Thursday, May 30, 2024

GRICE E VELIA: LA RAGIONE CONVERSAZIONALE -- LUIGI SPERANZA -- PEL GRUPPO DI GIOCO DI H. P. GRICE, THE SWIMMING-POOL LIBRARY, VILLA SPERANZA

 

Grice e Velia -- Zenone – i veliani – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Cf. senofane, parmenide -- Velia --  (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” -- that is the question!” -- Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making up his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles is doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the gap that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the tortoise creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, it follows that half the time equals its double. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow occupies a space equal to itself. That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show. There is no evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One view is that the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity* -- including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche (“Parmenide”). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio che scrive per difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone compose per amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per cui, Platone fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no il caso di darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione, probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di proposito a Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca in cui sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide, Zenone nasce a Velia. Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con Parmenide ad Atene. Tutte le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prende attiva parte alla vita politica di Velia, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del saggio di Zenone, o dei suoi saggi, e anti-nomica, e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual-sivoglia giudizio. Non interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si rende possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e delle opere di lui -- che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi -- la polemica di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in cui si trova il lettore del saggio di Zenone. In verità - abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in certo modo una difesa della dottrina di Parmenide contro quelli che cercano di metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte conseguenze ridicole e contraddittorie. Vuole confutare perciò questo mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti e render loro la pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR  PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni che Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico" (Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande. Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è. Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito, perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento della freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica; Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a XX chilometri all'ora. Il  argomento IV - dice Aristotele - è quello delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano, definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo stesso, cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità, a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

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