


Piemonte, va registrato un atteggiamento più distaccato — 
ma sempre “oggettivo” — nei confronti del socialismo (p. 
157). La democrazia difesa da S. perde molti contorni 
specifici; il riferimento alle lotte sociali in Francia sembra 
abbandonato per il richiamo a un liberalismo di tipo inglese. 
È cambiato, del resto, il bersaglio della polemica: ora S. 
combatte i clericali, i fautori dell’assolutismo, anche a difesa 
delle “grandi conquiste della civiltà borghese”, ma “senza 
identificarsi”, sottolinea V., “specie sotto il profilo delle 
matrici culturali — con i valori della civiltà liberale” (p. 160). 
S. si mostra del resto ancora un giacobino nella nota 
discussione del rapporto religione-filosofia, stato-chiesa (e 
qui V. respinge i rilievi di “astrattezza” avanzati da Croce e 
da L. Russo [cfr. nn. 206, 210]). S. difende una “concezione 
dello stato ‘in termini di egemonia’, destinata ad una resa 
dei conti critica con l'ideologia liberale” e che “non ha nulla 
a che spartire con le successive ideologie totalitarie” dello 
stato etico (p. 162; e cfr. pp. 183, 186, 192 sgg.); è in questa 
prospettiva — di “critica dei limiti formalistici della 
democrazia liberale” (p. 170) — che vanno letti gli articoli 
sulla politica dei gesuiti e il rifiuto della rousseauiana 
volontà generale (pp. 163-170). Ed è ancora questa 
prospettiva che consente di far riaffiorare tutti i contorni del 
“disegno politico” implicito negli studi sulla filosofia italiana 
e sulla filosofia classica tedesca, disegno che presenta ormai 
in forma molto mediata, ma non stravolta, l’originaria 
ispirazione democratica del suo autore. “L’unificazione 
reale della società, che ancor il ‘51 era un compito politico, 
per Bertrando, è divenuto, al momento dell’unità, un 
compito di i/luminazione culturale e ideale” (p. 182). S. Si 
limita ora a “vagheggiare una missione pedagogicopolitica 
della scienza in quanto tale” (p. 180); elabora temi e affina 
strumenti “ideali” di unificazione (l’ “unità dello spirito”, 


2619 


della “mente”, 1’ “identità di conoscere e fare”, l 
“autonomia del pensiero” e la sua “infinità”) che valgono 
come premesse di una realtà ancora da costruire; ma 
abbandona, anche, le analisi storiche in termini di dialettica 
delle “classi”, e accorda la sua preferenza a categorie come 
“nazione”, “spirito nazionale”, ecc. (p. 183, e cfr. p. 189). 
Senza riprodurre le numerose osservazioni che riguardano 
gli altri scritti spaventiani (soprattutto le lezioni napoletane 
del 1861) vediamo come l’a. si serve di questi rilievi per la 
lettura degli Studi sull’etica begeliana [80, 97]. La preferenza 
accordata a certe categorie (la comunità nazionale, 
identificata senz'altro con la comunità etica) può condurre e 
di fatto conduce S. ad un uso non corretto della astrazione 
(assunzione di strutture particolari dello stato nazionale 
moderno come contenuto “puro” dell’ethos). Un caso 
macroscopico è offerto dalla deduzione della “eternità” 
delle classi e della divisione in classi in base allo schema 
generico della divisione del lavoro. Tuttavia nelle riflessioni 
sullo stato, ‘organo essenziale del disegno egemonico dello 
Spaventa” (p. 192), Si assiste “ad una più corretta 
combinazione del metodo dialettico. con. un uso 
relativamente determinato dell’astrazione” (p. 197). Lo stato 
è la “mediazione vivente dei processi storici che maturano 
nella società civile”, è l’unità-risultato “della più ampia e 
libera partecipazione dei singoli a formare la volontà politica 
che nello stato si fa soggetto” (p. 199). La concezione dello 
stato come funzioneverità della società civile è costruita 
proprio attraverso la denuncia di una serie di mediazioni 
mancate: come mostrano, p. es., le pagine sulla 
“costituzione”, nelle quali si legge la condanna di chi 
vorrebbe mantenere lo stato al di sopra delle lotte sociali, 
“mentre il problema è di fondare uno stato etico, capace di 
interpretare e di tradurre in istituzioni, al limite sempre 


2620 


nuove, tutta l’eticità di un popolo: i suoi bisogni materiali e 
spirituali, le sue ragioni, le ragioni della sua storia” (p. 200). 
Certo, l'esigenza di un legame più stretto dello stato con la 
società civile è in primo luogo, in questi anni, ricerca di un 
“consenso ideale delle masse popolari italiane al nuovo 
stato”, su di un piano “culturale” (pp. 202 sg.); ma la critica 
del contrattualismo e della concezione sostanzialistica dello 
stato, costruita in virtù di una logica che sa vedere la matrice 
comune delle opposte teorie, liberale e assolutistica, 
corrisponde ancora a una concezione democratica: “purché 
con tale aggettivo si intenda non già riferirsi alle esperienze 
storiche degli stati liberal-democratici”, ma ad “una forma 
di stato, se si vuole originale, che abbia una funzione attiva e 
motrice verso la società civile, nell’intento di superare la 
propria scissione da essa, prodotta dalla civiltà borghese...” 
(p. 204). 

L’ultimo capitolo (pp. 219-295) è dedicato 
all’interpretazione della “metafisica” di S., i. e. della sua 
filosofia della “relazione” o “mediazione assoluta”, 
sviluppata attraverso una critica sempre più approfondita di 
Hegel e nella prospettiva di una nuova impostazione del 
rapporto teoriaprassi, scienza-filosofia. Nelle pp. 221-233 
sono anticipate le conclusioni generali, attraverso un diretto 
riferimento ai risultati acquisiti nei capitoli precedenti. La 
costruzione della filosofia come fondazione metafisica della 
prassi avviene in varie tappe. La prima è individuata nella 
cosiddetta “parentesi” del 1858 [113], che studia il rapporto 
fenomenologia-logica, giungendo tuttavia a un risultato 
ancora “idealistico” (nel senso dell’idealismo soggettivo: il 
soggetto è, immediatamente, autocoscienza, e non viene 
superato il parallelismo di natura e pensiero; pp. 237-240). 
Le riflessioni sullo stesso tema raccolte nelle prime lezioni 
napoletane (1861) rappresentano un secondo momento 


2621 


della costruzione: qui S. continua ad avvertire l’insufficienza 
dell'identità logica di essere e pensiero (tutto è logico, ma la 
logica non è tutto) e cerca, invano, di uscire dallo schema 
della mera pensabilità attraverso “il sistema della logica e 
della fenomenologia, combinate”; invano, giacché la 
fenomenologia, che dovrebbe fondare la logica, non riesce a 
fondare neppure se stessa, dato che la coscienza è assunta 
originariamente come un fatto che non si prova (pp. 240- 
244). L'identità (e l'opposizione) immediata — e quindi 
“inerte” — che si presenta nella coscienza, come fenomeno, 
si riproduce come tale sulla soglia della logica; 
Trendelenburg rischia di avere ragione. Tra le riflessioni del 
1861 e il saggio sulle Prize categorie (quarta fase) si 
collocano le lezioni di antropologia del 1863-64, e la 
Filosofia di Gioberti (1863): in queste pagine V. rintraccia 
(pp. 244-249) l'acquisizione di un punto di vista (è il “vario 
sensibile” che “discrimina” l’esperienza del soggetto; il vero 
immediato-mediato è la natura, non la coscienza; e il 
rapporto di materia e idea è un rapporto di “continuità e 
compenetrazione dialettica”, p. 247) che prepara la 
soluzione delle Prize categorie (pp. 249-253). Qui S. 
afferma l’ “identità del puro pensiero-essere con il puro 
pensiero-volere”: autocoscienza, certo, ma come “risultato e 
espressione formale di quell’eterna mediazione con se stesso 
che è il soggetto pratico-storico”, cioè come “il più alto 
attributo” dell’ “uomo storico concreto” (pp. 249, 244). Il 
pensiero dal quale non si esce, che nella massima astrazione 
(l’astrazione da sé) ritrova se stesso e la conferma di sé, “non 
è se non la prova della infinità e della processualità del 
pensiero come esserci, esistenza, esperienza” (p. 251), la 
necessità, pensata, dell’infinita attività umana: attività, i. e. 
“risoluzione”, “deliberazione”, “e non certo solo giudizio” 
(p. 252). Ai due momenti immediatamente precedenti — che 


2622 


rappresentano la “fase più acutamente evolutiva” degli studi 
hegeliani di S. (p. 254) — si ricollega Logica e metafisica: la 
lettura del manuale (pp. 253-267) conferma la analisi degli 
scritti sull’antropologia e sulle Prizze categorie. “Le categorie 
che Spaventa deduce dialetticamente attraverso tutta la 
logica, partendo dal puro essere, sono quelle delle scienze 
nei loro diversi gradi e momenti. Tutte queste categorie 
culminano nella posizione della diade logica per eccellenza: 
la posizione del soggetto e dell’oggetto; e una volta posta 
questa, provano di dipendere da essa, che è la posizione del 
nesso dialettico assoluto capace di comprenderle (produrle) 
tutte in quanto posizione dell’uomo storico concreto. La 
logica prova allora la storicità di tutto il sapere, nel duplice 
senso che esso dipende e riceve senso e valore dalla 
posizione storica del soggetto umano. E la prassi umana, che 
è tutto il reale, è veramente tale in quanto si conosce: si fa 
sistema, logismo, scienza (certezza di sé)” (p. 259). E questa 
è l “istanza umanistica” di S. “Il suo problema è di costruire 
scientificamente la certezza umana del mondo in quanto 
mondo naturale-umano. E tale disegno la sua filosofia 
esegue provando questa certezza, in ultima analisi, in uno 
schema logico risultante dalla suprema astrazione di cui il 
pensiero come tale è capace rispetto a se stesso in quanto 
determinato” (p. 263). La filosofia come mediazione o 
“relazione assoluta” è “intelligenza del contesto umano nel 
quale le scienze particolari ricevono significato” (p. 265); 
non dissoluzione delle scienze, ma esigenza “di una loro 
integrazione umanistica, presentata in maniera speculativa” 
(p. 265); non “sistema” come “riduzione del mondo a 
filosofia” (= auto-coscienza), ma “sistema dell’esperienza in 
ogni momento del suo farsi”, “critica della ragione storica e 
scientifica” (pp. 266 sg.). Come risulta dalla lettura di 
Esperienza e metafisica, e degli scritti ad essa collegati (pp. 


2623 


267 sgg.), le riflessioni sul rapporto scienza-filosofia, che 
caratterizzano l’ultima fase del pensiero di S., confermano i 
risultati fin qui acquisiti: S. ricerca i “princìpi che 
presiedono all'elaborazione delle scienze umane nella loro 
autonomia e distinzione dalle scienze naturali” (p. 270), sul 
piano di una metafisica delle e idee che non rinnega la 
continuità-distinzione di physis e psiche, ma solo colpisce le 
“rozze” metafisiche che vorrebbero ricondurre la psicologia, 
dal terreno delle scienze storico sociali, su quello del 
naturalismo meccanicistico. La polemica antipositivistica e 
antinaturalistica e la critica a Hegel appaiono, del resto, 
complementari: si vedano (a proposito del rapporto scienza- 
filosofia) le indicazioni di pp. 267 sg., 272 sg. L'appello a 
Kant e la difesa del “trascendentale” — in Esperienza e 
metafisica 6 non’ rappresentano una “ricaduta 
nell’epistemologismo” (pp. 274 sg.), ma continuano a 
ribadire “la posizione della conoscenza come assoluta 
produzione”. In che senso poi le ultime opere di S. 
accentuino e specifichino la distanza che ormai separa il 
filosofo da Hegel, si legge alle pp. 280 sgg. Nello scritto 
contro Teichmiiller, la “negazione” è difesa come semplice 
“ipotesi” dell’ “unità razionale” di una esperienza non 
defraudata dei suoi nessi empiricoprammatici (pp. 282 sg.). 
Ancora: la nota critica a Hegel — che rifiutò l’evoluzione 
naturale — investe uno dei caposaldi del sistema hegeliano: l’ 
“opposizione” di natura e spirito (p. 286). Riflessioni 
altrettanto eterodosse si leggono in Esperienza e metafisica, a 
proposito di Aufhebung e salto qualitativo (pp. 283 sgg.). Da 
queste pagine, e da quelle precedentemente esaminate, V. 
ricava due osservazioni: l'accoglimento del meccanismo, che 
scongiura la trasfigurazione dei processi naturali in processi 
ideali, “è la premessa di quel definitivo ripudio della 
filosofia come sistema analizzato in Esperienza e metafisica”. 


2624 


Ma è anche vero che S. non conclude senz’altro per la 
risoluzione della filosofia nelle scienze, “senza residui”; e 
continua a mantenere l’hegelismo come termine di 
confronto con le scienze. Le due osservazioni si fondono e 
autorizzano una conclusione: “il problema filosofico di 
Spaventa è sempre più chiaramente quello di provare l’unità 
razionale dell’esperienza e l’unità critica del sapere” (pp. 
286 sg.). “Vi è perciò, in Spaventa, lo sforzo di esprimere 
nella filosofia il senso della scienza moderna, di rendere 
esplicito, in quella, l’interno problema di questa” (p. 287). S. 
ha scritto che la metafisica hegeliana è la “profezia” della 
“scienza della moderna esperienza”. Ma Hegel “avrebbe 
certo ricusato una tale lettura della sua filosofia” (p. 288). 


Tra le pubblicazioni apparse dopo il 1967 ci limitiamo a 
segnalare qui: 


BORTOT, L’hbegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze 
1968, pp. 127; ONUFRIO, Vico maestro di Bertrando 
Spaventa, in “Nuovi Quaderni del Meridione”, VI (1968), n. 
21-22, pp. 238-249; I/ primo begelismo italiano, a cura di G. 
Oldrini, con prefazione di E. Garin, Firenze 1969 
(riproduce testi di D. Mazzoni, G. Passerini, S. Cusani, S. 
Gatti, F. De Sanctis, A. Vera e B. Spaventa. Di S. sono 
ristampati i Pensieri sull’insegnamento della filosofia [2] e, in 
parte, gli Studi del 1850 [4]. Molto. importante 
l'introduzione, che offre un quadro assai chiaro delle 
vicende dell’hegelismo italiano nel decennio 1840-1850; 
ricchissime le indicazioni bibliografiche); B. SPAVENTA, 
Unificazione nazionale ed egemonia culturale, a cura di G. 
Vacca, Bari 1969 (nell’antologia sono ristampati: un brano 
degli Studi sopra la filosofia di Hegel [4], alcuni articoli 
apparsi sul “Progresso” [cfr. 5, 10, 11, 12], lo scritto I/ 
lavoro e le macchine [117], una scelta dalla Politica dei 


2625 


gesuiti [101], lo scritto Del principio della riforma [30], brani 
della corrispondenza tra i fratelli S. [125], la prolusione di 
Modena [no], lo scritto Paolottismo, positivismo, 
razionalismo [78], una scelta dai Princìpi di etica [97]. 
Seguono tre-dici lettere inedite di A. De Meis a B. Spaventa 
e G. Ricciardi, già pubblicate in “Il pensiero politico”, I, 
1968, fasc. 2, pp. 225-251; nella stessa annata della rivista 
cit., n. 3, pp. 408-437, era già apparsa, con il titolo 
Introduzione alla riflessione politica di B. Spaventa, 
l'introduzione all’antologia del 1969); G. VACCA, Lo 
hegelismo a Napoli, in “Rinascita”, 12 settembre 1969. 
Alcune Lettere inedite di B. S. a Vittorio Imbriani ha 
pubblicato A. Pellicani in «Realtà del mezzogiorno», ottobre 
1969, pp. 881-891. Pagine di Gentile sullo S. si leggono ora 
in G. GENTILE, Storia della filosofia italiana, a cura di E. 
Garin, 2 voll., Firenze 1969 (con una notevole introduzione, 
che discute tra l’altro della interpretazione gentiliana 
dell’opera e delle tesi storiografiche di S.). Importanti, 
anche per seguire le vicende della stampa degli Scritti 
filosofici [96], le lettere di Croce a Gentile (1896-1899) 
pubblicate nel “Giornale critico della filosofia italiana”, 
XLVII (1969), pp. 1-100; e i due volumi delle lettere 
Gentile-Jaja (in G. GENTILE, Opere, a cura della 
Fondazione Gentile per gli studi filosofici, voll. I-II del 
Carteggio a cura di M. Sandirocco, Firenze 1969). Si 
ricordano infine i saggi di E. Garin, Problemi e polemiche 
dell’ begelismo italiano dell'ottocento (1832-1860), di V. A. 
Bellezza, La riforma spaventiano-gentiliana della dialettica 
hegeliana, di I. Cubeddu, B. Spaventa riformatore di Hegel 
nella cultura italiana del 900, raccolti nel volume Incidenza 
di Hegel (Napoli 1970), a cura di F. Tessitore (pp. 625-662, 
683-756, 757-790; v. anche, nella stessa opera, la bibliografia 
a cura di G. Cacciatore Hegel in Italia e in italiano, pp. 


2626 


1057-1129). 


OPERE DI SPAVENTA PUBBLICATE DAL 1970 AL 
2007 


La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia 
europea, A. MARCHESI (a cura di), Minerva italica, 
ISTE: 

Opere, CUBEDDU I. (a cura di), Sansoni, Firenze 
1972, 3 vol. 

Un frammento inedito di Bertrando Spaventa su Vico e 
Darwin, SAVORELLI A. (a cura di), in “Bollettino del 
Centro di studi vichiani”, IV (1974), pp. 171-175. 

La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia 
europea, P. OTTONELLO (a cura di), Marzorati, Milano 
1974. 

Opere psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi 
alla ricostruzione integrale del pensiero di B. Spaventa: 
inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti 
critici, in “Le ragioni critiche”, IV, (1974), pp. 433-490; V 
(1975), pp. 54-88; 168-198. 

Lezioni di antropologia, D. D'ORSI (a cura di), Casa 
editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1976. 

Psiche e metafisica, D. D’ORSI (a cura di), Casa editrice 
G. D'Anna, Messina-Firenze 1978 

Una lettera di Bertrando Spaventa a Pasquale Villari, M. 
T. RASCAGLIA (a cura di), Istituto italiano per gli studi 
filosofici, Napoli 1981. 

Lezioni inedite di Filosofia del diritto. Modena 1860, G. 
TOGNON (a cura di), in “Archivio storico bergamasco”, 
II (1982), pp. 37-60; 275-290. 


2627 


Esperienza e metafisica, A. SAVORELLI (a cura di), 
Morano, Napoli 1983. 

Prolusione di B. Spaventa al corso di Filosofia del diritto 
(Modena, 4 gennaio 1860), G. TOGNON (a cura di), in 
E. GARIN, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, 
Bibliopolis, Napoli 1983, pp. 41-89. 

Nuovi testi di Bertrando Spaventa, in Rivoluzione, partiti 
politici e stato nazionale, R. DI ATTILIO (a cura di), 
Giuffrè, Milano 1983. 

R. H. LOTZE, Elementi di psicologia speculativa, 
Traduzione italiana di Bertrando Spaventa, D. D’'ORSI (a 
cura di), Casa Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1983. 

Epistolario, RASCAGLIA M., (a cura di), Istituto 
poligrafico dello Stato, Roma 1995. 

Lettera sulla dottrina di Bruno: scritti inediti, 1853- 
1854, SAVORELLI A e RASCAGLIA M. (a cura di), 
Bibliopolis, Napoli 2000. 

Giordano Bruno [edizioni per la scuola], La città del 
Sole, Napoli 2001. 

Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti 
inediti, D. D'ORSI (a cura di), Cedam, Padova 2001. 

Studi sopra la filosofia di Hegel. Prime categorie della 
logica di Hegel, E. COLOMBO (a cura di), CUSL, 
Firenze 2001. 

Le “Lezioni” sulla storia della filosofia italiana nell’anno 
accademico 1861-1862, F. RIZZO (a cura di), Siciliano, 
Messina 2001. 

La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia 
europea, SAVORELLI A. (a cura di), Storia e letteratura, 
Roma 2003. 


La filosofia del Risorgimento: le prolusioni di Bertrando 


2628 


Spaventa, La scuola di Pitagora, Napoli 2005. 

Saggi di critica filosofica, critica e religiosa, DE 
GIOVANNI B. (a cura di), La scuola di Pitagora, Napoli, 
2008. 


OPERE SU SPAVENTA PUBBLICATE DAL 1970 AL 
2007 


R. FRANCHINI, La cultura a Napoli dal 1860 al 1960, 
in AAVV, Storia di Napoli, vol. X, Napoli contemporanea, 
E.S.I., Napoli 1971, pp. 159-217, ora anche in I/ diritto 
alla filosofia, SEN, Napoli 1982, pp. 307-375. 


Nella prima parte del saggio, dedicata alla cultura 
filosofica napoletana dal 1860 al 1900, si mostra grande 
attenzione alla prolusione, con cui iniziò l'insegnamento 
napoletano di Spaventa, sulla Nazionalità della filosofia. 
Oltre a ricordare le numerose contestazioni subite da 
Spaventa orchestrate dall'abate Vito Fornari, da 
Capocelatro, Mola e Crocchetti, si precisa che l’opposizione 
al pensiero del filosofo abruzzese era assai forte persino 
nelle aule universitarie, citando il caso di Tulelli, Professore 
di filosofia morale ed allievo di Galluppi e dallo stesso Tari, 
benché legato a Spaventa da una amicizia di vecchia data, 
per finire con il caso di Vera, hegeliano di prospettive 
radicalmente differenti da quelle di Spaventa. La superiorità 
di Spaventa rispetto a questi suoi rivali si manifesta, 
secondo, Franchini, se si tiene conto della discepolanza del 
filosofo di Bomba, nella quale si possono annoverare 
personalità come Angiulli e Labriola, quest’ultimo 
influenzato poi dalla corrente degli herbartiani. Franchini 
ricorda anche l’altra figura di grande levatura della 
tradizione classica napoletana, Francesco De Sanctis, che 


2629 


però non viene mai posto in conflitto o in contrapposizione 
rispetto a Spaventa. Viene menzionata, inoltre, l’esperienza 
del “Giornale Napoletano di filosofia e lettere”, diretto da 
Spaventa, Imbriani e Fiorentino. Il saggio prosegue poi 
analizzando le altre fasi dello sviluppo culturale della città di 
Napoli a partire dal periodo 1900-1940, affrontando la 
prima e la seconda scuola crociata, oltre al tema della 
filosofia nell'Università tra il 1920 ed il 1960. 


E. GARIN, La “fortuna” nella filosofia italiana, in 
AAVV, L'eredità di Hegel dopo due secoli dalla nascita, 
pp. 77-89, in “Terzoprogramma”, 1971, 3. 


Nell’intervento di Garin la “presenza” di Hegel viene 
giudicata non neutrale né accademica (p. 78) e proprio per 
questa vittima di alterne fortune. Se Romagnosi non esitava 
a definire nebulosa la nozione di “spirito del mondo”, 
benché nemmeno Mazzini svalutasse a tal punto 
l’hegelismo, Spaventa e De Sanctis terranno una posizione 
diversa, se non addirittura opposta. A ragione si precisa 
quale fosse l’importanza della Filosofia della storia nella 
stesura del 1830-31 per la penetrazione del pensiero 
hegeliano in Italia: da Passerini, che ne curò la prefazione 
nel ‘40, a Cattaneo, molti intellettuali si accorsero del genio 
del filosofo di Stoccarda. All’Hegel rivoluzionario di Napoli, 
segue, nel percorso spaventiano, una più attenta lettura della 
Fenomenologia negli anni ‘50, che lo porterà ad una nuova 
interpretazione della filosofia italiana ed europea: Garin 
ripercorre con puntualità le tappe di questa evoluzione, dai 
primi studi del ’50-’53, fino alla prolusione napoletana del 
°61, passando per le crisi e le svolte del ‘55 (comuni a 
Spaventa e De Sanctis). L’autentica esigenza di creare una 
ideologia di supporto alla rivoluzione italiana condusse 


2630 


all’interpretazione della filosofia hegeliana come alternativa 
al neotomismo in Italia. Garin sostiene che ai tempi eroici 
dei primi hegeliani si scivolò nell’aneddoto pittoresco: non 
solo Maturi, ma nemmeno Jaja riuscì a recuperare la forza di 
Spaventa o De Sanctis. Soltanto grazie a Croce e Gentile 
Hegel tornò ad essere studiato e commentato, dando vita 
poi nel corso del Novecento alle correnti più disparato, 
citato a sostegno sia dell’esistenzialismo, sia della teoria 
dello Stato etico. 


L. MALUSA, Bertrando Spaventa interprete della 
filosofia di G. B. Vico, in AAVV, Saggi e ricerche su 
Aristotele, Marsilio da Padova, M. Eckhart, Rosmini, 
Spaventa [etc], Editrice Antenore, Padova, 1971, pp. 71- 
108. 


La rilevanza di Spaventa nel panorama culturale italiano 
si coglie anche considerando la sua influenza sul modo di 
fare storia della filosofia. Il suo scontro con Palmieri sul 
ruolo della scolastica all’interno della tradizione italiana. 
Venendo all’analisi di Vico, si deve rilevare che l’indubbia 
affinità con Vico sulle questioni relative alla distinzione del 
mondo in natura e spirito trovano però un luogo di scontro 
a proposito del ruolo del cogito, sostenuto da Spaventa e 
avversato dal filosofo napoletano. Avendo come obiettivo 
quello di guadagnare grazie all’analisi del pensiero filosofico 
italiano progressiva indipendenza dall’autorità della Chiesa, 
non stupisce che Spaventa abbia svalutato il ruolo della 
grazia e della Provvidenza presente in Vico. Se la linea Vico- 
Kant-Hegel divenne quasi un dogma della filosofia 
neohegeliana italiana, ciò è dovuto indubbiamente 
all'influenza di Spaventa che per primo percorse le tracce di 
questo rapporto. 


2631 


E. GARIN, Hegel nella storia della filosofia italiana, in 
“De Homine”, 38-40, 1971, pp. 68-86. 


Garin rileva il che “il nome di Hegel è indissolubilmente 
legato alla storia d’Italia” (p. 70), considerando non solo 
l’hegelismo napoletano, ma anche i successivi sviluppi legati 
al fascismo. Riferendosi a Orestano, Gentile e Padre 
Agostino Gemelli, Garin mostra l’influenza della filosofia 
hegeliana nel dibattito culturale italiano, accennando a quel 
singolare destino per cui il filosofo di Stoccarda che aveva 
inteso la filosofia come nottola di Minerva inaugurò quella 
stagione in cui la filosofia contribuì ad influenzare 
direttamente gli eventi storici e non solo a comprenderli ex 
post. Proprio su questo punto decisiva è la figura di 
Bertrando Spaventa, che rivisitò il sistema hegeliano in 
chiave antigesuitica. Garin cita anche Passerini come 
precursore e Villari come compagno dello Spaventa in 
questa difficile operazione intellettuale: riportando un lungo 
intervento di Spaventa del 1850 Garin vuole trasmettere il 
clima di entusiasmo che caratterizzò l'avvento 
dell’hegelismo nella Napoli prequarantottesca. L'esigenza di 
un’ideologia del Risorgimento, avvertita da Mamiani e 
Gioberti, fu soddisfatta proprio da Bertrando Spaventa con 
l’immagine del “sacro filo della tradizione”, benché Garin 
rivaluti la posizione di Rosmini e Gioberti rispetto al 
giudizio negativo di Spaventa, il quale fu molto tentato — a 
giudizio di Garin — dalla soluzione dell’attualismo ed del 
soggettivismo. L’articolo prosegue sottolineando 
l’atteggiamento sarcastico assunto da Spaventa di fronte al 
tentativo di accostamento di Hegel a Comte: proprio 
l’importanza del ruolo del positivo rendeva del tutto 
contraddittoria la posizione del positivismo. L'intervento di 


2632 


Garin termina citando le posizioni di Labriola, Gentile e 
Croce di fronte al sistema hegeliano. 


M. QUARANTA, Posttivismo ed hegelismo in Italia, in 
L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e 
scientifico, vol. VI, Dall’Ottocento al Novecento, Garzanti, 
Milano 1971, in particolare le pagine 215-225. 


Le sezioni VII e VIII del saggio di Mario Quaranta sono 
dedicate rispettivamente alla vita e opere di Spaventa e al 
suo pensiero. Nella prima si analizza la vita del pensatore 
abruzzese e si elencano gran parte delle sue opere, nella 
seconda ci si concentra sui tre contributi essenziali: un 
riesame della tradizione filosofica italiana, in particolar 
modo con la teoria della circolazione; una reinterpretazione 
di Hegel tale da escludere qualsiasi intento materialistico o 
teologico; la proposta di una serie di strumenti concettuali 
contro il positivismo, attraverso la figura di Kant, al fine di 
rivalutare umanesimo. 


D. CANTIMORI, La circolazione del pensiero italiano e 
l’importanza del Rinascimento per la filosofia europea, in 
Storici e storia, Einaudi, Torino 1971, pp. 446-254. 


Il breve capitolo dedicato  all’interpretazione del 
Rinascimento di Bertrando Spaventa mostra il tentativo di 
superamento della visione neoguelfa di Gioberti e di 
maggiore profondità rispetto a quelle di Mazzini e Ferrari. 
In particolare si evidenzia quanto stretto sia il nesso tra la 
teoria della circolazione ed il concetto di nazionalità: se è 
vero da un lato che lo Spaventa definisce la filosofia 
moderna come europea, ciò non significa l’eliminazione del 
concetto di nazione, anzi, proprio dal contributo delle 


2633 


diverse nazioni si può parlare della modernità all’insegna 
dell'Europa. Naturalmente il Rinascimento italiano in 
quanto per primo ha turbato l’uniformità di pensiero 
imposta dalla Scolastica. In tal senso si rileva una 
dipendenza profonda da schemi illuministici più che dalle 
tesi hegeliane, che continuano comunque ad essere il 
panorama di riferimento. Il pensiero di Spaventa viene 
dunque definito come quella consapevolezza di sé che era 
mancata al pensiero italiano al suo primo sorgere e che fu 
assunta dal pensiero tedesco grazie alla Riforma protestante. 
Problema di Spaventa non era solo quello di superare 
Rosmini e Gioberti, bensì di assegnare un senso e uno scopo 
alla tradizione filosofica italiana. La rivendicazione 
dell’Italia come nazione e come tradizione filosofica mirava 
ad un inserimento all’interno del contesto europeo. 


G. TARALLI, Bertrando Spaventa tra Stato etico e 
democrazia, in “Trimestre”, V, 1971, pp. 409-424. 


Il grande problema del rapporto tra nazionalità e libertà, 
già posto da Mazzini, tormenta anche il pensiero di 
Spaventa, con l'aggravante di una piena consapevolezza 
della debolezza delle istituzioni democratiche, elemento che 
rese assai difficile il governo della Destra storica. Taralli 
espone come chiave interpretativa forte l’acattolicesimo 
spaventiano, derivante senz’altro dalla mondanizzazione 
dello spirito di matrice hegeliana: le aporie presenti nel 
pensiero spaventiano dipenderebbero in tal senso dalle 
tensioni irrisolte tra Illuminismo ed hegelismo; se da un lato 
è vero che la ragione storica avrebbe dovuto assicurare una 
risoluzione delle contraddizioni, il conflitto tra Spaventa e la 
corrente socialista testimonia una tensione irrisolta tra Stato 
e società, tra governo e rivoluzione. 


2634 


E. GARIN, Rassegna di studi spaventiani, in “Rivista 
critica di storia della filosofia”, XXVII, 1972, pp. 332- 
335. 


In questo breve intervento Garin sottolinea l’importanza 
dell’interpretazione del pensiero di Spaventa proposta da 
autori quali Felice Battaglia, Italo Cubeddu, Sergio 
Landucci e P. C. Masini, per concludere citando i due 
volumi del Vacca.. 


S. ONUFRIO, Lo “Stato etico” e gli hegeliani di Napoli, 
Celebes, Milano 1972. 


Il testo ripropone gli interventi di Onufrio apparsi sui 
“Nuovi quaderni del Meridione”, nn. 1,18,19, 20 (1967), nn. 
21, 22 (1968), 24 (1969), nn. 25, 26 (1969) e sulla “Rassegna 
di Politica e storia” n. 164 (giugno 1969), già parzialmente 
presenti nella bibliografia di Italo Cubeddu del 1972. Il 
primo capitolo riepiloga lo status quaestionis, mediante una 
rassegna delle tesi di De Ruggiero, Santino Caramella, Russo 
e Tagliacozzo. Il secondo capitolo è dedicato alla 
storiografia marxista e al tentativo di sostituire a Gentile la 
figura di Labriola come autentico discepolo ed erede di 
Spaventa. Il terzo capitolo si concentra sugli sviluppi della 
concezione dello Stato in Spaventa dall’attività giornalistica 
piemontese ai Principi di Etica. Il capitolo quarto prende in 
considerazione il tema dello Stato etico nelle riflessioni della 
Destra storica. L’ultimo capitolo esamina il rapporto tra 
Stato e nazionalismo oltre alle reazioni della Destra storica 
dopo l'avvento della Sinistra storica al potere. Il libro si 
conclude con tre appendici: G. B. Vico e il liberalismo 
moderato; Vico maestro di Spaventa; Unificazione nazionale 


2635 


ed egemonia nazionale (commento al testo di G. Vacca). 


I. CUBEDDU, Bibliografia in B. SPAVENTA, Opere, 


Sansoni, Firenze 1972, 3 vol. 


L’amplissimo studio di Cubeddu è suddiviso in due 
sezioni, la prima è dedicata alle opere edite di Spaventa, la 
seconda elenca le opere scritte sul pensiero del filosofo 
abruzzese fino al 1969; si compone di un’ampia 
introduzione, una prima parte sugli scritti di Bertrando 
Spaventa ed una seconda parte relativa ai saggi e gli studi 
sulla figura del pensatore abruzzese. 


F. TESSITORE, La cultura filosofica tra due rivoluzioni 
(1799-1860), in Storia di Napoli, vol. IX, Dalla 
restaurazione al crollo del Reame, E.S.I., Napoli 1972, pp. 
225-293. 


Il saggio di Tessitore si articola in quattro sezioni, la 
prima dedicata all’eco vichiana in Cuoco, Salfi, Jannelli e 
Delfico, all'insegna di quella umanologia che tenta di 
recuperare l’ “uomo intero”, secondo differenti prospettive; 
alla trattazione dell’eclettismo napoletano legato ai nomi di 
Manna, Piccolini, Borrelli e Bozzelli, segue una rapida 
presentazione di Galluppi e del suo rivale Collecchi. La 
terza sezione si concentra sul passaggio dall’eclettismo 
all’hegelismo e affronta le figure di Cusani e Gatti, 
precisando l'influenza francese nella scoperta dell’idealismo 
tedesco in Italia. L’ultima parte del lavoro è esplicitamente 
legata all’hegelismo e allo storicismo: un ruolo di primo 
piano è svolto da De Sanctis, di cui si sottolinea l’esigenza di 
purismo e la tensione verso la semplicità della lingua, 
atteggiamenti che lo portarono a respingere, sulla scorta 


2636 


della lezione vichiana, l’apriorismo del sistema ed il 
panteismo hegeliano. Alcuni brevi cenni alle teorie del 
Gioberti (che ricevettero la benedizione di Papa Pio IX) 
introducono la personalità di Bertrando Spaventa, fiero 
sostenitore di Hegel, tanto da considerarlo una sorta di 
demiurgo del mondo, in polemica con il Palmieri. 


N. SICILIANI DE CUMIS, Herbart e Herbartiani alla 
scuola di Bertrando Spaventa, in “Giornale Critico della 
Filosofia italiana”, 1973; 52, pp. 517-561. 


De Cumis non vuole solo mostrare l’ormai indiscutibile 
legame, confermato da più parti, tra Spaventa e Herbart, ma 
in particolare anche l’attenzione di cui questi è oggetto 
anche da parte del Fiorentino e del Labriola, fino a 
suggerire l'ipotesi che Spaventa sia stato un caposaldo nella 
formazione del Labriola proprio per averlo introdotto allo 
studio del filosofo tedesco, quasi vi fosse una “curvatura 
herbartiana dello hegelimso nel Labriola”. La stessa 
contrapposizione tra Spaventa e Herbart vorrebbe essere se 
non attenuata per lo meno sfumata e a sostegno di queste 
tesi De Cumis indica un’ampia raccolta di luoghi nei quali 
Spaventa parla esplicitamente delle tesi herbartiane, per 
sottolineare l’accordo tra i due per lo meno su alcune istanze 
dell’hegelismo. 


E. GARIN, Noterella spaventiana, in “Rivista critica di 
storia della filosofia”, XXVIII, 1973, pp. 342-345. 


Il testo appare quasi come una recensione delle Opere di 
Spaventa curate da Cubeddu, sottolineandone anche alcune 
carenze, come ad esempio il mancato inserimento del testo 
Esperienza e metafisica. A questo proposito si sviluppa il 


2637 


tema del rapporto tra Spaventa e le nuove scoperte 
scientifiche del suo tempo, prima tra tutte la teoria della 
selezione naturale. Per rafforzare la sensazione della 
problematicità del rapporto si cita il frammento datato 21 
luglio 1875. Obiettivo di Garin è mostrare che in Spaventa 
non si accetta il meccanicismo, ma vi si vuole contrapporre 
l’idea di disegno, di teleologia, senza con questo dover 
ammettere l'intervento soprannaturale. 


G. OLDRINI, La cultura filosofica napoletana 
dell'Ottocento, Laterza, Bari 1973. 


Nel volume di Oldrini il nome di Bertrando Spaventa 
risulta il più citato dopo quello del De Sanctis. Alcune 
sezioni del testo, che tuttavia affronta un tema assai vasto, 
sono dedicate specificamente al filosofo, ad esempio come 
modello paradigmatico di intellettuale fuoriuscito da Napoli 
che contribuisce ad alimentare focolai rivoluzionari e liberali 
nel Piemonte degli anni ’50. Si segnala anche il peso 
dell’autore nell’evitare qualsiasi compromesso tra hegelismo 
ed ideologie, nella ricerca di una terza via tra realismo e 
idealismo. 


P. PIOVANI, I/ pensiero idealistico, in AAVV., Storia 
d’Italia, V. 2.1 I documenti, Einaudi, Torino 1973, pp. 
1549-1581. 


La figura di Spaventa viene posta in risalto soprattutto in 
relazione al primo punto della trattazione, dedicato alla 
predicazione dell’idea hegeliana e nel terzo, in cui si 
mostrano i tentativi di superare l’hegelismo in nome del 
realismo, anche per contrastare lo strapotere del 
positivismo. Da ultimo, nel quinto punto, si evidenzia la 


2638 


differenza di interpretazione del pensiero spaventiano 
proposta da Croce e Gentile. 


G. BROCCOLINI, Vincenzo Finamore e le origini 
dell’hegelismo in Italia, in “De Homine”, 51-52, 1972, pp. 
149-184. 


Per evitare di conformarsi alla vecchia interpretazione 
dell’idealismo napoletano secondo cui all’ortodossia di Vera 
si contrappone il criticismo di Spaventa, si deve tentare, 
secondo Broccolini, di leggere l'evoluzione della cultura 
filosofica napoletana indipendentemente dai suoi sviluppi 
economici e sociali. Broccolini sostiene l’analogia tra la 
legittimazione hegeliana dello Jurkertum prussiano e quella 
napoletana della nuova classe egemone; il parallelismo 
prosegue individuando in De Sanctis, Tommasi, Villari e 
Labriola gli Strass, Bauer, Feuerbach e Marx napoletani. Il 
retroterra da cui emerge l’hegelismo napoletano deve essere 
comunque ricercato nelle vicissitudini del 1799: 
l’intelligentia partenopea sfrutterà Hegel per “patinare di 
nuovo l'antico” (p. 160). Non sono risparmiate le critiche 
alla conoscenza frammentaria di Hegel da parte di Spaventa, 
di contro alla conoscenza integrale che poteva vantare Vera. 
L’analisi della Napoli prequarantottesca attraversa le figure 
di Colecchi, Cubani e Gatti, rispetto ai quali le elaborazioni 
di Spaventa sono giudicate “tardive” (p. 170). Vincenzo 
Finamore sl inserisce in questa rassegna e si ascrive 
immediatamente a questa figura la paternità della teoria 
della circolazione del pensiero e dell’analisi della logica 
hegeliana, al fine di mostrare quanti e quali punti oscuri si 
possono ancora rintracciare nello studio dell’hegelismo 
italiano. 


2639 


T. SERRA, Oltre la lettura idealistica di Bertrando 
Spaventa, in “Giornale critico della Filosofia italiana”, 
1974; 53, pp. 175-202. 


La possibilità di un superamento dell’interpretazione 
idealistica di Spaventa si basa, secondo Teresa Serra, su una 
rivalutazione storicistica dell'autore. L'ombra nella quale 
rimase Spaventa anche rispetto a Rosmini e Gioberti non si 
può spiegare soltanto con la clandestinità della sua attività di 
pubblicista peraltro giustamente segnalata da Gentile: se è 
vero che il legame Spaventa Hegel non può essere 
radicalizzato, d’altra parte non può nemmeno svaporare, 
eliminando il carattere sistemico e logico del pensiero 
spaventiano. La versatilità di Spaventa ne fa un precursore 
dell’attualismo Gentiliano da un lato e un anticipatore del 
Labriola dall’altro: certamente sottolineare la forte laicità, il 
rigore scientifico ed il vigore storicistico consente a Teresa 
Serra di mostrare come il pensiero del filosofo di Bomba si 
presti a diverse interpretazioni. Spaventa supera l’astratto 
coscienzialismo, ma senza giungere alle conseguenze che la 
Serra definisce antispeculative, di Feurbach e Marx. Persino 
l’ultima fase, legata alla polemica con il positivismo, mira a 
riproporre l’istanza e la concretezza del sistema. 


P. OTTONELLO, Introduzione a B. SPAVENTA, La 
filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, 
Marzorati, Milano 1974. 


Nella breve presentazione vengono sottolineati i caratteri 
salienti del programma di riabilitazione della filosofia 
italiana agli occhi del dibattito filosofico europeo: mostrare 
l'originaria presenza di temi filosofici tipici della modernità 
europea nel pensiero rinascimentale voleva produrre il 


2640 


duplice effetto di rivalutare la filosofia italiana e di 
aggiornarla al dibattito europeo. 


A. SAVORELLI, Ux frammento inedito di Bertrando 
Spaventa su Vico e Darwin, in “Bollettino del Centro di 
Studi vichiani”, IV, 1974, pp. 171-175. 


Il frammento, recuperato nella Biblioteca civica “A. Mai” 
di Bergamo, testimonia gli intensi studi spaventiani degli 
anni ’70 attorno a Vico e al problema della scienza. È 
Savorelli a segnalare che Spaventa, come ogni buon 
hegeliano, esclude l’intervento soprannaturale, ma senza con 
ciò cedere ad una mera dimensione evoluzionistica, da 
inserire in quella totalità spirituale di cui le scienze naturali 
fanno parte. Duro è l’attacco verso la critica tradizionalista a 
Darwin, legata a Vera e alla sua scuola. Del manoscritto di 
diciotto pagine è riportata soltanto la seconda parte (fogli 7- 
11). 


A. CAMILLERI, Problemi inediti dell'ultimo Spaventa, 
Scuola salesiana del libro, Catania 1974. 


Il primo ed il secondo capitolo del libro sono dedicati 
rispettivamente alla biografia e alla bibliografia dell’autore, 
mentre il terzo si dedica all’analisi di Esperienza e metafisica 
all’interno della parabola del pensiero spaventiano, 
ricordando il silenzio editoriale dal 1870 e la polemica con i 
positivisti che caratterizzerà i suoi ultimi dieci anni di vita. 
La rivalutazione del ruolo dello spirito, come attività che 
ricrea l’oggetto rappresenta l'elemento essenziale del 
pensiero spaventiano, capace di conciliare, in tal modo, 
teoretica e pratica. Obiettivo centrale della polemica sono 
teismo e materialismo, analizzati nel quarto capitolo in 


2641 


relazione alla nuova teoria dell’evoluzionismo: è nota la 
volontà di conciliare dialettica hegeliana e darwinismo, 
superando da un lato il dualismo proposto dal teismo, 
dall’altro l’insano monismo su cui si basa la concezione 
materialistica. Il problema della conoscenza trova nel quinto 
capitolo un’ampia trattazione, grazie alla quale si evidenzia 
l’affinità di Spaventa con la filosofia idealistica ed il suo 
rifiuto dell’origine biologica e psicologica del pensiero: tale 
tema impone di ritornare sul rapporto tra darwinismo e 
metafisica, già nel capitolo successivo. Attraverso un uso 
abbondante di citazioni da Esperienza e Metafisica Camilleri 
ripercorre l'itinerario di Spaventa, disposto ad accogliere 
quanto vi sia di valido anche nella posizione dell’avversario, 
senza alcun pregiudizio di carattere teoretico. Oltre alla 
figura di Darwin, obiettivo della critica spaventiana è il 
positivismo di Spencer, colpevole di concepire l Assoluto 
come separato dalla realtà e quindi totalmente inconoscibile: 
il capitolo settimo mostra l’inconciliabilità di questa 
posizione con l’hegelismo di Spaventa. La prospettiva si 
allarga sulla critica dell’empirismo in generale, dove emerge 
la crescente influenza della filosofia kantiana sul pensiero 
dell’ultimo Spaventa: si tratta quasi di un prologo al capitolo 
nono in cui si affronta il problema della coscienza e della 
conoscenza, da intendere all'insegna del processo come 
attività assoluta. Le considerazioni critiche finali sono 
precedute da una introduzione al manoscritto inedito dal 
titolo Che cos'èè il materialismo, riportato al termine del 


libro. 


I. CUBEDDU, Bertrando Spaventa. Edizioni e studi 
(1840-1970), Sansoni, Firenze 1974. 


Il testo ripropone per intero la bibliografia curata da 


2642 


Cubeddu per l'edizione Sansoni delle Opere di Spaventa, 
apparsa nel 1972. Si mantengono le stesse scansioni: 
un’ampia introduzione, seguita da una prima parte sugli 
scritti di spaventa e una seconda sui testi scritti sulla figura 
di Spaventa. Si deve aggiungere, inoltre, una appendice 
dedicata a Spaventa come riformatore di Hegel nella cultura 
italiana del Novecento, in cui sono presentate le differenti 
interpretazioni, da quella di Gentile a quella di Vacca, 
passando per Berti, Garin e Landucci. 


T. SERRA, Bertrando Spaventa. Etica e politica, Bulzoni 
Editore, Roma 1974. 


Il volume, introdotto da una breve presentazione di Negri 
nella quale si sottolinea l’immanentismo dinamico di 
Spaventa, mira a ridimensionare il duro giudizio di 
Benedetto Croce secondo il quale l’autore abruzzese 
sarebbe stato soltanto un purus logicus, concentrando 
l’attenzione sul rapporto conoscere-fare. Innanzitutto un 
tratto essenziale viene individuato  nell’attenzione al 
religioso, benché assunto nell’immanenza del divino: per 
questo la visione logico-metafisica della mente viene valutata 
senza perdere la ricchezza dell'orizzonte storico. Si vuole 
rimarcare l’idealismo di Spaventa, avverso ad ogni 
degenerazione materialista e determinista, senza dimenticare 
però la sua attenzione per la scienza e la storia. Se troppo 
spesso il logicismo hegeliano viene interpretato come foriero 
di una insuperabile staticità del reale, l’interpretazione 
spaventiana mostra l’insostenibilità di tale tesi. Eterno è il 
dualismo che genera e assicura una continua evoluzione sul 
piano storico, scientifico e politico: in questo senso il 
dualismo dell’autore è contrapposto al monismo del suo più 
grande divulgatore e allievo (benché indiretto) Giovanni 


2643 


Gentile. La seconda parte del testo è dedicata 
specificamente a problemi di carattere politico, legati 
soprattutto alla contraddizione tra Stato etico ed purzanitas: 
il tentativo di divinizzare lo Stato da parte del filosofo di 
Bomba non giunge mai ad un profetismo metafisico; si 
mantiene sempre un atteggiamento di grande umiltà nei 
confronti della storia. 


Opere psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi 
alla ricostruzione integrale del pensiero di B. Spaventa: 
inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti 
critici, in “Le ragioni critiche”, IV, (1974), pp. 433-490; V 
(1975), pp. 54-88, 168-198. 


Il primo articolo si apre con una presentazione di D’Orsi 
nella quale si rivendica il profilo antidogmatico del pensiero 
spaventiano, fortemente debitore nei confronti 
dell’hegelismo; si evidenzia la discontinuità tra il corso del 
1863 sulla Filosofia della natura rispetto a quello del ’63-°64 
sull’antropologia, che raccoglieva una serie di appunti e di 
riflessioni cui l’autore non aveva mai dato una forma 
sistematica. Elemento essenziale del corso, secondo D’Orsi è 
la distinzione tra la meccanica ripetitività dell'animale e la 
possibilità di mutazioni da parte dello spirito. Citando un 
passo di Gentile, dove si presenta Spaventa come uomo dal 
pensiero tormentato sino agli ultimi giorni di vita, si 
sottolinea che l’inesausto tentativo di conciliare analisi e 
critica concerne non solo il suo ruolo di filosofo e di storico 
della filosofia, bensì anche quello di pensatore che si 
interroga di fronte ai progressi del pensiero scientifico. Il 
primo articolo prosegue riportando la prima parte del testo 
originale di Spaventa dal titolo L’arnzzza universale (pp. 465- 
490); i due articoli successivi, riportano il secondo capitolo 


2644 


Animali e uomo, e il capitolo terzo intitolato 
Dall’universalità alla particolarità dell'anima. 


A. ASOR ROSA, La cultura, in AAVV., Storia d'Italia, 
IV, 2. Dall’Unità ad oggi, Einaudi, Tornino 1975, pp. 821- 
1664 e particolarmente pp. 821-999. 


Spaventa viene citato, insieme a Villari, come uno dei 
maggiori responsabili della rinascita di Campanella e Bruno 
(p. 844). Asor Rosa presenta anche un breve estratto di 
Spaventa tratto dagli Studi sopra la filosofia di Hegel (p. 
852), ma il tema cardine rimane l'influenza dell’autore 
abruzzese nel dibattito sull’hegelismo all’interno della 
Destra storica (p. 881-882): alla sintesi speculativa per un 
certo verso raggiunta tra il sistema hegeliano e il liberalismo 
di sicuro non seguì una attuazione pratica e politica. 


M. A. RASCHINI, L’idealismo anglosassone, francese e 
italiano, in Grande antologia filosofica, vol. XXII, Il 
pensiero contemporaneo, Milano 1975, pp. 607-614. 


Spaventa è qui presentato come autore di grande vigore, 
all’insegna della continuità tra Kant e Hegel, a differenza di 
Vera. L’opera di Spaventa viene giudicata come 
fenomenismo che tuttavia non riuscì né a rinnovare il 
sistema hegeliano, né ad instaurare un proficuo dialogo con 
il positivismo. 


L. GENTILE, La Scolastica, Cartesio e Bertrando 
Spaventa, in “Filosofia” 1975; 26; pp. 139-148. 


Dal parallelismo tra Cartesio e Spaventa, entrambi 
contestatori della scolastica, ma altresì allievi dei Gesuiti, 


2645 


Gentile individua proprio nel dualismo intelletto-verità il 
luogo di dissidio tra Spaventa e la filosofia scolastica. 
Rivendicando il ruolo attivo del soggetto e l’immanenza del 
reale, Spaventa critica aspramente la prova ontologica di 
Anselmo preferendovi quella cartesiana, benché anche 
quest’ultima risulti imperfetta. Gentile tende a rilevare che il 
punto di vista dal quale Spaventa polemizza contro la 
Scolastica prima e Cartesio poi, può inficiare la validità 
stessa della critica, dal momento che l’idea di Dio come 
mediazione assoluta non sarebbe accettata da nessuno dei 
due avversari. 


V. CAVALLO, Note sulla cultura filosofica napoletana 
dell'Ottocento, in “Protagora”, 1976, pp. 7-50. 


L’ampio articolo di Cavallo tratteggia per sommi capi il 
panorama culturale napoletano, all'insegna di una 
rivisitazione del ruolo e della figura del De Sanctis, 
mediante la quale si rivaluta anche Spaventa, De Meis, Vera, 
Imbriani e Villari. Concentrandosi sul libro di Oldrini del 
°73, del quale si sottolinea la visione organica che evita di 
proporre trattazioni isolate dei diversi autori, un ruolo di 
primo piano viene ravvisato nell’analisi dell’arretratezza 
culturale di Napoli nell’ultima parte del XVIII secolo, 
dovuta alla mancanza di personalità di spicco e ad una 
ripresa dell’autorità religiosa appoggiata dai Borboni per 
evitare il dilagare di movimenti rivoluzionari. Cavallo cita 
due passaggi di Spaventa sul tema della rivoluzione proprio 
per rilevarne la stretta relazione con la filosofia hegeliana, 
presente già negli anni ‘40 e affermata definitivamente solo 
negli anni ’60. L’articolo si conclude sottolineando la 
reinterpretazione in chiave speculativa del darwinismo 
offerta da Spaventa. 


2646 


D. D'ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Lezioni di 
antropologia, Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 
1976, pp. 2-70. 


Per avvalorare l’immenso lavoro filologico svolto sulle 
carte Spaventa al fine di correggere in alcuni tratti la 
versione gentiliana, D’Orsi ricorre ad una vera e propria 
comparazione dei luoghi in cui sono poste le differenze più 
significative, con l’intento di rilevare che la tensione al vero, 
anche in un senso filologico, contribuisce a mantenere 
aperto il sistema spaventiano. Oltre all’analisi di alcune 
interpretazioni storiche offerte da Spaventa, l’attenzione si 
concentra sugli effetti che il materialismo provocava nel 
filosofo abruzzese, sempre impegnato nell’affermare una 
discontinuità tra natura e spirito, non certo nell’ottica di una 
separazione tra le due sfere, ma nella consapevolezza che la 
nascita della coscienza non potesse essere spiegata in 
soluzione di continuità rispetto alla natura animale. 


S. LANDUCCI, Hegelismo e positivismo in Italia, in 
AAVV., Storia della filosofia contemporanea, vol. IX, 
Vallardi, Milano 1976, pp. 365-398. 


L’intervento di Lancucci si apre con una rassegna della 
traduzione spiritualistica, cui segue la trattazione 
dell’hegelismo napoletano, capitolo nel quale si nominano 
oltre a Passerini, Spaventa, De Meis e Vera, anche gli eredi 
di quella tradizione come Jaja e Gentile. Un'attenzione 
particolare è dedicata a Spaventa e al suo primo corso 
napoletano nel quale viene presentata in forma compiuta la 
teoria della circolazione. Gli inizi della ripresa del pensiero 
scientifico sono affrontati proprio attraverso la figura di 


2647 


Spaventa che nel ’67 individua proprio il positivismo ed il 
materialismo quali nuovi avversari dell’idealismo al posto 
dello spiritualismo. Si accenna ‘anche alla polemica 
sull’eredita di Galilei, nominando la figura di Villari e 
Gabelli. Le sezioni successive sono dedicate al pensiero di 
Ardigò in connessione alla morale dei positivisti, alla 
psicologia e all'evoluzione cosmica. Sergio Landucci 
conclude con la presentazione della cultura positivistica e 
con il marxismo di Antonio Labriola, di cui si ricorda 
l'appartenenza alla scuola spaventiana. 


G. VILLA, Bertrando Spaventa in Piemonte (1850- 
1859), in “Studi piemontesi”, V, 1976, pp. 53-68. 


La breve rassegna del clima culturale del Piemonte degli 
anni ‘40, in cui si evidenzia la censura di giornali e libri, le 
difficoltà di Gioberti, il domino incontrastato di Rosmini, 
contribuisce a mostrare perché l’attività di Spaventa si stata 
particolarmente tormentata durante il decennio torinese. Lo 
scontro con il teismo di Bertini farà di Spaventa il campione 
della nuova filosofia hegeliana, sui principi della quale 
giungerà a proporre persino una modifica dello Statuto, in 
nome dell’istanza nazionale. Già negli scritti del ‘54-55 il 
filosofo abruzzese studia le relazioni tra Risorgimento 
italiano e idealismo tedesco; individuando nella libertà 
assoluta il principio della modernità, Spaventa potrà 
avvalorare la tesi di un pensiero italiano costretto in catene 
nel XV secolo e rinato in Germania nel XIX secolo. In 
questa ottica sono collocate le dispute contro la logica di 
Rosmini, il teismo di Schelling e la disputa con i Gesuiti. 


L. MALUSA, La storiografia filosofica italiana nella 


seconda metà dell'Ottocento, I Tra positivismo e 


2648 


neokantismo, Marzorati, Milano 1977. 


L’ampio volume di Malusa contiene una prima parte 
interamente dedicata alla scuola di Bertrando Spaventa e a 
Francesco Fiorentino. Di Spaventa si parla già 
nell’Introduzione (pp. 50-54), individuando nella sua opera 
uno dei maggiori contributi all'elaborazione dell’hegelismo. 
Degno di nota è il fatto che, insieme a Gentile e Fiorentino, 
Spaventa è l’autore più citato nel testo di Malusa. I primi 
due capitoli della prima parte, esplicitamente incentrati su 
Spaventa (pp. 71-95), lo presentano come il maggior 
pensatore del Meridione della seconda metà dell'Ottocento: 
indubbi restano i meriti per aver elaborato la tesi della 
circolazione del pensiero italiano. Il compito di aggiornare il 
dibattito e la cultura della penisola per dare vita ad una 
unità autentica viene considerato sia un impegno 
speculativo, sia una missione civile. Spaventa, che 
combatteva senza posa il dilettantismo e ogni tendenza 
divinatoria, non pretese mai di aver concluso la scienza, ma 
si sforzava sempre di sviluppare una critica capace di 
riaprire il sistema. Se è vero che nessun allievo seguì 
Spaventa sulla via troppo ardua di una storiografia 
speculativa, si deve ammettere che la serietà speculativa dei 
suoi discepoli, pur allontanando i consensi, mantenne vivo il 
suo pensiero, ancorché in un circolo assai ristretto di 
pensatori. 


P. PICCONE, From Spaventa to Gramsci, in “Telos. A 
Quarterly Journal of Radical Thought”, n. 31, 1977, pp. 
35-65. 


Nel tentativo di far risalire le influenze esercitate sul 
pensiero di Gramsci non più soltanto ad Antonio Labriola, 


2649 


ma all’hegelismo napoletano della seconda metà del XIX 
secolo, l’autore mostra quale peso abbiano avuto le 
speculazioni di Bertrando Spaventa sullo storicismo assoluto 
di Gramsci, poco incline alle grandi astrazioni, incapaci di 
cogliere la multidimensionalità della vita reale. Dopo una 
rapida panoramica sulla ricezione di Hegel in Europa, ad 
esempio in Gran Bretagna grazie ai lavori di William James, 
Stirling e Green, si sottolinea come in Italia l’hegelismo 
abbia avuto un impatto non solo accademico, ma socio 
politico assai profondo. Per sottolineare il legame Spaventa- 
Gramsci si cita la famosa lettera dell’8 ottobre del 1851 in 
cui dice di temere di più le idee e l'influenza del papato che 
non i cannoni austriaci. Il pensiero hegeliano, giunto in 
Italia grazie alla mediazione francese (viene citato 
naturalmente il nome di Victor Cousin) fu bollato subito 
come pensiero della Rivoluzione francese, precursore 
dell’ateismo e del socialismo: contro questa tesi si è battuto 
Spaventa, cercando di mostrare la continuità tra il 
Rinascimento italiano e l’idealismo tedesco. Se è vero che il 
nazionalismo spaventiano verrà poi strumentalizzato da 
Gentile e dal fascismo, è anche vero che la tesi della 
circolazione del pensiero era l’unico modo per non 
presentare Hegel come pensatore straniero “piovuto dal 
cielo”, come afferma Piccone. Il parallelismo Spaventa- 
Gramsci viene ribadito sottolineando che entrambi hanno 
vissuto il fallimento di una rivoluzione, hanno cercato di 
interpretare la sconfitta in senso concettuale negli anni 
successivi, e sono stati apprezzati soltanto due decenni dopo 
la morte. L'articolo si conclude sottolineando la differenza 
tra hegelismo ortodosso di Vera e hegelismo critico di 
Spaventa, continuato idealmente da Gramsci. 


A. SAVORELLI, Da Darwin a Vaihinger; scienza e 


2650 


filosofia nell'ultimo Spaventa, “Atti dell’Accademia di 
scienze morali”, Napoli, LKXXVIII, 1977, pp. 57-80. 


Tema di fondo dell’articolo è la volontà spaventiana di 
garantire alla metafisica una funzione all’interno dello studio 
scientifico. Nonostante la fase sistematica si fosse già 
conclusa negli anni ’60, sarebbe errato interpretare il 
cedennio successivo se non alla luce di una esigenza di 
sistematicità. Lo stesso antipositivismo cui si ispira da 
principio il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” non 
mirava alla rigida contrapposizione, bensì a mostrare lo 
sviluppo interdipendente di filosofia e scienza. Savorelli 
sottolinea come gli appunti di Spaventa testimonino la 
lettura di Leclair, Schuppe, Goring, Bagehot e Vaihinger, 
quest’ultimo in particolare criticato proprio perché le sue 
categorie empiristiche potevano essere ottenute mediante un 
procedimento dialettico. L’esigenza del fenomenismo di 
Vaihinger di trovare la legge fondamentale della realtà 
contraddiceva, secondo Spaventa, l’idea della sensazione 
come posizione assoluta. La rivisitazione persino 
dell’evoluzionismo in chiave hegeliana mostra un intento 
preciso: eliminata la trascendenza, si doveva recuperare una 
prospettiva teleologica per non cedere al mero 
determinismo meccanicistico. Savorelli segnala come 
l’attenzione alla scienza verrà segnalata anche dal Gentile, 
per il quale però soprattutto certe tematiche non 
costituiscono più motivo di interesse. 


C. CESA, Hegel in Italien. Positionen im Streit um die 
Interpretation der  Hegelschen  Rechtsphilosophie, in 
“Allgemeine Zeitschrift fur Philosophie”, 1978, a. III, n.2, 
pp. 1-21. 


2651 


A differenza che in Francia, in Italia lo studio 
dell’hegelismo fu recepito solo all’insegna del rinnovamento 
della nazione e dell'idea di Sato. La prima traduzione 
italiana di Hegel apparve in Svizzera e solo nel 1848 i 
Lineamenti di filosofia del diritto furono tradotti a Napoli, 
città simbolo degli studi hegeliani in Italia. Dopo aver 
rilevato che in Spaventa e De Meis la perspicacia speculativa 
si univa ad una incapacità pratica (ovviamente diverso è il 
giudizio su De Sanctis), Cesa mostra a quali opere si deve la 
diffusione del pensiero politico di Hegel. Si sottolinea la 
l’attività giornalistica di Silvio Spaventa, anche al fine di 
dimostrare la differenza di opinione dei due fratelli sul 
concetto di Rivoluzione. Dopo aver analizzato l'influsso e la 
diffusione del pensiero hegeliano sulla prima generazione 
(significativi in tal senso gli accenni al pensiero di Vera), ci si 
concentra sulla seconda generazione, in particolare su Croce 
e Gentile. 


D. D’ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Psiche e 
metafisica, Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, 1978, 
pp. VII-CXVII. 


Nell’introduzione al volume D’Orsi sottolinea le 
significative variazioni al testo spaventiano in seguito al suo 
lavoro filologico, anche attraverso una valutazione 
comparata con i testi editati dal Gentile e utilizzati poi da 
Cubeddu nella edizione del 1972. Si sottolinea la sfortuna 
delle vicende editoriali di Spaventa, benché in chiave 
filosofica si possa interpretare questo fenomeno come 
tensione che anche a livello filologico e non solo 
contenutistico contribuisce a mantenere aperto il sistema. 
Venendo specificamente al testo, Spaventa appariva turbato 
dal materialismo, a motivo del fatto che l’anima doveva 


2652 


essere mantenuta come garante dell'unità organica e 
sistemica del mondo spirituale. La continuità scimmia-uomo 
era un elemento inaccettabile per l’autore abruzzese, sempre 
preoccupato di opporre al mero meccanicismo l’idea di una 
unità viva, tipica della concezione organicistica. 


F. TESSITORE, Bertrando Spaventa e il “Giornale 
napoletano di filosofia e lettere”, Bibliopolis, Napoli 1978. 


Presentando le vicissitudini dell’organizzazione si un 
giornale filosofico a Napoli, tentativo più volte fallito e più 
volte tenacemente ripetuto fino alla sua definitiva riuscita, 
soprattutto in risposta alla “Nuova Antologia” nata a 
Firenze nel 1866, Tessitore si concentra sulle polemiche 
suscitate dall’articolo piuttosto polemico di Spaventa sulla 
Vita di Giordano Bruno scritta dal Berti nel 1867. Elemento 
essenziale per comprendere il senso e l’intento con cui 
venne fondato il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” 
è comprendere l’espressione di Spaventa secondo il quale si 
rendeva necessario “ripigliare il sacro filo della nostra 
tradizione filosofica”. Al termine del volume sono inserite 
sei lettere di Spaventa (Carte Fiorentino, 8c, busta 63) e 
quattro lettere di Vittorio Imbriani (Carte Filosofiche, busta 
B 2/5). 


G. BRESCIA, Editori e autori dell’idealismo. LL 
Bertrando Spaventa postumo nel carteggio del fratello 
Silvio, Donato Jaja e Benedetto Croce, in “Rivista di studi 
crociani”, XVII, 1, gennaio-marzo, 1980, pp. 68-76. 


L’articolo rileva come alla complicata vicenda della 
stesura degli appunti da parte di Spaventa, che secondo 
Gentile scrupolosamente scriveva i suoi testi senza mai 


2653 


pubblicarli, sia seguita una seria problematica anche 
nell’editarli. Il Loscher fu editore soltanto di nome, perché 
l'onere della pubblicazione dei manoscritti di Spaventa fu 
assunta dal Vecchi di Trani, con il quale si avviò una fitta 
corrispondenza da parte di Silvio Spaventa, Jaja e Croce. Il 
travaglio editoriale angustierà Spaventa e Croce per tutto 
l’87, anche a motivo dello smarrimento della pagina ventuno 
del manoscritto nella tipografia del Vecchi, puntualmente 
ricordata da Brescia. 


R. FRANCHINI, La storiografia filosofica da Spaventa a 
Gentile, in “Nord e Sud”, 1980, pp. 131-146. Ora in I/ 
diritto alla filosofia, SEN, Napoli 1982, pp. 229-249. 


La “Rivista di filosofia” avviata da Silvio Spaventa viene 
considerata da Franchini come anticipazione della teoria 
della circolazione che sarà poi affermata con ben altro 
tenore dal fratello Bertrando quasi vent'anni dopo. Anche 
Silvio, non solo Bertrando, vedeva una  strettissima 
connessione tra la rinascita della tradizione filosofica e la 
rinascita nazionale. Introdurre Hegel all’interno del 
dibattito filosofico italiano rappresentava un azzardo, a 
causa delle forti resistenze del neoguelfismo e del 
neotomismo; l’unico modo per inserire l’idealismo tedesco 
in Italia, rendendolo accettabile senza farlo percepire come 
elemento straniero, consisteva nel rivalutare il pensiero 
rinascimentale italiano come anticipatore degli sviluppi della 
filosofia moderna. In particolare Bruno come antesignano di 
Spinoza ed Hegel da una parte e Vico come precursore di 
Kant dall’altra. Si ricorda anche lo sfortunato episodio del 
rifiuto dell'editore Le Monnier di pubblicare l’opera di 
Spaventa su Bruno, nonostante l’influenza e l’insistenza del 
Villari. Nazionalità e precorrimento sono i tratti tipici del 


2654 


pensiero di Spaventa secondo Franchini. La seconda parte 
dell'intervento riguarda Gentile e la sua assimilazione del 
concetto di storia della filosofia mutuato da Spaventa, che 
tuttavia non viene mai citato esplicitamente: Gentile 
attribuirà piuttosto molto peso all’influenza di Windelband. 
Il saggio si trasforma poi in una valutazione del pensiero 
stesso di Gentile, il cui errore principale, secondo Franchini, 
sarebbe stato quello di non aver distinto tra teoretica e 
pratica, tentando di mostrarne la profonda identità. 


G. MICHELI, Scienza e filosofia da Vico ad oggi, in 
Storia d’Italia-Annali, 3. Scienza e tecnica nella cultura e 
nella società dal Rinascimento ad oggi, Einaudi, Torino 
1980, pp. 549-675. 


Alla figura di Spaventa sono dedicate alcune pagine in cui 
si tratta la sua critica ai principi della filosofia vichiana sulla 
scorta del pensiero hegeliano (pp. 582-585). Si accenna 
anche alla sua teoria della nazionalità della filosofia, rimasta 
in Gentile. Forse un po’ troppo sbrigativamente si annovera 
il pensatore abruzzese tra coloro che adattarono il pensiero 
kantiano ed hegeliano alla cultura napoletana, in parte 
tradendone gli effettivi contenuti. Brevi cenni sull’attività di 
Spaventa sono presente anche nella trattazione del rapporto 
tra Illuminismo e positivismo. 


A. SAVORELLI, Le carte Spaventa della biblioteca 
nazionale di Napoli, Bibliopolis, Napoli 1980. 


Il preziosissimo lavoro di catalogazione delle carte 
Spaventa eseguito da Savorelli trova una testimonianza 
editoriale in questo volume nel quale l’autore lamenta 
l’incompiutezza del lavoro fino a quel momento eseguito 


2655 


sulle carte ed in generale mostra il livello di dispersione dei 
lavori del filosofo abruzzese, dovuto non tanto, come voleva 
il Gentile, alla sua attività pubblicistica su giornali e alla 
mancata pubblicazione in vita dei suoi studi, quanto 
piuttosto ai litigi occorsi tra il fratello Silvio e il figlio 
Camillo. Un secondo momento di dispersione riguarda il 
periodo successivo alla morte del Maturi. Si accenna anche 
al ritrovamento di alcune carte presso la Biblioteca civica 
“A. Mai” di Bergamo da parte di Masini nel 1959. 
Sicuramente, però, la situazione più complessa è legata alla 
Biblioteca Nazionale di Napoli. Se si tiene conto del lavoro 
filologico di Jaja, Masci e Maturi, oltre a quello di Gentile 
(che sicuramente occupa un posto di eccezione nella 
riscoperta del pensiero di Spaventa) e quello di D’Orsi nel 
dopoguerra, risulta frustrante che vi siano ancora delle 
notevoli lacune nello studio dell’autore: soprattutto per 
quanto riguarda il periodo precedente al 1850 e il primo 
periodo di Torino. 


A. GUZZO, Hegel in Italia, in “Filosofia”, XXXII, 
1981, 4, 497-506. 


Nell’articolo l’importanza del Cousin per la diffusione di 
Hegel in Italia viene avvalorata dall’interesse del Galluppi 
per l’intellettuale francese. Non si dimentica la lettura di 
Hegel da parte di Rosmini e Gioberti, ma ci si concentra 
soprattutto sullo studio dell’autore tedesco, approfondito a 
più riprese, da parte di Spaventa: da Torino, a Modena, a 
Napoli. Guzzo collega la lettura di Spaventa alla nuova 
corrente europea inaugurata dallo Zeller con la formula 
“Zurick zu Kant”; in dialogo ed in polemica con questa 
tesi, Spaventa non accentuò mai le differenze, quanto 
piuttosto la continuità tra Kant ed il movimento 


2656 


dell’idealismo tedesco. Nella seconda parte dell’articolo 
l’attenzione si concentra su Gentile e Croce (di cui Guzzo 
riporta l’incontro con Nyman e Martinetti): le divergenze di 
pensiero tra i due non intaccheranno la solida amicizia, 
compromessa solo dopo il delitto Matteotti e la presa di 
posizione di Gentile a favore del fascismo. 


G. LANDUCCI, Scienza, cultura e ideologia nello stato 
unitario, in Storia della società italiana, vol. XVIII, Milano 
1981, pp. 201-249. 


Fin dalle premesse emerge il contributo portato da 
Spaventa alla riforma dell’università avviata da De Sanctis, 
precisando l’importanza della prolusione del 10 maggio 
1860 e l’opposizione al darwinismo, appoggiata dall’amico 
De Meis. Due fattori sono individuati come caratteri 
imprescindibili del pensatore abruzzese: il riferimento alla 
nazionalità e la strenue lotta contro ogni forma di 
materialismo. Al positivismo dilagante De Sanctis e 
Spaventa opposero la validità della critica e della dialettica 
come metodo del conoscere. La presentazione della riforma 
intellettuale avviata dal De Sanctis precede una disamina 
dello scritto postumo Esperienza e metafisica, nel quale si 
ribadiva il rifiuto ad ogni concezione che affermasse 
l’inconoscibilità o peggio l'assenza dell’assoluto. Spaventa al 
termine è definito “l’intelletto filosofico più dignitoso che 
l’Italia unita aveva avuto” (p. 248). 


A. SAVORELLI, Alla vigilia di un centenario dieci anni 
di studi su Bertrando Spaventa (1971-1981), in “Cultura e 
società”, 1982, pp. 113-118. 


Nel suo breve articolo Savorelli ripercorre le linee guida 


2657 


della diffusione del pensiero di Spaventa, dominata per tutta 
la metà del XX secolo dalle tesi gentiliane, criticate soltanto 
nel secondo dopoguerra da interventi militanti, con l’intento 
di recuperare la linea Spaventa-Labriola-Gramsci. Il lavoro 
di Teresa Serra del ’74 mostra già l’infondatezza delle 
interpretazioni marxiste, mentre la lettura di Oldrini è 
ricordata a proposito della distinzione tra hegelismo 
ortodosso di Augusto Vera ed hegelismo critico di 
Bertrando Spaventa. Si accenna all’articolo di Cumis del ’76 
sui rapporti tra Spaventa ed Herbart e alle Lezioni di 
Antropologia curate da D’Orsi. Al termine Savorelli propone 
la tesi secondo cui l’originalità ed insieme il limite di 
Spaventa sarebbe stato quello della rinuncia all’eclettismo in 
favore di un sistema che tenesse insieme le differenze. 


G. OLDRINI., L’hegelismo italiano tra Napoli e Torino, 
in “Filosofia”, XXXIII, 1982, p. 247-270. 


Volontà dichiarata di Oldrini è mostrare la linea di 
continuità tra il periodo napoletano prequarantottesco e gli 
sviluppi torinesi, soprattutto in virtù dello stretto rapporto 
tra la scientificità come metodologia filosofica e la cultura 
dell’Italia unita, nel senso che si reputava necessaria una 
trattazione scientifica del pensiero per farne emergere la 
nazionalità. Oldrini individua nel coscienzialismo di 
Galluppi e nell’eclettismo di Cousin il retroterra dello 
sviluppo dell’hegelismo a Napoli; dopo l’esperienza del 
“Museo di letteratura e filosofia” di Gatti e Cubani, il tenore 
culturale della città subì, se non un tracollo, per lo meno 
una drastica involuzione. Il processo di sviluppo 
dell’hegelismo continuò a Torino, soprattutto grazie 
all’apporto degli esuli meridionali tra i quali spiccano 
Spaventa e De Sanctis. 


2658 


G. TOGNON, Bertrando Spaventa. Lezioni inedite di 
filosofia del diritto. Modena 1860. (1) e in “Archivio 
storico bergamasco”, n. 1, anno II, Maggio 1982, pp. 37- 
60. 


L’articolo di Tognon illustra le disavventure della 
biblioteca dei fratelli Spaventa, trasferita a Bergamo, divisa 
tra Silvio e il figlio di Bertrando, Camillo, con riferimento 
alle carte recuperate da Croce e donate alla Biblioteca di 
Napoli. Si elogia il lavoro di riordino e catalogazione di 
Savorelli. Si riporta poi il testo parziale delle lezioni di 
“Filosofia del diritto” e di “Storia della filosofia” tenuti a 
Modena e Bologna. Alla difficoltà nel ricostruite il 
calendario delle lezioni supplisce una notevole chiarezza del 
progetto steso da Spaventa all’inizio dei corsi. Si riporta il 
manoscritto per i primi sei fogli (MM 760/18). 


G. TOGNON, Bertrando Spaventa. Lezioni inedite di 
filosofia del diritto. Modena 1860. (2) in “Archivio storico 
bergamasco”, n. 2, anno II, Novembre 1982, pp. 275-290. 


La brevissima introduzione di Tognon ribadisce 
l’influenza di Hegel sulle lezioni di Spaventa, in particolare 
l’Hegel della Fenomenologia e dei corsi sulla Filosofia della 
storia. Spaventa coglie l'occasione per sottolineare che in 
Italia manca completamente la coscienza del diritto. 
Secondo Tognon “mai filosofo straniero divenne più italiano 
di quanto lo fu lo Hegel dello Spaventa”. Segue lo scritto di 
Spaventa che completa la pubblicazione del Maggio ’82. 
(MM 760/18 e MM 760/22). 


A. SAVORELLI, Note sul Vico di Bertrando Spaventa, 


2659 


in “Bollettino del Centro Studi Vichiani”, 1982-83, 12-13; 
pp. 101-130. 


Vico costituisce un caso quasi unico di riscoperte e 
abbandoni continui da parte degli studiosi, ed è in questo 
senso che Gentile poteva parlare di storia a doppia faccia, di 
sporadici omaggi in uno sfondo di completa dimenticanza. 
Merito di Spaventa è quello di aver rivalutato la figura di 
Vico agganciandola al panorama europeo, in quanto 
precursore dell’idealismo. Savorelli tende comunque a 
ridimensionare l’importanza della lettura spaventiana di 
Vico, in quanto si appoggia in larga misura a canoni e 
modelli di critica vichiana ottocentesca; la stessa lezione VI 
del corso del 61-62, dedicata a Vico, sembra inserita di getto 
in uno schema completamente indipendente ed autonomo. 
Savorelli riconosce, d’altra parte, il ruolo essenziale che la 
lettura di Vico ebbe nello sgretolamento delle teorie 
hegeliane sulla filosofia della storia: nel frammento del 1875 
Spaventa giunge a considerare addirittura Vico e non Hegel 
come filosofo della storia. La crisi dell’idealismo cui 
Spaventa assiste nell’ultimo decennio della sua vita lo portò 
a rivalutare Vico, ma non come radicale critica dello Hegel, 
bensì piuttosto come interpretazione alternativa della 
filosofia della storia che tuttavia mantiene imprescindibile la 
distinzione tra mondo della natura e mondo dello spirito. 


M. BISCIONE, Rinascimento, Riforma, Restaurazione 
cattolica nel pensiero di Bertrando Spaventa, in “Clio”, 
XIX, 1983, pp. 277-288. 


A partire dalla scarsa diffusione all’estero come tratto che 
accomuna l’opera di De Sanctis e di Spaventa, Biscione 
tenta una messa a fuoco del personaggio in quanto storico 


2660 


della filosofia, anche per smarcarlo dall’interpretazione in 
chiave esclusivamente idealistica proposta da Gentile e 
dominante almeno per tutta la prima metà del Novecento. 
Se da un lato hanno un valido fondamento le critiche del 
Croce relative ad una trascuratezza da parte di Spaventa 
verso i dettagli storici in favore della prospettiva teoretica, 
bisogna precisare che non si tratta di puro razionalismo, 
bensì piuttosto di una fede moderna nella storia. Benché si 
tenda ad accentuare l’influenza di Michelet e di Mazzini, 
non si può negare una larga concessione nei confronti delle 
suggestioni hegeliane. La filosofia della storia proposta da 
Spaventa coincide, in sostanza, con la teoria della 
circolazione del pensiero italiano: ruolo principale è svolto 
dalla figura di Campanella, senz'altro tra le più studiate da 
Spaventa, insieme a quella di Bruno. L’interpretazione che 
Spaventa propone del Rinascimento e della restaurazione 
cattolica assume una notevole distanza rispetto alle teorie 
hegeliane, anzi, per certi versi le sue tesi sulla soggettività 
liberata anticipano di qualche anno le tesi di Burckhardt. 
Dal lavoro di Campanella del 1854, che l’autore definisce 
poco più che una osservazione supportata da alacre 
speranza, furono necessari anni di studio prima di giungere 
alla teoria della circolazione intesa come autentica metafisica 
della storia. 


E. GARIN, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, 
Bibliopolis, Napoli 1983. 


Il testo di Garin si apre con la citazione di una lettera del 
Labriola che informa Engels della connessione trovata da 
Spaventa tra hegelismo e darwinismo già nel 1864. Se è vero 
che negli sviluppi successivi della tradizione hegeliana la 
nottola lascia il posto alla talpa che trasforma il terreno 


2661 


lavorando nel sottosuolo, risulta inefficace l’idea di Passerini 
secondo la quale la filosofia della storia di Hegel non tiene 
conto del futuro: piuttosto lo spirito che si diffonde nel 
mondo mostra il potere del concetto che vuole ricreare la 
realtà. Garin precisa che Spaventa non tradì mai il suo 
autentico maestro, lo Hegel, a differenza di quanto accadde 
per il De Sanctis, cui Hegel aveva “seccata l’anima”: 
l’interpretazione originale del pensiero hegeliano, mai 
allinsegna di una mera ripetizione meccanica, portò 
Spaventa ad utilizzare gli strumenti della dialettica per 
ribadire l’importanza dei due soli (Rinascimento italiano e 
Idealismo tedesco) e per legittimare l’intima affinità tra i 
due, accomunati da una intrinseca avversione a qualsiasi 
forma di dogmatismo. 


In appendice è riportato un intervento di Tognon, la 
prolusione bolognese, di cui si sottolinea una correzione di 
data (30 aprile e non 10 maggio come si riporta solitamente) 
e infine una lettera di Bertando Spaventa al fratello Silvio 
datata 27 ottobre 1859. 


G. OLDRINI, U/tizzi contributi alla storia della cultura 
filosofica napoletana dell'Ottocento, in “Rivista critica di 
storia della filosofia”, XXXVIII, 1983, pp. 325-357. 


Mostrando l’interconnessione tra la storia della vita reale 
e la storia della cultura nella Napoli dell'Ottocento, Oldrini 
si sofferma sul centralismo della classe dirigente italiana e 
sulla malformazione dello sviluppo del meridione come 
fattori della crisi della città negli anni ’30. Oldrini lamenta 
numerose lacune della storiografia sulla pubblicistica e sul 
vichismo napoletano, contestando la tesi di Broccolini, 
secondo cui Spaventa sarebbe un epigono di Finamore. Veri 
snodi critici sono i legami tra hegelismo e Destra storica da 


2662 


un lato e ridimensionamento dell’hegelismo e del vichismo 
in favore del positivismo dall’altro. Per questi motivi si 
apprezza il monumentale lavoro di Malusa del ‘77, dedicato 
al positivismo e al neokantismo, benché alcuni limiti siano 
rintracciati per esempio nell’eccesso di analisi espositive e in 
alcuni difetti di interpretazione sul pensiero del Fiorentino. 


R. FRANCHINI, Cozze riscoprire Bertrando Spaventa, 
Il Tempo, Roma 20/2/1983. 


Di contro all’interpretazione comune di Bertrando 
Spaventa come bieco immanentista, Franchini rivendica 
tutto il criticismo del filosofo abruzzese, sottolineando che 
“non credette mai all’unicità e alla definitività della 
costruzione hegeliana”; oltre allo straordinario sforzo di 
chirificazione del pensiero di Hegel, si deve aggiungere la 
capacità di elevare il dibattito italiano ai livelli di quello 
europeo, tratto che dovrebbe delegittimare ogni tentativo di 
interpretare la sua esperienza filosofica all’insegna del 
provincialismo. Alla base del pensiero spaventiano 
Franchini individua l’unità del sapere, esposta nella 
prolusione del 1862. 


G. MARTANO, Bertrando Spaventa e la filosofia del 
Rinascimento, in “Discorsi”, 1983, pp. 266-278. 


La nomina di Bertrando Spaventa a Professore di Logica 
e Metafisica dell’Università di Napoli, voluta da De Sanctis, 
scandalizzò il resto del corpo docente, a causa dell’elogio del 
panteismo germanico proposto dal filosofo abruzzese: suo 
autentico obiettivo, d’altro canto, era mostrare l’intima 
affinità tra il pensiero idealistico tedesco e quello 
rinascimentale italiano. L’assunzione della realtà soltanto nel 


2663 


suo essere pensata costituiva il nucleo dell’insegnamento 
spaventiano, per cui Cusano, Valla, Pomponazzi, Telesio e 
lo stesso Leonardo con il suo richiamo alla “sperienza” 
dovevano essere visti quali precursori di Kant ed Hegel. 
Privilegiato fu il rapporto con Bruno e Spinoza, che 
Spaventa associò tra loro, ma non sulla base di 
interpretazioni teologizzanti. Da ultimo Campanella viene 
certamente considerato come filosofo della Restaurazione 
cattolica, ma non di può dimenticare il suo senzzr di sentire, 
l’importanza del ruolo della soggettività, benché ancora 
compromesso da un residuo naturalistico. Il carattere 
precursore di Vico rispetto all’idealismo tedesco è 
dichiarato da Spaventa con il preciso intento di mostrarne le 
affinità nella trattazione del materiale storico. Tutto questo 
percorso deve essere valutato alla luce della profonda fede 
che Spaventa nutriva verso il progresso, alimentato da 
costanti e continui sforzi umani. 


P. DI ATTILIO, Rivoluzione, partiti politici e stato 
nazionale. Nuovi testi di Bertrando Spaventa, Giuffrè, 
Milano 1983. 


Il primo capitolo del libro analizza la formazione del 
giovane Spaventa, riferendosi all’influenza di padre Testi al 
monastero di Montecassino; proprio in quegli anni emerge 
già una vocazione più pratica del fratello Silvio rispetto 
all'anima teoretica di Bertrando. Il capitolo secondo si 
concentra sulla prolusione di Modena del 1859, dove si 
mostrava la nuova scienza storica in contrapposizione al 
puro arbitrio della libertà da un lato e alla bieca necessità 
meccanicistica dall'altro. Nella disamina degli articoli 
pubblicati sul “Progresso”, all’interno del capitolo terzo, si 
sottolinea l’importanza e la superiorità delle idee nel creare 


2664 


l’unità, laddove al Dio Cannone veniva contrapposta la Dea 
Ragione. 


A. SAVORELLI, Riforma della dialettica, riforma del 
sistema: crisi e trasformazioni dell’'hegelismo in Spaventa 
(1861-1883), in B. SPAVENTA, Esperienza e metafisica, 
Napoli, Morano, 1983, pagg. 7-80. 


Savorelli sottolinea che la prima fase degli anni ’60 è 
legata ad un utilizzo della filosofia hegeliana nel senso di 
una filosofia della storia che attraverso la teoria della 
circolazione del pensiero italiano consolida su basi 
metafisiche l'indipendenza e l’unità d’Italia, mentre invece 
già dalla seconda metà degli anni ’60 sino al 1883 Spaventa 
dovette affrontare la cosiddetta crisi dell’idealismo (già un 
quegli anni lo Zeller si faceva promotore dell’esigenza di 
ritorno a Kant). I temi sollevati dalle teorie di Darwin e dal 
positivismo imponevano un serio confronto con il sistema 
della dialettica: il progressivo sgretolamento del sistema 
comportò per Spaventa non un abbandono del pensiero 
hegeliano, quanto piuttosto il consolidamento di un nucleo 
originario di verità metafisiche idealistiche, non certo nel 
senso di una rigidità dogmatica, quanto piuttosto di 
apertura del sistema a nuovi sviluppi che tuttavia, lungi 
dallo smentire, contribuivano a confermare la logica 
dialettica correttamente interpretata. 


M. LEOTTA, La filosofia di A. Tari, Istituto italiano 
per gli studi storici, Napoli 1983. In particolare pp. 17-84. 


L’opera, che analizza il pensiero di Tari secondo una 
triplice scansione, ossia Metafisica, Estetica e Filosofia della 
natura, prevede un’ampia Introduzione dove si presenta una 


2665 


biografia molto dettagliata dell’autore: in queste pagine il 
riferimento a Spaventa è assai frequente. Si ricorda la 
passione per la matematica che accomunava i due pensatori, 
l'amicizia nata nel soggiorno a Montecassino nel soggiorno 
tra il ‘38 ed il ’40, durante il quale Tari insegnò a Spaventa i 
rudimenti della lingua tedesca ed infine la collaborazione 
all’Università di Napoli dopo la riforma avviata da De 
Sanctis. Nell’introduzione sono anche riportate due lettere 
di Tari a Spaventa, la prima datata 18 luglio 1861 e la 
seconda 30 ottobre 1973, nelle quali si ringrazia il filosofo 
abruzzese per l’aiuto offerto in occasione della nomina di 
Tari rispettivamente a Professore straordinario nel 1861 e la 
ben più sofferta ed attesa nomina del ‘73 a Professore 
ordinario. Nell’ultima parte dell’Introduzione si riportano 
anche alcune parti della lettera con cui Tari raccomandava a 
Spaventa Antonio Labriola, allora giovane studente di 
filosofia notato da Tari per la sua vivacità intellettuale. 


D. D’'ORSI, Introduzione a R. H. LOTZE, Elementi di 
psicologia speculativa, Casa Editrice G. D'Anna, Messina- 
Firenze 1983. 


La prefazione di Antimo Negri elogia D’Orsi come il più 
fedele studioso di Bertrando Spaventa. L’Introduzione di 
D’Orsi interpreta il binomio Lotze-Spaventa come 
anticipazione di quella collaborazione tra filosofo e 
psicologo tanto comune nel Novecento. Di entrambi si 
sottolinea l’anticonformismo rispetto al positivismo e al 
materialismo imperanti negli anni ‘70 e ’80. Lotze in 
Germania e Maine de Biran in Francia adottano una visione 
non riduzionistica della mente umana, privilegiando 
l’impenetrabilità dell’intimità dell'anima. Il recupero di 
un'ottica speculativa e metafisica, precisa D’Orsi, implica 


2666 


una ripresa della prospettiva teleologica ed una esaltazione 
della valenza critica della soggettività. L’affinità elettiva e 
speculativa tra Bertrando Spaventa e Lotze è dovuta al 
medesimo atteggiamento di rifiuto della trascendenza e 
insieme di rifiuto del mero materialismo; nel caso di 
Spaventa D’Orsi sottolinea quanto la vicenda personale di 
Spaventa, che è stato prete per circa un decennio prima 
dell’esilio torinese. Questa psicologia speculativa — secondo 
D’Orsi — appare quale autentico gioiello speculativo. 
All’Introduzione segue la traduzione di Bertrando Spaventa 
degli Elementi di psicologia, preceduta da una serie di 
appunti e preliminari che costituiscono il materiale 
preparatorio. 


R. ROMEO, Cavour e il suo tempo (1854-1861), 
Laterza, Bari 1984, vol. III, pp. 107-109. 


Nell’ampio studio di Romeo sulla figura di Cavour, 
articolato in tre libri, alcune pagine dedicate esplicitamente 
a Spaventa si trovano nell’ultimo volume, dove lo si presenta 
come autore di una nuova interpretazione di Hegel come 
filosofo dell’innovazione, contro le tesi che circolavano a 
Napoli prima del ’48 per cui il filosofo tedesco era 
considerato filosofo del fatto compiuto. Altri cenni 
sporadici a Spaventa riguardano la sua attività di scrittore su 
“Il Cimento”, assieme a De Sanctis (p. 112) ed il suo 
giudizio negativo sulla situazione piemontese espresso in 
una lettera al fratello Silvio (p. 381). 


F. BARONE, Bertrando Spaventa e il positivismo, in 
“Libro aperto”, A. 5, n. 1 (1984), pp. 25-37. 


Barone ricorda di aver attraversato il pensiero di Spaventa 


2667 


nei suoi studi sul positivismo, riferendosi in particolare alle 
opere psicologiche edite dal Gentile. Prendendo spunto 
dalla famosa lettera del Labriola ad Engels in cui Spaventa 
viene presentato come conciliatore tra Darwin e Hegel, 
Barone concorda con l’opinione di Gentile secondo la quale 
Spaventa fece sempre i conti onestamente con il positivismo, 
benché lo stesso Gentile svaluti troppo il ruolo ed il peso 
della scienza nel suo sistema: certamente il gran valore 
assegnato alle riflessioni politiche e metafisiche contribuisce 
a porre in secondo piano il rapporto di Spaventa con la 
scienza. L’elemento che ogni autore tende a sottolineare, da 
Cubeddu a D’Orsi passando per Vacca, è la volontà di 
evitare ogni riduzionismo fisiologico a proposito della 
psichicità, rivendicando la superiorità dell’atto rispetto al 
fatto da cui prende avvio ogni analisi scientifica. Barone non 
risparmia critiche  all’interpretazione superficiale 
dell’evoluzionismo darwiniano proposta da Spaventa, ma 
concorda sull'efficacia e l’attualità delle analisi critiche di 
Spaventa ai concetti utilizzati dalla fisiologia. L'articolo 
confluirà poi nel volume Dalla scienza della logica alla logica 
della scienza. 


F. FOCHER, Spaventa di fronte al positivismo, in 
“Criterio” 1984, pp. 46-61. 


Dopo aver presentato Spaventa come uno di quegli 
intellettuali convinti che la propria epoca coincidesse con la 
piena manifestazione del regno dello Spirito, Focher precisa 
che le riflessioni del filosofo abruzzese, nel tentativo di 
rendere popolare Hegel e non volgare, come scrisse al 
Villari, risultano ancora assai attuali sul piano politico, 
molto meno su quello scientifico, a causa delle grandi novità 
della scienza del XX secolo. Per recuperare il valore della 


2668 


critica spaventiana al positivismo, si deve quindi porre in 
risalto il valore che assume l’uomo nel contesto storico: la 
storia è positivismo, è l'assoluto fare umano. In questa 
chiave è possibile vedere in Spaventa un elemento di 
stringente attualità in quanto esalta l’uomo in quanto essere 
libero e assoluto. L’articolo di Focher sarà inserito tra gli 
interventi che compongono il libro Dalla scienza della logica 
alla logica della scienza. 


A. SAVORELLI, Hegel e Gioberti: Prime 
reinterpretazioni e revisioni in Bertrando Spaventa, in 
“Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 1984; 
14 (4), 1415-1439. 


Il rapporto tra Spaventa e Gioberti ha subito numerose 
modifiche nel corso degli anni: Savorelli rileva che al 
superamento di una lettura e di una comprensione generica 
dell’hegelismo segue una rivalutazione da parte di Spaventa 
del pensiero italiano ed in particolare di Gioberti. Se è vero 
che nel ‘49 Gioberti viene denigrato da Spaventa, già nel ’55 
si assiste ad una parziali rivalutazione del suo pensiero, in 
quanto conciliatore della nuova visione del mondo hegeliana 
con il cattolicesimo. Nel ’57, tuttavia, Gioberti è di nuovo 
“un fanfarone” e soltanto negli anni ’60 ‘anche per 
consolidare la tesi di circolazione del pensiero italiano 
Gioberti viene definitivamente rivalutato. Savorelli, tuttavia, 
non accetta l’idea che l'apprezzamento per il teorico del 
neoguelfismo sia dovuto solo ad una esigenza del momento, 
ma tende piuttosto ad inserirlo all’interno di una più vasta 
operazione di aggiornamento del dibattito filosofico italiano. 
Gioberti verrebbe rivalutato anche come risposta ad Hegel: 
la stessa riforma della dialettica mira ad un superamento 
della dicotomia arbitrio/necessità all’interno della filosofia 


2669 


della storia. A questo proposito Savorelli avanza l'ipotesi 
che anche lo Schelling sia stato utilizzato da Spaventa non 
tanto per confutare, quanto piuttosto per integrare e 
consolidare le tesi hegeliane. La medesima integrazione e 
difesa di Hegel avviene sul campo politico: Savorelli tende a 
precisare che la soluzione individuata da Spaventa in questo 
campo è il calco di quella attuata sul piano logico e 
metafisico. 


AAVV., Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica 
alla logica della scienza, Pironti, Napoli 1986. 


Il volume raccoglie una serie di saggi ed è introdotto da 
Raffaello Franchini con un analisi sui caratteri del pensiero 
spaventiano in rapporto al tema della nazionalità. Il saggio 
di Francesco Valentini riguarda il rapporto Hegel-Spaventa 
in relazione alla Scienza della logica. L'intervento di Italo 
Cubeddu si concentra sul binomio Gentile-Spaventa e 
sull'importanza della circolazione a proposito della riforma 
della dialettica hegeliana. Vittorio Stella contribuisce a 
mostrare l'influenza di Spaventa sul pensiero di Gentile e di 
Croce, pur nella diversità delle loro interpretazioni sulla 
vicenda del filosofo abruzzese. Arturo Martano presenta 
Spaventa storico della filosofia, la cui teoria della 
circolazione si muove all’insegna della fede nel progresso 
della storia (articolo apparso in “Discorsi”, 1983, vedi 
sopra). Mentre Valerio Verra approfondisce i nessi tra 
Spaventa ed il trio di logici tedeschi Trendelenburg- 
Werder-Fischer, Fulvio Tessitore si occupa del nesso 
decadenza-rinascenza, evidenziando due linee di continuità, 
Machiavelli-Lutero e Cartesio-Lutero, nella quale si 
inserisce anche la figura di Galileo. D’Orsi si sofferma sui 
criteri ecdotici nella ricostruzione filologica del pensiero di 


2670 


Spaventa. Franco Barone e Ferruccio Focher specificano il 
rapporto tra Spaventa e la scienza della seconda metà 
dell'Ottocento (rispettivamente in “Libro aperto” e 
“Criterio”, 1984, vedi sopra). Girolamo Cotroneo distingue 
all’interno della scuola spaventiana la direttrice Maturi-Jaja 
da quella di Tocco e Masci. Roehssen esamina la figura del 
fratello di Bertrando Spaventa. A questi saggi si aggiungono 
interventi di Pasquale Socco, Primo Di Attilio, Alessandro 
Savorelli, Clementina Gily Reda e Giuseppe Brescia. Al 
termine del volume è presentata una bibliografia di testi 
scritti tra il 1970 ed il 1983 su Bertrando Spaventa, curata 
da Savorelli, Rascaglia e Reda, come prosecuzione della 
bibliografia ragionata di Italo Cubeddu del 1972. 


2671 


I. CUBEDDU, Da Spaventa a Gentile: Kant e il 
neotdealismo, in La tradizione kantiana in Italia, Atti del 
convegno della Società filosofica italiana (Messina 15-17 
novembre 1984), Edizioni G.B.M., Messina 1986, I, pp. 
325-350. 


Secondo Cubeddu l’interpretazione del pensiero kantiano 
offerta da Spaventa dipende nelle sue linee essenziali dalle 
critiche presenti in Fede e sapere, benché il difetto del 
dualismo e della “tenerezza per le cose del mondo” non 
impedisca al pensatore di Bomba di ammirare l’idea 
dell’unità della coscienza e della sintesi a priori. Assai 
apprezzato risulta il capolavoro su Gioberti, nel quale Kant, 
pur non essendo un protagonista assoluto, non è mai 
relegato al ruolo di semplice comprimario. Passando al 
Novecento, Cubeddu si sofferma sulla posizione gentiliana 
che aveva proposto un ritorno da Kant a Hegel, ravvisando 
nell’intrascendibilità del pensare il guadagno comune di 
entrambi. A tal proposito si cita il saggio sulla Riforzza della 
dialettica del 1912, dove si tenta di correggere la posizione 
kantiana mediante l’hegelismo, corretto esso stesso nel 
Sistema di logica, nel quale si propone una categoria unica 
del pensare. Cubeddu precisa come Spaventa non abbia mai 
compiuto quella riforma neohegeliana di Kant, in quanto 
non considerò la conoscenza come pura unità analitica della 
mente. 


P. MARCHI, Spaventa e Popper, in “Criterio”, 1986, 
pp. 65-76. 


Molti sono i preamboli necessari a Marchi per introdurre 
questo insolito parallelismo: nonostante la diversa, per non 


2672 


dire opposta, interpretazione che i due autori offrono di 
Hegel e dell’idealismo tedesco in generale, l’elemento 
comune ai due pensatori è il rifiuto di qualsiasi prospettiva 
riduzionistica. Non è certo necessario precisare quanto 
Spaventa sia sensibile alle sollecitazioni delle scienze del 
proprio tempo, senza però mai rinunciare all'importanza 
dell’analisi critica, possibile solo tramite il pensiero 
filosofico: le sue tesi contrarie ad ogni riduzionismo 
dell'anima (del pensiero) al semplice cervello o ad un 
insieme di elementi materiali sono ben note. A partire da un 
percorso intellettuale decisamente differente, anche Popper 
si oppone alla “chiusura del mondo fisico”, dimostrandosi 
non molto lontano, su questo punto, dallo Spaventa di 
Psiche e Metafisica. Popper, particolarmente, rinvia 
all'esistenza di tre mondi, quello materiale, quello della 
coscienza e quello della cultura, interagenti tra di loro, ma di 
certo non riducibili al primo. Infine, mediante alcune 
citazioni dall'opera di Popper Lio e #/ suo cervello, si tende a 
sottolineare come l’autore sia convinto che l’io possieda il 
cervello e non viceversa, avvicinandosi molto in tal senso 
alle tesi spaventiane del “senso di sé” come nucleo profondo 
del pensare. 


AA.VV., Gli begeliani di Napoli e la costruzione dello 
stato unitario, Istituto italiano per gli studi filosofici, 
Napoli 1987. 


Già nell’Introduzione al volume il ruolo svolto dai fratelli 
Spaventa assume un'importanza centrale nella costruzione 
teorica e pratica dello stato unitario. Se il lungo intervento 
di Croce si riferisce spesso alla figura di Bertrando Spaventa, 
nella lettera di Strater, pubblicata per intero nel volume, 
appare evidente l'ammirazione nei confronti del filosofo di 


2673 


Bomba per aver posto in relazione pensiero italiano e 
pensiero europeo. La prima parte dell’opera, curata da 
Saverio Ricci, sottolinea il declino culturale di Napoli 
causato dalle emigrazioni degli intellettuali nel ’99 e nel ’21; 
altro elemento cruciale è la sostanziale inefficacia del 
tentativo di educazione delle masse che portò alla 
repressione del ‘49. La seconda sezione, di Maria Rascaglia, 
mostra quale fosse l’arretratezza del Piemonte in campo 
culturale rispetto a Napoli e quindi le difficoltà di De 
Sanctis e Spaventa, costretti all’attività di giornalisti. Ben 
diversa la situazione al ritorno a Napoli dove ai due 
protagonisti si aggiunge anche la figura di Vera. La terza 
parte è dedicata alla scuola di Bertrando Spaventa, in 
particolare a Francesco Fiorentino e Antonio Labriola. Una 
quarta sezione è dedicata al fratello Silvio. Il volume si 
conclude con due appendici di Giampiero Griffo e Piera 
Russo. 


A. SAVORELLI, Spaventa e Galileo, in Galileo a 
Napoli (F. LOMONACO e M. TORRINI a cura di), 
Guida, Napoli 1987, in particolare pp. 469-481. 


L’intervento di Savorelli tende a precisare che le letture 
spaventiane e le sue tesi sui precorrimenti, benché segnate 
da forti deformazioni e distorsioni, rappresentano un 
contributo originale e sempre innovatore rispetto al 
dibattito storico-filosofico dell'Ottocento. Galileo non solo 
non è un autore classico della trattazione spaventiana, anzi, 
viene citato raramente nei suoi lavori e solo nel 1882 viene 
studiato in maniera specifica. Spesso Spaventa attenuò il 
lato di modernità attribuito dalla critica a Galileo, che fu 
pertanto escluso dalla ricostruzione del pensiero italiano, in 
quanto considerato un uomo di scienza piuttosto che un 


2674 


intelletto speculativo; ben nota è la ritrattazione a pochi 
mesi dalla morte. Essenziale, secondo Savorelli, l’influenza 
di Natorp nella riscoperta di un Gelileo criticista e non 
semplice empirista: sotto questa luce Galileo fu assimilato 
forse troppo frettolosamente da Spaventa alla linea Kant- 
Hegel, accentuandone alcuni tratti, come ad esempio lo 
studio dell'a priori che lo distingueva dall’ingenuità dei 
positivisti della seconda metà dell'Ottocento. Forse 
eccessive sono le tesi di un Galileo precursore di Kant, 
anche perché lo studio di Spaventa assume un taglio 
speculativo più che storico, avendo come obiettivo la 
confutazione di alcune tesi di Vaihinger. 


G. OLDRINI, Filosofia e coscienza nazionale in 
Bertando Spaventa, Quattroventi, Urbino 1988. 


L’idea che l’assoluto avesse definitivamente perso il 
proprio carattere trascendente non deve condannare al 
determinismo immanentista, bensì aprire la strada all’idea 
della ragione come autentica creatrice di storia. Le due 
anime che si mostrano in Spaventa, ossia il demone 
speculativo da un lato e la necessità di una diffusione di 
Hegel sul piano filosofico e politico, determinano il 
contrasto con il neotomismo che in quegli anni voleva 
proporsi, grazie al sostegno di Corinaldi e Liberatore, come 
autentico erede della tradizione filosofica italiana. Oldrini 
non manifesta particolare entusiasmo per le continue 
alterazioni del testo spaventiano dovute a ricerche 
filologiche proposte da D’Orsi e sottolinea che il cuore del 
discorso dell’abruzzese era l’affermazione dell’hegelismo di 
contro al cattolicesimo neotomista. Nel volume sono 
presenti interventi di Alessandro Savorelli, Franco 
Ottonello, Luciano Malusa, Guido Oldrini, Giuseppe 


2675 


Tognon, Giovanni Mastroianni e Roberto Racinaro. 


F. TESSITORE, M:nghetti, Spaventa De Sanctis: le 
trasformazioni del liberalismo, in AAV., Marco Minghetti 
statista e pensatore politico dalla realtà italiana alla 
dimensione europea, R. GHERARDI e N. MATTEUCCI 
(a cura di), Il Mulino, Bologna 1988, in particolare pp. 
47-66. 


Nella triade citata il nome Spaventa si riferisce al fratello 
Silvio, ma la perspicacia di alcune analisi lasciano 
intravedere un pensamento profondo della forma Stato, nel 
quale non si può non ravvisare l’influenza del pensiero del 
fratello Bertrando. La posizione di Silvio è riassunta 
mediante alcune citazioni sull'unità di Italia e la necessità di 
una forte attività amministrativa, che si conciliava non molto 
bene con le tesi di Minghetti di restringimento dei compiti 
dello Stato. Tessitore assegna a De Sanctis il maggior rigore 
nel trattare la contraddizione tra libertà e governo, nella 
quale si ravvisa il pericolo della decadenza della cultura e 
dello spirito d’iniziativa della neonata nazione italiana. 


F. OTTONELLO, Pasquale Galluppi nell’ “infedele” 
interpretazione di Bertrando Spaventa, in “Rivista 
Rosminiana di Filosofia e Cultura”, 1988; 82 (1), pp. 41- 
50. 


L'infedeltà dello Spaventa, “senza cui non si viene a capo 
di nulla”, è presente anche nel commento alla filosofia del 
Galluppi, che il filosofo di Bomba strappò dall’oblio in cui 
era piombato. La critica alla teoria dell’oggettività della 
sensazione è fondata sull’impossibilità di percepire una 
esistenza esterna, benché in senso hegeliano si debba parlare 


2676 


di un “oggetto dell’atto chiamato coscienza”. Nella presenza 
di una sostanza esterna da percepire Spaventa vede 
ripresentarsi il fantasma del noumeno kantiano: proprio 
estremizzando i tratti del Galluppi, però, Spaventa riesce a 
trarne i germi di uno sviluppo futuro; non ripetendo mai in 
modo meccanico il pensiero altrui, Spaventa riesce a 
valorizzare le tematiche trattate, come ad esempio nel caso 
del famoso “luogo d’oro”. 


A. MARTONE, Lo scarto del linguaggio: eredità 
vichiane in Bertrando Spaventa, in Furor verba ministrat. 
Eredità vichiane e Illuminismo in alcune teorie linguistiche 
della cultura napoletana tra ‘700 e ‘800, Franco Angeli, 
Milano 1989, pp. 79-108. 


Spaventa viene qui presentato come pensatore 
intimamente legato a Vico, in quanto filosofo della storia, 
nello sforzo di una riunificazione del sapere e persino nel 
tentativo di dotare il pensiero filosofico italiano di una 
propria autonoma tradizione. Vico stesso fu inserito da 
Spaventa nella sua teoria sulla circolazione del pensiero. 
Rimane tuttavia una incolmabile distanza tra Vico e 
Spaventa, il quale sembra non essere molto sensibile alla 
glottogonia vichiana. 


A. SAVORELLI, Bruno Tulliano’ nell’idealismo italiano 
dell'Ottocento (con un inedito di B. Spaventa), “Giornale 
critico della filosofia italiana”, LXXX (1989), pp. 45-77. 


Savorelli ribadisce il merito di Bertrando Spaventa di aver 
dato impulso agli studi bruniani, seguito dai suoi discepoli 
Felice Tocco e Francesco Fiorentino: lo spiacevole episodio 
con l’editore Le Monnier testimonia, d’altra parte, 


2677 


l’arretratezza culturale in cui versava all’epoca l’Italia, nella 
quale non riuscì a trovare spazio il primo studio scientifico 
sulla figura del Nolano. L’inedito di Spaventa, infatti, 
rimane il primo saggio che tenti di analizzare il pensiero 
bruniano in chiave sistematica. Proprio in questo senso 
assume valore l’attenzione dedicata da Spaventa alle opere 
cosiddette lulliane o mnemotecniche, che secondo Brucker e 
Buhle erano da considerare la parte più oscura dei testi di 
Bruno. Il testo di Spaventa si fonda su una critica del Ritter 
e su un confronto costante con il pensiero di Lullo, Cusano 
e Spinoza. Certamente di grande importanza è stata 
l'influenza di Barholméss, la cui interpretazione indica in 
Bruno un anticipatore dell’idealismo tedesco: è noto quanto 
questa tesi sia essenziale anche rispetto alla teoria della 
circolazione del pensiero italiano. Savorelli precisa che ogni 
tentativo di porre in luce il misticismo di Bruno è 
considerato vano ed errato da parte del pensatore abruzzese, 
che dedica attenzione alle opere lulliane proprio per 
mostrarne la relazione con la teoria della conoscenza 
proposta da Bruno. Il carattere di precursore della 
modernità attribuito al pensatore di Nola, tuttavia, subirà 
lungo l’itineratio spaventiano anche drastiche limitazioni, 
dovute, per esempio, alla sua errata comprensione del 
cristianesimo. Nella trattazione del ’61-’62 Bruno non è più 
lullista e l’ultimo vestigio lulliano del saggio torinese è un 
breve saggio dei Principi di filosofia: le differenze sono 
dovute ai diversi intenti interpretativi secondo Savorelli. Un 
segno dei tempi è il progressivo disinteresse da parte di 
Spaventa e De Sanctis nei confronti di Bruno. Al termine 
dell'intervento di Savorelli si riporta una sezione del Saggio 
inedito di B. Spaventa su Bruno (1854-1854). Manoscritto 
3.6.4 conservato alla Biblioteca nazionale di Napoli. 


2678 


L. MALUSA, L'idea di tradizione nazionale nella 
storiografia filosofica italiana dell'Ottocento, Tilgher, 
Genova 1989. 


La figura di Spaventa è presente in tutto il testo, dedicato 
nella prima parte all'idea di “tradizione nazionale” nella 
storiografia filosofica e nella seconda ai rapporti tra la 
tradizione filosofica italiana e la “Civiltà cattolica”: ben si 
comprende come la personalità di Spaventa svolga un ruolo 
di primo piano in entrambe. 

Nelle pagine centrali della prima parte si sottolinea il 
ruolo che Spaventa attribuì al genio italico nella distruzione 
dell’immobilismo cui per secoli la Scolastica aveva costretto 
il pensiero. Il “primato” della filosofia tedesca nel panorama 
europeo dipendeva strettamente da quel criticismo che per 
la prima volta trovò in Italia la propria espressione. Inutile 
ribadire quali furono i risvolti politici di una tale prospettiva 
filosofica: il pensiero spaventiano era in grado di assicurare 
l'immanenza del pensiero, superando le istanze clericali, 
senza cadere nell’aridità dell'Illuminismo. Si citano le 
ricostruzioni storiografiche di Garin e la progressiva 
appropriazione del pensiero spaventiano sulla linea 
Spaventa-Labriola-Gramsci (e Togliatti), che consentì di 
sottrarre l’autore abruzzese all’esclusivismo 
dell’interpretazione attualistica. Nella seconda parte si 
definisce Spaventa autentica “bestia nera” (p. 69) del 
periodico gesuita: la critica della filosofia hegeliana, 
principale obiettivo della rivista, non poteva esimersi da 
ripetuti attacchi anche nei confronti del pensatore 
abruzzese, quando ancora questi non aveva elaborato il 
proprio pensiero in maniera sistematica. Non sfugge 
all'analisi che all'origine dello scontro si poneva la 
convinzione che Tommaso d'Aquino e non Hegel dovesse 


2679 


essere il modello della filosofia italiana. 


G.  MOSSANO,  Bertrando Spaventa e la 
psicologizzazione dell’a priori nel neocriticismo italiano, in 
“Accademia di scienze morali e politiche”, volume XCIX, 
Napoli 1988, pp. 279-304. 


L'intervento di Mossano analizza la sostituzione 
dell’incantesimo idealistico mediante l’incantesimo 
psicologico, ossia quella comprensione della critica kantiana 
che scivola dall’appercezione trascendentale all’a priori 
come funzione ordinatrice dell’esperienza. Se ancora in 
Spaventa il problema critico è inteso come problema della 
conoscenza sul piano trascendentale, nella generazione 
successiva molti sono i tentativi di fornire interpretazioni 
differenti della tesi kantiana. Mossano ricorda come 
Spaventa avesse cercato ci riassorbire il positivismo 
nell’hegelismo, dal momento che il soggetto è ciò che 
letteralmente “fa”, costruisce il proprio oggetto. Dalle 
analisi del pensiero di Masci, tuttavia, si deduce come già in 
Spaventa “le forme kantiane siano intese in senso dinamico 
ed evolutivo, reale e non ideale” (p. 282). Questa tesi viene 
però corretta attraverso una lunga citazione tratta da La 
filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia europea 
grazie alla quale si vuole dimostrare come la concezione di 
Spaventa intenda il giudizio non soltanto come formativo, 
ma costitutivo dell'oggetto. Mossano ricorda come Masci 
abbia apprezzato il tentativo di sintesi del maestro tra 
hegelismo e darwinismo, soprattutto nelle opere dell’ultimo 
decennio di attività. È importante sottolineare come il 
nuovo empirismo proposto da Spaventa (fondato cioè sul 
superamento della contrapposizione tra realismo e 
idealismo) non distrugga il lato attivo e originario della 


2680 


soggettività, ma lo possa riconfermare, in una accezione in 
cui Kant si incontra con Hegel. Ciò che deve essere tenuto 
fermo, secondo il pensatore abruzzese, è il carattere non 
biologico, né psicologico del problema della conoscenza, 
che è essenzialmente critico. Analizzando il dibattito critico, 
Mossano individua in Tocco e Cantoni due assertori del 
limite intrinseco della prima Critica legato alla mancanza di 
una psicologia nell’architettura kantiana; diversamente 
Chiappelli tenta una mediazione, cercando quale tendenza 
psicologica si conformi maggiormente al problema del 
criticismo. Non mancano i riferimenti, in questo caso, alle 
tesi di Spencer, contro il quale, però, più volte Spaventa si 
espresse negativamente. Al termine si citano i giudizi del 
Gentile sulla errata interpretazione del criticismo offerta dal 
Masci. In conclusione si torna a ribadire l’esigenza si 
stabilire una radicale distinzione tra il lato empirico- 
evolutivo e quello trascendentale, ricordando come solo 
dopo il 1945 a psicologia si sia affrancata dalla filosofia. 


M. RASCAGLIA., Venti lettere inedite di Angelo 
Camillo de Meis a Bertrando Spaventa, in “Giornale 
Critico della Filosofia italiana”, 1990; 10 (1), pp. 39-74. 


Nella presentazione di questo nuovo, ennesimo impegno 
di ricostruzione del carteggio spaventiano, Maria Rascaglia 
indica come preciso intento la ricostruzione delle vicende 
biografiche di De Meis e Spaventa, in relazione al ventennio 
(1861-1882) coperto dalle venti lettere inedite. Molti sono i 
temi trattati, dove autentico protagonista romane la figura di 
De Sanctis, oggetto di continue polemiche sia sul piano 
politico sia sul piano del suo mestiere di critico letterario. Si 
sottolinea anche la tormentata vicenda della pubblicazione 
dell’articolo di Spaventa Paolottismo, positivismo, 


2681 


naturalismo: nelle lettere De Meis giustifica le correzioni 
apportata prima della stampa per ammorbidire almeno in 
parte i toni e la satira pungente dello Spaventa. Viene posta 
in risalto dalla Rascaglia anche la lettera del 22 luglio 1869 
in cui De Meis si difende dalla accusa dell’Imbriani di “non 
far deduzione”. Sullo sfondo rimane una sfiducia nella 
gestione politica dell’unità di Italia, soltanto a volte mitigata 
da un cauto ottimismo, come in occasione del governo 


Minghetti del °73. 


G. OLDRINI, Napoli e i suoi filosofi. Protagonisti, 
prospettive, problemi del pensiero dell’Ottocento, 
FrancoAngeli, Milano 1990. 


Il volume raccoglie una serie di interventi di Oldrini sulla 
cultura filosofia napoletana dell'Ottocento. Il ruolo di 
Spaventa appare con grande chiarezza nel VI capitolo, 
dedicato all’hegelismo italiano tra Napoli e Torino (saggio 
apparso in “Filosofia” nel 1982) e nel VII capitolo 
sull’hegelismo ‘critico’ del filosofo abruzzese (apparso già 
nel 1988). Il capitolo IX, sulle ragioni dello Stato etico, 
inedito, confronta le posizioni di Vera con quella dei fratelli 
Spaventa, mostrando la loro progressiva interpretazione 
dell’hegelismo da supporto alle teorie rivoluzionarie a 
sfondo teorico del concetto di Stato etico, inteso come ciò 
che dà direzione, unità e senso alla dimensione economico- 
sociale. 


V. VITIELLO, Bertrando Spaventa e il problema del 
cominciamento, Guida Editori, Napoli 1990. 


Punto focale dell’interpretazione di Vitiello è il dualismo 
di essere e pensare che Spaventa eredita dalla tradizione 


2682 


filosofica. Acquisita la novità kantiana di una conoscenza 
che non è più fatto, bensì attività, Spaventa mostra come 
Hegel sia la sintesi tra il soggettivismo radicale di Fichte e 
l’oggettismo schellinghiano. Punto focale proposto da 
Vitello è l’indeducibilità del pensare dall’essere nella 
filosofia antica e l’indeducibilità del reale dal possibile nella 
filosofia moderna (p. 16): la filosofia hegeliana vuole dar 
ragione a Fichte senza smentire Schelling (p. 18); su questo 
punto l’interpretazione di Spaventa raggiunge un'intensità 
che verrà persa nei suoi eredi, persino in Gentile, che 
rimane chiuso nella logica fichtiana. Il circolo 
Fenomenologia-Logica deve essere intepretato alla luce 
della separazione del sapere dal suo contenuto come atto di 
volontà: il puro essere che ne risulta, come pura relazione a 
sé del pensare, dovrà mostrarsi capace di dedurre da sé 
l’intera ricchezza degli enti. Di fronte al pensare si erge 
dunque un Essere che è prima e fuori del pensare (p. 51). 
Qui si apre l'enigma della “genesi del No, dopo e 
nonostante il sì” (p. 61). 


G. CALABRÒ, La concezione etica dello Stato in 
Bertrando Spaventa, in Silvio Spaventa (S. RICCI a cura 
di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1991, 
pp. 263-274. 


Il breve intervento di Calabrò riassume innanzitutto il 
contributo kantiano alla filosofia del diritto, in particolare 
sul rapporto tra morale e diritto nella cornice dello Stato. Il 
problema di Hegel, invece, riguarda proprio la conciliazione 
tra diritto e Stato in ordine al tema della volontà libera del 
singolo individuo. Spaventa rientra in questa trattazione, 
come scolaro di Hegel, definito “tutt'altro che inerte”: le sue 
speculazioni acquistano uno spessore mai più raggiunto 


2683 


dalla tradizione liberale. Spaventa sostiene che l’equilibrio 
di ragione e storia si trova proprio nella prospettiva dello 
Stato nazionale, anzi, sostiene esplicitamente che la pluralità 
degli Stati in quanto espressione della naturalità dovrà 
essere risolta in una figura ulteriore che non sarà lo Stato 
degli Stati, bensì è l’umanità, già attiva e perfettamente 
concreta. Per Spaventa, ancor più esplicitamente che in 
Hegel lo Stato è delimitato sia dall'alto che dal basso; 
centrale, sia in Spaventa che nel suo maestro ideale rimane il 
problema del rapporto tra individuo e Stato. Se da un lato il 
filosofo di Stoccarda mostra la concretezza della libertà nella 
prospettiva etica universale, il pensatore abruzzese rimane 
ad un livello più schematico e astratto, benché egli stesso 
avverta l'esigenza di una conciliazione tra sovranità statale e 
libertà individuale. 


M. MORETTI, Savio Spaventa e Villari, in Silvio 
Spaventa (S. RICCI a cura di), Istituto italiano per gli 
studi filosofici, Napoli 1991, pp. 303-386. 


L’intervento di Moretti individua le tappe salienti che 
hanno caratterizzato il rapporto intellettuale e politico tra 
Silvio Spaventa e Villari, di cui si hanno notizie dettagliate 
grazie al loro scambio epistolare. Uno dei momenti di 
maggiore tensione tra i due si verifica dopo la lettera al De 
Meis scritta da Bertrando Spaventa nel ’68, tensione che 
verrà acuita in seguito al progetto di far eleggere Bertrando 
nel collegio di Gesso Palena nel 1870. Le frizioni tra Silvio 
Spaventa e Pasquale Villari rientreranno già verso la fine del 
1870, mentre il rapporto con Bertrando rimarrà in gran 
parte compromesso. Il testo prosegue sottolineando le 
differenti prospettive dei due autori sul problema 
meridionale, sul ruolo dell'educazione e sulla riforma 


2684 


universitaria. 


TERESA SERRA, B. Spaventa interprete di Galluppi, in 
AAVV. Studi galluppiani. Atti del convegno galluppiano di 
Tropea del 28-30 maggio 1987, Brenner, 1991, pp. 281- 
298. 


Il kantismo del filosofo di Tropea viene individuato da 
Teresa Serra quale autentico punto di riferimento 
dell’interpretazione spaventiana: tenendo presente che 
Galluppi lavora fino al 1831 in totale isolamento dal mondo, 
ritirato nelle “nuvole filosofiche”, per approdare poi a 
Napoli nove anni prima dell’arrivo dei fratelli Spaventa, non 
è difficile supporre una lettura dei suoi testi da parte di 
Bertrando già prima dell’esillio torinese. La nota 
ammirazione per il Colecchi porterà ad uno scontro con il 
filosofo di Tropea, che pure aveva il merito di aver superato 
un certo provincialismo della filosofia italiana. Già nel 1850 
i giudizi su Galluppi non appaiono lusinghieri: l'influenza 
hegeliana porta Spaventa ad una radicale svalutazione 
dovuta alla mancata comprensione di Kant ed alla 
inaccettabile prossimità con Locke. Tale prospettiva sarà 
sconfessata nel 1860, nella prolusione in cui si annunciano 
Galluppi, Rosmini e Gioberti quali autentici filosofi italiani, 
ma le radici di un tale ripensamento devono essere 
rintracciate proprio nella svolta hegeliana del ’56, che offrì 
la possibilità a Spaventa di recuperare in una luce innovativa 
l’intero percorso del pensiero europeo: Galluppi rientra così 
nella filosofia cristiana, benché i tre autori dell'Ottocento 
non possiedano l’originalità del loro precursore Vico, di cui 
rappresentano soltanto una maturazione. La riabilitazione 
della sensibilità di Galluppi implica un suo riavvicinamento 
alle posizioni kantiane: in questo consiste, secondo Teresa 


2685 


Serra, la novità dell’ottica spaventiana, che non fu 
comunque immune da polemiche. 


N. CAPUTO, Prospettive real-idealistiche per una 


nuova metafisica, Morano, Napoli 1991. 


Il testo, suddiviso in sei capitoli e una conclusione, si apre 
con il problema di rivalutare l’umanesimo, superando il 
dualismo tra scienza e filosofia, non però in senso 
fenomenologico, come è stato suggerito da più parti nel 
corso del Novecento, o mediante teorie crociane, bensì alla 
ricerca di un umanesimo integrale che riabiliti Vico e Hegel. 
Il secondo e terzo capitolo propongono una critica serrata 
delle principali esegesi spaventiane: dal giudizio di Garin, 
all’'errata comprensione del rapporto tra politica e teoresi 
proposta da Vacca; non viene apprezzata né 
l’interpretazione dualistica di Spaventa offerta da Teresa 
Serra, né quella di Vito Bellezza, dipendente dalla visione 
gentiliana. Anche il volume di Cubeddu del ’64 viene 
svalutato. Sui risultati dell’indagine storiografica su 
Spaventa si citano i lavori di Savorelli sulle riserve 
antignoseologiche del filosofo abruzzese; le edizioni di 
alcune opere curate da D’Orsi per mostrare il legame con il 
pensiero di Lotze, i mutamenti di prospettiva di Cubeddu. 
Superate, nel quarto capitolo, le interpretazioni sul 
teologismo di Spaventa proposte da Croce e sul misticismo 
legate all’opera di De Ruggiero, il capitolo quinto mostra 
come unica possibilità di intendere il pensiero di Spaventa il 
real-idelismo di Felice Alderisio, che rivaluta l’unità di 
realismo e idealismo soprattutto nell’ultima fase del suo 
pensiero, segnata dal confronto con Kant. L’attualismo 
gentiliano, le tesi di Guzzo, Carabellese e Calogero sono 
considerate deviazioni rispetto alla strada tracciata da 


2686 


Spaventa. L’esame delle teorie di Berti sull’assoluto di 
Spaventa ed i vari tentativi di interpretazione marxista da 
parte di Togliatti e Plebe si rivelano insufficienti secondo 
Caputo, almeno tanto quanto le proposte di analisi 
dell’hegelismo proposte da Kojève e Vitiello. La polemica 
contro  l’indirizzo epistemologico di Barone, il 
convenzionalismo di Geymonat, l’irrazionalismo di 
Abbagnano e l’antiidealismo proposto da Filiasi-Carcano è 
affrontata nell'ultimo capitolo. La conclusione propone un 
superamento di attualismo, marxismo e positivismo facendo 
riferimento ai testi cardine del pensiero di Spaventa quali 
Logica e metafisica da un lato ed Esperienza e metafisica 


dall’altro. 


G. LANDOLFI PETRONE, Ux inedito di Bertrando 
Spaventa sul Concetto di Filosofia, in “Studi filosofici”, 
1991-92, pp. 195-212. 


La breve presentazione dello scritto Sopra Kant (Carte 
Spaventa 1.1.16) di Petrone si concentra sulla novità 
assoluta della trattazione spaventiana di Kant nel 1851-52, 
sottolineando che la linea Kant-Hegel rafforza l’idea 
dell'impronta tedesca della filosofia europea. La 
tematizzazione di Kant avviene circa tredici anni dopo la 
prima lettura della Critica della ragion pura, primo testo 
filosofico cui l’autore si avvicinò nel 1838-39. Spaventa 
rileva come la dialettica sia già in Kant il tratto centrale della 
riflessione come insieme di identità e non identità. Petrone 
sottolinea anche il rilievo dato da Spaventa alla distinzione 
kantiana tra filosofia e senso comune. Alla recensione segue 
poi il saggio spaventiano. 


I. BERTOLETTI, Dialettica del cominciamento. Un 


2687 


saggio di Vincenzo Vitiello su Bertrando Spaventa, in 
“Humanitas”, 1992, pp. 122-126. 


Il commento di Vitiello si concentra sul problema del 
Primo, diversamente interpretato a seconda che ci si trovi in 
Fenomenologia o in Logica. Al di là delle singole polemiche 
con Trendelenburg, nelle quali tuttavia Spaventa dimostra 
grande padronanza della materia logico-metafisica, 
l’intervento di Vitiello risulta interessante perché proietta il 
pensiero di Spaventa oltre lo stesso Hegel, verso un Essere 
che è prima e fuori dal pensiero. Lungi dall'essere la 
rivisitazione di un presupposto realistico, Vitiello interpreta 
questa posizione collegandola alla presenza di un limite del 
pensiero che è volontà. Esaltata la fecondità del 
ripensamento di Spaventa offerto da Vitiello, Bertoletti 
considera le prospettive ermeneutiche che si aprono a 
partire da questa lettura, prospettando in Spaventa un 
anticipatore di Wittgenstein e Adorno. 


F. M. DE SANCTIS, Lorenz von Stein e il giovane 
Spaventa, in Dall’assolutismo alla democrazia, Giappichelli 
editore, Torino 1993, pp. 185-197. 


Il settimo capitolo del testo di De Sanctis mostra 
l’interesse di Spaventa per il testo di von Stein I/ socialismo e 
il comunismo in Francia: la petizione per la traduzione del 
testo in italiano fu sostenuta dall’abruzzese in un articolo 
apparso sul “Nazionale” di Firenze. Si avanza l'ipotesi che i 
nuclei teorici dello Stein siano lo sfondo concettuale di 
molti articoli apparsi sul “Progresso”. 


E. GARIN, Tra due secoli. Socialismo e Filosofia în 
Italia dopo l’unità, De Donato, Bari, 1993. 


2688 


Non molti nomi sono citati quanto quello di Bertrando 
Spaventa, a dimostrazione dell'importanza e della rilevanza 
dell'autore nel contesto italiano dopo l’unità. Soprattutto 
nella prima parte, dedicata agli hegeliani dell’Ottocento, 
Spaventa occupa un luogo centrale, anche per l’influenza 
esercitata sul pensiero di Labriola. 


G. OLDRINI, La “Rinascita dell’Idealismo” e il suo 
Retroterra Napoletano, in “Giornale Critico della filosofia 
italiana”, 1994, 73 (2-3), pp. 205-225. 


Oldrini comincia con il rilevare che il destino comune dei 
due grandi leader della tradizione classica napoletana, De 
Sanctis e Spaventa, fu quello di non avere una scuola in 
grado di continuare e diffondere i loro insegnamenti. La 
rinascita dei due autori è dovuta, tra la fine del XIX secolo e 
l’inizio del XX, all'operato, rispettivamente di Croce e 
Gentile. Di contro all’atrofia culturale che imperava in 
quegli anni a Napoli, questi ultimi rivendicano un ruolo 
decisivo all’idealismo storico, nonostante le differenze, 
anche radicali, sui singoli temi: in questa ottica sono 
interpretati da Oldrini anche gli attacchi ai letterati ed 
eruditi dell’epoca. L’involuzione della cultura napoletana è 
intesa come conseguenza del parassitismo della classe 
borghese e della boria accademica, cui l’idea di un idealismo 
storicistico promossa da Gentile e Croce impresse 
certamente una svolta. 


C. TUOZZOLO, Schelling e il “cominciamento” 
begeliano, Città del sole, Napoli 1995. 


Significativo è il fatto che i titoli di ben due capitoli su tre 


2689 


nel libro recano il nome di Spaventa. Il punto di partenza è 
la valutazione della critica schellinghiana al pensiero 
hegeliano: da qui si mostra il profondo legame Werder- 
Fischer-Spaventa, in quanto linea di pensiero che recupera 
le critiche di Schelling. La tendenza di autori come Spaventa 
consiste nell’identificare il primo della logica con il Dio di 
Schelling: non vuoto e astratto cominciamento, bensì atto di 
volontà pura. Si evidenzia anche  l’interpretazione 
spaventiana del passaggio dallo Spirito Assoluto presente al 
termine della Ferorzenologia e l’Essere astratto da cui 
comincia la Scienza della Logica: l’inizio della logica non è il 
depotenziamento del risultato della Fezorzerologia, bensì 
l’essere già ricco di differenze, dalle quali si può effettuare 
l’astrazione. Il problema concettuale ravvisato da Tuozzolo 
in Spaventa è l'impossibilità di conciliare la dottrina 
creazionista di Schelling con l’incrollabile caposaldo 
hegeliano della identità tra logica e metafisica. Per questo 
l'operazione di molti studiosi di Hegel, tra cui anche 
Spaventa, sarà quella di tentare una conciliazione ed 
integrazione del pensiero di Hegel mediante le ultime 
speculazioni di Schelling. 


M.RASCAGLIA, Introduzione a Epistolario, Istituto 
poligrafico dello Stato, Roma 1995. 


La premessa di Oldrini è seguita da un intervento di 
Maria Rascaglia che include un apparato bibliografico 
relativo alle fonti e alle prime edizioni dei carteggi. 
Rivendicare l’importanza del patrimonio epistolare come 
punto di osservazione privilegiato per comprendere la vita e 
l'evoluzione intellettuale dell'autore assume senso 
soprattutto nel caso di Bertrando Spaventa, a causa della 
dispersione editoriale subita dagli scritti. Se nei carteggi, in 


2690 


cui il fratello Silvio rimane sempre un interlocutore 
privilegiato, si può recuperare lo stile arguto e la vis 
polemica del filosofo, si deve aggiungere che emergono 
anche una serie di nuovi progetti editoriali, mai portati a 
termine, oltre alla ben nota traduzione dell’opera dello 
Stein. Nelle lettere rivolte al fratello soprattutto è possibile 
specificare meglio lo stato d’animo di Spaventa nel decennio 
piemontese e soprattutto le preoccupazioni dovute alle 
ristrettezze economiche. Maria Rascaglia rivendica 
l’importanza di uno studio attento dell’epistolario anche per 
comprendere il legame tra Spaventa e Fiorentino ad 
esempio, sviluppato su due livelli: al rapporto maestro- 
allievo ormai conosciuto, si aggiungono anche dettagli 
importanti sulla collaborazione in campo pubblicistico. 
Oltre agli attacchi e all’ironia nei confronti della “colonia 
romana” composta da Berti, Mamiani e Ferri, emergono 
anche le considerazioni sulla situazione politica e 
amministrativa in cui Spaventa fu coinvolto, prima come 
membro della Commissione di indagine del consiglio 
superiore della Pubblica istruzione, poi come deputato dal 
"70 fino alla caduta della Destra storica. In realtà molte sono 
le occasioni nelle quali si possono rilevare atteggiamenti di 
sconforto e di sfiducia nell’attività politica, rispetto alla 
quale il fratello Silvio diventa simbolo di una battaglia anche 
morale. Sulla dispersione dell’epistolario hanno influito 
certamente la morte prematura dello Spaventa e i diversi 
orientamenti assunti dai principali allievi della scuola. 


N. SICILIANI DE CUMIS, Il “tecnico” e l’ “educativo” 
da Spaventa a Labriola, in “Scuola e città”, 1996, pp. 99- 
IBS 


De Cumis affronta da subito la vexata quaestio dei molti e 


2691 


diversi Spaventa proprio al fine di valutare i nessi tra 
Spaventa e Labriola in rapporto alla “politica immanente”. 
Evidenziare le conseguenze della lezione spaventiana, 
proprio a partire da Labriola, di cui si riporta uno stralcio 
della famosa lettera del ’94 indirizzata a Engels, è essenziale 
per mostrare la relazione tra i due. La prospettiva tecnica e 
meccanica in Spaventa si spiega soprattutto in rapporto alla 
dimensione etico-sociale, che sarà decisiva anche per la 
dimensione educativa del pensiero di Labriola. In realtà 
entrambi concordano sul carattere antipositivistico 
dell'educazione e sulla necessità dell'incrocio di politica e 
scienza. Pur sottolineando la diversità di esiti cui sarà 
condotto il Labriola marxista, a motivo del materialismo, 
della mutata concezione della storia e delle differenti 
concezioni metodologiche ed epistemologiche, De Cumis 
nota una certa affinità tra le tesi di Labriola del ’96 e quelle 
di Spaventa del ‘51. Certamente non si possono dimenticare 
le influenze del liberalismo sullo Spaventa giovane 
giornalista de “Il Progresso”, rispetto al diverso 
orientamento assunto da Labriola, per cui non si può 
liquidare quest’ultimo semplicemente come “allievo”. Non 
solo Spaventa già aspira a quella universalità delle 
intelligenze quale compito essenziale della filosofia politica, 
ma sul piano etico-politico-pedagogico le sue affermazioni 
risultano addirittura più ardite di quelle di Labriola: De 
Cumis precisa che anche Spaventa analizza la dialettica 
servo-signore in chiave rivoluzionaria, rintracciando in 
questa dinamica una lotta contro l’egoismo naturale, mentre 
Labriola si schiera già nell’ottica di una maggiore passività 
nei confronti della storia, il cui ritmo è già scandito da leggi 
universali ben individuate. 


D. LOSURDO, Da fratelli Spaventa a Gramsci: per una 


2692 


storia politico sociale della fortuna di Hegel in Italia, Città 
del sole, Napoli, 1997. 


Il testo si compone di sei capitoli nei quali si analizza 
l’influenze della filosofia hegeliana sul pensiero politico 
europeo ed in particolare su quello italiano, avendo sempre 
come riferimento la figura dei fratelli Spaventa. Il primo 
capitolo si concentra sul declino della filosofia hegeliana e 
sul suo totale fallimento registrato nel ‘48. Se è vero che 
Hegel aveva trasmesso al mondo l’assoluta mondanità e 
politicità dell’uomo, le vicende di Napoli saranno decisive 
per confutare l’interpretazione di Hegel come filosofo dello 
status quo. Il fallimento del °48 portò ad un abbandono della 
politica e ad un ritorno tra le braccia della natura, dal quale 
poi sarebbe scaturito il positivismo. Il secondo capitolo è 
dedicato al rapporto tra rivoluzione e nazione, di cui si 
seguono parallelamente il filone tedesco, con Strauss e 
Vischer, quello francese di Thiers e Guizot, ed infine quello 
italiano, proprio tramite i fratelli Spaventa, che mai 
accetteranno l’idea di una scienza positiva, ma 
rintracceranno nella storia l’autentico fare positivo 
dell’uomo, strettamente connesso alla sua nazionalità. 
Risultato di un tale “nazionalismo” è la teoria della 
circolazione del pensiero, che da un lato assume lo sfondo di 
filosofia della storia proposto da Hegel, dall’altro anticipa i 
germi del moderno, rintracciandoli nel Rinascimento 
italiano, più che nella Riforma,nonostante le resistenze di 
neoguelfi e mazziniani. Il terzo capitolo mostra il recupero 
europeo in chiave politica della tradizione inglese in 
contrapposizione allo stato etico hegeliano dopo le 
rivoluzioni del 48, cui si contrappone in Italia un’esperienza 
liberale che invece ha in Hegel, più o meno 
consapevolmente, il proprio teorico. Comincia in queste 


2693 


pagine il lavoro di Losurdo teso a smantellare la linea Hegel- 
Spaventa-Gentile a favore della linea Spaventa-Labriola- 
Gramsci. Nel quarto capitolo si riassumono i motivi 
principali dell'opposizione della Chiesa alle tesi hegeliane, 
contro cui Spaventa dovrà lottare scrivendo numerosi 
articoli. Soprattutto nelle tesi di Rosmini è rintracciata una 
teoria che, svalutando lo Stato in favore del ruolo della 
Chiesa, ripropone le tesi liberiste dello Stato minimo, 
fieramente osteggiato dai fratelli Spaventa. Il quinto capitolo 
si concentra sull’adesione di Gentile al fascismo intesa come 
progressiva separazione proprio dalle idee di Bertrando 
Spaventa, soprattutto rispetto all’idea del valore assoluto del 
singolo. Il sesto capitolo contesta alcuni stereotipi secondo 
cui il pensiero tedesco rappresenta una china che da Lutero 
giunge ad Hitler, mostrando come, più che Gentile, 
Gramsci ed il suo “comunismo critico” accolgano l'eredità 
spaventiana. 


A. SAVORELLI, Bertrando Spaventa e la via stretta tra 
Bruno e Hegel, in “Giornale critico della filosofia 
italiana”, 1998; 18 (1), pp. 33-43. 


Il confronto Bruno-Spinoza era un luogo privilegiato del 
dibattito filosofico dell'Ottocento. Spaventa può associare i 
due sulla scorta della lezione hegeliana, evidenziandone 
anche i rispettivi limiti, come ad esempio l'eccessivo 
formalismo e l’assenza del ruolo del soggetto come fonte di 
movimento della realtà. Anche Fischer influenzò le tesi di 
Spaventa che, contro Hegel, vide in Spinoza il filosofo della 
differenza: Savorelli suggerisce di legare questa differente 
interpretazione alla riforma della dialettica hegeliana, 
benché rimanga alta la considerazione di Spinoza come 
superamento del presupposto neoplatonico e naturalista. 


2694 


L’idealismo, rafforzato da questi confronti tra Bruno e 
Spinoza, permette di affrontare con risultati migliori il 
positivismo che si diffondeva in quegli anni. Anche Sigwart 
esprime opinioni simili a quelle di Spaventa sul rapporto 
Bruno-Spinoza, benché il dibattito che in quegli anni 
animava la Germania non avrebbe poi trovato altrettanta 
fortuna in Italia, che pure avrebbe dovuto prestare verso tali 
autori un’attenzione anche maggiore di quella tedesca. 


L. MALUSA, I filosofi e la genesi della coscienza 
culturale della “Nuova Italia” (1799-1900). Stato delle 
ricerche e prospettive dell’interpretazione, Istituto italiano 
per gli studi filosofici, Napoli 1997. 


Benché la figura di Spaventa sia presente in molti dei 
saggi di cui il libro è costituito, sono essenzialmente due gli 
interventi dedicati esplicitamente al pensatore abruzzese. 
Innanzitutto il testo di Oldrini Bertrando Spaventa e 
l'Europa (pp. 201-212), che anticipa il saggio del 1998 dal 
titolo L’idealismo italiano tra Napoli e l’Europa. Al testo si 
deve aggiungere una breve postilla di Enrico Rambaldi (pp. 
213-216). L'altro saggio di Nicola Siciliani De Cumis 
riprende l'articolo apparso nel 1996 I/ “tecnico” e | 
“educativo” da Spaventa a Labriola. 


M. FERRARI, I/ primo volume dell’epistolario di 
Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia 
italiana”, 1998, 78 (3), pp. 451-457. 


Oltre a sottolineare l’indubbio merito di aver raccolto 181 
lettere, Ferrari si riferisce soprattutto alla lettera indirizzata 
al Villari, in cui Spaventa ribadisce l’importanza dello studio 
del pensiero tedesco. Ferrari sottolinea quale sia il vantaggio 


2695 


che l’epistolario può offrire per ricostruire la vita 
dell’autore, soprattutto nel caso di una vita particolarmente 
travagliata e sconosciuta come quella di Bertrando Spaventa. 
Il corpus dell’epistolario sembrerebbe confermare l’ipotesi 
dei “molti Spaventa”. 


G. OLDRINI, L’idealismo italiano tra Napoli e Europa, 
Guerini, Milano 1998. 


La figura di Spaventa è presente in quasi tutti i capitoli 
del libro: si ricorda l'amicizia con De Meis, il rapporto col 
fratello Silvio, il confronto con il positivismo (suo e del suo 
allievo Angiulli), l’ultimo capitolo ripropone l’articolo del 
°94 La “rinascita dell’idealismo” e il suo retroterra napoletano, 
apparso sul “Giornale critico di filosofia italiana”. In 
particolare il capitolo quinto è dedicato alla figura di 
Bertrando Spaventa, nel suo rapporto con l’idea di Europa. 
Oldrini introduce alcune premesse per analizzare la figura 
del filosofo abruzzese: innanzitutto l’arretratezza politica e 
sociale nella quale fiorisce l’hegelismo napoletano; la 
sfasatura cronologica e il ritardo storico nell’assimilazione 
dell’idealismo; la necessità di superare il ritardo culturale 
dell’Italia; l'esigenza di applicare le categorie di Hegel al 
Risorgimento italiano; la lotta contro il provincialismo ed il 
materialismo; il confronto polemico con il positivismo. 
Oldrini critica molte delle interpretazioni del pensiero 
spaventiano proposte da Gianni Micheli, Asor Rosa, 
Franchini, Marchi e Vitiello. L'intervento di Oldrini si 
conclude con l’idea che l’indagine storiografica su Spaventa 
si trovi in un periodo di stallo e si auspica un rilancio degli 
studi. 


M. RASCAGLIA, Bruno  nell’epistolario e nei 


2696 


manoscritti di Bertrando Spaventa, in Brunus redivivus: 
momenti della fortuna di Giordano Bruno nel XIX secolo, 
E. CANONE (a cura di), Istituti editoriali e poligrafici 


internazionali, Pisa Roma 1998. 


Maria Rascaglia rintraccia negli Studi sopra la filosofia di 
Hegel il primo nucleo embrionale della ben nota tesi della 
circolazione del pensiero italiani, progetto confermato in 
una lettera a Villari del ‘51: in quelle occasioni Bruno è 
presente come autore di riferimento ed eroe della libertà del 
pensiero italiano nella fase rinascimentale. L’idea di uno 
studio approfondito della figura del Nolano è confermata 
dalla lettura di Bartholméss e Ritter, benché 
l’interpretazione hegeliana sarebbe rimasta dominante. 
Rascaglia analizza in maniera approfondità la relazione tra 
Spaventa e Mamiani, che comincerà a deteriorarsi proprio a 
causa dei dissensi sul panteismo, finché Mamiani divenne 
uno dei bersagli preferiti di Spaventa nelle sue polemiche. 
Rascaglia mostra come la lettura stessa degli scritti di Bruno 
segua un preciso ordine logico: il confronto tra Bruno e 
Spinoza obbliga Spaventa ad anticipare la lettura di De /a 
causa, principio et uno e di De l'infinito, universo e mondi 
rispetto al De rzirim0, De mondo e De immenso; tutte queste 
indicazioni sono essenziali se si tiene conto che l'intento di 
Spaventa era proprio quello di ricostruire in maniera 
sistematica il pensiero bruniano. Al progressivo interesse di 
Villari corrisponde l’indifferenza di Mariani. Dopo aver 
citato il famoso tentennamento di Spaventa ed il rifiuto di 
Le Monnier di pubblicare i tre studi su Bruno, Rascaglia 
precisa che il primo studio sarà pubblicato a Napoli nel 
1866, il secondo su “Il Cimento” nel 1856 e l’ultimo sarebbe 
rimasto inedito. Se nel primo quinquennio dell’esilio 
torinese la figura di Bruno sarà oggetto di attenzioni sempre 


2697 


maggiori, negli ultimi anni il confronto con Gioberti, la 
parentesi fenomenologica del ’58 e la riscoperta di Kant e 
Vico allontaneranno Spaventa dal filosofo di Nola, salvo una 
sua riscoperta nei primi anni ’60. All’intervento di Rascaglia 
seguono circa sessanta pagine di analisi dei contributi allo 
studio di Bruno presenti nei manoscritti di Spaventa, di cui 
si riportano interi brani. 


G. CHIMIRRI (a cura di), La filosofia morale italiana 
tra neohegelismo, attualismo e spiritualismo, Mimesis, 
Milano 1999. 


Nella presentazione di Chimirri si fa riferimento 
all’attualità dell’idealismo senza dimenticare la pluralità di 
prospettive da cui l’idealismo può essere inteso e sviluppato; 
dopo aver tematizzato i motivi di frizione tra l’idealismo e la 
scolastica, si mostra quale sia il ruolo dell’etica nel pensiero 
dell’idealismo, per concludere con alcune riflessioni critiche. 


Si riporta, proprio per esemplificare il rapporto tra etica 
ed idealismo, un brano dai Principi di Etica. 


C. TUOZZOLO, Dialettica e norma razionale, Giuffrè, 
Milano 1999. 


Rispetto alle diverse polemiche sul presunto monismo 
spaventiano, anticipatore in qualche modo delle tesi 
gentiliane sulla dialettica hegeliana, Tuozzolo vuole ribadire 
insieme il carattere di un “pensiero incapace di sfiducia in se 
stesso”, ma insieme la capacità di Spaventa di non compiere 
mai il passo, di mantenersi nel guado, approfondendo il 
nucleo problematico, consapevole che ogni soluzione torna 
ad essere problema. Si presenta un’analisi dei principali 
scritti di logica di Spaventa, il saggio su Le prize categorie 


2698 


della logica di Hegel e Logica e Metafisica, per mostrare 
come progressivamente negli anni ‘70 torni la meditazione 
sulla scienza e sul ruolo di Kant. La logica e la 
fenomenologia dell’ultimo Spaventa seguono la linea di 
interpretazione di Alderisio, secondo cui, se è vero che 
Spaventa eliminò progressivamente le differenze tra Denken 
e Nachdenken, non giunse mai alla pura identificazione dei 
due, come accadde in Gentile. L’ultimo capitolo è dedicato 
alla presenza di un ineffabile come dimensione precedente 
al sistema della scienza. 


A SAVORELLI e M. RASCAGLIA, Introduzione, in B. 
SPAVENTA, Lettera sulla dottrina di Bruno. Scritti inediti 
1853-1854, Bibliopolis, Napoli 2000. 


La costruzione dell'immagine di Hegel come profeta del 
nuovo immanentismo è il risultato di un lungo lavoro da 
parte di Spaventa. L'intenzione di trattare la personalità di 
Bruno affiora già in una lettera al Villari del 1851, ma verrà 
iniziato concretamente soltanto nel 1853, grazie alla 
disponibilità da parte dell’editore Le Monnier di pubblicare 
un’opera in tre tomi, di cui due dedicati ai testi del Nolano 
ed uno all’interpretazione spaventiana del filosofo di Bruno. 
Quello che sarebbe stato il primo studio italiano su Bruno e 
uno dei primi a livello europeo verrà poi rifiutato 
dall'editore, e rimarrà sostanzialmente sconosciuto persino 
alla filologia spinoziana tedesca, da sempre molto sensibile 
ai precorrimenti bruniani. Le fonti principali di Spaventa 
furono il manuale del Ritter e il testo Jordazo Bruno di 
Bartholmèss, ma certamente dominante è la prospettiva 
hegeliana: obiettivi prioritari di Spaventa furono la 
ricostruzione del pensiero di Bruno in chiave sistematica e 
anticipatrice della dialettica di Hegel. In contrapposizione 


2699 


alla storiografia dominante che presentava Bruno come un 
autore oscuro, Spaventa ne sottolinea i tratti di eroe e 
martire, marcando le differenze rispetto alla figura di Nicola 
Cusano. Indugiando sul rapporto Bruno-Spinoza, un 
classico filosofico dell’Ottocento, se ne rileva l’affinità, di 
contro all’interpretazione corrente sostenuta da Hegel e 
Cousin. Gli studi su Bruno si inseriranno poi nella teoria 
della circolazione, in cui saranno tenute insieme da un lato 
la continuità del pensiero italiano con quello europeo, 
dall'altro la valorizzazione della filosofia italiana del XIX 
secolo, due linee che nell’introduzione, sono definite non 
sempre convergenti. Da segnalare, infine, è l'evoluzione nel 
giudizio sulla figura di Bruno: gli studi sulla Ferorzenologia 
ed il recupero di Kant (soprattutto a partire dal ‘56) non 
consentiranno più di vedere nel filosofo di Nola una 
anticipazione, ma soltanto la preistoria della dialettica, 
analisi sulla quale si verifica una significativa convergenza 
con la filologia tedesca ed in particolare con Sigwart. Alla 
presentazione seguono la Lettera sulla dottrina di Bruno (ms 
3.6.4 datato 1853-54) e Della coincidenza degli opposti (ms. 
3.5.3. pp. 93-122) entrambi presenti nella Biblioteca 
Nazionale di Napoli. 


L. GENTILE, Coscienza nazionale e pensiero europeo 
in Bertrando Spaventa, Edizioni Noubs, Chieti 2000. 


Il libro si articola in cinque capitoli, il primo dei quali 
mostra come filosofia e cultura non siano mai disgiunte nel 
pensiero di Spaventa: la rigorosa riflessione di carattere 
metafisico sul reale non è mai astratta dai concreti problemi 
storici e dalla situazione politica. L'analisi del rapporto tra 
oggettività storica e soggettività filosofica occupa l’intero 
secondo capitolo, nel quale si tematizza uno dei problemi 


2700 


maggiori dello Spaventa, ossia l'armonizzazione tra genio 
italiano e modernità europea. Il tentativo di rivalutare la 
tradizione rinascimentale italiana come anticipatrice degli 
sviluppi europei fino all’idealismo tedesco non poteva che 
sviluppare un’avversione nei confronti della scolastica. A 
proposito della volontà di aggiornare il dibattito filosofico 
italiano, nel terzo capitolo si mostra l’itinerario spaventiano, 
dagli studi sulla fenomenologia dello Spirito ai rapporti con 
Gans e Michelet, per arrivare a Darwin ed Herbart. Nel 
capitolo successivo si prendono in esame soprattutto le 
influenze di Werder e Fischer sul pensiero spaventiano, al 
fine di contribuire alla vexata quaestio sulla riforma della 
dialettica hegeliana. A conclusione si evidenzia l’attenzione 
che l’autore nutriva per le nuove correnti come il 
positivismo, lo scientismo, l’evoluzionismo, nello sforzo di 
reintrodurre un principio teleologico dopo il definitivo 
abbandono di qualsiasi fattore soprasensibile, carattere che 
accomuna tanto la scienza dell’apoca, quanto l’hegelismo. 


D. D'ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Sulle 
Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti inediti, 
Cedam, Padova 2001. 


L'introduzione avvia una disamina del nuovo materiale 
ritrovato da D’Orsi, relativamente ai cinque nuovi foglietti 
recuperati, alle voci dell’Erciclopedia Popolare italiana del 
1860 ed altri contributi. Vi è anche spazio per una polemica 
con Tessitore a proposito della misteriosa figura di Basilio 
Scalzi, che secondo D’Orsi altro non era che uno 
pseudonimo di Bertrando Spaventa, mentre per Tessitore si 
trattava di un epigono della scuola di Spaventa. D’Orsi si 
occupa anche di stabilire un possibile nesso tra gli studi di 
Bertrando sulle Psicopatologie e la Psicopatologia generale 


2701 


di Jaspers, dal momento che entrambi si concentrano sul 
problema dell'unità psichica come autentico problema di 
carattere filosofico. 


Il testo include la riproduzione dei cinque foglietti 
stampati, le voci curate da Spaventa per l’Enciclopedia, 
alcuni appunti autografi e la riproduzione dei 4 articoli sulla 
Gita a Montecassino. 


G. ORIGO, Crisi e trasformazione della metafisica nel 
maturo Spaventa, Edizioni FERV, Roma 2001. 


Tema centrale del libro è il testo postumo Esperienza e 
Metafisica (1888), nel quale Spaventa tenta non solo di 
arginare la nuova ondata di scientismo che attraversava il 
suo tempo sotto il nome di positivismo ed evoluzionismo, 
ma anche di confrontare queste due nuove linee di pensiero 
con la dialettica e la riflessione speculativa. Origo sottolinea 
che il tentativo di Spaventa non è arroccarsi nella fortezza 
della metafisica, quanto piuttosto evidenziare l’ingenuità dei 
presupposti filosofici. da cui queste nuove correnti 
dipendono. L’intrascendibilità del pensiero, quella stessa 
che Spaventa ribattezzerà ‘metafisica della mente” 
costituisce il patrimonio filosofico di cui l’autore abruzzese 
non è in alcun modo disposto a privarsi. 


F. RIZZO, Bertrando spaventa. Le lezioni sulla storia 
della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-1862, 
Armando Siciliano Editore, Messina 2001. 


Il primo capitolo del testo analizza la dipendenza 
dell’interpretazione del pensiero di Spaventa dalle figure di 
Gentile e Croce, autori delle principali pubblicazioni con le 
quali l’autore abruzzese venne letteralmente riscoperto tra la 


2702 


fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. Pur prendendo 
in considerazione le critiche relative alla mancanza di valore 
storico della teoria della circolazione, troppo legata ad un 
accanimento speculativo, Francesca Rizzo rivendica la 
possibilità di sviluppare un europeismo più maturo proprio 
a partire dalla inattualità del pensiero di Spaventa, 
ingiustamente accusato di provincialismo e di eccessiva 
dipendenza dal sistema hegeliano. Il capitolo secondo si 
apre con una contestualizzazione del clima culturale nel 
quale spaventa tenne la sua prima lezione presso l’Università 
di Napoli: la trasformazione di ogni nazione in una stazione 
del progresso dello spirito, il cui agere non abita nessun 
luogo non comportano il rischio della fantasia al potere, ma 
si presentano come l’unico modo per evitare di costruire la 
storia della filosofia quasi fosse un inventario. Il capitolo 
terzo rifiuta l'accusa di deduttivismo storico e ripercorre le 
prime lezioni del corso del 61-62, nel quale viene 
stigmatizzata la dogmaticità del pensiero italiano, capace di 
soffocare i grandi del Rinascimento. Il capitolo quarto 
ripercorre le lezioni su Campanella, Bruno e Vico. Molto 
saggiamente il nome di Galileo è posto tra parentesi, dal 
momento che Spaventa ne tratterà soltanto in Esperienza e 
metafisica. Il capitolo quinto è dedicato all’ultima filosofia 
italiana, in particolare le lezioni su Galluppi, Rosmini e 
Gioberti, fortemente svalutati rispetto alla genialità delle 
intuizioni dell’idealismo. Essenziale novità per Spaventa 
rimane il problema della conoscenza, tema principe della 
filosofia da Kant in poi. Il testo prosegue con l’analisi delle 
interpretazioni del pensiero di Vico proposte da Francesco 
Fiorentino e Giovanni Gentile e si conclude riportando il 
testo della prima lezione del corso tenuto da Bertrando 
Spaventa nell’anno 1864-1865. 


2703 


L. LA PORTA, Recensione a G. ORIGO, Crisi e 
trasformazione della metafisica nel maturo Spaventa, 
Edizioni FERV, Roma 2001, in “Rinascita della scuola”, 
2001; 25, (2), p. 124. 


La breve recensione tende a sottolineare il rapporto tra 
criticismo kantiano e neoidealismo italiano. 


G. GENTILE, Bertrando Spaventa, V. A. BELLEZZA 
(a cura di), Le lettere, Firenze 2001. 


L’ampio volume preparato agli inizi degli anni ’70 riporta 
quasi tutti i testi prodotti da Giovanni Gentile come 
commenti alle opere di Spaventa in occasione delle varie 
pubblicazioni. La prima parte raccoglie tre complessi studi 
sulla figura del filosofo abruzzese: il primo coincide con la 
biografia inserita anche nella edizione delle Opere del ’72, il 
secondo riguarda la riforma dell’hegelismo, il terzo è un 
bilancio a cinquant'anni dalla morte del filosofo. La seconda 
parte riprende le prefazioni e le note di Gentile a diversi 
scritti spaventiani, per la maggior parte inseriti già nelle 
Opere del ‘72. Al termine è inserita una Appendice che 
raccoglie altri interventi di Gentile. Una breve nota di Vito 
Bellezza conclude il testo. 


E. COLOMBO, Introduzione a B. SPAVENTA, Studi 
sopra la filosofia di Hegel. Prime categorie della logica di 
Hegel, CUSL, 2001. 


Il saggio mostra i motivi di scontro con le obiezioni di 
Trendelenburg che tendevano a mettere in discussione la 
concretezza del sistema hegeliano. Anche con l’aiuto della 
logica di Fischer, Spaventa vuole ribadire il nucleo centrale 


2704 


della sua visione ossia che la logica è metafisica. L’autore 
sottolinea anche il ruolo essenziale che nel pensiero di 
Spaventa svolge la Fenomenologia quale “ancilla scientiae 
alla soglia del tempio”. 


A. SAVORELLI, Gentile editore e interprete di 
Spaventa. L'ultimo volume delle “Opere”, in “Giornale 
Critico della filosofia italiana”, 2002, 22(2), pp. 320-330. 


Savorelli attribuisce la riscoperta di Spaventa a merito 
esclusivo del Gentile, il quale costrinse gli italiani a 
cibarsene. La mancanza di una scuola capace di sostenere e 
diffondere l'insegnamento di Spaventa contribuì ad un 
inesorabile declino: la polemica tra Gentile e Croce 
contribuì quantomeno a risollevare le sorti del filosofo 
abruzzese. È stato Gentile a interpretare in chiave 
squisitamente filosofica la teoria della circolazione del 
pensiero, benché la riforma avviata dallo Spaventa sia stata 
interpretata come inizio dell’attualismo più che come crisi 
dell’hegelismo. Savorelli aggiunge una appendice sul libro di 
Francesca Rizzo in cui spaventa è presentato come un 
classico della cultura italiana dell’unità assieme a De Sanctis, 


Labriola e Villari. 


P. DE LUCIA, Donato Jaja e il significato teoretico e 
storico della filosofia rosminiana, in “Filosofia oggi”, 2002, 
25:43) 339-373. 


L’articolo propone una disamina del rapporto tra lo 
spiritualismo rosminiani e l’attualismo gentiliano, anche con 
l'intento di valutare la consistenza della tesi sul presunto 
carattere cattolico del suo idealismo sottolineata già da Del 
Noce e Carabellese. Punto focale della ricerca è mostrare la 


2705 


dipendenza degli studi jajani dall’interpretazione 
spaventiana secondo la quale Rosmini sarebbe il Kant 
italiano. Elemento centrale che accomuna i due pensatori è 
la cosiddetta mentalizzazione del fondamento. Spaventa 
riconobbe a Kant il merito di aver risolto il problema della 
conoscenza in base ad un principio superiore (l’unità 
sintetica originaria cui equivale il rosminiano sentimento 
fondamentale). Spaventa denuncia poi l’imperfezione 
dualistica che caratterizza tanto Kant quanto Rosmini, Jaja 
riprende nei suoi studi la critica spaventiana al Rosmini, il 
quale non colse il superamento kantiano della concezione 
della estraneità dello spirito rispetto alla realtà esterna. Il 
Bullia criticherà Jaja per non aver tenuto conto, all’interno 
di questa sua valutazione, della dottrina della creazione che 
svolge un ruolo essenziale nella teosofia rosminiana. Rimane 
dunque la possibilità di istituire un parallelo tra i due sulla 
base del fatto che per entrambi pensare equivale a giudicare, 
ma senza dimenticare le differenze nel rapporto con la realtà 
esterna: il giudizio di Jaja e gi sviluppi gentiliani hanno salde 
radici, dunque, nella lettura spaventiana. 


A. SAVORELLI, Introduzione a B. SPAVENTA, La 


filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, 
Storia e letteratura, Roma 2003. 


Savorelli ricorda che il testo, pubblicato nel 1862, non 
solo è il più discusso ed il più innovatore degli scritti di 
Spaventa, ma è anche l’unico che l’autore abbia condotto a 
termine, date le disavventure editoriali di opere quali Logica 
e Metafisica e la dispersione dei suoi saggi filosofici. La 
scelta di Gentile di modificare il titolo originario nell’attuale 
tende a sottolineare che l’interpretazione storica fornita da 
Spaventa è innanzitutto una operazione filosofica, anzi, forse 


2706 


l’unica autentica storia della filosofia italiana. Savorelli tenta 
di ricostruire le fonti cui Spaventa si è ispirato, dai testi di 
Cattaneo alle tesi di Gatti e Cusani, dovendo però 
riconoscere che l'apporto di Spaventa in termini di 
chiarezza e originalità è stato determinante, soprattutto 
grazie alla conoscenza profonda dei testi hegeliani che i suoi 
contemporanei non possedevano. Savorelli concentra la 
propria attenzione su alcuni aspetti decisivi del contributo 
spaventiano come la capacità di agganciare la filosofia 
italiana al pensiero europeo e di contrastare le tendenze 
neoguelfe. Dopo aver messo in luce che l’eroe della 
Rinascenza italiana è senz'altro Giordano Bruno, Savorelli 
chiarisce che l'elaborazione di una nuova prospettiva storica 
mediante la quale comprendere il Rinascimento non segue 
un percorso lineare, ma subisce una drastica rivoluzione 
dovuta all’approfondimento del pensiero hegeliano. A 
motivo della sua sincera ammirazione per l’idealismo 
tedesco Spaventa, benché rivaluti la filosofia italiana 
dell'Ottocento a integrazione della sua teoria della 
circolazione, non smetterà mai di evidenziarne le lacune. 
Savorelli conclude mostrando come Gentile abbia 
manifestato un chiaro dissenso su diversi punti rispetto alle 
tesi spaventiane, in alcuni casi fino a tradire le intenzioni del 
filosofo abruzzese: vero merito di Spaventa rimane in ogni 
caso quello di aver fornito all’Italia una chiave di lettura 
della modernità, o meglio una alternativa al neoguelfismo da 
un lato e all’empirismo dall’altro. 


V. VITIELLO, Hegel in Italia. Dalla storia alla logica. 
Guerini e Associati, Milano 2003, in particolare le pagine 
211-248. 


Vitiello individua l’hegelismo di fondo di Spaventa 


2707 


nell’attenzione dedicata al problema della relazione. Hegel 
si pone, nel pensiero del filosofo abruzzese quale risposta ad 
una domanda: come dare ragione a Fiche senza smentire 
Schelling? Tale la questione filosofica che coinvolge in realtà 
l’intero pensiero moderno. La risposta si trova nella 
reciproca fondazione di Fenomenologia e Logica (benché in 
realtà profonda sia la differenza tra il “primo” dell’una e 
dell’altra), fondazione rimasta incompresa tanto da Gentile 
quanto da Croce. Servendosi anche dei contributi di Fischer 
e Werder in quanto oppositori di Trendelenburg, Vitiello 
mostra quale sia lo sfondo storico di quella identità tra 
pensiero e realtà che si trova oltre la relazione medesima. 
Alla base della Logica si trova la volontà. L'analisi della 
contraddizione intrinseca all'essere conduce alla 
consapevolezza che l’Essere dell'inizio della logica non è 
interamente riconducibile al pensiero. Qui si avverte 
l’intima prossimità di Spaventa a quel Prius di Schelling che 
non è pensiero, bensì volontà. Al fondo rimane l’enigma 
della vita, senza ragione. 


G. ORIGO, Bertrando Spaventa. Interprete della 
circolazione filosofica italiana, Edizioni FERV, Roma 
2003. 


Obiettivo dichiarato di Bertrando Spaventa era quello di 
creare un autentico spirito nazionale rifacendosi alla 
tradizione filosofica rinascimentale e mostrandone il 
carattere precursore rispetto al pensiero europeo moderno. 
Il pensiero moderno non è nazionale, ma innanzitutto 
europeo: nel testo si sottolinea la distanza su questo punto 
tra Vico e Kant: benché alcune riflessioni del filosofo 
napoletano possano essere lette come anticipazioni del 
pensatore tedesco, rimane al fondo una differente 


2708 


consapevolezza, dal momento che Kant è conscio di inserirsi 
in un dibattito europeo, non così Vico. La dimensione 
europea del moderno non significa rinuncia, bensì 
valorizzazione delle componenti nazionali: il carattere della 
circolazione filosofica italiana è intrinsecamente hegeliano. 
Il progetto di una connessione tra Rinascimento e idealismo 
matura progressivamente durante il periodo torinese, ma 
trova il suo pieno e compiuto sviluppo soltanto nel periodo 
napoletano, anche grazie alla posizione accademica dello 
Spaventa, prima costretto a brevi interventi sottoforma di 
articoli di giornale. Oltre alla necessità di una rivalutazione 
del pensiero di Rosmini e Gioberti al fine di portare a 
termine una sorta di rivincita sul genio germanico, essenziale 
è individuare nelle meditazioni spaventiane un problema di 
logica della storia per cui furono i fatti a condannare Bruno. 


A. SAVORELLI, Croce e Bertrando Spaventa, in 
“Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 2003 Ja-A23 
(1), 42-58. 


Se già nel 1907, in occasione del confronto diretto con 
Hegel, Croce “dovette riprendere in mano anche i testi dello 
zio Bertrando”, la sintonia si deteriorerà progressivamente 
negli anni, benché secondo Savorelli Croce non sarebbe mai 
giunto ad una rottura definitiva, né a pronunciare una 
condanna senza appello. L’ambiguità dell’atteggiamento di 
Croce è legato da un lato alla critica della dialettica 
hegeliana che dal 1912 investirà non solo Hegel, ma anche 
Spaventa, dall’altro alla sostanziale accondiscendenza di 
Croce all’interpretazione di Vico proposta da Bertrando 
Spaventa. Nel 1909 Spaventa è ancora un “gagliardo 
tentativo di alta cultura”, ma dal 1912 si avrà, secondo 
Savorelli, una accelerazione critica nei suoi confronti: 


2709 


sottolineando le origini “clericali” e la statolatria 
(presupposto dell’adesione di Gentile al Fascismo), Croce 
prenderà le distanze dal filosofo abruzzese, benché nel ’48 la 
rilettura di Hegel passasse nuovamente dagli scritti di 
Spaventa. 


A. SAVORELLI, Croce e Spaventa, in A. SAVORELLI, 
L’aurea catena. Saggi sulla storiografia filosofica 
dell’idealismo italiano, Le lettere, Firenze 2003, pp. 271- 
299, 


Il testo riprende le tesi dell’articolo apparso sul “Giornale 
critico della filosofia italiana”, Ja-A23 (1), 42-58. 


AA.VV, La filosofia del Risorgimento. Le prolusioni di 
Bertrando Spaventa, La scuola di Pitagora editrice, Napoli 
2005. 


Il libro presenta la lezione proemiale al corso di filosofia 
del diritto letta il 4 gennaio 1860 all’Università di Modena e 
le due prolusioni alle lezioni rispettivamente al corso di 
storia della filosofia tenuto all’Università di Bologna nel 
1860 e al corso di filosofia teoretica dello stesso anno, 
tenuto all’Università di Napoli, oltre alla “Nota alla 
prolusione. Introduzione alla filosofia indiana”. I testi sono 
preceduti dal già menzionato saggio di Garin Filosofia e 
politica in Bertrando Spaventa; al termine sono riportati due 
brevi interventi di T. Stràter e di B. Croce. 


G. ROTA, La circolazione del pensiero secondo 
Bertrando Spaventa, “Rivista di Storia della Filosofia”, 
2005, n.4, pp. 655-686. 


2710 


Gramsci, che certo non stimava Spaventa, a motivo della 
sua provincialità e della mancanza di stimoli da parte del 
suo tempo a pensare in maniera epocale, attribuisce 
comunque al filosofo di Bomba una certa importanza in 
relazione alla teoria della circolazione del pensiero. “Siamo 
arrivati tardi dopo essere stati i primi” è una formula che 
riassume con incisività e concisione il pensiero di Spaventa, 
che voleva superare la miseria delle gare di parte che ancora 
caratterizzavano il dibattito italiano per elevarlo sulla 
scienza europea. Per attualizzare Hegel in Italia non si 
poteva utilizzare la figura di Lutero, destinato comunque 
sempre a rimanere un forestiero. La Chiesa cattolica che per 
Hegel era ormai passiva nella storia, risultò per Spaventa 
una zavorra estremamente attiva: abbandonato Lutero, 
dunque, si guarda a Bruno e Vico. Rota accenna anche alla 
polemica con Mariano, secondo il quale il genio italico non 
era un tema che potesse assumere rilievo scientifico. Rota 
conclude precisando che, sebbene si debba a Gentile la 
riscoperta di Spaventa, questi non condivideva la 
filosofizzazione della storia attuata dal suo maestro ideale su 
due punti: Gentile non accettava la diagnosi di 
encefalogramma piatto dell’Italia del XVI e XVII secolo, 
rifiutando altresì la concezione ancora troppo naturalistica 
del concetto di nazione formulata dal filosofo abruzzese. 


N. CAPUTO, Bertrando Spaventa e la sua scuola. Saggio 
storico-teoretico, Istituto italiano per gli studi filosofici, 
Napoli, 2006. 


Il libro si divide in tre parti. La prima dedicata alla 
delicata sintesi che Spaventa tentò di sviluppare tra 
hegelismo e liberalismo, in cui si sottolinea l’importanza del 
Collecchi nella formazione del filosofo abruzzese, 


2711 


l’importanza di una esegesi unitaria degli scritti spaventiani, 
l’importanza dell’attività di pubblicista nel periodo torinese 
e la parentesi del 1858 sulla logica di Hegel. La seconda 
parte riguarda la linea mediana tra realismo e idealismo che 
Spaventa cercò dagli anni ’60 in poi, dove si segnala 
l’importanza di una interpretazione originale della dialettica 
hegeliana anche rispetto al confronto con le correnti 
scientiste dell’epoca, senza dimenticare l’intenso studio sulla 
politica hegeliana e sul problema del sopramondo. L'ultima 
parte è dedicata alla scuola di Spaventa, in particolare in 
riferimento alla crisi dell’hegelismo e al binomio Croce- 
Gentile, cui l’autore contrappone il real-idealismo di 
Alderisio. Si menzionano anche le interpretazine 
materialistica di Labriola e l’hegelismo critico di Sebastiano 
Maturi, per concludere con una disamina dell’idealismo di 
Jaja e dello spiritualismo critico di Filippo Masci. 


M. RASCAGLIA, Paolottismo, positivismo, 
razionalismo (la stesura originaria di Maria Rascaglia), in 
“Giornale Critico della Filosofia Italiana”, vol. 2, 2006, 
n.2, pp. 220-236. 


Una brevissima introduzione, dove si ricorda l’importanza 
del riordino dei materiali scompigliati dai bombardamenti 
del ‘43 nella sede della Società Napoletana di Storia Patria e 
l’importanza della figura di De Meis nella corrispondenza 
dei fratelli Spaventa, accompagna il testo della lettera datata 
8 maggio 1868, indirizzata prima a Fiorentino e poi in un 
secondo tempo proprio al De Meis da Bertrando Spaventa. 
Lettera nota poi con il titolo di Paolottismo, positivismo, 
razionalismo. Oltre alla versione iniziale della lettera, sono 
state inserite i passi della minuta che consentono di 
comprendere il lavoro di revisione compiuto da Spaventa. 


Elda 


G. ORIGO, Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e 
difesa della filosofia italica, Bibliosofica, Roma 2006. 


Sin dalla Prefazione l’obiettivo dichiarato di Origo è una 
rivalutazione della filosofia italica, mentre nell’Introduzione 
si rivendica l’opera di ricomposizione della tradizione 
italiana operata da Spaventa di contro ad una arbitraria 
dissoluzione a causa della quale si sorvola troppo spesso sui 
nessi che legano Bruno, Campanella, Galilei e Vico. 
Innanzitutto mettere a fuoco il concetto di conato in Bacone 
e in Bruno consente a Origo di evidenziare subito l’opera di 
disincantamento attuata da Bruno nei confronti della 
teologia dogmatica che non compie alcuno sforzo filologico: 
l’universo come articolarsi che trascende se stesso prepara la 
via a Galilei, oggetto di studio del secondo capitolo del 
testo. La medesima volontà di superare le visioni dogmatico- 
esaustive muove Galilei verso una trasformazione epocale, 
di portata senz’altro europea: la ricostruzione dello 
scienziato è sempre anche costruzione, anticipando così la 
lezione dello stesso Vico; di nuovo l’articolazione discorsiva 
delle forze costituisce la chiave di lettura del gran libro della 
natura, benché Origo tenga a precisare come l'equilibrio tra 
lo scienziato ed il filosofo sia destinato a rimanere precario. 
L'esigenza di scandagliare ancora più a fondo i contributi 
scientifici del Rinascimento conduce Origo a esaminare nel 
terzo capitolo il ruolo di Vico, Bacone e Grozio. Vico è 
citato non solo per l’idea di mutamento che si realizza nelle 
tre età della storia, ma anche per la concezione della 
pubblica giurisprudenza, in connessione con la figura di 
Grozio e con la sua “destabilizzazione ermeneutica” (p. 99) 
che conduce ad una preponderanza del diritto umano su 
quello naturale. A tali studi, come precisa Origo, si 


2713 


ricollegherà Spaventa anche nella sua polemica con i 
Gesuiti, ulteriore occasione per sostenere l’unità riflessiva di 
verocerto di contro al monismo scolastico. Prima di 
affrontare, nel quarto capitolo, il rapporto tra storicismo 
vichiano e spaventiano, Origo presenta alcune indicazioni 
per una ricostruzione filologico-giuridica del rapporto Vico- 
Grozio. L’affinità tra Vico e Spaventa implica sempre, 
tuttavia, il riconoscimento di una essenziale distanza, dovuta 
all'influenza hegeliana: il progetto vichiano appare sotto 
molti aspetti innovativo, ma rimane incompiuto. A 
conclusione si vuole rimarcare la capacità della filosofia 
italica di scardinare la dogmatica scolastica di stampo 
accademico. 


G. ORIGO, Giordano Bruno visto da Bertrando 
Spaventa, Bibliosofica, Roma 2007. 


Nella prospettiva di Origo Spaventa incontra Bruno come 
l’allievo si imbatte nel vecchio Maestro, ponendo in 
evidenza in particolare le categorie del precursionismo e 
dell’eroicità del pensiero. Il parallelismo tra le due figure, 
non solo su un piano intellettuale, bensì coinvolgendo anche 
quello biografico, percorre i cinque capitoli in cui si snoda il 
testo. Essenziale è comprendere, innanzitutto, la posizione 
di Bruno sulla posizione fede-ragione, laddove 1° “intellego 
ut credam” è pensato come sforzo e tensione continua del 
pensiero contro ogni pregiudizio alla ricerca di Dio: già in 
questa luce è possibile individuare l’eroismo come tratto che 
caratterizza gli sforzi umani e la vittoria della filosofia sulla 
teologia, nel senso preciso del dubbio che inquieta il dogma. 
Il terreno dello scontro, attorno a cui ruota il secondo 
capitolo, viene individuato nell’ambito accademico, che 
attraversava una forte crisi in Italia già durante il XIV 


2714 


secolo, proprio a motivo dei contrasti tra teologia e filosofia: 
di fronte alla rigidità istituzionale imposta dalla Chiesa 
anche in ambito culturale, Origo vede in Bruno il nuovo 
“filologo”, capace di analizzare la realtà partendo da punti 
di vista differenti; inevitabile, anche in questo caso, come in 
quello della tolleranza accademica, discusso nel terzo 
capitolo, la ripresa del parallelismo tra Bruno e Spaventa. 
Origo pone addirittura un parallelismo esplicito tra 
l'università di Padova del XIV secolo e quelle di Torino, 
Bologna e Modena del XIX secolo. Superare i limiti imposti 
dall’autoritarismo accademico accomuna Spaventa e Bruno, 
presentati come menti “eroiche” nel penultimo capitolo, di 
contro all’intolleranza prevaricatrice di quei grammatici e 
pedanti che Bruno non esitava a chiamare asini, assuefatti ed 
abituati alla stabile quiete del reale, perché incapaci di 
cogliere la coincidenza degli opposti. Il progresso filosofico, 
reso possibile appunto da quegli sforzi eroici di pochi 
pensatori, rivela, all’interno del quinto capitolo, il ruolo 
della magia come ricerca sconfinata ed inesausta. 


E. GARIN, Bertrando Spaventa, Bibliopolis, Napoli 
2007. 


Il testo si compone di una serie di saggi. Oltre al già 
menzionato Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, 
Noterella spaventiana e Rassegne di studi spaventiani è 
presente un intervento dal titolo Da ur secolo all’altro, che si 
apre con la famosa lettera del luglio 1862 in cui si associa 
Napoli alla filosofia, continuando poi citando l’altrettanto 
nota lettera del Villari del ‘50 sull'importanza della filosofia 
per creare l’unità d’Italia. Nel testo Felice Tocco alla scuola 
di Bertrando Spaventa, l’alllevo è considerato come il 
maggior storico della filosofia del suo secolo, non solo per la 


ZI19 


vastità delle sue nozioni ma anche per l’approfondimento su 
questioni come la logica e l’anima intesa come intimo fonte 
della conoscenza del reale. A questo intervento si deve 
aggiungere Ur “pamphlet” antidemocratico inedito di 
Bertrando Spaventa, incentrato sullo scritto destinato al 
“Fanfulla”. Di qui l'occasione per approfondire il rapporto 
polemico tra Spaventa e molta parte della sinistra hegeliana. 
Di argomento più vasto è lo scritto Filosofia a Bologna fra 
Ottocento Novecento, dove si mostrano pregi e difetti 
dell’interpretazione del Rinascimento proposta da Spaventa, 
anche in polemica con alcuni suoi contemporanei, 
desiderosi di annunciare la definitiva liquidazione di ogni 
metafisica. 

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