Tuesday, May 28, 2024

Grice e Viroli

 Repubblicanesimo.

Il repubblicanesimo è una lunga e variegata tradizione del pensiero politico che si ispira all'ideale della repubblica intesa quale comunità di cittadini sovrani fondata sul diritto e sul bene comune. Il punto di riferimento ideale più rilevante del repubblicanesimo è il concetto ciceroniano di res publica.

Repubblica per Cicerone vuol dite «ciò che appartiene al popolo» (respublica respopuli), e aggiunge che non è popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società organizzata che ha per fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza di interessi (De re publica, 1. 25).

Agli albori dell'età contemporanea un altro esponente del repubblicanesimo, Jean-Jacques Rousseau, ribadisce la medesima interpretazione del concetto di repubblica. Chiamo repubblica, scrive, «ogni Stato retto dalle leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione, poiché solo allora l'interesse pubblico governa e la cosa pubblica è qualcosa » (Contrat Social, II. 6).

Per i teorici repubblicani la repubblica è l'opposto del potere senza freno e senza regola, chiunque lo eserciti, e della tirannide, ovvero il dominio di un uomo (o di una fazione o di molti) contro l'interesse comune. La repubblica si contrappone anche alla monarchia perché la libertà sotto il re è sempre dipendente dalla volontà arbitraria di un uomo. Il re, anche nelle monarchie costituzionali, assume in virtù della nascita prerogative e poteri che sono negati agli altri cittadini e dunque viola il principio dell'uguaglianza repubblicana.

Il concetto di repubblica è connesso al principio che la vera libertà politica consiste nel non essere dipendenti dalla volontà arbitraria di un uomo o di alcuni uomini ed esige l'uguaglianza dei diritti civili e politici. La vera libertà, spiega Cicerone, esiste «solo in quella repubblica in cui il popolo ha il sommo potere» e comporta «una assoluta uguaglianza di diritti», in quanto «la libertà [...] non consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto» (De re publica, II. 23). Questo concetto di libertà vale sia per l'individuo sia per lo stato. Uno stato può dirsi libero se non dipende dalla volontà di un altro stato e non deve ricevere da altri gli statuti e leggi o richiedere approvazione per i suoi atti.

Come recitano le formule di Bartolo da Sassoferrato, le città che vivono in libertà si governano da sole («proprio regimine»). Esse non riconoscono alcun potere superiore («civitas quem superiorem non recognoscit»), e per questo il loro popolo è un popolo libero. Rousseau, ma altri esempi si potrebbero citare, racchiude in una formula precisa il concetto di libertà repubblicana: «un popolo libero obbedisce ma non serve; ha dei capi, ma non dei padroni; obbedisce alle leggi, ma solo alle leggi; ed è in virtù delle leggi che non diventa servo degli uomini» (Jean-Jacques Rousseau, Lettres

écrites de la montagne, VIII).

Per gli scrittori politici repubblicani la libertà politica ha quale condizione necessaria il governo della legge. Essi hanno sempre sottolineato che la vera legge è un comando pubblico e universale che vale ugualmente per tutti i cittadini, o per tutti i membri del gruppo rilevante. La limitazione o l'interferenza che la legge impone sulle scelte degli individui non è dunque una restrizione della libertà ma come un freno essenziale e benefico. Se il governo della legge è scrupolosamente rispettato, nessun individuo può impone la sua volontà arbitraria ad altri individui in virtù del fatto che egli può compiere con impunità azioni che ad altri sono proibite sotto pena di sanzione. Se invece sono gli uomini e non la legge a governare, alcuni individui possono imporre la loro volontà arbitraria ad altri ed impedire ad essi di perseguire i fini che essi vorrebbero perseguire, e quindi privarli della libertà (questo vale anche nel caso in cui è la maggioranza degli uomini a governare, ovvero una democrazia).

Questa interpretazione della libertà politica è descritta in modo eloquente in testi classici che diventarono il nucleo centrale del repubblicanesimo moderno, in particolare un passo in cui Livio afferma che la libertà dei romani consiste in primo luogo nel fatto che le leggi sono più potenti degli uomini (Ab urbe condita, II.I.1) e un passo di Cicerone, citato infinite volte dagli scrittori politici repubblicani: «Legum idcirco omnes servi sumus ut Liberi esse possimus» (Pro Cluentio, 146). Anche Machiavelli identifica la libertà politica con le restrizioni che il diritto impone ugualmente a tutti i cit-tadini. Se in una città vi è un cittadino che i magistrati temono, e che può rompere i vincoli delle leggi, egli scrive, la città non è libera (Discorsi, I.29). Nelle Istorie fiorentine (IV, Proemio) osserva che «si può chiamar libera» solo quella città in cui le leggi e gli ordinamenti costituzionali restringono in modo efficacie i «cattivi umori » della nobiltà e del popolo.

Per contro, tutti gli esempi di oppressione che i repubblicani classici offrono nei loro scritti sono violazioni del principio del governo della legge: il tiranno che si pone al di sopra delle leggi civili e delle leggi costituzionali e quindi comanda ad arbitrio; il cittadino potente che ha ottenuto per se un privilegio che è negato ad altri cittadini; i governanti che hanno poteri discrezionali. Le restrizioni che la legge impone sulle azioni dei governanti e dei cittadini sono dunque, per i repubblicani, l'unica valida difesa contro la coercizione imposta da individui: essere liberi vuol dire vivere sotto leggi eque.

L'argomento repubblicano che il governo della legge è la condizione necessaria affinché i cittadini non siano assoggettati alla volontà arbitraria di alcuni individui (o di un solo individuo), e possano pertanto vivere liberi, è il tema di fondo di uno dei più significativi dibattiti nella storia del repubblicanesimo, ovvero la risposta di James Harrington a Hobbes, che nel Leviatano (Cap. XXI)

aveva sostenuto che non è affatto vero che i cittadini di una repubblica come Lucca sono più liberi dei sudditi di un sovrano assoluto come il sultano di Constantinopoli perché tanto i primi quanto i secondi sono sottomessi alle leggi. Ciò che rende i cittadini di Lucca più liberi dei sudditi di Costantinopoli, spiega Harrington, è il fatto che a Lucca tanto i governanti quanto i cittadini sono sottoposti alle leggi civili e costituzionali, mentre a Constantinopoli il sultano è al di sopra delle leggi e può disporre arbitrariamente delle proprietà e della vita dei sudditi, costringendoli in tal modo a vivere in una condizione di completa dipendenza, e dunque di mancanza di libertà. I cittadini di Lucca sono liberi «per le leggi di Lucca» («by the laws of Lucca»), perché essi sono controllati solo dalle leggi (James Harrington, The Commonwealth of Oceana and A System of Politics, a cura di J.G.A.

Pocock, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, Preliminaries).

Nella sua lunga storia, il repubblicanesimo si è caratterizzato non solo per gli ideali della repubblica e della libertà ma anche per l'insistenza sull'idea che l'una e l'altra hanno bisogno della virtù civile dei cittadini. Per virtù essi intendono la saggezza che fa capire ai cittadini che il loro interesse individuale è parte del bene comune, la generosità dell'animo che spinge a partecipare alla vita pubblica, la forza interiore che dà la determinazione di resistere contro i potenti e gli arroganti che vogliono opprimere. Nonostante l'autorevole opinione di Montesquieu che considerava la virtù politica una forma di rinuncia e di sacrificio, gli scrittori politici repubblicani dei secoli precedenti interpretavano la virtù come una passione che non si contrapponeva né all'interesse né alla ricchezza, ma solo all'avarizia e all'ambizione sfrenata di dominio. Il repubblicanesimo è stato il linguaggio politico dominante delle élites politiche e sociali delle repubbliche commerciali d'Europa. Anche se non mancarono, come nel caso di Girolamo Savonarola, pensatori repubblicani che teorizzarono la repubblica come una Nuova Gerusalemme abitata da uomini dediti alla virtù cristiana, il pensiero politico repubblicano, con i suoi pensatori più influenti, ha teorizzato un ideale mondano e realistico di virtù.

Accanto all'ideale della virtù civile, un altro concetto fondamentale della tradizione repubblicana è il patriottismo. Per il repubblicanesimo classico l'amore della patria è una passione, e più precisamente un amore caritatevole per la repubblica (caritas reipublicae) e per i concittadini (caritas civium). Anche se rispetta i principi della giustizia e della ragione, e può quindi essere chiamato «amore razionale», l'amore della patria è un affetto particolare per una particolare repubblica e per i suoi cittadini che nasce fra i cittadini delle libere repubbliche perché essi condividono molti e importanti beni, quali le leggi, la libertà, i consigli pubblici, le pubbliche piazze, gli amici e i nemici, le memorie delle vittorie e delle sconfitte, le speranze, le paure. Essa presuppone l'eguaglianza civile e politica e si traduce in atti di servizio (officium) e di cura (cultus) per il bene comune. Infine, la caritas reipublicae è una passione che irrobustisce l'animo, dà ai cittadini la forza per compiere i loro doveri civici e ai governanti il coraggio di assolvere gli obblighi, spesso onerosi, che la difesa della libertà comune richiede.

Il principio fondamentale del patriottismo repubblicano è che vera patria è solo la libera 2 repubblica in cui vivono solo cittadini liberi ed eguali. La parola patria si legge ad es. nell'Encyclopédie, non significa il luogo in cui siamo nati, come vuole la concezione volgare, bensí uno stato libero (état libre) di cui siamo membri e le cui leggi proteggono le nostre libertà e la nostra felicità (D'Alembert, Diderot, Encyclopédie, Neuchatel, Bouloiseau 1765, vol. XII, p. 178). Gli scrittori repubblicani dell'età dell'Illuminismo usavano la parola «patria» come sinonimo di «repubblica». Questa identificazione non era solo un motivo polemico; riassumeva la considerazione che sotto il giogo del despota i cittadini sono senza protezione e non possono partecipare alla vita pubblica, come se fossero stranieri, e dunque non hanno patria. Il concetto di patria è dunque strettamente connesso alla libertà e alla virtù, come scrive Jean Jacques Rousseau: «La patria non può sussistere senza la libertà, né la libertà senza la virtù, ne la virtù senza i cittadini» (Economie politique, in Oeuvres Complètes, III, p. 258).

Anche Mazzini sottolinea che la vera patria è quella che assicura a tutti i cittadini non solo i diritti civili e politici, ma anche il diritto al lavoro e all'educazione. Per Mazzini e per i repubblicani dell'Ottocento la patria è la casa comune dove viviamo con persone che capiamo e che abbiamo care perché le sentiamo simili e vicine. Ma è anche una patria accanto ad altre patrie di ugual pregio.

Quando siamo nella nostra casa dobbiamo assolvere i nostri obblighi in quanto cittadini; quando siamo in casa di altri dobbiamo assolvere i doveri verso l'umanità. La difesa della libertà è l'obbligo supremo di ognuno, anche se viviamo in suolo straniero e anche se il popolo oppresso è un popolo straniero. Gli obblighi morali verso l'umanità vengono prima degli obblighi verso la patria. Prima di essere cittadini di una patria particolare, siamo esseri umani.

Nonostante l'accordo sui principi della repubblica, della libertà, e del patriottismo, il repubblicanesimo non è mai diventato un corpo dottrinario sistematico e ha assunto molteplici accentuazioni legate ai diversi contesti storici e culturali nei quali si è sviluppato dall'antichità classica all'età contemporanea. Il repubblicanesimo è dunque una tradizione del pensiero politico solo nel senso che i teorici repubblicani hanno spesso elaborato le proprie analisi riprendendo concetti di scrittori politici di epoche precedenti. Ma è del pari vero che i teorici repubblicani hanno spesso rielaborato in maniera anche radicale idee di altri scrittori politici appartenenti alla medesima tradizione.

Le divergenze più significative riguardano la forma di governo considerata più atta a realizzare l'ideale della repubblica. Quasi tutti i teorici repubblicani furono sostenitori del governo misto inteso quale forma di governo che contempera gli aspetti positivi delle tre forme rette: il governo di uno

(monarchia), il

governo del pochi (aristocrazia) e il governo dei molti (governo popolare o

democratico). Mentre alcuni ritenevano che nell'ambito del governo misto il popolo (il consiglio grande) dovesse avere un ruolo preponderante, altri erano favorevoli ad assegnare tale ruolo all'elemento aristocratico rappresentato da un senato, o da un consiglio ristretto.

Un'altra differenza è quella fra i sostenitori della repubblica che garantisce i diritti politici alla maggioranza degli abitanti (repubblica democratica) e i sostenitori di una repubblica che garantisce i diritti politici solo ad una minoranza degli abitanti (repubblica aristocratica). Inoltre, alcuni teorici repubblicani, come Machiavelli, sostenevano la necessità dell'espansione territoriale sulla base del modello della repubblica romana (o del modello federativo etrusco); altri, ad es. Rousseau, erano convinti che la repubblica, per conservarsi incorrotta, doveva rimanere confinata entro un piccolo territorio. Vi furono pensatori repubblicani che propugnarono l'ideale di una repubblica unitaria, e pensatori che propugnarono l'ideale di una repubblica fondata sul decentramento amministrativo e sull'autogoverno, come Carlo Cattaneo. Infine, la storia del pensiero politico repubblicano presenta pensatori favorevoli ad usare la religione per rafforzare la lealtà dei cittadini verso la repubblica (Machiavelli) accanto ad altri che raccomandarono la creazione di una vera e propria religione civile (Rousseau) e altri ancora che si fecero banditori dell'idea religiosa come principio morale interiore

(Mazzini).

Anche a causa della molteplicità di concezioni politiche che si raccolgono all'interno del pensiero repubblicano, gli studiosi contemporanei hanno opinioni diverse su importanti problemi storici e teorici. Mentre John Pocock sostiene che il repubblicanesimo è una forma di aristotelismo politico

3 fondato sull'idea che la vita politica è la massima realizzazione dell'individuo, altri studiosi, in particolare Quentin Skinner, sottolineano il ruolo prevalente del pensiero politico e giuridico romano.

Anche l'interpretazione del concetto di libertà è materia di divergenze interpretative. Philip Pettit sostiene che la mancanza di libertà consiste solo nella dipendenza dalla volontà arbitraria di altri uomini; per Quentin Skinner la mancanza di libertà può essere causata sia dalla dipendenza che dall'interferenza. Vi sono inoltre autori che interpretano il repubblicanesimo come una dottrina democratica, lontana dal liberalismo, che insiste sulla partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche; altri avvicinano il repubblicanesimo al comunitarismo, altri ancora sottolineano piuttosto l'affinità fra repubblicanesimo e liberalismo radicale; altri infine ritengono che tanto il liberalismo quanto la democrazia siano derivazioni del repubblicanesimo.

Nonostante le divergenze

interpretative gli studiosi di storia del pensiero politico e di filosofia politica sono in larga maggioranza concordi nel riconoscere che il repubblicanesimo rappresenta un'autonoma e distinta tradizione di pensiero politico che ha svolto un ruolo di primo piano nella nascita e nella formazione delle moderne democrazie.

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Da N.Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Il dizionario di Politica, UTET, Torino, 2004.

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