Tuesday, June 11, 2024

GRICE E MASTROFINI

  •BIBLIOTECA- 


LVCCHESI -PALLI- 






BIBLIOTECA LUCCHESI • PALLI 


III.» SALA 




Scaffale. 




Pluteo. 




N.» CATENA. 












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COLLANA 


DEGLI 


ANTICHI STORICI GRECI 


VOLGARIZZATI. 





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Digit zec! ov 




\Vo3^ 


LE 


ANTICHITÀ ROMANE 



DI 


DIONIGI 


D’ALIGARNASSO 


VOLGARIZZATE 

DALL’ AB. MARCO MASTROFINI 

già’ frofessore di matematica e di filosofia 


NEL SEMINARIO DI FRASCATI 


MtmOKX KOrJMMKTt USCOKTIUTÀ COI TM3T0 BAh TKÀBVTTOBt 


TOMO PRIMO 




MILANO 


DALLA TIPOGRAFIA De’ FRATELLI SONZOCMO 


1823. 






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MARCO MASTROFINl 

AI LETTORI 


NOTIZIE 




su DIONIGI DI ALICARNASSO. 







I. Dionigi^ di Alessandro fu di Alicarnasso , 

reggia un tempo della Caria , della quale pur furono 

Eraclito il poeta ed 




Erodoto di gr^ca istoria padre 




come Petrarca lo intitola nel terzo de' capitoli sul 

trionfo della Fama. E difficile determinare V anno , 

non che il giorno della sua nascita. Fozio nella sua 

Biblioteca (cod. ^4) dice che egli precedette Dione 

Cassio , ed Appiano Alessandrino, espositori aneli essi 

di Storie Romane. Errico Dodwello che meditò gra- 

vemente quelt argomento non seppe ristringersi ad 

altra particolarità , se non a questa , che Dionigi 

debbo essere nato fra t anno (i"G e ^oo di Roma 

calcolali alla maniera di V airone. 


DIOyiGI , toma ^ ‘ ■ 


, X 




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I(. Dionigi sentiva in sè la nobiltà del cor suo] 

c si mosse verso la capitale del mondo, e venne a 

Roma nelt anno F^arroniano ja5 , cioè finita la guerra 

interna di Augusto contro di Antonio ; domd è che 

egli non vi giunse prima dell' anno suo venticinque- 

simo. Fi si trattenne 22 anni: vi compose le opere 

critiche , e vi apprese intanto diligentemente C idioma 

del popolo vincitore su la mira di leggerne gli antichi 

monumenti nazionali, e di scriverne infine con greco 

stile una stona per uso de’ Greci suoi che troppo la 

ignoravano. Egli riusci nell intento , e la scrisse, e la 

divulgò nell anno Fcu roniano y47 sotto il nome di 

Antichità Romane come l ebreo Giuseppe Jion molto 

dipoi , forse ad imitazione di lui , e certo con più 

proprietà, pubblicò sotto il titolo di Antichità Giudai- 

che la storia del popolo ebreo , la quale era insieme 

la storia della origine stessa del mondo. 


III. Par che Dionigi delineasse la storia col di- 

segno stesso con cui Firgilio cantava la Eneida: vuol 

dire l uno e l altro spargevano fiori appiè de’ trion- 

fatori non senza il lusinghevole desiderio di guada- 

gnarne la grazia : non leggera conquista per uomini 

inermi , autorevoli solo per sillabe , per parole, e per 

periodi ! 'Dionigi fece sapere a’ suoi che il popolo del 

Campidoglio non era poi barbaro ; anzi che era pur 

esso greco di origine, e che assai conosceva leggi e 

costumi ; e ciò perchè riuscisse il comando romano , 

se non pregevole , certo men duro nella Grecia d’ Asia 

e di Europa , paesi che una volta orati patria e tempio 

di fortezza e di libertà. 




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IV. Egli distese il suo scrino in venti liLri ; ma 

non sopravanzano che i primi dieci e parte dell’ un- 

decimo; tutto il resto perì per la ingiuria de' tempi. 

Per quanto ci racconta Fozio (i) che aveala letta per 

intero, scorre ane la narrazione dagli Aborigeni e dalla 

venuta di Enea nella Italia fino alla guerra de’ lio- 

mani con Pirro , monarca degli Epiroti ; perchè ivi 

appunto comincia la storia Romana deli altro greco 

scriuor precedente , Polibio da Megalopoli. Quest or- 

dine di storie si consideri diligentemente ; perchè da 

indi apparisce che Dionigi dee precedere c non se- 

guire Polibio, come parve al primo che dispose la Col- 

lana Greca , e come trovo fatto pur questa volta irre- 

parabilmente su Cantico disegno (a). Siccome un estero 

per la novità che v incontra , può notare ì. costumi 

varj de' popoli meglio che il nazionale che cresce e 

invecchia con essi ; così questi due Greci conversando 

co’ Romani seppero distinguervi e descriver più cose 

che i Romani stessi non han descritto e trasmesso 

con la successione de’ tempi ai tardi nipoti. Or ciò 

dovea tanto più seguitarne quanto che scrivean quelli 

pel greco il quale non avrebbe gustata nè intesa la 

loro narrazione se non esponevano minatamente le 

cose notissime tra Romani. E quindi è che Polibio 

delincò su la milizia romana quello che non si legge 

in niuno de’ romani scrittori medesimi: e Dionigi toccò 

tante picciole circostanze che meglio dichiarano le ori- 

,gmi, il complesso, ed il termine degli eventi: cioc- 


(i) Bihiiotre. cod. 8f>. 


( 1 ) Ediz. romana di Vinccoio Pojryiuli delT anno 




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che ne ha rendalo , e ne renderà sempre , preziosis- 

simo quanto sopravanza delle storie di lui. 


V. Livio rimpelto a Dionigi è come il compendio 

rimpello all' opera estesa ; tanto che il primo racco- 

glie in tre libri ciocché l’altro dilata in undici. Nè io 

saprei dolermi su tanta espansione quando le cose vi 

fossero state moltiplicale in proporzione. Ma per dirne 

ciocché io ne penso, e dare intanto il paragone degli 

autori fin qui da me volgarizzati che sono Sallustio, 

Quinto Curzio , Lucio Floro , e Dionigi ; mi è sem- 

pre parato che in Sallustio non capano i sentimenti 

dentro le parole , che in Curzio si pareggino compiu- 

tamente gli uni alle altre, che in Floro le parole su- 

perino alquanto i sentimenti, e che in Dionigi fincd- 

mente- ( siami cosi lecito di esprimermi) le sentenze 

galleggino affatto tra le parole. Sallustio é come il 

fior vivo, che di sé promette gran cose , ma stretto 

in parte ancora dalla sua buccia : Curzio è il fior 

copioso , odoralo , aperto graziosamente al sole che 


10 vagheggia ; Floro è il fior vago , ma tutto spam- 

panato con molte le f rendette e poco t odore; e Dio- 

nigi finalmente è il fiore delle ampie e libere frondi 


11 quale sot^ di sé nasconde il picciolo guscio che 

ravvolgevalo , e par sorgere pomposo e vario tra le 

aure che lo investono , ma troppo , se lo stringi , è 

minore delle belle apparenze. Dionigi era un greco 

dell jfsia, e fa sentire in sé la prolissità propria di 

quella vastissima parte del globo. Le parlate in lui 

sono lunghissime , e per ordinario non ripetono se 

non ciò che presentano le storiche narrazioni ; lad- 




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■ 5 


doue in ,Tilo Livio sono lampi e folgori, sentenze e 

risultati. V ultimo lascia a pensare , il primo li lascia 

senza pensieri prima che finisca di parlare ; nelV uno 

senti il capitano ed il console , nell altro lo storico 

«d il declamatore : quegli è pieno di entusiasmo e di 

fuoco su gt interessi della sua nazione , /’ altro vi si 

spazia sopra come il panegirista che loda non per 

affetto , ma in vista di ricompense , o per moda. 

Forse tanta loquacità non piacque nemmeno tra' suoi 

nazionali; e Dionigi voglioso di essere letto , s’indusse 

a ristringere in un compendio di cinque libri quanto 

avea steso in venti. Fozio nella sua Biblioteca [cod. ^4) 

parla eziandio di un tale compendio ; e lo dice più 

utile per questo , che non contiene se non le cose 

necessarie alla storia. Egli paragona Dionigi in quel 

nuovo scritto ad un re che giudica e tiene intanto in 

mano lo scettro; e sentenzia ma con la precisione e 

col tuono di chi comanda (i). 


Vr. Quanto allo stile i giudizj ne sono difformi : 

vi è chi lo chiama scrittor soave , scrittore elegante ; 

e non vi è dubbio che e"li abbia de' bei tratti, dei 

pellegrini concetti , e gravissimi documenti. Nondimeno 

vi è chi dice risolutamente che Dionigi rimpetlo a 

Senofonte è come il duro e licenzioso jépulejo rim- 

pclto alle maniere delicate e spontanee di Livio. Dio- 

nigi fa pur troppo conoscervi che egli non era nativo 

deir Attica. Fra le sue formole ne occorrono alcune 


(i) La prcsealc versione fu stampala in Roma l’anno i8ia. Dopo 

quest’ anno il Compendio fu creduto rilrovato in Milano. Se ne 

patterà nel tomo quarlo là dove sono i fiammcnli. 




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nuove , Ialine (T indole , o certo non abbastanza monde 

da solecismo ; tantoché vi si violano le regole prò- 

poste da esso medesimo nelle opere sue critiche per 

gli storici e per gli oratori. Ad ogni modo Dionigi é 

come la miniera ampia di oro , e come V archivio 

ricco di monumenti preziosi in mezzo di altri che 

sono anzi un ingombro ; dond è che un tale scrittore , 

come ho toccato dianzi , sarà caro finché saran care 

le storie. Ora diciamo qualche cosa delle versioni del 

nostro Autore. 


VII. Lapo lìira^o fiorentino il primo diede una 

versione latina di Dionigi. Questa fu pubblicata la 

prima volta in Trevigi Hanno i48o, e poi di nuovo 

in Basilea nel i53a. Il Glareano ebbe cura di tal 

seconda edizione e la purificò da sei mila errori co- 

ni egli dice. Boberto Stefano vedendo pubblicato Dio- 

nigi nella lingua non sua, trasse il greco originalo 

dalla Biblioteca dei re di Francia, e lo mise in luce 

l’anno ì5^(i. Il Gelenio divulgò colle stampe in Ba- 

silea [ anno iS/fg una nuova versione latina de’ dieci 

primi libri. Silburgio rettificò con critica squisitezza 

le tante lezioni non sane che ci aveano nel greco 

dello Stefano , e nel latino del Gelenio , e congiunse 

i due testi e li stampò V anno i586 in Francfort. In 

questa edizione vi é la traduzione dell’ undecimo libro 

fattu da Silburgio medesimo , li frammenti ricorielti 

delle Legazioni già pubblicale da Fulvio Ursino , ed 

un libro di annotazioni in fine. Mentre apparecchia- 

vasi o compivasi da Silburgio questa edizione ; Emilio 

Porto diede su t originale dello Stefano una nuova 




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traduzione latina delle antichità con amplissime an- 

notazioni, imprimendo anche il libro delle legazioni 

con la trina interpretazione dì Stefano, di Sitburgio 

e di Porto. JSel 1704 si ebbe la vaghissima edizione 

fatta in Oxford la quale comprende il testo greco di 

Dionigi colla versione di Porto , emendata dove nera 

il bisogno , e le legazioni secondo la impressione fat- 

tane da falesie riunite a quelle già pubblicate da 

Ursino. Si cominciò finalmente nel 1774» ^ ^i com- 

piè nel 1777 lO' edizione riputata la più corretta di 

Lipsia colle note varie di Errico Stefano , di Silbur- 

gio , di Porto , di Casaubono , di Fulvio Ursino , e 

di Giangiacomo Peiscke. 


Vili. Francesco Venturi fiorentino ci diede nel 

1545 colle stampe venete la prima versione italiana 

delle sole antichità di Dionigi. In quell'epoca il testo 

greco non era nè stampato nè rettificato , e quindi 

avendo egli lavorato su di ^un manoscritto, frequen- 

tissime sono le aberrazioni dcd vero senso. Aggiungasi 

che lo stile è contorto , implicato , nè sempre regolare: 

in somma risente tutte le imperfezioni del primo tra- 

duttore latino Lapo Birago : nè questi potè sempre 

capire il senso del testo , ma dove ciò non potè fu 

contento di volgarizzare le parole greche , appunto 

come significavano , una per una. Il signor Desiderj 

nel continuare in Roma V anno 1 794 la edizion sua 

della Collana Greca ideava, parmi , riprodurre la ver- 

sione stessa del Venturi; ed il primo periodo di questa 

è del V snturi in gran parte ; ma fatto accorto che 

grande ne era la oscurità, e poca la naturalezza. 




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continuò a pubblicare non il resto del Venturi, ma 

una traduzione di traduzione; t'uol dire , diede alla 

Italia un Dionigi tradotto , forse non sempre ade- 

guatamente , e certo non sempre con purità di stile , 

sopra la traduzione francese , e non sid greco origi- 

nale. Al primo leggere il Dionigi del Desiderj mi 

parve ravvisarvi una fisionomia anzi francese che gre- 

ca. Adunque paragonai la versione framese del padre 

Francesco la Jai Gesuita con la produzione del De- 

siderj a luogo a luogo , e fui convinto che era ciò 

veramente che io sospettava. Questa immagine éT im- 

magine , questa eco di eco che scolora le fattezze , e 

deprime sempre più la energia dell originale , questa 

stampa non greca , non francese, e forse non italia- 

na , non dee numerarsi tra le versioni , degna almeno 

di un tal nome ; tanto più che quella versione fraru- 

cese essa stessa non lascia gustare la vena ampia , 

continua , maestosa del greco originale , ma presenta 

la inquietudine, lo scintillamento , e come la spezi 

satura consueta delle parli. 


IX. Che io sappia niun altro ha poi volgarizzalo 

tra noi Dionigi. La mia versione è diretta su la edi- 

zione di quest' autore intrapresa in Lipsia nel i 

Chi vuol ragione di ciascuna delle mie interpretazioni 

dee consultare il testo greco , la versione latina , le 

note in piè di pagina, ed in fine de’ tomi. Spesso a 

fissare i sensi ho consideralo anche la versione fran- 

cese , supplitami dalla Biblioteca del Collegio Romano 

nella nuova mia dolcissima dimora in quel luogo nel- 

l’ anno 1 8 1 1 , la quale mi concedè calma profondis- 




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sima da compiervi quasi per intero la traduzione che 

ora presento. Sarebbemi piaciuto ugualmente di con- 

sultale la traduzione inglese di Eduard Spelman im- 

pressa in Londra t anno 1759; ma per quanto la 

ricercassi tra le Biblioteche , tra i libraj e tra gli 

amatori di libri , non mi venne fatto di rinvenirla in 

Roma. Aveva io già presso che terminato questo mio 

travaglio quando mi ju significalo che in Francia si 

pubblica una nuova versione di Dionigi: ho il piacere 

che l'Italia he veda contemporaneamente un altra sua, 

lavorata quasi tutta in Roma , ove lo storico di Ali-, 

carnasso stendevano già t originale. 


Roma i8ia , 10 Febbrajo. 




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PROEMIO. 




1 1 




I. UANTU^■QUE alieno io ne sia , pur sono astretlo ad 

una prefazione , com’ usa nelle storie , e sopra di mfe ; 

non già per diffondermi nelle lodi mie proprie , che so 

quanto , udite , dispiacciano , o nelle accuse di altri 

scrittori , come fecero Teopompo ed Anassilao gli sto- 

rici, ne’ prologhi loro ; ma solo per dichiarare le cagioni 

per le quali mi diedi a .quest’opera , e per dire de’ mezzi , 

onde io seppi ciocché son per iscrivere. E certamente 

chi risolve lasciare a’ posteri monumenti d’ ingegno , i 

quali , come i corpi , non vengano meno per anni , e 

molto più chi scrive le istorie, nelle quali, tutti conce- 

piamo che siavi la verità, principio del sapere e della 

prudenza ; costui dee per mio sentimento , scegliere 

argomenti vaghi e magnifici , come bene fruttuosi a chi 

legge ; e poi dee preparare le materie opportune al 

subjelto con assai previdenza e lavoro. Imperocché chi 

ponesi a trattare di cose vili, abominate , indegne delle 

cure di una storia , sia che brami rendersi chiaro , ed 

acquistare comunque una fama , sia che voglia manife- 

stare la idoneità sua nell’ arte del dire , non sarà mai 

da’ posteri né invidiato per la fama sua , né per 1’ arte 

encomialo ; lasciando a chi leggelo da sospettare che egli 

amasse nel vivere le maniere appunto che descrisse ; 

per essere gli scritti la immagine de’ cuori , come da 

tutti si giudica. Colui ^ poi che ottimo sceglie l’argo- 

mento; ma ne scrive scioperatamente, e come per caso , 




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I 2 ■ PROEMIO. 


seguendo i ronoorl del volgo, nemmen’ esso ne ottiene lo- 

de niuna ; imperocché si spregiano , se negligenti sle- 

no e confuse le storie delle città famose e de’ principi. 

Or pensando Io per uno storico esser questi I canoni 

sommi ed inviolabili, ed avendone tenuto cura gelosa ; 

non volli nè trasandare il discorso su di essi , nè com- 

partirlo altrove , che nel proemio. 


II. £ che io scelsi argomento, bello, grandioso, uti-' 

lissimo; non bisognano, credo, molte parole a con- 

vincerne chi non affatto Ignora la storia comune. Im- 

perocché se alcuno recando 41 pensiero su’ governi an- 

tichissimi delle città e delle genti e contemplandoli , 

parte a parte , o nel paragone dell’ uno coll’ altro , vo- 

glia saperne qual di esse fondasse principato più grande, 

o che più splendesse per azioni belle , in guerra ed in 

pace; vedrà che la signoria di Roma sorpassò di gran 

lunga quante prima di lei se ne additano , non solo jper 

grandezza d’impero e per luce d’imprese, cui niuno 

mai lodò' quanto basta , ma per la durazione ancora del 

tempo che abbraccia , 6no al presente. Fu pur antica 

la signoria degli Assirj , e ne chiama fino ai secoli fa- 

volosi ; ma non comandò che su picciola parte dell’Asia. 

Abbattè la monarchia de’ Medi quella degli Assiri , e 

crebbe a potenza maggiore sì , non però molto diutur- 

na , cadendo alla quarta successione. I Persiani fiacca* 

t ono il Medo , e dominarono infine quasi per tutto nel* 

r Asia ; ben si gettarono poi su gli Europei , ma noti 

molto vi profittarono , e tennero poco più che dugen- 

t’ anqi II comando. Il Macedone , vinti li Persiani , su- 

però colla sua tutte le dominazioni che precederono : 




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PROEMIO. l3 


Don però fiorì lungo tempo , comiuciaiido a declinare 

alla morte appunto di Alessandro : imperocché smem- 

brato da’ successori il potere in molti principi , sosten- 

nesi la monarchia fino alla terza o quarta generazione ; 

ma resa debole per sé stessa, fu distrutta finalmente dai 

Romani : nou tenne poi mai servi tutti i mari e le ter* 

re : che non vinse in Africa se non l’ Egitto , il quale 

non è vasto , nè sottomise tutta l’Europa ; ma nel set- 

tentrione di questa si estese alla Tracia , e nell’ occaso 

fino all’ Adriatico. 


III. Pertanto i più famosi degl’ imperj che precede- 

rono , giunti , come sappiam dalla storia , a tanta forza 

e grandezza , rovinarono. Con essi non sono poi da pa- 

ragonare le Greche potenze le quali nè spiegarono mai 

si ampia la signoria , nè lo splendore si diuturno. Gii 

Ateniesi quando più poterono in mare , ne dominaro- 

no per anni sessantotto la spiaggia , e non tutta , ma 

quella solamente tra l’ Eusino ed il mar di Pamfilìa. E 

gli Spartani impadronitisi del Peloponneso e del resto 

della Grecia stesero fino alla Macedonia le leggi; ma 

non prevalsero che per quarant’ anni (i) nemmeno in- 

teri, e trovarono ne’Tebani chi li depresse. Ma la Re- 

pubblica romana signoreggia tutta la terra , non già la 


(i) testa uri o?ici in TpmiccfTx: cioè nemmeuo iuteri treo- 

t’aimi. Isacco Casaubono vi saslilui rinrxfxi'oyTX cioè quaranta. 

Pur questa emenda fu tolta, nè so perchè : concedendosi comune- 

mente che gli Spartani dopo vinti gli .Ateniesi al fìuinc Egio furono 

gli arbitri più che 33 anni. Ciò stando non può dirsi nel testo m-m- 

meno interi treni’ anni , ma usando un numero rotondo , dovremo 

leggere quaranta come il Casaubono. 





l4 PROEMIO, 


deserta , ma quanta ne è 1’ abitata : signoreggia tutto il 

mare non solo  

nai mente Oenotro diciassette generazioni avanti che a 

Troja si combattesse. E questa è l’epoca nella quale 

mandarono i Greci nella Italia una colonia. Oenotro poi 

si levò di Grecia ; perché non pago della sua parte : 

giacché nati essendo a Licaone ventidue figli; aveasi l’Ai^ 

cidia a dividere in altrettanti. Per tale cagione lasciando 

OcDOiro il Peloponneso, passò con fiotta gié preparata il 

mar Ionio, e passavalo teco Peucezio l’uno de' fratelli 

di lui. Navigavano con essi molti della sua gente , po^ 

pelosissima , come si dice , nelle origini ; e quanti altri 

de’ Greci non aveano terreno ^he loro bastasse. Peucezio 

pigliò sede in sul promontorio Japigio , appunto ove 

prima sbarcò nella Italia , cacciando chi v’ era , e da lui 

furono Pcucezj chiamati quanti abitarono que’ luoghi. 

Oenotro guidando seco il più dell’ esercito , venne ad 

altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chia- 

mato dagli Ausonj, che la spiaggia nc popolavano. Ma 

quando i Tirreni diventarono i padroni de' mari prese 

il nome che tien di presente. 


IV. E trovando la regione bonissima da pascolarvi 

o da ararvi , ma deserta in moltissimi tratti , anzi con 

poco popolo ov’ era abitata j dìé la caccia a’ barbari in 

tina parte della medesima , e fondò citt.ì non grandi 




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a4 DELLE antichità’ ROMANE 


si, ma frequenti in sui mouli ; com’era stile antichissi> 

mo , di situarsi. Così tutta la regione fu detta Oenotria, 

essendone amplissimo lo spazio occupalo ; ed Oeuotr) 

pure si dissero gli uomini tutti a’quali comandava , mu- 

tando nome per la terza volta ; mentre Ezei si chiama- 

vano dominandoli Ezeo , e poi subito Licaonj quando 

al governo succedè Ligaone. Menati però nella Italia da 

Oenotro , Oenotrj si nominarono per un tempo : nel 

che Sofocle il tragico mi è testimonio net suo Tripto- 

Icmo : perciocché vi s’ inU'oduce la madre degli Dei che 

dimostra a Triptolcmo quanto spazio debba trascorrere 

per seminare i semi eh’ ella dati gli aveva. Or ella , 

mentovato prima l’ oriente d’Italia dal promontorio J.i- 

pigio 6uo allo stretto Siciliano, e poscia additata la Si- 

cilia che sta dirimpetto; volgasi tosto alla Italia occi- 

dentale , e numera i popoli più grandi della spiaggia , 

cominciando dagli Oenotrj: ma bastino le sole cose da 

lei dette ne’ jambj , percl)è dice : 


Questo é do tergo ; a destra siegue tutto 


La Oenotrìa , il mar Tirreno , e la Liguria. 


Antioco di Siracusa , scrittore antichissimo , annoverando 

i primi ad abitare la Italia e le parli occupale da ognu- 

no , afferma che gli Oenotri in questo precederono ogni 

altro di cui s’abbia ricordo, dicendo: jéntioco il fi- 

gliuolo di Zenofanle compilò su la Italia queste cose, 

le più credibili e più manifeste ira vecchi monumenti', 

la terra che ora Italia dimandasi la ebbero antkhism 

simamente gli Oenotri : poi discorre in qual modo la 

governassero , e come Italo un tempo divenisse re loro 




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LIBRO I. 35 


cd Itali ue fossero oomioati : e poi Morgili per essere 

a Morgite venato quel principato. E siccome stando 

Sicolo per ospite presso Morgite , e tentando appro- 

priarsene la signoria , ne divise le genti ; conclude : cosi 

gli Oenotri divennero e Sicoli e Morgiti ed Italiani. 


V. Ora dichiareremo quanta fosse la gente degli 

Oenotri allegando per testimonio nn altro vecchissimo 

autore, io dico Ferecide, non secondo a niuno degK 

Ateniesi che trattasse delie genealogie. Egli fa su quelli 

che dominaron 1’ Arcadia questo discorso: nacque Li- 

caoue da Pelasgo e Dejanira e sposò Cillene , una ninfa 

dell» Najadi dalla quale ebbe nome il monte Cillene: 

poi divisando i generati da questi e quai luoghi cia- 

scuno abitasse , fa menzione di Oenotro , e di Peucezio 

dicendo : Oenotro , donde Oenolrj son detti gli abi- 

tatori Italia ; e Peucezio onde sono i Peucezj lungo 

il golfo Ionio. Tali sono le cose dette da’ vècchj poeti 

e mitologi sul popolarsi d’Italia, e su la origine degli 

Oenotri. In forza di che, se greca veramente è la stirpe 

degli Aborigeni , come disse Catone , e Sempronio e 

molti altri ; io penso che provenisse da questi Oenotrj : 

perocché trovo e Pelasgbi e Cretesi , e quanti altri abi- 

taron l’ Italia , venuti in tempi di poi : nè so vedere 

spedizione più antica di questa , che si recasse dalla 

Qrecia alle parti occidentali di Europa. Giudico poi che 

gli Oenotri occupassero molti luoghi d’Italia, o deserti, 

o poco popolati, e parte smembrati ancora dalle terre 

degli Umbri , e che Aborigeni si chiamassero per le 

abitazioni, come gli antichi le amavano, prese ne’ monti: 

cosi pur v’ ebbero in Atene que’ della spiaggia e dd 





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a6 DELLE Antichità’ romane 


monti. Che ie alcuni per indole non ricevono di subito 

senza prove quanto si afferma su cose antiche , nem- 

men subito decidano esser questi , o Liguri ovvero Um- 

bri , o tali altri de’ barbari : ma sospendendo finché 

apprendano le cose che restano , giudichino poi da tutte 

qual ne sia la più verìsimile. 


VI. Delie città che furono degli Aborigeni , poche 

ora ne sopravanzano : perocché premute la maggior 

parte dalle guerre , o da altri mali che straziano , fini- 

rono in solitudini. E secoudo che Terrenzio Varrone 

scrisse nelle anlichilà , ve ne erano nell’ agro Reatino 

non lungi dagli Appennini ; e le meno disgiunte da 

Roma , ne disiavano per lo viaggio di un giorno. Di 

esse io ridirò le più celebri secondo la storia di lui. 

Palazio è l’ una , lontana venticinque stadj da Rieti , 

cittade abitata da’ Romani fino a miei giorni , presso la 

strada Quinzia. Siede Trebula a sessanta stadj pur da 

Rieti , su dolce collina : e da Trebula con pari inter- 

vallo disgiungesi Vesbola dicontro a’ monti CerauBj: lad- 

dove quaranta stadj ne è lungi Soana , città famosa con 

antichissimo tempio di Marte. Discostavasi Mifula da 

Soana per trenta stadj , e se ne additano ancora le ror 

vine, e le vestigia de’ muri. A quaranta stadj da Mifula 

elevavasi Orvinio, città, quanto altra mai, chiara e grande 

in que’ luoghi : e segno ancora ne sono i fondamenti 

delle mura di lei come le tombe di antica struttura , e 

li recinti pe’ cimiterj comuni su’ monti altissimi : e là 

pure vedessi nella sommità di lei 1’ antico tempio di 

Minerva : lungi dieci miglia da Rieti , procedendo per 

la strada Giulia , là presso il monte Corito v’ era Car- 


arbari , e soprattutto ai Sicoli , loro conGnanti. E sa 

le prime pochi bravi , quasi giovani sacri mandati da 

genitori in traccia de’ bisogni della vita , nscirono se- 

guendo un primitivo costume , che pur vedo seguito 

da molti de’ Barbari e de’ Greci. Imperocché quante 

volte le città moltiplicavano tanto in popolo che non 

più bastassero ad esse i proprj viveri ; quante volte fa 

terra danneggiata dalle mutazioni del cielo rendea meno 

dell’usato; e quante volte altro caso non dissimile buono 

o rio le necessitava a minorarsi di gente ; consacrando 

allora agl’ Idd^ d’anno in anno una serie di discendeuti 




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libro I. 2g 


gii armavano , e li congedavano. E con fausti augurii 

gli accompagnavano se giusta le patrie leggi sacrificando, 

rendevano grazie ai cieli per la generazione copiosa , o 

per le vittorie tra Tarmi : laddove se pregavano i Numi 

irati a rimovere da loro i mali che tolleravano ; li di- 

mettevano pure slmilmente , ma rattristandosi , e chie- 

dendo die loro si perdonasse. E quei sen partivano 

quasi non più avendo una patria, se pure altra non sen 

facevano che li raccogliesse o per amicizia , o combat- 

tendo , e vincendo ; ed il Nume al quale i congedati 

eran sacri parca per lo più cooperare con essi , ed al- 

zarne sopra la espettazione le colonie. Su tale consue- 

tudine gli Aborigeni , floridi allora in popolazione , e 

schivi , perchè noi credeano il meno de* mali , di ucci- 

dete alcuno de’ posteri , consacravano agl’ Iddii d’ anno 

io anno le generazioni, e via via dimetteano gli allievi, 

già grandi fatti , dalla patria. Uscitine questi non desi- 

sterono di far contro i Sicoli , e derubarli. Ma non si 

tosto conquistarono alcuna delle contrade inimiche ; di- 

venutine ornai più sicuri ancora gli altri Aborigeni i 

quali bisognavano di terreno , insorsero parte a parte 

su’ confinanti : e fondarono alcune città , e quelle , abi- 

tate ancor di presente , degli Antemnati , de’ Tellenesi , 

e de’ Ficolesi presso i monti Cornicli nominati , e dei 

Tiburtini finalmente , tra’ quali evvi un luogo della città 

che pure a dì nostri si chiama Siciliano. Nè furono ad 

altro vicino più molesti che incontro de’ Sicoli. Sorse 

da tali contrasti guerra con tutte le genti ; talché mai 

non fu per addietro la più grande in Italia, e v’ infierì 

lungo tempo. 




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3o DELLE AXTICIIITA’ ROMANE 


IX. Dopo questo alcuni de’ Pelasgbi che abitavano la 

regione ora detta Tessaglia costretti di trasmigrarne , 

divenuei'o gli ospiti degli Aborigeni ; ed i compagni di 

arme, contro de’SicoIi. Gli accolsero gli Aborigeni forse 

{icr la speranza , io penso , di un utile , ma più per la 

comunanza di origine: perocché son pure i Pelasgbi un 

greco lignaggio , antichissimo del Peloponneso : quan» 

tunque sciaurati per molte cose e principalmente per la 

vita errante , nè mai stabile in sede ninna. E certo , 

come molli affermano su di essi, abitarono su le prime 

la città che ora chiamasi Argo di Acaja ; traendo il 

nome di Pelasgbi da Pelasgo , loro sovrano , generato 

da Giove e da Niobe la figlia di F oroneo , quando il 

Dio si congiunse la prima volta con donna mortale , 

come è ndle favole. Poi nella sesta generazione lasciato 

il Peloponneso, passarono nella Emonia che ora Tessa* 

glia si nomina ; e duci furono del passaggio Acheo e 

F tio , e Pelasgo , figli di Larissa e di Nettuno. Giunti 

nella Emonia ne cacciarono i barbari che 1’ abitavano , 

e la divisero in tre regioni cognominandole da’ condot* 

tieri , F liotide , Acaja , e Pelasgiote. Fissi colà da cin- 

que generazioni , lungamente vi prosperavano , profit- 

tando pur de’ campi migliori della Tessaglia: ma intorno 

la sesta generazione ne furono espulsi da Cureti , e da 

Lelegi che ora sono gli Eioli ed i Locri, e da più altri 

che abitavano intorno del Parnasso , guidando i nemici 

Dencalione il figlio di Prometeo e di Glimene nata 

dall’ Oceano. ' 


X. Dispersi nella fuga , altri vennero io Creta , altri 

ottennero alcune deile Cicladi. Alcuni abitarono la re* 




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LIBRO I. 3 1 


gione intorno di Olimpo e di Ossa, ora detta Estiotidc: 

ed altri furon portati nella Beozia, nella Focide e nella 

Eiubea : alcuni tragittandosi in Asia occuparono molte 

delle spiagge deli’ Ellesponto e molte delle isole dirim> 

petto , e quella che ora Lesbo si chiama , mescolatisi 

alla colonia che prima andavaci dalla Grecia sotto gU 

auspizj di Macaro Gglio di Criaso. La maggior parte 

però dirigeudosi entro terra a’ loro parenti i quali al- 

bergavano in Dodona , ed a' quali , come sacri , niuno 

facea guerra , abitarono quivi alcun tempo : ma poiché 

si avvidero che eran di aggravio, non bastando la terra 

a nutrire tutti in comune, se ne involarono, mossi dal- 

r oracolo che ordinava loro di navigare in verso la Ita- 

lia , allora chiamata Saturnia. E fatto apparecchio in 

copia di navi, passarono il mar Jonio, procurando giun- 

gere in parti presso la Italia. Ma pel vento di mezzo- 

giorno , e per la imperizia de’ luoghi , portati più oltre 

capitarono ad una delle bocche del Pò chiamata Spi” 

itelo e quivi lasciarono le navi, e la turba meno idonea 

ai travagli con un presidio , per avervi una ritirata , se 

i disegni non riuscivano. Or questi rimanendo in quella 

regione circondarono di muro il campo dell’ esercito , 

cd introdussero colle navi copia di vettovaglie. E poi 

che videro succedere loro le cose come voleano , fab- 

bricarono una città coLnome appunto della- bocca del 

fiume. Quindi prosperando più che tutti su le spiagge 

dell’ Jonio , e prevalendo lungo tempo sulle onde , por- 

tarono quant’ altri mai, decime vistosissime in Delfo alla 

Divinità , de’ beni tratti dal mare. Da ultimo però ve- 

nendo amplissima guerra su loro da’ barbari intorno , 




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32 DELLE Antichità' romase 


losciarono la città , donde anche i barbari furono dopo 

nn tempo cacciati da’ Romani. Cosi mancarono i Pela 

minandola da Larissa , metropoli loro nel Peloponneso. 

Delle altre città ne resta pure alcuna fino a miei giorni, 

quantunque variati spesso gli abitatori: ma Larissa è di- 

strutta già (la gran tempo : nè presenta dell’ antica esi- 

stenza altro segno più manifesto che il nome , e nem- 

meno questo è noto a moltissimi. Era non lontana dal 

foro chiamato Popilio. Finalmente possederono , toglien- 

doli a Sicoli , molti altri luoghi entro terra , o lungo 

la spiaggia. 


XIII. I Sicoli ornai non più valevoli a resistere ai 

Pelasghi ed agli Aborigeni, riunendo i figli e le mogli 

e quanto aveano di moneta in oro ed argento, si leva- 

rono in tutto da quella terra. Ripiegatisi a’ monti verso 

del mezzogiorno , e trascorsa tutta l’ Italia inferiore , 

siccome dovunque erano discacciati , apparecchiarono in 

fine delle barche nello stretto , e notandovi il flusso e 

(piando era fausto , passarono dalla Italia in su l’ isola 

vicina. Allora i Sicani , Spagnuoli di origine , la poue- 

devano , nè da gran tempo vi erano stati ammessi, cer- 

cando uno scampo dai Liguri; e già per essi era detta 

Sicania l’isola un tempo chiamata Trinacria^ per la fi- 

gura sua di triangolo. Non molti erano in questa gran- 

d’isola gli abitatori; ma la più gran parte vedeasi ancora 

deserta. Giunti i Sicoli ad essa , ne abitarono su le 

prime i luoghi occidentali , e mano a mano più altri , 

talché l’isola ne fu detta Sicilia. Cosi la gente de’ Sicoli 

abbandonò la Italia ', tre generazioni , come Ellanico di 

Lesbo scrive , prima delle cose trojane , correndo in 




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36 DELLE Antichità’ romane 

Argo r anno vigesimo sesto del sacerdozio di Alcione. 

Perciocché stabilisce due passaggi fatti dalla Italia nella 

Sicilia il primo degli Elimei cacciati dagli Oenotri , e 

l’altro dopo cinque anni degli Ausoni, che fuggivano i 

Japigi. Dice che re di questi fu Sicolo , donde ebbero 

il nome gli uomini e 1’ isola. Filisto però di Siracusa 

scrisse che 1’ anno di quella discesa fu 1’ otuntesimo in- 

nanzi la guerra trojana: e che non Sicoli, non Ausonj, 

non Elimei , ma Liguri furono gli uomini trasportati 

dalla Italia , conducendoli Sicolo , figliuolo di Italo , e 

che dalla signoria di quello furono Sicoli nominati. La- 

sciavano i Liguri le patrie terre , astrettivi dagli Umbri 

e da’ Pelasghi. Antioco di Siracusa non distingue il 

tempo del tragitto; ma Sicoli dichiara quelli che tra- 

gittarono, premuti dagli Oenotrj e dagli Umbri, piglia- 

tosi nel trasmigrare Sicolo per condottiero. Tucidide 

scrive che Sicoli furono i profughi , e Opici quelli che 

li fugavano , per altro molti anni dopo la guerra di 

Troja. E queste sono le cose che affermansi da uomini 

riguardevoli intorno de’ Sicoli , passati dalla Italia nella 

Sicilia. 


XIV. Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia 

e bella , ne ebbero pur le città ; poi fondandone altre 

ancor essi , crebbero presto e molto in forze , in ric- 

chezze , ed altri beni ; non però ne goderono lungo 

tempo. Ma sembrando floridi troppo per ogni parte fu- 

rono sbattuti dall’ ira de’ celesti , e quali ne perirono 

per divine calamità , quali pe’ barbari confinanti : e la 

parte più grande ne fu dispersa tra’ barbari , o nuova- 

mente Ira’ Greci , e lungo ne sarebbe il discorso se per 




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tninuto seguissi un tal fatto. Pochi ne sopravanzaronc 

nella Italia per cura degli Aborigeni. Parve alle città 

che la origine prima di un tale struggersi di famiglie 

fosse la siccità che intristiva la terra, talché non restava 

frutto alcuno Gno al maturarsi negli arbori; ma innanzi 

tempo cadevano 5 nè i semi che sbucciavano in germi, 

vegetavano Gnchè le spighe floride si empiessero nei 

tempi naturali , nè bastavano i pascoli alle greggio. Non 

più le fonti eran atte a toglier la sete , guaste , impic- 

ciolite o spente dagli estivi calori. Consentivano con ciò 

le vicende delle bestie e delle donne nel generare : e 

quale sconciavasi in aborti , e quale dava Agli , morenti 

nel parto , o fatali nell’ utero ancora alle madri. Se 

scampavano 1 pericoli del parto , mutili , o storpi , o 

manchevoli per altro disagio , non eran’ utili , onde si 

allevassero. L’ altra moltitudine poi , specialmente la più 

vegeta era colta da mali, e da morti frequenti più del- 

r usato. E consultando l’ oracolo per quale violazione di 

genj o di Nomi questo patissero , e per quali pratiche 

mai fosse da sperare una calma in tanti orrori, udirono 

ciò essere perchè esauditi ne’ loro desiderj , non aveano 

penduto quanto promisero ; ma dovevano ancora agli 

Dei cose preziosissime. Imperocché li Pelasghi l’idotti a 

penuria di ogni cosa nelle loro terre , si votarono a 

Giove , ad Apollo , ed ai Cabiri (i) di santiGcare ad 

essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella pre- 

ghiera presero ed offerirono agli Dei parte delle messi 

e de' frutti , quasi votati si fossero per questo soltanto. 


(i) Forte Castore e Polluce. E certo che erano Dei di Sanietracia. 




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38 DELLE Antichità’ romane 


Mii'silo di Le$bo scrive ciò quasi con le parole medesi- 

me , toltone , che egli chiama Tirreni e non Pelasghi 

quegli uomini , di che dirò più sotto le cause. 


XV. Ascoltato 1’ oracolo non sapevano interpretarlo. 

Fra dubbj loro un più vecchio, raccogliendone i sensi, 

disse che erravano affatto , se credevano che gli Dei li 

punissero a torto : volere il diritto ed il giusto , che si 

desse loro la primizia di tutto : nondimeno aspettavano 

ancora parte della generazione degli uomini , cosa più 

che tutte ad essi accettissima: se avessero questa, l’ora- 

colo sarebbe adempito. Parve ad altri che costui parlasse 

rettamente ; ad altri che tendesse delle insidie. E pro- 

ponendo un tale che s’ interrogasse il Dio se gradiva 

che si facessero per lui le decime , ancora degli uomini ; 

inandarono i sacri vati per questo , e rispose che si fa- 

cessero. Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di de- 

cimarsi : e prima surse a vicenda tra’ capi della città ; 

poi l’altra moltitudine prese i suoi magistrati io sospetto: 

nè già sollevavansi con regola alcuna, ma come per en- 

tusiasmo e per divino furore. Cosi molte case furono 

abbandonate, trasmigrandosi parte di essi, nè sostenendo 

gli attenenti di essere abbandonati dai loro carissimi , e 

restarsene tra i più crudi nemici. Primi questi levandosi 

dall’ Italia errarono per la Grecia, e molto tra’ barbari: 

quindi ancor altri incorsero ne’ mali medesimi , conti- 

nuandosi ogni anno la decima. Nè i magistrati la so- 

spendevano , ma sceglievano le primizie de’ giovani più 

robusti pe’Numi, quantunque nel proposito di soddisfare 

agli Dei , temessero i moti di chi usciva a sorte per 

vittima. Erano ancora non pochi espulsi dagli avversar) 




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LIBRO I. 3^ 


per nimiclzia , lutto che sotto specie di oneste cagioni. 

Laonde spessissime furono la partenze ; e la gente Pe- 

lasga errò dispersa in più terre. 


XVI. Erano i Pelasghi , vivendo in mezzo a genti 

bellicose tra cure e pericoli , divenuti assai buoni nelle 

armi , e più ancora nella nautica per avere coabitato 

co’ Tirreni. La necessiti che ne’ stenti della vita ispira 

coraggio, fu loro maestra e direttrice in tutti i cimenti. 

Perciò non difUcilmente dovunque ne andavano vince- 

vano. Erano chiamati ad un tempo Pelasghi e Tirreni 

dagli altri uomini si pel nome delia regione donde par* 

ti vano , come in memoria della origine antica. Ora io 

dico ciò perchè alcuno udendoli chiamati Pelasghi e 

Tirreni da’ poeti e dagli storici , non meraviglisi come 

abbiano ambedue le denominazioni. Tucidide in Atte 

di Tracia fa menzione di loro e delle città che vi era* 

no , abitate da uomini bilingui : e questo è il dir suo 

su’ Pelasghi. Ivi sono de Calcidesi , ma i più sono 

Pelasghi , cioè que’ Tirreni che abilarono un tempo 

Lemno ed Atene. E Sofocle nel dramma suo dell’ I- 

naco fa questi versi detti dal coro : 


Inaco genitor, figlio de' fonti 

Bel padre Oceano, assai splendendo , reggi 

Le terre d’ Argo e di Giunone i colli 

E i Tirreni Pelasghi. 


Quindi il nome de’Tirreni risuonava in que’ tempi nella 

Grecia : e tutta la Italia occidentale lo assunse ancora 

per sé , lasciando i nomi speciali de’ suoi popoli. Oc- 

corse già pari vicenda nella Grecia e nella regione ora 




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4° DELLE ANTICinTA’ KOMA!SE 


detta Peloponneso: giacché dagli Achei, che eran Tuno 

de* popoli che v’ abitavano, fu detta Acaja tutta la Pe« 

nisola ov’ erano gli Arcadj , c li Jonj , ed altre nazioni 

non poche. 


XVII. L' epoca nella quale cominciarono i Pelasghi 

a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi 

la guerra di Troja, e durarono, direi, dopo ancora di 

questa 6nchè si ridussero ad un gruppo di gente. E , 

salvo la città di Crotone , famosa nell’ Umbria , e tale 

altra, se pur v’ ebbe, data loro ad abitare dagli Abori- 

geni , perirono tutte le rimanenti de’ Pelasghi. Crotone 

serbò lungo tempo l’antica sua forma, ora non è molto, 

ha mutato nome ed abitatori , e divenuta colonia ro- 

mana, si chiama Cortona (i). Varj poi furono c molti 

che occuparono le sedi abbandonate da’ Pelasghi secondo 

che ciascuno vi confinava ; ma le migliori e le più si 

rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’ è chi li dice 

naturali d’ Italia e chi forestieri. E quei che li stimano 

propri della regione , affermano che si diè loro quel 

nome per gli edifizj sicuri , che essi i primi di quanti 

vi erano, si fabbricarono : imperocché le abitazioni con 

muri e con tetto son tirseis chiamate dai Tirreni come 

da’ Greci. Cosi pensano imposto loro quel nome per 

accidente come nell’ Asia ai MosinIcI dalle mosine che 

sono le case di legno abitate da essi , altissime in for- 

ma di torri. 


XVIII. Ma quelli che favoleggiano che i Tiireni 

sono stranieri , additano un tale, detto Tirreno, che fa 




(i) Ssronito altri Cotorni'n ■ 




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LIBRO I. 4 1 


duce della colonia , e dal quale ebbe nome la nazione. 

Dicono che originario fosse di Lidia , chiamata già 

Meonia; e che da indi antichissimamente si trasmigrasse; 

e che egli fosse il quinto dopo di Giove. Imperocché 

narrano che da Giove e dalla terra nacque Mani , il 

primo a regnare in que’ luoghi : che da questo e da 

Calliroe. figlia dell’ Oceano nascesse Coti ; che da Coti 

sposatosi con Alle , figlia di Tulio , uomo paesano , 

germinassero due figli Adie ed Ati : che da Ati e da 

Callitea figliuola di Coreo sorgessero Lido e Tirreno : 

e che Lido rimastosi in que’ luoghi succedesse al regno 

paterno , e Lidia lo denominasse dal suo nome ; ma 

che Tirreno fattosi duce di una colonia occupò gran 

parte d’Italia, Tirreni chiamando il luogo, e quanti lo 

seguitarono. Erodoto però dice che Tirreno nacque da 

Ati figlio di Manco , e che P andarsene de’ Meonj nel- 

r Italia non fu volontario. Imperciocché narra che re- 

gnando Ati si mise la penuria tra Meonj : che gli uo- 

mini ritenuti dall’ amore della regione si argomentarono 

in più modi a vincer quel male , taluni di colla parsi- 

monia , e tal altri con 1’ astinenza : ma che prorogan- 

dosi la sciagura , tutto il popolo diviso in due , decise 

per le sorti chi dovesse di là trasmigrarsi , e chi rima- 

nere y e che perciò 1’ un figlio di Ati si stette , parten- 

dosi r altro : la moltitudine che pendeva da Lido trasse 

colle sorti il suo meglio , e si stette ; ma 1’ altra pi- 

gliando quanto le si dovea per le sorti in danaro , na- 

vigò verso r occidente d’ Italia , e postasi dove erano 

gli Umbri , vi fondò città che duravano ancora al suo 

tempo. 




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42 «ELLE Antichità’ bomane 


XIX. Ben so che altri non pochi scrissero , ap- 

punto come io scrissi , della origine de’ Tirreni ; ma 

che altri ne variano il fondatore ed il tempo. Imperoc- 

ché dissero alcuni che Tirreno era figlio di Ercole e 

di Onfale Lidia : che venuto questo in Italia , espuke i 

Pelasghi dalle loro città , non però da tutte , ma da 

qnelle poste di là del Tevere su le parti boreali. Altri 

però ci fan vedere in Tirreno un figliuolo di Telefo 

venuto in Italia dopo la rovina di Troja. Zanto lidio 

perito quant’ altri mai delle storie antiche , e creduto 

nelle patrie non inferiore a niuno, nè mentova in parte 

alcuna de’ suoi scritti un tirreno signore de’ Lidj , nè 

conosce passaggio alcuno de’Meonj nella Italia, nè parla 

mai de’ Tirreni come di Lipia colonia, sebbene parlasse 

di cose ancora bassissime. Dice che Ati generò Lido e 

Toribo , che dividendosi il regno paterno si rimasero 

ambedue nell’ Asia , c che diedero il nome loro a’ po- 

poli su’ quali comandavano. Imperocché scrive: da Lido 

si fecero i Lidj , e da Toriho i Toribi 5 poco d’ am- 

bedue differisce l’ idioma , e gii uni , come li Jonj e li 

Doriesi , usano a vicenda le parole degli altri : Ellanico 

di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi as- 

sunsero il nome che or hanno , quando abitarono la 

Italia ; imperocché nel suo Foronide (i) scrive , da 

Pelasgo re loro , e da Menippe figliuola di Peneo 

nacque Fraslore , da questo surse Amintore , che 

diede Teutamide , e da Teutamide ebbesi Nanas j 

regnando il quale i Pelasghi , profughi dalla Grecia 


(1) Opaieolo di Ellaaieo; ne fa meniione Ateneo nel lib. 9. 




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LIBRO I. 4^ 


lasciarono le navi dove il fiume Spineto esce nel mare 

Ionio (i), ed invasero entro terra la città di Crotone; 

e di là movendosi fondarono quella che Tirrenia ora 

si chiama. Mirsilo sponendo come Ellauico le altre co- 

se , dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profu- 

ghi dalla patria , furono detti Pelasghi per certa somi- 

glianza loro con le cicogne, pelarghi chiamate; giacché 

passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: 

aggiunge che essi alzarono il muro detto Pelargico in- 

torno la rocca di Atene. 


XX. A me però sembra che s’ ingannino quanti si 

persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che 

una gente ; perciocché non è meraviglia che alcuni ab- 

bian talvolta il nome di altri , mentre in pari vicenda 

incorsero ancora altri popoli greci o barbari come i 

Trojani ed i F rigi , perchè prossimi di regione. Eppure 

molti fanno di questi due popoli Un solo, quasi distinti 

di nomi, non di lignaggio. I popoli poi d’Italia, nom« 

meno che quei d’altri luoghi , furono confusi ne’ nomi. 

E v’ ebbe un tempo quando Latini , Umbri , Ausoni , e 

molti altri si chiamavano Tirreni da’ Greci ; riuscendo 

ogni ricerca di questi men chiara per la lontananza di 

que’ popoli : anzi molti degli scrittori pigliarono Roma 

ancora per città de’ Tirreni. Io dunque penso che que- 

ste genti mutassero il nome , variandosi fino il vivere : 

non penso però che una fosse la origine di ambedue , 

per molte cagioni , e più per le voci loro non simili , 


(i) Qui si estende il nome di ionio all’interno dell’ Adriatico. 

Spesso gli storici antichi cosi praticarono contro 1’ uso de’ geografi 

che distinguono 1’ uno dall’ altro mare. 




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44 BELLE A^TICHITA’ ROMANE 


ma diversissime. Imperciocché nè li Crotoniati (i) come 

scrive Erodoto , nè li Piaciani ne’ proprj luoghi parlan 

la lingua dei circonvicini ; ma una ne parlano tutta lor 

propria; donde è manifesto che serbano i caratteri del- 

r idioma che aveano quando in que’ luoghi si traslata- 

rono. Meraviglisi poscia chi può che li Crotonlati somi- 

glino nell’ idioma al Piaciani , popoli ne’ lidi dell’ Elle- 

sponto , nè somiglino intanto a’ vicini Tirreni. Erano 

que’ primi ambedue Pelasghl ne’ principj loro : e se la 

unità di origine prendesi per causa della uniformità nei 

linguaggi ; dunque la differenza di origine è pur causa 

del divario di essi ; non dando un principio medesimo 

contrarj gli effetti. Certamente , se avvenga , ben è ra- 

gionevole quello , cioè che uomini di una gente mede- 

sima domiciliatisi lontani fra loro non conservino i ca- 

ratteri de’ proprj idiomi per lo conversar col vicini; ma 

che poi negl’idiomi non somiglino popoli di una origine 

istessa , e d’ istesse contrade, ciò non è ragionevole per 

ninna maniera. 


XXI. Seguendo tali indizj convincomi che differi- 

scono i Pelasghi dai Tirreni ; nè credo i Tireeni un 

tralcio de’ Lidj ; perocché nè parlano la lingua mede- 

sima , nè può dirsi che se non la parlano , ritengono 

almeno alcuni vestigi della teiTa materna , nè tengono 

per IdJj que’ che da’ Lidj si tengono ; nè li somigliano 

per leggi o per abitudini , ma in ciò dai Lidj si diver- 

sificano più , che da’ Pelasghi. Pertanto sembrano più 

verisimili quelli , che dicono un tal popolo , naturale 


( I ) Cortoncsi . 




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LIBRO I. 4^ 


della contrada , non venutovi altronde : pérciocchè si 

rinviene antico in tutto ; nè simile ad altri nel parlare , 

o nel vivere : e niente ripugna che avesse un tal nome 

da’Greci o per le abitazioni fortissime (i) o per l’uomo 

ancora che li dominava. Ma i Romani con altri nomi 

li chiamano Etruschi dalla Etruria , regione dove un 

tempo abitarono : ed ora li dicono Toschi men pro- 

priamente , avendoli come i Greci , nominali prima con 

più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie 

del culto divino, nelle quali sorpassano lutti, Que’ po- 

poli inoltre distinguono sè stessi dal nome di Rasenna 

r uno già de’ loro comandanti. Sarà poi dichiarato in 

altro libro quali città fossero abitate dai Tirreni e con / 


quali forme di governo , quanta fosse di tutti insieme 

la potenza , e quali , se pur degne ne ebbero di ricor- 

danza , le azioni ne fossero , e le vicende. 1 Pelasghi 

che non perirono , nè si disgiunsero per fare colonie , 

si rimasero, pochi di molti, con gli Aborigeni , sotto 

le leggi de’ luoghi ne’ quali si lasciavano , e ne’ quali col 

volger degli anui i posteri loro fondarono Roma. E tali 

sono le novelle intorno de’ Pelasghi. 


XXII. Dopo non molto tempo , nell’ anno , al più , 

sessantesimo come narrano i Romani , prima della guerra 

trojana , capitò ne’ luoghi medesimi un’ altra spedizione 

di Greci la quale abbandonava il Pallanteo , città del- 

r Arcadia. Il duce erane Evandro , figlio di Mercurio , 

e di una ninfa , abitatrice di Arcadia. I Greci la ten- 

gono per ispirata da’ Numi , e la chiamano Temide ; 


(i) Tirseis delle di *opa J xvii. 




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46 DELLE Antichità’ romane 


ma Carmeiita è delta nella patria lingua da’ romani 

che scrissero le antichità di Roma: perocché la ninfa 

avrebbesi a dir propriamente Tespi-ode con greca pa- 

rola : ma le odi chiamansi carmi da’ Romani , e quindi 

è Carmenta : si consente poi che tal donna presa dallo 

spirito divino presagisse , cantandole , le cose avvenire 

ai popoli. Non venne quella spedizione di comun senti- 

mento; ma nata sedizione del popolo, la parte inferiore, 

di voler suo si spatriò. Dominava di que’ tempi su gli 

Aborigeni Fauno, un discendente come dicono di Marte, 

uomo di azione e di prudenza , e riverito da’ Romani 

con sagrifìzj e con inni come un genio del loco. Ricevè' 

costui con assai benevolenza gli Arcadi che erano po- 

chi , e diede loro della sua terra , quanta ne vollero ; 

ed essi , come Temide gli avea , vaticinando , ammae- 

strati , presero un colle poco lontano dal Tevere , il 

quale ora è nel mezzo di Roma , e tanto vi fabbrica- 

rono , che bastasse alle genti venute con le due navi 

dalla Grecia. Era questo il principio segnato dai. destini 

per formare col volger degli anni una città , non pareg- 

giala mai da greca o barbara città per grandezza di 

abitazioni, di comando, e di ogni bene, e certamente 

memorabile soprattutto finché dureranno i mortali. Pal- 

lanteo chiamarono quel fabbricato come la metropoli 

loro in Arcadia: ora Palagio è detto da’ Romani per la 

confusione che inducono i tempi ; e ciò diede a molti 

la occasione di stolte etimologie. 


XXIIl. Dicono molti , e tra questi Polibio di Me- 

galopoli , che quel nome viene da Pallante, un giovi- 

netto ivi morto , nato da Ercole e da Cauna la 6glia 




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LIBRO I. 4? 


di Evandro: perchè facendogli questo avolo materno in 

quel colle un sepolcro , chiamò ' Pallanteo , quel luogo 

dal giovinetto. Io nè mirai in Roma la tomba di Fal- 

lante , nè conobbi che vi si praticassero funebri onori , 

nè potei conoscere nulla di slmile : quantunque la fami- 

glia di lui non sia dimenticata , nè priva del culto col 

quale i semidei sono venerali dagli uomini. Perocché 

vidi che i Romani faceano gelosamente ogni anno pub- 

blici sacriGzj ad Evandro e a Carmenta, come agli altri 

genj ed eroi : e vidi gli altari dedicali a Carmenta appiè 

del Campidoglio presso la porta carmentale , e quelli 

dedicali ad Evandro appiè dell’ altro colle detto Aven- 

tino , non lungi dalla porta trigemina ; nè vidi intanto 

cosa ninna di queste latta inverso Fallante. Gli Arcadi 

i quali coabitavano appiè del colle, eressero pure altri 

monumenti nelle forme della patria , e santi riti v’ isti- 

tuirono ; ma per ispirazione di Temide, innanzi lutti a 

Pane Liceo , Nume il più antico e più riverito tra quelli 

di Arcadia , in sito idoneo , che i Romani chiamano 

Lupercale , e noi diremmo Liceo. Ora empiuto essen- 

dosi di abitazioni il suolo intorno ; non è facile rintrac- 

ciarne la natura del luogo. Era questo , come dicono , 

appiè del colle, una spelonca, vetusta , grande, coperta 

da una querce, ramosa qual bosco : profonde bulicavano 

le fonti abbasso delle pietre ; e lo spazio appresso ai 

dirupi era opaco per arbori , altissime e folte. Qui col- 

locando un altare a quel Nume compierono il patrio 

sagriGzio , che i Romani , non mutando cosa alcuna 

delle antiche allora fatte, ripetono ancora di presente 

dopo il solstizio d’ inverno nel mese di febbrajo. La 




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48 DELLE Antichità’ romane 


maniera del sagrìGzio sarà detta più innanzi. Ergendo 

poi su le cime del colle un tempio alla Vittoria, stabi- 

lirono in questo ancora annui sagriGzj che i Romani 

tributano ancora. 


XXIV. Gli Arcadi favoleggiano che questa sia figlia 

di Fallante generata da Licaone : e Minerva , fece , che 

ricevesse da’ mortali gli onori che le si rendono ; impe- 

rocché fu essa educata colla Dea , giacché la Dea nata 

appena fu consegnata da Giove a Fallante, e presso lui 

fu nudrita finché ascese alle stelle. Fondarono ancora 

un tempio a Cerere ed il sagrifizio, che faceano le donne 

ma non usate al vino , com' era la pratica de' Greci : 

nel che 1’ andare del tempo non ha cagionato muta- 

zioni , fino a miei giorni. E Nettuno Ippio ebbe pure 

il suo tempio e le feste , dette Ippocratie da’ Greci , 

ma ConsucUi da' Romani: e Roma in esse libera per 

uso dal travaglio cavalli e muli, e ne incorona le teste 

di fiori. Consecraronu similmente altri tempj , altri al- 

tari, altri simulacri, costituendo purificazioni e sacri- 

fici , ritenuti ancora ne’ modi medesimi. Né già sarei 

meravigliato se alcune di queste cose neglette , come 

antiche troppo , non avessero più ricordanza tra’ po- 

steri : nondimeno le consuetudini presenti danno ancora 

assai da congetturare su’ riti arcadici d’ allora , de’ quali 

diremo altrove più pienamente. Dicesi che gli Arcadi 

recassero i primi nella Italia 1’ uso delle lettere greche, 

note ad essi da poco , e la musica della lira , della ti- 

bia e del trigono , non sonandosi ivi altri armonici 

stromenti che le sampogne de’ pastori : e dicesi che vi 

introducessero le leggi , vi raddolcissero le maniere del 




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LIBRO I. 49 


vivere , 6ere in gran parte , e che vi diflondessero le 

arti , e le istruzioni , ed altre utili cose in gran nume* 

ro« onde assai ne furono rispettati dagli ospiti. Questa 

greca moltitudine , seuouda dopo i Pelasghi , giunta 

nella Italia ebbe comune 1’ abitazione con gli Aborigeni 

in uno de’ bonissimi luoghi di Roma. 


XXV. Pochi anni dopo degli Arcadi vennero nella 

Italia altri Greci, guidati da Ercole il quale avea do- 

mato la Spagna , e le parti , fiu dove il sole tramonta. 

Alcuni di loro , implorato da Ercole il congedo dalla 

milizia , si fermarono in questi luoghi ; e trovando un 

colle opportuno , lontano al più tre sladj dal Pallanteo, 

vi si accasarono : chiamalo alloca Saturnio , o Crònio 

come i greci direbbono , ora si chiama Capitolino. 

Erano quei che rimasero per la più parte del Pelopon- 

neso , io dico i F enueati , e gli Epei della EUide , di- 

samorati di viaggiare in verso la patria, perchè deva- 

stata nella guerra con Ercole. Mescolavansi ad essi al- 

cuni de’ Trojani &tti prigionieri quando Èrcole prese 

già Troja , regnandovi Laomedonte. E pormi che in quei 

luogo si annidassero ancora tutti di quell’esercito , quanti 

o stanchi dalla fatica , o dal rigirarsi ottennero levarsi 

dalla milizia. Alcuni , come ho detto , stimano antico il 

nome del colle ; tanto che gli Epei gli si affezionarono 

nommeno in memoria del colle , Gronio chiamato nella 

Elide in su le terre di Pisa lungo le rive dell’ Alfeo. 

Gii Elicsi riputando quel poggio loro sacro a Saturno 

vi si adunano in fìssi tempi, e l’onorano con sacriGzj 

e con altro colto. Nondimeno Eusseno , ed altri mitologi 


VIOlfJGT , tomo I. i 




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5o nr.LLE Antichità’ romane 


Italiani pensano che i Pisani per la simiglianza del Cro- 

mo loro dessero il nome anche all’ altro : che gli Epei 

con Ercole erigessero a Saturno l’ altare che trovasi alle 

falde del colle presso la via che mena dal Foro al 

Campidoglio : e che essi istituissero il sagriCzio che i 

Romani v’ immolano ancora con greche cerimonie. Ma 

io , paragonando , trovo » che prima della venuta di 

Ercole nella Italia quel luogo era sacro a Saturno , e 

Saturnio chiamavasi da’ terrazzani : e che tutta 1’ altra 

regione, che ora dimandasi Italia, era dedicata ancor 

essa a quel Nume, e Saturnia nominavasi dagli abitanti, 

come trovasi detto nelle risposte date dalle sibille o da 

altri Iddii. Eid in molti luoghi di questa sonovi de’tempj 

alzati a quel Nume , ed alcune città da lui si denomi- 

nano , come allora tutta la Italia: e portano ancora il 

nome del Dio molti luoghi, singolarmente i monti e le 

rupi. 


XXVL Col volger degli anni fu detta Italia per un 

uom potentissimo , Italo nominato. Antioco di Siracusa 

lo dipinge per uomo destro e filosofo , il quale convin- 

cendo molti popoli col dire e molti colla forza, ridusse 

in poter suo quanto v’ è tra ’l golfo Napitino (i) e 

quello di Scilla : e quel tratto fu il primo che Italia 

da Italo si dicesse. Dopo ciò scrive che divenuto più 

forte, fece che molti altri gli ubbidissero; perocché 

mise il cuore su’confinanti , e ne prese molte città: e 

scrive finalmente eh’ egli era Qenotro di nazione. Ella- 


(l) Cluverio in tini. Aniiq. I. IV crede die deliba Irgf’ersi La- 

me/in* in Tece di IVrpitino. Filoguno k di parere die Lamet città 

di Lucania desse nome a questo golfo. 




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MBRO J. !) I 


iiko di Lesbo narra die Ercole coiiJucevasi i bovi di 

Gerione alia volta di Argo , ma che essendo già nell' I- 

talia il tenero figlio di una vacca spiccossegli dall’ ar- 

mento , e profugo vi errò da per tutto ; finché solcalo 

il mare interpostp giunse nella Sicilia : che cercando 

Ercole quell’ animale , e chiedendo ovunque capitava , 

se alcuno lo avesse veduto de’ paesani , siccome poco 

intendevano il greco , e da’ segni lo chiamavano come 

aneli’ oggi si chiama nella patria lingua vitello ; cosi 

Vilalia chiamò tutta la regione da questo percorsa. 

Non è poi meraviglia che uu tal nome si tramutasse 

com' è di presente ; mentre tanti greci nomi eziandio 

subirono pari vicende. Ma , sia che prendesse quel no- 

me , come dice Antioco, dal condottiero, il che forse 

è più probabile , sia ebe dal vitello come pensa Ella- 

nico ; raccogliesi da ambedue che lo prese intorno ai 

tempi di Ercole , o poco prima ; essendo chiamala iu- 

nanzi Esperia ed Ausonia dai Greci , e Saturnia da 

[laesani , come di sopra fu detto. 


XXVII. Coutasi ancora tra qne’ popoli la novella 

ebe innanzi al principato di Giove ivi Saturno regnasse: 

e che tra loro più che altrove si avesse quella vita sì 

famosa , beata per tutti i beni , quanti le stagioni ne 

apportano. Ma se alcuno risecando ciocch’è di favoloso 

nel discorso , vaglia Intenderne la bontà di quella 

gioite , dalla quale il genere umano , sorto di recente 

dalla terra , come è vecchia fama , o d’ altronde , ne 

raccolse vantaggi moitissiini , e giocondissimi ; non tro- 

verà [>cr tal fine suolo pili acconcio di questo. Iiiipe- 

rocciiè se paragonisi una terra con altra di eguale gran- 





5-2 DELLE Antichità’ romane 


àezza , T Italia pei* mio giudizio è la migliore neU' Eu- 

ropa, e dovunque. Non ignoro clie io sembrerò dir cose 

incredibili a molti, i quali risguardano l’Egitto, la Li- 

bia , e Babilonia , e quante altre vi sono beate contrade: 

ma io non pongo la ricchezza della terra in una specie 

sola di prodotti , nè invidierei di abitare dove pingui 

sono le campagne , nè vi si scorge altro bene se non 

tenuissimo: ma quella regione chiamo la migliore la 

^ale sia bastantissima a sé Stessa, e che meno abbisogni 

deir altrui. Sono poi persuaso che la Italia paragonata 

con altra qualunque, appunto sia la terra datrice di ogni 

frutto , e di ogni utile* 


XXVIII. E certamente, se comprende campagne fe- 

lici e molte , non perchè madre è di messi , è men 

propizia per gli arbori : e se vale assai per ogni genere 

di alberi, non perchè tale, è poco ubertosa^ nel semi- 

narvi: o s’ è bonissima per ambedue questi usi, non per 

questo è men propria pe’ bestiami : nè perchè varia si 

dimostri ne’ prodotti e ne’ pascoli è disamena poi se vi 

si abita. Ma direi che di ogni agio soprabbonda e di 

ogni diletto. E qual terra mai frumentaria vince le terre 

dette della Campania, bagnate dalle acque non de’fiumi, 

ma del cielo f Io vi contemplai campagne che davano 

tre raccolte nudrendo dopo i semi del verno , quelli 

per la state , e dopo gli estivi , gli altri in 6ne per 

1' autunno. Quale coltivazione supera in olio quella dei 

Messapj , de’ Daunj , de’ Sabini e di altri? Qual mai 

suolo con vigne sorp rende più che il Tirreno, l’Albano 

e il Falerno 7 il quale ama così le viti, che ne porge 

col tnen di lavoro amplissimi frutti e bonissimi. Ma 




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LIBRO I. 




oltre le terre che si lavorano, ivi molte pur se ue tro- 

vano, riservate per le capre e per le pecore ; ma più 

mirabili ancora sono quelle da pascervi le mandre dei 

cavalli e de’ bovi: imperocché soprabbondandovi l’erba 

palustre c dei prati , e riuscendovi fresca e rugiadosa 

nelle parti che si coltivano , dan pascoli senza limite in 

tutta l’estate , e mantengono in fiore gli armenti. Qual 

dolce spettacolo ivi sono le selve per balze , per valli , 

per colli non culti , e di qnale e quanto niateriale per 

le navi e per altre operazioni ì Nè già cosa alcuna di 

queste è dilTìcile ad ottenerla , nè rimota dall’uso degli ^ 

uomic» : ma tutte sono pianissime, e tutte facili a tras- 

mettersi per la moltitudine de’ fiumi , i quali scorrono 

tutta la regione : e li quali con utile vi agevolano i tra- 

sporti e le permute dei prodotti della terra. Vi si tro- 

vano ancora in più luoghi delie acque calde , propriis- 

sime a’ bagni , e bonissime per le cure di mali diu- 

turni. E metalli vi sono d‘ ogni genere , e cacce d’ani- 

mali in copia , e mari fecondissimi , come pure altre 

cose moltissime ; e più utili e più meravigliose. Benis- 

simo soprattutto ne è 1’ aere per la dolce sua temperie 

secondo le stagioni, e poco opponesi con calori o 

freddi eccessivi al formarsi de’ fratti , ed al vivere degli 

animali. 


XXIX. Non è dunque da meravigliarsi che gli an- 

tichi prendessero quella terra per sacra a Crono , o 

Saturno; concependo che questo Dio vi fornisse , e sa- 

ziasse i mortali d’ogni bene. Ma sia che chiamisi Crono 

come da’ Greci, sia che Saturno (i) come da’Romaui; 


(i) Stefano r fiasaubono credono ebr qui fosse nel testo K«^ac 




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ìy!^ dkt.i.t; Antichità’ koma^e 


•omprenJeitilo ciascuno di essi la natura tutta delle 

cose ; tu lo nomina come più vuoi. Nemmeno è da 

meravigliarsi cbe contemplando in quella ogni abbon- 

danza e delizia , commoventissime cose , ne credessero 

ogni luogo più acconcio , degno degli Dei , com' era 

de’ mortali ; e li monti e le selve si ascrivessero a Pane, 

i prati e floridi luoghi alle ninfe , e le rive e le isole ai 

geuj marini , ed ogni altra parte ad un genio o a un 

Dio , come più couvenivagli. È fama che gli antichi im- 

molassero a Crono umane vittime , come in Cartagine , 


^ mentre esistè , come tra’ Celti , e come in mezzo di 

altri occidentali ; e che Ercole volendo precludere U 

barbarie di quel sacrificio, innalzasse l’ altare nel colle 

Saturnio, e facesse che vittime pure vi si ardessero con 

puro fuoco. E perchè que' popoli non sen corucciassero 

quasi spregiasse i patrj sacrifizj, è fama die gli ammo- 

nisse a placare l’ira di quel Nume; e piuttosto che gli 

uomini gettare nel Tevere legati nelle mani e ne’piedi , 

a gettarvi i simulacri loro , vestiti appunto com’ essi. 

Egli serbava una immagine degli antichi costumi , per- 

chè si sterpasse alfine, quanta superstizione, ' restava an- 

cora ne’ cuori. Conservavano i Romani tal pratica ancor 

ucl mio tempo , rlnovandola poco appresso all’equinozio 

di primavera nel mese di maggio nelle idi che chia- 

mano, le quali vogliono che ricorrano il giorno aj>- 

punto , cbe è il ipezzo del mese della luna (i). In questo 


il che «linde > «azieti , e bcDÌssiraa corrisponde alla pa- 

rola Ialina di Saturno i e perh di sopra abbiamo usala il verbo sa- 

ziata. Crono poi non h che il tempo ; cd il tempo lutto prepara , a 

di tallo ioruiicc ^li iiooiini col suo corso. 


(i) 1 fiamapi «Inp» \nraa regolavano l’anuo sul corsa delia Urna, 





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LIBBO I. DD 


i ponteGci , vale a dire i primi tra’ sacerdoti , come le 

vérgini , custodi del fuoco inestinguibile , i pretori , e gli 

altri che esser possono all’ opera santa , dopo avere com- 

piuti secondo la legge il sagriGzio , gettano del ponte 

sublicio nel Tevere, trenta simulacri in forma umana 

Argei (i) nominati. Ma de’ sagriGzj e delle altre divine 

cerimonie^di Roma , nazionali o greche di maniere , 

diremo in altro libro ; richiedendo ora il subjetto che 

più riposatamente seguitiamo Ercole nella sua venuta 

in Italia, nè trasandiamo cosa da lui fattavi, degna di 

lode. ! 


XXX. E su questo Dio diconsi delle cose , quali 

più vere e quali più favolose : e cosi stanno le favolose. 

Ercole , oltre gli altri travagli , comandato da Eurisleo 

di condurgli da Eritea li bon di Gerione in Argo , 

tornando dalla impresa in sua casa , venne in molte 

parti d’ Italia e della terra degli Aborigeni, prossima ai 

Pallanteo. E trovandovi copioso e buon pascolo , vi 

addusse i bovi, ed egli, quasi stanco dalle fatiche, die* 

desi al sonno. Intanto un ladro paesano, Caco di nome, 

capitò tra’ bovi , pascolanti senza custòde , e se ne in-' 

vaghi. Ben conobbe che Ercole si riposava ; ma vide 

che> nè puteali tutti involare occultamente , nè facile ne 

sarebbe la impresa. Quindi ne ascose pochi solamente 


ed il principio della nuora luna era principio insieme del nnoT» 

mete. Di qui nasce che faceano combinare te idi di maggia c«l 

plenilunio o col mezzo del mese lunare. 


(i) Queste figure erauo di giuoco: si chiamavano Argei, qnsai 

rappreseiilasscro tanti Argivi che si slarmioavann come nemici degli 

Arcadi. * 





56 DELLE Antichità’ eomane 


nell’ antro vicino , dov’ egli vivea , traendoveli via via 

retrogradi per la coda , perché vedendovisi le pedate 

contrarie all’ ingresso , potesse render vano ogni argo- 

mento sa di essi. Ma levatosi Ercole poco appresso , e 

numerati i suoi bovi ; come vide che ne mancavano , 

dubitò su le prime, ove fossero andati , e li cercò mano a 

a mano come erranti da’pascoli. Nè raggiungendoli ancora ; 

venne alla spelonca sebbene sconsigliatovi dalle pedate , 

niente meno pensando , quanto che ivi ne ritroverebbe 

il covile. Standone Caco dinanzi l’entrata, e richie- 

stone , dicendo non averle vedute , nè volere che ivi 

più si cercassero ; anzi convocando clamorosamente i 

vicini , quasi patisse violenza dal forestiero ; Ercole , 

dubbioso in prima come istrigarsela , prende in fine a 

' dirigere all’ antro ancor gli altri bovi. Ma non sì tosto 

quegli da entro sentirono la nota voce e 1’ odore , la- 

sciarono verso gli altri di fnora un muggito , e fu quel 

muggito r accusatore del furto. Caco, vedutosi reo ma- 

nifestamente , ricone alla forza convocando tutti i suoi 

compastori. Ecco Alcide investirlo colla clava , ed ucci- 

derlo e sprigionarne i suoi bovi: poi vedendo, com’era 

la spelonca un refugio opportuno pe’ rubatori, la dirupò. 

Quindi, parificatosi con Tonde del fiume dalla strage, 

inalzò presso quel luogo a Giove ritrovatore un altare , 

ora visibile in Roma nella porta trigemina ; sacrifican- 

dovi un vitello al Nume onde ringraziarlo su’ bovi ricu-, 

perati. Roma porge ancora quel sacrificio, tutto con 

greci riti , come Ercole lo istituì. 


XXXI. Gli Aborigeni e quegli Arcadi che abitavano il 

Pallanteo come seppero della morte di Caco , c mira- 




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LIBRO I. 57 


rono Èrcole , nemici già del primo per le rapine, siu> 

pirano all’ aspetto del secondo , credendo non so che 

divino in lui per la grande avventura sua nella vittoria. 

I poveri tra loro spiccando ramnscelli di alloro , copioso 

in que’luoghi , ne coronarono Ercole e sè stessi ; ed 

accorrendo i loro monarchi lo invitarono ad ospizio. 

Come poi dal dir suo ne conobbero il nome , il lignag- 

gio , e le imprese ; prolferivano a lui per benevolenza 

il i-egno e sé stessi. Ed Evandro che anticamente udito 

avea da Temide stessa, volere il destino che Erctde, il 

figlio di Giove e di Alcmena, cambiasse per la virtù la 

natura mortale colla immortale , appena ravvisò chi egli 

fosse, ansioso di prevenire tutti e di rendersi propizio 

l’eroe con gli onori de’ Numi, alzò di repente con assai 

cura un alure , sacrificandogli dove l' oracolo avea già 

significato, un giovenco, intatto ancora di giogo, e 

supplicandolo a ricevere da lui le primizie di un culto. 

Meravigliatosi Ercole delle accoglienze , tenne il popolo 

a convito, immolando parte de* bovi , e separando per 

ciò le decime delle altre prede : poi donò a quei re 

che assai Io bramavano , molte delle terre de’ Liguri ^ 

e di altri confinanti , cacciando da esse alquanti ribaldi. 

Dicesi ancora che egli fe’ la ricerca , giacché i primi 

de’ paesani lo tenevano per un’ Iddio , che gli perpe- 

tuassero quegli onori , sagrificandogli ciascun anno un 

giovenco non domo, e santificandone l’azione con gre- 

che cerimonie : e dicesi che insegnasse queste a due 

famiglie le più riguardevoli perchè vittime in tutto ac- 

cette gli si offerissero: essere poi quelle de’Potizj e dei 

Pinarj , le famiglie allora istruite del greco rito , e le 




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.^8 DETXK antichità’ ROMANE 


loro generaziout aver lungo tempo continuata la cam 

de’ sagriiìzj , come v’ erano da colui depuute : talché i 

Potizj erano i capi nella santa operazione , ed aveano 

le primizie al bruciarsi delle vittime; laddove i Pinarj 

non ammetteansi a parte delle viscere , e teneano sem- 

pre i secondi onori nelle cose comuni ad ambedue. E 

cagione a questi della onorificenza minore fu la tardanza 

loro nel presentarsi; giacché comandati di venire sul far 

del mattino , giunsero essendo già consumate le viscere. 

Ora r incarico del santo ministero non è più de’ posteri 

loro: ma di servi comperali dal pubblico. Dirò poi nel 

suo luogo le cause per le quali il costume fu varialo , 

e le significazioni del Dio quando i santi ministri si 

permutarono (i). L’ara ov’ Ercole offerì le sue decime, 

chiamasi Massima da’ Romani , e trovasi presso al foro 

detto boario , veneratissima , quanto altra mai , da’ pae- 

sani : imperocché su questa fa patti e giuramenti chiun- 

que vuole stabilità negli accordi ; e su questa si offrono 

spesso ancora le decime a compimento de’ voti. Nondi- 

meno un tale altare nelle fattezze è minore della sua 

gloria. Vi ha de’ tempj di questo Nume altrove ancora 

in più luoghi d’ Italia ; e gli'altari ne sono per le città 

e per le strade: e diffìcilmente trovcrebbesi una popo- 

lazione che non lo adorasse. E questo ci tramandan le 

favole intorno di Ercole. 


(i) Il testo ove DioDÌp spiegava tali cose è perito. Potrà veder- 

seue ciocché ne scrive Livio oel libro nouo. Egli dice occorsa la 

mutaiioDc quando Appio Claudio esercitava le funxinni di censore. 

Allora in un anno perirono dei Potizj trenta tnaschj abili a rinovaro 

le famiglie , a cosi la stirpe virile corse al suo termine. 




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T.IBRO I, f)C) 


XXXIL Ma il più vero è quest’ altro : e molti die 

scrissero le imprese di lui , cosi nella storia lo delinca- 

rono. Ercole divenuto potentissimo in arme tra tutti dei 

suo tempo, e postosi con esercito numeroso scorse tutta 

la terra cinta dall’ Oceano , levando , se ce ne aveano , 

qualunque tirannide, grave e molesta ai sudditi, e qua- 

lunque impero di città contumelioso e nocevole agli altri 

vicini colla condotta dura e colle uccisioni ingiuste degli 

ospiti , e stabilendo monarchi onesti , governi savj , c 

costumi socievoli ed umani. Scorse ancora tra’ Greci e 

tra’barbari, neirinterno de’ mari e delle terre, in mezzo 

popoli infidi , intrattabili : fondò città .su luoghi deserti, 

diresse fiumi che inondavano i campi, aprì vie su monti 

impraticabili , e mille cose fece onde i mari tutti e le 

terre si comunicassero ogni vantaggio. Giunse finalmente 

in Italia ma non già solo , nè con mandre di bovi ; 

perocché non è questa regione in senti«‘o per chi viene 

dalle Spagne in Argo , nè conseguito ci avrebbe tanti 

onori per causa di un passaggio. Egli vi giungea dalle 

Spagne conquistate, ma con esercito amplissimo per sot- 

toporsela , e dominarvi. Se non che fu costretto a con- 

sumarvi gran tempo, e perchè lontana era la sua fiotta, 

stanti le bnrrasche ree dell’ inverno , e perchè le genti 

d’ Italia , non tutte spontanee gli si abbassavano. E per 

non dire di altri barbari , i Liguri , popolo numeroso e 

guerriero, posto ne’ passi delle Alpi, tentarono d’impe- 

dirgli colle arme 1’ ingresso nella Italia , e là s’ ebbero i 

Greci battaglia fierissima , esaurendovi tutti gli strali. 

Eschilo , poeta antichissimo , menziona questa battaglia 




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6o 




DELLE ANTICHITÀ ROMANE 




nel suo Prometeo disciolto (i). Ivi inducesi Prometeo 

(he presagisce ad Ercole non che le altre vicende , 

quelle che gli sovrastavano nella spedizione contro di 

Gerione , e nella guerra co’ Liguri , certamente non fo- 

cile : e questi ne sono li versi : 




À fronte là de" Liguri starai. 


Imperterrita gente : onta e rammarco 

Non ti fa guerreggiarli , e per destino , 


Pugnanda , ti vedrai mancar gli strali. 


XXXIII. Ma poiché , vincendo , s’ impadronì di quei 

passi ; alcuni , specialmente se greci di origine , o non 

valevoli a resistere , sottomisero volontai^' le loro città ; 

ma i più vi furono astretti con le arme e con gli as- 

sedj. Quanto ai vinti in battaglia, dicesi che Caco, quel 

si noto per le favole de’ Romani , barbaro principe di 

barbara gente , gli si opponesse perchè dominava luoghi 

assai forti , il che lo rendeva molesto ancora ai vicini. 

Costui poiché seppe che Ercole si accampava ne’ piani 

contigui apparecchiatosi all’ uso de’ ladroni , appari con 

subita scorreria su 1' esercito di lui che dormiva , e ne 

involò le prede , quante ne erano senza guardia. i Ma 

rinchiuso poscia per assedio da’ Greci che ne espugnavano 

le fortezze , finalmente anch’ egli soggiacque , e nel 

mezzo de’ suoi baluardi. 1 suoi castelli furono rovesciati; 

ed i compagni di Ercole , Evandro con gli Arcadi , . c 

Fauno con gli Aborigeni suoi pigliarono ciascuno per 


(i) Eboliìlo sdisse il suo Proiueleo ignìfera, il suo Promeleo 

legato, ed il Prometeo seioUo. Strabono nel lib. i , Ateneo nel 14 

liarlarono dell’ ultimo. Il secondo ci resta ancora. 




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LIBRO I.' 6l 


9Ò parte delle terre del vinto. Ma ben può taluno im- 

magnare che i Greci rimasti in quella regione furono 

gli Epei , e gli Arcadi originar) della città di Feneo , 

e li Trojani, lasciativi a presidiarla. Perocché tra le arti 

imperiali di Ercole fu pur quella nommeno sorprendente 

che le altre , di sospingere tra le sue milizie uomini 

divelti a forza dalle città conquistate , e di metterli al- 

fine , se animosi combattessero , ad abitare le terre in- 

vase , arricchendoli dell’ altrui. Per tali cagioni , e non 

per II viaggio che niente area di rispettabile , il nome 

e la fama di Ercole divenne grandissima nell’ Italia. 


XXXIV. Aggiungono alcuni, che ne’ luoghi ora abi- 

tati ^a’Komani egli vi lasciasse due suoi figliuoli gen^ 

retigli da due donne. Pallente era 1’ uno natogli da 

Launa (i) la figlia di Evandro: Latino è l’altro, natogli 

da una donzella boreale. Egli la conduceva seco dataci 

dal padre in ostaggio , e custodivaia finché candida si 

maritasse ; navigando però verso 1’ Italia ne fu vinto 

dall’ amore , e la fecondò. Ma essendo egli ornai per 

tornarsene in Argo concedè che si restasse sposa di 

F anno , re degli Aborigeni ; e per tale cagione molti 

tengono Latino per figlio di Fauno , e non di Elrcole. 

Narrano che PaUante morisse nel fiore primo degli anni: 

ma che Latino , adulto fatto , succedesse al comando 

degli Aborigeni : e che venuto lui meno senza stirpe 

virile , il regno , per la battaglia co’Rutòli confinanti , 

restasse al figlio di Anchise , vale a dire ad Enea, che 


(i) Quesu nel S Zini, precedeatemente è chiamata Canna, ed ora 

« chiama Launa. Forse non k che la tanto nota Lavinia detta da 

Greci Launa, Labina, Laiinia , o Laouinia. 




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63 DEixE Antichità- homane 


iliveuae suo genero'; ma queste cose accaddero in altro 


tempo. 


XXXV. Ercole , ordinate come volea , le cose tutte 

d’Italia, e giuntagli la flotta, salva dalle Spagne, ofTerl 

con sagrifizio agl’ Iddii le dècime delle sue prede, e là , 

dove alloggiavasi la milizia navale , eresse una piccola 

città , dandole il nome di sè stesso (i) , la quale ora 

albergaci Romani, e giace tra Pompeiano e tra Napoli 

con porto sicurissimo per ogni tempo. Cosi divenuto 

tra gl’ Italiani simile ad un Dio per gloria , per emu> 

lazione , per onori , fece vela per la Sicilia. Gli uomini 

lasciali custodi ed abitatori dell’ Italia , là , d’ intorno al 

colle di Saturno , si ressero un tempo da sè stessi : ma 

non molto dopo compartendo i proprj costumi, le leggi, 

i santi riti agii Aborigeni , come già fecero gli Arcadi, 

e prima i Pelasgbi , divennero coudttadini degli Abo- 

rigeni , talché sembrarono in (ine una gente medesima. 

E questo sia dettò su la spedizione di Ercole nella Ita- 

lia , e su quei del Peloponneso che vi restarono. Nella 

seconda generazione dopo la partenza di Ercole , nel- 

r anno cinquautesimoquinto al più regnava su gli Abo- 

rigeni ornai da trentacinque anni Latino il Aglio di 

Fauno il discendente di quel magnanimo. 


XXXVI. In quel tempo i Trojani fuggendo con 

Enea da Ilio già debellata approdarono a Laurento , 

.spiaggia degli Aborigeni in sul mare Tirreno non lon- 

tano dalle bocche del Tevere. Ed avendo da’ paesani'uu 

luogo per abitarvi, c quanto chiedevano, alzarono poco 


(i) (^uMia citi à di Ercole, si crede dorè ora è la torre del Grt-cu 

nel gulfe di . 




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LIBRO I. 63 


lungi dal mare in un colie uqa città cui chiamarono 

Lavinia. Ma da indi ’ a non molto , cedendo 1’ antico 

nome , ebbero quello di Latini dal re di que’ luoghi ; 

e levandosi da Lavinia insieme co’ terrazzani fondarono 

una città più grande, Alba denominata. Donde uscendo 

di tempo io tempo fabbricarono molte e molte delle 

città de’vecchj Latini, abitate in grandissima parte ancor 

di presente. Sedici generazioni 'dopo la presa di Troja 

spedirono- una colonia nel Pallanteo , e nella Saturnia , 

dove già fabbricato avcano i Pelopounesj e gli Arcadi , 

e dove erano pur le reliquie di essi, e fecero che vi ^ 

abitasse. Allora cinto di mura il Pallanteo prese la prima 

volta la forma di una città. Allora ebbe il nome di Ro- 

ma dal duce della colonia , io dico da Romolo , dicias- 

settesimo tra’ posteri di Enea. Ma , perciocché gli scrit- 

tori , parte ignorano, e parte ricordano variamente quanto 

è della venuta di Enea nella Italia , non io vo' trattarne 

come di fuga , ma prendendo ciò dalle storie , almeno 

più accreditate de’ Greci e de’ Romani. Ora tali sono le 

cose narrate su quell’ argomento. 


XXXVII. Espugnato ilio da’ Greci .sia per l’ inganno 

del cavallo di legno , come è presso di Omero , sia pel 

tradimento degli Aulcnoridi , o per altra maniera , pe- 

rirono in città la popolazione , e gli alleati , sorpresi 

ancora nelle camere loro ; sembrando che la sciagura 

gii assalisse , non guardandosene , tra la notte. Enea e 

con esso i Trojani venuti da Dardano c da Olrinio a 

soccorrere gl’lliesi , c quanti altri conobbero in tempo 

la sciagura, che era preso il basso della città, fuggendo 

a luoghi più forti di Pergamo occuparono il castello , 




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64 DELLE Antichità’ romane 

difeso da proprj muri, ove, come ia saldissima parte, 

erano le sante cose di Troja , e danaro in copia , in- 

sieme col fior dell’ esercito. Standosi colà respingevano 

chi tentava di espugnarveli; ma per la perizia ne’ sot- 

terranei vi riceveano chi vi si riparava dalia città già 

pigliata. Così più furono quelli che ne scamparono, che 

non quelli che caddero prigionieri. Con tal metodo 

Enea conseguì che l' impeto col quale i nemici ovunque 

infuriavano, non comprendesse in un tempo ogni cosa. 

Poi calcolando nelle sue probabilità l’avvenire , siccome 

era impossibile conservare la città , perdutane già la più 

gran parte , si rivolse al partito di cedere le mura ai 

nemici, e di salvare almeno le persone , e le sante cose 

della patria , e quanto potea trasportarsi di danaro. Così 

deliberato , comandò che fanciulli , e donne, e vecchj , 

e quanti abbisognavano di pausa nel fuggire , s’ incam- 

minassero intanto verso le cime dell’ Ida ; mentre ~gli 

Achei tra T ardore di espugnar la fortezza non curereb- 

bero d’insegnire la moltitudine che levavasi dalla città: 

destinò parte di milizie in guardia di ehi si avviava 

perchè la fuga riuscisse più certa , e nello stato presente 

men dura; avvertendoli insieme che occupassero i luoghi 

più forti dell’ Ida. Intanto ( col resto dell’ esercito , ed 

era il più rilevante ) egli persistendo su le mura , te- 

neavi dis’ ratti i nemici che le attaccavano , e rendeva 

meno disagiato lo scampo ai suoi , che sfilavano : se 

non che salendo poi Neptolemo co’ suoi la fortezza , e 

convocandovi d’ ogn’ intorno i Greci perchè lo ajutas- 

sero; Enea finalmente si ritirò. Spalancate le porte , 




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LlhRO T. 6 !) 


deuominate perla fuga di tanti (i), anch’egli uscì per 

esse , ma in ordine di batiaglia tra quelli che gli re- 

stavano , portando su di ottime bighe il genitore , i pa- 

trj Dei , la sua donna , i figli , e quante v’ erano per- 

sone , o suppellettili più riguardevoli. 


XXXVIII. Intanto gli Achei, presa di for/.a la città , 

spaziandosi intorno la preda , lasciavano ai fuggitivi 

grande comodità di salvarsi. Enea raggiungeva via via 

gli altri suoi, finché raccoltisi tutti in un corpo, occu- 

parono i luoghi più forti deir Ida. Sopravvennero ivi 

ancora quelli che abitavano in Cardano ; perocché ve- 

dendo lanciarsi da Ilio fiamme copiose fuor dell' usato , 

abbandonarono tra la notte insieme la loro città , leva- 

tine gli altri , i quali partirono prima coti Elimo ed 

Egesto , avendosi apparecchiate delle navi. Poi vi giunse 

tutto il popolo della città di Ofrinio , e vi giunsero dalle 

altre città Trojane quanti aveansi cara la libertà , sicché 

in poco tempo la milizia vi divenne grandissima. Ora 

questi', fuggiti con Enea dal cader prigionieri , tenen- 

dosi in quei luoghi sperarono di rendersi dopo non 

molto alle patrie , appena i Greui via navigherebbero : 

ma i Greci sottomettendo Troja e le adjacenze , e de- 

vastandone le fortezze , apparecchiavansi a porre sotto 

giogo ì rifuggiti ancora ne’ monti. E mandando questi 

gli araldi perchè desistessero , nè li necessitassero alla 

guerra , si venne per le suppliche a trattative , e tali ne 

furono gli accordi. Enea e li suoi recandosi tjuanlQ 


(i) ni/Asf ^vyciéits , porle de' fu(;giiÌTÌ. 





DIOAIGI t l. 





66 DELLE Antichità’ romane 


aveano salvalo nella fuga partissero in dato tempo 

dalla Traode , e consegnassero le fortezze : i Greci 

in apposito ovunque dominavano in mare ed in ter- 

ra , vi procurassero la sicurezza à Trojani che viag~ 

giovano a norma de’ patti. Enea consentendo a lai leggi, 

anzi bonissime riputandole per le circostanze ; manda 

Ascaiiio il più grande de’ figli con banda di milizie per 


10 più frigie , alla terra detta Dascilite ove ora è il 

lago uiscanio, perchè invitatovi da’ paesani a prendervi 


11 comando. Ascanio andò , e vi stette ; ma non molto : 

perocché giugneudogli dalla Grecia Scamandrio e gli 

altri Ettoridi , rilasciativi da Necptolemo , egli guidan- 

doli ne’ regni paterni , si rimise in Troja. E tanto è 

quello che si narra di Ascanio. Enea però com’ ebbe 

pronta la flotta , vj assunse gli altri figli , il padre , le 

cose auguste de’ Numi , e navigò su 1’ Ellesponto alla 

penisola vicina, chiamata Pallene, la quale giace dirim* 

petto di Europia (i). Ivi un popolo ci avea , di Traci 

si , detto Cruseo , ma bellicoso e fidissimo tra quanti 

erano gli alleati de’ Trojani nella guerra. 


XXXIX. Tale è il racconto il più verisimile fatto da 


Ellanico , scrittore antichissimo , intorno la fuga di Enea 



(i) Nel teilo si legge: ZufUTns Europa: ciocebè ha prodotto 

degli equivoci: la vera lezione deve essere cioè di Europia 


la quale h regione della Macedonia che prende nn tal nome dal 

fiume Europo. Pailene talvolta è detta ancora città di Tracia, per- 

chè li Traci vi comandarono. Del resto essa è pib distante che la 

Tracia a quelli che navigano dall’ Asia per 1’ Ellesponto. E Dionigi 

Den propriamente 1’ ha chiamala vicinissima per questi, essendo 

tale pinitesto la Tracia. 




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là dove tratta delle cose Trojane. Se ne hanno ancora 

degli altri e non simili in altre leggende , ma non si , 

come io penso , persuasivi. Decidane chi gli ode , come 

più vuole. Sofocle il tragico nel suo dramma su Lao« 

coonte , esseudo già Troja in sul termine , rappresenta 

Enea che va con le sue robe in sull’ Ida , seguendo i 

voleri del padre Anchise , pieno dei ricordi di Venere, 

e mirando la distruzione ornai della patria ne’ freschi 

portenti avvenuti su’ figli di Laomedonte. E tali souo i 

versi di lui ma pronunziati da altra persona : 


£cco il fgliuol di tenere alle porte ; 


In dorso ha il padre, a cui di [bisso pende 

Cerulea veste dalle spalle , tocche 

Dalla folgore un tempo ; intorno intorno 

Gli fin turba i domestici , e le schiere 

Non si grande però , come tu pensi , 


De‘ Frigi , amanti d’ aver sede altrove. 


Menecrate di Zante fa saperci che Enea mise la patria 

nelle mani de’ Greci , tradendola per l’odio suo contro 

di Alessandro , e che gli Achei per tal merito gli con* 

cederono che salvasse la sua casa (i). Egli comincia la 

sua storia dalla sepoltura di Achille in tal modo. Erano 

gli Achei liete afflizione , sembrando a sè stessi co- 

me privi del capo della milizia. Nondimeno ergendo- 

gli una tomba guerreggiavano di tutta lena ; finché 

Ti'P]a fu presa per tradimento di Enea. Quest’ uomo, 

perche spregiato da Alessando , ed escluso dagli onori 


(i) Piccolo dooo aozi nullo: raentte Enea aveva luLio questo, c 

più ancora, sema il iradìmento: yorrei dire che Meuecraie non è 

savio , uel tulio aluaeuo de’iUCt;outì , e quindi cUc poco stm» da 

aiifudarsi. 







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68 DELLE Antichità’ romane 


sacerdolali , rovesciò la reggia di Priamo , e divenne 

per tali opere come uno de' Greci. Altri però narrano 

eh’ Enea di quel tempo si trovava dove ferme si stava- 

no le inavi trojane, ed altri che nella Frigia , spedi- 

tovi da Priamo con soldatesca pe’ bisogni della guerra ; 

anzi evvi pure chi; assai piò favoleggia su la partenza di 

Enea : ma ne senta ognuno come vien persuaso. 


XL. Le vicende di lui dopo la partenza mettono 

più incertezza ancora in molti; perciocché taluni gui- 

dandolo in Tracia dicono che ivi compiesse la vita ; e 

tra questi sono Cefalone Gergitio, ed Egesippo il quale 

scrìsse intorno Pelleiie , antichi entrambi e rispettabili. 

Altri ripigliandolo dalla Tracia lo sieguono 6no all’ Ar- 

cadia ; e dicono che abitasse in Orcomeno di Arcadia , 

e nel luogo , che , sebbene entro terra , cangiossi in 

isola , per le paludi e pel fiume , che le colonie che 

ora chiamansi Cafie sursero per Enea e pe’ compagni , 

ma Gamie nominandosi allora da Capi trojano. Sono 

questi racconti di varj e di Aristo che scrisse le cose 

degli Arcadi. Novelleggiasi ancora eh’ Enea capitasse 

veramente in que’ luoghi , non però che in essi moris- 

se , ma nell’ Italia : e ciò da molti attestali , come da 

Agatillo , Arcade poeta , nelle elegie scrivendo : 


Feline in Arcadia e generò nell’ isola 


Con le due donne Antèmone e Codone , 


■ Due ,/iglie ; e scorse nell' Italia , e quivi 


Del gran Romolo suo padre divenne. 


La venuta di Enea e de’ Trojani nella Italia la sosten- 

gono tutti i Romani ; e monumento ne sono le pratiche 




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LIBRO I. 69 


nelle feste e ne’ sagi'ifizj , i libri sibillini , gli oracoli 

Pitici , e ben altre cose , le quali niuno trascurerà , 

quasi aggiunte per ornamento. In Grecia ne restano 

tuttora molti indizj notissimi , come il porto nel quale 

approdarono , ed i luoghi ne’ quali si . trattennero , non 

essendo il mare navigabile. Siccome dunque sono tanti , 

io ne farò come posso menzione , ma breve. Primiera- 

mente dunque vennero in Tracia approdando alla pe- 

nisola detta Pailene , tenuta , come indicai , da’ barbari 

chiamati Crusei , e v’ ebbero ospizio sicuro. Passando 

ivi r inverno edificarono in un promontorio un tempio 

a Venere , e fondarono la città di Enea , dove lascia* 

rono quanti non poteano pe’ disagi più navigare , o 

quanti voleano rimanere , vivendovisi come nella patria. 

Questa durò fino al regno de’ successori di. Alessapdro , 

ma nel regno poi di Cassandro fu distrutta, quando 

sorse Tes.salonica : e gli Eneati e molti altri passarono 

alla nuova città. , ; 


XLI. Salpando da Pailene vennero i Trojani a Deio , 

ove Anio signoreggiava. E , finché - Deio fu popolata r e 

(lorida , molti erano gl’ indizj della venuta di • Enea , e 

de’ compagni nell’ isola. Dalla quale navigando a Cite- 

rà (1) aUra isola incontro del Peloponneso ’ vi edifica- 

rono un tempio a Venere. Da Citerà tornandosi al mare 

e trovando morto non lungi 

varono i Trojani con Eleno. Ottenuto l’ oracolo sulla 

nuova loro sede, offersero al Dio cose trojane , e tra 

queste crateri di bronzo , de’ quali alcuni manifestano 

ancora con iscrizioni antichissime gli oblatori : e quindi 

si ricondussero camminando quattro giorni alle navi. 

Intendesi la venuta de’ Trojani a Butrinlo da un colle 

ove accamparono , che ancora chiamasi Troja. Da Bu> 

trinto sospinti lido lido Gno al porto detto, dopo un tal 

fatto, di uincitise ed ora chiamato con nome men chia* 

ro (a), eressero ancor ivi un tempio di Venere : e pas- 

sarono il mar Ionio avendo per guida della navigazione 

molli , che volontari li seguitavano , e li quali menava- 

no con sé Patrone da Turi con la sua genie ; ma li 

più di questi , giunta l’ armata nell’ Italia , tornaronsi alle 

patrie : rimasero però nella flotta Patrone ed alquanti 

de’ suoi mossi a far causa con Enea , nel cercar nuove 

sedi ; quantunque alcuni dicano che il domicilio mettes- 

sero in Alunzio di Sicilia. In memoria di tal beneGzio 

col volger del tempo i Romani donarono agli Acarnani 

Leucade ed Auaitorio , togliendole ai Corintii ; e per- 

misero ad essi che lo bramavano , di rimettere ne’ pro- 


(i) Regia dirimpetto a Corfb dalla qnale è lontana 13 miglia. 


(a) Il Casaubono crede questo porto quello che da Tolomeo h 

chiamato Onchesmo, e da Strabone Oochismo ; il quale incontra- 

Tasi dopo Butriuto e Cassiope ( ora Januia ); crede che in principio 

si chiamasse di Anchise , poi di Anchesmo , o d^i Anchismo , e 

quindi men chiaramente , di Onchesmo , o di Oncbismo. 




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7^ nm.LE antichità’ romane 


prj averi gli Oniadi , e di godere in comune con gli 

Etoli il frutto delle isole Ecliioadi. Calarono i compagni 

di Enea , ma non tutti in un luogo a terra ; approdan- 

do coi più delle navi al capo japigio , detto allora dei 

SalenUni ; e con le altre al lido , prossimo a quello 

cliiamato di Minerva nel quale Enea stesso sbarcò. Era 

questo sito ancora un promontorio ma con porto estivo 

denominato di Venere , appunto dopo quel giorno. Poi 

navigarono , quasi col piè sulla terra , fino allo stretto 

di Sicilia , lasciando, ovunque andavano, de’ monumenti, 

e tra questi là nel tempio di Giunone, la caraffa me* 

fallica , la quale con antichissimo scritto manifesta 4I 

nome di Enea che porgevala in dono alla Diva. 


XLIII. Fattisi ornai vicini, eccoli nella Sicilia final- 

mente a Drepano , dir non saprei , se portativi per di- 

segno di sbarcare, o se per le burrasche de’ venti, con- 

suete in quel mare. Qui s’imbatterono coi compagni di 

Elimo e di Egesto fuggiti prima di loro da Troja. Fa- 

voriti questi da’ venti propizj e dalla sorte, nè gi'avati 

di molte bagaglio , erano in poco tempo approdati in 

Sicilia , e fabbricato aveano intorno al fiume Crimiso 

in una terra che i Sicani aveano amorevolmente ad essi 

ceduta , per essere Egeste nodrito già nella Sicilia e 

congiunto col sangue di loro per questo Caso. Uno dei 

maggiori suoi , famoso trojano , cadde nell’ ira di Lao- 

medonte , e quel re pigliandolo , certo per una incol- 

pazione , lo uccise , uccidendo nemmeno tutta la stirpe 

virile di lui perchè alfine non • sen vendicasse ; ma le 

vergini figlie giudicò bensì cosa non degna lo ucciderle, 

ma uon sicura nemmeno a permettersi che si accasassero 




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LIBRO I. 73 


eoa Trujani. Pertanto le diede a mercadanti con ordine 

che lontanissime le portassero. Or queste rimovendosi 

navigò con esse un cospicno garzone, il quale preso già 

dall’amore di una maritollasi , e trassela nella Sicilia; e 

là dimorandosi nacque di loro il fanciullo Egesle nomi- 

nato. Apprese i costumi e la lingua del loco : infine 

morendogli i genitori , e dominando Priamo in Troja , 

brigossi per lo ritorno. E militò pur egli contro gli 

Achei ; ma prendendosi ornai la città, navigò di nuovo 

per la Sicilia , fuggendo con Elimo su tre navi , usate 

già da Achille quando saccheggiava la Troade , e poi 

da esso abbandonale perché  portn bello ^ o buono, ma nel co- 

dice Valicano ai La porto cattivo: il che varia la 


àeuicuta . 




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LIBRO I. 7 5 


quali finge Nettuno che presagisca la grandezza avvenire 

«li Enea , come de’ posteri , con tali maniere : 


Ifo , non i dubbio ; la virtù di Enea 

/leggerà li Troiani , e re^ranli 

Be’ figli i fgli, e chi verrà da loro. 


G^ncependo da ciò , che Omero conosciuto avesse che 

questi regnavano nella Frigia ; inventarono qnel ritorno 

di Enea, quasi fosse impossibile che abitando nella Italia 

dominassero genti trojaue. Eppure ben poteano coman- 

dare a Trojani già diretti nei viaggio e stabilitisi altrove: 

vi saranno forse altre cause per le quali diasi a vedere 

r inganno. 


XLY. Che se alcuni sien turbati da questo : che la 

tomba di Enea si dica e si additi in più luoghi , non 

potendo in più luoghi esser lui tumulato ; riflettano es- 

ser tal dubbio comune su molti uomini , specialmente 

su gli insigni per sorte , e vivuti sotto cielo ognor va- 

rio : e sappiano che una è 1’ urna che accoglie i loro 

cadaveri, ma molti tra le nazioni li monumenti per gra- 

titudine sul bene che vi operarono, massimamente se tra 

quelle esistano stirpe o città che da essi provengano , o 

se lungo vi fecero ed amorevol soggiorno. Or tali ap- 

punto conosciamo che furono i casi che del nostro eroe 

si novelleggiano. Costui dopo aver operato che Ilio nel- 

r esser preso non fosse totalmente distrutto , dopo aver 

operato che gli alleati si ritirassero salvi in Bebricia che 

chiamano; lasciò sovrano della Frigia 'Ascanio suo figlio, 

eresse in Pailene una città col nome di sé medesimo , 

maritò la figlia nell’ Arcadia, e fissò parte de’suoi nella 

Sicilia : e sembrando che segnalato avesse la sua dimora 




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76 




DELLE Antichità’ romane 




in più altre parti , beneficandovi ; ne acquistò la bene- 

vola propensione per la quale gli eroi quando cessano 

la vita dell' uomo si onorano , e con pompa di monu- 

menti in più luoghi. £ veramente quali altre cause mai 

potrebbe alcuno ideare de’ monumenti di lui nell’ Italia ? 

Ma di ciò sarà detto nuovamente secondo che le materie 

de’ subjetti si dorran rischiarare. 


XLVI. Che poi l’armata trojana non veleggiasse verso 

parti più remote di Europa, ne furono cagione gli ora- 

coli , i quali prendéano compimento appunto in quei 

luoghi, e la divinità che tante volte avea rivelato, cioc- 

ché si volesse. Laonde approdati a Laurento alzarono le 

tende in sul lido. Ma stentandovi su le prime per la 

sete , perchè il luogo mancava di acque ; ecco vedonsi , 


( dico ciò che ne udii tra’ paesani ) prorompere dalla 

terra spontanei rampolli di acque dolci , dalle quali fu 

tutto abbeverato 1’ esercito , ed irriguo ne divenne quel 

campo , scorrendo co’ rivoli loro dalle sorgenti fino a 

gettarsi nel mare. Ora però non si le acque abbondano 

che ne trascorrano , ma scarsissime , si restano in un 

cavo luogo , credute da’ paesani sacre al sole : e presso 

queste si additano due altari, trojani monumenti, rivolto 

r nno all’oriente l’altro all’occaso, ove favoleggiano che 

Enea facesse il primo sagrifizio in ringraziamento al 

Nume per le fonti che scaturirono. Poi sedutisi in terra 

per desinarvi , posero i cibi secondo molti su degli strati 

di appio come su le tavole ; ma secondo altri , per 

mondezza maggiore , li posero su focacce di farina : se 

non che finitisi i cibi apparecchiati , prima 1’ urto , indi 

r altro mangiava già 1’ appio o le focacce sottoposte ; 




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LIBRO I. 77 


quando com’ è fama , uno de’ Ggli , o certo della tenda 

slessa di Enea disse : oh ! Gn le tavole ci divoriamo. 

Destossi all’ udir ciò fra tutti un entusiasmo , uno stre- 

pito , come allora si compiessero i primi oracoli che 

riceverono : essendo già fatto ad essi un presagio , in 

Dodona secondo alcuni , o come altri dicono in En- 

tra (i) nelle vicinanze dell’Ida ove sta la Sibilla, fatidica 

ninfa di que’luoghi. Questa annunziò loro che navigas- 

sero verso /’ occidente , finché giungevano in luogo , 

dove sarebbero mangiale le mense : e che prendesse- 

ro , quando vedeano ciò verificaio, per guida un qua- 

drupede, e dove stanco del viaggio sdrajavasi, ivi fon- 

dassero una città. Ricordevoli di quest’oracolo, chi per 

comando di Enea portava custoditi com’ erano i simu- 

lacri de’ Numi dalle uavi a luogo destinalo , e chi pre- 

parava basi ed altari per essi. Le donne accompagna- 

vano le sante cose con ululati e con danze. InGne es- 

sendo già tutto pronto pei sacriGzio , i compagni di 

Enea stavano coronati intorno l’ altare. 


XLVII. E già questi facevano de’ voti , quando la 

porca già pronta pel sagriGzio , gravida nè lontana dal 

parto , dibattendosi tra le mani de’ sacri ministri che la 

tenevano, fuggissene in parti più remote del mare. Enea 

concependo esser questa il quadrupede di cui 1’ oracolo 

signiGcò che sarebbe loro di guida le tiene dietro , non 


(i) Vi ebbero pià Lrilre ; I’ una in Beoiia l’altra in Tessaglia; (jui 

si parla della terza nella Jooia tra Llazomcns c Teon. Ma questa 

Krilra non era poi cosi vicina dell’ Ida : il che fa vedere che il 

testo non è puro abbastanza : seppure la idea di vicinanza non è 

qui relativa a distanze beo grandi. 




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 legni e cose di rustico 

apparecchio su le quali appariva che dolentissimo ne 

sarebbe chi ne era privato. In quel tempo Latino re 

guerreggiava co’ Rutoli , suoi vicini , ma con poca pro- 

sperità nelle battaglie. In tale suo stato gli annunziano , 

esagerando le imprese di Enea : che un esercito di fo- 

restieri gli devastava tutto il litlorale: che se non davasi 

presto a riutuzzarlo, avrebbe poi manifestamente guerra 

più aspra con essi , che non co’ vicini. Temè Latino a 

tal nuova , e ben tosto , sospesa la guerra presente , 

mosse con esercito poderoso contro a’ Trojani. Ma ve- 

deudoli armali alla greca , intrepidi , in buon ordine , 

aspettare il cimento , si arrestò , difGdando di poterli 

sottomettere in un colpo , come avea già speralo nel 

moversi contro di essi. Ed accampatosi in un colle 

pensò che doveva iuuanzi tutto ricrear le milizie dalla 





So DELLE antichità’ ROMANE 


molta fatica , sostenuta nel lungo e coutinuo travaglio. 

Adunque ivi riposò quella notte; ma disegnò di lanciarsi 

al fare del giorno sul nemico. Fra tali risoluzioni un 

genio del loco venne a lui tra ’l sonno , e gl’ impose 

di ammettere i Greci che venivano a grande utilità di 

Latino , e bene comune degli Aborìgeni. Parimenti i 

Dei patrii, svelandosi tra la notte ad Enea, suggerivano 

che inducesse Latino a concedergli spontaneamente una 

sede nel luogo che bramava, e rendersi i Greci alleati, 

e non competitori nelle arme. Tal sogno contenne l’uno 

e r altro dal cominciar la battaglia. E non si tosto fu 

giorno, elle milizie mossero in campo; ecco gli araldi 

venire da ambe le parti ai capitani per chiedere un vi- 

cendevole parlamento; e si tenne.* 


XLIX. Latino il primo querelatosi della guerra im- 

provisa e non intimata , chiedeva ad Enea che dicesse 

chi fosse , e con quale disegno invadeva e derubava 

que’ luoghi , non avendone mai ricevuto alcun danno , 

e non ignorando che gli assaliti rispingono gli autori 

della guerra. E laddove tutto esibivasi a lui se moderate 

ne erano le dimande, e potea rinvenire tutto nella cor- 

tesia degli abitanti ; egli violando la giustizia comune 

degli uomini , voile impudentemente anzi che da ono- 

rato , arrogarsi ogni cosa colla forza. Enea rispose : 

Noi siamo Trojani di lignaggio , e veniamo da una 

città non ignota affatto tra Greci. Essi espugnandola 

con gueira di dieci anni ce la tolsero ; ed ora vaga- 

bondi ci rigiriamo , sema città , senza regione , ove 

prendere sede finalmente. Siamo qui venuti seguendo 

i voleri de' Numi ; annunziandoci gli oracoli che que-_ 





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LIBRO I. 8 I 


»ta è la tota terra che ci lascia come requie da tanti 

errori, Abbiam preso dalle wstre terre quanto ri era 

bisogno ; Noi provvedevamo anzi alla nostra infelicità 

che al decoro, lutto che non volessimo far cosa meno 

di questa, come novizj in tai luoghi. Ma ne daremo 

copiose e buone ricompense. Vi offeriamo i nostri 

corpi, le nostre anime, costumati ahbaslanza ai tra- 

vagli. Comunque usar ne vogliale ; noi custodiremo 

come inviolabili le vostre tene , noi ci lanceremo ad 

acquistarvi quelle de' nemici. Noi vi supplichiamo che 

non ascriviate ad odio le cose operate; non avendole 

noi fatte per ingiuriarvi ma dalla necessità violentati; 

e ciò che non è volontario è pur degno di scusa. E 

se ora ce ne scusiamo , se ne imploriamo voi sten- 

dendovi le mani supplichevoli; già non si conviene 

che ci destiniate alcun male, Altrimente invocheremo 

gli Dei, invocheremo gli Genj di queste terre perchè ci 

condonino quanto abbiamo fatto o necessitati faremo. 

Noi tenteremo respingervi la guerra se ce la incomin- 

ciate ; chè non è questa la prima nè la massima di 

quante ne abbiamo sostenute. Latino ciò udendo sog- 

giunse : Io sono propenso inverso di tutti i Greci e 

mi struggono il cuore i mali necessarj degli uomini. 

E pregerei moltissimo di salvarvi se poteste mai far- 

mi chiaro che qua venite bisognosi di una sede, per 

aver parte nelle nostre terre e su quanto vi sarà dato 

per amicizia , non per involarmi colle armi il coman- 

do. Se questo dir vostro è vero ; se ne dia , chiedo , 

la vostra fede e se ne riceva la nostra : e saranno 

queste le mallevadrici pure de' patii. 


Dtomet , Hmt r. s 




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8 3 DELLE A;VTICHITA.’ ROMANE 


L. Enea encomiò quel parlare ; e si giurarono tali 

patti tra i due popoli : Darebbero gli Aboiigeiti ai 

Trojani quanta terra volessero in qualunque parte del 

colle , dentro il giro di cinque miglia da questo. Li 

Trojani entrerebbero a parte della guerra che gli Abo- 

rigeni aveano tra le mani, e militerebbero con essi 

in qualunque altra li chiamerebbero. Farebbero in co- 

mune ambedue col senno e colla mano t utile vicen- 

devole. Stabiliti tali patti , e confermatili con gli ostaggi, 

combatterono insieme contro le città dei Rutoli : e sog- 

giogando in brevissimo tempo ogni cosa , presentaronsi 

ad ultimare la trojana città non compiuta , e tutti con 

un ardore vi fabbricavano. Enea le diè nome di Lavi- 

nia , come dicono i romani scrittori , dalla figlia di 

Latino, chiamata anch’ essa Lavinia; e secondo alcuni 

de' greci mitologi dalla figlia di Anio re tra Deliesi , 

Lavinia nominata ugualmente : perchè morendo questa 

nel primo costruirsi degli edifizj, e datale sepoltura ap- 

punto nello spazio dove Enea fabbricava (i), la città 

ne era il monumento. Dicesi che navigasse co’ Trojani 

conceduta dal padre alle istanze di Enea , come donna 

di senno e di profezie. È fama che i Trojani nel fab- 

bricare Lavinia ne avessero questi segni. Accesosi jl 

fuoco da sè stesso in una valle, narrano che un lupo 

vi traesse colla bocca e gittassevi aride materie ; e che 


(i) si spiega per infermarsi, travagliarsi, quasi Dionigi 


dica che la donna fu sepolta dove infermava ; ma tal voce significa 

ancora fabbricare e rende il senso pib acconcio e concorde. Altronde 

non è facile che uno seppeliscasi nel luogo appunto o aiansa. o tenda 

dove si ammala. 




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LIBKO I. 83 


no’ aquila volaado , Vi eccitasse le (ìamtue col battere 

delb ale ; ma che una volpe in contrario si desse ad 

estinguerle colla coda , bagnatala iu un Hume : e die 

ora vincendo chi accendeva ed ora chi ammorzava, al> 

fine , prevalessero le due ale , partendosi la volpe senza 

che nulla più vi potesse: che Enea da quello spettacolo 

conchiudessc , come la colonia diverrebbe magniCca , 

meravigliosa , celeberrima ; darebbe il crescere di essa 

invidia ed affanno ai vicini ; ma ne vincerebbe ogni 

ostacolo , ricevendo dagl’ Idùii fortuna più potente del- 

l’odio de’ mortali in combatterla. Questi sono i portenti 

famosi , nati colla città : e per memoria se ne custodi- 

scono ancora da tempo antichissimo in mezzo al foro di 

Lavinia le immagini metalliche di quegli animali. 


LI. Poiché fu compiuta la città de’ Trojani entrò 

desiderio in tutti di giovarsi a vicenda ; e primi ne die- 

dero r esempio i monarchi accomunando pe’ matriinonj 

il grado de* paesani e de’ forestieri , e sposando Latino la 

sua figlia Lavinia ad Enea. Quindi presi ancor gli altri 

da brama eguale, dandosi in breve a gara 1’ uno all’al- 

tro leggi , costumi , sacrifici , congiungendosi in città 

di cure e di consorzio , e divenendone tutti un corpo 

e chiamandosene Latini dal re degli Aborigeni , osser- 

varono con tal fermezza gli accordi , che uiun tempo 

mai più li divise. .Tali sono le genti che vennero e si 

congiunsero, e dalle quali è la stirpe de’ Romani, pri- 

ma che si fondasse la città che otn gli alberga. Erano 

i primi gli Aborigeni , i quali cacciarono dalle proprie 

.sedi i Sicoli 4 greci antichissimi del Peloponneso , di 

quelli , io credo , spatriatisi con Eouotro dalle terre ora 




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84 DELLE Antichità’ romane 


dette di Arcadia . erano secondi ì Pelasghi , usciti dal>' 

r Emonia , ora chiamata Tessaglia : ed erano terzi quei 

che vennero con Evandro nell’ Italia dalla città del Pal- 

lanteo. Si ebbero dopo questi gli Epei ed i Feneati del 

Peloponneso , militari di Ercole , a quali si mescolava- 

no alquanti Trojani; e gli ultimi furono i Trojani scam- 

pati con Enea da Ilio , da Cardano e da altre loro città. 


LII. Che poi li Trojani ancora fossero Greci, prin- 

cipalmente di orìgine , usciti un tempo dal Peloponneso 

fu già detto da molti , ed io pure lo dirò brevemente: 

e cosi stà quel racconto. Atlante divenuto primo re 

dell* Arcadia che ora chiamano, abitava intorno al monte 

detto Taumasio. Sette erano le figlie di questo ora tras- 

ferite , dicesi , nel cielo col nome di Plejadi. Giove 

sposandosi 1’ una di esse vi generò Giasone e Cardano: 

Glasoue si tenne celibe, ma Cardano sposò Crise la fi- 

glia di Palante, e gli nacquero Ideo e Cimante, i quali 

due regnarono nell’Arcadia, succedendo al trono di 

Atlante. Poscia avvenendo il gran diluvio in Arcadia ; 

i campi ne divennero paludosi , nò più coltivabili per 

lungo tempo. Gli uomini ridottisi ad abitare nei monti , 

e con scarsi viveri, consentendo ad una voce che le 

terre intorno non erano più bastanti a nutrirli , si divi- 

sero in due. Rimastisi gli uni nell’Arcadia crearono so- 

vrano Cimante il figlio di Cardano > gli arltri partirono 

su gran flotta dal Peloponneso ; e direttisi in verso di 

Europia giunsero al golfo detto di Me lane , recandosi 

ad un* isola della Tracia , non saprei se abitata allora 

o deserta , cui chiamarono Samo Tracia con nome com- 

posto dal duce e dal luogo , per essere questo nella 




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usno I. 85 


Tracia , e Samone 1’ altro , figlio di Mercurio e di Re- 

ne , ninfa Gillenide. Ma non a lungo vi dimorarono ; 

cbé non era ivi una facile cosa la vita , avendosi a lot« 

tare con terre ingrate e mare disastroso. Adunque la- 

sciando un gruppo di loro nell’ isola, li più se ne mos- 

sero nuovamente inverso dell’ Asia sotto gli Auspicj di 

Bardano ; perocché Giasone era morto fulminato nell’ i- 

sola per avervi appetito il concubito con Cerere. Ve- 

nuti al mare chiamato Ellesponto , e sbarcatine , abita- 

rono la terra detta poi di Frigia. Ideo con la parte da 

lui retta della milizia di Bardano , abitò ne’ monti che • 

Idei si appellano da lui , ne’ quali ergendo un tempio 

alla madre degl’ Iddii v’ istituì misteri e sacrifici , du- 

revoli ancora in tutta la Frigia: e Bardano nella Troa- 

de che dicono , fondandovi la città coi nome di sé me- 

desimo , e ricevendone delle campagne da Teucro re , 

dal quale Teucria fu nominata la terra. Molti, tra’ quali 

Faiiodimo che scrisse delle antichità dell’ Attica , nar- 

rano che Teucro ancora passasse dall’ Attica nell’ Asia , 

e regnasse in sul popolo di Zipeta ; allegando su ciò 

molti argomenti. Quivi dominando egli campagna am- 

pia p buona , ma non molto popolata , desiderò di ve- 

dere Bardano , e li Greci con esso venuti , si per avergli 

alleati nelle guerre co’ barbari , sì perchè la sua terra 

non giacesse deserta. 


LIU. Ora porta il subjetto eh’ espongasi da quali Enea 

discendesse : ed io ciò laro ; ma brevemente. Bardano 

morendogli Crise la figlia dL Fallante dalla quale avea 

due fanciulli , si sposò òon Batia la figlia di Teucro. 

Di lei nacqn^li Elrittooio, creduto tra’ mortali felidssif 




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86 dt:lle antichità’ eomane 


mo per la*cloppia eredità della signoria paterna , come 

deli’ altra fondata dall’avo materno. Da Erittonio e de 

Callii’oe figlia di Scamandro nacque Troe dal quale 

ebbe nome la nazione. Da Troe e da Acalide fisiia di 



Euniida sorse Assaraco : e da questo e da Glitodora 

figlia di Laomedonte ebbes! Capi. Poi questo e la ninfa, 

Kaide chiamata, generarono Anchise: e di Anchise e 

di Venere è figlio Enea. Cosi avrò dichiarato che i Tro- 

iani siano Greci di origine. 


LIV. Su 1’ epoca della fondazione di Lavinia scrivesi 

variamente : a me sembrano piò verisimiii quelli che 

r assegnano all’ anno secondo dopo la partenza da Troja. 

Imperocché Ilio fu preso nel fine della primavera , il 

giorno diciassettesimo prima del solstizio estivo , mancan- 

dovi otto giorni a compiersi il mese Targhilione secon- 

do la cronologia di Atene: e dopo il solstizio rimaneanci 

venti giorni a terminare quel giro di anno. Pertanto nei 

trentasette giorni decorsi dopo quella presa io stimo che 

gli Achei provvedessero su le cose della città , che rice- 

vessero le ambascerie di quelli che erano usciti , e giu- 

rassero dei patti con essi. Nell’ anno seguente e primo 

dopo la espugnazione , i Trojani salpando da quella 

terra circa l’ equinozio autunnale passarono 1’ Ellesponto: 

e portati nella Tracia ivi dimorarono quell’ inverno, rac^ 

cogliendo gli altri che giungevano ancora dalla fuga, e 

preparando la navigazione. Levandosi dalla Tracia in 

sul fare biella primavera tragittarono fino alla Sicilia 

dove riparatisi spirò intanto quell’ anno : ivi spesero il 

secondo inverno fabbricando città con gli Elimi. Ma 

divenuto il pela^ navigabile fecero vela dall’ isola , e 




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LIBRO I. 87 


valicando il mare Tirreno vennero finalmente sul mezzo 

della estate a Laurento , spiaggia marittima degli Abo- 

rigeni , e presavi terra , vi fabbricarono Lavinia mentre 

compievano 1’ anno secondo dopo la invasione di Troja. 

Per tali detti sarà chiaro quanto io su ciò concepisco. 


LV. Enea fornendo la nuova città di tempj e di altri 

edifizj i più de’ quali persistevano ancora a’ miei giorni, 

alfine nell' anno seguente , terzo della sua emigrazione , 

regnò ma su’ Trojani solamente. Morendo però Latino 

nel quarto , ebbe anche il regno di questo si per 1’ af- 

finità sua con esso, di cui Lavinia era la erede, si 

per essere lui già duce degli eserciti nella guerra coi 

vicini. Imperocché li Rutoli si erano di bel nuovo ri- 

bellati da Latino scegliendosi per capitano Turno un 

disertore di Latino , e cugino di Amata , regia moglie 

di lui. Questo giovine alle nozze di Lavinia comccia- 

tosi dell’ affine suo che tenesse anzi cura degli esteri 

che de’ parenti , e sospinto da Amata e da altri , andò 

cM>lle milizie delle quali era capo , e si congiunse coi 

Rutoli. E mossasi per tali richiami la guerra perirono 

in battaglia vivissima Latino e Turno e molli altri ; 

trionfandone Enea. Da quell’ epoca ebbe questi lo scet- 

tro del suocero , e regnò dopo la morte di lui tre anni 

ancora ; ma nel quarto morì combattendo : perocché gli 

uscirono contro dalle loro città tutti in arme li Rutoli 

e Mezenzio re de’ Tirreni che per le sue regioni te- 

meva , conturbato al vedere che la greca poteuza via 

via si ampliava. Si dié la battaglia , ma fortissima non 

lungi da Lavinia; soccombendone molti da ambe le parti, 

finché la notte sopravvenendo , divise gli eserciti. Enea ^ 




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88 PEi.T.E Antichità’ romane 


più non apparve ; e chi lo disse trasferito Ira’ Numi , 

chi perito nel fiume , presso cui fu la pugna. I Latini 

gli eressero un tempietto iscrivendolo : del Padre e Dio 

del loco il quale regge il corso del Jiume Numicio. 

Pur vi è chi dice edificato il tempio da Enea per An* 

chise , morto P anno avanti tal guerra. L’ edifizio è non 

grande : ma tiene arbori ordinatamente intorno degne 

da vedersi. 


LVI. Passando Enea da questa vita , al più I’ anno 

settimo dopo la presa di Troja , assunse il comando 

su’ Latini Eurileone , quegli che . nella fuga intitolavasi 

Ascanio. Erano allora i Trojan! chiusi tra le mora , e 

la forza nemica ognora più spaventava ; nè bastavano i 

Latini a soccorrere gli assediati a Lavinia. Ascanio dun» 

que il primo chiese pace e condizioni onorate ai ne» 

mici : ma non giovando la inchiesta , fu costretto ren» 

dersi pienamente , e finire la guerra come il vincitore 

ne giudicasse. Ma siccome il monarca de’ Tirreni oltre 

le tante cose intollerabili comandava come agli schiavi 

che si recasse ogni anno ai Tirreni quanto vino pro- 

ducerasi dalla campagna latina ; cosi per la ìndegnissi» 

ma condizione Ascanio prima , e dopo lui li Trojani 

dichiararono co’ decreti loro sacro' a Giove ogni frutto 

della vite. E confortandosi gli uni gli altri ad impren- 

dere da valentuomini , e chiamando i Numi a parte dei 

loro pericoli , si mossero di città ma tra notte non chiara 

per luna. E sopravvenendo improvvisamente, presero in 

un subito il campo nemico il più vicino alla città , ri- 

putato antemurale ancora delle altre milizie , perchè te- 

nuto su luogo forte e difeso dal fiore de’ giovani tir- 




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LIBRO I. 89 


reni , comandati da Lauso , figlio di Mezenzio, Intanto 

che questo luogo espugnavasi le soldatesche attendate nei 

piani vedendo la luce insolita , ed ascoltando le voci 

degli oppressi fuggirono ai monti. Ivi sorse fra loro 

paura e strepito grande qual suole tra schiere mosse di 

notte , che apprendano già già di essere assalite , ma nè 

ordinate uè provvedute abbastanza. I Latini all’ opposito 

poiché vinsero per assalto quel presidio , e conobbero 

lo scompiglio deir altra milizia , le furon sopra incal- 

zando e trucidando : e questa non potea nemmeno sa- 

pere i suoi mali; non che pensasse ricorrere alla forza. 

Quindi confusi , incerti che fare chi s’ avvia tra .dirupi 

e ne soccombe , chi tra luoghi cavi ma senza esito , ed 

è preso. Li più non distinguendosi tra loro si trattaro- 

no ira le tenebre a vicenda come uemicì ; e ben fu la 

sciagi>ra micidialissima. Mezenzio occupato un colle con 

pochi , poiché vi seppe la morte del figlio, quanto eset- 

cito gli fosse perito , ed in quai luoghi ora si fosse iin 


tempo in cui fu costrutta la città , signora al presente 

delle cose. Ma quali ne fossero i fondatori , con quali 

vicende recassero la colonia , o le fondassero la città , 

molti già lo narrarono , discordandone alcuni in più 

casi. Io sceglierò da' monumenti le cose più persuade- 

voli ; te quali sqn queste. 


LXYIl. Dopo che Amulio usurpò colla forza la reggia 

di Alba eliminando dagli onori paterni Numitore il fra- 

tello. più grande , scorse ad altre infamie col molto abuso 

dei diritti, macchinando all’ultimo distruggere la stirpe 

di Numitore per timore di subirne la vendetta , e per 

desideri^ di perpetuarsene il principato. E macchinando 

ciò da gran tempo , notò primieramente dove recavasi 

alla caccia Egeste il figlio già pubescente di Numitore, 

e, fattegli delle insidie nel meno visibile di que’luoghi , 

lo uccisse appunto che inseguiva le fiere , dando opera 

che si dicesse poi , che il giovine fu vittima de’ladroni. 


Ma tal voce artificiosa uon potè soffocare la verità che 




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102 DKi.LE Antichità’ honianf. 

lacevasi; perocché molli ebbero cuore di palesarla , con 

pericolo ancora. Ben conobbe Nunillore il successo ; ma 

tollerando con saviezza bonissima fìnse non conoscerlo 

per differirne i risentimenti a tempo meno pericoloso. 

Amulio tenendo la vicenda per occulta , fece ancora , 

che la figlia di IVumitore detta Rea secondo alcuni , e 

poscia Ilia quando fu matura per le nozze , si dedicasse 

al sacerdozio di Vesta perchè andando subito a marito 

noti partorisse un vindice della sua gente. Dee iren- 

l’anni, e nommeuo rimanersi candida da cose maritali 

lina donzella messa alla cura del fuoco inestinguibile, 

o per altro religioso ministero serbato per legge alle 

sue pari. Compieva Amulio tutto ciò co’ bei nomi di 

onorare c distinguere il parentado : perchè non avevane 

egli introdotto la legge : anzi essendo già praticata non 

astringeva il fratello, sicché la prima volta esso tra’ no- 

bili si valettse di quelli onori. E pregiavasi tra g]i Al- 

bani che le donzelle più nobili ministrassero a*\^esia. 

Ben vedea Numitorc che il fratello non facea Ciò per 

amore del meglio: tuttavia non espresse l’ira* sua, ma 

tacque profondamente ancora su questa ingiuria per .non 

esserne malmenato dal popolo. 


LXYIII. Dopo quattro anni Ilia recatasi al bosco sacro 

di Marte ad attingervi limpide acque pc’ sacriGzj vi fu 

violentala da uno, dicono, de’ giovani innamorato della 

donzella : o da Amulio non si per amori che per in- 

ganni , tutto in arme , e travisatosi quanto poteva , onde 

essere terribilissimo a vedere. Molli però novelleggiano 

che fu in persona il Nume del loco, acconciando a tal 

fatto varie circostanze divine , e che il sole se ne ascose. 







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LIBRO I. 




I()3 


e le tenebre si spnrsero in cielo. Essersi ,la immagine 

di quel Dio presentata augusta più che la umana per 

la mole e per la bellezza. Aggiungono che colui che 

aveala violata ( e da ciò conchiudono che fosse un Id- 

dio) dicesse alla fanciulla che si consolasse, non si afflig- 

gesse per la vicenda* essere a lei fatte le cose de’ma- 

trimonj dall’ unirsele del genio del loco : ne partorirebbe 

due figli y potentissimi in arme. Narrano che, ciò di- 

cendo , nna nuvola lo circondasse , e che spiccatosi di 

terra , si elevasse per 1’ aere. Non è poi questo il luogo, 

ma bastino i detti de’ filosofi , per discutere la sentenza 

da aversi su queste cose, cioè se debbano dispregiarsi 

come opere umane imputate agli Dei, la natura de’quali 

felice nè corruttibile non subisce niente d’ indegno ; o 

se debbano riceversene le narrazioni , perchè 1’ universo 

è un composto di tutte le sostanze , tra le quali haccene 

pure una intermedia tra la umana e divina , che ora 

mescendosi agli uomini , ora ai Numi , genera la stirpe 

degli eroi. La donzella dopo la violenza si diè per in- 

ferma : consigliatavi dalla madre per la sicurezza di lei , 

come per la riverenza de’ Numi : nè più andava alle sante 

cose ,' ma se dovea porgervi l’ opera sua , supplivano le 

vergini , compagne nel ministero. 


LXIX. Amulio , sia che mosso dalla coscienza , sia 

che da’ concetti del verisimile, spiava attentissimo le ca* 

gioni per le quali tcneasi tanto tempo lontana da’ riti 

divini. E mandò de’ medici su’ quali fidava moltissimo : 

ma pretestando le donne non essere un tal male da 

presentarsi ai maschj , mise la moglie sua per guardia 

della fanciulla. Ma non si tosto colei gli accusò la in- 




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io4 DELLE Antichità’ romane 

(loie del male , conghietlurando da indizj muliebri , 

ignoti alle altre ; egli fe’ custodire co’ soldati la donzella: 

perchè il parto , ornai prossimo , non si occultasse. £ 

chiamando a collocjuio il fratello , disse la violazione 

recondita , dolendosi che i genitori vi stessero a parte 

con la fanciulla, e comandò che non tacessero, anzi pub- 

blicassero il fatto. Asseriva Numitore eh’ egli udiva cosa 

incredibile: ma che egli era innocente in tutto, e chie- 

dea tempo per chiarire la verità. £d ottenutolo a stento, 

poiché seppe dalla moglie la cosa come erale narrata in 

principio dalla fanciulla , gli riferì la violenza fatta dal 

Nume, e le cose dette su’ due gemelli, e dimandò che 

si prestasse fede a tanto , se da quel parto nasceane la 

]>role cora’ era presagita dal Nume. Non essendo ornai 

lontano il parto ; egli non sarebbene deluso lungamente : 

intanto esibiva donne in custodia della figlia, nè ricu- 

savasi a prova ninna. Acconsentivano quanti erano in 

parlamento: Amiilio però diceva che non aveaci punto 

di buono in que’ detti , e diedesi per ogni guisa a pci^ 

dere la lànciulla. Intanto presentansi gl’ incaricati per invi- 

gilare su quel parto , e narrano aver lei dato in luce due 

maschi. Insistè Numitore ben tosto in dimostrare che a'veaci. 

r opera del Nume, e richiedÈva che oltraggio non si facesse 

alla vergine incolpabile. Amulio nondimeno concepiva 

che ci avesse della cabala umana anche nel parto mer 

desimo , con essersi procurato 1’ uno de’ fanciulli da al- 

tra donua , ignorandolo o cooperandovi le custodi ; e 

molto su ciò fu disputato. Come i consiglieri videro 

che il re piegavasi ad ira inesorabile , sentenziarono an- 

eh’ essi , com’ egli volea ; che si applicasse la legge , la 




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LIBRO I. I o5 


quale ordina che uccidasi , battuta con verghe , la ver* 

gine profanata nel corpo, e gettisi ciò che è nato da 

lei ndla corrente del fiume. Ora però le leggi per le 

sacre cose prescrivono che tali donne seppelliscansi vive. 


LXX. Fin qui la più parte degli scrittori narrano le cose 

medesime o con picciolo divario , altri seguendo più la 

favola , ed altri la verisimiglianza. Ben però discordano 

su ciò che vi rimane ; dicendo altri che la condannata 

fu tolta immantinente di mezzo , ed altri che serbata 

in carcere oscura fe’ nascere nel volgo la idea della oc- 

culta morte di lei. Scrivono che Amulio a ciò s’indu- 

cesse vinto dalla figlia supplichevole che chiedevagli in 

dono la cugina ; già nudrite insieme , e pari di età vo- 

leansi il bene di sorelle. Amulio che non avea se non 

quella figlia , gliela concedette ; nè più compiè la morte 

di Ilia , ma tennela rinchiusa, nè visibile; finché fu li- 

berata col morir del medesimo. Cosi le antiche scritture 

discordano intorno di Ilia , ma tutte presentano un ap- 

parenza di vero ; e perciò ne ho fatta menzione. Chi 

legge intenderà da sè stesso quale sia più credibile. 


Quanto ai figli d’Ilia cosi scrive Fabio detto il Pit- 

tore , cui seguirono Lucio Cincio , Porcio Catone, Cal- 

purnio Pisone, e la più degli storici. « Alcuni de’ mini- 

stri prendendo per comando di Amulio i fanciulli, posti 

in un cestello, ve li U'asportavano per gettarli nel fiu- 

me , lontano quasi cento venti stadii dalla città. Ma co- 

me vi si approssimarono e videro che il Tevere per le 

pioggie incessanti usciva dall’ alveo suo naturale in su 

i campi , discesero dalle cime del Pallanteo fino alle 

acque più vicine ; uè polendo avanzarsi più oltre , de- 




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ìoG DF.LLK Antichità’ homane 

posero il cestello appunto ove il fiume toccava , inon- 

dando le falde del monte. Ondeggiò quello alcun tem- 

po ] ma poi ritirandosi la fiumana dalle parti più ester> 

ne , il vasello percosse in un sasso , e deviatone , tra- 

volse i fanciulli ^ che vagendo in sol fango si dimena- 

vano. Quando apparendo una lupa , fresca di parto» 

e gonfie le mammelle di latte ne porse i capi alle te- 

nere bocche de’ medesimi , tergendoli via via colla lingua 

dal loto onde erano intrisi. Frattanto sopravvengono dei 

pastori che guidavano le greggi ai pascoli ; potendosi 

già per que’ luoghi camminare. Al vedere 1’ uno di essi 

come la bestia carezzava que’ pargoletti , restossi estati- 

co per lo spavento e per la incredibilità dello spettacolo. 

Quindi ( perciocché non era col solo dire creduto ) an- 

dando, e raccogliendo quanti potea de’ vicini pastori, li con* 

duce a mirare il portento. Approssimatisi questi, e vedendo 

come la bestia molcea que’ pargoletti, e come i pargoletti 

usavano colla bestia quasi colla madre , parvero a sé st«si 

presenti a celeste meraviglia : ma congregatisi e proce- 

duti ancora più oltre tentarono col tuonare delle grida 

impaurire la lupa. E questa non incrudita affatto dal 

giungere degli uomini , ma quasi domestica fosse, riti- 

randosi passo passo da’ fanciulli, si levò ( mutoli restan- 

done ) dalla vista de’ pastori , essendovi non lungi un 

luogo sacro , opaco per selva profonda , ove le fonti 

sgorgavano da pietre cave. Dicesi che quello fosse il 

bosco di Pane ; ed un allare’per lui vi sorgeva. In que- 

sto venne la fiera e si ascose. Ora il bosco non è più: 

ma ben additasi 1’ antro dal quale scorrevano le acque , 

in vicinanza del Pallanteo , lungo la via che mena al- 







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LIBRO I. 107 


r Ippodromo ( 1 ) : scorgesi ivi prossimo un tempietto 

ov’ è j come effigie del fatto , una lupa che offre a due 

fànciullini le poppe ; metallico e di antico lavoro è quel 

monumento. 


Era questo luogo , com’ è fama , sacro per gli Ai'^ 

cadi che vi si accasarono con Evandro. Allontanatasi la 

fiera , i pastori presero i fanciulletti provvedendo che 

si allevassero appunto , come se volessero gli Dèi che si 

conservassero. Era tra questi un placido uomo , il capo 

de’ regj pastori , F austolo nominato , il quale trovavasi 

in città per alcun suo bisogno , nel tempo che lo stu- 

pro vi si riprendeva ed il parto d' Ilia.' Dopo ciò men- 

tre erano que’ teneri putti portati al fiume , egli nel 

tornare ài Pallanteo , tenne per incontro divino la stra- 

da medesima di quelli che li portavano. E non dando 

vista di sapere principio alcuno del fatto , dimandò per 

sè que’ miserelli , e presili con voto comune , e recan- 

doseli , venne alla moglie. E trovatala che avea parto- 

rito , e dolente , che il parto erale morto, la racconsolò, 

e le diede que’ fanciulli da sostituirsi ; contandole dalle 

origini la vicenda che li riguardava. Poi crescendo, chia- 

mò r uno di essi Romolo e Remo 1’ altro. Fatti adulti 



non somigliavano per la bellezza dell’ aspetto e della 

prudenza a pastore niuno di gregge immonde o di bo- 

vi , ma chiunque numerati li avrebbe tra’ regj figli , 

specialmente tra quelli creduti di generazione divina , 

come in Roma cantano ancora nelle patrie canzoni. Era 

la vita loro fra’ pastori , e col travaglio la sostenevano, 


(i) Cirro oTc -garrpgiavasi col corso Je’ cavalli. 




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io8 DELLE Antichità’ bomane 

fissando per lo più su’ monti e legni e canne in guisa 

che dessero in un tempo alloggio e tetto. Ed ancora 

nel lato che dal Pallanteo piegasi verso l’ Ippodromo V 

sopravanza 1’ uno di questi abituri , detto di Romolo > 

cui guardano come sacro , ma nulla vi aggiungono on-, 

de renderlo più venerando. Che se parte alcuna ne vi6a 

meno per anni o tempeste , la suppliscono , riparando- 

la , quanto possono con simiglianza. Giunti a’ diciotto 

anni ebbero dispute su de’ pascoli co’ pastori di Numi- 

tore i quali tenevano i loro bovili sull’ Aventino , colle 

situato rimpetto del Pallanteo. Ricbiamavansi spesso gli 

uni su gli altri, che pascessero i campi non proprj , o 

soli si tenessero i campi comuni , o per cose altrettali, 

se ne avvenivano. Davansi per tali dissidj colpfdi mani 

e di armi ; e ricevendone da’ giovani assai li servi di 

Numitore , e perdendovi alcuni di loro, ed essendone 

esclusi a forza dalle campagne, cosi macchinarono. Dis- 

posero in valle occulta le insidie su’ giovani , e concor- 

dato con quei che le disponevano il tempo di eseguirle , 

gli altri intanto andarono in folla alle roandre de’ me- 

desimi. Romolo di quel tempo crasi co’ paesani più ri- 

guardevoii recato alla città detta Genina per farvi a no^ 

me della comune i patrj sacrifizj. Avvedutosi Remo della 

incursione volò per la difesa , prendendo in un subito 

le armi , e li pochi venuti a lui per unirsegli dal vil- 

laggio. Non aspettarono quelli , ma fuggirono per tirar- 

seli dietro , dove rivolgendosi a proposito gli assalissero. 

Ignaro della trama , seguitandoli Remo lungamente , si 

ingolfò nel luogo delle insidie ; e le insidie proruppero 

e li fuggitivi si rivolsero ; e circondando lui co’ seguaci 




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LIBRO I. 1 09 


e tempestando co’ sassi , gli arrestarono, com’ era il co- 

mando de’ loro padroni che volevano vivi que’ giovani 

nelle mani. Cosi 'fu Remo condotto prigioniero. » 

LXXl. Ma Elio Tuberone uomo grave , e ben cauto 

nel tessere le istorie scrìve : che avendo que’ di Numi- 

tore preveduto che i due garzoncelli erano per ofTerire 

a Pane ne’ lupercali 1’ arcade sagriGzio come era isti- 

tuito da Evandro , tesero gli agguati pel tempo appunto 

del santo ministero , quando bisognava che I giovani , 

abitanti il Pallanteo, correswro dopo le oblazioni nudi 

per la terra , e velati solo nel sesso con le pelli recenti 

delle vittime. Era questo un tal rito patrio di espiazio^ 

ne , praticato ancora di presente. Standosi nel più an- 

gusto de’ sentieri i nemici a tempo per le insidie su 

quei facitori di sante cose , ecco venirsene ad essi la 

prima banda con Remo , seguitando più tarda 1’ altra 

con Romolo per essersi la gente loro divisa in tre masse, 

e distanze. Non aspettando quelli il giungere degli al- 

tri , dato un grido, uscirono in folla sa’ primi, e cir- 

condatili , gl’ investirono > chi con dardi e chi con sassi 

o con altro , comunque gli era alle mani. Sbalorditi 

questi dall’ inaspettato assalto , e mal sapendo che fare , 

inermi contro gli armati , furono assai facilmente arre- 

stati. Con tal modo, o con quello tramandatoci da Fa- 

bio , divenuto Remo il prigioniero de’ nemici , fu tratto 

in Alba. Romolo, al conoscere le ingiurie sul fratello, 

pensò dover subito tenergli dietro col Bore de’ suoi pa- 

stori , quasi a ricuperarselo ancora tra via : ma ne fu 

distolto da Faustolo che vedea la insania del disegno. 

Era F austolo ancora tenuto come padre , avendo sem- 




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1 1 o DELLE Antichità’ romane 

pre occultato ai due garzoacelli i loro primi tempi , 

perchè non si mettessero di slancio a’ pericoli , prima 

della robustezza degli anni. Allora peiTò vinto dalla ne- 

cessità rivela , solo a solo , a Romolo ogni cosa. E Ro- 

molo in udire tutta la sciagura che areali involti 6n 

dalla nascita, impietosito per la madre venne in grande 

ansietà verso di Nnmitore. E molto consultandosi con 

Faustolo conchiuse che doveva allora contenersi da ogni 

impeto ; sorgere poi con apparato più grande di forze 

a redimere la sua famiglia dalle ingiustizie di Amulio , 

e subire fin 1’ ultimo rischio in vista de’ grandi risul- 

tati , operando col padre della madre , quanto egli nc 

risolvesse. 


LXXII. Stabilito ciò per lo m^lio , Romolo convo- 

cando i paesani , e pregandoli a recarsi di subito in 

Alba , non però tutti io folla , nè ad una porta perchè 

non si eccitasse in città sospetto di loro , c a tenersi 

nel foro , pronti per eseguire , s’ incamminò per il pri- 

mo verso di quella. Intanto quei che menavano Remo 

presentatolo ai regj tribunali , ve lo accusavano delle in- 

giurie, quante ne aveano da lui ricevute, e vi addita- 

.vano le ferite dei loro protestando che abbandonerebbero 

tutte le manche , se non erano vendicati. Amulio vo- 

lendo fare cosa grata alla moltitudine accorsa , come a 

Numitore, forse presente ad incolparlo per altri (i), volen- 

do la tranquillità del paese, e stimando insieme sospetta 

la baldanza del giovane , imperterrito in sue parole ; lo 




( i) Secondo Dionigi , Numitorc ignaro della condiziona di lìcmti, 

lo accusava a nome de’ suoi clienti. 




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LIBRO I. Ili 


.condannò con rendere Numitore 1’ arbitro del castigo , 

e con dire che chi fa ree cose , non dee rintuzzarsene 

da altri quanto da chi le ha sostenute. Intanto che Re- 

mo era condotto con le mani addietro legate, ed erane 

vilipeso da’ pastori (i) che sei conducevano Numitore 

postoglisi appresso ne ammirava la bellezza delle forme 

che aveano molto del regio , e ne contemplava la no- 

biltà de’ sentimenti , che egli conservava in mezzo an- 

cora a terribili cose , non volgendosi a far compassione 

nè importunando , come tutti fanno in simili casi , ma 

procedendo con silenzio maestoso al suo termine. Giunto 

in sua casa , Numitore fece che gli altri si ritirassero , 

ed egli , solo con solo , chiese a Remo chi fosse , e da 

quali parenti ; non potendo lui , : ootal giovine , essere 

da ignobile stirpe. E soggiungendo Remo quanto ne 

sapea dal suo nutritore. , come dopo la nascita era stato 

esposto bambino nella selva col germano , gemello di 

lui , come raccolto da’ pastori fosse poi stato allevato ; 

colui , sospesone alcun tempo , alfine , sia che in ciò 

vedesse  

vole sospettando che egli non pensasse come parlava , 

cosi rispose : I giovani , come è loro mestieri , vanno 

pasturando de' bovi pe' monti. Io men veniva in no- 

me di essi cdla madre per dichiararle come stieno i 

loro fatti. Ma udendo come tu fai guardare questa 

donna , io dirigevami a supplicare la figlia tua perché 

a lei m' introducesse. E questo cestello , io recavalo 

meco per certificare i miei detti. Ora poiché tur sei 

fermo di ricondurre qua li garzoncelli , ne esulto ; e 

manda con me chi vuoi , che io dimostreroUi , perchè 

loro si annunzino gli ordini tuoi. Cosi dunque diceva 

per allontanare la morte de’ giovani , e sperando egli 

insieme fuggire da quelli che sei menavano , quando sa- 

rebbe ne’ monti. Amulio immantinente invia con esso i 

più fidi tra’ suoi militari , ordinando però segretamente 

che afferrino , e gli rechino quelli che il pastore dimo- 

strerebbe. Intanto deliberò chiamare il fratello e farlo 

custodire , ma senza catene finché 1’ affare presente se 

gli acconciasse. Lo chiamò dunque ma in vista ben di 

altre cose. Mosso l’ araldo speditogli , dalla benevolenza 

e dalia compassione de’ mali di lui che pericolava non 

tacque i disegni di Amulio a Numitore : e questo ma- 

nifestando a’ giovani l’ infortunio che pendeva su loro , 

e confortandoli a farla da valentuomini , -andò alla reg» 

già tra le arme di clienti , di amici , e di non pochi 

servi fedeli ; e lasciato il mercato pel qual erano venuti 

in città , vi andarono ancora co’ pugnali sotto degli abiti 

i contadini, gente robustissima. £ forzando tutti con 

impeto comune l’ ingressa , non presidiato da molli , 




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LIBRO I. I l5 


bea tosto uccisero Amulio , e presero poi la fortezza. 

Cosi Fabio ne racconta su ciò. ' 


LXXV. Altri però giudicando non convenirsi punto 

di favoloso alla storia dicono inverisimile che la proje> 

zione de’ fanciulli non seguisse com’ era ordinata ; e di- 

cono che l’amorevolezza della lupa che porge le- mam- 

melle ai fanciulli è piena di comiche incoerenze. Rac- 

contano invece che Nnmitore al conoscere la gravidanza 

d’ Uia , ne tramutasse poi nel parto i figliuoletti , sup- 

plendovene altri nati di fresco ; e dandoli in fine ai cu- 

stodi della parturieute , perchè al re li recassero. Sia 

che la fedeltà di questi fosse comperata con oro , sia 

che la sostituzione fosse compiuta per mezzo di fem- 

mine ; ad ogni modo Amulio prese ed uccise gli spurj; 

laddove i figli d’ llia cari più che ogni cosa a Numito- 

re , furono da lui salvati, e consegnati a Faustolo. As- 

seriscono che un tal F austolo era un Arcade , originato 

da’ compagni di Evandro , alloggiato in sul Pallanteo 

colla cura degli armenti di Amulio ; e che condiscen- 

desse di allevare i figli di Numitore , indottovi da Fau- 

stino (i) , fratello sno , presidente de’ bestiami di ]Vn- 

mitore i quali pascolavano per 1’ Aventino : essere stata 

la nudrice , la esibitrice delle poppe sue , non la lupa , 

ma com’^ verisimile la moglie di Faustino detta Lau- 

renza , e Lupa con soprannome da quei del Pallanteo 

perchè prostituiva il suo corpo. Certamente era questo 


(i) Questo nome si legge Tariaroenle. Plutarco io Rumalo Io chiama 

PUiacino. Altri Io ha chiamalo Fausto: perchè tra Faustolo e Fausto 

siavi somiglianza come tra Romolo e Remo : ed altri con molla con- 

fusione lo chiama Faustolo come il fratello. 







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1 1 6 DELLE Antichità’ romane 


il greco aatico ^ soprannome per le femmine le quali si 

vendono ne’ riti di amore , e le quali ora con più gen- 

til nome, amiche si appellano. E «quindi alcuni che ciò 

non sapevano ne tesserono la fàvola della Lupa , cosi 

chiamandosi quella bestia tra’ Latini. Aggiungono che 

i fanciulli slattati appena , filrono dagli aj loro man- 

dati a Gabio città non lontana dal Pallanteo perchè vi 

prendessero greca istruzione ; e che nudriti colà presso 

gli ospiti di Faustolo Gno alla pubertà furono ammae- 

strati nelle lettere , nel canto , e nell’ uso greco delle 

armi ; che rivenendo poscia ai padri loro putativi bri- 

garonsi co’ pastori di Numitore intorno de' pascoli co- 

muni , e li percossero , e gli allontanarono colle greg- 

gie : essere tali cose state fatte col volere di Numitore 

perché si avesse un principio di ridami, ed una causa 

onde la turba de’ pastori in città si recasse : che dopo 

dò Numitore fe’ lamentanze contro di Amulio , quasi 

per grave danno e ruberie de’ pastori di lui ; diman- 

dando che se egli non avead parte, gli desse nelle mani 

il porcajo , reo delia lite , e li Ggli di quello : che 

Amulio a rimuovere da sè quella . incolpazione , ordinasse 

a tutti gli accusati , ed a quanti si dicevano essere stati 

presenti al successo di comparire in giudizio per Numi- 

tore : che insieme concorrendo molti altri sul pretesto 

di quella causa, Numitore dicesse a’ nipoti quanta, scia- 

gura gli avea perseguitali : e dimostrando^ lui che quella, 

se altra mai ve ne fu , quella appunto era 1’ ora della 

vendetta , iramautiuenle volarono colla turba de’ pastori 

all’ assalto. E queste sono le memorie su la origine e su 

la educaziouc de’ fondatori di Roma. 




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LIBtlO I. 1 1 7 


' LXXVI. Ecco poi le cose avvenute nella fondazione: 

ciò clic mi resta anche a scrivere, ed ora mi vi accin- 

go. Poiché Numitore col morirsi di Amulio riebbe il 

principato ; spese breve tempo a riordinare su le anti- 

che maniere la città , già premuta colla tirannide , e 

ben tosto fabbricandone un’ altra , meditava di crearvi 

anche un regno pe’ figli. Pareagli bello , essendosi il po- 

polo suo troppo moltiplicato , levarne totalmente la 

parte almeno già sua contraria , per non più sospet- 

tarne. E comunicatosi co’ figli , ed essendone questi di- 

lettati ; diè loro , perchè vi regnassero , le terre dove 

erano stali allevati , e la parte del popolo divenuta a lui 

sospetta , e disposta ancora per fare innovazioni , e 

quanti voleano spontaneamente mutar sede. Ci avca tra 

questi , come per una città che si mova , molti della 

plebe , e buon numero de’ più potenti , anzi pure dei 

Trojani reputati più nobili , de’ quali esistevano ancora 

a’ miei giorni , almeno cinquanta famiglie. Diede a’ gio- 

vani danaro , arme , frumento , schiavi , bestie pe’ tras- 

porti , è quanto ricercasi per la fondazione di una cit- 

tà. Poiché questi ebbero cavato da Alba il popolo loro, 

aggregarono ad esso quanti rimaneano nel Pallanteo e 

nella Saturnia , e ne divisero tutta la massa in due parti. 

Sembrava loro che ciò desterebbe dell’ ardore nella gara 

di compiere più speditamente un lavoro ; quando fu 

causa del pessimo de’ mali , cioè di una sedizione. Im- 

perocché celebrando le due parli il suo capo , ciascuna 

lo inalzava come il più idoneo al comando di tutti: al- 

tronde li due capi non più avendo una mente e non 

quella di fratelli , ma di soprastanti 1’ uno su 1’ altro , 




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1 1 8 DELLE Antichità’ romane 

ornai non curavano 1’ eguaglianza , e moltissimo ambi'^ 

hivano. Celatasi fin qui , proruppe finalmente la loro 

ambizione per questo incontro. Non piaceva ugualmente 

a ciascun d'essi il luogo per fabbricarvi la città : vdleala 

Romolo sul Pallanteo per più cause , e per la prospe- 

rità del luogo , essendovi stati salvati e nudriti : ma 

sembrava a Remo da edificarsi nella sponda che ora da 

lui lìomoria si addi manda (i). Ben erane il luogo ac- 

concio per una città , su di un colle non lontano dal 

Tevere , in distanza di circa trenta stadj da Roma. Da 

tal gara appalesaronsi ben tosto le voglie di soprastarsi; 

apparendo assai chiaro che qual, di essi prevaleva sul- 

r altro dominerebbe ancora su tutti. 


LXXVII. Passato intanto alcun tempo, nè sceman. 

dosi punto il dissidio , parve ad ambedue da rimetter- 

sene all’ avo materno , e si recarono in Alba. E colui 

suggerì che lasciassero giudicare agli Dei , quale di loro 

due desse nome e comandi alia colonia. E predestinan* 

do ad essi il giorno , ordinò che si trovasserò di buon 

mattino separatamente ciascuno nel luogo ove 'bramava 

porre la sede : e che sagrificandovi prima secondo le 

usanze agl’ Iddii vi osservassero gli uccelli propizj : e 

qudlo di loro due per cui sarebbero gli uccelli più 

fausti , quello comandasse la colonia. •! giovani lodato il 

consiglio partirono , e trovaronsi poi nel giorno deci- 

sivo , appunto come avevano convenuto. Prendeva Ro- 

molo gli augurj sui Pallanteo dove ujeditava fissare la 


(i) Pesto con altri colloca Komeria nelle cime dell’ Arentino : ma 

Dionigi sembra collocarla più lontana. Sarebbero mai state due que- 

ste Romnrie , o Remurie t 




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LIBRO I. II9 


colonia : ma Remo nel colle contiguo , detto Aventino, 

o Romoria , come altri raccontano. Erano con essi le 

guardie , perchè non permettessero che alcuno de’ due 

dicesse altre cose che le vedute. Postisi ambedue nei 

luoghi convenienti ; Romolo dopo un poco , per ansia, 

-e per invidia del fratello , e più che per invidia , per 

impulso forse di un qualche Nume , innanzi di avere 

osservato alcun segno , quasi il primo avesse veduto lo 

augurio lieto , spedi messaggeri al fratello, perchè a lui 

ne 'venisse prontamente. Ma non accellerandosi questi , 

perchè vergognosi di portare un inganno p intanto sei 

avvoltoi , volandogli a destra , apparirono a Remo. Era 

costui lietissimo delia veduta , ma dopo non molto gli 

inviati da Romolo , movendolo , sei menarono al Pallaa" 

teo. Dove giunti , Remo chiedeva da Romolo , quali 

uccelli avesse veduto : e dubitando Romolo come rispon- 

dere ; ecco dodici avvoltoi , propizj col volo gli si mo- 

strarono. Inanimato al vederli disse, addiundoii a Re- 

mo: che cerchi tu s pel tempio , e per gli usi del comune. Tale 

era la partizione fatta da Romolo ne’ terreni e negli uo* 

mini diretta alla massima eguaglianza comune. 


Vili. Ora dirò della partizione degli uomini per con- 

cedere privilegi ed onori secondo la dignità di ciascu- 

no. Scevrò gli uomini cospicui per nascita, o lodati per 

virtù , o comodi secondo quel tempo per danaro , pur- 

ché avessero prole , dagl’ ignobili , dagli abietti e dai 

bisognosi. E plebei nominò quelli di sorte deteriore , 

che il greco appellerebbe dimolici ; ma intitolò padri 

quei di fortuna migliore sia che per la età maggioreg- 

giassero su gli altri , sia perchè avessero figli , sia per 

la chiarezza della prosapia, sia per tutte queste cagioni ; 

pigliando , come può congetturarsi , 1’ esempio dalla 

repubblica degli Ateniesi , quale esisteva in quel tem- 

po. Imperocché questi chiamavano Eupatridi principal- 

mente o patrizj li più distinti per nascita , e più potenti 

per danaro , a’ quali afQdavasi la cura della repubblica : 

e chiamavano agrici , o rustici gli altri che di niente 

eran arbitri sul comune: ma col volger degli anni fu- 

rono ancor essi elevati agli onori. Per tali cagioni di- 

cono gli scrittori più credibili delle cose romane che 

Padri fossero nominati que’ valentuomini , e patrizj i 


squadre de* cavalieri erano divise in decurie come i chiaro da Var- 

rooe e da Polibio. 




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LIBRO li. 




i35 


loro discendenti. Ma coloro che guardano 1’ affare con 

occhio d’ invidia , e malignano su le origini vili di Ror 

ma , non dicono che i patrizj avessero questo nome per 

tali cagioni , ma perchè soli potevano additare gli autori 

della loro generazione ; quasi gli altri non fossero che 

vagabondi, o senza liberi padri. E davano per sicuro 

argomento di ciò , che quando piaceva al re di convo> 

care i patrizj , gli araldi gl’ intimavano pel nome loro 

e per quello ancora de’ padri ; laddove pochi banditori 

invitavano alle adunanze i plebei rinfusamente col buc- 

cinare de’ corni da bove : ma nè la intimazione per 

mezzo di araldi è buon segno degl’ ingenui natali , nè 

il snon della buccina è simbolo della ignobilità de’plebei: 

ma la prima recavasi per onorificenza ; spandevasi l’altro 

per compendio ; non riuscendo invitare in poco tempo 

a nome tutta la moltitudine. 


IX. Poiché Romolo segregò li più degni dai men ri- 

guardevoli , ordinò per leggi le incombenze degli uni e 

degli altri. Adunque stabili che i patrizj intenti con esso 

alle cure pubbliche fossero i sacerdoti , i magistrati , i 

giudici , ma che li plebei , liberi da tali sollecitudini per 

la imperizia e per la penuria , lavorassero le terre , al- 

levassero i bestiami , ed esercitassero le arti mercenarie, 

perchè non sorgesse fra loro sedizione, come in altre 

città , quando gli uomini di grado spregiano gli igno- 

bili , o quando i vili c poveri invidiano la preminenza 

degli altri. Affidò , qual deposito , a’ patrizj i plebei , 

concedendo a ciascuno di questi di eleggersi liberamente 

tra quelli un patrono. Greca antica consuetudine era 

questa ritenuta lungamente da’ Tessali , e dagli Ateniesi 




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i36 DELLE Antichità’ ro3Iane 

quando ancora conoscevano il meglio : ma poi declina** 

rono al peggio, ed insolentirono su’ clienti; comandando 

loro cose non degne di uomini ingenui, minacciandoli 

di battiture se non ubbidivano, ed abusandoli con altre 

maniere , quasi schiavi comperati- Gli Ateniesi chiama- 

vano Thitas pe’ servigi che rendevano , i Clienti , ed i 

Tessali li chiamavano Ponesti (i) vituperandone fin col 

nome stesso la condizione. Ma Romolo fregiò con nome 

conveniente , chiamandola patronato , la garanzia de’ bi- 

sognosi e degl’ infimi : e date all’ uno ed all’ altro utili 

cure , ne rendè la congiunzione benevola veramente e 

cittadina. 


X. Le obbligazioni stabilite da lui sul patronato e 

conservatesi lungo tempo tra’ Romani erano queste: do- 

veano i patrizj informare i clienti della legge che igno- 

ravano , doveano prender cura di loro ugualmente, fos- 

sero o no presenti , e far su di essi come i padri su’ figli, 

quanto alla roba , ed ai contratti su la medesima ; mo- 

vendo liti pe’ clienti se altri ne era danneggialo , su 

contratti , e subendola , se altri la moveano. E per dir 

molto in poco , doveano proctware. ad essi tutta la ti'an- 

quillità della quale abbisognavano nelle cose domestiche 

e nelle pubbliche. I clienti a vicenda se i patroni scar- 

seggiavano di beni doveano coadiuvarli , maritandosene 

le figlie : doveano riscattarli da’ nemici se alcuno di essi 


(i) Diouigi qui paragona i clienii Romani, i TMti drgli Ateniesi 

ed i Penesti dei Tessali : ma i Thili erano almeno liberi , e servi- 

vano per la miseria o pe' debiti. 1 Penesù dei Tessali erano un in- 

termedio tra gli schiavi e gli uomini liberi. Non era cosi de’ c.ieuti 

Romani. Questi non di raro parteggiavano o superavano la fortuna 

dc'pauoui. 




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LIBRO ir. 187 


o de’ figli rtmaDeva prigioniero : pagare del proprio per 

loro non a titolo di prestito , ma di gratitudine le liù 

perdute , e le pubbliche multe tassate in moneta : e con- 

correre quasi ne spettassero alle famiglie , nelle spese di 

essi per le magistrature , per gli onori , e per le altre 

pubbliche dimostrazioni. Quanto ad ambedue poi non 

era lecito o giusto pe’ clienti o patroni che gli uni ac- 

cusassero gli altri ; che si dessero testimonianze e voti 

contrari ; o si lasciassero cercare gli uni per nemici degli 

altri. E se alcuno era convinto di aver fatto l’opposito, 

soggiaceva alle leggi di tradigione promulgate da Ro- 

molo : ed era per chiunque santa cosa lo ucciderlo , 

come vittima a Dite ; costumando i Romani di consa- 

grare agl’Iddj , spezialmente infernali , le persone alle 

quali volevano impunemente dare la morte, come fece 

allora anche Romolo. Adunque perseverarono per molto 

tempo tramandandosi da figlio Jn figlio le congiunzioni 

dei patroni e dei clienti, senza che niente differissero 

dai ligami strettissimi di parentela. Ed era gran lode per 

uomini d’ inclita stirpe aver clienti in più numero , cu- 

stodendo i patrocini lasciati loro dagli antenati , ed 

acquistandone altri ancora colla propria virtù. E mera- 

vigliosa era la gara di ambedue per non lasciarsi vin- 

cere gli uni dagli altri nella benevolenza ; proferendosi 

li clienti a far quanto potevano verso de’ patroni ; nè 

volendo i patrizi dar loro molestia con riceverne da- 

nari in dono. Così era tra loro il vivere condito con 

ogni diletto ; e . la virtù non la sorte era la misura della 

felicità. 


XI. Non solamente poi vivea sotto l’ ombra de’ patrizi 





i38 DELLE Antichità’ romane 

la plebe di Roma; ma quella delle colonie di lei, quella 

delle città confederate ed amiche , e quella ancora delie 

conquistate colle armi tenevasi per custode e protettore 

qual più voleva de' Romani. E più volte il senato ri- 

mettendo ai protettori le controversie di città e di na- 

zioni confermò le sentenze date da essi. Anzi era tanta 

la concordia de’ Romani cominciando dall’ ora che Ro- 

molo ne fondava i costumi , che mai per secento venti 

anni tumultuarono con stragi e sangue, sebbene nasces* 

sero intorno del comune molte e gravi dispute tra la 

plebe e li magistrati , come nascono in tutte le città , 

picciole o popolose : ma illuminandosi , e persuadendosi 

a vicenda , e parte concedendo , parte ottenendo racche- 

tavano le interne dissensioni. Dacché però Cajo Gracco, 

divenuto tribuno , sconvolse 1’ armonia della città , non 

cessano dal sopraffarsi colle stragi e con gli esilj ; nè 

risparmiano misfatto per vincersi. Ma per dir tanti mali 

avrem poi luogo più acconcio. 


XII. Ordinate tali cose , ben tosto Romolo deliberò 

di creare i consiglieri co’ quali dividere le pubbliche 

cure , e trascelse cento de’ patrizj cosi facendone la se- 

parazione. Prima nominò fra tutti il più idoneo , a cui 

si afBdasse lo stato , quando egli coll’ esercito uscireb- 

bene dai confini. Quindi prescrisse a ciascuna tribù di 

scegliersi tre uomini , savissimi per età come insigni per 

nascita. Fissati questi nove impose ancora che ciascuna 

delle curie eleggesse tre li più opportuni fra li patrizj. 

Infine unendo ai primi nove dichiarati dalle tribù li 

novanta determinati col voto delle curie , e facendo pre- 

sidente di tutti quell’unico prescelto da lui ; compiè la 




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LIBRO II. 1 39 


serie di cento consiglieri. Potrebbe il consesso di «pesti 

signiBcare tra’ Greci un senato , e con tal nome chia- 

masi appunto tra’ Romani. Nè io saprei deGnire se un 

tal nome se lo acquistasse per la età senile , o per la 

virtù dei membri che vi furono incorporati. Certo so- 

lcano gli antichi dir seniori i più maturi negli anni e 

nelle opere. Quanti ebbero luogo in senato furono chia- 

mati e si chiamano ancora Padri Coscritti. Greca isti- 

tuzione era questa : perocché quanti regnavano , sia pei^ 

chè succeduti a’ diritti paterni , sia perchè nominati capi 

dalla moltitudine, aveano un consiglio di ottimi uomini, 

come attestalo Omero , e poeti antichissimi : nè le mo- 

narchie primitive de’ principi erano, come ora , assolute, 

e Gsse agli arbitrj di un solo. 


XIII. Ordinato il consiglio de’ cento seniori, vedendo 

che egli avea bisogno di una gioventù regolata da usarla 

in guardia del corpo suo , come per incumbenze di af- 

fari pressanti , unì trecento i più robusti delle più in- 

signi famiglie. Le curie nominarono ciascuna dieci di 

questi giovani come aveano nominato li senatori ; ed 

egli tenea sempre con sè tali uomini. E tutti , panti 

erano stabiliti in quella schiera , aveano il nome di Ce- 

leri , come dai più si scrive , per la speditezza ne’ loro 

servizj ; chiamandosi Celeri dai Romani gli uomini pronti 

e spedili nell’ operare. Ma Valerio Anziate dice che lo 

derivarono dal duce loro , Celere nominato. Era un tal 

duce riguardevolissimo nel suo grado ; ed a lui ubbidi- 

vano tre centurioni , ed a’ centurioni altri capitani mi- 

nori. Questi lo accompagnavano per la città colle aste, 

pronù ai suoi cenni: ma nel campo erano propugnatori 




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i4o DELLE Antichità’ romane 

e custodi : e spesso dirigevano a buon fine ia battaglia,- 

primi a cominciarla , ed ultimi a levarsene. Combatte- 

vano, dove il luogo consenti vaio , a. cavallo; ma appiè, 

dove era aspro , nè proprio da cavalcarvi. Sembrami 

cbe un tal uso lo derivasse da’Lacedemoni coll’intendere 

die tra quelli vegliavano alla custodia dei re, e li pro- 

teggevano nelle guerre giovani generosissimi, buoni per 

militare a cavallo ed appiede. 


XIV. Composte in tal modo le cose , comparti gli 

onori ed i poteri cbe volevano in ciascuno ; presceglien- 

done tali primizie pe’ monarchi. Volle dunque cbe avesse 

il -re primieramente la presidenza de’ templi e de’ sagri- 

fizj , e che tutte per lui si compiessero le sante cose in 

verso de’ Numi : cbe fosse il custode delle leggi e dei 

patrj costumi: che avesse cura dei diritti provenienti 

dalla natura o dai patti : che esso giudicasse delle in- 

giustizie capitali ; ma rimettesse il giudizio su le altre 

ai senatori , e provvedesse che niente si peccasse ne’ tri- 

bunali: cannasse il Senato, convocasse il popolo, e pri- 

mo vi dicesse il parer suo , ma seguitasse quello dei 

più. Tali sono le prerogative che egli riservò pe’ mo- 

narchi, oltre quella di un comando indipendente nelle 

guerre. Al consesso poi de’ senatori attribuì questi onori, 

e questa autorità : cioè , che esaminassero le cose che 

il re proporrebbe , e ne votassero , ma vi prevalesse la 

sentenza dei più. Trasse quest’ uso ancora da' Lacede- 

moni : perciocché li re de’ Lacedemoni non si pre- 

ponderavano da fare a lor modo , ma l’ autorità su-t 

prema terminavasi nel senato. Lasciò da ultimo al 

popolo il potere di eleggere i magistrali , di appro- 

» 




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LIBRO II, l4l 


Tare le leggi e discutere intorno la guerra quando al 

re ne paresse, non però deOnitivamcnte se contrario 

tosse il senato. Il popolo dava i sufTragj non tutto in 

un corpo , ma convocato per curie ; e riferivasi poscia 

al senato ciocché le più sentenziavano. Ora cangiata è 

la consuetudine ; imperocché non è il senato che ratifica 

le sentenze del popolo ; ma il popolo è 1’ arbitro delle 

sentenze, del senato. Io lascio , che chi vuole esamini 

quale di queste due consuetudini sia la migliore. Con 

tali scompartimenti le cose civili prendeano marcia savia 

e regolata , e le militari altresì la prendeano docile e 

pronta. Imperocché quando fosse piaciuto al re di muo- 

ver l’ esercito , non aveansi a creare i tribuni dalle tri- 

bù , nè li centurioni dalle centurie , nè li maestri dai 

cavalieri ; nè restava àd alcuno di essere coscritto , o 

scelto , o di ricevere il posto che gli conveniva. Ma il 

re intimava i tribuni , e li tribuni i centurioni. All’ av- 

viso di questi ciascuno dei decurioni cavava i soldati , 

subordinati a sé stesso. Così per un solo comando la 

milizia, secondo che era chiamata , in parte o del tutto, 

presentavasi colle arme al luogo destinato. 


Xy. Romolo abilitando la città pienamente per la 

pace e per la guerra con tali istituzioni , la rendè con 

esse grande e popolosa : obbligò primieramente gli abi- 

tanti ad allevare tutta la prole virile, e le primogenite 

delle femmine , con ordine che non uccidessero niun in- 

fante più recente di tre anni , se pure non era storpio, 

o mostruoso fin dalia nascita. Tali sconci bambini non 

proibì che via si esponessero , se presentatigli a cinque 

uomini dei più vicini , vi consentissero. E per chi vio- 




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i43 delle Antichità’ romane 

lasse questa legge stabili fra le altre pene la con6sca di 

una metà delle loro sostanze. Considerando poi che 

molle delle città d’ Italia erano miseramente premute 

dalla tirannide di uno o di pochi; procurò di ricevere 

e di tirare a sè li tanti che ^ne fuggivano , purché fos- 

sero liberi , senza esaminarne i pregiudizi , o la sorte , e 

tutto per ampliare la potenza romana , e diminuire quella 

de’ vicini. Adunque fe’ ciò cogliendone una bella occa- 

sione su le apparenze di onorare gl’ Iddi!. Fondatovi un 

tempio , non saprei deci ferace a quale de’ Numi , o dei 

genj , dichiarò come asilo per chi ricorrevaci il luogo 

tra ’l Campidoglio e la fortezza, ora detto nell’ idioma 

de’ Romani il basso tra le due selve , e nominato allora 

cosi , per essere quinci e quindi coperto dalle ombre 

delle piante amplissime delle terre contigue ai due colli. 

Inoltre per la riverenza de’ Numi, promise a chi rifug- 

givasi al santo luogo che non ci avrebbe molestie dai 

nemici , anzi , che se voleva albergare presso di lui , 

parteciperebbe ai diritti sociali , ed alle terre che leve- 

rebbe altrui guerreggiando. Pertanto vi si affollavano 

d’ ogn’ intorno uomini che fuggivano i mali domestici ; 

nè altrove poi si trasferivano allettati dai colloquj , e 

dalle cortesi maniere di lui. 


XVI. La terza istituzione di Romolo , degna soprat- 

tutto che i Greci la osservassero , e certo la migliore , 

come io penso di tutte , la quale fu principio della li- 

bertà stabile de’ Romani , nè poco contribuì per la for- 

mazione dell’ impero , la terza istituzione fu di non uc- 

cidere tutta la pubertà delie città debellate , nè di ri- 

durre queste come terre da pascervi , ma di mandare 







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LIBRO li: 1 43 


in esse chi se ne avesse in parte i campi , e di ren- 

derle , quando erano vinte , colonie de’ Romani, e tal- 

volta ancora di ammetterle ai diritti stessi di Roma. 

Introducendo queste e simili pratiche fe' grande la co- 

lonia sua di picciola , come la cosa stessa dichiaralo. 

Imperocché quelli che fondarono Roma con esso, erano 

non più che tremila fanti nè meno che trecento cava- 

lieri ; laddove quando egli spari dagli uomini vi lasciò 

quarantaseimila fanti , e poco meno che mille cavalieri. 

Ma se egli basò tali regole , le custodirono poscia i re 

die gli succederono , e dopo i re li magistrali che pi- 

gliavano di anno in anno il comando, aggiungendone 

altre per modo , che il popolo romano trovasi non in- 

feriore a niuno tra quanti sembrano i più numerosi. 


XVII. Ora paragonando con questi i Greci costumi , 

non so come lodare le pratiche de’ Lacedemoni , dei 

Tebani , e degli Ateniesi che tanto pregiano sé stessi 

per sapere. Essi gelosi troppo dell’ incorrotto loro li- 

gnaggio, non comunicarono se non a pochi i diritti 

della propria repubblica , per non dire che taluni ripu- 

diavano anche gli ospiti. Da tale arroganza però non 

solo non raccolsero alcun bene, ma gravissimamente ne 

scapitarono. Cosi gli Spartani battuti nella pugna di Leut- 

tra con perdervi mille settecento de’ suoi : non solo non 

poterono mai più rilevarsi da quel danno , ma deposero 

turpemente il comando : e cosi li Tebani , e gli Ate- 

niesi per la sola sconfitta riportata in Cberonea furono 

in un tempo spogliati da’ Macedoni e della preminenza 

su la Grecia , e della libertà. Ma Roma , brigata in 

guerre gravissime nella Spagna e nella Italia , brigata a 





i44 DELLE Antichità’ romane 

ricuperare la Sicilia e la Sardegna che le si erano ribel-' 

late , quando ardevano tutte in arme contro lei la Grecia 

e la Macedonia, quando Cartagine eie varasi novamente 

a disputarle il comando , quando l’ Italia , non che essere 

quasi tutta in rivolta, trae vale addosso la guerra detta 

di Annibaie ; Roma in mezzo a tanti pericoli , quasi 

contemporanei , non solo non si abbattè ; ma ne rac- 

colse forze maggiori che dianzi , proporzionandosi fino 

per contrapporle a tutti i mali. Ne consegui già questo 

per favore di sorte propizia come alcuni sospettano ; 

mentre per conto della sorte sarebbe andata in rovina 

con la sola sciagura di Canne ^ quando di sei mila suoi 

cavalieri ne rimasero appena trecentosettanta , e di ot- 

tanta mila soldati ne scamparono pochi più che tre mila. 


XVIII. Ora queste e le cose che io son per aggiun- 

gerne fanno che io prenda meraviglia su Romolo. Im- 

perocché avendo concepito che le cause dello stato flo- 

rido di una città sono quelle che tutti decantano , ma 

pochi seguitano, cioè primieramente la carità verso gli 

Iddii, colla quale tutte le cose degli uomini si risolvono 

in bene , e secondariamente la temperanza e la giustizia, 

per la quale men si offendono e più concordano fra 

loro , nè misurano la felicità co’ sozzi piaceri, ma colla 

rettitudine , e finalmente la fortezza nel combattere , la 

quale rende utili a chi le possiede anche le altre virtù ; 

ciò, dico, avendo Romolo concepito, non pensò che 

tali perfezioni provenissero per sè stesse, ma conobbe 

che le leggi provvide , e la bella emulazione nel disci- 

plinarsi, formano appunto una città pia, prudente, giu- 

sta, bellicosa. Adunque molto in ciò vigilando , comin- 







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- L 1 BI \0 II. 145 


ciò dal cullo de’ genj e de’ Numi : e seguendo le leggi 

migliori de’ Greci mise in pregio le sanie cose , io dico 

i templi , gli altari , le statue , le immagini , i simboli , 

le forze, i doni co’ quali gli Dei ci beneGcano, e le feste 

convenevoli per ogni genio o Nume; e li sacriGzj coi 

quali gradiscono essere venerati dagli uomini , e le ces- 

sazioni dalle arme, e li concorsi, e li riposi dalle fati- 

che , e quanto si addita di simile. Ripudiò le favole che 

sen divulgano , sparse di bestemmie e di accuse contro 

di loro , giudicandole ree , dannevoH , obbrobriose , in- 

degne di un uomo dabbene non che de’ Numi ; e ri- 

dusse gli uomini a dire e sentire magniGcamente su’Nu^ 

mi , non a gravarli di cure aliene da una natura beata. 


XIX. Già non si ode tra’ Romani nè Gelo castrato 

da' Agli , nè Crono che stermina i figli per timore di 

essere da loro assalito , nè Giove che scioglie il regno 

di Crono, e rinchiude il suo genitore nella prigione 

del Tartaro. Non le guerre vi si odono , non le ferite, 

e le catene e le servitù degli Dei presso gli uomini : 

non feste vi si usano atre e dolorose per gli cluiaii e 

per il lituo di femmine che piangono gli Dei levati 

loro , come in Grecia il ratto si piange di Proserpina, 

e le avventure di Bacco , e cose altrettali. E quantun- 

que ornai li costumi vi si corrompano , niuno ravvisa 

colà nè uomini invasali da’ Numi , nè furie di coribanti, 

nè baccanali , nè misteri iuelfjbili , nè veglie notturne 

di femmine e raaschj nei templi , nè osservanze consi- 

mili , ma ravvisa tutto praticarvisi e dirvisi verso gli 

Dei con tanta pietà con quanta non si pratica o dice 


BIONICI, tomo I. IO 




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l46 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


tra’ Greci o tra’ Barbari. Eid io vi ho soprattutto ammi- 

rato, che sebbene sieno venute a Roma tante migllaja 

di esteri necessitati a venerare ciascuno i suoi Dii coi 

riti delle patrie loro ; pure mai questa , come pur troppo 

succedette ad altre città , non venne in desiderio di ri- 

ceverne pubblicamente il culto peregrino : e se per le 

risposte degli oracoli introdusse talvolta sante cose come 

quelle della madre Idea , le onorò co’ riti suoi propri! , 

escludendone quanto ci avea di superstizione e di favola. 

Quindi i pretori ogni anno apprestano alla diva Idea 

sagrifizj e giuochi secondo le leggi romane : ma un fri- 

gio , ed una donna , fHgia ancor essa , le immolano il 

sacriGzio. Questi la recano in giro per la città que- 

stuando per la dea come è loro costume, fregiati di 

immaginette ne’ petti , movendo il passo , e percotendo 

i timpani intanto che altri gli accompagnano col suono 

delle tibie , e cantano gl’ inni della gran madre : ma 

ninuo de’ Romani nativi ornato con veste di vario co- 

lore va per la città questuando o sonando di tibia , o 

venerando con frigie adorazioni la diva (i) ; e tutto è 

secondo le leggi ed il voto del senato. Tanto è cauta 

la città su gli usi forestieri interno de’ Numi ; e tanto 

ne ripudia le osservanze vane nè decorose ! 




(i) Questo (ratto su la madre Idea non è ben chiaro. Sembra 

che il culto de lei fosse ricerulo ed eseguito in una parte solamente 

colle leggi romane. Quei riti che non erano ricevati non poteano 

esercitarsi dai Romani. Dei resto Dionigi forse afferma senza verità 

che gli Dei forestieri adottati in Roma non si veneravano co' riti 

ancora de' forestieri . Arnob. lib. a e Valerio Massimo lib. primo 

possono dimostrare il contrario. 





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LIBRO II. 147 


XX. Nè credasi che io non sappia che alcune delle 

favole greche sono utili agli uomini. Certamente talune 

dimostrano allegoricamente le opere della natura : e ta- 

lune furono simboleggiate per confortarci ne’mali; altre 

levano i 'turbamenti ed i terrori dell’ animo , e lo pur- 

gano dalle opinioni non sane , ed altre ancora per altro 

buon termine furono immaginate. Ma quantunque io 

nommeno che gli altri , conosca tali cose , pure vi sono 

assai cauto , ed ammetto piuttosto la teologia de’ Roma- 

ni; considerando che tenui sono i beni derivati dalle 

favole greche e che non possono far utile se non a 

pochi , a quelli cioè che investigano le cagioni per le 

quali furono inventate. Ora ben rari possiedono questa 

fìloso6a ; ma la moltitudine ignorante suole rivolgere al 

peggio i discorsi che se ne fanno , e patirne 1’ una o 

l’altra miseria , cioè di spregiare gl’ Iddii come implicati 

in 'tanto malfare, o di non contenersi m.ii più da in- 

giustizie e da vituperi , vedendo die sono questi gli 

esercizi de’ Numi. 


XXI. Ma lascisi ciò da contemplare a quelli che que« 

sta parte sola si appropriano di filosofia. Quanto al go- 

verno istituito da Romolo io reputo degne della storia 

queste cose ancora : e primieramente il numero delle 

persone che egli deputò per le cure religiose. Certo 

niuno potrebbe additare in altra nuova città stabilitovi fin 

da’, principi .tanto sacerdozio e tanto ministero dei Numi. 

Per non dire de’ sacerdoti gentilizi, furono sotto il regno 

di lui creafi sessanta 'sacerdoti che fornissero le pubbli- 

che divine funzioni delle curie e delle tribù. Nè io qui 

ridico non le cose che descrisse nelle sue antichità 





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i48 DELLE Antichità’ romane 

Terrenzio Varrone , peritissimo tra quanti Borirono ai 

suoi tempi. Poi siccome altri per lo più fanno ineonsi- 

deratamente , e malamente la scelta de’ sacri ministri ; 

siccome altri ne mettono a prezzo le dignità per la voce 

de’ banditori; e siccome altri infine le compartono a 

sorte; egli non volle che fossero il premio dell’argento, 

o della sorte , ma decretò che si nominassero da ' ogni 

curia due uomini , maggiori di cinquanta anni -, pteemi- 

nenti di lignaggio , insigni pe’ meriti , agiati abbastanza 

di averi , nè difettosi in parte della persona. E comandò 

che questi avessero quegli onori non a tempo ma du- 

rante la vita , e che essendo per la età già liberi dalle 

cure militari , lo fossero per legge dalle politiche. 


XXII. E siccome alcuni sagrifizj si aveano a fare 

dalle femmine , ed altri da’ giovani , aventi tuttavia pa- 

dre e madre ; cosi perchè questi ancora degnamente si 

amministrassero , ordinò che le donne de’ sacerdoti fos- 

sero le compagne de’ mariti ancora nel sacerdozio ; che 

esse compiessero le sante cose che le leggi della patria 

non permettevano agli uomini, ed i figli loro prestassero 

il servigio, proprio de’ giovani: Che se non avevano 

prole scegliessero dalle altre case nella curia loro i più 

graziosi tra’ fanciulli e fanciulle, perchè ministrassero, 

quelli fino alla pubertà , queste finché erano pure senza 

le nozze (i). Io credo che Romolo derivasse questé pra- 

tiche ancora da’ Greci ; mentre ciò che ne’ Greci sacri- 




(i) Qnesii fanciulli cosi eleni anche dalle altrui case erano chia- 

mati Camillì e Camille. Plutarco nella vita di Numa accenna elio 

cosi chiamavansi que’giovinelti che ministravano «1 sacerdote di 

Giove, • 




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LIBRO II. 1 49 


ficj forniscono quelle che Canifore si domandano , lo 

compiono tra’ Romani quelle che Camille (i) son dette, 

cinte di ghirlande la testa , come da’ Greci la testa in- 

ghirlandasi delle statue di Diana Efesina. E quanto èse- 

guivano un tempo fra’ Tirreni e prima già fra’ Pelasghi 

i Cadolj nelle adorazioni dei Cnreti e degli Dei Grandi, 

lo ministravano nel modo medesimo ai sacerdoti i garzon* 

celli nominati Camilli tra’ Romani. Prescrisse inoltre che 

intervenisse da ciascuna tribù ne’ sagriGzj un indovino , 

che noi chiameremmo Jeroscopo , ed i Romani chia- 

mano aruspice , serbando in qualche tenue parte la de- 

nominazione primitiva ; e statuì , che li sacerdoti ed i 

ministri loro fossero tutti nominati dalle curie, ma con- 

fermati da quelli che interpretavano i voleri de’ Numi 

colla divinazione. 


XX [II. Ordinate tali cose intorno al servigio divino , 

divise ancora , secondo che era per cosi dire opportuno , 

alle curie le sante cose, destinando a ciascuna i Numi 

ed i genj che in perpetuo adorerebbe ; e tassò per le 

sante cose le spese che aveansi a supplire dal pubblico. 

Celebravano coi sacerdoti le curie i sagriGzj a loro as- 

segna ti. facendo per le feste il convito nelle case delle 

curie.' Perocché vi era in ciascuna curia un cenacolo , 

ed insieme vi era un’ edifizio comune , consacrato per 

tutte ; -.come i Pritanei tra’ Greci. Que’ cenacoli , quegli 

edifizj, curie si, chiamavano , e si chiamano, come le 

partizioni stesse del popolo (a). E tale istituzione sem- 


. (j) La voce Camille manca nel tetto : ma par troppo coerente 

colla totalità del senso, Canifore vai quanto portatrici de' canestri. 

(a) Varroiie uellil>. 4 della lingua latina diceche gli edirizj ciita- 




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l!)0 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


brami che Romolo se l’ avesse dalla disciplina che fio- 

riva allora tra’ Lacedemoni ne’ riti sociali. Licurgo avea 

ciò , fluttua quella fra le tempeste ; e che però debbe 

un uomo savio di stato , legislatore o sovrano che sia 

dar leggi che rendano i privati prudenti e giusti nei 

vivere; Ma qon tutti mi sembra che vedessero egxial- 

mente còn quali industrie e leggi si rendessero tali , e 

sembrami che alcuni assai , per non dire interamente , 

mancassero, nelle parti essenziali e primarie della legi- 

.slazione.; come subito ne’sposalizj e nel convivere colle 

femmine , donde un legislatore dee cominciare , come 

ne cominciò la natura l’ ordine armonioso di noi tutti. 

Imperciocché taluni pigliando esempio dalle bestie vol- 

lero i congiungimenti del maschio colla femmina pro- 

miscui e liberi , quasi fossero cosi per liberare la vita 




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i52 delle Antichità’ homane 

dalle furie amorose, e preservarla dalie gelosie che uc> 

cidono , e rimoverla dai tanti mali che per causa delie 

femmine invadono le intere città , non che le famiglie. 

Altri esclusero dalla città tali silvestri e ferali eoocu» 

bili accordando un uomo per una donna : in custodia 

però delle nozze , e della moderazione delle mogli , 

non tentarono più o meno far leggi , ma se ne asten- 

nero; quasi impossibile fosse il contrario. Aluri nè la- 

sciarono, come taluni de' barbari, le cose amorose senza 

leggi , nè le mogli senza premunirle come i Lacedenào- 

ni, ma vi promulgarono molte e castissime regole. E 

vi furono pur quelli che fondarono un magistrato che 

invigilasse intorno la purità femminile : ma non bastarono 

tali provvidenze alla cura. Fu quel magistrato languido 

più del dovere , nè potè ridurre a pudicizia chi mal ci 

avea contemperata la natura. 


XXV. Ma Romolo non dando azione all’uomo contro 

donna se adulterava , o se abbandonavagli la casa ; 

nè dandola alla femmina che accusava l’uomo di pes- 

sima amministrazione o d’ ingiusto ripudio ; non for- 

mando leggi sul ricevere e sul restituirsi della dote , 

nè definendo altra cosa qualunque , consimili a queste; 

ne stabilì solamente una , migliore assai ( come il fatto 

dichiarò) delle altre, colla quale fe’ le donne' savie e 

pudiche e di ogni onoralo contegno. E la legge fu: 

che la femmina maritala la quale secondo le sacre 

leggi recavasi alt uomo , divenisse partecipe de’ beni e 

delle sacre cose di lui. Gli antichi chiamavano con 

formola romana nozze sacre e legittime la confarrea- 

zioiie per l’uso conume del farro .che . noi Zea chia- 




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LIBRO II. I 53 


nilamo. E come noi Greci tenendo l’orzo per antichis- 

simo diam principio con esso a’ sagrifìzj ; ed que- 

sto. cliiamiamo: cosi li Romani giudicando cibo primi- 

tivo e pregevolissimo il farro; incomincian col farro , 

quante volte una vittima si abbruci. E ul rito persiste, 

nè si compensò con altre squisite primizie. L’ essere le 

donne fatte partecipi con gli uomini di un cibo il più 

sacro e primitivo, e della sorte di essi , qualunque fosse, 

aveva un nome dalla comunanza del farro , e ciò por- 

tava un ligame indissolubile di appropriazione, e niente 

polca disfare quel matrimonio. Questa legge necessitava 

le mogli eome prive d' altro rifugio a vivere co’ modi 

di chi aveasele maritate, e faceva agli uomini tenere 

le donne come cose proprie nè separabili. Quindi una 

moglie pudica e docile in tutto al marito, era appunto 

come r.uorao , l’ arbitra della casa. Morendo 1' uomo , 

ne era la erede , come la figlia del padre : se moriva 

senza figli e senza testamento , essa era la padrona di 

ogqi cosa lasciata da lui , ma se avea de’ figli essa era 

coerede di parte eguali con questi. Che se colei pec- 

cava , avealo giudice della delinquenza , cd arbitro della 

grandezza della .pena : se non che li parenti ancora in- 

sieme coir uomo la giudicavano fra le altre reità , se 

avea contaminato il suo corpo , o se bevuto del vino , 

mancanza certo nel parere de’ Greci tenuissima. Ambe- 

due queste colpe, come le estreme delle colpe femminili, 

ordinò Romolo che si -castigassero : la contaminazione 

qual priimipio d’ insania , e la briachezza qual principio 

della contaminazione. E lungo tempo seguirono ambe- 

due queste colpe ad avere odio implacabile tra’Romani. 




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i54 DELLE Antichità’ RoarANE 


Ora che buona fosse questa legge su le donne; lo at> 

testa la esistenza lunga di essa ; consentendosi che per 

dnquecento venti anni non si sciolse in Roma niun 

matrimonio. Solamente narrasi, che sotto il consolato di 

Marco Pomponio , e di Cajo Papinio , nella olimpiade 

centesima trentesima settima Spurio Garvilio , uomo 

non ignobile , il primo lasciasse la moglie , costretto In- 

nanzi però dai censori di giurare , che la donna sua 

non abitava in sua casa per generare con esso. Certa- 

mente la sua donna era sterile: ma egli per quest’ o- 

pera, quantunque la necessità ve lo' inducesse , ne ‘in- 

corse r odio perpetuo del popolo. • 


XXVI. Tali sono le leggi egregie di Romolo colle 

quali rendè le donne piu disposte inverso de’ -mariti. 

Assai più gravi e più convenienti di queste e molto 

diverse dalle nostre sono le leggi sul rispetto e su la 

corrispondenza de’ 6gli , perchè onorino I genitori col 

dire e col fare quanto comandano. Coloro che ordina- 

rono i governi de’ Greci, istituirono che i' figli rima- 

nessero un tempo , troppo breve , sotto la potestà dei 

loro padri: vuol dire istituirono alcuni che vi restassero 

tre anni dopo la pubertà ; altri , fin che erano celibi ; 

ed altri finché non erano scritti nelle curie pubbliche: 

e questo a norma della legislazione appresa da Soloné, 

da Pittaco, da Caronda, uomini di sapienza riconosciuta. 

Preordinarono ancora delle pene ; ma non gravi su'figli 

indocili , permettendo ai padri di espellerli e diseredarli 

e non altro. Ma le pene miti uon bastano a correggere 

la precipitanza e la caparbietà de’ gióvani , nè a ren- 

derli nel bene attenti di trascurati. Dond’ è che assai 




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LIBRO II. l55 


vlluperii si commettono da’ Ogli contro de’ padri nella 

Grecia. Ma il legislatore di Roma diede a’ padri sul 

• figlio per tutta la vita autorità compiuta di escluderlo , 

di batterlo , di vincolarlo a’ lavori campestri, e di ucci- 

derlo ancora se cosi volessero , quantunque il figlio già 

trattasse le cose pubbliche , già sedesse tra’ magistrati 

supremi , e già si avesse gli applausi per lo zelo suo 

verso del popolo. In forza di questa legge uomini rag- 

guardevoli concionando da’ rostri su cose contrarie al ' 

senato', e care al popolo e divenuti perciò famosi, fu- 

ròno di là staccati e rapiti altrove da’ padri , perchè su- 

bissero la pena che iie voleano ; e traendoseli per lo 

foro , ninno potea liberarli non il console , non il tri- 

buno , e non la plebe da essi adulata , sebbene questa 

*■ valutasse tutti men che sé stessa in potere. Ometto di 

dire quanto i padri uccidessero de’ valentuomini , spin- 

tisi per virtù e per ardore a far magnanime imprese 

ma diverse da quelle prescritte dai padri , come abbia- 

mo di Mallio Torquato e di altri, de’ qnali diremo a 

suo tempo. 


XXYII. Né il legislatore di Roma ristrinse a questo 

soltanto i padri; ma permise loro anche di vendere i 

figli , niente attendendo che altri vinto dalla sua tene- 

rezza riprendesse la concessione come dura e gravosa. 

SopratUttto, chi fu allevato colle maniere molli de’Greci 

riguarderà come a(Cerbo e tirannico, che lasciasse i pa- 

dri utilizzare su’ figli eoi venderli fino a tre volte , dando 

licenza più grande a’ padri sn’ figli che non a’ padroni 

su gli schiavi. -.Perocché il servo venduto una volta se 

riacquista poi la libertà rimane in seguito padrone di 




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1 56 DELLE Antichità’ komane 

sè : ma il figlio venduto dal padre se diviene libero ri-' 

cade di nuovo sotto il padre: e quantunque rivenduto 

e liberatosi per la seconda volta; pur trovavasi ancora 

servo del padre come in principio ; ma dopo la terza 

vendita più non era del padre. Osservavano da principio 

i re questa legge stimandola rilevantissima, scritta o non 

scritta che fosse , ciocché non posso decidere. Disciolta 

poi la monarchia , quando piacque ai Romani che si 

affiggessero nel foro, manifeste ad ogni cittadino., tutte 

le leggi e le consuetudini patrie e quelle ricevute di 

fuori , perchè il diritto comune non finisse col potere 

de’ magistrati ; i Decemviri che erano incaricati dal ' po- 

polo di compilarle, e distenderle , scrissero ancora questa 

legge colle altre: e trovasi nella quarta delle dodici ta- 

vole, che chiamano, che essi esposero nel .fòro. Che * 

poi li decemviri , eletti trecento t^nni appresso per la 

ordinazione delle leggi, non diedero essi i primi questa 

legge ai Romani , ma che ricevutala come antica molto, 

non osarono toglierla, lo deduciamo da molle fonti ,- e 

principalmente dai decreti di Numa tra’quali era scritto; 


Se un padre conceda al figlio di prender moglie la 

quale secondo le leggi sia partecipe delle cose sacre 

e de' beni , questo padre non avrà fin dt. allora più 

facoltà di vendere il figlio. Or ciò non avrebbe., cosi 

scritto, se per le leggi antecedenti non era permesso af 

padri di vendere i figli. Ma basti su 'ciò : frattanto vo- 

glio dcllneare come in compendio la . bella istituzione 

colla quale Romolo ordinò la vita de’ privati. 


XXVIII. Vedendo che le adunanze politiche, ove 

i più sono indocili , non si riJucouo con magistero di 




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LIBRO II. iSj 


parole a vivere temperantemente , a preferire il giusto 

all’ utile , a dumr la fatica , nè riputare cosa alcuna più 

onorata del retto procedere ; ma che piuttosto si dirigono 

ad ogni virtù colle consuetudini buone ; e vedendo che 

quelli ohe si disciplinano anzi di forza che spontanea- 

mente, ben presto, se niente impediscali, ritornano ai 

geiij loro; non concedette che ai servi ed a’ forestieri 

di esercitare le arti sedentarie , illiberali , fautrici dei 

turpi desideri , come quelle che guastano e profanano i 

corpi e le anime di chi vi si applica. E lungo tempo 

rimasero queste ingloriose tra’ Romani, e ninno che 

nativo fosse di que’ luoghi , vi rivolse le industrie sue. 

Lasciò solamente per gl’ ingenui le due cure della cam> 

pagna e delle armi ; perocché vide che con tali maniere 

di vivere gli uomini signoreggiano il ventre , e meno 

languiscono tra gli estri amorosi, nè sieguono quella 

voglia di arricchire che dissocia i cittadini a vicenda , 

ma quella che trae 1’ utile dalle terre o da’ nemici. Ri- 

putando imperfette , anzi litigiose queste vite se disgiunte, 

non ordinò già che una parte si desse ai lavori del 

campi , e 1’ altra andasse e derubasse i nemici come la 

legge disponeva tra’ Lacedemoni; ma prescrisse in co- 

mune li rustici e li militari travagli. Se godea pace, 

; costumavali a star tutti intenti per le campagne , salvo 

il giorno ( ed erari da lui destinato ogni nono giorno ) 

• in cui faceano mercato ; perchè allora amava che accor- 

rendo iu città vi commerciassero. Ma se prorompeva la 

guerra , addestravali a farla , e non cedere gli uni agli 

altri nel faticarvi o lucrarvi; pèrocchè divideva tra loro 

ugualmente, quanto involava al nemico, campi, schiavi, 

danari , e xciidcali con ciò volenterosi ad imprendere. 




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i58 DELLE Antichità’ romane 


XXIX. Spediva , non prolungava i giudizj su le of- 

fese scambievoli ; c quando giudicavale da sé medesimo 

e quando per mezzo di altri: e proporzionava ai delitti 

le pene. Considerando che la paura più* che tutto re- 

spinge gli uomini dalle scelleraggini , coordinò più cose 

per incuterla, come un tribunale, ove sedea giudicando , 

nel più visibile luogo del foro , imponentissimo l’ appa- 

rato de’ soldati , trecento di numero , che lo seguivano , 

e le verghe e le scuri portate da dodici uomini li quali 

nel foro stesso batteano chi avea colpe degne di batti- 

ture , o nella' pubblica luce lo decapitavano, se altri 

ne avesse più grandi. Tale fu l’ ordine del governo in- 

dotto da Romolo , e da queste cose ben si può con- 

ghietturare su le altre. 


XXX. Quanto alle altre opere civili o beUiche di un 

tal uomo , queste ne furono tramandate , degne che si 

intessano ad una storia. Siccome i popoli circonvicini a 

Roma erano molti, e grandi, e bellicosi , nè punto amici 

di essa ; deliberò conciliarseli co’ matrimoni , mezzo gii>* 

dicato dagli antichi saldissimo di procacciar le amicizie. 

Considerando però che tali genti non si unirebbero 

spontaneamente con loro, nuovi di colonia, impotenti 

per danaro , e privi d’ ogni gloria di belle operazioni , 

e che altronde cederebbero violentati , se oltraggiosa non 

fosse la violenza; risolvè, (ciocché avea NumitOre l’avo 

suo materno già suggerito) di faré, ed in copia, i 'ma- 

trimòni col ratto delle vergini. Cosi risoluto , fe’ Voti al 

Dio guidatore dei disegni reconditi , che se la prova gli 

riusciva appunto come la ideava, gli tributereUie ogni 

anno e feste e sagrifizj. Quindi riferito il .disegno in 







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LIBRO li. 1 5() 


senato , e comprovatovi , propose di celebrare giuochi 

solenni a Nettuno , e ne sparse la nuova per le città 

vicine ; invitando chiunque al concorso ed ai giuochi , 

che giuochi sarebbero moltiplici di cavalli e di uomini. 

iVenuii forestieri in copia alla festa insieme colle mogli 

e co’ figli , e compiti già li sagriCzj a Nettuno e li giuo- 

chi, infine nell’ ultimo giorno quando era per dimettere 

la moltitudine fe’ intendere ai giovini che al dare di un 

segno certo, tutti involassero quante a loro ne capita- 

vano , le vergine accorse agli spettacoli , le custodissero 

però quella notte inviolate , ed a lui le recassero nel pros- 

simo giorno. Compartitisi i giovani in truppe non si tosto 

videro elevato il segno convenuto ; si volsero a far preda 

di vergini. Sorgene un tumulto un damore de’ forestieri 

che maggiore ne sospettavano il male. Condottegli nel 

prossimo giorno le vergini , Romolo consolavale disani- 

mate , con dire che tendea quel ratto a maritarle non 

a vilipenderle. £ dichiarando che Greco , e primitivo , 

e nobilissimo era il modo tenuto da lui tra tutti i modi 

co’ quali si procurano le nozze alle femmine ; invitavale 

ad amare gli uomini che la sorte ad essi offeriva. Dopo 

ciò numerando le donzelle e trovandole secenlo ottan- 

talrè ; scelse bentosto altrettanti de’ suoi non maritati , 

e con essi congiunsele. Egli legandole colle nozze se- 

condo il rito della patria , rendeale partecipi dell’ acqua 

stessa , e del foco ; e quel rito mantienesi ancora. 


XXXI. Alquanti scrivono che avvenne un tal fatto 

nell’ anno primo del regno di Romolo : Gneo Gellio lo 

assegna nell’ anno terzo , e ciò pare più verisimile. Im- 

perocché non è- probabile che il capo di una città ua- 




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iGo DELLE Antichità’ romane 


scente si accingesse a tal opera prima clic ne avesse 

costituito il governo. Altri stimano cagione di quel ra- 

pimento la scarsità delle femmine , altri l'impulso a far 

guerra; ed altri più persuasivi, a’ quali io m’attengo, 

la necessità di aver amicizia cogli abitanti vicini. Ripe- 

tevano i Romani anche al mio tempo la festa allora 

consacrata da Romolo chiamandola Consuali (t). In essa 

un altare sotterraneo, scalzato intorno intorno di terra,, 

posto vicino al circo massimo , onorasi con sagriOzj , e 

primizie che bruciansi. Evvi corsa di cavalli sciolti , o 

congiunti ai carri. Conso chiamasi da’ Romani il Nu- 

me a cui tributano questi onori : e taluni con greca 

interpretazione dicono che sia Nettuno , scotitore della 

terra , e che si venera appunto in altari sotterranei , 

perchè questo Dio possiede la terra : ma io ne so’ pure 

altra origine perchè udii che la festa era celebrata per 

Nettuno , e per Nettuno li s giuochi equestri; ma che 

r altare sotterraneo era stato consecrato infine ad un 

genio ineffabile , guidatore e custode de’ segreti disegni. 

E certamente Nettuno in niun luogo tiene altari invi- 

sibili inalzatigli da’ Greci o da’ barbai'i. Pure è difficile 

a diffinire come stiasi la verità. 


XXXII. Come la fama del rapimento delle vergini e 

gli eventi de’ giuochi si sparsero per le città vicine; altre 

si corucciaron su 1’ opera , ed altre invesugando 1’ af- 

fetto ed il fine ond’era avvenuta, la sopporlavanu in 


(i) I giuochi isliluili da Romolo nel ratto delle Sabine furono chia- 

mali Consuali perchè fatti in onore del Dio Conso. Appresso furono 

detti Circensi quando Tarquinio Prisco fece il circo massimo. Sem- 

bra che la prima volta fossero celebrali nel campo Marso. 




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LIBRO II. l6l 


pace. In fine però ne proruppero delle guerre , alcune 

sicuriiniente ben facili ; ma grave e disastrosa fu cjuella 

co’ Sabini. Felice fu l’esito di tutte, come prima che 

si cominciassero ne aveano presagito gli oracoli, i quali 

significavano che grandi ne sarebbero i travagli , ed i 

pericoli , ina lietissimo il fine. Le città che prime si 

misero a tal guerra furono Genina, ed Ànlemna , e 

Crustumero , in apparenza pel ratto delle vergini e jicr 

vendicarsene ; ma la cagione vera che ve le spingeva 

era la fondazione , era il créscere di Roma divenuta 

grande in poco tempo , e la voglia di non trascurare 

che più si estendesse quel male , comune a tutti i vi- 

cini. Ben tosto dunque spedendo ambasciatori ai Sa- 

bini gl’ invitarono perchè fossero i capi nella guerra , 

essi che erano i più polenti di arme e di danaro , de- 

gni di comandare ai vicini , nè oltraggiali menu degli 

altri; essendo le vergini rapite per la maggior parte 

Sabine. 


XXXIII. Ma poiché niente profittavano , pere he gli 

ambasciadori di Romolo contrariavano, ed appiacevoli- 

vano con parole e con opere quella gente ; stanche al- 

fine di perdere più tempo coi Sabini i quali esitavano 

c rimettevano ognora a tempo più rinioto il consiglio 

di guerra , destinarono fra loro di combattere esse i 

Romani; pensando che avrebbono suificieiiza in sè stesse 

di forza , se univansi tutte tre , per invadere una città 

sola , nè grande. Così dunque si coiicerlarouo ; ma non 

si espedirono già per concentrarsi tutti in un esercito ; 

insorgendo innanzi gli altri i Ceuiuesl , pi'imarj già nel 

PÌ0HI6J , tamo I. 1 1 




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iGa DELLE Antichità’ romane 

volere la guerra. Ora avendo questi mossa l’ armata , 

e devastando il campo contiguo , Romolo usci colle sue 

truppe : e piombando repentinamente su' nemici che non 

seu guardavano ; ben presto ne espugnò gli alloggia- 

menti , che appena erano formati. Poi gettatosi appressa 

quelli i quali si rifuggivano nella città , dove non crasi 

udita ancora la sciagura dei suoi , non trovandovi nè 

guardate le mura , nè chiuse le porle ; la invase a pri- 

mo impeto, ed uccise, combattendo, e spogliò colle 

sue mani delle arme il re di essa venutogli incontro 

con forz^ poderosa, 


XXXIV. Cosi prendendo e* comandando la città che 

gli consegnasse le armi , e togliendosene per ostaggio , 

que’ gioviui che più volle; marciò contro gli Antemnati. 

Rendutosj colla subita incursione padrone delle milizie 

di questi , sbandate ancora a far preda , come crasi pa- 

drone renduto delle precedenti , e trattati i vinti nella 

maniera medesima; ricondusse a casa l'esercito, recando 

le spoglie degli oppressi in battaglia, e le pripiizie delle 

prede ai Numi i quali onorò con assai sagriSzj. Andava-, 

massimo della pompa egli stesso in veste di porpora , 

e coronato di alloro le tempie, ma su di una qua- 

driga (i) per serbare la dignità di monarca. Seguivano 


(i) Plutarco scrive c>;e Dipoigi uon dice bene quando afferma che 

Romolo veniva su di un carro. FwyueAer it vac piia-tt 


Aisrue-rur. Tito Livio scrive che Roipolo spo- 

lia ducis hostiunt cacti tuspensa , fabrieato ad id apté ferculo , ge- 

rent , i/t capholium asce/idit. Il Casaubono pensa che Dionigi per 

la non piena peiizia delia lingua latiua interpretasse quel ferculum 

di ^vio, dal quale derivava tali racconti, per cocchio;' quando eia 




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LIBRO ir. ' i63 


le milizie de’ fanti e de’ cavalieri, ornate secondo i loro 

gradi , magnifìcando gl’ Iddii colle patrie canzoni , ed 

il capitano con gli slanci di versi improvvisi. Quelli della 

citii recatisi loro incontro colie mogli e co’ figli, e schie- 

rai isi quinci e quindi per le vie si congraiulavano con 

essi per la vittoria, e davano ogni altro segno di ami- 

^ cizia. Entrata la truppa in città trovò crateri spumanti 

di vino e mense colme di ogni varieià di cibi appiè 

delle case più riguardev.oli pei’chè a piacere vi sì saziasse. 

Cosi andava con trofei e sagrifizj la pompa della vit- 

toria istituita la prima volta da Koniolo , e chiamata dai 

Romani trionfo : ma ora, trascendendo ogni antica sem- 

plicità , spiegasi magnifica e clamorosa come in tragico 

rito , anzi per gala di ricchezze che in prova di virtù. 

Dopo la pompa e dopo i sagrificj Romolo edificò su 

le cime del cimpidoglio un tempio a Giove detto Fé-, 

retilo da’ Romani : Non era grande il sàiito edificio ; 

apparendone ancora i primi vestigi, e vedendosene! iati 

maggiori meno lunghi oi dal vero chi voglia questo (jiove Feretrio 

a cui Romolo offerse le anni , chiamarlo il Dio che 

tiene i trofei , o che porge come altri dicono , le spo- 

glie de’ nemici , o il Dio preeminente , perché supera 

ed abbraccia tutta intorno la natura ed il movimento 

degli Esseri. 


piutlo.s(o come iuterprela Plulaico ciocché ni direbbe trnfeo. Lo 

stesso Plutarco ìoscgiia che Lucio Taripiaio Piiscu fu il (irinio che 

tiiuufasse sul cairu. 




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i64 DELLE Antichità’ romane 

XXXV. Poiché Romolo ebbe tributalo agl’ Iddìi le 

primizie ed i sagrifìzj di ringraziamento , deliberò, pri- 

ma di far al irò , col senato, com’erano da trattarsi le 

città debellate ; ed esso il primo ne dichiarò la sentenza 

che ottima riputava. E piaciuta questa come la più si- 

cura e la più luminosa a quanti erano in quel consesso, 

ed encomiatone pe’ vantaggi che a Roma ne risultavano 

non pur di presente , ma in ogni avvenire; comandò 

che venissero a lui le donne di Cenina e di Antemna 

cadute prigioniere con altre. Riunitesi sconsolaté^, e pro- 

stratesi , e piangendo esse la sorte della patria; accennò 

che frenassero i pianti e tacessero e poi disse: hen do- 

vrebbero i vostri padri , i vostri fratelli , e le intere 

vostre città subire ogni male , perchè scelsero anzi che 

r amicizia la guerra , e guerra non necessaria nè one- 

sta. Nondimeno abbiamo noi deliberato di essere cle- 

menti con essi per molle cagioni, e perchè appren- 

diamo la vendetta de' Numi , pronta contro i superbi, 

e perchè temiamo la indignazione degli uomini, e 

perchè giudichiamo essere la compassione compenso 

non lieve de' mali comuni , noi che già la dimanda- 

vamo dagt altri : e finalmente perchè pensiamo che 

ciò non sarà caro e grazioso poco per voi , congiunte 

finquì co' vostri mariti senza che possano querelar- 

sene. Condoniamo questo delitto , nè togliamo a’ vo- 

stri cittadini non la libertà , non i poderi , non altro 

bene qualunque. Lasciamo noi dunque ( nè già se ne 

avranno a pentire) lasciamo libera a tutti la scelta 

di rimanere in patria se il vogliono , o di traslatar- 

sene. Ala perchè niente pià faccia abberrare le vostre 




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LIBRO II. 1 65 


città, perchè niente più trovisi in esse che possa ri- 

dividerle dcdla nostra amicizia’, rìputianio espedientis- 

simo e saluberrimo per la concordia e sicurezza di 

ambedue se le rendiamo colonie di Roma , e se da 

Roma vi mandiamo abitanti che bastino. Àndcde : 

statevi di buon animo : moltiplicatevi nelt ossequio e 

nella benevolenza de’ vostri mariti; tra’l dolce senti- 

mento che liberi per voi sono i vostri figli , liberi i 

vostri fratelli, libere le patrie vostre finalmente. Ti-i- 

pudiando in udir questo le donne e lagrimando viva^ 

niente di gioja partirono dal Foro. Romolo mandò in 

ciascuna città trecento uomini e le città cederono ad 

essi , dividendolo a sorte , il terzo de’ loro terreni. 


In opposito menò in Roma quanti Antemnati e Ce- 

ninesi vollero trasferirvisi , e raeuovveli colle mogli e 

co’ figli mentre ritenevano in que’ luoghi i campi ad 

essi toccati , e portavano seco il danaro che possede- 

vano. Li descrisse il re ben tosto nelle curie e nelle 

tribù ; nè furono men di tre mila : tanto che ne’ cata-^ 

loghi romani si numerarono allora la prima volta sei 

mila fanti. Genina ed Antemna città non ignobili avean 

greco lignaggio : imperocché tolte ai Sicoli caddero in 

potere degli Aborigeni , i quali erano una parte degli 

Oeijoirj , venuti già dall’ Arcadia , come nel primo li- 

bro fu detto, ma ora finita la guerra divennero colonie 

romane. 


XXXVI. Romolo dopo ciò condusse Tesercito incon- 

tro de’ Crustumerini , apparecchiati meglio che i primi : 

e vintili, quautiinque stati fortissimi (i), nella battaglia 


(i) Qui Dionigi è contrario a Livio il qnale scrive:' Poi t’in- 




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i66 DKLLE Antichità’ romane 

\ in campo e su’ muri, non volle che patissero più oltre; 


ma fece della città , come delie altre una colonia ro- 

mana. Era Cruslumero colonia degli Albani speditavi 

mollo tempo innanzi di Roma. Divulgando la fama in 

molte città la fortezza militare del capitano e la cle- 

menza in verso de’ vinti; si congiunsero ad esso ancora 

non pochi valentuomini ; i quali con tutte le famiglie 

a lui trasferendosi, gli recarono forze non dispregevoll. 

Ed uno de’ colli di Roma ancora chiamasi Celio , da 

Celio che uno fu di que’capi venuti dalla Etruria. Anzi 

a lui si diedero Intere città, cominciando dalla città dei 

Medullini , le quali divennero colonie romane. I Sabini 

al veder ciò se ne conturbarono, accusandosi a vicenda 

che non avessero messo iiu argine alla monarchia dei 

Romani in sul nascere, o che si avessero a brigare con 

lei fatta già grande. Nondimeno parve ad essi che fosse 

da correggere il primo errore collo spedire un esercito 

rispettabile. E riunitisi a congresso In Curi la più co- 

spicua e la più imponente delle loro città , vi decisero 

co’ loro voti la guerra ; creaudone generalissimo Tito 

Tazio re dei Cureli. Deliberato ciò ripatiiaronsl e pre- 

pararono i Sabini la guerra per marciate In su la nuova 

stagione con esercito poderoso contra Roma. 


XXXVIL Intanto Romolo si apparecchiò fortlsslma- 

mente onde jìsosplugere uomini fiorentissimi in arme. 

Elevando le mura del Palatino e torrioni più alti di 




camminò contro de* Crustomenesi g i quali portavano la guerra z 

ftia qui ci ebbe men di contrasto perchè già gli animi erano abbaia 

tuli per le sconfitte degli altri» 




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LIBRO II. 1 67 


esse perché dentro vi si stessè con sicurezza , e circon- 

dando con fossi e irincere 1’ Avventino , ed il Campi- 

doglio che ora chiamano, colli ambedue dirimpetto dei 

primo, e presidiandone l’uno e l’altro con salda guar- 

nigione; ordinò che nella notte vi si riparassero e greg- 

gio e villani. Munì similmente con fossi e palizzate , e 

guardie ogni altro luogo opportuno per la loro sal- 

vezza. Intanto Lucumone , divenuto amico suo non 

molto di prima , Lucumone uomo operoso ed insigne 

nelle arme , venne a lui con buon sussidio di Toscani 

da Vetulonia ; e vennero pure da Albano in copia , 

( e mandavagli 1’ avo materno ) combattitori . commis- 

sari, arteBci di militari stromenti. Diè loro frumento ed 

arme e quanto facea di mestieri, e largamente ne diede 

per ogni vicenda. Poiché furono apparecchiati ambedue 

per r impresa , i Sabini al sorgere della primavera , 

ornai sul pnnto di cavar le milizie , deliberarono di 

spedire , e spedirono prima a’ nemici un ambasceria la 

quale esigesse le donne e la soddisfazione della rapinà 

di esse ; perchè se ’l giusto non ottenevano , apparisse 

che spinti dalla necessità davano alle arme. Romolo 

pregò in opposito che si permettesse alle donne rima- 

nersene con quelli a’ quali si erano maritate giacché re- 

stie non ci convivevano: che se abbisognavano di altra 

cosa, volessero da lui riceverla come da un amico, non 

lo investissero colla guerra. I Sabini non contentati in 

alcuna dimanda menarono in campo venticinque mila 

pedoni e quasi mille cavalli. Non molto differiva dalla 

milizia sabina la romana ; numerosa di ventimila fanti , 

e di ottocenfp cavalieri , ed accampatasi divisa in due 




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l68 DELLE antichità’ EOMANE 


parli dinanzi la città , teneva con una parte il colle 

Esquilino sotto gli auspicj di Romolo, e con l’altra il 

Quirinale ( che allora non avea questo nome ) , e Lu- 

cumone il Tin'eiio erane il capitano. 


XXXV IH. Al conoscere tali disposizioni Tazio re 

dei Sabini levandosi di notte , traversò coll’ esercito la 

campagna , non già per danneggiarla , ina per mettersi 

prima del nascer del sole in sul campo tra ’l Quirinale 

ed il Campidoglio. Ma vedendo che tutto era custodito 

dalle guardie vigili de’ nemici, e che non ci avea luogo 

sicuro per lui , cadde in gravi dubitazioni senza rinve- 

nire intanto come avea da usare quel tempo. Fra tante 

dubitazioni sorsegli una prosperità non pensata ; essen- 

dogli consegnato un de’ luoghi fortissimi con questo 

successo. Rigirandosi appiè del colle Capitolino i Sabini 

per esplorare se ci avea parte niuua , donde potesse 

espugnarsi con sorpresa , o di forza ; videli dall’ alto 

Tarpeja , una vergine cosi nominata , figlia del valente 

uomo al quale era la cura hdata di que’ luoghi : s’ in- 

vaghì la donzella , come scrive Fabio e Ciucio , dei 

braccialetti che que’ Sabini s’ aveano intorno la sinistra , 

e s’ invaghì degli anelli. Brillavano allora di oro i Sa- 

bini, molli nommen che i Tirreni nel vivere. Ma Lucio 

pisone il censore narra che la fanciulla ciò fece sul bel 

desiderio di esporre ai cittadini i nemici , nudi delle 

arme colle quali si difendevano. Ben può da quel che 

siegue raccogliersi qual sia di queste due cose la più 

verisimile. Mandando fuora una serva per una tal por- 

ticina che niun si avvide che fosse aperta, fe’ richiedere 

il monarca Sabino che venisse a lei senza compagni per 




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. LIBRO II. 169 


nn colloquio ; ed essa parlerebbegli di cosa grande e 

necessaria. Accettò Tazio l’ invito su la speranza di un 

tradimento , e recatosi al luogo additatogli , e venutavi 

( che ben lo potè ) la donzella , disse che il padre suo 

quella notte si era allontanato per un tal bisogno dalla 

fortezza , e che le chiavi delle portò erano presso di 

lei : consegnerebbele se a lei venissero quella notte , e 

se in premio della consegna le si dessero quelle fulgide 

cose che ì Sabini portavano tutti nella sinistra. Piacque 

a Tazio 11 partito, e contraccambiatasi ambedue la pro- 

messa con giuramento di non illudersi ne’ patti ; la ver- 

gine distinse la parte per la quale avrebbero a venire 

a quel fortissimo luogo , e distinse 1’ ora della notte in 

che meno s' invigila ; e poi ritornossene , nè quelli che 

eran dentro ne seppero. 


XXXIX. Concordano Gn qui ma non già nel resto 

gli storici romani. Pisone il censorino del quale abbiam 

detto di sopra scrive che Tarpeja spedì quella notte un 

messaggiero che signiGcasse a Romolo gli accordi fatti 

tra i Sabini e tra lei ; e come ella esigerebbe le arme 

difensive di essi , deludendoli coll’ ambiguità de’ trattati : 

egli dunque mandasse altra milizia nella fortezza , e vi 

sorprenderebbe i nemici col capitano spogliati di arme. 

Aggiunge però che il messaggero fuggendosi presso il 

re de’ Sabini gii accusasse i disegni di Tarpeja. Ma nè 

F abio nè Cincio dicono che ciò avvenisse , e sostengono 

che la donzella mantenesse i patti del tradimento. Dopo 

ciò continuano tutti la storia con slmiglianza. Imper- 

ciocché narrano che avvicinatosi il re dei Sabini col Gor 

dell’ esercito colei per adempiere le promesse aprisse 




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j ']0 DELLE Antichità’ romane 

a’ nemici la piccola porla concordata , e che destate le 

guardie del luogo le stimolasse a scampare sollecita- 

mente per tragitti ignoti ai Sabini che ornai possedeano 

la fortezza. Narrano inoltre che i Sabini al fuggire di 

quelli, trovatene le porte aperte, occupassero la fortezza 

abbandonata ; e che la donna avendo prestato i servigi 

pattuiti , ne chiedesse il premio secondo i giuramenti. 


XL. Dopo ciò scrive Pisene che essendo i Sabini 

pronti di dare l’oro di che riluceano ne’bracci sinistri; 

Tarpeja la donzella ue pretendesse non i fregi ma gli 

scudi : che Tazio andasse in collera per l’inganno, ma 

pur si guardasse dal violare i trattati : che era a lui 

sembrato perciò che si dessero alla vergine le arme ri- 

chieste ma per modo , che ricevutele non potesse va- 

lersene : che ben tosto dunque , comandando di essere 

imitato dagli altri , lanciasse lo scudo con quanta avea 

forza contro Tarpeja : la quale investita d’ ogn’ intorno 

e sopraffatta da tanti colpi e si gravi succumbè sotto 

delia tempesta. Ma Fabio ascrive a’ Sabini la frodolenza 

su’ trattati. Perocché dovendo secondo i patti dare a 

Tarpeja le auree cose che dimandava , rattristatine per 

la grandezza di esse , scagliarono su lei le arme colle 

quali si difendevano , quasi scagliar le medesime fosse 

un darle come aveano promesso quanto giurarono. Se 

non che sembra che i fatti consecutivi rendano più ve- 

risimile il giudizio ultimo di Pisone. Certamente fu la 

giovine, dove cadde, onorata di tomba , e la tomba sta 

nel più augusto de’ sette colli , e Roma ivi le replica 

ogni anno sacre libagioni. Io dico ciocché scrive Pisone. 

Cioè se ella fosse morta tradendo la sua patria non 




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LIBRO II. I 7 I 


avrebbe ottenuto niuno di questi due onori nè da quelli 

che ne erano traditi , nè da quelli che ne furono gli 

uccisori : anzi se avanzo mai v’ era del tuo cadavere 

sarebbe stato poi disotterralo e gittato per atternre i 

posteri , e respingerli da simili operazioni. 


XLI. Tazio e li Sabini impadronitisi di quella for- 

tezza , e pigliato senza disagi il più degli appareccbj 

de* Romani , facevano ornai la guerra da luogo sicuro. 

Cosi tenendosi dunque ambedue le armate dirimpetto 

a piccola distanza fra di loro , molti erano in molte 

occasioni li tentativi e gli attacchi senza grandi risultati 

di danno o di utile per ninna delle parti. Due furono 

le battaglie più rilevanti date con tutte le milizie , 

schierate 1’ una contro l’ altra; e grande ne fu la strage 

vicendevole. Ma tirandosi in lungo , ambedue li re con- 

corsero nel sentimento di venire a decisiva giornata. E 

recatisi nello spazio intermedio ai due accampamenti i 

capitani migliori nelle armi ed i soldati già sperimentati 

in mille cimenti fecero memorabili prove dando e ri- 

battendo gli assalti , e traendosene e rimettendovisi 

ugualmente. Coloro i quali contemplavano da luogo 

munito la equilibrata battaglia, e che d’ora in ora pie- 

gava dall’ una o dall’ altra parte , incitando , ed accla- 

mando incoraggivano chi vi si distingueva ; o con pre- 

ghiere e pianti richiamavano chi vacillava o lasciavasi 

ornai sopraffare , perchè vile sempre non rimanesse. 

Dond’ è che gli uni e gli altri erano necessitati a so- 

stenere travagli , maggiori delle forze . Cosi tenuta 

avendo la battaglia nel giorno con sorte eguale ; alfine 

essendo già notte si ravviarono lieti ai proprj alloggia- 

menti. 




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172 DELLE Antichità’ romane 

XLH. Ne’ di seguenti dando sepoltura ai morti rista- 

bilirono i feriti , e procurarono insieme altre forze. 

Poiché parve loro di farsi nuovamente alle mani , tor- 

nati jiel luogo medesimo vi combatterono fino alla 

notte. Prevalsero i Romani in ambe le ale; reggendone 

Romolo stesso la destra , e Lucumone il tirreno la si- 

nistra. Ma restando dubbia ancora nei centro la sorte 

delle armi ; Mezio , cognominato il Curzio, uomo me- 

raviglioso per le forze del corpo , magnanimo nelle 

arme , e chiaro soprattutto perchè noa turbavasi a pe- 

ricoli o terrori , impedì la disfatta totale de’ Sabini e 

portò di nuovo contro de’ vincitori le schiere che sor- 

vanzavano. Costui messo a dirigere 1’ armata del centro 

avea già vinto i nemici che gli stavano a fronte. Vo- 

lendo poi ripristinare lo stato delle ale sabine ornai 

sbattute , e presso a dar volta , esortandovi la sua mi- 

lizia si mise ad inseguire i nemici che fuggivano sban- 

dati da lui, cacciandoli fino alle porte, cosicché Romolo 

fu costretto a lasciare imperfetta la sua vittoria , e ri- 

volgersi ad accorrere contro la parte de’ nemici che era 

vincitrice. Cosi quel corpo de’Sabini il quale pericolava 

si riebbe j allontanaudosegli Romolo colla sua gente : e 

tutto il nembo si raccolse inverso di Curzio e de’ suoi 

che erano già vittoriosi, e questi tenendo fronte per un 

tempo ai Romani combatterono luminosamente. Ma poi 

rovesciandosi troppi su loro ; piegarono e rìpararousi 

negli alloggiamenti , assai contribuendo Curzio alio 

scampo col ritirarli grado a grado , non col fargli in- 

seguire in disordine. Egli flesso arrestavasi in arme , e. 

facea fi'onte a Romolo che lo investiva. E grande e 




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LIBRO II. 1^3 


bella a vedere fu la gara de’ capitani che si attaccavano. 

Alfine essendo già Cur/io ferito, già esausto di sangue, 

riucnlava poco a poco , quando eccogli addietro una 

palude profonda ; difficile da girarla intorno , perchè 

cinta da’ nemici , e dilficilissima da traversarla per lo 

fango che ammassavasene alle sponde , e per le acque , 

che altissime vi erano in mezzo. Inoltratosi dunque vi 

si lanciò con tutte le arme. E Romolo sul pensiero che 

colui quanto prima perirebbe nella palude non poten- 

dovisi perseguitare pel fango e per le molte acque ; si 

rivolse contro degli altri. Ma Curzio dopo molti e lun> 

ghi stenti emerse finalmente còlle arme dalla palude , 

e fu portato a’proprj alloggiamenti. Rimanea la palude 

nel mezzo quasi del foro romano , e lago chiamasi di 

Curzio dalia vicenda ; ma ora è tutta ricoperta dalla 

terra. 


XLIII. Romolo inseguendo gli altri avvicinasi al Cam- 

pidoglio. Spaziava nella speranza di rivendicarselo : ma 

travagliato da molte ferite, e più da un colpo di pietra 

lanciatogli dall’alto nelle tempia fu preso ornai semivivo 

da’ compagni , e riportato dentro le mura. Sbigottirono 

i Romani più non vedendo il capitano, e dicdesi l’ala 

destra alla fuga. Sostenevasi ancora la sinistra diretta da 

Lucumone , uomo chiarissimo nelle arme , e segnalatosi 

per molte e belle imprese in tal guerra. Ma nemmeno 

questa più resse alfine ; quando colpito in un fianco 

da'Sabini cadde pur Lucumone rifinito di forze. Allora 

la fuga fu universale. I Sabini imbaldanziti gl’ incalza- 

vano verso le mura: se non che giungendo alle porte 

pe furono respinti , sboccandone contro loro i giovani 




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i'^4 DELLE Antichità’ romane 

a’ quali aveva il re dato in guardia le mura. Ed a(Yrct- 

taiidosi quanto potè per soccorrerli Romolo stesso, ria- 

vutosi già dalla percossa ; la sorte assai ne variò della 

battaglia. Imperocché li fuggitivi mirando iuaspettata- 

ineute il sovrano , risorti dalla paura , si riordinarono , 

uè più s’ indugiarono a volar su’ nemici. Questi che 

aveano finora pressato i Romani e concluso non esservi 

schermo , che impedisse di prendere la loro città culla 

forza ; non si tosto videro il cambiamento inopinato e* 

repentino , pensarono come scampare sè stessi. Il ritorno 

al campo era precipitoso per essi , inseguiti dall' alto , 

e per istrada profonda. Quindi grande fu la strage loro 

in questa ritirala. Cosi pugnato avendo quel gioruo da 

pari a pari , ma involgendosi ambedue tra casi inaspet- 

tati ; alfine ornai tramontando il sole , si divisero. 


XLIV. Ne’ di seguenti consultarono i Sabini se aves- 

sono a ricondurre in patria l’esercito devastando intanto 

il più che poteano le campagne nemiche , o se di là 

ne chiamassero un altro , ivi trattenendosi cd insistendo 

fiuchè dessero buon fine alla guerra. Ben era misera 

cosa per essi partire, donde mauifeslcrebbcsi la infamia 

che niente aveano conseguilo; ed era misera cosa noni- 

meno il rimanersi non riuscendo loro disegno alcuno 

come speravano. Concepivano poi, che venire a trattali 

co’ nemici, unica maniera conveniente a levarsi di gueiv 

ra , gioverebbe anzi a’ Romani che a loro. Tuttavia uon 

meno , anzi assai più che i Sabini , erano i Romani 

caduti in gran dubbio intorno le cose da fare. Imperoc- 

ché nè volevano rendere nè riteuere le donne ; riputando 

la prima cosa un seguito di uua [lerdila mauilcsta , cd 




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LIBBO n. 175 


un preludio di aversi nccessariamenle a sottomeltere an- 

che ad altri coaiaudi : ma 1’ altra cosa presentava molli 

e gravi mali , distrutte le patrie campagne , e la gio> 

ventò più florida trucidata. Se faceansi a trattar coi 

Sabini , parca loro che questi non ser berebbero alcuna 

misura , per molte cagioni e principalmente perchè i 

superbi insolentiscono non condiscendono col nemico 

che volgesi agli ossequj. 


XLV. Mentre ambedue cosi cogitabondi , e così di- 

sanimati dal cominciare o battaglie o discorsi di ricon- 

ciliazione dispergevano il tempo ; le mogli de’ Romani , 

quelle che erano sabine di origine, quelle per le quali 

ardeva la guerra , congregatesi ed abboccatesi fra loro 

in un luogo medesimo risolverono d’ intramettersi con 

ambi per la pace. Dava tal partito alle altre Ersilia , 

non ignobile di legnaggio tra’ Sabini. Di lei dicono che 

rapita già come vergine con altre donzelle , ora fosse 

maritala. lN|a più verisimile è chi scrive che ella si fosse 

rimasa spontaneamente colla unigenita sua , 1’ una delle 

derubate. Riunitesi a tal sentimento andarono le donne 

in Senato , ed ottenutovi di parlare , ve lo diffusero , 

chiedendo di uscir per un colloquio co’ loro parenti. 

Annunziavano che aveano molte e belle speranze di 

fiduiTe unanimi le due genti e stringerle di amicizia. 

Come udirono ciò quelli i quali consultavano col mo- 

narca assai ne furono dilettati , riputando che questo 

fosse r unico spediente in tanto inviluppo di cose. 

Adunque si decretò che quante Sabine avean Agli tante 

lasciando questi co’ mariti , avessero la potestà di an- 

darne oralrici ai lor nazionali: che quelle però le quali 




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l'jS DELLE Antichità’ romane 

eran madri di più 6gli ne recassero con sè la parte 

che più volcano , e trattassero la riconciliazione de’ po- 

poli. Uscirono dopo ciò tra lugubri vesti , e talune coi 

teneri Ggliuoletti. Giunte al campo sabino mossero col 

piangere e col prostrarsi appiè di chiunque iucontravale 

tanta compassione , che ninno de’ riguardanti potea rat- 

tenere le lagrime. E Tannatosi per esse il fior del Se- 

nato, e comandate dal re che dicessero le cagioni della 

venuta; Ersilia, autrice e guida della S])edizioue, feceiie 

una lunga e patetica sposizione , implorando che do- 

nassero pace a’ mariti appunto in grazia di esse per le 

quali dicevano intimata la guerra. Si adunassero i prin- 

cipi loro; ed essi, veduto 1’ utile puliblico, discutessero 

le condizioni ,per le quali cessassero le discordie. 


XLVI. Ciò detto caddero prostese co’ teneri figli ap- 

piè del sovrano e vi si tennero, finché quelli che erano 

presenti non le rilevarono da terra con promettere che 

farebbono quanto era onesto e possibile. Fattele uscire 

dal Senato , e consultando fra loro , si decisero per la 

pace. E prima si fece la tregua : poi riunendosi i re , 

si concordò su la pace ancora. E tali ne furono le 

convenzioni che sen giurarono. Sarebbero ambedue re 

dei Romani Romolo e Tazio con eguali poteri ed 

onori. La città serbando il nome del suo fondatore 

chiamerebbesi Roma , e romano ogni suo cittadino 

come per l’addietiv- Ma tutti insieme si chiameiiano 

generalmente Quiriti desuntone il nome dalla patria 

di Tazio. Si domicilierebbero que’ Sabini che voleano, 

in Roma , ma comunicandosi le sante cose , c pren- 

dondo luogo nello tribù c nelle curie. Giurate questo 




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LIBRO II. 177 


cose , ed eretti gli altari ove far 1’ alleanza , in mezzo 

quasi della Via 1 Sacra, si mesoolarono insieme. Poi rao* 

cogliendo ogni duce li suoi , tornarono alle proprie 

magioni. Si rimasero in Roma Tazio il monarca e con 

esso tre de’ più , riguardevoli Valerio Voleso , Tallo , 

soprannominalo il Tiranno , ed in fine Mezio Curzio , 

quegli che : avea colle armi trapassato la palude , e vi 

ebbero gli onori che i discendenti loro pur vi godcronow 

Anzi con questi si rimasero amici , consanguinei , e 

clienti , non minori di numero agli altri di Roma. 


XLVIL Mentre ordinavano queste cose parve ai so» 

vrani di raddoppiare il numero de’ patrizj per essersi la 

popolazione moltissimo arnpbata. Adunque segnando in 

X catalogo colle famiglie più nobili tanti cittadini novelli , 

quanti erano i primi , chiamarono patrizj ancor’ essi. 

Poi trascelli cento di «questi col voto delle curie gli 

connumerarono ai senatori antichi. E su ciò concordano 

presso a poco tutti gli scrittori delle cose romane : dif- 

ferisce taluno sul: numero de’ sopraggiunti : dicendo che 

non cento cui cinquanta furono gl’ inseriti al Senato. 

Non consentono però gli storici romani su F onore che 

i re concederono alle donne perchè gli aveano rioou» 

dotti aUa pace. Perocché scrivono alquanti che diedero 

ad esse distintivo grande e moltiplice non pure i prin- 

dpi, ma le curie : le quali essendo trenta , come già 

dissi , presero nome ognuna da queste , giacché trenta 

furono ancora le oratrici. Ma Terrenzio Varrone si di» 

scosta da questi in tal capo, aflermando che i nomi 

erano stati imposti -alle curie anteriormente da Romolo, 


DJOMtGI . tomo X. 




1: py ; 





i-j8 DELLE Antichità’ romane 

quando divise la prima volta il suo popolo: c die quei 

nomi furono desumi da’ capi di esse , o dalle antiche 

lor patrie. Aggiunge che le femmine andate amba- 

sciadrici non furono trenta ma cinqueceutotrentatrè : 

dond’ è che noti sia verisimile che il re concedesse ad 

alcune poche di esse quell’onore, escludendone le altre. 

A me nè tali son parute queste cose da non farne pa- 

rola , nè tali da scriverne dtra il bisogno. 


XLVIII. Ora l’ordine stesso della narrazione dimanda 

che io dica quali e donde fossero i Cureti alla città 

de’ quali apparteneva Tazio , e quei eh’ eran seco. Noi 

cosi ne sappiamo. Nel tempo che gli Aborigeni posse- 

deano 1’ agro Reatino una vergine nobilissima natia di 

que’ luoghi entrò , per danzarvi , il tempio di Enialio. 

Enialio lo chiamano Quirino i Sabini , ed , ammae- 

strati da essi , i Romani , senza che sappiano dire più 

oltre s' egli sia Marte , o tal altro , eguale a Marte in 

onore. £ li primi pensano che 1’ uno e 1’ altro nome 

dicasi del Nume arbitro delle guerre ; ma gli altri che 

sia quel doppio nome non di uno, ma di due Dei bel* 

licosi. La vergine danzando già nel tempio fu dallo 

spirito investita del Nume; e lasciale le danze si ritirò 

ne’ penetrali santi di lui , dove , come a tutti sembra , 

fecondatane , diede un fanciullo , che Modio fu detto , 

ed ebbe soprannome di Fabidio (i). Or questi, adulto 


(i) Vi è chi pensa che il Modio Fabidio sia il Afe £>iuj Fidius 

de’ fìoinaui , forinola colla quale riguardavaisi il Nume tutelare 

della fede, o pure Ercole figlio di Giove. Se ciò lesse, Diouigi 

avrebbe malameuie iuierpiaato quella formula Romana di giura- 

mento. 




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LIBRO II. 179 


feuo nella persona, ebbe forma non umana, ma divina, 

e combattè con preemiuenza di tutti i valentuomini. 

Preso poi dal desiderio di abitare una città che avesse 

la origine da lui, congregando gente io copia da luoghi 

d’intorno, eresse in tempo assai breve quella che Curi 

addimandasi , denominandola , come narrano alcuni , dal 

Nume , dal quale è &ma che egli fosse generato , e 

come altri asseriscono dall’ asta , poiché Curi chiamasi 

1* asta in. Sabina. Cosi scrive Terrenzio Yarrone. 


XLIX. Ma Zenodoto Troizinio uno scrittore del- 

l’Umbria, narra che le genti di essa furono prima abi- 

tatrici de’ campi detti Rèalini : che espulse da’ Pelasghi 

se ne vennero alla terra dove ora soggiornano , e dove 

mutato nome coi luoghi , si chiamarono Sabini per 

Umbri. Porzio Catone dice imposto tal nOme ai Sabini 

da un Nume di que’ luoghi Stoino ( 1 ) Sanco , e che 

Sanco per alcuni vai quanto Dio Fidio, Dice che fii 

domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Te- 

strina presso la città di Amiterna ; che movendosi da 

questo inondarono i Sabini 1’ Agro ReatioQ abitato al- 




(1) Silio nel libro ottavo scrive. 


Ibant et laeti pars tanctum voce canehanl, 


Auetorem genlis , pars laudes ore ferebant , 


Sahe , Uuis , qui de patrio cognomine primus 

. Dixisli poputos magna ditione Sabinos. 


Forse dunque nel testo di Dionigi dee leggersi Sabo e non Sabino. 

Festo e Yarrone additano che Sanco tra’ Sabini siguifìca Ercole. 

Ora Plutarco nel suo Noma e Servio nel libro 8 dell’ Eneide de- 

rivano i Sabiui dagli Spartani, e gli Spartani da Ercole. Quindi 

quel Sabo Sanco non sarebbe che Ercole ; tanto più che Sanco 

'«redesi il me Diut Fiditu, c questa par furatola per additare Ercole. 




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i8o DELLE Antichità’ romane 


lora dagli Aborigeni , e da Pelasghi : e che ne otten- 

nero colla forza delle armi Colina la loro città più 

cospicua : che spedendo dal contado Reatino delle co- 

lonie fondarono altre città non poche , ove , senza cin- 

gerle di mura , si viveano ; e tra queste la città che 

Curi fu nominata : che occuparono campagne lontano 

circa dugento ottanta stadj dall’ AdrìaUco , e dugento 

quaranta dal mare Tirreno: e dice che stendeasi la lun- 

ghezza di quelle poco meno che mille stadj. Secondo 

le storie paesane intorno de’ Sabini abitavano con essi 

già dei Lacedemoni quando Licurgo tutore di Eunomo, 

nipote suo , . dava a Sparta le leggi : e questo perchè 

impazientiti alcuni dalia dura legislazione di lui , stac- 

caùsi da’ compagni abbandonarono affatto la città ; e 

corso ampio tratto di mare , e desiderosi ornai di pren- 

dere terra dovunque, si legarono per voto cogl’Iddii di 

abitare quella appunto ove imprima giungerebbero. Ve- 

nuti nell’ Italia ai campi detti Pomentini nominarono , 

dal mare che aveali portati , Feronia il luogo dove 

prima approdarono , e vi eressero un tempio alia Diva 

Feronia alla quale aveano fatto i lor voti ; e la quale 

mutatane una lettera ora Faronia si chiama. Alcuni da 

indi rimovendosi ne andarono a dimorar tra’ Sabini : e 

però spartane sono molte delle loro istituzioni , spartani 

principalmente gli amori per la guerra ; la parsimonia 

e la durezza nelle opere tutte della vita. Ma ciò basti 

su la origine de’ Sabini. 


L. Ben tosto Romolo e Tazio ampliarono la città 

congiungendole altri due colli , 1’ uno chiamato Quiri- 

nale , e Celio r altro. E ponendo separatamente le case 




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LIBRO II. 1 8 1 


viveasi ognuno nelle sedi sue. Avessi Rouiolo il monte 

Palatino ed il Celio , monte contiguo col primo. ^azÌo 

avevasi il Campidoglio , occupato già ne’ principi da 

esso , ed il Quirinale. Recisa la selva la quale spande- 

vasi appiè del Campidoglio , e ricoperta in gran parte 

di terra la palude , la quale per la concavità dei sito 

rooltiplicavasi dalle acque scese da’ monti , fecero ivi il 

foro, dei quale servonsi ancora i Romani. E là tenendo 

le adunanze, consultavano nel tempio di Vulcano, cbe 

quasi al foro sovrasta. Inalzarono i tem^q , e consacra- 

rono gli altari ai Numi , a’ quali gli aveano promessi 

co’ voti nelle battaglie. Romolo ne eresse uno a Giove 

Statore presso la porta òe Muggiti la quale mena dalla 

via sacra al Palatino , perché quel Nume esaudendo i 

voti di Romolo fe’ cbe l’ esercito suo già fuggitivo si 

arrestasse,, e si volgesse a fronte dei nimico. Tazio ne 

eresse al Sole , alla Luna , a Crono , a Rea , ' come 

pure a Vesta, a Vulcano, a Diana, ad Eniàlio ed altri 

difScili a nominarsi con greca parola. Mise in tutte le 

Curie le mense per Giunone Quirizia (i) le quali esi- 

stono ancora. Dominarono cinque anni insieme senza 

dissidio, e compierono in quel tempo con impresa co- 

mune la spedizione contro de’ Camerini. Impercioccbè 

questi mandando delle masnade assai danneggiavano loro 

il paese : e tuttoché chiamativi non erano mai comparsi 

a darne ragione. Adunque schieratisi a fronte di essi , 

e vintili in campo , e poi nell’ assalto delle mura , gli 

astrinsero a cedere le arme e la terza parte della re- 


(i) Secondo Pesto vuol dire Giunone coW atta, vedi $ 4^ prc- 

oedenle. • 




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iSa PFLLE Antichità’ romane 


gione. Continuando nondimeno i Camerini ad Infestarla 

riuscirono nel terzo giorno I re coll’ armata e li fuga- 

, rono , e ne divisero ogni cosa ai proprii soldati , con- 

cedendo solamente che quelli , se volevano , si domici- 

liassero in Roma. Quattromila quasi ve ii’ ebbero , e lì 

compartirono tra le curie. E Camaria , sorta già tanto 

tempo prima di Roma , Camaria già domicìiio famoso 

degli Aborigeni , e poscia di un ramo di Albani , fu 

ridotta colonia de’ Romani. 


• LL Tornò, nei sesto anno il comando a Romolo so- 

damente , morendo Tazio per le insidie de’ primarj tra 

Laurenlini tesegli per questa cagione. Scorsi gli amici 

di Tazio a far preda nel territorio de’ Laurenlini ne 

aveano rapito danari in copia , e menato via de’ be- 

stiami t uccidendo o ferendo chiunque presentavasi a 

rivendicarseli. Spedita quindi dagli offesi una legazione 

a reclamar la giustizia , Romolo sentenziò che gli o^ 

fensori le si consegnassero. Tazio però sollecito degli 

amici , non istimava bene che si desse alcun cittadino 

perchè si portasse in giudizio tra forestieri e nemici. 

Laonde intimò che quanti si richiamavano della ingiuria 

venissero e discutesserla ne’trihunali di Roma. Cosi non 

trovando giustizia partirono indispettiti gli ambasciadori. 

Ma datisi per isdegno alcuni Sabini a seguitarli gli 

assalirono , che dormivano tra le tende lungo la via 

sorpresivi dalla notte : e spogliatili di ogni cosa , ne 

scannarono quanti giaceansi ancora ne’ letti. Si ricon- 

dussero alia loro città quauti si avvidero a tempo dei- 

r insidie e fuggirono. Dopo ciò venendo ambasciadori 

da Laurento e da molte città si dolsero su’ diritti vio- 

lati, ed intimarono la guerra, se non erano compensati. 





LITtP.O IT. l83 


LII. Sembrava a Romolo , com’ era , terribile 1’ ol- 

traggio d(^li ambasdadori e degno di una subita espia- 

zione , es:;endosi profanata una legge santa. E vedendo 

che Tazio tcneane picciolo conto , egli senza più indu- 

gio presi e legati i complici, li diede agli ambasciadori \ ortato a Roma ebbe magnifica se- 

poltura , e la città gii rinnova ogni anno pubblici sa- 

grifizj. 


LUI, Romolo trovandosi un’ altra volta solo nel prin- 

cipato purificò la infamia commessa contro gli amba- 

sciatori pubblicandone privi dell’ ncque e del fuoco gli 




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i84 DELLE Antichità’ romane 

autori , faggitt già tutti da Roma al primo udire la 

morte di Tazio. In opposito essendogli conseguati da 

Laurento ero la vittoria per saviezza del capitano, 

il quale occupato di notte un monte non molto lontano 

da’ nemici teneavi in agguato il fiore de’cavalieri , e dei 

fanti , giuntigli ultimamente da Roma. Tornati in campo 

ambedue per combattervi come prima , non si tosto diè 

Romolo il segno convenuto a quelli del monte , corsero 

schiamazzando dalle insidie alle spalle de' Vejentani : e 

piombando essi , freschi ancora su uomini stanchi , non 

durarono lunga fatica a travolgerli. Pochi ne morirono 

in campo ; ma molti piò nellt; acque del Tevere , il qual 

fiume scorre presso Fidene, lanciativisi per iscampare 

nuotandovi. Perocché parte per le ferite e la stanchezza 

non resse a compiere il transito , e parte per la impe- 

rizia del nuoto e la confusione dell’ animo in vista dei 

pericoli soccombè tra’ vortici non preveduti. Se i Vejen- 

tani avessero ponderato seco stessi , quanto furono scon- 

sigliati la prima volta , e se avessero dall’ora in poi cei^ 

cato la calma , non sarebbero incorsi in disastri , più 

gravi ancora. Ma sjierando di riaversi de’ mali passati , 

e pensando che vincerebbero di leggeri , se uscissero con 

apparato maggiore ; bentosto arrolate milizie in copia dalla 

città loro , e procuratene presso de’ nazionali secondo i 

trattati di amicizia , marciarono per la seconda volta con- 

tro de’ Romani. Si combattè di nuovo ferocemente presso 




piiuii. iiy Ci( •• 





LIBBO II. ' 187 


Fidene ; e di nuovo i Bonnani vi superarono i Yejenti, 

e ve ne uccisero, e più ancora ve ne imprigionarono. 

F 11 invasa la loro trincierà piena di danari , di arme, di 

S( biavi: furono prese le barche lluviali cariche di vetto- 

vaglia copiosa e con queste per lo fiume trasportati in 

Roma li prigionieri. Fu questo il terao trionfo di Romo- 

lo ma più brillante assai de’precedcnti. Venne dopo non 

molto un' ambasceria de’ Vejenli per chetare la guerra 

e chiedere perdono de’ mancamenti , e Romolo ne se- 

condò le istanze imponendo : che cedessero i terreni 

contigui al Tevere nominati Setlepagi : che non si ac- 

costassero alle saline presso le bocche del Jiume : e 

che dessero cinquanta ostaggi in pegno , che non fa- 

rebbero innovamenti. Si rimisero i Vejeiiti alle leggi: e 

Romolo fece tregua con essi per cento anni , e ne 

scolpi su più colonne le condizioni. Rilasciò senza com- 

penso i prigionieri vogliosi di andarsene ; ma rendè cit- 

tadini di Roma quanti pregiarono di rimanersene, ed 

erano più numerosi degli altri , e li comparti fra le cu- 

rie , e diè loro in sorte le campagne di qua del Tevere. 

. LVI. Quest» furono le guerre di Romolo degne di 

stima e di ricordanza : e parmi , che se egli non sotto- 

mise ancora altri popoli vicini , ne fosse cagione la fine 

prematura di lui , quando era florido ancora per le armi. 

Di questa fine varj e molli ne sono i racconti. Coloro 

.che più ne favoleggiano dicono , che intanto che arin- 

gava le milizie , abbujatosi l’ aere sereno , e fattasi pro- 

cella terrìbile , Romolo diventasse invisibile , e che Marte 

il suo genitore in alto se lo rapisse. Ma chi scrive cose 

più vcrisimili dice che da’ suoi cittadini fu morto ; e 




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i88 DELLE Antichità’ romane 

dice elle gliene fu cagione 1’ aver egli restituito senza il 

voto del popolo , contro la consuetudine , gli osti^gi 

presi gii da' Vedenti ; il non serbare la eguaglianza tra 

i cittadini antichi e novelli , ponendo i primi in altis- 

simo onore, e trascurando gli ultimi: e Gnalmente Tin- 

crudelire nelle pene dei delitti , e lo insuperbire. Impe- 

rocché sentenziando , solo , da sé comandò che fossero 

precipitati dalla rupe non pochi nè ignobili uomini, in- 

colpati di essere scorsi a predare i vicini. Ma soprat- 

tutto ,ne fu cagione , 1’ essersi ornai renduto pesante , e 

dispotico f e tiranno , anzi che principe. Per questo , 

narrano, che i patrizj, congiuratisi, ne decisero la mor- 

te, e la eseguirono nel Senato ; e che divisone in brani 

il cadavere , perclté non se ne sapesse , uscirono occul- 

tandone sotto le vesti ognuno la parte sua , che pdi 

seppellirono , onde renderle invisibili. Altri però nar- 

rano che egli aringando fosse tolto di mezzo da’ citta- 

dini nuovi di Roma ; e che m lanciassero ad ucciderlo 

quando appunto abbuiatosi il cielo, crasi il popolo di- 

leguato , ed egli rimasto senza guardia : e però dicono 

che un tal giorno tien nome da quel dissiparsi di po- 

polo , chiamandosi tuttavia fuga della moltitudine. Sem- 

bra che gli eventi ordinati da’ Numi sui concepimento 

e sul termine di quest’ uomo diano non piccola occasione 

a coloro che fanno de’ mortali un Iddio , e che ne spin- 

gono al cielo le anime più segnalate. Perocché nella 

.compressione della madre di lui sia per uno Dio , sia 

per un nomo , affermano che il soie si ecclissasse , e 

che tenebre , totali come nella notte , coprissero la terra; 

e che il simile avvenisse por nella morte. Romolo il fun- 




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LIBRO II.' 189 


datore di Roma , il primo , assunto da lei perchè la do- 

mioasse, cosi narrasi che finisse. E tutlodiè nella età di 

cioquanlactnque anni , e già monarca da trentasette non 

lasciò rampolli di sua generazione. Novello in tutto del- 

r impero de’ popoli , se lo ebbe nell’ anno suo diciotte- 

simo come unanimi lo ripetono gli storici di queste cose. 


LVII. Nell’anno seguente non si fece alcun re dei Ro- 

mani : ma vigilava su la comune un magistrato detto 

interré, costituito in questa maniera (1). I Patrìzj ascritti 

da Romolo in Senato , dugento , come dissi , di numero 

si divisero io decadi. Poi traendo le sorti diedero la 

reggenza sovrana a que’ dieci che primi erano favoriti 

dalle sorti ; non già che i dieci reggessero tutti in un 

tempo , ma successivamente ciascuno cinque giorni, nei 

quali avea con sé li fasci , e gli altri simboli del regio 

comando. Il primo cedeva il comando ai secondo, que- 

sti al terzo e cosi fino all’ ultimo. Decorso lo spazio dei 

cinquanta giorni, fisso . pe’ dieci , primi nel comandare, 

succedea la decade seconda al governo , e poi le altre 

via via. Finalmente piacque al popolo di abolire questi 

decemvirati , essendo ornai stanco da tanto trasmutarsi 

di comandanti , varj nella natura e ne’ genj. Allora dun- 

que i Senatori convocando l’ adunanza del popolo per 

tribù e per curie renderono ad esso il potere di discutere 

la forma del governo , cioè se volevano un re ; o se an- 

nui magistrati. Ed il po[K>lo non decise già esso , ma 

fece che scegliessero i Senatori , pronto di attemperarsi 




(i) Ciò fu nell’anno 713 avanti Cristo : secondo Catone nell’ an- 

no 38 e secondo Varrone nel 4 ° di Roma. 




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190 DÈLLE Antichità’ romane 

all’ ordìae che approverebbei'o. Parve a tutti di fondare 

la regia domiuasione ; ma non tutti concordavano tra i 

quali si avesse ad eleggere il futuro monarca : e chi pen- 

sava che tra vecchi e chi volea che tra’ novi Senatori 

ossia tra gli aggiunti di poi , à dovesse trascegliere il 

|>er8onaggio che regnerebbe su Roma. 


LYIII. Procedendo la disputa, si convenne finalmente 

su questi due punti : che i Senatori antichi scegliessero il 

monarca non però del ceto loro , ma qualunque altro 

ue giudicassero idoneo; o che farebbono ciò li Senatori 

novelli. Presero essi la scelta i Senatori più antichi , e 

molto consultandone stabilirono ; di non dare , giacché 

essi ne erano esclusi , il principato a niuno degli emuli, 

ma di creare monarca un personaggio cercato ed intro> 

dotto di fuori, nè aderente ad alcuno de’ due > princi- 

palmente perchè semi non ci avessero di discordie. Ciò 

deliberato , destinarono co’ voti loro , il figlio del chia- 

rissimo nomo, Pompilio Pomone , Sabino di lignaggio , 

Numa di nome , e per età prudentissimo , come non 

mollo lontano dall’ anno quarantesimo. Regia ne em 

la dignità dell’ aspetto ; e grandissima la riputazione 

per la sapienza non pur tra’ Cureti ma tra popoli 

intorno. Pertanto riuniti in questa sentenza aduna- 

rono il popolo ; e fattosi in mezzo l’ uno di loro , in- 

terré di que’ giorni , disse : che piaceva a tutti i Se- 

natori di fondare un regio governo : e che egli inca- 

ricalo di trascegliere chi lo assumesse trasceglieva in 

Numa Pompilio il monarca di Roma. Dopo ciò de- 

putando dei Patrizj ; gli spedi perchè invitaswro il va- 

lentuomo alla Reggia. E fu questo nell’ anno terzo della 




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gemati da Romolo per non essere stati con'esso in guerra 

niuna , non godevano terre , nè utile alcuno. Questi 

senza case , e vaganti per la miseria , erano di neces- 

siti nemid ai più ricchi, e vogliosi di mutamenti. Fra 

tali agitamenti fluttuava Roma quando Numa ne prese 

le redini , e su le prime ricreò la classe de* poveri , 

compartendo loro porzione delle campagne possedute da 

Romolo , ed un tal poco ancora de’ terreni dei pubbln 

co. Non togliendo quanto godeano, ai patrizj fondatori 

di ‘Roma , e concedendo ai patrizj più recenti altri onori, 

ne chetò le discordie. Proporzionata come uno stromento 

tutta la moltitudine all’ oggetto unico del pubblicò bene; 

ed ampliato il giro della città con inchiudervi II Quiri- . 

naie, colle non ancora cinto di mura , si rivolse ad al- 

tre istituzioni. E concependo che grande e beata diver- 

rebbe la città che se ne adorna ; procurava queste due 

cose : la pietà primieramente , insegnando agli uomini , 

che gl’ Iddi! sono i datori e li custodi di ogni bene alla 

mortale natura ; e poi la giustizia, dimostrando che per 

essa i beni dispensati da’ Numi arrecano delizioso godi- 

mento a chi li possiede. 


' LXni. Non reputo però che slan tutte da scrivere le 

leggi e le pratiche per le quali consegui 1’ uno e l’altro 

intento e con tanta amplitudine; perchè temo la pro- 

lissità de’ racconti , uè la vedo necessaria ad una storia 

pe’GrecI. Solo ne dirò sommariamente le cose principai 

lissime , idonee a dimostrare la mente di un tanto uoimo, 

cominciando dalle disposizioni di lui sul culto divino. 

Lasciò nel pieno vigore lé consuetudini e le leggi die 




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196 DELLE antichità’ ROMANE 


trovò fondate da Romolo , credendole benissimo istitoite: 

ne supplì quante ne erano state da lui pretermesse ; e 

diè sacri luoghi a’ Numi , non adorati ancora , c fece al- 

tari e tempj , e compartì feste per ognnnp , e ministri 

per le sante cose. Finalmente ne ordinò colle leggi la 

illibatezza, le espiazioni , le suppliche e tante altre ono- 

ri Gcenze e tanto culto ; quanto non mai ne ebbe non- 

barbara gente, nè Greca, nemmeno delle più famose un 

tempo per la pietà. Comandò che Romolo ancora , di- 

venuto più che uomo , s’ intitolasse Quirino , e si ono- 

rasse con templi e con annui sacrifizj. Perocché non sa- 

pendosi ancora come Romolo fosse sparito, se per di- 

vina provvidenza , o se per Iraude umana ; venne in 

mezzo del F oro un tal Giulio , un agricoltore della stirpe 

di Ascanio , uomo incolpabile di costumi , nè capace di 

mentire per utile alcuno. Ora costui disse che tornan- 

dosi di campagna vide Romolo che partivasi di città 

colle arme ; e che fattoglisi più da vicino gl’ intimava : 

O Giulio va , riferisci in mio nome ai Romani ; che 

il Genio che ni ebbe in sorte per custodirmi quando 

io nacqui ; questo, ora che io compiei la mortale car- 

riera , mi solleva tra Numi , e che io sorto Quirino, ^ 

LXIV. Noma stese in iscritto tutte le ordinazioni su 

le cose divine , dividendole in otto classi, quante erano 

quelle de’ sacerdoti. Diè l’ incarico primo delle funzioni 

religiose ai trenta Curioni de’ quali io diceva che coinr 

pieano i sacrifizj comuni delle curie : diè 1’ altro si Ste- 

fanofori detti da’ Greci , e Flamini dai Romani , cosi 

nominati dai portare delle berrette e delle bende ( 1 ) le 

(i) Nel usto PUot e stemma. 0 ptimo era una specie di berretta 




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LIBRO n. 197 


quali portano ancora , e le quali Flama si chiamano : 

diede il terzo ai capitani dei Celeri , soldati come addi- 

tai, che combàttono a piedi e a cavallo in guardia dei 

monarchi; e certo que’ capitani ancora fornivano divini 

ordinati esercizj : diede il quarto a quelli che interpe- 

trano i segni mandati dal cielo , e dichiarano se con- 

ceróOno private o pubbliche cose. I Romani chiamangli 

Auguri dall’ indole dei precetti dell’ arte loro , e noi 

OionopoU li chiameremmo, uomini scenziati in ogni di- 

vinazione de’ segni del cielo , dell’ aere , e della terra. 


Il quinto alle vergini , custodi del fuoco sacro, appellate 

Vestali fra loro dal nome della Diva a cui servono. 

Noma il primo fondò il tempio di Vesta , e misevi delle 

vergini che ministrassero nel culto di lei. Su che rileva 

che io dica alcune poche còse le più necessarie ; diman- 

dandole il sobjetto ; perocché degna ne è la ricerca , e 

degna pur si stima da’ romani scrittori in questo luo 





30 a DELLE ANTICHITÀ ROMANE 


consola di una tomba , non 1’ esequie , non altro rito 

niuno legittimo. Molti sono gl’ indiz) di mancanza nel 

santo ministero, e principalmente lo spegnersi del fuoco: 

accidente che i Romani temono più di tutti i mali, pi- 

gliandolo , e sia qualunque Torigine di esso , come pre- 

sagio della rovina ultima di Roma. E molto ossequiando 

e placandolo; di nuovo riconducono il fuoco nel tem- 

pio. Ma di ciò sarà detto a suo luogo. > 


LXVIIL Ben è degna che raccontisi l’assistenza ma- 

nifestata delia Dea per le vergini indegnamente accusate. 

Credesi questa da Romani , quantunque ioconcepibile , e 

molto gli scrittori ne ragionarono. Quei che vansene a ma- 

niera degli Atei filosofando, se filosofare dee dirsi mai que- 

sto , ripudiano tutte le assistenze de’ Numi avvenute tra 

Greci e tra Barbari , e molto ne deridono i racconti , 

ascrivendole a ghiattanza nmana, quasi niuno de’ celesti 

prenda cura delle cose de* mortali. Ma quelli che non 

levano agl’ Iddi! questa cura , e li giudicano propiz) 

ai buoni, e malafifetU a’malvagj, venendosene con istorie 

moltissime , non prendono per impossibili tali divine 

manifestazioni. Narrasi dunque che smorzandosi un tempo 

il fuoco per poco avvedimento di Emilia, che allora ne 

era la guardiana , perocché ne avea trasmessa la cura 

ad una compagna novella , e di fresco ammaestrata ; 

Borsene in città turbamento ben grande , e si cercò dai 

pontefici se violazione ci avesse nel ministero santo del 

fuoco. Allora, dicono, che Emilia, la incolpabile Emi- 

lia, non sapendo che farsi nell’evento stendesse io pre- 

senza de’ sacerdoti e delle vergini le mani in su l’altare 

e dicesse: o Vesta, o tu Dea, custode di Roma, se 




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LIBRO II. 2o5 


io santamente , e debitamente compiei le sacre tue 

cerimonie ornai da treni anni , se pura l anima mia, 

se immacolate ti si presentarono le membra di questo 

mio corpo , deh ! tu soccorrimi , nè volere trascurare^ 

che la tua sacerdotessa miserandamente si muoja. Ma 

se io pur commisi alcuna cosa men pia , deh ! che 

nelle pene mie la pena si dissipi di Roma. Ciò detto 

è fama che spiccando il lembo dalla veste di lino onde 

era coperta lo gittasse in so 1’ altare : e che dopo la 

preghiera , essendo la cenere già fredda , e già senza 

favilla ninna, brillasse di.su per quel lembo una damma 

copiosa , talché più non abbisognò la città né di puri'* 

ficaztoni , né di fuoco novello. 


LXIX. Più meraviglioso ancora e più somigliante ad 

una favola è ciò che io sono per dire. Narrano che un 

tale accusasse Tuzìa 1’ una delle vergini ma «>n alle» 

gazioni non vere di congetture e di testimonj ; non 

polendo affermare che fosse per lei venuto meno il 

ìkoco : e che la vergine comandata rispondere dicesse 

che smentirebbe co’ fatti le calunnie : che ciò detto in- 

vocata la Dea perché le fosse guida nelle sue vie, s’in? 

camminasse verso del Tevere concedendolo i pontefici, 

seguita dalla moltitudine: che giunta in riva del fiume, 

si ponesse a cimento impossibile, ora passato in pro- 

verbio : cioè, che prendesse acqua con un vaglio vuoto 

e ve la recasse fino al Foro, quivi ai piedi spargendola 

de* pontefici. E narrano che dopo ciò 1’ accusatore di 

lei , per quante ne fossero le ricerche , né vivo più nè 

morto si ritrovasse. Ma quantunque dell’ intramettersi 

della Dea potrei soggiungere più cose ; reputo che ba- 

stino le dette finora. 





2o4 delle Antichità’ romane 

LXX. La sesta parte delie istituzioni religiose fa 

quella intorno àe Salii che chiamansi In Roma. Numa 

stesso li nominò scegliendo dodici decentissimi giovani 

patiizj. Stansi le sacre loro cose nel palazzo ; ed essi 

ne sono chiamati Palatini. Ma gli Agonali , de’ quali 

serbansi le sacre cose nel poggio Collina , questi co- 

gnominati Salj Collini , furono istituiti dopo Noma da 

Ostilio re pel voto fatto da lui nella guerra co’ Sabini. 

Del resto i Salii tutti sono danzatori e lodatori dei 

Numi delle arme. Tornano le loro solennità arca i 

tempi delle nostre Panalenee nel mese detto di marzo : 

si celebrano a pubbliche spese per piò giorni , ed in 

questi guidano per la città cori di saltatori al Foro, al 

Campidoglio , ed altri luoghi speciali , o comuni. Va- 

riopinte ne brillano le toniche traversate con cinture di 

rame ; ed affibbiate sono le trahee loro che chiamano, 

luminose di porpora intorno. Sono le trahee in Roma 

pregiatissime, e proprie del luogo. Torreggiano loro sul 

capo tiare (i) alte con forma di cono, apici dette fra 

loro , ma cirbasie tra’ Greci. Ognuno è cinto di spada; 

stringe colla destra mano un’asta o verga, o cosa con- 

simile ; e colla sinistra uno scudo romboidale , stretto 

ne’ lati , quale è quello de’ Traci , e quale , dicesi che 

in Grecia lo portino quelli che vi celebrano le 'sacre 

cose dei Curetl. I Salj , per quanto io conosco , sareb- 

bero con greca Interpetrazione I Cureli , denominati 




(i) Nel testo sono detti piUi, ma le cirbasie erano specie di tiare 

secondo Esicbio la lesione dello scudo romboidale è del codice V a- 

ticano e par la migliore. 




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LIBRO II. 2o5 


cosi tra noi dalla età giovanile (i) ; ma tra’ Romani 

hanno quel nome dal moversi faticoso : perocché spio 

carsi e battere co’ piè la terra tra lor si chiama salire. 

Per questa ragione medesima quanti altri noi chiame- 

remmo dallo spiccarsi e battere con tal modo , 


essi gli chiamano salitorì con voce originata dai Salj (a). 

Che poi dirittamente io do questi nomi, può chi vuole, 

concluderlo dalle cose che fanno. Movonsi colle arme 

regolatamente al suono delle tibie , ora insieme , ora a 

vicenda , e danzando intuonano patrie canzoni. Ora se 

dee con antichi monumenti procedersi, i Gureti furono 

primi che insegnarono a danzare armati tripudiando e 

battendo con le spade gli scudi : nè bisogna che io ri- 

peta ciocché ha la fàvola su loro , essendo noto poco 

meno che a mtti. 


LXXI. Ben molti sono gli scudi che portano i Salj , 


0 che i loro ministri portano sospesi in su de’bastoni: 

ma tra questi uno ce ne ha che dicesi caduto dal cielo. 

È fama che fosse nella reggia ritrovato di Numa , non 

avendovelo recato ninno , anzi neppur conoscendosene 

la forma nella Italia. Argomentarono da tali due segni 


1 Romani che fosse quell’ arme celeste di origine. E 

volendo, Numa che lo scudo si onorasse , e recasse nei 

dì solenni per la città da’ giovani cospicuissimi , e ri- 

scotesse annui sagrifizj ; e temendo che i nemici in oc* 


. ^ -, 


(i) Quasi aiaao Ktft$ gioTaoi , ma forte ebbero cuti nome ^wi 

rnt cioè dalla tontora : perchè erano tosi nella parte an- 


teriore del capo. 


(a) Si saltava anche prima de’ Salj, però la voce salùores che pre- 

cede non è pptieriote al nome de’ Salj. 




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ao6 DELLE antichità’ ROMANE 

culto lo ÌDsidiassero e rapisserio; dicono che fabbricasse 

molti scudi uniformi a quello caduto dal cielo , accin- 

gendosi Mamorìo artefice a questo , che f arme divina 

per la somiglianza egualissima con altre umane non più 

potesse contrassegnarsi e riconoscersi da chiunque vi 

macchinasse un inganno. Ebbe quel rito de* Cureti ac- 

coglienza e pregio tra’ Romani , come io lo deduco da 

più seghi , e principalmente dai spettacoli nel circo e 

nei teatri. Ne’ quali spettacoli giovinetti già puberi , ac- 

conci d’ abito con cimiero , con spada , e con scudo , 

moTonsi come con le leggi di un ritmo armonioso; e £u- 

tlioni chiamansi i duci della pompa , dalla invenzione 

fattane , sembra , nella Lidia. Questi sono , a me pare , 

immagine de’ Salj ; perocché non fanno appunto come 

i Salj cosa ninna in foggia de’ Cureti sia negl’ inni sia 

ne’ salti; e prendonsi da ogni condizione; laddove i Salj 

deggiono esser liberi e naturali del luogo , e ricchi di 

padre e di madre. Ma perché mai rigirarmi più a lungd 

su queste cose ? 


LXXIL Fu la settima parte delle leggi sacre indiritta 

a dar ordine a’Feciali che chiamano. Questi con greca 

significazione giudici si direbbono della pace : scelgonsi 

tra le più illustri famiglie , e restansi per tutta la vita 

ht santo ministero. Numa anch’egli dava la prima volu 

ai Romani tal ceto venerando. Io non so definire sé 

egli ne derivasse l’esempio dagli Equicoli, come alcuni 

pensano , o se, come Gelilo scrive , da Ardea : bastami 

dir solamente che innanzi Numa non erano Feciali tra 

i Romani. Numa quando era per dar guerra a’ Fidenati, 

perchè aveano fatto scorsa e ruberia nel territorìu'dt 




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LIBRO n. 107 


lui ; Numa gl’ ioslitul , perchè vedessero se voleano pa> 

ciGcarsegli senza le arme, come vinti dalia necessità poi 

fecero. E poiché non ci ha nella Grecia tribunale di 

Feciali; giudico necessario di adombrare quante e quali 

De sieno le incombenze; perchè coloro che ignorano la 

pietà che i Romani coltivano , non si meraviglino che 

tutte ad ottimo fine riuscissero le guerre loro : certa- 

mente imprendeano queste con prìncipj e cagioni one- 

stissime, dond’è che aveano propizj gl’ Iddi! ne’ pericoli. 

Non è già fiicile , per la moltitudine , comprendere le 

cure tutte de’ Feciali. A delinearle però con tocco lieve 

son tali : debbono cioè provvedere ' che i Romani non 

movano guerre ingiuste a ninna città confederata ; che 

cominciando taluna a rompere i trattati verso loro , 

vadano ambasciatori , e ne dimandino il giusto prima 

con parole , poi v’ intimin la guerra , se non ubbidi- 

scono. Similmente se mai confederati alcuni dicendosi 

offesi da’ Romani chiedano de’ compensi , debbono i 

Feciali riconoscere, se quelli han sofferto contro dei 

patti; e se par loro che lamentinsi con diritto fan pren- 

dere e consegnare i colpevoli ai danneggiati. Giudicano 

su gli oltraggi degli ambasciadori , e vegliano per la 

Osservanza fedele dei trattati : fan le paci o le annulla- 

no , se fatte sieno contro le leggi sacre : decidono ed 

espiano , quante sono , le violazioni fatte de’ giuramenti 

e delie alleanze' da’ capitani : ma di ciò dirò ne’ suoi 

Inoghi. Quanto ali’ andarsen’ essi come araldi per esigere 

soddisfazione da città che sembrino offenditrici , ne ho 

conosciuto (peste cose , non indegne ancor esse che si 

risappiano, per la molta cura che involgono della giu- 




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ao8 DELLE ANTICHITÀ.’ BOMANE." 


sUzia e della pietà. Uno de’ Feciali eletti a voti dagli 

altri , cinto degli abiti e delle insegne sacre perchè fra 

tutti distingnasi, vassene alla città rea: ai primo toc- 

carne i conGni , attesta Giove ed altri dumi che egli' 

viene perchè Roma sia compensata : poi giurando che, 

dirigesi alla città colpevole, ed invocando s’ei mentisce, 

maledizioni terribili contro sè stesso e contro Roma , 

slanciasi olure i conGni. Quindi protestandosi ancora col 

primo che gli s’ imbatte , rustico o cittadino che sia , C; 

ripetendo l’ esecrazioni medesime, continua di andare iu 

città ; ma prima di entrarvi protestatosi nel modo ine>. 

desimo col portinajo e con qual’ altro nelle porte gli 

capita il primo, s’inoltra sino al Foro; ove giunto 

parlamenta co’ magistrati ; aggiungendo tratto .tratto giur 

ramenti , ed imprecazioni. Se danno soddisfazione con- 

segnandogli li colpevoli , egli menali seco e vassene , 

amico già , dagli amici. Che se dimandano tempo per 

consultarsi , ripresentasi dopo dieci giorni , e pazienta 

Gno alla terza dimanda. Decorsi trenta di se la città 

non siegue il dover suo , egli invocati i Numi celesti e 

grinfemali se ne parte, questo solo dicendo, che Roma 

deciderebbe , tra la sua calma , su loro. Poi recatosi 

cogli altri Feciali in Senato , dichiaravi come tutto fu 

compiuto secondo le leggi sacre, quanto convenivasi : e 

che se vogliono risolversi per la guerra niente vi si 

oppone dal canto degl’ Iddii. Senza tali pratiche nè il 

popolo , nè il Senato può conchiudere col voto suo j la 

guerra. Questo è quanto abbiamo risaputo su’ Feciali. 


LXXIIL Nelle ordinazioni di Numa intorno le,, cose 

divine v’ ebbe in ultimo la classe la . quale ottennero .• 




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LIBRO II. ^ 209 


quanti aveano in Roma sacerdozio ed autorità superiore. 

Questi con patria voce si chiamano pontefici dal rifarsi 

di un ponte di legno che è uno degl’ incarichi loro ; s 

son gli arbitri di cose grandissime. Imperocché giudi- 

cano tutte le cause sacre de' privati , de’ magistrati e 

de’ ministri de’ Numi : fissano le cose religiose non 

scritte nè solite ; scegliendo le leggi , e le consuetudini 

che stimano più acconcie : esaminano tutti i magistrati 

o tutti i sacerdoti a’ quali è fidata la cura de’sagrificj e ' 

della venerazione de’ Numi: provvedono che i loro mi- 

nistri e cooperatori non violino punto le sacre leggi : 

espongono ed interpetrano il culto de’ Numi e de’ Genj 

a’ privati che lo ignorano; e se colgono alcuno, disub- 

bidiente agli ordini loro, lo puniscono secondo i delitti: 

ma essi non soggiacciono nè a giudizio nè a multe , 

non rendendo ragione nè al Senato nè al popolo. Non 

travierà poi dal vero chiunque vuole chiamare tali sa- 

cerdoti o dottori , o dispensatori , o custodi , oppure 

interpetri delle sante cose. Mancando ad alcuno di loro 

la vita gli viene sostituito un altro , il più idoneo ripu* 

.tato tra’ cittadini ; nè già il popolo sceglielo ; ma essi 

medesimi : 1’ eletto però piglia il sacerdozio , quando 

propizj gli siano gli augurj. E tali sono , oltre alcune 

più piccole , le leggi più grandi e cospicue di Numa 

sulla pietà, compartite secondo i rami varj del culto , 

per le quali Roma ne divenne più religiosa. 


LXXIV. Moltissime poi sono le leggi che guidano 

r uomo a vita frugale e temperata , e che ingenerano 

r amore della giustizia' la quale custodisce in città la 


DIONIGI , tomo I. ■; 




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310 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


coacordia : altre però di queste sono scritte , ed altre 

non scritte ma passate pel lungo esercizio in abitudini. 

E lungo sarebbe a dire di tutte ; ma basterà dire di 

due più degne di ricordanza , e cbe sono argomento 

delle altre. La legge su’ confini da’ poderi fu causa che 

oguuno si contentasse de’ proprj ; non gli altrui deside- 

rasse. Imperocché comandando a ciascuno di marcare 

intorno i proprj poderi , e di porvi de’ sassi per ter- 

mini , dichiarò sagri que’ sassi a Giove Terminatore , e 

volle che tutti periodicamente ogni anno recatisi in sul 

luogo vi facessero sopra de’sagrifizj, e stabili parimente 

una festa in onore degli Dei termini. I Romani chia- 

mano la festa Terminali , da que’ sassi o termòni, che 

essi con simiglianza al nostro idioma, chiamano termini ^ 

mutata una lettera soia. E se alcuno involava o traspo- 

neva que’ termini fu per legge sacro agl’ Iddii ; talché 

potesse , chiunque volevalo , uccidere qual sacrilego im- 

punemente , e senza macchia di colpa. Nè stabili tal 

diritto su’ poderi de’ privati solamente , ma su quelli del 

pubblico eziandio , circondandoli di con&ni ; perchè gii 

Dei termini tenessero distinte le terre comuni dalie in- 

dividuali , e quelle de’ Romani dalle altre de’ convicini. 

Praticano i Romani pur ne’ miei tempi un tal rito , al- 

meno per apparenza , come ricordatore de’ tempi : pe- 

rocché riguardano i termini come Numi , e sagrificano 

ad essi focacce di fior di farina , ed altre primizie di 

frutti , e non già cose animate ; essendo profanità ri- 

putata insanguinarne le pietre. E bisogna che rispettino 

la cagione medesima per la quale fecero d’ogni termine 

un Dio , contenti de’ poderi proprj , non arrogandosi 




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2 I I 




LIBRO II. 


gli altrui colla forza , o coll’ inganno. Ora però con- 

trassegnano i propri  

ma a propagare la giustizia e la moderazione ; e con 

questi tenne il comune di Roma ordinato più ancora 

di una famiglia. 


LXXYI. Con quello poi che ora io sono per dire 

egli fe’ Roma sollecita procnratrice delle cose necessarie 

e delle dilettevoli. Considerando il valentuomo che una 

città istituita per amar la giustizia e serbare la tempe- 

ranza non dovea penuriare delle cose necessarie ; divise 

tutta la campagna in porzioni chiamate pagi, assegnando 

per ciascuna un capo che la visitasse e curasse. Questi 

recandovisi di tempo in tempo , e notandovi i buoni o 

tristi cultori , ne riferivano poscia al sovrano ; ed il 

sovrano ricompensava i buoni con lodi e con altre gen- 

tili maniere ; e svergognava i tristi o mullavali , onde 

accenderli a cultura migliore. Quelli dunque che sciolti 

dalle core della guerra o della città sen vivevano in 

ampio ozio , pagandone col vitupero o colle multe la 

pena , diventavano tutti operosi in lor bene , e riputa- 

vano la ricchezza della terra che è la più giusta di 

tutte, essere ancora più dolce della militare, che incerta 

fluttua ognora. Segui da ciò che Numa fu amato dai 

sudditi , emulato da' vicini , e celebrato da’ posteri. Per 

opera di lui nè sedizione interna disunì la città , nè 

guerra esterna la distolse dalla disciplina sua bonissima 

e mirabilissima. E tanto i circonvicini furono alieni da 




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LIBRO II. 2i3 


prendere la calma inerme de’ Romani come occasione 

d’ invaderli; che se prorompea guerra alcuna tra quelli, 

assumevano i Romani per mediatori; e deliberavano di 

spegnere le inimicizie su le condizioni date da Numa. 

Pertanto io non prenderei vergogna di collocare questo 

uomo tra’ più famosi per sorte beata. Nato di regia 

stirpe ebbe regia presenza, e si esercitò nelle discipline 

non già di lettere vane, ma in quelle donde apprese la 

pietà verso i Numi , e la pratica di altre virtù. Giovine 

fu riputato degno di prendere il comando di Roma : 

ed invitatovi a prenderlo per la bella fama delle sue 

virtù , regnò per tutta la vita su popolo docilissimo. 

Complesso com' era di persona ^ nè danneggiatone mai 

dalla sorte , giunse a lunghissima età. Finalmente con- 

sumato dalla vecchiaja venne meno a sé stesso con 

morte placidissima. Quel medesimo genio di felicità che 

gli era toccato da principio , quello sempre lo accom- 

pagnò finch’ egli non fu tolto dall’ aspetto de’ mortali. 

Visse più di ottant’anni , regnandone quaranlatrè. Di 

lui restarono , come i più scrivono , quattro figli , ed 

una figlia , de’ quali conservasi ancora la discendenza : 

ma Gellio scrive che egli non lasciò che una figlia , 

dalla quale nacque Anco Marzo , terzo re di Roma 

dopo lui. Tutta la città si abbandonò , lui morendo 

al dolore ; facendogli nobilissima sepoltura. Egli riposa 

nel Gianicolo di là dal Tevere. E tali sono le (jose che ‘ 

abbiamo risapute su Numa. . ■ 




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DELLE 




ai4 




ANTICHITÀ ROMANE 


D I 


DIONIGI ALICARNASSEO 




LIBRO TERZO. 


I. IVEancatO Numa Pompilio, i Senatori arbitri nuo- 

vamente de’ pubblici affari deliberarono di conservare il 

governo medesimo: nè già il popolo era di altro avviso. 

Adunque deputarono un numero certo de’ Seniori i 

quali comandassero intanto nell’ interregno. Da questi , 

approvandolo tutto il popolo , fu nominato re Tulio 

, Ostilio , di cui la origine fu , come siegue. Un tale , 

Ostilio di nome , uomo nobile e facoltoso di Medullia , 

città fondata dagli Albani , presa a condizioni da Ro- 

molo e venduta colonia romana , trasportatosi , per do- 

miciliarvisi , a Roma , vi tolse in moglie una sabina , 

la figlia appunto di quella Ersilia , la quale , ardendo 

la guerra co’ Sabini , consigliò le sue nazionali di ao- 




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DELLE Antichità’ romane libro in. 2 i 5 

darne oralrici ai padri loro su de’ mariti , e la quale 

sembra la cagion principale che i due popoli si rac- 

chetassero. Compagno costui di Romolo in più guerre, 

e segnalatovisi per opere grandi ; moti finalmente , la- 

sciando un unico figlio, nel combattere co’ Sabini, e fu 

sepolto dai re (i) nella parte più insigne del Foro , 

onorato di una iscrizione , che la virtù ne ricordava. 

Cresciuto 1’ unigenito suo , e legatosi con nobile matri- 

monio, ne ebbe un figliuolo; e Tulio Ostilio fu questi, 

uomo elBcace. Dichiarato monarca dal voto , dato se- 

condo le leggi dal popolo; i Numi ne approvarono con 

augurj propizi la scelta. Quando egli prese il comando, 

volgea r anno secondo della olimpiade vigesima settima 

nella quale Euriboto ateniese vinse nello stadio essendo 

arconte Leostrato (a). E nello stringere appena lo sceu 

tro si affezionò la classe de’ mercenari e de’ poveri con 

questa liberalissima azione. Aveansi i re predecessori 

eletto ampio e bel territorio , colle rendite del quale 

fornivano i templi di sagrifiz) , e le regie case di ab- 

bondanza moltiplice. Romolo avealo tolto a’ primi pos- 

sessori colla legge delle armi : e morendosi lui senza 

figli , aveaselo goduto Numa che gli succedette nel re^ 

gno. Laonde non era allora quel podere del popolo ; 

ma perpetuamente dei re. Tulio nondimeno concedè 

che si compartisse tra’ Romani privi in tutto di campa- 

gna; dicendo essere a lui sufficienti le sostanze paterne 

per le cose de’ Numi , e della regia famiglia. Sollevò 


(i) Romolo e Tazio. 


( 3 ) Anni di Roma 84 secondo Varrone , 8 a secondo Catone , 

avanti Cristo 670. 




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2i6 delle Antichità’ homane 

Goa questa beneGcenza li cittadini bisognosi ; tanto che 

non più stentassero in servigio degli altri. E perché 

ninno fosse privo di alloggio aggiunse a Roma il monte 

Celio chiamato. Ivi quanti non aveano magione se la 

fabbricarono, pigliatovi sito che bastasse : ed egli stesso 

la sua residenza vi collocò. E tali sono le operazioni 

urbane di quest' uomo degne di ricordanza. 


II. Ma delle militari molte se ne raccontano , ed io 

mi accingo a parlarne , cominciando dalla gueiTa di 

lui con gli Albani. Gluvilio , un Albano , allora magi- 

strato supremo , fu cagione che i dne popoli consan- 

guinei si scindessero , e separassero. Punto da invidia , 

e mal più la invidia potendo rattemperare su la pro- 

sperità de’ Romani, come superbo e maligno per indole, 

risolvè d’ implicare i due popoli in guerra vicendevole. 

Non sapendo però come volgere gli Albani a commet- 

tergli che portasse 1’ esercito contro Roma ; altronde 

non avendone alcuna causa giusta e necessaria; macchinò' 

questa o simile trama. Concitò, promessane la impunità, 

li più poveri e li più baldanzosi degli Albani a far 

preda su’ campi romani: dond’ è che seguendo un gua- 

dagno senza pericolo molti che tra ’l pericolo ancora 

seguito r avrebbero , empierono le terre vicine di assalti 

e di latrocinj. E ciò fece con disegno non alieno, come 

r evento stesso lo dimostrò. Perciocché prevedea che i 

Romani non sofierendo le rapine correrebbono all’ armi , 

che egli potrebbe accusarli al suo popolo come primi a 

romper la guerra : e prevedea che moltissimi Albanesi 

invidiosi delia prosperità della colonia , riceverebbero 

C6n piacere le accuse , e farebbero la guerra contro di 







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LIBRO III. 2I 

senti se fosse da accettarsi il partito. A16ne , ascoltatine 

i roti , tornò nel consesso e disse: A noi non sembra 

o Tulio che abbiamo a lasciare solitaria la nostra pa- 

tria , deserti i templi paterni, vuote le case degli an- 

tenati, e desolata infine quella sede che i nostri padri 

tennero quasi per cinquecento anni; tanto più che nè 

guerra ce ne bandisce , nè flagello niuno del cielo. 

Non però ci dispiace che formisi un Senato , e che 

una sia la città che domini, sut altra ancora. Scrivasi 

questo se così vi pare , tra le condizioni , e levisi ogni 

seme di guerra. Concordi 6n qui , difTerivano poi sa 

la città che prenderebbe il comando. E molti furono i 

discorsi quinci e quindi tenuti, giustificando ognuno che 

dorea la propria città signoreggiare su l’ altra. L’ Al- 

bano insisteva su questo diritto : Noi o Tulio siam da- 

gni di comandare anche al resto d Italia, perchè una 




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LIBRO III. 229 


gente siamo di Grecia, e la più potente che qui in» 

torno si alloggi. Crediamo giusto di precedere i La- 

tini almeno , se non altri , nè già senza cagione; ma 

per la legge comune data dalla natura a tutti gli uomi- 

ni , che 1 padri comandino ai figli : crediamo che ci 

si convenga il Comando su la vostra città, piucchè su 

le altre , che pur sono nostre colonie , delle quali non 

possiamo finora dolerci. Noi abbiamo inviato la colo- 

nia nella vostra ; nè già da tanto tempo che siane 

per t antichità svanito ogni legame di sangue ; ma 

indietro da tre generazioni. Quando la natura avrà 

capovolte le leggi umane facendo che i giovani mag- 

gioreggino su veechj , e li posteri su gli antenati; al- 

lora , e non prima , noi sottoporremo la nostra città 

madre perchè sia governata dalla colonia. Questo è 

ìuno de' titoli della nostra superiorità, nè questo mai ce- 

deremo spontaneamente. Il secondo è tale. Voi lo pren- 

dete , detto non come per calunnia o doglianza , ma 

per sola necessità. Il popolo di Alba mantienesi an- 

cora qual era sotto de' fondatori : nè può alcuno ad- 

ditarvi altro ramo di uomini , se non Greci o Latini, 

partecipi della nostra repubblica: ma voi avete con- 

traffatto la sì gran purità della vostra cittadinanza in- 

trinsicandovi Tirreni e Sabini , ed altri barbari molti, 

erranti e senza patrj lari. Tanto che poco soprawanzavi 

di quell ingenuo lignaggio che da noi vi si diramava, 

ed è questo, come un solo, tra i moltissimi, rice- 

vuti dt altronde. Se noi vi cediamo il comando; il 

». non ingenuo comanderà su l ingenuo , il barbaro al 

Greco , i estero al patriota. Nè già potreste voi dire 







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2.10 DELLE Antichità’ romane 

che non permettete a peregrini di amministrare il co- 

mune , e che voi , naturali del luogo , voi presiedete 

e regnate : voi creale re forestieri , e senatori in gran 

parte di altri popoli. Dite: v'inducete a ciò di vostro 

volere? Ma chi mai di voler suo f chi se più sia va- 

leni uomo abbandonasi cd governo dei meno riguarde- 

voli ? E se apparisce , che voi siete a ciò sospinti da 

necessità , ben sarebbe grande tj pravità , grande la 

manìa nostra se volontarj a tanto c inchinassimo. Da 

ultimo così dico ; in Alba niuna parte ancora si è 

smossa della repubblica : corre già , da che vi si abita 

la decima ottava generazione ; e V ordine ancora vi si 

mantiene , e le abitudini primitive. Ma la vostra città 

senza buorì ordine e senza bel complesso , come nuo- 

va , e sorta da più genti , assai bisogna di tempo e 

di vicende , perchè inferma e scissa , com’ ella è , sì 

articoli e calmisi. Tutti poi concederanno che deono 

le cose ordinate antistare alle disordinate , le cose note 

alle ignote , e le sane alle inferme. Voi dunque chie- 

dendoci in contrario ; non bene adoperate. 


XI. A Fuffezio che cosi ragionava sottentrando Tul.> 

lo rispose , o Fuffezio , o uomini di Alba noi li ab- 

biamo uguali con voi li diritti della natura e del me- 

rito de* progenitori ; perocché vantiamo ambedue la 

origine da capi medesimi. Quindi niuno è di noi da 

meno , o da più dell’altro. Noi non istimiamo nè vero 

nè giusto che debbano le città madri , quasi per legge 

indispensabile della natura, dominare su le colonie. 

E molte sono le nazioni dove le città madri servono, 

non comandano alle colonie. Massimo , luminosissimo 




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LIBRO III. aSi 


esempio del proposito mio si è Sporta , elevatasi a 

comandare non pur gli altri Greci: ma fino i Do- 

riesi da’ quali discendeva. Sebbene e che giova dir 

su gli altri? Voi stessi , voi padri della colonia che 

fece tlioma , voi non siete che un tralcio de’ Laviniesi. 

Quindi se diritto è della natura che le città madri 

regnino su le colonie, non saranno con precedenza i 

Laviniesi li legislatori de’ nostri popoli ? E ciò sia 

detto sul primo de’ vostri titoli sì bello nelle appa- 

renze. 


Siccome tu poscia o Fuffezio ti davi a contrapporre 

r una all’ altra città, quali sono, dicendo che il puro 

lignaggio di Alba rimanesi tale ancora; laddove il 

nostro si è degenerato col tanto soprajfondervi de' fo- 

restieri , e che non sono degni i non ingenui di co- 

mandare agli ingenui , nè i forestieri agl’ interni ; 

vedi, quanto anche in ciò ti sei deviato. Tanto è lungi 

che noi vogliamo vergognarci di rendere la patria no- 

stra comune a chi vuole; che anzi ,, di ciò moltissimo 

ci gloriamo : nè già siamo noi gli autori di tale isti- 

tuzione : ma ce ne diede Atene l’esempio , Atene tra 

Greci famosissima per questo, almeno in parte se 

non in tutto. E questa pratica è sorgente a noi di 

molti beni non che ci dia rimprovero e pentimento , 

quasi per essa, mancassimo. Tra noi comanda e prov- 

vede , e tali altri onori si gode chi di essi è degno 

non chi tiene il molto oro , nè chi può la serie ad- 

ditare degli avi sempre nazionali : perciocché non po- 

niamo in altro la nobiltà che nella virtù. ; l'altra mol- 

titudine non è che il corpo della città il quale som- 




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a3i DKLLE antichità’ romane 

ministra potenza e forza a savissimi consiglieri. Con 

tale benevolenza si è la nostra città fatta grande di 

piccola , e formidabile d' ignobile tra’ popoli intorno, 

ed è cominciata tra noi la forma di signoria , che 

tu o Fuffezio condanni , e che niuna ornai de’ latini 

può disputarci'; perocché sta la potenza delle città 

nella forza delle armi ^ e la forza delle armi nella 

moltitudine delle persone. Ma le città piccole , e spo- 

polate , e però deboli non comandano le altre , anzi 

nemmeno sé stesse. Jo generalmente stabilisco che uno 

debbe esaltare il proprio governo e riprovare quello 

degli altri, quando può dimostrare che la sua città 

col metodo che le ascrive , diviene glande e felice, e 

che le altre se ne decadono e sconciansi appunto col 

non seguirlo. Ora così vanno le cose; la vostra città 

già nel fior della gloria , già ricca di molti beni , si 

è ridotta ad uno scarso abitato ; e noi movendoci da 

piccioli principi abbiamo tra non molto tempo ingran- 

dito Roma più d’ ogni altra città vicina, e colle isti- 

tuzioni che tu ne biasimi. 


Le. nostre sedizioni, poiché di queste ancora tu ne in- 

colpi o Fuffezio, non tendono alla depressione o rovina, 

ma sibbene alla salvezza ed incremento del comune. I 

giovani vi contendono co’ schiari , i nuovi con gli an- 

tichi cittadini chi più debba operare il pubblico bene. 

E per dir tutto in breve , spettano alla città che dee 

comandare le due qualità , forza nel guerreggiare , e 

saviezza nel risolvere; e queste tra noi sono ambe- 

due. Né ce ne fa testimonianza un millantarsene vano, 

ma il fatto che supera ogni dire. Imperocché non era 




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LIBKO ni. 233 


possibile che la nostra città nella terza generazione 

appena dopo la origine, fosse già divenuta sì grande 

e' potente , se non abbondavano in lei senno e valore. 

Argomentano la nostra potenza le tante città. Ialine 

le quali sebbene da voi fondate , pure voi dispregiane 

do , si concederono a noi per essere comandate anzi 

da Roma che da Alba. E questo perchè potevamo noi 

prosperare gii amici e por già gl’ inimici ; ma non 

potfiono gli Albani altrettanto. Ben altre cose e for- 

tissime o Fuff&sio potrei rispondere ai diritti che ne 

presentasti. Ma considerando che vano è il disten- 

dersi , perciocché il dir breve vale quanto il prolisso 

con voi che siete i competitori , ed i giudici; cesso 

tT insistere. Aggiungo soltanto , e finisco, che io penso 

che tunica maniera , bonissima per togliere le nostre 

controversie, della quale si valsero greci e barbari 

ne’ dissidj di principato e di territorj sia questa , cioè 

che gli uni e gli altri veniamo a battaglia con una 

parte solamente dell’esercito, vincolando la sorte della 

guerra alla vita di pochissimi , e concediamo che la 

città che co’ suoi guenneri vince i guerrieri delt emu- 

la , quella domini ancora. Ben è giusto che ove le 

parole non vogliono , i brandi decidano. 


XII. Tali furono le dispute di que’ due principi su la 

preminenza delle città : ma il seguito delle dispute non 

fu se non quello suggerito dal Romano. Imperocché 

quelli di Alba e di Roma presenti al colloquio cercando 

^ un sollecito fine alla guerra ; deliberarono di risolver la 

lite colle armi. G)ncluso ciò, si ebbe controversia intorno 

ai numero de combattenti; non sentendone ambedue li ca- 




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a34 DELLE Antichità’ bomane 


pilani in un modo. Imperocché Tulio voleva che si de- 

cidesse la gara col menomo delle persone , contrappo- 

nendo per combattere uno de’ più riguardevoli Àlbahi 

ad altro simile de’ Romani : ed egli stesso era pronto a 

spendersi per la patria, invitando TAlbano ad emularlo. 

Diceva che era pur bello che quelii che prendono il 

comando delle schiere , prendano pur la tenzone pel 

comando e pel principato o vincano de’’ valent' uomini, 

o vinti ne siano. E qui ricordava quanti capitani e quanti 

re cimentarono la vita loro per lo comune , tenendo 

essi a vii cosa di partecipare al più degli onori , ed al 

men della guerra. L’ Albano credea ben detto che do- 

vessero le due città rischiarsi con pochi: discordava però 

su la battaglia di un solo contro di un solo. Esponeva 

che bello, anzi pur necessario è il combattimento da 

solo a solo intorno la sovranità pe’ capi degli eserciti 

quando fondano la propria potenza; ma che stolido anzi 

vituperoso è ne’ suoi pericoli quando ne disputano due 

città sia che sperimentino sorte propizia sia che malva- 

gia. Adunque consigliava che tre valent’ uomini dell’una 

e tre deU’allra città pugnassero in vista di tutti gli Al- 

bani e Romani ; essendo questo numero , come avente 

principio , mezzo e fine , propriissimo alla total decisione 

della controversia. Ciò stabilito per voto de’ Romani e 

degli Albani il congresso fu sciolto ; e ciascuno ritornò 

nei proprj 'alloggiamenti. 


XIII. Poi convocando i capitani ciascuno le loro mi- 

lizie a parlamento , riferirono la disputa vicendevole , e 

le condizioni ricevute per la soluzion della guerra. Ap- 

provarono vivamente gli eserciti i patti di ambedue li 




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LIBRO III. 




235 


capitani ; e gara meravigliosa di onore comprese centu- 

rioni e soldati ; desiderando moltissimi di riportare la 

palma di quel combattimento , e studiandovisi non pur 

con parole , ma profTerendovisi con preludj di bell' ar- 

dore ; tantoché si rendette malagevole ai duci il giudi- 

zio su quelli che erano i più idonei. Se alcuno vi era 

nobile per luce di origine , o forte per gagliardia di 

corpo , o cospicuo pe’ fatti di arme , o segnalato co- 

munque per eventi ed ardire, insisteva che mettessero 

lui primo fra i U'e. Ma tali fiamme di emulazione che 

più e più si dilatavano in ambedue gli eserciti le ri- 

presse il capitano di Alba col riflettere che la provvi- 

denza celeste antivedendo già da tanto tempo la tenzone 

che sarebbe tra le due città , ne avea preordinato che 

quelli che vi si cimenterebbero fossero non ignobili di 

lignaggio , buoni in guerra , belli a vedere , nè simili 

a molti pe’ casi della nascita rara, meravigliosa , impen- 

sata. Sicinio un di Alba avea nel tempo medesimo ma- 

ritato due figlie gemelle , 1’ una ad Orazio Romano, e 

r altra a Curazio (i) un Albano di popolo. Ingravida- 

rono ancora ambedue queste donne in un tempo , ed 

ambedue diedero nel primo parto prole virile , e trige- 

mina. I genitori pigliandone buon augurio per sé , per 

le famiglie, e per le patrie allevarono e perfezionarono 

tutti que’ gemelli. Iddio , come io dicea da principio , 

diè loro beltade, robustezza, magnanimità; talché non 

cedeauo a niuno de’ben avventurati per indole. A questi 


(i) Mei testo Corazio. Sigonìo crede che vada bene e che in Tito 

Livio si debba leggere Curazio , com' egli ha trovato in un mano- 

scritto e non Cariazio come comnnemente si legge. 




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2 36 DELLE antichità’ EOMANE 


deliberò FufTezio di appropiare la battaglia sa la pre- 

minenza de’ popoli. Quindi invitando vid un colloquio 

il re di Roma gli disse: 


XIV. Un Dio , sembrcuni o Tulio che provvedendo 

le nostre città, dia loro segni manifesti di benevo- 

lenza in p ià cose; come su la tenzone imminente. Cer- 

to ben dee parere in tutto opera divina e meravigliosa 

che si rinvengano per combatterci uomini non inferiori 

a niuno di prosapia , buoni nelle armi , belli a ve- 

dere j originati da un padre , nati da una madre sola, 

e venuti', ciò che è pià singolare, in ungiamo stesso 

alla luce ; e tali sono gli Orazj fra voi , tali fra noi 

li Curazj. Che dunque non abbracciamo una tale 

provvidenza divina , e non assumiamo ambedue per 

questa gara di sovranità que trigemini ? Bisplendono 

tn essi ancora le doti sublimi, quante altre mai ne 

brameremmo in chi fosse per uscire al paragone delle 

armi; ed essi pià che tutti gli Albani e Romani han 

pure il bene che essendo fratelli non abbandoneranno, 

pericolano , i compagni nella impresa. Cesserà su- 

bitamente rimpetto a loro la emulazione difficile a 

calmarsi per altra maniera in altri giovani , de' quali 

tnolti tra voi penso che di virtà competerebbero , come 

Ji'a gli Albani competono. Noi persuaderemo questi 

di leggeri , se additeremo loro come la bontà Divina 

ba prevenuto le sollecitudini umane , dandoci con. 

egualità chi decida con le armi le contese della pa- 

tria. Nè già crederanno di essere superati dalla virtit 

dè' fratelli trigemini; ma da certa prosperità di na- 

tura ed opportunità di fortezza eguale in essi per 

competere. 




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LIBRO III. 287 


XV. Cosi disse Fuffezio , e comune ne fa I’ appro- 

vazione , quantunque presenti vi fossero i più bravi di 

Alba e di Roma. Soprappensò Tulio un poco , e se- 

guì : Ben sembra o Fuffezio che abbi tu saviamente 

concepito. Imperocché meravigliosa è la sorte che ha 

dato in questa generazione ad ambedue le città prole 

tanto simile; quanta altra volta mai non vi s’incontrò. 

Mi sembra però che non abbi tu considerato che as- 

sai rattristeremo i giovani se chiediamo che fra loro 

dontendano. Imperocché la madre degli Orazj nostri 

è sorella della madre de' vostri Curazj : e questi cre- 

sciuti giovanetti nel seno di tali due donne si carez- 

zano ed amansi come fratelli. Bada che non sia forse, 

indegna cosa dare le armi e sospingere gli uni alla 

morte degli altri, questi, congiunti per fratellanza e 

per educazione. Il sangue se vi si astringono , il san- 

gue di cui si lordano ritornerà su noi che ve li astrin- 

giamo. Replicò F ufTezio ; iVbn ignoro o Tulio , il pa- 

rentado de’ giovani ; nè io già , se li ricusano , sono 

per violentare i cugini alla battaglia. Ma non sì tosto 

mi venne in pensiero di mandare dal canto mio li 

Curazj di Alba io gli investigai se porrebbonsi vo- 

lentieri al cimento. E ricevendo essi il dir mio con 

enfasi incredibile e meravigliosa, io fui deliberato 

allora di svelare e proporre quel mio sentimento. Sug- 

geriscoti che anche tu facci altrettanto chiamando quei 

tuoi trigemini, ed esplorandone i cuori. Che se vor- 

ranno anch’ essi esponersi per la patria , tu ne ac- 

cetta la benevolenza : ma se ricusano , tu per niun 

modo non isforzarvegli. Io di loro presagiscoti cioc- 




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238 DELLE antichità’ ROMANE 

c/l’ è degli altri miei. Se come abbiamo ascoltato ( giac~ 

chè venuta è fino a noi la fama della loro virtà ) sa~ 

migliano i pochi bennati, e se bellicosi ancor sono 

per indole ; abbracceranno prontissimi , e senza che 

niuno ve li necessiti , di combattere per la patria. 


XVI. Accolse Tulio il suggerimento : e conchiusa una 

tregua di dieci giorni per consultarsi, e tentare 1’ animo 

degli Orazj, e risponderne ; si ricondusse a Roma. Deli- 

beratosi ne’ primi sei giorni co’ migliori , e vedutili per 

lo più propensi agl’ inviti di Fufiezio; chiamò li fratelli 

trigemini , e disse : Fu/fezio o uomini Orazj , abboc- 

catosi meco nell' ultimo congresso nel campo , mi 

annunziò , che crasi fatto per la provvidenza degli 

Iddii , che si cimenterebbero per V una e per V altra 

città tre bravi , de quali invano ne cercheremmo altri 

più. valorosi, o più idonei, cioè li Curazj per Alba, 

e voi pe'Jìomani. Ciò conoscendo , mi disse, che aveva 

egli primo investigato , se que vostri cugini si espor- 

rebbero volontari per la patria : e trovatili che ar- 

dentissimi correrebbono ad ogn impresa, inanimatone 

mi propose V evento , invitandomi perchè io vedessi 

di voi parimente , se voleste offerirvi per la patria , 

e rispondere in campo ai Curazj , o se lasciaste ad 

altri tanta emulazione. Ben io mi argomentava che 

voi per lo valore dell’ animo, e per la possanza delle 

mani , doti in voi non occulte , spontanei più che tutti, 

vi rischiereste per trionfare : ma temendo che la con- 

sanguinità vostra co’ tre gemelli di Alba non fosse 

un impedimento al vostro ardore , chiesi tempo a ri- 

solvermene , e feci tregua con lui di dieci giorni. Re- 




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LIBRO III. 289 


stituitomi in Roma adunai li senatori, e proposi l’qf- 

fare sicché ne discutessero. Parve al più, di loro 

che se voi spontanei vi mettereste alla impresa, bella 

e degna di voi , impresa che io già voleva , solo io 

per tutti combatterla ; allora ve n esaltassi e v ac-^ 

cettasi. Ma se voi, restii contro al sangue de vostri, 

e non già confessandovi pusillanimi, dimandereste al- 

tri fuori della vostra famiglia ; allora , parve loro , 

che io non dovessi farvene la menoma violenza. Così 

pronunziava il Senato : nè già ne avrà egli ramma- 

rico se voi riguarderete la impresa come grave: ma non 

picciola è la gratitudine che dovravvene , se voi pre- 

gierete la patria più de’ parenti. Or su ponderate col 

bene vostro , ciocché siate per farvi. 


XVII. Udendo i giovani questo ; si ritirarono , e con- 

ferirono brevemente. Tornatisi quindi a rispondere cosi 

disse il maggiore fra loro : Se noi fossimo liberi; se 

fossimo gli arbitri unici delle nostre risoluzioni; e tu 

ci avessi o Tulio incaricato di consultarci su la pu- 

gna contro i nostri cugini: già ti avremmo risposto 

de' nostri voleri. Ma perocché vive il nostro genitore 

senza cui niente vorremo dire nè fare ; preghiamoti 

che ci concedi alcuna requie a risponderti , finché ce 

ne intendiamo con esso. Encomiando Tulio la pietà 

loro , e volendo che cosi appunto facessero ; partirono 

in verso dei padre. Dichiaratogli l' invito di F uffezio, il 

colloquio di Tulio con essi , e la risposta vendutagli ; 

alfine insisterono perchè dicesse ciocch'egli ne sentisse. 

E colui sottenlrando disse : Pietosamente o figli ado- 

peraste riserbandovi al padre , nè risolvendovi senza 





a4o DELLE Antichità’ romane 

lui. Ma ò tempo ornai che voi pure vi manifestiate 

idonei a tali consigli : concepite già venuto il fine dei 

miei giorni; palesatemi ciocché scegliereste di fare , 

deliberandovi tra voi sema del padre : Allora cosi 

rispose il maggiore: Noi o padre assumeremmo a noi 

di combattere per la preminenza di Roma, e ci por- 

remmo alle vicende che a Dio si piacessero; bramosi 

anzi di morire che di vivere indegni di te e degli oìv- 

tenatì. Il ligame del sangue co’ nostri cugini non lo 

avremo noi sciolto i primi; ma come sciolto già dalla 

sorte , placidi lo mireremo : perocché se i Corcai; sti- 

mano la parentela men che il benfare ; nemmeno agli 

Orca] parrà quella più. onorevole della virtiu Come 

il padre conobbe i loro sentimenti , divenutone lietissi- 

mo, e sollevando le mani al cielo , parve che rendesse 

copiose grazie agl’Iddii, perchè gli avessero dato figli 

onesti e generosi. Quindi prendendoli uno per uno , e 

dando loro soavissimi amplessi e baci di amore , voi vi 

avete, disse, magnanimi figli , anche il mio voto. An- 

• date j rispondete a Tulio i pietosi e belli sentimenti. 

Allora giojosi quelli per le ammonizioni paterne si di- 

visero, e corsi al monarca accettarono la battaglia. E 

colui convocato il Senato , e mollo encomiativi i gio- 

vani spedisce messaggeri alPAIbano per dichiarargli che 

i Romani sieguono ,il suo volere , e pongono gli Oraz) 

per combattere sul principato. 


XVIII. Ora dimandando il subbletlo che rappresentisi 

diligentemente la forma della battaglia , nè scorrasi di 

volo su’ casi che la seguirono, simili a quelli di una 

tragedia , tenterò di pareggiare , quanto io posso , coi 




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LIBHO III. 34 I 


detti ogni cosa. Venuto il tempo di compiere le con- 

disioni , uscirono tutte in campo le milizie romane , e 

dopo le milizie , fatte prima suppliche ai Numi , usci- 

rono i giovani. Essi ne andavano compagni del re , 

mentre il popolo per tutta la città gli acclamava , e 

spargeva loro de’ fiori sui capo. Erano già uscite an- 

ch’esse le schiere albane. Collocatesi le une in vicinanza 

delle altre destinarono per teatro dell’ azione il campo 

che separa i confini di Alba e di Roma ove già s’ al- 

loggiavano entrambi gli eserciti. Quivi sagrificando giu- 

rarono anzi tutto Romani ed Albani su le vittime che 

ardevano di essere contenti della sorte la quale per 

r una e per l’altra città risulterebbe dal combattere dei 

cugini, e di osservare santamente i patti senza mescervi 

inganno , essi nè i posteri. Compiuti tali sacri riti in 

verso de’ Numi si avanzarono in arme dal proprio 

campo , spettatori gli uni e gli altri della battaglia ; la- 

sciando , tre stadj o quattro di spazio intermedio pei 

combattitori. Prescntaronsi indi a non molto il capitano 

di Alba ed il re di Roma conducendo quello i Curazj, 

e questo gli Orazj , armati splendidissimameute , e con 

apparato quale il prendono , uomini destinati alla morte. 

Giunti gli uni vicino agli altri consegnarono le loro 

spade agli scudieri ; e corsero e si abbracciarono, pian- 

gendo vicendevolmente , e chiamandosi co’ più teneri 

nomi; talché datbi tutti intorno alagrimare, accusavano 

la grande inumanità loro , e de’ capitani , perché po- 

tendo definire la lite con altri , l’ aveano ridotta al 

sangue de’ parenti ed ai contaminarsene delle famiglie. 


DIOHIGI , Uno X. „ '*» 




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242 DELLE Antichità’ romane 

Staccatisi CDalmente i giovani dagli amplessi , ripigliale 

dagli scudieri le spade , e già ritiratisi quanti s’ aveano 

intorno , si contrapposero secondo la statura , e si av- 

ventarono. . 


XIX. Stavansi Gn qui le milizie placide e senza cla- 

mori : ma poi da ambedue proruppero grida frequenti , 

esortazioni scambievoli per chi avea da combattere e 

voti e rammarichi , e continui suoni di voce , varj se- 

condo r ondeggiare vario della mischia , quali per le 

cose fatte e vedute dall’ una e dall’ altra parte , e quali 

per le cose future o pronosticale : ma più dalle imma- 

ginazioni ne derivavano che dai successi ; perocché la 

visione fatta in tanta distanza non era ben chiara ; e 

passionandosi tutù pe’loro combattenti, prendeano come 

avvenuto quanto ideavano. E gli assalti incessanù , le 

ritirate degli emuli , e li passaggi rapidi , e li rivolgi- 

menù (i) degli uni in su i luoghi degli altri levavano 

ai riguardanù la forza del distinguere. Durò tal vicenda 

gran tempo; perocché gli uni e gli altri aveano pari le 

forze del corpo , pari la generosità degli animi , e bo- 

nlssime le armi che li circondavano; nè rimaneano loro 

membra alcune indifese ; tanto che feritivi , subito ne 

morissero. In tale stato molti Romani e molti Albani 

in mezzo all’ansia di vincere e nel commovei'si pe’loro 

atleti , s’ inGammavano , elGgiandosi appunto con gli 

affetti di quelli , quasi volessero anzi star nel conflitto , 

che rimirarlo. AlGne il maggiore degli Albani serratosi 

col Romano che stavagli a fronte , e dando e ricevendo 


(1) Cioè il voiiat della taccia, molalo luogo. 




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LIBRO III. 243 


colpi su’ colpi ; immerse non so come la spada nel> 

r anguinaja dell’ emulo. Questi ingrevilo già da altre 

ferite ai riceverne l’ ultima e mortale , cadde , rilascian* 

dosi nelle membra , e spirò. Alzarono a tal vista gli 

spettatori tutti le grida ; gli Albani come già vineitori , 

e li Romani quasi già vinti ; concependo i due loro 

fàcilissimi da essere conquisi dai tre degli Albani. Frat' 

tanto il Romano che era per soccorrere il caduto com> 

pagno y vedendo quanto l’Albano rabbellivasi ai fausto 

evento , si spiccò come un lampo su lui , e menando 

e riportando ferite in copia , alfine gli cacciò la spada 

nella gola e lo uccise. Ricambiatisi in poco d’ ora i 

successi de’ combattenu , e le affezioni degli spettatori , 

elevandosi i Romani dal primo abbassamento , e per^ 

dendo gli Albani la esultazione ; un’ altra volta ancora 

la sorte spirò contraria ai Romani, e ne umiliò le spe concio ; por zoppicandone , ed appoggiandosi via via su 

lo scudo , reggeva ancora , e si ritirava presso del fra- 

tello rimastogli , che starasi alle prese col Romano. Re- 

stava a questo F uno de' contrarj a fronte , venendogli 

r altro da tergo. Allora temendo che avendola a fare 

con due che da due lati lo investivano , sarcbbenc fa- 




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244 DELLE ANTICHITÀ.’ EOMANE 


cilmente rlnthiuso : e trovandosi invulnei^to ancona ; 

pensò di separare i nemici e combatterne . 1’ uno dopo 

r altro. Concepì che avrebbeli facilmente disgiunti se 

facesse vista di fuggire; non potendo ambedue segui* 

tarlo , giacché vedeane l’ uno infermo del piede. Cosi 

deliberato fuggi con quanto avea di velocità , nè gli 

vennero meno le speranze. L’ albano che non avea piaga 

mortale , tennegli immantinente appresso; ma l’ invalido 

a camminare si rimase più addietro che non dovea. Qui 

gli Albani confortavano i suoi : riprendevano i Romani 

il proprio guerriero : anzi cantavano quelli e si magui- 

fìcavano , come sul termine glorioso della impresa ; ma 

s addoloravano gli altri come non più potesse la for- 

tuna rasserenarsi verso di loro. Quando ecco il Roma- 

no, coltone il punto, si rivoltò rapidissimo ; e prima 

che r Albano potesse guardarsene , gli diè colla spada 

in un braccio , e spiccoglielo nel gomito. Fattagli . ca- 

dere la mano e colla mano la spada gli sopraggiunse 

un colpo , e con questo la morte. Quindi si lanciò su 

r ultimo albano e lui già derelitto , già semivivo scannò. 

Poi spogliati i cadaveri de’ cugini , corse in città ; volendo 

esso il primo dare al padre la nuova della vittoria. 


XXL Portavano però i destini che essendo mortale 

anch’ egli non avesse prospera ogni cosa ; ma sentisse i 

morsi ancora della invidiosa fortuna. Lo avea questa iu 

pochi momenti venduto grande di picciolo, e sollevato 

a chiarezza inaspettata e mirabile, e questa appunto nel 

medesimo giorno lo gittò dentro amara sciagura, spin- 

gendolo ad uccidere la sorella. Come egli fu vicino alle 

porte di Roma , videvi moltitudine immensa che fuori 




•A 




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LIBRO III.- 245 


se, ne versava, e vide accorsa con essa ancor la sorella.^ 

Tnrbato ài primo vederla perchè essa, donzella ornai 

nubile, ave^ lasciato la custodia materna, e si fosse 

esposta in mezzo di turba incognita ; ne formava pen- 

sieri funesti: ma si rivolse alfine ad altri più miti e be« 

nevoli , quasi ella cedendo al muliebre genio avesse ne*, 

gletto il decoro per desiderio dì salutare primieramente 

il fratello salvo , e d’ intenderne i fatti virtuosi degli' e- 

stinti. Colei però s’era ardila di mettersi alla insòlita via 

non' per desiderio del fratello ma vinta dall’ amore di 

uno de’cugini , col quale aveale il padre fuo concordate 

le. nozze. Celavano colei l’ ineffabile afletto ; ma poiché 

seppe da un tal dell’ esercito gli eventi della giornata ; 

non più lo contenne : ma lasciati i domestici lari corse 

come furiosa alle porle di Roma, nemmeno volgendosi 

alla nutrice che la seguiva , e la richiamava. Uscita dalla 

città come vide il fratello festevole colle ghiriande trion- 

fali dntegli dalle regie mani , e gli amici che portavano 

le spoglie degli estinti , e tra le spoglie ancora 1’ am- 

manto vario , che essa avea colla madre tessuto e màh- 

dato in pegno delle nozze allo sposo, giacché usano gli 

sposi futuri tra’Latini abbigliarsi di ammanto vario; come 

vide il caro suo dono macchiato di sangue ; si lacerò le 

vesti , si battè con ambe le mani il petto; ululò , richiamò 

l’ amato cugino ; tanto che grande stupore ne invase 

quanti in quel luogo si stavano. £ pianto il destino dello 

sposo folgorò col fisso sguardo sul fratello , e gridò: Tu 

esulti o sozzissimo uomo su la occisione decagoni, e 

tu , scellerato , tu privasti con ciò dello sposo la mi- 

sera sorella tua. Nè pietà senti de’ trafitti parenti che 




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2 46 DELLE Antichità’ romane 


pure chiamavi fratelli tuoi; ma f innebrj di gioja 

quasi per buonissima impresa y e vai fra tanti mali 

coronato. E qual cuore è mai il tuo ? forse di una 

fera ? ■■ anzi , colui replicò , di un cittadino che ama la 

patria ; di uno che punisce chi le vuol male , siasi 

egli un estraneo o siasi un domestico. E tra questi 

colloco te pure , te' che vedendo i beni grandissimi , 

e i grandissimi mali in un tempo awemUici, la vit- 

toria della patria che io qui ti presento , e la morte 

de tuoi fratelli ; già non esulti o malvada pe’ beni 

comuni della 'patria , nè ti addolori pe’ domestici in- 

fortuni > spregiati i fratelli , non sospiri che lo 

sposo ; e profani te stessa non fra le tenebre ; ma 

nel pubblico aspetto di tutti. A me la mia virtù, 

rimproveri , a me le mie corone ! O non vergine , 

non ‘sorella, e non degna degli avi! Poiché dun- 

que non piangi i fratelli ma lo sposo ; poiché tieni 

il corpo co’ vivi , ma V anima colf estinto ; va , ten 

corri a lui che richiami, nè più. disonorare il geni- 

' tare , e i fratelli. Cosi dicendo , più non serbò misura 

nell’ odio della scellerata ; ma le immerse con quanto 

area d* ira la spada ne’Ganchi; ed uccisala andossene al 

padre. I costumi e gli animi de’ Romani erano allora 

cosi pieni dell’odio del male, e cosi fermi in questo; 

che se alcuno li voglia paragonare co’ nostri , dirà che 

erano aspri e duri, nè diversi molto da quei delle fiere. 

Il padre udita la spaventevole uccisione non -solo non 

se ne corrucciò ; ma la tenne come debita e decorosa ; 

perciocché nè permise che fosse portata nella sua casa ; 

nè procurò che la seppellissero nelle tombe degli avi ; 




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LIBRO III. 247 


nè clic fosse con esequie e fregi, c conianque coTunebri 

riti onorata. Ma coloro che passavano dove giacevasi uc> 

mettono che uccidasi alcuno impunemente, e riferendo 

gli esempi dati dagl’iddi! su le, città che non vendicano 

gli scellerati. Faceva il padre le difese del giovine, ed 

incolpava la Gglia ; pretestando eh’ ella non ebbe morte, 

ma castigo : che niuno era nella domestica sciagura giu- 

dice più acconcio di lui come genitore di ambedue. Mol- 

tiplicandosi da arabe le parti i discorsi, assai fu per- 

plesso il monarca come avesse a terminare il giudizio. 

Eigli per non portare la colpa, e la maledizione nella 

magione sua da quella dell’ autore di esse credea bene 

che non si assolvesse chi dichiaravasi reo del sangue 

della sorella , sparso prima di ogni condanna, e per ca- 

gioni per le quali vietano le leggi che uccidasi : non 

ammettea però che si avesse ad immolare come un omi> 

cida chi avea scelto di cimentarsi per la patria e tanta 

signoria le avea procacciato , mentre nou tenealo per 

colpevole il padre stesso a cui la natura e la legge danntT ' 

i primi diritti di risentimento per la figlia. Incerto come 

decidersi , tenne da ultimo per lo meglio rimetterne al 

popolo la sentenza. Il popolo Romano divenuto allora 

la prima volta giudice di un omicida si attenne alle de-^ 

siinazioni del padre , ed assolvette il suo liberatore dalla 

morte. Pure non istimava il re che' bastasse a chi volea 

mantenere la pietà verso i Numi tal giudizio venduto 

dagli uomini: ma chiamati i pontefici commise loro .che 

placassero i Geni! e gl’ Iddi! , e mondassero il giovine 

colle espiazioni le quali purificano da morti involontarie. 




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LIBRO III. a 49 


E quelli eressero due altari, l’uno a Giunone, Dea 

difenditrice delle sorelle , e 1’ altro ad uno Dio , chia- 

mato (i) Genio da’ nazionali , col nome appunto de’cu- 

gini Curazj uccisi dal giovane. E facendo su questi de’ 

sagrifìzj , ed usando nondimeno altre espiazioni, da ul- 

timo passarono 1’ Orazio sotto il giogo. Costumano i Ro- 

mani , quando diventano gli arbitri di nemici che ab- 

bassano le armi , di piantare due aste diritte , acconcian- 

done una terza supina su di esse ; e poi di passarvi sotto 

li prigionieri, e dimetterli alfine liberi verso le patrie loro. 

E questo è ciò che chiamasi giogo. Coloro che lustra- 

rono J1 giovane si valsero di tal ultimo rito nel puri- 

ficarlo. I Romani tutti stimano sacro il luogo della città 

dove fu praticata la cerimonia. Rimane questo nell’ an- 

gusta via che mena giù dalle Carene coloro che ven- 

gono all’angusta via Cipria. Ivi sorgono altari allora edi- 

ficati , e su gli altari stendesi 1’ asta supina confitta ai 

due muri contrapposti: pende questa sul capo di quelli 

che ne escono , e chiamasi nel parlar de’ Romani asta 

o legno della sorella. Questo luogo onorato con annui 

sagrifizj ricorda in Roma ancora la sciagura del giovane: 

ma ricorda il valor suo tra la battaglia la colonna an- 

golare che è principio del portico secondo nel Foro dalla 

quale pendevano già le spoglie de’trigemini Albani. Le 

armi vennero meno per gli anni ; ma la colonna ser- 

bane ancora la denominazione chiamandosi pilastro Ora- 

zio. Che anzi evvi in Roma una legge nata da tal fatto , 


(i) Genio Curazia: fu così detto perchè destinato a placare le 

ombre de' Coratj . Ed Orazio meritava appunto di essere espiato 

dal sangue della sorella e de’ cugini. 




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aSo DELLE Antichità’ romane 

ed osservatavi pur nel mio tempo , a riverenza e gloria 

de’ giovani immortali, la quale ordina che nascendo dei 

tiigemini si dispensino per essi a pubbliche spese i vi* 

veri Gno alla pubertà. Tal Gne ebbe la serie delle cose 

degli Oraz] iniessuta d’ inaspettate e meravigliose vi- 

cende. 


XXIII. Indugiatosi il re de’ Romani per un anno onde 

apparecchiare quanto era d’uopo alla guerra; inGne de- 

liberò di avanzar coll’ esercito contro Fidene. Preodea 

le cagioni di guerra da questo , che invitau i ciuadioi 

di essa a giustiGcarsi circa le insidie ordite su gli Al- 

bani e Romani non aveano ubbidito , anzi dando in un 

subito alle armi e chiudendo le porte e congregando le 

schiere ausiliarie de’ Yejenti , erai^si manifestamente ri- 

bellati. Aggiungevasi , che andati gli oratori per inten* 

dervi le ragioni della rivolta, i Fidenati non altro ri- 

sposero , se non che non aveano essi cosa alcuna co- 

mune co’ Romani Gn dalla morte di Romolo al quale 

si erano , giurando , congiunti di amicizia. Su tali ca- 

gioni armò le sye milizie , e fe’ richiedere le conJede- 

rate , delle quali Mezio F uffezio recava da Alba le più 

numerose in apparato bellissimo ; tantoché superava ogni 

altra forza amica. Tulio commendò Mezio, come detet^ 

minato a prendere seco lui la guerra ardentissimamente, 

in ogni miglior modo ; e Io rendè consapevole di tutti 

i disegni. Ma quest’ uomo incolpato già da’ suoi come 

rio capitano di guerra , anzi calunniato di tradimento ; 

questo dopo che si era tenuto per tre anni sotto 1’ au- 

torità suprema di Tulio , alGne sdegnando un princi- 

pato schiavo dell’ altrui principato , e di essere diretto 




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LIBRO III. s5l 


pimtosto che dirigere; macchinò cosa non degna. Im- 

perocché mandati messaggeri segreti a’ nemici de’ Ro- 

mani , irresoluti anewa per la ribellione , gl’ infiammò 

^ , che non piò dubitassero ; promettendo che in mezzo 

della battaglia investirebbe egli stesso i Romani. E tali 

cose macchinando e facendo ; potè rimanersene occulto. 

Tulio apparecchiate le milizie sue e quelle de’ com-i 

pagni le portò su’ nemici, e valicato il fiume Aniene si 

pose non lungi da Fidene : ma scoprendo innanzi di 

questa io ordinanza un gran numero di Fidenati e loro 

compagni si tenne in calma tutto quel giorno: nel se- 

guente convocando 1’ albano F nlfezio , ed altri de’ piò 

intimi amici ponderò con essi com’era da praticare la 

guerra ; e poiché parve loro che fosse da combattere spe> 

ditamente, senza indugiarvisi ; egli preaccennando i po- 

sti e r ordine che ognuno prenderebbe , e destinando 

per la zuffa il prossimo giorno , congedò l’ adunanza. 

Quindi FufFezio che ancora tenevasi occulto con molti 

degli amici sul tradimento che meditava , fatti a sé ve- 

nire i più cmpicui tra’ suoi centurioni e tribuni disse: 

XXIV. Tribuni , centurioni , io sono per comuni- 

carvi grandi , inaspettate cose , che vi tacqui finora. 

Vi raccomando se non volete distruggermi che voi 

pure le taciate : anzi che miei cooperatori vi siate , 

se utili a compiersi vi parranno. Il tempo angusto 

non consente che io distesamente vi parli di ogni cosa; 

e ristringomi alle primarie. Io per tutto V intervallo 

che fummo subordinati a' Romani fino a questo giorno ; 

io m’ ebbi una vita piena di vergogna e di ramma- 

rico j eppure fui onorato dal monoica loro della ma- 





aSa DÈtLE Antichità*' ROMANE 


gisàratitra 'suprema , oggimaì da tre anni, è lo sarò' 

nemmeno per sempre se il voglio. Ma perciocché mi 

parca t estremo de* vituperj che io' solo mi fossi felice' 

nella sciagura comune ; e vedeva intanto io bene che 

eravamo stati spogliati della sovranità contro tutti i 

diritti sacri dell’ uomo ; cosi mi diedi a considerare 

come potessimo ricuperarla , ma senza rischiarvi gran 

fatto. E discorrendola io meco moltissimo ti-ovai una 

via sola facile nè pericolosa che guiderebbe all’ in- 

tento , cioè che sorgesse loro una guerra da confinanti. 

Imperocché prevedeva io che i Romani avrebbono a 

chiamare le truppe ausiliarie , e le nostre massima- 

mente , e prevedeva dopo ciò che non avrei gran bi- 

sogno di persuadervi che più. bello , e più giusto è 

combattere per la nostra libertà , che per istahilire' 

r impero de’ Romani. Spinto da tali pensieri produssi 

a’ Romani la guerra de’ sudditi loro Fidenati e Ve- 

jenti risolvendoli alle arme con esibire che io pren- 

derei parte con essi. Fin qui si rimase occulta a’ Ro- 

mani la pratica ; ed io provvidi intanto per me la 

occasione di assalirli. Ora considerate quanto sia 

questo opportuno. Primieramente , grande in una ri- 

bellione manifesta , sarebbe il pericolo o di avventu- 

rare ogni cosa mentre siamo sprovveduti per la fret- 

ta , e contiamo unicamente su ciò che potrebbero le 

nostre forze ; o di essere sorpresi da essi già pronti 

mentre ci apparecchiamo e ci procuriamo dagli altri 

un ajuto. Noi però così non manifestandoci non cor-- 

reremo nè V uno nè V altro disastro ,• e ne avremo 

raccolto almen questo bene. Secondariamente noi non. 




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LIBRO III. a53 


ci daremo a percuotere la grande , la bellicosissima 

potenza e fortuna degli emuli con le violente manie- 

re, ma si bene colle artijiziose e scaltre, con le quali 

si prendono finalmente le cose trascendenti , e meno 

facili a battersi colla forza ; nè già saremo a far 

questo i primi , o li soli. Inoltre siccome le nostre 

milizie mal potrebbero schierarsi in campo a fronte 

di quelle de’ Romani e degli alleati ; così abbiamo 

congiunto a noi le forze sì grandi , come vedete, dei 

Veìenti e de Fidenati. Anzi si è da me provveduto 

che le ardite schiere di questi ne diano con effetto 

il soccorso che ne ho cercato. Imperocché già non 

sarà J.a pugna nelle nostre campagne; ma battendosi 

i Fidenati per le proprie , difenderanno in esse an~ 

coro le nostre. E quello che riesce dolcissimo agli 

uomini , quello che di raro occorse ne’ tempi andati ; 

questo ancora per voi si combina : noi giovati dai 

nostri alleati sembreremo di avere ad essi giovato, E 

se r affare si termina a piacer nostro, come par ve- 

risimile; i Fejenti e li Fidenati che avranno liberato 

noi da un durissimo giogo , essi noi ringrazieranno 

quasi col favor nostro ottengano un pari benefizio. 

.Questi sono i successi che da me con gran diligenza 

procurati mi sembrano bastare ad ispirarvi confiden- 

za, e viva prontezza ad insorgere. 


Ora udite in qual modo io voglia por mano alla 

impresa. Tulio mi ha destinato appiè del monte ; 

perchè io vi governi luna delle ale. Ma quando sa- 

remo per attaccarci co’ nemici ; io non attendendo 

allora tale destinazione ; mi ritirerò poco a poco sul 




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2 54 DELLE antichità’ ROMÀNE 


monte. Voi seguitemi allora ordincUamente. Giunto 

alle cime ed in salvo , udite come io continuerò. 

Quando vedrò le cose che qui dico riuscirmi come 

io le disegno ; quando vedrò infiammati di corono 

i nemici perchè noi cooperiamo con essi, umiliati e 

spaventati come traditi i Romani ; e come è verisi- 

mile, già più. intenti a pensare la fuga che le difese; 

allora io starò su loro : ed io coprirò de’ loro cada- 

veri il campo ; perocché scendendo dcdC altura destra 

a basso , mi gitterò su di essi sbigottiti e dispersi 

con esercito pieno di beW ardore e di ordine. 'Rile- 

vantissima è nelle guerre la fama sparsa di un tra- 

dimento anche falso degli alleati, o del giung.'re di 

altri nemici ; e sappiamo che grandi eserciti furono 

totalmente da tali vane apprensioni rovinati, più che 

da altri spaventosissimi casi. Il nostro adoperare 

però già non sarà fama vana , nè arcano spauri- 

mento ; ma cosa più che tutte terribile a vedersi e 

provarsi. Ma ( dicansi pur le cose consuete a pre- 

sentarsi contro la espettazione , giacché la vita ne 

involge molte, nè verisimili ) se gli eventi riusciranno 

contro i disegni ; anch’ io farò cose ben altre da 

quelle che in mente io ravvolgevami. Allora io piom- 

berò co’ Romani su nemici ; co’ Romani raccoglierò 

la vittoria , simulando di aver prese le alture per 

cingere gt inimici. Ben avran fede i miei detti con- 

cordandosi le opere colle finzioni : tanto che noi non 

comunicheremo cogP infortuni di niuno , e solo par- 

teciperemo lo belle vicende dell’ uno o delC altro. Io 

tali cose ho deliberato : e tali cose eseguirò col fa- 




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LIBBO 111. 255 


vorB degV Iddii come bonissime non solo per gli AU 

boni ma per tutti i Latini. Bisogna che voi guardiaie 

prima che tutto il silenzio : poi, che serbiate il buon 

ordine, che vi prestiate immantinente ai comandi, 

che guerrieri vi siate pieni di bell’ ardore , e che tali 

rendiate pur quelli che vi ubbidiscono ; considerando 

che il combattere nostro per la libertà non somiglia 

al combattervi degli altri, consueti ad essere coman- 

dati , e lasciati da loro padri in tale condizione. Noi 

liberi siamo naU dai liberi : anzi i nostri avi ci han 

tramandato il comando su vicini ; serbarono questa 

forma per cinquecento anni ; nè di questa si trove*- 

ranno per noi spogliati li posteri. Nè tema chi vuole 

far questo , quasi rompa i trattati , e violi i giura- 

menti fatti sopra di essi: pensi piuttosto che egli i 

diritti ripristina rotti e violati da' Romani : nè già i 

tenui diritti ma quelli che la natura ci ha dato degli 

uomini , quelli che la legge ha fondato comune ai 

Greci ed ai Barbari , vuol dire che i padri coman- 

dino j i padri dian leggi ai figli , e le città madri 

alle colonie. Questi sacri diritti che mai saranno 

cancellati dalla natura degli uomini , questi noi vo- 

lendo che siano perpetuati , nè frangiamo alleanza 

fàuna, nè genj nè Dii ci si potran corrucciate quasi 

non sante cose facciamo , se mal pià comportiamo 

servire cì nostri discendenti. Cnloro però che li hanno 

conculcato i primi , e che con opera indegna han ten- 

tato di far prevalere la umana alla le^e divina ; 

coloro , corn è giusto , e non già noi , s' avranno a 

fronte V ira de’ Numi , c su di essi non su noi soi't 




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256 DELLE Antichità’ romane 


gerà la vendetta degli uomini. Pertanto se queste vi 

sembrano le cose migliori / eseguiamole , e chiamia^ 

movi protettori gl’ Iddii. Ma se alcuno sente in con- 

trario e sente o t una o t altra delle due cose ; vuol 

dire o che più, non debba ricuperarsi t antica dignità 

della patria ; o che debbasi aspettare un tempo pià 

acconcio del presente ^ e differire; costui' non esiti, a 

dire i suoi pareri; e quello sarà fatto che a tuui 

sembri il migliore. 


XXV. Alfìae lodato nel dir suo dagli astanti, e pro- 

mettendosi questi a far tutto ; esso ne obbligò ciascuno 

col giuramento, e dimise radunanza. Nel prossimo giorno 

all’ uscire appunto del sole , uscirono da’ proprj allog- 

giamenti le milizie de’ Fidenati e degli alleati, e si schie- 

rarono per la battaglia: vennero nemmeno di fronte i 

Romani , e si ordinarono. Tulio stesso e i Romani si 

opponeano coll’ala sinistra ai Vejenti i quali formavano 

la destra nel corpo loro. Nell’ ala destra dei Romani si 

stava Mezio Fuffezio e gli Albani presso del monte in- 

contra de’ Fidenati. Rendutisi ornai vicino gli uni degli 

altri , gli Albani prima di essere a tiro si staccarono dal 

resto dell’ esercito , ascendendo ordinatamentè sul monte: 

I Fidenati ciò vedendo e cerziorandosi della realtà del 

tradimento promesso dagli Albani si portarono più bal- 

danzosi contro de’ Romani. L’ala destra de’ Romani , es- 

sendosene tolti gli alleati , erane ornai rotta e molto in 

pericolo. Combattea però bravissimamente 1’ ala sinistra 

e Tulio con essa in mezzo di scelti cavalieri. Quan- 

d’ ecco un cavaliere affrettandosi verso quelli i quali 

pugnavano presso del monarca, o Tulio, disse, la na- 




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LiBno ni. a57 


stra ala destra è sul perdersi : gli jilbani , abban- 

donatala , ascendono il monte , ed i Fidenali che li 

teneano schierati dinanzi, ora preponderando a fronte 

ilelt ala tanto indebolita j già la circondano. I Ro- 

mani ciò ndcmlu , e vedendo T accelerarsi degli Albani 

in sul monte; temerono di essere avviluppali da' nemici, 

taulu che non aveano cuore nè di combattere , nè di 

restare in quel luogo. Or qui , dicesi , che Tulio niente 

commosso all* aspetto di un male si grave e tanto ina- 

spettato facesse uso dell’ avvedutezza : e che salvasse con 

questa 1* esercito ornai nel pericolo manifesto di essere 

circondato; c disfacesse e terminasse tutto il bene degli 

inimici. ltn[>erocchè non si tosto il messaggero ebbe det- 

to; egli a gran voce sicché i nemici, la udissero, o Bo- 

mani , esclamò , li nemici son vinti. Gli Albani sul 

mio comando hanno occupato come vedete il monte 

prossimo a noi per piombare alle spalle de' nimici. 

Mirale ! gli abbiamo pin e al nostro buon punto gli 

impiegabili awersaij. Noi siamo loro dirimpetto , e 

gli Albani alle spalle : pià non possono aveutzare , 

ISO retiocedei e. Dall' uno de' lati rinserrali il fiume , 

dall’ altro il monte : ci daran pure le pene meritate. 

Andate : avventatevi intrepidamente su loro. 


XXVI. Cosi esclamando ne andava tra le milizie. E ben 

presto i Fidenati furono presi dalla paura che quel tra> 

dimenio, si rivolgesse fìnalmente su loro per frodolenza 

del capo degli Albani : perchè nè lo vedeano schierarsi 

contro i Romani , nè fulminarsi contro di essi come avea 

già promesso. Altronde avea quel parlare iniiammati di 


VIOSIGI , P>m» l. ir 




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258 DELLE Antichità’ romane 

ardire e riempiuti di confidenza i Romani. Adunque scop« 

piando in un grido e ristrettisi lanciarousi all’ inimico. 

Piegarono allora , e fuggirono i Fidenati in disordine 

alla loro città. Il re de’ Romani rilasciando la cavalleria 

su questi atterriti e turbati li perseguitò qualche tempo; 

ma vedutili poi sbandati, senza animo di raccogliersi e 

senza forza , permise che fuggissero ; e si rivolse con- 

tro r altra parte de’ nemici ancora ordinata. Ivi era bat- 

taglia viva tra’fanti; e più viva ancora tra’ cavalieri. Im- 

perocché li Yejenti quivi schierati non che sbigottirsi 

e dar volta , resistevano all’ impeto de’ cavalli romani. 

Alfine vedendo che l’ ala loro sinistra era battuta, e che- 

l’esercito de’Fidenati e degli alleati fuggiva tutto precipitosa- 

mente, anch’cssi per timore di non essere colti in mezzo 

da’ nemici che tornavano da inseguire gli altri, diedero 

volta, e si scomposero e tentarono di salvarsi a traverso 

del fiume. I più robusti , e men carichi di ferite , nè 

impotenti a nuotare passarono senza le armi il fiume e 

scamparono: ma quanti non aveano l’uno o l’altro di 

que’ requisiti , affondavano tra’ vortici ; essendo il Te- 

vere presso Fidene rapido e tortuoso. Tulio intanto 

impose a parte de’ cavalieri di uccidere i nemici che . 

accorrevano al fiume , ed egli conducendo il resto del- 

r esercito assali gli accampamenti de’ Vejenti e gl’ in- 

vase. E tali sono le operazioni che diedero, a’ Romani 

salute inaspettata. 


XXVII. Quando il re d’Alba vide manifestamente vit- 

toriose le milizie di Tulio ; egli per dare a vedere che 

faceala da alleato , calando dal monte le sue , le menò 

contro de’Fideuuti che fuggivano ; e molli in tale stalo 




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• LÌBnQ III. ... a!xg 

ne uccise. Tulio vedendo il suo fare , ed esecrando la 

nuova sua tradigione , dissimulò di presente , finché lo 

avesse nelle mani : ansi diè vista di lodare tra* molli 

come l>onissima l’ andata di lui su pel monte : e spc- 

una banda di cavalieri lo richiese che desse 

ultimi contrassegni di zelo, incaricandolo , che cercasse 

con diligenza , e trucidasse que’ Fidenati che non po- 

tendo ripararsi tra le mura , vagavano dispersi intorno • 

in tanto numero per la campagna. Colui quasi avesse, 

già conseguila Tana delle due cose che sperava, e quasi, 

fosse accetto veramente a T ullo , ne fu dilettato ; e ca- 

valcando gran tempo per que’ campi fe’ strazio, de’ prò-, 

fughi i quali sopraggiungeva. E già tramontato il sole, 

condusse i suoi squadroni da tale persecuzione al campo 

Romano , c vi festeggiò con gli altri la notte. Tulio di-, 

inoratosi nell’ accam|)amento de’ Vejenti fino alla prima 

vigilia vi esplorava da’ prigionieri più riguarderoli quali 

fossero mai stati li capi della rivolta. Come poi seppe 

che ci avea tra congiurati anche 1’ Albano Mezio Fuf- 

fezio, gli parve che i fatti di lui concordassero colle in- 

dicazioni de’ prigionieri. Adunque montato in sella si ri-, 

condusse cavalcando in città fra lo stuolo dc’suoi più fidi. 

E prima della mezza notte convocando dalle case loro i 

Senatori ; disse del tradimento degli Albani , dandone 

|)er teàlimonj li prigionieri ; e narrò gli artcGzj co’ quali 

egli avea deluso i nemici e li Fideuali. E poiché la 

guerra avea fine bonissimo ; invitò loro a discutere come 

si avessero a punire i traditori, perchè Alba si rendesse 

|>iù savia per 1’ avvciiire. Parve a tulli giusto anzi ne- 

cessario che si ['Unissero quanti si erano messi ad ojteia 





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200 DELLE antichità’ ROMANE 


tanto «cellerata. Si ondeggiò però molto intorno la ma-' 

oiera facile e sicura della esecuzione. Sembrava loro im> 

possibile che tanti cospicui Albani si potessero involare 

con morte tenebrosa e nascosta. Che se tentassero arre- 

starli e punirli palesemente , torneasi che quel popolo, 

piuttosto che ciò non curare , volasse alle armi. Non 

voleano poi combattere in nn tempo co’ Fidenati/ coi 

Tirreni , e con gli Albani loro consocj.- Ora non espe- 

dendosi essi ; diè Tulio in6ne uu suo parere cui tutti en- 

comiarono. Io ne dirò dopo un poco. 


XXVIII. Siccome non era Fidene distante da Roma 

se non cinque miglia ; ' cosi egli eccitando con tutto 

r ardore il cavallo si restituì negli alloggiamenti : e pri- 

ma che il giorno brillasse’ laminoso , chiamando Marco 

Orazio il superstite de’ trigemini , e dandogli li fanti e 

li cavalieri piò scelti , ordinò che marciasse con questi 

ad Alba , che vi s’ introducesse in sembianza di amico ; 

che , quando ne avesse in sua balia gli abitatori rovinasse 

da’ fondamenti la città, non risparmiando edifizio alcuno 

privato o pubblico, se non i tempj: non vi uccidesse però 

nè vi oltraggiasse uomo ninno, ma consentisse che ognuno 

s’avesse le sue cose. Spedito questo egli aduna tribuni 

e centurioni , palesa ad essi il decreto del senato , e 

forma di loro la guardia del corpo suo. Si presentò 

dopo non molto 1’ Albano in gaudio per la vittoria co* 

mune , e per congratularsene con Tulio t e Tulio ser- 

bando tuttavia li segreti suoi , Io encomiava , confessa- 

valo degno di gran doni, ed invitavalo a scrivere i nomi 

de’ valentuomini che si erano più distinti nel combat- 

tere e portarglieli perchè tutti partecipassero ai beni 




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LIBRO III. 261 


della villoria. Inondatone costui dal jnacere diè su di 

una tavoletu in iscritto i nomi de’ suoi più fedeli, de’ quali 

si era valuto ne’ disegni reconditi. Allora il re di Roma 

invita a radunarsi lutti , senza le arme , e radunatisi ; 

fece che il duce degli Albani, come li centurioni e tri- 

buni si collocassero presso di lui , e che gli altri Al- 

bani ordinatamente si compartissero ; ponendo dopo lo- 

ro il resto degli alleati e dietro tuui infine circolai-- 

mente i Romani , tra’ quali ce ne avea de’ magnanimi , 

co’ brandi sotto degli abiti Quando poi gli sembrò di 

avere a suo bell’ agio i nemici ; sorgendo cosi ragionò : 

XXIX. Romani , amici , compagni di arme , fi- 

nalmente abbiamo col favore degl' Iddìi portala la 

vendetta su Fidene e su quanti partigiani di lei , fu- 

rono arditi investirci con guerra manifesta. Seguirà 

da questo t una delle due , vale a dire che quanti ci 

molestavano si cheteranno ; o ne daranno pene tanto 

più spaventose. Ora venule già le prime nostre im- 

prese a buon termine , é tempo iche puniamo quei 

guerrieri che avendosi il nome di amici nostri , ed 

assunti a questa guerra da noi perchè facessero con- 

tro (i nemici comuni , abbandonarono la loro fedeltà 

verso noi , si strinsero con patti segreti a nemici , e 

macchinarono la universale nostra rovina. Ben sono 

essi peggiori de' nemici manifesti , e perciò degni di 

pena più grande. Imperocché facile cosa è deludere 

le insidiose lor trame , e ribattere si possono se ci 

assaliscono come nemici : ma né riesce di leggeri 

cautelai si da amici che la fan da nemici, né si pos- 

sono risospingere se ci prevengano. Ora tali sono i 




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262 DELLE antichità’ ROMANE 


guerrieri che Alba ci manda\>n : ingannevoli alleali ! 

eppure non danneggiati , ma beneficati grandemente , 

e in tante cose da noi. Noi , ramo già della lor 

gente , non toglievamo punto della lor signoria , ma 

'la nostra forza , la nostra potenza fondavamo qol 

domare i nostri nemici. Premunendo di mura la no- 

stra patria contro genti amplissime e bellicosissime 

abbiamo prodotto ad essi un alta sicurezza in fra le 

guerre de’ Tirreni e de’ Sabini : tantoché serbandosi 

la nostra città prosperamente , dovean essi rallegrar- 

sene principalmente ; e decadendo questa non dovean 

meno rattristarsene che per la propria città. Essi però 

si ostinarono ad invidiare non solamente il nostro 

ben • esseio , ma il proprio ancora nel nostro : e da 

ultimo non potendosi più Iodio nascondere, ci hanno 

premeditato la guerra. Ma perciocché vedeano noi 

benissimo acconci a ripeivoterli , non essendo essi 

valevoli contro di noi , c invitarono a trattati ed ami- 

cizia , e richiesero che la lite sul principato si deci- 

desse con la tenzone di tre combattenti. Acoetlammo 

t invito e vincemmo ; e ci fu la loro città sottomessa. 

Or , dite : che abbiamo noi fatto dopo questo ? Po- 

tendo noi ricevere gli ostaggi da Alba, polendo met- 

tervi guarnigiotìe , e qual’ uccidervi , qual cacciarne 

de’ principali a por dissidio tra t uno e t altro po- 

polo; potendo cambiarvi in favor nostro la forma del 

governo , smembrarne il territorio , prescrivervi de’ tri- 

buti , e torlo infine le arme ciocché era facilissimo , 

ed avrebbe tanto più noi convalidato ; polendo noi 

tutte queste cose ; non abbiamo pur voluto farvene 




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i ' LIBBO in. 263 


nemmeno una, mossi anzi dalla pietà versò loro, che 

dalla sicurezza del nostro principato. E preferendo 

cioccK era il decoio all’ utile abbiamo conceduto che 

si godesse ogni suo bene. Permettevamo che Mezio 

Fujfezio, che essi avevano elevato à primi gradi come 

il più degno , vi amministrasse ancora la repubblica. 

Ed essi ( ascoltate qual .contraccambio ce ne rende- 

rono quando più bisognavamo dell’ amicizia , e delle 

armi loro ) ! si convennero in segreto col nemico co- 

mune di assalirci insieme tra la battàglia ; e quando 

t inimico e noi eravamo già già sul combattere ; essi 

lasciando il posto della ordinanza , corsero a’ monti 

vicini onde preoccuparne le alture più forti. E se la 

cosa andava loro a seconda , niente avrebbe impedito 

che noi tutti perissimo 'circondati dagli amici e dai 

nemici ; e che tulli i combattimenti da noi sostenuti 

per la signoria della nostra città , tutti in un giorno , 

■svanissero. Ma poiché tal disegno riuscì vano primie- 

ramente per disposizione benefica degV Iddìi da quali 

ripeto quanto io fo mai di buono e di bello , e poi 

per t avvedimento mio che non poco valse a scorag- 

gir t inimico ed accendere i nostri, essendo stato mio 

stratagemma il dire che gli Albani ^ ordine' mio 

preoccupavano il monte per cingere t inimico ; poiché 

t affare si terminò coll utile nostro ; noi non sarenp- 

mo , quali essere ci conviene , se non punissimo i 

traditori ; quelli io dico i quali, doveano se non per 

altro , almeno pe' ligami di parentado serbare gli ac- 

cordi ed i giuramenti , fattici di recente , e li quali 

non temendo gl Jddii che fecero testimonj de’ loro 




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a64 DELLE Antichità’ bomane 


trattati , non riverendo la giustizia stessa , non la ri- 

provazione degli uomini, non calcolando la grandezza 

del pericolo se il tradimento sconciavasi, tentarono in 

miseranda maniera di perdere noi progenie , noi be- 

nefattori loro , essi nostri fondatori , e congiurali con 

gt implacabili nostri nemici. 


XXX. Dicendo lui queste cose prorompeano gli 

Albani in gemiti, e preghiere d’ogni modo. ÀHermava 

il popolo non aver lui saputo niente dei disegni di Me- 

zio : simulavano' i capitani non aver conosciuta la mao 

chinazione, se non che nel darsi della battaglia, quando 

più non era in poter loro d’ impedire , o non fare i 

comandi. Riferivano altri il lor fatto alla insuperabile 

necessità di congiunzione e di parentado ; quando il 

re, fatto silenzio disse: niente,. Albani, niente ignoro, 

di quanto allegate per iscusannivi. E penso che il più 

di voi noi sapesse quel tradimento, perchè dove molti 

sono i consapevoli , non si tacciono , neppur brevissi- 

mo tempo le cose : penso che de’ tribuni e de’ centu- 

rioni la parte minore fosse la complice ; ma che la 

più grande non era che aggirata , e ridotta a passi 

non volontari . Che se niente di ciò fosse vero ; se 

voi tutti Albani , quanti qui siete , e quanti si rima- 

sero in Alba, vi aveste in cuore di danneggiarci, nè 

già da ora, ma da tempo antichissimo ; pur s avrebbe 

il liomano nella sua parentela una ben forte cagione 

a pazientarne le ingiurie. Perchè però non più vi 

aduniate a consulte ingiuriose contro noi , non più 

violentati , non più sedotti vi troviate da’ capi della 

vostra città ; ito abbiamo pure sebbene unico , questo 







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LIBRO III. a 65 


rimedio : vale a dire che divenendo tutti cittadini di 

una città riguardiamo - questa sola per patria , e par- 

tecipiamo ciascuno ai beni e mali di tei, coma essa 

ne incorre. Finché saranno come ora discordi i pa- 

reri , finché disputeremo su la preminenza; non sor- 

gerà mai stabile pace fra noi ; principalmente se gli 

uni i primi siano per insidiare gli altri con vista di 

dominare vincendo , o di essere come parenti impuniti 

se perdono. Imperocché quelli die sono assalili ten- 

teranno riscuotersi coll estremo de' mali , nè fuggi- 

ranno modo alcuno onde nuocere gli tdtri quali ne- 

mici, come ora addivenne. Pertanto sappiate: avendo 

io nella scorsa notte adunalo il SeruUo , i Romani 

per bocca sua emanavano, ed io firmava il decreto 

che la vostra città fosse disfalla , nè si permettesse 

che vi restasse in piedi edifizio niuno privato nè 

pubblico alf infuori de' templi : che quelli che vi abi- 

tano ritenendo ogni bene , non ispogUali di schiavi , 

non di bestiami, non di oro pongano da ora innanzi 

la sede in Roma: che gli Albani poi, che non hanno 

campo alcuno se lo abbiano , purché non sia de' po- 

deri sacri co’ quali si procacciano i sagrifizj : che io 

provveda i luoghi della città dove le abitazioni si 

fondino degli emigrati , e supplisca a chiunque di voi 

più ne ahbisogna , i mezzi onde tompierle : che tutta 

la vostra moltitudine prenda la forma del nostro po- 

.polo ; comportasi in, curie e tribù; abbia parte nel 

Senato e nelle magistrature più insigni, e si ascrivano 

alle famiglie patrizie le famiglie de'Giulj, de' Servi Ij, 




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2 66 DELLE ANTICHltA’ ROMANE 


de Geranj , de Metelj , de’ Corazj , de’ Quintìlj (i) , 

e de’ Cluvilj ; che finalmente Alezio e quanti delibe- 

rarono con esso il tradimento , se ne abbiano le pe- 

ne , e noi le stabiliremo queste , giudici sedendo di 

ogni causa ; mentre a ninno dee negarsi giustizia e 

difesa. 


XXXI. Intanto che Tulio cosi diceva i poveri tra gli 

Albani gradendo di essere fatti abitatori di Roma, e di 

parteciparne le campagne , lo acclamavano a gran voce. 

All’ opposito i più cospicui per grado o più agiati per 

sorte si affliggeano che avessero ad abbandonare la pro- 

pria città , e le case paterne , e vivere per 1’ avvenire 

in terra altrui; nè più sapean che dire in tanto orribile 

necessità. Poiché Tulio ebbe investigato i pareri della 

moltitudine , impose a Mezio , che allegasse , volendo , 

le sue giustiBcazioni r e costui non sapendo che repli- 

care alle accuse ed alle testimonianze t disse che il Se- 

nato di Alba avealo segretamente incaricato di far ciò 

quando usci per guerreggiare; e pregava gli Albani ai 

quali avea tentato di racquistare il comando , che lo 

soccorressero , nè guardassero con indifferenza la patria 

che rovinava , e tanti cittadini degnissimi che erano 

strascinati al supplizio. E già nasceane tumulto nella 

moltitudine , e volavano alcuni ad afferrare le armi ; 

quando i Romani che circondavano l’adunanza sguaina- 

rouo , datone il segno , le spade : ed essendone tutti 

aiierriti ; sorse Tulio un'altra volta e disse: Albani, 

non qui vi è dato d' insorgere, nè di trawiarvi: giac‘ 


(i) Lrsino , e Patino de Famil. Romanor. leggono Quinzf. 




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LIBRO III. ’ ^6'J 


cJtè tulli, se ariìiste commovervi, sareste trucidali da 

questi : ( E cosi dicendo additava le spade de’ suoi ). 

Prendete ciocché vi si dona , diventale fin da oggi 

Romani. È per voi necessità , domicitiaivi in Roma , 

o non avere più patria sulla terra. Marco Orazio 

andò sulC ordine mio fin dalC aurora per abbattere la 

vostra città dai fondamenti , e condurne in Roma gli 

abitanti. Ora sapendo che ornai questo è fatto , non 

vogliate correre alla morte; ubbidite. Metio Fuffezio, 

quesf occulto nostro insidiatore , che nemmen ora te- 

me d’ invitare alle armi i turbolenti e li sediziosi'; 

questo ne darà le pene , degne del perfido cuore e 

scellerato. Sbigottì ciò udeudo la parie irritata degli 

adunali , come vinta da insuperabile necessità. Fremea 

Fufiezio per l’ opposi to , e vociferava , ma solo , e re- 

clamava r alleanza , egli che era accusato di averla tra- 

dita , nè perdea la baldanza , anche in mezzo de’ mali ; 

quando i littoii per comando di Tulio afferrandolo gli 

squarciano in dosso le vesti e lo caricano di battiture. 

Poi quando parve che ornai quel supplizio bastasse ^ 

avvicinando due carri , legarono con lunghe redini le 

braccia di lui nell’ uno di questi , e li piedi nell’ altro. 

Allora spingendo gli aurighi quinci e quindi i due 

carri ; egli strascinato e tirato in parti contrarie , fu 

subitamente ridotto in brani. Tale fu il termine mise- 

rando e vergognoso di Mezio. Infine io stesso re mise 

un tribunale per gli amici e complici di lui nel tradi- 

mendo ; punendoli , come li scopriva rei , colla morte >, 

a norma delle leggi su’ disertori e su’ traditori. 


XXXII. Intanto che si laccano tali cose, Marco Ora- 




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268 DELLE AUTICHITa’ ROMANE 

zio spedilo innanzi con scelta milizia a distruggere Alba 

compiè’ ben tosto la marcia , e se ne impadroni ; tro- 

vandovi le porte non chiuse , nè difese le mura. Poi 

convocando la moltitudine le palesò quanto era acca- 

duto nella battaglia , e quanto il Senato di Roma ne 

decretava. Contrariavano quelli, e dimandavano tempo 

almeno per ispedire degli ambasciadori. Ma costui senza 

indugio spianò case , muri ; e tutti in somma i privati 

e pubblici ediGzj ; scortandone con assai diligenza a Ro- 

ma gli abitatori , che menavano e portavano ogni loro 

bene con sé. Tulio ritornato dal campo gli comparti 

ira le curie e tribù romane , li coadjuvò per fabbricare 

ne’ luoghi , che sceglievano in Roma , le case : dispensò 

porzione sufGciente de’ terreni del pubblico fra i loro 

meroenarj , e sen cattivò con altre amorevolezze la mol- 

titudine. Ma la città di Alba già fondata da Ascanio 

nato da Enea figlio di Anchise , e da Creusa figlia di 

Priamo , quella che per quattrocento ottanlasette anni 

dalla sua fondazione era tanto cresciuta di popolo, di 

ricchezze , di ogni ben essere , quella che aveva pro- 

pagato trenta colonie in trenta città del Lazio e che era 

sempre stata la capitale della nazione , quella alfine vit- 

tima ^i) dell’ ultima delle sue colonie giace squallida an- 

cora e desolata. Prese requie nell’ inverno il re Tulio ; 

ma nel sorgere della primavera cavò nuovamente l’ eser- 

cito contro Fidene. Non era venuto a’ Fidenati, nè lo 

pretendeano , pubblico soccorso ninno dalle città confe- 

derate : solamente da più luoghi erano venuti de’ mer- 


(i) Anni di Roma 88 secoodo Catone; 90 secondo Varane , e 

G 6 f aTanli Cristo. 




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LIBRO III. 369 


cenar} ; e contando su questi osarono un’ altra volta 

esporsi in campo. Schierativisi , uccisero molti de’ nemi- 

ci; ma poi furono rispinti di nuovo tra le mura. Come 

però Tulio cingendo la città di argini e fosse la ridusse 

alle ultime angustie ; vinti dalla necessità , si renderono 

a discrezione. Divenuto costui padrone della città vi 

uccise nemmeno gli autori della ribellione. Lasciò gli 

altri a sé stessi ; concedendo ebe godessero i lor beni : 

e restituendo ad essi la forma che aveano di reggenza , 

congedò 1’ armata. Restituitosi a Roma onorò gl’ Iddii 

con la pompa trionfale e co’ sagrilìzj promessi , e fu 

questa la seconda volta che trionfò. 


XXXIII. Si eccitò dopo questa a’ Romani la guerra 

de’ Sabini ; e tale ne fu la cagione. Onorasi da’ Latini 

e Sabini in comune il tempio, sacrosanto più che ogni 

altro , della Dea nominata Feronia , che taluni con 

greca interpetrazione chiamano la portatrice de’ fiori ^ 


0 r amica dei serti , o Proserpina. Essendosene an- 

nunziate le feste , erano dalle eittà d’ intorno venuti 

molti per supplicare , e sagrificare alla Dea , e molti , 

mercadanti , artefici , agricoltori per guadagnare nel 

concorso ; ivi tenendosi fiera famosissima più che in 

altri luoghi d’ Italia. Recavansi per avventura a questa 

luogo alquanti non ignobili tra’ Romani , quando alcuni 

Sabini concertatisi , li circondarono e derubarono. E 1 

quantunque si spedissero de’ messaggeri , non voleano 

su questo i Sabini rendere la giustizia : ma riteneansi 


1 danari e le persone degli arrestali ; imperocché dole- 

vansi anch’ essi de’ Romani che avessero dato ricetto ai 

fuggitivi de’ Sabini , costituendo il sacro asilo , come si 




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2'jo DELLE Antichità’ . ROMANE 

dicliiarò nel primo libro. InSammanciosi da tali queri> 

monie alla guerra uscirono con moltissime schiere in 

campo aperto. Fecesi ordinata battaglia , e pari splen- 

deavi il coraggio de’ combattenti ; tanto che separatine 

dalla notte lasciarono la vittoria indecisa. Ke’ giórni ap- 

]>res$o considerando ambedue la mohitudiue degli estinti 

c de' feriti , ricusarono ogni altro cimento ; ed abban- 

donando gli accampamenti , si ritirarono. Ma tenutisi iu 

cylma per quell’ anno uscirousi di nuovo a fronte con. 

forze più formidabili. Si appiccò la zuffa presso di 

Erelo lontana centoquaranta sladj da Roma , c molti vi 

soccombeano da ambe le parli. E pendendo questa zuffa 

ancora lungo tempo sospesa , Tulio elevò le mani al 

cielo, votandosi che se vinceva in quel giorno i Sabini 

istituirebbe delle feste a Saturno ed a Rea con pubblica 

s])esa. Celebrano ogni anno i Romani tali feste dopo 

che barino riportato tutti i frutti della terra. Egli facea 

voto insieme che raddoppierebbe il numero de’ Salj. 

Derivano questi da nobile prosapia ,, e ne’ debiti tempi 

si cingono di arme , e saltano accordando al suono 

delle tibie i salti , e cantando patrie canzoni , come ho 

spiegalo nel bbro primo. A quel volo si mise tanto ar* 

dorè ne’ Romani che questi pressando , come freschi 

soldati, gli stanchi, ne ruppero le schiere in sul man- 

care del giorno , e ridussero gli stessi capitani a dar 

principio alla fuga. E seguendo essi li fuggitivi ai pro- 

pri irincieramcnli , ne raggiunsero la maggior parte vi- 

cino alle fosse. Tuttavia nemmeno dopo ciò retrocede- 

rono : ma rimanendosi ivi nella notte imminente , e 

respingendo i uciuici che pugnavano da entro il vallo , 




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LIBBO III. 271 


invasero alRne gli accampamenti. Trasportaronsi dopo 

ciò quanta preda voleano dalle campagne sabine : e sic- 

come niuno più presenlavasi a combatterli , si ricon> 

dussero in casa. Fece il re per questa battaglia il terzo 

trionfo. Quindi per le molle ambascerie de’ nemici de- 

pose le armi , avendone da essi li suoi disertori , e li 

soldati suoi caduti prigionieri ne’ pascoli; ed esigendone 

la multa decretata contro loro dal Senato di Roma il 

quale avea calcolato in argento r danni ricevuti da’ ne- 

mici negli armenti, nelle bestie da giogo, e nelle altre 

cose tolte ai coltivatori dei cttmpi di lei. 


XXXIV. Fransi cosi scioiii dalla guerra i Sabini : e 

scrittine su colonnette i trattali, gli aveauo collocati nei 

tempj. Ma suscitatasi per le cagioni che tra poco dire- 

mo , la guerra di Roma con le città latine , congiurate 

fra loro , guerra che non parea da essere ultimata nè 

con prestezza nè con facilità ; li Sabini afferrarono di 

Lenissima voglia tale occasione , e dimenticarono quasi 

non fatti , i giuramenti e i trattati. E reputando esser 

questo il buon punto da rivendicare anche il multiplo 

del danaro sborsato a’ Romani ; uscirono su le prime , 

in pochi , ed occulti a predarne le campagne vicine. E 

succedendo in principio il disegno secondo il desiderio, 

perchè non accorreva milizia ninna in difesa de’ colti- 

vatori ; si adunarono in gran numero e palesemente : e 

spregiato l’ inimico macchinarono di recarsi fino su Ro- 

ma. Adunque congregarono le soldatesche da ogni loro 

città, brigando di congiungersi co’Laiini. Ma non venne 

lor fallo di ottenere nè amicizia uè lega ninna con 

quella gente. Imperocché Tulio veduti i loro peusieri , 




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273 DELLE Antichità’ romane 

fe tregua colle città latine , e deliberò di volgere le* 

annate contro di essi. Egli aveva in arme il doppio di 

allora , quando mosse alla presa di Alba , ed aveà rac* 

colto il più che potea di sussidj dagli alleati. Già 1’ e— 

sorcito de’ Sabini crasi concentrato. Quindi avvicinatisi- 

entrambi alla selva della dei malfaUori (i) si accam-t 

parono a picciola distanza fra loro. Nei giorno appresso 

investendosi , combatterono , ma con dubbia sorte gran 

tempo ; finché violentati al far della sera i Saliini dalla ’ 

cavalleria romana piegarono ; e molta ne fu nella ' fuga ' 

la uccisione; spogliarono i vincitori i cadaveri de’ iie-> 

mici ; invasero quanto ci avea di danaro negli alloggia- 

menti ; e conducendosi dalle campagne il fiore delie 

prede , tornaronsi a casa. Tal fine ebbe pe' Romani la 

guerra Sabina nel regno di Tulio. ' 


XXXV. Erano le città Latine divenute allora per la 

prima volta discordi da Roma , perchè essendo distnitta 

Alba , ricusavano fidare il comando di sé stesse ai Ro- 

mani che ne erano i distruttori. Tulio, volgendo l’anno 

quindicesimo dalla caduta di Alba avea spedito amba- 

seladori alle città filiali , o suddite di questa le quali 

eran trenta, per chiedere che ubbidissero ai Romani, pa- 

droni di ogni cosa degli Albani , e con ciò dell’ imperio 

ancora - su’ Latini. DIcea che due sono i titoli pe’ quali 

gli uomini diventano gli arbitri di altrui : la libera de- 

dizione e la necessaria : e che i Romani se gli aveano ' 

tutti due per dominare le città già ligie degli Albani : 

[tercliè i primi avevano vinto i secondi dichiaratisi loro 


i . 


(1) Livio la chiama tj-lva malUiom. 




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LIBRO III. 2*; 3 


nemici , e fra le arme , ed aveano poscia accomunato 

Roma ad essi che aveano perduto la patria. Ora da ciò 

seguitava che gli Albani o vinti o volontarj cedeano ai 

Romani l’imperio de’sndditi loro. Non risposero le città 

Latine una per una agli oratori : ma congregatesi pei 

deputati a Ferentino decisero co’ voti loro d^ non sotto- 

mettersi a’ Romani ; e crearono immantinente due capi- 

tani arbitri della guerra e della pace , 1’ uno Anco Pu- 

blicio della città di Cori , e 1’ altro Spurio Vecilio di 

Lavinia. Si fece per queste cagioni guerra tra* Romani 

e tra’ popoli di una gente medesima : continuò cinque 

anni ma quasi civilmente secondo 1’ antica temperanza. 

Imperocché venendo le intere milizie degli uni a batta- 

glia ordinata con le intere milizie degli altri , mai non 

si fece gran danno , nè piena occisione ; nè mai ninna 

loro città vinta in guerra , soggiacque alla distruzione , 

alla schiavitù , o ad altre insanabili disavventure. Ma 

gettandoti gli uni ne’ territori degli altri ne’ tempi della 

raccolta pascolavano e predavano e ritiravansi in casa , 

e cambiavansi lì prigionieri. Tulio solamente cinse di as- 

sedio Medullia città latina, divenuta come fu detto nel 

libro antecedente fin da’ tempi di Romolo colonia dei 

Romani , ed ora congiuratasi co’ suoi nazionali , e con 

ciò la ridusse a non più tentare innovamenti. Non oo- 

corse a ninna delle due parti alcun altro de’ mali con- 

sueti nella guerra perché le guerre de’ Romani di quei 

giorni eran subite, e per la subitezza non iochiudevano 

tanto rancore. , ; 


XXXVI. Cosi adoperava nel suo principato Tulio 


PlONIGl , tomo I, tS 




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2^4 BELLE AjX'ìICHITa’ HOMAME 


Osiiiio, r uuo de’ pochi uomini degni di lode per l’ar> 

dire felice tra le arme , e per la saviezza ne’ pericoli ; 

c più che per tali due cause, per ciò che egli non era 

precipitoso a far gueire, ma postovi si, non mirava che 

a silperare in tutto i nemici. Dopo uu regno di trenta 

due anni mori per l’ incendio della sua casa , e con lui 

pur morirono nel fuoco medesimo la moglie , i figli , i 

domestici. Vi è chi dice che la casa di lui fu messa in 

fiamme dai fulmine ; essendoglisi irritato il Nume per 

alcuna sua non curanza di sante cose , perchè si erano 

sotto lui tralasciati dei sagrifizj della patria , introdu- 

cendovisi in parte gli altrui. Ma i più raccontano che 

fu quel disastro per insidia degli uomini ; ascrivendolo 

a Marzio , re , successore di lui : perocché Marzio sde* 

guavasi , dicono , che egli nato di regio lignaggio dalia 

figlia di Numa Pompilio vivesse tra’ privati : e vedendo 

già grande la prole di Tulio , altamente ne sospettas’a , 

che' se costui periva , passasse il regno a’ figli di lui. 

Fra tali concetti insidiava da gran tempo la regia vita. 

£d essendogli molti Romani, fautori per dargli lo scet- 

tro , e Tulio essendogli amico , ed era creduto fidissi- 

mo; spiava la occasione di sorprenderlo. Era Tulio per 

fare in sua casa un sagrilizio al quale non volea pre- 

senti che i suoi più congiunti; ma divenuto per avven- 

tura quei giorno ferale per tenebre , per pioggia , per 

nembi , le guardie aveano lasciato deserti gii atrj della 

reggia. Parendo questo il buon punto s’introdusse Mar- 

zio e i compagni co’ brandi sotto degli abiti : uccisero 

il monarca , i figli e quanti vi erano : vi appiccarono il 

fuoco in più bande e poi divulgarono la novella del 




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LIBRO III. 2-j5 


fuoco. Ma io non ricevo la novella , perocché , nè vera 

la credo, nè verìsimile : e piuttosto m’ appìglio 'alla 

prima opinione , e penso che quest’ uomo per ira degli 

Iddìi corresse tal sorte. Imperocché non è facile che la 

congiura , operandola molti , si resusse occulta : nè il 

capo di essa era sicuro che egli sarebbe proclamato 

monarca da’ Romani dopo la morte di Tulio Ostilio: e 

quando fosse tutto stato sicuro per lui dal canto degli 

«omini , non potessi confidare che somiglierebbero i 

divini agli umani pensieri. Bisognava dopo il voto delle 

tribù che propizj gli augurj comprovassero il regno per 

lui. Qual genio o qual Nume avrebbe mai sopportato 

ebe un uomo cosi lordo di delitti e di sangue si acco> 

stasse agli altari suoi per compiervi de’sagrifizj, o altre 

pie cerimonie ? Per tali cagioni io riferisco quell’ evento 

agl’ Iddìi , non alle trame degli uomini. Tuttavia ne 

giudichi ognuno come più vuole. 


XXXVII. Dopo la morte di Tulio Ostilio fu creato 

secondo i patrj costumi l’ interré dal Senato ; e l’ in- 

terré dichiarò sovrano della città Marzio , che Anco 

denominavasi. E Marzio , dopo confermati i decreti del 

Senato dal popolo , dopo renduti agli Iddii quanto a 

loro si conveniva, e compiuta a norma delle leggi ogni 

cosa, assunse il comando nell’ anno secondo della ohm- 

\ piade 35 .* nella quale vinse Sfero spartano , nel tempo 

che Damasìa esercitava in Atene l’annuo magistrato (i). 

Ora osservando questo re la trascuraggìne delle pratiche 

religiose istituite da Noma , avolo suo materno , esser- 

ti ) Anni 114 secondo Catone, e 116 secondo Varroae dalla foa- 

dasione di Ruma e 638 aTanti Cristo. 




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2 '] 6 DELLE Arrt-ICHÌTA’ ROMANE 


vando die il più de’ Romani erano divenuti guèrrieri è 

dediti a vili guadagni , nè più si volgeano come prima 

ai lavori della terra; chiamati tutti a parlaménto, esortò 

che ripigliassero il culto degl’ Iddii come a’ tempi di 

Numa ; dimostrando che per tali negligenze delle sante 

cose erano venuti in città morbi e pestilenze ed alu'i 

Hagelli che ne aveano desolata parte non picciola : e 

che lo stesso re Tulio perchè non vegliavane quanto 

doveva alla custodia, travagliato per molti anni da tutti 

i generi de’ mali , nè più essendo padrone della stia 

mente , ma decadutagli questa come il corpo , incone 

in catastrofi miserande egli nemmeno che la sua stirpe." 

E lodando a’ Romani la pubblica forma indotta da Nu- 

ma come egregia e savia , e generatrice di abbondanza 

quotidiana per giustissime cause ; raccomandò che la 

ravvivassero e volgessero l’ opera loro , a coltivare le 

terre , ad allevare i bestiami , e ad altri lavori , liberi 

dalle ingiustizie della violenza e della rapina , e spre- 

giassero in fine le utilità che nascono dalla guerra. 

Con questi e simili detti risvegliava iu tutti il dolce 

trasporto per la calma , aliena dalle armi , e per la in- 

dustria sapiente. Convocando poi li pontefici , e pren- 

dendone le leggi delineate da Numa intorno le cose 

divine , le scrisse ed esposele in su tavolette nel Foro 

a chiunque volesse vederle. Ora quelle tavolette vennero 

meno: perocché non usavano ancora le colonne di me- 

tallo ; ma scriveansi in tavole di querce le leggi del 

fero e de’ templi. Dopo la cacciala dei re furono H- 

prodolte in pubblico dal pontefice Cajo Papirio, il quale 

avea la cura suprema delle cose divine. Rendendo il suo 




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LIBBO III. 277 


splendore ai ministeri negletti de’ sacerdoti , e rendendo 

ai lavori suoi la turba oziosa ; encomiò gli utili agricol- 

tori, e ne biasimò gl’improvidi, come cittadini non veri. 


XXXVIII. Lusingavasi al favore di tali istituzioni di 

vivere sempre libero da guerre e disastri come 1’ avo 

materno : tuttavia non ebbe pari ai desiderj la sorte ; 

ma in onta del cuor suo fu necessitato alle arme , e 

ravvolto in tutta la vita fra turbolenze e pericoli. Im> 

perocché nel primo ascendere al comando appena diede 

calma allo stato , i Latini ve Io dispregiarono : e pen- 

sandolo per codardia non idoneo alla guetra; tutti man- 

darono entro i confini di lui bande di rubatori , che 

' assai danneggiarono molti Romani. E spedendo il so- 

vrano degli arobasciadori a chiedere compensagioni pei 

Romani secondo i trattati, finsero ignorare in lutto quei 

latrocini , non die fossero con pubblica autorità con- 

certati. Diceano pertanto non dovere di cosa alcuna ri- 

sponderne a’Romani; tanto più che i trattati erano con 

Tulio e non co’ presenti; e Tulio mancato, erano periti 

con esso gli accordi. Necessitato da tali pretesti e cavil- 

lazioni de’ Latini Marzio portò conti'O loro l’ esercito. 

Postosi all’ assedio della città di Politorio , la prese a 

condizioni prima che i soccorsi le giugnessero de’ Latini. 

Non infierì già cogli abitanti , ma portossegli tutti a 

Roma co’ beni che avean seco, aggregandogli alle tribù. 


XXXIX. Ma siccome i Latini mandarono nell’ anno 

seguente nuovi abitanti a Politorio , e ne coltivavano i 

campi , così Marzio pigliando I’ eserdto lo ricondusse 

contro di loro. Uscirono dalle mura i Latini e combat- 

terono; ma egli li vinse, e prese la città per la seconda 




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2^5 DELLE Antichità’ romane 

volta. E peixìhè più non fosse un richiamo de’ nemici . 

nè più lavorassero i campi di lei , ne abbattè le mura , 

ne incendiò gli edi6zj, e parli. Recaronsi nell’anno ap- 

presso i Latini a Mednllia ov’ erano de’ coloni romani , 

e dandole d’ ogn’iniomo l’assalto la espugnarono. Maiv 

'zio andato di quel tempo contro la città di Tillene e 

divenuto vincitore in campo , c poi su le mura , la 

sottomise. Non tolse a’ prigionieri nulla di quanto aveano: 

ma li trasse in Roma ove. diè loro de’ luoghi perchè vi 

edi6cassero le abitazioni. Soggiacque Medullia per tre 

anni ai Latini , ma nel quarto la riconquistò con molle 

e grandi battaglie. Espugnò dopo non molto Fidene(i), 

città presa tre anni addietro per condizioni ; e ne 4ra- 

sferl tutto il popolo a Roma ; e non danneggiando la 

città più oltre , parve che si diportasse anzi con man» 

sneludine che con' prudenza. Imperocché li Latini vi 

supplirono nuovi abitanti; e sen tennero e sen goderono 

il tet^ritorio ; tanto che fu Marzio costretto di accorrervi 

per la seconda volta; e divenutone per la seconda volta 

padrone a grande fatica ; ne abbandonò le case alle 

fiamme , e ne devastò le mura. 


XL. Occorsero dopo ciò due battaglie tra’ Latini e 

Romani. Durò la prima lungo tempo : e gli uni sem- 

brandovi eguali agli altri , si distaccarono , e ritiraronsi 

a’ proprj alloggiamenti. Nella seconda i Romani vinsero 

i Latini e gl’ incalzarono fino alle trinciere. Dopo ciò 

più non vi ebbe fra loro battaglia ordinata : ma conti- 

nue furono le scorrerie degli uni su le terre vicine degli 


(i) Vi i ehi legga Ficolara per Fidrue. E verameaie più sotto si 

parla della ribtIlioBe di Fideue. 




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. LIBRO III. 279 


altri ; > e continua le scaramucce tra cavalieri e fanti che 

volteggiavano; ma per lo più colla meglio de’ Romani i 

quali teneano in campo aperto appiè di castelli oppor- 

tuni un armata sotto gli ordini di Tarquinio Toscano. 

Ribellaronsi intanto que’ di Fidene da’ Romani , nè già' 

dichiarando guerra manifesta ; ma danneggiandone a 

poco a poco con occulte incursioni le campagne. Marzio' 

però presentandosi loro con esercito ben fornito innanzi 

che si apparecchiassero alla guerra si accampò d’appresso 

alia città. Fingeano i magistrati non supere per quali 

affronti i Romani fossero venuti contro di loro : e di-- 

chiarando il re che veniva per aver soddisfazione dei 

latrocinj e danni fatti da essi nella sua terra ; si escu- 

sarono che niente era stato con pubblica autorità , e 

chiesero tempo per esaminare e discernere i complici 

delle ingiustizie. Procrastinavano intanto , non adempie- 

vano gli obblighi loro , adunando in segreto de’ sussidj , 

e travagliando all’ apparecchio delle arme. 


XLI. Marzio conosciutine i disegni scavò de' cunicoli 

dal suo campo fino alla città : e compiutone il lavoro 

suscitò le schiere, conducendole con molte scale e mac^ 

chine e stromenti proprj per gli assalti, alle mura, non' 

però dove riuscivano sotto queste le vie sotterranee, ma 

in tutt’ altra parte. Accorsi in folla i Fidenati dove era- 

r assalto, bravamente lo rispingevano, quando ì Romani 

incaricatine , dato 1’ ultimo traforo ai cunicoli , sboc- 

carono dentro la città; e trucidando chiunque capitava, 

spalancarono le porte agli assalitori. Soccomberono nella 

presa della città molti de’ Fidenati; Marzio impose agli 

altri che cedessero le armi : poi fattili per la voce dei 




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aSo DET.LE Antichità’ romane 

banditori congregare in luogo certo , ne battè con Ter- 

ghe e ne uccise alcuni pochi , autori della ribellione ; e 

concedè che i soldati saccheggiassero le case di tatti. 

ÀlSne lasciato quivi un presidio marciò coll’ esercito 

contro de’ Sabini. Nemmeno questi eransi tenuti ai patti 

conchiusi con Tulio ; ma gettandosi nelle terre de' Ro> 

mani ne aveano devastato le più vicine. Marzio , cono» 

sciato dagli esploratori e dai disertori il tempo acconcio 

ad investirli , andò con i suoi iànti , e mentre i Sabini 

spargeansi a predar le campagne prese di assalto le 

loro trincierò , fornite di pochi difensori ; ordinando 

intanto che Tarquiuio piombasse con la cavalleria su i 

nemici che divisi rubavano. Al vedere la cavalleria ro- 

mana verso loro lasciarono i Sabini la preda e quanto 

seco portavano o conducevano di proficuo , e fuggirono 

agli alloggiamenti. Ma non sì tosto mirarono questi hr 

potere de’ fanti ; dubitarono dove rivolgersi , finché si 

sparsero per le selve e per le montagne. Perseguitati 

pelò da* soldati leggeri e da' cavalieri , ne scamparono 

pochi, soccombendone la parte più numerosa. Spedirono 

dopo ciò nuovi ambasciadori a Roma ed ottennero l’a- 

micizia che voleano. Imperocché la guerra , permanente 

ancora, co’ Latini rendea necessaria la tregua o la pace 

con gli altri nemici. 


Xl.II. Intorno al quarto anno dopo questa guerra 

Marzio il re de’ Romani andò colle sue milizie e col 

più che potè delle ausiliarie contro de’ Vejenti , e de- 

vastò gran parte della loro campagna; imperocché questi 

si erano i primi gettati nell’ anno precedente sul terri- 

torio romano; e molto vi saccheggiarono, e vi uccisero. 




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I.IBRO III. 281 


Ben uscirono  

sperità , grandi oltre il dire , su le prime si diedero in 

pochi a scorrerne e derubarne le campagne : poi lusin- 

gati dal guadagno misero palesemente in piede un eser- 

cito ; e le desolarono. Ma non riuscì loro di portarsi 

via que’ guadagni , nè di partire impuniti. Imperocché 

venuto provvidamente il re de’ Romani , e posto il stio 

presso al campo de’nemici, gli astrinse a fare giornata. 

Sorse dunque battaglia terribile , e molti perirono da 

ambe le parti : nondimeno per la sperienza , e per la 

tolleranza de’ travagli , antica fra loro , prevalsero finale 

mente di gran lunga i Romani , e fecero ampia ucci- 

sione, seguitando immantinente i Sabini che disordinati 

e disgiunti riparavansi agli alloggiamenti. Poscia inva- 

dendo pur questi pieni di ogni ricchezza, e ricuperando 

i prigionieri usurpati da’ Sabini quando predavano ; sen 

tornarono in patria. Tali si dicono le gesta guerriere 

di questo re , credute degne di ricordanza , e di stima 

da’ Romani : sono poi le politiche , quelle che mi ac- 

cingo a narrare. 


XLIV. Primieramente aggiunse alla città non piccìola 

parte rinchiudendo fra le mura 1’ Aventino. E questo 

un colle alto leggermente, con perimetro di circa stadj 

diciotto : r occupavano allora piante di ogni genere e 

più che tutto lauri bellissimi , dond’ è che una parte di 

esso chiamasi laureto da’ Romani : ora è tutto ingom- 

brato di case , e tra’ molti edi6zj , il tempio sorgevi di 

Diana. Dividevalo valle angusta e profonda dal colle 

della città ^ chiamato Palatino , dove fu Roma nel na- 




LIBRO III. 




a83 


«cer suo collocata : ma ne’ tempi appresso l’ intervallo 

tra* due colli fu riempiuto di terra : ora vedendo che 

un tal colle sarebbe un luogo forte per un* armata ne- 

mica se nini si avvicinasse, lo circondò di mura e fossi, 

e inisevi ad abitare le genti trasportate da Telline , da 

Poiilorio , e da altre città soggiogate. Celebrasi tale 

istituzione del re come utile e bella , perchè Roma ne 

divenne più ampia , e meno espugnabile per quanti 

nemici mai le soprastassero. 


XLY. Migliore del regolamento anzidetto è 1’ altro 

che la rendè più felice nel vivere, e la mise ad im- 

prese più generose. Imperocché scendendo il fiume Te- 

vere dai monti Appennini , passando appiè di Roma, e 

scaricandosi attraverso de’ lidi del mare Tirreno , dirotti 

e senza porti , rende alla città picciolo bene , e certo 

non memorabile , perchè dove si scarica non evvi un 

emporio il quale riceva e cambj a’ mercadanti le merci 

portatevi dal mare, e giù colla corrente stessa del fiume. 

Altronde essendo il Tevere navigabile fin dalle origini 

con barche fluviali mezzane , e dal mare fino a Roma 

co’ legni grossi da trasporto ; egli deliberò di fare ivi 

un luogo da ricever le navi , servendosi della imboc- 

catura come di porto ; tanto più che ivi il fiume si 

spande amplissimo , e formavi gran seni appunto come 

ne’ siti de’ porti migliori. E , ciò che porge più mera- 

viglia , il Tevere non è traversato nella sua foce da cu- 

muli di arene , come altri gran fiumi , nè dilagasi in 

stagni o paludi , nè consumasi con altre maniere prima 

che giintga nel mare : ma sempre navigabile si scarica 

per una sola bocca naturale, separando a forza le acque 




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284 DKLLE Antichità’ romane 

marine , quantun(]ue ivi spiri un vento occidentaie 

grande e malagevole. Adunque le navi lunghe per 

quanto grandi, e quelle da carico, capaci ancora di tre 

mila misure , si avanzano per la bocca del medesimo 

e giungono a Roma , sospintevi con remi e funi : ma 

le navi maggiori fermate colle ancore presso la imboc- 

catura si vuotano su barche fluviali, che succedono ai 

trasporU. Tra lo spazio cui cingono il mare ed il Gume 

con forma di cubito , il re fece erigere una città chia- 

mandola Ostia , o come noi diremmo , porta dall’ uso 

che presta , rendendo con ciò Roma mediterranea e 

marittima , talché godesse i beni ancora d’ oltremare. 


XLYI. Inoltre cinse dì muro il Gianicolo che è un 

colle alto di là dal Tevere , e posevi guarnigione che 

bastasse per difendere chi navigava in sul Game ; im- 

perocché li Tirreni tenendo lutto il tratto di là dal 

Gume infestavano e derubavano i mercadanti. E dicesi 

che egli soprapponesse al Tevere il ponte Sublicìo , il 

quale dee per legge esser tutto di legno , senza rame 

nè ferro , ed il quale , perchè sacro lo estimano , con- 

servasi ancora. E se parte alcuna ne pericola, i ponteGci 

la curano , compiendo insieme patrj sagriGzj mentre 

riparasi. Operate nel suo principato tali cose degne di 

storia. Marzio dopo un regno di ventiquattro anni moti, 

lasciando Roma non poco migliore di quello che aves- 

sela ricevuta , e lasciando due Ggli 1’ uno fanciullo an- 

cora, r altro di più anni, e già nubile. 


XLVII. Dopo la morte di Marzio , il popolo rimise 

al Senato la scelta del governo che più bramava ; ed il 

Senato Gssò di litenerne la forma consueta. Adunque 







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LIBRO III. a85 


furono gl’ interré dichiarati ; e questi riunirono pe’ coi^ 

mizj la moltitudine , e scelsero Lucio Tarquiuìo per 

monarca (i). E confermando i segni divinf la elezióne 

della moltitudine ; egli assunse il regno nella olim- 

piade nella quale Cleonida tebano vinse nello sta- 

dio, mentre era arconte in Atene il figliuolo di Enioco. 

Ora , secondo che io ne trovo negli scritti di que’ luo- 

ghi, dirò di quali parenti, e di qual patria fosse questo 

Tarquinio , per quali cagioni venisse in Roma , e per 

quali arti giugnesse al comando. Un tale di Corinto , 

( Demarato ne era il nome ) della stirpe de’ Bacchiadi , 

risolutosi di commerciare navigò per la Italia con nave 

propria e proprie merci. Vendutele nelle città tirrene 

allora le più prosperose d’ Italia , e fattovi assai guada- 

gno , non volle più rigirarsi per altri porti ; ma tenne 

continuamente lo stesso mare , portando le greche cose 

ai Tirreni , e le tirrene ai Greci ; donde ricchissimo né 

divenne. Nata però sedizione in Corinto , e postasi la 

tirannide di Cipselo attorno de’ Bacchiadi , egli ricco 

uomo , e del grado degli ottimati , più non credendo 

sicuri col tiranno i suoi 'giorni , raccolse quanto potea 

di sue robe , e fece vela per sempre da Corinto. E 

perchè stante il commercio continuato egli aveva amici 

molti Tirreni, anche riguardevoli; specialmente in Tar> 

quinia , città, grande allora e felice, quivi si domiciliò,' 

prendendovi una nobile donna per moglie. Da questa 

nacquero a lui due figli, chiamandone con tirreni nomi 

Aronle 1’ uno , e 1’ alu'O Lucumone. Diè loro greca é 


(i) Anni di Roma l3S secondo Catone, i^o secondo Varrone, e 

6i4 acanti Cristo. 







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a86 DELLE A?)TICHITA’ romane 

tirreoa istituzione, e adulti fatti , li cougìaute per ma- 

trimonio colle più insigni famiglie. 


XLVIIL Mori non molto dopo il primogenito suo, non 

avendosi ancora di lui prole distinta (i). Da indi a po- 

chi giorni si mori per l’ ambascia Demaralo ancb’ esso 

destinando erede di ogni sua cosa Lucumone il Aglio 

superstite. Investito questi de’ beni paterni , che erano 

assai grandi, desiderò di essere nom pubblico, di ma- 

neggiare il comune, e Ggurare co’ primi della città. Ma 

respinto in ogni parte da’ paesani , e non aggregato non 

dico a’ primarj ma nemmen co’ mediocri , mai sopportò 

quel dispregio. E sentendo come Roma accogliea con 

beneplacito i forestieri , e facevali cittadini , e gli onorava 

secondo i lor gradi ; risolvette di trasferirvisi. E raccolte 

per ogni modo le cose sue menò seco moglie, amici , 

e domestici quanti ne vollero ; e molti vollero con lui 

trasmigrarsi. Giunto al colle chiamato Gìanicolo , che è 

quello donde Roma presentasi in prima a chi .vien di 

Toscana , un aquila calatasi di repente , gli ghermisce il 

pileo che tieu sul capo , e sollevatasi , roteandosi a volo, 

si occolu al Aae nell’ allo delK aere : poi d’ improvviso 

rimise in capo a Lucumone il suo pileo come eravi 

quando sei portava. Riuscì tal segno inaspettato e me- 

raviglioso a tutti: e Tanaqaila (che tale ne era il nome) 

la' moglie di Lucumone , sperimentata assai nell’ arte pa- 

tema degli auguri > menatolo in disparte . lo abbracciò 

colmandolo di belle speranze , come se dalla condizione 

de’ privati a quella gingnerebbe dei re. Desse dunque 


(i) Latoiò la moglie graeiJa : e da essa aacrjua poscia Arunlc 

dopo la morie di Demaralo. Vedi § 5o. 




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LIBRO III. 




387 




opera , moitranJosene degno , di ricererc il comando dai 

Romani spontaneamente. 


XLIX. Lieto Lucumone de’ successi , ornai presso 

alle porte , supplicò gl’ Iddi! che verificassero gli augurj ; 

supplicò che gli dessero un* ingresso felice , e si mise 

dentro la città. Quindi venuto a colloquio con Marzio 

il regnante indicò primieramente chi egli fosse, poi co> 

ni’ egli era deliberato domiciliarsi in Roma ; che avea 

perciò portate seco le paterne sostanze, delle quali pos* 

sedendone piucché un privato , esibivale fin d’ allora in 

servigio de' Romani e del re. Lo accoke questi di buon 

grado , ascrivendo lui co’ Tirreni compagni in una curia 

e tribò. Cosi fabbricò Lucumone in città la sua casa , 

avutone in sorte il sito che bastasse , e ricevutane pure' 

una parte di campagna. Ciò fatto , e divenuto del nu-> 

mero de’ cittadini , osservando come ogni Romano ha un 

nome comune , ed inoltre uno patronimico e gentilizio , 

e volendo in ciò conformarsi , assunse , per suo nome 

comune quello di Lucio in luogo di Lucumone , e pel 

gentilizio quello di Tarquinio dalla città dove ebbe i 

natali e la educazione. In breve divenne 1’ amico del 

sovrano , donandogli ciocché si avvedea che più gli 

bisognava , e porgendogli danari , quanti ne erano di 

mestieri per la guerra. Combattitore benissimo a piede 

e a cavallo contavasi per sapientissimo quante volte bi« 

sognassero opportuni consigli. Nè già col divenire caro 

al monarca aveasi perduto la benevolenza de’ Romani , 

ma si vincolò molti de’ patrizj co’ beneficj , e tentò di 

affezionarsi la plebe col chiamarla , e salutarla , e con- 

versarla piacevolmente , e col porgerle danari ed altre 

significazioni di amore. 




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a88 DEtLE Antichità’ roma:he 

L. Tale era Tarqulnio , e per tali cagioni vivendo 

Marzio divenne il più cospicuo de’ Romani ; e morendo 

questo fu da tutti proclamato degno del trono. Salitovi 

fece guerra in principio con gli Apiolani , popolo non 

ignobile del Lazio. Imperocché gli Apiolani, come tatti 

del Lazio , credendosi colla mone di Marzio sciolti dai 

trattati di concordia devastavano le campagne romane 

pasturandovi , e saccheggiandovi. Di che volendo Tar- 

quinio farli pentiti usci con grande armata , e disfece 

quanto era il meglio del territorio di quelli. Ben so- 

pravvenne gran soccorso per gli Apiolani da’ popoli vi- 

cini del Lazio : ma egli attaccò due volte battaglia con 

essi , e vintala due volte , si ristrinse all’ assedio della 

città, spingendovi a mano a mano delle schiere 6n alle 

mura. In opposito dovendo quelli della città combattere 

pochi di numero e senza intermissione contro i molti e 

freschi , soccomberono alfine. Presa la città di forza , i 

più degli Apiolani morirono con le arme in pugno : e 

se taluni le cederono , furono venduti colle altre prede. 

Furono le donne e i fanciulli condotti schiavi da’ Ro- 

mani : fu la città lasciata al saccheggio , e dopo il sac- 

cheggio alle fiamme. Il re dopo' questo , e dopo rove- 

sciate le mura da’fondamenti ricondusse in casa le milizie; 

rivolgendole poi contro la città de'Crustumerini: colonia 

anch’ essa de* Latini , la quale erasi ceduta a’Romani nel 

tempo di Romolo : ma cominciava di nuovo a tenersela 

co’ Latini , dacché Tarquinio prese il comando. Nè già 

bisognarono a questo assedj e travagli per umiliarsela. 

Imperocché li Crustumerini vedendo la moltitudine ve- 

nuta contro loro, la debolezza propria, e la niuna aita 




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LIBRO III. 




389 




de’ Latini verso di essi , aprirono le porte ; ed uscitine 

i più anziani e più riveriti consegnarono a lui la citld , 

supplicandolo che usa^e moderazione e clemenza. Ben 

fu l’ evento propizio ai desiderj: perciocché andato quel 

inotutrca in città non vi uccise ninno, ma banditine per 

sempre alcuni pociù , amatori della ribellione , concedè 

che gli altri ritenessero i beni loro , e partecipassero 

come) prima alla cittadinanza romana. Ma perchè più 

non si rimovessero , lasciò de’ Romani con essi. 


LI. Egual sorte incontrarono i Nomentani datisi a 

pari consigli. Imperocché spedendo bande di ladroni 

ne’ campi de’ Romani si costituirono aperti loro nemici ; 

coutidaudu nella confederazione de’Latini. Ma giuguendo 

Tarquinio su loro, e tardando il soccorso latino, e non 

b.isiando essi contro tanti nemici, uscirono 'di città coi 

simboli di pace, e si renderono. Gli abitanti di Collazia 

111 archi narono far battaglia co’Romani ed emersero dalle 

mura di essa : ma superati in tutti gli attacchi e molto 

danneggiatine ; furono costi-etti rifuggirsi tra le mura , 

e spedirono alle città de’ Latini per chiederne truppe 

compagne. Ma indugiandosi questi, e presentando i ne terre, ninno resistendovi, e messo il campo 

dinanzi la città , ne invitava gli abitanti a far pace. Ma 

ricusando questi , e confidando su le fortibcaziooi dei 

ricinti , e concependo che -verrebbero per loro schiere 

confederate d’ogn’ intorno, il re ne circondò con truppe 

le mura , e le assalì. Resisterono lungo tempo i Corni- 

colani combattendo virilmente , e coprendo di ferite gli 

assalitori , ma stanchi pei dalla continuità de’ travagli , 

e piò stanchi eziandio dalla discordia, perchè non erano 

più unanimi fra loro volendo altri la resa , ed altri la 

difesa della città Gno agli estremi ; furono alGne espu- 

gnati. Li più generosi di loro perirono fra le arme nella 

presa della città : gli altri , salvatisi come ignobili , fu- 

rono venduti schiavi insieme co' fanciulli, e colle donne, 

la città fu prima abbandonata al saccheggio , e quindi 

alle Gamme. Dicchè malcontenti i Latini deliberarono 

con voto comune di uscire io campo contro a’ Romani: 

e fatto grande apparecchio di forze , si gettarono su le 

terre più buone di essi , e v’ invasero assai prigionieri, 

e vi divennero signori di amplissime prede. Volò Tar> 

quinio contr essi coll’ esercito spedito e pronto : nè po* 

tendo raggiungerli , portò su le terre loro simili cala- 

mità. Cosi per le vicendevoli incursioni ne’ campi vicini. 




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LIBRO III. 2()r 


molle lerano le perdite e gli acquisti di ambedue. Ven- 

nesi con tutte le forze a battaglia ordinata presso Fi^ 

deoc; e molti ne perirono da ambe le parti; ma vin- 

cendo inCne i Romani , costrinsero i Latini a lasciare 

il campo , e fuggirsene tra la notte alle loro città. 


LH. Dopo quel comlntti mento marciò Tarquinio colle 

milizie schierate alle città de’ Latini esibendo ad essi la 

pace. E queste non avendo né riunite le forze' comuni, 

nè ben confidando su’ proprj apparècchj , accettarono  

batteano questi nell’ ala destra ed aveano già fugato gli 

emuli che eran con essi alle mani , ma l’ inaspettato 

presentarsi di lui li sorprese e sconvolse. Intanto la 

fanteria romana riavutasi dalla paura piombò su’ nemici. 

Allora grande fu la strage de’ Tirreni, e piena la rotta 

dell’ala destra. Tarquinio dato avviso ai duci della fau> 

teria di tenergli appresso in buon ordine, e passo passo, 

spinse di tutta lena i cavalli in su gli alloggiamenti ne* 

mici; e gl’ invase a prìm’ impeto, prevenendo quelli che 

vi si riparavano dalla fuga. Imperocché quelli che ne 

erano in guardia non avendo prima saputa la sciagura 

che invalse su i loro , né potuto distinguere per la ra- 

pidità del corso quali cavalli venivano , lasciarono che 

entrassero. Invasi gli alloggiamenti de’ Latini , quelli che 

dalla fuga vi accorrevano come ad asilo , vi erano sor- 

presi ed uccisi da’ cavalieri che lo aveano preoccupato : 




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394 DELLE Antichità’ bomane 


e se altri si fossero affrettati di là verso il piano s’ im- 

battevano' colla fanteria romana , e ne perivano : li più 

di loro spintisi e concnlcatisi a vicenda soccomberono 

con ignobile e miserabile fino intra i valli , e li fossi. 

Dond’ è che quanti vi sopravanzavano non avendo via 

ninna di salvezza erano costretti di rendersi ai vincitori. 

Tarquinio impadronitosi di persone , e robe in copia 

vendè le prime , e concedè le seconde in premio ai 

soldati. 


LV. F allo ciò si diresse alla città de’ Latini onde 

prendere combattendo quelle che a lui non si davano : 

non però vi fu bisogno di assalti : ma si rivolsero tutte 

alle umiliazioni ed alle preghiere ; e mandando oratori 

a nome del comune supplicarono che desse fine alla 

gtierra co’ patti che gli piacevano , e si renderono. 11 

re divenutoi cosi l’arbitro delle città fu moderatissimo 

e mitissimo verso di tutte : perocché non uccise , non 

bandì , nè multò niuno de’ Latini. Lasciò che godessero 

-le terre loro , e conservassero le leggi delia patria : ma 

comandò che rendessero ai Romani i disertori ed i pri- 

gionieri senza prezzo ninno: che restituissero ai padroni 

i servi, quanti presi ne aveano nel fare le prede , agli 

agricoltori il danaro quanto ne aveano derubato ; e 

compensassero tutti gli altri danni o guasti , se causati 

ne aveano nelle scorrerie. Fatto ciò dichiarò che sareb-- 

bero gli amici e li confederati de' Romani se pronti 

sarebbero in tutto ai loro comandi. A tal fine venne 

la guerra de’ Romani co’ Latini ; e cosi Tarquinio vinse 

e trionfò. 


LVl. L’ anno appresso prendendo 1’ esercito , lo con- 




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LIBRO III. 3^5 


dusse contro i Sabini , avvedatisi già molto innanzi dei 

disegni e de’ preparamenti suoi contro di loro. Non 

aspettarono questi che la guerra passasse in sul proprio 

territorio ; ma premunitisi di forze sufilcienti si avanza- 

rono tutti ad un luogo. Fattasi ne’ confini battaglia fino 

a sera non vinsero né gli uni uè gli altri , anzi molto 

ne furono afiaticati. Quindi ne’ giorni appresso nè il 

duce Sabino nè il re dei Romani cavarono le milizie 

dagli accampamenti: ma via via trasmutandoli , senza 

danneggiare le terre , si ricondussero in casa ; ambedue 

coi disegno di piombare nella primavera con armata 

più grande 1’ uno nel territorio dell’ altro. Poiché furono 

ambedue preparali , primi si mossero i Sabini fiancheg- 

giati da sussidio sufficiente di Tirreni , e collocarousi 

presso Fidene, dove l’ Aniene concorre col Tevere. 

Fecero questi due campi, l’uno dirimpetto, e come in 

continuazione dell’altro; avendoci tra tutti due 1’ alveo 

delle correnti riunite , e sull’ alveo un ponte di legno 

congegnato di picciole barche , il quale rendea spedito 

il transito dall’ uno all’ altro campo , anzi rendeali di 

due uno solo. Tarquinio uditane la irruzione aach’ egli 

cavò le sue genti , e si trincerò presso 1’ Aniene , al- 

quanto più sopra di loro in una munita collina. Erano 

venuti ambedue con tutto l’ardore a tal guerra ^ por 

non vi ebbe ninna battaglia ordinata , non grande nè 

picciola. Imperocché Tarquinio con iscaltrezza di capi- 

tano prevenne ed isconciò tutte le opere de’ Sabini , e 

ne distrusse l’ uno e l’ altro campo. Lo stratagemma fa 

questo. 


LVII. Preparate e riempiute piociole barche fluviali 




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àg6 DELLE Antichità’ romane 

di legna aride e di zolfo e di |>cce *ul fiame presso al 

quale esso accampava , e poi colto uii vento propizio , 

ordinò che nella vigilia mattuliiia si desse fuoco a qnei 

combustibili e si lasciassero le navi a seconda della Cor- 

rente. Queste scorrendo iu breve tempo la distanza in- 

termedia percossero il ponte, e vi comunicarono ' in 

più luoghi r incendio. Accorsi per ajuto i Sabini a 

tanta fiamma improvvisa , e datisi a far tutto , quanto 

giovasse ad estinguerla , ecco intanto gingnere su l’alba 

Tarquinio coU’eseixito in ordinanza; ed investire l’nno 

de’ campi , deserto di guardie, andate in gran parte 

contro del fuoco. Pochi dunque sorsero a resistervi ; 

talché senza fatica gl’ invase. Mei tempo di tale opera- 

zione altre milizie romane sopravvenendo espugnarono 

anche il campo Sabino posto di là dal fiume: premesse 

da Tarquinio nella prima vigilia erano su piccioli na- 

vigli valicate da sponda a spanda , laddove fattosi di 

due fiumi uno solo, rimarrebbero invisibili nel passaggio. 

Appena poi videro il ponte iu fiamme piombarono 

( che tale ne era l’ accordo ) in sul campo dei Sabini : 

ove quanti ne erano o combattendo caddero appiè dei 

Romani, o gittatisi a nuoto nella 'confluenza de’ fiumi 

nè resistendone all’ impeto , si affondaron tra’ vortici : 

peri nou picciola .parte ancora per liberarne il ponte , 

tra le fiamme. Tarquinio, preso l’uno, e l’altro cam- 

po , diede a’ soldati . le robe che vi erano percltè se le 

compartissero , ma ' condusse in Roma e guardò ’ con 

molta diligenza li prigionieri ; ben molti in tutto, Sabini 

e Tirreni. 


LYIII. Sentirono a tale sciagura i Sabini la propria 




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LIBRO III. . 397 


debolezza , e mandando gli ambasciadorì concbiusero, 

00 ’ Romani una tregua di sei anni. I Tirreni mal sop-, 

porundo che fossero tante volte vinti , e che Tarquinio 

j»er quante istanze ne facevano, non s rendesse i loro 

prigionieri , anzi li ritenesse come ostaggi ; decretarono 

di spingere tulle generalmente le città Tirrene in guerra 

contro de’ Romani e di non più riguardarla come al- 

leata , se taluna se ne ricusava. Cosi deliberati cavarono 

in campo le milizie , e tragittato il Tevere si trincie- 

rarono presso Fidene. E prima s’ impadronirono di 

questa con frodoienza , per esservi sedizione tra’ citta- 

dini: poi fatti prigionieri in buon numero, e condottesi 

via via gran prede dal territorio romano ^ tornarono in 

patria. Fidene sembrava loro una piazza bonissima d'ar* 

me in tal guerra; e vi lasciarono guernigioue quanta 

ne bastasse. Ma Tarquinio mettendo per la stagione se- 

guente in arme tutti i Romani , e congregando il più 

che poteva di alleali marciò sui giugnere della prima- 

vera contro i nemici prima che riunitisi dalle varie città 

venissero su lui come 1’ anno d’ innanzi. Dividendo in 

due parti tu'.ia 1’ armata , egli stesso ne andò colla mi- 

lizia romana contro le città de’ Tirreni : e fidate le 

truppe ausiliarie , per lo più latine , ad Egerio il suo 

consanguineo , gl’ ingiunse di marciare conU'O Fidene. 

E queste piene di disprezzo per l’ inimico , accampatesi 

in luogo non ben sicuro presso delia città ; non fiirono 

per poco tutte disfatte. Imperocché le guardie di Fideue 

procuratosi un rinforzo occulto dai Tirreni , e spiatone 

il tempo opportuno , fecero una sortita ed invasero il 

campo nemico non bene difeso , e grande fu la strage 




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apS DELLE antichità’ ROMANE 


di qaein che erano usciti per foragghtre. la opposito la 

milizia romana sotto gli ordini di Tarquinio , mano- 

metteva e depredava le terre di Vejo , e traevane molti 

vantaggi. Ben si riunirono poi grandi snssidj da tutte 

le cittA de'Tirreni in sostegno di Vejo : ma Tarqnioio 

diede ad essi battaglia, restandone non dnbbiamente 

vincitore. Poi scorrendo a bell’ agio il paese nemico lo 

devastò : Cnalmente lattivi molti prigionieri , e presevi 

assai cose come in terre felici , essendo ornai per finire 

la state , si ricondusse in casa. 


LIX. Straziati i Vejenti da quella battaglia non usci- 

vano più di città , ma dentro vi si teneano , mirando 

intanto sterminarsi le loro campagne : Perocché Tarquinio 

uscito per la terza volta , privavali per il terzo anno dei 

prodotti delle loro campagne , desolandole in gran parte : 

e non avendo poi come più danneggiarli condusse 1’ eser- 

cito alla città di Cere, sigilla chiamavasi la città quando 

i Pelasghi ne erano gli abitanti , ma soggiacendo poscia 

ai Tirreni fu Cere nominata. Era questa felice e popolata 

quanto altra mai fra’ Tirreni. Quindi ne uscì valido esercito 

a combattere per le proprie campagne , e molti vi straziò 

de’ nemici ; ma perdendovi più ancora de' suoi , rifug- 

gissene alla città- Rimasti i Romani padroni di una terra 

la quale somministrava tutto in abbondanza vi si trattenero 

molti giorni ; finché venuto il tempo di ritirarsene me- 

narono con sé quanta preda potevano , e si ridussero in 

casa. Riuscitegli come desiderava le operazioni su Vejo , 

Tarquinio ricavò l’esercito contro i nemici di Fidene 

per cacciameli , con ansia di punire quei che aveano la 

ci ttà consegnata a’ Tirreni. Vi fu batttaglia tra’Romani 




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LÌBRO III. 299 


tf tra le ihilizie ascile da Fidene , e' poi darò contrasto 

nell’ assalto delle 'mura. Fu la città pigliata di forza, e 

tatti li prigionieri Tirreni legati e custoditi. Dei Fidenaii 

giudicati autori della rivolta quale ne fu battuto pub- 

blieatnente e poi decapitato , e quale bandito per sem- 

pre. I Romani lasciativi per abitatori e custodi della città 

misero a sorte e se ne appropriarono i beui. 


■ LX. Occorse l’ ultima battaglia fra Romani e Tir- 

rani' presso di Ereto nella Sabina. Imperocché lì Tirreni 

erano venuti attraverso di questa incontro al Romano 

persuasi dai potenti di que' luoghi che i Sabini militereb- 

bero insieme con essi. E certamente già era spirata la 

tregua sessennale conchiusa da questi con Tarquinio , e 

molti ardevano dal desiderio di emendare le antiche dis- 

fatte, essendo già cresciuta nelle città gioventù numerosa. 

Non pelò succedette ciò come ideavano : perchè ben to- 

sto si presentò l’esercito Romano, nè potè farsi che ab 

cuna delle città mandasse un soccorso ai Tirreni ; e solo 

vi si congiunsero alquanti volontari , e pochi reclutali a 

gran soldo. Fu questa guerra la più grande di quante 

ne sorsero infra loro ; ed i Romani ne crebbero mera- 

vigliosamente , riportandovi una segnalata vittoria , ed il 

Senato ed il popolo decretarono a Tarquinio il trionfo, 

lu opposito lo spirito ue decadde ne’ Tirreni ; perchè 

avendo spedito da ogni loro città tutte le milizie , non 

riebbero salvi, se non pochi di tanti; gii altri o perirono 

tra la battaglia , o fuggiti in luoghi non idonei per Io 

scampo , si arresero. Colpiti da tanta sciagura i primarj 

delle città la fecero da savj ; perchè prendendo Tarquinio 

una nuova spedizione su loro , essi riunitisi a consiglio 




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3oo DELLE Antichità' romane 


deliberarono trattare della pace ; e mandarono da ogni 

città plenipotensiarj anziani e riipettabili per conciliti- 

derla (i). 


LXI. Teneano questi al re che gli udiva ragionamenti, 

induttivi a misericordia e moderazione , e ricordavano il 

parentado di lui colla lor gente; quando Tarquinio disse 

che volea sapere unicamente , se disputavano ancora 

intorno ai diritti e venivano per fare la pace con certe 

riserve ; o se confessavausi vinti , e rendevano a lui le 

proprie città. E rispondendo questi che le rendevano , e 

che desideravano la pace comunque loro si concedesse , 

egli dilettatone disse : ascoltale con quali condizioni 

sono per dare la pace , e quali benefizj vi dispenso 

con essa. Non io rn ho già nelt animo di uccidere , 

o bandire , o multare alcuno de' Tirreni. Lascio Ifs 

vostre città senza guarnigioni , senza tributi : lascio 

che vivano arbilre di sè stesse , e colla forma primi- 

Uva di governo. Ma per tante cose che io concedo a 

voi giudico che questa sola da voi mi si dia , cioè 

che io m'abbia la direzione suprema che pur ni avrei 

delle vostre città quand anche voi noi voleste , finché 

io sono il vincitore. Piacemi aver questo da voi sporta 

taneamerUe anziché di mai animo. Andate, riferitene 

alle vostre città, lo vi prometto sospendere le armi , 

finché torniate. 


LXII. Ricevute queste risposte andarono di volo gli 

ambasciadori; e dopo pochi giorni ritornarono portando 

non già parole nude, ma i fregi stessi del comando coi 


(i) Anni di Roma i 65 «ecoado Caioae, 177 secondo Varrone , 

587 avanli Cristo. 




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LIBRO III. ' 3oi 


qnali adornano i proprj monarchi , la areano seguali di giogo e di esecrasione. Ma 

se acquistano in guerra una vittoria ; se il irj di ogni città : e prima che 1’ armata de’ Romani 

venisse nelle terre loro , essi menarono la propria nelle 

campagne di quelli. Come il re Tarquinio udì che t 

Sabiui aveano passato 1’ Aniene e che devastavano per 

tutto intorno de’ loro accampamenti , prese : i giovani 

ro nani più spediti e piombò di tutta fretta su’ nemici 

sparsi a predare. Ed uccisine molli , e ritolta loro la 




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LIBRO III. 3o3 


preda che si recavano , mise il campo suo presso del 

loro. Passati cosi pochi giorni , finché gli era di città 

venuto il resto delle milizie, e le truppe ausiliarie dagli 

alleali , presentò la battaglia. 


LXV. Vedendo i Sabini i Romani venuti con ardore 

per combattere, cavarono la propria armata ancor essi, 

non inferiori nè di numero , nè di valore. Investitisi 

combatterono con tntto 1’ aadire fin eh’ ebbero a fare coi 

soli schierati di fronte : ma poi fatti accorti che mar- 

ciava loro alle spalle un altro esercito ordinato e ben 

fornito; abbandonarono le bandiere e dieronsi alla fuga. 

Era di Romani 1’ esercito che apparve alle spalle , fanti 

lutti e cavalieri scelti , disposti insidiosamente da Tar- 

quinio tra la notte in luoghi opportuni. Spaventali i 

Sabini da questi nomini inaspettati che li raggiungevano 

non fecero più ninna bella azione ; ma quasi colti dagli 

inganni de’ nemici , ornai sotto il nembo di danno irre- 

parabile , tentarono chi d’ una e chi d’ altra via salvare 

sè stessi. Allora appunto però soggiacquero a strage 

grandissima inseguiti e rinchiusi d’ ogn intorno dalla 

cavalleria de’ Romani ; tanto che pochi in lutto si ri- 

pararono nelle città vicine : gli altri , quanti non cad- 

dero combattendo , rimasero prigionieri. Imperocché que« 

gli lasciati negli alloggiamenti nè ardivano respingere 

r assalto de’ nemici , nè uscire in battaglia : ma cosier- 

pati dal male impensato renderono senza combattere sè 

stessi e quel posto. Le città de’ Sabini vinte come dai 

stratagemmi e dagl’ inganni non dalia virtù dei nemici , 

si accinsero a mandare ben tosto milizie più copiose , e 

capitano piu sperimentato, Tarqajuio vedendo il loro 




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3o4 DELLE Antichità’ romane 

dise^o , guidò soliecitameotc l’ esercito , e passò 1’ A- 

nieue prima che quelli si potessero tutti riuuire. A tal 

nuova il duce Saltino andò prestissimo quanto polea 

colla nuova armata e mise il suo presso al campo ro- 

mano su di un colle erto e dirotto : non giudicava però 

ben fatto dar battaglia se prima a lui non giungevano 

le altre milizie de’ Sabini. Solamente spedendo • delle 

bande de’ cavalieri , e postando delle coorti nelle balze 

e nelle selve contro quelli che uscivano a foraggiare , 

impedì che i Romani infestassero colle scorrerìe la 

campagna. 


LXV. Per tal sua condotta di guerra molte erano le 

scaramucce, ma di pochi fanti e cavalli , e niuna la 

battaglia universale. Adunque temporeggiandosi , e sde- 

gnandosi Tarquinio dell’ indugio , risolvè di andare col- 

r esercito alle trinciere de’ nemici , e più volte ne fece 

l’assalto: ma vedendo che non era farìle espugnarli per 

la fortezza del luogo , destinò di abbatterli colla penu- 

ria. E stabilendo delle guardie su tutte le vie che me- 

navano’ al colle , nè permettendo che i nemici andassero 

a far legna , e recassero foraggi pe’ cavalli , o prendes- 

sero altro che facea di mestieri dalla regione; li ridusse 

a gravi disagi. Tanto che furono costretti , cogliendo uoa 

notte burrascosa per vento e pioggia, lasciare vergogno* 

samenle quel luogo; abbandonandovi giumenti e tende, 

e feriti , ed ogni apparecchio militare. I Romani cono*; 

seiutane al nuovo giorno la partenza , e lattisi padroni 

del campo senza contbattete vi predarono tende, e giu- 

menti ed ogni cosa , e conducendosi i prigionieri si rav- 

viarono a Roma. Continuò questa guerra cinque anai , 




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LIBRO III. 3o5 


c gli uni (levasUnJo le campagne degli altri; .diedero 

via via delle battaglie piu o men grandi , vinte di raro 

da’ Sabini , e spessissimo da’ Romani : i ma nell’ ultimo 

cimento ebbe interamente il suo termine. Imperocché 

li Sabini non già di aumo in mano come dianzi ma 

quanti per la età ' lo poteano , erano tutti in uh tempo 

stesso marciati alla, guerra. In opposito i Romani tutti, 

raccolte le forze aosiliarìe latine , tirrene , ed in genere 

degli alleati erano venuti a fronlè del nemico. 11 duce 

Sabino dividendo le milizie ne avea fatto due campi : 

aveale il re dei Romani compartite in tre corpi in tre 

campi non molto lontani fra loro , ed egli comandava 

i Romani; dato ad Aruntc figliuolo del suo fratello il 

governo de’ Tirreni , e quel de’ Latini e degli altri ad 

un valentuomo per consiglio e per arme , ma forestiero 

e privo della patria. Servio era il nome di lui, e Tullio 

quello della sua stirpe : e fu quegli appunto cui dopo 

Tarquinio , morto senza prole virile , i Romani inalza- 

rono ai trono per amore del suo ben lare tra le arme 

e nell’ uso della repubblica. Io sporrò ma nel suo luogo 

la prosapia , la educazione , le avventure di quest’ uo- 

mo , c come gl’ Iddii per lui si manifestassero. 


LXYII. Allora dunque , poiché gli uni e gli altri vi * 

furono apparecchiati , diedero la battaglia. Avevano i 

Romani l' ala sinistra , i Tirreni la destra standosi i 

Latini schierati nel centro. Durò vivissima tutto il giorno 

la battaglia finché viuserla di gran lunga i Romani. 

Uccisero molti de’ nemici segnalatisi nell’azione; e più 

ancora ne presero prigionieri tra la fuga. Espugnatone 


INTONICI y t *»n> T, >0 




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3o6 DELLE Antichità’ bomane 

l’uao e r altro accampamento ne ammassarono ricchezze 

in copia , e signoreggiarono senza timore Hitla la cam- 

pagna: e messala a ferro e fuoco, e distruttivi gli al- 

loggiamenti sen tornarono a casa ornai tramontando la 

estate. Tarquinio a questa vittoria trionfò per la terza 

volta nel suo principato. E preparando nelf anno se- 

guente r esercito nuovamente per condurlo contro le. 

città de’ Sabini , non più concepirono questi nulla di 

magnanimò e di grande , ma deliberaronsi tutti per la 

pace prima di mettere a pericolo sè stessi dei giogo, e 

le patrie della rovina. Pertanto vennero da ogni città 

li Sabini principali a Tarquinio uscito con tutta 1' ar- 

mata , e cederongli le terre loro supplicandolo di miti 

condizioni : e colui propensissimo ricevendo , perchè senza 

pericolo , il sottomettersi di quella gente , fe’ tregua e 

pace ed amicizia co’ modi appunto co’ quali aveala in- 

nanzi fatta co’ Tirreni, e rendè loro pur senza prezzo 

li prigionieri (i). 


LXVIII. Tali sono le imprese militari di Tarquinio: 

le urbane e pacifiche son come sieguono; che già non 

voglio passarle senza ricordo. Giunto appena ai comando 

desiderando , come aveano fatto i re predecessori , di 

conciliarsi la plebe , se la conciliò con questa benefi- 

cenza. Scelti fra tutto il popolo cento nomini a’ quali 

il pubblico grido accordava virtù guerriere , o civil sa- 

pienza , li nominò patrizj aggregandoli a’ senatori : i 

quali essendo fin’ allora dugento ampliaronsi al numero 

di trecento fra’ Romani. Poi , quattro essendo le vergini 


(i) Ad. di Boom 171 secoudo Catone, 173 secondo Varronc, e. 

58 i avanti Cristo. 




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LIBRO III. 3o7 


custodi del fuoco inestinguibile egli ve ne sopraggiunse 

altre due: imperocché cresciuti i pubblici sagrifizj ai 

quali doveano intervenire le vergini Vestali ; non parve 

che quattro più ne bastassero. Seguirono la istituzion di 

Tarquinio ancor gli altri principi , e sei pur ne’ miei 

tempi si additano le vergini ministre di Vesta. Ed egli 

sembra il primo, che guidato dalla ragione, o forse; 

dalle insinuazioni de’ sogni come pensano alcuni , ideò 

li castighi co’ quali i sacerdoti puniscono quelle che la 

verginità non conservano : e gl’interpreti delle sante coso 

dicono che que’ castighi si rinvennero dopo la morte di 

lui ne’ libri delle Sibille. Certo ne’ giorni suoi fu ravvi- 

sato che Pinaria Vergine , la figliuola di Pubblio , an- 

(lavasi con membra non pure ai sacri ministeri. Ho poi 

già dichiaralo nel libro innanzi qual sia di tali castighi 

la forma. Egli abbellì circondando di officine di arte- 

fici , c di altri apparecchi il Foro ove si arringa e si 

giudica , e compionsi altre pubbliche cose : egli il primo 

deliberò di costruire con gran pietre lavorate a misura 

i muri della città, già vili e grossolani: ed egli prese 

a cavar la cloaca o canali sotterranei pe’ quali tutto , 

quanto scola dalle strade , vasseiie a scaricare nel Te- 

vere : meraviglioso è questo edifizio , e maggior di ogni 

dire. Io tengo in Roma per tre magnificentissime cose, 

c donde la potenza rilevisi dell’ impero ; gli acquedotti, 

i lastricati delle strade , e le cloache ; non già che io 

ne rifletta la utilità della quale dirò ne’suoi luoghi, ma 

si bene 1’ amplissima spesa. E ben può questa argomen- 

tarla taluno da un fatto solo del quale io nc fo mal- 

levadore Cajo Aquilio. Scrive costui che non più scor- 




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3o8 DKIXE anticfiita’ romane 


rendo , perchè negligentale , le cloache , i censori le 


diedero a spurgare e racconciarle per mille talenti. 


LXIX. F e pur Tarquiuio il circo massimo tra ’l colle 

Aventino e tra’l Palatino costruendovi il primo intorno 

intorno sedili coperti. Certamente il popolo per addietro 

starasi in piede agli spettacoli in cima a’ palchi , fon- 

dati su cavalletti di legno. Compartì similmente il luogo 

in trenta spazj assegnandone uno per ogni curia , per^ 

chè ciascuna sedesse e mirasse dal posto che le si do- 

veva. Anche questo edifìzio sarebbe col volger degli 

anni numerato tra le meraviglie bellissime della città. 

Perocché stcndesi il circo per lungo tre stadj e mezzo , 

spandendosi quattro jugeri per largo. Cinge i due lati 

maggiori ed uno de’ minori una fossa profonda e larga 

dieci piedi per raccogliere le acque , e dopo la fossa i 

portici sorgono con tre piani. I portici terreni han di 

pietra e poco elevati i sedili come ne’ teatri ; ma di le- 

gno sono ne’ portici più alti. Concorrono i due lati 

maggiori ad un tutto e congiungonsi fra di loro per 

via del minore che formato in guisa di luna li termina: 

cosicché risulta da tre ordini un sol porticato amGtea- 

trale di otto stadj capace di cento cinquantamila persone. 

L’altro de’ lati minori che restasi aperto contiene !e 

mosse donde i cavalli si rilasciano, spalancandosi tutte 

in un tempo , ad un suono. • F uori dell’ amfìteatro evvi 

pure altro portico ma di un piano solo, il quale in sè 

contiene le òfTGcine c sopra le officine le abitazioni. In 

ognuna delle officine sonovi 'ingressi e scale per chi 

viene agli spettacoli ; e con ciò' nOri siegue confusione 

tra tante migliaja che vanno e tornano. 




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LIBRO IH. V . 3o9 


LXX. Si accluse il re similineatc a iàbbricare il 

tempio di Giove , di Glaaoue, di Minerva per adem> 

plere il voto da lui fatto a quegl’ Iddìi nell’ ultima guerra 

co’ Sabini. Ma siccome il colle destinato per la santa 

magione abbisognava di radili travagli , perché non era 

questo agevole da salirlo nè eguale , ma scosceso e tutto 

' acuto in su la cima; eg^i ponendo intorno intorno altri 

ripari, e tra’ ripari e la cima assai terra lo rendè piana 

ed acconcio! pel tempio. Non però s’ebbe il tempo di 

metterne le fondamenta, Tnon essendo egli vissuto che 

quattro anni dopo il fin della guerra. Molti anui ap> 

presso , Tarquinio terzo re dopo lui, quegli che fu espulso 

dal trono , ne gitlò le fondamenta , facendo gran parte 

del sacro edilìzio : ma noi compiè nemmen' egli, e solo 

ebbe il tempio il suo termine sotto gli annui magisirati 

da’ consoli dell’ anno terzo. Ben’ è convenevole che le 

cose ricordinsi accadute prima della erezione di questo, 

come pur le ricordano quanti scrìssero la storia di quei 

luoghi. Deliberatosi Tarquinio a far qnel tempio impose 

primieramente agli auguri, convocandoli, che spiassero 

co’ divini riti quale in città ne fosse il loco più accon* 

do e più caro a que’Numi. E riferendo esser questo il 

colle che sovrasta al Foro, colle detto Tarpeo di quei 

giorni , ed ora del Campidoglio , comandò che replicati 

i riti santi additassero in qual parte principalmente del 

Campidoglio aveansene a porre le fondamenta. Non era 

ciò cosi fàcile a definirsi ; perchè sorgendo io sul colie 

a riverenza de’ genj , e de’ Numi altari in gran nume* 

ro ; doveasi trasportare questi , e lasciar libera l’ area 

pel tempio novello degl’ altri Iddìi. Parve agli auguri di 




DIOUIGI, tomo I. 




•so 







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3 IO 15ELLE antichità’ ROMANE 

fare le divinazioni loro so di ogni altare , e poi moverlo 

se il proprio Nome Io concedeva. Consentirono alquanti 

genj e Numi che i loro altari fossero altrove portati : 

ma il Dio Termine è la dea Gioventù per quanto gli 

auguri pregassero e ripregassero non gli udirono ; nè 

condiscesoro a cedere il luogo. Adunque furono gli 

altari loro inchiusi nel tempio che destinavasi: ed ora 

r uno resta nel vestibolo, e l’altro nel sacro ricinto 

stesso di Minerva presso al simulacro di lei. Presagi- 

rono da ciò gl’ indovini che ninna età mai nè li ter- 

mini moverebbe né il florido stato di Roma : ciocché 

si é già verificato fino a’ di miei per ventiquattro ge- 

nerazioni. 


LXXI. Nevio chiamavasi per nome proprio, ed Azio 

col nome della prosapia il più insigne degli auguri , 

che trasferì quegli altari, definì il tempio di Giove, ed 

altre celesti cose ridisse per la sua divinazione al po- 

polo. Si consente che carissimo egli fosse agl’ Iddii fi:a 

tutti del santo suo ministero , e che conseguito avesse 

riputazione grandissima per le prove da lui date incre- 

dibili e trascendenti nell’arte sua divinatoria. Io ne ri- 

corderò solamente una la quale mi fu meravigliosissima 

infra tutte , dicendo innanzi per quale incontro di casi, 

e per quali divine occasioni venne in tanta chiarezza 

che fe’ tutti li coetanei comparir dispregevoli. Povero fu 

il padre di lui , cultore d’ ignobile campicello. Nevio il 

suo figliuoletto porgeagli l’opera sua , quanta per la .età 

ne poteva, e guidava de’ porci, e pascevali. Caduto una 

volta nel sonno, nè più rinvenendo al riscuotersi alcuni 

di quegli animali , ne pianse per timore de’ paterni ca- 




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LIBRO III. 3ll 


stighl. Ma poJ venendo al tempietto sacro agli eroi nel 

suo campicello, pregò che a lui concedessero di trovare 

le perdute cose ; egli prometteva loro se ciò concedes- 

sero il grappolo più grande del suo poderetto. Trovò 

indi a poco gli animali, e volea recare i promessi doni 

agli eroi: ma 'grande era 1’ ambiguità sua nel decidere 

il maggiore ira’ grappoli. Adunque conturbatone suppli- 

cava gl’ Iddii che volessero col mezzo palesargli degli 

uccelli ciò che cercava. Or qui per divino favore gli 

venne in mente di dividere la vigna in parte destra e 

sinistra , e notare gli auspicj che in ognuna occoire»- 

sero. Apparsi in una delle parti gli uccelli com’esso ve 

li bramava , suddivise pur questa in due considerando 

gli uccelli che vi capitassero. Determinandosi con tale 

distinzione di luoghi, e venendo da ultimo alla vite in- 

dicala dagli uccelli: ebbe un tal grappo incredibile nella 

sua forma. Egli recavalo appiè delle immagini sante degli 

eroi , quando il padre lo vide. E meravigliato questi di 

una tal mole del frutto , e domandando d’ onde se lo 

avesse : il figlio narrò dalle origini tutto il successo. 

Concependo colui , ciocch’ era , che fossero questi na- 

turali preludi della divinazione nel figlio , lo condusse 

in città, e lo sottomise a’ maestri delie lettere. E poiché 

fu nelle comuni discipline istrutto quanto bastava , af- 

fidollo all’ augure più dotto fra’ Tirreni perchè Io eru- 

disse nel suo sapere. Nevio che avea naturali lumi per 

la divinazione , aggiungendovi pur gli altri de’ Tirreni ; 

superò di gran lunga quanti erano intesi agli anspicj. 

Quindi nelle consultazioni sul pubblico tutti gli auguri 

della città v’ invitavano lui quantunque non fosse del 




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3i2 delle Antichità’ romane 


ceto loro , per la reltitudiae sua nel pronosticare , ti« 


cosa mai vaticinavano , se non ' approvata da lui. 


LXXIL Ora volendo Tarquinio creare tre nove cen- 

turie (i) di cavalieri da lui scelti , ed intitolarle dal 

nome suo e degli amici , questo Nevio il solo magna- 

nimamente gli resisti , non permettendo che alcuna si 

alterasse delle istituzioni di Romolo. Disgustato per la 

proibizione il sovrano , e sdegnato con Nevio diedesi a 

vilipenderne 1’ arte come di nn vano nè veridico parla- 

tore. Con tale intendimento chiamò Nevio nel suo tri- 

bunale essendovi moltissimi presenti del Foro.. Egli avea 

già divisato con qnei che lo circondavano i modi onde 

convincere l’aagure di menzogna: e lacendosegli questo 

dinanzi lo accolse con degnevoli salutazioni : ed ora , 

disse , o Nevio è il tempo di mostrare il potere del- 

f arie tua divinatoria. Siccome io macchino di pormi 

ad una gran cosa ; vorrei per f arte tua risapere se 

possa riuscirmi. Or va : consultane co' riti tuoi , o 

toma il più presto per dirmene : io qui su questa 

sede ti aspetto. Esegui l’ augure i comandi , e dopo 

non molto tornò dicendo che propizj erano gli auspicj, 

e fattibile £ intento di lui. Diè Tarquinio in un riso 

a tali voci, e cavando dal seno una cote ed un rasojo 

gli disse: ora ben apparisce o Nevio che tu mi deludi, 

deluso che se’ manifestamente dagl Iddii , dacché ar- 

disci anrutnziarmi possibili , le impossibili cose : per- 


(i) Nel testo ^vXmt tribù : ma i chiaro che parlandosi di cava- 

lieri non debba pensarsi a tribù : Forse vi ò qualche sbaglio. Gli 

altri storici in questo luogo chiamano centurie quelle che Dionigi 

chiama tribù. 




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LlBnO III. 







ii3 




ciocché io meditava se potessi col rasojo fendere que- 

sta cote per mezzo : ridevano tutti d’ intorno , e Nevio 

niente commosso dalla beffa e dallo strepito : ferisci , 

disse, o Tarquinio animosamente come ideavi la cote: 

perciocché ne sarà divisa , e se no ; mi ti offero ad 

ogni pena. Sorpreso il re della confidenza dell’augure 

mena il rasojo su la cote , e l’ acume del ferro ne pe- 

netra r interno e dividela, incidendo anche in parte la 

mano che la teneva. Esclamarono per la novità quanti 

contemplavano la incredil.'ile e meravigliosissima cosa. 

Tarquinio vergognatosi del cimento dato a quell’ arte , 

c voglioso di emendare la indecenza de’ vilipendj ^ pri- 

mieramente cessò da que’ suoi tentativi su 1’ ampliar le 

centurie ; poi risoluto di onorare Nevio come il più 

caro di tutti i mortali ai celesti, obbligosselo con pegni 

vari e copiosi di benevolenza ; e perchè la memoria se 

ne perpetuasse tra’ posteri collocò la statua di lui , fab- 

bricala in rame , nel Foro : e questa , più picciola di 

nn uomo mezzano , e velata il capo , esisteva pur nel 

mio tempo dinanzi la curia , da presso del fico sacro. 

Dicesi che poco lungi del fico sia la cote sepolta ed il 

rasojo sotto di un’ ara sotterranea ; e quel luogo chia- 

masi il pozzo da’ Romani. Tali sono i ricordi che si 

hanno su questo indovino. 


LXXIII. Tarquinio ornai chetavasi dalla guerra, vec- 

chio già di ottanta anni ; quando mori tra gl’ inganni 

de’ figli di Anco Marzio. Aveano questi macchinato fin 

da principio di balzarlo dal trono , e più volte vi si 

erano adoperali su la speranza che, balzatone lui , di- 

verrebbe di loro come trono un tempo del padre , e 







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3i4 DELLE Antichità’ eomane 

die (li leggieri ad essi darebbonlo i cittadini. Delusi via 

via dalla speranza gli ordirono alfine insidie insuperabili 

che gii Dei non permisero che restassero impninite. Io 

narrerò la forma delle insidie. Quel Nevio del quale io 

dissi che erasi opposto al re che volea di meno far più 

le centurie , questi (piando più per le arti sue Boriva , 

quando potea sopra tutti i Romani come augure nobi- 

lissimo , allora sia per invidia degli emuli , sia per in- 

sidie de’ nemici , sia per altra sciagura , spari di subito 

da’ mortali ; nè alcuno potè de’ congiunti indovinare il 

destino di lui , nè più trovarne il cadavere. Addolora- 

tone il popolo , e mal sopportando il suo danno , e 

molto sospettando di molti; i figli di Marzio ne ristrin- 

sero su Tarquinio l’ accasa. E non potendo allegare ar- 

gomenti e non segni della calunnia ; insisterono su 

queste due ombre di ragione. Era la prima , che volea 

Tarcpiinio far molti e gravi attentati contro le pubbliche 

norme ; e che però si era tolto d’ intorno chi sarebbe 

•per contrapporsegli come per l’addietro : la seconda era 

poi, perchè succeduto tanto infortunio non aveane fatta 

niuna ricerca , ma trasandavalo in tutto : nè avrebbe 

mai cosi praticato chi non era tra’ complici. E fattosi 

col dispensare de’ loro beni , gran seguito di patrizj e 

di plebei diedero gravissima accusa a Tarquinio , e sti- 

molarono il popolo a non trascurare un tanto scellerato 

che stendea le mani su le sante cose , e la regia auto- 

rità contaminava ; molto più che egli non era un ro- 

mano , ma un estero , anzi uno senza patria. Tali cose 

dicendo nel Foro uomini ; autorevoli nè infacondi ; con- 

citarono molti plebei perchè lo rispingessero se venivaci. 




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LIBRO III. 3l5 


come impuro da quel luogo. Ora cosi fecero , perchè 

nè poleano combattere la verità nè persuadere al popolo 

che dal trono il cacciassero. Se non che dissipando lui 

con difesa validissima le incolpaeioni , e Tullio il genero 

suo , potentissimo tra la moltitudine , risvegliando verso 

lui la tenerezza de* Romani ; furono quelli avuti per 

calunniatori e scellerati, e carichi di vergogna partirono 

dal Foro. 


LXXIV. Sconciati in tal tentativo , ma tuttavia per> 

donati per opera degli amici , perchè Tarquinio conte- 

nevasi a fronte di tanta perfidia in vista de’benefizj pa 

gravidasse , e ne partorisse poi Tullio. Certamente non 

par la novella affatto credibile : pur la rende inverisi- 

mile meno un tal altro segno divino inopinato e mera- 

viglioso intorno di quest’ uomo. Imperocché sedendosi un' 

tempo egli di mezzodì nella regia camera , e presovi dal 

sonno ; una fiamma gli usci balenando dal capo. Videro 

questa la madre di esso e la regia consorte , che per 

la camera passeggiavano , e quanti erano presenti alle 

donne : e luminosa gli si tenne intorno intorno del capo 

finché accorsa la madre riscosselo. Allora insieme c 

ciansi nemmeno le picciolo ingiustizie , e solleverai li 

poveri co’ benefizj , e co’ doni ; e quando ne parrà 

tempo , (diora diremo che Tarquìnio è morto ; allora 

gli daremo pubblica sepoltura. O Tullio ! tu nudrilo , 

tu educalo , tu renduto partecipe da noi di tanti beni 

quanti ne derivano i figli da padri e deUle madri, tu 

congiunto alla nostra figliuola , tu se mai divieni , o 

Tullio, re de’ Romani , è giusto che almeno in riguardo 

mio la quale tanto in ciò ti coadjuvai , presenti la 

benevolenza di un padre verso questi teneri fanciuU 

letti : e che quando siano già grandi , quando già 

bastanti a regnare , tu renda (diora al primogenito la 

corona di Roma. 


V. Così dicendo diede' 1’ uno e 1’ altro fanciullo in 

braccio alia 6glia ed a! genero : e risvegliò tenera com- 

passione verso di ambedue ; poi quando ne fu tempo , 

uscita di camera impose ai domestici che assistessero , 

come richiedeasi , per la cura , e convocassero i me- 

dici. Lasciala passare la notte , siccome nel giorno ap- 

presso accorse gran turba alia reggia ; ella si fe’ vedere 

alle finestre che rispondono alla via dinanzi dell* atrio : 

e su le prime scoperse quelli che aveano congiurata la 



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12 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE 


morte del sovrano , e quindi presentò tra le catene i 

sicai'j mandati per compierla : e quando vide il popolo 

in pianto per la sciagura , quando videlo fremere contro 

de’ malvagi ; alfine gli disse , che pur non era la perfida 

trama riuscita , e che potuto non avevano trucidare Tar* 

quinio. Confortavansi tutti all’ annunzio ; quando ella 

mostra in Tullio il personaggio eletto dal re, finché 

guariscasi , per curare le private sue cose , e le pubbli- 

che. Adunque andossene il popolo , lieto come se il re 

non avesse niente patito di terribile, e gran tempo si 

rimase con questo concetto. Tullio cinto da’ regj littori 

marciò con valida schiera al Foro, e fece pe’ banditori 

intimare che venissero i Marzj al giudizio. E siccome 

questi non ascoltarono ; ne proclamò 1’ esilio perpetuo , 

ne confiscò li beni ; e cosi tenne sicuro lo scettro di 

Tarquinio. 


VI. Ma sospendendo alquanto la narrazione , vo’ dir 

le cause per le quali io nè con Fabio consento nè con 

quanti scrivono che i fanciulletti lasciati da Tarquinio 

eran suoi figli ; perchè se altri si avviene in quei scritti 

non creda che io improvvisi quando non figli li chiamo, 

ma nipoti. Essi divulgarono ciò su que’ garzoncelli , ma 

per' negligenza ; niente considerando gli assurdi eie im 

cuni Storici Romani levarli con altri assurdi, e dissero 

che non era già madre de’ fanciulli Tanaquilla ma Ge- 

gania , una donna , di cui nulla additarono le istorie. 


Ma in tal caso riesce improprio il matrimonio di Tar> 

quinio nella età quasi di ottanta anni, e certo inverisi- 

mile riesce in quella età la generazione di figli. Nè già 

egli era mancante di prole ; tanto che ne languisse pei 

desiderio : ma egli avea due figliuole e queste già ma- 

ritate. In forza di tali assurdi e di tali impossibilità dico 

che que’ fanciulli non eran figli ma nipoti di Tacqui- 

nio ; nel che sieguo Lucio Pisene, uomo savio, e funi- i 


co che ciò scriva ne’ suoi annali. Ma forse eran questi , 

nipoti a Tarquinio per nascita , e figli per adozione , e 

forse fu questa la origine dell’ abbaglio di tutti gli Sto- 

rici delle cose Romane. Or dopo un tal prologo egli è 

tempo di ripigliare la narrazione. 


Vili. Poiché Tullio prese le redini del ^ornando , e 

dileguata la fazione de’ Marzj , giudicò di averselo con- 

solidato ; fe’ con magnifica pompa trasportare Tarquinio, 

come spirato alfine per le ferite ; condeoorandolo di un 

cospicuo monumento e di altri onori : e tutore essendo 

de’ regi fanciulli ; e curò e guardò fin d’ allora le pri- 

vale loro cosce le pubbliche (i). Non andavano tai fatti 

a grado de’ patrizj , ma doleansi e sdegnavansi , mal sof- 

fiando eh’ egli a sé stabilisse il regio potere senza le 


(i) Addì, di Roma sec. Catone, 179 scc. Varrooe : e 577 

avanti Cristo. 



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i6 DELLE* Antichità' romane 


forme prescritte dalle leggi. E riunendosi più volte i più 

potenti , trattavano fra loro de’ mezzi onde abbattere TiU 

legittimo governo. Ora parve ad essi , come fossero la 

prima volta adunati , per tenere il Senato , da Tallio 

di violentarlo a lasciare i littori e le altre insegne del 

comando ; e fatto ciò di nominare gl’ interré da’ quali 

si scegliesse regolarmente chi dominasse. Tallio , risa- 

puto il disegno , si diede a favorire il popolo , c soc- 

correrne i poveri , sperando coll’ opera sua di ritenere 

r impero. £ chiamata la moltitudine a concinne , pre- 

sentò dinanzi la ringhiera i fanciulli ; e poi disse : 


IX. Molle cause o cittadini ihi astrinsero a prender 

cura di questi teneri garzoncelli. Perciocché Tarquinio 

l m>olo loro accolse e curò me privo di padre e di 

patria, nè fecemi punto meno che a un figlio; ma 

diedemi la sua Jìgliuola in isposa, e mi amò finché 

visse , e mi onorò sempre , come sapete , quasi fossi 

da lui generato : e poiché fu colto dalle insidie egli 

affidatami in caso di morte la cura de' fanciullettì. 

Ora e chi mi stimerebbe pietoso verso gl Iddf , chi 

giusto verso gli uomini , se io trascurassi e tradissi 

questi oifani a quali tanto io sono debitore? Ma nè 

io tradirò la mia fede, né darò per quanto è da me, 

1 ultimo abbandono , a fanciulli già derelitti. Ben è 

giusto che ricordiate voi li benefizj che l avolo suo 

dispensava su voi quando a voi subordinava tante città 

Latine emide del vostro principato, quando vi umiliava i 

Tirreni i pià potenti tra tutti i vicini, e quando neces^ 

sitava al vostro giogo i Sabini ; procurandovi ognuna 

di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Speltavasi a 



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LIBBO IV. 17 


voi per tanta sua beneficenza di essere grati a lui 

finché visse, e di esserlo dopo la morte in verso dei 

posteri -suoi, e non già di seppellire coi cadaveri dei 

benefattóri la memoria ancora delle opere. Pensatevi 

dunque tutti eletti custodi de’ fanciulli , reusicurate per 

essi il regnò che t avo ad essi lasciava. Già non tanto 

bene- risentiranno essi dalle cure di me che son uno, 

quanto ‘dal soccorso, comune di voi tutti. Io mi vedo 

necessitato a dir questo ; sentendo che > alcurù com- 

movonsi contro loro , e vogliono dare ad altri il co» 

mandò. Io vi. supplico o Romani, che memori ancora 

siate de' combattimenti che .io feci pel vostro princù» 

pato , i quali np pochi sono nè piccoli. Ma ben sa^ 

pendolo voi , non occorre che altro io vi dica , se non 

che rivolgiafe su questi fanciulli gli obblighi che me 

ne avete. Imperocché non io per me fabbrico il prir^ 

cipato : nè se io mel cercassi , ne era già meno degno 

degli altri; piacemi solamente amministrare il comune 

in sussidio della stirpe di Tarquinio. Io vi raccomando 

che non vogliate ahbtmdonare a sé stessi questi farin 

ciuUi ora che il regno ne pericola : sarebbero anche 

espulsi da Poma , sé fauste riuscissero le prime mosse 

ai nemici. Ma non debbo io più dilungarmi su ciò , 

mentre sapete voi quello che dee farsi , anzi siete per 

fare quanto conviene. 


. Ora udite il bene , che io a voi apparecchio , e pel qua- 

le qui vi adunai. Quanti a debiti saziacele nè potete 

levarvene per la indigenza,, tutti sarete da me soccorsi 

come cittadini, e come già tanto affaticati, in servigio 

della patria; pert;hè voi che avete fondata la libertà 


DIOntGl, //. • 



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i8 DELLE Antichità’ romane 


di lei , la vostra non perdiate : io porgerò del mio da- 

naro onde i debiti estinguiate. Inoltre quanti torranno 

ad imprestilo io non più soffrirò che sieno imprigio- 

nati per debito : ma porrò per legge che niuno dia 

de' prestiti assicurandoli su la persona di uomini li- 

beri, mentre io penso che basti agli Usuraj di riva- 

lersi su bèni de' contraenti. E perchè da 'ora in poi 

sosteniate più di leggeri il tributo pubblico , pel quale 

i poveri sono gravati, e ridotti a far debito ; coman- 

derò che si registrino tutti i beni , e che ciascuno dia 

secondo l' aver suo , come odo che si pratica rtelle 

città più grandi e meglio ordinate ; mentre ancK. io 

credo più giusto e più vantaggioso al Comune che chi 

più possiede più paghi, e meno chi meno, Piacemi 

inoltre che il terreno pubblico f quello che avete cors- 

quislato colle Urrtse > non sia come ora de* più impu- 

denti , nè che per compera ve lo abbiate , nè indarno: 

ma che quelli se lo abbiano infra voi che privi sono 

di terre : perchè voi liberi essendo non serviate , nè 

coltiviate le campagne altrui , ma le pròprie ; imperoc- 

ché già non allignano generosi pensièri' ov’è disagio 

del vitto quotidiano. Soprattutto ho deliberalo render 

pari e fàcile il governo per tutti , e dàce a tutti eguale 

azione contro chiunque; perciocché sono alcuni venuti 

in tanta baldanza che oltraggiano il popolo, nè. liberi 

stimano i poveri fra voi. Ora perchè i più grandi nem- 

meno che gl’ infimi esigano' e Soffrano il giusto;, io 

farò leggi proibitive della violenza, e lonservOtrici dei 

diritti lomuni: nè mai lascciò di provvedere a questa 

libera procedura di lutti conlto tutti. 



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LIBRO IV. 


X. Sorsero , lui cosi dicendo , grandi elogj tra la moloi gli esuli , e di ceden’i ai figli di Marzio , a 

quelH che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono, 

e sì amico di Roma , a quelli che macchiatisi in tanta 

scelleraggine , non osando risponderne in giudizio, si 

tolsero a voi colla fuga , a quelli in fine a quaU avete 

voi t acqua interdetta ed il fuoco. E se ben tosto non 

vòlavane a me t avviso, tali patrizj eccitando una forza 

straniera, avrebbero di bel nuovo introdotto nel cuor 

della notte i fuorusciti in Roma. Ben vedete voi quan- 

tunque io le taccia , le seguile , come i Marzj favoriti 

da' patrizj sarebbonsi impadroniti senza fatica di tutto, 

atsalendo primieramente me che il custode sono della 

regia prole , me che t autore fui del giudizio contro 

di loro , e spegnendo finalmente i regj fanciulli, e tutti 

I consanguinei , e tutti gli amici , quanti ve ne resta- 

no , di Tarquinio. Misere le nostri ritogli , le nostre 

madri , le nostre figlie , e misere le femmine tra noi! 

le avrebbero que' ribaldi ( tanta lumno di brutale e di 

tirannico ! ) terwie in' conto di schiave. Ora se tanto 

o popolani piace a voi pure , che qua si riammettano, 

anzi che re si proclamino i parricidi , e che i figli se 

rie scaccino de’ vostri benefattori , e dal trotto .« tol- 

gano che V avo ad essi lasciava ; se tanto , dico , a 

voi piace ; io mi cheto su destini. Ma deh ! per gli 

Iddj , deh / pe’ genj tutti , quanti le mortali cose ri- 

guardano ( e noi colle nostre donne , noi co’ nostri 

figli supplichiamo voi pe’ tanti benefizj ancora che 

Tar quinio su voi spondeo perpetuamente , e pe’ tanti, 

eh’ io stesso vi procurava ) , deh ! coruredeteci questo 

dono ; manifestateci i vostri voleri una volta. Se voi 



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a a DELLE antichità’ romane 

credete altri più degni di noi di tale onore ; questi 

fanciulli f e tutto il parentado di Tarquinio, partiran- 

Ho, abbandoneranno la vostra città. Io poi ben altri 

più generosi consigli ho per me ! Ahbcatanza vissi alla 

virtù , abbastanza alla gloria : mancatami la vostra be^ 

nevolenza , quella che io pregiava più che tutti i beni, 

già non voglio io vivere indecorosamente presso di ab- 

tri. Prendete i vostri fasci , dateli , se così piacevi , 

ai patrizj. Io mel vedrò , -nè mi oppongo. 


XII. Cosi dicendo , e già standosi in atto di ritirarsi 

sorse un clamor vivo per tatto , nn pregare , an pian- 

gere , perchè restasse , e governasse nè temesse. Allora 

alcuni, sparsi ad arte qua e là pel Foro, gridarono che 

si creasse re , che si convocassero le curie , e sen chie- 

dessero i voti. Così preordinato T evento; ben tosto il 

popolo tutto vi propendè. Tallio ciò vedendo non tra- 

scurava la occasione: ma professandosi ad essi obbliga- 

tissimo che memori fossero de’ benefizj , e prometten- 

done più ancora se re lo creasseró ; prescrisse il gionu> 

de’ comizj ; ordinando che v’intervenissero lutti dalla cam- 

pagna. Accorso il popolo ; egli chiamando una per una 

le curie consegnava ad esse i lor voti. E giudicato da 

tutte le curie degno del trono ; vi ascese. : nè curò del 

Senato che non volle come solea ratificare la scelta del 

popolo. Cosi re divenuto fondò molte altre istituzioni, e 

fece grande e memorabile guerra co’ Tirreni. Io dirò 

prima delle istituzioni. 


XIII. Appena strinse lo scettro comparti tra’ merce- 

narj Romani le terre del comune : poi fe’ comprovare 

le leggi su i contralti e su le ingiustizie dalle curie , 



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, LIBRO IV. 2 3 


estese ^illora a cinquanta , quantunque non sia ora ciò 

da ricordare. Aggiunse a Ronia il Viminale , e l’Esqui- 

lino due colli , cosi nominati , capaci T uno e 1’ altro 

di nna città liguardevole, dispensandoli parte a parte ai 

Romani privi di case , perché ivi se le fabbricassero ; 

anzi egli stesso ivi ediCcò la sua nel sito più idoneo 

delle Elsquilie, Fu questo 1’ uhimo re che ampliò il cir- 

cuito, della città , congiungendo ai cinque gli altri due 

colli, dopo avere presi gli aiigurj e compiute le usate 

pie cerimonie inverso gl' Iddj. Non poi la citti mise mai 

più da largo le sue mura ; non avendolo, come dicono , 

permesso i destini : ma tutti intorno i sobborghi che 

pur sono molti e grandi, si resuno so>perti, non chiusi da 

mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che 

se alcuno mirando a questi , voglia la grandezza racco-r 

glierne di Roma ; egli errerà certamente : perocché noo 

avrà nino certo seguo , dal quale discernere fin dove la 

città si oontinua o dove si termina. Cosi bene que’ sob- 

borghi al fabbricato inleroo si congiungono , che pre- 

sentano a chi li contempla la immagine come di una 

città che stendesi all’ iii6nito. Ma se taluno prendendo 

regola dalle mura , certamente malagevoli a distinguersi 

per le molte case fabbricatevi intorno , ma che pur sevv 

bano via via de’ vestigj dell' aulica loro struttura voglia 

risaperne il circuito in ristretto dei circuito di Alene; 

vedrà che il ricinto di Roma non molto eccede quello 

di Atene. Ma quanto alla grandezza e bellezza che Rpma 

presenta a miei giorni ; avremo appresso luogo più ac- 

concio a discorrerne. 


XIV. Poiché Tullio comprese entro un giro solo di 



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a 4 DELLE antichità’ ROMANE 


oiura i sette coili ; divise la città in quattro parti ; - de-' 

nominandole da que’ colli , 1’ una Palatina ^ l’ altra Sii- 

burrana , la terza Collina , e 1* ultima Esquilina. Cosi 

distese a quattro le tribù che erau tre sole. Intimò poi 

che chiunque abitava 1’ una delle quattro parti , quasi 

paesano di quella nè portasse in altra il suo domicìlio , 

nè in altra desse il nome suo pe' cataloglù militari , nè 

il tributo per le spese della guerra : in somma che noi^ 

rendesse in altra i servigi che doveansi pel comune; nè 

più ordinò le milizie secondo le tre tribù disposte come 

prima per genti ( i ) ma secondo le quattro da lui create 

e compartite ne’varj luoghi ; destinando per ciascuna un 

capo qual sarebbe un tribuno o prefetto , il quale dor 

vesse conoscere il domicilio di ognuno. Quindi ordinò 

che in ogni quadrivio si facessero da’ vicini picciole sa- 

cre cappelle agli Dei lari custodi della contrada , isti- 

tuendo per legge che ogni anno si onorassero di aa- 

grifizj , e che ciascuna famiglia porgesse loro le obbla-- 

zioni sue : comandò che assistessero e ministrassero à 

chi facea tal sagri6zio non gl’ ingenui ma i sèrvi ; di- 

lettandosi quegl’ Idd) del ministero di questi. Continuano 

i Romani pur nel mio tempo pochi giorni dopo de’Sa* 

tumali tal festa , veneranda in tutto e magniBca , e detta 

compitale da’ quadrivi che compiti da .loro si chiamano. 


(i) Romolo fece ire tribù eecondo te diverse genti : erano la 

tribù , la prima Ramnentù dei Romani posti ad abitare nel Pala- 

tino , la seconda TatUnsU da Tasio , ebbe il monte Capitolluq , e 

la tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo i era degli 

stranieri che aveano ivi cercato nn rifugio. Col progresso del tempo 

siccome la gente aggregala a Roma superara il popolo primitiro ; 

COSI Tullio fece una nuova divisione di tribù. 



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LIBRO IV. a 5 


Serbano nel* sagrifìzio 1’ anticx) rito, placaodo gl* Iddj 

Lari con intrametlervi i servi , a’ quali tolgono in quei 

giorni quanto tien forma di servile; perchè riconfortati 

da tali dolci maniere ove è misto del grande e dell’ono* 

, riGco sì affezionino più vivamente ai padroni e men sen> 

tano il peso della loro condizione. 


XV; Inoltre , come Fabio scrive , divise tntla la cam- 

pagna io ventisei parti , chiamandole tribù parimente : 

e congiunte queste alle quattro urbane se ne ebbero 

trenta inAutte : ma Yenonio dice che se ne ebbero tren- 

tuna : laddove Catone ben più autorevole di essi (,) af- 

ferma che le tribù ne’ tempi di Tullio furon tutte, non 

però distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli 

atupizj divisa la campagna in tante parti, quante mai 

furono , apparecchiò su luoghi montuosi e fortissimi de- 

gli asih\ chiamandoli pagos con greco nome o castelii, 

onde renderne salvi i coloni. Imperocché .quivi tutti si 

rifuggivano ndle irruzioni de’ nemici , e quivi spessis- 

simo pernottavano. Ci aveano in questi de’ presidi inca- 

ricati di conoscere i nomi de’ coloni, conti*ihnenti a quel 

borgo , e li poderi su quali viveano. E se mai portava 

il bisogno di convocare que’ contadini per le arme , o 

di esigere da ciascuno le lasse ; questi li congregavano, 

o ne raccoglievano le somme. £ perchè la moltitudine 

non fosse difGcile a trovarsi , ma facile a descriversi e 

palese; fece erigere degli altari ai Numi contemplatori 

e custodi del luogo , perché quella ogni anno vi si riu- 

nisse e ve gli onorasse con pubblici sacri Gzj , istituendo 


(i) Di Fabio • di Venonio. 



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a6 DELLE Antichità’ bomane 


9 tal (ine la festa soleanissima delta dei viUagi (i)."^Anzi 

intorno a tali sagrifizj scrisse leggi che i Romani ser* 

bano ancora. Per tal sagriSzio , per tal celebrità volle 

cbe contribuissero tulli una data moneta, altra però gli 

uomini , altra le donne , ed alu'a gl’ impuberi : talché 

numerandosi queste dai, presidi delle sante cose rileva- 

vasi il totale degl’ individui secondo il sesso e la . 6tà. 

E volendo , come scrive Lucio Pisone nel primo degli 

annali , conoscere quanti erano domiciliati in Roma, 

quanti vi nasceano o vi morivano , o toccavano * la età 

virile; stabili qual moneta dovessero i parenti vergare 

per ognun che nasceva nell’ erario di Eileitia , detta dai 

Romani Giunone Lucifera , o in quello che chiamano 

di Venere Libitina , là nel bosco , per ognun che mo- 

riva , o in quello della Dea Gioventù per ognuno che 

alla virile età perveniva. Da queste monete intendeasi 

ogni anno quanti erano in tutto , e quanti aveano ido- 

neità militare. Ciò fatto diede ordine, che i Romani. re- 

gistrassero, apprezzandoli inargento, i lor beni, e giu- 

rando di apprezzarli come dee 1’ uomo candido e buo- 

no t e che insieme dichiarassero quanta era la età loro, 

quali i padri loro , le mogli, ed i figli ; aggiungendovi 

dove in città soggiornassero, o in quale de’ villaggi d^Ho 

campagna ; e chi non &cea pari stima era in pena spo- 

gliato de’ beni , flagellato e Venduto. Dorò questa legge 

lungo tempo tra Romani. 


XVI. Cosi prese da tutti 'le stime, e rilevatone il nu- 

mero di essi , e la grandezza de’ beni loro introdusse 


(l) Ciut Paganaliu. 



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LIBRO IV. 07 


una instituzione savissima che fu poi larga fonte di beat 

a’ Romani , come il fatto stesso Io dimostrò. La islit»* 

zione fu di segregare dal resto del popolo quei che 

aveano sostanze più grandi non però minori di cento 

mine , e di ordinarli in ottanta centurie (1) , le quali , 

armandosi , portassero scudo argolico , elmo di bronzo, 

corazza , stivali , asta e spada. Poi separandole tutte in 

due parti formò quaranta centurie di giovani per le spe> 

dizioni in campo aperto , e quaranta de’ più adulti , le 

quali in città si restassero per custodirla quando le altre 

uscivano per la guerra. E questa era la milizia , prima 

di ordine ; per altro i giovani aveano sempre il primo 

luogo onde proteggere tutta l’armata. Dal residuo quindi 

del popolo segiegò quelli ancora che aveano meno di 

cento mine non però più scarse di settantacinque, compar» 

lendoli in venti centurie che portassero arme , simili a 

quelle de’ primi , toltane la corazza e dato ad essi lo 

scudo lungo in luogo dell’ argolico (u). E dividendo 

quelli di oltre quarantacinque anni dagli altri che aveano 

età militare formò dieci centurie di giovani, le quali an- 


(1) Nel Cesto Xt^gn: questa roce k ambigua: può sigaificare cen- 

turia , manipolo , coorte. Il traduttore latino la interpreta per cen- 

turia : e questa pare la nozioue piti acconcia : ma deve riflettersi 

che cengia: vai quanto compagnia di cento , laddove in questo 

luogo non significa cento esattamente ; ansi ne] paragrafo iS di 

questo libro significa ben altro che cento. 


(a) Tra i Latini ci ebbe io Cfypeut e lo tculuni. Il primo era 

detto «cevrir da’* Greci , ed il secondo Bv/i»f i il primo era più 

breve e sièrico, l’altro piò lungo. La nostra lingua, come di un 

popolo che più non usa quelle armi non ba forse parole ben disliute 

o note pet indicare la doppia forma. Targa , Rotella o Broccbiero 

può forse dirsi il C/fpeus , e scudo è voce generica di ogni sorta di 

quelle armi. 



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a8 DELis Antichità’ romane 


dassero in guerra per la patria , « dieci di anziani che 

in gtiardia rimanessero delie mura. Era questa la mili- 

zia , seconda di ordine , e prendea luogo dopo de' primi 

nella battaglia. Una terza ne fece di quelli che aveano 

meno di settantacinque mine non però sotto le cinquanta; 

ma ne minorò T armatura non solo delle corazze come 

alla seconda; ma de’ stivali ancora. Descrisse pur questi 

in venti centurie dividendoli parimente secondo 1’ età , 

talché se ne avessero dieci de’ più gióvani, e dieci de’ 

più maturi. Era il luogo loro nelle battaglie appunto do- 

po quelli che seguivano i primi. 


XVII. Trasse un quart’ ordine di soldati da quelli 

che avean meno di cinquanta , e non meno mai di ven- 

ticinque mine; disponendolo in venti centurie , dieci dei 

floridi , dieci de’ provetti per anni , come avea fletto co- 

gli altri ; e dando loro per arme scudi , aste , e spade , 

e r ultimo posto nelle battaglie. Reclutò la quinta mi- 

lizia da quelli che avean meno di venticinque mine , 

non però meno di dodici e . mezzo , acconciandola k- 

condo gii anni di ognuno in trenta centurie , quindici 

de’ più avanzati , e quindici de’ più giovani. Diè loro 

strali e Sonde , ma luogo fuori deli’ esercito , Uiesso in 

battaglia. Comandò che quattro centurie allatto inermi 

accompagnassero tutte le altre : cioè due di annajuoli , 

di falegnami , e di altri per altro militare lavoro, e due 

di sonatori di trombe e timpani e di altri stromenti 

pe’ bellici segni. Ma gli arteflci seguitavano la miUzia dà 

second’ ordine : e distinti anch* essi per età , quali se . 

guitavano le bande de’ giovani , e quali degli anziani. 

I^addove i sonatori di trombe e di timpani lenean die- 

tro alla miUzia quarta di ordine ; distribuiti anch’ eglino 



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LIBRO IV. 39 


in giovani e vecchi. Erano li centurioni tmcelti fra' tutti 

li più insigni nelle arme; e reggea' ciascuno la sua cen- 

turia docilissima ai cenni. 


XYlll. Tale era il metodo onde avessi la soldatesca 

legionaria e leggera. Scelse poi la cavallerìa dai più 

facoltosi , e più cospicui di lignaggio , e formatene di- 

ciotto centurie le dié compagne alle prime ottanta cen- 

turie de’ legionarj. Erano pur di queste diciolto , chia- 

rissimi lì centnrioni. Finalmente ridusse ad una centu- 

ria gli altri tutti , ben più numerosi de’ primi che aveano 

men che dodici mine e mezzo , e gli escluse dalla mi- 

lizia e li rese immuni da ogni tributo. Cosi risuitaron 

sei ordini che i Romani dicono classi denominandoli 

con greca parola : imperocché quello che noi signifi- 

chiamo colla voce imperativa colei ( chiama ) lo signifi- 

can essi coll’altra cala (>) ed anticamente caleseis pro- 

nunziavano in vece di classi. Comprendeano queste 

classi cento novanutrè centurie. Formavano la prima 

Bovantotto centurie compresevi quelle de' cavalieri : ven- 

tidue cogli artefici la seconda : venti la terza : di nuovo 

ventidue co’ sonatori di trombe e di timpani la quarta ; 

trenta la quinta : ed era dopo queste una centuria uuica 

la classe de’ poveri (a). 


(i) Calo catas tt» antico veibo latino por chiamare j donde pur 



cbbesi la noce Calerule. 


(a) Classe prima. - 9S 


-- seconda aa 


— ' tersa. ao 


— quarta aa 


— quinta 3 o 


- — sesta 1 


193 



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3o DELLE Antichità’ romane 

XIX. Introdotto un tale sistema , iatimava i soldati 

per la guerra secondo le centurie , e li tributi secondo 

li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci o venti- 

mila soldati ; avendo distinta la moltitndine in cento 

novantatrè centurie, imponea ebe desse ognuna la sua 

parte. Calcolando, le spese da farsi pe’ frumenti e per gli 

bisogni di guerra ; egli stesso le compartiva secondo gli 

averi di ognuna tra le centurie , ordinate in cento no- 

vantatrè. Seguitò da questo ebe i possidenti piò grandi 

essendo minori di numero ma divisi io più centurie 

fossero sensa requie astretti a più guet're , e vi contri- 

buissero danaro più ohe altri : laddove i possidenti mez- 

xani e piccioli quantunque più numerosi, ridotti in meno 

centurie , non combatteano che alternativamente e di 

raro , né pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che 

non possedeano quanto rìchiedevasi , erano intatti da 

ogni molestia. Nè ciò facea senza causa ; ma persuaso 

che gli averi sono per 1* uomo il premio della guerra , . 

e ohe ciascuno travaglia per difenderseli ; riputò giusta 

cosa , ohe chi pericola su più beni , più ancora al pe- 

ricolo si opponga colla robba e colla persona : che men 

di molestia risenta in ambedue chi men perderebbe: e 

finalmente che chi non teme per cosa ninna non sia 

nemmeno in cosa alcuna aggravato , immune da’ tributi 

perchè bisognoso , e libero dalla guerra perchè libero 

da’ tributi. Imperocché li soldati Romani militavano al- 

lora , ciascuno a spese sue non lo stipendio riceveano 

dal pubblico ; nè pensava altronde che avesse a contri- 

buire chi non aveane i mezzi e stentava il vitto quoti- 

diano : nè che colui che non contribuiva militasse a 

spese altrui qual mercenario. , 



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LIBRO IV. 3 1 


XX. G)sl rivolse Ai più ticchi tatto il carico de’ pe« 

ricoli e delle spese : vedendo però che sen disgustavano^ 

nè raddolcì per altro modo il mal contento , e ne rat* 

temperò lo sdegno , concedendo ad ewi tal prerogativa 

per cui gli arbitri sarebbero del pubblico esclusine i 

poveri. Nè comprese il popolo di ciò che facessi le con* 

srguenze. Era la prerogativa ne’ comitj , ove dai popolo 

risolveansi. le cose le più gravi. Ho già detto di sopra 

come il popolo secondò le antiche l^gi era 1’ arbitro 

di tre cose grandissime e necessarissime : cioè di eieg> 

gere i suoi capi in città e nel campo , di ammettere o 

di abrogare le leggi , e di conchiudere la guerra o la 

pace.' E tali cose discuteva , e decidevate il popolo per 

curie , parrggiandovisi il voto del grande a quello del 

picciolo possidente. ^ E siccome pochi , come avviene , 

erano i facoltosi ; ma più assai li poveri; cosi preva» 

leano questi ne’ comlej. Tullio ciò vedendo trasferì nei 

ricchi la prepotenza de’ voti. Imperocché quando pare» 

vagli di' far creare i Magistrati o discutere le leggi , o 

Conchiudere la guerra teneva i comizj non più per ci^ 

rie , ma secondo le centurie anzidette. E prima chia» 

mava a dare il Suo volo le centurie di maggior possi» 

densa le quali èrano ottanta di fanti e diciotto di ca- 

valieri. Or' queste più numerose che le altre di Un tre (i) 

quando fossero unanimi , superavano le altre ; e la di» 

scussione avea fine. Che se non si univano queste in 

uu parere ; invitava allora le ventidue scritte nel se* 

coud’ ordine*., £ se i voti sciudcvansi ancora ; soprac» 


(i) Erauo noTanioUo, e le altre tutte novauUoinijue. 



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3 2 DELLB Antichità’ romane 


cbianuva le centarie di terz’ ordine : iodi quelle del 

quarto, e cosi via via, finché novantasette centurie si 

trovassera consentanee (i). Che se ciò non ottenessi nep- 

pure colla quinta, chiamata , ma le cento novantadue 

centurie si contrapponeano con parti eguali.; invitava 

allora 1’ ultima centuria che era de’ bisognosi , e però 

libera dai tributi e dalla milizia. E qualunque fosse la 

parte alla quale accostavasi questa centuria ; quella pre- 

ponderava. Ma ciò era ben raro a succedere , per non 

dire impossibile ; mentre il più delle discussioni termi** 

navasi col chiamar de’ primi ordini senza procedere al 

quarto. Doud’ è che l’ invito de’ quinti e degli ultimi 

superduo riusciva. 


XXI. Istituendo tal sistema e tal prerogativa inverso 

de’ ricchi , Tullio deluse , come ho detto i poveri ; né 

sei conobbero , e furono esclusi dalle cariche. Immagi- 

navano questi che essendo richiesti un per uno a dare 

il suo voto, ciascuno nella sua centuria, avessero egual 

parte nel tutto : ma s’ ingannavano : perchè uno era il 

voto della intera centuria , e qual centuria conteuea . 

men cittadini e quale più i^sai ; e perchè prime vota- 

vano le centurie più ricche, più numerose per serie, 

quantunque con men cittadini. Aggiungi che un solo 

era il voto de’ bisognosi , quantunque fossero i molti ; ed 

aggiungi che ultimi si chiamavano. Per tal metodo i ric- 

chi , quatunque assai soggiacessero a spese , né avessero 

mai requie da’ perìcoli della guerra , men sentivano il 


(i) Erano le centurie senza l’ultima 193. numero la cui metà 

è 96. Affinchè dunque vi , fusse preponderanza doveva un parlilo 

nascere almeno da 97 e I' alito da 96 ocniutia. * ... 



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LIBRO IV. 33 


peso ; perchè erano gli ariìitri divenuti di gravissime 

cose , ed aveano tolto agli altri tutto il potere. Altronde 

i poveri se non aveano che la minima parte nelle pab- 

bliche cure sei comportavano placidi e ebeti, perchè li- 

beri dai tributi e dalla guerra. Dond* è che que’ mede- 

simi i quali consigliavano ciocché era da fare ; quegli 

appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere. Durò 

tal sistema per molte età tra’ Romani. Ma ne’ tempi miei 

fu variato, e renduto più popolare per forza di grandi 

necessità , non perché le centurie fossero disciotte ; ma 

perchè non più serbavasi 1* antica diligenza nel chia- 

marle; come io stesso, presente più volte ai comizj, ho 

veduto.: ma non è questo il tempo conveniente a parlar 

di ciò. 


XXII. Tullio data cosi regola al censo , comandò che 

tutti i cittadini andassero colie armi al campo più grande 

dinanzi Roma : e là , messi in squadre i cavalieri , or- 

dinati li fanti in battaglia , e ridotti i soldati leggeri , 

ciascuno nelle proprie centurie ; li espiò con un toro , 

un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre 

volte le vittime intorno dell’ esercito le sagri Beò poscia 

a Marte, Nome sovrano di quel luogo. Anche a miei 

giorni vengono i Romani purificati con egual cerimo- 

nia , che essi chiamano lustro , dopo &tto il censo , da 

que’ che n’ esercitano' il magistrato santissimo. Come ri- 

levasi da’ libri de’ censori , il , catalogo de’ Romani che 

si registrarono ascese allora ad ottantaqnattro mila set- 

tecento. Prese questo re non picciola provvidenza per 

ampliare le classi del popolo, ideandone de' mezzi sfng- 


DIOKIGI , tomo II. S 





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34 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


giti a suol predecessori. Imperocché provvidero questi a 

far moltitudine ricevendo i forestieri e consociandoseli 

senza divario di natali o di sorte. Ma Tullio concedè 

che entrassero a parte della repubblica pur gli schiavi 

Fenduti liberi , se mai non volevano ripatriare. Àdon« 

que permettendo che registrassero le loro sostanze iu- 

sieme con gii altri uomini ingenui gli ascrive fra le 

tribù urbane che erano quattro fra le quali ritrovasi aa« 

cora la discendenza dai liberti , e fece che vi godessero 

quanto gli altri vi godeano di diritti. 


XXIII. Disgustandosi di questo e mal sopportandolo 

i Patrizj ; egli convocatane la moltitudine disse : cho 

meravigUctvasi primieramente de' malcontenti se credei 

vano che t uomo libero differisse dal servo per natura 

piuttosto che per la , sorte : e secondariamente se mv~ 

stiravano gli uomini degni di onori non dai costumi 

né dalle maniere , ma dalla prosperità, vedendo quanto 

caduca , e quanto mutabile sia la prosperità , mentre 

TÙuno , nemmeno de’ più felici, può dire quanto tempo 

gli durerà. Considerassero quante città barbare e gre^ 

che erano di serve divenute libere , e di libere serve. 

E qui condannava la grande loro incongruenza mentre 

rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad 

essi invidiavano la cittadinanza : e consigliavali piuttosto 

a non liberarli, se malvagi li riputavano: ma -se ripa* 

tavanli buoni, non li vilipendessero quantunque fore- 

stieri. Dicea , che ben era informe nè savia cosa che 

essi ammettessero alla loro cittadinanza tutti i forestieri, 

senza distinguerne la sorte , o por mente , se erano servi 

divenuii liberi ; e poi tenessero come indegni di tal gra- 



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LIBRO IV. 35 


eia ^elli stessi che erano da loro liberati : e dicea , che 

essi i quali credeano più saperne che gli altri non ve- 

deano poi le cose presenti , elementari , e piane anche 

ai più inetti': cioè che assai penserebbero i padroni a 

non rendere liberi cosi di leggeri i servi se poi do- 

veano accomunarseli alle cose più grandi fra gli uomi- 

ni : e che i 'servi assai più si studierebbero di far Fatile 

de’ padroni , se capivano che resi liberi sarebbero an- 

cora cittadini di una città grande e beata ; e che am- 

bedue questi beni Se gli avrebbero appunto dai padroni. 

Da ultimo fattosi a ragionare su F utile pubblico ricor- 

dava a chi io sapeva , ed a chi noi sapeva insegnava , 

che una città che aspiri al comando , una città che pre* 

pansi alle grandi cose, non dee niun bene cercare quanto 

F aumentò del popolo , onde aver forze contro tutte le 

guerre , e non distruggere Ferario con assoldare gli estra- 

nei , perciò dicendo che i primi re concedevano a fo- 

restieri la cittadinanza. Che se ora adottavano la sua 

legge; aggiungeva che per loro via via crescerebbe una 

gioventù numerosa , nè sarebbero mai scarsi di soldati ; 

anzi che ne avrebbero abbastanza quantunque fossero 

astretti far guerra contro di tutti. Vi sarebbero ancora 

oltre le pubbliche, altra utilità non poche pe’ ricchi se 

lasciavano che gli schiavi renduti liberi avesser parte 

nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in queste nel mag- 

giore bisogno favoriti co’ voti o con altre decenze , e la* 

scerebbero ne’ discendenti di essi altrettanti clienti ai 

posteri loro. Consentirono a tal dire i patrizj che si am> 

mettesse un tal uso in repubblica: e vi persevera anco- 

ra, custodito come una delle leggi sacre ed inviolabili. 



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36 DELLE Antichità’ romane 

XXIV. E poiché son venuto a tal parie di narrawo— 

ue ; parmi necessario adombrare i costami de’ Romani 

in que’ tempi sopra gli schiavi ; perchè niuno riprenda 

nè il re che tentò volgere in cittadini gli schiavi già li- 

beri , né quei che la legge ne ammisero , quasi abbiano 

incautamente abolito istituzioni bellissime. Ottenevano i 

Romani dei schiavi per giustissime guise:' imperocché 

gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali 

qual preda all’ incanto, o concedendo un capitano che 

si appropriassero i presi in gnerra insieme con altre cosej 

o redimendoli da altri che gli aveano . con eguali mar- 

niere acquistati. Mé Tallio che lo introdusse, nè gli altri 

che lo riceverono e serbarono; tennero come vituperoso 

e nocivo al pubblico il costume pel quale si ridonasse 

la libertà e la patria da chi possedeali come schiavi, a 

quegli uomini che spogliati in guerra di patria e di li- 

bertà si erano utili dimostrati verso i primi che gii aveano 

soggiogati, o verso altri che gii avevano comperati dai 

primi. Ricuperavano moltissimi la libertà gratuitamente 

in vista deir onesto e bel procedere loro : e questo ■ era 

il più onoridco mezzo onde riaversi : pochi ne sborsa- 

vano un prezzo, accozzato con legittime e caste fatiche. 

Non è però così di presente , ma sono le cose in tanta 

confusione , e cosi belle virtù de’ Romani sono invilite 

e bruttate; che chiunque trae danaro da crassazionl^ 

da sfasci, da prostituzioni o per altre ree guise , costui 

con tal prezzo redimesi , e diviene un Romano. Otten- 

gono altri un tal dono dai loro padroni , divenutine i 

complici degli avvelenamenti , delle uccisioni , e. delle in- 

giustizie contro la : repubblica e contro gl’ Iddj : tal altri 



Digitized by Goo e de’ Veietiti, -già 

prime ad insorgere, e colpevoli di aver mosso le altre 

alla guerra co’ Romani , queste in pena le multa della 

campagna, coi divise in sorte tra gli ammessi di fresco 

alla cittadinanza di Roma. Compiate tali cose in guerra ' 

ed in pace, e fondati due tempj l’uno nel Foro boario, 

e l’altro in riva del Tevere alla Fortuna sembratagli 

propizia tutti i suoi giorni , e da lui chiamata Kirile 

come chiamasi ancora (i) ; alGne provetto assai per età, 

nè lontano ornai dal suo termine, morì tra le insidie 

dei genero suo e della Gglia. Io dirò di queste insidie ma 

ripigliandone il GIo alquanto da lungi. . 


XXVIIL Avea Tullio due Gglie , nategli da Tarqui- 

nia , sposata a lui dal re Tarquinio medesimo. Divenute 

nubili le donzelle, cugine dal canto materno a’ nipoti di 

Tarquinio , diedele appunto a questi per mogli , la più 

grande al più grande , e la minore al minore ; cosi pa- 

rendogli che meglio converrebbobo a chi le prendeva ; 


(i) Tullio fondò piò che due tempj. Fiutar, in quest. Rom. 74 * 

Ma la fortuna ViriU fu coosccrata da Anco e non da Serrio secondo 

lo stesso Plutarco De Fortuna Roman, 



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LIBRO IV. 43 


se non che per la diflbrmità de’ costami si trovò ì’ua 

genero e l’ altro accoppiato col sao contrario. Lucio 

il maggiore , baldanzoso , caparbio , tiranno per indole , 

ebbesi la fanciulla , savia ^ mansueta , piena di amore 

paterno: laddove Arunle il più tenero, mite molto per genio 

e tutto affabile , se ne ebbe la iniqua, e tutta ardire, e tutta 

odio contro del padre. Ora seguiva che movendosi ognuno 

a seconda del genio suo venivane ripiegato in contrae 

rio dalla sua donna. Ardea lo scellerato dal desiderio 

di balzare il suocero dalla reggia : ma intanto che a tale 

disegno applicavasi, erane dai voti contrariato e dal pianto 

della consorte. In opposito il mite sposo , fermo in cuor 

suo che non aveasi ad offender il suocero ma che do* 

veasi aspettare che la natura ne consumasse la vita , ni 

tollerando che il fratello commettesse quella ingiustizia, 

era spinto in contrario dalia ribalda sua compagna , 

che lo istigava e garrivalo , rimproverandolo come vile. 

E poiché niente poteano nè le suppliche della savia donna 

che insinuava il suo meglio al non giusto suo sposo , 

nè le istigazioni della malvagia che provocava ai delitti 

Taomo suo, che non era temperato a commetterne; 

ma ciascuno seguiva l’indole sua tenendo per molesta la 

compagna perchè non avea desiderj uniformi ; la prima 

ne piangeva , ma comportava l’acerbo suo caso , quando 

l’altra fremevane audacissima, e cercava come togliersi 

dal sno camerata. Or qui levatasi di mente la scellerata, 

considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito 

della sua germana , sei fa eh iamare , quasi per abboc* 

carsegli di necessarie cose. 


XXIX. E poiché fu venuto; ordinando che si riti* 



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44 DELLE Antichità’ romane 


tasserò quanti eran seco per discorrere sola con solo» 

Or su, disse, o Tarquinio posso io liberamente e 

senza pericolo ridire quanto medito pel bene di am- 

bedue ? Lo celerai tu quanto sei per udire ? o vai 

meglio che io taccia , nè palesi V arcano' consiglio ?, 

£d invitandola Tarquinio à dire, e certificandola coi 

giuramenti, qualunque ne volesse, cbe-taóerebbe i di- 

scorsi ; ella non più contenuta dalla verecondia >neO‘ amici che abbondano , 

ed altre comodità copiose e grandi per imprendere. 

Che più, dunque t’ indugj ? u4 spetti forse il tempo che 

per sé stesso venga e ti dia la corona senza che pur 

te ne brighi ? Quando ? dopo la morte di Tullio ? 

Jippunto la fortuna riguarda gl’ indugj degl’ uomini , 

appunto la natura pon fine alle vite secondo la pro- 

porzione degli anni ! Anzi oscuro , incomprensibile è 

f esito delle cose mortali. Sebbene , io lo dirò pur 

francamente , quandi anche tu me ne chiami temera- 

ria , una a me sembra , una la causa per la quale 

niente commoveti , non l’ amor degli onori non della 

gloria. Hai tu donna mal conforme a tuoi modi; e 

questa li lusinga , e t’ incanta , £ ammollisce : e da 

questa rendalo men che uomo diverrai finalmente un 

ignoto. Così pure quel marito eh’ è meco, tutto paura, 

e senza nulla di virile , quegli ha depresso me ch’era 

nata alle grandi cose , quegli ha fatto il fiore lan- 

guir di bellezza che mi avvivava. Se portava il de- 

stino che tu prendessi me per moglie ed io te per 

marito , già non saremmo tanto tempo vivati nella 

ignobilità de’ privati. Che dunque non emendiamo le 

colpe della sorte ? che non trasmutiamo il matrimo- 

nio ? che non togli tu dalla vita cotesta tua donna ? 

Io sì che apparecchio per quel mio marito /’ egual 



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46 DELLE Antichità’ romane 


trattamento. E quando , spenti questi ^ ci sarem con- 

jugcUi y allora consulteremo con 'sicurezza sul resto , 

liberi già dagli ostacoli che ci conturbavano. Che so 

altri per cUtre cause teme la ingiustizia ; già non è 

da riprendersi chi tutto ardisce per dominate. 


XXX. Mentre Tullia cosi diceva, ne ascoltava Tai> 

quinio con diletto i disegni : e dando immantinente e 

ricevendo i pegni di fede, e le primizie dell’ empie noz- 

ze , si ritirò. Non andò guari tempo ; .e perirono p^ 

eguale sventura la primogenita di Tullio, ed il minor 

de’ Tarquinj. E qui sono astretto a far parola di nuovo 

di Fabio, e riprenderne la negligenza nell’esame dei 

tempi. Imperocché fattosi alla morte di Arante non. pecca 

per questo capo solo come io dinanzi dicea, che deaeri- 

velo per figlio di Tarqninio ; ma per l’ altro ancora che 

narra , che mortosi Arunte fu sepolto dalla madre Ta- 

naquilla , la quale non potea di que’ tempi più vivere. 

Conciossiachè giù di sopra fu dimostrato che costei nu- 

merava settantacinque anni , quando mori Tarquinio. 

Ora aggiungi a questi altri quarant’ anni , giacché sap- 

piam dagli annali che Arunte mancò nell’ anno quaran- 

tesimo del regno di Tullio; e saran gli anni di Tana- 

quilla cento quindici. Tanto picciola nelle storie di que^ 

st’ uomo é la cura intorno la ricerca del vero ! Dopo 

ciò Tarquinio senza indugio riprese in Tullia una mo- 

glie , ricevendo lei da lei stessa , e senza che la madre 

approvasse , o consolidasse il padre quelle nozze. E come 

que’ due impurissimi , come que’ due micidiali si con- 

giunsero , tentarono di cacciare se noi cedea di buon 

grado, Tullio dal trono: e teneano perciò delle con- 



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LIBRO IV. • 



Al 



venticole , e raunavano que’ senatori che aveano cuore 

alieno da lui e dalie forme di un governo’ popolare, e 

comperavano i più bisognosi della città quei che non 

Bveau cura ninna della giustizia , facendo intanto tutto 

senza nasconderlo. Tullio vedendo ciò , ne fu contur» 

baio , e temette di essere sorpreso da qualche infortu- 

nio. Nè dovrebbesi meno se dovesse far guerra alla figlia 

ed ai genero , e pigliarne vendetta come di nemiri. 

Adunque invitò molte volte Tarquinio a discorso in 

mezzo degli amici ; ora redarguendolo, ora ammonendolo 

ed ora esortandolo a non far contra lui mancamento. 

Poiché però costui non lo attendeva , e pretestava che 

direbbe in Senato i suoi diritti; egli stesso adunando il 

Senato , incominciò : Tarquinio o senatori ( e ben mi 

è ciò manifesto ) Tarquinio tien dei congressi; Tar~ 

quinio m insidia lo scettro. Io da lui voglio , pre- 

senti voi, risapere, qual privata ingiuria ha da me 

sostenuta , o qual vede che io ne ho fatta sul pub- 

blico per insidiarmi. Rispondi Tarquinio, non '{infin- 

gere , di che avresti tu mai per incolparmene? È que- 

sto il Senato , ove di essere udito desideravi. 


XXXI. E Tarquinio replicò : Breve o Tullio sarà 

il dir mio , ma giusto ; e però voleva io profferirlo 

tra questi. Tarquinio V avolo mio possedè la reggia 

di Roma , e molti e grandi travagli sostenne per essa. 

£ lui morto , io , gli debbo succedere secondo le leggi 

comuni de’ Greci e de Barbari. E convenivasi , come 

si conviene a quei che succedono agli avi , che io ne 

ereditassi non pur le monete , ma la reggia : e tu mi 

davi le une, come lasciate da esso, e mi toglievi la 



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48 DELLE Antichità’ romÀn¥ 


reggia , e già da tempo la tieni , senza averla mai 

ricevuta a norma delle leggi : perocché nè gl’ interré 

vi ti scelsero , nè i senatori mai per te davano il 

voto , nè assunto vi eri dacomizj legittimi come l’avo 

mio e come tutti i re precedenti. Tu andavi al trono,- 

e comperando e subornando per ogni modo una turba 

di vagabondi e di miseri, una turba rovinata nella 

stima per le accuse e pe’ debiti , una turba infine 

niente sollecita del pubblico bene : e così andandovi 

nemmeno dicevi di stabilirlo per te , ma davi' le viste 

di custodirlo per noi orfani e pargoletti: e dichiaravi, 

udendolo tutti , che quando saremmo già adulti , lo 

renderesti a me che sono il pià grande. Se dunque 

volevi tu far la giustizia, quando mi consegnavi la 

casa , quando il danaro dell’ avo ; dovevi tu conse- 

gnarmene nommeno la reggia seguendo V esempio dei 

tutori onorati e dabbene, i quali ponendosi alla cura 

de’ regi figli, orfani de loro padi’i, rendono ad essi 

appena son grandi puntualmente e santamente la si- 

gnoria degli antenati. Che se ancora non io semhra- 

vati idoneo a pensieri convenienti , ìiè bastante pei 

giovani anni a città si popolosa , dovevi almeno re- 

stituirmene il governo quando io giunsi ai treni anni 

che son gli anni vegeti del corpo e della mente , e 

ne’ quali tu mi davi la tua figlia in isposa. Avevi 

pur tu questa età quando prendevi la cura della no- 

stra casa e del regno. 


XXXII. Ti sarebbe , cosi facendo , accaduto di 

esserne detto pietoso e giusto , di essere il partecipe 

de’ miei consigli, il partecipe degli onori, e di udir- . 



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LIBRO IV. 49 


miti chiamar padre , e benefattore « e salvatore ; e con 

ogni bel nome , quanti ne sono destinati dagli uomini 

per le assioni le pià preziose ; nè io già da quaran- 

taquattr anni sarei privo del regno , io non informe 

di corpo , io non disadatto di mente. E ciò stando y 

osi pur dimandarmi quale aggravio io ne senta, sicché 

io labbia per inimico, e te ne accusi? Anzi dX, Tullio , 

dì per qual causa non mi stimi tu degno degli onori 

delt avo ; dì , qual ne trovi , qual ten ^ngi buon ti- 

tolo di tal mia privazione ? Non pensi forse che io 

sia germe puro di quella stirpe, ma intrusovi e spu- 

rio ? Come dunque tu curavi un estraneo da quella 

famiglia ? o come , quando ei crebbe , gliene rendevi 

la casa ? O pensi che io non lontano molto dai cin- 

quant’ anni > io pur siegua ad essere un orfano ? un 

incapace ed moneti del pubblico ? Lascia dunque gli 

schemi di domande invereconde; cessa una volta di 

esser malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere 

io, son pronto di rimetterle a questi giudici , de’ quali 

tu non potresti ih città rinvenirne altri migliori. Ma 

se di qua levandoti ricorri tu , come sempre solevi , 

a quella tua ligia moltitudine ; già non sarà che io 

mel soffra. Io qui sono appeaecchiato disputare sul 

giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo , se 

non mi- ascolti. 


XXXIII. Al tacere di lai ripigliando Tullio il discorso, 

così disse : Quanto è vero o senatori che dee t uomo 

aspettarsi ogtd caso pià impensato nè crederne as- 

surdo rduno, se fn questo Tarquinia sta per levarmi 


DIONlGt, tomo tZ. ' 



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5o DELLE Antichità’ homank 


dal pritKÌpato : questo Tqrquinio , else io prendea , 

che io salvava fanciulletto da’ nemici che lo insidia- 

vano , che io educava e crésceva , e cresciuto, ' com- 

piaceami di avermelo a genero, ed erede infine di 

tutto se io patissi umana vicenda. Ma poiché tutto 

mi riesce in contrario , e che ne sono ami accusato 

come ingiusto ; serberommi a piangere la mia sorte , 

rispondendo ora su miei diritti a fronte di lui. O Tar- 

quinio , io presi la cura di voi lasciati fanciullini : 

nè già di voler mio , ma costrettovi dalle brighe , la 

presi. Imperocché si dicea che quelli ette aveano ma- 

nifestamente ucciso I avolo vostro onde riprendersi il 

tròno , avrebbero occultamente insidiato • anche tutto 

il parentado : e quanti a voi per sangue si riferi- 

scono , tutti confessano , che se quelli restavan gli 

arbitri del comando , non avrebbero pur seme la- 

sciato della stirpe de’ Tarquinj. Non ci avea curar 

tore , non tutore ninno di voi se non una donna , la 

madre del vostro padre , . bisognosa ancor essa di alr 

tri curatori per la cadente età siui. Rimanevate vm 

solo a me corifidati , custode unico dell orbitade vo- 

stra , a me che ora chiami un estraneo , un che niente 

a voi si appartiene. Jn tali turbolenze ponendomi al 

comando io punii gli uccisori' deU’ avolo vostro', e ’ 

voi crebbi allo stato di uomini , nè avendomi prole 

virile , io vi eleggea ^perchè à me succedeste. E que- 

sto o Tarquinio il discarico della mia ‘cura; nè già 

potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna, . 


XXXIV. Ma quanto al regno , poiché di questo mi 

accusi, odi come io me ìo abbia^ e le Cause per le quali 



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LIBRO IV. 5l 


10 non a voi lo ceda , nè ad altri. Quando io presi 


11 governo , avvedutomi che mi si tramavano delle 

insidie , volea nelle mani riporlo del popolo. E chia- 

mando tutti a concioAe , io già faceami a cedere il 

comando per cambiare con una vita di calma e senza 

pericoli^ la vita del comcmdare , la quale è piena di 

invidia ,■ e sparsa pià di amarezze che di piaceri. Non 

comportarono i Romani che io tanto eseguissi , nè 

vollero alcun altro sul Comune , e me ritennero , ed 

a me diedero col consenso de’ voti , il régno , quel 

possesso loro, o Tarquinia , e non vostro. Così pure 

l'Oveano già dato all’ avolo vostro tuttoché forestiero, 

e niente congiunto col re precedente ; sebbene Anco 

Marzio lasciava de’ figli maschi e floridi per anni ^ 

e non de’ nipoti , e piccioli , come Tarquinio voi la- 

sciò. Se legge è comune di tutti, che chi eredita le 

sostanze e i danari dei rei che cessano , debba in- 

sieme r,iceverne il regno , dunque non fu Tarquinio 

l’ avolo vostro che al morire di Anco ottenne là co- 

tona , ma il figlio primogenito di questo. Ma il po- 

polo di Roma chiama al comando t uomo degno di 

averlo, e non il successore del p’adre. Imperciocché 

giudica che le sostanze sieno di chi le possiede, ma 

che il regno sia di quelli che il diedero ; giudica con- 

venirsi che ottengano quelle gli eredi per sangue o 

per testamento se i padroni sén muojono , e che tomi 

l’ altro a chi ’l diede se vien meno chi preselo a reg- 

gere •; se non forse hai tu da contrappormi che I avolo 

tuo ricevette il regno con tal condizione che non po- 

tesse pià tortegli, e che lo tramandasse a voi suoi 




5a DELLE antichità’ homane 


discendenti; sicché non fosse pià t arbitro esso po- 

polo, di conferirlo a m«, levandolo a voi. Ma se hai 

tu punto di simile, che noi produci? Ma non gli 

hai tu questi patti. Che se io non ebbi il regno per 

buona via come dici , non- eletto dagf interré , noti 

portato dai senatori agli cffari, né compiendo il re- 

sto a norma dette leggi; questi dunque, .questi ho 


10 vilipesi e non te : e questi e non tu , saria giusto 

che V autorità men finissero. Ma nè io violai questi, 

né cdtro chiunque. Jl tempo tn é buon testimonio’, che 


11 potere mi fu dato legittimamente, e che legittima^ 

mente mel tengo. Imperocché già ne volge I armo 

quarantesimo e niun Romano pensò mai che io com- 

mettessi , avendolo , una ingiustizia ; e non il po- 

polo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene. 


XXXV. Ma lascisi pur tutto ità : diasi pur luogo 

alle tue ragioni. Se io te privava di un deposito del- 

t avo , se io mi ascrissi il tuo regno contro . tutti i 

diritti degli uomini, convenivasi che tu a quelli ne 

andassi che mel diedero : che con quelli ti ramari- 

cassi e garrissi che io mi tenga te cose non 'mie ; è 

che essi mi si obbligarono col dispensarmi t. altrui: 

e se tu il vero dicevi; di teneri gli [avresti persiut- 

si. Che se tu non certificavi ciò co- tuoi parlari ; e 

tuttavia pensavi , indebita cosa che io regnassi, e che 

tu sei pià acconcio al maneggio del pubblico ; potevi 

almeno , fatta ricerca diligente de miei errori , e nu- 

merate le belle tue gesta , riclamartene giuridicamente 

la precedenza. Ma tu non hai fatta, nè luna nè F al- 

tra cosa; e dopo tanto tempo , finalmente , quasi ria- 



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LIBRO rv. 53 


vendati da lunga ebbrietà , vieni per accusarmene » e 

nemmen ora dove si dee. Canciossiachè, già non con- 

viene che queste cose qui dichi ( e voi non ve ne sde- 

gnate o Padri., mentre io cosi parlo non perchè vi 

si tolga questa causa , ma per dichiararvi li costui 

vanilotfuj ) , ma conveniva che preaccennandomi tu. 

che aduneresti il popolo a conciane là mi accusassi. 

Ora ciocché hai tu schivato , lo supplirò io questo per 

te :• convocherò il popolo , lo Jarò giudice delle Mense 

che òuoi : lascerò che decida di nuovo , qual sia pià 

idoneo di nói per comandare ; e quello che là desti- 

nasi, quello adempirò. Ma basti il fin qui detto a 

risponderti : perciocché toma allo stesso dir poche o 

molte ra^ni eon emoli che non le apprezzano , men-, 

tre questi per indole nemmen soffrono ciocché li per-, 

suada ad essere umani. 


^XXXYl. Ben io mi meravigliava o senatóri che 

sdeuni di voi (se ve ne sono ) volendo depor me , co- 

spirassero con costui. F^olentieri udirei da loro per 

qual mia ingiustizia mi fan guerra, o da quale mio 

trattò inaspriti. Sanno essi forse che assai nel mio 

principato , perirono senza essere uditi, assai furono 

spogliati, di patria , assai delle sostanze, o con altro 

sciagure affitti ? o non avendo a ridire su me niun 

tirànnico modo di questi , sono essi forse conseqtevoli 

delle, mogli lóro da ma disonorate ; delle prof ansate 

loro verini figlie, o di tal altra mia incontinenza su 

ingenue persone ? Egli è giusto se in me sorto tali 

eplpe , che io sia , nonuì del regno privato , che della 

vita. O può .dire alcuno che un superbo io sono , un 



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54 DELIE Antichità’ bomane 

esoso per la mia durezza, un-iiHollerabile per la mia 

caparbietà nel governare ? Qual mai dei re predeces- ■ 

sori fu così moderato , così umano nel suo potere ,« 

o qual fu con tutti come me , quasi un tenero patire 

co’ figli? Io quel potere che voi mi deste, voi custodi 

di ciò che avete dagli avi ricevuto io non lo volli 

questo nemmen per intero : ma creai leggi, ( e voi le 

approvaste queste leggi) su cose principalissime ,• e 

le intimai perchè tutti esigeste e rendeste cots-esse i 

diritti , ed io stesso il primo mi vi sottoposi , docile 

come un privato agli ordini , che io dava per nitri. 

Che più : non io mi tenni giudice di tutte le ingiusti-‘ 

zie ; ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri-, 

vate} ciocché ninno uvea fatto dei re precedenti. ^Laon* 

de , non vedesi in me colpa sicché altri me ne con- 

trarino. O turbano voi forse i benefizf miei verso del 

popolo ? Ma non sarebbe così pensare un offendeivi ! 

se già tante volte con voi me ne giustificai. Se non- 

ché niente bisognano discorsi tali : se a voi pare che- 

questo Tarquinio , preso il govermo, sia per ammii- 

nistrarvelo anche meglio : io non invidio a . Roma .il 

suo miglior principe. Restituendo il comandò al po-^ 

polo che mel diede, e tornandomi tra privati , farò 

che vedasi chiaramente che io sapea tanto, ben' «io» 

minare , ' quanto io posso dignitosamente servire^ . 55 


ascese in tribuna , e tennevi un patetico e Inngo ragio- 

namento óve numerò le gesta militari eh’ egli iece men- 

tre viveva Tarquinio e dopo , e .ricordò mano a mano 

le istitnaioni donde sembrava il Cornane prosperato di, 

molte ; e grandi utilità. E venendogli dal dir di ogni fatto 

-amplissime lodi, e desiderando ornai tutti sapere perchè 

li ridicesse , palesò finalmente come Tarquinio accusa- • 

vaio di' egli tenesse a torto un regno che a lui si do- 

veva : e come apaigeva che l’avolo gli avea nel morire 

lasciato con le ricchezze anche, il regno , e che non po-, 

teva il popolo concedere ciocché suo non era. E qui 

-^Vegliatosi in tutti clamore , ed. indignazione , egli inti- 

mando silenzio, piega vali, che non impazientissero nè 

tumultuassero a quel dire : ma chiamassero Tarquimo , 

e se. forse aveva giuste cose da esporre le conoscessero: 

e se lo trovassero offeso, e se. piò idoneo a reggere , 

gli affidassero pure il comando di Roma : egli se ne al- 

lontanerebbe , e renderebbelo ad essi da’ quali lo .ebbe. 

Cosi lui dicendo e movendosi già per,i iscendere dalla 

' tribiina , , proruppe da tutti un grido , un gemito , un 

pregar vivo ebe non cederne ad alui.il comando. E ci 

avea por chi esclamava elve si avesse a tempestare Tar- 

qninio : e colui , vista in fremito la moltitudine, temendo 

che non gli desser di mano ; foggiasene cogli amici in 

casa. Allora tripudiando tutto il popolo ricondusse tra 

gli applausi e le acclamazioai Tullio alla reggia. 


■ X^XVllL Tarquinio, veuutogK meno, quel tentativo, 

fremè dal rancore, che il Senato non gli dess^ alcnn 

aiuto, quàndo egli fidava su questo principalmente; e 

teuniesi per alcun* tempo in casa non conversandolo che 



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56 DELLE Antichità’ romane 


gli amici. Quando la donna sua gli si fece a dire elle 

più non dovea star mollemente a bada , ma ebe dovea^ 

lasciate le parole , Tenire ai fatti, e primieramente cer- 

car pace per mezzo degli amici da Tnib'o , perché co- 

lui credendoselo riconciliato, meno il guardasse. E pa- 

rendogli eh’ ella ben consigliasse , finse di esser pentito, 

e più volle per .mezzo degli amici Orò caldamente Tul- 

lio affinchè lo perdonasse ; né difficilmente ve lo indusse, 

essendo placabilissimo per indole, ed alieno da nna guerra 

inestinguibile colla figlia e col genero. Ma venutogli po- 

scia il buon ponto , essendo il popolo sparso ne’ campi 

per la raccolta , egli usci cìnto di amici co’pngnali sotto ' 

d^li abiti: dati i fasci ad alcuni de’ servi, e* presa per 

se regia veste ed altri simboli del comando , si recò net 

F oro ; e standosi dinanzi la Curia , intimò che il ban- 

ditore convocasse il Senato. E siccome ci aveanO già pel 

Foro appostatàmente molti de’Patrizj consapevoli ed isti- 

gatori del delitto ; allora si concentrarono. Intanto corso 

alcuno in casa di Tullio lo informa come Tarquinio' ersi 

uscito con regie vesti , e chiamava i Padri a consiglio. 

Stupitosi Tullio dell’ ardimento andò tra piccfolo seguito 

con più velocità che saviezza: e giunto nella Curia) e 

vedutolo in sul trono , e con gli altri distintivi reali , 

chi , disse , chi , scelleratissimo uomo , ti concedè que- 

sti onori? e colui, /ìi, replicò, l’ardire tuo; fu la 

tua inverecondia o J\dlio ; perocché non essendo tu 

libero , ma servo nato da serva « e posseduto qual pri- 

gioniero dalT avolo mio, ti arrogasti il comando di 

Roma. Tullio , ciò udendo , inaspritone , à biqciò fnor 

di proposito su lui , come per isbalzaflo dal trono. Vide 



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tlBKO IV. 5'J 


TaitjaÌDio ciò con diletto ^ e sorgendo dalla regia sede 

afferra e trasportasi Ini vecchio , che grida , ed invoca 

i suoi. Giunto fuori della Curia egli florido e forte, le* 

vaio in alto > e trabalzalo giù per le scale che mettono 

al luogo de* contizj. Alzatosi appena dalla caduta il vec- 

chio , cóme vide intorno , pieno tutto de* partigiaui di 

Tarquioio , e deserto e vuoto de* cari suoi , partesene 

malconcio e mesto con pochi che lo sostengono , e ri- 

coóducoDO , mentre riga intanto la via di sangue. 


XXXIX. Narransi dopo ciò le opere dell’ empia e 

barbara figlia, tremende ad udirsi, come portentose nè 

credibili a farsi. Costei sentendo che il padre era ito in 

Senato vogliosissima di conoscerne la fine , venne in sul 

cocchio nel Foro : e conosciutavela , e veduto Tarqui- 

nio in su le scale della Curia , essa la prima a gran 

voce lo salutò monarcA , supplicando gF Iddii , che il 

regno di hii riuscisse propizio a Roma. E salutandolo 

monarca altri ancora de’ cooperatori suoi , • lo trasse in 

disparte e di^se: Le prime cose o Tarquinia te hai 

Ut faUe come àoveansL Ma finché vive TuUio non 

potrpi renderli stabile il regno. Egli se abbia picciolo 

tempo di questo giorno ; ecciterattene incontro il po- 

polo ; e tu sai’ quanto il popolo tutto è per lui. Su 

dunque' prima ih* ei torni in casa , manda chi lo uo 

cida ; te ne libera. Ciò detto , e sedutasi di nuovo in 

sul cocchio ,. parti. Tarquinio convinto che la iniquis- 

sima donna ben consigliava , spediscegli contro alquanti 

de’ suoi ■ co* brandi : e quelli trascorrendo rapidissima- 

ménte la via raggiunsero Tullio pressò la casa , e lo 

uccisero. Abbandonato palpitavane ancora il cadavere 




58 DELLE antichità’ BOMANE 


per la strage recente ; quando la figlia sopraggiunge : 

ma stretta essendo la via donde avessi à passare le 

mule a tal vista si spaventarono : e 1’ auriga stesso .che 

le guidava mosso da compassione si fermò e si volse 

a colei. La quale dimandandogli perchè mai non pro- 

cedesse : Non vedi , disse , o Tullia , che qui giace U 

morto tuo padre , nè vi è transito fuorché, sul cada-* 

vere suo ? E sdegnatasene quella , e levatosi lo scAbello 

da’ piedi e lanciatoglielo disse : ’E non le guidi o stolto 

in sul morto ? E colni gemendo anzi per la compas- 

sione elle per la percossa spinse forzosamente le mole 

so del cadavere: E la via chiamata Olbia (i) per ad- 

dietro, fu dopo il tragico e barfiAro caso, detta nélF i— 

dioma de* Romani scellerata. ' ‘ 


XL. Tale fii il termine di Tullio dopo quaranta- 

quattro anni di regno. Dicono che qnest’nomo il primo 

alterasse ì patrii costnmi e le leggi .ricevendo il prin- 

cipato non' dal Senato insieme, e dal popolo come 

tatti i re precedenti ma dal popolo . sedo , guadagnane 

dosene la classe > indige nte con' distribnzione e'donii, ^ 

altri sedncimentL E cosi sta la'veritè; perciocché' nei 


•> *- 


(l) OAjStar >0 greco saU fiUce , firtunaUn sareiiba il teina che 

la vìa ftlice fortunata fu delta scelterata pel delitto. Alcuni leggono 

»va-fi»s io luogo di tXfittf, certamente, secondo che scrive Var— 

rime nel lib. ^ , de lingua laiina, i Sabini quando tinnirono ai Ro- 

mani , chiamarono Cipria la contrada di Roma nella quale si allog- 

giarono come per buono angario, perché Cjrprwn tra’ SaiNui tigni— 

Scava il bene. E secondo ciò la contrada, detta Cipria o. buona dni 

Sabiui pel buon augurio, sarebbe appunto quella ghe fu. poi della 

scrllerata per la empietà commessavi. Ma Varrone .scrive che questa 

contrade cran prossime , e non già le. medesime. 



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LIBRO IV. 




prifni tempi quando un re moriva , il popolo dava al 

corpo del Senato la podestà di stabilire la forma che 

pià volessero di governo, ed il Senato nominava gl’in- 

terré, e gl’ interré sceglievano per sovrano 1’ uom più 

pregevole sia de’ cittadini , sia de’ nazionali, sia de’ fo- 

restieri : e se il Senato ’ne approvava la scelta, se il po- 

polo co^ voti suoi r aotorizzava , se gli anspizj la con- 

fermavano, còlui prendeva il comando. Che se mancava 

alcuna di queste condizioni, ne; nominavano nn 'secon- 

do ; e poi un terzo, se avveniva che il secondo non 

avesse propiziò quanto era d’ uopo dal cielo e dagli' 

notami. Ma Tullio, come innanzi fu detto, assumendo 

in ■principiò il carattere di regio tutore , e poi guada- 

gnandosi il popolo con gli amorevoli modi', fu -re no- 

minata solamente da quello* Poi • diportandosi come uo- 

mo temperato e clemente fe' colle opere successive ta- 

cere le accuse*, che non avesse* adempita ogni cosa a 

norma delle Ipggi ; lasciando a > molti il 'sospetto , che 

se non era presto > levata; avrebbe' ridotto- lo Stato- a 

forma di una repubblica. E (|nesta é la cagion princi- 

pale. per «ui dicesi che alenai de’ palrizj lo insidiassero^ 

Pionr potendo con altro modo hnirne il comando , ini- 

sero -TarqUinie alla impresa e gli cooperarono il regno^ 

per voglia di deprimere -il •'popolo fornài troppo potente 

pel ' governo  

tura un giorno ; nella prossima notte spirò. S’ ignorava 

però da molti la maniera del termine suo. Diceano al- 

cuni eh' ella stessa aveasi data da sé la morte , an- 

teponendola al vivere. Altri però diceano che era 

stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo ad- 

dolorata e benevola inverso lo sposo. Per queste ca- 

gioni il corpo di Tullio fii privo di regj funerali , e di 

magnifico monumento : conseguì però coUe opere sue 

memoria perenne in tutti, i tempi. Anzi quanto iegU | 

fosse caro agl’ Iddìi lo., fece eziandio palése nu se- 

gno celeste : dond’ è che alcuni tennero ancora per vera 

la opinione incredibile e fiivolosa intorno la nascita sua 

come dianzi fa detto. Appiccatosi il fuoco id tempio 

delia fortuna , che egli area già fabbricato, mentre tutto 

era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente la 

statua di lui in legno dorato. . Il tempio e quanto .è' nel 

tempio rifabbricati dopo l’ incendip sul modo antico 

presentano le traccie di un’ arte recente: ma la statua , 

antica com* era nelle fattezz^. vi riscuote ancora il qulto 

dai Romani. E ciò è quanto abbiamo ricevuto sopra 

Tullio.» . , 


XLI. Dopo di lui prese la siguoria di Roma Laicìo 



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LIBRO IV. . 6l 


Tar^illnio non gi^ fecondo le log^ ma colle armi nel- 

r anno quarto dell* olimpiade sessantesima prima nella 

quale vinse nello stadio Agatarco , essendo arconte di 

Atene Tericleo (i). Cosmi spigando la popolar mol- 

titudine , spregiando i patria] da’ quali era stato con- 

dotto al trono, e confondendo e sconciando ogni co- 

stume- e legge e disciplina colla quale i re precedenti 

ave'ano dato forma a Roma; rivolse il governo in nna 

manifesta tirannide. E primieramente mise intorno a sé 

guardie di bravi , naaionali ed esteri , con spade e lan* 

ce, i quali vegliando di notte negli atrj della reggia , 

é scortandolo di giorno, ovnnqne ne andasse, lo scber» 

missero appieno dalle insidie.' Inoltre non usciva nè di 

continuo , né con periodo certo , ma di raro , e quando 

non aspettavasi. Deliberava su le cose comuni molto 

in sua casa , e poco nel F oro , in mezzo a’ parenti più 

stretti cbe lo guardavano. Non concedette che alcuno 

di quei che il volevano si presentasse a Ini se noi 

chiamava : e presentatoglisi , non era giè con esso , 

compiacevole e mite , ma grave ed aspro ' come un ti- 

ranno, e terrìbile ansi che gioviale a vedere. Definiva 

le controversie su’ contratti in conformità de’ costumi 

suoi , non delle leggi e del dritto. Per le quali cagioni 

i Romani lo denominaron superbo , ciocché nell’idioma 

nostro vuoi dire soperchiatore contrassegnando l’ avo 

col soprannome di Prisco, o come noi diremo antico 

per nascita, giacché quello aveva i nomi appunto del 

giovine. 


(i) NelP annp »e di Roma secondo Catone, a» seconde Vat- 

reus , e &3a avanti Cristo. 



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6a DELLE antichità’ ROMANE 


' XLI. Qaaado poi concepì di aver già consolidato il 

suo regno , concertandosene co’ più ribaldi de’ suoi ami> 

d, avviluppò tra accuse capitali i piò cospicui de’ cit- 

tadini ; e primieramente i contrari suoi , quei che già 

non^voleano che Tullio si levasse dal trono , e quindi 

altri li quali immaginavaseli malcontenti del cambia- 

mento , o li quali abbondassero di riccbezae. Coloro 

che in giudizio li riducevano, gli accusavano l’un dopo 

l’altro con delitti falsi, e con quello specialmente che 

tendevano insidie al re che ne era il giudice. Ed egli 

quali ne condannava alla morte , e quali all’ esilio: e 

confiscati i beni degU uccisi o banditi , dispensavane 

alcun poco tra gli accusatori , serbandone la piò gran 

parte per sè. Pertanto molli de’primar} vedendo le ca> 

gioni per le quali erano insidiati, lasciarono , prima di 

essere complicati in delitti, Roma tutta al Uranno. Vi 

furono pure alcuni sorpresi ed oppressi di furto da lui 

nelle case o ne’ campi : uomini ben degni di riguardo , 

ma non piò sen trovarono nemmeno i cadaveri. Di- 

Btrutla così la maggior parte del Senato con su*agi e 

con esilii perpetui la supplì con chiamare agli onori di 

quei che mancavano i propri amici: nè però concedette 

loro di fare o dire se non quanto egli avesse prescritto. 

Tanto che li senatori già scelti da Tullio , e superstiti 

ancora nel Senato , e contrarj fin’allora al popolo sul 

concetto che la mutazione tornerebbe in lor bene per 

le promesse avutene da Tarquinio ingannevoli e tradi- 

uici , vedendo infine che non aveano piò parte nelle 

pubbliche cose, anzi che aveano' come il popcdo per* 

dula la libertà ne sospiravano : ma temendo un avve- 



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.LIBRO IV. 63 


nire ancor più tetribile , nè potendo impedire «pianto 

faceagi , chctaronsi necessariamente a’ mali presenti. 


XLllI. Or vedendo il popolo dò , pensava che stesse 

lor bene , e godea sul «Hintraccambio , quasi là tt> 

rannida foste per essere 'grave a quelli soltanto e non 

pericolosa per lui ; quando non molto dopo ne vennero 

i mali ancora più su di esso : imperocché Tarquinio 

annullò tutte le leggi di Tallio per le quali il popolo 

rendeva ed esigeva il giusto con diritti eguali senza es> 

seme come prima sovverchiato da’ patria) ne’ contratti : 

né lasciò pur le tavole dove erano scritte , ma fattele 

levare dal Foro le distrusse. Poi tolse i daz) , propoiv 

zionevoli ai registri delle sostanze , tassandoli novamente 

sul modo antico. E se mai bisognavano a lui denari, 

Contribuivane il più ' povero quanto il più ricco. Or 

tale regolamento esaurì subito colla prima imposizione 

gran parte dei popolo; essendo astretti a pagare dieci 

dramme a testa. Intimò 'che non più si facessero quei 

concor» , quanti sen facevano per villaggi, per curie', 

o per vicinati , a Roma , o nella campagna in occasione 

di feste o sagri6zj comuni , perchè riuneudovisi molti 

non vi macchinassero occultamente fra loro di abbattere 

il principato. Ci aveano qua e là disseminati , ignoti 

osservatori e spie dei detti e de’ fatti , e questi intra 

punto contro il governo scandagliavano gli animi: e se 

scoprivano alcuno esasperato da’ mali introdotti lo in- 

(xilpavano presso del tiranno: ed aspre» irreparabili ne 

erano le pene , se restava convinto. > 


XLIY. Né gli bastò di abusate m tal modo' del po- 




64 DELLE ANTIC&ITa’ ROMANE 


polo : ma raccogliendo dal meazo di esso quanti ci area 

6di e proprj per la gnerra , astrinse gli altri a lavorare 

in città, riputando che i re moltinimo pericolano, ae 

i più scellerati e poveri stieno oziosi. E desiderando vi- 

vamente che si ultimassero nel suo regno le opere la- 

sciate imperfètte dall’ avo suo, che si continuassero; fino 

al fiume le cloache cominciate da quello e si circondasse 

di portici coperti il Circo Massimo il quale -non aveane 

che le gradinate; si applicarono a questo lavoro; e ne i 

ottennero parco frumento i poveri , altri tagliandone i 

materiali, altri guidando i carri che li trasportavano, ed 

altri portando su le spalle i pesi. Chi scavava sotterra- 

nei canali e largure : chi facea volte in essi ; e chi sn. Tarquinio perché aveasi scelto Mamilio per genero 

e non lui , fece uda lunga accusa di Tarquinio nmne- 

randone le op^re di orgoglio e di soperchieria , come 

il nou essere venuto in consiglio, dove eran già tutti, 

e dove gli aveva esso • stesso invitati. Difendealo Ma- 

roilio , imputando l’ indugio a cause urgenti^ime, e chie- 

dea che diiferissero ; e differirono il consiglio al prossi- 

mo giorno , indotti dai suo parlare i Latini. 


(t) Livio nel lib. i dice che era della Aiceia : Tur /mi Herdo- 

»iui ai Arida. Forte la gran vicinanta di Coriolo e dell'.tfr(cM 

Ccce prender l’nna per l’altro. Coriolo era fra i terrìtorj Amiate, 

Ardcatinp , ed Aricino , tal monte Giov». 


toJOttlQI tomo Jl. % 



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66 DELLE antichità’ ROMANE 


XLYI. Giunto nel giorno appresso Tarquinio , e con- 

gregato il consiglio , e toccato di volo l’ ittjiagio suo ^ 

fecesi a discorrere della preminenea che a lui cecnpe-* 

teva come posseduta già dall’avo per la forza delle armi; 

e presentò gli accordi delle città fatti ctm quello. Lungo 

fu il suo ragionamento intorno dei diritti -e def patti; e 

grandi le premesse di beneficare le città se amiche gli 

si tenessero , e provocavale infine a far guerra con esso 

ai Sabini. Come dié fine al dir suo. Turno recatosi in- 

nanzi accusava la tardanza di lui, nè permetteva che li 

compagni gli cedessero il principato, perchè nè dovuto 

a lui per giustizia , nè possibile a darsegli con utile dei 

Latini. E molto ragionò su l’nna e su l’altra cosa dicendo 

che i patti che avean segnati ccfll’avo suo quando gli ac- 

cordarono la sovranità finirono colla sua morte, per non 

essere scritto in quelli che il dono esienderebbesi anche 

ai posteri suoi. E qui dimostrava eh' egli chè pretendeva 

succedere ai diritti dell’avo, era il più ingiusto, e mal- 

vagio ' de’ mortali : e ne allegava le opere da lui latte 

per aversi il comando di Roma. Adunque scorrende^ i 

tremendi e molti suoi delitti , conchiuse infine che egli 

non tenea legittimamente nemmeno Roma, non aven- 

dola come i re precedenti ricevuta da’sudditi spontanei.; 

Egli t lui presa , disse , colla violenza e ' colle armi: & 

fondatavi la tirannide , uccide , esilia, confisca , e tò- 

glievi fin la libertà di parlare, non che quella del vi~ 

vere. Ben sarebbe grande la stoltezza, grande la in- 

giuria inverso gli Iddj ripwmetlersi mai tratti umani 

e benevoli da un empio e da uno scellerato , e cre- 

dere che chi non ha perdonato nemmeno agi intimi 





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LIBRO IV. 67 


ruoi j nemmeno al suo sangue , risparmi poi gli altri. 

Esorlavali dunqne giacché noa eransi ancora sottoposti 

al giogo , a combatto^ per non sottoporvisi. Da ciò che 

pativano gli altri di terribile argomentassero ciocché sa* 

rdibero essi per sopportare. 


XLVII. Vaiatosi Turno di questo discorso, ed assai 

commossine i più; Tarqainio dimandò per difendersene 

il giorno seguente , e lo ebbe. E sciolto appena il con- 

siglio ; convocati i suoi più intimi , esaminò con essi 

ciocch’ era utile a farsi. £ quali suggerivano le ruposte 

di apologia , quali ragionavano fra loro de’ mezzi onde 

era da blandirsi la moltitudine. Soggiunse Tarquinio 

che niente di ciò bisognava, e disse il parer suo di le* 

vare l’accusatore , anziché di purgarsi dalle accuse. E lo« 

datone da tutti e concertatosi con essi; pigliò tali vie 

per l’intento, quali non sarebbero cadute in mente di 

uomo che macchina o si difende. Imperciocché cercati 

U servi più rei che menavano i giumenti o curavano le 

robbe di Turno , e corrottili con argento , gl’ indusse a 

prendere da sé stesso nella notte assai spade e portarle 

nell’ ospizio del padrone e nasconderle , e lasciargliele 

tra le bagaglio. Poi nel giorno appresso , riunitosi il 

consiglio, e venutovi : Breve è , disse , topologia su le 

mie colpe , e giudice ne stabilisco t accusatore mede^ 

simo. Questo Turno , o compagni , giudice stabilito 

delle reitadi che ora mi ascrive , questo da tutte as- 

solveami già, quando chiese in isposa la mia figlia. 

Ma poiché ne fu rigettato , com' era ben giusto ( im- 

perocché qual savio mai rispinto avrebbe Mamilio, un 

si nobile , un sì potente Latino , e prescelto avrebbe 



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68 DELLE antichità’ ROMANE 


per genero costui, che mal può delincar la sua stirpe, 

fino al trisavolo ? ) poiché ne fu rigettato, indispetti- 

tone mi assalisce colle accuse. Doveva , se per tale mi 

conoscea qual mi accusa, non desiderarmi per suo- 

cero : o se mi tenea per onesto quando mi chiese ‘la 

figlia, non doveami ora come un ribaldo accusare. 

E ciò basti su mei perciocché non si debbe ora più 

discutere se buono o malvagio io mi sia , quando voi, 

o compagni , voi correte il più grave de’pericoli. E. su 

me potete aruor dopo chiarirvi : ben ora dee colla sal- 

vezza vostra la libertà provvedersi della patria. 1 pri- 

marj delle città , quei che ne maneggiano il pubblico, 

tutti sono insidiati da questo bel capo-popolo, il quale 

apparecchiasi , uccidendo i più cospicui, torsi il regno 

del Lazio. E questo , questo é il fine che qua lo 

menava. Né già io parlo immaginando , ma di pienis- 

sima scienza , datami nella notte andata da uno dei 

complici della congiura. E se voi vorrete meco alt ospi- 

zio di costui venire, io ven darò documento infallibile 

del dir mio, le armi che vi occxdla. 


XLVIII. Or lui cosi parlando sciamarono tutti, e chie> 

sero , temendo per sè , che certificasse il fatto , . non gK 

illudesse. E Torno, come lui che non avea preveduto 

le insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione, 

e chiamò li primarj per compierla , aggiungendo che se- 

guirebbe l’una delle due, o che egli morirebbe se il 

trovassero con apparecchio di altre arme che pel viag- 

gio , o che le pene sue subirebbe chi lo calunniava. 

Cosi piacque ; ed andarono e trovarono nelf albergo cU 

liti tra le bagaglie le spade na$costevi da’ servi. ÀUora 



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LIBRO lY. 69 


Dòn lasciando nemmen che parlasse gillarono Turno in 

UDS voragine , e coprendolo , vivo ancora , di terra lo 

aterminaron sul fatto. Ed encomiando nell’adunanza Tar> 

quinio come benefattore comune delle città, perchè ne 

àvea salvalo gli ottimati , lo crearono capo della nazione 

co’ diritti appunto co’ quali ne aveano già creato Tarqui« 

nio r avolo suo , e poi Tullio. Scrissero in su colonne 

que’ patti , e datosene il giuramento per la osservanza , 

si congedarono. 


XLIX. Tarquinio divenuto capo de’ Latini spedì mes- 

saggeri alle città degli Eroici e de’ Yolsci invitandoli a 

far seco amicizia ed alleanza. Ma de’ Volaci due sole 

cittadi Echetra, ed Anzio secondarono l’ invito ; laddove 

gli Eroici si decisero tutti per 1’ alleanza. Ora curando 

Tarquinio che gli accordi colle città si conservassero in 

ogni volger di tempo ; deliberò fissare un tempio co- 

mune ai Romani , ai Latini , agli Eroici ed ai Volaci 

confederatisi, perchè riunendosi ogni anno al luogo de- 

stinato vi mercantassero , e banchettassero , partecipando 

de’sagrifizj medesimi. Ed ascolundone tutti con piacere 

la idea , scelse quanto era possibile in mezzo de’ popoli 

per luogo della riunione il monte sublime , il quale so- 

vrasta alla città di Alba : e dichiarò per legge che in 

questo fbsser le fiere, in questo fosse triegua di tutti 

in verso di tutti , e conviti si facessero e sacrifizi co- 

muni a Giove detto Laziale , prescrivendo quanta parte 

dovesse ogni città contribuire per essi , e quanta rice- 

verne. QuaranUsette furono le città compartecipi delle 

feste e de’ sacrifizj ; e tali sagrifizj e tali feste le conti* 

nuano ancoc di presente i Romani che Laiine le chia* 



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'jo DELLE Antichità’ homane 


maoo. I^e città compagne nel sagrificare portano agnelli^' 

o cacio , o latte , o tal’ altra oblazione in fratti e fari- 

ne. Immolandosi però da tutte un sol toro, ciascuna 

prendeane per sè la parte stabilitale. Il sagnfizio è per 

tutti , ma presiedono al rito santo i Romani. 


^ L. Poi cb’ ebbe rassodato il regno con tali confedera- 

zioni ; risolvè di porure Tarmata contro i Sabini. E re- 

clutando de’ Romani quei che men sospettava che fareb- 

bonsi liberi se otteuevau le armi, e conginngendo con 

essi truppe alleate, più numerose ancora delle* sue , de- 

vastò le campagne Sabine : e vintivi quei che vennero 

con esso a battaglia ; menò l’esercito contro de’ Pomen- 

tini. Abitavano questi la città di Sessa e pareano i più 

felici de’ conBnanti, anzi per la felicità molesti e gravi 

a tutti. Avendo egli già reclamato ad essi per alquante 

rapine e prede , e richiestili che dessero de’ compensi , 

non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi po- 

stisi in arme aspettavano pronti la guerra. Adunque ve- 

nuto con essi in sul conBne alle mani , ed uccisine 

molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e 

poiché non più ne riuscivano , accampatosi dirimpetto , 

li circondò di fossa e vallo , investendo la città con as- 

salti continui. Resisterono quei che v’erano dentro, du- 

rando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma poi venendo ad 

essi meno ogni mezzo , infiacchendo ne’ corpi , e non 

ricevendo soccorsi , nè requie mai , anzi travagliando 

di e notte ; furono sopraffatti dalia forza. Impadronitosi 

della città trucidò quanti vi stavan colle amie: lasciò 

che i soldati rapissero donne , fanciulli , quanti sop- 

portavano di cader prigionieri , e moltitudine non facile 



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LIBRO IV. 7 I 


a calcolarsi di servi : e concedè' che invadessero e si 

portassero qnant’ altro veniva loro ' alle mani sia nella 

città , sia per la campagna : ma 1’ oro e l’argento, quanto 

se ne trovò , lo fe’ tutto rammassare in un luogo , e de- 

cimatolo per la fondazione del tempio , ne divise il re- 

sto fra le milizie. Tanta poi ne fu la somma che ogni 

soldato rioevè cinque mine di argento e la decima per 

gr iddj non fu minore di quattrocento talenti di ar' 

gento. 


LI. Ancora egli stavasi a Sessa quando gli giunse un 

messaggio , eh' era uscita la gioventù horentissiroa dei 

Sabini: che gettatasi in dne corpi nelle terre de’ Ro- 

mani devastavano le campagne , l’ uno tenendosi presso 

di Ereto , e 1’ altro presso di Fidene : e che se una 

forza non le si opponesse, ben tosto tutto soccombe- 

rebbe. G>m’ ebbe ciò udito lasciò picciola parte dell’eser- 

cito in Sessa con ordine che vi guardasse le prede e 

bagaglie : e prendendo con sé il resto della milizia , 

spedita e leggera , e marciando contro quei che erano 

accampati presso di Ereto, si trincerò su le alture a pic- 

ciolo intervallo da essi. Decisero i due Sabini dar la bat- 

taglia in sul mattino; e spedirono perchè venisse l’eser- 

cito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il disegno 

per essere stato preso chi portava le lettere dagli uni 

agli altri. Per tal successo ei si valse di questo accorgi- 

mento. Divise r esercito in due parti , e ne mandò l’ una 

fra la notte di nascosto de’ nemici su la via che viene 

da Fidene , e schierando l’ altra in sul brillare del gior- 

no , la menò dagli alloggiamenti alla battaglia. Corag- 

giosi gli uscirono incontro i Sabini non vedendo gran 



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7 a DELLE Antichità’ romane 


serie de' nemici , e credendo non altro mancare aliare 

mata di Fidene , se non di gingnere. Coti venutisi que-> 

sti a fronte combatterono , e la pugna pendè gran tempo 

dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da Tar— 

quinio ripiegarono la marcia , e correvano a tergo dei 

Sabini. Sbalordirono questi al vederli , e ravvisarli dalle 

insegne e dalle armi , e gettando le proprie» tentarono 

di salvarsi : ma il tentativo rìnsd difHcilissimo , essendo 

essi circondati da’ nemici e rinchiusi dalia* cavalleria dei 

Romani postata d' ogn intorno. Pertanto pdchi ne scam- 

parono e tra duri casi : i più ne perirono , o cederono. 

Quelli eh’ erano lasciad agli alloggiamenti non li sosten- 

nero ; e quel luogo di sicurezza fu invaso al primo as- 

salto. Furono qui prese le robbe de’Sabini, e qui molti 

de* prigionieri , e qui le robbe de’ Romani quante ne 

erano intatte, e tutto fìi salvato per chi le aveva perdute; 


LIL Riuscito il primo saggio a Tarquinio secondo 

il cuor suo , prese 1’ esercito, e ne andò contro i Sabini 

accampati giù in Fidene, a’ quali non era ancor nota la 

disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per 

avventura tra via: ma non si tosto furono più da vicino 

e videro le teste de’loro capitani confitte alle aste ( che 

ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispa- 

ventare i nemici); conoscendo com’era l’altro lor campo 

distrutto , più non tentarono nulla di generoso , ma ri- 

voltisi alle suppliche ed alle umiliazioni si resero. Cosi 

devastati miseramente , e vituperosamente nell’ uno e 

nell’ altro esercito , e ridotti i Sabini a speranze tenuis- 

sime , anzi timorosi che fossero le loro città pigliate di 

assalto ; spedirono ambasciadori per la pace., profieren- 



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• LIBRO IV. 73 


dosi per sudditi e tributar). Pertauto lasciò la guerra, e 

ricevute appunto «>a tali coudizioni le loro città , si ri- 

condusse a Sessa ; e ritiratene le milizie lasciatevi , e le 

prede ed ogni bagaglio , tornossene a Roma coll’ eser- 

cito carico di ricchezze. Poscia fe’ molte incursioni su 

le terre de’ Yolsci, quando con tutte le forze, e quando 

con parte , ne ottenne gran prede. Ma riuscitegli per 

lo più le cose a voler suo ; gli si eccitò una guerra coi 

con&nanti* ben lunga pel tempo , giacché durò sette anni 

continui , e ben grande pe’ casi inaspettati e terribili. 

Ora io dirò brevemente le cagioni per le quali nacque, 

e qual ne fu 1’ esito , essendo stata terminata per in- 

ganni e per stratagemmi non preveduti. 


LUI. Una città , Latina di gente , e colonia già degli 

Albani, lontana cento stadj da Roma ( Gabio ne era il 

nome) sorgeva in su la via che mena a Palestrina. 

Città popolosa allora e grande qnant’ altre , ora non 

tutta si abita , ma solo presso la strada per uso degli 

alloggi. E ben può raccoglierne la grandezza e la ma- 

gnificenza , chi mira le rovine in più luoghi delle case 

ed il giro delle, mora , che in gran parte esistono an- 

cora. Eransi qua concentrati alquanti involatisi da Sessa, 

quando fu presa da Tarquinio , e molti fhggiti da Ro- 

ma. Or questi supplicavano e pressavano quei di Gabio 

a prendere vendetta di loro , promettendo gran doni se 

ai beni proprj tornassero ; e dimostrando possibile e fa- 

cile la distruzione del tiranno. Adunque ve gl’indossero 

sul riflesso che in Roma a ciò coopererebbero , e che 

lì Volsci erano ad altrettanto animati; giacché mandate 

aveano delle ambascerie, bisognosi anch’essi di ajutO’ 



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74 DELLE Antichità’ romane 

per imprendere la guerra contro di Tarquinio. Si fe^ 

cero dopo questo irruzioni con eserciti poderósi , fi 

scorrerie su 1’ altrui territorio e battaglie , com’ è Veri»» 

simile, ora di pochi con pochi, ora di tutti contro di 

tutti: e quando i Gal^, respinti fino alle porte i Ro- 

mani, ed uccidendone diedero intrepidamente il guasto 

ai lor campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e 

rinchiudendoli nella loro città , • sen portavano schiavi , 

e preda copiosa. . • . • 


. LIV. Or ciò facendosi di continuo, fu l’una e l’altra 

parte costretta a cinger di mura, e presidiare i luoghi 

forti delle proprie terre in ricovero de’ contadini. Di 

là prorompevano su’ predatori , e scendendo folti , stra- 

ziavano , se ne vedeano , i piccoli corpi staccati dal 

resto dell’ esercito , o li disordinati per poca apprensìon 

de’ nimici , come accade nei pascere. Similmente te- 

mendo r una parte gli assalti improvvisi dell’ altra fu 

costretta a munire dì fosse e di muri le città facili a 

scalarsi ed a prendersi. Adoperavasi in ciò principal- 

mente Tarquinio : e rassicurò con molte fortificazioni il 

tratto intorno la porta la quale menava a Gabio , sca- 

vandovi fosse più larghe , elevandone più alte le mura , 

e coronandole di torri più spesse : imperocché la città 

sembrava in tal canto men solida , quando era nel resto 

dei suo circuito sicura abbastanza, nè facile da inva- 

derla. Se non che si fece in ambedue le città penuria 

di ogni vettovaglia , e costernazione gravissima per l’av- 

venire , essendo le campagne diserte per le incursioni 

incessanti de’ nemici , né più somministrando de’ frutti 

come accade a’ popoli avvolti in guerre diuturne. 11 di- 



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LIBRO IV. 7 5 


sagio però’ stringeva i Romani più che i Gabj ; tanto 

che U poveri infra quelli, angustiatine più che gli al- 

tri , giudicavano essere da venire a trattati, e far pace 

comunque coi Gabj , se la volessero. 


LV. Or dolendoti Tarquinio altamente de* successi , 

e non sofierendo di' deporre obbrobriosamente le armi^ 

nè polendo altronde resistere più inmmzi ; volgevasi a 

tutte le prove , a tutti gl’ inganni. Quando il figlio più 

grande ( Sesto ne era il nome (i) ) scoperse al padre 

un suo disegno. Egli parea mettersi ad impresa audace 

quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile , con- 

cedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dun- 

que ‘fintosi in discordia col padre per voglia di por fine 

alla guerra : ne fu battuto colle verghe nei F oro , e 

con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse in- 

torno la fama. E su le prime inviò come profughi i 

suoi più fidi perchè dicessero occultamente ai Gabj che 

egli deliberava far guerra al padre , e che ne anderebbe 

tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli 

altri refugiaii Romani , senza renderlo ai padre per 

isperanza di finir col suo danno le proprie nimicizie. 

Udirono con diletto quei di Gabio il discorso , e con- 

cordandosi di non offenderlo , egli venne , e con lui 

molti compagni e clienti come fuggitivi; e per meglio 


(i) Tito Lirio dà questo nome e' questa impresa al figlio minore : 

ma il disparere col padre e l’ incarico assunto pare più yerisimile 

in chi area più diritto di succedere ad un regno . direnuLo assolu- 

to, e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Uiouigi 

sembra più naturale, qualunque fosse il nome del finto rilielle. Vedi 

S 65 di questo 'libro. 



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'jG . BTìLLE Antichità’ romane 

accreditare la ribellione sua dal padre portò seco molto 

di argento e di oro. Dopo ciò sotto velo di fuggir lar 

tirannide molti a lui confluirono ; tanto che ornai glie 

n’ era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei 

di Gabio che avrebbono grande incremento dal giu- 

gnere di tanti ad essi , e lusingavansi che tra non molto 

.avrebbono suddita Roma, illusi ancor più dalle opere 

di quel ribelle , il quale scorrendo di continuo la cam* 

pagna , raccoglievane prede ubertose. Ed il padre ap- 

punto, risapendo prima in quai luoghi il figlio verreb- 

be , ubertose glie le apprestava , e senza guardia se noa 

di scelti cittadini che egli v’ inviava come a lui sospetti 

per farli distruggere. Su tali significazioni molti creden- 

dolo amico fido , e buon capitano , e molti arrenden- 

dosi all' oro suo ; lo inalzarono al comando supremo 

delle milizie. 


LVI. Sesto divenuto per frodi e per illusioni T ar- 

bitrò di un tanto potere spedi , senza che i Gabj se ne 

avvedessero , un tale de’ servi suoi per dichiarare al pa- 

dre r autorità che avea preso , e per udirne ciocch’era 

da fare. Tarquinio volendo che il servo non intendesse 

ciocché ordinava al figlio di fare , venne ( e conducea 

seco il messo ) al giardino , congiunto al regio palagio. 

Aveaci là de’ papaveri nati spontaneamente , già pieni 

di frutto , e maturi per la raccolta. Or tra que’ papa- 

veri aggirandosi e dando co’ bastoni in su le tòste de’ più 

alti , abbattevali. Congedò ciò fatto il messaggiCro niente 

rispondendogli , quantunque interrogato ne fosse più 

volte. Egli imitava per quanto a me sembra la prudenza 

di Trasibulo Milesio. Imperocché chiesto da Periandro, 



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LIBRO IV. 77 


allora tiranno di Corinto , per via di un messaggiero , 

con quali modi possederebbe più saldamente il coman- 

do, non rispose pur sillaba , ma fatto cenno all’ inviato 

die lo seguitasse, il. condusse in un campo di biade, 

ed ivi percosse le spiche più eminenti , le atterrò ; 

signiBcaudo che. cosi dovea pur egli troncare , e di- 

smettere i -primi delle città. Or facendo Tarquinio al- 

lora somigliantemente. Sesto ne intese le mire, e co- 

me ordinavagli di por giù li più insigni di Gabio. E 

convocò la moltitudine , e le tenne un lungo ragiona- 

mento su questo, ehe egli ricorso cogli amici alla, lor 

buona fede , rischiava ornai di esser preso da alcuni, 

e dato al padre: ma che era pronto a deporre il co^ 

mando, an^i che Lucerebbe la città prima di cadere 

in tanto infortunio ; e qui lagrimava e deplorava la 

sorte sua , come quelli che di cuore si dolgouo su’mali 

estremi. , 


Lyil. Irritatane la moltitudine, e ricercando sollecita 

quali mai fossero per , tradirlo , esso nomina Antisiio 

Petrone, il personaggio più distinto di Gabio. Egli 

erane il più insigne divenuto pe* molti belli suoi rego- 

lamenti in pace, e pe’ molti capitanati in campo eser- 

citati. Reclamando intanto quest’ uomo , ed offerendosi 

come Hbero da’ rimorsi ad ogni esame , disse 1’ altro 

che volea che se ne investigasse la casa: e che vi 

manderebbe perciò degli amici: egli intanto aspet- 

tasse TtelP adunanza finché ritornassero. Imperocché 

già era Sesto riuscito a corrompere con argento alquanti 

servi di lui perché prendessero e ponessero in sua casa 

lettere contrassegnate co’ sigilli paterni, e macchinate in 



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--8 DELLE Antichità’ romane 


rovina di Pelrone. Or come gl’ inviali alla indagine 

(che non aveala Pelrone contradetla ma concednla) vi 

rinvennero le carie occulutevi, tornarono recando al- 

l’adunanza molte lettere indicatrici , e quella scritta ad 

Anlistio; e dicendo Sesto che vi riconosceva il sigillo 

del padre la sciolse; e la diede allo scriba perchè la 

recitasse. Scriveasi in questa che gli consegnasse il fi- 

glio , vivo principalmente ; o se ciò non poteasi , almeno 

glie ne mandasse la testa recisa. Diceva, che darebbe 

ad esso ed d complici , oltre le taglie promesse già pri- 

ma , la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe 

tutti frd patrizj ^ ed aggiungerebbe case e poderi e 

doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno i Gibinj ; 

dialordtva Antistio dalla sciagura impensata , mancando-* 

gli fin la voce: ma quelli co’ sassi lo tempestano e lo 

uccidono ; lasciando a Sesto la cura di far la ricerca e 

la vendetta su gli altri, compartecipi in ciò di Petrone. 

E Sesto fidando le porte agli amici suoi perchè gl’ in- 

colpali non s’ involassero mandò per le mise- più illa- 

stri , e vi uccise molli de’ valentuomini. 


LVIIL Intanto che ciò faceasi ed era in Gahio tuiv- 

bolenza pe’ sì gran mali ; Tarquinio avvertitone per 

lettere vi marciò coll’ esercito , e giunto prima della 

mezza notte ed apertegli le porte da ■ uomini posti ad 

arte per questo , ed entratele ; s’ impadronì senza stento 

della città. Come il male fu ravvisato , deploravano tutti 

sè stessi , e le stragi , e la schiavitù che patirebbono, e 

temeano insieme gli orrori , quanti ne vengono su por 

poli sorpresi da’ tiranni. Quando pur li trattasse mitis- 

simameute ; immaginavansi la perdita della libertà , e 



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> LIBRO IV. 79 


de’ beni , e cose altrettali. Pure Tarquinio sebbene scel- 

lerato, sebbene implacabile in punir gl’ inimici non fe’ 

ntilla di ciò che aspettavano e temevano ; nè uccise , 

nè liandl , nè disonorò , nè multò persona ninna di Ga- 

bio. Ma convocando la moltitudine, e prendendo regie 

maniere in luogo delle tiranniche sue , disse che re- 

stituiva la propria città ; che concedeva ad essa i lor 

beni; e che donava inoltre a tutti cittadinanza quale 

appunto r avevano i Romani : non già che ciò facesse 

per benevolenza inverso de’ Gabj ; ma per consolidare 

a sè con essi .la signoria su’ Romani; pensando che di- 

verrebbe presidio stabi^imo per sè e pe’ figli la fe- 

deltà di un popolo che fuori di ogni speranza era sal- 

vo, e ricuperava tutti i suoi beni. E perchè non più 

temessero per 1’ avvenire nè dubitassero se stabili sareb- 

.bero. tali parole ; scrisse le condizioni colle quali sareb- 

bero* amici,' e le giurò subito nell’ adunanza , e poi 

toccando gli altari e le vittime. Monumento di quest’al- 

leanza esiste in Roma nel tempio di Giove Fidio, chia- 

mato Sango da’.Ròmani , uno scudo circondato colla 

pelle del bue sagrlGcato allora appunto per compierne 

il giuramento , su la quale scritte ne sono con antichi 

caratteri le condizioni. Ciò fatto , e dichiarato Sesto re 

di Gabio, ritirò le milizie; e tal fine ebbe la guerra 

con quella città. 


LIX. Dopo ciò Tarquinio dando requie al popolo 

dalle cose militari e dalle battaglie; si mise alla ere- 

zione de’ templi, desideroso di compiere i voti dell’avo. 

Erasi questi nell’ ultima guerra co’ Sabini votato a Gio- 

ve , a Giunone , a Minerva di fondare ad essi de’ tem- 



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8o DELLE ASTICHITA’ ROMANE 


pii se vincesse. E già , come fu detto nel libro prece» 

dente , avea con grandi ripari e con terra|)ieni accori» 

data l’altura ove destinava di erigerli; ma non potè' 

poi compierne la impresa. Deliberatosi Tarcpilnio di 

ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa 

posevi a lavorare tutti gli artefici. Or qui narrasi che. 

accadesse un meraviglioso portento sotterra , doè che 

scavandosi per le fondamenta , e che già molto essendo 

gli scavi profondati , si rinvenisse la testa di un uomo 

ucciso come di recente, con faccia simile a quella dei 

vivi , stillandone ancora dalla ferita un sangue tepido e 

fresco. In vista di tale prodigioi^arquinio comandò gli 

opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli 

indovini della patria dimandò che mai dir volesse quel 

segno. Ma non rispondendone , anzi dando' essi la 

scienza di tali cose ai Tirreni , ricercò da loro e seppe 

qual fosse fra’ Tirreni l’ interprete più famoso de’ por» 

tenti ; ed a questo inviò messaggieri i più pregievoli 

cittadini. 


LX. Giunti i valentuomini alia casa dell’ augure , si 

le loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere 

ambasciatori di Roma , vogliosi di consultare il vate , 

e pregavano che a lui li presentasse. Il giovine allora : 

Colui, disse, che ricercate, è mio padre: egli è di 

presente occupato : ma presto a lui passerete. Ora 

intanto che lo aspettate , ditemi perchè mai ne venite. 

Così voi se mai per imperizia foste per ishagliar la 

dimanda; istruiti da me non errerete. E le giuste 

interrogazioni non sono già la minima cosa nell arte 

de’ vaticini . Or piacque a coloro di secondarlo, e sve- 



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LIBRO IV. 8l 


Urono a lui quel portento. Ckime il giovine gli ebbe 

ndiù , sopraslando breve tempo , ascoltate , disse o Bo- 

ntani. Il mio padre ve lo interpreterà tal prodigio , 

e senza menzogne ; che certo ad un vMe non si con- 

vengono. Ma perchè neppur voi erriate , nè mentiate 

su le cose che direte o risponderete ; apprendete da 

me questo > che assai rileva che vel sappiate. Quando 

esposta gli avrete la meraviglia ; ei soggiungendo di 

non intendere appieno ciò che vi dite , descriverà 

colla verga quanto un picciolo tratto di terra , e poi 

vi dirà : seco la svrs tarsìa qvzsta nè la partx 


CMS GUARDA l' ORISNTS , quSSTA CBS L OCCASO: QUS- 

STA È LA PARTS SOREALS , QUSSTA LA OPPOSTA. Ed 

indicandole intanto colla verga vi chiederà da qual 

canto fu tiltvenuta la testa. Or che vi esorto io che 

rispondiate ? appunto che non concediate che fosse 

trovata in alcuna delle parti eh' egli addita colla ver^ 

ga , e ve ri interroga , ma che in Eotna tra voi fu 

veduta su la rupe Tarpea. Se tali risposte serberete; 

se punto col dir suo non ve ne allontanate; allora 

egli ravvisando che il fato non può cangiarsi, vi sve- 

lerà , non vi occulterà quel prodigio che volete , che 

interpetri. 


LXL Ammaestrali in tal modo i legati , «piando il 

vate ne ebbe comodità , venne un tale che a lui li con- 

dusse , e parlarono del portento. Ora lui sofisticando , 

e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e 

facendo in ogni quadrante interrogazioni sul trovamento, 

non si turbarono punto di mente i legali , ma tennero 


DIONIGI , lem» II. 6 




8 2 DELLE Antichità’ bomane 


la ridata , come aveala suggerita il 6glio dell’ indo- 

Tino, nominando sempre Roma e la rupe Tarpea , e 

pregando l’interprete che non travolgesse il segno, ma 

ne dicesse a proposito , e schiettissimamente. Cosi non 

potendo il vate nè illudere gli oratori , nè imbrogliarè 

r augurio , soggiunse ; Andate , annunziate o Romàni 

a vostri concittadini , portare il destino che il luògo 

dove avete il teschio trovato sia capitale di tutta l’I- 

talia. Dall’ ora in poi capitolino fu detto il luogo del 

travamento; capi chiamando i Romani le teste. Tai>i 

quinio udendo ciò da’ legati rimise gli opera] su'lavori; 

e molto fece del tempio, ma noi compiè, cadendo 'in 

breve dal regno. Roma alfine lo perfezionò nel terzo 

consolato. Fu basato il tempio su di una altura la quale 

aveva un circuito di otto plettri , ed ogni lato di esso 

apprassimavasi ai dugento piedi col picciolo divario nem- 

meno di quindici piedi interi tra la lunghezza e la la- 

titudine. Perciocché il tempio riedificato dopo l’incendio 

a’ tempi de’ nostri padri su’ fondamenti medesimi diffe- 

risce dall’ antico per la sola preziosità della materia. 

Dalla parte della facciata che guarda il mezzogiorno 

circondalo un ordine triplice . di colonne : ma doppio 

solamente è quell’ordine nei lati. Tre sono’ in uno i 

templi , e paralleli , e divisi da mura comuni. Sacro è 

quello di mezzo a Giove , e quindi è l’ altro . di Giu- 

none , e quinci di Minerva : ed un solo tetto , di un 

comignolo solo li ricopra (i). . 


(i) Questo tempio terminara a Iriargolo : la cima del. triangolo 

in tutto il tetto ossia il colmo del letto è ciò che cbiamasi comì- 

gnolo. Uno de’ nostri lempj a tre narate sotto un tetto comune può 

foeilitare t’ intelligenza di questo luogo. 



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LIBRO IV. 83 


LXIL Dicesi che nel regno di Tarquinio occorresse 

ai Romani un’ altra propizia e meravigliosa avventura sia 

per dono di un nume sia di un genio , la quale salvò 

la città non per poco tempo ma finché visse, più volte, 

da gravi mali. Una donna , nè già nazionale , venne al 

tiranno , vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Si- 

bilini : ma ricusando Tarquinio comperarli al prezzo cei> 

catogli ; colei partita ne spiccò tre libri e li arse. Ri- 

porundo dopo alquanto i libri superstiti gli ofierl sul 

prezzo medesimo. Riputatane stolta , e derisane perchè 

di minori volumi n’esigea la somma appunto che non 

aveane potuto ricevere quando erano più; si ritirò nuo- 

vamente e bruciò metà dello scritto che rimaneva. Tornò 

quindi co’ tre libri ancor salvi, e chiese l’oro di prima. 

Attonito Tarquinio su i disegni della donna fece cercar 

gl’ indovini , e narrò 1’ evento, e dimandò ciò ch’era da 

fare. Or questi conoscendo da alquanti segni che ripu- 

diavasi un bene mandato dal cielo , e dichiarando che 

grande era la sciagura che non avesse comperato tutti 

i volumi ; comandò che si numerasse alla donna il valor 

dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La 

donna che avea dato que’ libri , inculcò che si custodis- 

sero con diligenza , e sparve dagli uomini. Tarquinio 

creando tra’ cittadini i duumviri o due riguardevoli per-i 

aonaggi , e subordinando ad essi due ministri pubblici ; 

diè loro la’cura de’ libri : ma poi cucitolo io una otre 

bovina gettò nel mare Marco Acilio 1’ uno de’ due ri- 

gnardevoli perchè parea sfregiare la buona fede , ed era 

accusato di pai-ricidio da uno de’pubblici ministri. Dopo 

la cacciata dei re , fattasi la repubblica a sostenere gli 



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84 DELLE Antichità’ romane 


Oracoli , nominò custodi loro, durante la vita, personaggi 

chiarissimi, liberi da ogni militare e civile incomben 2 a , 

consociando ad essi ancor altri pubblici uomini , senza 

i quali non poteano i primi consultare que’scritti. A dirla 

in breve , i Romani non guardano ninna cosa con tanto 

zelo non i poderi sacri , non i tempj , quanto le rispo- 

ste divine delle Sibille. Yalgonsi di queste i Romani 

quando il Senato sta per votare in tempo di civil sedi- 

zione , o di grave infortunio in guerra , o di portenti 

e grandi visioni , malagevoli ad intendersi , come avven- 

ne più volte. Fino alla guerra chiamata Marsica gli ora- 

coli posti in un’ ama marmorea ne’ sotterranei del tem- 

pio di Giove Capitolino furono custoditi dai decemviri. 

Ma braciandosi poi questo dopo 1’ olimpiade centesima 

settantesima terza sia per insidie , come pensano alcuni , 

sia per caso ; arsero colle votive cose del nume, anche 

i libri. C gli oracoli che ora si hanno , furono.' portati 

in Roma da più luoghi , quali dalle città d’ Italia, quali 

da Eritra dell’Asia, speditivi per decreto del Senato Com- 

missarj a trascriverli , e quali da altre città , trascrittivi 

da' privati. Ma sen trovano confusi co’ Sibillini anche 

aluri , come convincesi da que’ che acrostici si diman- 

dano. Io qui dico ciocché Terrenzio Varrone ha scritto 

nelle sue teologiche trattazioui. 


LXIII. Avea Tarquinio operate queste cose in guerra 

ed in pace ; avea fondate due colonie , l’uja Cioè Segni, 

per caso , perché svernando ivi i suoi soldati aveansi il 

campo come una città ridotto ; e la seconda Circea-per 

disegno , perché ponessi nella campagna Pomentina , la 

più grande intorno del Lazio, e contigua col mare, in 



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LIBRO IV. 85 


bel sito , alto discretamente , che sporge quasi penisola 

nel mare Tirreno ; ed abitato già com’ è fama da Circe 

la figlia del Sole : avea dato qnesle due colonie a due 

figli suoi che ne erano i fondatori, Circea ad Anmte, 

e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del 

suo principato ; allora per la ingiuria fatta ad una donna 

da Sesto il suo primogenito , fu cacciato dai principato 

e da Roma. Àveano gl’ Iddj dato il segno della calamità 

futura della sua famiglia con molti augurj de’ quali qu^ 

sto, fu l’ultimo. Venute nella primavera delle aquile in 

un luogo adjacente alla reggia fecero il nido su di un’alta 

palma : mentre però teneano i figli ancor senza penne, 

volandovi in folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc« 

cisane la prole, e bezzicando e ferendo co’rostri e colle 

ali , respinsero dalla palma le aquile che tomavan dal 

pascolo. Vide Tarquinio l’augurio, e vegliava per istor- 

name se poteva il destino: ma non potè superarne la 

forza ; e perdette il regno , congiurando su lui li pa» 

trizj , e cooperandovi il popolo. Io tenterò dichiarar bre- 

vemente gli autori della congiura ; e come si fecero ad 

eseguirla. 


LXIV. Guerreggiava Tarquinio colla città di Ardea 

sul pretesto che ricettava i fuggitivi da Roma, e mac- 

chinava di rimetterli in patria : ma in realtà perchè ne 

aspirava le ricchezze come di una delle città più felici 

d’ Italia. Ribbattendolo però gli Ardeatini generosamente, 

e prolungandosi l’assedio loro; stanchi quei del campo 

per la diuturnità della guerra e quei di Roma impotenti 

a più contribuirvi; si disposero a ribellarglisi , appena 

ve ne fosse un principio. Intanto Sesto il primogenito 



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86 DELLE Antichità’ bomanb 

de’ figli di Tarquiaio spedito dal padre nella cittì chiamata 

Collazia per compiervi talune incombenze militari si al- 

loggiò presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto 

Collatino. Fabio delinea quest’uomo come figlio di Ege- 

rio, del quale ho sopra dichiarato ch’era figlio dei fra- 

tello di Tarquinio l’antico , re de’Romani. Da lui messo 

al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, la- 

sciandone la denominazione anche a’ posteri suoi. Io 

sono persuaso che questi era nipote ad Egerio se avea 

la eti conforme ai figli di Tarquinio , come Fabio ha 

scritto e molti con esso ; e la cronologia conferma tal 

mio concetto. In que’ giorni Collatino era nel campo. 

Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di Lu 

crezia riposava , e colla spada in mano vi penetrò, non 

sentito nemmeno da quelli che prossimi alla porta dor- 

mivano della camera. 


LXV. F attesi al letto , e svegliatasi la donna col giu- 

gnere delle insidie , e chiedendo chi fosse , colui svela 

il nome ; e comanda che taccia e resti nella camera , 

minacciando lei della vita, se tentava fuggire, o gri- 

dare. Cosi, sbalorditala, propose alla donna di scegliere 

.qual più le piacesse o lieta vita , o morte infame, ó'e 



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LIBRO IV. 87 


t’ induci , disse , a compiacermi , io te farò mia spo~ 

sa y e tu regnenù meco , ora s.u la città che mio par- 

dre mi assegna, e dopo la morie del padre sii Ro- 

'mani , sii, Latini, sii Tirreni e su quanti egli domi- 

na. Io, tu lo sai, primogenito de' suoi figli, io sarò 

t erede del regno , come à ben giusto. E quali beni 

inondano i re, de' quali' tutti sarai tu meco possedi- 

trice ; che giova che io qui ti additi, se tu ne sei pe- 

ritissima? Che se tenti resistermi per salvare la tua 

pudicizia , ucciderò te prima , poi scannando un dei 

servi porrovene a lato i cadaveri , e dirò che sorpresa 

avendoti in obbrobrio col servo, io vi punii tutti due per 

vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tanto che 

turpe , ignominiosa sarà la tua fine, nè la morta Uia 

spoglia saià di sepolcro onorata nè di altre funebri 

cerimonie. Ora siccome assai minacciava , insisteva, giu> 

rava a^ ogni suo detto ; Lucrezia sbigottita di una morte 

infame venne nella necessità di cedere agli arbiirj amo- 

rosi di lui. 


LXVI. Fattosi giorno; costui sazio della voglia scel- 

lerata e Ainesta , tornossene al campo : Lucrezia però 

corucciata per l’evento ascese quanto potè frettolosa in 

sul carro , e venne a Roma , cinta di lugubri vesti , ed 

occultandovi sotto il pugnale; non salutando , salutata, 

negl’ incontri , né rispondendo a chi voleva intendere 

de’ suoi mali , tutta cogitabonda , e mesta , e lagrimosa. 

Giunta a casa dal padre '( e ci aveano alquanti parenti ) 

ella prostratasi e stregasi ai ginocchi del padre vi sin- 

ghiozzò , ma senza parole : e sollevandola e stimolandola 

il padre a dire ciocché solTerto avesse: Padre, disse, ecco 



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88 DELLB antichità’ ROMANE 


la supplichevole tuai se tremenda , se insanabile è tonta 

mia, padre la vendica: non trascurare Ut figlia tua, in- 

corsa in mali più gravi della morte. Stupitosi il padre, e 

con esso par gli altri , eccitavala a dire chi offesa 1’ a- 

vesse , e di qual modo. E colei ripigliava: Le udirai 

le mie ingiurie ; ma hrevissimamenle o padre: e solo 

or tu mi concedi questa grazia che prima te ne chie- 

do. Convoca gli amici , e i parenti che puoi , perché 

da me la odano, da me, non da altri la calamità che 

io patii. Quando tavrai conosciuta la terribile, la ver-, 

gognosa necessità ch’io sostenni; tu deciderai con essi 

la vendetta che dei per me fare e per te. Ma deh / 

non indugiarmi tu lungamente. 


LXYIL Corsi all’ invito sollecito 'e premurosissimo i 

più riguardevoli nella casa com’ ella dimandava , narrò 

loro , pigliandolo dalle origini , tutto l’ evento. E qui 

abbracciandosi ai padre , e molto lui supplicando, e gli 

astanti e gl’Iddj, eli patri! lari che solleciti la scioglie»* 

sero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve* 

sti e, portandosene una piaga sui petto , 6no al cuore 

se lo internò. Clamore intanto e gemiti e femmineo tu- 

multo turbando tutta la casa ^ il padre avviatosene al 

corpo la circondava , la richiamava, la curava quasi po- 

tesse redimerla dalia ferita : ma colei tra le sue braccia 

palpitando e spirando Gai. Parve il caso agli astanti si 

terribile e si miserando che una fu la voce di tutti che 

era mille volte meglio morire per la libertà che patire 

ingiurie siffatte dai tiranni. Era tra questi Publio Vale- 

rio , discendente da uno de’ Sabini venuti con Tazio a 

Roma , uomo intraprendente e destro. Costai fu da loro 





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J?tonu7t J' AlìcamaJ-j-,/ 'J'.JT. 




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LIBRO IV. 89 


spedito in campo perchè narrasse al marito di Lucrezia 

r evento , e perchè ribellassero , uniti , le milizie dal ti- 

ranno. Uscito appena dalle porte eccogli per avventura 

incontro Collatino il quale veniva dall* armata a Roma 

ignaro de’ mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giu- 

nio soprannominato Bnilò cioè stolido se tal nome ne 

interpetri con greche maniere. E poiché li Romani ad- 

ditano quest’ultimo come principalissimo nell’ abolir la 

tirannide; porta il pregio che preaccennisi brevemente 

chi , di qual sangue egli fosse , e come sortisse un tal 

nome . niente a lui consentaneo. 


LXVIIL Di costui fu padre Marco Giunio , prove- 

niente da uno di que’ che menarono con Enea la co- 

lonia , e distintissimo per la sua virtù tra’ Romani : fu 

la madre Tarquinia , figlia di Tarquinio 1’ antico. Egli 

ricevè la educazione , e tutta la coltura nazionale , nè la 

indole sua contrariavasi a niun de’ bei pregi. Dappoiché 

Tarquinio ebbe ucciso Tullio levò segretamente di mezzo 

con molti uomini probi anche il padre di lui non già 

pe’ delitti , ma per la ingordigia d’ invaderne le ric- 

chezze ereditate da pingue , antico patrimonio di fami- 

glia : levò similmente con esso il figlio primogenito di 

lui nel quale appariva non so che di generoso , e che 

sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre. 

Bruto giovinetto ancora , -e privo in tutto del soccorso 

de’ parenti si rivolse al mezzo savissimo di fingersi , 

stolido divenuto. Dall’ ora in poi , finché non gli sem- 

brò di averne il buon tempo , ritenne le apparenze dello 

stolido ; e se n’ ebbe il soprannome , ma si liberò con 

questo dalle ire del tiranno , mentre tanti egregj uomini 

ne soccombetrano. 



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po DELLE Antichità’ romane 


LXIX. Tarquinio trascurandone la demenza apparente 

e non vera , spogliatolo di tutti i beni paterni , e da- 

togli un tal poco pel vitto quotidiano, lo custodi presso 

di sé, come garzoncello orfano , e bisognoso di chi lo 

qurasse , e concedè che oo’ figli suoi conversasse ; nè già 

per onorarlo qual congiunto suo , come fingea tra’ pa- 

renti , ma perchè desse da ridere a’ propj figli, dicendo 

costui le mille frivole cose , e facendone le simili agli 

stolidi veramente. Anzi quando mandò li due figli Àronte 

e Tito per interrogare 1' oracolo di Delfo su la peste 

( giacché nel regno suo proruppe una peste insolita su 

le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano , e 

più terribile ancora e men curabile su le gravide , che 

morte cadeano col proprio feto in su le vie ) quando io 

dico mandò questi per conoscere dal nume le cause del 

male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co’ figli 

che gliel chiedeano perchè avessero intanto chi beffare 

e deridere. Giunti all’oracolo i giovani ed ascoltatolo 

su la causa ond’ erano inviati porsero sacri doni al nu- 

me, e lungamente risero di Bruto che avea consecrato 

ad Apollo una bacchetta di legno ; ma colui trapanatala 

tutta come una fistola aveaci offerto , senza che ninno 

ne sapesse , una verga di oro. Poi consultando essi il 

nume chi mai , portavano i destini, che divenisse re di 

Roma ;-^rispose che il primo che bacerehhe la madre. E 

non intendendo i giovani la mente dell’ oracolo concor- 

darono di baciare insieme la madre onde regnare in co- 

mune. Bruto però penetrato ciocché 1’ oracolo volea 

significare , non si tosto discese nell’ Italia , prostratosi , 



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LIBRO IV. 91 


ne baciò la terra , giudicando questa la madre di tutti. 


£ tali SODO i fatti precedenti di quest’uomo (1). 


LXX. Come Bruto udi da Valerio i successi di Lo» 

eresia e la storia della morte di lei sollevando le mani 

al cielo disse: O Giove, o Dei tutti, quanti vegliate 

su la vita de’ mortali , è dunque giunto finalmente il 

tempo per aspettare il quale io contrafeci finora me 

stesso ? Fuole dunque il destino che Roma sia da me 

liberata e per me dalla insojfribil tirannide ? E ciò 

dicendo vassene sollecito in casa insieme con Collatino e 

Valerio. Entrata la quale, appena Collatino videvi Lucrezia 

stesa nel .mezzo, col padre allato, scoppiando in copi ge« 

miti la slringea , la baciava, la chiamava , e fra tanta 

sciagura uscito di mente tenea colla estinta il discorso, 

quasi fosse ancor viva. Or essendo lui tutto in pianto, 

e con esso il padre a vicenda, e tutta rimbombando la 

casa di lamenti e di gemiti; Bruto, rimirandoli disse: 


O Lucrezio , o Collatino, o voi tutti , parenti di que^ 

sta donna, beri avrete altra volta il tempo di piangerla. 


Ora ( e ciò deesi alla ingiuria presente ) pensiamo ^ 

come vendicarla. Egli sembrava dir giusto : adunque se* 

dendo soli fra sè , sgombrata immantinente ogni turba 

dimestica , esaminarono ciò ch’era da fare. Bruto comin- 

ciando il primo a dire sopra sestesso che la sua demenza 

non fu vera , qual parve a molti , ma simulata ; e sve- 

laudo le cause per le quali diedesi a fingerla , e giu- 

dicatone savbsimo infra tutti ; alfine , allegatene molte , 

ed acconcio ragioni , animò tutti al parer suo di cac- 


(t) Plinio sul fine del libro XV. scrive che Bruto baciò la terra 

di Delia , a non dall* Italia. 



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Q2 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE 


dare Tarquinio e li figli da Roma. E vedmili ornai tatti 

consentanei, disse Che non era pià tempo di parole e 

promesse, ma di opere; e che egli imprenderebbela 

il primo se cosa alcuna fosse da imprendere. Ciò di- 

cendo , e stringendo il pugnale con cui la donna fini 

sestessa , e venuto al cadavere di lei , che giaceva an- 

cora spettacolo compassionevole a tutti , giurò su Marte, 

e su gli altri Dei Che farebbe tutto , quanto potea , 

per abbattere la tirannide di Tarquinio , che non pià 

si riconcilierebbe co' lii'anni , nè permetterebbe che 

altri si riconciliasse con essi: ma terrebbe per nimico, 

chiunque non volesse fare altrettanto ; e perseguite-^ 

rebbe fino alla morte la tirannide e li partigiani di 

essa. Che se mancava a quel giuramento , imprecava 

per sè e pe’ figli un termine della vita , quale il ter- 

mine fu della donna. 


LXXI. Ciò detto invitò pur gli altri a simile giura- 

mento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi 

a mano a mano il pfignale giurarono , ed investigarono 

poi qual fosse la maniera di dar principio all’ impresa. 

Bruto cosi consigliò : Primieramente poniam le guardie 

alle porte , perchè Tarquinio non penetri niente di ciò 

che in Roma si dice o si opera contro la tirannide , 

innanzi che noi siamo ben preparati. Quindi portando 

il cadavere della donna , lordo comi è di sangue , nel 

Foro, ed esponendovelo, chiamiamovi a parlemento il 

popolo. E quando siavisi congregalo, quando ne vedremo 

già piena ( adunanza; allora Lucrezio e Collatino pre- 

sentandosi narrino H orribile caso , e deplorino la loro 

sciagura ; poi qualunque altro facciasi innanzi ed oc- 



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LIBRO IV. f)3 


ousi la ^tirannide , e provochi li cittadini a liberarsene. 

Oh! come avran caro di veder noi patrizj insorgere 

i primi perla libertà. Stanchi del Tiranno , e de’ molti 

e terribili mali che ne han sofferto , non abbisognano 

die St un primo impulso appena. Quando vedremo la 

moltitudine in furia per togliere la monarchia ; far- 

remo c^ risolva co' voti, che Tarquinio non dee più 

regnare su Roma , e solleciti ne spediremo il decreto 

in campo all' esercita- Ivi quando coloro che han tarmi 

conosceranno che tutta si è la città ribellata da Tar- 

quinio , infiammeransi per la libertà della patria , in- 

sensibili a tutti i doni del tiranno , essi che non più 

reggono agli affronti de' f gli , e degli adulatori del 

perfido. Or avendo lui cosi detto soggiunse Valerio: Tu 

mi sembri o Giunio che abbi giustamente parlato su 

le altre cose ; ma quanto ai comizj vorrei da te sor 

pere chi li potrà convocare legittimamente, e chi dare 

alle curie i voti; essendo questo offizio de' magistrati, 

e niun di noi trovandosi magistrato. Ripigliando allora 

Giunio : o Valerio, io, gridò, sono tale; imperocché sono 

il tribuno de Celeri , e per legge mi è dato d inti- 

mare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava tal 

massimo incoi ico , a me come stolido , e che appresa 

non ne avrei la potenza , o che se appresa V avessi , 

non saprei prevalermene. Ma io mi son quegli che il 

primo arringherò contro del tiranno. 


LXXII. Detto ciò lo applaudivano tutti come lui che 

prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo 

pressavano a dirne anche il seguito ; ed egli disse : E 

poiché ci piace far questo , vediamo ancora qual ma- 



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J)4 delle antichità* romane 


gistrato , e da chi mai crealo, debba reggerci dopo Ut 

espulsione dei re : anzi vediamo qual Jorma daremo 

allo Stato f liberi dalla tirannide ; imperciocché prima 

ài accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de» 

liberata ogni cosa , anzi che se ne lasci alcuna non 

discussa , né premeditata. Ora dica ciascuri di voi su 

tali cose ciocché ne pensa. Dopo ciò si tennero molti 

discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da 

tutti i re precedenti , amava che si riordinasse la regia 

dominazione; e chi ricordando le tiranniche ingiustizie di 

altri e di Tarquinio finalmente su’ proprj cittadini , non 

voleva il Comune sotto di un solo , ma che piuttosto 

arbitro se ne dichiarasse il Senato come in molte delle 

greche città : varj però non anteponeano nè 1’ uno né 

r altro , ma consigliavano che si fondasse un governo 

popolare , conne in Atene , esponendo le ingiurie , le . 

avanìe de’ pochi ^ e le sedizioni de’ miseri contro de’ po- 

tenti, e dichiarando che in città libera il comando più 

sicuro e più degno è quello delle leggi , eguali per 

tutti. 


LXXIII, Ma sembrando a tutti malagevole ed arduo 

il giudizio su la scelta pe’ mali che sieguono da ogni 

governo ; alfine Bruto , ripigliando disse : O Lucrezio, 

o Collatino , o voi tutti , quanti qui siete , uomini 

buoni , e JigU ancora di buoni-, io quanto a me non 

penso che noi dobbiam di presente dar nuova forma 

allo Stato. Troppo é picciolo il tempo a cui siamo ri- 

dotti, perché ci sia facile staBilirvela armoniosa ; lu- 

brico altronde , e pericoloso , é tentar di cambiarvela, 

quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto. 



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LIBRO IV. ’ 95 


X)uando ci saremo levati dallà tirannide , allora po- 

trem finalmente , consultandoci con più agio e più 

feria , trascegliere il governo migliore a fronte de' menò 

buoni j seppur avvene uno migliore di guei'^ che 7?o- 

molo e Numa e gli altri re successivi stabilirono e ci 

"lasciarono , donde la città ne crebbe e ne prosperò , 

signora fin qui di più popoli. Solamente vi esorto che 

si emendino , e che provvedasi ora che più non v ab- 

biano i mali terribili solili prorompere dalle monar- 

chie , pe’ quali si mutano in tirannidi crude , e pe' quali 

tutti le abborrono. Ma quali son queste provvidenze ? 

Primieramente giacché molti attendono ai nomi , è 

secondo i nomi vanno al male o fuggono t utile ; e 

siccome è succeduto che ora molto attendasi a quello 

di monarchia; vi consiglio che il nome cangiate del 

governo , fe che da ora in poi quelli che vi comandano 

non più re li chiamiate , non più monarchi, ma con 

appellazione più discreta ed umana : poi , che non più 

rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa , ma fidiate 

a due la potenza dei re, come odo che i Lacedemoni 

fanno da molte generazioni, e che perciò ne hanno 

più di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso 

il comando in due , e l’ uno potendo appunto quanto 

F altro ; meno acconci saranno a violarci , e meno ad 

opprimerci: anzi da tale egualità dee seguirne princi- 

palmente la verecondia, il ritegno vicendevole dell’uno 

per F altro , sicché noti si sfrenino , ed una viva gara 

per la fama della giustizia. 


LXXIV. E poiché molti sono li regii distintivi , io 

giudico che y impiccioliscano o tolgano quelli che àd- 



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96 DELLE Antichità’ romane 


dolorano a rimirarli o sdegnano il popolo , io dico 

gli scettri , dico le corone di oro ^ e le clamidi eli 

oro intessute e di porpora, se non forse si asswnono 

ne' giorni festivi e ne’ trionfali per magnificare g/i 

Jddj ; mentre usate di raro non offendono. In oppo- 

sito penso che si conservi a questi uomini la sedir 

curule ove siedono rendendo ragione , e la veste can- 

dida cinta intorno di porpora , e li dodici fasci che 

il venir loro precedano. Oltracciò perchè quelli che 

prendono il comando non molto ne abusino, io penso 

utilissima e principalissima cosa , che non lascinsì 

comandare tutta la vita. Imperciocché riesce a tutd 

grave un comando ind^nito , uft comando che non 

pià dia di sè ragione ; e di qua vien la tirannide. 

Ma si limiti come tra gli Ateniesi f autorità del co- 

mando ad un anno. Quel- comandare a vicenda e 

quell' essere comandato , quel deporre il pMere prima 

che il pensar vi si guasti , preoccupa le indoli vane, 

nè lascia che vi / inebbrino. Se .così stabiliamo , go- 

deremo i beni che sono il frutto di una regia domi- 

nazione , e schiveremo i mali che né conseguitano. E 

perchè il nome regio , consueto già tra' nostri avi , 

ed introdotto in questa città co t gli augurj propizj 

degl Jddj che lo favorivano , ti custodisca , almeno 

per tale riguardo ; si faccia continuamente , a vita , 

ed onorisi un re del Culto ^ un che libero dalle cure 

militari in questo solo si occupi e non in altro, cioè 

che abbia , quasi re ne fosse , l’ arbitrio sovrano 

de’ sacrifizj. 


LXXV. Ora udite come fia ciascuna di queste cose. 



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libro IV. 97 


’ Io , poiché dalle leggi mi si concede , io raccoglierò, 

come diceva, l’adunanza del popolo, e riesporrò la 

mia mente di bandire Tarquinia colla moglie e coi 

figli da Roma e suo territorio , escludendoneli per 

sempre essi e la lor discendenza. Quando avran ciò 

stabilito co’ voti , io dichiarando allora il governo che 

pensiamo fondare, eleggerò V interré, il qual nomini 

quelli che prendano le redini della repubblica. Quindi 

io deporrò la prefettura dei Celeri; e V interré da me 

creato , proporrà gl’ idonei all’ annua preminenza , 

rimettendoli al voto de’ cittadini : e se il pià delle 

centurie ne tien buona la proposta , se propizj gli 

oracoli la favoriscono , assumano i fasci e le insegne 

del potere sovrano , e provvedano che libera abitiamo 

la patria , nè pià li Tarquinj vi ritornino. Imperoc- 

ché questi , abbiatelo per certo , se non invigiliamo 

su loro , tenteranno colla persuasiva , colla forza , 

coll’ inganno , per ogni via finalmente , rimettersi 

nell impero. Queste sono le somme , le principalis- 

sime cose, che io dir posso e raccomandar di pre- 

sente. Quelli poi che avranno il comando devono , 

come io giudico , esaminare una per una , le cose 

particolari, giacché troppe, nè facili a discutersi pie- 

namente ; e noi siamo stretti dal tempo: anzi'deono, 

come usavano i re ponderarle col corpo del Senato , 

non concludendone alcuna senza noi ; e quando siano 

approvate dal Senato , rapportarle , come f accasi tra 

i nostri maggiori , al popolo non levandogli niun 

diritto di quanti s’ avea nel principio. Così le sue 

magistrature saranno sicurissime e bellissime. 


DIOSIGI, tomo ir, - 



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98 



DELLE antichità’ ROMÀNE 



LXXVI. Proferendo Giunio Bruto tal suo parere tutti 

lo commendanino ; e datisi ben tosto a consultare, de- 

cisero che si nominasse interré Spurio Lucrezio il padre 

di colei che uccise sestessa: e che da lui si scegliessero 

per avere il potere dei re Lucio Giunio Bruto , e Lu- 

cio Tarqninio Collatino. Stabiliscono che tali sopra- 

stanti nell’ idioma loro si chiamassero Consoli , vnol 

dire consiglieri o capi del ronsiglio , interpetrando in 

greco tal nome , giacché i Romani ciocché noi simbou- 

las diremmo chiaman consiglio. Coi volgere però del 

tempo i consoli furono per l’ ampiezza del potere chia- 

mati Ypati dalia Grecia , comandando essi a tutti e t^ 

neodo.il più sublime de* gradi; e chiamandosi da’ nostri 

antichi Ipaton quanto sopralzasi, e maggioreggia. Dopo 

tali consulte e tali istituzioni supplicarono co’ voti gli 

Iddj che fossero propizj ad essi .intenti ad opera si giu non colla sepoltura 

a norma delle leggi : e Tarquinia la donna di que- 

sto ch’egli dovea venerare qual . madre , come sorella 

del padre, Tarquinia già tanto .sollecita in suo bene, % 


egli la strangolava , sì, questa misera , innanzi che 

prendesse il lutto , e che rendesse in su la tomba al 

marito gli ultimi onori. Così contraccambiava quelli 

da quali fa salvo , da quali fu nudrito , ed. a quali 

avrebbe pur succeduto sol che avesse un poco aspet- 

tato finché venisse loro naturalmente^ la morte. . t 

LXXX. Ma perchè più, su questo riprendolo , quan- 

do , oltre i delitti contro de’ consan^inei e de’ suo- 

ceri , ho pur da accusarne le tante prevaricazioni 

contro la patria , e contro noi tutti , se prevarica- 

zioni son queste , e non sovversioni e rovine di ogni 

costume e di ogni legge. E per comiiKiare subito ^dal 

regno , come lo prese egli questo ? forse come i re 

precedenti? ma quando mai? molto nè egli lontano. 


Imperocché quei tutti furono da voi portati al trono 

secondo i patrj costumi e le leggi , prima col decreto 

del ' Senato che è il capo di ogni pubblica delibera- 

zione , poi degl’ interré scelti ed incaricati dal Senato 



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102 DELLE Antichità’ romane 

per nominare il pià idoneo al comando f e co’ voti 

dati ne' comizj dal popolo , da cui , la legge vuole , 

che si ratifichi ogni cosa più rilevante , e finalmente 

cogli augurj f colle vittime , e con altri segni propizj 

senza i quali niente giovano i maneggi e le previ- 

denze degli uomini. Or dite , qual di voi mai vide 

una parte almeno fatta di ciò quando Tarquinio 

prese il comando ? qual vide decreto preliminare del 

Senato? quale scelta degl’ interré? quali suffiragj del 

popolo ? per non dire dov è tutto questo ? quantun- 

que se egli voleva il regno lecitamente , non dovea 

parte ninna pretermettersi di quanto chiedesi dalle 

leggi. Certo se alcuno può dimostrarmene fatta pur 

una di queste cose , più non vo’ che si brontoli su 

le altre che si tralasciarono. Come dunque egli si 

spinse al trono ? colle arme , come i tiranni , colla 

violenza , colla congiura degli scellerati, noi riprovan- 

dolo , e dolendocene, E fattosi re , comunque ciò 

fosse , la sosteneva egli V autoràà tua regalmente ? 

Emulava i suoi predecessori i quali co’ detti e co’ fatti 

costanti così ressero, che lasciarono a’ posteri la città 

più felice e più grande che presa non V avessero ? 

Chi , se pure è sano di mente , chi potrà mai dir 

ciò , vedendo quanto miseramente e scelleratamente 

siamo stati da lui malmenati ? 


LXXXI. Tacio le sciagure di noi senatori, le quali, 

pur un nemico , udendole , ne piangerebbe , e come 

siam pochi rimasi di molti , come rendati abbietti di 

granài , e come venuti a disagio e stento , cadendo 

dai tanti e sì ampj beni. Que’ grati j que’ potenti , 



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LIBRO IV. Io3 


que cospicui uomini , po' quali questa nostra città 

era un tempo magnifica , quelli perirono , o fuggono 

la patria. E le vostre cose y o popolo , come stan 

esse ? Non ha tolto . a voi le leggi ? non i concorsi 

soliti per le feste e pe’ sacrifizj ? Non ha fatto ces- 

sare i comkj , i suffragj , e le adunanze tutte su le 

pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati, 

ai vilipendi di tagliare , di portare pietre ed arbori , 

di logorarvi tra gli antri e i baratri senza requie 

mai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran 

fine mai tali strazj ? fino a quando li starem soppor- 

tando ? Quando la patria libertà vendicheremo ? .. . 

Al morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sarà allora 

pià facile ? E perchè non piuttosto assai meno ? se 

per un Tarquinio ne avrem tre molto pià scellerati? 

Se chi di privato è divenuto monarca, se chi tardi 

ha cominciato a nuocere, ha percorsa tutta la mal- 

vagità de’ tiranni , quali , pensate , esser debbono i 

discendenti da lui , scellerati di stirpe , scellerati di 

educazione , che mai non poterono vedere nè appren- 

dere in città misure politiche di moderazione ? E per- 

chè non per congetture , ma intimamente conosciate 

la perversità loro , e quai cani latratori alleva contro 

voi la tirannide di Tarquinio ; specchiatevi in un a- 

zione sola del primogenito. 


LXXXII. E questa la figlia di Spurio Lucrezio , 

lasciato prffetto in Roma dal Tiranno nelP andare 

alla guerra , e moglie insieme di Tarquinio Colla- 

Uno , del consanguineo de’ tiranni che pur tanto ha 

da loro sopportato. Or questa per serbarsi pudica. 



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io4 DELLE Antichità’ romane 

e tutta agli amori del suo marito , come fanno le 

virtuose , avendo Sesto qual parente preso ospizio 

appo lei , mentre Collatino era lungi nelt armata , 

non potè schivare nella passata notte le onte. sfre- 

nate della tirannide; ma violentata come una schù^va 

sostenne ciocché libera donna non dee. Pertanto esa- 

cerbatane , e presa la ingiuria per insoffribile , dopo 

che ebbe narrato al padre e a congiunti le vicende 

ree che la desolarono , dopo che ebbe pregato e scon- 

giurato che la vendicassero per tanti mali; alfine 

traendo il pugnale che celava nel seno , profondos- 

selo, e vedendola il padre j o Romani, nelle viscere. 

O tu certo mirabile , o tu di encomj degnissima per 

la nobile ' risoluzione ! t’ involasti, moristi non reg- 

gendo agli obbrobri del tiranno , e ■■ ricusasti le dol- 

cezze tutte del vivere perchè simile calamità non ti 

avvenisse. Avrai tu dunque o Lucrezia nella tua fem- 

minil condizione K avuto il. cuore de’ valentuomini , e 

noi , uomini - nati , noi saremo in viltà men che le 

femmine ? Tu perchè predata a forza del fiore im- 

macolato della tua pudicizia , avrai tu reputato la 

morte pià dolce e pià beata della vita; e noi non 

avrem pur nell’ animo , che Tarquinio non da una 

notte , ma già da venticinque anni ci opprime , e ci 

ha colla libertà levato gli agi tutti del vivere ? No ; 

pià non dobbiamo , o Romani , noi vivere avvolgen- 

doci in tanti pericoli , noi che discendenti siamo di 

que bravi , che vollero fondare i diritti fin per gli 

altri, e lanciaronsi a tanti .pericoli per la sovranità 

e la gloria : ma V una delle due si dee scegliere o 




LIBRO IV. Io5 


libera vita, o morte onorata. È pur venuto il tempo 

che bramavamo ; perchè lungi è il tiranno dalla città, 

e perchè duci sono della impresa i patrizj , e perchè 

se con animo pronto ci facciamo ad imprendere , non 

abbisogniamo di cosa niuna non di uomini , non di 

danari , non di arme , non di capitani , non di altro 

apparecchio militare ; essendone Roma pienissima. 

Siaci pure una volta vergognà che noi che cerchiamo 

signoreggiare i Volsci , i Sabini , ed altri moltissimi^ 

noi stiamo • ad altri servendo , e che mentre tante 

guerre imprendiamo per in^andire Tarquinio , niuna 

per la nostra liberuì ne facciamo. 


LXXXIII. Ma di quali incora^menti ci varrem 

per la impresa , di quai leghe ? È questo che rima- 

nenti a dire. Primieramente c incoraggiremo su la 

speranza negl’ Iddj de’ quali Tarquinio viola le sante 

cose , i templi , gli altari , libando e sacrificando con 

mani lorde di sangue, e di ogni scelleraggine contró 

de cittadini; appresso c incoraggiremo su la speranza 

che abbiam su noi stessi che nè pochi siamo , nè 

inesperti di gierra ; e finalmente sul rinforzo di que- 

gli alleati i quali non ardiranno far novità se noi 

non ve 'gV invitiamo ; ma se vedono che noi il valor 

nostro raccendiamo , lietissimi ci si uniran per com- 

battere ; nemico essendo della tirannide chiunque 

vuole esser libero. Che se alcuno di voi teme quei 

cittadini che in campo si porran con Tarquinio per 

militare con esso contro noi ;• non bene teme costui. 

Anche ad essi è grave la tirannide , ed ingènito in 

tutti è V amore della libertà : ed ogni occasione di 



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I06 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


mutamento basta a chi è misero necessariamente. Che 

se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la pa- 

tria , non timore li riterrà co’ tiranni , non grazia , e 

non cosa ninna la quale sforzi o persuada , a mal 

fare. E se in alcuni si è per la ria natura , e la 

trista educazione abbarbicato V amor dei tiranni ; ri- 

durremo ancor essi , che molti non sono , con insu- 

perabile necessità sicché utili ci divengano i malevoli ; 

perciocché teniamo in città quali ostaggi i loro figli , 

le mogli , i parenti , pegni carissimi che ognuno pre- 

gia più che la vita. Or se noi prometteremo di ren- 

dere questi , se decreteremo per essi la impunità 

quando distacchinsi dal tìrannno ; di leggeri li per- 

suaderemo. Cosicché fatevi cuore o Romani , concepite 

belle speranze per V avvenire , uscite per una guerra, 

certo la più gloriosa di quante mai ne imprendeste. 

Si , palrj Dei , propizj curatori di questa terra , sì 

Genj , tutelari già de nostri padri, sì, città caris- 

sima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e 

cresciamo , sì noi vi difenderemo co’ pensieri, colle 

parole , colle opere , colla vita ; pronti a tutto sof- 

frire , quanto la fortuna porti ed il fato. Presagi- 

scorni che alla impresa buona seguirà fine bonissinto. 

Possano quanti confidano , quanti decidonsi come noi, 

voi salvare ed essere da voi salvati parimente ! 


LXXXIY. Mentre Bruto aringava , faceansi ad ogni 

suo detto acclamazioni dal popolo in signiBcazione , che 

esso appunto cosi voleva, e comandava. Ed i più sen- 

tendo quel parlare maraviglioso ed inaspettato lagrima- 

vano per tenerezza. Inondavano passioni varie nè punto 



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LIBRO IV. 1 07 


amSi ogni petto: e dove il rancore, dove la gioja trion- 

favano , là pe’ mali già sostenuti , qua pe’ beni che si 

aspettavano. Dove era audacia , dove timidità , quella 

che incitava a non curar sicurezsa contro i subjetti , 

odiati perchè intenti a far male ; e T altra che oppo» 

neasi agl’ impeti delia prima , perchè vedea non facile 

la rovina della tirannide. Ma non sì tosto colui cessò 

dal parlare ; tutti , quasi con una bocca , ad una voce 

esclamarono, che guidassegli alle arme. E Bruto dilet- 

tatone , sì , disse , ma quando prima avrete udito , e 

confermata co’ voti vostri i decreti del Senato. E noi 

decretiamo CHS i TAsqvatj s tutta la consangvu 

HIT a' loro svogano ROMA E QUANTO È Ds' ROMAICI : 

CBS NIUNO FOSSA DIRE O BRIGARE SUL RITORNO DEI 


tiranni; e se contravviene; si" uccida. Or se 

volete che un tal parere si adotti ; compartitevi in 

curie , e datene i voti. Questo incominci per voi li 

diritti della' vostra libertà. Disse ; e cosi fu hitto : e 

poiché tutte le Curie ebbero decretato 1’ esilio del ti- 

ranno ; Bruto fattosi innanzi , ripigliò : Giacché avete 

voi ratificato quanto deesi , le prime cose ; ascoltate 

U resto che abbiam deliberata su lo Stata. Esami- 

nando noi qual magistrata esser dee V arbitro del 

comando , ci è piaciuto , non già di rinnovare il co- 

mando di un solo , ma di creare ogm anno due capi 

con regio potere , che voi stessi eleggerete ne’ comizj, 

votandovi per centurie. Or se volete anche ciò ; da- 

tene il voto. Il popolo lodò questo ugualmente; nè vi 

fu pur un voto contrario. Quindi ripresentatosi Bruto , 

nominò Spurio Lucrezio per interré , perchè secondo le 



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io8 DELLE Antichità’ romane 

patrie leggi prendesse cura de’comisj. Costui sciogliendo ' 

r adunanza , ordinò che tutti subito si recassero in arme 

al campo , dove solcano tenere i comizj. Recativisi ; 

scelse due Bruto e Gollatino che facessero quanto fa- 

cevano i re. Ed il 'popolo chiamato per centurie con» 

fermò la magistratura a que’ due. Tali sono le cose ai» 

lora fatte in città. 


LXXXV. Tarqninio come udì da messaggeri sottrat» 

tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne 

chiudessero , che Bruto (perché narravano questo solo) 

fattosi capo-popolo , aringava i cittadini , e suscitavali a 

rendersi liberi , parti senza dirne le cause , prendendo 

se^o i figli , ed altri più fidi , e correndo a briglie 

sciolte onde prevenire la ribellione. Ma trovando chiuse 

le porte , e piene le mura di arme , tornossene , quanto 

potè , veloce nel campo affligendosi e lagrimando : se 

non che già le sue cose erano qui pure in iscompigUo. 

Imperocché li consoli antivedendo la sollecita venuta di 

lui verso Roma aveano per altra via spedito all’armata, 

invitandola a togliersi dal tiranno , ed annunziandole i 

decreti di quei della città. Or Tito Erminio e Marco 

Orazio lasciati dal tiranno nel campo prendendo quelle 

lettere le recitarono nell’ adunanza : e dimandando via 

via per centurie ciò che era da fare , e piaciuto a tutti 

che si ratificassero le deliberazioni della città ; più non 

riceverono Tarquinio che tornavasi a loro. E caduto 

pur da questa speranza fuggisseue con pochi alla città 

di Gabio f della quale , come ho detto di sopra , avea 

creato monarca , Sesto il suo primogenito. Esso già ca- 

nuto per anni avea tenuto per cinque lustri il comando. 



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LIBRO IV, 1 09 


Erminio ed Orazio , concbiusa una tregua di quindici 

anni cogli ÀrdeatinI , ricondussero in patria le milizie. 

Per tali cause e da tali uomini fu tolta in Roma la 

regia dominazione, conservatavisi per dugcnto quaranla- 

quattr’ anni dalla sua fondazione , e divenuta in fine 

tirannide sotto 1’ ultimo re. 



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Ilo 



DELLE 


ANTICHITÀ ROMANE 


O I 


DIONIGI ALICARNASSEO 



LIBRO QUINTO. 



I. OloMSERVATASl in Roma la regia dominazione per 

dugento quarantaquatlr anni e cangiatavisi poscia in ti- 

rannide sotto r ultimo re fa per le cagioni anzidette 

abolita da tali uomini (i) sul principio della olimpiade 

sessagesima ottava , nella quale Iscomaco da Crotone 

vinse allo stadio , mentre Isagora esercitava in Atene 

r aunuo magistrato. Ed istituitasi la signoria de’ pochi , 

mancando quattro mesi al compiersi di quell’anno , as- 

sunsero i primi il comando supremo , Lucio Giunio 

Bruto e Lucio Tarquioio Collatino col nome di consoli, 


(i) Anni 345 fecondo Catone e i 47 'ecjndo Varrone dalla fonda- 

ilone di Roìna , e So; avanli Cristo. 



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DELLE Antichità’ bomane libro v. ih 


cosi chiamandosi da* Romani, come già dissi, nel patrio 

idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a sè 

gli altri che numerosi tornavano dal campo in città dopo 

conchiosa la tregua con gli Àrdeatini ; e pochi giorni 

appresso la espulsione del Tiranno convocando il popolo 

a parlamento , e ragionando copiosamente su la concor* 

dia ; fecero di bel nuovo decretare co’ voti , come già 

quelli che erano in Roma lo avevano decretato , bando 

perpetuo ai Tarquinj. Dopo ciò puri6cando la città , 

fattone sacrifizio ; essi i primi , stando intorno le vitti- 

me , giurarono , e ccndussero pur gli altri a giurare , 

che mai più dal bando richiamerebbero il re Tarquinio, 

nè la prole di lui , nè i figli de’ figli : anzi che non più 

iarebbono re ninno in Roma , nè tollererebbono chi far 

cel volesse. Cosi giurarono su’ Tarquinj , su* figli, e su 

la prosapia loro. E , couciossiachè pareano i re , stati 

autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deli- 

beratisi a conservare il nome almeno di tal signoria , 

finché Roma durava, comandarono ai pontefici ed agli 

auguri di eleggere il più idoneo tra’seniori, perchè tolto 

da tutte le cure , se non dalle religiose , presedesse in 

sul culto, e Me si chiamasse non delle politiche, non 

delle militari , . ma delle sante cose. Per tanto fu delle 

sante cose nominato re per il primo Manio Papirio , 

uomo patrizio e dedito alla dolce calma (i). 


II. Stabilito ciò , temendo , io credo , che non si ge- 

nerasse negli altri sui nuovo governo la idea non vera, 

che in luogo di uno dominavano due re la città mentre 


Secondo Feslo il primo re tacriJieuUu , fa Sicinnio Beliulo , 

ed in cfò discorda da Dionigi e da Livio. 




II2 DELLE Antichità’ romane 

r uno e 1’ altro de’ consoli avca come un tempo i re le 

dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal concetto, e sce- 

mare la invidia del comando, e fecero cbe l’uno de’con- 

soli portasse dodici scuri , e F altro dodici littori colle 

verghe coronate solamente (i) come narrano alcuni: tal- 

ché le scuri le assumesse e recasse ora l’uno ora F altro vi- 

cendevolmente per un mese intiero. Animarono con que- 

sto F umile plebe a conservar quel governo ; e con simili 

cose non poche. Imperocché rinnovarono tutte le leggi 

scritte da Tullio su’ contratti ; le quali si tenean per 

umane e popolari , e Tarquinio aveale tutte soppresse : 

e comandarono che si facessero come a’ tempi di Tullio, 

i sagriGzj che in città si faceaiio o nella campagna , riu- 

iiendovisi que’ di Roma e de’ villaggi. Concederono che 

il popolo si radunasse per le cose più rilevanti , e desse 

il voto , e ripigliasse a voler suo gli usi primitivi. Pia- 

ceano tali cose alla moltitudine ravvivatasi dal servir 

lungo a libertà non aspettata. Nondimeno ci ebbero al- 

quanti i quali desiderosi de’ mali della tirannide per de- 

menza o per avarizia congiurarono di tradire la patria 

e richiamarvi i Tarquinj , trucidandone i consoli : ed io 

dirò quali ne fossero i capi, e come im provvedutamente 

scoperti , mentre credeansi occulti a- tutti, ma riassumerò 

le cose alquanto più addietro. 


III. Caduto Tarquinio dal trono , si tenne per un 

tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a 


(i) Il lesto non è ben fìsso : e fotse dee leggersi verghe curve o 

grosse nella lesta. Il codice Valicano avendola voce xafvtat e noa 

xtfà/tttt favorisce la idea di verghe grosse in testa. Silburgio pro- 

pende per le verghe ricurve iu cima . 



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LIBRO V. I 1 3 


lui ne venivano amici della tirannide pià che delia li- 

bertà , e confortandovisi in su le speranze de’ Latini , 

quasi potessero questi ricondurlo alla reggia. Ma poscia 

che le città non io ascoltavano nè voleano per lui fare 

una guerra ai Romani ; disperandone alfìne il soccorso 

fuggissene a Tarquinj città Tirrena , donde era la ma- 

terna origine sua. E cattivandosi que’ cittadini co’ doni , 

e prodotto da essi in piena adunanza , rinnovò 1’ antica 

congiunzione con loro, e commemorò li benefizj deU 

r aiuolo suo con tutte le città Tirrene , e gli accordi 

che avean fatto con lui. Poi si lamentò con tutti della 

sciagura che avealo preso , e come travolto in un sol 

giorno da lietissima condizione , ora profugo con tre 

6gli e bisognoso fin del necessario , era costretto ricór- 

rere a popoli , un tempo, sudditi suoi. Scorrendo su 

tali cose pateticamente e con molte lagrime, indusse il* 

popolo a spedire il primo a Roma uomini che portas» 

sero parole di pace per lui , quasi i potenti ivi fossero 

per favorirlo, ed ajutarlo* al ritorno. Nominati quelli 

eh’ egli volle per ambasciadori , ed istruitili delie cose 

che erano da dire e da fare gli spedi con alquanto di 

oro e con lettere de’ fuorusciti con esso dirette con 

preghiere agli amici e domestici loro. 


IV. Venuti questi a Roma dissero hi Senato : che 

chiedea Tarquinia la franchigia di venire con pochi 

prima in Senato, e poi, quando ciò fossegli conce-- 

duto dal Senato , nell adunanza del popolo per darvi 

conto delle opere sue fin dai principj del regno , 

falline giudici tutti i Romani , se alcuno mai lo ac - 


DIONIGI , tomo II. S 



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1 1 4 DELLE Antichità’ romane 

cusasse. Che se appien si giustifica, se persuade che 

egli non ha colpe degne dell esilio ; allora se gUel 

concedano , regnerà novamente con que' limiti che gli 

prescriveranno : se poi decreteranno di non voler più. 

come per l’ addietro la sovranità dei re , ma di fon-^ 

darne un altra qualunque , egli uniformandovisi al 

pari degli altri reslerassene colla sua famiglia in Ro- 

ma, sua patria, libero almeno della vita degli erranti, 

e de' profughi. E ciò detto supplicavano il Senato pei 

comuni diritti che vogliono che niun si condanni senza 

discolpe e giudizj , a concedere una difesa della quale 

essi giudicherebbero. Che se ciò non volevano a lui 

concedere , fossero compiacevoli almeno in vista della 

città la quale s' intrametteva. Compiacendola , tutto- 

ché senza discapito loro , assai onorerebbero la città 

che ciò conseguiva. Uomini essendo , non si elevassero 

sopra la sorte degli uomini: nè serbassero immortali 

sdegni in cuori mortali : ma in grazia degt inter- 

cessori si sforzassero anche contro lor voglia di usare 

mansuetudine ; considerando eh' egli è da savio con- 

donare le inimicizie per le amicizie ; ma da stello e 

da barbaro volgere in nemici gli amici. 


V. Aveano ciò detto , quando Bruto sorgendo re- 

plicò : Sul ritorno de' Tarquinj in Roma cessate o 

Tirreni di più ragionarne. Imperciocché già si è qui J 

volato irreparabilmente per l'esilio loro: ed abbiamo 

tutti ^giurato agC Iddj di non restituire i tiranni, e di 

non tollerare che altri ce li restituisse. Ma se chie- 

deste con altra moderazione a cui nè le leggi nè li 

giuramenti si oppongono', manifestatevi. Or qui fai- 



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LIBRO V. 1 I 5 


tùi innanzi gli ambasciadoi’i soggiunsero : Terminale ci 

sono contro la espettazione le prime dimandet am- 

basciadori per uno che si raccomanda , per uno che 

vuole dare a voi conto di sè stesso , abbiamo chiesto 

qual grazia ciocch’ era diritto per lutti : nè potemmo 

ottenerlo. Ora poiché ve n è parato così ; non più vi 

presseremo sul tornar de' Tarquinj. J\oi facciamo 

istanza per un altro diritto di cui la patria c incari- 

cava , e su cui non legge , non giuramento impedi- 

scavi, cioè che rendiate al monarca i beni clm [ avolo 

suo possedeva senza toglierli a voi nè di forza nè in 

occulto , ma portati qui avendoli , come ereditati dal 

padre. A lui basterà , se lo ricupera, il suo, per vi- 

vere altrove Jelicemente, senza vostra molestia. Riti- 

raroDsi ciò detto gli ambasciadorì. Bruto T uno de’ con- 

soli suggeriva che si ritenesser que' beni in compenso 

delle ingiustizie sì gravi e sì numerose dei tiranni 

contra del pubblico , e per util di Stato : perchè non 

si dessero ad essi de mezzi co’ quali far guerra ; 

preammonendo, che nè si affezionerebbero ad essi 

i Tarquinj col riavere i lor beni nè sosterrebbero una 

vita privata , ma porterebbero su Romani le arme di 

altri popoli , e tenterebbero di tornare colla forza al 

comando. Collatino però consigliava il contrario , di- 

cendo che non gli averi , ma le persone dei tiranni 

noceano la città. Pertanto scongiuravali a guardarsi 

prima dalC incorrere nella rea fama di avere espulso 

i Tarquinj per invaderne i beni , e poi dal porgere 

ad essi cosi spogliandoli , giusta occasione di guerra : 

dicea che non era chiaro , che ricuperando i beni si 



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1 1 6 DELLE Antichità’ romane 

accingerebbe^ ancora ad una guerra con essi , lad- 

dove era ben manifesto , che non ricuperandoli f rion 

si cheterebbero. 


VI. Cosi dicendo i consoli ; e molti sentendola col- 

r uno e coir altro ; il Senato dubitò come avesse a ri- 

solvere. E ripigliandone per più giorni l’ esame , e pa- 

rendogli che Bruto consigliasse il più utile , ma Colla- 

tino il più giusto ; in ultimo deliberò che giudice ne 

fosse il popolo. Or qui dette essendo più cosedairnno> 

e dall’ altro de’ consoli , e venendo alBne le curie , che 

eran trenta di numero , ai voli , preponderarono le une 

alle altre con si piccini divario che quelle le quali in- 

timavano che si rendessero i beni superarono di uà 

sol voto le altre le quali voleano che si ritenessero. I 

Tirreni avuta la risposta dai consoli : e molto lodando' 

la città che anteponesse all’ utile il giusto ; spedirono a 

Tarquinio perchè mandasse chi ricevesse i beni di lui ; 

frattanto essi resiavansi a Roma sul titolo del trasporto 

de’ mobili, o di dar sesto a ciò che non potessi menar 

via j nè carreggiare : ma in realtà spiando e brigandovi, 

come il tiranno aveali incaricali. Perocché ricapitarono' 

le lettere de’ profughi agli attinenti loro ; pigliandone 

le altre di replica. E conversando , e studiando le affe- 

zioni di molti , se ne trovavano alcuni facili ad essere 

guadagnati per la poca fermezza , per la inopia , o pel 

desiderio di 'empiersi nella tirannide, davansi a subor- 

narli coir oro e con ampliarne le belle speranze. Vi 

sarebbero secondo le apparenze in città si grande e si 

popolata, alquanti non degl’ infimi solo ma de’riguar- 

devoli i quali anteporrebbono il governo men buono al 



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LIBRO V. I 1 7 


migliore 'y or furono tra questi i due Giunj Tito e Ti> 

berio , figli di Bruto il console , puberi appena, e con 

essi i due Geli] (i) Marco e Manio fratelli della moglie 

di Bruto , idonei a’ pubblici affari : Lucio e Marco 

Aquìlio, figli ambedue della sorella di Collatino, altro 

consolo , e conformi di anni al figli di Bruto , presso 

a’ quali , non più vivendo il lor padre , per lo più si 

adunavano e ctmcertavano sul ritorno de’ tiranni. 


VII. Tra le molte cose , per le quali a me sembra 

che Roma giugnesse per la provvidenza de’nnmi a stato 

si prospero , non sono le infime quelle che avvennero 

allora. Imperocché si mise in que’ sciaurati tanta de- 

.menza , e tanta cecità , che osarono fino scrivere al 

tiranno di propria mano lettere che indicavano il nu- 

mero copioso de’ congiurati ed il tempo nel quale as- 

salirebbero r uno e r altro console , lusingati dalle epi- 

stole del perfido ad essi per le quali volea sapere i 

.compensi che avrebbe a dare, tornando in trono , al 

Romani. Ebbero i consoli queste lettere per tale in- 

contro. Eransi i prlmarj de’ complici riuniti in casa, 

degli Aquilj nati dalla sorella di Collatino , invitativi 

come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordi- 

nando che quei che lo aveano ministrato uscissero e si 


• tenessero nell’ anticamera; confabulavano infra loro su 


• la rintegrazione del tiranno , e segnavano ciascuno , i 

.mezzi che glien parevano di mano propria in lettere 

che gli Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tir- 

reni, e questi a Tarquinio. Intanto uno schiavo (Vin- 


(i) Sigonio ne* scogtj LÌTiani pone Vitel^ in luogo di Gellj se- 

guendo le antoriià di Livio e di Plnisrco. 



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I 1 8 DELLE antichità’ BOMANE 


dicio ne era il nome ) della città di Genina , il quale 

fervito gli avea di bevanda, sospettando dalla remoaione 

de’ servi che coloro macchinassero qualche scelleraggine, 

si stette solo fuori della porta , ed applicatovisi in una 

fessura ben lucida , ne udì li discorsi , e ne vide le 

lettere che vi si scrivevan da ognuno. Quindi a notte 

avanzala uscendo come in servigio de’ padroni , non 

ardi di andare ai consoli sol timore che volessero per 

r amor de’ congiunti che il fatto si occultasse , e ' levas~ 

sero di mezzo chi porgea la dinunzia : ma recatosi a 

Pubblio Valerio l’ uno de’ quattro , primarj nel tor la 

tirannide y congiunsero a vicenda la destra , e giuratagli 

da lui sicurezza , gli svelò quanto odi , e quanto vide. 

Colui , saputo il fatto , si presentò • senza indugio su 

r alba in casa degli Aquilj con valida schiera di clienti 

e di amici , e penetrandone senza «>ntesa le porte co- 

me per tutt’aliro affare , s’impadronl delle lettere men- 

tre pur v’ eran que’ giovani , i quali menò seoo innanzi 

de’ consoli. 


Vili. Ora essendo io per dire le sublimi , e meravi- 

gliose gesta di Bruto di che tanto i Romani si magni- 

ficano , temo che sembrino austere troppo nè credibili 

ai Greci , giacché tutti sogliono per natura giudicare le 

cose che di altri si dicono dalle proprie, e secondo 

queste aversele per credibili o non credibili. Nondimeno 

io le dirò. Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto in 

tribunale , ed esaminando le lettere de' congiurati , ap- 

pena scopri quelle de’ figli distinguendole dai sigilli , e 

dopo rotti i sigilli , dai caratteri; ordinò primieramente 

•he lo scriba leggessene 1’ una e l’ altra , sicché tutti le 



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LIBRO V. I 19 


udissero, e quindi che i Ggli dicessero su ciò se vo- 

leano. Niuno de’ due ardiva rivolgersi impudentemente 

a negarle per sue, ma quasi avessero già condannato 

sè stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo 

sorse ; ed intimalo silenzio , ed aspettando tutti qual ne 

sarebbe la flne , disse , che condannavali a morte. Or 

qui alzarono tutti la voce , alienissimi , che avesse un 

tal uomo a punire sè stesso colla morte loro, e voleano 

condonare al padre la vita de’ figli. Ma egli non com- 

portando nè le voci nè i pianti comandò a’ satelliti che 

di là rimovessero i giovani che lagrimavano e supplica- 

vano e co’ nomi più teneri lo chiamavano. Riusciva 

spettacolo meraviglioso a tutti che un tal uomo niente 

piegato si fosse nè per le preghiere de’ cittadini , nè per 

la commi aerazione inverso de’ figli : assai però parve più 

portentosa 1' austerità di lui circa il supplizio. Imperoc- 

ché nè permise che si uccidessero i figli allontanati dal 

cospetto del popolo , nè egli , almeno per fuggirne la 

terribile vista , si ritirò dal Foro finché non furono pu- 

niti : nè condiscese pure , che subissero , non disonorati 

co’ flagelli almeno , la morte destinata. Ma custodendo 

tutte le consuetudini , e tutte le leggi quante ve n’ ha 

su’ malfattori , egli stesso nel Foro tra la pubblica vista 

presente a tutto , fattili prima straziar colle verghe ; 

concedette alfine che con le scurì si decapitassero. Sor- 

prendente soprattutto , inconcepibile era in quest’ uomo 

la immobilità degli sguardi senza indizio nemmeno di 

compassione. Tanto che piangendo tutti , egli solo fu 

visto non piangere sul destino de’ figli: nè sospirò per 

sè stesso , nè per la solitudine la quale facevasi nella 



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120 DELLE Antichità’ ROMANE 

sua casa , nè diè segno in tutto di debolezza: ma senza 

lagrime , senza lamenti , e come inalterabile , portò ma- 

gnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di ani- 

mo , tanto costante in compiere le risoluzioni , e tanto 

superiore agli affetti che turbano la ragione ! 


IX. Uccisi i &gli fe’ chiamare immantinente gli Aqui- 

Ij , 6gli della sorella dell’ altro console , presso a’ quali 

teneansi i congressi de’ congiurati. E comandando alle 

scriba che ne leggesse l’ epistole sicché tutti le udis- 

sero ; intimò ad essi che sen difendessero. Ma i giovani 

venuti dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero 

dagli amici , sia che di per sè lo risolvessero , si gitta- 

rono a piedi dello zio per essere da lui salvati. Ma co- 

mandando Bruto ai littori che li svellessero , e li traes- 

sero se non voleano giustificarsi alla morte ; Collatino 

sopraggiunse a questi , che sospendessero alquanto fin- 

ché abboccavasi col collega , e pigliatolo da solo a solo 

orò lungamente pe’ garzoncelli ; parte escusandoli che 

fossero caduti in tale stoltezza per inesperienza e per 

compagnie triste di amici , e parte eccitandolo a con- 

donare la vita di parenti , dimandandolo in grazia lui 

che non d’altro mai più lo vesserebbe , e parte facendo 

riflettere che turberebbesi il popolo tutto se davausi ad 

uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co’ fuoru- 

sciti perchè ritornassero ; imperocché dicea eh’ eran 

molti , e parecchi non ignobili di lignaggio. Ma non 

venendogli di persuaderlo; ne chiese almeno pena più 

mite che non la morte, dicendo: mal convenirsi che i 

complici si avesser la morte , mentre il tiranno non so- 

stenea che l’ esilio. E perciocché Bruto ripugnava da 



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LIBRO V. I 2 I 


pene più mi», nè voleva (ciocché chiedeva da ultimo 

il suo collega ) nemmeno differire il giudizio de’ colpe- 

voli , e minacciava , e giurava di darli tutti appunto iu 

quel giorno alla morte ; Coliatino sdegnatosi in fine che 

niente ottenea ; soggiunse : io , pari tuo , to scamperò 

que' giovini se tu se tanto intrattabile e duro : E Bruto 

indispettitone , no , disse, Coliatino ; non potrai finché 


10 vivo far salvi i traditori della patria : anzi tu pure 

darai tra non molto le pene che meritL 


X. Ciò detto, e messa una guardia su’ giovani chiamò 


11 popolo a parlamento : e riempiutosi il Foro, perchè 

il supplizio de’ figli suoi , già si era in città divulgato , 

egli facendosi in mezzo , cinto da’ più cospicui de’ se- 

natori disse : lo vorrei o Cittadini , che Collatino , 

questo mio compagno , fosse concorde con me su tutto, 

ed odiasse e combattesse i tiranni non pur colla voce, 

ma colle opere. Ora poiché lo trovo manifestamente 

contrario e congiunto in tutto a' Tarquinj di sangue, 

di voglie , e di brighe onde riconciliarceli , anzi col-- 

[ utile suo che del comune ; io sono risoluto di op~ 

pormegli perché non compia le ree sue macchinazioni, 

e perciò vi ho qua convocati. Io dirò primieramente 

in qitanto pericolo sia la città ; poi come t uno e 

t altro di noi siasi diportato. Biunitisi alquanti in 

casa degli Aquila nati dalla sorella di Collatino , e 

tra questi ambedue li miei figli e li fratelli della mia 

moglie , ed altri non ignobili ; stabilirono , e congiit- 

rarono la mia morte , e di restituirvi in Tarquinio il 

monarca. E già erano per mandare ei fuorusciti /efr- 

tere contrassegnate da loro caratteri e sigilli. Ma si 



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122 DELLE ANTICHITÀ* BOMANE 


fe ciò , la Dio mercede , a noi manifesto , indican- 

docelo questo uomo , che è un servo degli jiquilj , di 

quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella 

notte precedente le lettere ; e noi , le abbiamo noi , 

queste lettere. Io già ne punii Tito e Tiberio miei 

figli : e niente , non leggi , non giuramenti , furono 

da me violati per la clemenza di un padre. Ma Col- 

latino mi ritoglica dalle mani gli Aquilj con dire che 

non soffrirebbe che partecipassero la sorte de' miei 

figli , se partecipato ne aveano i disegni. Ma se co- 

storo non soggiacìono a pena , nemmen dunque vi 

dovran soggiacere non i fratelli della mia moglie , 

non quanti sono , i traditori della patria. E qual di- 

ritto più grande avrò io contro questi, se risparmiatisi 

quelli ? Dite , qual contrassegno c mai questo , di 

amici della patria , o del tiranno , di conferma del 

giuramento che avete voi tutti prestato noi preceden- 

dovi , o di sconvolgimento e di perfidia ? Se egli ri- 

manevasi occulto , pur sarebbe in preda alle fune e 

sotto la vendetta degli Dei che spergiurava. Ora poi- 

ché vi si è palesalo a voi si spetta , a voi di punirlo. 

Vi persuadea costui pochi giorni addietro che rende- 

ste i suoi beni al tiranno , non perchè la città se gli 

avesse per usarne in guerra contro i nemici , ma per- 

chè li nemici gli avessero per usarne contro la città. 

Ed ora si arroga di esentare dalle pene i congiurati 

a restituirvi i tiranni , in favore come è chiaro di 

questi , perchè se mai tornano , sia di forza , sia per 

tradimento egli in vista di tanti servigj ne ottengcL 

come amico , quanto dimanda. Ed io che non ho per- 





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LIBRO V. ia3 


donato a’ figli miei , io dovrò, o Collatino, te rispar- 

miare , che sei con noi di presenza , ma coll’ animo 

tra’ nemici ? E tu che salvi i traditori della patria , 

tu me che per essa travagiiomi , ucciderai ? Or potrà 

farsi ? Eh ! che lontani siamo di molto. E perchè 

non possi nulla di simile , ti levo dal consolato e 

cornandoti che in altra città ti conduciti. E voi o citi- 

iadini voi chiamerò ben tosto per centurie , e presi i 

voti, deciderete se dobbiam così fare. Intanto , (e 

vivissimamente avvertitelo ) voi l' una delle due mi 

dovete , escludere Collatino , o Bruto. 


XI. Or lui cosi dicendo ; Gollatino esclamando ed 

angustiandosi , cbiamavalo di cosa in cosa calunniatore 

e traditore degli amici : e purgandosi dalle incolpazioni 

contro di lui , pregava intanto pe’ fìgii della sorella: ma 

perciocché non permettea che si dispensassero i voti 

contro di lui ; inferocivane il popolo , levandosi a re- 

more in ogni suo dire. Ora essendo cosi inferocito nè 

soffrendo discolpe , nè volendo preghiere ma solo che 

si dispensassero i voti ; ed interponendosene il suocero 

Spurio Lucrezio , uom pregiatissimo , per timore che 

Collatino non perdesse ignominiosa mente ad un tempo 

il magistrato e la patria , chiese da ambi i consoli fa- 

coltà di parlare. Ed ottenutala , esso il primo , come 

dicono gli storici Romani , giacché non v* era ancor 

r uso che un privato aringasse il comune ; diedesi pub- 

blicarrtente a pregare 1’ uno e 1’ altro de’ consoli , Col- 

latino perché non si ostinasse e non ritenesse il comando 

a mal cuore de’ cittadini , che spontanei gliel diedero ; 

ma se pareva a que’ che gliel diedero di ripeterlo , vo- 



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124 delle antichità’ romane 

lontanamente lo restituisse , e levasse co’ fatti , non coi 

detti le accuse contro di lui : prendesse le sue cobbe e 

si recasse ad abiure altrove, dovunque voleva, Gnchè 


10 Stato non era in salvo ; cosi porUndo 1’ utile pub- 

blico : riflettesse come in altre ingiustizie gli uomini se 

ne sdegnano , quando sono commesse : ma che sospet- 

undosi di tradimenti stimano anzi saviezza temerne in- 

vano e guardarsene', che trascurarli e lasciarsene rovi- 

nare. Persuadeva poi Bruto , che non cacciasse dalla 

città con vergogna e con vitupero quel magistrato com> 

pagno col quale avea preso le risoluzioni più belle {>ér 

la patria : ma che desse a lui , s’ avea cuore di lasciare 


11 suo grado e di trasmigrarsi , tutto 1’ agio a raccor le 

sue robbe , e gli aggiungesse a nome del popolo un 

dono come pegno di consolazione nelle sue calamità. 


XII. Cosi consigliando quel valentuomo , inUnto che 

il popolo ne lodava i discorsi , Collatlno depose la sua 

dignità , contristato che per la pietà de’ parenti era 

astretto a lasciare e senza demeriti la patria. All’ oppo- 

sito encomiavalo Bruto perchè risolveva il migliore per 

la sua Roma e per sè , e pregavalo a non. disamorarsi 

nè verso di lui , nè della patria : trasportando al- 

trove la sede , considerasse ancor sua , la patria che 

lasciava , nè si meschiasse a’ nemici contro lei non 

colle parole , non colle opere. Considerasse in somma 

questo transito suo qual pellegrinalo , non qual 

bando, o fuga: tenesse il corpo presso quei .che lo 

ricevevano , ma V affetto suo , lo . tenesse questo , 

presso quei che lo mandavano. Or, cosi avendo am- 

monito quest’ uomo persuase il popolo a regalarlo di 



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LIBRO V.’ laS 


venti talenti , con aggiungerne egli cinque del suo. Ca» 

duto Tarquinio Cotlaiino in tale disgrazia si ritirò a 

Lavinia , antica madre de’> Latini dove carico di anni 

mori. Bmto non sopportando di essere solo al comando, 

per non dare sospetto , che levato avesse il compagno 

dalia patria per fervisi re , chiamò bentosto il popolo al 

campo dove usava eleggere i sovrani- e gli altri magi» 

strali , e creò per collega nel consolato Pubblio Yale» 

rio , uno dei discendenti , come sopra fu detto , dai 

Sabini , uom degno di ammirazione e di lode per le 

molle suo doli , e principalmente per la sobria sua 

vita. Egli trovando in sé stesso una luce naturale di 

filosofia , la fece brillare in più affari , come poco ap» 

presso diremo. 


XIII. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a 

morte , quanti erano , i congiurati al ritorno de’ fuom» 

sciti , e dichiararono libero e cittadino il servo . che 

aveali denunziali , colmandolo di oro. Poi fecero tre 

bellissimi ed utilissimi regolamenti , che la città con- 

temperarono a pensare tutta di un modo , sminuendo il 

favor pe' nemici. Il primo spediente fu di scegliere i 

migliori della plebe e di crearli patrizj , onde compier 

con essi un Senato di trecento. Appresso esposero al 

pubblico le suppellettili del tiranno , concedendo che 

ognuno se ne avesse , quanto toglievano ; e comparti- 

rono i terreni di esso a chi non aveane , riservandone 

unicamente il campo tra ’l fiume e tra la città , dedi- 

cato già dal voto degli antenati a Marte , come prato 

benissimo pe’ cavalli e per gli esercizj de’ giovani in 

arme. Tarquinio però , sebbene prima di lui fosse già 



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ia 6 DELLE ajitichita’ romane 

sacro a qnel nume , aveaselo appropiato , e sem inavaci : 

di che è sommo argomento la risoluzione allora presa 

da’ consoli sul ricollo che sen ebbe. Imperocché sebbene 

avessero conceduto al popolo di prendere e portarsi 

quanto era del tiranno , non però consentirono che al- 

cuno si arrogasse il grano germogliatovi , sia che fosse 

nelle spighe , sia che nell’ aja , sia che già lavorato ; 

ma decretarono che si gettasse nel fiume come esecraa* 

do , né degno che se lo avessero in casa. £ di tal giuo 

sopravvanza ancora , monumento famoso , la isoletta sa- 

cra ad Esculapio , bagnata intorno dal fiume , prodotta, 

dicono , dagli ammassi delle paglie corrotte , e dai fango 

che vi si appiccò nel correr delie acque. Rispetto a 

quelli che eransi fuggiti a Tarquinio accordarono ad 

essi generale perdono , e ritorno sicurissimo in patria 

fra venti giorni , intimando a chi venuto non fosse in 

quel termiue , 1’ esilio perpetuo e la confisca de’ beni. 

Or tali provvedimenti impegnarono ad ogni cimento 

quei che godeano le robe , quante mai fossero del ti- 

ranno, sul timore che non venisse ior meno l’utile che 

ne aveano; come impegnarono a favorire non più la 

tirannide ma la patria , que’ lutti che per le gesta loro 

sotto dei despoti , eransi esiliati da sé stessi , per timore 

di non pagarne le pene. 


XIV.- Ciò fallo , si diedero co* pensieri alia guerra te- 

nendo intanto 1’ esercito in campo presso di Roma sotto 

le insegne e li capitani per addestrarvelo ; perchè aveano 

udito che i fuornscili apparecchiavano centra loro ua 

armata dalle città dell’ Etruria , e che quelle de’ Tar- 

quinj e de’ Vejenii , potentissime ambedue, cooperavano 



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LIBRO V. 127 


manifettamente al ritorno di essi , mentre gli amici loro 

adunavano dalle altre de’ stipendiati e de’ volontarj. Ma 

non si tosto seppero che l’ inimico moveasi , delibera- 

rono di farsegli incontra ; e passando prima di esso il 

fiume , s' inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni 

nel prato Giunio , presso la selva sacra ai genj di Ora- 

to (i). Trovaronsi ambedue le milizie quasi pari di nu- 

mero con ardore eguale per combattere. £ su le prime, 

surse , appena si videro , picciola mischia tra’ cavalieri , 

innanzi che le fanterie prendessero campo. Cosi gli uni 

sperimentarono gli altri , e non vincitori e non vinti si 

ritirarono ciascuno al corpo de’ suoi. Quindi messa la 

fanteria nel centro , e la cavalleria nelle ale si mossero 

da ambe le parti coll' ordine stesso fanti e cavalli gli 

uni contro degli altri. Conducea l’ala destra Valerio il 

console , contrapponendosi a’ Yejeuti : Bruto reggea la 

sinistra avendo a fronte la n^ilizia de’ Tarquiniesi co- 

mandata da’ figli del tiranno. 


XV. Erano già già per venire alle mani quando 

' avanzandosi dalle fila de’ Tarquiniesi 1’ uno de’ figli del 

tiranno , ( Aruute ne era il nome) il più vago di aspet- 

to , e più magnanimo de’ fratelli, e spinto il cavallo verso 

i Romani in parte, dove tutti ne intendesser la voce, 

coperse d’ ingiuria il duce Romano , chiamandolo fe- 

rino , selvaggio , lordo del sangue de’ figli , imbelle e 

vile , e lo sfidò per tutti a combattere solo. E colui non 



(i) Cosi nel Codice V.iticano. Alcuni peto leggono jirslo in luogo 

di Orato , perchè secondo Tilo Livio e Valerio Massimo jfrtia si 

idiiamava la selva. 



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128 DELLE Antichità’ romane 

più bastando alle ingiurie , spronò dal suo posto il ca- 

vallo senz' attendere gli amici che nel distoglievano , 

correndo fortissimamente alla morte che eragli apparec- 

chiata dai fati. Rapiti ambedue da pari ardore , intenti 

a ciò che era da fare non a ciò che ne patirebbono , 

avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dell’al- 

tro , e vibransi colle aste colpi vicendevoli , non repa— 

rabili cogli scudi , nè con gli usberghi , immergendone 

la punta chi nelle coste , e chi nelle viscere. Urtatisi 

per la foga del corso i cavalli nel petto , eievaronsi su 

pie’ di dietro , e girandosi colla cervice rovesciarono i 

cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue in copia 

dalle ferite , e lottando colla morte. Come le milizie 

videro caduti i duci loro , spiccaronsi tra clamori e stre- 

pito , e sorsene battaglia , quant’ altre mai ferocissima , 

di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile. Impe- 

rocché li Romani dell’ ala destra comandati da Valerio 

console vinsero li Vejenti , ed incalzandoli 6no agli 

alloggiamenti , copersero il campo di stragi. Per l’ op— 

posito i Tirreni dell’ ala destra guidata da Tito e da 

Sesto figli del tiranno misero in volta i Romani dell’ala 

sinistra , e corsi presso alle loro trincierò usarono per- 

fino tentare se poteano in quell’ impeto primo espu- 

gnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v’ erano 

dentro , si ripiegarono. Àveanci di guardia i Triarj , 

cosi detti , veterani peritissimi di guerra pel lungo eser- 

cizio, e soliti riservarsi pe’ cimenti più gravi , quando 

ogn’ altra speranza vien meno. 


XVI. E fattosi già il sole presso l’ occaso , tornarono 

gli uni e gli altri a’ proprj alloggiamenti non ti lieti 



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LIBRO V. I 29 


per la viuoria , che doleati per la moltitudine de’ per- 

duti compagni. E se doveasi far nuova battaglia non 

credeano bastarvi quanti erano intatti fra loro ; essendo 

i più feriti : se non che più grande era I’ abbattimento, 

e la diffidenza ne’ Romani per la morte del comandante; 

in guisa che venne a molti in pensiero che fosse il loro 

migliore di abbandonare prima del di le trìnciere. Ma 

intanto che cosi pensavano e dicevano usci circa la 

prima vigilia dal bosco presso al quale accampavano 

una voce , sia del genio tutelare del bosco medesimo , 

sia di Fauno che chiamano , la quale rimbombò su 

l’uno e l’altro esercito, sensibilissima a tutù. A Fauno 

ascriveano i Romani i panici timori , e tutte le visioni 

che varie ne’ luoghi varj presentansi spaventosamente ai 

mortali : e di questo Dio dicono che sian opera le chia* 

mate fatte dal cielo , le quali tanto perturbano chi le 

ascolta. Animava questa voce i Romani a bene operare 

quasi avessero vinto , significando come era morto uno 

di più tra’ nemici : e dicono che levatosi a tal voce 

Valerio ne andasse nel cuor della notte agli alloggia- 

menti de’ Tirreni, e che uccidendoveli per la più parte, 

o fugandoneli s’ impadronisse del campo. 


XVII. Tal fu l’esito di questa battaglia. Nel giorno 

appresso i Romani spogliarono i cadaveri de’ nemici ; • 

seppelliti quelli de’ suoi , partirono. I migliori de’ cava- 

lieri , presolo con molta onorificenza e con lagnme , 

riportavano a Roma il corpo di Bruto in mezzo ai fregi 

della propria virtù. Mossero all’ incontro di essi il Se- 

nato che avea decretato che si portasse il duce con 

pompa trionfale , ed il popolo che ricevè l’ esercito con 


BIOaiGl , torneai. 9 



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i3o DELLE Antichità’ romane 

crateri colmi di vino e con mense. Giunti nella città ; 

il console ne trionfò come i re soleano , quando solen- 

nizzavano i sagriBzj e le pompe pe’ trofei ; ed offerse 

a’ numi le spoglie , e fe' di quei giorno una festa , 

convitando i più riguardevoli de* cittadini. Pigliata nel 

giorno appresso lugubre veste , ed esposto il cadavere 

di Bruto su magnidco letto in splendido ornamento nel 

F oro , vi convocò la moltitudine , e salito in palco , ve 

ne recitò 1’ elogio funebre. Io non so ben discemere se 

Valerio il primo introdusse in Roma quel costume , o 

se dai re io desunse : ben so che ti*a* Romani antichis- 

sima é la istituzione degli elogi nella morte de’ valentuo- 

mini ; e so da’ pubblici documenti di poeti antichi , e 

di storici famosissimi che non i Greci i primi la fon- 

darono. Imperocché le vecchie storie danno a conoscere 

che ci aveano in morte di uomini insigni , combatti- 

menti equestri e ginnici , come Achille ne fe’ su Pa- 

troclo , e come Ercole , prima ancora , su Pelope : ma 

che gli encomj se ne recitassero , ninno lo scrive se 

non i tragici di Atene , i quali adulando la propria 

città , favoleggiarono che avesse ciò luogo nei sepolti da 

Teseo. Laddove tardi istituirono gli Ateniesi per legge 

le funebri laudazioni ; sia che le incominciassero su 

quelli che morirono per la patria ad Artemisio , a Sa- 

lamina , a Platea , sia che su quelli i quali caddero a 

.Maratona. E la impresa di Maratona , se in quella sì 

cominciarono gli elogj pe’ defonti , è più tarda della 

morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando 

d’ investigare quali stabilissero prima i lugubri encomi , 

voglia esaminare presso chi sia la legge meglio ordi- 



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LIBRO V. 1 3 I 


nata ; la troverà tanto più savia tra questi che tra quelli, 

quanto che gli Ateniesi introdussero i pubblici elogi 

mortuali , pe’ defunti in battaglia , quasi estimassero la 

bontà del solo termine glorioso della vita , sebbene al> 

tronde indegnissima : laddove i Komani destinarono tal6 

onore non al soli estinti nel combattere , ma a tutti 

gli uomini , insigni per sublimi consigli , o per belle 

operazioni , sia che in città , sia che in guerra avessero 

comandato, ovunque morissero , giudicando che debbansi 

i valentuomini celebrare non per la sola morte luminosa , 

ma per tutte le virtù della vita. 


XVIIl. Così morì Giuoio Bruto, colui che schiantò 

la tirannia , che primo fu console dichiarato , che tardi 

rendutosi illustre 6orl sì , piccini tempo , ma fortissimo 

parve fra tutti. Non lasciò prole non di maschi non di 

femmine , come scrivono gli storici i quali esaminarono 

le cose de’ Romani , ancor le più chiare : di che ne 

allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non 

facile a vincersi , che egli era dell’ ordine de’ patrizj ; 

laddove quei che si dicono originati da lui li Giunj e 

li Bruti eran tutti plebei, perocché conseguivano le ca- 

riche degli edili e de’ tribuni , che son quelle che per 

legge a’ plebei si permettono , e non il consolato , cui 

niun conseguiva fuorché li Patrizj. E quando questa di- 

gnità si concedette ancora a’ plebei coloro non la otten- 

nero se non tardi. Ma lasciamo che discutano ciò quelli 

a’ quali si appartiene conoscerlo più chiaramente. 


XIX. Dopo la morte di Bruto , Valerio il collega 

suo , divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scet- 

tro ; primieramente perchè tenea solo il comando , do- 



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l3a DELLE ANTICHITÀ* ROMANE 


vendo far subito eleggersi un compagno , come quando 

Bruto ripudiò Gollatino ; e poi perchè aveasi fabbricato 

la casa in sito invidiato , preso nella parte alta e dirotta 

del colle , il quale chiamasi Yelio e domina il Foro. 

Convinto però da' suoi come ciò dispiaceva al popolo , 

pre&sse il giorno pe’ comizj e fe’ darsi un compagno in 

Spurio Lucrezio. E morendo costui dopo pochi giorni 

della sua magistratura , sostituì Marc' Orazio ; e trasferì 

r abitazione sua dalle cime alle radici del colle , perchè 

i Jtomani , come ei disse concionando , potessero tem- 

pestarlo co* sassi date alto se trovavano eh* ei facesse 

ingiustizia. E volendo rendere il popolo più certo della 

sua libertà levò le scuri dai fàsci , dando ai consoli sue* 

cessivi il costume , durevole pur ne’ miei giorni , di 

usare le scuri quando escono di città , ma di non por- 

tare nell’ interno di essa che i fasci soli. Fondò leggi 

piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo; proi- 

bendo con una manifestamente che niun de’ Romani 

andasse alle magistrature se dal popolo non le prendeva; 

con pena di morte a chi contravvenisse , e licenza a 

tutti di ucciderlo. Con altra legge si decretava : Se un 

magistrato Romano voglia uccidere, o battere, o mul- 

tare alcuno in danari; possa f uomo privato appel- 

larne al popolo senza che intanto niente ne soffra 

dal magistrato finché il popolo ne sentenzii. Or sic- 

come onoravasi con tali regolamenti il popolo ; cosi ne 

diedero al console il nome di poplicola , che in greco 

appunto significa curatore del popolò. E tali sono le 

cose fatte in quell’ anno dai consoli. 



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LIBRO V. l33 


XX. Nell* anno seguente (i) fu di nuovo creato con> 

sole Valerio , e con esso Lucrezio : ma non si fece 

nulla di memorabile se non il censo de’ beni , e la tas* 

sazion dei tributi per la guerra secondo le istituzioni di 

Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio , 

e rinovate da essi la prima volta. Trovaronsi in Roma 

idonei alle arme cento trenta mila : e fu spedito un 

esercito per guardia a Sincerio (z) , luogo di frontiera 

contro i Latini e gli Ernie! da’ quali si aspettava la 

guerra. 


XXL Creali consoli (3) Valerio detto Poplicola per 

la terza volta e Marc’ Orazio con esso per la seconda, 

'Laro , re di Chiusi nell’ Etrurìa , quegli che Porsena si 

cognominava , promise ai Tarquinj ricorsi a lui , 1’ una 

di queste due cose , o di riconciliarli co’ Romani pel 

ritorno , e la ricuperazion del comando o che ripiglie» 

rebbe e renderebbe ad essi i beni de’ quali erano stati 

spogliati. Imperocché spediti 1’ anno precedente amba>> 

sciadori a Roma , i quali portavano preghiere miste a 

minacce , non aveaci ottenuto nè la riconciliazione , nè 

il ritorno de’ Tarquinj; pretestando il Senato le impre- 

cazioni e li giuramenti fatti contro di questi, nè aveaiie 

riavuto i beni , negando restituirli coloro che se gli 

aveano divisi , e godevanli. E non contentato in niuna 


delle domande , e chiamandosene vilipeso e conculcato , 


• 


(i) a46 secondo Catone e a4S secondo Varrone dalla fondazione 

di Roma , e 5o6 STanti Cristo. 


(a) Nel Codice Vaticano sì legge Tiiionirio. 


(3) a47 sec. Ceti e a4g see. Var. dalla fondazione di Boma , 

e 5o5 avanti Cristo. 



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i34 DELLE Antichità’ romane 

arrogante altronde , e briaco per 1’ ampiezza delle sue 

ricchezze e dominio , credette avere cagioni assai per 

abbattere la signoria de’ Romani , come già per addie- 

tro desiderava , ed intimò loro la guerra. A lui si con* 

giunse Ottavio Mnmilio il genero di Tarquinio sul di- 

segnò di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli 

si mosse dalla città del Tuscolo e menò seco i Carne - 

rifai , e gli Antemnati , lignaggio latino , alienali già pa- 

lesemente da’ Romani , e molti volontarj suoi fautori , 

delle altre genti Latine le quali ricusavansi ad una guerra 

manifesta contro di una città confederata , e tanto po- 

derosa. 


XXII. Saputo ciò li consoli romani ordinarono a’tml- 

tivatori di portare masserìzie , bestiami , e schiavi ai 

monti vicini , fabbricandovi -ne’ luoghi forti de’ castelli , 

opportuni a difendere chi vi si riparava. Quindi pre- 

munirono con più potenti maniere e con guarnigioni il 

Gianicolo , alto colle , cosi chiamato , nelle vicinanze di 

Roma di là dal Tevere, e provvidero con ogni diligenza 

perchè non divenisse un baluardo pe’ nemici contro la 

città, e vi depositarono gli apparecchi per la guerra. 

Quanto alle cose interne della città le disposero , ancor 

più propiziamente verso del popolo , diffondendo assai 

beneficenze su’ poveri , perchè questi non si ripiegas- 

sero in verso de’ tiranni , nè tradissero per 1’ utile 

proprio , il comune ; imperocché decretarono che fos- 

sero immani da’ tributi pubblici , quanti al tempo dei 

te ne pagavano , nè soggiacessero a spese di milizia e 

guerra , giudicandoli assai contribuirvi se la persona 

esponevano per la patria. Collocarono nel campo dinanzi 



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LIBRO V. l35 


Roma la milizia preparata ed esercitata già da gran 

tempo. Giunto il re Porsena coll’ esercito espugnò di 

assalto il Gianicolo , spaventandovi i Romani che lo 

presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi 

marciò verso la città quasi avesse a prenderla senza fa* 

tica. Ma fattosi ornai prossimo al ponte , e visti accam- 

pati i Romani nella riva a lui più vicina del fiume - si 

apparecchiò per combattere , in guisa da sopraffarli col 

numero, e spinse assai spregiantemente innanzi la mi- 

lizia. Reggeano l’ ala sinistra Tito e Sesto figli di Tar- 

quinio , tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da 

Roma , il fiore della gente di Gabio , e stranieri , e 

mercenari non pochi. Mamilio il genero di Tarqninio 

comandava la destra ov’ erano i Latini ribellatisi da’ Ro- 

mani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata 

nel centro. Ma Spurio Largio , e Tito Erminio teneano 

l’ala destra de’ Romani contro ai Tarquinj: Marco Va* 

lerio, fratello del console Poplicola, e Tito Lucrezio il 

console dell’ anno precedente stavano colla sinistra a 

fronte di Mamilio e de’ Latini. Moveano tutti due i 

consoli il corpo fra le due ale. 


XXIII. Fattasi alle mani combattè virilmente l’una e 

l’altra milizia con lunga resistenza; superando i Romani 

per esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma po- 

tendo questi assai più de’ primi col numero. Alfine ca- 

dendone quinci e quindi in gran copia s’ intimorirono 

prima i Romani dell’ aia sinistra in vedere i loro duci 

Valerio e Lucrezio feriti , e portati fuori della batta- 

glia ; e poi , quando mirarono in piega i loro compa- 

gni, sbigoltironai aneli’ essi, quei dell’ala destra sebbene 





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i36 DELLE Antichità’ bomane 

ornai vincitori delle schiere de’ Tarqainj. E fuggendosi 

tutti alla città , |>recipitosi , in folla , su per un ponte 

solo ; piombavAno intanto su loro ferocissimi gl’ inimici : 

e poco mancato sarebbevi che Roma priva di mura 

dalla banda del fiume , fosse espugnata , se i vincitori 

investita 1’ avessero misti co’ fuggitivi. Se non che so- 

stennero r inimico , e salvarono tutto 1’ esercito tre uo- 

mini , due seniori , Spurio Largio , e Tito Erminio , 

appunto i duci dell’ ala destra , e Publio Orazio , un 

giovine, il più beilo, il più valoroso de’ mortali Coclite 

detto dallo strazio degli occhi , per essergliene stato di* 

velto uno in battaglia. Era questi figlio dei fratello di 

Marc’ Orazio console , e traeva la origine sua generosa 

da Marco Orazio 1' uno de’ trigemiai che vinse già li 

tre Albani ,. quando le città guerreggiando per la pre- 

minenza . accordaronsi a non cimentarsi con tutte le 

forze , ma con soli tre uomini , come fu dichiarato nei 

libri antecedenti. Questi soli fattisi alla lesta del ponte 

disputarono gran tempo il passo al nimico , fermi sul 

posto medesimo , in mezzo a nembo di strali e tra ’l 

fulminar delle spade , finché tutta l’armata ripassò di 

qua dal fiume. 


XXIV. Come però videro in salvo i suoi , Erminio 

e Largio , laceri già nell’ armatura pe’ colpi incessanti , 

si ritirarono a grado a grado. Orazio però , sebbene 

dalla città lo richiamassero i cittadini ed il console , e 

tentassero per ogni via di salvare un tal uomo ai pa- 

renti e alla patria , Orazio solo non ubbidì , ma nel 

posto suo si rimase come dianzi , raccomandando ad 

Erminio di dire in suo nome ai consoli che tagliassero 



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LIBRO V. 1 37 


verso la città, quanto prima potevano il ponte. Era di 

quel tempo il ponte uno solo e di legno , con tavole 

congiunte per sè stesse e non per ferrei grappi , quale 

custodiscesi tuttavia dai Romani : raccomandò nemmeno 

che quando avessero sconnesso il più del ponte , quando 

picciola parte resterebbe a disfarne , a lui lo dichiaras- 

sero con certi segni , o con sonora voce. Lasciassero a 

lui poi la cura del resto. Cosi ricordando a que’due si 

tenne in snl ponte, e parte col ferir della spada, parte 

col dar dello scudo, ne respinse , quanti investendolo , 

vi si avventavano. E già quelli che perseguitavano il 

romano non ardivano più venire alle mani con esso , 

come preso da furore e fermo di morire *, molto più 

che non era facile andar fino a lui , che aveva a destra 

e a sinistra il fiume , e dinanzi un monte di cadaveri e 

di armi : ma tenendosegli discosti Io bersagliavano in 

folla con lance, e dardi, e sassi quali empirebbon la 

mano ; o coi brandi e coi scudi degli estinti , se non 

aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro 

medesime : tirando su la moltitudine ; sempre , com’ è 

verisimile, colpiva alcuno. E già percosso , già carico 

egli era di ferite in più parti del corpo , già un colpo 

portatogli direttamente per la coscia alla testa del fe- 

more , lo addolorava e difficoltava nel caminare; quando, 

udendo gridarsegli addietro essere il ponte nella sua più 

gran parte disciolto, si gettò di un salto colle arme nel 

fiume. E valicatolo a stento, perchè divenuto rapido e 

molto vorticoso per le travi che già sostenevano il pon* 

te , e che ora abbattute rompevano il corso delle acque, 

fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto 

perduta niuna delle armi. 



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i38 DEixK Antichità’ romane 


XXV. Tale azione produsse a lui gloria immortale : 

e li Romani coronandolo lo portarono immantinente 

per la città com’ nno degli eroi tra’ cantici trion&li. RU 

versavasi la urbana moltitudine, finché le era permesso, 

per desiderio di vederlo , almeno nell’ ultimo presentar- 

sele; sembrandole che tra non molto morirebbe per le 

ferite. Scampò tuttavia da morte; ed il popolo mise 

nella parte più cospicua del Foro la statua metallica di 

lui com’ era fra le armi ; e diedegli del terreno pub- 

blico quanto ne potrebbe in un giorno un pajo di buovi 

arare d’ intorno ; e senza contare i pubblici doni , ogni 

uomo o donna , i quali erano insieme più che trecento 

mila, gli recarono ciascuno il vitto di nn giorno men- 

tre era fra tutti terribile la peuorta. Orazio dimostrala 

in tal tempo tanu virtù parve più che tutti i Romani 

invidiabile. C quantunque, divenuto perchè zoppo, inu- 

tile ad altr’ incarichi nou potesse in vista di tale scia- 

gura conseguire nè il consolato, nè altre militari presi- 

denze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da 

lui, vedendolo tutti ì Romani, in quella battaglia, me- 

rita di esserne encomiato quanto mai lo fosse ciascuno 

de’ più famosi per la fortezza. Cajo Muzio , sopranno- 

minato Cordo , sceso da chiari antenati , anch’ egli si 

mise ad una nobilissima impresa. Io ne dirò tra poco 

dopo esposti i mali che allora ingombravano Roma. 


XXYI. Dopo quella battaglia il re dei Tirreni col- 

locatosi nel monte vicino, dal quale avea discacciato il 

presidio romano , dominava tutta la campagna di là dal 

Tevere. Li figli di Tarquinio , e Mamilio il genero di 

lui tragittando le milizie loro picciole barche aU 



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LIBRO V. ' i3y 


r altra riva per cui vasai a Roma , accampamsi in 

luogo ben forte. Donde slauciandosi davano ilguasto 

alle terre , ed agli alloggi pe’ bestiami , e piomavano 

su’ bestiami stessi che uscivano dai sicuri luo^i per 

pascere. Ora essendo tutto 1* aperto in balìa el iie» 

mico, nè più di qua, nè più sopra il fiume reandoai 

in città le merci se non scarsissime; vi riuscì be tosto 

carestia gravissima ; consumandovi tante raigliaja Iprov- 

vigioni già fattevi , che non erano copiose. Allea gli 

schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon nttiero, 

disertavano dai padroni , e li più malvagi del ppolo 

trasferivansi alle parti del tiranno. In vista di ciò arve 

ai consoli di supplicare i Latini i quali riverivano' le> 

gami del sangue , e sembravano fidi ancora , che ian> 

dassero come prima potean de’ rinforzi : e di spjire 

ambasciadori a Cuma nella Campania, ed alle itià 

Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvenneri ad 

essi i Latini ; come quelli che non credevano giusti far 

guerra con Tarquinio nè co’ Romani , avendo con m- 

bedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio pe- 

diti commissari pel trasporto de’ frumenti, avendo trin- 

cate da’ campi Pomentini più barche di ogni vettva- 

glia , le introdussero in una notte senza luna dal tare 

EU pel fiume, in occulto de’ nemici. Ma venuta mno 

ben tosto pur questa provvigione, e ridottisi gli uoainì 

ai disagi di prima ; Porsena chiarito dai disertori cime , 

que’ eh’ eran dentro vi penuriavano , mandò arabi ad 

essi intimando che ricevessero Tarquinio se veleno li- 

berarsi dalla guerra e dalla fame. 


XXVII. Non comportarono i Romani il coaando , 



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i4o DELLE Antichità’ romane 

risola piuttosto di subirne ogni male. Ma prevedendo > 

Musi' che l’una delle due ne seguirebbe, o che vinti 

dal bogno non terrebbono gran tempo la parola , o 

che aendola ne perirebbono sgraziatissimamente; pregò 

li coioli che gli adunassero il Senato , come volesse 

proprgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli , 

disse Io medito o senatori una impresa, donde il 

popo nostro s’involi da’ mali presenti. Ardita molto 

ella ì questa , ma facile , io penso , da compierla. 

Beri , riuscendomi , poco , ower nulla io spero su la 

mie vita. Ora essendo io per espormi a tali pericoli, 

anaaiovi da speranze sublimi, non ho voluto che , 

voitutti lo ignoraste ; perchè se mi accada di mancar 

la trova , io sitine celebrato almeno per V azione bel- 

lis.ma , e me ne abbia gloria eterna in luogo del 

capo mortale. Già non era sicuro palesar quanto 

mcchino al popolo , perchè niuno spinto dall util suo 

ne riferisse à nemici, quando è ciò da nascondersi 

cote arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli ma- 

niestolo, i quali , ne confido, lo tacerete: gli altri da 

vo r udiranno a suo tempo. La impresa che io medito 

è mesta : Fintomi disertore , andrommene al campo 

Treno. Se non mi ciedono e muojo , voi non avrete 

peduto che un cittadino : laddove se mi riesce intro- 

dumi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il 

sue re. Caduto Porsena , sarà per voi finita la guerra. 


Io pronto sono ad ogni sorte , qualunque gli Dei me 

ne òstinino : e tenendo voi per consapevoli e tesli- 

monj miei presso del popolo , e pigliando il genio 

buoni della patria per guida , portomi^ e vado. 



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LIBRO V. 1 4 1 


XXVni. Encomiatone dai senatori presenti , ed avuti 

gli augurj propizj per la impresa , passa il Tevere : e 

giunto agli alloggiamenti de’ Tirreni , ne penetra come 

nno di essi le porte , deludendone le guardie : perchè 

non portava arme visibili , e perchè parlava alla tir> 

rena , come eravi fanciullo stato istruito dalla sua na- 

trice tirrena. Approssimatosi al Foro ed alla tecda del 

principe vedevi un uomo cospicuo per grandezza e 

complessione di membra seduto in veste di porpora nel 

tribunale in mezzo a molti che armati lo circondavano. 

Or pensò , ma indarno , che costui fosse Porsena, non 

avendo altra volta mai veduto il re de’ Tirreni : ma 

egli non era che il regio scriba il quale sedea nel tri- 

bunale e numerava i soldati , e registravano i paga- 

menti. Inoltrasi a tal vista tra la moltitudine fino allo 

scriba, e salito, senza esserne impedito perchè inerme, 

snl tribunale , cava il pugnale che celava sotto l’abito , 

e daglielo in capo. Ucciso con un colpo lo scriba, egli 

è preso immantinente e portato al re già consapevole 

della strage. Il quale vedutolo appena , Ah scelleralis- 

simo ! esclama, pagherai ben presto le pene che me- 

ritasti. Dì , chi sei ? donde vieni ? e su qual confi- 

denza osasti un tanto attentato ? Destinavi la sola 

morte delio scriba, o la mia parimente ? quali com- 

pagni hai tu della perfidia? Non celarmelo, o li tor- 

menti vi ti forzeranno. 


XXIX. E Muzio non presentando pur un segno di 

paura non col variar del colore , non colla fissezza dei 

pensieri, nè con altre affezioni solite in chi dee punirsi 

(li morte gli rispose : lo sono un Romano: venni qual 



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i/ja DELLE Antichità’ romane 

diserlom ed tuo campo , nè già per causa vile , ma 

per liberare la patria dalla guerra, lo voleva uccidere 

te , qu$nUmque io non ignorava che o riuscissi o fai' 

lèssi tujl colpo io ne dovrei morire : io destinava con' 

secrard alta patria la vita , e lasciarle pel corpo che 

essa àveami dato , una gloria sempiterna. Errai : e 

causa ifelT errore furono la porpora , lo scanno , e le 

altre irfsegne del comando. Uccisi chi non voleva ! . . 

lo scriba tuo per te stesso. Pertanto io non ricuso la 

morte thè io decretava a me medesimo nell accingermi 

a rfuesta impresa. Che se tu giuri per gli Dei di ri- 

sparmiarmi li tormenti e gli ohbrobrj ; io prometto 

che ti svelerò cose , gravissime per la tua salvezza. 

Cosi Muzio diceva per deluderlo. E colui come attonito, 

e temendo pericoli non veri da molti , glie lo giurò. 

Muzio allora ideato un inganno del quale non potea 

convincersi : disse : O re , trecento Romani tutti a ma 

pari di età , tutti patrizj di condizione , abbiamo mac' 

chinata di ucciderli , dandocene vicendevoli giuramenti. 

Pavé, a noi quando ci consultavamo su le maniere 

insìiiarli , che non tutti insieme ci ponessimo a 

questa impresa , ma ciascuno da sà , tacendo perfno 

ai compagni , quando , dove , come , e con quale oc- 

casione £ investirebbe , acciocché facile ci fosse di 

occulterei. Cosi macchinando , ci demmo le sorti , ed 

io me la ebbi il primo per cominciare la impresa. 

Istruito tu dunque che tanti valentuomini hanno sete 

egiude di gloria, e che forse alcuno la sazierà con 

successo più fausto del mio ; deh ! considera se possi 

more mai guardia abbastanza che ti d fenda. 



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LIBKO V. 143 


XXX. Il re ciò udendo comanda al «atelliti che in- 

calenino costui , se lo menino , e lo custodiscano diii> 

gentissimamente : egli poi convocando i più amici , e 

facendo che Arunte il figlio suo gli sedesse da presso , 

ragionò con essi le maniere da far vane le insidie : ma 

suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano co- 

gliere il punto : quando il figlio suo propose un consi- 

glio , superiore all’ età ; perciocché volea che non si 

pensasse a guardie onde precludere i mali, ma piuttosto 

a far quello per cui le guardie non bisognassero. E 

maravigliandosi tutti del suo consiglio , e desiderando 

sapere come lo eseguirebbe ; col farci , ei disse , amici 

i nemici , e col pregiare o padre, la salvezza tua più 

che il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: cìut egli ben 

diceva, ma essere da consultare come consdignità si 

pacificassero. Sarebbe gran vitupero , se egli che uvea 

superato in battaglia , e tenea ristretti i Romani fra 

le mura si ritirava , senza compiere quanto avea pro- 

messo ai Tarquinj , quasi vinto dai vinti , e quasi 

fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte. 

Facea conoscere che l’unico mezzo da togliere le ni- 

niicizie sarebbe , se gli avversar) mandassero ambasciadori 

per trattare gli accordi. 


XXXI. Cosi disse in quel giorno agli astanti ed al 

figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato egli il 

primo a fare proposizioni di pace per questa cagione. 

Sbandatisi intorno i suoi militari , e datisi a predar di 

continuo quei che recavano in città le merci; i consoli 

Romani se ne misero in buon luogo alle insidie , e 

molti ue uccisero , e più ancora ne imprigionarono. Di 



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i44 DELLE Antichità’ romane 

ohè nuioontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro 

iocolpaodo il monarca e i duci suoi sul tanto prolun-' 

garsi della guerra , e sfogandosi in desiderj di rendersi 

alle lor case. Or vedendo come tutti gradirebbero ma* 

nilestamente la pace spedi per trattarla i più intimi suoi. 

Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio 

sul giuramento di tornare poscia al monarca: ma vo* 

glion altri che fosse piuttosto custodito come ostaggio 

nel campo fino alla pace : il che forse è più verisimile.' 

Questi poi furono gli ordini che il re diede a’ commise 

sarj ; non dicessero parola sul ritorno de Tarquinj ; 

ma ne raddomandassero i beni , principalmente gli 

ereditar] dal canto di Tarquinio P antico , già posse- 

duti da essi bitoncunenle : e se ciò ricusatasi; dessero 

almeno , quant’ era possibile , i compensi delle case , 

de' bestiami , de' campi ,» delle raccolte , come purea 

loro espediente , col danaro del pubblico , o de' pos- 

sessori , ed usufruttuarj atlucdi de' beni. E ciò quanto 

ad essi. Chiedessero poi > per lui che deponea le inimi- 

cizie li sette pagi , cosi detti , antico luogo dell' Etru- 

ria , invaso da Romani nella guerra e tolto a proprie- 

larj , e finalmente chiedessero de' giovani delle famiglie 

più insigni , per ostaggio , che i Romaai si terrebbono 

amici costanti de' Tirreni. > 


XXXII. Venuti i deputati a Roma , il Senato per in* 

sinuazione di Poplicoia console si risolvè di accordarne 

tutte le dimande in vista della penuria che alHigeva il 

popolo e . la classe de* poveri ; onde accettissima sarebbe 

loro una pace , giusta nelle condizioni. Il popolo ratificò 

tutti gli articoli del decreto del Senato; non soffri però 



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LIBRO V. 145 


die si vendessero i beni , o si desse a’ Tarquinj dana- 

ro , privato nè pubblico , e volle che si mandassero am- 

basciatori a Porsena perchè si contentasse degli ostaggi 

e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli 

giudice fosse tra’ Romani e tra Tarquinio , udisse 1’ una 

e r altra parte , e ne sentenziasse non per favore nè 

per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa risposta , 

e con essi gli ambasciadori del popolo i quali condu- 

ceano per ostaggi venti giovani delle famiglie più illu- 

stri , avendo i primi dato i consoli Marco Orazio il 

6gl lo, e Publio Valerio la figlia, idonea già per le 

nozze. Pervenuti questi nel campo , il re dilettatone , e 

molto- lodati i Romani, conchiuse una tregua per un 

numero certo di giorni, e prese a giudicare la causa. 

Baltristaronsi però li Tarquinj , caduti dalle speranze 

più lusinghiere , che avrebbegli quel monarca ricondotti 

sui trono ; e per necessità dovéttero acconciarsi alle 

circostanze, e prendere clocch’era lor conceduto. Giunti 

da Roma al tempo ordinato i più anziani de’ senatori e 

gii oratori della eausa ; il re sedutosi cogli amici nel 

tribunale, ed assunto anche il figlio per giudice ; intimò 

che parlassero. 


XXXIII. Trattavasi ancora la causa , quando un tale 

annunziò che gli ostaggi s’ eran fuggiti. Perciocché le 

donzelle tra' questi , avuta come la chiedeano , la facoltà 

di andare e di bagnarsi nel fiume , andatevi , dissero 

agli uomini che alquanto se ne discQstassero , finché la- 

vate e rivestite si fossero, sicché non le vedessero nude. 

Or questi cosi facendo ; quelle gitlatesi a nuoto ripara- 

ronsi a Roma , eccitatevi da Clelia che le precedeva. A 


DIONIGT, tomo II, io 




i46 DELLE Antichità’. ROMANE 

ul nuova Tarqutnto assai rimproverava li Romani di 

iperginro e di mala fede , e provocava il sovrano per- 

chè più non gli adisse , come divenuto il giuoco dei loro 

tradimenti. Esciisavasi il console , dicendo queir opera , 

tutta delle donzelle , senza voler del Senato: e che pre- 

sto dimostrerebbe che niente era per inganno. Persua- 

sone il re concedè che andasse e rimeuasse come prò- 

mettea le fanciulle. Andò Valerio appunto con tal fine: 

Dia Tarquinio e il genero macchinarono in onta di ogni 

diritto un opera infanóissima, e spedirono in su la strada 

una banda di cavalieri per sorprendere le fanciulle ri- 

condotte , il console , e quanti tornavano al campo , e 

ritenersene le persone pe’ beni tolti da’ Romani a’ Tar- 

qninj , senz’ aspettare il fine del giudizio. Ma non per- 

misero gl’ IJdj che succedesse loro secondo il disegno : 

perché mentre gl’ insidiatori uscivano dal .campo Latino 

per sopraffarsi a que’ che venivano , il console romano 

era già passato innanzi colle fanciulle : e già era alle 

porte degli alloggiamenti Tirreni quando fu sopraggiunte 

da’ persecutori. Si fe’ qui mischia fra loro, ma ben pre- 

sto fu nota a’ Tirreni , e ne corsero frettolosissimi in 

ajuto il figlio del re con de’ cavalieri , e la schiera dei 

fanti che stava di guardia innanzi del campo. 


XXXIV. Sdegnatosi di ciò Porsena convocò li Tir- 

reni > e narrò come essendo egli fatto giudice da’ Ro- 

mani di quello ond’ erano accusati da Tarquinio ; gli 

espulsi , e bene a ■ diritto , da loro , aveano tentato di 

violare, le persone sacre degli ambasciadori e degli ostag- 

gi , in tempo di tregua , e prima che si decidesse la 

causa. Dond’ è che i Tirreni assolvettero su di ogni 



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LIBRO V. 147 


richiamo i Romani , e togliendosi all* amicizia di Ma- 

nilio e di Tarquinio , intimarono loro cb’ entro il pros* 

rimo giorno si ritirassero. Così lì Tarquinj » pieni in 

principio di belle speranze per 1’ ajuto de* Tirreni, o di 

essere di nuovo i tiranni di Roma, o di ricuperare*! 

loro beni , perderono 1* uno e 1* altro per la offesa degli 

ostaggi e degli ambasciatori , e partirono con infamia , 

e con odio dai campo. Il re poi de* Tirreni facendosi 

condurre gli ostaggi dinanzi dei tribunale gli rendette 

al console , dicendogli che pregiava la fedeltà de' Ro- 

mani più di ogni ostaggio. R lodando Clelia , che avea 

persuaso le compagne di passare a nuoto il fiume, come 

ne* suoi pensieri maggiore del sesso e della età , e feli* 

citando Roma perchè allevava non pure de* valentuo* 

mini ma delle eroine , regalò la donzella di un cavallo 

generoso , e magniCcamente bardato. Sciolta radunanza 

fe’ cogli ambasciatori de* Romani gli accordi e li giura- 

menti di pace e di amicizia , e li onorò come ospiti , e 

restituì senza prezzo, perchè li recassero in dono alla 

loro città , tutti li prigionieri , che eran pur molti : or- 

dinò che rimanessero com* erano i padiglioni suoi, fatti 

non come per breve durata su le terre altrui , ma fre- 

giati , quasi una città, con private e pubbliche spese; 

quantunque i Tirreni dopo avervi alloggiato , usassero 

di. t noti  serbarli. E fu questo , se in danaro 


si .calcola , non picciolo dono pe* Romani , come lo di* 

chiarò la vendita fattane da* questori dopo la partenza 

del re. Tal fu la fine della guerra de’ Tirreni e di 

Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a tanti 



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i48 DELLE Antichità’ romane 

XXXV. Dopo la partenza de’ Tirreni adunatosi il 

Senato Romano decretò che si mandasse a Porsena.il 

trono di avorio, lo scettro, il diadema e la veste trion- 

fale colla quale i re si adornavano: e che Muzio , espo* 

stosi alla morte per la patria, e cagione principalissima 

del termine della guerra , si premiasse a spese del pub- 

blico ,> come già Orazio che resistè sul ponte, con tanto 

terreno; di là dal Tevere, quanto poteane in un giorno 

solcare intorno coll’ aratro : e questo è il terreno che 

pur nel mio tempo si chiama il prato di Muzio. Cosi 

fu decretato su gli uomini. Quanto a Clelia concede- 

rono che una statua di metallo se le innalzasse , ed i 

, padri 'delle donzelle glie la innalzarono nella via sacra,' 

dove mette al Foro : tifa noi non più ve l’ abbiamo tro- 

vata ; e dicesi che mancò per un incendio delle case 

d’intorno (i). Fu quest’anno compiuto il tempio di 

Giove Capitolino, dei quale partitamente abbiamo scritto 

nel libro antecedente. E Marco Orazio console lo con- 

sacrò , e lo intitolò prima che potesse tornare Valerio il 

compagno , uscito per avventura dalla città coll’ esercito , 

per difenderne la campagna : perocché Mamilio speden- 

dovi a far preda, assai vi danneggiava li coltivatori éhe 

vi si erano di fresco l'icondótti , lasciate le fortezze. -E 

questo è ne’ fasti dèi terzo consolato. ‘ 


XXXVI. Spurio Largio e Tito Erniinio consoli del- 

l’anno' quarto (2) io compierono senza guerra. Morì nel 


1 • 


; I • ■ • • 


(i| Plutarco sclibenè poslèriore a Dionigi dice che la statua di 

Clelia esisteva aucora su la via sacra là donde vasai isf e-asAttrter 

in palatiwn. Casaub. 


(3) Ad. 348 secondo Catone, e aSo secondo Vatrone dalla fuuda- 

sioue di Roma , e 5o4 avanti Cristo. 



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LIBRO V. 149 


loro consolato Aruote il 6glio di Porsena re de' Tirreni» 

Assediava già da due anni , la città della Riccia , per- 

ché conchiusa appena 1’ alleanza co’ Romani , prese dal 

padre metà dell’ esercito , e marciò contro quella città 

per sottoporsela , e dominarvi. Ma essendo ornai per 

espugnarla , sopravvennero a questa de’soccorsi da Anzio, . 

dal Tuscolo , e da Cuma della Campania. Egli schierò 

le milizie sue' minori contro le più numerose: ma dopo 

respinti , dopo incalzati gli altri 6no alla città , peri 

finalmente , vinto egli stesso dai CumanI condotti dalr 

r Aristodemo , che Malaco si chiamava. Fuggi, non 

sostennesi a tale caduta 1’ armata di lui. Molti ne ^ soc- 

comberono incalzati da’ Cumaui ; ■ ma più ancot^ : sban- 

dati ; ridotti senz' arme , nè più Idonei per le ferite a. 

fuga più lunga , ripararonsi nel territorio non lontano 

di Roma. Se li menarono i Romani dalle .campagne' in 

citté^ nelle proprie case, portandovene i più malconci a 

cavallo., o su carri, o su cocchi: e ciascuno a proprie 

spese li nudrirono, e curarono, e ristorarongll con sol-, 

lecitudine molto affettuosa. Di talché molti di loro le- 

gati da tanta benevolenza desiderarono non di tornarsene 

in patria , ma di rimanersi fra tali benefattori ; ed il 

Senato assegnò loro perclié vi si fabbricasser le case , 

la valle tra ’l Palanteo , ed il Campidoglio, lunga presso 

a quattro stadj. Chiamasi questa anch’ oggi nell’ idioma 

de' Romani la contrada Tirrena ; e vi si passa venendo 

dal Foro al circo massimo. E per tali cortesi maniere 

ebbero dal re di quella gente dono non lieve , e che 

assai li dilettava , la campagna di là dal fiume , ce- 

duta già da essi quando ne ottenner la pace. Cori 




iSó DELLE antichità’ ROMANE 

trìbuUroao agl’ Iddj li sagnfiz) magoìBci che aveano 

già promesso co’ voti se ricuperavano mai li sette 

pagi. 


XXXVn. Correa nell’ anno quinto dopo la espulsione 

dei re la Olimpiade sessantesima nona , nella quale 

Iscomaco Crotoniate vinse allo stadio, Acestoride fa 

1* arconte di Atene per la seconda volta , e furono con- 

soli Romani Marco Yalerìo , fratello di Valerio Popli- 

cola, e Publio Postumio , detto Tuberto (i). Arse nel 

loro consolato un’ altra guerra co’ vicini , la quale co- 

minciò colle prede , e procedette a numerose e grandi 

battaglie : finché cessò da indi a quattro consolati , dopo 

essersi nel tempo intermedio sempre stato fra le arme. 

Imperocché alcuni Sabini considerando Roma indebolita 

per gl’ incontri suoi co’ Tirreni , quasi non dovesse mai 

più ricuperare l’antica dignità, ne assalirono , affin di 

predarli , e certo molto ne danneggiarono , li coltiva- 

tori , i quali calavano di bel nuovo dai luoghi forti alla 

campagna. I Romani prima di prendere le armi spedi* 

rono ambasciadori a chiedere conto e soddisfazione, tal> 

ché non più molestassero chi lavorava i terreni. Ma non 

ricevendone che orgogliose risposte , intimarono ad essi 

la guerra. Valerio il console il piimo con truppe eque- 

stri e con fiore di milizie leggere scorse tu que’ ruba- 

tori de’ campi , e grande fu la uccisione de' sorpresi nri 

pascoli , sbandati , com’ è verisimile , nè provvidi del 

venir de’ nemici. E spedendo i Sabini contr’essi un 


(i) An. a49 ài Rom. ucondo Caioae, e aSi secondo Varronr, e 

&o3 «vanii Criaio, 



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LiBno V. 1 5 1 


esercito sotto un duce perito di guerra , i Romani usci* 

rono di bel nuovo con tutte le forze , dirette da ambi 

li consoli. Postumio mise il campo nelle alture prossime 

a Roma , pei'cbi uon vi si facesse una subita irruzione 

da’ fuorusciti. Ma Valerio marciò di fronte al nemico iu 

riva all’ Aniene , fiume che nella città di Tivoli casca 

da rupe altissima , e poi corre , dividendoli fra loro , i 

campi de’ Romani e de’ Sabini , finché vago in vista e 

dolce a beverne , scende nel Tevere. 


XXXVUl. Erano i Sabini dall’ altra parte del fiume 

non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte, 

e che poco a poco degrada. In principio gli uni rispet- 

tando gli altri esitavano a passare il fiume e farsi alle 

mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di beni, ma 

rapiti dfiir ira e dall’ ardor di combattere , furono alle 

prese. Imperocché venuti ad abbeverare i cavalli e far 

acqua , inoltraronsi molto entro il fiume , vmile allon 

nel suo corso , perché non accresciuto dalle acque in* 

vernali : e siccome bagnavali appena , poco più su delle 

ginocchia ; lo trapassarono. Attaccatisi in su le prime 

pochi con pochi , ecco accorrere altri a difenderli , 

ognuno dai proprj alloggiamenti , e via via sopraggiun- 

gerne di rinforzo , come questi o quelli erano superati. 

E quando i Romani respingevano i Sabini dal fiume, 

e quando i Sabini ne toglievano l’uso ai Romani. E 

molti uccisi e feritivi, ed eccitativisi tutti a combat- 

tere , come avviene nelle scaramucce fortuite , sorse ar- 

dore eguale di passare il fiume ne’ duci stessi degli 

eserciti. E primo passandolo il console Romano e con 

esso r armata sua , ' piombò su li Sabini. Non eransi 



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i5a DELLE Antichità’ romane 

questi ancora nè bene armati , uè schierati ; pure non 

esitarono ad accettar la battaglia , inanimiti molto è 

spregianti , perchè non arcano a farla nè con ambi li 

consoli , nè con tutte le milizie Romane , e slanciatisi , 

combatterono con furia di baldanza e di odj. 


' XXXIX. Ardea rivissi ma la battaglia ; ma se 1’ ala 

destra , or’ era Postnmio il console, superava gli avversar] 

ed avanzavasi ; la sinistra ‘era travagliata e respinta al 

fiume. Or saputo ciò 1’ altro console usci coll’ esercito 

suo : marciava egli pian piano colla fanteria , ma fe’ 

precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Se- 

niore , e console dell’ anno precedente. Andato costui 

di tutta briglia passò facilmente il fiume , che non era 

guardato da alcuno , e giratosi attorno l ala destra dei 

toemici pigliò di fianco la cavalleria de’ Sabini., Or qui 

sorse battaglia diuturna e grave di cavalleria con caval- 

leria. Frattanto avvicinatosi anche Postumio co’ suoi fanti 

a queU’ ala ed investitala , molti ne uccise , e molti ne 

disordinò : di modo che se non sopravveniva la notte, 

i Sabini avviluppati da’ Romani che già prevalevano, sa- 

rebbero stati del tutto disfatti : ma le ombre occultarono 

qùei'che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi, 

e salvi si ricondussero alle lor case. Impadronironsi i 

consoli senza combattervi de’ loro alloggiamenti, abban- 

donati dalle guardie al veder quella fuga : ed occupa- 

tevi molte suppellettili, e datele in preda all’esercito, 

*lo rimenarono in patria. Cosi riavutasi Roma , allora la 

prima volta , da’ inali suoi co’ Tirreni , senti lo spirito 

antico , ardi come prima arrogarsi 1’ impero su’ vicini , 

decretò pe’ due 'consoli insieme un trionfo , e di più 



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LIBRO V. 1 53 


che si desse a Valerio che era I’udo di questi, un sito 

nella parte- più distinta del Pallanteo , dove gli si fon- 

dasse una casa a spese del pubblico. Questa è la casa 

innanzi alla quale sta il toro di bronzo , e questa tra 

tutti i privati e pubblici ediCzj è la sola che ha le 

porte che aperte si girano in fuori (i). 


XL. Presero dopo questi il consolato Publio Valerio 

Poplicola per la quarta volta , e Tito Lucrezio, di bel 

nuovo collega suo (a). Quest’ anno le città Sabine, te- 

nuto un congresso comune, decretarono far guerra ai 

Romani , quasi fosse finita 1’ alleanza loro , per essere 

caduto dal trono. Tarquinio a cui 1’ aveano giurata. 

Aveale indotte a ciò ,1’ uno de’ figli di Tarquinio, Sesto 

di nome , il quale coll’ onorare e supplicarne i citta- 

dini primari di ognuna , metteva in tutte un animo per 

la guerra : anzi aveva a sé guadagnate, e consociate a 

queste pur le due città Camcria e Fidene , ribellatele 

da’ Romani. In contraccambio le città lo elessero gene- 

ralissimo loro con facoltà di reclutare milizia da ognuna, 

come quelle che aveano perduta la prima battaglia per 

la insufficienza delle forze , e del capitano. Ed in ciò 

si adoperavano questi : ma la fortuna volendo contrap- 

pcsare i beni al mali di Roma , le diede in luogo degli 

alleati che le si eranp tolti , un rinforzo , quale non 


(■) Tra i Greci era grande onarificenia aver le porte che ai apria- 

aero au.la pubblica strada; e questa servitù della pubblica strada 

coiopcravasi a gran presso: come è chiaro da ciò che si legge d’I- 

ficrate presso di Aristotele negli Economici. 


(a|)'An. di Bom. aSo secondo Catone, e aSa secondo Varrone, e 

5oa av. Cristo.’* 



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i54 DELLE Antichità’ romane 

imperava dal canto de’ nemici. Tito Claudio , un Sid>mo 

domiciliato a Regillu , nobile e denaroso , fuggissene in 

seno di lei menando con sé gran parentado , ed amici 

e clienti in copia , i quali spatriavano con le famiglie ; 

tanto che tra, questi ce ne avea cinque mila buoni per 

le arme. E questa dicesi la cagion cbe lo spinse a tra» 

sferire in Roma la sede. I primar) delle città più cospi- 

cue alienatisi da lui -lo aveano incolpato di poca affe- 

zione verso il pubblico bene , citandolo qual traditore ; 

come r unico che mal soffriva la guerra , e che avea 

ripugnato in consiglio a quei che voleano sciolta 1’ al- 

leanza , nè permise che i suoi cittadini AtiGcassero il 

decreto degli altri. Or temendo egli un giudizio , ove 

le non sue città sentenzierebbero della sua sorte , rac- 

colse le sue robe , e gli amici , e si congiunse ai Ro- 

mani , non senza picciolo sbilancio degli affari ; talché 

parve a tutti la cagion principale dell’ esito propizio 

della guerra. Per tanto il Senato ed il popolo lo ascris- 

sero tra’ patrizj , lasciandogli in città quanto sito volle 

per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra 

Fidene e Picenza perchè li • compartisse co’ suoi com- 

pagni , da’ quali risultò poi la tribù Claudia che ancora 

tiene quel nome. 


XLL Apparecchiatasi appuntp l’ una e 1’ altra parte, 

li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero due ac- 

campamenti , r uno all’ aere aperto non lungi da F ide- 

ne, r altro in Fidene a difesa del popolo , come in ri- 

fugio dell’ esercito esterno in caso di sciagura. I consoli 

Romani al sapere la venuta de’ Sabini contra loro ,• usci- 

rono anch’ essi con floride scltiere , e presero campo , 



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LIBRO V. l55 


separati T ano dall' altro , Valerio a fronte degli allog» 


' giatnenti sabini all’ aere aperto , e Lncreaio poco più di 

sopra , in un* altura donde potea vedere l’ armata com- . 

pagna. Era disegno de’ Romani di venire quanto prima 

a giornata per decidere subitamente , e visibilmente la 

guerra. Ma' il capitano Sabino temendo di attaccare in 

pieno giorno la baldanza e la robustezza romana, sem- 

pre ferma , contro ai casi anche più duri , deliberò di 

investirla di notte. Quindi facendo preparare quanto era 

necessari a riempire le fosse , e trascendere il vailo , 

quando ebbe pronto tutto, voleva tor seco il 6or deU 

r esercito , ed assalire nel primo sonno le trincee de’Ro* 

mani. Su tal disegno avea fatto intendere all’ armata di 

Fidene che quando si avvedessero del giunger suo ve- 

nissero anch’ essi dalla città , ma con armi leggere : ed 

avea posto in luoghi opportuni gli agguati con ordine, 

che se andavano dei rinforzi a Valerio dall’altro campo, 

uscissero loro alle spalle e gli assaltassero fra strepito 

di voci e di arme. Sesto con tale risoluzione, istruitine 

e trovativi pronti li centurioni , non aspettava che la 

opporiobità. Ma un suo disertore venuto al campo ro- 

mano disse di quella trama al console. Giunsero non 

molto dopo i cavalieri con dei Sabini che usciti a far 

legna furono presi. Interrogati questi separatamente c/te 

mai preparasse il lor capo , risposero , che scale e 

ponti : ma che dove , o quando fosse per valersene , 

non lo sapeano. Valerio ciò udendo spedi Marco al- 

r altra armata per divisare a Lucrezio che vi comandava 

r animo dei nemici , e come si dovessero questi assalire. 

Poi chiamando egli stesso tribuni e centurioni, dicendo 



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1 56 DELLE Antichità’ romane 

quanto avea raccolto dal disertore , e da’ prigionieri ; 

confortandoli ad esser magnanimi , e credere cb’ era 

giunto alfine il tempo sospirato onde prendere' su’ ne» 

mici una luminosa vendetta ; prescrisse ciocché doves- 

sero fare , diede i segni , e rinviò ciascuno alla sua 

schiera., 


XLII. Non era ancora la notte a mezzo , quando il 

duce Sabino fatti levare i soldati , ne condusse il fiore 

al campo romano , imponendo, a tutti che , taciti, avan- 

zassero senza strepito di arme ; perchè i nemici non si 

avvedessero di loro prima che fossero giunti. Or come 

i primi a procedere furono vicini al campo, nè videro 

ivi lume di fuochi , nè voci vi udirono di sentinelle , 

assai riprendeano di stoltezza i Romani , quasi tralasciata 

ogni gtiardia , se la dormissero : c già riempiute le fosse 

in gran parte , le passavano senza ostacolo alcuno. I 

Romani però si teneano , non veduti si per le tenebre, 

ma schierati nello spazio tra i valli e le fosse, e quando 

chi le passava era loro alle mani, uccidevanlo. Rimase 

alcun tempo occulta la rovina di chi precedeva a quei, 

che seguivano. Ma non si tosto quei eh' erano vicini 

alle iosse videro col chiarore della luna che nasceva, i 

mucchi incontro de’ cadaveri de’ compagni , e le schiere 

valide de’ nemici che resistevano; gettarono le armi, e 

fuggirono. Allora alzato i Romani un altissimo- grido , 

perchè quel grido era segno all’ altra armata, corsero 

in folla su loro. Lucrezio a quei clamori, spediti su- 

bito 1 cavalieri per ispiare se ci aveàno insidie nemi- 

che , si mosse indi a poco egli stesso col fiore della 

fanteria. Imbattutisi i cavalieri con gli usciti da Fidene 





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LIBRO V. iB'J 


per insidiare , li fugarono: ma la fanteria perseguitava) 

ed uccidevali , : ornai disordinati e sena’ arme , quelli che 

erano venuti ad assalire il campo romano^ Morirono in 

teli òombaltimenti circa tredici mila tra Sabini ed al* 

leali, rimanendone prigionieri! quattro mila dugento: ed 

il campo loro fu preso nel giorno medesimo.  la stoltezza , e chia- 

mandoli degni di morte quanti ve ne erano , giacché 

nè erano grati pe’ beneGzj , nè faceano senno pe’ mali ; 

ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi 

vi uccisero i più cospicui per nobiltà. Quanto agli altri 

lasciarono che albergassero come prima , ponendo a coa- 

bitare con. essi la guarnigione che era decretata dal Se- 

nato , e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo 

ciò ritirarono le truppe dalle teiTe nemiche ,■> e trionfa- «• 

rono secondo il decreto del Senato. E tali furono le 

geste di , questo consolalo. • . 


XLIV. Creato consolo Publio Postumio Tuberto per 






1 58 DELLE Antichità’ romane 

la seconda volta , e con esso Menenio Agrippa Lana- 

to (i) , fecesi ma con piu schiere la tersa Irmzione dei 

Sabini prima che i Romani se n avvedessero, e pro> 

cedette 6n presso le mura di Roma, Risultarono da 

questa molte uccisioni non solo di agricoltori romani , 

colti repentinamente da nembo che non aspettavtno 

prima di ricoverarsi ne’ castelli vicini , ma di quelli 

eziandio che in città dimoravano. Imperocché Postumio 

il console riputando insopportabile quella ingiuria; uscì 

di tutta fretta , con truppe comunque per soccorrere i 

suoi , pih animoso in vero che savio. I Sabini , visto 

con quanto dispregio , disordinati , e sbandati si avan- 

zassero verso loro , e latto disegno di ampliarne ancor 

più la negligenza , partirono con marcia più che ordir 

naria , quasi fuggissero addietro , finché giunsero ad una 

selva profonda ove il resto celavasi delle loro milizie. 

Or qui voltando faccia contrastettero a chi gl'inseguiva; 

^ come pure gli occultati nel bosco ne uscirono , vocife- 

rando. Ed essendo essi in buon ordine e molti , pro- 

stesero gli altri che combattevano disordinati , sbandati , 

ansanti per lo viaggio ; e rinchiusero in una pendice 

deserta quanti ne fuggirono , con preoccupare le vie 

che menavano a Roma. E perocché già la luce era 

mancata ; posero le arme presso di quésti invigilandoli 

tutta la notte , sicché taciti non s’ involassero. Saputosi 

in città r informnio , vi fu gran turbamento , e concorso 

* ai muri, e. timor comune, che i nemici trasportati, dal 

successo propizio , si presentassero in quella notte a 


(i) An. di Rom. aSi secoado CaioDe, a53 secondo Varrone, 

e Sol av. Crino. 



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LIBRO V. 1 5g 


Roma: e là com piange vans! i morti; qua »i commise- 

ravano li sopra vanzatt , come quelli che 'se nop erano 

immaniineote soccorsi , caderebbero prigionieri per la 

penuria. Passatasi con tanto mal' in cuore senza sonno 

la notte, Menenio , nato il giorno , armò li più floridi 

per anni , e li guidò ben forniti e con ordine a liberare 

gli assediali nel monte. I Sabini al vedere che ti avan> 

cavano non li aspettarono ; e tolto il campo si ritira- 

rono , pensando che bastassero loro i vantaggi presenti: 

e senza indugiarsi gran tempo , tornarono festeggiando 

alle patrie , ricchi di bestiami , di schiavi , di danari. 


XLV. Rattristati i Romani dal danno , e credendolo 

causato da Postumio il console ; deliberarono di mar> 

ciane sollecitamente con tutte le forze contro la Sabina, 

desiderosi di rifarsi della perdita inaspettata ' e turpe j 

molto più che assaissimo gli aveva esulcerati 1’ amba- 

sceria recente e contumeliosa e superba colla quale i 

nemici , come già vincitori , e prenditori senza contrasto 

di Roma se non erano ubbiditi , comandav.vno che ren- 

dessero ai Tarqninj la patria, cedessero ai vincitori 

r imperio , e stabilissero il goverho e le leggi , come 

sarebbero ordinate da questi. Aveano i Romani replicato 

a tali messaggi , che annunziassero alle loro comuni 

che i Romani comandavano ai Sabini , di deporre le 

armi, di sottomettere le loro città , di ubbidire ,come 

per addietro , e ciò fatto di venir supplichevoli per 

iscusarsi dalle ingiustizie e da’ mali onde gli aveano vio- 

lati nelle incursioni passate , se voleano pace ed amici- 

zia : ma se ricusa vansi a tanto, aspettassero tra non 

molto la guerra su le loro città. Cosi comandando e 



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i6o DELLE Antichità’ romane 

comandati a vicenda, quando ebbero tutto in pronto ; 

uscirono per la guerra. Conducevano i Sabini il -fiore 

de’ giovani di ogni città con arme bellissime : e li Ro- 

mani tutta la milizia urbana e le guarnigioni , conce- 

pendo che i domestici e li schiavi , e quanti superavano ^ 

la età militare, bastassero in difesa di Roma e dei ca- 

stelli della campagna. Cosi concentrati si accamparono 

ambedue con breve intervallo fra loro non lungi da 

Ereto , città de’ Sabini. 


XLVI. Come gli uni sepper degli altri o per con~ 

gettura dall’ampiezza degli alloggiamenti, o per ciò che 

ne udivano da’ prigionieri ; si eccitò ne’ Sabini confi* 

denza e disprezzo inverso la scarsezza degl' inimici ; ma 

timore ne’ Romani per la moltitudine di essi. Pur fe- 

pero cuo^e , e pigliarono qualche speranza su la vittoria 

pe’ segni mandati loro dal cielo, e per 1’ ultima visione , 

quando erano 'per ischierarsi , che fu questa : Su le 

punte dei lanciotti (sono queste le armi che i Romani 

scagliano nel farsi alle mani; bastoni grossi che ti em- 

pion le mani , e lunghi , con ferrei spuntoni nell’ uno 

e nell’ altro estremo , diritti , nè minori di tre piedi , 

tanto che le armi , compresovi il ferro , somigliano ad 

aste mezzane ) su le ferree ponte di . questi lanciotti , 

piantati tra padiglioni , brillarono delle fiamme ; talché 

per tutto il campo fu luce continua come di accesi fa- 

nali , gran tempo delia notte. Ora come gli auguri - di- 

chiaravano ( nè già era difficile intenderlo ) , concepirono 

che gli Dei con tal visione annunziassero loro una sol- 

lecita e luminosa vittoria : imperocché tutto cede al 

fuoco , nè cosa vi è che per esso non consumisi. E _ 



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LIBRO V. l6l 


percfac le fiamme brillarono su le armi loro; uscirono 

con assai fiducia dalle trinciere , e nell’ estero di tale fi* 

ducia , attaccatisi combatterono , sebbene di tanto mi- 

nori , co' Sabini. La sperienza eh’ era in essi col vivo 

amor dei travagli , elevava li a spregiare ogni pericolo. 

Postumio il primo ebe guidava 1’ ala sinistra , inteso a 

riparare la passata disfalla urtò 1’ ala destra de’ nemici , 

non curando la vita per la vittoria : e come chi rapito 

è da furore , e fermo per ogni via di morire, si lanciò 

nel mezzo di essi. Allora i soldati i quali erano nell’ al* 

tr’ ala con Menenio ornai stanchi , ornai cacciati di po* 

sto , al conoscere che que’ di Postumio prevalevano su 

gli emoli , rimbaldanzirono e turbinaronsi su gli avver- 

sar] loro. Cosi piegò 1’ una e 1’ altr’ ala de' Sabini , e 

diedesi pienamente alla fuga. E dopo la perdita delle 

ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro per* 

sislerono , ma forzati dalla cavalleria Romana che gli 

assaliva si misero in volta. Tutti al proprio alloggia- 

mento si riparavano , ma i Romani seguendo e inve- 

stendo , ne invasero 1’ uno e 1’ altro. C se l’esercito ne* 

mico non fu totalmente distrutto , ne fu cagione la notte 

ed il luogo della sconfitta , che era nella Sabina. Impe- 

rocché per la perizia de’ siti chi fuggiva salvavasi in casa 

più facilmente di quello che lo potesse , per la imperizia 

sua , sorprendere chi 1’ inseguiva. 


XLYII. Nel prossimo giorno i consoli , bruciati i ca- 

daveri dei loro , e raccolte le spoglie , e tra queste le 

armi abbandonate dai vivi nel fuggire, e trasportando 

seco non pochi fatti prigionieri, c le robe invase' (non 

compresevi quelle tolte da’ soldati ) colla pubblica ven- 


VlONlOT , iomo II, ii 



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i6a DKLLE Antichità’ romane 

dita delle quali cose ogaaao riebbe i prestiti , contri'* 

baiti per la spedizione ; tornarono con una luminosa 

vittoria nella patria. Quindi per decreto del Senato Tubo 

e r altro ne trionfarono ; Menenio col trionfo primario 

sedendo su regio carro, Postumio col secondario, e 

men grandioso , che chiamano della ovazione , altera'- 

tone il nome che era greco, sicché più non distin- 

guesi (i). Conciossiaché per quanto io ne concepisco o 

ne trovo in molli degli storici Romani questo trionfo 

chiamavasi nelle origini Evezione da ciò che vi si pra- 

ticava : ed il Senato , come Licinio racconta , ora per la 

prima volta ne ideò la pompa. Differisce quest’ onor 

secondario dall’ altro, primieramente perchè chi sei gode, 

entra la dttà colle schiere a piedi e non sul carro come 

in quello: e poi , perchè non porta come l’altro la toga 

contraddistinta pe’ ricami varj e per l’oro ; nè la corona 

pur di oro; ma la toga candida contornata di porpora, 

la quale è l’ abito nazionale de’ comandanti e de’ con- 

soli , e la corona di alloro (a) : e se tien le altre cose ; 

in questo cede al primo trionfante , che noU va collo 

sceturo. Postumio poi , sebbene più che altri segnalato 



(i) OTaxione tu detta originalmente evatio ; qnindi % !a voce di 

Virgilio I. 6. Ea. Evantes orgia circum ducehat Phrygias. Questo 

ovari era dal greco tva^nt il qnale esprimeva le accismasioni fotte 

con dire s«s 

lasserò Tarquinio , Mamilio , gli Aricini , e cbiunqae 

davasi per accusatore di quella , iìuchè uditili tutti , seu- 

tenziarono essere stata l’alleanza rotta dai Romani; e 

fecero intendere a Valerio che col suo tempo discute- 

rebbero come aveano a vendicarsi di loro che aveano i 

diritti calpestati del sangue. In mezzo a tali vicende 

congiurarono molti servi d’ invadere i luoghi riguarde- 

voli di Roma , e d’ incendiarla in più parti. Se non che 

datone indizio da’ complici , ne furono ben tosto chiuse 

le porte dai consoli , e preoccupati i siti forti dai ca- 

valieri. Allora quaiiU erano denunziati partecipi della 

congiura presi immantinente tra i domestici , o portati 

dalla campagna , perirono tutti , battuti , tormentati , 

crociGssi. E tali sono le cose operate in quel con- 

solato. 


LII. Sotlentrati a tal dignità Servio ^ Sulpizio Came- 

rino , e Manio Tullio Longo (i), alcuni di Fidene con* 

vooando de’ soldati dal popolo de’ Tarquiniesi occupa- 

rono il castello di essa , e parte uccidendo , parte esi* 

liando quelli che si opponevano , ribellarono di nuovo 

Fidene ai Romani. Venutivi degli ambasciadori da Ro- 

ma, erano per malmenarli come nemici: ma contenutine 

da’ seniori , gii esclusero dalla città senza udir nè ri- 

spondere. Il Senato quando seppe tali cose' non voleva 

ancor far guerra co’ Latini , perchè aveva udito che non 

a tutti piaceano le risoluzioni del congresso , che i po- 



ti) An. di Roma 354 secondo Catone, aS 6 secondo Varrone, a 

498 STtnli Cristo. 



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LIBRO V. 1 69 


poli ia ogni città vi si ricusavano , e perchè certo di- 

ceansi più quelli che voleano mantenere 1’ alleanza , che 

gli altri i quali sciogliere la voleano. Pertanto decretò 

che Manio un de’ consoli marciasse con armata poderosa 

contro Fidene: e questi, depredatane impunissimamente 

la campagna senza che niuno gli si opponesse , ne andò 

coir esercito fin sotto le mura , e provvide che non più 

vettovaglie vi s’ introducessero , nè armi , nè soccorso 

niuno. Ridottisi i Fidenati a guardare le mura , spedi- 

rono alle città de’ Latini per implorarne solleciti ajuti. 

Convocarono i capi di quelle un congresso comune di 

tutte : e datavi di bel nuovo facoltà di parlare ai Tar- 

quinj come agli altri che venivano dagli assediati, invi- 

tarono i consiglieri , cominciando da’ seniori e più co- 

spicui , a djcbiarare il lor voto , e come aveasi a far 

guerra ai Romani. Dicendovisi molte cose , e prima su 

la guerra se dovesse ratificarsi , i più torbidi fra i con- 

siglieri insistevano perchè si riconducesse Tarquìnio al 

trono , e sì volasse in soccorso di Fidene. Essi miravano 

con questo ad ottenere cariche di comando militare , e 

mescersi ai grandi affari ; e quelli vi miravano soprat- 

tutto , i quali cercavano in patria preminenza , e tiran- 

nide , lusingati che avrebbero ad essi ciò procacciato i 

Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i più agiati e 

miti ( ed eran questi i più accreditati nel popolo ) chie- 

deano che si stesse ai patti , non si corresse ciecamente 

alle armi. Respinti quei che brigavansi per la guerra 

dai consiglieri di pace , persuasero all’ adunanza che 

mandasse almeno oratori a Roma perchè la pregassero, 

ed esortassero a ricevere i Tarquinj e gli altri fuoruscili 



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l'jo DELLE Antichità’ romane 

senza pena e senza memoria d’ Ingiurie : giurasse que» ' 

sto , e si governasse poi di suo modo. Ritirasse però 

r armata da Fidene ; non potendo essi guardare con 

Indifferenza che i parenti ed amici loro si spogliassero 

della patria.' Ma se ricusasse far 1’ una e l’altra di que- 

ste cose , le s’ intimasse , che deciderebbonsi per la 

guerra. Non ignoravano costoro che Roma non pieghe* 

rebbesi nè all’ una nè all’ altra dimanda : ma cercavano 

pretesti decorosi onde romperla , sperando Intanto di 

rendersi col tempo e colla buona grazia benevoli i loro 

contrarj. Concluso questo , fissarono un anno , ai Ro- 

mani per deliberarsi , come a sè per apparecchiarsi : e 

nominati gli ambasciadori come parve ai Tarquinj; sciol* 

sero r adunanza. 


LUI. Separatisi i Latini , ognuno per la sua patria , 

Mamilio e Tarquinlo vedendo che i popoli propende- 

vano alla pacej deposero le speranze che aveano su loro 

come istabili in tutto. E cangialo consiglio si rivolsero 

a mettere in Roma stessa una guerra interna , nè pre- 

veduta , svegliandovi sedizione tra’ ricchi e tra’ poveri. 

Imperocché già disunita vi si era , nè più riguardava al 

ben pubblico una gran parte del popolo, quella princi- 

palmente dei bisognosi e degli oppressi dai debiti; e ciò 

appunto per 'gli usura) che non usavano moderazione 

ne’ crediti , ma fin carceravano e malmenavano i debi- 

tori come schiavi comperati. Su tale notizia spedì Tar- 

quinio a Roma Insieme co’ messaggeri latini persone non 

sospette con oro. Intramettendosi questi co’ poveri e coi 

baldanzosi , e parte dando , e parte promettendo se ivi 

il re sen tornasse; aveano subornato moltissimi. Àdun- 



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LIBRO V. l 'y I 


que fecesi contro i3e’ potenti una congtnra de’ poveri 

ingenui , e de’ servi màlvagi , i quali stimolati dal desi- 

derio di esser liberi , e disamoratisi de’ padroni perchè 

aveano punito nell’ anno antecedente i loro conservi , 

gl’ insidiavano. Ed essendo malcreduti e sospetti , come 

se venutone il tempo essi pure gli assalirebbero ; con 

piacere si diedero a chi gl’ invitava. Il disegno poi 

della congiura era tale. Doveano i capi di essa occupare 

in una notte senza luna i luoghi eminenti e forti della 

città ; gli altri poi come intenderebbero dai gridi che 

gitteriano , aver loro già preso que’ siti opportuni , do- 

veano uccidere tra ’l sonno i proprj padroni , saccheg- 

giare le case doviziose, e spalancare ai tiranni le porte. 


LIV. Ma la providenaa celeste la quale in ogni tempo 

ha salvato , e salva tuttavia Roma y fe’ traspirare i di- 

segni al consolo Sulpizio. À lui ne diedero indizio due 

già propensi a Tarquinio, anzi principalissimi nella con> 

giura , Publio e Marco fratelli , della città di Laurento 

necessitati da impulso divino. Imperocché si presenta- 

rono loro tra’l sonno visioni spaventevoli, minacciandolt 

di pena gravissima , se non si chetavano e toglievansi 

dall’ impresa. E già parca loro che i rei genj gl’ incal- 

sassero, li battessero, e sterpassero loro gli occhi, col- 

mandoli di altri mali terribili. Dond’ è che spaventati e 

tremanti destaronsi , nè più poterono pel turbamento 

aver calma nel sonno. E su le prime per togliei'si ai 

genj rei che li conculcavano , tentarono i sagrifizj di 

propiziazione co’ quali si allontanano i mali. Non traen> 

done però niun frutto , si rivolsero alla divinazione : e 

celando lì disegni, perchè non eran da dirsi, cercarono 




172 DELLE Antichità’ romane 

solamente d’intendere se tempo fosse da compiere cioc' 

chè volevano. Ma rispondendo l’oracolo eh’ essi teneano 

via di delitto e di perdizione , e che se non mntavan 

proposito, ne perirebbero infamissimamente; investiti dal 

timore che altri non li prevenisse nel portare in luce 

l’arcano, lo indicarono essi medesimi al consolo che in 

città si trovava. Costui lodatili , con promessa grande 

ancora di beneficarli se il dir loro a’ fatti corrispondesse; 

li ritenne ambedue presso di sè y tacendone con chiun- 

que. Allora introdotti in Senato i deputali latini , tenuti 

a bada fino a quel giorno per la risposta, disse di con- 

certo co' padri : amici , compagni , andate , riferite al 

comun dei Latini che il popolo di Roma non condi- 

scese prima il ritorno al tiranno su le istanze dei 

Tdrguiniesi , nè punto appresso vi si commosse irt 

forza di tutti i Tirreni che ciò domandavano, e gui- 

dati da Porsena ci portavano la pià orribile delle 

guerre; ma che seppe vedere i suoi campi manomessi, 

ed arsivi li casolari , e perfino ridursi a difendere le 

sole sue mura per esser libero , e non comandato a 

fare ciò che non vuole. Dite , che meravigliati ci sia^ 

mo che sapendo voi ciò , siale venuti a comandarci 

che ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dall assedio 

di Fidene , con intimarci la guerra se ricusassimo. 

Cessino di opporci ornai più tali pretesti, fiacchi, im- 

persuasibili, di nimicitia. Nondimeno se vogliono per 

questo scindersi dalla nostra alleanza e far guerra , 

più non s’ indugino. 


LV. Data tale risposta agli ambasciadori , ed accom- 

pagnatili per significazione di onore fuori della città , 



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LIBRO V. 173 


poi disse in Senato delia occulta cospirazione ciocché 

aveane appreso dai delatori : ed avutane autorità piena 

d’ investigare L complici , e trovarli , e punirli , non 

tenne già mezzi orgogliosi e tirannici , come un altro 

ridotto a tale necessità gli avrebbe tenuti, ma si rivolse 

a mezzi ragionati , salutevoli , e convenienti al governo 

d' allora. Imperocché non deliberò che i satelliti snoi 

svellessero per le case i cittadini dall’ amplesso delle 

mogli , de’ figli , e de’ padri , e li traessero a morte ; 

considerando quanta pietà ne sarebbe tra gli attinenti 

nel distacco de’ cari lor pegni , e temendo che alcuni , 

disperatisi , corressero alle arme , e si necessitassero ai 

male a costo di sangue civile. Non deliberò che si eri- 

gessero de’uribunali contro di essi; riflettendo come tutti 

negherebbero , e come non avrebbero i giudici argo- 

menti incontrastabili e saldi , ma semplici denunzie , e 

colle quali , se credeansi , dovrebbero sentwaziare la 

morte de’ cittadini. Ma per sorprendere i novatori ideò 

tal metodo , per cui li capi si adunassero prima spon- 

taneamente in un luogo , e quindi arrestati vi fossero 

per argomenti indubitabili , che non lasciavano mezzo 

a discolpe : ideò che fosse questo luogo di unione non 

una solitudine , o ritiro , dove pochi osservassero , e 

convincessero; ma il Foro, talché scoperti alla presenza 

di tutti ne fossero in proporzione puniti , nè sorgesse 

in città turbamento nè sollevazione degli altri , come 

suole ne’ castigi de’ congiurati , massimamente in tempi 

pericolosi. 


LVI. Forse un altro, quasi poco sia bisogno di pre- 

cisione in tai cose, penserà che basti dir sommarianieute 



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174 delle Antichità’ homane 

che arrestò tutti i complici de’ maneggi secreti , e gli 

uccise; ma io riputando degna che ricordisi la maniera 

onde furono presi, ho risoluto non tralasciarla; percioc- 

ché giudico che non basti all’ utile di chi legge le storie 

conoscere il termine solo de' fatti, (piando brama piut- 

tosto ognuno che gli si espongane le cagioni , le guise 

delle operaxioni , i pensieri di chi praticavate, e come 

i Numi li favorissero ; nè gli si taciano le conseguenze 

che per natura vi si congiungono. Molto più ch’io vedo 

essere tali cognizioni necessarie agli uomini di Stato , 

perchè abbiano d^lì esempj co’ (piali dirigersi ne’ varj 

casi. Or questa fu la maniera ideata dal console per 

l’arresto de’ congiurati. Chiamati i più validi de’ senatori 

ordinò che al segno convenuto occupassero in città con 

seguito di amici e di parenti i luoghi forti ne’ (piali per 

avventura abitavano : istruì poi li cavalieri a tenersi ar- 

mati nelL' case più acconcie intorno del Foro, e com- 

piere ciocché sarebbe lor comandato. E perchè nella 

presa de’ cittadini i loro fautori non si elevassero , nè 

ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse al console 

che assediava Fideoe , perché al far della notte mar- 

ciasse col fior dell’ esercito alla volta di Roma , e lo 

accampasse nelle alture intorno de’ muri. 


LVII. Ciò preparato; impose ai delatori che venissero 

circa la mezza notte nei Foro ai capi de’ congiurati con 

i compagni loro più fidi come a ricevervi 1’ ordine , il 

posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno 

ciocché avrebbe egli a fare. Or ciò appunto si fece. E 

poiché tutti questi si furono accolli nel Foro; imman- 

tinente al darsene di un segno arcano per essi, i luoghi 



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LIBRO V. 175 


foni farooo pieni di uomini , armatisi per la patria ; e 

r intorno del F oro fu guardato da’ cavalieri , sen.ia che 

via vi lasciassero per chi volea ritirarsene. Intanto Manio 

r altro console si presentò coll’ armata in campo Marzo. 

Nato appena il giorno i consoli , cinti da uomini di 

arme , recaronsi ai tribunali , e fecero che i banditori ~ 

invitassero pe’ quadrivi il popolo a parlamento. Concorsa 

la moltitudine , le rivelano il maneggio sul ritorno del 

tiranno, e le presentano i delatori. Quindi concedendo 

che si difendesse chiunque volea per ambigua 1’ accusa, 

nè volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal 

Foro in Senato per chiedervene la sentenza dai padri: 

e presa e scrittavela ; tornati al popolo gliela pubblica- 

rono, e tale ne era il tenore. Si desse ai due denun- 

ziatori la cittadinanza , e dieci mila dramme di ar- 

gento a testa, e venti jugeri de’ terreni del pubblico ^ 

e se così ne paresse al popolo si prendessero i com- 

plici della congiura , e si uccidessero. E ratificando il 

popolo quel decreto, ordinarono che uscissero dal Foro 

quanti vi erano per 1’ adunanza : e chiamati i littori 

colle arme , intimarono che dessero morte a tutti li 

congiurati : e quelli , circondandoli ; appunto ov’ eran 

già chiusi , trucidarono li colpevoli. Uccisi questi , non 

che ammettere le incolpazioni su degli altri partecipi , 

ne assolvettero qualunque era salvo ancora dal suppli- 

zio ; e ciò per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi 

finirono quei che aveano macchinata la congiura. Ap- 

presso il Senato ordinò che tutti si purificassero per 

essere stati ridotti a sentenziare la morte de’ conci ttadini : 

nè concedersi loro d’intervenire alle sante cose ed ai 



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1^6 DELLE Antichità’ romane 

sagrifizj , prima di esserne rendati mondi e tersi colle 

espiazioni consuete. E poiché da quei che dirigono le 

cose divine , a norma delle leggi della patria fu com- 

piuto quanto ricercavasi per sanliGcarli , decretò che ia 

rendimento di grazie si facessero sagriGcj e giuochi 

agonali per tre giorni. In questi giuochi sacri e deno- 

minati di Roma Mauio Tullio 1’ uno de’ consoli caduto 

tra la pompa dal carro sacro nei circo , ne mori da 

indi a tre giorni : e perchè poco rimaneva dell’ an- 

no , Sulpizio tenne in questo tempo il consolato senza 

collega. 


LVIII. Furono designati consoli per l’anno seguente 

Publio Veturio , e Publio Ebuzio Elva (i). E di questi 

Ebuzio fu incaricato delle cose politiche le quali sem- 

bravano abbisognare di cure non tenui, perchè i poveri 

non facesservi mutamento. Veturio poi menando seco 

metà dell! esercito , devastò le campagne de’ Fidenati 

senza che ninno gli ostasse : e postosi all’ assedio della 

città, davate assalti continui. Ma non potendola espu- 

gnare con questi , la cinse di vallo intorno e di fosse 

per sottometterla colla fame. E già ne eran gli abitanti 

nelle angustie , quando venne un soccorso di Latini 

spedito da Sesto Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre 

cose utili per ia guerra. Cosi ringagliarditi osarono 

uscire dalla città con forze non piccole , e mettersi in 

campo aperto. Allora non più giovò pe’ Romani la cir« 

convallazione ; ma parve che vi bisognasse una battaglia. 

Diedesi questa vicino alla città ; pendendone qualche 


(i) Ad. di Roma aS5 secondo Catone , 357 secondo Varrone , s 

4 o 7 av. Cristo. 



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LIBRO V. l'jj 


tempo dopo l’ esito incerto. Infine , quantunque più co- 

piosi di numero , sopraiTatti i Fidenati dalla fermezza 

Romana ne’ travagli , acquistata col molto esercizio, fu> 

rono ridotti alla foga. Non fu la strage loro copiosa , 

per essersi tra non molt^ ritornati in città mentre gli 

altri respingevano dalle mura chi gl’ incalzava. Dissipa- 

tesi dopo ciò le truppe ausiliarie sen partirono senza 

avere punto giovato gli assediati ; e la città ricadde 

ne’ mali e nella penuria di prima. Intanto Sesto Tar- 

quinio marciò con un armata Latina sopra di Segni do- 

minata da’ Romani come per occuparla a prira’ impeto^ 

Ma resistendogli da entro generosissimamente , tentò di 

stringerli ad abbandonarla almeno per la fame. Se non 

che spesovi gran tempo senza opera niuna degna di ri- 

cordanza , e giunte vettovaglie e rinforzi dal canto ? dei 

consoli ; ne perde la speranza ; e ritirandone 1’ armata , 

ne sciolse l' assedio. > • 


LIX. Nell’ anno seguente i Romani elessero consoli 

Tito Largio Flavo e Quinto delio Sicolo. delio , dolce 

per indole e popolare , fu messo dal Senato con metà 

dell’ armata su le cose politiche per vegliare contro dei 

novatori: Largio ordinate milizie e stromenti da impren- 

der gli assedj , parti per la guerra co’ Fidenati (i); E 

spossatili colla diuturnità dell’ assedio , e col disagio di 

ogni cosa , desolavali ognora più , minando i muri , ei^ 

gendo terrapieni , avvicinando macchine, nè lasciando di 

e notte di stringerli , tanto che sen prometteva in breve 


il t. I i 


(i) All. >li Roma lS6 secondo Catone, aSR eecondo Varroue , • 

/Jg6 avanti Cristo. ■' \ 


DIOJflCT, tomó,ll. Il ' 



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178 PELLE antichità’ BOMANE 


di espugnarli. Né le città Latine, su le quali contando 

ì Fidenati trovavansi in guerra , potevano ornai più sal- 

varli. Imperocché niuna città bastava sola da sé per li- 

berarli dall' assedio: nè le forze comuni di tutte si erano 

riunite ancora : ma li capi del|e città Latine a’ frequenti 

messaggi de’ Fidenati rispondeano sempre di un modo , 

cioè che presto giungerebbe loro il soccorso: non però 

mai nino fatto moveasi pronto su le promesse , né le 

speranze scintillavano più in là delie parole. Nondimeno 

i Fidenati non diffidavano in tutto de’ Latini: ma per- 

sistevano su la espettazione di essi affronte di tutti i 

mali , sopialtutto della fame , la quale facea senza com- 

battere strazio grande degli uomini. Spedirono , è vero, 

alfine come stanchi da’ mali a chiedere al console tregua 

di un numero certo di giorni per deliberare intanto 

su la pace co’ Romani , e sui modi onde riordinarla. 

In realtà però ciò non cbiedeano per deliberare , ma 

per fornirsi di compagni di arme, come alcuni diser- 

tati di fresco da essi indicarono , giaoché nella notte 

innanzi aveano spedito i cittadini loro più cospicui , e 

più validi tra’ Latini , perchè iu forma di oratori sup- 

pbcassero quel popolo. 


LX. Largio , ciò saputo , ingiunse agli ora tori che 

deponessero le armi e spalancassero le porte, e poi fa- 

vellasser di tregua : iu altro modo non pace , non armi- 

stizio , non moderazione , non umanità presumessero dai 

Romani. Frattanto provvide che gli ambasciadori deputati 

ai Latini . non rientrassero in città ; preoccupando con 

guardie rigorosissime le vie che vi conducevario. Tal 

che diffidatisi gli assediati di un ajuto qualunque degli 



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LIBRO V. l’jf) 


alleali si videro astretti a pregar veramente l’iaimico. B 

riunitisi , conohiusero di soiTrire la pace , comunque il 

vincitore la desse. Altronde il console ( tanto i costumi 

de’ capitani di que’ tempi respiravano 1’ amor della pa> 

tria , e tanto erano lontani dalle maniere tiranniche che 

pochi san fuggire de’ capitani presenti , invaniti dal C 0 i 

mando I ) il console sebbene prendesse la città niente vi 

permutò di voler suo : ma fattala deporre le armi , e 

presidiatala , conducendosi a Roma e convocando il 3^ 

nato , lasciò che esso ne deliberasse. Lieti i Padri del 

rispetto del valentuomo verso loro dichiararono che i 

più nobili dj Fidene secondo che il console li giudi» 

- casse capi della ribellione , si battessero colle verghe , e 

ei decapitassero : su gli altri poi disponesse egli stesso 

come glien parrebbe. Largio divenuto 1’ arbitro di tutti 

sparse in vista del pubblico il sangue, e confiscò li beni 

di alcuni pochi accusati dal partito contrarlo; ma con- 

cedè che gli altri ritenessero la patria e le robe loro , 

e solamente ne dimezzò le campagne , poi dispensate 

a sorte tra’ Romani lasciati in guardia della fortezza. 

Alfine dopo ciò ricondusse in casa 1’ esercito. 


LXI. Risaputasi fra’ Latini la espugnazione di Fidene, 

ogni città ne fu sospesa e tremante , e mal soddisfatta 

de' capi suoi ; come tradito avessero li confederati. C 

fattosi consiglio in Ferentino, quei che persuadevano la 

guerra , assai vi accusarono gli altri che la dissuadevano. 

Erano de’ primi Tarqulnìo , e Mamilio il genero di lui 

e li capi tra gli Aricini. Rapiti dal dir loro, quanti erano 

i Latini, vollero generalmente la guerra contro de' Ro- 

mani , e diedero scambievole giuramento , che tiiuua 




l8o DELLE ANTICHITÀ^ ROMAIfE 

città tradirebbe il comune , nè farebbe pace sema il 

consenso delie altre decretando : che qualunque non os-> 

servasse i patti decadesse dalla lega alla esecrazione e 

nimicizia di tutti. Sottoscrissero e giurarono questi patti 

i deputati degli Àrdeati , degli Aricini , dei Boiaiani , 

dei Bubentani , dei Coresi , dei Corventani , dei Gabj , 

dei Lavrentini , de' Laviniesi , dei Labiniani , de' Labi- 

cani , de' Nomentani , de' Moreani , de' Prenestini , de' 

Pedani , dei Querquetulani , de' Satricesi , de' Scap- 

tini , de’ Sezzesi , de' Teliini, de' Tiburtini , de'. Tu- 

scolani , de' Tolerini , de' Trienni , de' Veliterni (i). 

Doveansi scegliere tra gl’ idonei alle armi , tanti in ogni 

città quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto ^ 

Tarquinio , i quali erano generalissimi nominati. E per 

giustifìcare ancor più li titoli della guerra spedirono a 

Roma da ogni città li personaggi più insigni come ora- 

tori. Venuti questi in Senato dissero : che quei della 

Riccia si richiamavan di Roma , perchè ■ qucuido i Tir- 

reni mossero contro loro la guerra , essa non solo 

die a’ primi libero il passo per le sue terre , ma li 

coadjuvò su quanto era d' uopo , ricoverandoli mentre 

poi ne fuggivano e salvandoli tutti , inermi e feriti : 

eppure non ignorava che quelli portavano guerra al 

corpo tutto della nazione : e che se avessero domalo 


(i) Dioaigi nel namerare questi popoli siegue l’ordine dell’ alfa- 

beto latino e non del greco : del resto numera popoli quando nn 

tal Bruto nel lib. VI. di quest' opera § 74 dice ebe furono trenta 

i popoli latini concorsi a tal guerra. Dovrebbero dunque additarsene 

altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi 

abbiamo ugualmente allegali nel testo. La nomenclatura per quanto 

aia stata emendala non par libera ancora da ogni storpiatura. 



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LIBRO V. ' i8r 


la Riccia; niente pià gli avrebbe impediti , sicché non 

soggiogassero le altre città. Pertanto annunziavano 

che se Roma voleva darne conto a quei della Riccia 

nel tribunale comune de’ Latini , e rimettervisi al giu- 

dizio di tutti, non avrebbon essi cagioni di guerra. 

Ma se tenendosi all alterigia sua consueta ricusava 

affatto condiscendere sul giusto e su V onesto inverso 

de’ confederati ; minacciavano che i Latini tutti la 

moverebbero con tutte le forze la guerra. 


LXn. A tale invito il Senato alieno di fare cogli Ari* 

cini una causa dov’ essi giudicherebbero , e dove preve- 

deva che i nemici non sentenzierebbero di questo sola* 

mente , ma vi aggiungerebbero ordinazioni ancora più 

gravi , decise che accettava la guerra. Argomentava dal 

valore e dalla sperienza de’ suoi tra le arme che Roma 

non incorrerebbe in danno ninno: apprendendo però la 

moltitudine de’ nemici , sollecitò più volte con ambascia* 

tori le città vicine per confederarsele ; se non che spe* 

divano i Latini ancora nelle stesse città legazioni che 

accusassero a lungo Roma , e la contrariassero. Gli Err 

nici adunati a consiglio di stato diedero all’ una e al- 

r altra ambasceria risposte sospette nè salutevoli , dicendo 

che per ora non si vincolavano con alcuno; ma voleano 

posatamente discutere qual de’ popoli seguisse causa più 

giusta , e prendeansi per discuterne un anno. I Rutoli 

in contrario promisero senza arcano mandare soccorsi ai 

Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le ini- 

micizie , essi mansuefar ebbono i Latini , e ne concilie- 

rebbono gli accordi. Risposero i Volaci che si stupivano 

della impudenza de’ Romani ; perciocché sapendo essi 



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DELLE antichità’ ROMANK 

quante volle gli avessero offzzl conTenlftnti a «pcgnere ^elfa tnrblo ratiBcò; dando t principj certi 

di una tirannide a norma  : 


LXXI. Quindi i capi del Senato si fecero a conside- 

rare lungamente e providamente il personaggio che avreb- 

be a comandare. Paiea loro che vi fosse necessità di un 

nomo espedito negli affari , più che perito nell’ arme, e 

savio , e temperato , sicché poi non > delirasse per l’am- 

piezza del comando; insorama di uno il quale oltre le 

belle doti , quante ai buoni comandanti si convengono , 

sapesse presieder con fortezza, nè cedere mollemente alle 

istanze. Di un uomo tale appunto abbisognavasi allora. 

.Videro concorrere doti siffatte quante seu chiedeano 

in Tito Largio, uno de’ consoli ; laddove delio il colle- 

ga, uomo altronde buonissimo, non era nè attivo, nè 

bellicoso , nè imponente , nè temuto , ma edite troppo 

in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato pren- 

dea .verecondia di levare a que^o un’autorità che aveva 

secondo le leggi, e di concentrare .nell’ altro il potere 

di ambedue , anzi un poter più che. regio. .Teniea per 

qualche maniera che delio riflettendovi, non si gravasse 

della rimozione sua , come disonorato dai Padri ; e cam- 



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LIBRO V. ’ ' 193 


hiale le maniere del vivere , si ponesse alla testa del 

popolo , c turbasse dal fondo la repubblica. Esitando 

tutti , e gran tempo , per la verecondia di proporre 

ciocché ideavano, un seniore, venerabilissimo tra gli uo- 

mini consolari , diede un tal suo parere , per cui fu 

salvo l'onore di ambedue li consoli, scegliendo essi ap- 

punto il personaggio più acconcio al comando. Diceva : 

Poiché il Senato ha risoluto , ed il popolo ha ratifi- 

cato che il poter del comando si affidi ad un solo , 

restano ai Padri due cure non picciole : chi debba 

sottentrare ad una autorità pari alia monarchia , e chi 

possa legittimamente nomiruuvelo. Or egli suggeriva 

che l’uno de’ consoli sia per cessione, sia per sorte', 

eleggesse il romano più idoneo , a far 1’ utile e il bene 

della patria: giacché trovandosi allora in città magistrati 

sacrosanti , non vi abbisognavano gl’ interré come nella 

monarchia , per eleggere di accordo chi succedesse al 

comando. ' i 


LXXII. Applaudivano tutti al partito , quando leva- 

tosi un altro disse : Ali sembra o Padri che debbasi 

alia sentenza aggiungere: che reggendo di presente la 

repubblica, due valentuomini, de’ quali non trovereste 

i migliori , V uno 'debba dare la nomina , e l’ altro 

riceverla , talché scelgati essi fra loro il più idoneo ; 

e C uno e i altro se ne abbia onore e soddisfazione 

uguale, quello perchè sceglie nel collega il più degno, 

c questa perchè scelto sen trova : dolcissime e bonis- 

sime cose ambedue. Ben vedo che sebbene io non 

avessi ciò aggiunto ; pure avrebbono i consoli così 


DWaiGI , toma II. il 



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IQ4 DELLE Antichità’ romane 

praticalo ; egli è meglio^ nondimeno che il facciano 

eziandio col vostro volere. Parve a tutti ciò detto a 

proposito , e niuno più notandovi altra cosa , ne decre- 

tarono. I consoli ricevuto il potere di eleggere fra loro 

il più idoneo al comando , fecero una mirabilissima 

cosa , e ben varia dalle affezioni dell’ uomo. A vicenda 

r uno dicea 1’ altro , e non sè , degno del comando : 

così passarono tutto quel giorno , encomiando l’ un 

l’altro, e insistendo ciascuno per non comandare: tanto 

che gli astanti in Senato ne furono in grandi perples- 

sità. Sciolto il Senato , i parenti più prossimi di cia- 

scuno , e li Padri più venerabili recatisi a Largio assai 

lo stimolarono £no a notte avanzata , dichlaraùdogli 

come il Senato poneva in esso ogni speranza , e di- 

cendo che le sue ritrosie volgevansi in pubblico danno: 

egli tuttavia ricusava , ora supplicando , ed ora contra- 

dicendo. Adunatosi nel prossimo giorno il Senato , 

mentre colui ripugnava, nè levavasi ancora dal suo pa- 

rere su le istanze comuni , Clelio sorge , e lo nomina , 

come gl’interré solevano nominare, e lascia il consolato. 


LXXIII. Fu questi il primo che, solo, fu reso àr- 

bitro in Roma della guerra , della pace , d’ ogni affare, 

col nome di Dittatore (i) sia per la podestà di ordi- 

nare e dettare leggi su’ diritti e sul bene degli altri , 

come glien pareva e piaceva , chiamandosi da’ Romani 

Editti gli ordini e prescrizioni sul giusto e su l’ ingiu- 

sto : sia per essere allora un tal. uomo detto e dichia- 

rato da un solo e non dal popolo secondo i riti della 


(i) Ad. di Roma aS6 socondo Catone, a58 secondo Varrone , • 

ar. Cristo. . 




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LIBRO V. 195 


patria , perché comandasse. Guardaronsi dal dare al 

magistrato di una città libera un nome esecrabile e 

grave per rispetto di quelli che ubbidivano , sicché in 

odio del titolo non si conturbassero , e per rispetto di 

chi prendeva il comando , sicché nè fosse costui offeso 

dagli altri senza saperlo, uè gli offendesse egli co’ modi 

consueti nel grande potere. E certo il nome di dittatore 

non bene l’ ampiezza ne significa del potere ; non es- 

sendo la dittatura che un Dispotismo elettivo. Sembra 

che i Romani ne traessero pur da’ Greci la istituzione. 

Imperocché gli Esimneti che chiamavansi antichissima- 

mente tra loro erano, come dichiara Teofrasto nel libro 

intorno del regno , despoti elettivi. Li creavano le città 

non per tempO' indefinito o perpetuo , ma nella circo- 

stanza , e fin quando sembrava che giovassero loro , 

come li Mitilenei già scelsero Pittaco contro gli esuli , 

compagni di Alceo poeta. 


LXXIV. Tennero questo metodo I primi che aveano 

appreso per esperienza ciò che giovava. Imperocché 

nelle origini era ogni greca città sovraneggiata , non 

però dispoticamente come tra’ barbari , ma secondo le 

leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea tanto 

più per potente quanto era più giusto , e più fido alle 

leggi , e men schivo de’ patrii costumi : ciocché s’ in- 

tende per Omero il quaì nomina i sovrani, vindici del 

diritto , e de/f onesto (i). Tennesi lungo tempo la si- 

gnoria dei re come quella de’ Lacedemoni sotto fisse 



(i) Mèi testo: intarrtXnt , e SiftttTttrtXuf. cioè che si rer- 

uuio sul giusto e su C onesto . 



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ig6 DELLE Antichità’ romané 


costituzioni. Ma cominciando poi taluni di questi a tra- 

scendere gli usati poteri , poco concedendo alle leggi e 

molto ai genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgu- 

stati , e rovesciarono 1’ autorità de’ monarchi , e le loro 

maniere : e stabilendo leggi e creando magistrati , as- 

sunsero questi come custodi delle città. Ma perciocché 

non bastavano nè a proteggere il giusto le leggi poste 

da essi , nè a coadjuvare le leggi li magistrati o li co- 

missarj che avean cura di queste ; e percioccliè il tempo 

col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a 

fare stabilimenti non ottimi si , ma certo i più consen- 

tanei alle vicende che li sorprendevano o di sciagure 

abborrite , o di smoderate prosperità. Per le ' quali con- 

fondendosi ' lo stato della città, e bisognandovi un pronto 

riparo ed un arbitro immediato , furono necessitati a 

rialzare l’autorità dei monarchi e dei re, velandone coi 

nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tettar' 

~ chi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armosti 

per timore d’ intitolarli tiranni o monarchi : aggiungi 

. che teneano per cosa scellerata rinovare poteri abattuti 

tra giuramenti ed esecrazioni su 1’ oracolo de’ numi. 

Quindi , come ho detto , a me sembra che i Romani 

prendessero da' Greci l’esempio: Licinio però crede che 

i Romani ideassero un dittatore a norma degli Albani ; 

scrivendo cbe questi, venuta meno la regia discendenza 

dopo la morte di Numitore e di Amulio , eleggessero 

annui presidenti col potere appunto dei re, ma con ti- 

tolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Ro- 

ma derivasse il nome, ma sibbene onde pigliasse la idea 

dell’ autorità che in tal nome si ' addita. Se uon che 



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LIBRO V. I97 


forsb non è pregio dell' opera che scrivasi di ciò più 

luDgameate. 


LXXy. Ora dirò brevemente ciocché Largio il primo 

dittatore facesse , e con quale apparato decorasse la sua 

dignità ; persuadendomi che siano più utili ai lettori le 

materie appunto che porgono in copia esempj splendidi 

ed opportuni pe’ legislatori, e capi de’ popoli, in somma 

per quanti vogliono governare e maneggiare il pubblico» 

Imperciocché non io prendo a descrivere le istituzioni > 

e li modi di una città vite e negletta , né li consigli 

e le pratiche di uomini ignobili e di niuna espettazione, 

sicché lo studio mio su tenui e volgari cose paja ad 

altri frivolezza e molestia : ma di una città legislatrice 

di tutti, e di capitani che la sollevarono a tanto potere; 

cose tutte che se un amante della sapienza giunga a 

non ignorare ; ne sarà per politico ravvisato. Investito 

Largio appena del suo potere dichiarò maestro de’ ca- 

valieri Spurio Cassio , già console nella olimpiade 70.* 

Osservavasi tal costume da’ Romani fino a’ miei giorni , 

e ninno mai , scelto per dittatore , ne tenne la dignità 

senza maestro de’ cavalieri. Quindi a rilevare la potenza 

di una tal dignità, per imporre piuttosto che per osar- 

ne , ordinò che i littori marciassero per la città con 

fasci e scuri secondo il costume ivi proprio de’ re , tra- 

lasciato poscia da’ consoli , e primieramente da Valerio 

Poplicola per diminuire la odiosità del comando. Spa- 

ventati con questo ed* altri segni di regia dominazione 

i turbolenti eà i novatori , comandò a lutti i Romani 

di adempiere la migliore delle leggi .di Servio Tullio , 

sovrano popolarissimo , cioè di assegnare per tribù li 



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198 DELLE Antichità’ . ROMANE 

loro beni, li nomi delle mogli e de’ figli , e la età loro 

e de’figli. Terminato in breve il registro per la severità 

de’ castighi , perdendosi da’ contravventori i beni e la 

cittadinanza ; si rinvennero cento cinquanta mila sette- 

cento e più Romani adulti. Poi separando gli uomini 

di età militare dai provetti , e riducendoli in centurie ; 

li divise tutti , fanti e cavalieri in quattro parti : e ri- 

tenutane una , che era la migliore , per sé , fece che 

delio già suo collega nel consolato se ne eleggesse un 

altra qualunque tra le rimanenti : che Spurio Cassio il 

prefetto de’ cavalieri avesse la terza , e Spurio Largio il 

fratello la quarta ; la quale fu comandata trattenersi e 

presidiare insieme co’ vecchi la città. 


LXXVI. Egli poi , com’ ebbe pronto quanto biso- 

gnava per la guerra, menò le milizie in campo aperto; 

appostando tre armate ne’luoghi appunto donde sospet- 

tava che i Latini uscirebbono. E considerando esser 

proprio de’ savj capitani fortificare le sue cose come 

debilitare quelle del nemico , e terminare le guerre 

senza battaglie e stenti, o certo col minimo danno delle 

milizie ; anzi considerando che sciauratissime e luttuo- 

sissime più che tutte sono le guerre tra’ popoli amici e 

congiunti ; concludeva che si aveau queste a finire con 

tratti di clemenza piuttosto, che di rigore. Adunque 

spedendo occultamente persone non sospette ai più ri- 

guardevoli de’ Latini, li persuase a rendere la pace alle 

loro città: e spedendo insieme apertamente ambasciadori 

ad ogni città , come alla rappresentanfa generale di 

tutte; ottenne senza difficoltà che non tutti avessero più 

l’antico ardore per la guerra; alienandoli principalmente 



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LIBRO V. 199 


cogli ossequiosi modi e co’ benedzj dai duci loro. In 

opposilo Mamilio e Sesto , che aveano da’ Latini rice« 

TUto il generai comando , riunite nel Tnscolo le forze , 

si apparecchiavano come per piombare su Roma ; se 

non che spesero su ciò gran tempo o che aspettassero 

le città le quali tardavano , o che non buoni apparis- 

sero loro gli auguri santi. Intanto alcuni di loro spic- 

catisi dall' esercito devastavano la campagna romana. 

Largio , risaputolo , spedi delio su loro col fiore dei 

cavalieri e de’ soldati leggieri : e costui , presentatosi 

inaspettatamente , gli assalì , e ne uccise , imprigionan- 

done la più gran parte. Largio curatine li feriti, e gua- 

dagnatiseli con altre amorevolezze li rinviò senza offesa 

o prezzo al Tuscolo ; mandando riguardevolissimi ro- 

mani ton essi per ambasciadori. Or questi operarono 

che si sciogliesse l' armata latina , e si facesse tra le 

città la tregua di un anno. 


LXXVII. Largio, ciò fatto, ricondusse l’ armata dalla 

campagna: e designando i consoli depose prima che ne 

spirasse il tempo la dittatura senz’ avere ucciso , o ban- 

dito , o ridotto comunque a gravi mali un romano. 

Cominciato T invidiabile esempio da un tal uomo si 

mantenne in quanti ottennero poi quella dignità fino 

alla terza generazione prima della mia. Imperocché la 

storia fino a quest’ epoca non presenta ninno il quale 

non esercitasse quella dignità moderatamente e qual cit- 

tadino , quantunque Roma fosse astretta più volte a 

sospendere le magistrature ordinarie, e concentrare tutto 

nelle mani di un solo. E non sarebbe gran meraviglia 

se personaggi ottimi della patria pigliando la dittatura 



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200 OKLLE Antichità’ romane 

solamente nelle guerre cogli esteri si fossero tenuti in- 

corrotti nella grandezza del potere: ma pigliandola nelle 

sedizioni interne, grandi e molte, per togliere I sospetti 

di regni e tirannidi rinascenti , o per altra sciagura , 

lutti , quanti la ottennero , conservaron sestessi iqinia- 

colati , e simili al primo dei dittatori. Tanto che tutti 

unanimemente conclusero che la dittatura era 1’ unico 

rimedio contro de’ mali intrattabili , e 1’ ultima speranza 

dii salute quando sparse sono le altre speranze . dalla 

procella. Quattrocento anni però dopo la dittatura di 

Tito Largioj a memoria de’ Padri nostri parve tal carica 

biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che 

primo ne abusò , vendicativo e 6ero : talché li Romani 

allora sentirono a prova , ciocché aveano prima igno- 

rato , che la signoria de' dittatori non era se,, notk liran* 

nide : imperocché costui ordinò un* Senato di uomini 

comunque , infìacchi 1’ autorità del tribunato , devastò 

città intere , distrusse e creò regni , ed altre cose fece 

e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a rac- 

contare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia , ne trucidò 

nemmeno di quaranta mila , datisi a lui prigionieri , 

dopo averne prima tormentati alcuni. !Non è questo il 

tempo di discutere se egli fe’ ciò necessitato o per utile 

del comune : solamente ho voluto dimostrare che ne 

divenne abominato c spaventevole il nome di dittatore: 

ciocché pur succede ad altre cose ammirale e disputate 

dagli uomini, non che alle sole dominazioni: perciocché 

tulle le cose appariscono belle e giovevoli se bene si 

.adoperino , come danncvoli c turpi se mal si dirigano ; 

di (he ne è causa la natura che in lutti i beni ha 



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DELLE antichità’ BOMANE LIBBO V. 201 

sparso i germi dei male ; se noa die di tali cose di- 

remo altrove più propriamente. L’ anno prossimo a 

questo nella olimpiade 'j i ^ nella quale vinse allo stadio 

Tisicrate Croloniatej- essendo Ipparco F arconte di Ale* 

ne , presero il consolato Aulo Sempronio Atratino e 

Marco Minucio. 




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202 



DELLE 


ANTICHITÀ ROMANE 


D I 


DIONIGI ALICARNASSEO 



LIBRO SESTO. 



I. Li anno prossimo a questo nella olimpiade 71.* 

nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo 

Ipparco arconte di Atene , presero il consolato Aulo 

Sempronio Atralino e Marco Minucio (i), ma niente vi 

operarono degno di ricordanza , nè in città nè fra le 

armi : perciocché la tregua co’ Latini dava loro placida 

calma cogli esteri , e la legge decretata dal Senato di 

sospendere la esazione dei prestiti , finché la guerra 

imminente avesse buon termine , avea sopito le som- 


fi) Àn. di Roma aS7 secondo Catone, 259 secondo Vairone, • 

recchi per la guerra. Il complesso de’ Romani era vo-* 

lentei'oso e propensissimo a combattere ; ma il più dei 

Latini eravi disanimato e forzato : dominando per le 

città uomini quasi tutti corrotti dai doni e dalle prò» 

messe di Tarquinio , e di Mamilio , rimossi dalle cure 

pubbliche quanti favorivano il popolo e ripudiàvan la 

guerra. Cosi non più dandosi a chi la volea la facoltà 

(li discorrere , si ridussero i più corucciati a lasciare in 

copia la patria , e fuggirsene in Roma. Nè quelli che 

dominavano ve gl’ impedivano , ma teneansi obbligatis- 

simi ai competitori , dell’ esilio spontaneo. Li riceveano 

i Romani e compartivano tra le milizie interne, e me- 

scbiavano alle coorti urbane quanti ne venivano con 

mogli e figli , ma spedivano gli altri a' castelli intorno 

e per le colonie , sopravvegliando intanto che non fa- 

cessero' mutamenti. E consentendo tutti che bisognavaci 

novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare 

a suo modo ogni cosa , fu nominato dittatore Aulo 

Poslumio il console più giovine da Virginio il collega : 

e costui , come già 1’ altro dittatore scelse per suo 

maestro de’ cavalieri Tito Ebuzio Elva , e registrati in 

poco tempo tutti i Romani già puberi , ordinò la mi- 

lizia in quattro parti , reggendone egli 1’ una , dandone 

a reggere la seconda a Virginio il compagno nel con- 

solato , la terza ad Ebuzio il maestro de’ cavalieri , c 


(i) An. di Roma aSS secoado Catone, aCo secondo Varrone, • 

4e essi agevole- 

rebbero ossea più le cose loro. Se non che mentre de- 

liberavano ancora giunse coll’ armata sua da Roma Tito 

iVirgiuio r altro console , marciato improvvisamente nella 

notte dinanzi : e prese anch’ egli campo in altra altura 

assai forte. Di modo che i Latini rimasero intracchiusi , 

nè più idonei ad un assalto , avendo a sinistra il con- 

sole e a destra il dittatore. Adunque tanto più sen con- 

turbarono tra quelli i capitani i quali non voleano se 

non partiti sicuri , e temerono che tardando si ridu- 

cessero a consumare le loro provvigioni , le quali non 

erano molle. Postumio notando quanta fosse la impe- 

rizia loro nel comandare spedi Tito Ebuzio maestro dei 

cavalieri col nerbo de’ cavalli e de’ soldati leggeri ad 

.occupare un monte rilevantissimo in su la via , per la 

quale recavansi i viveri dalle loro terre ai Latini. Andò 

questa milizia espedita con la cavalleria , e condotta di 



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LIBRO VI. 207 


notte tra selve non frequentate ; prese il monte prima 

che i nemici se ne avvedessero. 


V. I capitani nenuci osservando invasi anche i posti 

forti che erano loro alle spalle , nè più avendo spe- 

ranze buone sul trasporto indubitato de’ viveri da’ paesi 

loro , deliberarono respingere i Romani dal monte prima 

che vi si assicurassero ancora cogli steccati. Adunque 

Sesto r un d’ essi presa la cavalleria vi si lanciò con 

impeto ; quasi la cavalleria Romana non si tenesse a 

ribatterlo : ma tenendosi questa bravissimamente contro 

gli assalitori , Sesto durò qualche tempo ora dando voi* 

ta , ora tornandole a fronte. Ma perciocché quel luogo 

riusciva opportunissimo a chi ne avea le alture , e co- 

stava assai travagli e ferite a chi vi si recava dabbasso ; 

e perciocché giungeva ai Romani un soccorso di milizia 

legionaria mandata appresso da Postumio ; egli ritirò , 

non potendo altro fare, la cavalleria negli alloggiamenti. 

I Romani impadronitisi appieno del luogo , si misero a 

fortificarlo pubblicamente. Dopo ciò parve a Sesto e 

Mamilio ndn essere più da indugiare gran tempo , ma 

doversi decidere la sorte con una pronta battaglia : e 

parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque 

avesse ne’ principi ideato di dar fine alla guerra senza 

combattere , sperando giungere a ciò , specialmente per 

la imperizia de’ capitani. Imperciocché da’ cavalieri cu- 

stodi delle strade furono sorpresi de’ messaggeri che an- 

davano dai Yolsci a’ Latini con lettere di avviso che , 

indi a tre giorni al più , verrebbe milizia copiosa di 

rinforzo da loro , come altra dagli Eroici. Or ciò ri- 

dusse i duci Romani a venire , sebbene contro il pro- 



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■n 



208 DELLE Antichità’ romane 


posilo , a pronta giornata. Datosi da ambe le parti il 

segno della battaglia ; si avanzarono gli uni e gli altri 

al campo intermedio , e cosi vi ordinarono le armate. 

Sesto Tarquinio ebbe a reggere 1’ ala sinistra de’ Latini, 

ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1’ altro figliuolo di 

Tarquinio comandava il centro óve erano i disertori e 

fuorusciti Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu 

dispensata alle ale ed al centro. In opposito Tito Ebuzio 

ebbe 1’ ala sinistra de’ Romani contro di Ottavio Mami- 

lio , e Tito Virginio il console si contrappose colla de* 

stra a Sesto Tarquinio; Empiva de’ genj suoi Postumio 

stesso il dittatore 1’ armata di mezzo , e moveala contro 

Tito Tarquinio ^ e gli esuli da Roma j i quali eran con 

lui. Il complesso delle milizie venute a combattere erano 

ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri nella parte 

Romana , e quaranu niila fanti , e tre mila cavalieri 

nella Latina. 


VI. Quando erano per andare a combattere i capitani 

Latini , aringando ognuno i suoi , diedero mille ecci- 

tamenti di coraggio , e ricordarono lungamente cioc- 

ché bisogna al soldato. Dall' altra parte il Romano ve- 

dendo cbe i suoi temeano come quelli che cimentavansi 

con gente assai più numerosa , e volendoli sollevare da 

quella paura , fe’ radunarli , e poi tra corona di sena- 

tori , onorabili per anni e per credito , cosi concionò : 

Gli Dei cogli aitgurj , colle viltime , con ogni segno 

divinatorio promettono alla nosti'a patria Li libertà , 

ed una propizia vittoria; contraccambiandoci della 

pietà verso loro , e della giustizia esercitata da noi 

verso gli altri in tutta la vita : per lo contrario , inì- 



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~ » 



LIBRO VI. ' » 209 


mici sono , come deano , de' nostri nemici , perchè 

tante volte e tanto da noi beneficali , essi parenti , 

essi amici nostri ', essi legatisi a noi di giuramento 

per avere appunto gli amici stessi ^ i nemici , ora 

spregiato ogni vincolo , ci movono una guerra ingiusta 

non per decidere qual di noi si abbia la preminenza 

e il comando , ciocché sarebbe il meno de mali ; ma 

in favor dei timnni , e per fare la patria nostra che 

è libera', schiava ai Tarquinj. Ora intendendo voi o 

centurioni e soldati , che militano con voi gli Dei , 

quelli stessi che hanno sempre difesa Roma , si con^ 

viene che rnagnanimi vi dimostriate in questa bat- 

taglia : molto più che ben sapete che gli Dei fa- 

voriscono i bravi combaltitori , quelli che quanto è 

da loro fan tutto per vincere , e non quelli che fig- 

gono i 'pericoli, md quelli che li sostengono per sal- 

vare' sè stessfi Inoltie a voi sono apparecchiati dalla 

sorte altri mezzi non pochi per la vittoria , e tre so- 

prattutto manifèstissimi. 


Vn. Il primo è la fedeltà scambievole , requisito 

principaliss'tmo in chi disegna vincere l’ inimico ; im- 

p^ciocchè non' dee già cominciar • questo giorno a 

rendervi amici fidi e costanti; ma la patria ha da 

tanto tempo preparato' a voi tutti un tal bene. V oi 

allevati in urta terra, educati di una maniera sagri- 

ficate agl’ Iddj su di altari medesimi : . e voi avete 

fin qui partecipato i tanti beni e sperimentato in- 

sieme i tanti mali, i quali rinforzano, anzi rendono 

indissolubili, le amicizie fra gli uomini , quante volte 


DIONJGt. tomo II. i . *4 



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a I o DELLE Antichità’ domane 


presentasi loro un cimento comune su gravissime cose. 


In secondo luogo , se voi soggiacerete .ai nemici , già 

non sarà che alcuni di voi restino immuni , altri su- 

biscano r estrema degl' infortunj ; ma tutti, sì, tutti 

perderete la gloria vostra , f impero , ' la libertà j noit 

più padroni delle mogli , non più de' figli , non più _ •' 


delle sostanze, non più altro bene vostro qualunque. ^ 


E li vostri capi, li vostri pubblici magistrati ‘ miseran- 

damente moriranno tra flagelli e tormenti. Se già non 

offesi da voi punto nè poco , fecero a voi tutti ogni 

maniera cT ingiurie ; e che mai potete aspeltarvene 

ora se vincano , nella memoria che hanno de’ mali ; 

che gli avete ridotti fuori della patria , che gli avete 

spogliati de’ beni , nè consentile che tornino alle case , 


paterne ? L’ ultimo de’ mezzi indicàtir, nè minore de- 

gli altri se rettamente sen giudichi,, è che noi troviamo 

le cose tra’ nemici men prospere che non pensavamo. 


E certo vedete voi da voi stessi che tolto gli Anziati, 

niuno è qui per soccorrerli nella guerra. Noi conce- 

pivamo che verrebbero per essi tutti i Eolsci ; e Sa- 

bini ed Ernici in copia , e mille altre vane paure ci i 


fingevamo. Erano questi tutti sogni de’ Latini , imma- I 


ginati su promesse vane , su speranze senza base. 

Quindi altri nel meglio ne abbandona la causa, spre- 

giando r euUorità de’ sì belli capitani:, altri li terranno ^ 

anzi a bada che li soccorreranno , temporeggiandoli 

con lusinghe ; e quelli che or si apparecchiano , come 

tardi per la battaglia , inutili diverranno. ■ I 


Vili. Che se alcuni di voi pensano che giusto sia I 


ciocché io dico , eppur temono . la quantità de' nemici, j 



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' LIBRO VI. a I I ■ 


€onoscanò per una breve iilruzione, o piuttosto ricordo, 

che essi temono non temibili cose. E prima conside\ 

tino che il pià di' loro è stato forzato alle arme con- 

tro di ìtoi , come ce lo ha con tante opere e detti 

mànìfestato ; e che gli spontanei , quelli che di lor pia- 

cere combattono pe’ tiranni sono ben pochi , e piut- 

tosto una parte insensibile rimpetto di voi. Appresso 

considerino che le guerre guidale a buon successo non 

la superiorità' nel numero , ma nella fortezza. E lun- 

ghissima opera sarebbe ricordar quanti eserciti di bar- 

bari, quanti di Greci, tuttoché preminenti di numero, 

siano stati disfatti da piccioli corpi e quasi non cre- 

dibili a dir. Ma tralascio gli esempj altrui : dite ^ 

quante guerre non avete voi ben guerreggiato con ar- 

mata minore della presente, e contro apparecchi assai 

pià potenti di questi ? Dite ; voi fin qui teiribili agli 

altri che avete combattuti e vinti, siete ora voi dispre- 

geiSbli a questi Latini, ai Folsci loro alleati, perchè 

non vi han essi mai sperimentato Jra le arme ? Sa- 

pete pure voi tutti quante volte i nostri padri gli hanno 

in campo superati ambedue. E vi par verisimile che 

la condizione da’ vinti sia dopo tante perdite migliore, 

e peggiore sia quella de' vincitori dopo tanti bellis- 

simi fatti ? E chi ,' se abbia mente , chi mai dirà 

questo ? Anzi ben io mi 'stupirei se alcuno di voi 

paventasse questa turba ove si pochi sono li bravi, e 

spregiasse la milizia nostra si forte e si numerosa ; 

che nè pai' numerosa nè pià forte mai ne abbiamo 

finora schierato in battaglia. 


IX. Che pià : deve , o cittadini ì esservi impulso 







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i\-> DELLE Antichità’ bomane 

grandissimo a non temere , nè ricusare i pericoli t ej- 

sere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con 

voi la sorte stessa delle arme i primarj de’ senatori , 

quelli che la età o la legge gli esenta dalla milizia. 

Che^sl; che egli sarebbe vituperoso che -uomini nel 

fior degli anni temessero i pericoli quando i provetti 

gli affrontano, Avran cuore i vecchi di ricevere per la 

patria la morte se dare non là possono ai nemici; e 

voi li sì . vegeti , voi che ben potete • f una e l’ altra 

cosa , o salvarvi e vincere senza danno , o certo ma- 

gnanimamente operare , e soffrire , voi non vorrete 

nè cimentare la sorte , nè la Jama .procacciarvi de’ va- 

lorosi F No , ciò di vói non è degno , o Homani , ai 

quali sopravvanzan tante mirabilissime gesta degli an- 

tenati , le quali niuno loderebbe mai quanto basta : 

e se voi vincerete questa guerra, i vostri posteri an- 

cora si gioveranno di tante vostre gloriosissime im- 

prese. Ma perchè nè sia senza frutto chi si delibera 

K alle grandi azioni ; nè si trovi col danno chi ne teme 

i rischj oltra il debito , udite prima d incorrerla, 

Indite qual sarà la sorte dell’ uno e delt altro. Chiun- 

que ìlei combattere imprende belle e magnanime gesta 

ne sarà da chi ’l vede encomiato ; ed io, quando di- 

spenserò li premj che .ciascuno' -dee raccoglierne. se- 

condo il costume della patria j quando. darò insorte 

le, terre pubbliche , io costui ne appagherv, sicché pià 

di nulla abbisogni. Al contrario chiunque nel cuor suo 

vile, offensivo de’ numi , si deciderà per la fuga , 

costui si troverà per me colla morte che fogge ; chè 

ben è meglio per esso e per altri che un tale citta- 



» 



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LIBRO VI. 2 I 3 


dina perisca : e così perendo , non che attere i fune- 

bri onori eia tomba ^ si resterà, non emulato' nè 

pianto , in abbandono agli uccelli e alle fiere. Con 

ioli previdenze , andate : combattete alacremente ; e 

V abbiate per guida alle grandi azioni la speranza 

buona , chè dato a questo cimento un termine gene- 

roso , come tutti desideriamo , avrete ottenuto amplis- 

simi beni, avrete liberato voi dal timor dei tiranni , 

avrete , come doyeasi , corrisposto alla patria , che 

chiedea la gratitudine vostra per avervi generati e 

nudriti , avrete operato eh» i teneri vostri figli , le 

vostre mogli non sqffrano oltraggio da nemici, e che 

ì vecchi vostri genitori vivano in calma il picciolo 

avanzo di vita. Felici voi d quali riservasi tornare 

da questa guerra col trionfo, mentre li figli vostri' ve 

ne aspettano , e le spose , e li genitori. Quanto sa- 

rete celebrati , quanto ' invidiati pel coraggio di dare 

voi stessi per là patria ! Tutti deano morire valen- 

tuomini o no] ma il moribe con dignità' e CON 

GLORIA NON È PROPRIO CHE DE' VALENTUOlilNI- 

X. Ancora egli continuava tali detti magnanimi ; 

quando ecco spargersi nell’ esercito un ardore divino , 

e tutti ad una voce gridare : ardisci , e guidaci. E qui 

Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi 

agl’ Iddj , se avea buon successo nella guerra , di fare 

grandi e sontupsi sagrilìzj , e ^lendidissimi giuochi da 

rinnovarsi in. Roma ogn’ anno rilasciò le milizie perchè 

si oi'dimssero. Quindi come i duci diedero il segno e 

le, trombe l’invito a ^mbattere; lanciaronsij gridando, 

quinci c quindi prima i soldati leggeri e li oavalietà , e 



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2 1 4 DEiXE Antichità.’ homane 

poi le lej^ioni le quali aveano schierameotd ed armi 

consimili. Fecesi di tutti una mischia vivissima , ^dottasi 

tutta al dar delle mani. Tennesi questa lungo tempo 

contraria alla espcttazione di ambedue, sperando gli Ubj 

e gli altri che non avrebbero nemmeno a combattere , 

ma che a prim’ impeto forarebbero , ed intimorirebbero 

rinunieo; i Latini alhdati alla cavalleria loro numerosa 

quasi i’ urto ne fosse irreparabile alla cavalleria Romana; 

e li Romani aU’andarne audaci c spregianti ai perìcoli , 

quasi cosi avessero a soprailare l’ inimico. Non ostanti 

tali primitivi concetti degli uni su gli altri , vedeano tutti 

seguire il contrario. Quindi considerando che il mezzo 

di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la 

paura de’ nemici ; militarono bravlssimamente anche so- 

pra le forze ; e varie ne furono le vicende e le sorti. 


XI. Primieramente li Romani del centro dov’ era il 

fiore de* cavalli con Postumio dittatore, e'dove combat- 

teva egli stesso tra’ primi , cacciano di posto i loro com- 

pettitori dopo ferito con uno strale in una spalla , cd 

inabilitato a valersene , Tito l’ uno de’ figli di Tarqur- 

nio ; sebbene Licinio c Gellio senza esaminare le cose 

verisimili e possibili, suppongano esser questo che mili- 

tando a cavallo restò ferito lo stesso re Tarquinio, uomo 

più che nonagenario (i). Caduto Tito , le sue milizie 


(i) .\nofaa Tito Lhrio i di - questo parere, quantunque avesse 

considerata la difficoltà degli anni : ^li scrìve in Postumiwn prima 

inacìesuos aiihortantem i/utruentemtfua , Tarquinius super but quam- 

quam jam alate et viribus crai graiùar equnm infestas admitil. Nà 

SODO mancsti altri re che in quella ^ fornivano tutti gl' incarichi 

del regno o còmbattevano. Massiuissa fu I’ uno di.questi, cd .àntea 

re degli 'Setti mori combattendo, vecchio pi4 (he di novant’anni 




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MBBO VI. 2 I 5 


tennero fronte alcun tempo , e sollecite ne raccolsero 

vivo il corpo , non però fecero altro più di generoso , 

ma rinculavano incalzate via via da’ Romani , 6nchè 

soccorse da Sesto l’ altro 6glio di Tarquinio co’ fuoru- 

sciti Romani , e da truppa scelta di cavalieri si arresta- 

fono , e tornarono su l’ inimico. Cosi ripigliato Corano 

combattevano questi nuovamente. Intanto negli altri coi> 

pi (i) segnalandosi più che tutti i duci Ebuzio e Ma- 

milio , fugando ovunque volgeansi chi resisteva , e rior* 

dinando i loro se scompigliavans! ; vennero a disfida in 

fra loro : lanciatisi 1’ uno su l’ altro portaronsi colpi gra- 

vissimi , ma non mortali , Ebuzio spingendo 1’ asta per 

la corazza al petto di Mamilio , c Mamilio traforando il 

braccio destro di Ebuzio: tanto che ne caddero ambedue 

da cavallo. 


XII. Portali ambedue fuori della battaglia Marco Va* 

lerio che era un’ altra volta luogotenente anzi il più 

vecchio, prese le veci di Ebuzio maestro de’ cavalieri : ma 

contrastando colla sua la cavalleria nemica , e contenen* 

dola per breve tempo , infine fu violentato e respinto assai 

lungi ; perocché gèinsero in ajuto al nemico i fuorusciti 

Romani a cavallo , o di milizia leggera: e Maiadìo stesso 

riavutosi dalla percossa era tornato in campo con caval- 


eon Filippo Macedooe. E Luciioo scrive che Tarqptinio superbo 

più che nonagenario viveva robustissimo in Coma. Forse Licinio e 

Gellio non son dà riprendere. Dee poi notarsi, che Tarquinio; 

anche secondo Dionigi , visse più di novani’anni. Vedi § ai di 

questo libro. ' 


(i) Cioù Mamilio nell’ ala destra de’ Latini ed Ebutio nella si- 

nistra de’ Romani , percbù già stavano appunto in queste aie ; uù 

Diouigi lia (inora dello che avessero cambiato posto. 




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2i6 delle Antichità.’ romane 

lerla numerosa e col nerbo de’ soldati espeditì ; anai in 

questa pugna cadde trafìtto da un’ asta Io stesso luogo- 

tenente Valerio (i) quegli che il primo avea trionfato 

de’ Sabini , e rialzato lo spirito di Roma infìacchito pei 

danni ricevuti da’ Tirreni : e con lui pur caddero altri 

molti nobili e valorosi Romani. Sorse sul caduto corpo 

di esso una lotta vivissima facendosi scudo allo zio li 

due Publio e Marco , fìgli di Poplicola. Or questi con- 

segnandolo intatto colle armi sue , mentre respirava an- 

cora , ai scudieri perchè Io riportassero agli alloggia- 

menti; lanciarono sestessi in mezzo al nemico spinti 

dall’onta ricevuta e dall’ardore dell’ animo : ma piom- 

bando d’ ogn’ intorno i fuoruscili su loro , alfine carico 

r uno e r altro di ferite mori (a). Dopo tale infortunio 

r armala Romana fu cacciala di posto , ed assai mal- 

menata dalla sinistra fino al centro. Il dittatore al co- 

noscere che i suoi fuggivano , ben tosto si staccò per 

soccorrerli con i cavalieri che aveva d’ intorno : e dato 

ordine a Tito Erminio di andare coll’ ala della caval- 


(i) Intende il Valerio fratello di Valerio l’oplicola: però il pri- 

mo Valerio è detto tio de’ fìgli di -Poplicola. Il Valerio del i- 

gotliti , li menò contro 1’ armata di IMamilio , ed egli 

stesso avventandosi addosso di lui die era il più grande 

e più gagliardo di quanti gli erano a fronte, lo uccise; 

ma fattosene a spogliare il cadavere, egli ancora vi soc- 

combò trafitto .dal brando di un tale in un lato.* Sesto 

Tarquinio, duce dell’ala sinistra Latina, resistendo tut- 

tavia tra tanti mali , avea cacciata di posto 1’ ala destra 

de’ Romani : come però vide Postumio venire su lui col 

uei'bo de’ cavalieri , disperatosi corse in mezzo a’ nemici. 

E qui circondato da’ fanti e da’ cavalieri ed investito , 

quasi una fiera d’ ogu’ intorno , mori , ma non senza 

averne anche egli stesi molti di quelli che lo investi- 

vano. Caduti i duci , pienissima fu la fuga de’ Latini , 

e la presa de’ loro alloggiamenti , abbandonati pur dalle 

, guardie. Dicchè i Romani se n’ebbero molti e belli van- 

taggi. Gravissima fu la perdita de’ Latini , tanto che 

moltissimo ne decaddero : e la strage fu tanta , quanta 

mai più per addietro ; imperocché di quaranta mila fanti 

e tre mila cavalli , come ho detto di sopra , nemmeno 

dieci mila tornarono salvi alle case. 


XIII. È fama che in questa battaglia si rendesser vi- 

_sibili al dittatore, ed al seguito suo due cavalieri adorni 

del Gore primo di giovinezza , grandi e belli assai più 



2i8 delle antichità.’ romane 

che la condizione non sostiene dell’ uomo ; e che po- 

nendosi alla testa della cavalleria romana , peKotessero 

colle aste i Latini che le si avventavano , o' li sospin- 

gessero a rapidissima fuga. E fama è similmente che 

dopo la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro alloggia- 

menti, presso al crepuscolo vespertino, appunto quando 

la zuffa ebbe fine, si dessero a vedere in abito militare 

nel F oro romano due giovani altissimi , e vaghissimi ', 

spirando in volto ancora 1’ ardore della battaglia , dalla 

quale venivano , e reggendo cavalli , molli di sudore. 

Dicesi che smontati l’ uno e 1’ altro da’ cavalli, lavavansi 

nell’onda, la quale sorgendo presso il tempio di Vesta 

forma una lacuna , picciola si , ni» profonda : ma che 

fattisi molli intorno di loro , e chiedendone se punto 

recassero di nuovo dall’ esercito , rilevarono ad e»i 

Ciocch’era della battaglia, e come 1’ aveano guadagnata: 

e che partiti poscia dal Foro non più furono veduti 

da alcuno , tuttoché seu facesse ricerca grandissima dal 

comandante lasciato in Roma« Come però nel giorno 

appresso riceverono i capi della città lettere dal ditta- 

tore , e conobbero 1’ assistenza dei due numi , e tutti i 

successi della battaglia ; giudicarono che i .due perso- 

naggi apparsi fossero , com’ era verisimile , gl’ Iddii 

stessi , e conchiusero che erano le immagini di Polluce 

e di Castore. Attestano la comparigione inaspettata e 

meravigliosa di questi Numi , molti segni ancora, come 

il tempio fondalo a Castore e Polluce nel Foro , ap- 

punto dove comparvero j e la fonte vicina , chiamati c 

creduta sacra finora , e li sagrifizj magnifici che il po- 

polo ne celebra ogni aqno per mezzo de’  a fare nè 1’ una nè l’ altra di queste 

due cose: che. era bensì, da giovine iL trasporto d’ allora 

per combattere ; ma che assai più biasimevole sarebbe' 

il fuggirsene a casa : e che qualunque de’ due parliti 



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LIBRO VI. 321 


seguissero , andrebbe a genio de’ nemici. Era il parere 

di questi , cbe di presenta 'si triucierassero e preparas- 

sero quanto bisognava per la battaglia , e clic intanto 

spedissero ai Volaci per chiedere che inviassero nuove 

forze onde pareggiare quelle de’ Romani , o che richia- 

massero le altre già’inviate. La sentenza però sembrata 

più persuasiva e ratificata da’ capi fu di mandare al 

campo romano alcuni osservatori col nome di amba- 

sciadori onde preservarli , li quali , complimentandolo , 

dicessero al capitano, che il comune de' Volsci man- 

davali per ajuto de'Bomani: si doleano però che giunti 

tardi per la battaglia non troverebbero uemmen grati- 

tudine di tanto amore, vedendo come l’aveano già vinta 

a grande lor sorte , anche senza degli alleati. Con tali 

dolci maniere illudendo , c dandosi per amici , andas- 

sero , spiassero , conoscessero la moltitudine de’ nemici, 

le arme , gli appareccbj , i disegni. Conosciuto ciò , 

discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove 

truppe , o menare le presenti all’ assalto. 


XVI. Poiché si riunirono tutti in questa sentenza, 

ne andarono gli oratori eletti da essi al dittatore : e 

poiché recati nell’ adunanza vi esposero gl’ insidiosi loro 

discorsi ; Postumio soprastando alcun tempo, alfine ri- 

spose: Voi siete o Volsci venuti qua con rei consigli 

sotto belle parole,: nemici nelle opere , volete presso 

noi la stima di amici. Voi foste inviati dal vostro 

comune ai Latini per combatterci. Ora. non essendo 

voi giunti a tempo per • la bat&iglia ; anzi vedendo 

questi già vinti, cercale deluderci con dirne cose con- 

trarie a quelle che eravate per Jdré. Ma nè sincera 



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22 2 DELLE ANTICHITÀ’ ' ROMANE 


è r amicìzia del parlare che assiunete in vista del 

tempo presente , nè sincero il titolo della vostra le- 

gazione ; ma pieno è di malizia e d’ inganno. Non 

voi veniste sensibili pe nostri beni , ma per investi- 

gare qual sia lo stato tra' noi di debolezza 'e di 

forza. Messaggeri ne' detti , voi non siete che esplo- 

ratori nè fatti. E negando questi, ogni cosa , soggiunse 

che presto li convincerebbe. E qui produsse le lettere 

dei Volsci intercettate da lui prima delia battaglia, e chi 

le portava ai duci dei Latini , nelle quali prometteano 

mandare a questi un soccorso. Riconosciute le lettere , 

e palesato dai prigionieri il comando che aveano ; arse 

la moltitudine di manometter que’ Volsci , quali spie 

sorprese nel delitto. Non però volle Postumio che essi, 

nomini probi , si diportassero come i malvagi ; dicendo 

esser meglio serbare  permesso 

a quelli a’, quali solcasi , che die^fes^ i loro pareti ; 

Tito Largio, il primo de’ dittatoti create già per l’anno 

antecèdente (i) consigliò che ■usassero'*^ la sorte sobbria- 

mente. Diceva ' essere encomio grahdissimo per una 

città come per un uomo se rion lasciandosi corrom- 

pere dalle prosperità , le sostiene con regola e con 

dignità : odiarsi tutte le prosperità , quelle principal- 

mente per le quali possono ingiuriarsi , e gravarsi i 


(i) Vuol dire tre anni addietro: come fu notalo da Silburgio. 



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LIBRO VI. ’ 2 2^ 


miseri e li sottomessi. iVon confidassero su la sorte , 

essi che àveano sperimentato tante volte ne’ beni, e 

ne' mali proprj , quanto fosse mal ferma e mutabile: 

nè Kiducessero i nemici 'alla necessità di pericolo 

estremo per la qualè ipesso gli uomini s’ innalzano , 

e combattono sopra le forze. Temessero , se prèn- 

deano pene irreparabili e dure su chi avea mancato, 

di provocarsene f ira comune di ogni popolo sul quale 

aspiravano di comandare ; imperocché decaduti dalle 

maniere consuete colle quali eransi rendati chiari di 

oscuri parrèbbono aver fatto ' della sovranità una ti- 

rannide, nqn lìn governo éd un patrocinio. Dieea che 

mezzana non irremisibile è la colpa , se città già li- 

bere ,• anzi usate al comando, nOn sanno dall’ antico 

grado discendere. Se quei che anelano il meglio , 

siano sé falliscono il colpo , vendicati immedicabil- 

mente ^ niente ipipedirà, che gli uomini, generati tutti 

con intimo amore della libertà si distravano gli uni 

cogli altri. ^AggiuDgefra che assai piti nobile , assai 

piti fenho è il principato^ che amministrasi tenendo i 

sudditi colld beneficenza ' non co’ supplizf : perciocché 

dà quella' nasce la benevolenza , e dà questi il ti- 

more ■> e ciocché si teme , ^^si odia vivàmente per ne- 

cessità di natura. Da ultimo pregayali a pigliar per 

esempio le opere bellissime pqr le quali gli antenati 

loro'tajfto erano encomiati'^ ' e qui ridiceva com' èssi 

aveano niàgnificatò" Bonia ^à piccola , non diroccando 

le città prese',' nè Spopolandole nè spegnendovi al- 

meno gli adulti , ma riducendqle colonie di Bofna , 

Dionigi:’ tomo II.' ^ ' , J , • (S • 




aa6 DELLE antichità’ romane 

e concedendo la cittàdLinanza a tutti i yinti che in 

Jtoina vollero domiciliarsi. Tilo Largib mirava col dir 

sao principalmente a questo , che si riqovasse co’ Latini 

l’alleanza, com’ eravi staU,'nè più ingiuria dcun% di 

qualunque città si ricordasse. '' 


XX. Servio Sulpizio punto non contradisse intorno 

la pace e la rinovazione dell’ alleanza. Siccome di oomini 

che aveano tr^viatot E costui pigliandone -vesti e cibi 

per r esercita, ^e . scegliendone trecento .. ostaggi, dalle 

famiglie più cospicue , _ parti come ^ avesse dissipata la 

guerra. Non però fu, questo un dissolver!^ 'ma .piuttosto 






LIBRO VI. a33 


un dlHerirla , e dar causa di apparecclij ad essi, preoc- 

cupati dal giungere loro inaspettato. Ritiratosi l'esercito 

romano, si accinsero i Volaci di bel nuovo alla guerra, 

e munirono e meglio presidiarono le città , ed ogni 

luogo acconcio da rifuggirvisi. Si consociarono con essi 

per l'impresa i Sabini, e gli Ernie! svelatamente ; ma 

segretamente molti altri ancora. I Latini, essendo venuti 

ad essi a,mbasciadori per chiederne 1’ alleanza , li lega- 

rono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla 


costanza della lor fede , e più ancora alla prontezza 

colla quale > solcano spontaneamente per esso cimentarsi, 

e combattere, ^^iudi restituì loro gratuitamente, cioc- 

ché pur vedea di’ essi desideravano , ma vergognavansi 

dimandare, intorno atbeimila fatti prigionieri nelle guerre 

eoa essi : e perchè il dono, prendesse una forma degna 

de’ parenti , -li rivestì tutti con abiti proprj di uomini 

liberi. Del resto fece intendere che non abbisognavasi 

di sòccorso latino , dicendo che bastavano a Roma le 

proprie forze . per vendicarsi de’ ribelli. E cosi risposto - 

ai Latini'^ decretò la guerra contro de’Volsci. 


XXVI. Ancorò il 'Senato sedeva nella Curia, ancora 

considerava quali milizie destinasse a marciare ; quando 

fu visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni , 

sordido ne’ vestimenti , e ha^'buto ^ capelluto ., gridava 

ed invocava soccorso dagli uomini, Accorsa la moltitu- 

dine Intorno; égli postosi in luogo donde fosse visibile 

disse: Io. generato libero y dopo. 'èssere finché n era 

la ptà., marciato in tutte le spedizioni , dopo averi' 

sostenuto vent’ otto battaglie ^ e riportato pià volte ,i 

premj militari.,' alfine quando sopravvennero i tempi 



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2 34 DELLE Antichità’, romane 


che strinsero Jìonm alle ultime angustie fui necessi- 

tato a prendere wi prestilo per supplire al tributo 

che mi si chiedeva: perchè il mio campicetlo' era 

desolato da’ nemici , e le' rendite urbane tutte. per la 

penuria de’ viveri mi si consumavano. Cosi non avendo 

come più redimere il debito , fui condotto dal pre- 

statore con due miei figliuoli a servire. Comandan- 

domi poi quel padrone non facili cose io contraddis- 

si ; e ne fui con moltissimi talpi battuto^ E così di- 

cendo squarciò la lurida veste ; ,e mostrò pieno il petto 

di ferite, e grondanti le spalle di sangue. E. qui ulu- 

lando , e piangendone la moltitudine .?■' ^1 Serrato si di- 

sciolse : e tutta la città fu percorsa da’ poveri che. de- 

ploravano la infelice lor swte , ^ cliiedeano soccorso 

da’ vicini. Uscirono allora dalle Case (i) tutti quelli che 

erari servi pe’ debiti, «abbuffati le chiome, e la maggior 

parte colle catene alle mani,,' e co’ ceppi nei piedi, 

senza che alcuno osasse reprimerli: e so altri osava pur 

toccarli, erane manomesso co’ dU'ittL della, forza. Tanta 

rabbia in quel punto invase il' popolo ! Nè molto dopo 

il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di 

chi signoreggiavali.. Appio a, come .autore non ignoto 

de’ mali , temette coutfa di sè le ffe della moltitudine , 

e s’involò, fuggendo, dal-Foro. Ma Servilio deposta la 

veste contornata di porpora , e gettatosi lagrimando ap- 

pie di ciascuno ; a stento li persnase a contenersi per 

quel giorno, e tornar; nel seguente, mentre il Serrato 

■ provvederebbe iij qualche modo su loto. Cosi dipendo , 







Ds’ creditori 




•i 



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LIBRO ‘VI. • a35 


e comandando al banditore di proclamare , die ninno 

de’ creditori potesse trar seco pe’ debiti alcun cittadino , 

finché il Senato su ciò deliberasse , e che tutti gli 

astanti 'ne andassero ove più /deano senza timore ; 

chetò la turbolenza. 


XXViL Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo 

giorno vi' si riunì non solo la moltitudine della città , 

ma r altra ancora de’ campi vicini; tanto che sull’ alba 

già .il Foro ne ribolliva. Adunatosi il Senato per discu» 

te re ciocché era da fare , Appio chiamava il compagno 

adulatore del popolo e capo' della insolenza de’ poveri : 

e Servilio rimproverava lui come austero , caparbio , e 

fabbro de’ mali che pativano: nè ci avea niun fine alla 

disputa; Intanto latini cavalieri spronando vivissimamente 

i cavalli si apprésentarono al Foro , annunziando essere 

già usciti 1 nemici con -.esèrcito poderoso , e già sovra- 

staìre alle cime -de’ monti loro. Cosi dissero questi : e li 

cavalieri , e quanti avéano ricchezze e gloria ereditaria , 

armaronsi in fretta, come.su. pericolo estremo; laddove 

i poveri ;• sjngolarmenle gravati da’ debiti, nè toccavan 

armi, né -soccorrevano in alcun* modo a’ pubblici biso- 

gni: anzi gioivano , ed accoglievano con desiderio la 

guerra esterna , come quella che redimerebbe loro dai 

mali presenti. E se altri, gli' esortava a respingere gli 

inimici , mòstràvanò a lui le catene é. li ceppi , e lo 

confondevano addinrtandando , se Cosse mai degno com- 

battere per difendersi tanto benefizio. Anzi taluni osa- 

rono perfino dire., esser meglio servire ai -Volsci , che 

soffrire i vilipendj de’ patrizj. Infine., era tutta la città 

ripiena di ululàti ; di tumulti , e di ogni lutto di fem- ' 

mine. > 



236 DELLE antichità’ ROMANE 


XXVIII. A tale spettacolo i senatori pregarono ii 

console Servilio, come più autorevole presso del popolo, 

a soccorrer la patria. E costui convocandolo al Foro , 

dimostrò la urgenza del tempo presente , e coiùe non 

ammettesse discordie civili : pregava e supplicava che 

piombassero unanimi tutti sul nemico , non che tol- 

lerassero che rovinasse la patria , ov’ èrano le divi- 

nità paterne, e le tombe. degli antenati, cose prezio- 

sissime tutte presso i mortali. Sentissero verecondia 

pe genitori incapaci a difendersi per la vecchiezza ; 

e pietà delle donne che bentosto sarebbero astretti a 

subire gravi ed inesplicabili affronti : ioprattiitto 

commiscrassero che teneri figliuoletti , cèrto non edu- 

cati a tale speranza , avessero a finir tra' le ingiio'ie 

e i vilipendj spietati. Quando tutti al paio concordi, 

tutti al paro infiammati , avessero tolto il rischio 

presente; allora discutessero comèra da ordinare un 

governo eguale, comune, salutevole a tulli, e 'tale, 

che nè i poveri insidiassero ''agli averi , del. ricco ,, nè 

il ricco i poveri ne conculcasse ^ cose tutte in società 

dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica 

discrezione fosse da provvèdere ai poveri, con quale 

agli altri li quali dopo - dati i prestiti per soccorrere, 

ora ne erano ingiuriati : nè dalla sola Roma si le- 

verebbe la fede do contralti, bene principalissimo tra 

gli uopiini e cuslóde dell' armouia nel corpo delle 

città. Dette queste e slmili cose , quali convenivano al 

tempo , da ultimo provò com’ era la benevolenza sua 

stala sempre costante verso del popolo^ e.pregò'che in 

contragcamblo , almeno di questa , si unissero per la 



UBRO VI. ■ 237 


spedizione j essendo a' lui data ^'.amministrazione della 

guerra, e quella di Ron^a alt compagno. Protestava che 

la sorte avÉvd così destinate a Ipro le. parti : che il 

Senato tn>evalo\ assicurato di cpncedere quanto egli 

prometteva al popolò ■; ,.'e- che egli aveva assicurato il 

Senato cìie\ il .pòpolo non tradirebbe la patria ai 

nemici. ‘ V- ' ''I 


XXIX.' Ciò detto ido^ose al banditore dì pubblicare 

che hiunof poiessé- arrogarsi le case di quelli che 

rnilitassètó. oon lui. ccfntro.^i Vblshi , nè venderle , nè 

impegnarle^ nè. rendet .sérVQ' pe' contratti alcuno della 

stirpe di èostbro, np impedire : veruno a guerreggiare : 

perwtessero pei^' Sècjondò^ i patti le 'azioni de’ pre^ 

stamri.'coutre'qaellijche -noli, prendeano le armi. Co- 

me i pòveri ódirono tiòj. decisero, e lanciaronsi tutti , 

pienirdi ardore aUa guerra'; vchi stimolato dalla ape- 

rto» dì, guadàgnare ; cbi ..dalla benevolenza pel capi- 

tano,,^ et gVan'.-p.firte' per. levarsi da ‘Appio e dai 


vilipendi; ^ersQ q^^rv lllnrra et » ! màli : finché 


, vinsero no- 

Ro- 



fecero che lungo tempo si 'oppo’neàiercr ai 

sopravvenendo’ ài ^Rqmani'laVlèro cavalleria 

vamente 'i, Sabini r ’e fatta'assai' strage , ttfrnaroho a Ro- 

ma conducendo seéo'in’’cópia li prigidhl«n.''ETmpnb^oi 

cei/cati e messi nella 'carcere feSabln^éhefècaùsi a. Roina 

sul titolo, di veder gli ^spettàcoli , dóveariq’ se^rido Tac- 



cordo all’ avvicinàrsi*'aéi lóro, prebccuparne ^ T luoghi piu 

forti :* e li sagnfizj ihterrbttK per' (a guerra fiiroho per 



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LIBRO VI. 24 I 


decreto del Senato raddoppiati ; talché oc fu ^oju e 

riposo nel popolo. 


XXXII. Ancora festeggiavano 1 quand’ ecco ambascia- 

dori dagli Arunci , popolo che occupava i più be’ luo- 

ghi della Campania. Presentatisi questi in Senato diman- 

davano' il territorio tolto dai Romani ai Volsci Eccetrani 

e dispensato agli nomini mandativi per guardia della 

nazione : dimandavano insieme che tal guardia si richia- 

masse; altrimenti verrebbero quanto prima gli Arunci 

su’ Romani, e vendicherebbero tutti i mali che aveano 

causato ai loco vicini. Replicarono a ciò li Romani. 

Ambasciadori , annunziate agli Arunci che noi Tlo- 

mani teniamo per ^uslo che altri lasci a’ posteri suoi 

ciocché ha conquistato per valore su nemici : che la 

guerra degli Arunci non la temiamo ; giacché non è 

questa per noi nè la prima nè la più terribile : che 

noi costumiamo combattere con chi vuóle per t impero 

e pel bene ; e se la cosa riducasi ora all arme , in- 

trepidamente all arme verremo. Dopo ciò movendosi 

gli Arunci con esercito poderoso, e li Romani con 

quello che aveano sotto gli ordini di Servilio ; si scon- 

trarono presso la Riccia città lontana centoventi stadj (1) 

da Roma. Accamparonsi ambedue su di alture forti , e 

poco distanti fra loro: e poiché vi ebbero trincierati 

gli alloggiamenti , scesero al piano per combattere. At . XXXIX. Avendo Appio cosi detto , ed acclamando- 

velo strepitosamente i giovani , quasi egli desse il ben 

della patria ; Servilio ed altri seniori sorsero per con- 

traddirlo : furono però sopraffatti da* giovani che erano 

venuti preparati ed insistevano con forza grande; tan- 

toché prevalse inGne la sentenza di Appio. Dopo ciò li 

consoli , sebbene i più volessero Appio per dittatore , 

come l’unico da por freno alle sedizioni, pure lo esclu- 

sero di concerto , ed elessero Marco .Valerio frateDo di 

Pubblio già primo console , uomo anriano e popolaris- 

simo di credito , persuasi che a lui basterebbe la terri- 

bilità della sua carica; e che si abbisognasse più che 

tutto di un uomo placido , perchè non si ^cessero delle 

innovazioni (i). ^ 


XL. Valerio investito della sua dignità, e scelto per 

maestro de’ cavalieri Quinto Servilio fratello d> Servi- 

lio , collega di Appio pel consolato ; ordinò che il po^ 

polo si radunasse a parlamento. E raduna tovisi albra 

la prima volta ed in gran moltitudine , da che guidato 

all’ armata erasi poi scisso manifestamente al dimettersi 

di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e 


(i) Qursto Valeria nel § 13 delMibro presente si dice ucciso in 

baiiaali* ; ed ora si desorWe colile diitaiore. Vedi la nota al S 11 

ciiaia. 



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LIBRO VI. 249 


disse : Sappiamo o cittadini che sempre di vostro buon 

grado hanno a voi comandato alcuni della stirpe dei 

p^alerj , da' quali liberati dalla dura tirannide , non 

foste mai rigettati nelle' oneste domande^ nè temeste 

violenza ; affidandovi a quelli che sembravano e sono 

popolarissimi infra tutti. Pertanto non io qui parlo y 

quasi voi abbisognate di essere illuminati che noi 

convalideremo al popolo la libertà la quale gli ab- 

biamo da principio vendicato : io parlo per ammo- 

nirvi solo brevemente affinchè siate pur certi che vi 

manterremo quanto promettiamo. Non ammette che vi 

deludiamo V età nostra venuta alla perfezione ^e men 

sostiene che vi ri^riamo , il grado supremo che ab- 

biamo , e finalmente dMbianm pur vivere V avanzo 

dei nostri giorni tra voi per iscontarvela se parremo 

di avervi abusati. Io tralascio però queste cose giac- 

ché non abbisognano di molto discorso tra voi che le 

conoscete. Ma ciò che avendo voi sopportato dagli 

altri, pormi che dobbiate ragionevolmente temerlo da 

tutti, nel vedere che sempre il console che v’invitava 

contro i nemici , prometteavi dal innato, senza man- 

tenervele mai , le cose , per voi necessarie ; questo 

io vi convincerò che non dovete di me sospettarlo , 

principalmente per tali due argomenti : prima perchè 

a deludervi in tal modo' mai sarebbesi il Senato abu- 

sato di me che amantissimo sono del popolo, aven- 

done altri più. acconci : e poi perchè non mi avrebbe 

mai condecorato della dittatura per la quale io posso 

concedervi anche senza di lui ciocché il vostro meglio 

mi sembra. 



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!ì5o delle Antichità’ romane 

XLI. Non crediate che io dia mano al Senato per 

ingannarvi f nè che io consultando con esso vinsidii. 

E se voi così giudicate ; fate ciocché pià volete di 

me, come del più, scellerato tra’ mortali. Ma liberate, 

datemi udienza , da tale sospetto gli animi vostri : 

ripiegate la collera dagli amici su vostri nemici che 

vengono per levarvi la patria , e per fare voi schiavi 

di liberi , sollecitandosi a premervi con tutti i mali y 

riputati gravissimi dagli uomini. Già non lontani si 

dicono dalle nostre campagne. Sorgete , accingetevi , 

mostrate loro che la milizia Romana in discordia , 

tissai pià vale della loro , tutta unanime. Se presi 

noi tutti da un ardore , piomberemo su loro ; o non 

ci aspetteranno , o prenderanno le pene degne del^ 

r audacia loro. Considerate che i nemici che a voi 

portano la guerra sono i Fblsci, sono i Sabini, quelli 

che tante volte avete combattuti e vinti: e che non 

ora han fatto pià grande il corpo nè pià generoso 

di prima il cuore ; ma che ben altro se lo hanno ; 

tuttoché ci disprezzino per le patrie gare. Quando 

avrete punito V inimico , io vi prometto che il Senato 

darà buon fine alle vostre contese pe’ debiti, ed alle 

oneste dimando secondo la virtù che mostrerete nella 

guerra. Intanto libere siano le sostanze , libere le 

persone , libera la fama de’ cittadini Romani dalle 

azioni de’ prestiti , e di ogni altro contratto. Per quelli 

poi che combatterai!, con impegno bellissima corona 

fia la patria ridiriaata , luminosa la gloria tra com- 

pagni , e pari la nostra ricompensa a vivificar le fa- 

miglie , c magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi 



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LIBRO VL aSi 


esempio , ve n’ esorto , V ardor nùo verso de' pericoli : 

io stesso come imo combatterò de’ pià robusti tra 

voi. 


XLII. Udì tali detti , coDsoIandosi il popolo , e come 

quello che non più sarebbe deluso, promise di arrokrsi 

per la guerra; e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno 

di quattromila uomini (i). Prese ogni console tre di 

questi corpi con quanta cavalleria gli fu compartita. Il 

dittatore prese gli altri quattro col resto de’ cavalli. Ed 

apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito 

Velurio contro gli Equi, Aulo Verginio contro i Vol- 

aci, ed il dotatore Valerio contro de’ Sabini; rimanendo 

a guardia della città Tito Largio co’ più vecchi , e con 

piccolo corpo di giovani. La guerra co' Volsci ebbe 

prontissima risoluzione : imperocché necessitati a com- 

battere , pensando gli antichi mali , e come aveano mi- 

lizia più numerosa , piombarono i primi , anzi pronti 

che savj , su’ Romani , appena si videro accampati , gli 

uni dirimpetto degli altri. Attaccatasi vivissima la batta- 

glia , fecero molte magnanime cose ; ma scontramdone 

ancor più terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo 

fu preso , e Velletri loro città principale fu ridotta per 

assedio. Lo spirito poi de’ Sabini fu invilito ancor esso 

in brevissimo tempo , essendosi 1’ una e 1’ altra parte 

deliberata a campale battaglia. Dopo ciò la campagna 

fu saccheggiata , e presi alcuni villaggi , ove i soldati 

acquistarono schiavi e roba in copia. Gli Equi all’udire 

la fine de’ compagni , riflettendo la propria debolezza 


(i) An. iti Roma a 6 o secondo Catone, 363 secondo Varrone, a 

Ì93 av. Cristo. ' > 



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aSa DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


si misero su luoghi forti ; e ritirandosi alia meglio per 

le cime di monti e balze presero tempo e mantennero 

alcun poco la guerra. 'Non però poterono ricondurre 

illeso r esercito , perchè sopravvenendo i Romani ardi- 

tissimamente su pe’ dirupi ; ne espugnarono a forza il 

campo. Dond’ è che fuggirono dalle terre de’ Latini , e 

le città si ridiedero colla facilità , colla quale erano^ già 

state prese al giungere del nemico. Alcune però furono 

espugnate , non cedendone le guarnigioni ostinate il 

comando. 


- XLIII. Riuscitagli la guerra secondo il disegno , Va* 

lerio trionfò , com’ era 1’ uso, per la vittori^ e congedò 

la milizia , quantunque non paressene al Senato tempo 

ancora, afBnchè i poveri non esigessero le promesse. 

Quindi a diminuire la sedizione in Roma , scelse al- 

quanti di questi, e li mandò nelle terre acquistate colle 

arme 'e tolte ai Volsci , perchè le possedessero , e le 

presidiassero. Ciò fatto chiese ai Padri che avendo avuto 

il popolo tanto pronto a combattere , gli osservassero le 

promesse. Non però davano questi udienza , ma si op- 

ponevano come dianzi all’ intento,; perchè li giovani e 

più violenti e più numerosi tra loro , fatto partito , 

brigavano ancora in contrario, e chiamavano con alta 

voce la prosapia di-^ lui adulatrice del popolo , e con- 

duci trice alle ree leggi, tanto care ai Valer] su le adu- 

nanze e su’ tribunali; 'malignando che aveano con queste 


annientato tutto il potere de’ patrizj (i). Esacerbatone 


•« 



(i) Allude alla legfi^ falla da Valerio 1’ aano 347 di Roma se- 

condo Catone , colla quale davasi ad un privato il diritto di ap- 

pellare al popolo dai magistrali che lo aveano condannalo. Vedi 

1. 5, S «9- 



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LIBRO VI. 2 53 


molto Valerio , e dolutosi come se calunniato a torto 

patisse pel popolo , compianse il vicino fin d’ essi cbe 

cosi consigliavano : e com’ è verìsimile nel suo caso , 

presagendo loro pi& cose , altre per passione , altre per 

intendimento maggiore degli altri, s’involò dalla Curia, 

« convocato il popolo disse : Cittadini , dovendovi io 

piena riconoscenza per la prontezza colla quale mi 

vi deste per In guerra ; e più. per la virtù la quale 

dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai 

perchè foste voi ricompensati con ogni modo , princi- 

palmente col non essere delusi nelle promesse che 

io vi feci a nome de’ Padri , quando fui scelto con- 

siglierò ed arbitro di ambe le partì, onde ridurvi al- 

lora scissi, a concordia. Nondimeno ora sono impe- 

dito di soddisfarvi da uomini che non mirano il bene 

della 'comune ma solo il proprio, almen di presente. 

Questi prevalendo di numero prevagliono con una 

potenza che ad essi la gioventù concede più che la 

perizia degli affari.' Ed io , sono vecchio come -.vedete 

e vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel 

consigliare, ed invalidi per eseguire, e la provvidenza 

su la repubblica sembra ridotta propriamente a que- 

sto , che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro 

al Senato un vostro fautore, e voi mi accusate come 

benevolo troppo verso del Senato. > 


XLIV. 5e il popolo innanzi carezzato da me fosse 

venuto meno alle promesse del Senato , sarebbe la 

giustif razione mia, che voi. siete i mancatori, e non 

io. Ora però non mantenendosi i patti dal Senato , 

mi è necessario dichiarare che è senza mia parte 



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a54 DELLE Antichità’ romane 

quanto patite , e che io medesimo sono come voi , 

anzi più, di voi, circonvenuto e deluso. Imperocché 

. non solo io sono offeso con ingiuria a tutti comune, 

ma in ispecie con quante mormorazioni di me vanno 

facendo. Di me si mormora che io per far f utile 

de’ privati dispensai senza il voto del Senato a’ poveri 

Va voi le spoglie prese nella guerra ; che io rendei 

del popolo ciocché era di tutti , e che per impedire 

che il Senato vi malmenasse , licenziai , ripugnandovi 

lui, la milizia che dovea tenersi ancora nelle terre 

nemiche fra le marce, e i Vavagli. Mi si rimprovera 

la spedizion de’ coloni nella regione de’ V^olsci , per- 

chè ho io comportilo una terra ampia e buona a po- 

veri Va voi , piuttosto che donarla a pcUrizj ed a ca- 

valieri. Soprattutto mi si provoca indignazione moltis- 

sima perchè io nel fare la leva ho assunto più che 

quattrocento do’ vostri tra cavalieri ; don^ è che ricchi 

ne son divenuti. Se ciò mi avveniva quando fiorivano 

gli anni , ben avrei insegnato co’ fatti a’ nemici , qual 

uomo avessero vilipeso. Ora essendo io più che set- 

tuagenario , invalido a provedere fino a me stesso , e 

reggendo che non più la vostra sedizione può da me 

racchetarsi ; rinunzio la' dittatura : e chi vuole , io 

gliel concedo , faccia di me come giudica , se crederi 

comunque da me danneggiato, 


XLY. Intenerirousi tutti a que’ detti e gli fecero se* 

gulto quando parti dal Foro. Ma questo appunto esa- 

sperò contro lui li senatori: e ben tosto ebbe tali con- 

seguenze. I poreri non più celatamente nè di notte , 

come per addietro, ma pubblicisshnamente riunÌTansi,c 



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LIBRO VI. 2 55 


trattavano di scindersi da’ patrizj. Il Senato , disegnando 

impedirneli , diede ordine ai consoli di non dimetter 

r esercito. Certamente eran questi arbitri ancora delle 

reclute , come sacre pe’ ligami de’ giuramenti militari. £ 

per questi vincoli ninno attentavasi di abbondonaroe le 

insegne ; tanto la riverenza potea de’ giuramenti ! Alle^ 

gavasi per titolo della ritenzione , che gli Equi e li Sa^ 

bini eransi convenuti per la guerra contro de’ Romani. 

Ora essendo i consoli usciti colle schiere , ed essendosi 

accampati non lontani 1' uno dall’ altro , i soldati radu* 

naronsi tutti in un luogo colle arme , e per istigazione 

di un tal Sicinio Belluto se ne ribellarono ; appropian- 

dosi le insegne , cose tra’ Romani onoratissime e sante , 

come simulacri di Numi (i). E creatisi nuovi centurioni, 

ed un capo in Sicinio Belluto; occuparono non lontano 

da Roma presso 1’ Aniene un monte che sacro si chia- 

ma 6n da queir epoca. Pregando , sospirando , prornet- 

tendo , li richiamavano i consoli ed i centurioni ; ma 

Sicinio replicò: Qual fare è il vostro o Patrizj che 

ora vogliate richiamare quelli che avete espulso dalla 

patria , e che di liberi gli avete schiavi rendati ? Con 

qual credito mai ci assicurerete le promesse, le quali 

siete rimproverati di aver tante volte tradito? Piutto- 

sto , poiché volete in città , soli , aver tutto ; andate ; 

abbialevelo : non vi angustiate pe' bisognosi, e pe mi- 

seri. Per noi sarà buona ogni terra; e qualunque ne 

terremo per patria , solchè vi si abbia la libertà. 


XLVI. Annunziatesi tali cose in Roma , tutto vi fu 


(i) .\n. dì Roma a 6 o tccoudo Catone, 263 secóndo Varrone, e 49 ^ 

«T. Cristo. 



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2 56 DELLE Antichità’ romane 


romore e pianto: e là correva il popolo, intento a la> 

sciar la città , qua li patrizj cbe voleano alienameli , 

colla forza ancora , se ricusavano. Soprattutto eravi cla- 

more e pianto alle porte ; ed ingiurie vi si facevano , 

come tra’ nemici , con parole e con opere , niun più 

riverendo nè la età , nè l’ amicizia , nè la gloiia della 

virtù. Non potendo però, come scarsi , i soldati di guar- 

dia destinativi dal Senato custodire le uscite, le abban- 

donarono , sopraffatti dalla moltitudine. Allora versando- 

sene fuora gran popolo ; parca lo spettacolo , còme la 

città fosse presa. Gemeano, si rimproveravano quelli che 

' restavano , vedendo che desolavasi. Dopo ciò si fecero 

molte consultazioni ; si accusarono gli autori delia sepa- 

razione; ed intanto correano li nemici , depredando la 

campagna , 6no a Roma. Li fuorusciti presero i viveri 

necessarj drile terre intorno , nè punto più le danneg- 

giarono. Tenendosi in campo aperto accoglievano quanti 

venivano da Roma , o da’ castelli intorno ; tanto che ne 

divennero numerosi ; perciocché vi concorrevano , non 

solamente quelli che voleano levarsi dai debiti , dai giu- 

dizj, e da altri; angustie imminenti, ma tutti eziandio 

gl’ inBngardi , gli oziosi , i malcontenti ; quelli che in 

malfar si emulavano, che Invidiavano l’ altrui ben essere, 

o che per altri mali , e cause comunque , discordavano 

dal governo. 


XLVII. Adunque si eccitò ne’ patrizj turbazione , ed 

angustia grande , e paura , come se li fuorusciti e li ne- 

mici stranieri fossero per venire quanto prima contro 

di Roma. Poi , quasi tutti ad un segno , prendendo coi 

loro clienti le armi , altri corsero alle strade donde pen- 



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rrBRo VI. 257 


savano clie giungessero gl’ inimici , altri ai castelli per 

difenderne i posti forti , ed altri ai campi innanzi la 

città per trincerarvisi , e quei che per la vecchiaja non 

poterono iàr nulla di ciò, furono distribuiti per le mura. 

Come però seppero che i fuoruscili nè si univano coi 

nemici , nè saccheggiavano la campagna , né faceano al- 

tro danno considerabile , respirarono dalla paura ; e mu- 

tato pensiero , esaminarono come si riconciliassero. Sug- 

gerirono i capi del Senato mezzi di ogni genere , di- 

versi per lo più fra loro; ma li più anziani suggerirono 

i più discreti , e più convenienti ai tempi ; facendo ri- 

flettere che il popolo twn ti era separalo da loro per 

malizia , ma in forza de proprj mali , o delle pro- 

messe non mantenutegli , e che auca così risoluto V u- 

tile suo piuttosto tra la collera che tra la calma della 

ragione , vizio consueto nella ignoranza. Aggiungevano 

che i più di questi conoscevano di avere mal delibe- 

rato , e cercavano emendarsene , se il buon punto ne 

avessero iiche già ne' ei^an le opere come di chi si 

pente ; e che volentieri tornerebbero nella patria se 

potessero, augumrvisi un avvenire felice , dando loro 

il Senato perdono , e pace decorosa. In mezzo a tali 

consigli supplicavano che essi che erano i gratuli non 

sentisser la ira più che i minori’, nè differissero stolti a 

riconciliarsi allora .quando fossero necessitati a far 

senno , e curare il male più piccolo col più grande , 

vuol dire , quando' avessero a tedere le armi, e le per- 

sone , e togliersi da sè stessi la libertà : cose tutte 

quasi impossibili a farsi. Usassero moderazione , prò- 


\ DlOtilGIp tomo II, ' • 17 



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258 DELLE Antichità,’ romane 

ponessero i primi gC ulili consigli, e la riunione , av- 

vertendo che se era proprio de' patriiù] comandare e 

dirigerò ; era propria ancora de' buoni C amicizia e la 

pace. Mostravano che la dignità del Senato non mi- 

norasi quando provede alla sicuiozza col sopportare 

pazientemente le perdite necessarie ; ma quando op- 

ponesi tanto ostinatamente alla sorte che la repub- 

blica ne rovini : gli stolli trascurare la sicurezza per 

amor del decoro : ben essere da ceivare ambedue 

queste cose : ma dove sia da cedere V una o C altra, 

doversi la salvezza riputare più necessaria. Era l’intento 

«li tali consiglieri che si mandasse a fuorusciti per trattar 

della pace non altrimente che se la colpa loro non fosse 

insanabile. s 


XLVIIL Piacque cosi appunto al Senato ; e scelti per- 

sonaggi accontissimi , li diresse a quelli che erano in 

campo con ordine d’ intenderne i bisogni e le condi- 

' zioni colle quali volessero in cittlt ritornare ; perciocché 

se fossero discrete e fattibili, jl Senato non le rigette- 

rebbe : intanto se depenessero le arme , e tornassero in 

Roma , promettea loro perdono e dimenticanza perpe* 

tua di tutto il passato : come belle ed ntili le ricom- 

pense a chi servisse valoroso , ed affrontasse ardente- 

mente i pericoli per la patria. Recarono gli oratori e 

comunicarono tali voleri al campo , aggiungendovi cose 

consentanee. Non accettarono' i fuorusciti l’ invito : anzi 

rimproverarono a’ patrizi T orgoglio , la dnrezza , le si- 

mulazioni loro perchè fingevano ignorare i bisogni del 

popolo, e quelli pe’ quali si era separato. Ci assolvono, 

diceauo, da ogni pena per la ribellione , come fossero 



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LIBRO VI. 259 


i padroni, essi che abbisognano dell’ ajulo nostro. 

Quando giunga su loro , e sarà tra non molto , con 

tutte le forze il nemico ; non potranno alzare nem- 

men lo sguardo contr esso , e pur ci voglion far cre- 

dere che non sia bene loro t esser difesi ; ma felicità 

di chi si unisce a difenderli. Aggiunsero a tal dire che 

se vedevano già le angustie di Roma ; comprendereb-* 

bero poi meglio con quali nemici avessero a guerreg- 

giare : e qui minacciarono molto e veementemente. Non 

contraddissero a ciò, ma partirono, e dichiararono i legati 

a’ patrizj le risposte dei segregati: e Roma, uditele, se 

ne turbò ; e temette più che per addietro. Il Senato 

non sapendo come espedirsi o diffenrc , si disciolse , 

dopo avere più giorni ascoltate le infamazioni e le ac> 

cose vicendevoli de’ suoi capi fra loro. Il popolo rimasto 

in Roma per benevolenza verso de’ patrizj , o per de- 

siderio della ..patria più non somigliava sestesso; dile- 

guandosene gran parte nascostamente o in pubblico > 

nè sembrandone il resto affatto più stabile. Fra tali vi- 

cende i consoli , avendo poco più tempo per coman- 

dare , fissarono il giorno pe’ comizj. 


XLXIX. Venuto il tempo nel quale aveansi a riunire 

nel campo Marzo e scegliere i proprj magistrati; ninno 

ambiva , nè sostenea di esser consolo. Adunque nella 

Olimpiade setlantesÌDa seconda nella quale Tisicrate da 

Crotone vinse allo stadio, essendo arconte in Atene 

Diogneto ; il popolo rielesse al consolato due vecchi 

consoli Postumio Gominio e 'Spurio Cassio, uomini cari 

alla moltitudine ed ar grandi , da' quali già domati i 

Sabini aveano lasciato di competere dell’ impero con 



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a6o DELLE Antichità’ romane 

Roma. Or questi riassumendo il loro grado alle calende 

di settembre, vale a dire prima del tempo consueto ai 

consoli precedenti , convocarono innanzi tutto il Senato 

per deliberarvi sul ritorno del popolo (i). CbieslO' il’ 

parere di tutti ; invitarono a dire Menenio Agrippa , 

uomo allora venerabile per età, credulo più che gliaU 

tri insigne in prudenza , e lodato principlmente' per loi 

scelta de’ suoi regolamenti, perchè teneasi^al mezzo non 

fomentando 1’ arroganza de’ nobili , nè lasciando che i| 

popolo operasse tutto a suo modo. Or questi esortando 

il Senato alla riconciliazione , disse r Se quanti qui 

siamo o Padri Coscritti fossimo tutti di un animo; e 

se niuno si opponesse a far pace col popolo , comtm- 

que la facessimo , per giuste o per ingiuste condizùy- ^ 

ni ; e se questo fosse proposto unicamente d diseu^ 

tere ; dichiarerei , con poche parole dà che ne penso. 

Ma perciocché alcuni giudicano che sia dà ponderare 

ancora se forse riesca più utile far guerra a fuoru- 

sciti ; non credo che io possa in ^ poco- insinuare dà 

che dee farsi: ma sento il bisogno tt istruir ampia- 

mente su la pace quanti tra voi ne discordano. Im- 

perocché questi conducono a cose contraddittorie ; spa- 

ventano voi , che già ne temete , su mdli da nulla o 

lievi a curarsi, e trascurano gl' immedicabili e gravi. 

Certamente cosi propongono perchè non decidono del- 

r utile colla ragione , ma col furore e coll’ impelo. E 

come si direbbe che essi provvedono le cose proficue, 

o fattibili almeno , quando stimano che Roma , una 


(i) A^oi di Roma a6t «ceoodo Catóne, o63 secondo Varrone,e 

4{)t arami Critu». 



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LIBRO VI. a6i 


città si grande , ed arbitra di tante genti ^ e già in~ 

yidiata e molestata da’ vicini , possa ritenerle e difen- 

derle facilmente senza il suo popolo , o che possa in 

luogo del suo sì scellerato introdurre altro popolo che 

per lei combatta del principato ; che con lei sia di 

buon accordo su la repubblica , e sempre moderato in 

pace ed in guerra ? Eppure non altro potrebbono 

dirvi quei che tentano dissuadervi dalla pace. 


L. Ma qual sia la più stolta di queste cose, vorrei 

che voi stessi lo decideste dalle opere. Considerate , 

che alienatisi da voi li più poveri perchè abusaste della 

loro infelicità senza modestia e senza politica , e che 

recatisi appena fuori della città senza farvi o macchi- 

narvi altro mede , col solo intento di averne una pace 

non ingloriosa , molti de’ vostri nemici abbracciarono 

con trasporto questa occasione come dono della sorte, 

e riedzan lo spirito , e credono venuto per loro fitud- 

mente il tempo felice da battere il vostro impero, di 

Equi , i Eolsci , i Sabini , gli Etnici , questi che mai 

si alienano eìal farci la guerra , esatperali ora dalle 

sconfitte recenti, già devastano le nostre campagne. 

Que’ Campani , que Tirreni die vacillavano nella no- 

stra soggezione ora parte fi abbandonano matdf està- 

mente , parte in occulto • vi si preparano. E gli stessi 

LeUirti , quantunque nostri congiunti, a me non sem- 

■hran procedere di buona fede, costanti neW amicizia; 

ma odo che guasti sono in gran numero per amore 

di un cambiamento , che tanto gli uomini alletta. Noi 

die abbiamo fin qui portato in campo aperto la guerra 

su gli altri; noi ci stiamo or qui dentro , difensori 



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aGa DELLE antichità’ romane 

delle mur^; lasciando senza seminarli i nostri terreni, 

anzi 1 vedendovi saccheggiali i villaggi , via levale le 

predo , e fuggirsene di per sestessi gli schiavi , senza 

che abbiamo rimedj a tanti mali. Non pertanto noi ' 

tutto soffriamo , perchè speriamo ancora che il popolo 

ci si riconcilj , ben sapendo che da noi dipende il 

togliere- con un solo decreto la sedizione. 


LT, Ma se pessimo è lo stato nostro in campagna;, 

non è meno funesto e terribile dentro le mura. Noi ' 

non ci siamo .apparecchiati già da gran tempo , come 

per un assedio , nè bastiamo di numero contro tanti 

nemici. La nostra gente è poca, nè da guerra, e ple- 

bea, per gran parte, merce nar f , clienti, artefici, cu- 

stodi tton affatto saldi dello stato turbato degli Otti- 

mali : e le continue loro diserzioni verso de’ fuorusciti 

ce li hanno rendati tutti sospetti. Soprattutto essendo 

le nostre campagne dominate da nemici, ed impossi- 

bilitato il trasporto de’ viveri ; abbiamo a temer di 

una fame : e quando a tal disagio saremo; tanto più 

ci spaventerà la guerra , la quale senza questo ancora 

non concede mai calma allo spirito. Quello poi che 

supera tutti i mali è vedere le donne dei segregati, 

vedere i teneri figli , i padri cadenti , che sqqallidi e 

miserandi si rigiran pel Foro e per le vie , che pian- 

gono e supplicano e stringono a ciascuno la destra e 

i ginocchi, e deplorano la solitudine loro presente e 

più ancor la futura, spettacolo in véro desolante ed 

insopportabile ! Niuno è si barbaro che non s inte- 

nerisca a mirarlo , e non si appassioni sul destino de- 

gli uomini. Che se abbiamo a diffidar su plebei ; do- 




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LIMIO VI. 263 


{fremo rimoverne gt individui, altri come inutili nel- 

r assedio , ed altri come amici non saldi. Or se questi 

rimovansi , quid forza rimane in guardia di Roma ? 

o da quale soccorso animati ardiremo star contro dei 

mali ? V unico nostro rifugio , P unica nostra buona 

speranza è la gioventù patrizia : ma poca come vedete 

ella è questa , nè bastante a darci i grandiosi disegni. 

Che dunque impazzano , quei che propongon la guer^ 

ra , o perchè mai ci deludono , e non consigliano piut~ 

tosto di cedere fin da ora senz ar^ustie , e senza 

sangue Roma ai nemici ? ' 


LII. Ma forse io ciò dicendo son cieco , e predico 

per terribili , cose che non son da temere. Roma non 

corre altro rischio che di un cambiamento , cosa certo 

non difficile ; potendovisi facilissimamente introdurre 

mercenarj e ' clienti in copia da ogni gente e luogo, 

posi van divulgando molli de* contrarj al popolo, uo- 

mini , viva . Dio y non dispregievolì. A tanta stoltezza 

vengono alcuni ; che non propongono già consigli sa- 

lutevoli , ma desideri impossibili I Ora io volentieri 

dimanderei questi uomini quode tempo mai ne si, dia 

per far tali cose , essendone tanto vicini i nemici : 

qtude condiscendenza alt indugio o al ritardo del giu- 

gnere degli alleali in mezzo à mali che non tempo- 

reggiano , nè aspettano ? Qual uomo , o qual Dio mai 

vi terrà sicuri , o congreghem da ogni luogo in gran 

calma , e qui ci porterà de’ sussidj ?. Inoltre e quali 

tuoi saran. ' quelli che lasceranno la patria per venir- 

sene a noi ? Quelli forse che haruus case e Dii Lari 

€ viveri ed onori tra proprj cittadini per la nobiltà 



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264 DELLE Antichità’ romane 

degli antenati, o quelli che per la gloria risplendono 

de' pnoprj meriti ? E chi mai sosterrebbe di abhem- 

donare i proprj commodi, e partecipare vergognosa^ 

mente i mali altrui ? Eppure a noi si verrebbe non 

per dividere con noi la pace e le delizie, ma la guerra 

e i pericoli, e questi incerti, se a bene riescano ! 

Convocheremo forse una -turba, qual fu quella riget- 

tata da noi, plebea e senza lari? Ben è chiaro che 

pe' disagi suoi , io dico pe’ debiti , per le penalità , c 

per cause altrettali prenderà volentierissima . dovunque 

una sede : ma sebbene questa plebe sia utile , c ( per 

concederle questo ancora ) sebbene sia moderata ; 

tuttavia ci riuscirà generalmente , assai, meno 'buona 

della nostra , perchè non è rutta tra nci, nè come noi 

disciplinata , e perchè ignora i nostri costumi, le no- 

stre leggi , e le nostre maniere.  celebrasi la vostra clemenza ,  

il quale nè manda a noi per conciliarcisi esso che à 

C offensore , nè porge risposte umane e socievoli a 

quelli che noi stessi gli abbiamo inviati : ma s’ inal- 

bera e minaccia , nè lascia conoscere quello che vo- 

glia. Udite voi dunque ciò che iò consiglio che^ fac- 

ciasi. lo nè penso il popolo irreconciliabile a noi > 

nè > ohe mai farà quanto mincucip, ; dióchà mi sono 

buon argomento le opere sue che a’ detti non somi- 

gliano. -Dond’ è che io lo credo assai piò che ■ noi 

sollecito di pacificarsi. Certamente noi abitiamo una 

patria onoratissima , e teniamo irt poter nostro le so- 

stanze di lui, le case, i genitori, a tutte le cose pià 

preziose : ed egli si trova senza patria , senza ma- 

gioni , senza i pegni suoi più, cari , e senta V abbon- 

danza ancora del .^vivere quotidiano. Che se alcuno 

mi chieda perchè mai fra tanti patimenti egli nè ac- 

cetti gl inviti nostri , nè mandi a noi per istanza 

niuna , rispondo s ciò essere manifestamente , perchè 



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2G8 delle antichità’ romane 

fin (jid mn intese dal Senato che parole senza ve- 

derne poi le opere o di benevolenza o di modera- 

zione ; e perchè crede di essere stato molte volte in- 

gannato da noi che promettevamo di provvedere su 

lui, senza avervi mai provveduto. Non ci spedisce am- 

basciadori perchè son qui tanti che ce» lo accusano , 

e perchè teme non ottenere ciò che dimanda : e forse 

così gli suggerisce un ambizione non bene conside- 

rata; nè già è meraviglia. Imperocché son pure tra 

noi non pochi , difficili , contenziosi , i quali colle 

brighe loro non vogliono che cedasi punto ai cóntrarf , 

e cercano per ogni via di sopraffarli senza mai con- 

discendere essi i primi , finché loro non sottomettasi 

chi vuole essere beneficato. Or ciò considerando io 

penso che debbansi spedire al popolo ambàsciadori , 

principalmente di stia confidenza : e consiglio che 

questi ambasciadori siano plenipotenziarj , perchè le- 

vino la sedizione coi patti che essi terranno per giu- 

sti , senza rimettersene al Senato. Questo popolo che 

ora vi pare sì spregiante e grave , questo darà loro 

utlienza , al vedere che voi cercate veramente la con- 

cordia , e ridurrassi a condizioni più mitij senza chie- 

derne alcuna vituperosa , o non fattibile. Imperocché 

tutti, e specialmente i plebei, ne’ dissidj s' irf urtano 

con chi su loro insolentisce ; ma si ammansano con 

chi li blandisce. 


LVII. Cosi disse Menenio; e levossene in Senato gran 

romore , parlandovi ciascnno alia sua volta. I fautori del 

popolo esortaVansi a vicenda a dar tutta la mano per- 

chè rlpatriasse, avendo per capo di questo consiglio il 



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MERO VI. 269 


pii riguardevole de* patrizj. Per Topposìto quegli ottimati 

die cercavano che nulla si alterasse de’ costumi della 

patria mal sapeàno ciò che avessero a fare , nò voleano 

condiscendere; nè poteano ostinarsi. Nondimeno uomini 

integerrimi né caldi per l' uno o 1’ altro partito voleano 

la pace , intenti a questo di non essere assediati tra le 

mura. Or qui fattosi da tutti silenzio il più anziano dei 

'ìonsoli encomiò Menenio della sua generosità , stimo» 

landò anche gli altri a somigliarlo nella cura della re- 

pubblica , a dir francamente ciocché ne sentissero , e 

compiere senza strepitò ciocché sen decidesse: indi nel 

modo stesso cercandolo dei suo parere , chiamò per 

nome Manio Valerio, nomo infra tutti gli ottimati ca- 

rissimo ài popolo, e fratello all’uno di quelli che aveano 

liberato Roiòa dai tiranni. 


LVIII. Costui levatosi in piede ricordò ai Padri i suoi 

provvedimenti , e come avendo egli presagito più volte 

i terribili casi avvenire , ne tennero pochissimo conto : 

poscia esortò li contrari discutere 


ornai su la moderazione , ma solo a vedere ( giacché 

non aveano permesso che si estirpasse quando era 

ancor piccola ) di racchetare ora , comunque , il pià 

presto , la sedizione , perchè , trascurata , non proce- 

desse pià oltre , e non divenisse incurabile f o presso 

che incurabile , e sorgente di mali senta fine. Di- 

chiarò che le dimande del popolo non sarebbero come 

per r avanti; e pronosticò che non si accorderebbe 

colle condizioni di prima insistendo per la sola re- 

missione dei debiti , ma che vorrebbe forse un qual- 

che difensore , onde tenersi illeso nell' avvenire : af- 



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a'jo DELLE Antichità’ romane 

fermava che dopo introdotta la dittatHra era venuta- 

meno la le^e tutelare della Uhtrià la quale non per^ 

metteva a’ patrizj di uccidere alcun cittadino non giu- 

dicato , nè di cederlo giudicato reo nelle mani de’ loro- 

contradditori , e la quale concedeva a chi volea V ap- 

pelto f di portare le cause al popolo da’ patrizj f tanto 

che quello si eseguisse che il popolo ne decidesse^ 

Poco mancarvi che non fosse statà tolta al popolo 

tutta la potenza esercitela già da esso ne' tempi ad* 

dietro , quando non potè ottenere dal Senato per le 

imprese rmlitari il trionfo a Pubblio Servilio Prisco, 

uomo infra tutti degnissimo di quest’ onore. Pertanto- 

ben essere verisimile che il popolo cosi ojfeso sconfortisi 

nè abbia se non triste speranze della sua sicurezzaj 

Non il console , non il dittatore aver potuto soccorrerà 

il popolo , quantunque il volessero,; .anzi averne par- 

tecipale le incurie e V avvilimento , perchè studia» 

vansi provvedere su lui. Essersi poi cospirati per im» 

pedirli non uomini autorevolissimi fra li patrizj , ma 

uomini oltraggiosi , avari , . acerrimi ne’ rei guadagni, 

« quali , pe’ grandi prestiti a grandi usure , aveano 

ridotto schiavi ì pià de’ cittadini ; dicea che questi 

facendo loro leggi dure , orgogliose . aveano alienata 

tutta la plebe da patrizj ; e che datosi per capo Ap- 

pio Claudio , odiatore della plebe , e propizio ai po- 

chi y rimescolavano tulli gli affari di Roma. E se la 

parte savia del Senato non si contrapponesse , la 

repubblica pericolerebbe di essere schiava o distrutta. 

Da ultimo dichiarò ben fatto valersi del parer di Me- 

nenio , e chiese che si spedisse al popolo qiumto 



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LIBRO VI. 271 


prima: procurassero i deputati quanto volessero la 

calma della sedizione : ma se il popolo non accet- 

tava le dimando loro , essi quelle accettassero del 


LIX. Sorse , invitato , dopo lai Appio Claudio , uomo 

contrario al popolo, e grande estimatore di sestesso, nè 

senza cagione. Perocché nel vivere suo quotidiano era 

moderato e santo , nobile nella scelta de' provvedimenti, 

e tale da conservare la dignità de’ patrizj. Costui pren« 

dendo occasione dell’ aringa di Valerio , disse : Certa- 

mente sarebbe Valerio men riprensibile se palesava 

unicamente il suo parere , senza condannare quello 

de’ contrarj ; giacché non avrebbe nemmen egli ascoU 

tato i suoi vizj. Siccome però non fu pago di dar 

consigli onde renderci schiavi ai cittadini pili vili, 

ma sferzò pure i suoi contrarj , cimentando anche 

me ; così vedomi necessitato assai di rispondere , e 

di respingere primieramente le calunnie a me fatte. 

Son io rimproverato di una condotta nè' sociale , nè 

decorosa , quasi io cerchi per ogni via far danari , 

quasi spogli molti de’ poveri della libertà, e quasi 

da me sia derivata in gran parte la separazione del 

popolo. Ben vi è facile però di conoscere che niente 

di ciò è vero , niente probabile. Or su , dimmi , o 

Valerio , quali sono quelli che ho io ridotti servi pei 

debiti , quali i cittadini che ora tengo nella carcere ? 

(filale dei fuorusciti si è privato della patria per la 

durezza e per V avarizia mia ? Certo non potrai tu 

dirlo. .Anzi tanto è lungi che alcuno sia da me ri- 

ilotto servo pe’ debiti che. io sparsi tra molti V aver 




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2^2 DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE 


mio , nè mi rendei schiavo , nè disonorai niuno di 

quei che mi hanno defraudato : ma tutù ne son U- 

beri, e tutti me ne ringraziano , e stansi nel numero 

degli anici e de clienti miei pià familiari. Nè ciò 

dico per incolpare chi non opera come me, nè per 

ingiuriare chi ha faUo cose concedute dalle leggi; nta 

solo per levas'e da me le calunnie. 


LX. In ciò poi che mi accusa della durezza e del 

patrocinio mio sui scellerati, chiamandomi odUpopolo 

ed oligarca perchè favorisco il comando de’ pochi , in 

ciò son io da riprendere quanto voi che avete ricu- 

sato , come pià riguardevoU , di soggiacere ai men 

degni , e di lasciarvi togliere il comando dei vo- 

stri antenati da una democrazia , pessimo infra 

tutti i governi. Nè già perchè egli soprannomina oli- 

garchia il comando de’ pochi dovrà questo disciogliersi 

per le beffe del nome. E pià giustamente e propria- 

mente possiamo noi riprendere lui come un adulatore 

del popolo , ed un ambizioso di tiranneggiare. Per- 

ciocché niuno ignora che la tirannide nasce dalle adu- 

lazioni della plebe : e che la via speditissima a ren- 

dere le città schiave è quella che mena al comando 

col mezzo de’ cittadini peggiori. Or egli ha fin qui 

carezzato costoro , nè tuttavia cessa di carezzarli. Ben 

vedete che questi abietti , questi miseri , non avreb- 

bero . mai ardito d’ insolentire in tal modo se non 

fossero stati eccitati' da questo sì riguardevole e 

bello amatore della patria , come se l’  tali trattare, Abhiam per ostaggi le 

loro mogli, i loro padri, e tutto il parentado , dei 

quali non potremmo ckiedtrne altri migliori dd\Numi, 

Questi , li collocheremo • nói, questi al cospetto dei loro 

congiunti , minacciando , se tentano assafirti , di uc- 

ciderli con estremi supplizj: ina, credetemi, dove ciò 

sappiano , voi li riceverete inermi', supffikhevoli, pian- 

genti , pronti ad ogni pena. Terribili sono tali neces- 

sità , e frangono , ed annientano ogni baldanza. 


LXIII. E questi sonod riflessi -^pd quali non dob- 

biamo la guerra temere degli esuli. Le mirtacce poi 

di altri popoli rum ora Ut prima volta si trovarono 

fnire in paroUf; ma 'per ^addietro ancora ci si sco- 

prirono sempre rtùnori delt apparenza quante volte i 

popoli fecero di noi paragone. M quelli che tengono 

per insufficienti le intime nostre forze, e però temono 

appunto la guerra , quelli non bene le han calcolate. 

Ai citrini da noi separati, se il vogliamo , possiamo 

contrapporre scegliendoli e liberandoli , il ' fiore de’ servi 



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LIBUO VI. 277 


Certamente vai meglio donare a questi la libertà , 

che lasciarsi torre da quelli il comando : tanto più 

che stati essendo questi tante volte presenti ne’ nostri 

campi hanno sperienza che basta di guerra. Per com- 

battere poi cogli esteri usciremo ' noi stessi pieni di 

ardore e meneremo con noi tutti i clienti, e tutto il 

resto del popolo : e perchè sia questo ' cspedito a ci- 

menti , rilasceremp ciascuno privatamente , e non max 

per legge , ad esso i suoi debiti. Se dobbiamo in 

vista de’ tempi cedere in parte e temperarci; non dee 

mai farsi questo con cittadini che ci s' inimicano , ma 

cogli amici , perché sappiasi che noi concediamo grar 

zie, eomthossi e non violentali’, che se queste non 

bastino, se bisognino altre fòrze , f arem venirne dai 

presidii e dalle colonie: e quanta sia- la moltitudine 

loro , è facile raccoglierlo dalC ultimo censo. 1 .Ro- 

mani atti (die arme son cento trenta mila, e di questi 

appena la settima tparte è fuggita ' da noi ( 1 ). Non 

commentoro qui le' trenta città de’ Latini , le quali 

come voitre alleate ^ combatteranno di bonissima vo- 

glia per voi, sol che decretiate di ammetterle alla 

vostra cittadinanza che > sempre .vi hanno domandata. 


LXlV..Ora vi aggiungo' (.e finisco ) quello che ri- 

leva fra le arme assaissimo , e che voi non avete av- 

vertito , o certo niun dice de’ Padri. Chi cerca il buon 

esito delle guerre, di niente ha tanto bisogno, quanto 

di egregi capitani. Or di questi la nostra città soprob- 


(1) Questo ceuso non par quello fatto da T. Largio primo dituiorr, 

ma l’altro fissato da Sigouio oell’ anno sGu di Roma, ov« dice eba 

furono numerati più che centodieci mila ciuaUini. 





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i'jS DELLE ANTICHITÀ.’ BOMANE 


benda , ma scarsissime ne sono quelle de' nemici. Lè 

grandi milizie se ricevano duci mal atti alle arme, si 

svergognano , e rovinano di per sestesse con danno 

tanto maggiore, quanto sono più numerose: ma i buoni 

condottieri presto rendono grandi anche picciole ar- 

mate. Di qua seguita che fiiìchà avrem uomirU buoni 

al comando, mai avremo penuria di quelli che fac» 

cianci comandare. Or ciò considerati^ , e ricordando 

voi le imprese di Roma ; certo mai non porrete de- 

creti meschini , vili , indegni. Che dunque , se alcuno 

tnel chiede , ( e già forse bramate da gran tempo sa- 

perlo ) che dunque io propongo che facciasi ? Io pro-> 

pongo che nè spediscansi ambaseiadori d fuorusciti ^ 

nè sen decida arti , finché raccolto il voto de’ se- 

natori SI dedicassero ai voleri dei più. Se violato 1’ uno 



LIBRO VI. 379 


e r altro di questi cousigli, faceano di lor voglia la 

pace ; protestavano che noi permetterebbero , ma vi si 

opporrebbono di tutto lor animo, colle parole finché 

dovevasi , o colle arme in ultimo se bisognava. Era que> 

sto partito J1 più forte , aderendovi quasi tutta la gio« 

ventù palriaia. In opposito piegavano al partito di Me-s 

uenio e di Valerio tutù quelli che aveano cara la pace, 

p cbe torneano soprattutto per 1’ età loro, considerando 

quanti siano .nelle città li mali delle guerre civili. Mossi 

però dai clamori e dai tumulto dei giovani , adombrati 

dall’ ambizione loro , e dall’ arroganza contro de’ consoli , 

e timorosi che indi a poco si venisse alle mani se nou 

cedevano; si volsero in ultimo a piangere, e supplii 

care , piangendo , i conirarj. 


LXVL Sopitosi coi tempo lo strepito, e tornato il 

silenzio , i consoli abboccatisi fra loro, cosi conchiusero. 

Noi vorremmQ primieramente o Padri Coscritti , che 

voi tutti foste unanimi d intelligenza e di volere in^ 

torno la salvezza del comune : se no , che i più gio^ 

vani almeno cedessero , non ripugnassero d seniori , 

considerando , che ancK essi giunti alT età di questi 

avran pari onori dai discendenti. Ora siccome vediamo 

voi caduti in una discordia , rovinosissima fra i mali 

umani , e sorgere qui mollo f arroganza de’ giovani ; 

e siccome poco ornai soprawanza del giorno, nè pos- 

sono aver fine le discussioni ; ritiratevi dal SeruUo : 

tornerete in cUtra adunanza più placidi e con sentenze 

migliori. Che se qui persevera l’ amore delle contese, 

non più ci varremo de' giovani por giudici , né per 

consiglieri su ' quello che giova : ma precluderemo il 



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aSo DELLE Antichità’ romane 


disordine con una legge ; determinando la età che 

aver dee chi consiglia. Quanto a’ seniori se non si 

uniscono ne' sentimenti ; torneremo a dar loro la pa- 

rola , e ne risolveremo le dispute per una via spedi- 

tissima , la quale è meglio che voi udiate e conosciate 

precedentemente. Voi sapete che noi abbiamo fin 

dalla fondazione di Roma , che il Senato è t arbitro, 

è vero , di ogni cosa , ma non di creare- i magistrati, 

rum di fare le leggi , rum di portare ■ o cesseue la 

guerra ; le quali tre cose il popolo le difinisce in "ul- 

timo col suo voto. E siccome ora non consultiamo 

che su la guerra e la pace ; cosi debbe il popolo, li- 

berissittur ne' suoi voti ratificare indispensabilmente i 

vostri decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i 

vostri pareri , ru>i scguerulo questa legge , inviteremo 

la moltitudine al Foro , perchè ne sentenza. Così le' 

contese avran fine ; mentre ciò che la pluralità dei 

voti destinavi , quello abhracceremo. Senza dubbio son 

degni di quest’ onore quelli che si tennero finora he- 

naffetti alla patria , io dico i compartecipi de' nostri 

beni e de mali. 


LXVII. Sciolsero, ciò detto, radunania. Fecera nei 

giorni appresso annunziare a tutti de’ villaggi e della 

campagna che si presentassero, e similmente al Senato 

che si riunisse nel di stabilito ; e qnaudo videro la città 

riempita di popola, e gli animi de’ patrizj mossi dalle 

preghiere fatte tra le lagrime , e tra’ lamenti de’ vecchi 

genitori , e de’ teneri '6gli de’ profughi , recaronsi nel 

tempo destinato sul finir della notte al Foro , angusto 

a tutta ia moltitudine. Venuti al tempio di Vulcano 



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LIBRO VI. 281 


donde solcano aringar l' adunanza , lodarono primiera- 

mente Il popolo dello zelo e della prontezza nell* accor- 

rere in tanta frequenza: quindi lo esortarono che aspet- 

tasse in calma la risoluzione del Senato; animando in- 

tanto gli attenenti de' profughi a buone speranze, come 

quelli che riarrebbero tra non molto i loro pegni dol- 

cissimi. Dopo ciò passando in Senato vi tennero benigni 

e modesti ragionamenti , ed invitarono ancor gli altri a 

proporre consigli vantaggiosi , ed umani. Chiamarono 

innanzi tutti Menenio , il quale alzatosi in piede rivenne 

ai suggerimenti di prima stimolando il Senato alla pace : 

e riproponendo che si deputassero ai segregati bentosto 

de’ personaggi , arbitri di concordare. 


LXVin. Invitati poi secondo 1’ età sorsero a mano a 

mano gli uomini consolari: parve a tutti questi che fosse 

da seguire il parer di Menenio ; finché toccò ad Appio 

di favellare. Or questi sorgendo t'eggo , disse , o Padri 

Coscritti che piace ai consoli e poco meno che a tutti 

di rimpatriare- il popolo colle condizioni eh’ ei vuole: 

che fra tutti i contrarj della pace or io rimangomi 

solo , esposto aie odio di quello , e niente utile a voi. 

Ala non per questo rimovomi dalle mie prime deli- 

berazioni : nè ripudio da me stesso ciò che intendo 

su la repubblica. Quanto piò. restomi derelitto da 

quelli i quali come me ne sentivano ; tanto piò col 

volger degli anni ne sarò pregiato tra voi , sarò in 

vita coronato di gloria , e morto sarò benedetto dalla 

ricordanza de posteri. Sia pure o Giove Capitolino , 

o Dei presidenti della nostra città , o eroi e genj , e 

quanti in guardia avete il suolo Romano, sia pur 


Diomcj, urna IT. i** 





a8a . DKLLE antichità’ romane 

hello ed utile a tutti il ritorno de fuorusciti , e de- 

lusa resti la espettazione eh’ io ni' avea su 1’ avvenire. 

Ma se pe’ consigli presenti dee venire (e fia ciò pa- 

lese tra non molto ) alcun disastro su Roma , deh ! 

rettyicateli voi prestamente , e fate la nostra salvezza. 

Deh ! siate benevoli e propizj a me che non avendo 

mai voluto dir le piacevoli per le utili cose , non 

tradirò nemmen’’ ora il comune per la mia sicurezza. Io 

così volgomi a pregare gV Iddj ; perchè non abbiso- 

gnano più, parole. Ripeto la sentenza di prima : as- 

solvasi IL POPOLO RIMASTO IN CITTa’ DAI DEBITI ; 

MA COMBATTANSI CON TUTTO L ARDORE I FUORUSCITI 

TINCBÈ STARANNO SU LE ARMI. 


LXIX. E ciò detto Gnl. Poiché le sentenze de’ seniori 

concordaronsi con quella di Menenio , e poiché venne 

il discorso ai giovani ; standosi tutti in espettazione , 

sorse Spurio Nauzio , un rampollo della prosapia nobi- 

liasima originata da quel Mauzio compagno di Enea nel 

guidar la colonia, e sacerdote di Minerva m'bana, il 

quale nel trasmigrare aveane portato seco il divin simu- 

lacro , dato poi successivamente in custodia a’ suoi di- 

scendenti (i). Ora Nauzio che parea per le sue belle 

doti più nobile ancora di tutti i giovani , nè lontano 

mollo dall’ ottenere la dignità consolare , cominciò la 

difesa comune di questi : diceva che quando nel Senato 


(i) Anche Virginio fa meniioue di questo Nauxio , che egli chia- 

ma Pfautt , nel libro 5. 


Tum senior PfaMes , unum Triionia Paìlas , 


Quaeitt docuit , muUaqus insignem reddidit arte , 


Haec responsa datai. 



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LIBRO VI. 283 


precedente avetmo pronunziato in contrco'io de' padri 

non fu già per amore di contendere o insuperbire 

con essi, ma solo mancando , se aveano pur mancato, 

per inesperienza di anni : e qui soggiunse che fareb- 

bero fede di ciò col variar sentimento : che lascia- 

vano a loro come più savj decidere co’ voti il ben 

del comune : essi non contrarierebbono , ma secon' 

darebbero i seniori. E dichiarando Io stesso ancor gli 

alni giovani , toltine pochi , legati di parentado con 

Appio ; i consoli ne lodarono la verecondia ; ed esorta» 

tili ad essere sempre tali ne' maneggi ' pubblici , elessero 

tra’ seniori piÀ cospicui dieci deputati , uomini consolari 

tutti, fuori che uno. Furono gli eletti, Manio Valerio, 

Tito Largio , Agrippa Menenio figlinolo di Gajo , Publio 

Servilio figliq di Publio, Postutnio Tuberto figlio di 

Quinto, Tito.Ebuzio Flavio figlio di Tito, Servio Sul» 

picio Camerino figliuolo di Publio, Aulo Postumio Albo  prima alle tose loro quei che le 

aveano lasciate. 


LXX. Presi tali ordini, partirono i deputati nel giorno 


(1^ Nel testo si omeltoDO Maoio Valerio , Tito Largio , e si no- 

lano altre maacaaxe in questo luogo. Noi alitiamo seguita la lesione 

di Porlo . 



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a 84 DELLE Antichità’ romane 


medesimo. Precedè la fama il giunger loro, divulgando 

nel campo tutte le cose fatte in città : dond’ è che la- 

sciando tutti le fortificazioni uscirono immantinente in- 

contro a’ deputati che erano in via. Aveaci nel campo 

un uomo turbolento affatto \ e sedizioso, acuto a preve- 

der da lontano ciocché avverrebbe, nè insufficiente , 

come parlator lusinghiero , a dirne quanto ne pensava. 

Chiamavasi questi Lucio Giunio col nome appunto di 

lui che tolse i tiranni : e voglioso di assumerne il nome 

per intero , facessi intitolare Bruto ancora. Rideano i 

più su la cura vana di esso^ e Bruto il chiamavano 

quando pungere lo volevano. Or questi mise in cuore a 

Sicinio , duce dell’ esercito , che il bene del popolo non 

istava nel rendersi troppo facilmente , sicché men degno 

ne fosse il ritorno per le umili condizioni ; ma nel re- 

sistere lungamente , simulando come in tvia tragedia. E 

profferendosi egli a Sicinio di parlare in favore del po- 

polo , e suggerendogli altre cose che erano da fare o 

dire , lo persuase. Dopo ciò Sicinio , convocato il po- 

polo , impose a’ legati che dicessero le cagioni per le 

quali venivano. 


LXXL Recatosi in mezzo Manio Valerio come il più 

provetto e popolare , e contestatagli dalla moltitudine la 

sua benevolenza con grida e saluti amichevoli , alfine , 

fatto silenzio, disse: Niente, o popolo proibisce che 

vi riconduciate alle vostre case , niente che vi paci- 

fichiate co’ Patrizi . Il Settato ha per voi decretato' un 

ritorno utile e decoroso j e di non pià ricordare o 

vendicare il fatto finora. E noi che vedeva propen- 

sissimi per voi , come da voi rispettati , ha qui de- 



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LIBRO VI. 285 


putato con poteri assoluti di concordare : affinchc noi 

non opinando nè congetturando su vostri desiderj , 

ma udendo da voi stessi con quali condizioni chie- 

dete riconciliarvici , ve le accordassimo se moderate , 

se non impossibili , nè impedite da indecenza insa- 

nabile , sene’ aspettare il voto de’ Padri , e senza in- 

tristire V affare colle dilazioni , e colla invidia dei 

contrari (i). Avendo il complesso de’ Padri così per voi 

decretato ; ricevetene il dono lieti , pronti , e benevoli s 

pregiandone degnamente una sorte sì bella , e rin- 

graziando vivamente gV Iddj che Roma , la domina- 

trice di tanti popoli , che il Senato , regolatore di 

tutto il bene che è in essa , mentre V usanza della 

patria non permette che cedasi ad alcuno , cedano 

alle istanze vostre solamente , nè pretendano come i 

più. grandi su’ men grandi discutere minutamente 

quanto conviene ad ambedue , ma primi essi vi spe- 

discano per . la pace : che non piglìasser con ira le 

risposte imperiose da voi fatte ai primi ambascia- 

dori , ma pazientassero alt orgoglio e fierezza di una 

ostinazione giovanile , come il buon padre sul figlio 

non savio : che volessero indirizzarvi una seconda 

ambasceria , diminuire i loro diritti', e rimettervisi 

dove la moderazione il consente. Giunti a tanta 

felicità non esitate a dime ciocché bisognavi, e non 

esorbitate o cittadini : lasciate le sedizioni : tornatevi 

giubilando alla terra che vi ha generati e nudriti : 


(i) Allude ai scDatorì che arrebbono perorato in contrario nei 

Senato. 



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286 DELLE Antichità’ romane 

Già non le deste voi li trofei e le ricompense pià 

belle , riducendola quanto è da voi solitaria, o come 

un campo da pascolarvi. Se trascurate questa oc- 

casione , forse ne richiamerete pià volte la somi- 

gliante. 


LXXII. Taciotosi Valerio fècest innanzi Sicinio , e 

I disse , che chi ben consulta non riguarda V utile da 

una banda sola , ma lo contempla nel suo rovescio 

ancora , principalmente in affare di tanta importanza. 

Pertanto comandò che chi volea rispondesse a ciò , 

deponendo ogni verecondia e timore. Non permettere 

la natura delle cose che essi benché ridotti a tante 

angustie cedessero per paura o per vergogna : E qui, 

fatto silenzio , e gli uni riguardando su gli altri , e cer- 

cando chi perorasse pel comune; ninno si presentò. Ma 

replicando Sia aio altre volte l’ istanza venne alfine in 

mezzo secondo gii accordi quel Ludo Ginnio desideroso 

di essere cognominato Bruto : ed avuto a far dò grandi 

significazioni dalla moltitudine , tenne questo ragiona- 

mento : Il timore che avevate de’ Patrizj o compagni 

è scolpito ancora per quanto vedo , e triorfa negli 

animi vostri. Abbattuti da questo timore esitate far 

qui , udendovi tutti , i discorsi che usavate tra voi. 

Forse ciascuno confida che il vicino suo aringherà 

sul comune , e che piuttosto incorrerà tra’ perìcoli 

ogni altro e non egli : ami che egli tenendosi in sal- 

vo , goderà senza perìcoli parte del bene che possa 

mai nascere dall ardire degli altri : ma stolto è que- 

sto concetto. Imperocché se tutti aspettiamo la stessa 

cosa , la codardia di ciascuno sarà nocevole a tutti; 



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I.IBBO VI. 



287 



c dove ognuno figurasi la sua sicurezza; ivi insieme 

con tutti rovinerà la comune. Ma se non avete ap- 

preso finora che per le arme ci togliemmo la paura, 

e per le arme avete consolidata la vostra libertà ; 

conoscetelo ora almeno , ed i Patrizj , essi stessi ve 


10 insegnino. Questi orgogliosi, questi durissimi uo~ 

mini , non vengono come prima comandando e mi- 

nacciando , ma supplicandoci , ed esortandoci a tor- 

nare alle nostre case : e già cominciano a trattarci 

come liberi veramente. Che dunque or più vi anne- 

ghittite e tacetq ? Che non la Jote da liberi uomini ? 

c se avete già scosso il freno : che non dite qui ora 

pubblicamente ciocchò avete sopportato da loro ? O 

miseri ! e quali patimenti temete ? se io stesso v in- 

vito a parlar francamente ? Io dunque , io stesso mi 

rischierò di dire liberamente per voi ciocché è ffusto, 

senza niente occultare. E poiché Valerio dice che niente 

proibisce che vi rendiale alle case vostre conceden- 

dovisi dal Senato il ritorno , ed essendosi decretato 

di non perseguitarvi ; io risponderò a lui cose nem- 

meno vere che necessarie a dire. 


LXXIII. Oltre i motivi ben grandi e varj , tre ne 

sono o Valerio fortissimi e chiarissimi che c impe- 

discono di rimetterci a voi deponendo le armi. Il 

primo è che venite a noi per esortarci come traviati; 

e Radicate beneficenza vostra accordarci il ritorno : 


11 secondo è che invitando noi a pacificarvici , niente 

dichiarate le condizioni compiacevoli o giuste su le 

quali possiamo ciò fare : è poi ! ultimo che niente 

di quanto ci promettete sarà per essere stabile , giac- 



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288 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


chè avete continuato a rigirarci e deluderci tante volte. 

Discorrerò di ciascuna di queste cose , incominciando 

dai diritti ; giacché sempre dai diritti si vuol comin- 

ciare sia che trattinsi le cose private, sia che le pub- 

bliche. Noi dunque se ve ne abbiamo mai fatte , noi 

non chiediamo nè impunità nè dimenticanza delle in- 

giurie. E non yorremo piò. rio starci a parte della 

vostra città , ma dandoci in balia della sorte e dei 

genj che ci guidino , ci fermeremo là dove .porta il 

destino. Ma se per colpa vostra noi siamo ridotti alla 

condizione in cui ci troviamo ; e percpè non confes- 

sate che voi li quali foste gli oltraggiatori , voi abbi- 

sognate anzi di perdono e di dimenticanza ? Come 

dite di accordarci voi questa ; quando avreste a di- 

mandarcela ? Come così vi magnificate quasi voi cal- 

miate lo sdegno verso di noi , quando dovreste cer- 

care che noi verso di voi lo placassimo ? Cosi con- 

fondete la natura della verità , così la dignità dei 

diritti pervertite ! Che poi non siate voi gli offesi ma 

offensori; che voi beneficati tante volte e tanto dal 

popolo per fondare la libertà e V impero, lo abbiate 

non bene contraccambiato ; uditelo , e convincetevene. 

Io non parlerò se non di cose che voi sapete , e se 

alcuna mai sarà falsa ; reclamate per gli Dei ve ne 

prego , non che stiate a bada pazientando. 


LXXIV. Il nostro governo primitivo fu monarchico, 

e lo abbiamo conservato per sette generazioni. In tutti 

que’ principati il popolo non fu mai conculcato dai 

re , specialmente dagli ultimi. Anzi lascio di dire che 

derivò da quel dominio molti e segnalati vantaggi; 



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■ LIBRO VI. a8g 


impemcchè per obbligarlo a sestessi e console porgeva al popolo, noi non 

più memori verso di voi dei mali antichi, noi pieni 

di lusinghiere speranze per f avvenire , ci dedicammo 

tutti a voi stessi; e dissipate in poco tempo tutte le 

guerre , tornammo con seguito folto di schiavi e di 

prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense 

giuste , o degne de’ pericoli ? ma quando mai ? troppo 

lungi ne siamo. Anzi ne avete tradito le promesse 

che imponevate al console di farci a nome del co- 

mune. E quest’ uomo bonissimo , del quale abusavate 

per deluderci , lo avete . questo privato del trionfo , 

quando degnissimo ne era più che tutti i mortali. Nò 



LIBRO VI. 293 


già per altra cagione così ancor lo spregiaste , se \ 


non perchè vi dimandava che adempiste le pro- 

messe , e perchè sdegnato mostravasi che ci bef- 

faste. 


LXXVII. Ultimamente ( vi aggiungo questo solo 

intorno al diritto , e finisco ) quando gli Equi , i 5a- 

bini , i Volsci insorsero di comun voto , e concitarono 

ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e 

gravi , a ricorrere a noi negletti e vili , colmandoci 

di promesse per iscamparvela ? e non volendo parer 

d’ ingannarci come altre volte , trovaste per coprir la 

impostura questo Mania Falerio , uomo amantissimo 

della plebe. E noi credendogli come a uomo dal 

quale non saremnw traditi perchè dittatore , ed ami- 

cissimo nostro f ci consociammo novamente a voi per 

questa guerra , e vincemmo i nemici con ‘ battaglie 

non poche , nè pieciole , nè ignobili Ridotta la guerra 

a bellissimo fine prima ancora delle sperante comuni, 

tanto foste alieni da renderne grazie , e ben copiose 

al popolo , else cercavate ritenerlo anche senza voglia, 

sotto le insegne e fra V armi , per trasandar le pro- 

messe , come trasandarle destinavate fin dal princi- 

pio. E non tollerando il valentuomo la beffa, nè la 

infamia delV opera , e riportando in città le bandiere, 

e rilasciando tistti per le proprie case ; voi , presone 

motivo onde non far la giustizia , ingiuriaste lui , nè 

serbaste a noi veruna delle convenzioni con tre abusi 

gravissimi , perchè profanaste la maestà del Senato, 

annientaste il credito di un tal uomo , e rendeste 

inutile cC vostri benefattori il merito delle fatiche. Omj 



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294 DELLE A.NTICHITA’ ROMANE 


potendo noi dir queste e simili cose non poche , non 

abbiamo o Patrizj voluto piegarci (die umiliazioni ed 

alle preghiere, nè accettare come i rei di gravissime 

colpe , il ritorno su la obblivion del passato. Seb- 

bene , essendoci noi qui riuniti per concordare ; non 

dobbiamo ora investigare pià sottilmente queste cose, 

ma vociamo trascurarle e dimenticarle , • e tener- 

cele. 


LXXVIII. Che non dite voi dunque palesemente a 

qual fine siete qui deputati, e qual cosa venite per 

chiederne ? Su quali speranze volete in città ricon- 

durci ? Qual sorte abbiamo a prendere per guida del 

nostro ritorno ? Qual giubilo , quale benevolenza ci 

aspetta ? Fin qui non abbiamo punto ascoltate esibi- 

zioni umane e benefiche , non onori , non magistra- 

ture , non sollevamento dalla indigenza, nè altre cose 

qualunque , sebbcn tenuissime. Quantunque non dovea 

già dùcisi ciocché siete per fare , ma ciò che fate , 

perchè sperimentandovi subito benevoli nelle opere 

vostre , vi argomentiamo ancor tali per l’ avvenire. 

Ma io penso che voi risponderete a ciò , che voi siete 

qui plenipotenziari , e che qualunque^ cosa ci persua- 

deremo a vicenda, sarà stabilita. Or_ sia ciò vero; e 

ne sieguano conformi gli effetti ; niente vi contraddico. 

Bramo però sapere le cose che da loro ci si faranno 

dopo queste. Vale a dùe , quemdo avremo noi detto 

su quali condizioni vogliamo il ritorno ; e quando ci 

saran concedute ; chi ci sarà di esse - mallevadore ? 

Su quale sicurezza deporremo le armi , e metteremo 

le nostre persone di bel nuovo nelle lor mtmi ? Su 



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LIBRO VI. 290 


quella forse dei decreti che si faran dal Senato , non 

essendovene ancora ? Ma qual cosa mai impedirà 

che annullino questi con altri decreti , quando così 

paja ad Appio e ad altri che pensan com’ egli ? Con^ 

teremo forse su la dignità dei deputati che ne por- 

gono in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han 

deluso colla interposizione di tali uomini. Riposeremo 

forse ne trattati fatti innanzi agV Iddj , e confermati 

da loro co' giuraménti? Ma io temo di ogni fede 

umana consimile , vedendola da quei che comandano 

vilipesa. E so , nè già ora per la prima volta , che 

i trattati forzosi tra chi brama esser libero e chi vuol 

dominare han vigore soltanto finché la necessità così 

porta. Or quale è queir amicizia e quella fede nella 

quale siamo costretti ad ossequiarci contro voglia , 

insidiando t uno il tempo dell' altro ? Allora inces- 

santi i sospetti e le calunnie; allora le invidie e gli 

od] ed ogni maniera di mali: allora la gara di preoc- 

cuparsi a distruggere V emolo ; riuscendo ogn indugio 

a mal termine. 


LXXIX. Non vi è , come tutti sanno , guerra più. 

trista della civile : questa i vinti fa miseri, ed in- 

giusti li vincitori : e li 'vinti han dagli amici i lor 

mali, i vincitori agli amici li causano. Or voi dun- 

que o Patrizi vogliate chiamar noi a pari cir- 


costanze , a pari bisogno non desiderabile ; e noi o 

plebei non ci rendiamo loro mai più: ma come la 

sorte ci ha divisi , così teniamoci in calma. Abbian 

pur essi tutta Roma , senza noi se la godano , e ne 

raccolgano soli ogni bene , essi che han ridotto fuor 



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agO DELLE a?«ticihta’ romane 

della patria noi miseri, noi disonorati plebei. E noi 

andiamocene pure dove gt Iddj ei guidano , conside- 

rando che non la nostra ma t altrui città lasciamo. 

Niuno di noi qui lascia non campagne proprie , non 

abitazioni paterne , non sacerdozi , non ‘ magistrature 

comuni come in sua patria per t esercizio delle quali 

siavi ritenuto pur contro voglia ; anzi nemmeno la- 

sciammo qui per noi la libertà, quella che ci ave- 

vamo colle arme e con tanti travagli acquistata. Im- 

perocché parte i nemici , parte la miseria quotidiana, 

parte V alterigia degli usurieri ci han guasto e con- 

sunto e tolto ogni cosa : tanto che noi- miseri eravamo 

ridotti a coltivare le terre di questi zappando , pian- 

tando , arando , pasturando , divenuti conservi degli 

schiavi loro da noi presi colle arme; e chi di noi 

portavamo catene alle mani , chi ne piedi , chi nella 

cervice finalmente , come fere intrattabili. E qui non 

ricordo le ferite , gli avvilimenti , le battiture , le fa- 

tiche da notte a notte (i) , ed ogni altra sevizia , e 

non le ingiurie , e non C orgoglio che ne abbiam so- 

stenuto. Liberati , la Dio mercè , da tanti e sì gran 

nudi , fuggiamo ben contenti quanto possiamo e sap- 

piamo , e prendiamo per. duci della fuga la sorte e 

gl’ Jddj li quali veglian per noi, considerando come 

patria nostra la libertà , e la virtù còme nostrà ric- 

chezza. Ogni popolo nè, ammetterà, sì perchè non 

molesti, come perchè utili a chi ne riceve. 


LXXX. E ci siano in ciò' di esenqtio molti Greci, 


(i) Dal tempo prima dell’alba fiuo a aera. 



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LIBKO VI. 297 


e molti barbari , e principalmente gli antenati tii 

quelli e di noi. Gli antenati nostri passando con 

Enea dal£ Asia nelC Europa fondaronsi nel Lazio 

una patria : e poi spiccandosi da Alba sotto gli au» 

spicj di Romolo che guidava la colonia , pigliarono 

sede ne' luoghi appunto abbandonati da noi. Abbiamo 

noi forze non già poco maggiori che essi, ma tripli- 

cate, e celione molto più giusta di trasmigrare. Quelli 

partivan da Ilio perseguitati da nemici, e noi di quà 

dagli amici : e ben è più misera cosa essere espulsi 

dai domestici , che dagli estranei. Quei che a Romolo 

si ligaroho per compagni trascurarono la patria per 

cercare terre migliori : ma noi lasciamo un vivere 

senza città , un vivere senza case paterne quando re- 

chiamo la colonia : e certo la rechiamo non odiosa 

agl Idàj , non molesta agli uomini , nè gravosa a 

terra niuna ; non rei' del sangue e della strage de’ cit- 

tadini che ci han discacciati , non rei del ferro o del 

fuoco messo ai campi che abbandoniamo, nè di altro 

monumento qualunque fondatovi di eterna inimicizia; 

come spinti da necessità sconsigliata rei se ne fanno 

i popoli traditi nett aUeanza. Noi chiamati in testi- 

monio i genj e gl' Iddj che guidano con giustizia le 

cose mortali, e lasciandQ'che essi prendano per noi 

la vendetta , abbiamo chiesto unicamente di riavere i 

nostri teneri figli, i (secchi Padri, che in città si ri- 

masero , e le mogli in fine , se alcune pur vogliono 

dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere 

questo, non altro dimandiamo da Roma, E voi tanto 


■ DIOKICI , tomo ZI. , ' kj * 



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298 DELLE antichità’ ROMANE 


impolitici f tanto insocievoli verso de' miseri , vivete 

felici, e come più desiderate. 


LXXXI. Appeaa Bruto ebbe ciò '' detto si tacque. 

Parve agli astanti tutto vero quanto disse intorno ai 

diritti , e quanto per accusare la superbia de’ senatori , 

principalmente quando dichiarò che la semplicità dei 

patti era tutta piena d’ intrico e d’inganni: ma quando 

infine delineò gli alTronti che aveaoo patito dagli usucierì, 

e ciascuno ricordò li suoi mali ; niup v* ebbe sì fermo di 

animo , che non si desse a piangere , e lamentare i 

danni comuni. Nè impietosirono già sol essi, ma fino 

gl’ inviati dal Senato. Non poteano que’ seniori conte- 

nere le lagrime , pensando la calamità per la separazione 

de' citudini : e rimasero gran tempo tra 1’ afflizione , e 

tra ’l pianto senza sapere ornai che più dire. Cessali gli 

alti gemiti , e tornato il silenzio nell’ adunanza , proce- 

cedelte per farvi le difese Tito Largio autorevole sopra 

tutti i citudini per anni , e per dignità , come lui che 

due volte console , e già rivestito della ditutura , avea 

con esercitarla bene più che gli altri , renduu venera- 

bile, e sanu una carica altronde odiata. £ datgsi a par- 

lare sopra i diritti , e ulvolta incolpando gli usuraj per- 

chè aveano operate cose durg , e disumàne ; talalira 

rimproverando i poveri come non giusti nel' chiedere 

che si rimettessero ad essi i debiti per forza anzi che per 

grazia, e nell’ esacerbarsi col Senato piuttosto che con 

quelli che impedivano che si'ccmcedesse loro alcuna cosa 

anche moderaU; e dippiù tentando mostrare cl^e pic- 

ciola era la parte del . popolo, .ingiuriosa suo mal grado, 

e necessiuta a dimandate per la igopia gravissima la 



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LIBRO VI. 299 


condonaeione dei debiti , ma più grande assai la parte 

la quale esigeva ciò perche viveasi scorretta , insolente , 

voluttuosa , e preparata a supplire co’ furti alle sue pas- 

sioni , talché ' doveansi ben distinguere i poveri dai ri- 

baldi, quelli che erano da compatire da quelli che erano 

da odiare ; ed aggiungendo in (ine discorsi consimili , 

veri si ma non grati generalmente; non soddisfece tutta 

la udienza. Dond’ è che sorsene strepito grande di voce, 

altri sdegnandosi . quasi rincrudisse loro gli affanni , ed 

altri confessando che dicea pur troppo il vero. Ma per- 

ciocché gli ultimi erano assai minori di numero , scom- 

parivano tra la moltitudine degli altri , e prevaleano 

soprattutto i clamori degli adirati. 


LXXXII. À queste cose ne aggiugnea Largio poche 

altre su la partenza e precipitanza loro , quando ripi- 

gliando la parola Sicinio il capo del popolo ne riaccese 

assai più lo sdegno con dire : che ben poleano da un 

tal parlare, comprendere quali onori e quali ringra- 

ziamenti ne avrebbero , se tornassero nella patria. Se 

quelli che slansi nel colmo de’ pericoli , ed abbiso- 

gnano del braccio del popolo , e per questo a lui 

vengono , non san trovare nemmen ora discorsi mo- 

derati ed umani; qual animo dee credersi che avranno 

quando siano .le cose riuscite loro secondo il disegno, 

e quando chi offendono ora colle parole , sia sotto- 

messo loto ancora nelle opere ? Da quali insolenze 

mai si conterranno ? da qual; flagelli , o da quali 

tiranniche sevizie ? Se a voi dà il cuore , ei dicea , di 

servire tutta la vita incatenati , battuti , straziati col 

ferro , col fuoco , colla fame , con ogni guisa di maU; 



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3oo delle antichità’ romane 


su , non perdete tempo , gettate le armi , seguitateli. 

Ma se V è pure in voi desiderio di libertà ; non pa- 

zientate ornai più. Ambasciadori ! o dite su quali corti- 

dizioni ci richiamate ; o partite daW adunanza ; per- 

chè non lasceremo più che vi parliate. 


LXXXIII. E qui tacendosi lui , tutti gli astanti ne 

strepitarono , acclamandolo , perchè area detto a propo- 

sito. Restituitasi quindi la calma Menenio 'Agrippa il 

quale areva interloquito in Senato sul popolo , e pro- 

posto e fatto principalmente che gli s’ inviasse un’ am- 

basceria plenipotenziaria , fe’ cenno di volere aneli’ egli 

discorrere. Riuscì la richiesta gratissima ; e parea come 

r augurio che udirebbe nsi allora Analmente condizioni 

giuste , e salutevoli ad ambe le parti. E subito escla- 

marono tutti a gran voce , che parlasse. Poi si chetaro- 

no , e si profondamente , quasi fessevi solitudine. Parve 

uu tal uomo , com’ era verisimile , assai persuasivo nei 

suoi discorsi, e tutto confacevole ai voleri della udienza: 

è' fama però che in ultimo proponesse una tal favola sul 

gusto delle Esopiane espressivissima delle circostanze, e 

che con questa principalmente li guadagnasse. Dond’ è 

che la favola fu creduta degna di ricordanza , e rap- 

portasi io tutte le storie antiche. L’, aringa di lui fu 

questa : Popolo , noi veniamo dal Senato a voi , non 

per difendere lui , nè per accusarne voi: nè già pormi 

che il tempo ciò chieda , nè che ciò sia prosperevole 

per la sorte della .repubbUca. Ma noi veniamo con 

tutto f ardore e V efficacia per 'levar le discordie , e 

rimettere la > repubblica nel 'buon ordine primitivo^ 

rivestiti per ciò fare di^ un potere assoluto. Pertanto^ 



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LIBRO VI. 3oi 


non pensiamo che ,sian ora da esaminare i diritti > 

come fece con orazione lunghissima questo Giunio ; 

pensiamo piuttosto che debbansi con gli amorevoli 

modi ricongiunger gli spiriti. Qual fede sia poi per 

garantire le nostre convenzioni , ve lo esporremo , 

appunto come ne cibiamo deliberato. Considerando 

noi else le sedizioni si curario in ogni città col to« 

gliere i semi delle discordie , abbiamo giudicato ne» 

cessarlo di conoscere e spegnere le cause produttrici 

della divisione. Or trovando noi che le esazioni dure 

de’ presuli sono la origine de’ mali presenti ; così le 

correggiamo. Decretiamo che quanti soggiacciono a 

debiti , nè possono estinguerli , ne siano del tutto as- 

soluti. Decretiamo Uberi tutti , quanti son detenuti per 

aver differite le paghe oltre i tempi legittimi , e de- 

cretiamo liberi infine quanti furono in mano conse- 

gnati dei creditori per sentenze speciali di giudici^ 

annullando noi queste totalmente. Cosi ripariamo ai 

contralti precedenti tenuti come causa della sedizione: 

ma quanto a centratti avvenire facciasi come ne or- 

dinerà la legge che sarà costituita da voi, da tutto il 

popolo , dal Senato. Dite , non erano queste le cose 

che vi alienas>ano da’ Patrizf ? Non giudicavate voi 

che sareste conienti , e che altro di più non brame- 

reste , se le impetravate Oggi vi si concedono ; an- 

date , tornatevi' gittiilando alla patria. 


LXXXIV. I riti poi- che convalideranno ed assicu- 

reranno questi trattati saran quelli appunto delle leggi, 

usati nel depórsi delle inimicizie. Il Senato appro- 

verà pur egli questi trattati ^ e darà loro forza di 



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3o2 delle Antichità’ romane 

leggi quando scritti gli avremo. Anzi schiviamoli qui 

noi come ne piace ; ed il Senato vi sarà sottomesso. 

E che questi si rimarranno indelebili ; che il Senato 

non potrà mai sopraggiungervi nulla in contrario , noi 

qui deputati , noi li primi ne facciam garanzia sul 

corpo , e vita , e stirpe nostra , e con noi pure ve ne 

fan garanzìa li senatori che firmeranno il decreto. 

Imperocché mai , ripugnandovi noi si decreterà cosa 

niuna contro del popolo ; giacché noi -siamo li primi 

del Senato , e noi li primi a dichiarare i nostri pa- 

reri’. ven farà da ultimo garanzia la fede comune a 

tutti i Greci, e a tutti i Barbari, quella che niun 

tempo mai potrà cancellare , quella che con giura- 

menti , e libagióni rende i Numi vindici degli accordi, 

e su la quale chetaronsi tante, e non picciole nimi- 

cizie de’ privati , e tante guerre di repubblica con re- 

pubblica. Or questa fede ricevetela ancora voi ; sia 

che vogliate permettere a noi, pochi si , ma capi del 

Senato , di giurarvi a nome di questo ,^sia che vo- 

gliate che tutti i Padri sottoscrivano *e giurino con 

rito santo di serbarvene i patti inviolati. E tu, o 

Bruto , non incolpare il pegno delle destre , non le 

libagioni, non la fede data invocandone i Numi, né 

togliere tali espedienti bellissinii degli uomini: e voi 

non vogliate tollerare che costui ricordi le promesse 

tradite dai scellerati e dai tiranni , da quali tanto è 

lontana la virtà de’ Romani. 


LXXXV. Or lasciate, che io soggiunga (e terminò) 

una cosa non ignorata i fiè controversa da rtiun dei/ 

mortali. Ma quale è mai questa? Essa importa >'t utit 



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LIBRO VI. 3o3 


colmine , . e saU/a le parti f una colt altra : essa è 

r unica e sola che ci raccolse già tutti in un corpo , 

e che mai farà separarci. Abbisogna , nè mai cesserà 

di abbisognare la moltitudine imperita di sas>j che la 

dirigano ; come un complesso di savj idonei a dirigere 

abbisogna di chi lascisi governare. Nè ciò per imma- 

ginazioni sappiamo , ma per esperienza. Che dunque 

ci riduciàmo a tremare brigandoci gli uni con gli al- 

tri ; o che ci logoriamo in triste ^parole ; essendoci 

facilissimo tornare alt utile nostro ? Che dunque non 

ci espandiamo , ed abbracciamo , e voliamo (dia pa- 

tria , aUe antiche delizie , agli oggetti di tanti dolcis- 

simi e soavissimi nostri desiderj ? A che cercare im- 

possibili assicw'ozioni? A che fidanze malfide^ come 

in guerra nemici fierissimi che in tutto sospettano il 

peggio ? A noi, o plebei , a noi membri del Senato, 

basta la sola vostra parola , clte non sarete se tornate 

iniqui con noi: e perchè ? perchè sappiamo il vostro 

buon allevamento , la istituzione legittima , e le altre 

virtù che avete in guerra ed in pace dimostrate. E se 

i contratti oggi ottengono a nome del comune una 

riforma , così dimandando la fedeltà , così la speranza , 

degli uni verso degli altri ; teniam certo ancora che 

siano per corrispondere in voi le altre buone doti : e 

niente da voi cerchi (uno ^i giuramenti, niente gli ostag- 

gi , nè altro pegno qualunque di sicurezza ; nè però 

mai contrarieremo le vostre dimande. Ma ciò basti su 

la fedeltà intorno • la quale Bruto c incolpava. Che se 

in voi resta aricora alcuna, invidia non degna , che vi 

àccita a pensar' pravanten^s del Senato •, io dùò pur. 



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3o4 DELLE AHTICHITA.’ ROMANE 

di questa : e voi attenti , in calma , ascoltatemi o 

plebei. 1 ' 


LXXXVI* Somiglia ad un corpo umano una repub- 

blica : perciocché l uno e t cdtra risultano da più par- 

ti ; nè ciascuna delle parti in essi ha forze eguali , 

né porge un uso medesimo. Adunque se le membra 

del corpo umano ricevessero tutte , come il senso , la 

voce , e poi nascesse discordia fra loro congiurandosi 


tutte le altre ad una ad una contro del ventre, e, li 



piè si dolessero che il corpo intero poggia- su loro , le 

mani che solo esse traltan le arti , procacciano il ne- 

cessario , combattono co’ nemici, e pongono molti t^ri 

beni in comune-, gli omeri perchè p'orVan essi ogni 

peso , la bocca perchè parla , la testa percitè vede , 

perchè ode, e perchè comprende tutti i sensi onde il 

complesso vive del corpo ; e se quindi dicessero , or 

tu buon ventre fai tu niuna di queste cose ? quale 

riconoscenza, qual utile tu ci rendi? Anzi tanto sei lon- 

tano dal cooperare e dal compiere con nei alcun utile 

comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel che è 

più intollerabile , ci necessiti a servirti , e portarti di 

ogn intorno quanto ti sazj negli appetiti tuoi. Orsù; 

chè non ci rendiamo noi liberi, nè cessiamo dalle 

cure che .in grazia di lui sosteniamo ? Se così piacesse 

loro , se nhtna parte più fornisse le proprie funzioni-, 

or potrebbe il corpo a lungo 'sussisterne ? Anzi in 

pochi dì consumerebbesi dsdla fame , pessimo fra tutti 

i mali ; e niuno può dirne il contrario. Or concepite 

pure altrettanto di una repubblica. Compiono questa 

molti generi di persone niente, infra li>r ,sornigUanti'; 



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LIBRO VI. 3o5 


e ciaicùno le porge un uso proprio di lui t come le 

nsembra lo porgono al corpo. Chi coltiva i campi f 

chi pe' campi combatte co' nemici : chi ne reca assai 

beni tr^Jicando pe' mari ; e chi travaglia in su le 

arti necessarie. Se ciascun genere di queste persone- 

insorga contro il Senato , che è l’ ordine degli otti- 

mali , e dica ; qual cosa , o Senato , tu ci fai di be- 

ne ? e per qual causa, non avendone tu alcuna; vuoi, 

comandare su- gii altri? Non ci terremo una volta 

da questa tirànnide tua ? nè vivremo indipendenti ? 

Se con tali pensieri si levasse ognuno dalle usate 

incombente ; cosa impedirà che una tale sconcia re- 

pubblica miseramente- perisca per la fame, per la 

guerra , per ogni male ? Istruiti dunque , o voi del 

popolo , che come ne' corpi nosU'i il ventre accusata 

a torto da molti, nudrito nudrisce, conservato con- 

serva ; e quasi uim dispensa universale , porge ad 

ogmino il' suo bene , e la sussistenza in un tutto ; 

così nelle repubbliche il Senato che matteria il co- 

mune e provvede a ciascuno V utile suo , tutto salva 

e custodisce e dUrige ; cessate di lanciar contro lui 

voci ccUunniose , quasi per lui siate fuori della pa- 

tria , e ne andiate raminghi e mendici. Il Senato non 

volle mai questo, nè farawelo : anzi vi chiama, evi 

supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le porte, 

e raccoglievi. ' 


■ . LXXXVII. Intanto che Menpnìo concionava, sorgeano 

ad ora ad ora voci varie e molte da^i astanti. Ma pai> 

chè sul fine del suo ragionatiteoto si diede a comma» 

veri! , e 'deplorare le disgrazie e la sorte immiucnle su 


DlOUtai, lomo II. a* 



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3o6 DELLE Antichità’ romane 


di ambedue , su quelli rimasi in città e su gli altri che 

ne erano usciti ; si misero tutti a piangere , ed unanimi 

ad una voce gridarono che li riconducesse alla patria , 

né più s’ indugiasse. E poco mancò che partissero tutti 

a furia dall’ adunanza ; rimettendo ogni cosa ai deputati 

senea brigarsi più oltre della sicurezza. Se non che Bruto 

facendosi innanzi ritardò l’ impeto loro , dicendo : che 

erano pur buone per quei del popolo le promesse del 

Senato , e chiedendo che grazie appieno gli si ren- 

dessero per le cose a loro concedute. Aggiungeva an- 

cora di temere per l’ avvenire che uomini una volta 

oppressivi, si dessero, venutone il tempo, a ricor- 

dare , e punire le cose operate dal popolo. Jtimanervi 

una sicurezza sola per quelli che temono questo dagli 

Ottimati , cioè quella di rendere indubitato che , se 

vogliono , non posson piii offenderli. Finché sta in 

essi il poter danneggiare , non mancheran de mal- 

vagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga 

tal sicurezza ^ -non altro resteragli da chiedere. Ripi- 

gliando Menenio , ed invitandolo a dire qual sicurezza 

pensava che al popolo bisognasse , concedeteci , disse , 

che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro 

alcuni magistrati i quali non siano ad altro autoriz- 

zati che a proteggere gli oltraggiati , e gli oppressi 

nel popolo , nè lascino che alcimo sia defraudato 

de' suoi diritti. Alle^ cose accordateci aggiungete in 

grazia ancor questa , ve ne preghiamo , ve ne suppli- 

chiamo , se la pace esser dee non in parole , ma in 

fatti. 


• LXXXYllI. 11 popolo udendo un tal dire lo accom- 



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LIBRO VI. 



807 



pagnò con grandi e lunghe acclamazioni , raccomaiidau* 

dosi ai deputati che gli concedessero anche questo. I 

deputati ritirandosi daU’adunanza, e conferendo alquanto 

in fra loro , vi ritornarono dopo jion molto. Taciutisi 

tutti , Menenio fattosi iunanzi disse : La dimanda è 

grande e piena o plebei di enormi sospetti. A noi 

viene timore ed ansietà che non abbinasi a fare due 

città di una sola. Quanto è da noi , nemmeno in ciò 

vi ci opporremo , or voi compiaceteci (tende anche (Que- 

sto al ben vostro ) date a tre deputati che tornino in 

Aonuif e narrino al . Senato la richiesta. Non ci arr 

roghiamo noi di risolverne > quantunque abbiamo da 

esso U potere di concordare come ne piace , arbitri 

in tutto di prafnettere.. Siccome il caso che ci occorre 

è inaspettato e nuovo ; così ce ne riportiamo ai Pa- 

dri , quasi in esso V autorità ci si limiti. Ci persua- 

diamo, pelò ‘ che essi ne sentiran come noi. Frattanto 

io qui resto >, e con me parte dei deputati. Valerio e 

gli altri onderanno. Stabilito ciò gl’ incaricati d’ infor- 

mare il - Senato spronarono i cavalli alia volta di Roma. 

Proponendo i consoli in Senato la richiesta; Valerio 

opinò che si concedesse. Appio , nimico Gn da princi- 

pio di ogni, accordo , contraddisse anche allora chiaris- 

simameute , esclamando e rilevando , chiamatine in te- 

stimonio i Numi , i germi dei mali che impiantavano 

alla repubblica. Non però convinse la pluralità , desi- 

derosa, come ho detto, di .spegnere la discordia. Adun- 

que il Senato autorizzò con suo decreto lè promesse 

dei deputati ai popolo , come pure che gii accordas- 

sero la sicurezza che dimandava. Fatto ciò tornando il 



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3o8 , OEtLE antichità’ ROMANE 


giorno ap|>resso i deputati nei vi eapoM0a4.";^HH 


Ieri del Senato. Quindi esortando ' Menenio- U'^poii^lD 

d’inviare alquanti a’ quali il Senato desse la Sull' ftdé ; 

fu spedito Lucio Giuùo Bruto, del qnale abbiÀtt'i^no 

di sopra , e Marco Decio , e Spurio Icilio con esso. 

Andò metà dei deputati compagna di Bruto in Roma. 

Agrippa , pregatone , si rimase nel campo , per istender 

la legge a norma delia quale il popolo creerebbe i suoi 

magistrati. ' ' ' , ' 


LXXXIX. Nel di seguente Bruto rìlortiò già fatti 

i patti col Senato per mezzo de’ Feciali , che cfaia> 

mano. Divisosi allora il popolo in Fratrie , * come ah 

tri qui nominerebbe quelle che essi dipono Curie , 

dichiarò suoi, magistrati dell’ anno Lucùr Gìnnio Bruto, 


« Cajo Sicinio Belluto, 6 no a > quel di loro capi, e con 

essi ancora Ca}o e Publio Licinio ì e Cap Icilio Ru- 

ga (i). Assunsero questi cinque- i primi' la^ potestà tribu- 

nizia , quattro giorni avanti le idi di ’decembre {%) , CO 7 

me pur nel mio tempo si pratica. Firttterle ’eiéEÌoni'parve 

a’ deputati del Senato, adempito l’ intento della loro mis- 

sione. Ma Bruto , convocata l’ adunanza ' del popolò, con- 

sigliò che dichiarassero i suoi magistrati Santi ed: invìo- 



(1) Lìtio, Dionigi, ed altri storirn antichi non ben si accordano 

sn la nomina di questi magistrati. Livio dice che i due i primi no- 

minati furono Cajo Licinio, e L. Alhiud . e che questi poi si scef- 

aero tre colleglli tra quali fiv Sicinio V autore delia seditìone. -Ma^ 

Dionigi pone per primi Lucio. _Giunio Bru^o , e C. Sicinio Bellirto : 

a quindi C. e Fuhiio Liciuro , e C. Icilio Ruga. 


(3) Anni di Roma 361 secondo Catene , s63 aeeondo Varrona , 

a 491 avanti Cristo. \ - 



Diiiilizc:. GcOglf 



LIBRO V|. 3o9 


labili slabilenilone la sicurezza colle leggi e co’giiiramenti. 

Piacque ciò a tutti , e si fece su lui e su collcghi la 

legge : che niuno forzaste un tribuno ) come un altro 

qualunque a far mai cantra sua voglia ; ni lo bat- 

tette , ni lo uccidesse , né ordinasse ad altri di bal- 

te rio , o di ucciderlo. Che te alcuno a dà contravvenga 

anche in parte ; itane reo capitale ; se ne diano a 

Cerere -i beni : e chiunque lo uccide , abbiasi coma 

puro dalla strage. E perchè non si potesse mai più far 

cessare questa legge , ma restasse immobile iu ogni ar« 

venire ^ si stabili che ì Romani giurassero tutti co’ riti 

santi dì osservarla ' essi , ed i posteri loro perpetuamente. 

E si aggiunse ai giuramenti la preghiera , che gli Dei 

superni , ed inferni fossero propizj a' chiunque favoriva 

la legge , ma contrarj a quanti la violavano, come coo- 

taminati di delitto gravissimo. Da indi sorse ne’ Romani 

il-cosWme che persevera pur ne’ miei giorni, di riguai^ 

dare le persone de’ tribuni come sacrosante. 


XC. Concordato dò, fecero un aitare su le dme 

della montagna ovo s’^erano accampati, e lo denomina» 

rono nell’ idioma, loro , l’altare di Giove la 

cito su la fiducia di respingere i nemici che si avan* 

zavano ; ma costretti bruttamente a fuggire^ prima di 

dare alcuna nobile prova , nemmen fecero punto di ger 

nevoso combattendo poi su le mura. Adunque i Ro> 

mani in un sol gioruo s’ impadronirono sehzà 

tere dei lor territorio , e , ne presero a forza la citti , 

nè con molto travaglio. Il comandante Romano concedè 

' . .. 'V 


(t) Vuoi' (lire Edile. Era qacsto vócaboìo proprio d«’ RoroasK' 



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LIBRO VI. 3 I I 


che le miline si approp lasserò le robe invase; e presi» 

diala la città , ne andò col resto deli’ esercito contro 

l'altra città de’ Volsci , chiamata Polusca, non molto 

lontana da Longola. Nè osando alcuno di uscirgli in- 

contro , percorse facilissimamente U campagna , e ne 

investi le maia. E datisi i soldati , chi a spezzare le 

porte, chi a scalare le mura ed ascenderle; Polusca 

anch’essa fu presa nel giorno medesimo. Il console scel- , 

tivi alcuni pochi, autori della ribellione, li fe’ morire : 

e multati gli, altri in danari, e spogliatili delle arme; 

gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani. 


XCII. Lasciato anche in guardia di  





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3aa Delle antichità’ romane 

ni. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta , in-' 

tanto che Milziade 'era arconte di Atene, i Tirreni dei 

contorni del golfo Jonio , cacciati poscia di là dai Galli, 

e gli Umbri con essi , e li Dauuj , ed altri barbari in 

copia tentarono distruggere Cuma , Greca città tra gli 

Opici fondata dagli Eretrj e da’ Calcidesi (i) , senz’ al- 

tra vera cagione, se non che ne odiavano la prosperità. 

Imperocché Cuma famosissima di quei tempi in tutta 

r Italia per la ricchezza , per la potenza , e per molti 

altri beni , avea le terre le più fruttuose della Campa- 

nia , con porti utilissimi presso al Miseno. Invidiandone 

i barbari il si gran bene, le mossero incontro con di- 

ciotto mila cavalli e con cinquecento mila fanti (a), e 

non meno. Accampatisi questi non lungi dalla città surse 

un portento meraviglioso, quale non ricordasi accaduto 

mai nè tra’ Greci dovunque, nè tra’ barbari. I fiumi 

che scorreano presso gli alloggiamenti ( Volturno no- 

minavasi 1’ uno , e l' altro il Ciani (3) ) lasciando lo 


(i) Gli Eretrj ed i Calcidesi erano popoli dell’ Eukea o Ne^o* 

ponte. Elrelrìa era distante venti miglia da Calcide. Vi erano dus 

altre Eretrie. Vedi tom. i , la not. al S 4^» parla della 


prima. 


(a) Par troppo torrente contro di una città : forse vi à d>aglio nei 

numeri . 


(3) Vi sono altri lìami di pari nome. Questo à quello additato 

da Virgilio 1. a, Georg. , 


Vicina Veitvo 


Ora jugo ,el vaeutt Ctanius non aeqmt acervis. 


Antonio Boudrand: (vedi novum Lexicon Geographic.) chiama que- 

sto fiume Agno ; e dice che passa presso di Acerra , di Aversa e 

Mintomo. Forse il Ciani h quello stesso fiume che ora chiamasi 

JPatria nelle catte geografiche. 



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MBKO VII. 32.3 


scendere lor natarale » si ripiegarono , rifluendo gran 

tempo dall’ imboccatura alle fonti. Vista la meraviglia , 

fecero core i Cnmani di piombare su’ barbari , come se 

i Numi fossero per deprimere l’altezza di quelli , e per 

sublimare loro che depressi ornai ne pareano. Pertanto 

dividendo in tre corpi la gente militare , con uno guaiw 

darono la città , con altro le navi , e coi terzo , «:hie- 

ratoio avanti le mura , aspettarono l’ inimico che inoU 

travasi. Seicento erano i cavalli Cumani, e quattro mila 

cinquecento i fanti : pure si pochi di numero tennero 

fronte a tante migliaja I 


IV. Ck>me i barbari seppero che eransi appareo:hiati 

per combattere , dato un grido , coi*sero in barbara for> 

ma , disordinati e misti , cavalli e fanfl , appunto per 

annientarli tutti in un colpo. Il luogo, dove innanzi la 

città si affrontarono, era una valle angusta , rinchiusa da 

lagune , e da’ monti , propizia al valor de’ Cumani , ma 

nemica alla fdUa de’ barbari. Dond’ è che, travolgendosi 

e calcandosi questi , gli uni gli altri in più luoghi , e 

principalmente su pel fango intorno la palude , si di- 

strussero in gran parte fra loro , senza pur venire aUe 

mani colia Greca milizia di Cuma : e quell’ esercito ap- 

piedi si numeroso , e disfatto , e sbaragliato da sestesso, 

fini qua e là fuggitivo , senz’ avere operato nulla di 

generoso. Li cavalieri però si avventarono , e molto tra- 

vagliarono i Greci : ma non potendo circondar l’ inimico 

per r angustia del loco , e temendo i destini che com- 

batteano per Cuma colle piogge, co’ tuoni, co’ fulmini , 

si diedero anch’ essi alla fuga. In questa battaglia i ca- 

valieri Cumani militarono tutti luminosamente, ricono- 



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3a4 delle Antichità’ bomane 

sciutine quindi come autori della vittoria. Si distinse so»' 

pra tutti Aristodemo cTiiamato Màlaco ; imperocché solo 

opponendosi , uccise il capitano nemico , e molti valo- 

rosi. Finita la guerra porgeansi sagriGzj di ringrazia- 

mento ai numi , e davasi magnifica sepoltura agli estinti 

in battaglia : ma quando si ebbe a decidere a chi si 

dovesse la corona , come al più forte ; assai se ne di- 

sputò. Li giudici più ingenui , e con essi anche il po- 

polo , voleano che ad Aristodemo si concedesse ; ma i 

più potenti , e con loro tutto il Senato , ad Ippo'me- 

donte , duce de’ cavalieri. Di que’ tempi era in Guma 

il governo degli ottimati , nè molto il popolo vi potea : 

ma natavi sedizione appunto per tal controversia , i se- 

niori temendo che tanta ambizione finisse colle armi e 

colle stragi , persuasero ambedue li partiti di dar "pari 

onore all' uno e all’ altro di que’ valorosi. Da quell’ ora 

divenne Aristodemo Malaco il protettore del popolo : e 

poiché ‘si avea procacciato una persuasiva nei discorsi 

di Stato , commovea con questa la moltitudine , allet- 

tando lei con stabilimenti gradevoli , beneficando coll’aver 

suo molti ' de' poveri , e rimproverando i potenti che si 

appropiavano ciocché era del comune. Dond’ é che ne 

divenne ai primi degli ottimati molesto e terribile. 


, V. Venti anni dopo la battaglia co’ barbari vennero 

ambasciadori dalla Riccia co’ simboli di pace al Cumani 

per supplicare che li soccorressero nella guerra contro 

i Tirreni. Imperocché Porsena re di questi dopo la pace 

con Roma dando metà dell’ esercito , come esposi ne’li- 

bri antecedenti, ad Arunte suo figlio, lo aveva inviato, 

voglioso che n’era, ad acquistarsi un dominio : e costui 



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LIBRO VII. 3a5 


di quel tempo appunto assediava gli Arieini rifugiatisi 

tra le ;nura , sulla idea di prenderne tra non molto la 

città colla fame. A tale ambasceria li primi degli otti- 

mati odiando Aristodemo e temendo che non causasse 

alcun male al governo ; concepirono di avere il buon 

punto di levarsel d’ intorno con delicate maniere.v Per- 

suadendo il popolo a spedire due mila per soccorso de- 

gli Aricini , e nominandone capitano Aristodemo come 

il più insigne nelle armi, fecero poi tal maneggio , nde 

iusingarsi che colui perirebbe o per le battaglie co’ ne- 

mici , o per le fortune di mare. Imperocché resi dal 

Senato arbitri di scegliere quei che dovrebbero andare 

di rinforzo , non v’ inchiusero alcuno de’ più famosi e 

più riguardevoli ; ma reclutando i più poveri e più scel- 

lerati .da’ quali aveano sospettato sempre delle sommosse, 

ordinarono con questi l’ armata , e riducendo in mare 

dieci navi antiche , pessime a correr le acque , e dan- 

done il comando a Cumani poverissimi , ve la soprap- 

posero , con minacciare di morte chiunque ne disertasse. 


VI. Aristodemo , dicendo unicamente che non igno- 

rava le mire degli avversar) che in apparenza Io man- 

davano per soccorrere , ma in realtà per farlo soccom- 

bere ; assunse il comando dell’ esercito. E facendo ben 

tosto vela co’ deputati Aricini , e superando a stento 

e con pericolo il tratto interposte, di mare , approdò sui 

lidi più prossimi dell’ Aricia. E lasciata guarnigione 

sufBciente alle navi , e fatto nella prima notte il cam- 

mino il quale vi restava , che certo non era lungo , si 

presentò su 1’ alba inaspettato agli Aricini. Accampatosi 

presso di loro , e persuasi gli assediati di uscire all’ a- 





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3a6 DELLE Antichità’ romane 

perto sfidò ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi 

ed attaccatisi , gli Aricini resisterono piòciolo' teinpo , e 

piegarono e rifuggironsi in folla tra le mura. Aristodemo 

però coi pochi scelti Gumani che avea d’ intorno , so~ 

Bienne tutto il forte della battaglia , ed uccisone di sua 

Diano il duce , mise in fuga i Tirreni , riportandone una 

vittoria nobilissima. Ciò fatto , e magnificato dagli Aricini 

con doni copiosi rinavigò speditamente verso Cuma per 

essere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a 

lui molte barche Aricine colle spoglie e coi schiavi presi 

ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e messe a proda le 

navi , concionò tra 1’ armata. E molto accusando i capi 

della città , e molto encomiando quelli che si erano se- 

gnalati nella battaglia, e dispensando argento e parteci» 

pando a ciascuno i doni degli Aricini; pregò che di 

tali beneficenze si ricordassero , quando sbarcherebbero 

nella patria , e lo fiancheggiassero se mai gli ottimati 

gli creavan pericolo. Confessandosi tutti obbligatissimi 

per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta , 

come perchè tornavano colle mani non vuote in fami- 

glia ; e protestando che darebbero a' nemici anzi sestessi 

che lui ; Aristodemo , rirtgrazionneli , e sciolse 1’ adu- 

nanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i più ma* 

liziosi e prodi , e guadagnandoli tutti co' doni , co' bei 

discorsi, e colle spc>anze lusinghiere, li fé* pronti a 

mutare il governo che vi era. 


VII. Presi questi per ministri e per combattitori , 

istruitili parte a parte su ciò che avessero a fare , e 

messi in libertà gli schiavi che conduceva per obbligarsi 



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LIBRO VII. 



327 



ancor essi, viaggiò piò oltre colle navi coronate (i) 6no 

ai porti di Cuma. I padri e le madri de’militari , tutto 

il parentado, i Ogli insieme e le mogli, venutili ad in- 

contrare mentre scendevano a terra , lagrimavano , gli 

abbracciavano ,. li baciavano , li chiamavano con teneris- 

simi nomi. Tutto il resto della moltitudine urbana rice- 

vette fra tripudj ed acclamazioni il capitano , accompa- 

gnandolo fino alla casa. Di che dolenti i capi della cittò, 

quelli principalmente che gli aveano affidato 1’ armata e 

ne aveano con altri modi tramato la rovina, facean 

tristi colloqui su T avvenire. Aristodemo lasciati decor- 

rere alquanti giorni onde rendere agi’ Iddj li suoi voti ^ 

e ricevute intanto le sue navi da carico rimaste indietro, 

alfine venutone il tempo , disse voler esporre in Senato 

le cose operate nella guerra e mostrargli le prede ripor- 

tatene. Riunitisi in numero i primarj , ed i magistrati 

nel Senato, egli fattosi innanzi prese a dire e narrare 

tutte le cose operate nella battaglia : quando gli uomini 

apparecchiati da lui per 1* impresa , accorsi in folla nel 

Senato co' pugnali sotto gli ‘ abiti , vi uccisero tutti gli 

ottimati. Si diedero allora a fuggire e correre , chi alle 

proprie case, chi fuori delia città, quanti erano al Foro, 

eccetto i complici del disegno , i qnali avevano occupato 

la fortezza , il porto , ed ogni luogo monito delia città. 

Nella notte seguente sprigionando quanti vi erano ( e 

molti ve ne erano ) dalle pubbliche carceri , destinati 

alla morte, ed armandoli con altri suoi amici, tra* quali 




(t) In segno della -riltoria riportala. G>si ae’trionfì ai coronavano 

ancora li fasci. 



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3a8 DELLE antichità’ romane 

erano gli Schiavi Tirreni , ne fece un corpo di guardia 

per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo 

a parlamento , ed accusativi a lungo gli uccisi , disse 

che erano stati meritamente % puniti ; avendo per tante 

volte insidiata a lui la vita : ma che , quanto agli altri 

.cittadini , egli darebbe loro la libertà , la eguaglianza 

.dei diritti , ed altri beni copiosi 


Vili. Ciò dicendo , ed elevando tutto il popolo a 

speranze meravigliose , stabili due regolamenti , pessimi 

tra tutti i regolamenti ^ ed iniziativi di ogni tirannide , io 

dico la nuova division delle terre e la remissione dei debiti. 

Figli promettea provvedere su l’una e l’altra cosa, purché 

fosse eletto comandante assoluto , finché il comune fosse 

in salvo, e v’ordinassero uno stato popolare. Con piacere 

ud) la plebe e tutti i peggiori che avrebbonsi a ghermire 

i beni degli altri: ed egli, avutone un potere indipen- 

dente , aggiunse un nuovo decreto col quale deludendo 

ancor essi , alfine tolse a tutti la libertà. Imperocché 

fingendo temere torbidi e sedizioni de’ nobili contro dei 

.plebei per le assoluzioni dai debiti e per le divisioni 

nuove de’ terreni , disse che a precludere una guerra 

ed un eccidio civile , trovava un solo rimedio, cioè che 

, tutti prima di ridursi a tal male , recassero dalle loro 

case le arme , e le consacrassero agl’ Iddj per averle nel 

bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano , 

e non contro sestessi: pertanto esser bonissima cosa che 

stessero quelle presso de' Numi. Persuasi di tanto i Cu> 

mani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti , e 

negli altri appresso fe’ cercare le case di • ognuno , \ic- 

cldendovi molti buoni , sul pretesto che non avessero 



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LIBRO VII. 



3‘29 



portate ai Numi tutte le armi. Dopo ciò fortificò la ti- 

rannide sua con tre generi di guardie : il primo fu di 

que’ vilissimi e reissimi cittadini co’ quali tolse 1’ auto- 

rità degli ottimati : il secondo fu de’ servi indegnissimi 

renduti liberi da esso perchè aveano trucidati i loro pa> 

droni : ed il terzo furono i militari assoldati da’ barbari 

più inumani. Erano questi nommen di due mila , e va- 

lidissimi più che gli altri nelle arme. Tolse le immagini 

degli uccisi da ogni luogo sacro e profano supplendovi 

in vece loro le sue. Le case , i campi , ogni avere di 

questi lo donò tutto ai complici suoi nel preparargli la 

corona , riservando per sè l’ oro e 1’ argento , e quanto 

altro è base della tirannide. Ma li doni più numerosi e 

più grandi li profuse tra gli assassini dei loro padroni ; 

i quali chiesero perfino in moglie le donne e le figlie 

de’ padroni medesimi. 


IX. Quantunque però niente avesse in principio cu- 

rata la stirpe virile degli uccisi , alfine si accinse a ster- 

minarla tutta in un giorno , sia che per un qualche 

oracolo , sia che per computi verisimili concludesse che 

perpetuava con questa a sestesso uno spavento non pic- 

colo. Ma perciocché vivamente nel distoglievano quelli (i) 

presso a’, quali dimoravano i figli e le madri , egli vo- 

lando concedere loro* un tal dono, gli assolvè, sebbene 

contro sua voglia , dalla morte. Per cautelarsi però da 

loro sicché congiurandosi non .insorgessero contro il suo 

regno ; comandò che uscissero tutti dalla città chi verso 

r uno e chi verso l’ altro luogo : e vivessero per le 



(i) I Saidliti del tiraoDu alli quali egli stesso le area mariiate. 



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33o DELLE Antichità’ romane 


campagne senza istruzione e coltura , propria di liberi 

giovinetti , con pascer le greggi o con altri campestri 

esercizi , minacciando di morte chiunque di loro in città 

fosse preso. Cosi quelli , abbandonati I patri > so- 

steneansi come schiavi per le campagne, servendo agli 

uccisori medesimi de’ padri loro. E perchè niente) pi& 

ci avesse di virile o di generoso prese ad effeminare 

colle Istituzioni sue tutta la gioventù Cumana , toglien- 

dole I ginnasi e gli esercizi militai , e variandone le 

maniere già consuete del vivere. Volle che I giovani 

come le donzelle nudrisser la chioma , e bionda la ri- 

ducessero e ricciasserla , e ricciata di reti lievi la cii^ 

condassero ; e portassero toghe talari e ricamate , e 

clamidi sottili e molli , vivendosi all’ ombra. Donne , 

educatrici loro , li accompagnavano, recando parasoli e 

ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti 

musiche dissolutezze: ed esse li lavavano , esse porta- 

vano ai bagni i pettini , e gli alabastri con gli unguenti, 

e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani fino 

ai venti anni, concedendo allora che passasser tra gli 

uomini. Ma egli che avea cosi vituperato e danneggiato 

i Cumani , egli che non avea risparmiato loro nè im- 

pudenze , nè sevizie , egli alfine già vecchio , quando 

si credea sicuro nella tirannide , Sterminato con tutti, i 

suoi , ne pagò le giustissime pene ai Numi ed agli uo- 

mini. 


X. I prodi che insorgendo liberarono la patria dalla 

tirannia di lui furono i figli de’ cittadini uccisi : quelli 

che egli avea risoluto in principio di trucidare tutti in 

nn giorno, ma che poi risparmiò, come ho detto, vinto 



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LIBRO VII. 33 1 


dalle istanze de’ satelliti suoi , maritati da lui colle ma- 

dri loro, comandando che abitassero per le campagne. 

Pochi anni appresso viaggiando egli pel contado e ve- 

dendoli già adulti e molti e floridi ; temè che non n 

congiurassero ed assalisserlo : e macchinò di prevenirli 

ed ucciderli tutti prima che niuno se ne avvedesse. 

Adunque consultandosene • cogli amici , deliberava con 

essi le maniere sollecite e piane ma occultamente, onde 

spegnerli. Sepperlo que’ giovinetti per indizio forse di 

alcuno che ne era consapevole, e, forse mossi da con» 

getture probabili , fuggironsi ai monti , dando di piglio 

ai fèrri degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto 

loro i fuorusciti Cumani rifugiati in Capua , tra’ quali 

erano i più cospicui , e seguiti in gran parte dagli ospiti 

loro Campani , i figli d’ Ippomedonte , di quello che 

nella guerra Tirrena avea comandato la cavalleria. Essi 

armati recavano a’ compagni le armi con una truppa 

non picciola di amici e di mercenarj della Campania. 

Alfine riunitisi scorrevano e turbavano predando i campi 

nemici , ritoglievano gli schiavi dai padroni , ed ogni 

altro qualunque dalle carceri , e gli armavano , e quanto 

, non poteano trasportare o menar seco lo davano alle 

fiamme , o alla mòrte. Ansio dubitava il tiranno come 

avesse a combatterli , perchè nè sapeasi quando impren» 

derebbero , nè teneansi fermi sempre in luoghi mede- 

simi , ma regolavano le loro incursioni o colla notte fino 

all’ aurora , o col giorno fino alla notte. Avendo più 

volte spedito milizie ma' indarno a guardia delle cani» 

pagne , a lui ne venne un tale degli esuli malconcio di 

battiture , spedito ad arte da essi quasi un disertore. 



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33a DELLE antichità’ romane 

Costui chiedendo la impunità promise al tiranno di 

guidare 1’ armata che manderebbe con lui , nel luogo 

appunto ove quelli sarebbero nella notte imminente. In- 

dotto il tiranno a credergli perchè non chiedea verun 

premio , e porgea sestesso in ostaggio , spedi li suoi 

duci più fidi , seguiti da molli cavalieri e da’ mercenari , 

con ordine di conduire a lui , legati almeno , i più , 

se non tutti quegli esuli. Il disertore eh’ erasi a ciò 

posto menò tutta la notte 1’ armata a disagi gravissimi 

per vie non trite e per boschi , in parti le più lontane 

dalla città. 


XL Come i ribelli e l profughi posti per le insidie 

intorno all’ Averno , monte vicino alla città , conobbero 

pe’segnali dati dagli esploratori che l’armata del tiranno 

era uscita, mandarono circa sessanta i più arditi di loro che 

cinti da irte pelli portavano fi)sci di sarmehti. Or que- 

sti nell’ ora , quando accendonsi i lumi , chi per l’ una 

e chi per 1’ altra parte entrarono, quasi opera) , la città 

senza essere conosciuti; ed entrali cavarono da’ sarmenti 

le spade che vi occultavano , e si raccolsero tulli ad un 

luogo. Donde marciando in schiera alle porte che me- 

nano all’Averuo, ne uccisero i custodi che dormivano, 

e spalancatele , v’ introdussero tutti i loro che v’ eran 

già prossimi, nè per tanto il fatto ^ ravvisa vasi ancora. 

Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa, 

ond’ è che tutti oziavano per tutto in città tra le be- 

vande ed altri diletti. Or ciò diè loro gran sicurezza di 

trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del ti- 

ranno : e nemineu qui trovando nelle entrate molti , nè 

.vigilanti , ve gli uccisero senza stento , oppressi dal sonno 





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LIBRO VII. 333 


o dai vino : ed internatisi in folla trucidarono nell’ abi- 

tazione , quasi una greggia, tutti gli altri, ornai pei vino 

non più arbitri de’ corpi nè degli animi loro. Or qni 

preso Aristodemo , i figli , e tutti i parenti , e battutili 

gran parte della notte , e torturatili , e devastatili con 

ogni male , gli uccisero finalmente. Cosi sterminando 

dalle radici quella stirpe di tiranni fino a non lasciarvi 

non fanciulli , non donne , non consanguineo ninno ; e 

rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a fondar la 

tirannide ; andarono , nato il giorno , nel F oro , e con* 

Tocatovi il popolo , e depostevi le arme , renderono la 

patria a scstessa. 


XII. Or questo Aristodemo nel quartodecimo anno 

della sua tirannide in Cuma , questo vulcano gii esuli 

compagni di Tarquinio cbe giudicasse tra loro e la pa- 

tria. Ripugnarono alcun tempo i deputati de’ Romani , 

come quelli cbe nè erano a tal fine venuti, nè avevano 

dal Senato i poteri per difendere ivi Roma. Non pro- 

fittando però niente , anzi vedendo quel despota pro- 

pendere in contrario per le brighe , e per le istanze 

degli esuli ; chiesero un tempo per le difese , e deposi- 

tarono una somma per garanzia di eseguirle essi stessi. 

Ma poi nel correre di questo tempo, quando niuno più 

vegliava su loro , fuggirono , ritenendosi il tiranno gli 

schiavi , li giumenti , e li danari che aveano portalo per 

comperare de’ viveri. Tali furono gl’ incontri di queste 

legazioni , e così riuscì loro di tornarsene in patria seb- 

bene senza l’ intento. Ma la legazione spedita neU’Etru- 

ria comperatovi miglio e farro lo trasportò su barche 

fluviali a Roma , e Roma ne fu nudrita sebbene per 




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t' 


334 bELLE Antichità’ romane 

poco ; fiocbè consumatili , ricadde ne’ disagi medesimi. 

Non erari genere di alimenti a cui non si rivolgesse. 

Dond’è che non pochi tra la scarsezza, e la inconve- ' 

nienza de’ cibi non soliti , s’ avean male nella persona , 

o diventavano a tutto impotenti , non soccorsi nella pcv- 

vertà. Come ciò seppero i Yolsci domati di fresco, s’ isti- 

garono con vicendevoli occulti messaggi a riprender le 

armi , quasi fosse impossibile che i Eomaui resistessero 

bersagliali dalla guerra e dalla fame. Ma i numi propiz) 

che vegliavano perchè non rimanessero in preda a’ ne- 

mici , ne dimostrarono allora più chiaramente la prote- 

zione. Di repente si mise tra^Volsci una tal pestilenza, 

quanta non leggesi mai stata in Greche o barbare terre, 

disfacendoli promiscuamente di ogni età, di ogni fortu- 

na , di ogni temperamento , validi o invalidi. Mostrò 

soprattutto gli eccessi del, male Yelletri, città insigne, 

de’ Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste appena 

ne rispailniò la decima parte , investendovi e consu- 

mandovene le altre. Ond’ è che i superstiti a tanto in- 

fortunio , mandati ambasciadori , e dichiarata a' Romani 

la loro solitudine , sottomisero fa città. E siccome aveano 

prima ricevuto de’ coloni da essi ; ne chiedeano di pre- 

sente ancor altri. 


XIII. Impietoùrono, sapendoli , ai loro mali i Ro- 

mani ; nè pensarono che si avessero a premere come 

nemici fra tanta sciagura , dacché pagavano agl’ Iddj le 

pene per ciò che voleano fare su Roma. Piacque loro 

, di riammetter Yelletri, e spedirvi numero non picciolo 

di coloni presagendone sommi vantaggi. Parea che il 

posto , se presidiavasi acconciamente , sarebbe ostacolo 



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LIBRO VII. 335 


grande e ritardo a chiunqae si voleva rimescolare e 

sommoversi. E concepivasi che la penuria di Roma non 

poco si scemerebbe se una parte notabile di popolo al- 

trove si trasferisse. Inducevali soprattutto a spedire una 

colonia la sedizione che vi si riproduceva , non essen- 

dovi ancora sopita in tutto la prima. Imperocché il po- 

polo discordava un altra volta come per addietro , e ne 

odiava i Patrizj : e molta era 1’ amarezza dei discorsi 

co' quali accusavano la poca cura, e la scioperatezza di 

essi perchè non aveano a tempo preveduta nè riparata 

la penuria futura , dicendo alcuni perfino che ad arte 

aveano procurato la caresua per astio e desiderio di af- 

fliggerne il popolo in memoria della ribellione. Per tali 

riguardi sollecitissima fu la spedizione della colonia , de* 

slinativi dal Senato tre condottieri. Da principio udiva 

il popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni, 

perchè sarebbe cosi levato dalla fame , e perchè vive- 

rebbe in terra felice : ma poiché rifletté che la peste ge* 

aeratasi nella città che gli avrebbe a ricevere aveva di- 

strutto i suoi cittadini , e temè che in tal modo ancora 

maltratterebbe i coloni, variò poco a poco di sentimento. 

Tantoché non molò , anzi meno assai che il Senato ne 

permetteva , esibironsi per la colonia : e questi bentosto 

ne furon pentiti come sconsigliati, e scansavano di usci- 

re. Da tale vincolo erano trattenuti questi e quanti al- 

tri non più si acconciavano ad andare. Ma dertretato 

avendo il Senato che la colonia si ricavasse dal com- 

plesso di tutti i Romani secondo le sorti , e stabilendo 

dure ed irreparabili pene per chi ricusava ; alfine fu per 

tale necessità condotto il numero conveniente in iVelle- 



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336 DELLE antichità’ ROMANE 


tri. Noo raoUi giorni appresso un’ altra colonia fu tra> 


sferita in Norba, città non ignobile dei Latini -(i). 


XrV. Non però segui da ciò ninna delle cose con~ 

gbietturate da’ patrizj secondo la speranza di spegnere- 

le discordie. Imperocché la plebe rimasta intrisi più an- 

cora, vociferando con assai clamore contro de’ padri 

nelle adunanze prima di pochi , indi di molti , per la 

fame divenuta gravissima; e concorrendo al Foro vol- 

geasi lamentosa ai tribuni suoi perchè 1’ aiutassero. Or 

tenendo questi adunanza , fattosi innanzi Spurio Icilio 

allora capo di essi perorò lungamente contro de’ padri 

aumentandone quanto potè la malvolenza. Egli istigò 

pur altri a dire pubblicamente ciocché sentivano , e prin- 

cipalmente Siccinio e Bruto allora edili , invitandoveli a 

nome, appunto come capi già del popolo nella prima 

sedizione , ed inventori , anzi magistrati la prima volta 

della podestà tribunizia. Presentatisi dissero anch’essi, 

udendoli il popolo vogliosissimamente , malignissime cose 

già da molto tempo premeditate , come se la carestia 

fosse procurata per malizia de’ ricchi , perchè il popolo- 

avea loro malgrado , ricuperata colla sedizione la libertà. 

Dissero che i ricchi non aveano pur la miaima parte 

del disagio dei poveri : molta essere la loro non curanza 

de’ mali , perchè aveano cibi occulti e danari onde com- 

perarli se introducevansi , laddove i plebei mancavano di 

ognuna di queste due cose: protestarono che mandare 

i coloni a’ luoghi contagiosi , era un avviarli a rovina 

visibile e funestissima, aggravando quanto più poteana 


(i) A tempo di Plinio era nn ammasso di rovine. Restava circa 

sei miglia lontana da Segni a- measogiomo. 



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LIBRO VII. 



337 



con parole il male. Chiedeano qual sarebbe il fine a 

tante sciagure , e richiamavano loro in memoria gli an> 

tichi Hagelli , ond’ erano stati malmenati da’ ricchi ; ag> 

giungendo ancora iinpuuissimamenie cose consimili. Da 

ultimo Bruto la Gni minacciando , dicendo cioè , che se 

secondavano , egli necessiterebbe quanto prima a spe- 

gner r incendio quelli stessi che eccitato Taveano. E così 

r adunanza fu sciolta. 


XV. Intimoriti i consoli su tali innovazioni , e solle- 

citi che le adulazioni di Bruto verso del popolo iiou 

terminassero in grandi sciagure , intimarono nel prossi- 

mo giorno il Senato. Ivi si fecero discorsi molti e varj 

da essi , come dagli altri seniori. Pensavano alcuni che 

si dovesse blaudire i plebei con ogni dolcezza di parole 

e promessa di opere , e renderne i capi più moderali 

con esporre lo stato delle cose , e convocarli e consul- 

tare insieme il bene comune : io opposito altri consiglia- 

vano che non cedessero , uè si abbassassero verso del 

popolo : essere la moltitudine, imperita , e caparbia : in- 

solente , incredibile 1’ ardore dei capi che 1’ adulano : 

facessero piuttosto costare che non ci avea ne’ patrizj 

colpa ninna , c promettessero ovviare , quanto potè vasi , 

al male. Redarguissero e miuacciassero di pene conde- 

gne i sommovitori dei [K>polo , se nou si chetavano. .\p- 

pio era il primo in tal sentimento , e prevalse in mezzo 

alle grandi opposizioni de’ padri. Tanto che il popolo 

turbalo all’ udirne tanto da lungi i clamori accorse alla 

curia , e tutta la città fu sospesa nella espeltazione. Dopo 

ciò li consoli usciti adunarono il popolo , restandovi breve 



DlOXlGi t Zumo 21. 



aa 



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338 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 


parte del giorno , e tentarono di esporgli i voleri del 

Senato. Contraddissero i tribuni , nè già fu vicendevole 

nè ordinato il colloquio. Gridavano, interrompevansi ; 

tanto che non era facile agli astanti distinguere i loro 

pensieri , e ciò che volessero. 


XVI. Diceano i consoli cb’essi come di autorità pre- 

mineute doveano comandare in tutto alla città ; laddove 

i tribuni replicavano che i consoli avean dritto in Se- 

nato , ma su le adunanze del popolo i tribuni : questi 

aver tutto il potere su quanto si dee discutere e sen- 

tenziare da’ voti del popolo. Prendea parte , vociferava 

per essi la moltitudine , pronta ad assalire se bisognava, 

chiunque ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano , e 

davan animo ai consoli , circondandoli. Vivissima era la 

contesa per non cedere gli uni agli altri ; quasi allora 

appunto si cedessero i diritti una volta per sempre. Già 

il sole era per tramontare , e tuttavia concorrea dalle 

case nuovo popolo al Foro: e se la notte non li tron- 

cava, forse i dissidj* finivano a colpi , ancora di pietre. 

Bruto perchè ciò non seguisse , fecesi innanzi , e chiese 

ai consoli di parlare ; promettendo di sedare il tumulto. 

Concederono questi che parlasse , parendo loro che si 

deferisse ai consoli mentre quel capipopolo ciò chiedeva 

da essi , presenti i trihuui. Fatto silenzio , Bruto senza 

dir altro interrogò li consoli di tal modo: Ki ricordale 

voi che lasciando noi le divisioni, ci accordavate per^ 

diritto che quando i tribuni adunassero sotto qualun- 

que fine il popolo , i patrizj nè intervenissero all’ a- 

dunanza , nè la turbassero ? Ce ne ricordiamo , disse 

Geganio. E Bruto ripigliò : qual male aveste voi dun- 



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LIBRO VII. 




'qué da noi che c impedite , nè permettete che i tri- 

buni dicano ciocché vogliono? E Geganio rispose: per- 

chè non voi , ma noi consoli avevamo chiamato il 

popolo a parlamento. Se fosse stalo invitalo da voi, 

non V impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brighe- 

remmo in ciò che si tratta : ora essendo da noi con- 

vocalo , non v' impediamo che Jdvelliale ; ma che noi 

ne siamo impediti , ciò non è giusto. Allora Bruto , 

abbiamo vinto , disse, o popolo: concedesi a noi dagli 

awersarj q> anlo chiedes’amo : ora desistete , chetatevi, 

ritiratevi : domani promettevi dichiarare quanta forza 

V abbiale. E voi tribuni cedete ad essi di presente 

nel Foro : non sempre già qui cederete qiumdo ab- 

biate compreso ( e presto lo comprenderete , io pro- 

metto chiarirvene ) il potere del vostro magislialo. 

Abbasserete cotanta loro preminenza : e se troverete 

che io V abbia deluso , fate ciocché vi piace di me. 


XVII. E uiuno più contraddicendo, ritiravausi tutti 

dall’ adunanza : non però gli uni e gli altri con pari 

divisaniento. Credeano i poveri che avesse Bruto ideato 

qualche nobile impresa , e che non indarno la promet' 

lesse : ma i patrizj trascuravano la leggerezza di lui , 

pensando che T audacia delle promesse non andasse più 

in lò delle parole; non essendo conceduta dal Senato 

ai tribuni altra autorità che di proteggere il popolo , se 

non facevasi ad esso ragione. Non però la cosa parca 

spregevole a tutti , specialmente ai seniori , ma che do- 

vesse attendersi che la manìa di un tal uomo non ge- 

nerasse mali insanabili. Bruto la notte appresso svelato il 

parer suo fra i tribuni , e raccolta una massa non tenue 



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34 o DELLE Antichità’ romane 


di popolo , ne andò di conserva nel Foro : e prima clie 

si facesse di chiaro, occupato il tempio di Vulcano 

donde eglino soleano concionare , invitarono il popolo 

a parlamento. Empiutosi il Foro di un concorso, quale 

mai più V* era stato , presentasi Icilio il tribuno, e par- 

lavi luughissimamente contro de’padri. Egli commemora 

quanto han latto in danno del popolo , e come nel 

giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare con- 

tro i poteri ancora della sua dignità. E qui disse : e di 

che altro tarem più padroni se noi siam di parlare ? 

Come potremo soccorrere voi se ojffesi , quando ci si 

toglie la libertà di adunarvi ? Son le parole i preludj 

delle operazioni : nè ignorasi che quelli che non pos- 

sono dir ciocché pensano , nemmen possono far cioc- 

ché vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la potestà 

che ci deste , se non volete mantenercela inviolabile; 

o proibite con legge che alcuno più ci si opponga. A 

tal dire provocavalo il popolo che egli stendesse la leg- 

ge : e siccome teneala già scritta , la lesse. £ , dispen- 

sati i voti , fe’ che il popolo immantinente ne decidesse ; 

parendogli non esser questo un affare da esitarne , o 

differirlo , perchè non avesse altri inciampi dai consoli. 

La legge era questa : Concionando un tribuno al po- 

polo , niuno aringhi in contrario , nè interrompalo : e 

se alcwio contravvenga , dia mallevadori ai tribuni di 

pagare , chiamatone in giudizio , la multa che gl im- 

porranno : e non dandoli, egli sia punito di morte, 

li beni di lui sien sacri , e tutte le controversie su 

tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata coi 

voli la legge dimisero 1’ adunanza : ed il popolo si ri- 



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LIBRO VII, 341 


tì rò , tatto di bu on anirno , e pieno di riconoscenza per 

Bruto , come per 1’ autore della legge. 


XVIII. Dopo ciò li tribuni ripugnavano ai consoli 

molto , e su molte cose : nè il popolo ratificava i de- 

creti del Senato , nè il Senato approvava decisione niuna 

della plebe. Cosi teneansi contrapposti e sospetti. Non 

però r odio loro , come avviene in simili turbolenze , 

procedette a danni irreparabili. Imperoccbè nè i poveri 

investirono mai le case de’ ricchi ove concepivano che 

troverebhon de’ cibi riservali ; nè mai si lanciarono su pa- 

lesi merci per involarle : ma pazienti comperavano a gran 

costo il poco , e sostcneansi di radici e di erbe se pe- 

nuriavan di argento. Nè mai li ricchi per dominare soli 

nella città violentarono colla forza propria, o de’ clienti, 

(eh’ era pur molta) la classe indigente, esiliandone o 

trucidandone ; ma conduceansi come padri savissimi in- 

verso de’ figli , con cuore sempre benevolo e premuroso 

tra le lor delinquenze. Or tale essendo lo stato di Roma, 

le città vicine invitavano qual più volealo de’ Romani tt 

traslatarsi nel seno di esse , allettandoli con dar loro la 

cittadinanza , ed altre propizie speranze : ma le une in- 

vitavano mosse dai bei genj per benevolenza e pietà nei 

mali altrui , le altre (ed eran le più !) per invidia della 

prosperità passata della repubblica. E furono ben molli 

quei che partirono con tutte le famiglie, e posero al- 

trove il soggiorno : ma taluni di questi , riordinato lo 

stato , ripatrìarono , e tal’ altri mai più. 


XIX. Or ciò vedendo i consoli parve loro , per voler 

del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati, 

e porre in campo un esercito. Prendeano occasione spe- 



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342 DELLE antichità’ ROMANE 


ciosa a tanto dall’ essere la campagna tante volte dan- 

neggiata dalle scorrerie , e saccheggi de’ nemici ; calco- 

lando ancora i beni che nascerebbero dall’ inviare un 

esercito di là da’ confìni : mentre quei che restavano 

avrebbero , come diminuiti , le vettovaglie in più copia: 

e gli altri colle arme vivrebbero io siti più abbondanti 

a spese dell’ inimico , e la sedizion tacerebbe , almen 

quanto si tenesse in piedi l’armata. Tanto più poi sem- 

brava che resùiuirebbcsi la calma tra patrizj e plebei , 

quanto che dovrebbei'o militare insieme , e partecipare 

i beni e i mali a fronte de’ pericoli. Non però la mol- 

titudine ubbidiva , nè si presentava spontanea , come al- 

tre volte , per essere iscritta. Non vollero i consoli foi^ 

zare secondo le leggi i renitenti : ma alcuni patrizj s’iscris- 

sero volontarj co' loro clienti , congiungendosi ad essi 

che uscivano , anche picciola parte di popolo per mili- 

tare. Era duce di quest’ esercito quel Caio Marcio , il 

quale espugnò la città de’ Coriolani , e riportò la co- 

rona dei forti nella pugna cogli Anziati. Or vedendo 

lui per capitano , i più de’ plebei che aveano piglialo 

le anni vi si confermarono , altri per benevolenza , 

altri per la speranza di esserne diretti a buon fine. 

Imperocché famosissimo egli era quest’ uomo , e gran- 

de il terrore sparso di lui fra nemici. Si avvanzò 

tal esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi ^ 

e di bestiami in copia , senza dirne il mollo grano che 

era ne’ campi ; tornandone indi a non molto ricchissimo 

fatto di viveri : tanto che quei che s’ eran rimasti, eran 

mesti e dolenti verso de’ tribuni, pe’ quali sembravano 

privi di un tanto bene : cosi Geganio e Miuucio consoli 



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LIBRO VII. 343 


di queir anno trovatisi in tempeste varie e grandi , e 

più volte in pericolo di rovinar la cilli, non operarono 

nulla con troppa efficacia : pur salvarono la repubblica 

più savj che prosperi nell* uso delle circostanze. 


XX. Marco Minucio Augurino, ed Aulo Sempronio 

Atraiino eletti consoli dopo loro , presero per la se- 

conda volta quel grado (i). Non imperiti nell’arme, e 

nel dire , empierono con assai provvidenza la città di 

grano e di ogni maniera di viveri , come si ristringesse 

all’ abbondanza la concordia del popolo. Non però po- 

terono ottenere 1' uno e 1’ altro bene ; ma venne colla 

sazietà pur l’orgoglio in quelli eh’ eran saziati. E quando 

meno pareva , allora fu su Roma il pericolo maggiore 

che mai per addietro. I commìssarj spediti pe’ grani , 

comperatone negli emporj entro terra o sul mare , lo 

aveano già trasportato a' pubblici serbato)'. Quand’ ecco 

i negozianti pure di viveri ne condussero d’ ogn’ intorno 

in Roma : e Roma comperando a pubbliche spese i lor 

carichi , li custodiva. Vennero i primi i commissarj spe- 

diti in Sicilia , Geganio e Valerio con piene assai bar- 

che ; portavano in esse cinquanta mila moggia siciliane 

di grano , metà procacciato a lievissimo costo , e metà 

regalato e mandato a spese sue dal tiranno. Nunziatosi 

in città 1’ arrivo delle navi portatrici de’ grani siciliani ; 

discussero i patrizj longamente come avesse a dispor- 

sene. I più moderati e popolari fra loro , considerata la 

pubblica calamità , consigliavano che il grano donato dal 

re si donasse ancora a tutti del popolo , e che 1’ altro 


(i) Anni iti Roma 263 seconda Catone , 265 secondo Varone , e 

469 avanti Cristo. 



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344 tìet.le Antichità’ hotmane 

comperato coll’ erario , si vendesse loro a picciol mer- 

cato , ricordando clie per tali beneficenze principalmente 

si ammansano gli onimi de’ poveri verso de’ ricchi. Per 

r opposito i più arroganti fra loro , ed amici del co- 

mando dei pochi , sentenziavano che aveasi con tutto 

r ardore e l’ ingegno a deprimere il popolo, ed eccita- 

vano a non fargliene se non carissima la vendita , per- 

chè la necessità li rendesse per innanzi più savj e più 

conformi alle leggi. 


XXL Fra questi amici del comando de’ pochi era pur 

quel Marcio , chiamato Coriolano , uè già dicea come 

gli altri in occulto e con riguardo i proprj sentimenti , 

ma di proposito , e con ardore , sicché molti del popolo 

lo udirono. Avea costui non che le cause comuni con- 

tro del popolo, motivi privati e recenti onde parer di 

odiarlo meritamente. Cercando esso ne’ comizj ultimi il 

consolato , il popolo se. gli oppose, ad onta de’ padri 

che lo sostenevano , nè permise che lo conseguisse ; per- 

chè sospettava che un tal uomo colla chiarezza ed ar- 

dire suo prendesse ad abbattere il tribunato ; e tanto più 

ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a lui , 

come a niun altro mai per addietro. Inbammato costui 

dalla ingiuria , e macchinando riordinar la repubblica su 

le antiche maniere , adoperavasi , come ho detto , pale- 

semente , incitandovi pur gli altri, aU’annientamento del 

popolo. Lui cingeva un seguito di molti nobili e ric- 

chissimi giovani , e per lui stavano molti clienti , pro- 

speratine già nella guerra. Esaltato da questi , andavano 

fastoso, e minaccievole , e fra tutti chiarissimo; non 

però ne ebbe termine fortunato. Adunatosi pe’ casi pre-; 



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LIBT \0 VII. 345 


senti il Senato e proponendo , com’ è costume , il pro- 

prio parere prima li seniori , tra quali non molti con* 

trariarono manifestamente la plebe ; alfine ridottasi la 

disputa ai giovani , egli chiese da’ consoli il poter dire 

ciocché voleva : e tra ’l favor grande , e la grande atten- 

zione di tutti cosi contro del popolo ragionò. 


XXII. Che U popolo non siasi ribellato per neces- 

sitA e per disagi , ma sollevalo dalla rea speranza di 

abbattere il comando de' pochi , e farsi egli stesso 

l’ arbitro del comune ; credo ornai che lo abbiate o 

padri compreso voi tutti , considerando la inconten- 

tabilità sua nel pacificarcisi. Non era il solo disegno 

suo di violare la fede de' contratti, e di abolire le leggi 

che la garantivano , senza passare più oltre. Esso per 

levare il magistrato de' consoli , ne fondava un altro 

nuovo , c lo rendeva sacrosanto ed immune per legge, 

ed ora, e voi non vel conoscete, lo ha con un ple- 

biscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E 

per certo , quando gC incaricati di un tal magistrato 

col pretestare i bei titoli di proteggci'e i plebei mal- 

menati opereranno con esso e disporranno come a lor 

piace , quando niuno , non uomo privato , non pub- 

blico , potrà impedirne gli abusi per timor della legge 

la qual toglie anche il dire non che il fare , minac- 

ciando la morte a chi pur lascia fuggirsi una libera 

voce in contrario ; dite , e qual altro nome dee met- 

tere allora chi ha senno a tal magistrato se non quello 

di ciò che è veramente , e che voi tutti confesserete , 

quello cioè di una tirannide ? Siasi un solo che tiran- 

tt^ggia , siasi il popolo tutto , e qual divario ? quando 



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346 DELLE Antichità’ romane 

uno appunto è l’operar di ambedue? Era ottimissima 

cosa non lasciare mai che il seme s’ introducesse di 

un simil potere y e soffrir prima tutto, come il valo- 

rosissimo jéppio voleva, antivedendone da lauto tempo 

le ree conseguenze. Ma giacché ciò non si fece , ora 

almeno sradichiamolo , gettiamolo dalla città mentre 

è debole ancora, e facile da superarlo. Certo voi non 

siete , o padri coscritti , nè i primi , nè i soli a’ quali 

tocchi ciò fare ; quando molti già tante volte deviando 

dalle buone risoluzioni su di affari gravissimi ; e rav- 

voltisi in necessità sconsigliate , tentarono estinguere 

il mal già cresciuto , se impedito nel nascere non lo 

avcano. E quantunque la penitenza di chi lardi fa 

senno sia da meno della previdenza ; tuttavia sott’ al- 

tro rispetto apparisce non inferiore , rmnullando V er- 

rar già commesso coll’ impedir che si termini. 


XXIII. Se alcuni di voi han per gravi le opera- 

zioni del popolo , se pensano doversi lui prevenire 

sicché più non esorbiti, ma vien loro la verecondia di 

parere i primi a rompere i patti e li giuramenti; sap- 

piano , che se fan ciò, saranno incolpabili innanzi 

gl’ Iddj , e compiran la giustizia col? utile proprio ; 

giacché non eomincian essi /’ oltraggio ma lo respin- 

gono , non tolgon essi i patti , ma chi prima li tolse 

puniscono. E grandissimo argomento siavi che non 

voi cominciate a rompere i patti, non voi l’alleanza, 

ma il popolo il quale non più soffre le leggi colle 

quali ottenne il ritorno. Non chiese già egli i tribuni 

per danneggiare il Senato ; ma per non essere dan- 

neggiato. Eppure or ne usa non per ciò che lo dee^ 





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LIBnO VII. 347 


nè per ciò che fu crealo , ma per turbare e confon- 

dere lo stalo della repubblica. Ben vi ricorda dell ul- 

tima adunanza , e delle cose dettevi dot tribuni , e 

quanta euroganza e quale disordine vi dimostrassero. 

Ed ora , niente più savj , quanto fasto non menano 

al vedere , che tutta la forza della città sta ne’ voti , 

e ne’ voti ci vincon essi , tanto maggiori di numero ? 

Se dunque han essi incomincialo a frangere i patti e 

le leggi; che dobbiamo noi fare se non rispinger la 

ingiuria p se non ripigliarci giustamente ciocché ingiu- 

stamente ci han tolto ? e frena' tante lor pretensioni 

ognora più grandi? e ringraziare gl Iddj che non han 

permesso che essi coll acquisto del primo potere di- 

venissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal 

vituperio e briga per la quale voi di necessità tentaste ri- 

cuperare il perduto, e custodir ciocché resta, come si dee? 


XXIV. Se volete riavervi; non altra occasione mai 

fia così buona, quanto la presente. Ora la più parte 

di essi è vinta dalla fame , e /’ altra non potrà resi- 

stere lungamente per l indigenza , se abbia i viveri 

scarsi e cari. Li più rei , quelli non mai propensi al 

comando de’ pochi , ridurransi a lasciarci, ma gli altri 

più miti diverranno ancora più docili , nè mai più vi 

turberanno. Custodite dunque , non iscemate di prezzo 

i viveri, e fate che vendansi il più caro che mai. Voi 

ne avete oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella 

ingratitudine di un popolo che mormora , quasi ab- 

biate voi prodotta la carestia , nata dalla ribellione 

loro , e dal guasto che diedero alle campagne, levan- 

done e trasportandone ciocché vollero come da terre 



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348 niìLLE antichità’ romane 

nemiclie , e nelle spese dell’ erario per la spedizione 

de’ commissarj in cerca di viveri , e nelle tante altre 

ingiurie , onde foste oltraggiali. Conoscansi fin da ora 

quali sono i mali co’ quali ci afliggeranno , se non 

facciamo tutto a piacere del popolo, come i capi loro 

dicono per atterrirci. Se vi lasciate fuggir di mano 

questa occasione ; ne sospirerete le mille volte una 

simile. E se il popolo sappia una volta che voi mac- 

chinavate di abbattere tanta sua forza , ma ne desi-, 

steste ; tanto più vi si renderà gravoso , tenendovi nei 

vostri voleri come nemici, e come impotenti ne’vostri 

timori. 


XXV. Si divisero a tal dire di Marcio i pareri , e 

molto si romoreggiò nel Senato. Imperocché quelli che 

da principio contrariavan la plebe , e ne ammisero mal- 

grado loro la pace , tra quali erano i giovani , quasi 

tutti , e li più ricchi e più riguardevoli de’ seniori ; 

esasperandosi della impudenza di essa , encomiavan que- 

st’ uomo come generoso , come amico della patria , e 

che parlava il ben del comune. Ma quelli che propen- 

deano , come prima , verso del popolo , nè stimavano 

le ricchezze oltre il dovere , nè credevano cosa alcuna 

necessaria quanto la pace, eransi corucciati a tal dire, 

non che vi aderissero. Volevano che si vincessero i po- 

veri colle dolci , non colla violenza : essere la dolcezza 

una cosa non solo conveniente ma necessaria ; prin- 

cipalmente per la benevolenza verso de’ eittadini : e 

chiamavano que’suoi consigli non libertà di detti, e di 

opere ; ma delirj : nondimeno questo partito , come pic- 

ciolo e debole , era sopraffatto dall’ altro più forte. Oi! 



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LIBRO VII. 349 


dò vedendo i tribuni ( eran questi presenti , invitati in 

Sonato da’ consoli ) gridarono e fremerono , chiamando 

Marcio peste e rovina della città ; come lui cbe usciva 

in discorsi si rei contro del popolo. E se i patrizj non 

lo frenavano coll’ esilio o con la morte , mentre svegliava 

in Roma una guerra civile , essi , diceano , che lo pu- 

nirebbero. Or qui nato un tumulto ancora più vivo pei 

discorsi dei tribuni , principalmente dal cauto dei gio- 

vani cbe mal sopportavano quelle minacce ; Marcio ani- 

matone parlò più veemente ancora e più risoluto. Io , 

diceva, io se voi non la finite di far qui turbolenza, e 

di sommovere i poveri; io da ora innanzi mi farò can- 

tra voi non colle parole , ma colle opere. 


XXYI. Or qui riscaldatosi più ancora il Senato, i tri- 

buni vedendo che più erano quelli che volevano richia- 

mare , che serbare i poteri conceduti alla plebe , fug- 

girono dal Senato gridando , e protestando gl’ Iddj , vin non 

fate voi parer vere le calunnie che di voi si spar^ 

gono ? e che savj sono pel pubblico , quanti consi- 

gliano che non pià crescer si lasci questa vostra po- 

tenza violatrice delle leggi ? A me così par certa- 

mente. Afa se vorrete far cose , contrarie a quelle 

delle quali vi accusano , moderatevi , ve ne consiglio : 

ricevete a cor placido , e non con ira , i discorsi dai 

quali siete investiti. F’oi se così fate, ne parrete uo- 

mini dabbene , e coloro che vi odiano , ne saran/w 

pentiti. 


XXXII^ Avendovi cojè noi fatto ragione amplis- 

sima come pensiamo , non siate , ve n esortiamo , 

indegni di voi. Folendovi noi implacidire non esa- 

sperare ; miti , umane furono le opere colle quali vi 

abbiamo trottato : io dico , per tacere le antiche , 

quelle fattevi di recente pel vostro ritorno. Certa- 

mente sarebbe pur giusto che voi vi ricordaste di 

queste ; mentre noi vorremmo dimenticarcene. Tuttavia 

la necessità ci stringe a ricordarvele per chiedervi in 

contraccambio di tanti e grandi benefizj che noi già 

concedevamo alle istanze vostre , che nè si uccida , 

nè bandiscasi Un uomo amantissimo della patria , e 

nobilissimo infra tutti nella guerra. Non poca sarebbe 

la perdita , voi lo vedete , se Roma fosse privata di 

tanta virtà. Egli è giusto che mitighiate lo sdegno 

verso lui , risgiiardando almeno quanti ne salvò di 

voi nella guerra , e ripetendone le belle sue gesta , 

non perseguitandone lé vane parole. Niente vi hanno 

i detti nociuto di lui, ma moltissimo i fatti vi gio- 



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356 DELLE Antichità’ r ROMANE 


varvno. ' Che se pur siete inflessibili in suo riguarda, 

donatelo almeno a noi, donatelo al Senato che vel 

chiede : rendete una volta la stabile calma, e la sua 

unità primitiva alla patria. E se voi non vi piegherete 

alle nostre persuasive ; riflettete che neppur noi ce- 

deremo alle vostre violenze. Così il popolo messone 

a prova o sarà cagione a tutti di amicizia sincera e 

di beni maggiori; o nuovo principio di una guerra 

civile , e di gravissimi mali. 


XXXIII. I tribaoi , avendo Minuzio cosi perorato , 

consideratane la moderazion del dire , e come la plebe 

era mossa dalia dolcezza delle sue promesse , ne furono 

sdegnati e dolenti , e soprattutti Cajo Sicinio Belluto , 

quegli che avea suscitato i poveri a ribellarsi da’ patrizj 

ed erane stato nominato capitano , 6nchè fìiron su Tar- 

mi. Nemicissimo degli ottimati, era perciò stato portato 

a grande chiarezza da’ cittadini. Ora creato per la se- 

conda volta tribuno giudicava che a ninno giovasse 

men che a lui che la città fosse appieno concorde, e 

ripigliasse la forma antica. Imperocché vedeva che se 

governavano gli ottimati, egli nato e cresciuto ignobile , 

senza luce alcuna d’ imprese in pace o in guerra , non 

avrebbe più gli onori , nè la influenza medesima ; anzi 

che correrebbe pericoli estremi , come sommovitore dei 

popolo , ed autore di tanti suoi mali. Fissato adunque 

ciocché avrebbe a dire e fare , e consultatosene co’ tri- 

buni compagni , poiché li ebbe unanimi , sorse , e la- 

mentata brevemente la disgrazia del popolo, lodò li 

consoli perchè degnati si fossero di rendere ragione ai 

plebei , senza spregiarne la loro bassezza : e d'sse che 



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LIBRO VII. 




rìngraziava i patrizj ancora , perchè nasceva finaluaente 

in' essi la cura della salate de' poveri ; e che molto più 

egli ciò contesterebbe 'a nome di tutti i colleghi, quando 

darebbero pur le operc> simili ai hitti. 


XXXIV. Cosi proemiando , e parendone anzi sedato, 

e propenso alla pace , si volse a Marcio presente ai con- 

soli V e disse i E tu o valentuomo niente ti difendi coi 

tuoi cittadini su quanto hai detto in Senato ? Chè 

non supplichi piuttosto , e ne plachi lo sdegno , sic*’ 

chò miti sieno nel sentenziartene ? Già non 'vorrei 

che tu negassi un tale tuo fallo , avendolo tarili ve* 

dolo ; nè che , tu Marcio , tu pià altero in cor tuo 

che un privato , ti volgessi ad invereconde difese. 

Sarà parato non indegno ai consoli ed ai patrizj di 

aringare essi in tuo bene , nè parrà per te degno 

che tu lo facci su te stesso? Or ■cosi parlava -costui ; 

ben conoscendo che quel generoso non soffrirebbe mai 

di essere T accusator di sestesso , e chiedere come col- 

pevole la esenzion della pena , nè mai contro l’ indole 

sua ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche: ma 

che o ricuserebbe fare ogni difesa ; o facendola coll’ in- 

nato ardimento suo , niente tempererebbe nè il popolo , 

nè il dire. E cosi fu ; perchè taciutisi , e presi i plebei, 

quasi tutti , da bel desiderio di liberarlo , purché- egli 

ne &vorisse la occasione , manifestò tanta insolenza e 

dispregio per essi ; che nè , presentatosi, negò le parole 

da lui dette in Senato , nè come pentitone , si diede ad 

impietosirli e placarli: ma fin sul principio non li volle, 

come privi di autorità competente per giudici di cosa 

ninna , pronto per altro a sottomettersi , com* era la 



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358 DELLE antichità’ ROMANE 

legge , al tribunolc de’ consoli , se alcuno volesse ac> 

cusarvelo , e cbiederoe soddisfazione pe’deui, o per le, 

opere. Diceva eh’ egli era, colà venuto , giacché vel chia- 

marono , parte per riprendere le loro prevaricazioni , e 

la incoutentabiUlà j manifeslala aemprepiù nella separa- 

zione y e dopo il riiomo ; e parte per consigliarli, per 

fiammata , soffiandovi , 1’ ira del popolo , concluse l’ao 

cosa , che il tribunato ne sentenziava la morte , per 

r oltraggio fìtto agli edili , che egli percosse e respinse, 

mentre per ordin suo lo arrestavano il di precedente: 

non finire che su chi gC incarica, gli oltraggi de’ mi- 

nistri, E così dicendo ordinò che portassero Marcio al* 

l’altura che sovrasta sul Foro. È questa un dirupo ro> 

vinoso e vasto donde solcano precipitare i rei condan* 

nati alla morte. Corsero gli edili per prenderlo: ma 

dato un altissimo strido , si levarono conira loro in 

folla i patrizj , e quindi contro de’ patrizj il popolo : e 

molto era in arabe le parti il disordine , molto lo in* 

giuriarsi. Io spingersi, Tassalirsi. Se non che gli autori 

di un tanto moto furouo rattenuti e necessitati a mo- 

derarsi dai consoli i quali , cacciatisi in mezzo, coman* 

darono ai littori di rimover la turba. Tanta era allora 

negli uomini la riverenza per quel magistrato, e tanto 

il pregio deir autorità suprema ! Intanto Sicinio non piò 

saldo , ma perturbato , e timoroso di ridurre i partiti a 

respingere forza con forza , non volendo lasciare , nè 

potendo continuare la impresa una volta tentata , era 

pensierosissimo su >ciò che fosse da fare. 


XXX VL Or lui vedendo in tanti dubbj Lucio Gin* 

nio Bruto , quel capipopolo che ideò le condizioni della 

concordia , uomo acuto specialmente in trovare , ove 

mancano, gli espedienti, venne, e solo con solo, sug- 

gerì che non si ostinasse in una disputa ardente , 



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3Go DELLE Antichità’ romane 


nè legittima : mirasse tutti i patrizj irritati , e tutti 

pronti alle armi se vi fossero invitati dai consoli , 

ma dubbiosa la parte migliore del popolo , nè ben 

animata a permettere senza previo giudizio la morte 

dell' uomo più. insigne di Roma : cedesse per allora , 

egli così consigliava; badasse a non combattere i 

consoli per non eccitare mali manieri : piuttosto in- 

dicesse a un tal uomo , fissandone un tempo qua- 

lunque , di perorar la sua causa , i cittadini votas- 

sero per tribù su lui: e ciò sen facesse che la plu- 

ralità de’ voti dichiarerebbe. Non competere che ai 

tiranni la violenza che ora minacciavasi , facendosi 

il tribuno accusatore in un tempo e giudice ed arbi- 

tro della pena : ma in una repubblica doversi agli 

accusati le difese come voglion le leggi , ed il gastigo 

secondo il voto dei più. Cedette Sicioio a tale consi- 

glio non trovandone altri migliori , e fattosi innanzi 

disse : Foi vedete o plebei V entusiasmo de’ patrizj 

per la violenza e le stragi : vedete come tengon voi 

tutti da meno che un solo caparbio che oltra^a una 

intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo 

e corriamo alla nostra rovina, cominciando o respin- 

gendo una guerra. Ma perciocché alcuni di loto al- 

legano , come onorevol pretesto , la legge la qual non 

permette che uccidasi un cittadino ' senza previo giu- 

dizio , ed allegandola ci tolgono d infliger le pene ; 

diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne’ nostri di- 

sagi abbiamo noi mai sofferto nè cose giuste , 

nè secondo le leggi da essi. Dimostriamoci anzi probi 

colle clementi maniere , che del numero de’ vostri of- 



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Linno VII. 



36 1 


Jénsori colla violenza. Ritiratevi ; aspettate , nè già 

sarà molto , il tempo avvenire. Noi preparando in^ 

tanto le cose che importano , fisseremo a codest’ uomo 

un tempo perchè si difenda , e non eseguiremo se 

non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i 

suffragi secondo la legge , votatene allora la pena 

che merita. E ciò basti su questo proposito : Che poi 

giustissima facciasi la compra e la distribuzione dèi 

grani , noi vi provvederemo , se questi (\) ed il Se- 

nato non vi provvedono. E ciò detto disciolse i' adu- 

nanza. 


XXXVII. Dopo questo evento i consoli convocando 

il Senato considerarono posatamente come dar fine alla 

discordia presente. Sembrò loro primieramente che do- 

vessero cattivarsi il popolo con vendergli i viveri a pic- 

ciolo e fàcil mercato , e poi persuadere i lor capi a che- 

tarsi in grazia dei Senato , nè astringere più Marcio al 

giudizio , e temporeggiare in fine lunghissimamente , se 

non lasciassero persuadersi , finché l’ ira del popolo si 

diminnissc. Ciò decretato portarono e proclamarono al 

popolo tra pubblici applausi l’ editto su i viveri cosi 

concepito che : sarebbero i prezzi de' generi necessari 

al vitto quotidiano , tenuissimi come innanzi la sedi- 

zione. Poi col molto insistere presso de’ tribuni ebbero 

per Marcio dilazion quanta vollero, se non piena asso- 

luzione. Anzi essi stessi gli procacciarono altro indugio , 

valendosi di questa occasione. Gli anziati , spedita una 

banda di pirati , aveano predato non lu ngi dal lido , 


(i) I CoDsvii. 



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36a DELLE antichità’ romane 

mentre tornavano in casa , le navi e i deputati del re 

di Sicilia , che aveano recalo i grani in dono ai Ro- 

mani , e volgendone ogni cosa come di nemici ad olile 

proprio , ne teneano in carcere le persone. I consoli , 

ciò saputo , spedirono agli Anziati : ma non potendone 

per ambasciadori ottener la giustizia , decisero marciare 

colle armi su loro. Adunque fatto il ruolo di tutti gl’ie- 

gli ninna delle cose ordinate dalle leggi su de’ giudizj. 

Pareva ai consoli , deliberatisi col Senato, che non fosse 

da permettere che il popolo s’ impadronisse di un tanto 

potere. Or si diè loro un titolo giusto e legittimo d’im- 

pedirneli ; e credeano, usandolo, di renderne vani lutti 

i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i capi 



« 



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LIBRO VII. 363 


del popolo. Congregitisi cou quanti erauo gli opportuni 

per essi , Minucio disse : Tribuni , ci è piaciuto decre- 

tare che bandiscasi la sedizione da Jloma con tutte 

le forze , nè più nudrasi contesa ninna col popqlo ; 

vedendo voi principalmente che tornavate dalla vio- 

lenza alla giustizia ed alla ragione. Or noi lodando 

voi di questo proposito , abbiamo reputato che il Se- 

nato , come è patria usanza, vi precedesse co’ suoi 

decreti. E potete contestare voi stessi che dalP ora 

che i nosU'i avi fondarono Roma , il Senato che la 

ebbe , ritenne sempre questa precedenza : e che il 

popolo senza la previa risoluzione idi lui mai nò giu- 

dicò , nè votò non solo in questi tempi, ma nemmeno 

in quelli dei re. Tanto che li re non rimettevano al 

popolo , se non le cose decise in Senato , e così le 

confermavano. Non vogliate dunque levarci questo di- 

ritto , nè abolire tal bella istituzione primitiva. Preanv- 

monile il Senato, se avete il bisogtto di cose mode- 

rate e giuste , e quello che il Senato ne avrà giudi- 

cato , quello notificate al popolo , e ne decida. 


XXXIX. Cosi discorrendola i consoli , Sicinio mal 

sopportavali , nò volea render aibitro di cosa ninna il 

Senato. Ma gli altri , eguali a lui di potere , seguendo 

i suggerimenti di Lucio (i) consentirono che si facesse 

questo previo decreto. Imperoccbé ancor essi avevano 



(i)- Lucio Bruto: forte come pensa il Ccleoio , dee leggersi Decia 

in luogo di Imcìo, .Certamente in questi affari elibe parte anche De- 

ciò nominato prima e poi da Dionigi: vedi I. fi, § 8S. Bruto aveva, 

tt vero il pronome di Lucio ; Ma Dion'gi nou lo ha mai contratte* 

guato ancora col solo pronome. 



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364 r)ELLr* antichità’ romane 

falla ( nè i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ; 

Che il Senato desse la parola anche ai tribuni, che 

sono i procuratori del popolo , come agli altri che 

volevano aringare favorendo, o contrariando; e che 

infine , dopo udite le discussioni di tutti , -allóra cia- 

scun padre porgesse il suo voto , premesso il giura- 

mento legittimo , come ne’ giudizj , e dichiarasse cioc- 

ché gli paresse il giusto e V utile della repubblica : 

e quello si tenesse per valido che i più. preferissero. 

Concedendo i tribuni che si decretasse come i consoli 

dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno appresso 

i padri in Senato , i consoli vi esposero le convenzioni: 

e quindi chiamando i tribuni gl’ invitarono a dire le 

cause per le quali venivano. £ qui fattosi innanzi Lu- 

cio , colui che avea condisceso che si facesse il previo 

decreto , disse : 


XL. Potete ravvisare o padri ciocché sia per suc- 

cedere , vuol dire che noi saremo accusati appresso 

il popolo dell’ essere qui venuti, e che V accusatore 

sarà quel nostro collega , per quel previo decreto che 

V abbiam conceduto. Pensava costui che -non doves- 

simo noi chiedere da voi quello che ci attribuiscon le 

leggi , nè prendere per benefizio quanto avevamo per 

diritto. Chiamali in giudizio correremo in rischio non 

tenue , che condannati , abbiamo a soffrire bruttissi- 

mamente come chi diserta , e tradisce. Ma quantun- 

que ciò sapessimo ; noi siamo qui venuti , superiori 

a noi stessi j confidando su la rettitudine della cau- 

sa , e mirando ai giuramenti secondo i quali voi do- ' 

'vete dirigere le vostre sentenze. Noi tenui siamo , e 



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LIBRO VII. 365 


disacconci pià assai che non conviene , a parlar di 

tali cose, che piccole certamente non sono. Porgeteci 

non pertanto udienza y e se queste vi parranno giuste 

ed utili , e vi a^iungo , necessarie ancora pel conw 

ne , vogliate spontaneamente concedercele. 


> XLI. Primieramente dirò sul diritto. Quando o se- 

natori cacciaste i monarchi avendo noi compagni nel- 

r opera, e fondaste il governo nel quale ora siamo, 

ed il quale noi non riproviamo , voi vedendo i plebei 

aggravati ne’ giudizj se mai li facevano ( e molti scn 

facevano ) co’ patrizj , emanaste per suggerimento di 

Publio Valerio consolo una le^e per la quale per- 

mettevasi a tutti i plebei sowerchiati da quelli di ap- 

pellare al popolo : e per niun altra, quanto per que- 

sta legge , procacciaste la concordia di Soma , e re- 

spingeste i re che vi tornavano in seno. Jn forza di 

questa l^ge citiamo codesto Caio Marcio dinanzi al 

popolo , e gli prescriviamo che risponda su cose nelle 

quali tutti ci diciamo da lui sowerchiati ed offesi. 

Nè su questo abbisognavi previo decreto del Senato. 

Imperocché voi siete gli arbitri di deliberare i primi, 

ed il popolo di confermare co’ voti quello su cui le 

le^i non pollano ; ma dove ci han le leggi , sono 

immobili , e debbono osservarsi , quantunque niente 

ora voi , perchè si osservino , decretaste. Già non 

dirà ninno che in caso di aggravio ne’ giudizj un 

privato appelli validamente al popolo , nè valida- 

mente v’ appellino i tribuni. E forti per tale conces- 

sion della legge , veniamo qui , non senza pericolo , 

ad esser sotto voi giudici. Pel diritto della natura , 



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366 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE 

diritto che non è scritto , nè introdotto come le altra 

leggi , noi vogliamo che il popolo non sia nè da pià 

nè da meno di voi : mentre con questo diritto ha con 

voi sostenute molte e grandissime guerre, e mostrato 

ardore vivissimo per compierle , contribuendo non 

poco perchè Roma le desse , non ricevesse da alwi 

le leggi. Or voi farete che noi non siamo da meno 

che voi se frenerete col terror di un giudizio chiun- 

que attenta contro le nostre persone e la libertà. Pen- 

siamo che i magistrati , le precedenze , gli onori deb- 

bansi compartire ai primi e pià virtuosi tra voi : ma 

pensiamo pure ben giusto che essendo tutti sotto un 

governo , tutti dobbiamo ugualmente e senza riserva 

o non essere offesi ^ o riceverne pari soddisfazione. 

Come dunque a voi concediamo que’ gradi sublimi e 

luminosi, così non vogliamo esser privi dei diritti 

eguali e comuni. Ma sebbene potrebbero aggiungersi 

le mille cose , bastino le dette fin qui sul diritto. 


XLII. Or quanto sian utili queste cose, quanto il 

popolo le apprezzi se faccianst , lasciate che io bre- 

vemente ve lo esponga. Su dunque : se alcuno vi di- 

mandi qual pensiate il pià grande de’ mali, quale la 

cagioH pià pìonta della roiàna delle città ; non di~ 

reste che sia questa la dissensione? certo che sì. Or 

chi è si stolido , chi sì fatto a rovescio , chi ■ sì ne“ 

mico della eguaglianza , il qual non veda, che se 

concedasi al popola di giudicare le cause che gli 

spettano , avrem la concordia ; ma se gli si neghi , 

leverete a noi per fino la libertà ( chè la libertà si 

toglie , a chi le leggi si tolgono e li giudizj ), e ci 



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LIBRO VII. 



367 



ridurrete ad insorgere nuovamente , e combattervi ? 

Certo che nelle città dalle quali si escludono i giu- 

dizj e le leggi , la discordia soUentra e la guerra. 

Chi non si è trovato in guerre civili non è meraviglia 

che per la inesperienza non senta ribrezzo de mah 

antecedenti , nò precluda i futuri. Ma quelli , che 

caduti come voi tra pericoli estremi , felicemente se 

ne liberarono , sgombrando i mali come permetlevasi 

dalle circostanze ; quelli , io dico , se vi ricadono , 

qual mai scusa aver possono sufficiente e decorosa ? 

Chi non condannerebbe la stoltezza e delirio vostro 

grandissimo , considerando che voi li quali per non 

avere la plebe discorde vi piegaste , non ha gìiari t 

a tante concessioni , forse non tutte convenevoli ed 

utili , ora vogliate in discordia tornarvela , tutto che 

non siate offesi negli averi , nelf onore , o in altre 

pubbliche cose , e solo per favorir chi la odia ? Se 

non che voi ciò non farete se savj. Con piacere io 

V interrogherei quali concetti erano i vostri quando 

ci concedevate il ritorno colle condizioni che chietle- 

vamo. Ne apprendevate voi forse ragionando un be- 

ne ? o fu necessità che vi ridusse a cedere ? Se ne 

apprendevate il bene di Roma , e perchè ora non vi 

ci attenete ? se fu necessità , se impossibilità di es- 

sere diversamente , or che vi dolete del fatto ? Biso- 

gnava , se pur tanto potevate , non cedere forse da 

principio ; ma ceduto avendo una volta , non dovete 

più rimproverarvene. 


XLIIL A me sembra o padri che voi seguiste il 

vostro migliore nel paci/icarvici : ma se fu necessità 



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368 DELLE ANTICHTTa’ ROMANE 

di scendere a condizioni; ella è pure necessità man- 

tenercele. Voi gV Iddj chiamaste vindici degli accor- 

di , imprecando molte e terribili pene a chiunque li 

violava di voi o de nipoti in perpetuo. Ora io non 

Pedo perchè dobbiamo tediare pih a lungo voi che 

tanto bene il sapete , con dire che giuste ed utili 

sono le nostre dimande , e molta la necessità che vi 

astringe a corrisponderle , se memori siete de Mura- 

menti. Voi capite , o piuttosto ( giacché io non dico 

cosa che voi non sappiate ) voi tenete presente che 

rileva per noi non poco il non desistere dalla impresa 

per violenza o per inganno, e che un fortissimo sti- 

molo ci ha qui condotti , offesi gravemente , e pià 

che gravemente , da quest’ uomo. Date dunque su 

quanto ho detto il vostro voto , ma, dandolo , consi- 

derate qual sarebbe il vostro animo verso quel ple- 

beo , se alcuno pur ve ne fosse , il quale tentasse 

dire o fare centra voi nelle adunanze , ciò che qui 

codesto Marcio ha pur tentato di dire. 


XLIV. Le convenzioni della pace sacrosante al 

Senato , quelle che munite più -che con vincoli ada- 

mantini j ninno di voi , per averle giureUe , nè de’ vo- 

stri discendenti può sciogliere , finché Roma fia Ro- 

ma ; quelle ha il primo codesto Marcio tentato di 

rovesciarle , non essendo nemmen quattro anni che si 

conclusero , e tentato ha di rovesciarle non col silen- 

zio , non da oscurissimo luogo , ma qui , pubblicissi- 

mamente , al cospetto di voi tutti', sentenziando, che 

non dovea più lasciarsi , ma ritogliersi a noi la po- 

destà tribunizia, che è la primaria ed unica difesa 



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LIBRO VII. 369 


della libertà , e col mezzo della quale potemmo ri^ 

congiungersi. Nè qui C ardinsento finì del suo dire , 

ina vi consigliava a ritorcela ; divulgando come una 

ingiuria la libertà dei poveri , e tirannide nominando 

r uguaglianza. Risovvengavi ( era questa la più infame 

delle istanze sue ) com’ egli disse allora , che era pur 

venuto il tempo di ricordar tutte le ingiurie del po- 

polo nella prima discordia , e come esortava quindi 

a mantenere la stessa penuria di viveri , giacché il 

popolo , logoro dai disagf diuturni si ridurrebbe a 

cedere in tutto ai patrizj. Non resisterebbero i poveri 

gran tempo comperando a carissimo prezzo cibi scar-^ 

sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la cUtà, 

e parte rimanendovi, perirebbero infelicissimamerUe, 

E così delirava , così era in ira ogF Iddj ciò persua~ 

dandovi; che non discerneva che oltre i tanti mali 

co* quali travagliavasi per annientare i trattati del Se- 

nato , quando avrebbe ridotto i poveri i quali eran 

pur tanti , alle angustie de* viveri , questi poveri ap- 

punto farebbonsi addosso agli autori delle angustie, 

non più tenendoli per amici. Tanto che se voi pur 

delirando approvavate il suo parere; non restava più 

mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo , 

o de* patrizj. Imperocché non ci saremmo già dati 

quasi schiavi a spatriare o morire : ma chiamando i 

genj ed i numi in testimonio de' mòli che soffriva- 

mo ; avremmo riempiute , ben lo intendete , le piazze, 

e le vie di ukdergogne ; sin che tu abbi un altra difesa qua^ 

Itlnque; scendi da quel tuo enlusiatmo orgoglioso e 

tirannico , toma , o sciaurato , ai concetti del popolo : 

renditi simile agli altri', prendi come chi ha peccato 

e raccomandasi , un abito dismesso , addolorcvole * 

conforme ai disastri , e cerca il tuo scampo ; umilian- 

doti, non insolentendo dinanzi gli oltraggiali da te. 

Sianti esempio di bella moderazione^ le opere , le 

quali se tu avessi ùnitalo , non saresti ora ripreso dai 

tuoi cittadini , io dico, quelle di tanti buoni , quanti 

qui ne vedi, segnalati per tante virtù militari e ci- 

vili, quante non sarebbe facile nemmeno in grati 

tempo pen.orrere. Li quali quantunque grandi e ris- 

spettabili ; niente mai fecero di duro , niente di or^ 

goglioso contro noi si tenui e bassi , e primi intromiì- 

sero discorsi di pace , primi la pace offerirono , quando 

la sorte ci avea separati, e concedcron la pace non 

su le condizioni che essi riputavan migliori, ma su 

quelle che noi chiedevamo ; dandosi infine premura 

grandissima di levcu'e i disgusti recenti su la dispenstt 

de' grani per la quale noi gli accusavamo. 


XLVI. Ma tralasciando le altre cose , quali ptc*- 

ghiere non fecero per te , nel tuo superno acceca- 

mento , presso tutti , e presso ciascuno del popolo per 

involarti alla pena? Appresso i consoli ed il Settato, 

i> quali invigilano su questa , tanto grande città , cre- 

deron bene che al giudizio ti sottomettessi del pò- 

polo , nè tu o Marcio a bene lo tieni ? Questi tutti 

non han per un biasimo il pregare per tuo scampo 

il popolo , e tu per biasimo tei prenderai? JVè ciò li 




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372 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE 


bastava , o magnanimo ; ma quasi fatta una belV o» 

pera , ne vai con fronte altera e magmfìcandoti , e 

niente adoperandoti a mansuefarli? per non dire che 

insulti , che rimproveri , che minacci la plebe. E pre- 

tendendo lui quanto niuno di voi ; non vi sdegnerete , 

o Padri , a tanto orgoglio ? Se voi tutti risolveste di 

accingervi ad una guerra per esso ; egli dovrebbe 

amarvene , e tenersi tutto pronto per voi, non accet- 

tar però mai un tal bene privato col danno comune, 

ma sottomettersi alle difese , alla sentenza , a tutte 

infine le pene , se bisognasse. Questo- sarebbe l’ ob- 

bligo di un vero cittadino , di uno che vuole il bene 

colle opere , non colle parole. Ma le violenze pre- 

senti qual ne additano mai C indole sua , quale la 

inclinazione ? quella appunto di violare i giuramenti , 

di tradire la fede, di rescinder gli accordi, di far 

guerra al popolo , di oltraggiare le persone dei ma- 

gistrati , di non sottometter la propria per niuna mai 

di queste cause , e di girarsela franchissimamente, non 

come un eguale di tanti cittadini, ma come uno che 

niun teme , e di niuno abbisogna , immunissimo in 

tutto da tribunali e discolpe. Or non è questo un vi- 

vere alla tirannica? certo che jì / Eppure a conforto 

di quest’ uomo spargono aure lievi e suoni dolci, al- 

cuni tra voi che pieni di odio implacabile verso del 

popolo non san vedere che questo male si termina 

anzi contro de’ nobili che degl’ ignobili , e credonsi 

affatto sicuri, sol che deprimano il partito che è loro 

contrario per natura. Ma non così sta il vero , ingan- 

nati che siete. Prendete a maestra la esperienza che 



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LIBRO VII, 373 


Marcio stesso vi somministra , prendetene il corso dei 

tempi: illuminatevi per gli esempj stranieri insieme 

e domestici.^ e ravvisale , che la tirannia la qual nu- 

dtesi contro i plebei , contro tutta la città si alimene 

ta: e che la tirannia che ora contea noi s’ incornine 

eia , fortificatasi , contea tutti ruggirà. 


XLVII. Ragionate queste cose da Oecio , e supplite 

da’ triboni compagni quelle che mancar vi sembravano , 

quando il Senato nè dovè sentenziare , levaronsi i primi 

in piedi i seniori tra gii uomini consolari , inviati se- 

condo r ordjne consueto dai consoli , e quindi via via 

gli altri men riguardevoli per queste qualità : seguirono 

ultimi i giovani , ma non disser parola ; perocché ci 

avea di que’ giorni ancora tra’ Romani la verecondia , 

che niun giovane si arrogava saperne più degli anziani. 

Pertanto accostaronsi essi alle sentenze de’consolarì. Erasi 

preordinato che i senatori presenti giurassero prima , 

come ne’ tribunali , e poi dessero il voto. Appio Clau- 

dio il patrizio , come ho detto , più acerbo col popolo, 

e che mai non aveva approvato che si concordasse con 

esso, mal soffriva che ora si facesse un pari decreto, 

e disse : 


XLVIII. Avi'ei veramente voluto , e più voltf ne 

ho supplicato i numi , essermi sbagliato io circa il 

sentimento su la pace col popolo , vede a dire che il 

ritorno de’ fi frusciti non era nè giusto , nè decoroso , 

nè utile; tanto che quante volte sen prese a trattare^ 

tante io primo ed ultimo mi vi opposi , anche abbona 

donalo da tutti. Anzi avrei voluto o padri , che voi 

li quali per le speranze concepute del meglio , cora-^ 



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3-y4 delle Antichità.* boriane 

(UscendesCe ed popolo sul giusto e su t ingiusto , He 

compariste ora più savi di me. Hiuscitevi però le cose, 

non come io desiderava , anche pregando_ne i numi , 

ma come io prevedeva , e cangialevisi le beneficente 

in vilipendio ed odio ; io lascerò , come estraneo a 

ciò che dee farsi , di riprendervi e di contristarvi in 

vano per le vostre mancanze , quantunque sarebbe 

pur facile , ed è pur questo f uso dei più. Dirò piut- 

tosto ciò che può rettificare le cose passate , quelle 

almeno che non sono in tutto insanabili, e renderci 

più savj circa le presenti. Quantunque non ignoro , 

che dicendo io liberamente i miei sentimenti , parrò 

farneticare e sagrifìearmi , ad alcuni di voi , li quali 

considerino quanto sia disastroso il parlar francamente, 

e riflettano la calamità di Mcuxio, il quale non per 

altra cagione ora corre perìcolo della vita. Ma io non 

penso che la cura della propria salvezza sia da pre- 

giarsi più che il pubblico bene. Già questa mia per- 

sona è tutta pe’ vostri pericoli , tutta pe' cimenti della 

patria ; tanto che gl’ incontrerò generosissimamenle , 

come piace agl’ Iddj , con tutti voi , o con pochi ^ e 

solo ancora , se bisogna. Nè finché io vivo , mai mi 

terrà la paura dal dire quello che io penso. 


XLIX. E primieramente io voglio elte vi persua- 

diate una volta senza eccezioni che il popolo è ma- 

laffetto , e nemico al governo presente f e che qua- 

lunque cosa gli avete , coma deboli , corueduta , £ avete 

spesa vanissimamente , e vi è stala cagione di vilipen- 

dio , quasi conceduta £ abbiate per forza , non a ra- 

gion veduta , c per beneplacito. Considerate come il 



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LIBRO VII. 3^5 


popolo si appartò da voi , pigliando le armi , e come 

ardi mostrarvìsi palesissimamente per inimico , non 

o^eso da voi realmente , ma fingendosi offeso : per- 

chè non polca corrispondere a suoi creditori, e di- 

cendo , che se decreten ate la remissione dei debiti, e 

la condonazione delle colpe commesse per la sedi- 

zione , non desidererebbe più oltre. 1 più di voi, non 

però tutti , sedotti da vani consiglieri ( cosi /atto mai 

non lo avessero ! ) deliberarono di anntdUire le leggi, 

mallevadrici della fede pubblica , nè più ricordane , 

nè perseguitare l’ esorbitanze passate. Egli però non 

si tenne già contento di questa concessione , pel solo 

bisogno della quale diceva di essersi ribellato ; ma 

ben tosto pretese altra prerogativa più grande, e meno 

legittima : io dico quella di eleggersi ogni anno dal- 

t ordin suo i tribuni , pretestando il troppo nostro 

potere, peichè fossero scudo e rf i^io d poveri oltrag- 

giati ed oppressi, ma in realtà tendendo insidie alio 

stato delta repubblica , e volendola ridurre democra- 

tica. Adunque vi persuasero questi consiglieri a la- 

sciare che entrasse in repubblica il tr ibunato ; come 

in fatti vi entrò per isciagura comune , e princìfxd- 

mente in onta del Senato , mentre io , se bene ve 

ne ricorda , tanto ne schiamazzava , protestando ai 

numi ed agli uomini , che introdurreste tra voi una 

guerra interna ed implacabile , e presagendovi tutti i 

mali, quanti ve ne avvengono. 


L. E questo buon popolo che vi ha egli fatto dopo 

che gli avole conceduto il tribunato? Non ha già va- 

luta’o degnamente tanto dono , anzi nemmeno da voi 



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DELLE Antichità.’ romane 



10 prese con prudenza , e con verecondia , come so 

glie lo abbiate accordato , premuti e costernali dalle 

forze di lui. Ha detto che aveasi a rendere sacro , 

inviolabile, sicuro pe giuramenti , ed ha pretesa un 

autorità migliore che rwn quella da voi destinata pei 

consoli. E voi avete tollerato ancor questo, e là tra 

le vittime giuravate la roidna di voi e de’ vostri di-- 

scendenti. E dopo questo ancora che vi ha fatto egli 

mai questo popolo ? In luogo di riconoscervene ,  

dolora per le altrui sciagure, e sa compatire gli uomini 

costituiti in dignità, se la sorte loro travolgasi. Tuttavia 

diresse a Marcio la maggior parte del discorso mista di 

ammonimenti , di esortazioni , e di preghiere che face- 

vano violenza. E giacché egli era la causa . della discor- 

danza del popolo dal Senato , e calunniavasi come ti- 

rannica la esuberanza delle sue maniere, e temeasi che 

per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gra- 

vissimi, quanti ne sorgono dalle guerre civili; pregavalo 

a non verificare , o non confermare almeno le incolpa- 

zioni e le paure con quel suo nou gradito contegno : 

assumesse un abito più umiliato : sottomettesse la sua 

persona per dar conto a quelli che chiamavausi oltrag- 

giati da lui : si presentasse alle difese contro di un ac- 

cusa ingiusta si , ma che in giudizio appunto si annul- 

lerebbe. Sarebbe un tal fare più sicuro per la salvezza, 

più splendido per la fama che desiderava , e più con- 

sentaneo colie opere antecedenti. Dichiarava che se 

ostinavasi anziché raddolcirsi , e se riduceva , persua- 

dendoli , i padri a subire ogni pericolo per òsso , mi- 

sera sarebbe per loro se vinti la perdita, ma turpissima 

se vincitori , la vittoria. E qui tutto davasi al pianto , 

riepilogando i mali gravi e non dubbj che straziano 

nelle discordie le città. 


LY. Tali cose esponendo con molte lagrime non 



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LIBBO VII. 385 


artificiose 'e noa finte , ina vere , egli venerabillstima 

per anni e per meriti , come videne commosso tutto il 

Senato , cosi con più confidenza seguitò , dicendo : Se 

alcuno di voi conturbasi , o padri , pensando che in- 

troducesi un tristo costume nel concedere al popolo 

di votar su patrizj , e che non produrrà niun bene 

f autorità de' tribuni che tanto si fortifica , sappiate 

che voi siete errici , e v ideate il contrario di quel 

che conviene Imperocché se mai vi sarà metodo sa- 

lutare , metodo per cui non si tolga né la libertà nè 

le forze a Romec, e per cui le si conservi in perpetuo 

la concordia ; senza dubbio il metodo principalissimo 

sarà quello che assumasi anche il popolo al goverrto, 

talché non sìa questo nè pretta oligarchia , nè demo- 

crazia, ma un tal misto di tutti. E questa la forma 

che più che tutte ne giovi ; perchè ciascuna delle al- 

tre , applicata sola , com* è per sestessa , scorre faci- 

lissimamente alle insolenze ed alle ingiustizie; laddove 

quando una forma si abbia ben contemperata da 

tutte , allora se una parte commovesi ed esce dal- 

r orditi suo , vien contenuta sempre dall altra, che è 

savia, e tiensi al dovere. La monarchia divenuta dura^ 

superba , tirannica , suole abbattersi da pochi valenti 

uomini : la oligarchia , qual voi t avete al presente , 

se troppo s' innalza per le ricchezze e per le ade- 

renze, nè più tien conto della giustizia e della virtùf 

si annienta da un popolo savio : un popolo savio e 

che vive secondo le leggi , se poi volgesi ai disordini 

ed alle ingiustizie; è sopraffatto dalle arme, e rimesso 

piomat , tamo II. ' . j5 



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386 DELLE antichità’ ROMANE 

in dovere dal pià forte. Voi trovaste, o padri, rimedj 

efficaci perchè il potere di un solo non si mutasse i n 

tirannide. Voi scegliendo in luogo di un solo due 

capi della repubblica , e dando loro il comando non 

per un tempo illimitato, ma per un anno; destinaste 

oltracciò per invigilarli i trecento patrizf, i più anziani 

e più grandi , da' quali è composto il Senato. Ma 

voi , per quanto si vede , non avete fin qui messo 

per voi niun che vi osservi , e tenga in dovere. CeT’~ 

tornente io finora non temei che vi corrompeste ancor 

voi tra t abbondanza , e la grandezza dei beni, per-- 

chè non è molto che avete liberato Roma da una 

vecchia tirannide ; nè aveste mai comodo di scapric- 

ciarvi e cC insolentire per le guerre continue e lunghe. 

Ma riflettendo io ciocché può succedere dopo voi , e 

quante mutazioni suol produrre la diuturnità dei 

tempi ; temo che i potenti del Senato si rimescolino, 

e riducano per occulte vie finalmente il governo in 

tirannide. 


LVI. Ma se comunicherete il comando col popolo, 

non sorgerà quindi alcun male. E se altri ( giacché 

tutto dee prevedersi da chi consulta su la repubblica) 

se altri tenti elevarsi più de’ colleghi e del Senato , 

procacciandosi un seguito di uomini pronti a congiu- 

rare e ad offendere ; costui citato dai tribuni al po- 

polo, per quanto egli sia grande e magnifico, renderà 

conto ai negletti ed ai poveri : e trovatosi reo , ne 

subirà le pene che merita. Ma perchè il popolo con 

tal potere non insolentisca nemmen esso , nè guidato 

da capi rei s’ inalberi contro de' buoni, tiranneggiando 



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•• ^ 




LIBRO VII. 



38 ^ 



( che nasce tmcìie nel popolo la tirannide ) ; lo invi- 

gilerà , nè pennellerà che ne abusi un uomo distin- 

tissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con 

potere assoluto, inappellabile , separerà dalla città la 

parte infetta di popolo, nè lascerà che la sana se ne 

corrompa. Egli , riordinati i costumi e le preclare 

maniere del vivere, nominati i magistrali, che giudica 

savissimi per la cura del pubblico , ed eseguili tali 

cose in sei mesi , rientri di bel nuovo nella classe 

de’ privati , conservando per sè t onore , e non più. 

Pertanto considercutdo vqì questo , e giudicando bo- 

nissima tal forma di repubblica , non vogliate da ciò 

che chiede escludere il popolo. Ala come avete attri- 

buito al popolo che scelga ogni anno i magistrali che 

regolino , che ratifichi o annulli le leggi , e decida 

della guerra e della pace, cose tutte rilevantissime e 

principali tra quante in uno stato sen facciano ; nè 

avete di niuna di esse lasciato cubitro indipendente 

il Senato ; cosi chiamale anche il popolo a parte dei 

giudizj , massimamente se alcuno sia accusato di of- 

fendere la stessa repubblica, eccitando sedizioni, pre- 

parando la tirannide, convenendosi co’ nemici di tra- 

dirci, e macchinando mali consimili. Imperocché quanto 

più renderete terribile agl indocili ed ai superbi la 

trasgression delle leggi , e le innovazioni di Stato , 

mostrando intenti su loro più occhi e più guardie ; 

tanto più la repubblica starà nel suo fiore. 


LVII, Dette queste e cose consimili , tacque. Con- 

vennero nel parere medesimo gli altri senatori sorti 

dopo lui , eccettuatine pochi. E standosene ornai per 



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388 DELLE Antichità’ romane 


formare il decreto ; chiese Marcio la parola e disse : 

Quale, o padri coscritti , io sia stato verso la repub^ 

blica , come io sia venuto in tanto pericolo per la 

benevolenza mia verso di voi , e come ora io ne sia 

da voi contraccambiato fuori della mia espettazione , 

voi tutti il vedete , e meglio lo intenderete ancora 

dopo dato un fine alle mie cose. Ed oh ! se come 

la sentenza di Valerio prevale ; così vi giovasse , ed 

io mi sbagliassi nelle mie congetture sul futuro. Al- 

meno però perchè voi che siete per emanare il de- 

creto , conosciate le cause p^r le quali mi consegniate 

al popolo , nè io ignori su che sarà combattuto nel- 

t adunanza di esso ; intimale ai tribuni che dicano 

alla presenza vostra la ingiustizia su la quale mi ac- 

cuseranno , e qual titolo diasi a questo giudizio. 


LVin. Egli cosi diceva , perchè congetturava che a* 

vrebbe a difendersi appunto pe’ discorsi fatti in Senato, 

e perchè voleva che i tribuni convenissero che su que» 

sto appunto verserebbe l’azione. Ma i tribuni consulta- 

tisi lo accusarono che brigato avesse la tirannide, e su. 

questa accusa chiedevano che venisse a difendersi. (Schivi 

di restringere 1’ accusa ad una sola causa , e questa nè 

valida nè cara ai Senato ; riserbavansi il potere di ac- 

cusarlo su quanto volevano > pensando che resterebbe 

così Marcio spogliato di tutto il soccorso del Senato ). 

Marcio dunque replicò: se io debbo essere giudicato 

su questa calunnia , mi sottometto ed giudizio del 

popolo , nò mi oppongo che ne stenda il Senato 'il 

decreto. Piaceva al più de’ padri che su ciò si rigi- 

rasse l’accusa e per due fini: perchè da indi in poi 



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LIBRO VII. 38q 


non più sarebbe un senatore incolpato per dire cioc> 

chè pensava nelle consultazioni ; e perché di leggieri 

quel valentuomo se ne purgherebbe, sobbriissimo altron« 

de , ed irreprensibile nella vita. F u dunque , secoudo 

ciò , steso il decreto pel giudizio : e dato a Marcio tem* 

po per preparar le difese da indi al terzo mercato. Te- 

nevasi allora , e tuttavia si tiene da’ Romani il mercato 

in ogni nono giorno. In questi adunandosi i plebei dalle 

campagne in città ; vi cambiavan le merci, e vi discu- 

tevano le liti private : e ricevendo i voti ; sentenziavano 

su le cause pubbliche , riservate loro dalle leggi , o dal 

Senato. Negli otto giorni intermedj a’ mercati viveansi 

nelle campagne , essendone i più di loro lavoratori e 

poveri. I tribuni preso il decreto, e recatisi al Foro, 

v’adunàrono il popolo : e lodatovi con ampj encomj il 

Senato , e lettavene la sentenza ; intimarono il giorno 

nel quale si finirebbe quella causa ; raccomandando a 

tutti d’ intervenire , perchè discuterebbono importantis- 

sime cose. 


LIX. Divulgato ciò ; vivissime furono le cure e i ma* 

neggi de’ plebei e de’ patrizj ; di quelli come per punire 

un arrogante , e di questi perchè non restasse all’ arbi- 

trio de’ loro avversar] il difensore del comando de’ po- 

chi. Pareva ad ambi che si mettessero in quella causa a 

pericolo i diritti tutti della vita e della libertà. Giunto 

il terzo mercato , si ridusse dalle campagne in città 

tanta moltitudine , quanta mai più per addietro , occu- 

pando infino dall’ alba il Foro. I tribuni la invitarono 

a riunirsi per tribù , separando con funi il sito dove 

ciascuna si alluogherebbe. L’ adunanza su quest’ uomo 



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3go DELLE Antichità’ komane 


fu la prima la quale votasse per tribù ( i ) , sebbene as- 

sai si opponessero i palrizj perchè ciò si facesse ; chie- 

dendo che si tenessero, com’era l’uso della patria, i 

comizj per centurie. Imperocché ne’ primi ten>pi se il 

popolo dovea votare su di una causa qualunque rimes- 

sagli dal Senato ; i consoli adunavano i comizj per cen- 

turie, compiendo prima i sagrifìzj legittimi , che in 

parte si compiono ancora. Il popolo ordinato come nei 

tempi di guerra sotto i centurioni e le insegne , adu- 

navasi nel campo di Marte posto innanzi della città. 

Quivi non prendevano e davano tatti insieme il lor 

voto ; ma ciascuno nella propria centuria , secondo che 

eran chiamate dai consoli. Ed essendo le centurie cento 

novanta tre , e dividendosi queste in sci classi , chiama- 

vasi innanzi tutte , e dava il suo voto la prima classe , 

la quale formata dei più riguardevoli per sostanze , e 

primi negli ordini militari , comprendeva diciotto cen- 

turie equestri , ed ottanta appiedi. Appressò votava 1’ al- 

tra classe la quale men comoda per sostanze , seconda 

nell’ ordine della battaglia , e men cospicua de' primi per 

armatura , formava venti centurie; aggiuntene ancor due 

di artefici , i quali apprestano legni e ierro , ed ogni 

altra macchina militare. Costituivano i chiamati nella 

terza classe venti centurie , inferiori tutte nell’ onore , 

nell’ ordine della battaglia , e nelle armi , non simili a 

quelle de’ precedenti. Gli altri chiamati appresso , rispet- 

tabili anche meno in pregio di sostanze e di armi , ma 

più sicuri di posto nella battaglia , divideausi ugualmente 


(i) Anni di Roma a63 secoado Catone, aR5 secondo Varrone , 

a 4^ ae- Cristo. 



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LIBRO VII- 391 


ia venti centurie ; alle quali se ne univano altre due y 

di suonatori di corni e di trombe. Qiiamavasi per quIn-i>. 4 t S'So j ù 

tratta la materia medesima. I soldati che qui si dicoDo immuni dai 

cataloghi militari, erano certameule liberi dalle coscrizioni: peral- 

tro potevano militare se volevano. 


(a) Nella prima classe ci aveano ottanta centnrie appiedi a diciotto a 

cavallo, ìu lutto novanlollo vedi loco citato. Le altre classi in tutto 

costituivano novantacinque centurie : perchè la seconda classe com- 

prendeva venlidua centurie: la terza venti: la quarta di nuovo ven* 

lidne : e la quinta trenta; risultaudo la sesta da una sola. 



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3q2 delle antichità’ romane 

bio da ricorrere al voto fioale de’ poveri. Era questo 

il refìigio estreirio , se mai le cento novantadue centu- 

rie scindeansi in parti eguali ; e ne preponderava la 

parte alla quale quell’ ultimo voto si volgeva. Chiedeano 

i difensori di Marcio che si adunassero i comizj ordinati 

secondo gli averi, immaginandosi forse che il valentuomo 

sarebbe liberato dalle novantotto centurie' della prima 

classe quando le chiamavano, o dalie altre almeno della 

seconda o della terza. Ma sospettando eziandio ciò li 

tribuni , conclusero che si avesse a riunire il popolo per 

tribù , e così renderlo giudice della contesa ; perchè nè 

i poveri ci avessero men potere dei ricchi , nè i soldati 

leggeri men di quelli di grave armatura , nè la molti- 

tudine , differita per 1’ ultima chiamata , fosse impedita 

a dare egnal voto. Divenuti tutti pari nell’ onore . e nel 

voto , avrebbero ad una sola chiamata dato i loro suf- 

fragi tribù. Or pareano i tribuni più giusti che gli 

altri , col pensare che il giudizio del popolo fosse ve- 

ramente del popolo , non della parte fautrice degli ot- 

timati ; e che su le offese di tutti , tutti dovessero sen- 

tenziare. 


LX. Conceduto ciò con stento da’ patrizj , essendosi 

ornai per disputare la causa , Minucio 1’ altro de' con- 

soli ascese il primo in ringhiera , e disse quanto eragli 

stato commesso dal Senato. E prima ricordò tutte le be- 

neficenze , quante il popolo ne avea ricevute da’ patri- 

zi : e poi chiese in contraccambio di queste , eh’ eran 

pur tante, che il popob concedesse una grazia, neces- 

saria ad essi che la domandavano , pel pubblico bene : 

quindi lodò la concordia e la pace e rilevò di quanti 



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LIBKO VII. 39.3 


beni Sten causa I’ una e T altra nelle citUi: condannò le 

sedizioni e le guerre intestine; e mostrò, che ne erano 

stale distrutte le città con gli abitanti , anzi le • intere 

nazioni : raccomandò che secondando l’ira non isceglies* 

sero il peggio per lo migliore: che provredessero il fu- 

turo con saviezza , non si valessero in consultazioni gra» 

vissime dèi consiglio de* cittadini più tristi , ma di quelli 

che tenean per bonissimi , da’ quali sapeano «sere stata 

tanto giovata in guerra ed in pace la patria , e de’ quali 

non era giusto che diffidassero, quasi avessero già mu- 

tato > natura. Era 1’ intento di tanti discorsi , che non 

dessero niun voto contro di Marcio , ma in vista prin- 

dpal mente di essi assolvessero quel valentuomo ; ricoi> 

dandosi quale egli era stato per la repubblica, quante 

guerre avea portato a buon termine per. la libertà e per 

r impèro di Roma , e come non farebbero cosa nè pia; 

nè giusta, nè degna di . loro, se ingrati alle opere segna- 

late di lui ne punissero le vane parole. Esservi bellis- 

sima la opportunità di dimetterlo ; giacché egli presen* 

tava la sua pmeona ai nemici , per subirne in pace il 

giudizio che di lùi formerebbero. E se non che ricon- 

ciliarsegli , persistevano duri , implacabili con esso , al- 

meno giacché il Senato trecento i: più insigni della città, 

facevasi a supplioudì , s’ impietosissero e mansuefacessero, 

ciò considerando ; nè per punire un nemico ributtassero 

le {««ghiere di tanti amici , ma in grazia di tanti va- 

lealuomini condonassero la pena di un solo. Dette que- 

ste consimili cose , aggiunse in ultimo , che se assol- 

vesserò dopo dati i voti un tal uomo , parrebbouo ril.i- 

aciarlo per non esser stato un ofTeusore del popolo : ma 



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394 DELLE Antichità’ bomane 

se proibivano di prosegniroe il giudieio , mostrerebbero 

di donarlo a tanti che per lui supplicavano. 


LXI. E qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi Sicinio il 

tribuno, e disse: che. uè egli tradirebbe la libertà del 

popolo , nè permetterebbe di buon grado che altri la 

tradissero. Pertanto se i patiizj sottomettevano realmente 

un tal uomo al giudizio del pòpolo , iàrebbe che su lui 

si votasse, nè punto da ciò i si scosterebbe. ^ E; qui su- 

bentrando Minucio replicava : Poiché- siete o tribuni 

fermi in tutto eli dare il voto su quest’uomo; almeno 

non lo accusale di altro che della offesa imputatagli. 

K poiché lo dinunziaste reo di ambita tirannide di* 

chiarate e convincete, ciò con gli argomenti t ma' non 

vogliate .nè ricordare nè accusare le parole , le quali 


10 incolpavate, di^ carer . detto in Senato.^ Imperocché 


11 Senato lo dichiarava immune da que'sta colpa j e 

sentenziò phe al popolo si. presentasse '..per le cause 

convenute. E qui lesse la seuteoBa. E pò ,bn gli 


altri più potati de’ tfibutii. .. . i. , . 


. LXII. Ma- non eà' tosto' tocoù atMarciu-di perórare , 

combaciando da capo , numttò quante spedizioni mili- 

tari avea sostenuto dalla prima età sua>per.^ 

blica , quante corone trionfali avea' riportate da saoi cc.^^ 

mandanti , quanti erano i nemici presi da lui prigionie- 

ri , quanti li Cittadini salvati nelle battaglie. E ad ogni 

dir suo mostrava i premj dati al suo valore, e ne prof* 



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LIBRO VII. 395 


feriva io testimonio I capitani , e ne chiamava a nome 

i cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e 

supplicando i cittadini a non uccidere , nè distruggere 

come nemico chi era la causa della loro salvezza ; chie- 

dendo la vita di un solo per quella di tanti , ed esi- 

bendo in luogo di lui sestessi , perchè come più vo- 

leano ne disponessero. Erano i più di loro del popolo » 

anzi al popolo utilissimi. E preso il popolo da verecon- 

dia all’ aspetto ed alle lagrime di tanti ne impietosi , e 

ne pianse. Quando Marcio squarciandosi 1’ abito , mo- 

strò pieno il petto , piene le altre membra di cicatrici , 

e dimandò se credeano poter esser le opere di un 

uomo stesso salvare il popolo in guerra dà nemici, e 

saU alo opprimerlo nella pace : e se chi fonda una 

rannlde , caccia dalla città una porle del popolo, dal 

(filale principalmente la tirannide si alimenta e cor- 

rohora. E lui parlando ancora , tutti i più mansueti , 

e più umani del popolo esclamavano, che si rilasciasse: 

e vergognavansi che stesse fio dal principio in giudizio 

per simil cagione un uomo che avea tante volte spre- 

giata la propria salvezza per quella di tutti. Ma tutti i 

più invidiosi , tutti i più malevoli ai buoni , e più pronti 

alle sedizioni , soffrivano di mai in cuore di avere a li- 

berare un tal uomo : tuttavia non sapeano che più fare, 

non apparendo in esso indizj nè di tirannide , nè di 

ambizion di tirannide , e su ciò dovessi giudicare. 


LXIII. Or ciò vedendo quel Decio che avea ragio- 

nato in Senato , e procurato che si stendesse il decreto 

per la causa , levatosi in piede fece silenzio e disse : 

Poiché , o popolo , i patrizj hanno assoluto Marcio 



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396 



DELLE Antichità’ romane 



dalle parole dette in Senato , e da fatti violenti e 

superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato mezzi 

onde accusarlo ; udite , non le parole , no , ma la 

egregia cosa che questo valentuomo vi apparecchiava ; 

uditene £ orgoglio , la sovverchieria , e conoscete qual 

vostra legge , egli privatissimo uomo , violasse. Koi 

tutti sapete che quante spoglie nemiche ci riesce di 

acquistar col valore , tutte per legge son del comune, e 

che niuno, nemmeno lo stesso capitano , non che un 

privato , ne è £ arbitro ; sapete che il questore le 

prende , le vende , e , fattone danaro , lo versa nel 

pubblico erario. Or questa legge che niuno da che 

Roma è Roma non solo non ha mai violato , ma 

nemmeno ha ripreso come non buona ; questa già 

firmala , invalsa , questa ha £ unico Marcio con- 

culcata, appropriando le prede che erano del comune, 

£ anno scaduto , e non prima. Imperocché essendo 

noi scorsi su le terre degli Anziati , e pigliato aven- 

dovi prigionieri , e bestiami , e frumenti , ed altro in 

copia ; egli non depositò già tutto' nelle mani del 

questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo 

nel£ erario : ma divise in dono agli amici suoi per 

cattivarseli, tutta la preda ; or questo io dico eh’ egli 

è argomento certissimo di tirannide. E come no ? 

Costui beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori, 

li custodi della sua persona , li cooperatori della ti- 

rannide. E vi affermo che questo fu come un abro- 

gare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure 

innanzi Marcio , e dimostri £ una o £ altra delle 

due; omelie egli non compartì le belliche prede a’ suoi 





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LIBBO VII. 



%7 



amici ; o che se bene ciò fece , non ruppe la legge. 

Ma egli non potrà dire ninna di queste due cose. 

Imperocché voi sapete ( una e V altra , la legge e 

t opera : Nè mai potrete coll assolverlo , dar vista di 

conoscere i diritti ed i giuramenti. Lascia o Marcio 

le corone ed i premj , lascia le ferite ed ogni osten- 

tazione , e rispondi a questo , su che li concedo ornai 

che tu parli. 


LXiy. Cagionò tale accusa grande mutazione; e li 

più dolci, e più premurosi per I’ assoluzione di questo 

uomo si rallentaron ciò udendo. E li più perfidi , quali 

erano i più della plebe , deliberati allatto di perderlo , 

vi si ostinarono ancor più , per una occasione si gran- 

de , e si- manifesta. EU’ era ben vera la distribuzion 

della preda , non era però fatta per mal genio , nè in 

vista di una tirannide , come Decio calunniava, ma solo 

con fine benissimo , con quello cioè di riparare ai mali 

della repubblica : perchè essendo allora il popolo di- 

scorde ed alienato da’patrizj , i nemici dispregiandoli, 

ne scorrevano e ne predavano di continuo le campagne. 

E quante volle parve al Senato di spedire una forza che 

li reprimesse , ninno usciva del popolo , anzi giubbilava 

contemplando i casi d’ intorno , nè le forze dei patrizj ba- 

stavano a contrapporsi. Or ciò vedendo Marcio promise ai 

consoli, se lo creavano capitano, di portar su' nemici un’ar- 

mata spontanea, e di pigliarne ben tosto vendetta. Ottenuto 

Marcio il potere , congregò li clienti, gli amici , e quanti 

voleano partecipare le sue fortune , e la sua gloria nelle 

armi. E quando parvegli che si fosse raccolta milizia suf- 

ficiente ; la menò su’ nemici che niente ne prevedeano. 



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3 gS DELLE Antichità’ romane 


Scorso in region doviziosissima , ed arbitro divenuto di 

amplissima preda , permise alle sue milizie che tutta se 

la dividessero , afUnchè li compagni dell’ impresa , rac- 

coltone il frutto , andassero pronti anche agli altri ci- 

menti : e quelli , che impigrivano in casa, considerando 

da quanti beni , a’ quali poteano partecipare , gli allon- 

tanasse la sedizione; divenissero più savj per le spedi- 

zioni seguenti. Tale era su ciò la idea del valentuomo. 

Ma la turba invida e tenebrosa , considerandone con 

malvolere le operazioni, credette vedere in esse un pre- 

dominio , nna largizione tirannica. Dond’ è che il Foro 

si riempié di clamori e di tumulto : nè più Marcio , nè 

il consolo , nè alcun altro sapeano che rispondere , riu- 

scendo la incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poi- 

ché dunque ninno più faceane le difese; i tribuni di- 

spensarono alle tribù li suffragi , proponendo per pena 

del delitto Y' esilio perpetuo , io credo perchè temevano, 

che se proponevano la morte, non sarebbevi stato con- 

dannato. Dato da tutti il voto , e numeratili , non vi fu 

gran divario. Imperocché essendo allora ventuna le tribù 

le quali ottennero il voto , nove si decisero per la li- 

berazione di Marcio , tanto che se altre due vi si ag- 

giungevano , sarebbe stato , còme ordina la legge , libe- 

rato per la uguaglianza (i). 


(i) Se le trìbCk erano at , e nove si dichiararono per Marcio: 

dunque dodici lo condannarono; e però ire o non due altre trilnt 

ci Toleano per uguagliare i Voli della condanna e dell’ assoluzione. 

Forse Dionigi Tuoi dire che se la tribù condaunaTauo cd undici 

assolvevano, l’efHcacia de’ voli era la stessa in guisa, che per uu 

voto di più non cnndannavasi il reo, ma si rilasciava. Se ciò è, 

nel lesto non vi è discordia , ma la voce dovrà tradursi 





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LIBBO VII./ 3q9 


I LXV. Fu questa la prima oitasione di un patrizio 

al popolo per esserne giudicato : e d’ allora in poi fu 

stabilito il costume che i tribuni chiamano chi lor piace 

de’ cittadini a subire il giudizio del popolo. £ dopo tal 

fatto ancora assai il popolo si elevò , decadendo nom- 

tneno il potere de’ pochi , perché ne furono ridotti ad 

ammettere > plebei nel Senato , a concedere che aspi- 

rassero agli onori , a non vietare che prendessero i sa- 

cerdozi , e a dividere con essi per forza e loro malgra- 

do , o per provvidenza e saviezza , i tanti bei pregi , 

un tempo proprj solo de’ patrizj , come ne’ luoghi op- 

portuni diremo. Del resto l’ uso di citare i cittadini pri- 

mai'j al giudizio della moltitudine può somministrare ma- 

teria ben ampia di discorso a chi vuol biasimarlo o lo- 

darlo ; perciocché molli uomini probi ed egregj ne so- 

stennero cose non degne della loro virtù , fatti inglòrio- 

sameute uccidere e malvagiamente pe’ tribuni : e per 

r opposito ne pagarono pnre la debita pena molti uomini 

aiToganti e tirannici , astretti a dar conto del vivere e 

procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor 

buono le discussioni , e vi si reprimevano le esorbitanze 

dei graudi , quella sembrava mirabilissima cosa, ed erano 

da tulli lodata : ma quando a torto il merito vi si pro- 

strava de’ valentuomini egregj nel governo del comune ; 

sembrava orribilissima , e gli autori se he accusavano 


non per la uguaglianza de' voti come abbiamo (allo ma per la effi- 

cacia de’ voti. Sappiasi in fioe che talono de’ critici afferma che le 

tribù allora erano 3i, e non 3i ; ma il Sigonio de civiiate Rom. 

G. 3, ed Onofrio Vanvlno al c. 8 , sostengono che erano realmente 

Tcntuna. 



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4oo .DELLE Antichità’ romane 


della coDsnetudtne. Esaminarono , evvero , più volte i 

Romani se la dovessero annullare , o custodire come 

r aveano ricevuta dagli antenati ; ma non diedero mai 

fine all’ esame. E se pur io debbo dirne ciocché ne pen- 

so, a me ne sembra la istituzione, se per sé si consi- 

deri , vantaggiosa , anzi necessariissima a Roma ; esservi 

però più o mcn bene riuscita , secondo il carattere dei 

tribuni. Imperocché se scontravansi savj , giusti , e sol- 

leciti del pubblico , più che del proprio lor bene , e se 

chi offendeva la patria ne era , come dovea , castigato; 

in tal caso un timor vivo frenava ancor gli altri dai fare 

altrettanto. E 1’ uomo buono , 1’ uomo avvanzatosi eoo 

cuore puro ai maneggi pubblici né subiva pene vergo- 

gnose , né gìudizj , alieni dal procedere suo. Ma quando 

aveansi il poter tribunizio nomini scellerati , intempe- 

ranti , avari , succedeane tutto l’opposito. Tantoché non 

dovessi rettificar come erronea la consuetudine , ma curar 

piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza 

che tanta autorità temerariamente si conferisse. 


LXVI. Tali furono le cagioni , e tale il termine della 

prima sedizione de* Romani dopo la espulsione dei re. 

Io ne parlai lungamente , perché ninno si meravigli come 

i patrizj permisero che il popolo si attribuisse tanto po- 

tere , nè succedessero intanto come in alure città , gli 

eccidj e le fughe degli ottimati.' Ciascuno brama cono- 

scere delle insolite cose la cagione ; proporzionandosene 

a questa la credibilità. Dond’è che io conclusi che non 

sarei stato creduto in gran parte o in tutto , se io di- 

ceva nudamente , e senza allegarne le cause* , che i pa- 

trizj aveano ceduto ai plebei la primazia ; e che po- 



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LIBRO VII. 4® * 


lendo dominare come nei comando dei pochi, aveano 

fenduto il popolo arbitro di affari gravissimi: e cosi 

concludendo ; volli esprimerle tutte. E poiché ira loro 

non si violentarono e necessitarono colle armi, ma coo- 

cordaronsi colla persuasiva , giudicai portare il pregio 

dell’ opera , che si esponessero soprattutto i discorsi te- 

nuti allor dai primari ciascun dei partiti. E ben io 

mi stupirei che taluni pensassero doversi i falli della 

guerra descrivere minutissimamente , e taivoha consu- 

massero tante parole intorno di una sola battaglia di- 

cendo la natura de’ luoghi , la proprietà delle armi , la 

forma delle ordinanae , le ammonizioni del capitano , e 

tatti i motivi , quanti coadiuvarono la vittoria ; nè poi 

credessero che narrando i movimenti, e le sedizioni ci- 

vili sen dovessero insieme riferire i discorsi pe* quali si 

operarono impensate e maravigliosissime imprese. Certa-' 

mente se nel governo de’ Romani vi fu portento degno 

di encomi, e della emulazione di tutti, fu questo a 

parer mio , famosissimo più che i tanti , che pur vi fu- 

rono stupendissimi , vuol dire che i plebei spregiando 

i patrizi non si avventa sser su loro, uccidendone in co- 

pia i più insigni , ed usurpandone i beni , e che quelli 

che esercitavan le cariche non conquidessero di per 

sestessi o co’ soccorsi di fuori tutto il popolo , rimanen- 

dosene poi liberi da paure in città ; ma che a guisa di 

fratelli co’ fratelli , e di figli co' padri in una savia fa- 

miglia , la discorresser fra loro su’ diritti comuni , e finis- 

sero le controversie col dialogo e colia persuasione, senza 

permettersi gli nni contro degli altri azione alcuna inir 


DtOSttGl, tomo //• iG 



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4o2 delle Antichità’ romane 

qua ed insanabile , come nelle loro sedizioni ne fecero 

i Corciresi , come gli Argivi , i Milesj , e la Sicilia in- 

tera , e tant’aliri. E jier queste cause io volli anzi esten- 

derne che ristringerne la narrazione ; e ciascuno ne pensi 

come glien pare. 


. LXYII. Avuto allora il giudizio un tal esito , il po- 

polo si parti con una vana ghiattauza; concependo aver 

tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne an- 

davano umiliati e mesti , ed incolpavano Valerio per 

suggerimento del quale avevano rimessa al popolo la 

sentenza. E quelli che riconducevano Marcio , impieto- 

siti , ne sospiravano e ne lagrimavano : non però ve- 

deasi Marcio né piangere , nè lamentare la sorte sua , 

nè dire o fare cosa qualunque , non degna de’ sublimi 

suoi genj : anzi dimostrò più ancora la generosità e for- 

tezza deir animo suo , quando giunto in casa ridevi la 

moglie e la madre che aveansi squarciata la veste , e 

pesto il petto , e gridavano , come sogliono in simili casi, 

donne separate dai loro più cari per 1’ esilio , o per la 

morte : niente invili tra le lagrime , niente tra’ clamori 

delle donne. Ma dato loro un amplesso , le animava 

a tollerar virilmente la disgrazia , raccomandando ad 

esse i suoi figli. Grande era 1’ uno di dieci anni , ma 

sosteneano l’ altro colle braccia ancora. E senza dare al- 

tri pegni della sua benevolenza , e senza tor seco cioc- 

ché bisognavagli per 1’ esilio , usci sollecitamente dalle 

porte , non indicando a ninno , dove si trasferiva. 


, LXVII. Venuto pochi giorni appresso il tempo de’co- 

mizj , furono dal popolo scelti consoli Quinto Sulpicio 

Camerino e Spurio Largio Flayo per la seconda vol- 



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LIBRO VII. 4^3 


ta (i). Turbarono quest’anno la città molti segni di ce- 

lesti terrori. Imperocché apparvero a molti visioni inso- 

lite , e voci si udirono senza niun che parlasse ; le ge- 

nerazioni degli uomini e delle bestie assai scostandosi 

dal naturale tendevano al mostruoso ed all’ incredibile: 

e si udivano m più luoghi risonare gli oracoli , e donne 

da divino furor sorprese annunziavano alla città lamen- 

tevoli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un tal contagio 

nella- moltitudine. Fece questo assai strage di bestiame , 

ma non molta fu la mortalità degli uomini , non esten- 

dendosi il morbo più in là che a far dei malati. E chi 

diceva succedere l’ infortunio per disegno de’ numi i quali 

si vendicavano dell’essere espulso dalla patria il migliore 

de’ cittadini ; e chi dicea che gli eventi non erano opera 

divina , ma fortuiti , come tutte le vicende degli uomi- 

ni. Poi si presentò , portatovi in una lettiga , un infer- 

mo , chiamato Tito Latino di nome , vecchissimo d’anni, 

fornito a sufficienza di beni , e che avea per lo più vi- 

vuto nella campagna, lavorandola colie sue mani. Co- 

stui venuto in Senato rivelò che avea tra il sonno ve- 

duto Giove Capitolino che standogli a fronte, ua , 

disse ; fa intendere d tuoi cittadini che nelT ultima 

pompa che mi celebrarono, non mi diedero un buon 

capo per la danza. Pertanto mi ripetano , e compiano 

un altra festa di nuovo , non avendo io accett ata la pri- 

ma. Dicea costui che risvegliatosi non faeea verun caso 

delia visione , ma teneala come una delle comuni ed il- 

lusorie. Quando ecco infine gli si presentò nel sonno 


(i) Anni di Roma a64 secondo Catone, *66 secondo Varrone, e 

48iS av. Cristo. 



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4o4 DELLE antichità’ ROMANE 


la immagiue stessa , e bieca e sdegnata , che non avesse 

annunziato i comandi al Senato , e minacciandolo , se 

non gli annunziava immantinente che apprenderebbe 

con grave suo danno a non trascurare gt IddJ. Que- 

sta seconda visione, egli disse , che la riguardò come 

la prima , vergognandosi di assumer rincarico , egli vec- 

chio e lavoratore , di portare al Senato i sogni suoi , 

pieni di augnrio e di terrore , perchè non vi fosse de- 

riso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo 

figlio , senza malattia , e senza niuna causa sensibile fu 

rapito da morte improvvisa. E ben tosto il simulacro 

stesso del nome apparendogli nel sonno gli dichiarò che 

egli area già colla perdita del figlio subita la pena 

della sua trascuraggine , e del dispregio delle celesti 

voci , ma che ben tosto ne subirebbe ancor altre. Udendo 

tali cose disse che contentissimo ne accettava Uannun- 

tio , Se avesse a morirsi , non più curando la vita: che 

non gli diede il nume però questa pena , ma che gl'in- 

ternò per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoffri-^ 

bili , non potendone movere parte alcuna senza tor- 

mento estremo. E che allora infine comunicato ^evento 

agli amici , venivane per consiglio loro al Senato. Pa- 

t^a , ciò dicendo , che poco a poco si riavesse dal do- 

lore. Alfine compiuto il discorso , usci di lettiga , ed in- 

vocato il nume , ne andò per la città libero e sano in 

sua casa. 


LXIX. Il Senato ne fu spaventato ed attonito (i) , 


(i) Questo fatto è riportato aoclie da Livio. Cicerone Io allega 

nel lib. I de Dininalione. Quanto è facile sognare con chi sogna l 

Ma il Senato avea bisoguo d’ illudere un popolo superstiiiuso , e ne 

secoudò li delirj . Per tali vie la verità si confonde , e si allouuna! 



Digitizr- )y UoOgU 




LIBRO VII. 


nè sapeva inf]ovinare ciocché il nume signifìcasse , e 

qual fosse nella festa antecedente il duce, de’ salti che 

buono a lui non paresse. Àlfìne un tale , memore del- 

r evento , lo disse ; e tutti se gli accordarono. Qr fu 

r evento cosi : Un Romano non ignobile consegnando 

un suo schiavo agli altri conservi perchè lo menassero 

alla morte , ordinò per renderne più romorosa la pena, 

che lo traessero , flagellandolo , pel Foro , e per tutti , 

quanti erano , i luoghi più insigni della città. Precedè 

costui la festa che la città avea prescritto che si facesse 

in quei tempi a tal nume. Coloro che lo spingevano al 

supplizio slargandogli e legandogli ambedue le mani ad 

un legno, postogli dietro il petto e diretto per le spalle 

fino agli estremi delle braccia , lo seguivano , e lo bat- 

tevano nudo co’ flagelli. Stretto costui da tale necessità 

gridava e con sconce voci , quali il dolore gliele sug- 

geriva, e tra salti indecenti, per le battiture. Or questo 

giudicarono tutti che fosse il saltatore non buono indi- 

cato dai nume. 


LXX. E giacché sono a tal parte d’ istoria penso 

non dover tralasciare i riti che nella festa si tengono 

dai Romani: non perchè più bella ne sia la narrazione 

per giunte teatrali e per fioriti discorsi , ma perchè sia 

più credibile il proposito rilevantissimo , vuol dire , che 

greche furono le colonie fondatrici di Roma , e venute 

da famosissimi luoghi , e non barbare e non prive di 

case , come alcuni hanno esposto. Imperocché nel fine 

del primo libro, tessuto da me su la origine sua , pro- 

misi convalidarla con mille forti argomenti di leggi, di 

costumi , d' industrie che vi persistono ancora , quali si 



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4o6 DELLE AWTICHITA’ ROMANE 


ricevette dagli avi ; nè giudico che basti a chi scrive le 

storie antiche de’ luoghi delioearle come degne di fede 

perchè tali si odono da’ paesani , ma per l’ opposito 

giudico che a renderle credibili abbisognino queste di 

altri documenti invincibili , quali 'sono principalissima* 

mente le cerimonie , ed il cullo usato in ognr città 

verso i numi e i genj patrj. Certamente li Greci e li 

barbari custodiscono queste gelosamente per lunghissimo 

tempo frenati dalla riverenza de’ numi vendicatori. E 

ciò fanno i barbari soprattutto per molte cagioni da 

non essere qni ricordate. E ninno ha mai persuaso a 

dimenticare o corrómpere alcuna delle divine cose gii 

Egizj , i Lìbj , li Celti j gli Sciti , gl’ Indi # e general- 

mente tutti i barbari , seppure caduti sotto il comando 

di altri non furono necessitati ancora di volgersi ai riti 

loro. Roma però non fu mai ridotta a tal sorte , anzi 

essa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se traeva 

da’ barbari l’origin sua, dovette pur da’barbari derivare s 

le istituzioni nazionali, per le quali g[iunse a tanta for- 

tuna : e quindi dovette astringere tutti i sudditi a ve- 

nerare gl' Iddj con le forme Romane come niigliori. Se 

dunque i Romani eran barbari , niente poteva ritardare 

che barbara si rendesse tutta la Grecia che ornai da 

sette generazioni ne porta il giogo. 


LXXI. Alcuno forse crederà che bastino per segno 

non piccolo delle pratiche antiche, quelle che ancor vi 

si usano. Ma perchè altri noi prenda come insufhciente 

per la opinione non giusta , che i Romani quando 

vinser la Grecia , con piacere ne assunsero i costumi 

come migliori , ripudiando i proprj ; ho deliberato aiv 


_ 4 



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LIBRO VII. .407 


gomentar dal tempo quando essi non ci dominavano 

ancora , nè avevano olire mare 1’ impero , valendomi 

deir autorità di Quinto Fabio senza che altra me ne 

bisogni. Imperocché antichissimo tra quanti scrissero le 

cose ror.. .u. , ce le accredita -non solo perciò che ne 

ha udito , ma perciò che ne ha veduto ancora. Il Se- 

nato , come ho detto di sopra , aveva decretato quella 

lesta , per adempiere il voto fattone da Aulo Postumio 

dittatore , quando fu per combattere le città ribellatesi 

de’Latini, che tentavano rimettere Tarquinio sul trono: 

ed aveva decretato che si applicassero ogni anno pt*r li 

sagriGcj e pe’ giuochi cinquecento mine di argento ; e 

puntualmente ve le applicarono fino alla guerra con i 

Cartaginesi. In questi sacri giorni si faceano molte cose 

conformi alle greche usanze circa il concorso , 1’ acco- 

glienza de’ forestieri , e le immunità, cose tutte > ben 

difficili a descriversi. Le cose poi , che concernono la 

pompa , i sagrifizj , ed i certami, erano come sieguono, 

e ben da queste si possono argomentare , quali fossero 

ancora , le tante cbe sen taciono. 


LXXII. Prima cbe si desse principio ai giuochi , le 

persone che aveano il potere più graude, avviavano dal 

Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo 

Massimo : e nella pompa eran primi i lor figli prossimi 

alla pubertà : ma que’ garzoncelli che poteano per 1’ età 

far parte della pompa ne andavano a cavallo se fossero 

di equestre famiglia , o a piedi , se a piedi dovessero 

mili^'U'e; e .quali nc andavano ad ale e caterve, e quali 

a corpi ed ordinanze maggiori come per essere istruiti: 

e ciò ptrcliò fosse visibile ai forestieri la gioventù Ro- 



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4o8 DELLE Antichità’ romane 


mana che era per giungere alla età militare , e quanto 

ne fosse il numero^ e quanta la bellezza. Venivano ap- 

presso loro i guidatori di quadrighe , di bighe, ed altri 

che pompeggiavano su cavalli non aggiogati. Seguivano 

quindi i combattitori di certami leggeri o gravi; e nudi 

si vedevano, se non quanto velavano le parti del sesso. 

E tal costume conservasi ancor tra' Romani come nei 

prìncipi aveasi pure tra’ Greci , finché tra’ Greci vi fu 

tolto dai Spartani: Perchè il primo che prese a nudarsi 

il corpo e nudo corse ne’ giuochi Olimpici nella olim- 

piade decimaquinta fu Acanto di Lacedemonia; laddove 

innanzi lui vergognavansi i Gi'eci di avere tolto nudo 

il corpo ne’ spettacoli , come certifica Omero scrittore 

antichissimo e degnissimo più che tutti di fede, il quale 

introduce gli eroi cinti da una zona. Quindi descrìvendo 

il certame di Ajace e di Ulisse ne’ funebri onori di Pa- 

troclo disse : 


Sceser cimi di zona ambi alla pugna. 


E ciò dichiara ancor più nell’ Odissea , narrando il pu- 

gilato di Irò e di Ulisse in tal modo : 


SI disse ; e tulli encomiaro Ulisse , 


E di una zona circondàndo i lombi , 


Gli ampi e voghi suoi femori scopria , 


' E nude Sen vedean le vaste spalle , 


, Nudo il petto t e le braccia. 


Ed introducendo quel misero che non volea combattere, 

ma ne temea ; scrive : 


Cosi diceano : ad Irò il cor si scosse .• . 


Cinserlo i proci di una zona , e tutto 

Tremante lo sospinsero alla pugna. 



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LIBRO VII. 



409 



Tal costume primitivo de’ Gred serbato fino ali’ ultimo 

tempo dai Romani dimostra che questi non lo appresero 

ultimamente da noi , anzi che non lo mutaron col 

• tempo , come abbiamo noi fatto. Teneau dietro agli 

atleti , cori di saltatori divisi in tre bande : erano i 

primi adulti , imberbi gli altri , e giovani gli ultimi ; 

venivano quindi sonatori che davan fiato a tibie di an- 

tica forma , e picciole , come costumasi ancora , e cita- 

redi che toccavan col plettro lire eburnee di sette corde, 

ed altre ancora di più , barbiti nominati. DI questi era 

mancato l’uso ne’ miei tempi tra’ Greci quantunque fosse 

lor proprio : ma tra’ Romani conservasi In tutti i sagri- 

fizj 'di antico rito. Erano 1’ apparato de’ saltatori pur- 

puree toniche , cinte con metalliche fasce , e spade che 

ne pendeano , ed aste anzi corte che giuste : vedeasi 

negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi , e 

pcnnacchj che P adornavano. Era di ogni coro il duce 

un uomo il qual dava agli altri la forma del ballo ; 

rappresentando moti marziali e vivi , con ritmo per lo 

più proceleusmatico ( 1 ). Era greca antichissima pratica 

anche quella di saltare colle armi e Pirrica si chiamava, 

sia che Minerva cominciasse la prima dopo la disfatta 

de’ Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici 

trionfali per la vittoria ; sia che prima ancora fosse il 



(i) Proceleusmatico cbiamaTasi no piè metrico di quattro sillabe 

brevi : e quiudi si diceauo fttrfi i versi che 


conteueano que' piedi. Forse furono cosi detti perché soleano pre- 

mettersi, caulandoli , r»7r rttXtvrfitiTt vuol dire alle esortazioni 

o comandi. Quindi il ritmo proceleusmatico ne’ balli dovrebbe 

avere allusione a tali piedi o versi , ed esortazioni. 



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4lÒ DELLE ANTICHITÀ* ROMANE 


rito Introdotto da’ Cureti , quando educando Giova vo- 

leano carezzarlo col suono delle arme, e con lièti moti 

e cadenze , come la favola narra. Omero più volte , e 

principalmente nella foiDiazione dello' scudo che dice * 

donato da Vulcano ad Achille, mostra l’ antichità • di 

questo rito, e la nascita sua tra’ Greci. Imperocché rap- 

presentando in esso due città , l' una ornata di pace 

bella, e l’ altra straziata dalla guerra, delinea, com’era 

naturale, la felicità di quella con feste, con matrimonj, 

e conviti , e dice : 


Faeton la danza i (Rovani , e frattanto 

Vdiati il suon di tibie , e cetre ; e tutte , 

Meravigliando ai limitar di casa , 


Stavan le donne. 


E di nuovo elogiando con vago ornamento nello scudo 

un altro coro di giovani e di vergini Cretesi dice : 

Aveaci espresso V inclito Vulcano 

Un vario coro somigliante a quello 

. Che Dedalo formò per Arianna , 


Che in si bei ricci avea la chioma attorta : 


Qui giovinetti e ver^nelle vaghe. 


Tenendosi per man , facean lor dama. 


Ed esponendo 1’ ornamento di questo coro per dichia- 

rare che i giovani saltavano colle arme , scrive ' 


E quelle 'avean vaghe ghirlande, e questi 

Aurate spade a cinti argentei appese. 


E parlando dei duci del salto loro , di quelli che da- 

vano agli altri le prime mosse , dice : 


. Il popolo prendea dolce diletto 


Intorno al coro; e due de' saltatori 


Clan cantando e danzando a tutti in mezzo , 



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• LIBRO VII. 4 * * 


Nè solo potrem yedere la somiglianza co’ greci riti da 

qnf*sie danze marziali ed ordinale , usate da' Romani 

ne’sagrifìcj e nelle pompe, ma dalle danze ancora sati* 

ricFie e derisorie. Dopo i cori armati vedeansi in mostra 

cori imitatori de’ satiri , non dissimili dalla greca Sicin- 

ne (i). L’abito in chi Vappresentava un Sileno erano 

ispide vesti , chiamale da alcuni Cortee (2) ; e manti 

con ogni varietà di fiori: in quelli poi che somigliavano 

un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sui capo 

criniere irte di lioni , e cose altrettali. Or questi beffa- 

vano e contraffaceano serj moti , spargendovi del ridi- 

colo : e gli andamenti de’ trionfi assai palesano che era 

antico e proprio de’ Romani il motteggio e la satira. 

Imperocché permettevasi u quelli che segui van la pompa 

lanciar beffe e giambi so gli uomini più riguardevoli , 

c fino su’ comandanti ; siccome un tempo in Alene era^ 

permesso che nè lanciasser quelli che sul carro se^i- 

tavau la pompa , e che ora cantan versi improvvisi. Eid 

io ne’ funerali di personaggi cospicui , specialmente se 

già fortunati , vidi tra le altre pompe cori in forma di 

satiri che precedevano il feretro, e saltavano come nella 

Sicinne. Che poi il gioco e la danza alla guisa de’ satiri 

non fu ritrovamento de’ Liguri nè degli Umbri nè di 

altri barbari , abitanti dell’ Italia , ma de’ Greci ; temo 

di sembrare molesto , volendo a lungo convincere una 

cosa della quale già si conviene. Dopo questi cori pas- 



(1) Vossio scrive più cose intorno a qeeslo genere di saltasione 

nel I. a c. 19. lusiiiul. Poei. 


(a) Cortee proviene questa voce da ^cfTts r:hc siguitica Jìeno, er- 

ba CC. ’ 



» 



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4i2 delle Antichità’ roma??e 

savano molti sonatori di tìbie e di cetere : e poi quelli 

che portavano profumi di aromi e d’ Incensi , e quelli 

che portavano lavori meravigliosi di oro e di argento 

sia de’templi, sia del comune. Venivano In ukimo della 

pompa recati su le spalle di nomini I simulacri divini 

foggiati come quelli de’ Greci quanto alla forma , agli , 

abiti , al simboli ed al doni, secondo che que’ numi es-‘ 

sendooe stati I trovatori , gli aveano , ciascuno. , donati 

ai mortali , nè solo v’ erano I simulacri di Giove , di 

Giunone , di Minerva , di Nettuno , e degli altri che li 

Greci contano tra I dodici numi (i); ma di altri più 

antichi da’ quali la favola origina i dodici ; io dico i 

simulacri di Saturno , di Rea , di Temide , di Làlona , 

delle Parche, di Miiemosine , in somma di lotti, quanti 

hao templi , ed are fra i Greci , come quelli de’ numi 

che favoleggiansi nati dopo che Giove ottenne l’impero, 

vuol dire quelli di Proserpina , di Lucina, delle Ninfe, 

delle Muse, delle Ore, delle Grazie, di Bacco, e quelli 

de’ semidei, l’ anime de' quali spogliate de.l corporeo frale 

diceansi andate in cielo, e goilervi onori simili ai divini, 

cioè quelli di Ercole , di Esculapio, di Castore e Poi* 

luce , di Elena , di Pane , e di altri mille. Se dunque 

i fondatori di Roma eran barbari, e se v’istituiron tal 

festa; com’era possibile mai che adorassero tutti I numi 

e genj della Grecia , negligentando I propr) ? Almeno 

mi si dimostri un altra gente non greca, la quale avesse 


(i) Erodoto narra nel libro seconda che: i Greci derivarono que- 

sti dodici Numi dagli Egiij. L’interprete di Apollonio scrive die 

questi erano : Giove , Apollo , Mercurio , Nettuno , Marte, Vulcano, 

Giunone, Diana, Pallade, Cerere, Venere, e Vesta. 



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LIBRO VII.' 4*3 


tali sante cose come nazionali ; ed allora si condanni la 

mia dimostrazione come non buona. Terminata la pompa 

facean sagri Gzio i consoli e que’ sacerdoti a’ quali spet- 

tavasi, e la forma del santo rito era quale appunto tra 

noi. Lavatesi le mani , lustrate le vittime con acqua 

pura , sparsi i frutti di Cerere sul capo di esse , e poi 

fatti de’ voti, comandavano infine ai loro ministri d’ im- 

molarle. E quale di questi mentre la vittima era in 

piede ancora ne percotea le tempia colla mazza , e 

quale nel cadere la trafiggeva colle coltella. E poi scor- 

ticandola c squartandola prendean le primizie di cia- 

scuno de’ visceri e di ogni membro : e sparsele con fa- 

rina di fiiTo , le portavano ne’ bacini a quelli che sa- 

grilìcavano : e questi soprappostele all’ altare , le arde-^ 

vano, e spruzzavano intanto di vino. E poi facile in- 

tendere dalle poesie di Omero essersi ciascuna di queste 

cose fatta secondo le leggi istituite da’ Greci pe’sagrifizj: 

perciocché descrive gli eroi che si lavan le mani ed 

usano farina di farro con sale dicendo : 


E lavaron le mani, e sparser farro : 


E che ne tagliano i capelli e li gittano al foco in quei 

detti : 


Ma cominciando il santo rito getta 

1 capelli sul foco ; 


E li descrive che colpiscono colle mazze in fronte le 

vittime , e che cadute le immolano come fa nel sagri- 

fizio di Emeo. 


Percotela , di quercia alzando un tronco , 


Cui rapido poi lascia ; e lascia insieme 

Lo spirito la vittima , e qui gli altri 

Miseria in inani , e ne arrostino . . . 



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4l4 delle antichità’ romane 

E descriveli che pigliano le primizie delle viscere , e 

di altri membri , e le infarinano , e le bruciano su gli 

altari: come fa nel sagri fì ciò medesimo. 


E da ogni parie le primìzie piglia 


Be’ membri tutù, e crudi ancor li copre 


Di grasso , e di farina ; e dagli al foco . 


Ora io so per averlo veduto , che i Romani osservano 

ancora tali riti ne' loro sagrificj : e su questo argomento, 

anche solo , mi rendei certo, clie i fondatori di Roma 

non furono barbari , ma greci venuti da tutte le parti. 

Ben può essere che alcuni baiiiari somiglino in pane 

ai Greci nelle istituzioni de’ sagriliz) , e delle feste ; ma 

che in tutto somiglino loro , ciò non è verisimile. 


LXXIll. Mi resta ora di dir brevemente de’ giuochi 

che faceano dopo la pompa. Era prima la corsa delie 

quadrighe , delle bighe , e dei cavalli sciolti, come nei 

giuochi Olimpiaci e Pitiaci de’ Greci in antico , e fiu 

di presente. Ne’ certami equestri si conservano ancora 

tra’ Romani due istituzioni antiche , come furono fon- 

date in principio , quella cioè de’ carri a tre cavalli , 

la quale ora in Grecia è cessata ; sebben vi fosse an- 

ticbissima e già ne’ tempi eroici ; introducendo Omero 

de’ Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocché 

essendo due cavalli congiunti come nelle bighe un terzo 

accompagnavali contenuto e tratto colle redini , e chia- 

mato parioron appunto dall’ esser più libero ; e non 

come gli altri in biga. L’ altra cosa di cui restano an- 

cor le vesiigie ne’ riti aniichi di alcune poche città di 

Grecia è la corsa di quelli che anduvau su’ Carri ; pe- 



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LIBRO VII. 


roccliè finite le gare a cavallo , smontati dal carro quelli 

clt e sedere  presso  del  focolare  in  silensio  era 

un  aulichissioia  maniera  di  supplicare.  Addita  anche  ciò  Tucidide 

nel  t libro,  discorrendo  di  Temistocle:  e si  vede  un  tal  rito  piò 

chiaramente  io  Plutarco  nella  vita  di  Coriolano,  appunto  iu  questo 

luogo. 



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LIBRO  Vili.  7 


le  calamità  che  lo  (lageilavaDO , e lo  ìnchinaTano  a ri- 

correre perfino  ai  nemici , pregavalo  ad  avere  idee  miti 

e benevole  verso  chi  rivolgevasi  a lui , non  a tenerlo , 

mentre  davaglisi  nelle  mani , come  avvemrio , nè  a 

mostrar  la  sua  forza  contro  gl'  infelici  e depressi , e ri* 

flettere  piuttosto  quanto  istabili  fossero  le  sorti  degli 

uomini.  £ ciò  puoi  , disse  , apprendere  principidmente 

da  me , che  già  potentissimo  fra  tutti  in  città  grandis- 

sima, ora  derelitto,  infelice  , bandito  , senza  patria, 

debbo  correr  la  sorte  che  vuoi  tu  destinarmi.  Io , se 

tu  amico  me  ne  rendi , io  ti  prometto  far  tanto  bene 

ai  Volsci , quanto  male  ad  essi  cagionai , mentre  ne 

era  nemico.  Ala  se  prevedi  tuU'  altro  di  me , siegui 

r ira  tua , dammi  in  sulC  atto  la  morte , immolando 

colle  stesse  tue  mani  il  supplichevole  tuo , presso  a’ 

tuoi  focolari. 


IL  Or  lui  cosi  dicendo  , Tulio  gli  stese  la  destra , e 

sollevandolo , animavaio  a confidare  ; perocché  non  sof^ 

frirebbe  cose  indegne  della  sua  virtù  : professavasi  in- 

sieme obbligatissimo  che  avesse  ricorso  a lui,  per  essere 

questa  non  picciola  significazione  di  onore  : promise 

che  renderebbegli  amici  tutti  i Volsci  , cominciando 

dalla  patria  sua  , nè  mentite  ne  furono  le  parole.  Dopo 

non  molto  tempo  deliberandone  da  solo  a solo,  Marcio 

e Tulio,  conchiuscro  di  movere  la  guerra,  Tulio,  con- 

centrando tutte  le  forze  de' Volsci,  voleva  marciare  im- 

mantinente su  Roma,  mentre  era  agitata  ancora  dalla 

sedizione , e sotto  consoli  imbelli.  Marcio  in  opposito 

pensava  che  vi  abbisognasse  prima  un  titolo  onesto  e 

giusto  di  guerra  ; dicendo  che  gl’  Iddj  mcschiavansi  a 



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8 DELLE  antichità’  ROMANE 


tulle  le  cose  , e panico  Urmenle  a quelle  della  guerra 

quanto  sono  più  rilevanti , ed  oscure  nell’  esito.  Aveaci 

allora  tra’ Volsci  e tra' Romani  sospension  d’arme,  e 

tregua  ed  amicizia , conchiusa  poco  innanzi  per  due 

anni.  Se  tnovi , disse , inconsideratamente  e precipito- 

samente la  guerra , tu  sarai  colpevole  di  aver  rotti  gli 

accordi,  nè  te  ne  avrai  propizj  gVIddj  ; ma  se  aspetti 

che  i Eomani  ciò  facciano  ; si  giudicherà  che  tu  ri- 

sospingali, e protegga  la  confederazione  che  violano. 

Ben  ho  io  con  assai  provvidenza  trovato  come  ciò  fac- 

ciasi , e come  essi  i primi  volgansi  alle  arme , e noi 

siam  giudicati  et  imprendere  una  guerra  giusta  e san- 

ta. Bisogna  che  per  maneggio  nostro  essi  i primi  of- 

fendano il  giusto  : e tale  è questo  maneggio  che  io 

finora  ho  celato  profondamente , aspettandone  il  tem- 

po , e che  ora  di  necessità  , sollecitissimo , ti  svelo  , 

procurandone  tu  la  esecuzione.  Debbono  i Romani 

far  sagrifizj  e giuochi  assai  sontuosi  e magnifici,  e 

molti  accorreranno  di  fuori  agli  spettacoli.  Attendi  la 

occasione,  ed  accorri  tu  pure  a tanto  apparato , dando 

opera  insieme,  che  vi  accorra , il  più  che  per  te  si  possa 

de’  Volsci.  Come  tu  sia  in  città , fa  che  alcuno  degli 

intimi  tuoi  vadane  ai  consoli , e dica  loro  secretissi- 

mamente , che  i Volsci  tra  la  notte  assaliranno  Ro- 

ma , e che  perciò  vengono  in  tanta  moltitudine.  Tu 

ben  sai  quanto  apprezzeranno  la  nuova  : vi  cacceran 

senza  indugio  da  Roma  , e vi  porgeranno  un  titolo 

giusto  di  risentimento. 


HI.  Esultò  Tulio  meravigliosamente  , ciò  udendo  : e 

differito  il  tempo  d’ imprendere  ; diedesi  ad  apparec- 



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LIBRO  Vili.  g 


chiare  la  gnerra.  Approssimatisi  poi  gli  spettacoli,  ed 

essendo  già  consoli  Giulio  e'  Pinario  ; am>rsevi  da  tutte 

le  città  la  gioventà  più  florida  dei  Yolsei , come  Tulio 

bramava.  La  maggior  parte  non  avendo  ricetto  ndle 

case  e pre»o  degli  ospiti , presero  alloggio  in  sacri  e 

pubblici  luoghi;  e quando  giravansi  per  le  strade,  ne 

andavano  a crocchi  e moltitudini  : tantoché  già  su  loro 

in  città  si  faceauo  discorsi  e sospetti  non  buoni.  In  que- 

sto mezzo  venne  ai  consoli  un  delatore  apparecchiato 

da  Tulio , come  avea  Marcio  suggerito  : e quasi  avesse 

a svelare  a'  nemici  una  pratirà  arcana  in  danno  degli 

amici  suoi , strinse  ’i  consoli  a giurare  di  salvar  lui , 

né  mai  dire  ad  alcuno  de’ Yolsei  chi  avesse  ciò  pale- 

sato, e poi  dinuneiò  gli  assalti  mentiti.  Parve  ai  con- 

soli vero  il  racconto , e ben  tosto  invitati  i senatori  ad 

uno  ad  uno , si  congregarono.  Presentatovi  il  delatore , 

ed  avutene  le  eguali  promesse , replicò  la  dinunzia  me- 

desima. Coloro  a’  quali  parea  già  cosa  piena  di  sospetto 

che  venuta  fosse  agii  spettacoli  tanta  gioventù  di  una 

sola  nazione  nemica , assai  più  ne  temerono , aggiun- 

gendovisi  ora  una  dinunzia  della  quale  ignoravano  la 

frodolenza.  Parve  a tutti  che  si  cacciasser  di  città  quei 

forestieri  prima  che  il  di  tramontasse  con  bando  di 

morte  a chi  non  ubbidisse;  e che  li  consoli  invigilas- 

sero sicché  tranquilla  ne  fosse  la  uscita , e senza  offese. 


lY.  Decretato  ciò  dal  Senato  , altri  scorrendo  le  strade 

intimavano  ai  Yolsei  di  partire  immantinente  tutti  per 

la  porta  detta  Capena  , ed  altri  con  i consoli  li  scor- 

tavano , mentre  partivano.  Or  qui  più  che  altrove  si 

conobbe  quanta  mai  fosse , e quanta  vigorosa  quella 





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IO  DELLE  AJ^TICHITA’  ROMANE 


moltiiadine  ; uscendo  In  un  tempo  tutu  per  una  porU. 

Usci  sollecitissimo  Tulio  prima  che  tutti , e prese  non 

lungi  da  Roma  un  tal  posto  , dove  raccogliere  gli  altri 

che  seguitavano.  E quando  tutti  furono  giunti , convo> 

catane  l' adunanza , assai  v’  incolpò  li  Romani  , dichia> 

rando  grave  ed  indicibile  1’  affronto  de*  Volsci , unici  ad 

essere  espulsi  fra  tanti  forestieri  : ed  eccitandoli  tulli 

perchè  ciascuno  lo  raccontasse  in  sua  patria , e vi  trat- 

tassero le  maniere  di  vendicarsene  e reprimere  per  l’av- 

venire tanta  insolenza  ne’  Romani.  Cosi  dicendo  ed  in- 

fiammandoli , dolenti  già  per  1’  oltraggio , sciolse  1’  u- 

dienza.  Ricondottisi  in  patria , ridissero  ciascuno  ai 

compagni  la  ingiuria  , esaggerandola , unto  che  ne  fu- 

rono tutti  esacerbali  , nè  poleano  rattemperarne  lo  sde- 

gno. E spedendo  una  città  all’  altra  degli  ambasciadori , 

chiesero  un  congresso  generale , per  concordarvisi  in- 

torno la  guerra.  Succedeva  tutto  ciò  per  briga  di  Tulio 

principalmente.  Cosi  li  magistrati  di  tutte  le  città , e 

moltitudine  grande  ancora  di  altri  adunaronsi  nella  città 

di  Eccetra  , ripuUU  la  più  acconcia  per  congregarvisi. 

Dettevi  assai  cose  dai  capi  di  ogni  città , si  dispensa- 

rono i voli  finalmente , e prevalse  il  partito  di  mover 

la  guerra  , avendo  primi  i Romani  conculcato  gli  ac- 

cordi. 


Y.  E qui  proponendo  i magistrati  varj  che  si  discu- 

tesse la  maniera  di  fare  la  guerra,  presentatosi  Tulio 

consigliò  che  si  chiamasse  Marcio , e da  lui  si  udissero 

i metodi  di  abbattere  la  potenza  Romana  ; giacché  ninno 

più  di  lui  conoscea  da  qual  lato  questa  fosse  inferma , 

e da  quale  vigorosa.  Il  consiglio  piacque  e tutti  cscla- 



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LIBRO  Vili.  I I 


tnarono  che  si  chiamasse  immantinente  il  valentuomo. 

Marcio  ottenuta  l’ occasion  che  volea  , presentatosi  mesto 

e piangente  (i)  soprastette  alcun  tempo  e poi  disse:  Se 


10  vedessi  che  tutti  pensaste  ad  un  modo  su  la  mia 

disgrazia , giudicherei  non  essere  necessario  difender- 

mene. Ma  considerando  che  Ira  indoli  tante  e varie  ev- 

vene  forse  alcuna  che  forma  concetti  né  veri  nè  degni 

sopra  di  me  , quasi  il  popolo  m'  abbia  per  cagioni  so- 

lide e giuste  espulso  di  patria  ; debbo  innanzi  tutto 

dir  qui  tra  voi  circa  il  mio  esigilo.  E voi  che  ben 

sapete  P infortunio  che  io  m’  ho  da'  nemici , e come 

indegnamente  io  sia  perseguitalo  dalla  sorte,  voi, 

mentre  qui  lo  espongo,  contenetevi,  prego,  nè  vogliate 

desiderare  d intendere  ciocché  dee  farsi , prima  che  ne 

abbiate  compreso  chi  sia  che  i^i  consiglia.  Breve  ne 

sarà  il  discorso  quantunque  pigliato  dalle  origini.  Era 


11  governo  Romano  da  principio  un  tal  misto  del  co- 

mando di  un  solo  e dei  pochi  ; fnchè  Tarquinio  , 

r ultimo  de'  monarchi , tentò  volgerlo  tutto  in  tiran- 

nide. Adunque  i capi  nel  comando  de’  pochi  insorgen- 

done , lo  espulsero  : e subentrando  essi  al  maneggio 

del  pubblico  , basai  orto  una  reggenza  più  savia  per 

confessione  di  tutti , e più  buona.  Ma  da  ora  in  die- 

tro non  più  che  Ire  o quattf  anni , i più  miseri , e li 

più  oziosi  de'  cittadini , dandosi  capi  scelerati,  ne  co- 

perser  d ingiurie  ; tentando  infine  di  abbattere  l'  au- 

lì] Queste  lagrime  forse  le  TÌile  più  Io  storico  che  Marcio.  It 


contegno  Ji  >{uesto  valoroso  era  stalo  hen  altro  coi  tribuni  e col 

popolo  «li  Roma  come  apparisce  dal  libro  antecclcnte  j e 'come  può 

coucloJersi  dal  $ del  presente. 



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12  DELLE  Antichità’  romane 


/oriUÌ  de  pochi.  I capi  del  Senato  ne  incollerirono 

tutti  , e cercarono  come  reprimere  la  insolenza  de'  ri- 

voltosi. Di  mezzo  a c/uegli  ottimati  udppio  C uno  dei 

seniori , degnissimo  di  lode  per  tanti  titoli , ed  io 

V uno  de’  giovani , parlammo  sempre  liberissimamente 

non  per  combattere  il  popolo  , ma  perchè  sospetta  ci 

era  la  prepotenza  de'  ribaldi;  non  per  rendere  schiavo 

niuno , ma  per  garantire  a tutti  la  libertà  , come  ai 

migliori  il  comando  sul  pubblico. 


VI.  Or  ciò  vedendo  que’  tristissimi  capipopolo  vol- 

lero in  priruipio  tor  di  mezzo  noi  franchissimi  oppo- 

sitori : e gittarono  le  mani , non  già  su  tutti  due  in 

un  tempo  perchè  il  fatto  non  fosse  grave  troppo  ed 

esoso , ma  su  me  primieramente  che  era  il  più  gio- 

vane , e men  dijfcile  da  opprimere.  Cosi  tentarono  di 

perdere  me  prima  senz'  (uUorità  di  giudizio , e poi 

mi  chiesero  dal  Senato  per  la  morte.  Ala  venuti  lor 

meno  ambedue  que  tentativi  ; mi  citarono  ad  un  giu- 

dizio ( ed  essi  aveano  ad  esserne  i giudici ) per  in- 

colpazioni di  bramala  tirannide  ; nè  videro  che  rùun 

tiranno  tenendosela  co’  pochi  combatte  il  popolo  , e 

che  piuttosto  egli  col  popolo  conquide  il  partito  più 

valido  nella  città.  Un  giudizio  mi  destinarono  non 

per  centurie  , com’  era  C uso  della  patria,  ma  un  giu- 

dizio come  tutti  consentono  , iniquissimo , e,  la  prima 

e f unica  volta , su  me  praticato  , un  giudizio  dove  i 

merccnarj  , li  vagabondi , e quanti  insidiano  gli  averi 

altrui , preponderavano  su'  boni  che  voleano  salvi  i 

diritti  ed  il  pubblico.  E tante  erano  in  me  le  ragioni 

per  non  esserne  condannato  , che  sottomesso  ai  giu- 



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LIBRO  Vili.  1.3 


ditj  di  una  turba  , odiatrice  in  gran  parte  de' buoni , 

e però  mia  nemica^  non  fui  sopraffatto  che  per  due 

voti:  sebbene  i tribuni  divulgassero  che  assai  sareb- 

bero disonorali  nel  loro  comando  , e patirebbono  da 

me  l estremo  de  mali  se  io  fossi  assoluto  , ed  insi^ 

stessero  intanto  contro  me  con  tutto  F ardore  e la 

sollecitudine  nella  causa.  Così  malmenato  damici  cit^ 

ladini , reputai  che  più  non  sarebbe  vita  la  mia  , se 

non  prendessi  di  loro  vendetta.  Quindi  sebbene  il 

potessi,  ricusai  vivere  senza  cure,  o tra’ parenti  nelle 

città  de’  Latini , o nelle  colonie  fondale  di  recente 

dà  miei  maggiori  : e tra  voi  mi  ricorsi  , che  io  ben 

sapeva  essere  tanto -offesi  da’  Romani  e nemicissimi 

loro , per  farne  con  voi  quanto  -potessi  le  vendette 

colle  parole,  se  le  parole  vi  bisognavano  ; o colle 

opere,  se  le  opere.  Intanto  io  vi  rendo  amplissime 

grazie  ; perchè  mi  avete  voi  ricevuto  , e perchè  mi  date 

tali  significazioni  di  onore , niente  ricordando , nò 

contando  i mali  che  un  tempo  voi  rtemici  miei,  avete 

da  me  sostenuto  fra  le  arme. 


VU.  Or  dite , e qual  genio  sarei  io  mai  se  spo- 

gliato da  uomini  per  me  beneficati , della  riputazione 

e degli  onori  quali  tra  miei  mi  si  competevano,  e 

privato  della  patria , della  famiglia , degli  amici , dei 

numi  patemi , delle  tombe  avite  e di  ogni  altro  bene; 

se  ritrovate  tra  voi  tutte  queste  cose  per  le  quali  già 

in  grazia  ài  essi  v infestai  colia  guerra  ; ora  terribile 

non  mi  dimostrassi  con  quelli  che  nemici  mi  furono 

in  luogo  di  cittadini,  e propizio  agli  altri  che  amici 

mi  si  rerìdono  di  nemici  ? Io  sicuramente  non  terrei 



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i4  nF.LLE  Antichità’  romanf 


nemmeno  per  uomo  chiunque  nè  ax>esse  nitnicizia  per 

chicli  fa  guerra,  nè  benevolenza  per  chi  lo  ha  salitilo  :■ 

non  iilitno  mia  patria  una  città  che  mi  ha  ripntliato, 

ma  quella , dove  sehben  forestiero  divengovi  cittadino  : 

nè  già  reputo  amica  la  terra  ove  sono  oltraggiato  , ma 

quella  ove  trovo  la  sicurezza.  E se  Dio  ne  porga  il 

favor  suo  , e voi  pronta  , com’  è giusto , C opera  vo- 

stra ; seguiranno  , spero  , grandi  e subiti  cambiamenti, 

foi  ben  sapete  che  i Romani  cimentatisi  con  tanti 

nemici  non  han  temuto  niun  più  che  voi  ; e che  niente 

cercati  più  attenti  quanto  indebolire  Ya  vostra  nazione. 

E pigliandole  colle  arme , e devUmdovele  colle  spe- 

ranze di  amicizia , ritengonsi  le  vostre  città  per  que- 

sto, appunto , perchè  unendovi  tutti  in  un  corpo  non 

portiate  su  loro  la  guerra.  Se  voi  dunque  a vicenda 

persevererete  procurando  il  contrario  ; e se  avrete  co- 

me ora , tutti  un  animo  per  la  guerra  ; Jacìlmente 

abbcUterete  la  loro  potenza. 


Vili.  E poiché  ricercale  il  parer  mio  sul  modo  di 

entrate  in  campo  e dirigervi,  sia  per  attestato  della 

esperienza  mia , sia  della  vostra  benevolenza , sia  per 

[ uno  e { altro  ; io  dirò  tutto , e senza  velo.  Primie- 

ramente vi  esorto  a vedere  che  vi  abbiate  una  causa 

religiosa  e giusta  di  guerra.  E come  religiosa,  come 

giusta , come  utile  insieme  ve  l’ abbiate  ( in  udite.  Pic- 

ciolo , sterile , aveano  da  principio  i Romani  il  lor 

territorio , ma  vasto  , e buono  è quel  che  vi  aggiun- 

seio  , togliendolo  a’  vicini  ; e se  ciascuno  dei  derubati 

tipela  il  suo,  tiiutia  città  diverrà  quanto  Roma  pic- 

ciola , debole  , bisognosa.  Or  io  penso  che  voi  doi- 



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LIBRO  Vili.  1 5 


Hate  i primi  cominciare.  Spedite  ambasciadori  che 

richiedano  le  vostre  città , quante  ne  tengono , e che 

intimino  loro  di  abbandonare , quanto  han  fabbricato 

per  le  vostre  campagne  , e li  premano  a rendervi , 

quanto  si  hanno  di  vostro  appropriato  colle  armi:  nè 

vogliate  prima  che  vi  rispondano , romper  la  guerra. 

Cosi  facendo  otterrete  V una  o t altra  delle  cose  che 

più  bramate.  Vuol  dire , o ricupererete  le  cose  vostre, 

senza  pericoli  e spese  ; o rinvenuto  avrete  il  titolo 

onesto  e giusto  di  prender  le  arme  : giacché  tutti 

confesseran  per  bellissima  la  condotta  di  non  chieder 

r altrui , ma  il  proprio;  e di  combattere  in  fine  se 

non  ottengasi.  Or  su , qual  cosa  pensate , faranno  i 

Eomani  a tali  vostre  proposte  ? che  renderanno  forse 

le  vosUe  regioni  ? ma  qual  cosa  impedirebbe  più  mai 

che  lasciasser  tutto  t altrui?  se  verrebbero  poi  gli 

Equi  e gli  Albani  , se  i Tirreni  e tanti  altri  a ripe- 

tere ognun  le  sue  terre.  O pensate  che  riterranno  le 

vostre  cose , nè  vorranno  affatto  la  giustizia  ? Così 

appunto  io  ne  penso.  Voi  dunque  protestandovi , i 

primi , offesi  da  loro;  e volgervi  per  sola  necessità 

alla  guerra  ; avrete  compagni , quanti  spogliati  de’ beni 

hanno  fin  qui  disperalo  ricuperarli  altrimenti , che 

per  le  arme.  Bellissima  è poi  la  occasione,  e di  cui 

non  avrete  mai  più  la  simile  per  andar  su  Bomani , 

preparata  fuori  di  ogni  speranza  dalla  sorte  propizia 

agli  offesi;  perciocché  li  Romani,  discordi  e sospetti 

fra  loro  a vicenda,  nemmeno  luin  capi  idonei  per  la 

guerra.  E questo  è quanto  io  poteva  suggerire  e rac- 

comandar con  parole  agli  amici,  detto  lutto  con  cuor 



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l6  DELLE  ANTICUITa’  ROMANE 


sincero  e benevolo  : quanto  poi  si  dovrà  provvedere  e 

compier  colle  opere,  lasciate  che  i duci  deli  armata 

lo  curino.  RispeUo  a me  son  per  voi , comunque  di 

me  disponiate;  e mi  sforzerò  di  non  riuscirvi  U pm 

ignobile  sia  de’  soldati  sia  de’  centurioni  , sia  de'  ca- 

pitani. Spendetemi  dove  pià  vi  son  uUle  , e tenetevi 

cerio,  che  io,  che  già  contro  voi  guerreggiando,  tanto 

vi  ho  danneggiato;  ora,  per  voi  combattendo altret- 

tanto vi  gioverò. 


IX.  Marcio  cosi  disse  , e U Volsci , menlre  parlata 

ancora , davan  segno  di  gradirne  i discorsi  : ma  poi  che 

ucque , miti  a gran  voce  allesUrono  che  benissimo 

consigliava  ; e senza  concedere  che  altri  più  disputasse, 

ratificarono  il  parer  suo.  Quindi  stesone  il  decreto,  e 

scelti  immantinente  i personaggi  più  riguardevoli  di  ogni 

cillA  , gl’  inviarono  ambasciadori  a Roma  : dichiararono 

Marcio  membro  de’ consigli  in  ogni  città,  e lo  auumz- 

zarono  a conseguire  in  ciascuna  le  magistrature  e gli 

onori  più  grandi  che  vi  erano.  Per  altro  anche  innanzi 

le  risposte  de’  Romani , si  diedero  agli  apparecchi  di 

guerra.  E quanti  erano  ancora  disaaimali  per  le  perdite 

nelle  battaglie  antecedenti , tutù  si  rincorarono  quasi 

fossero  per  abbattere  la  potenza  Romana.  Gli  oratori 

spediti  a Roma , presentali  al  Senato , dissero , che  sa- 

rebbe a’  FoLsci  carissimo  cessare  le  controversie  coi 

Romani  , e viverne  da  ora  innanzi  alleati  ed  amici 

senz  artifici  ed  inganni  : e dichiarano  che  stabile  sarà 

questa  fede  e quest'  amicizia , se  riabbiano  le  terre  e 

le  città  che  furono  tolta  loro  da’  Romani  : laddove  in 

altro  modo  nò  pace  mai  vi  sarà , né  amicizia  coslan- 



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LIBRO  Vili.  1-j 


te  ; giacché  V offeso  è naturalmente  in  guerra  perpe- 

tua colf  offensore.  Cliiecleaao  pertanto  di  non  essere 

colla  esclusione  delle  giuste  dimcuide  necessitati  alla 

guerra. 


X.  Detto  dò , fecero  i padri  ritirar  gli  oratori , e 

consullaron  fra  loro.  E cónchiusa  la  risposta  ^ li  riobia> 

maroQO  in  Senato , e dissero  : Conosciamo  o Fólsci 

che  voi  non  f amicizia  cercate  ; ma  pretesti  splendidi 

di  guerra  : perocché  ben  vedete  che  mai  vi  saran 

concedute  le  dimande , per  le  quali  venite , indegne , 

inammissibili.  Se  voi  date  ci  aveste  da  voi  stessi  e 

pentitine'  poi  ci  raddomandaste  le  vostre  terre  ; non 

sareste  affatto  oltraggiati , non  riavendole.  Ora  però 

voi  oltraggiate  noi , pretendendo  ciocché  è degli  altri: 

giacché  non  eravate  voi  gli  arbitri  delle  terre  , se  la 

légge  delle  armi  ve  le  toglieva.  ^ noi  teniam  per 

giustissimo  quanto  possediamo . per  le  vittorie  : nè 

primi  noi  abbiamo  fondata  questa  legge  , nè  la  cre- 

diamo degli  uomini  , anziché  degli  Dei.  E se  i Greci, 

se  i barbari  tutti  se  ne  valgono  ; noi  non  tlaremo  già 

in  ciò  segrà  di  debolezza , nè  renderemo  punto  delle 

nostre  conquiste.  Imperocché  ben  sarebbe  vituperosis- 

sima cosa  lasciarsi  per  timore  e per  stoltezza  rito- 

gliere ciò  che  per  senno  e per  nuignanimità  si  pos- 

siede. Noi  nè  a combattere  vi  necessitiamo , se  non 

volete  ; nè  se  volete , ve  ne  ritiriamo.  La  rispingere- 

mo , se  ce  la  incominciate , la  guerra.  Riportate  ai 

Folsci  queste  risposte,  e dite,  che  se  pigliano  essi 

i primi  le  arme , noi  gli  ultimi  lo  deporremo, 

Diomai , tomo  ut.  * 



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l8  DELLE  Antichità’  romane 


XI.  Prese  qpeste  risposle  Je  riferirono  gli  tmibascia* 

dori  al  Comune  de*  Volaci.  E convocato  di  bel  nuovo 

U Consiglio,  si  concbiuse  in  fine  d’ intimare  a nome  di 

tutta  la  nazione  la  guerra  ai  Romani.  Quindi  scelsero 

Tulio  e Marcio  con  assoluto  potere  capitani  di  tutta  1’  ar- 

mata, e decretarono  che  si  ascrivesser  milizie  , si  con- 

tribuisser  danari,  c si  facessero  altri  apparecchi,  quanti 

ne  vedean  necessarj  per  la  impresa. 'E  già  essendo  per 

isciogliersi  l’ adunanza  ; Mar*.io  levatosi  in  piè  disse  e 

Bonissimo  è quanto  si  è qui  decretato  dal  vostro  Co- 

mune ; e facciasi  pur  tutto  a suo  tempo.  Intanto  però 

che  qui  scrivonsi  le  milizie , e preparansi  le  altre  cose 

che  dimandano  cura  e tempo  ; io  e Tulio  ci  porremo 

in  su  r opera..  Seguite  noi,  quanti  volete  , saccheg- 

giando le  campagne  nemiche , partecipare  a gran  prede. 

Io  vi  prometto  , se  il  del  ne  ajuta , molti  e grandi 

vantaggi.  Li  Romani  non  sonasi  ancora  apparecchiati, 

vedendo  che  noi  non  abbiamo  riunito  le  forze;  sicché 

potremo  senza  paura  scorrere  a nostro  bell  agio  tutte 

le  loro  campagne,^ 


XII.  Accettato  da’ Volsci  anche  questo  partito,  j duci 

uscirono  immantinente , e prima  che  in  Roma  se-  ne 

sapesse , con  molta  soldatesca  volontaria.  Tulio  si  gettò 

con  parte  di  essa  nel  territorio  latino  per  impedire  i 

soccorsi  che  di  là  ne  andrebbero  al  nemici , e Marcio 

guidò  le  altre  aUe  campagne  di  Roma.  11  male  giunse 

improvviso  a quelli  che  vi  erano  ; e . caddero  in  poter 

de' nemici  molti  ingenui  Romani  e molti  schiavi;  e 

bovi  e giumenti’,  ed  altro  bestiame  non  poco.  Quanto 

era  derelitto  di  grano  , di  ferramenti , o di  altro  onde 



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LIBRO  Vili.  1 9 


la  terra  cohirasi , tutto  fu  predato  , o disfatto.  Dii  uU 

timo  recando  'fino  il  fuoco  , lo  gettarono  i Volscl  pe’ca» 

sali  ; tanto  che  quelli  che  ne  furono  spogliati , non  po3  secondo  Varrone  c 

486  aranii  Cristo. 



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LIBRO  Vili.  3 3 


perocché  ne  andarono  ai  Volsci  appena  si  ebbe  la  guep. 

ra  , e concordarono , e giurarono  T alleanza.  Or  questi 

spedirono  a Marcio  la  milizia  più  numerosa  e più  riso- 

lutai.  Dato  da  questi  un  principio  , molti  altri  ancora 

favorivano  occultamente  i Volsci  ; mandando  loro  dei 

sussidi  non  però  per  decreto  o pubblica  approvazione. 

E se  taluno  de’  loro  voleva  a quelli  coogiungersi',  've 

gl’  incitavano  , non  che  gl’  impedissero.  Dond’  è che  i 

Volsci  accozzarono  in  breve  tempo  tanta  milizia,  quanta 

mai  più  per  addietro , nemmen  quando  le  loro  città  più 

6orìvano.  Marcio  che  ne  era  il  duce  la  gittò  di  bel  nuovo 

su  le  campagne  di  Roma  ; e tenendovisi  molti  giorni  , 

devastò  quanto  crasi  lasciato  nella  prima  incursione.  Non 

prése  però  questa  volta  prigionieri  molti  ingenui  uo- 

mini , giacché,  raccolte  le  cose  più  pregévoli,  «ransl 

questi  ritirati^  in  Roma o ne’  castelli  più  vicini , e me- 

glio fortiGcalj.  Ma  depredò  il  bestiame  che  non  arcano 

potpto  ridurre  altrove , e gli  uomini  che  lo  pasturavano, 

come  il  grano  tenuto  ancora  nelle  aje  ed  altri  prodotti 

che  raccoglie vanSi o che  erano  già  pe’ grana).  Cosi  de- 

rubata 6'  guastata  ogni  cosa , non  osando  alcuno  di 

conlrapporglisi,  riportò  nuovamente  in  patria  1’  esercito  , 

carico  di  grandi  acquisti,  e quindi  lento  in  sua  marcia. 


XVII.  I Volsci  veduto'!’ ampio  guadagno,  e convin- 

tisi dell’  abbattimento  de’  Romani , che  predatori  già 

delle  robbe  altrui  , miravano  ora  devastarsi  impunemente 

le  proprie;  ne  imbaldanzirono  soprammodo,  e conce- 

pirono pur  la  speranza  di  dominare  , quasi  fosse  per 

loro  facilissima  e vicinissima  cosa  annientare  il  potere 

degli  avversar].  Adunque  facaano  agl’  Iddj  sacriBzj  di 



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a 4 DELLE  Antichità’  romane 

nngrauamento , oraavapo  i templi  ed  i pubblici  fori 

di  spoglie  che  dedicavano.  E tutti  iu  feste,  in  sollazzi, 

ammiravano  e celebravano  Marcio , qual  uomo  ipsignit- 

■ aimo  fra  gli  altri  nella  guerra , e qual  duce  cui  ntun 

pareggiava  non  Romano,  non  Greco,  non  barbaro  cajii- 

tano. . Soprattutto  lo  felicitavano  della  sua  prosperità  ; 

vedendo  che  quanto  intraprendeva , riuscivagji  tutto 

speditissimamenle , secondo  i disegni.  Tanto  che  ninn 

v’era  di  età  militare  il  qual, volesse  non  esser  con  lui; 

ma  spiccavansi,  e venivano  da  tutte  le  città  per  aver 

parte  nelle  sue  gesta . Il  duce , corroborato  ]’  ardore  dei 

Volici , e depresso  il  coor  de’  nemici , e ridottolo  ad 

irrisolutezza  indegna  de’  valentuomini , marciò  coll’  e- 

sereito  contro  le  città  che  alleate  di  essi  teneansi  ajncora 

fedeli:. ed  avendo  ben  tosto  apparecchiato  quanto  ricer- 

cavasi  per  gli  assedj  , piombò  su’  Tolerini  , gente  del 

, Lazio.  I Tolerini , preparatisi  molto  prima  per  la  gueiv 

ra , e portalo  in  dllà  , quanto^  bisognavacl  della  cam- 

pagna , ne  scontraron  l’ assalto.  Ben  resisterono  alcup 

tempo  , combattendo  e ferendo  ip  copia  i nemici,  dalle 

mura  , ma  risospinti  è travagliati  poi  fino  a sera  dai 

feombolierì  , le  abbandonarono  in  gran  parte.  Marcio , 

compreso  ciò , diede  ordine  ad  altri  che  applicasser  le 

scalchila  parte  derelitta  del  ricinto:  ed  egli  ne  àndò 

col  fior  de’  bravi  alle  porte  ; sebbene  infestato  cogli 

strali  dalle  torri  : e là  ^^zzali  *i  serragli , il  primo  si 

mise  in  città:  ma  perciocché  si  era  disposta  alle  porte 

una  schiera  folla  e poderosa  di  nemici;  questi  lo  rice- 

verono virilmente  ; disputandogli  lungo  tempo  intrepidi 

r intento , finché  perdutine  molti , dieder  volta , e sban- 



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LIBRO  Vili.  2 5 


duiì  fuj^ronsi  jier  le  vie.  Gl*  insegoi  Marno , acciden- 

(Ione  c|uanli  ne  sopraggiangeva  ; se  'gettate  le  anni  non 

volgeansi  alle  preghiera.  lolanto  gli  asc^i  per  le  scale 

impadronironsi  delle  mura.  Cosi  la  città  fu  presa , e Mar- 

cio separò  dalle  prede  quanto  era  donativo  pe'  numi , o 

decorazione  per  le  città  de’  Yolsci , abbandonando  il  re- 

sto a’  soldati,  Aveanci  nell’acquisto  uomini , danari , grani; 

tanto  cUe  non  riuKl  facil  cosa  a vincitori  tor  via  tutto 

in  un  giorno.  Adunque  menandoselo , o trasportandolo 

successivamente  di  per  seslessi ,   assalto  , prese  ad  investirne  in  gran  parte 

le  mura.  I Bolani , aspettatane  1’  ora  conveniente , spa- 

lancano le  mura  ; e sboccandone  in  numero , a schiera, 

e con  ordine  ; si  avventano  su  quelli  che  stavano  a fronte: 

ed  uccisone  molti , e più  antera  feritine , e ridotti  gli 

altri  a turpissima  fuga , cioulraron  le  mura.  Marcio  , che 

non  era  presente  al  sito  dell’  inforinnio  , conosciuta  la  fuga 

de  Volsci  accorse  di  tutta  fretta  con  pochi  : e raccogliendo 

quei  che  vagavan  dispersi , li  ticongiun^  e rìaoimò  : poi 

riordinatili,  e- dimostrato  ciocch’ era  da  fare;  comandò 

loro  di  attaccar  la  città  verso  le  porte  appunto.  Ricor- 

sero i Bedani  a’  tentativi  medesimi , emergendo  in  gran 

mollitudine  dalie  porte.  Non  gli  aspettarono  i Volsci, 

ma  ripiegandosi  fuggirono  giù  pel  declivio  come  il  duce 

avea  già  suggerito.  Non  videro  i Bolani  l’ inganno , e 



26  DELLE  Antichità’  romane 


tnoltissime  li  seguitarono  : quando  slontanatisi  già  dalle 

mura  ; Marcio  che  avea  seco  il  fiore  de’  giovani , diede 

su  loro  : e qui  molta  ne  fu  la  uccisione  ; fuggissero  o 

resistessero.  Seguitando  poi  li  respinti  fino  alle  porte , li 

prevenne;  internandovisi  a 'forza,  prima  che  si  richiu- 

dessero. Impadronito^si  il  duce  appeua  delle  porte  ; ecco 

giugnere  altra  moltitudine  di  Volaci.  Li  Bolani  abban- 

donate le  mura , rìpararonsi  nelle  case.  Divenuto  in  tal 

modo  r arbitro  anche  di  questa  città , concedette  a’  sol- 

dati di  farne  schiavi  gli  uomini , e di  porne  a sacco  le 

robe.  E trasportatane , come  altre  volte  , successivamen- 

te, a grand’  agio  , tutta  la  preda  , abbandonò  la  città 

finalmente  alle  fiamme. 


XIX.  Pigliando  quindi  1’  esercite , ne  andò  su’  Labi- 

càni.  Eran  questi,  come  altri , 'Colonia  già  degli  Albani, 

ma  popolo  allora  ancb’  esso  dei  Latini.  Or  egli  per  at- 

terrirli fin  denti*o  le  mura , sparse , giuntovi  appena  , 

su’Joro  campi  il  fuoco,  principalmente  in  quelli  donde 

era  .per  essere  più  visibile.  Ma  i Labicani , avendo  ben 

fortificate  le  mora  nè  sbigottirono  p?r  1’  arrivo  di  lui , 

nè  diedero  segno  alcuno  di  debolezza  : ma  si  opposero 

e pugnarono  generosamente;  trabalzandoli  piùjvolte  fin 

da  sopra  le  mura.  Non  però  resisterono ' con  successo; 

combattendo  pochi  contro  di  molli , e senza  requie  mai, 

nemmen  picciolissima  i giacché 'frequenti  erano  intorno 

la  città  gli  assalti  successivi  de’  Volsci  ; ritirandosene  via 

via  gli  stanchi , e cimentandosi  altri  l'ecpnti.  Adunque 

data  per  un  intero  giorno  battaglia,  nè  fattasi  pausa 

«emmen  su  la  notte-,  furono  dalla  stanchezza  astretti  a 

lasciare  in  fine  le  mura.  Marcio,  espugnatele,  ne  rendè 



é 



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Lir.RO  vili.  27 


schiavi  li  cittadini  , e dté  tutto  in  preda  a’  soldati.  Di  là 

trasferendo  1’  esèrcito  io  ordinanza  contro  la  città'  de’  Pe- 

dani , Latina  anch’  essa  di  popolo  , la  pigliò  di  forza , 

giuntovi  appena.  E trattatala  come  le'  altre  già  prese  , 

levandone  in  su  1’  alba  le  truppe  , le  menò  béntotfto  sa 

Corbione.  Ma  nell'  approssirharvisi  gli  abitanti  1’  apersero, 

ed  uscirongli  incontro  , presentando  simboli  di  pace , e 

la  ' resa  loro  senza  combattcrè.  Ed  egli , encomiatili  come 

savj  nel  provvedere  a séslessi , comandò  che  gli  portas- 

sero grano  ed  argento , come  l’ esercito  ne  bisognava  ; e 

ricevuto  tutto  secondo  i comandi , marciò  co*  snoi  con- 

tro Coriolo.  Gederonò  gli  abitanti  pur  questa  senza  re- 

sistenza ; ma  perciocché  con  pienissima  propensione  sup- 

plirono viveri,  danari,  e quanto  Kn  chiese  , nè  ritirò 

1*  armata  ; come  su  territorio  àmico.  E per  fermo  ; egli 

procurava!  con  ogni  sollecitudine  che  quelli  che  si  ren- 

devano non  subissero  i mali  causati  dalla  guerra  ; ma 

riacquistassero,  intatte  le  loro  terre , e li  bestiami , e gli 

schiavi  che  aveano  lasciati  ne’  loro  poderi  : nè  permet- 

teva che  le  truppe  alloggiassero  belle  città  di  essi  ; per- 

chè non  fossevi  danno  di  furti  o prede , ma  le  accam- 

pava presso'  le  mura. 


XX.  Di 'qua  mosse  l’esercito  verso  Bovilla  (1)  città 

cospicua  allora  è contata  tra  le  primarie  de’ Ladini,  che 


(1)  Nel  lesto  dice  Boia:  ma  forse  dee  leggersi  Bovilta  \ percbl;' Co- 

riolgoo  già  era  stato  ai  Toleriai , a Bota , a Labico  , a Pedo,  a Cor- 

bipne , ed  a Coriolo. -Potrebbe  dubiigrsi  se  sia  scritto  Bovilla  nel 

$180  nel  presente  di  questo  libro  : Si  descrivono  tulle  due  come 

so  r alture  ; parlandovisi  di  declivj  ; e Boriila  eia  nella  via  Appia 

in  piano  , secondo  Cloretio. 



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a8  DELLE  Antichità’  romane 


erair  pochissime.  Nod  Io  accolsero  già  quei  che  v’  erano 

dentro,'  confidati  nelle  fortificazioni 'assai  vàlide,  e nel 

numero  dei  difensori.  Adunque  egli  eccitando  le  trupper 

a combattere  generosanaente , e proponendo  amplissimi 

premj . a’ primi  che  ne  salisser  le  mura;  si  accinse  all’as^ 

salto.  Or  qui  vivissima   

sava  ; n^i  perchè  , spalancate  le  porte ne  uscirono  in 

furia  ed  in  copia , e ne  incalzarono'  abbasso  quanti  ne 

erano  a fronte.  Assai  perirono  di  Voisci  in  quella  sorti- 

ta , e diuturna  fu  la  zuffa  sopra  le  mura  ; sicché  mai 

più  speravano  d’ invaderle.  Ma  il  duce  supplendo  nuovi 

soldati  non  fe’ conoscere  la  perdita  degli  altri:  e raccese 

l’ardore  dei  vacillanti;  portandosi  egli ‘stesso  alla  parte 

di  esercito  che  pericolava  : Nè  spiravano  coraggio  i delti 

soli , ma  i fatti  ancora  'di  lui  : corse  a tutti  I pericoli , 

nè  lasciò  tebtativo , finché  non  si  preser  le  mura.  Iril- 

padronitosi  poi  della  città,  messa  parte  dei  vinti  a 61  di 

spada  per.  le  leggi  dei  forti , e parte  rendulala  schiava , 

ricotadusse  f esercito.  E^Ii  rimenavalo  dopo  una  segnalala 

vittoria  c^'co  di  spoglie  bellissime,  e ricco  de’  tanti  da- 

nari , ivi  presi , quanti  in  ninna  delle  città  coqquistate. 


XXL  Dopo  ciò  tutta  la  regione  percorsa  'Era  in  po* 

ter  sùo , nè  più  gli  resisteva  ninna  'città  se  non  Lavinia, 

la -prima  delle  città  fondate  da’ Trojani  approdati  con 

Enea  nell’  Italia , dalla  quale  dm  vano  i Romani  come 

di  sopra  fu  dichiarato.  Gli  abitanti  pensavano  dover  pri- 

ma incontrare  ogni  male,  che  'mancar  di  fede  ai  discen- 

denti loro.  Adunque  vi  ebbero  attacchi  terribili  su  le 

mura,  e battaglie  veementi  per  le  forltficazioiu:^non  però 



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LIBJIO  vni.  39 


sì  espugnarono  a prini*  impeto  ; ma  parve  abbisògnarvt 

assedio , e tempo.  Postosene  Marcio  all’  assedio  cinse 

intorno  la  dtià  di  vailo  e fossa , e guardò  le  strade  , 

perché  non  le  si  recassero  esterni  soccorsi  e viveri.  I 

Romani  udita  la  rovina  delle  città  vinte , compresa  la 

necessità  delle  Fendutesi  a Marcio , pressati  da’  messaggi 

quoiidiaid  delle  altre , fedeli  ancora  , che  imploravano 

ajulo,,  spaventati  insieme  dalla  circonvallazione  che  tira- 

vasi  intorno  Lavinia , e convinti  che  se  cadea  questo 

iurte  > la  guerra  verrebbe  addirittura  su  loro , crederono 

uno  solo  il  rimedio  a tanti  mali , decretare  il  ritorno  di 

Marcio.  Tutto  il  popolo,  gridava  questo  , e li  tribuni 

voleano  lare . una  legge  per  annullarne  la  condanna  : ma^ 

li  patrizj  si  opposero,  ricusando  che  si ' annullassé  al- 

cuna sentenza  enianàta.  E 

petuo.  Che  dunque  impedisce  che  rivenghi  alla  dolce, 

alla  carissima  vista  de' tuoi  pià  congiunti,  e ricuperi 

t amatissima  patria , e comandi,  come  ti  si  conviene, 

a chi  comanda,  e sii  duce  de' duci,  e ne  lasci  C am- 

plissima gloria  a'  tuoi  figli  e nipoti  ? E che  tali  e 

tante  promesse  avran  prontissimo  effetto,  noi,  quanti 

qui  vedi , noi  tutti  ne  siamo  i mallevadori.  Finché  nè 

stai  di  fronte  col  campo  e colla  guerra , non  parve 

al  Senato  nè  al  popolo  far  su  te  decisione  ninna  di 

clemenza  e di  moderazione  ; ma  se  ti  levi  dalle  ar- 

me , avrai , né  tardi , e noi  lo  porteremo , il  decreto 

del  tuo  ritorno. 


XXVI.  Tali  sono  i beni  se  alla  patria  ti  riconcilii: 

ma  se  ti  ostini , se  t odio  non  deponi  verso  noi  ; 

dure  e molte  ne  saranno  le  conseguenze  : ed  io  due 

le  pià  manifeste  te  ne  addito  ; vuol  dire  : la  prima 

che  avresti  il  barbaro  amore  di  un'ardua  anzi  im- 

possibile cosa , di  abbattere  cioè  la  potenza  di  Ro- 

ma , e colle  arme  de'  Volsci  : C altra  che  quando 

pure  tu  ben  ^ indirizzi  e riesca  alf  intento  , ne  sa- 

rai creduto  il  pià  sciaurato  de'  mortali.  E perchè  io 

così  congetturi  su  te  ; lo  ascolta  o Marcio , nè  t’  ina- 

cerbare  sul  franco  mio  dire.  E prima  ne  intendi  la 

impossibilità.  Molta  è in  Roma , e tu  U>  sai,  la  gio- 

ventìi  paesana  : e se  le  si  tolga  ( e torrassele  per  la 

necessità  presente  in  tal  guerra  ) la  sedizione , rac- 

chetando il  timore  comune  tutti  i dissidj , non  pià  li 

V jIscì  , ma  niuna  gente  d’ Italia  ci  abbatterrà.  Molte 



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LIBRO  Vili.  35 


sono  le  milizie  de*  Latirù , molte  quelle  degli  alleati, 

coloni  di  Roma , le  quali  aspettati  che  in  breve  giun- 

gano per  soccorrerci.  1 capitani , come  te , seniori  o 

giovani , tand  sono  di  moltitudine , quanti  in  tutte  lo 

altre  città  non  sono.  Ma  t ajuto  pià  grande  di  tutti, 

quello  che  non  ei  ha  mai  deluso  ne’ grandi  accidenti, 

e che  pili  vale  di  tutte  le  forze  degli  uomini,  è la 

beneifolenza  de’  numi , per  la  quale  teniamo  questa 

città  già  da  otto  generazioni  non  pur  libera,  ma  fe- 

lice , ed  arbitra  di  tante  nazioni,  JVon  pareggiarci  ai 

Pedani  , ai  Tollerim  , agli  altri  popoletti , de’  quali 

sormontasti  le  cittadelle.  Anche  un  altro  duce  minore 

di  te , e con  esercita  minore  che  questa  tuo  , violen- 

tato avrebbe  tali  fiacche  e poco  presidiate  munizioni. 

Ma  considera  la  grandezza  della  nostra  città  , la 

luce  sua  per  tante  imprese  guerriere , e C ajuto  di- 

vino pel  quale , già  picchia , tanto  s’  inff-andì  : nè 

concepire  che  si  diversifichi  codesta  tua  forza  colla 

quale  vieni  a tanta  cimenta  : anzi  ricordati  che  un 

esercita  meni  di  Folsci  e di  Equi  che  noi  stessi  ab- 

biam  vinta  in  tanto  battaglie  in  quante  osarono  di 

affrontarci  : Talché  ben  vedi  che  porti  a combattere 

i men  forti  contro  i pià  valorosi,  e chi  sempre  per- 

dette contro  vincitori  costanti,  E quand’  anche  fosse 

il  contrario  ; pur  sarebbe  da  meravigliare  , che  tu 

perita  di  guerra  non  sappi , che  ne'  pericoli  non  è 

pari  r artlire  in  ehi  difende  i suoi  beni , ed  in  chi 

cerca  gli  altrui  ; che  questi  se  non  vincono , niente  vi 

scapitano;  ma  niente  agli  altri  pià  resta,  se  perdono- 

E questa  principalmente  è la  causa  che  le  grandi 



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36  DELLE  ANTICniTA’  ROMANE 


armate  svaniscono  contro  le  piccole,  e le  migliori 

. contro  le  men  buone.  Chè  può  la  terribile  necessità , 

ponno  i pericoli  estremi  spirare'  corono  anche  ad 

indoli  che  non  ne  abbiano.  E quanto  alC arduità  deb 

r impresa  potrei  dire  piò  cose , ma  bastino  queste. 


XXVII.  Mi  resta  a fare  un  solo  discorso,  cui  se 

accompagnerai  colla  ragione  non  colf  ira , vedrai  che 

esso  è giusto , e ti  verrà  pentimento  del  procedere 

tuo  : ma  quat  è mai  questo  discorso  ? Gli  Dei  non 

concessero  a niuno  che  nasce  mortale  solida  scienza 

delt  avvenire  : nè  troverai  da  tutti  i secoli  alcuno  cui 

tutto  riuscisse  propizio  senza  mai  contrarietà  della 

sorte.  Perciò  li  piò  awanzati  in  prudenza , quale  il 

vivere  lungo  e la  molta  esperienza  la  recano , deano 

prima  di  accingersi  ad  una  impresa  considerarne  il 

termine,  non  solo  se  riesca  come  pur  lo  vorrebbono, 

ma  nel  caso  ancora  che  devii  dai  disegni:  e ciò  deano 

i comandanti  principalmente  delle  ‘ guerre , a'  quali , 

quanto  piò  essi  dispongono  gravissimi  affari,  tanto 

piò  tutti  ascrivon  la  origine  de'  buoni  o tristi  suc- 

cessi ; tal  che  se  vedono  esser  niuno , o ristretto  e 

piccolo  il  danno  dell'  azione  se  la  sbagliano , allora 

la  intraprendono  , ma  se  vario  e grande  lo  vedono , 

la  tralasciano.  Or  fa  tu  similmente  ; prevedi  avanti 

di  operare  ciocché  sia  per  incontrarti , se  manchi , o 

se  tutto  non  ti  viene  a seconda  nella  guerra.  Tu  sa- 

rai colpevole  presso  gli  ospiti  tuoi  di  aver  tentato  im- 

prese , grandi  piò  che  eseguibili.  Concepisci  ( nè  già 

lasceremo  impuniti  quelli  che  han  preso  ad  offen- 

derci ) che  r esercito  nostro  vengavi  novamente  ^ e 



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LIBRO  Vili. 



37 



devasti  le  loro  campagne  : non  potrai  evitare , 0 di 

essere  obbrobriosamente  trucidato  da  quelli  a’  quali 

sei  causa  di  mali  sì  grandi , o da  noi  che  ora  vieni 

per  uccidere  e per  soggiogare.  Forse  essi  stessi  in- 

nanzi di  patirne  alcun  male  , tentando  far  pace  con 

noi  dovran  consegnarti  alla  patria  che  ti  punisca  : e 

già  Greci  e barbari  assai,  ridotti  a pari  vicende  , 

dm'ettero  ciò  sopportare.  Or  ti  pajono  queste  picciolo 

cose  , non  degne  a discorrerle , o tali  che  debbansi 

trascurare , o non  piuttosto  mali  estremi  a patirsi  ^ 

fra  tutti  i mali? 


XXVni.  Ma  via;  n abbi  tu  pure  il  buon  termine; 

e qual  frutto  allora  ne  avrai  così  desiderabile , così 

meraviglioso  ? qual  mai  gloria  ne  avrai  ? Deh  ! con- 

sidera questo  ancora.  Ti  succederà  primieramente  di 

esser  privo  degli  obbietti  che  piò,  ami , e piò  ti  ap- 

partengono ; io  dico  della  madre  alla  quale  porgi 

amara  la  ricompensa  di  averti  generato  e nudrito,  e 

de'  tanti  travagli  che  sostenne  per  te  : dico  della  sa- 

via consorte  la  qual  vedova  e solitaria  sta  desideran- 

doti , e deplorando  dì  e notte  il  tuo  esilio  : e final- 

mente de'  due  tuoi  figli  a quali  aspettavasi , come  ai 

posteri  di  egregj  progenitori , che  ne  percepissero 

pieni  di  fama  buona  gli  onori  se  la  patria  fosse  fe- 

lice. Di  questi  tutti  sarai  costretto  a vedere  le  dolo- 

rose e sfortunate  catastrofi , se  ardirai  sospingere  fino 

alle  mura  la  guerra  ; giacché  a ninno  de'  tuoi  perdo- 

neranno gli  altri  che  temono  pe'  ctai  loro , e che  pa- 

tiscono disastri  eguali  da  te.  Concitati  dalla  propria 

calamità  doranti  terribilmente  e spietatamente  a bal- 



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38  DELLE  Antichità’  bomane 


terli,  ad  ingiuriarli,  e far  loro  ogni  specie  di  vili- 

pendj  : e di  ciò  non  questi  che  il  fanno  ma  tu  ne 

sei  r autore , che  ve  gli  astringi.  Tali  i frutti  sono 

che  gusterai , se  ti  giunge  V intento.  Or  su  contempla 

la  lode  che  te  ne  avrai , la  emulazione,  gli  onori,  cose 

tutte  desiderevoli  a buoni:  Z’  uccisore  sarai  nominato 

della  madre , C uccisore  de'  figli , il  traditore  della 

consorte  y la  rovina  della  patria.  £ ninno  buono  , 

niun  giusto  vorrà  , dovunque  tu  capiti,  partecipare  ai 

tuoi  sagrifizj , alle  tue  libagiorU , al  tuo  consorzio  : 

nè  sarai  caro  a quelli  nemmeno  per  la  benevolenza 

de’  quali  ciò  fai  : ma  godendo  dascun  d'essi  il  frutto 

della  tua  empietà  , detesteranno  la  ostinazion  del  tuo 

cuore.  Lascio  di  dire  come  senza  /’  odio  che  avrai  fin 

da  piò  miti , ti  sarà  intorno  la  invidia  [non  piccola 

degli  eguali , il  sospetto  degl’  inferiori  , e per  queste 

due  emise  , le  insidie  , c ta/ui  altri  infortunj , quanti 

è verisimile  che  sopravvengano  ad  un  uomo,  privo  di 

amici  in  terra  di  estranei.  Lascio  di  dire  le  furie  che 

ispiransi  da’  numi  e da’  genj  negli  empj  e ne’  faci- 

norosi, dalle  quali,  straziati  ne’  corpi  e nelC  anima, 

vivono  sciaurata  la  vita  , aspettandone  misera  ancora 

la  fine.  Tali  cose  considerando  o Marcio  ' correggiti  ; 

e cessa  d’ inseguir  la  tua  patria.  Riguardando  la 

sorte  come  autrice  de’  mali  che  hai  da  noi  tollerato , 


■ o fatto  a noi  , toma  felicissimo  a'  tuoi  , ricevi  gli 

empiessi  carissimi  della  tua  madre  , le  amorevolezze 

soavissime  della  tua  sposa , ed  i baci  dolcissimi  dei 


• tuoi  figli  :  almen  simili  cose  di  sè.  Ma  qual  altro  può 

gloriarsi  o centurione , o comandante  d aver  presa 

come  io  la  città  de’  Coriolani  (i)f  O qual  altro  in 

un  giorno  stesso  ruppe  f annetta  nemica  come  io  ruppi 

quella  degli  .daziati,  che  veniva  per  soccorrere  gli 

assediati  7 Lascio  di  ricordare  che  dopo  tesi  pegni  di 

tnrtà  potendo  io  prendere  in  copia  dalle  prede  oro  , 

argettto , schiavi,  giumenti,  gceggie , e terre  vaste,  e 

feconde  , non  volli  : ma  intento  a serbarmi  principal- 

mente senza  invidia,  pigliai  per  me  solamente  dalle 

prede  un  cavallo  militare  , e da  prigionieri  t ospite 

mio , ponendo  tutto  il  resto  ad  util  comune.  Dite  : 

era  io  per  tanto  degno  di  premj  o di  pene  ? Dovea 

subire  la  legge  da’  vilissimi  cittadini , o darla  io  lo- 

ro ? O non  mi  espulse  il  popolo  pcf  questo , ma  per- 


(i)  La  lode  h,  perebt  Coriolano  prese  con  pochi  la  città,  sema 

essere  ni  ooniaodanle,  nà  tribuno,  a' qMii  sarebbe  alato  unto  piti 

facile  invaderla  colle  milisie  dipendenti.  Vedi  lib.  Ti , § ga. 



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LIBRO  Vili.  4 1 


chè  io  era  nel  retto  della  vita,  un  intemperante , un 

suntuoso,  un  senza  leggi?  Ma  chi  potrà  dimostrarmi 

un  solo,  pe*  miei  piacer  non  legittimi  esule  dalla  pa^ 

trio,  spogliato  dalla  libertà,  privato  degli  averi,  o 

ridotto  ad  altra  sciagura  qualunque  ? se  nemmeno  i 

nemici  mai  di  tali  cose  m’  incolparono  o calunniaro- 

no, contestando  anzi  tutti  come  irreprensibile  la  vita 

mia  quotidiana?  La  scelta,  dirà  taluno,  abbonila 

de  tuoi  governamenti  ti  procacciò  questo  male  ; Ut 

polendo  eleggere  il  meglio  ti  appigliavi  al  peggiore  : 

e dicesti  e facesti  tutto  perchè  in  patria  cadesse  il 

comando  degli  Ottimati,  e s' impadronisse  del  comune 

la  moltitudine  imperita , e scellerata,  O Minucio  ! 

Ben  io  mi  adoperava  in  contrario  , e provvedeva  che 

il  Senato,  maneggiasse  in  perpetuo  il  comune  , e re- 

stasse la  patria  forma  di  governo.  Per  tali  belli  sta- 

bilimenti , creduti  sì  pregievoli  da’  nostri  antenati , io 

me  n ebbi  dalla  patria  la  si  fausta  e beata  ricom- 

pensa , cacciatone  non  solo  dal  popolo  , o Minucio , 

ma  molto  innanzi  pur  dal  Senato  , il  quale,  quando 

io  mi  opposi  a'  tribuni  che  m incolpavano  di  tiran- 

nide, mi  animò  da  principio  con  vane  speranze,  quasi 

osso  fosse  per  operare  la  mia  sicurezza  , ma  poi  te- 

mendo de’  plebei  mi  si  distolse  , e mi  cedette  a’  ne- 

mici. O Minucio  ! tu  eri  console  quando  faceveui  il 

previo  decreto  pel  giudizio,  e quando  Falerio,  cita 

tanto  ne  fu  lodato  , esortava  col  dir  suo , che  io 

fossi  al  popolo  consegnato.  Ed  io  temendo  dal  Se- 

nato un  decreto  che  mi  consegnasse  ; condiscesi , e 


OlOXtQl  f toma  ///.  S* 



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4 2 DELLE  Antichità’  romane 


promisi  di  andare  f e presentarmi  io  stesso  in  giudizio. 


XXXI.  Ma  dP  Minucio , rispondi  : parvi  al  po- 

polo solo , o pure  al  Senato  ancora  io  parvi  degno 

di  castigo  per  lo  buon  inaneggio  e condotta  mia  pub- 

blica ? Se  così  edlora  a tutti  ne  parve  ; e tutti  mi 

scacciavate;  egli  è chiaro  che  quanti  così  deliberavate, 

odiavate  allora  la  giustizia,  nò  restava  in  Roma  al- 

cun luogo  che  sostenesse  il  bene.  Che  se  il  Senato  , 

violentato  , si  rendette  al  popolo  , e quella  fu  /’  o- 

pera  della  necessità  non  del  cuore  ; confessate  che  siete 

il  gioco  degli  scellerati,  nè  resta  al  Senato  podestà 

niuna  su  qurmto  mai  scelga,  E ciò  stando  , mi  chie- 

derete che  io  men  venga  ad  una  città  dove  i buoni 

son  vittima  dei  ribaldi?  Troppo  di  stolidità  mi  con- 

dannate ! Or  su:  diamo  che  io  persuadami,  e che 

deposta , come  chiedete  , la  guerra  , ne  andiamo  ; 

qual  sarà  dopo  ciò  f animo  mio  ? quale  la  vita  ? 

Sebbene  eletto  il  partito  piò  sicuro  e meno  pericolo- 

so t cercando  io  poi  li  magistrati,  gli  onori,  ed  al- 

tro che  io  credo  competermi  , soffrirò  di  adulare  la 

turba  che  li  dispensa?  vilissimo  diventerei  di  magna- 

nimo , e niente  più  V antica  virtù  mi  gioverebbe.  O 

restando  ne’  miei  costumi , e serbando  le  istituzioni 

mie  del  viver  civile  mi  opporrò  a quelli  che  diverse 

ne  sieguono  ? Or  non  è manifesto  che  il  popolo  di 

nuovo  mi  combatterebbe  , che  a nuove  pene  mi  cite- 

rebbe, cominciando  l'accusa  da  questo,  che  io  rido- 

nato da  esso  alla  patria  , pure  ai  piaceri  di  lui  non 

mi  conformo  ? Certo  non  dee  dirsi  cdtrimente.  E qui 

sorgerà  tal  altro  insolente  tribuno  che  simile  agl'Icilj 



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LIBUO  Vili.  43 


ed  ai  Decj  m incolpi  di  scindere  i cittadini  fra  lorOf 

d insidiare  il  popolo , di  tradire  la  patria  a'  nemici , 

di  tentare  , come  Decio  me  ne  imputava , la  tiran- 

nide, o taC  altra  ingiustizia  , come  ad  esso  ne  paja; 

giacché  non  mancano  a chi  ti  odia  i pretesti.  Pro» 

durransi  dopo  queste  , nè  già  tardi , le  imputazioni 

ancora  su  le  cose  da  me  fatte  in  tal  guerra,  che  io 

percossi  la  vostra  regione,  che  rapii  prede,  che  espu- 

gnai città,  che  di  quelli  che  le  difendevano  parte  ne 

uccisi,  e parte  a’  nemici  li  consegnai.  E se  gli  accu- 

satori allegheran  tali  cause  ; che  dirò  io  per  ispedir- 

mene  ? o con  quale  soccorso  sosterrommi  ? 


XXXIL  Non  è dunque  chiaro  o.  Minucio  che  belle 

v'  avete , ma  pur  finte  le  parole , e che  un  bel  velo 

date  ad  un  impuro  disegno  ? Non  a me  concedete  il 

ritorno  ; ma  vittima  al  popolo  me  portate  ; e forse 

( giacché  buone  idee  su  voi  non  mi  vengono  ) vi  siete 

concertali  a ciò  fare , seppure  ciò  non  voleste,  senza 

prevedere  ( e vi  si  accordi  ) i mali  che  ne  avrei  da 

soffrire.  Or  che  varrebbemi  la  vostra  ignoranza  ? 

che  la  vostra  stoltezza  ? se  non  potreste  , anche  vo- 

lendo , niente  impedire  , necessitati  di  concedere  an- 

che questa  colle  altre  cose  alla  plebe.  Se  non  che 

non  piti  bisognan  parole  a mostrare  che  questa,  che 

io  chiamo  via  prontissima  di  rovina  : niente  , sebben 

voi  la  chiamate  ritorno , gioverammi  per  la  salvezza. 

Che  poi  ( giacche  m'  invitavi  a riguardare  ancor  que- 

sto ) niente  o Minucio  mi  giovi  per  la  buona  fama , 

niente  per  P onore , niente  per  la  pietade  , anzi  che 

io  opererei  turpissimamente  ed  empiiss imamente  se  a 



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44  DELLE  Antichità’,  romane 


voi  mi  rendessi;  ascoltalo  dalla  mia  parte.  Io  mili- 

tai già  contro  questi  Folsci , e molto  nel  militare  li 

danneggiai  ; procacciando  alla  patria  impero  , forza  , 

chiarezza.  Non  convenivasi  thè  io  fossi  onorato  dai 

beneficati , ed  abborrito  dagli  offesi  ? jdppunto  ; se 

a ragion  si  operava.  Ma  la  sorte  perverti  tutto , e 

rivolse  ciocché  t uno  e C altro  mi  doveano  in  con- 

trario. Voi  per  le  cose  onde  io  era  a questi  nemico , 

mi  spogliaste  di  tutto  il  mio,  e , quasi  ciò  fosse  nul- 

la , mi  bandiste  : laddove , questi  che  avean  tanto 

infortunio  da  me , mi  raccolsero  questi  nelle  proprie 

città  povero  , abbietto , senta  casa  e senza  patria- 

Nè  bastando  loro  questo  splendido  , questo  genero- 

sissimo tratto  ; mi  han  conceduto  cittadinanza , ma- 

gistrature y onori , quanti  ven  sono  piti  grandi  in  tutte 

le  loro  città.  Ma  lasciamo  questo  : ora  mi  han  fatto 

comandante  assoluto  delV  esercito  posto  oltra  iete  a chiedere  , e non  4^  me , la  pace  o la  tregua. 

Tuttavìa  non  vi  do  questa  risposta  : ma  venerando 

gl’  Jddj  patenti , rispettando  le  tombe  avite  , commi- 

serando la  terra  ove  nacqui , le  femmine , i fanciulli 

non  degni  che  su  di  essi  ricadano  le  colpe  de’  geni- 

tori e degli  altri  ; e j nommen  che  per  questo  o Mi- 

nucio , in  grazia  di  voi  che  foste  qua  deputati  dalla 

città  ; vi  rispondo , che  se  i Romani  rendono  ai  fol- 

sci  le  terre  tolte  loro  , e le  città  che  ne  tengono  , ri- 

chiamandone i proprj  coloni;  se  fanno  pace  con  essi 

« comunanza  perpetua  di  diritti , come  co’  Latini , e 

giuramenti  ed  esecrazioni  contro  de’  violatori  de’  patti; 

io  do  fine  alla  guerra.  Annunziate  primieramente  ad 

essi  questo , poi , come  avete  presso  me  perorato  , 

aringate  presso  loro  sul  giusto  : e quanto  è bella 

cosa  che  ognun  s’ abbia  il  suo , e vivasi  in  pace  : 

quanto  pregevole  che  niun  tema  nè  i nemici , nè  i 

tempi  : e come  è biasimevole  che  chi  ritiene  l’  altrui 

si  esponga  senza  necessità  alla  guerra  con  pericolo 

delle  cose  anche  proprie.  Dimostrale  loro  che  non 

eguali  sono  i premj  vincendo  o perdendo  per  chi  ap- 

petisce r altrui  : e se  vi  piace  aggiungete  , che  quelli 

che  han  voluto  prendere  le  città  degli  oltraggixti , se 

infine  poi  non  prevalgono , perdono  pur  la  terra , e 

la  città  loro  , e vedono  malmenate  obbrobriosamente 

le  mogli,  portati  i figli  agli  affronti,  e li  padri  lorOj 

fatti  schiavi  di  liberi  , nelC  estrema  vecchiezza  ; Per- 

suadete insieme  il  Senato  che  dovrà  tanti  mali  alla 

stoltezza  sua  non  a Marcio.  Terocchè  potendo  fcàre  il 



48  DELLE  Antichità’  romane 


giusto  ; potendo  non  incorrer  ne’  mali  ; corrono  agli 

ultimi  rischi , aspirando  sentpre  alC  altrui.  Questa  è 

la  risposta;  nè  potreste  altra  averne  dame:  andate, 

ponderate  ciocché  a fare  v abbiate  : io  vi  do  trenta 

giorni  per  decidervi.  In  questo  tempo  ritiro  o Minw- 

ciò  in  riguardo  tuo  e degli  altri  t esercito  da  questi 

campi,  che  asscù  se  vi  rinuuiesse,  ne  sarebbero  dan- 

neggiati, Al  ventesimo  giorno  mi  ci  aspettate  a pi- 

gliarne la  risposta. 


XXXVI.  Ciò  detto  sorse  , e sciolse  1’  adunanza  : e 

nella  notte  seguente  presso  1’  ultima  vigilia  levò  l' eser- 

cito , e lo  condusse  OMilro  le  altre  città  Latine , sia  ebe 

realmente  fosse  persuaso  che  di  là  verrebbono  de’  sussid) 

a’  Romani , come  1’  ambasciadore  avea  detto , sia  che 

egli  ne  spargesse  la  voce  per  non  sembrare  d*  interrom- 

per la  guerra  in  grazia  de’  nemici.  E piombando  sopra 

Longola , ed  impadronitosene  senza  fatica , e fattovi 

come  nelle  altre,  dei  schiavi , e delle  prede;  venne  alla 

città  de’  Satrìcani.  Presala  , e tenutovisi  pitxiolo  tempo , 

ordinò  che  parte  dell’  esercito  recasse  le  spoglie  raccolte 

da  ambedue  queste  città  in  Eccetra , ed  egli  marciando 

coir  altra  parte  venne  a Ceda  (i),  che  chiamano.  Otte* 

nutala  , e derubatala  -,  si  gittò  nel  teiritono  de’  Polu« 

scani  (1).  Non  valsero  nemmen  questi  a resistere  ; ed 

espugnatili , si  avanzò  verso  le  altre  città  : prese  di  as- 



(i)  Questa  Toce  è aiqbigaa.  Lirio  nooiioa  Tiebbia  ; ed  altri  ia 

questo  luogo  di  Oiooigi  vorrebbe  por  Silia  Seste  : ma  questa  par 

troppo  lootaaa  pel  viaggio  di  Marcio. 


(ij  Lapo  parve  leggere  Ttuelarù. 



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LIBRO  Vili.  49 


salto  gli  Albieti  ed  i MugiUaui  (i)  ; e ricevette  a patti 

i Corani.  Divenuto  in  trenta  giorni  padrone  di  sette 

citti  ; si  rivolse  a Roma  con  più  milizie  che  prima  : e 

fermandosene  lontano  poco  più  che  trenta  stadj , si  ac- 

campò presso  la  via  Tuscoiana.  Intanto  che  prendeva  ed 

univa  a sé  le  città  de’  Latini , parve  ai  Romani , con- 

sultale lungamente  le  proposte  di  lai  , di  non  far  cosa 

indegna  della  repubblica.  Pertanto  , se  i Yolsci  partis- 

sero dal  territorio  loro , degli  alleati  e de’  sudditi , e 

lasciasser  la  guerra  e spedissero  ambasciadori  per  trattare 

la  pace  ; il  Senato  decidesse  allora  e ne  riferisse  al  po- 

polo le  condizioni  : non  decidesse  però  mai  nulla  di 

umauo  su  loro , finché  stavano  con  ostili  maniere  su  le 

campagne  di  Roma  e degli  alleati.  Couciossiachè  li  Ro- 

mani (Muervarono  sempre  altamente  di  non  far  mai  nulla 

pe*  comandi , nè  pel  terror  de’  nemici  ; ma  di  compia- 

cere, e contentare  gli  avversar]  pacificatisi,  e rendutisi, 

nelle  dimande  se  fosser  discrete.  E Roma  ha  mantenuto 

tale  sublimità  di  carattere  in  molti  e grandi  pericoli , 

nelle  guerre  co*  cittadini  e cogli  esteri  , e tuttavia  lo 

mantiene. 


XXXyiI.  Deliberate  tali  cose , il  Senato  scelse  am- 

)>asciadori  altri  dieci  tra’  consolari , perchè  dimandassero 

a Marcio  che  non  desse  ordini  duri  nè  indegni  di  Ro- 


(i)  Silbnrgio  sospetta  ebe  io  luogo  di  Albiètì  debba  leggersi  La- 

hitiiati  ciot  Laviniaui  di  Lauinio , la  presa  del  quale  era  stata  tra- 

lasciata , come  si  t veduto  di  sopra.  Il  cognome  di  Lucio  l'apirio 

Mugillaoo  prova  che  vi  ebbe  una  città  Multila  di  nome  , donde 

tono  i MugiUani. 


montai . ama  Ili.  t 



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5o  DELLE  Antichità’  romane 

ma , ma  deponessc  le  nimicizie , ritirasse  le  truppe  dal 

territorio  , e cercasse  di  trattare  con  modi  persuasivi  e 

conciliativi , se  voleva  che  gli  accordi  tra  due  popoli 

fossero  permanenti  ed  eterni  ; giacché  gli  accordi  sia 

privati , sia  pubblici , conceduti  per  la  necessità  e pei 

tempi,  finiscono  appunto  co’ tempi  e colla  necessità.  Or 

questi , eletti  ambasciadori , non  si  tosto . udirono  l’ ar- 

rivo di  Marcio , andatine  a lui , dissero  assai  cose  atte 

a guadagnarlo , badando  di  non  offendere  co'  discorsi  la 

maestà  della  repubblica.  Marcio  però  non  rispose  altro 

se  non  che  consigliavali  ( e questa  era  1’  unica  tregua 

che  dava  ) a tornar  fra  tre  giorni  con  deliberazioni  mi- 

gliori. E volendo  essi  replicare  ; non  lo  permise  : ma 

impose  che  partissero  immantinente  dal  campo.  E mi- 

nacciando che  li  tratterebbe  come  spie  se  non  ubbidi- 

vano ; quelli  ammutoliti  partirono  incontanente.  I sena- 

tori quantunque  udite  le  risposte  ostinate  e le  minacce 

di  Marcio , pnre  non  decretarono  di  portare  1’  esercito 

di  là  dai  confini , sia  che  ne  temessero  , come  raccolto 

in  gran  parte  di  fresco  , la  inesperienza  , sia  che  1’  ab- 

battimento temessero  dei  consoli  , poco  intraprendenti 

per  sestessi  , e giudicassero  pericoloso  il  cimento  ; sia 

che  i segni  celesti  interdicessero  loro  quella  uscita  per 

mezzo  degli  uccelli , degli  oracoli  Sibillini  , o di  altra 

visione  : cose  che  non  sapeano  gli  uomini  di  allora  , 

come  i presenti  , trascendere.  Adunque  deliberarono  di 

guardare  la  città  con  vigilantissima  cura,  e di  respingere 

dalle  fortificazioni  gli  aggressori. 


XXXYIII.  Ciò  fatto  e preparato  ; nè  tuttavia  dispe- 

rando di  piegar  Marcio  , se  lo  pressassero  con  deputa- 



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LIBRO  Vili.  5i 


zione  più  augusta  e più  grande , decretarono  che  pon- 

tefici ed  auguri,  e quanti  arcano  sacri  onori  e ministeri 

nelle  pubbliche  divine  cose  ( e molti  sono  fra  loro  e 

sacerdoti  e santi  ministri , e questi  i più  cospicui  pel 

sangue  paterno,  o pel  merito  proprio)  andassero  in  copia 

co’ simboli  delle  divinità  riverite  e festeggiate  in  Roma, 

e cinti  di  sacre  vesti , al  campo  nemico , e vi  replicas- 

sero gli  stessi  discorsi.  Giunti  questi , e dettovi  quanto 

aveano  dal  Senato , Marcio  non  rispose  nemmeno  ad 

essi  per  ciò  che  chiedevano;  ma  consigliò  che  partendo 

adempissero  gli  ordini  se  volevan  la  pace;  o la  guerra 

in  città  si  aspettassero  : del  resto  intimò  che  non  più 

ritornassero  a lui  per  far  parlamento.  Caduti  ancora  di 

questo  tentativo , e deposta  ogni  speranza  di  pace , si 

apparecchiavano  i Romani  per  1’  assedio  ; , collocando  i 

giovani  più  vigorosi  alle  fosse  ed  alle  porte  , e li  ve- 

terani già  licenziati  ma  pur  buoni  ancor  per  le  armi , 

alle  murai 


XXXIX.  Le  mogli  loro , quasi  approssimatasi  già  la 

tempesta , lasciato  il  decoro  col  quale  si  tenevano  in 

casa , correano  ai  templi  piangendo  ed  abbracciandosi 

a’  simulacri  de’  numi.  Ed  ogni  sacra  magione  , special- 

mente  quella  di  Giove  in  Campidoglio,  risonava  di  ie* 

minei  ululati  e di  suppliche  : in  questa  una  matrona 

preminente  per  lignaggio  e per  dignità  trovandosi  allora 

nei  meglio  degli  anni  , attissima  a provveder  ciocché 

deesi  (Valeria  ne  era  il  nome)  sorella  di  quel  Popli- 

cola  il  quale  aveali  già  liberati  dai  tiranni',  eccitata  da 

istinto  divino , si  fermò  nel  grado  più  alto  del  tempio  , 

convocate  le  donne  compagne  , primieramente  le  con- 



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52  DELLE  AlfTICHITA*  ROMANE 


solò  ed  animò  a non  smarrini  ne’  mali , poi  diede  a 

vedere  che  restavaci  una  speranza  di  scampo,  riposta 

in  loro  nniramente , se  faceano  quanto  era  d'uopo.  Al- 

lora r una  di  esse  ripigliò  : Con  quale  opera  nostra 

mai  potremo  noi  donne  salvcwe  la  patria , non  sa- 

pendo  più  fare  ciò  gli  uomini  ? E qual  forza  ah- 

hiam  noi,  deboli,  sciaurate F E Valeria,  non  le  arme, 

disse  , abbisognano , non  le  mani  ; dispensandoci  da 

ciò  la  natura,  ma  le  arnorevolezze  e la  persuasiva. 

Or  qui  , fàltusi  clamore  , e pregandola  tutte  a svelarlo 

se  pur  ci  avea  rimedio  alcuno , disse  : In  questo  lutto , 

in  questo  disordine  di  vestimenti  prendete  compagne 

anche  altre  donne,  e menando  con  voi  li  vostri  figli, 

ne  andiamo  in  casa  di  Veturia  la  madre  di  Marcio. 

E ponendo  i nostri  figli  dinanzi  le  ginocchia  di  essa, 

e lagrimando  ; scongiuriamola  che  impietosita  di  noi 

non  colpevoli  di  male  ninno,  e della  patria  ridotta  in 

pericolo  estremo , vada  al  campo  nemico  ; e vi  meni 

i suoi  nipoti,  la  madre  loro  e noi  tutte,  le  quali  la 

seguiremo  co'  nostri  figlioletti  : e che  interceditrice 

presso  del  figlio,  lo  dimandi,  lo  supplichi  a non  fare 

la  calamità  della  patria.  Lei  piangendo  e rimovendo- 

lo; nascerà  forse  alcuna  compassione  o mite  pensiero 

in  quesF  uomo , che  già  non  ha  si  duro  ed  impene- 

trabile il  cuore  da  respingere  fin  la  madre  che  ab- 

braccigli le  giruscchia. 


XL.  Poiché  le  astanti  ne  approvarono  il  dire;  ella 

supplicando  i numi  di  dare  persuasiva  e grazia  alle  istanze, 

loro  pari)  dal  tempio.  La  seguitarono  le  altre  ; e prese 

dopo  ciò  per  comp-igne  alti’e  donne  , ne  andarono  in 



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LIBRO  Vili.  53 


fòlla  alla  casa  della  madre  di  Marcio.  Volannia  la  mo» 

glie  di  Marcio  seduta  presso  la  suocera  si  meravigliò 

nel  vederle  , e disse  : E che  possiamo  noi  farvi , o 

donne , cito  in  tanta  moltitudine  venite  ad  una  casa 

di  sciagura  e di  aflizione?  E Valeria  soggiunse:  i?t- 

doUe  a pericoli  estremi  noi,  con  questi  fanciullelli , 

veniamo  a te  supplichevoli,  o Feturia,  per  implorare^ 

tonico  e solo  ajulo,  e primieramente  che  abbi  pietà 

della  patria  non  mai  fin  qui  stata  in  man  de'  nemici, 

eicchè  non  vegli  soffrire  che  ora  la  libertà  le  si  tolga 

dai  Folsci;  seppur  conquistando  la  patria  la  rispar~ 

mieranno,  non  la  struggeranno  dai  Jondamenti.  Dipoi 

per  noi  preghiamo  e per  questi  miseri  fgU,  sicché 

non  veniamo  tra  gli  strazj  degf  inimici,  noi  niente 

ree  de  mali  accaduti.  Se  un  cuor  ti  resta  in  parte  al- 

meno, clemente  ed  umano;  deh!  tu  ne  compassiona, 

o F fluria , tu  donna , e tu  partecipe  de'  diritti  sacri , 

inviolati  delle  donne  (i):  prendi  teco  Folunnia,  que- 

sta ottima  donna,  e con  essa  i suoi  figli,  prendi  coi 

figli  nostri  pur  noi  supplichevoli  a un  tempo  e ma- 

gnanime , e vieni  al  tuo  figlio , persuadi , insisti , ni 

dar  fine  alle  suppliche  , finché  pe'  tanti  benefizj  tuoi 

non  ottieni  da  lui  che  si  rappacifichi  co’  suoi  citta- 

dini, e rendasi  alla  patria  che  lo  ridomanda'.  Ut,  ben 


10  sai,  trionferai  di  lui,  che  pietoso,  certo  te  non 

dispregierà  prostrata  a’  suoi  piedi.  E tu  riconducendo 


11  figlio  tuo  alta  patria,  ne  avrai,  corni  è giusto, 

splendore  sempiterno  , perchè  C avrai  liberala  da  tale 


())  Meli’  uso  della  Religione  comune. 



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54  DELLE  Antichità’  romana 


rischio  e terrore:  e sarai  cagione  a noi  di  essere  oHo~ 

rate  presso  degli  uomini  ; perchè  avremo  sciolta  la 

guerra  che  non  potè  da  essi  dissiparsi.  Parremo  cojI 

le  discendenti  veramente  delle  femmine  che  mediatrici 

terminarono  la  guerra  di  Romolo  co’  Sabini  ; e conm 

giunsero  duci  e nazioni,  e grande  renderono  di  pie— 

dola  la  città  (i).  Magnìfica  sarà  t impresa,  o Fetu- 

ria , d' aver  seco  riportato  il  figlio  , d’aver  liberata  la 

patria  > salvate  le  sue  concittadine  ; e di  lasciare  ai 

posteri  suoi  luce  indelebile  di  virtù.  Dacci,  o Fetum 

ria , con  cuore  spontaneo  e vivido  questa  grazia  ; 

vieni  , ti  accelera  ; poiché  grande , imminente  il  pe- 

ricolo non  ammette  più  indugio , o consiglio. 


XLI.  Giù  detto  , tutta  in  pianto  , si  tacque.  E pian- 

gendo pur  esse,  e pregando  vivamente  le  compagne; 

iVeturia,  vinta  dalle  lagrime,  dopo  breve  silenzio,  disse: 

Foi  seguite  , o Falena , leggera  e fiacca  speranza  ; 

promettendovi  un  ajulo  da  noi  ; donne  infelici.  Ben 

abbiamo  tenerezza  per  la  patria , e volontà  di  saL'ore 

I cittadini,  qualunque  mai  siano;  ma  la  potenza  e la 

efficacia  ne  mancano  per  compiere  ciocché  vogliamo. 

Marcio  , o F ileria , ne  rifugge  da  che  il  popolo  fe’ 

di  lui  r amara  condanna  , ed  odia  tutta  la  casa  in- 

sieme colla  patria.  E ciò  diciamo , sapendolo  da  Mar- 

cio stesso',  non  da  altri;  perocché  quando  soggiaciuto 

alla  condanna  venne  in  casa  in  mezzo  agli  amici , 

trovando  noi  addolorate  , abbattute  , co’  figli  suoi  su 

le  ginocchia , e che  piangevamo  , corri  era  giusto , e 


(i)  Vedi  1.  a,  $ 4^  » espone  disicsantenle  tale  storia. 



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LIBRO  Vili.  55 


deploravamo  la  sorte  che  ci  soprastava  nel  perderlo  ; 

egli  fermatosi  alquanto  da  noi  lontano,  insensibile  come 

una  pietra,  e co’  sguardi  fissi,  partesi,  disse  ^ Marcio  da 

voi,  o madre,  o Volunnia  donna  bonissima,  cacciato  dai 

suoi  cittadini  perchè  prode,  perchè  amico  della  repubblica, 

e perchè  subito  ha  tanti  travagli  per  la  patria.  Voi  so- 

stenete , come  si  conviene  a femmine  virtuose , tanta 

calamità  , non  facendo  mai  nulla  d’ indegno , mai  nulla 

di  vile:  consolandovi  in  questi  fanciulli  sulla  mia  priva- 

zione , educateli  degni  di  noi  , e della  stirpe.  Gli  Dei 

concedano  ad  essi , uomini  divenuti , sorte  più  buona  ; 

ma  virtù  non  minore.  Addio.  Io  vado , e lascio  questa 

città  che  più  non  cape  gli  onesti  uomini.  Addio  numi 

tutelari,  e tu  Vesta,  paterna  divinità,  e voi  quanti  siete 

Dei  di  questo  luogo.  Appena  ciò  disse , noi  misere  , 

noi  dal  dolore  impedite,  scoppiando  in  gemiti,  e per^ 

cotendoci  il  petto  portai'amo  a lui,  per  riceverli  an~ 

cara , gli  amplessi  estremi  : ed  io  menava  meco  il 

maggiore  de’  figli , e la  madre  avevasi  in  braccio  il 

minore.  Quando  egli,  ritirandosi  e rispingendoci,  disse: 

Da  ora  innanzi  Marcio  non  più  sarà  tuo  figlio , o ma- 

dre, togliendoti  la  patria  in  esso  il  sostenitore  della  tua 

cadente  età  , nè  più  sarà  da  questo  giorno  il  tuo  spo- 

so, o Volunnia:  ma  sii  pur  felice,  un  altro  cercan- 

dotene più  di  me  fortunato  : nè  più  sarà  padre  vostro 

o figli  carissimi:  ma  orfani  e solitarj  presso  queste  cre- 

scete fino  agli  anni  virili.  Ciò  detto  , nè  soggiungendo 

altro,  nè  comandando,  e non  significando  nemmeno 

ove  andasse , uscì  di  casa , o donne  , solo , senza 

servi , in  disagio  , senza  portare  seco  delC  aver  suo 



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56  ■ DELLE  Antichità’  homase 


neppure  il  vitto  di  un  giorno.  E già  volge  t anno 

quarto  eh’  egli  fuggì  dalla  patria,  e riguarda  noi  tutto 

come  straniere , niente  scrivendo  , niente  mandandoci 

a dire,  e niente  volendo  di  noi  risapere.  Or  presso 

un  cuore  si  duro , si  impenetrabile  , o Troieria , qual 

forza  avranno  le  preghiere  di  noi  alle  quali  non  dava, 

partendo  £ ultima  volta , non  un  amplesso , non  un 

bacio , non  significazione  niuna  dì  affetto  ? 


XLIL  Che  se  tuttavia  domandate  voi  questo , e vo- 

lete in  tutto  vederne  wniliate  ; concepite  , che  io  e 

Volunnia  a lui  ci  presentiamo  co’  figli.  Quali  discorsi 

io  madre , dirìgo  la  prima , quali  preghiere  porgo  al 

mio  figlio  ? Dite  , ammaestratemi.  Chiederò  che  per^ 

doni  a suoi  cittadini  da  quali  ( e senza  che  offesi  gli 

Oi’esse  ) fu  privato  della  patria  F Chiederò  che  inte- 

neriscasi o compassioni  la  plebe,  che  su  lui  non  seppe 

intenerirsi , tré  compassionarlo?  Che  abbandoni  e tra- 

disca quelli  che  esule  lo  hanno  raccolto , i quali  seb- 

bene malmenati  già  un  tempo  da  lui  tanto  e sì  fe- 

ralmente , pur  non  £ odio  gli  mostrarono  di  nemici , 

ma  la  benevolenza  di  amici  e di  congiunti  ? E con 

qual  cuore  pregherei  io  mai  questo  mio  figlio  che 

amasse  chi  lo  sterminava,  ed  oltraggiasse  chi  lo  sal- 

vava ? Non  sono  questi  i discorsi  di  una  madre  savia 

al  suo  figlio  , non  di  una  moglie  al  marito  : nè  voi 

ci  astringete , o donne , che  imploriamo  da  lui  cose 

non  giuste  presso  degli  uomini,  nè  pietose  presso  gli 

Iddii:  piuttosto  lasciate  noi  misere  nella  umiliamone 

ove  siamo  per  la  sorte  , senza  che  noi  pure  svergfs- 

gniamo  piu  ancora  noi  stesse. 



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LIBRO  Vili. 



5? 



XLIII.  Taciutasi  lei,  surse  un  tanto  lamentarsi  di 

femmine,  e tale  un  pianto  ne  riinbotnbò,  che  udendo- 

sene i • clamori  per  gran  parte  della  cUlà , si  empierono 

di  popolo  le  vie  d’ intorno  la  casa.  Poi  rinovando  Va- 

leria più  lunghe  e più  commoventi  preghiere , le  altre 

donne , com’  erano  congiunte  di  amicizia  o di  sangue 

con  r una  o l’ altra  di  loro , supplicavano  ancora  in 

atto  di  stringerne  le  ginocchia.  Tantoché  non  più  re«- 

stendo  per  l’ afflizione  fra  tanto  piangere  e supplicare; 

cedette  infine  Vetutla  , e promise  di  andarne  oratrice 

per  la  patria  co'  figli  e colla  moglie  di  Marcio , 'e^  con 

quante  cittadine  voleano.  Racconsolatesi  allora  vivaiùeuté, 

ed  invocati  i numi  a favorire  le  loro  speranze  , parti- 

rono dàlia  casa , e nunziarono  ai  consoli  il  fatto.  E 

questi,  lodandone  là  buona  volontà,  convocarono  ed 

interrogarono  i padri , se  fosse  da  concedere  che  le 

femmine  ^uscissero.  Or  molto,  e da  molti  se  ue  disputò; 

tanto  che  giunti  a sera  dubitavano  ancora  ciocché  fosse 

da  fare.  Dicevano  molti  non  essere  piccolo  cimento  per- 

mettere che  le  donne  andassero  co’  figli  al  campo  dei 

nemici;  imperocché  se  questi,  spregiando  le  leggi  sacre 

degli  ambasciadori  e de’  supplichevoli , volessero  che  le 

femmine  non  più  'rìtornassero , prenderebbono  Roma 

senza  combattere.  Pertanto  consigliavano  che  si  lascias- 

sero andare  a Marcio  solamente  le  donne  che  a lui  si 

appartenevano  insieme  cu’  figli.  Altri  però  giudicavano 

che  non  si  concedesse  che  andassero  nemmeno  rpieste; 

anzi  esortavano  di  custodirle  gelosamente  , e di  consi- 

derai le  come  ostaggi  sicuiissimi,  perchè  la  città  nou  su- 



■ DJOXJGI , IB«o  III. 



f ' 



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58  DEfXE  Antichità’  roisaane 


buse  grave  disastro.  Per  l’ opposito  altri  proponevano 

che  si  accordasse  a quante  donne  volevano  , di  uscire  , 

perchè^  le  donne  congiunte  a Marcio  , fornissero  con  ' 

più  dignità  la  mediazion  per  la  patria.  Dicevano  che 

non  succederebbe  ad  esse  niente  di  sinistro;  giacché  ne 

sarebbero  mallevadori  primieramente  i numi  col  favore 

santo  de’  quali  si  moveàno  ad  intercedere  ; e poscia  il 

duce  stesso  al  quale  ne  andavano , come  uomo  puro 

ed  inviolato  in  sua  vita  da  ogni  ingiusto  ed  empio  at- 

tentato. Vinse  finalmente  il  partito  che  accordava  alle 

dònne  di  andare,  e còn  decoro  amplissimo  di  ambedue; 

del  Senato  come  savio , perchè  vide  ciocché  era  a farsi 

il  migliore , senza  punto  turbarsi  al  grande  perìcolo  ; e 

di  Marcio  finalmente  per  la  sua  pietà,  perché  fh  confi- 

dato, che  niènte  oliraggerebbe  tal  parte  imbelle,  espostasi 

a lui  quantunque  egli  fosse  nemico.  Steso  il  decreto , e 

recausi  l consoli  al  Foro,  e raccoltovi  il  popolo,  essendo 

già  notte , vi  palesarouò  il  voler  del  Senato  , e preor- 

dinarono , che  tutti  al  nuovo  giorno  accorresserò  alle 

porte  per  accompagnarvi  le  donne  che  uscireld)ero.  Busi 

frattanto,  diceano,  che  curerebbero  quanto  era  d'uopo. 


,XLIV.  Era  ornai  l’alba  vicina;,  quando  le  donne  por- 

tando i figli  loro , andarono  colle  faci , e presa  in  sua 

casa  Vcinrìa  , la  condussero  alle  porte.  I consoli  idle- 

sUte  mule  da  tiro,  e carri , ed  altri  trasporti  moltissi- 

mi, ve  le  acconciarono,  e seguironle  per, lungo  tratto: 

le  accommiatavano  intanto  i senatori  ed  altri  in  buon 

numero  con  auguri,  con  preghiere,  con  eocomj , ren- 

dendone cosi  più  dignitoso  il  viaggio.  Come  si  potè 

dal  campo  distinguere , che  donne , lontane  ancora , si 



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LiBBO  vm.  5g 


àvanzavano  , Marcio  spedi  de’  cavalieri  per  apprendere 

che  fosse  quella  moltitudine , e perehé  dalla  catti  ne 

veoisse.  E risapendo  da  loro  che  venivano  le  donne 

Romane  oo*  6gli , e che  innanzi  -di  tutte  era  la  madre 

di  lui,  e la  moglie  co’  figli  suoi;  stupì  da  principio  che 

femmine  potessero  aver  cuore  di  avanzarsi  co’  Ggli  senza 

guardie  al  campo  nemico , e darsi  a vederè  ad  uomini 

insoliti , lasciata  la  verecondia  conveniente  * a matrone 

ingenue  e pudiche , e la  paura  del  pericolo  nel  quale 

incorrerebbero , se  questi  volgendosi  airutile  più  che  al 

giusto  , volessero  acquistarle , . e giovarsene.  Ma  poscia- 

cbè  furono  vicine , deliberò  di  uscire*  dal  campo  con 

alquanti  ' verso  la  madre , comandando  ai  littori  che 

quapdo  le  fossero  dappresso  deponessero  le  scuri , e le 

abbassassero  i fasci.  Usavano  i Romani  questo  rito  quando 

i magistrati  minori  s’  incontravano  co’  maggiori  ; ed  il 

rito  persevera  ancora.  Osservò  Marcio  allora  tal  pratica, 

e rimosse  tutti  i segnali  dell’  autorità  sua  ; quasi  egli 

dovesse  presentarsi  ad  una  autorità  maggiore  : tanta  fa 

la  riverenza , tanta'  la  sollecitudine  sua  per  la  pietà 

verso  la  madre.' 


XLV.  Fattisi  ornai  vicini  , si  avanzò  la  prima  per 

riceverlo  la  madre , ahi  ! quanto  miseranda  , squallida 

vestunenti , e logora  gli  occhi  dal  piatito.  Come  la 

vide , Marcio , duro , imperturbabile  fin’  allóra  contro 

tutti  gli  assalti , non  più  valse  a persistere  nel  propo- 

sito suo:  ma  vinto  dagli  affetti  del  cuore  umano  corse, 

la  strinse , la  baciò , la  chiamò  con  tenerissimi  nomi:  e 

molto  lagrimandone , e curandone  ; la  sostenne,  mentre 

venuta  meno  abbandonavasi  a terra.  Soddisfiitta  la  tene- 



6o  PELLE  Antichità’  romanè 


rezza  sna  verso  la  madre , ricevendo  la  donna  sna  che 

sea  veniva  co’  figli  disse  ^ Fornisti  o Koluimia  gli  of- 

fizj  di  ottima  donna , > uh’endoli  presso  la  mia  geni- 

trice: ed  io  godo  come  su  dono  dolcissimo  infia 

tutti,  che  non  t qhbandonasli  nella  sua  solitudine. 

Dopo  ciò  chiamato  a sé  1’  uno  e l’altro  de’  figli  , e ca- 

rezzatili come  si  conveniva  ; si  rivolse  noVamente  alla 

madre,  invitandola  a dire  per  qual  fine  veniva:  ed  ella 

soggiunse  che  il  direbbe , udendola  tutti  ; giacché  non 

chiederebbe  se  non  giustissime  cose.  Lo  esortava  dunque 

che  sedesse  nel  luogo  appunto  dal  quale  solea  far  giu- 

stizia a’  suoi  militari.  Con  piacere  udì  Marcio  la  propo- 

sta , pen  hé  varrebbesi  di  assai  più  regioni  per  rispon- 

dere alle  istanze  .di  essa  , e darebbe  dv  opportunissimo 

luogo  fra  la  turba  la  risposta  (i).  Adunque  recatosi  al 

tribunal  militare  fe*  da  indi  rimovere  e calarne  al  pian- 

teiTeno  la  sedia  , giudicando  non  dover  lui  tenersi  p’ù 

alto  che  la  madre , nè  còn  maestà  niuna  contro  di  lei. 

Poi  fatti  sedere  presso  di  sé  li  più  cospicui  de’  capitani 

e dei  centurioni , e lasciando  che  intervenissero  quanti 

volevano  ; significò  alla  madre  che  incominciasse  (a). 


XLYI.  Veluria  , poste  innanzi  del  tribunale  la  donna 

di  Marcio  co’  figli  e le  altre  più  ragguardevoli  tra  le 

Romane , ' pHmieramente  rivolti  gli  occhi  alla  terra  , 

pianse  lungamente , p mosse  tenera  compassione  negli 

astanti  : poi  raccogliendo  sé  stessa  disse  : Le  donne  , o 


(i)  Perché  sarebbe  siala  risposta  pubblica;  udendolo  cbi  Tclcea  ; 

e perché  cjuel  luogo  stesso,  di  dignità  e di  comando  aerebbé  ricor- 

dalo «Ila  madre  le  ubbligaiionf  Che  egli  arcTa  co'  Votaci. 


(a)  Anni  di  Roma  a06  sccoodu  Calorie,  a63  secondo  Varoue, 

e 4^  arami  Criaio.  ^ 



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• ' ' LIBRO  VITI.  6l 


‘Marcio  figlio,  considerando  gC  info rtunj  che  su  di 

esse  piomberebbero  se  la  città  divenisse  de  nemici , 

diffidatesi  di  ogn  altro  soccorso  , poiché  tu  davi  le  sì 

dure,  le  jì  ostinate  risposte  agU  uomini  che  chiedeano 

un  fine  alla  guerra  ; queste  donne  , o Marcio ^co’  /?- 

glioletti , in  questo  lugubre  apparato  ricorsero  a me 

tuà  madre , ed  a V olunnia  tua  sposa  per  supplicarci 

'a  non  permettere  che  avessero  tanto  male  ‘da  te,  più 

che  da  ogn  altro , esse  cfie  non  ci  aveano  offeso 

punto  nè  pocO',  e che  grande  ci  aveano  dimostrata 

la  benevolenza  nella  nostra  sorte  felice,  e viva  nom- 

meno  la  compassione  quando  ne  dec'ademmo.  Noi  ben 

possiamo  testificarti  che  dalf  ora  che  tu  lasciavi  la 

patria , daW  ora  che  noi  restavamo  derelitte  nella  so- 

litudine , e nel  nulla  , esse  di  continuo  ci  visitarono , 

ci  consoletrono  , e piansero  al  pianto  nostro.  Memori 

di  tanto  io  e questa  tua  donna , coabilatHce  mia , 

non  abbiamo  già  ripudiato  le  loro  preghiere , ma 

preso  abbiam  cuore  di  cercarti  ; e pregarti  , corno  ci 

atìdimandavano  , per  la  patria. 


XLVII.  E lei  parlan(h>  ancord  , Marcio  ripigliava  : 

rnadre  ! se'  tu  venuta  per  un  impossibile  , venendomi 

a chiedere , che  io  Iralisca  quelli  che  mi  hanno  ri- 

cettato a quelli  che  mi  bandivano , quelli  che  mi  do- 

navann  i beni,  più  grandi  fra  gli  uomini  a quelli  che 

tutto  il  mio  rn  involavano.  Io  pigliando  questo  cofnan- 

do,  dos  a malle\'adori  i genj  ed  i numi,,  che  non  avrei 

tiadito  gU  ospiti  miei,  nè  finita  la  guerra  se  cosi  non 

fosse  piaciuto  a tutti  i Volsci.  Pertanto  adorando 

gt  Iddìi  su  quali  giurai,  riverendò  gli  uomini  a quali 



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6a  DELLE  Antichità’  romane 


vincolai  la  mia  fede,  guerreggieiò  fino  alla  decisione 

co'  Romani.  Se  renderanno  mì  f^olsci  le  terre  che"  ne 

possiedono  colla  forza  ; e se  amici  se  ne  fwanno  , 

accomunando  ad  essi  tutto , come  co'  Latini  ; deporrò 

' le  armi  : altrimente  mai  contro  di  essi  le  deporrò  / 

Voi  dunque  andatene.,  o donne,  riferite  ai  vostri  un 

tal  dire  , e persuadeteli  a non  pretendere  ingiusta- 

mente [ altrui,  ma  contentarsi  del  prpprio  , quando 

altri  lascia  che  lo  abbiano.  Non  aspettino  che  si  ri- 

tolga loro  colla  guerra  , quanto  colla  guerra  usurpa- 

rono ai.  Volsci;  perocché  li  vincitori  non  saranno  già 

paghi  di  ricuperate  i lor  beni,  ma  vorranno  quelli 

ancora  de’,  vinti.  Se  ritenendosi,  e difendendo  ostina- 

tamente ciocché  lor  uon  si  spetta,  vanno  incontro  m 

pericoli,  accusino  sestessi,  e non  Marcio,  e non  altri 

de'  mali  che  piomberanno  su  loro.  E tu  -daW  altra 

parte',  o madre , io  figlio  tuo  le  ne  prego  , non  mi 

sollecitare  a cose  non  degne,  nè  giuste;  nè,  unendoti 

d miei  e tuoi  malevolissimi , volete  credere  a te  con- 

trarj  quelli  che  ■'ti  sono  per  natura  amicissimi  : ma 

standoti , coni  è ragìc^nevole , presso  me , vegli  riguar- 

dare per  patria  quella  che  io  riguardo',  e possedere 

per'  casa  quella  che  io  possiedo,  e godere  con  me  gli 

onori  miei , e la  mia  riputazióne , presi  per  parenti , 

per  amici  e nemici  tuoi,,  quelli  appunto  cK  io  pren- 

dami. Bandisci,  o misera , f afiìanno  sostenuto  finora 

per  la  mia  fuga,  e pesfa  in  tale  tua  forma  .di aflig- 

germi.  Gli  altri  beni , o madre  , più  belli  della  spe- 

ranza, più  grandi  del  desiderio  mi  son  dati  da  mimi, 

e dagli  ùomini.  L’affanno  che  io  prendea  su  te,  non 



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LIBRO  Vili.  63 


contraccambiandoti  col  nudrirli  ne'  senili  tuoi  giorni, 

diffuso  per  le  mie  viscere,  amareggiava  e levava  la 

mia  vita  da  ogni  bene.  Se  meco  ti  rimani,  se  parte- 

cipe ti  fai  di  ogni  mia  cosa;  più  non  mi  mancherà 

alcuno -tra  L mortali. 


XLVIII.  E qui  taciutosi  lui  , Veturia  sopraslando 

breve  tempo  &nchè  , cessassero  le  lodi  cbe  molte  e grandi 

gli  si  fecero  da’ circostanti,  soggiunse:  Non  io.  Marcio 

figlio  , ti  voglio  il  traditore  de'  Volsci , che  ricevitori 

tuoi  nelC  esìlio  , ti  onorarono  in  iMtte  guise  , e ti 

affidarono  il  comando  di  ses tessi  ; nè  voglio  che.  tu 

da  te  solo  finisca  senza  il  voto  comune,  la  guerra 

contro  i patti  e i giuramenti,  chè  facevi  loro,  quando 

prendevi  armata  : nè  temere  che  la  madre  tua  siasi 

di  tanta  malvagità  riempiuta  ; ‘ che  inviti  C unigenito 

e carissimo  figlio  a cose  vituperose  e non  giuste:  ma 

cJtiedo  che  tu  levi  col  pubblico  voto  la  guerra , ridu^ 

cendo  i V ytsci  a temperanza , e ponendo  tra  le  due 

genti  pace  ì>ella  e decorosa.  E ciò  sarà  fatto  , se  al 

presente  movi  t armata  e la  ritiri,  e fai  tregua  per 

un  anno  ; perocché  spedendo  e ricevendo  in  questo 

tempo  ambasciadori , procaccerai  pace  stabile  , e vera 

amicizia.  Tu  ben  -sai  che  f Romani  , se  il  disonore , 

o la  impossibilità  non  lo  vieta  ; faranno  vinti  dalle 

persuasive  ogni  cpsa  : laddove  violentali , come  ora 

vuoi  tu  violentarli  , non  concederanno  mai  cosa  pic- 

ciola  o grande , come  puoi  tu  conviruertene  da  tanti 

esempj  , ed  ultimamente  dalle  cose  concedute  ai  La- 

tini che  deposeco  le  ormL  1 Volsci,  dirai,  sono  assai  ' 

più  pertinaci,  come  avviene  ai  gran  fortunati.  Ma  se 



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64  PELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE 


ricordi  loro  che  ogni  pace  vai  più  della  guerra:  e che 

più  stabile  è quella  che  si  fa  per  amicizia  la  quale 

rende  i cuori  propizj  , che  non,  f altra  la  quila  per 

necessità  si  riceve:  esser  proprio  de’ sa>’i  moderare  la 

sorte,  quando  stimano  averla;  non  però  mai  ft^  cosa 

indegna  nelle  vicende  infelici  e meste  ; se  dirai  loro 

gli  altri  documenti  quanti  sen  trovano  ( notissimi  a voi 

che  il  pubblico  maneggiate ) per  indurre  a dolcezza  a 

mansuetudine  ; scenderanno  dalt  eUterigia  ove  sono  , 

e concederanno  che  facci  quanto  credi  a loro  giove- 

vole, Ma  se  resister^anno  , se  non  ammetteranno  il 

dir  tuo  , sollevati  dalle  belle  Jbrluna  provenute  da  te 

e dal  tuo  comandare , cqme  siati  quéste  immutabili  ; 

rendi  loro  palesemente  co  lesto  tuo  capitanato  , nè  il 

traditore  sii  di  chi  te  lo  afJidcR>a  , nè  il  combattitore 

de’  congiuntissimi  tuoi  ; cose  , T una  e t altra  inde- 

gnissimo. Queste  soao , o Marcio  figlio , le  cose  che 

io  vengo  a supplicarti  che  sian  fatte  da  te  , non  im- 

possibili come  tu  dici,  ma  pure  da  ogni '' rimorso  di 

ingiustizia  , e di  malvagità  . 


XLIX.  Tu  temi  '(  sono  questi  i titoli  che  vai  ma- 

gn'ficanio  col  discorso  ) tu  temi  d’  incorrere  sé  fai 

quanto  consiglioU,  la  taccia  rea  come  d’ ingrato  versa 

i tuoi  benefaUori , i quali  ti  accolser  nimico  , e ti 

a nmisero  a tutti  i-loro  beni , quali  se  gli  hanno  co^ 

loro  che  nacquero  cittadini.  Ma  dì  j non  hai  tu  len- 

dulo  toro  il  molliplice  e bel  contraccambio  ? non  hai 

suj'ferato  i benefizj  loro  colt amplitudine  immensa  dei 

tuoi?  Costoro  che  leneano  pel  sommo  e pel  più  ama- 

bil  de  beni  viversi  liberi  usila  patria  ; gli  hai  tu  ri- 



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LIBRO  Vili.  65 


dutU  (fuesti  non  solo  arbitri  stabilmente  di  sestessi , 

ma  tali  infine  da  bilanciare  , se  tornasse  lor  megliò, 

di  abbattere  la  potenza  de' Romani,  o di  partecipare, 

ugualmente  alla  repubblica  che  Roma  ha  fondato. 

Lascio'  di  dire  con  quante  spoglie  abbi  ornalo  le  loro 

città  per  la  guerra,  e con  quanta  ricchezza  premiato 

quelli  che  vi  militav vedo  che^  gU  orgogliosi  che 

quei  che'  spregiano  le  preghiere  -de  supplichevoli,  cor- 

rono all  ira  de'  numi  ed  alia  sciagura  finalmente. 

Certo  gl'  Jddii  • istituirono  e ne  dierono  tale  costume  ,- 

essi  i pruni  ptrdanano  s e fqcili  si  rappaciane';,  e 

molti  si. placarono  già  pe’  voti  j e'  pe'  sagrifizj  verso 

di  uomini,  lontani  per  grandi  reità  da  loro".  Quando 

o A/arcio  tu  tioti  vagli  che.  l’  irà  de’  celesti  sia  mor-^ 

tale , ma  immortale  quella  , degli  'uoniini  ; • forai  con 

rettitudine  f e con  dignità  tua  o della  patria , se  ne 

condoni  gli  errori , essa  già  correggendosene , e pla- 

candotisi , e rendendoti  quanto  prima  ti  levava. 


LI.  Che  se  implacabile  ti  rimani  , rendimi  questo 

deposito,  questo  benefizio y i quali  niun  altro  può  ri- 

peterti i e pe’  quùli  hai  tu  non  le  minime  , ma*  le 

auiplissinte  è pregiatissime  doti ,' onde  tutto  ottenesti,, 

rendimi  il  corpo  tuò  e l’ànima.  Derivate  le  hai  que- 

ste da  ma;  ; nè  luogo  o tempo  , nè  beneficenze  , nè  • 

grazie  di  Fblsci  o di  altri  mai  tanto  ' eccederanno  e 

saliran  fino^  ai  cieli  ;.  che  tu  possi»  csmcellar  la  natu- 

ra, ,nò  pù't  udirne  i diritti.  Mio  sarai  pur  tu  semproj 

e sempre  il  bene  del  vivere  a me  dovrai  per- la  pri- 

ma, e 'farai  senza  scusartend  quanto  ti  additnando- 

Ciò  prescrive  la  natura  ai  viventi  che  sentono  e che 



68  DELLE  a:»tichita’  romane 


ragionano  { >e  di  ciò  confidata  puf  io  , ti  supplico  o 

Marcio  figlio  a non  portaré  guerra  alla  patria;,  o 

qui  sto  per  oppormiti  se  le  fai  violenza.  O me  tua 

madre  che  mi  ti  oppongo  sagrijicherai  prjma  di  tua 

mano  alle  furie , e cosi  darai  principio  alla  guerra; 

o,  se  temi  la  infamia  di  matricida,  cedi  o figlio  alla 

madrfi  tua  ; dammi  , flie  il  puoi , questa  grazia.  Se 

questa  leg^e  che  niun  tempo  ha  mai  tolto,  mi  assiste, 

mi  protegge  > non  è giusto  o Marcio  che  io  sola  sia 

da  te  priva  degli  onori  che  essà  mi  concede.  Ma  Ics- 

sciando  questa  legge  , ricordati  la  tanta  e gran  sc^ie 

de'miei  benefizj.  Io  prendendo  a curar  te  fanciulletto, 

orfano  del  padre  tuo védova  me  ne  rimasi , e gli 

stenti  tutti  soffersi  onde  allevasi,  madre  tua  non 

solo , ma  padre  in  ur[  tempo  , educatore  é sorella 

dimoetrandomiti  , ed  ogni  altra  spficie  . di  teneri  .og- 

getti. Divenuto  tu  grande,  potendo  io  liberarmi  dalle 

• cure  , nutritandomi  ad  •altri , e darmi  nuovi  figli  e 

nuove  speranze  sostenitrici  della  vecchiezza;  non  volli, 

hià  restài  ne'  tuoi  lari  'domestici , contenta  della  vita 

medésima,  e ristringendo  a 'te  sólo  ogni  mia  conso- 

lazione, ogni  bene.  Di  questi  ine. ne  privasti-  tu,  parte 

di  voler  tuo , parte  senza  volerlo  , rendendomi  infe- 

licissima tra  le  madri.  ^ qual  tempo,  da  che  toccasti 

l' età  •virile , qual  tempo  io  pissr  mai  sene’  agitazioni 

e terrori?  e quando  ebbi, mai  l'  anintà  tranquilla  so- 

' pra  di  te  , vedendo  che  acciimolavi  guerra  a guerra  , 

che  passavi  da  battaglia  a battaglia,  e ricevevi  ferite 

su  ferite  ? . . 


Lll.  E quando  ti  desti  alla  repubblica  cd  al  ma- 



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’ - Lifino  vm.  69 


ncggìo  de'  pubblici  affari , gustai  forse  io  tua  madre 

diletto  alcuno  ? Eh  ! Che  ne  divenni  allora  più  mi- 

sera , mirandoti  in  mezzo  alla  civil  sedizione.  Impe- 

rocché le  uìe  provvidenze  pér  le  quali  più  sembravi 

valere , e per  le  quali  sostenendo  i patrizj , spiravi 

indignazione  contro  del  popolo , queste  mi  spaventa- 

vano tutta , considerando  , per  quanto  tenui  motivi 

tramutasi  la  sorte  degli  uomini:  e sapendo  dai  tanti 

casi  uditi  che  qualche  ira,  divina  traversa  i valentuo- 

mini , e la  invidia  umana  li  perseguita.  E_  così  non 

fossi  stata  , come  io  ' m'  era  troppo  vera  indovina 

degli  eventi!  fa  civile, invidia  t' assalì,  ti  sopraf/kee, 

ti  sifclse  dalla  patria,.  Il  refto  della  vita  mia,  se  vita 

può  dirsi  da  che  partendoti  ' mi  lasciasti  co'  figli  tui , 

passò  tra  questa  desolazione.,  Va  questo  apparato  di 

lutto.  Per  tutto  questo  io  che  molèsta  mai  non  ti  fui, 

nè  ti  sarò  finché  vivo  , ti  prego  che  vagli  serenarti 

una  volta  co' tuoi  cittadini  f' c finir  C Ira  acerbissima 

che  nudri  contro  la  paù'kt.  E con  ciò  di  cosa  io  ti 

prego  non  buona  per  me  solq,  ma  per  ambedue.  Per 

le  Se  tea  persuadi  , nè  scorri  ad  azioni  non  degne  ; 

perchè  avrai  C anima  immacolata  e libera  da  ogn’  ira, 

da  ogni^  terrore  di  furie  persecutrici , e p6r  me  poi  , 

perchè  la  fama  che  men  yetrà  , mentre  vivo,  dai 

cittadini,  e dalle  cittadine.  Tenderà  beati  i miei  .gior- 

ni f e quella  che  mi  sarà  dispensata  come  io  presa- 

gisco , dopo^  morte  , renderà  sempiterno  il  mio  nome. 

E se  'dopo  morte  riceve  alcun  luogo  le  anime  sciolte 

da  corpi;  riOn  riceverà  già  la  mia  quel  sotterràneo rp 

tenebroso  ove  dicono  che  i detnoni  soggiornano  ; nq 




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'JO  DELLE  antichità’  EOMANE 


il  ampo  che  chianìdn  di  Lete;  ma  C etere  sublime  e 

puro,  ove  dicono  che  albergano  con  prospera  e beata 

sorte  i JigUifoli  de’  numi.  JB’ià  divulgando  anima 

min  la  pietà  e le  grazie  onde  m’hai  riverita,  ten  chie- 

derà per  sempre  dagt  Iddii  la  degna-  ricompensa. 


LUI.  Ma  se  dispregi  la  madre  tua  , se  inonorata 

la'  rimandi  n  per  me  fortunata 

nò  per  le,  la  quale  hai  salvato  la  patria,  e perduto 

insieme  il  pietoso  ed  amantissimo  tuo  figliuolo.  Cosi 

detto , si  ritirò  ne'  siioi  padiglioni  ; comandando  che  lo 

seguitassero  la  inoglie;  la  madre  -,,  i fi^i  : é vi  si.  tenne 

tutto  il  resto  dei  giorno , eonsultaudo , con  esse  ciocché 

era  da  fare.  Enrono  le  risoluzioni  : che  nè  il  Senato 

proponetse  al  popolo  , nè  il  popolo  decretasse  nulla 

del  suo  ritorno  , prima  che  .si  persuadesse  aWolsci 

r amicizia  e la  cessaziofs  della  guèrra.  Egli  leverebbe 

e ritirerebbe  /'  esercito , marciando  cofne  tu  terre  di 

amici:  Dato  conto  del  suo  capitanato,  e dimostratina  - 

i beni;  pregherebbe  quelli. che  glie  lo  aveano  càtfi» 

flato,  a’  volersi  ricongiungere  per  giuste  condizioni  ai 

nemici ,.  ed  incarieore  lui  pefchè  vi  fosse  ne  patti  t o- 

fpùtà  , senza  niuna  fmdolenza.  Che  - se  protervi  pei 

successi  filici  non  aecettósser  la. pace;  egli  si  spoglie* 

rebì>e  del  comando.  In.  tal  caso  o non  sosterrebbero 

essi  di  ^leggete  un  altro  per  ^mancanza  di  buoni  capi* 

ioni  ; o cimentandosi  di  'affidare  le  forze  ad  un  altro 

qualunque,  imparerebbero  a grande  lor  danno,  ciocchi 

era  V utile  a Jare.  Tali  sono  le  deliberazioni  ira  loro 



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72  DIELLE,  antichità’  DOMANE 


tenute,  e riconosciute  per  eque  e giuste,  e capaci  presso 

tutti  di  buona  faina,  oggetto  principalissimo  delle  cure  del 

valenluomo.  Ben  erano  essi  agitati  da-  un  timido  sospetto 

che  la  turba  irragionevole  speraozala  di  debellar  riiiinii* 

co,  delusane,  alfìne  infuriasse;  e setiz’amihctter  discorso 

trucidasse  come  traditore' quel  suo  capitarlo;  tuttavia  deli- 

berarono d’inedutrere  non  pur  questo  ma  ogn^allro  più 

tetro  pericolo,  e serbare  vh-tuosameule  la  fede.  E poiché 

il  giorno  piegava  a sera;  datesi  vicendevoli  signiflcaziout 

di  affetto , uscirono  da'  padiglioni , e quindi  le  donne 

tornarono  a Rema.  Esitose  Marcio  agli  astanti  le  cause 

che  lo  inducevano  a scioglier  là  ,guerra  , e pregò  lun- 

gamente t sòldan  che'gb'el  condqnassero , e che  tornati 

in  patria  , ricordevoli  de’  suoi  beneQzj ,.  non''  permettes- 

sero essi  compagni  suoi , che  subisse  alcun  reo  tratta- 

mento dagli  altri.  Ej  ragionate  altre  cose , tutte  persua- 

sive , t:omandò  che  iaces^erq  le  b^gagHe , oude  partire 

la  notte  'seguentPi 


LVi  Coinè  seppero  dalla  fama  ,' percorsa  alle, donne, 

die  Icvavasi  il  pericolo  loro , uscirono  lietissimi  i Ro- 

mani dalia  dtlà  per  incohlcarle;  dicendo  e fàcendo  ora 

a cori,  ora  ad  uno  ad  uno,  salutazioni  e' cantici  e tri- 

pudj , quali  gli  latino  e li  dicono  quelli  che'  da  rischio 

terribile  passano  » prosperità  non  pensata.  Si  menò  poi 

Ja  notte  tutta'  In  feste  e conviti  : nel  giórno  appresso  il 

Senato  adunato  da  consoli  su  Marcio  dichiarò  che  si 

differisse  in  tempo  più  acconcio  a risolver  gli  onori  da 

farseglt  : ma.  che  per  lo  zelo  ditnostrato  sì  desse  alle 

donne  nc’ pubblici  antichi  registri  un  elogio  che  ne'por- 

tasse  eterna  la  memoria  , tra’  posteri , ed  un  donativo  , 



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LIBRO  Vili,  , -)3 


qual  sarebbe  il  pti\  car ed  ' ' 

i Romani  -colende  ; giorno  appunto  che  disciolse  la 


1 “ ^ , 


(i)  Cotiolano  si  approssioiò.due  volte  a Roma  j 'la  prima  volU 

ai  accampò  preaso  le  fosse  delle  Cluvìlie.-io  distaosa  di  ciitipie  mi- 

glia, e la  seconda  io  luogo  anche  piò  vicino  a Roma,  iiitburgio 

scrive,  che  io  questo  secondò  luogo  appunlo  fu  eretto  il  tempio  delta 

Fortiuia  Mulirhrc.  A questa  sci\tei]sa  sembra  corritpondero    ricchezze , noh  ricéVò  con  dispiacere  la  iùtérro* 

zvon  della  guerra , e^  favorendo  il  valentuomo , escu- 

savàlo  se  non  la  dltlmava,  mosso  daUe  prègbieve  e dalla 

compassion  della  madre.  Ma  la  gioveUtù  rimaka  nelle 

città,,  tocca  da  invidia  per.  le  grandi  prede  fatte  dalFe» 

scrci'to,  e’  delusa  delle  speranze  che  aveva,  se  prendei»^ 

dosi  Roma  ne  era  Oaccàto  l’orgoglio;  ne  fremette , e 

fi  esulcerò  contrd'del  capitano.  £ finalmente  assunti,  per 

ca|)i  della  scellcrsgginc  uomini-  .potentissimi  tra  quelle 



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DELLE  A^ITICHITA’  BOMANE 

genti , imbarbarì  , e commise  nn  indégnissimo  fatto.  Isti- 

gavala  aoprattattO  Azzio  Tulio  circondato  da  non  pochi 

di  ogni  città.  Costui  non  polendo  più  la  invidia  sua 

contro ‘Marcio*;  aveva  già  da  uii  tempo  risolato  di  uc- 

ciderlo occultamente  e frt^dolentemeote , se  quel  duce 

xiuscendo  ne’  disegni e 6accando  Roma  tort^Va  - dal 

sottometterla  ai  Volsci  , o di  darlo  manifestamente  ai 

suoi  partigiani  ^d  ucciderlo  come  traditore,  se  falliva 

nella  impresa , è tornavane  senza  l’ intento.  Ora  ciò  fece 

appunto.  Imperocché ' convocando  gente  non  poca;  le 

accusò  quel  .valentuomo  argomentando  dal  vero  il  falso, 

e conghietturando  dalle  cose  già' state,  quelle -che  non 

sarebbero  mai  t poi  comandò  che  deponesse  il  comando, 

e desse  conto  del  suo  capitanato.  Once  costui  delle 

truppe  rimaste  nelle  città , come  ho  detto  di  sopra,  ‘era 

l’arbitro  di  raccogliere  le  adunanze,  e di  chiaipare  chi 

voleva  in  giudizio.  ' ' ■ [ . ' . ■ • ‘ 


' LYilI.  Marcio  giudicava  non*  dover  contrapporsi  a 

ninna  delle  dué  intimazio.ni  ; solamente  discordava  nel 

metodo  di  soddisfarvi  ; 'credendo  che  égli  dovesse  prima 

dar  conto  de’  fatti  della  ' guerra , e pqi  deporre , se 

così  paresse  a tutti  i 'Volséi , il  comando.  Affermava 

che  non  dovesse  di  tanto  esser  arbitra  una  sola  città 

corrotta  in  gran,  parte 'da  Tulio;  ma  tutta  la  nazione, 

raccolta  in  comizj  legittimi , ove  fossero  spediti  deputati 

da  'ogni  . città,  come  portava  il  'costucrie,  quando  aveansi 

a discutere  i grandi  jeffari.  Opponevasi  a ciò  Tulio,' ben 

vedendo  cbe  se  Marcio , ahroòde  parlatore , facciasi  tra 

la  pompa  di  capitano  a dar  conto  delle 'tante  e belle 

sue  gesta  trionferebbe^ della  moltitudine  ; c non' cbe  su- 



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• LIBRO  VITI.  ■ 77 


hire  le  pene  • de’ traditori , ne  diverrebbe  più  onorato  e 

)>iù  grande.  Impe^occbé  ’ sarebbero  per  concedergli  tutti 

che  solo  finisse  a piacer  suo  la  guerra  , ed  arbitro  re» 

stereljbe  di  ogni  cosa.  Adunque  per  molto  tetnpo  se  no 

suscitarono  ogni  giorno  dicerie  vicendevoli , e reclami 

in  Senato,  éd  altercazioni  vive  nel  Foro  ; uou  essendo 

lecito  a niun  di  essi 'far  violenza  all’ altro  , garautito 

dalla  dignità  pari  della  magistratura,.  Or  poiché  non 

dovasi  fine,  alla  disputa  ; Tulio  comandò  a Marcio  di 

venire  in  dato  giorno  a deporre  il  suo  gradò,  e sotto- 

mettersi ai  proressi  di  tradimento,  E sollevati  eon  lu- 

singhe' di  benefizi  > uomini  audacissimi , e messili  per 

capi  della  scellcraggiuc  indegna;  si  portò  nel  Foro  de- 

stinato. 'Asceso  ' nel  tribunale  accusò  Marcio  con  tòòlte 

incolpazioni  ; ed  istigò  la  moltitudine  a'  degradarlo  a 

fo4'za , se  spontaneo  non  lasciava  il  comando. 


' LIX,  Accese  Marcio  anch’  esso  per;,  far  le  difese  ; ma 

ì grandi  clamori  de’ seguaci  di  Tulio  gli  tolsero  di  par- 

lare. Dopo  ciò  gridandosi:  {ira , ferisci , lo  efreonJa- ' 

rouo , e con  .nembo  di  sassi  lo,  uccisero  uomini  inso-, 

lentissimi.  Ed  essendo  lui  strascinato  Foro  , quelli 

che  erano  presenti  allo  spettacolo,  e quelli  che  Vi  so- 

pravvennero dopo  eh’  egli  erst  spirato  , deplorarono  il 

valeniaoiiio  ; perchè'  non  degna  avea  da  loro  la  ricatu- 

pensa.  E Hdiceano  quanto  bene  avea  fatto  al  comune, 

e r arresto' .voleanO  degli  uccisoci,  perchè  dato.aveano 

esempio  di  opèra.  ingiusta,  e lesiva  delle  '.città,  spe- 

gnendo senz’iimmelterne  le  difese  violentemente  un  di 

loro , c questo , , comaudante.  Ne  fremeauo  soprattutto 

i compagni  di  lui  uclle  spedizioni.  E poiché  non  erano 



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^8  DELLE  Antichità’  romane 


stati  da  tanto  d’ impedirne  i mali-  mentre  viveva  ; delU 

berarono  riconoscerlo  de’benefizj,  almeno  dopo  la  mor- 

te; recando  al  Foro  quanto  alla  deliha  onorificenza  ri- 

cluedesT  de’'valentoomini.  Quando  lutto  fu  pronto  > col- 

locarono lui  con  veste  di  capitano, su  letto  vaghissima- 

mente ornato  : poi  facendo  precedere  quelli  che  reca- 

vano le  prede,  le  spoglie,  le  cotone,  le  immagini  delle 

citli  prese  da  lui  ; ne  sollevarono  il  feretro  i giovani 

più  segnalati  fra  le  armi.  Lo  portarono  al  sobborgo  più 

ragguardevole  , accompagnandone  il  cadavere  i 'cittadini 

tutti  con  gemiti  e la^inDe.  uomo  il.  più  grande 

di  tutti  'al  suo  tgmpo'  nelle  armi.  Continente  da  lutti  i 

pacetri  che  traspòrUmo  i giovani  , seguiva 'la  giustizia 

ifon  involontario  per  le  leggi  che  forzano  col  timore 

de’ supplizi',  ma  spontaneo,  come  per  inclinazione  d’in- 

dole bennata.  Non  tenea  per  virtù  non  offendere  ; e 

bramava  non  solo  di  esser  puro  egli  stestd  da  ogni 

malfare,  ma  credea  giusto  di  astringervi -anche  gli '^allri. 

Magnanimo' , liberale , intentissimo  a soccorrere  quando 

cpnoscevalo , il  bisogno  degli  amici , npn  era  inferiore 

a ninno  de’  patrizj  nel  roaneggio.del-  pnbblico.  C se  fa 

sedizione  della  città  non  lo  avesse  impedito  da'  pubblici 



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LIBRO  Vili. 


•(Tari , forse'  Roma  preso  avrebbe  da'  regolamenti  suoi 

grande  aògumeolo  d’iiQpero.  Ma'già.  non  può  farsi  cbe 

tuKe  le  virtù  si  uniscanó  nella  natura  di  un  nomò  ; nè 

da  seme  mortala  e caduco  sorgerà  mai  niutlo  per  ogni 

parte  peidetto. 


LXI.  Il  ‘destino  che  ' propizio  area  sparso  in  esso  i 

germi  di  tali  virtù«^  vé  ne  mise  alfiri  ancora  di  sciagure 

e dì  mali.  Non  era  dolcezza  nè  illarità  ne’ suoi  modi, 

non  degnevolezza  ne*  salmi  e ne’  colloqui , ..  non'  facilità 

di  placarsi , non  moderazione  nell’  ira  se  contro  alcnno 

la  concepisse , grazia  in6ne,  quella  «die  adorna  tmte 

le  nmane  cose.  ¥élnto  lo  avresti  sempre  difficile,  e 

sempre  acerbo,  f^ocquero  a lui  mólto  tali  maniere,  e 

soprattutto  la  severità  sua  ^moderata,' incredibile,  e senza 

scintilla  mai  di  chnuenza  ne|)ar  custodia  dei  giusto  e delle 

leggi.  Ma  ben  sembra  vero  il  detto^d^  filosofi  antichi , 

che  le  virtù  specialmente  quelle  delia  giustizia , . sono 

moderàzioni , e non  estremità  de  costumi  : perocché 

sia  che  la  ginstizia  manchi  dal  mezzo  , sia  'che  lo  ec- 

ceda ; non  più  giova  i mortali , cagionando  talvolta  gran 

danni , e ridùcendo  a stragi  > miserande , ed  immedica- 

bili inali.  Nè  fu  cbe  la  troppo  sollecita  e troppo  austera 

esigenza  del  giusto  la  quale  ridusse  Marcio  fuori  della 

patria,  e senza  il  frutto  delle  altre  belle  sue  doti.  Po- 

tendo- piegarsi  per  atòunà  maniera  al  popolo,  e lasciare 

qualche  cosa  af  loro  desiderj  e divenire  il  primo  fra 

loro  ; non  volle  : ma  contrariandoli  in  qualunque  cosà  ' 

la  quale  ad  essi  non  si  dovea,  se  ne  concilò  l’ odio , c 

fu  cacciato  dalla -patria.  Potendo,  appena ^ sciolse  la 

guerra,  lasciare  il  comando  deifarmata,  e trasferire  al- 




8o  ì)Et,LE  antichità’  ROMANE 


trove  la  sua  dirnora  , Gncbè  gli  fossi!  conceduto  il  ri« 

torno  alU  patria,  anzi 'che  esporre  ^ stesso  à nemici, 

ed  alle  stoltezze  della  moltitudine  ; ne  vide  la  necessità 

di ‘farlo  , e non  volle.  Ma  giudicando 'dovere  affidare 

sè  stesso  a chi  gli  aveva  affidata  T armata , .c  conto 

del  suo  capitanalo,  e se  irovavasi.  reo  di  co.sa  alcuna 

subirne  le  pene  secondo  le  leggi;  raccolse  amaro  U 

frano  di  tanta  giustizia.  • i 


LXII.  Pertanto  sé  col  disciogìiersi  de’  corpi  aiicUo 

l’anima,  qualunque' cosa  ella  sia,  si  discioglic,  né  punto 

ne  so^ravvanza;  io  non  vedo  come.- chiamare  beati 

quelli  elle  non  goderono  della  loro  virtù  niun  frutto, 

anzi  pci*^  essa  perirono.  M.i  se  le  anime  nostre  ’Soprav-* 

vivono  Immortali  affatto  come  pensano  alcuni  ;'0  qùal- 

ebe  tempo  almeno  dopo  la  .-partenza'  loro  dal  corpo,  il 

più  lungo  quelle  do’,  buon;  , ed  .il  più  breye  quelle  dei 

malvagi  (it;  certo  parrà  beq  grande  ai.  virtuosi  l’ onore 

che  li  seguita,  loipérocclié  sebbene  la  fortuo»' stasi  loro 

contrapposta;  avranno  buona  fama  e langbissima  la  ri« 

cordanza  tra’ vi vanti,  come  appunto  ' accadde  a questo 

uomo.  Perocché  non  solaincute  ’mofto  io  piansero  e Io 

onorarono,  i Yolsci  come  virtuosissimo;  ma  li  Romaui , 

conosciutone  appena  il  caso , riputandolo  sciagura  altis- 

sima di  Roma , ne  fecero  pnvalo  e pultbJ/co  lutto.  Le 

donne  come  usano  in  morie  dei  domestici  loro  amaiis- 

s.ifni , lasciarono  da  un  canto  l’ oro , la  porpora  , ei 


• V . 


(i)  [1  Vossio  nel  lil>*  i ^ de  IJoloturia  dctltice  d»  f|iicslo  passo 

ch^  Diouigi  crcdctle  che  le  auhne  esùtono  J«pu  !a  tnofie  del  colpo 

ma  solo  -per  un  tempo  limitalo  ; e per  ciò  lo  ridice  nella  classe  dt 

(|iicl!i  che  pensavano  quaulu  alla  durazioue  delle  anime  come  gU  Stoici» 




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LIBRO  Vili.  8 I 


atterono  fra  loro  senza  re- 

gola, senza  comando,  misti  e confusi:  tanto  che  grande 

ne  fu  la  strage  in  ambe  le  parti  ; e forse  totale  ne  sa- 

rebbe stata  la  rovina , se  il  sole  non  tramontava.  Ma 

cedendo  , loro  malgrado , alla  notte , che  inipedivali  di 

contendere  , separaronsi , ed  alloggiaronsi  ciascuno  nel 


(i)  Aa.  di  Ruma  aGG  secondu  Catoue,  aGS  secoudu  V'arrooe , e 

48G  8T.  Cristo. 


DJONICI  . tomo  Iti.  fi 



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8a  DELLE  antichità’  ROMANE 


proprio  campo.  La  maltina  i duci  lerando  le  truppe  si 

ricondussero  alle  loro  case.  Udirono  i consoli  dai  diser.- 

tori  e da  altri  divenuti  prigionieri  col  fuggire  dalla  bat- 

taglia , qual  furia  e quale  flagello  divino  fosse  nell’eser- 

cito; non  però  colsero  la  occasione  tanto  a proposito 

per  essi  non  lontani  più  di  trenta  stadi,  nè  gl’  incalza- 

rono nella  ritirata  : nel  qual  tempo  se  essi  freschi , in 

buon  ordine , avessero  perseguitato  gli  emoli  stanchi , 

feriti,  confusi,  e già  pochi  di  molti,  di  leggieri  gli 

avrebbero  totalmente  distmtu.  Sciogliendo  aneli’  essi  il 

campo,  tornarono  in  patria  sia  che  fossero  paghi  del 

bene  dato  loro  dalla  fortuna , sia  che  non  fidassero  su 

r annata  loro  non  disciplinata , sia  che  assai  valutassero 

il  perdere  anche  pochi  soldati.  Ma  giunti  in  città  vi 

furono  vituperati , riportandovi  fama  di  pusillanimi  per 

tale  condotta.  Mè  facendo  altra  spedizione , rassegnarono 

il  poter  loro  a’  consoli  susseguenti. 


LXIV.  Presero  l’ anno  appresso  il  consolato  Cajo 

i^quilio  e Tito  Siccio  , uomini  periti  di  guerra  (i).  E 

facendo  questi  proposizioni  di  guerra;  il  Senato  decretò 

che  si  spedisse  un’  ambasceria  per  chiedere  soddisfazione 

secondo  le  leggi  dagli  Ernici,  popolo  amico  e confede- 

rato, il  quale  aveva  offesa  Roma  nel  tempo  della  guerra 

de’  Volsci  e degli  Equi  con  prede  e scorrerie  su  le 

terre  contigue  : e decretò  che  intanto  che  ne  avessero 

la  risposta  i consoli  iscrivessero  milizie  quante  ne  pote- 

vano , convocassero  con  messaggi  gli  alleati  , ed  appa- 

recchiassero sollecitamente  col  mezzo  di  molti  ministri 


(■)  Ao.  di  Roma  a07  secondo  Catone,  369  secondo  Varrooe, 

e 485  av.  Cristo. 



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LiDno  vili.  83 


armi  , grano , (lanari , e quanto  è necessario  ()cr  la 

guerra.  Tornali , cspcKero  gli  ambasciadori  le  risposte 

degli  Ernia,  i quali  diceano  non  esservi  pubbliche  con- 

venzioni tra  loro  e tra’  Romani  , e che  pensavano  già 

sciolte  quelle  che  vi  furono  tra  loro  e tra  Tarquinio  , 

come  detronizzato  , e morto  in  terra  straniera  : che  le 

prede  e le  incursioni  non  furono  ingiustizie  del  pub- 

blico, ma  di  privati  intesi  al  guadagno:  e che  non  do- 

veano  però  nemmeno  gii  autori  di  quelle  consegnarsi  al 

supplizio:  e lamentandosi  che  avessero  anche  gli  Eroici 

patito  altrettanto  ; signiQcavano  che  volentieri  accette- 

rebbero la  guerra.  Il  Senato , ciò  udendo , decretò  che 

si  dividessero  in  tre  parti  le  nuove  reclute  descritte:  che 

il  console  Cajo  Aquilio  marciasse  coll’  una  sugli  Eruict 

già  in  arme  aneli’ essi:  che  Tito  Siccio,  l’altro  console, 

ne  andasse  coll’ altra  su  i Volsci  : che  Spurio  Largio  , 

nominato  da’  consoli  comandante  della  città  , prend 

cero  ciò  primi  li  Volsci  ; e ben  tosto  la  ottennero  ; 

dando  l' argento  multato  dal  console , e somministrando 

quani’  altro  bisognava  all’  esercito  ; dopo  avere  promesso 

che  sarebbero  ì sudditi  de’  Romani,  né  più  da  tali  ao> 

cordi  si  leverebbono.  In  ultimo  gli  Eroici  vedutisi  rima- 

sti soli , trattarono  coi  console  di  amicizia  e di  pace. 

Ma  Cassio  assai  richiamandosi  di  essi  con  gli  ambascia- 

dori  , disse  , che  prima  doyeano  far  quanto  conviene 

ai  vinti  ed  ai  sudditi,  e poi  discorrer  di  pace;  e 

soggiungendo  gli  ambasciadori  che  lo  farehhono  se 

moderata  e possibile  ne  fosse  la  esecuzione , co- 

mandò loro  che  gli  portassero  in  grasce  i viveri  di  un 

mese,  ed  in  argento  la  somma  onde  stipeudiarue  t sol- 

dati secondo  il  solito  per  sei  mesi:  e definendo  un  nu- 

mero di  giorni  entro  cui  potessero  tutto  apprestatali  ; 

concedette  intanto  ad  essi  una  tregua.  Presentarono  gli 

Ernici  ogni  cosa  con  prestezza  ed  impegno,  e spedirono 

di  bel  nuovo  i parlamentar]  di  pace.  Li  lodò  Cassio  c 

li  rimise  al  Senato.  Ne  deliberarono  i padri  a lungo;  e 

piacque  loro  che  si  ammettessero  questi  all’ amicizia,  c 

Cassio  il  console  esaminasse  , e decidesse  le  condizioni 

de’  trattati  da  conchiudersi.  Approverebbero  i padri  cioo- 

ch’  egli  ne  stabiliva. 


LXIX.  Prescritto  ciò  dal  Senato;  Cassio  tornando  in 

città  chiedeva  un  secondo  trionfo  per  aver  sottomesso 

i popoli  più  riguardevoli  : ant>gavasi  però  quest’  onore 

per  le  aderenze , piuttosto  che  di  giustizia  lo  ricevesse. 



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LIBRO  Vili.  91 


tinperocchc  non  avendo  nè  prese  città  per  assalto,  nè 

disfatti  eserciti  in  campo  aperto  ; non  potca  menar  seco 

in  spettacolo  i prigionieri  e le  spoglie  che  sono  gli  or- 

namenti dei  trionfi.  Ma  lo  amare  il  piacer  suo  ; non  le 

risoluzioni  simili  a quelle  degli  altri , gli  concitò  subi- 

tissima invidia.  Impetrato  il  trionfo  pubblicò  la  concor- 

dia , com’  aveala  firmala  con  gli  Eroici.  Erano  le  con- 

dizioni trascritte  da  quella  conchiusa  già  co’  Latini. 

Dicchè  mollo  si  dolsero  i più  provetti  ed  autorevoli , e 

tennero  lui  per  sospetto , sdegnati  che  gli  Eroici , estra- 

neo popolo , fossero  pareggiati  di  onore  ai  Latini  loro 

congiunti  ; e quelli  che  dato  non  aveano  neppur  minimo 

segno  di  benevolenza  partecipassero  le  cortesi  retribu- 

zioni di  chi  tanti  dati  ne  avea.  Soffrivano  ancora  di 

mal'  animo  la  superbia  di  quest’  uomo , perché  onorato 

dal  Senato  non  aveali  a vicenda  onorati , fissando  e 

pultblicando  i patti  come  glie  ne  parve  ; non  di  concerto 

comune  coi  padri.  Così  la  troppa  felicità  nuoce , non 

giova  ; divenendo  insensiòilmente  per  molli  cagione  di 

orgoglio  incredibile,  e stimolo  di  desiderj  superiori 

alla  natura;  come  avvenne  a costui.  Condecorato  al- 

lora dalla  città  egli  solo  fra  tutti  con  tre  consolati  e due 

trionfi  ampliava  l’ onorificenza  sua , ambizioso  del  regio 

potere.  Considerando  però  che  la  via  più  sicura  per  chi 

ambisce  il  regno  e la  tirannide  è quella  di  guadagnare 

il  popolo  co’benefizj,  e di  costumarlo  ad  essere  alinien» 

tato  da  chi  dispensa  le  pubbliche  cose  ; a questa  si  ri- 

volse , e senza  manifestarsene  ad  alcuno.  E perocché  ci 

aveva  un  terreno  amplissimo  del  comune  ma  trascurato 

e goduto  da^  ricchi  ; deliberò  di  compartire  questo  tra’l 



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92  DELLE  Antichità’  romane 


popolo.  E se  contentato  si  fosse  di  procedere  fin  qui  ; 

forse  riuscito  sarebbe  ue’ disegni.  Ma  trasportatosi  a trop- 

po ; cagionò  sedizione  nou  picciola , e fine  sciaurato  a 

sestesso.  Imperocché  presunse  congiungere  alla  divisioa 

del  terreno  non  pure  i Latini  ; ma  gli  Ernici , ricevuti 

ultimamente  per  cittadini. 


LXX.  Tali  cose  ideando  a conciliarsi  quelle  nazioni, 

convocò  nel  glotoo  dopo  il  trionfo  il  popolo  a parla- 

mento. Quindi  asceso  in  tribuna  com’  è 1’  uso  de’  trion- 

fatori , prima  dié  conto  delle  opere  sue,  delle  quali  era 

la  sostanza  : che  fatto  console  Ut  prima  %>oUa  vinse  i 

Sabini,  e li  rendè  sudditi  a Roma  alla  quale  dispu- 

tavano il  comando  : che  fatto  console  per  la  seconda, 

racchetò  la  civil  sedizione , e restituì  la  plebe  alla  pa- 

tria : e ridusse  amici  e (compartecipi  della  cittadinanza 

di  Roma,  i Latini  che  erano  consanguinei,  ed  emoli 

eterni  delt  impero  e della  gloria  di  lei;  tantoché  non 

più  la  contrariarono , ma  riguardarono  Roma  come 

patria  loro.  Chiamato  la  terza  volta  al  consolato  ne- 

cessitò li  V ilsci  ad  essere  amici , di  nemici  che  erano, 

colle  armi,  e sottomise  spontanei  gli  Ernici,  popolo 

vicino,  grande,  potente,  ed  attissimo  a nuocer  molto, 

o giovare.  Eisponendo  queste  e simili  cose  chiedeva  al 

popolo  che  attendesse  a lui , provido  soprattutti  ora  e 

per  sempre  della  repubblica , e chiudendo  il  discorso 

disse  che  farebbe  e tra  non  molto  tali  e tante  benefi- 

cenze che  supererebbe  quanti  erano  encomiati  di  aver 

amato  e salvato  il  popolo.  Oisciolta  1'  adunanza  invitò 

nel  giorno  appresso  a raccogliersi  il  Senato  sospeso  e 

timoroso  pe’ delti  antecedenti  di  lui.  Prima  di  ogni  altra 



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LIBRO  Vili. 



93 



cosa  propose  un  tal  suo  sentimento  tenuto  occulto  alla 

plebe  , e chiese  ai  padri  che  giacché  questa  era  stata  si 

utile  per  la  libertà  dando  mano  a farli  dominare  su  gli 

altri , prendessero  cura  di  lei  e le  dispensassero  il  ter- 

reno , pubblico  in  sestesso  per  essere  acquistalo  colle 

armi , ma  goduto  in  fatti  senza  niun  dritto  da  patrizj 

impudentissimi  : e poi  chiese  che  si  rendesse  dal  pubiuale  fu  sopraimominaiu  Poplicola. 



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102  DELLE  antichità’  ROMANE 


potenti  per  aderenze  e ricchezze  , e tutto  che  giovani  , 

non  inferiori  a niun  pari  loro  nei  trattare  le  pubbliche 

cose  esercitavano  la  questura.  Ed  arbitri  per  questo -di 

intimar  le  adunanze  accusarono  al  popolo  con  incolpa» 

zioni  di  tirannide  Spurio  Cassio  il  console  dell’  anno 

precedente,  che  osò  d’introdurre  le  leggi  su  la  partizione 

delle  campagne  ; e • preGggendogli  il  giorno,  lo  citarono 

a giustiCcarsene  presso  del  popolo.  Adunatasi  nei  giorno 

prescritto  gran  gente  essi  invitandola  ad  ascoltare  di- 

mostrarono che  le  opere  manifeste  di  quest’  uomo  non 

comprendeano  nulla  di  buono  : primieramente  perchè 

mentre  i Latini  appagavansi  di  essere  ammessi  alla  cit- 

tadinanza , e riputavano  sommo  il  favore  se  la  ottene- 

vano; egli  console  non  solamente  concedè  la  cittadinanza 

che  dimandavano,  ma  decretò  che  si  desse  loco  il  terzo 

delie  spoglie  della  guerra,  se  in  comune  la  sostenessero: 

secondariamente  perché  rendette  amici  in  luogo  di  sud- 

diti , concittadini  in  luogo  di  tributar)  gli  Eroici  che , 

vinti , doveano  ben  esser  contenti  se  non  erano  dan- 

neggiati  collo  smembramento  delle  lor  terre;  anzi  ordinò 

che  si  desse  loro  pur  la  terza  parte  delle  prede  e 'Tlelle 

campagne  che  fossero  mai  per  conquisure.  Tanto  che 

divisa  la  preda  in  tre  parti  doveano  i sudditi  e foresuerì 

pigliarne  due  parli  , ed  i paesani  e padroni  una  sola. 

Dimostravano  che  da  questi  due  assurdi  ne  segnirebbe 

r uno  o altro , se  volessero  pe’  molti  e segnalati  servigi 

condecorare  un  altro  popolo  come  i Latini,  o come  gli 

Eroici  che  ninno  prestato  ne  aveano,  vuol  dire:  o che 

non  avrebbero  che  dar  loro  (i)  , o se  volessero  pareg- 


(i)  Il  lesto  di  Rciske   si  togUmero 

e confiscassero  i beni  del  padre  che  ne  avea  svelato  le 

brighe  per  la  tirannide  ; e per  questo  io  decidomi  piut- 

tosto per  la  prima  narrazione.  Le  ho  nondimeno  riferite 

ambedue,  perchè  coloro  che  leggono  aderiscano  a quale 

più  vogliono. 


LXXX.  Insistendo  poscia  alcuni  perché  si  uccides- 

sero i figli  ancora  di  Cassio;  parve  al  Senato  aspra  la 

inchiesta  nè  utile.  E congregatosi  decretò  che  si  rila- 

sciassero , c vivessero  sicurissimi  da  esilj  , da  infamie  , 

da  ogni  sciagura.  Da  quel  fatto  si  stabili  tra’  Romani 

r uso  , custoditovi  fino  a’  miei  giorni , che  vadano  im- 

muni da  ogni  pena  i figli  di  padri  delinquenti , sian 

essi  figli  di  tiranni , di  parricidi  o di  traditori , che  tra 

loro  è il  massimo  dei  delitti.  E quelli  che  vicini  al  no- 

stro tempo , circa  il  fine  della  guerra  Marsia  , e della 

guerra  civile  dandosi  ad  abolire  quest’  uso , impedirono 

finché  dominarono  che  i figli  dei  proscritti  da  Siila 

giungessero  agli  onori  paterni  e prendessero  posto  in 

Senato  , sembrarono  far  opera  degna  della  esecrazione 

degli  uomini , e della  vendetta  de’  numi.  Perocché  col 



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LIBRO  vin.  107 


volger  degli  anni  raggiunse  loro  la  giustizia , vendica- 

trice non  riprovata , per  la  quale  furono  dal  colmo  della 

gloria  precipitati  ai  fondo  delia  miseria;  non  lasciandosi 

del  lignaggio  loro  se  non  la  prole  nata  di  femmine.  E 

colui  (i)  che  li  distrusse  riordinò  quei  costume  com’era 

ne’ prìncipi.  Pfeaso  di  alquanti  greci  però  non  è così 

mite  il  costume;  perchè  alcuni  credono  giusto  che  i 

gli  de’  tiranni  co’  tiranni  finiscano;  ed  altri  con  perpetuo 

esilio  li  punistxtno;  quasi  non  consenta  la  natura  che 

sorgano  figli  buoni  da’  padri  rei  ; nè  figli  rei  da  buoni 

padri.  Ma  su  ciò  lascio  che  altri  discuta,  se  migliore  è 

l’uso;  de’  Greci  o migliore  quel  de’  Romani  : ed  io  pro- 

sieguo la  storia. 


LXXXI.  Dopo  la  morte  di  Cassio  i fautori  del  co- 

mando de’ pochi  divennero  più  baldanzosi,  e spregiatori 

del  popolo.  Laonde  gl’  ignobili  per  nome  e sostanze  se 

ne  abbatterono  ; accusando  molto  sestessi  di  stoltezza  , 

perchè  aveano  colla  condanna'  di  lui  distmito  il  custode 

fidissimo  della  fazion  popolare.  Era  questa  la  causa  per 

la  quale  i consoli  non  eseguivano  il  decreto  de’ senatori 

pel  quale  doveano  eleggere  i dieci  che  determinassero 

la  terra  pubblica  , e riferire  in  Senato  quanta  parte  ne 

fosse  da  dividere , ed  a quali  persone.  Adunque  si  te- 

nean  de’  crocchi  mormorandovisi  in  ciascuno  so  l’ in- 

ganno , ed  incolpandovisi  più  che  tutti  i tribuni  pre- 

cedenti come  traditori  del  comune  ; slmilmente  faceansi 

dai  tribuni  d’  allora  continue  le  adunanze  e le  richieste 

della  promessa.  Or  ciò  vedendo  i consoli  deliberarono 

rimovere  col  pretesto  di  guerra  la  parte  sediziosa  della 

(1)  Aagatto. 



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Io8  DELLE  .antichità’  ROMANE 


città  ; percccbé  di  qae*  tempi  il  territorio  era  iofesiato 

da’  ladronecci , e dalle  scorrerie  de*  popoli  circonvicini. 

Adunque  per  far  la  vendetta  degli  aggressori  aveano 

inalberato  i segnali  di  guerra , ed  iscriveano  le  milizie 

della  città.  Ma , non  dando  i poveri  il  nome  loro,  non  • 

potevano  astringervi  a nonna  delle  leggi  gl*  indocili  , 

{jerocchè  li  tribuni  proteggevano  la  moltitudine , e lo 

avrebbero  impedito,  se  altri  tentava  portar  la  violenza 

su  le  persone  , o le  robe  di  chi  ricusava.  Adunque 

lanciarono  i consoli  molte  minacce , che  non  permette» 

rebbero  che  alcuno  rivoltasse  la  moltitudine  ; e sveglia- 

rono ne’  cuori  un  secreto  sospetto  che  nominerebbero 

un  dittatore  il  quale  sospendesse  tutti  gli  altri  magistrati, 

ed  avesse  egli  solo  un  potere  supremo  ed  irrefragabile. 

In  tale  apprensione  i plebei  temendo  che  il  dittatore 

fosse  Appio , uomo  duro  e dlflìcile , piegaronsi  a sof- 

frire ogni  cosa , piuttosto  che  questa. 


LXXXII.  Descrittone  il  molo , i consoli  presero  le 

milizie , e marciarono  su  l’ inimico.  Gettatosi  Cornelio 

nel  territorio  de’Vejenti  ne  portò  via  la  preda  sorpre- 

savi. Allora  i Yejenti  spedirono  ambasciadori , ed  egli 

rilasciò  loro  i prigionieri  per  date  somme,  e concedè 

la  tregua  di  un  anno.  Fabio  coU’altr  armata  piombò  su 

la  terra  degli  Equi  , e quindi  su  quella  de’  Volsci.  Pa- 

zientarouo  i Yolsci  alcun  tempo,  ma  non  molto,  che 

fossero  i campi  loro  predati  e devastati:  poi  spregiando 

i Romani  come  venuti  con  armata  non  grande  impu- 

gnarono in  buon  numero  le  armi , ed  uscirono  su  le 

terre  degli  Anziati  per  Incontrarli  : se  non  che  ne  an- 

darono anzi  precipitosi  che  savj  : perocché  se  giunge- 



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LIBRO  Vili.  109 


vano  inaspettati,  e K>rprendeano  i Romani  mentre  erano 

qua  e là  dispersi;  ne  avrebbero  assai  variato  le  vicende; 

ma  il  console  istruito  del  giunger  loro  dagli  esploratori, 

richiamò  bentosto  i suoi , sbandati  com’  erano , da’  fo- 

raggi , e dié  loro  la  ordinanza  conveniente  alla  guerra. 

Come  i Volaci  che  .-venivano  confidando  e spregiando, 

videro  fuori  dell’  imaginazione  tutte  le  forze  nemiche 

ordinate  e raccolte , sbalordirono  alio  spettacolo  inopi- 

nato : nè  più  curando  la  salvezza  comune , provvide 

ognuno  alla  sua,  e dando  volta,  con  quanto  aveàno  di 

velocità,  fuggirono  tutti  chi  per  una  e chi  per  altra  via; 

salvandosene  la  maggior  parte  nella  città  (i).  Solamente 

nu  picciolo  corpo  il  quale  era  più  che  gli  altri  ordinato 

ritirandosi  alla  cima  di  un  monte  , quivi  pose  le  armi 

e vi  pernottò.  Ma  ne’  giorni  seguenti  essendo  dal  con- 

sole circondala  1’  altura  e chiusene  tutte  le  uscite , ne- 

cessitato dalla  fame  si  sottomise  , e cedette  le  arme.  11 

I console  fe’  vendere  pe’  questori  quanto  vi  era  , prede  , 

spoglie,  prigionieri,  onde  riportarne  danaro  alla  patria. 

Non  molto  dopo  levò  1’  esercito  dalle  terre  nemiche  e 

a suoi  lo  ricondusse  , ornai  standosi  1’  anno  per  termi- 

nare. Giunto  il  tempo  da  creare  i magistrati , i patrizj 

che  vedevano  il  popolo  irritato  e pentito  della  condanna 

di  Cassio  , deliberarono  di  sopravvegliare  perchè  non 

facesse  movimenti  elevato  di  nuovo  a speranze  di  do- 

nativi e di  divisioni  di  terre  da  taluno  che  prendesse 

gli  onori  consolari  pieno  della  facondia  per  aringarlo 

e travolgerlo.  Parve  loro  che  se  il  popolo  desiderasse 

ponto  di  ciò,  potesse  impedirsegli  con  eleggere  un  con- 

(1)  Adiìo. 



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110  DELLE  antichità’  ROMANE 


sole  ad  esso  non  £tvorevole.  Ck>nchiuso  ciò  confortano 

perchè  aspirino  al  consolato  Fabio  Cesone  1’  uno  degli 

accusatori  di  Cassio»  fratello  di  Quinto,  console  attuale^ 

e Lucio  Emilio  » altro  patrizio  propensi^mo  agli  Otti» 

mali.  Non  potendo  il  popolo  impedir  questi  due  che 

aspirassero  al  consolato , usci  dal  campo  e si  levò  dai 

comizj.  Perciocché  ne’comizj  centuriati  tutto  il  poter 

de’snfiragj  assorbivasi  da’ cittadini  più  illustri  e primi  di 

ordine  ; e di  raro  cosa  alcuna  si  decideva  col  voto  an- 

cora delle  centurie  intermedie  di  ordine:  la  classe  estre- 

ma poi  nrila  quale  votava  la  parte  più  misera  e più 

numerosa  non  avea , come  innanzi  fii  detto,  se  non  un 

voto  solo  , il  quale  era  1’  ultimo. 


LXXXIII.  Adunque  negli  anni  dugento  settanta  dalla 

fondazione  di  Roma  (i)  essendo  Nicodemo  1’  arconte  di 

Atene  divennero  consoli  Lucio  Emilio  figliuolo  di  Ma- 

merco,  e Fabio  Cesone  figliuolo 'di  Cesone.  Ora  suc- 

cedette loro  secondo  il  desiderio  di  non  essere  pertui> 

bati  da  sedizioni  civili;  per  essere  la  repubblica  investita 

di  fuori.  E le  cessazioni  delle  guerre  esterne  sogliono 

rieccitare  le  nazionali , e dimestiche  tra’  Greci , tra’  bar* 

bari,  e dovunque,  principalmente  tra’ popoli  che  vivono 

Ira  le  armi  e i travagli  per  amore  della  bbertà  e del 

comando  ; perchè  gli  animi  avvezzi  a bramare  ognora 

più , ridotti  senza  gli  esercizj  consueti  difficilmente  si 

contengono.  Su  tal  vista  comandanti  savissimi  fomentano 

sempre  alcuna  discordia  cogli  esteri;  giudicando  migliori 

le  guerre  nelle  regioni  altrui  che  nella  propria.  Allora 


(i)  Anni  di  Roma  ^70  secondo  Giatonc,  373  secondo  Varrone, 

e Cristo. 



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LIBRO  Vili.  I 1 I 


fecondo  il  genio  appunto  de’  consoli , occorsero  come 

bo  detto,  le  insurrezioni  de’ sudditi.  Imperocché  li  Volsci 

sia  che  hdassero  ne’juoti  interni  di  Roma,  contendendo 

il  popolo  co’  magistrati  ; sia  che  fremessero  per  la  infa- 

mia della  precedente  disfatta,  ricevuta  senza  combattere; 

sia  che  insuperbissero  per  le  forze  loro  che  eran  gran- 

dissime;* sia  che  seguissero  tutte  insieme  queste  cagioni; 

aveano  deliberato  ikr  guerra  ai  Romani.  E raccogliendo 

i giovani  da  tutte  le  dtté  marciarono  con  parte  dell’e- 

sercito contro  le  città  de’  Latini  e degli  Ernici , e col- 

l’ altra  che  era  la  più  numerosa  e più  forte  teneansi 

pronti  a ribattere  chiunque  si  avanzasse  contro  le  loro. 

1 Romani  ciò  saputo  deliberarono  dividere  1’  armata  in 

due  corpi,  e guardare  con  uno  le  terre  degli  Ernici  e 

de’  Latini  , e correre  coll’  altro  a depredare  quelle  dei 

iVolsd. 


LXXXIV.  Avendo  i consoli , com’  è loro  costume  , 

tirato  a sorte  le  milizie  ; Fabio  Cesone  assunse  il  co- 

mando di  quelle  che  andavano  a soccorrere  gli  alleati  , 

e Lucio  marciò  colle  altre  contro  la  città  degli  Anxiati. 

Avvicinatosene  ai  confini , e vedutevi  le  armi  nemiche, 

si  accampò  su  di  un  colle  a fronte  di  ^e.  Ma  uscendo 

i nemici  ne’  giorni  consecutivi  più  volte  in  campo  , e 

sfidando  alia  battaglia;  egli  credette  avere  il  buon  pun- 

to, e cavò  le  sue  schiere.  Ed  ammonitele , e riammo- 

nitele prima  del  cimento  ; alfine  diedene  il^egno  e le 

avventò.  Bentosto  i soldati  alzato  il  grido  consueto  della 

battaglia  pugnarono  folli  , a schiere  e coorti.  Esaurite 

poi  le  lance  , i dac;di  cd  ogni  arme  da  tiro  si  scaglia- 

rono, rotando  le  spade,  gli  uni  su  gli  altri  con  ardire 



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II2  DELLE  Antichità’  romane 

e desiderio  eguale  di  misurarsi.  Era  iu  ambedue  simi« 

lissima  la  maniera  di  combattere  : nè  maggiore  tra*  Ro* 

mani  la  saviezza  e la  sperieuza  che  gli  aveva  rendati 

già  più  volte  vincitori , nè  maggiore  la  costanza  e la 

sofferenza  per  1*  esercizio  di  tante  battaglie  ; ma  le  doti 

stessissime  brillavano  pur  tra’  nemici  6n  dall’  ora , che 

fu  duce  loro  Marcio,  famosissimo  duce  romano.  Adun- 

(jne  gii  uni  resistevano  agli  altri  senza  cedere  il  posto 

preso  in  principio.  Ma  dopo  alquanto  i Volaci  a poco 

a poco  si  ritirano , schierati , e con  ordine , tenendo 

fronte  ai  Romani.  Tendea  quel  movimento  a dividere 

le  milizie  di  questi  e combatterle  da  lut^o  elevato. 


LXXXV.  In  opposito  i Romani  credendo  che  questi 

principiasser  la  fuga  tennero  anch’  essi  a passo  a passo 

in  buon  ordine  dietro  loro  che  si  ritiravano.  Ma  poiché 

videro  che  a rilancio  conevano  agli  alloggiamenti  an- 

ch’ essi  rapidissimi , in  disordine  li  seguitarono.  Intanto 

le  centurie  estreme  e la  retroguardia  , quasi  già  vinci- 

trici , spogliavano  i morti , e davansi  a predare  la  re- 

gione. Vedendo  ciò  li  Voisci  che  facean  credere  di 

fuggire , giunti  appena  alle  Urincee , voltata  faccia  , si 

contrapposero  : e quelli  che  erano  negli  alloggiamenti , 

spalancate  le  porle  , accorsero  numerosi  da  più  parti. 

Or  qui  cambiarono  le  vicende  della  battaglia  : chi  per- 

seguitava fugge , e chi  fuggiva  perseguita.  Perirono , 

com’  è naturale , molti  bravi  Romani  incalzati  giù  pel 

declivio  , e circondati  ; essi  pochi , dai  molti.  Non  dis- 

simile sorte  incontrarono  quanti  eransi  dati  a spogliare 

e predare  , impediti  di  retrocedere  schierati  e con  oi^ 

dine  ; imperocché  sopraHatti  ancor  essi  da'  nemici  resta- 



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LIBRO  Vili.  Il3 


vano  iracidali  o prìgiooierì.  Quanti  però  di  questi  o di 

quelli  respinti  giù  pel  monte  fuggivano  in  salvo  ; soc- 

corsi , benché  tardi,  dalia  cavalleria,  tornavano  al6ne 

a’  proprj  alloggiamenti  : e parve  che  a non  essere  intc- 

ramenie  distratti  giovasse  loro  un’acqua  dirottissima  dal 

cielo , ed  un  bujo  qual  formasi  per  nebbia  profondissi- 

ma ; perocché  non  potendo  i nemici  vedere  più  di  lon« 

tano  , infkslidirottsi  a seguitarli  più  oltre.  La  noue  ap- 

presso il  console  movendo  l’ armata  la  ritirò  cheta , in 

buon  ordine  , sicché  1’  inimico  noi  comprendesse.  Al 

tornar  della  sera  mise  il  campo  presso  la  ciué  di  Lon- 

gòla  t scegliendo  un’altura  idonea,  onde. respingerne  gli 

assalitori.  E qui  fermatosi  curava  gli  egri  .dalle  ferite, 

e rianimava  gli  aiHitti  dalla  vergogna  delia  disfatta  im- 

pensata. t 


LXXXVi.  Tale  er^  lo  stato  de’  Romani.  Li  Volaci 

poi  come  al  nascere  dei  giorno  conobbero  che  quelli 

eransi  di  loggiati;  portarono  più  da  vicino  il  campo  loro. 

Quindi  spogliato  avendo  i cadaveri  de’  nemici , raccolto 

i semivivi  che  davano  speransa  di  guarigione , e seppel- 

lito gli  estinti  loro  compagni  , rientrarono  la  città  di 

Anzio  che  prossima  rimaneva.  Qui  cantando  inni  e por- 

gendo in  ogni  tempio  sagrifìzi  per  la  vittoria , si  diedero 

ne’ giorni  seguenti  ai  conviti  e piaceri.  E se  teneansi  a 

quella  vittoria,  né  intraprendevano  altra  cosa;  la  guerra 

avrebbe  avuto  per  essi  nn  esito  fortunato.  Imperocché 

li  Romani  non  aveano  cuore  di  uscire  dagli  alloggiamenti 

per  combattere  ; anzi  desideravano  di  lasciare  le  terre 

nemiche , anteponendo  nna  fuga  ingloriosa  ad  una  morte 


DIOIfJGI , tomo  ut.  . . . 8 



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1 1 4 DELLE  Antichità’  romane 

manifesu.  Infiammati  però  da  speranae  maggiori , per- 

deroDO  la  gloria  ancora  della  prima  vittoria.  Udendo  da- 

gli eipioratori  e dai  disertori  che  i Rbmani  andati  salvi 

eran  pochi , e per  lo  più  feriti  ; ne  concepirono  disprezzo 

grandissimo , ed  impugnate  le  armi  marciaron  sa  loroi 

Li  seguitarono  senza  1’  armi  moiri  della  città  per  vedor 

la  batuglia , e per  fare  insieme  prede  e guadagni.  Ma 

quando  giunti  all*  altura  circondarono  gli  alloggiamenti , 

e presero  a svellerne  gli  steccati  ; proruppero  prima  su 

di  essi  i oivalieri  Romani , postiti  a piede  per  la  con- 

dizione del  luogo,  e poi  li  triarj , schieratisi  strettissimi. 

Sono  questi  i veterani  a’  quali  si  dà  la  guardia  degli  al- 

loggiamenti , se  le  milizie  escono  per  combattere  , ed 

a’  quali  per  mancanza  di  altri  ripari  si  ha  restrerao  in- 

dispensahil  ricorso  quando  avviene  strage  funesta  de’  gio- 

vani. Ne  sostennero  i iVolsci  la  irruzione  e pugnarono 

gran  tempo  pieni  di  valore.  Ma  non  favoriti  poi  dalla 

natura  del  aito  se  ne  rimossero  : e fatto  a’  nemici  danno 

tenue,  nè  degno  di  memoria,  e ricevutolo  essi  più 

grande  ancora;  calarono  alia  pianura.  Messi  quivi  gli 

alloggiamenti , schierarono  ne’  giorni  appresso  1’  armata, 

e provocarono  i Romani  alla  battaglia  : nè  pertanto  usci- 

rono questi  al  paragone.  1 Volsci  vedendo  ciò  li  spre- 

giarono : e convocate  le  milizie  dalle  loro  città  ; si  ap* 

pareccbiarono  per  espugnarne  le  trincee  colla  moltitu- 

dine. E ben  erano  per  fare  alcuna  cosa  di  grande  ri- 

ducendo per  patri  e colla  forza  il  console  e i suoi  che 

già  penuriavano  ; ma  giunse  prima  di  loro  il  soccorso 

Romano  , e furono  traversati  da  compiere  con  bellissimo 

(ìpe  la  guerra.  Imperocché  Fabio  Cesoue  l’altro  console, 



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LIBBO  Vili.  I I 5 


Mpen 

rono  compartiti  pe’  corpi  varj.  I consoli  dopo  avere  sup> 

plite  le  coorti  mancanti , tirarono  a sorte  il  comando 

degli  eserciti.  Prese  F abio  l’ esercito  sostenitore  degli 

alleati , e Valerio  1’  altro  che  * accampava  tra’Yolsci  ; re- 

candovi le  nuove  reclute.  I nemici  saputo  il  giugner  di 

lui , deliberarono  far  venir  nuove  troppe , trinderarsi  in 

luogo  più  forte,  nè  coìrere,  come  prima  , per  lo  di- 

spregio rovinose  vicende.  F orqirono  i duci  tutto  ciò  spe- 

ditissimàmente  , intenti  l’ uno , e l’ altro  a guardare  le 

trincere  sue  dagli  assalti  , non  ad  assalir  le  inimiche , 

per  espugnarle.  Cosi  decorse  non  poco  tempo  fra  ter- 

ror  vicendevole  che  1’  ano  1’  altro  investisse.  Non  pote- 

rono però  l’uno  e l’altro  osservare  sino  al  fine  il  pro- 

posito. Imperocché  quante  volte  spedivasi  alcuna  parte 

di  esercito  pe’  frumenti  o per  altro  bisogno  ; davansi  at- 

tacchi e percosse,  con  esito  non  sempre  vittorioso  per 


' (i)  Cesare 


(a)  Altenlare  so’  Iribaoi  era  delitto  graTÌssimo , perchè  le  per- 

sone loro  si  riguardavano  come  sacre  ed  inviolabili  : Quindi  Cice- 

rone nel  lib.  3 de  legibns  scrive:  quodque  ii  prohibessint , quod- 

que  plcbem  rogaisint  ralitm  està  ^ taneiique  turno. 



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LIBRO  vin.  I ig 


UD  de'  partiti.  Ne  perirono  in  tante  scaramacce  non  po- 

chi ; restandone  feriti  ancor  più.  Non  riparava  le  perdite 

Romane  alcun  nuovo  rinforzo  venuto  altronde  ; mentre 

i Volsci , sopravvenendo  ad  essi  schiere  su  schiere , si 

erano  moltissimo  ampliati.  Dond’è  che  animatine  i duci 

loro , cavarono  dalle  trincee  1’  esercito  per  la  battaglia. 


LXXXIX.  Usciti  i Romani  nommeno  e schieratisi  a 

fronte,  insorse  una  mischia  grandissima  di  cavalli,  di  fanti, 

di  soldati  leggeri  , pieni  tutti  di  ardore  e di  > sperienza 

e ciascuno  col  disegno  che  dipendesse  da  lui  solamente 

la  vittoria.  Cadutine  dall’  una  e dall’  altra  parte  molti 

estinti , e piò  ancor  semivivi  ; si  ridussero  a pochi  quelli 

che  tuttavia  rimanevano  tra  la  mischia  e il  pericolo.  Or 

non  potendo  questi  fare  le  azioni  di  guerra  perchè  gli 

scodi  destinati  a difendere , pieni  di  dardi  conGccativi  ^ 

aggravavano  la  sinistra  , né  permettevano  che  si  tenesse 

ferma  in  atto  di  ripercotere  i colpi , e perchè  le  spade 

erano  ornai  spuntate,  rotte  , - inutili  ; tanto  più  che  il 

combattere  di  tutto  il  giorno  gli  aveva  stancati,  mer^ 

vati  , illanguiditi  a ferire , e la  sete,  il  sudore , l’aiTanno 

travagliavali  come  chi  combatte  a lungo  nelle  ardentis- 

sime ore  di  estate;  la  battaglia  non  prese  termine  me* 

morando  , ma  1’  nnò  e l’ altro  duce  ritirarono  ben  vo* 

lentieri  le  armate  : e tornarono  a’  proprj  alloggiamenti^ 

Non  uscivano  più  gli  uni  o gli  altri  a combattere,  ma 

standosi  dirimpetto  spiavano  a vicenda  le  sortite  degli 

emoli  pe’  bisogni  ■ di  guerra.  Parve  nondimeno , e molto 

in  Roma  se  ne  discorse  , che  la  milizia  Romana  , po- 

tendolo , non  facesse  nulla  di  luminoso  per  odio  contro 

del  console  , e per  indignazione  su’  patrizj  , mentitori 



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lao  DELLK  Antichità’  romane 


nella  dÌTÌsione  delle  terre.  In  opposito  i soldati  acctisa» 

vano  il  console  come  insulficiente  ; scrìvendone  ognuno 

lettere  ai  suoi.  Tali  furono  gli  eventi  nel  campo  in  Roma 

intanto  molti  segni  celesti  annunziarono  l’ira  divina  con 

voci , e viste  inusitate.  E tutti  i segni  concorrevano  a 

questo , come  i vati  e gli  spositorì  delle  sante  cose , te» 

nutone  consiglio  , interpretavano  , che  alcuni  de’  numi 

erano  esacerbati , perché  non  riceveano  gli  onori  legit* 

timi,  o riceveano  sagrifizj  non  puri,  nè  pii.  Faceasi 

dunque  grande  ricerca,  6nchè  diedesi  indizio  a’  sacerdoti 

che  l’ una  delie  vergini , custodi  del  fuoco  sacro  ( Opi- 

mia  n’ era  il  nome)  avea  la  verginità  contaminato,  e 

con  la  virginità  le  sante  cose.  Or  questi  con  indagini 

e discussioni  chiarìtlsi  .esser  vero  pur  troppo  il  fello  in- 

dicato , spogliarono  quella  delie  sacre  bende,  e condot- 

tala di  su  |»1  foro,  la  seppellirono  viva  tra  sotterranee 

pareti.  Flagellarono  poi  nella  pubblica  luce  ed  uccisero 

due  convinti  del  fello  con  essa.  E ben  tosto  favorevoli 

le  sante  cose , e favorevoli  si  ebbero  le  risposte  degl’in- 

dovini , come  per  la  pace  venduta  da’  numi. 


- XC;  Giunto  il  tempo  de’comizj , e venutivi  i consoli, 

ebberì  briga  e contenzione  assai  viva  tra’  patrìzj  e tra  ’l 

popolo  su’  personaggi  che  avrebbero  da  pigiare  il  co- 

mando. Voleano  quelli  promovere  al  consolalo  giovani 

intraprendenti  né  amici  della  plebe  ; e per  insinuazione 

loro  chiedevalo  il  figlio  di  Appio  Claudio , di  quello  ri- 

putato già  si  contrario  al  popolo  ; ed  era  questo  figlio 

pieno  di  orgoglio  e di  audacia  , e potente  per  amicizie 

e clientele  più  che  lutti  dell’  età  sua.  Per  l’ opposito  il 

popolo  nominava  a far  l’ utile  pubblico  e volea  per  con- 



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LIBRO  vm:  1 3 1 


soli  personaggi  anziani , notissimi  per  le  d^ci  maniete 

sole  vi  marciasse  colle  armate.  Fu  tal  decreto  un  sub> 

bjetto  di  contraddizioni  : perocché  molti  non  lasciavano 

che  la  guerra  uscisse , ricordando  a’  plebei  la  partizion 

delle  terre  decisa  già  da  cinque  anni  dal  Senato , e come 

tra  le  belle  speranze  furono  defraudati , e protestando 

che  non  particolare  ma  comune  sarebbe  quella  guerra , 

se  la  Etruria  tutta  levavasi  unanime  a soccorrere  ì suoi 

nazionali.  Non  poterono  però  nulla  tali  sediziosi  discorsi; 

imperocché  per  le  insinuazioni  di  Spurio  Largio  anche 

il  popolo  ratiScò  la  sentenza  de’  padri  : pertanto  i con- 

soh*  cavarono  gli  eserciti , e gli  accamparono  separati 

r uno  dall’  altro , non  lungi  da  Yejo.  Si  tennero  in  tal 

modo  più  giorni:  non  uscendone  però  l’inimico  coll’ar- 

mata  ; datisi  a saccheggiarne  i campi , sen  tornarono  con 

quanta  poteano  più  preda  in  patria.  Or  ciò  e non  altro 

vi  ebbe  di  memorabile  sotto  questi  consoli. 



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124 


DELLE 


ANTICHITÀ  ROMANE 


n I 



DIONIGI  ALICARNASSEO 



LIBRO  NONO. 



L JLj  anno  appresso  nacque  disparere  tra  ’l  popolo  e 

tra  i senatori  su  la  scelta  de'  consoli  : imperocché  que- 

sti voleano  promovere  al  consolato  due  di  cuore  patri- 

zio , laddove  la  moltitudine  due  ne  volea  popolareschi. 

Arse  la  disputa  finché  tra  loro  si  persuasero,  che  am- 

bedue le  parti  dovessero  nominare , ciascuna  , un  console. 

Pertanto  il  Senato  elesse  Fabio  Cesene  per  la  seconda 

volta , quello  appunto  che  aveva  accusato  Cassio  come 

reo  di  tirannide,  ed  il  popolo  creò  Spurio  Furio  (i) 


(i)  Anno  di  Roma  s;3  tecoado  Catone,  375  Mcoodo  Vairone,  c 

479  av.  Cristo. 



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DELLE  Antichità’  romane  lib.  ix.  laS 

nella  olimpiade  settantesima  quinta  ; essendo  Calliade 

Arconte  in  Atene , al  tempo  appunto  che  Serse  fece  la 

sua  spedizione  contro  della  Grecia.  Or  avendo  questi 

preso  appena  il  comando  , yennero  in  Senato  gli  am- 

basciadori  Latini  per  supplicarvi,  che  si  mandasse  loro 

coir  esercito  l’ uno  de’  consoli , il  quale  non  permettesse 

che  la  insolenza  degli  Equi  procedesse  più  oltre.  An- 

nunziavasì  insieme  che  la  Etruria  tutta  era  in  moto , e 

che  tra  non  molto  uscirebbe  colle  armi  per  essersi  già 

riunita  in  (x>mizj  generali  : come  pure  che  avendo  i 

Vejenti  insistito  per  congiungersele  contro  i Romani, 

ne  aveano  Gnalmente  ottenuto , che  potesse  ogni  Tirreno 

parucipare  alla  impresa:  dond’ è che  fatto,  si  era  un 

corpo  riguardevole  di  Vejenti  volontari , per  militarvi. 

Or  ciò  vedendo  i magistrati  Romani  deliberarono  che  si 

recintasser  le  armate , e che  li  consoli  uscissero  con  esse 

r uno  per  combattere  gli  Equi , ed  esser  il  vindice  dei 

Latini  ; e l' altro  per  marciare  contro  l’ Etruria.  Oppo- 

nessi a ciò  Spurio  Sidnio  (i)  l’uno  de’tribnoi,  è con* 

gregando  ogni  giorno  il  popolo  a conclone  raddoman- 

dava  le  promesse  dal  Senato , e protestava  che  non  pen> 

metterebbe , che  si  eseguisse  niuna  delle  cose  decretate 

da’  padri  su’  nemid  o su  la  dttà,  se  prima  non  creavano 

i Died  , per  deBnire  le  terre  del  pubblico  , e non  le 

compartivano  , come  eransi  obbligati  in  verso  dd  popolo. 

Implicavasi , nè  sapeva  che  fare  il  Senato  ; quando  Ap> 


(i)  In  atconì  codici  ti  legge  Icilio:  e Lirio  stesso  nel  lib.  4, 

dice  : auetoret  fuitte  tam  Uberi  popolo  mffrayì  leitios  accipio  , 

ex  famitia  i/ifeetUtima  patribue  Irei  in  eam  antuun  Uibunot  plebù 

ereaioi. 



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156  DELLK  Antichità’  romane 

pio  Claudio  suggerì  che  si  procurasse  la  dissensione  tra 

questo  e gli  altri  Tribuni  ; perciocché  vedea , eh'  essendo 

r oppositore  inviolabile,  ed  impedendo  col  poter  dei^ 

leggi  i decreti  de’ padri,  non  rimaneva  altra  via  da  rin- 

tuzuraelo,  se  non  quella  che  un  altro  di  eguale  onore 

e potenza  operasse  in  conurario , e proibisse  ciocch’  egli 

proibiva:  consigliava  inoltre  che  quanti  prenderebbero 

successivamente  il  consolato  si  adoperassero , e mirassero 

sempre  ad  avere  iàmigliari  ed  amici  de’' tribuni , ripe» 

tendo  non  esservi  altr’  arte  da  iuvalidame  il  potere , se 

non  quella  di  ridurli  discordi. 


II.  Parve  ai  consoli  che  Appio  ben  consigliasse,  ed 

essi , e gii  altri  de’più  potenti  si  afiàticarono  vivamente, 

perchè  quattro  de’  tribuni  si  dessero  ai  voleri  del  Se> 

nato.  Or  questi  cercarono  alcun  tempo  persuadere  colle 

parole  Sicinio  a desistere  dalla  mira  che  i terreni  si' di- 

videssero innanzi  la  fin  della  guerra.  Ripugnando  e giu- 

rando , e dicendo  però  costui  protervissimamente , che 

vorrebbe  piuttosto  vedere  la  città  caduta  in  poter  dei 

Tirreni  e di  altri  nemici , che  lasciare  placidi  a sestessi 

que’  che  godeansi  le  terre  del  pubblico , pensarono  di 

prender  quindi  la  bella  occasione  di  parlare  , e di  ope- 

rare contro  tanta  arroganza , non  udita  con  piacere , 

nemmeno  dal  popolo.  Adunque  dichiararono  che  gliel 

proibivano  ; e fecero  svelatamente , quanto  piacque  al 

Senato , ed  ai  consoli.  Dond’  é che  Sicinio  rimasto  solo 

non  era  più  1’  arbitro  di  cosa  niuna.  Fecesi  dopo  ciò 

la  iscrizion  dell’  annata , e si  apparecchiarono  dai  pri- 

vati , e dal  pubblico  con  ogni  diligenza  le  cose  tutte 

necessarie  per  la  guerra.  I consoli , tirata  a sorte  la  spe- 



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LIBRO  Vili.  127 


dÌEioQ  loro,  uscirono  ben  (osto  all'aperto,  Spurio  Furio 

contro  le  città  degli  Equi , e Fabio  Casone  contro  i 

Tirreni.  Corrispondevano  i successi  appunto  ai  disegni  di 

Spurio  ; non  avendo  i nemici  nemmen  cuore  di  venire 

alle  mani  : e potè  di  quella  spedizione  raccogliere  da- 

nari e prigionieri  in  buon  numero  ; imperocché  per  poco 

non  scorse  tutto  il  territorio  nemico  , menando  o por- 

tando via.  Concedè  tutte  le  prede  in  dono  ai  soldati  : 

e se  parea  già  da  gran  tempo  l’amico  del  popolo;  più 

che  mai  se  lo  accarezzò  con  tal  suo  capitanato.  Del 

quale , finito  il  tempo , ricondusse  l’ esercito  intero,  in- 

violato , ricchissimo  divenuto , alla  patria. 


IIL  Fabio  Cesone  diresse  nemmeno  bene  il  comando 

deir  armata  , por  andò  privo  delle  lodi  delle  opere , non 

per  colpa  sua , ma  perchè  fin  d’ allora  che  fe’  giudicare, 

e dare  a morte  Cassio  il  console,  come  intento  alla  ti- 

rannide , non  avea  più  lafiètto  del  popolo.  Donde  che 

li  soldati  suoi  non  erano  disposti  nè  ad  ubbidire  colla 

prestezza  la  quale  abbisogna  al  duce , che  ordina , nè 

ad  espugnare  con  ardore  quantunque  muniti  di  fòrze 

convenienti  , nè  a guadagnare  colle  insidie  i posti  op- 

portuni al  buon  successo  , nè  a fare  cosa  niuna  dalla 

quale  raccogliesse  onore  e fama  buona  pe’  comandi  che 

dava.  Le  altre  iocongruenze  poi  colle  quali  spregiavano 

esso  capitano  erano  per  lui  meno  gravi , nè  di  tanta  ro- 

vina per  la  patria.  Se  non  che  quel  che  fecero  in  ultimo 

creò  pericolo  non  lieve,  e grande  ignominia  per  ambe> 

due.  Imperocché  scesi  a battaglia  campale  fra  i due  colli 

su  quali  alloggiavano  diedero  molte  e splendide  prove 

di  valore , fin  a scingere  i nemici  a dar  volta  ; non 



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ia8  DELLE  Antichità’  romane 

però  gl'  inseguirono  nella  fuga , sebbene  il  capitano  ve 

gli  scongiurasse , né  vollero  con  fermezza  asserliame 

gli  alloggiamenli  ; ma  lasciata  la  bell*  opera  imperfetta , 

si  ritirarono  alle  proprie  trincee.  Anzi  tentando  il  con- 

sole capitano  dire  alcune  cose  (i):  molti  a gran  voce 

ne  lo  beffarono,  e redarguironlo  che  avesse  per  la  im> 

perizia  sua  nei  comandare,  fatto  tra  lor  la  rovina  di 

tanti  valentuommi:  ed  aggiungendo  altre  maldicenze  e 

querele , esigerono  che  sciogliesse  il  campo , e li  ricon- 

ducesse a Roma , come  insufficienti  ad  una  seconda  bat- 

taglia , se  il  nemico  su  loro  tornasse.  Nè  puntò  si  pie* 

garouo  per  le  ammonizioni , nè  si  commossero  pe’  g»> 

miti , e per  le  suppliche  di  lui , nè  le  grandi  minaccie 

ne  riverirono  { ma  sd^nandosene  ognora  più  si  osti- 

narono. Per  le  quali  cose  tanta  , e tanto  universale  fu 

la  insubordinazione , e il  dispregio  pel  capitano;  che  le- 

vatisi intorno  la  mezza  notte , dismisero  le  tende , e rac- 

colsero le  armi  ; trasportandone  li  feriti  , senza  comando 

ninno. 


ly.  Il  duce  vedendo  ciò  fu  costretto  dare  il  segno 

per  tutti  della  partenza  ; temendo  1*  audacia  e l’ anarchia 

loro  : ed  essi  come  salvatisi  colla  fuga , pervennero  in 

gran  fretta  su  1’  alba  presso  di  Roma.  Le  guardie  delle 

mura  ignorando  che  fossero  amici , brandirono  le  armi , 

e chiamaronsi  a vicenda  ; e tutto  il  resto  della  ciltè  si 

empiè  di  confusione  e tumulto , come  per  grande  scia- 

gura : nè  si  aprirono  le  porte , se  non  a di  luminoso , 

quando  si  ravvisò  eh’  era  1’  esercito  loro.  Questo  poi  , 


(i)  Secondo  ua’ altra  leiione  il  teaio  Mrebbe  : ami  tentando  ai- 

euni  dare  ai  cotuoU  nome  d' Imptradore  ec. 



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LIBRO  IX.  I 29 


per  tacere  la  infamia  deli' abbandono  del  campo,  corse 

a riscbio  non  lieve , traversando  disordinatamente  di 

notte  le  terre  nemiche.  Imperocché  se  gli  emoli  se  ne 

avvedevano , e lo  inseguivano  , niente  impediva  che  lo 

sterminassero.  Cagione , come  ho  detto , di  questa  irra- 

gionevol  partenza , o fuga  , fu  l’odio  del  popolo  contr» 

dei  capitano,  e la  invidia  su  la  onoriBcenza  di  lui,  af> 

finché  più  autorevole  non  divenisse  per  la  gloria  del 

trionfo.  I Tirreni  conosciutane  al  quovo  di  la  rimozione, 

spogliarono  i cadaveri  de’  Romani , presero  e trasporta- 

rono i feriti , e saccheggiarono  nelle  trincee  tutti  gli 

apparecchi , certamente  ben  grandi , come  per  guerra 

diuturna . Alfine  dopo  avere , quasi  vincitori,  depredate 

le  terre  nemiche  più  prossime , ricondussero  in  patria 

1’  armata . 


V.  Creati  consoli  dopo  questi  Cajo  Malllo , e Marco 

F abio  per  la  seconda  volta  , siccome  il  Senato  decretò, 

che  marciassero  (i)  contro  Vejo  con  armata  quanta  po> 

teano  numerosa , intimarono  il  giorno  per  la  iscrizioa 

dei  soldati.  Ben  pose  loro  Impedimento  per  questa  Ti- 

l>erio  Pontificio  T uno  dei  tribuni  con  reclamare  il  de- 

creto su  la  partizione  delle  terre  : ma  essi,  come  aveano 

fatto  i consoli  antecedenti , guadagnando  altri  de’  tribu- 

ni , disunirono  que'  magistrati , e cosi  diedero  esecnzlone 

pienissima  ai  voleri  del  Senato.  Finita  in  pochi  di  la 

coscrizion  militare , uscirono  contro  de’  nemici  ; condu- 

cendo ciascuno  due  legioni , reclutate  dalf  interno  di 


( I ) Anno  di  Roma  a^4  secondo  Catone , 376^  tecoado  Varrons 

■ av.  Cristo. 


VIOmGT  , temo  III.  9 



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i3o  DELLE  Antichità’  romane 

Roma , e milizia  non  minore  ; spedita  dalle  colonie  e 

da’  sudditi.  Giunse  dai  Latini  e dagli  Emici  il  doppio 

del  soccorso  intimato , non  però  li  consoli  lo  usarono 

tutto , ma  rimandandone  la  metà , li  ringraziarono  am- 

plissimamente di  tanto  buon  animo.  Accamparono  in- 

nanzi di  Roma  una  terza  armata  floridissima  di  due  le- 

gioni , per  guardia  del  territorio  , se  mai  vi  si  presen- 

tasse altro  esercito  nemico  improvviso  ; e lasciarono  a 

difenderne  le  fortezze  e le  mura  gli  altri  non  più  com- 

presi nella  iscrizion  militare,  ma  validi  ancora  per  le 

armi.  Quindi  guidando  gli  eserciti  fin  presso  di  Vejo 

ne  misero  il  campo  su  due  colli  non  molto  lontani  fra 

loro.  Accampavasi  davanti  la  città  l’armata  nemica , nu- 

merosa e buona  pur  essa  ; anzi  maggiore  non  poco  della 

Romana  per  esservi  accorsi  i primarj  di  tutta  la  Etmria 

co'lor  dipendenti.  All’aspetto  di  tanta  moltitudine,  allo 

splendore  delle  armi , assai  temerono  i consoli  di  non 

listare  a vincere  , se  metteano  l’ esercito  loro  non  bene 

concorde  a fronte  dell’ esercito  unanime  de’ nemici.  Adun- 

que deliberarono  i consoli  fortificare  il  campo  , e pren- 

der tempo , finché  l’ audacia  nemica , elevata  da  un  ir- 

ragionevol  disprezzo , desse  loro  la  opportunità  di  ben 

fare.  Seguivano  dopo  ciò  preludj  continui  di  battaglie, 

e brevi  scaramucce  di  soldati  leggeri  ; non  però  mai 

nulla  di  grande  o di  lumino»). 


VI.  Mal  soffrendo  t Tirreni  la  dilazion  della  guerra 

accusavano  i Romani  di  viltà  perchè  non  uscivano  a bat- 

taglia , e magnifica vansi , quasi  avessero  questi  ceduta 

loro  r aperta  campagna.  Anzi  tanto  più  si  elevavano  a 

spregiare  le  milizie  nemiche  e vilipenderne  i consoli  ; 



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LIBRO  IX.  1 3 I 


quanto  che  credeano  gl’  Iddj  combattere  pc’  Tirreni.  E 

certo  caduto  un  fulmine  nel  quartiere  di  Cajo  Mallio 

]'  uno  de’  consoli,  ne  abbattè  la  tenda , ne  mandò  sosso* 

pra  i focolari , ne  macchiò  le  arme  , le  bruciò  d’  intor* 

no , o in  tutto  glie  le  distrusse  ; e ne  uccise  il  più  co» 

spicuo  de’  cavalli  dei  quali  valessi  nel  combattere , ed 

alquanti  de’  servi.  E condossiacbè  gl’  indovini  diceano 

che  i numi  annunziavano  la  presa  del  suo  campo,  e la 

rovina  de’  personaggi  più  riguardevoli  ; Mallio  levò  l’ e* 

sercito  , e trasferendovelo  su  la  mezza  notte  , lo  con- 

centrò nel  campo  stesso  del  compagno.  I Tirreni  co- 

nosciuta la  traslazione , ed  uditane  la  causa  da’  prigio- 

nieri , s’ ingrandirono  tanto  più  nel  cuor  loro,  quasi  il 

c*ielo  ancora  guerreggiasse  i Romani;  e moltissimo  con- 

fidarono di  vincerli.  E gl’indovini  loro  i quali  sembrano 

aver  meglio  che  quelli  di  altri  popoli  esaminato  i segni 

superni,  e d’onde  scoppino  i fulmini,  e dove  finiscano 

dopo  il  colpo,  da  qual  Dio  vengano , e con  quale  pre- 

sagio di  bene  o dì  male;  esortavano  che  si  andasse  al 

nemico  , inlerpetrando  il  segno  avvenuto  a’  Romani  in 

tal  modo  : poiché  il  fulmine  cadde  nella  tenda  con- 

solare ov'  è il  centro  del  comando  , e disfecevi  tutto 

insino  ai  focolari  ; egli  è indizio  divino  a tutto  l’  e- 

sercilo  deir  abbandono  del  campo  espugnato  a forza, 

e della  rovina  de'  più  riguardevoli.  Se  dunque  , di- 

ceano , coloro  che  ebbero  U fulmine  restavansi  nel 

luogo  fulminato,  nè  trasportavano  ciocci*  erano  signi- 

ficato infra  gli  altri  ; la  presa  di  un  campo  , e la 

distruzione  di  un’armata  sola  avrebbe  appagato  lo 

sdegno  del  nume  cite  U contrariava.  Ma  perciocché 



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i3a  DELLE  Antichità’  romane 

cercando  precedere  col  senno  gli  Dei  si  trassero  aiì 

aluo  campo,  lasciato  deserto  il  proprio,  quasi  il  segno 

celeste  fosse  pel  luogo  non  per  gli  uomini  ; quindi 

è che  [ ira  ' dà' ina  fulminerà  lutti  e chi  trasmutatasi , 

e chi  li  raccolse.  E siccome  mentre  la  necessità  divina 

prenunziava  la  presa  del  campo  essi  non  aspettarono, 

ma  lo  cederono  di  per  sestessi  a nemici , così  non  il 

campo  abbandonato  sarà  preso  di  forza , ma  quello 

che  ricettò  chi  lo  abbandonava. 


VII.  I Tirreni,  udite  tali  cose  dagl’indovini,  invasero 

con  parte  dell’  esercito  il  campo  derelitto  da’  Romani  , 

per  valersene , contro  dell’  altro.  Erane  il  luogo  ben 

forte,  e mollo  accomodato  per  impedire  chi  da  Roma 

andava  all’  esercito.  Fatte  poi  diligentemente  altre  cose 

colle  quali  superar  l’ inimico  , recarono  in  campo  1’  ar- 

mata. Ma  standosene  i Romani  in  calma , i più  audaci 

fra  loro  scorsi  e fermatisi  a cavallo  presso  le  trincee  , 

rampognarono  tutti , quasi  femmine  : e dicendo  simili  i 

duci  loro  agli  animali  più  timidi , gli  sbeffavano , e 

chiedeano  l’ una  delle  due , vuol  dire  ; che  se  disputa- 

vano altrui  la  gloria  delle  armi  ; scendessero  in  campo, 

e ne  decidessero  con  una  sola  battaglia  : ma  se  ricono- 

sceansi  per  codardi  ; cedessero  le  arme  ai  più  forti  , 

subissero  la  pena  delle  opere,  nè  più  aspirassero  a nulla 

di  grande.  Replicavano  altrettanto  ogni  giorno:  ma  per* 

ciocché  niente  ne  proGttavano  ; deliberarono  rinserrarli 

intorno  intorno  con  muro,  per  astringerli,  almeno  colla 

fame,  alla  resa.  consoli  lungo  tempo  guardarono  so- 

lamente ciocché  facevasi  non  per  codardia  nè  per  mol- 

Icsza,  essendo  Tuno  e l’ altro  animoso  e guerriero;  ma 



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LIBRO  IX.  l33 


perchè  temevano  il  mal  talento,  e la  ritrosia  nata  e 

perpetuatasi  ne’  soldati  plebei  fin  d’ allora  che  il  popolo 

tumultuò  per  la  division  delle  terre.  Ancora  stavano 

loro  su  gli  orecchi , e su  gli  occhi  le  cose  che  avea 

fatte  nell’  anno  precedente  per  astio  sul  console , vitu- 

perose né  degne  di  Roma,  cedendo  la  vittoria  ai  vinti, 

e sostenendo  fin  gli  obbrobrj  di  una  fuga  non  vera  , 

affinchè  colui  non  trionfasse. 


Vili.  Volendo  tor  vii»  finalmente  dall’  esercito  la  se- 

dizione e richiamare  alla  concordia  primitiva  la  molti- 

tudine ; e dirigendo  a ciò  tutti  i disegni  e le  providen- 

Ee  ; poiché  non  poteano  ravvederla  uè  co’  supplizj  par- 

EÌali  come  protervissima  ed  armata,  nè  co’ discorsi  come 

insofferente  di  essere  persuasa , concepirono  che  due 

vie  rimarrebbero  per  la  riconciliazione;  vuol  dire;  la 

infamia  di  essere  vilipeso  da’ nemici  per  gli  uomini  (che 

pur  ce  ne  avea  ) d’  indole  moderata , e la  necessitò , 

coi  tutti  paventano , per  gl’  indocili  al  bene.  Adunque 

per  effettuare  ambedue  queste  cose,  lasciarono  che  i 

nemici  li  disonorassero  colle  parole , biasimando  la  cal- 

ma loro  come  la  calma  de’  vili  ; e li  necessitassero  coi 

fatti  pieni  di  arroganza  e disprezzo  a tornar  valentuo- 

mini , se  tali  non  dimostravansi  per  sestessi.  Speravano, 

se  ciò  faceasi , grandemente  che  accorrerebbero  tutti  al 

quarlier  generale  fremendo  , gridando  , ed  istando  di 

esser  condotti  al  nemico.  Or  ciò  appunto  addivenne  ; 

imperocché  non  si  tosto  prese  il  nemico  a rinchiudere 

con  fossa  e steccalo  le  uscite  dal  campo , i Romani 

considerata  la  indegnità  dell’  opera  , ne  andarono  prima 

in  pochi  , indi  in  folla  alle  tende  dui  consoli  , c vi 



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i34  DELLE  Antichità’  romane 

schiamazzarono,  e come  di  tradimento  li  redarguirono; 

protestando  infine  die  se  niun  de’  due  li  guidava , essi 

di  per  sestessi  volerebbero  colle  armi  alla  roano  su  gli 

avversar).  Ciò  fatto  da  tutti,  giudicando  i consoli  venuta 

alfine  la  opportunità  che  aspettavano , imposero  agli 

araldi  di  chiamarli  a parlamento.  Allora  Fabio  recatosi 

innanzi  disse  : 


IX.  Sohìati , capitani,  tarda  è la  vostra  indigna- 

zione su  vilipendj  che  vi  si  Jan  da’  nemici  ; nè  più 

in  tempo  è la  volontà  che  at'ete  di  combatterli,  pei'- 

che  m annestatasi  troppo  dopo  il  bisogno.  Allora  do- 

veasi  ciò  fare  quaruìo  li  vedeste  la  prima  volta  scen- 

dete dalle  trincee , e cercar  la  batiaglia:  jdllora  bello 

era  il  combattere  pel  comando , e degno  della  subli- 

mità de’  Romani.  Ora  necessario  ne  si  è reso,  e certo 

non  di  egtuile  decoro , quatulo  ancora  vincessimo. 

Nondimeno  sta  pur  bene  che  vogliate  una  volta  ri- 

' scuotervi,  e riavervi  delle  occasioni  tralasciate,  E molto 

siete  lodevoli  per  tale  ardore  verso  le  nobili  gesta  ; 

imperocché  procede  da  virtù , e vai  meglio  cominciar 

ciocché  deesi  aruhe  tardi,  che  mai.  Ed  oh!  cosi  tutti 

V abbiate  sentimenti  consimili  per  t util  vostro  , e vi 

animi  tutti  uno  zelo  medesimo  per  combattere.  Pa- 

ventiamo noi  però  che  i trasporti  de’  plebei  contro 

de’  magist  rati  per  la  division  delle  terre,  siano  cagione 

al  pubblico  di  sciagure,  E ciò  noi  paventiamo,  perché 

i clamori , e le  istanze , e la  insofferenza  per  uscire, 

non  è forse  in  tutti  t ejffctto  di  un  disegno  medesimo. 

Ma  quali  di  voi  anelale  uscir  dai  campo  per  punir 

f inimico  ; e quali  per  fuggirvenc.  E cagione  del  ti- 



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LIBRO  IX.  l35 


ntor  nostro  non  sono  già  gl’indovini,  non  le  conget- 

ture; ma  fetui  più  che  notorj  e non  antichi,  anzi  fre- 

schi delt  anno  precedente,  come  tutti  sapete,  quando 

uscendo  contro  questi  nemici  medesimi  un  esercito 

nostro  numeroso  e forte  , e pigliando  fn  la  prima 

battaglia  un  esito  propizio  per  noi  , mentre  Cesane 

mio  fratello,  console  condottiero  poteva  espugnare  gli 

alloggiamenti  loro  e riportare  alla  patria  una  vittoria 

luminosa,  alquanti  presi  da  invidia  della  gloria  di  lui 

perchè  nè  era  popolare  nè  mirava  nel  suo  governo  a 

far  le  voglie  de’  poveri , levarono  le  tende  la  notte 

stessa  dopo  la  battaglia , e fuggirono  fuori  di  ogni 

comando,  senza  valutare  il  pericolo  che  comprendevali 

nelf  andare  privi  di  ordine  e di  capitano  per  le  terre 

nemiche  , e fra  la  notte  , e senza  riguardare  quanta 

vergogna  ri  avrebbero  , perchè  quanto  era  in  loro , 

cedevano  C impero  a nemici,  essi  già  vincitori  ai  viziti. 

Tribuni , centurioni , soldati  ! in  vista  di  tali  uomini, 

non  buoni  nè  per  dominare , nè  per  farsi  dominare , 

che  pur  sono  molti  e caparbii , e colle  armi  , non 

abbiamo  noi  fin  qui  voluto  la  battaglia  , nè  osiamo 

ancora  per  tali  compagni  decidere  in  campo  la  somma 

delle  cose  , perchè  non  sian  essi  tT  impedimento  e di 

danno  a chi  presenta  tutto  il  buon  animo.  Ma  se  la 

divinità  richiami  ancor  essi  a buon  senno,  se,  lasciate 

da  parte  le  discordie  per  le  quali  ha  il  nostro  comune 

tanti  mali  e sì  gravi , e differitele  ai  tempi  di  pace  , 

vorranno  redimere  ora  col  valore  { obbmbrio  passalo: 

niente  impedisce  che  ne  andiamo  caldi  di  belle  spe- 

ranze al  nemico.  Oltre  le  tante  opportunità  di  vin- 



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t3f>  DELLE  Antichità’  romane 


rere  , le  più.  grandi  e più  solide  ce  le  porge  la  stoli^ 

dità  degli  avversar]  medesimi.  Costoro  superiori  a noi 

di  molto  nel  n limerò,  ed  atti  con  ciò  solo  a contrah- 

hilanciare  t animosità  e perizia  nostra , han  privato 

sestessi  fin  di  quest’  unico  vantaggio , consumando  il 

più  delle  milizie  in  guardia  delle  loro  fortezze.  Ap- 

presso , quantunque  dovrebbero  fare  ogni  cosa  con 

diligenza  e saviezza  considerando  con  quali  e quanti 

grand  uomini  abbiano  a misurarsi,  pur  vanno  con 

arroganza  ed  incuria  al  cimento  , come  sian  essi  in- 

vincibili, e noi  sopraffatti  dal  terrore  di  essi.  E le 

fosse  con  che  ci  cingevano  , e le  corse  a cavallo  fin 

sotto  ai  nostri  alloggiamenti , e tan^  altre  ingiurie 

colle  parole  e colle  opere,  questo  appunto  dimostrano. 

Or  via  dunque,  ciò  riguardando  e le  tante  e sì  belle 

antiche  battaglie  nelle  quali  gli  avete  vinti  : andatene 

con  ardore  a questa  ancora.  E quel  luogo  dove  cia- 

scuno sarà  collocato , quello  concepisca  essere  la  casa, 

i poderi , la  patria  sua  : concepisca  che  chi  salva  il 

vicino  in  battaglia  salva  sè  ancora:  e che  abbandona 

sestesso  a nemici  chi  abbandona  il  compagno.  Ilam- 

mentatevi  soprattutto  che  di  quelli  che  persistono  va- 

lorosi e combattono  , pochi  no  soccombono  ; laddove 

pochi  ne  scampano,  e a stento,  di  quelli  che  piegano, 

e figgano. 


X.  Egli  seguitava  ancora  , in  mezzo  a lagrime  co- 

piose , tal  discorso  animatore  , e chiamava  a nome  cia- 

scuno de’  tribuni , de’  centurioni , e de’  soldati  , nolo 

a lui  per  le  belle  prove  di  valore  date  nel  combattere, 

e prometteva  a chi  più  segnalato  sarebbesi  nella  batla- 



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LIBRO  IX.  137 


glia  molti  e gran  pegni  di  benevolenza  , onori  , r;c> 

cliezze  , soccorsi  d’  ogni  guisa  in  parità  delle  imprese  ; 

quando  proruppe  da  tutti  una  voce  che  inviuvalo  a 

con6dare  , e portarli  al  nemico.  Cessata  questa , gli  si 

fece  innanzi  dalla  moltitudine  Marco  Flavoleio  , plebeo 

di  condizione  ed  arteGcc  , non  vile  però  , ma  per  le 

sue  virtù  pregiato  , e prode  in  guerra  ; e per  tali  due 

rispetti  condecorato  in  campo  di  una  presidenza  lumi- 

nosa , cui  sieguono  ed  ubbidiscano  per  legge  sessanta 

centurie.  I Romani  chiamano  primipili  nel  patrio  idio- 

ma tali  condottieri.  Or  quest’  uomo , altronde  grande  e 

bello , postosi  in  parte,  donde  fosse  a lutti  visibile,  al- 

fine disse:  K oi  temete,  o consoli,  che  le  opere  nostre 

non  corrispondano  alle  parole  ? Io  per  il  primo  vi 

darò  su  mestesso  le  assicurazioni  meno  equivoche 

della  mia  promessa.  E voi  cittadini , voi  compagni 

della  sorte  medesima , voi  che  avete  risoluto  di  pa- 

reggiare ai  detti  le  opere  , non  sbaglierete  facendo 

quanto  io  fo.  E qui , sollevando  la  spada , giurò  con 

formola  sacra  e solenne  ai  Romani  , per  la  sua  buona 

fede , di  non  tornare  , se  non  dopo  vinti  i nemici,  alla 

patria.  Sorsero  al  giuramento  di  Flavoleio  lodi  amplis- 

sime d’ogn’intorno.  Fecero  bentosto  altrettanto  i consoli 

e mano  a mano  i duci  minori , tribuni  e centurioni  ; e 

la  moltitudine  finalmente.  Yidesi  dopo  ciò  molto  buon 

animo  in  tutti,  molta  benevolenza  fra  loro , molta  con- 

fidenza , e fermezza.  Partiti  dall’  adunanza  , chi  metteva 

il  freno  ai  cavalli,  chi  le  spade  aguzzava  e le  lance  ; e 

chi  riforbiva  gli  scudi  ; ond’  è che  tra  poco  tutta  1’  ar- 

mala fu  in  pronto  per  la  battaglia.  I consoli , invocali 



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i38  DELLE  Antichità’  romane 

gl' Iddìi  con  voti,  con  ugrifizj , con  suppliche,  perchè 

fossero  i duci  essi  stessi  di  quella  uscita , portavano 

fuori  degli  steccati  l’esercito,  schierato  in  buon  ordine. 

I Tirreni  vedutili  scendere  dalle  loro  trincee  , ne  stu- 

pirono , e vennero  ad  incontrarli  con  tutte  le  forze, 


XI.  Come  furono  gli  uni  e gli  altri  sul  campo,  e le 

trombe  annunziarono  il  seguo  delta  battaglia  , corsero 

quinci  e quindi  con  alti  clamori.  E fattisi  i cavalieri 

su  i cavalieri,  ed  i fanti  so  i fanti;  pugnarono,  e molu 

fu  la  occisione  in  ambe  le  parti.  I Bomani  dell’ala  de- 

stra comandati  dal  console  Mallìo  malmenavano  il  corpo 

che  li  contrastava  , e smontati  da  cavallo  combattevano 

appiedo:  ma  quelli  dell’ala  sinistra  erano  circondali  dal 

corno  destro  de’  nemici.  Imperocdiè  essendo  ivi  la  mi- 

lizia tirrena  più  elevata  e più  numerosa  , i Romani  ne 

erano  battuti,  e coperti  di  ferite.  Comandava  in  questo 

corno  Quinto  Fabio  luogotenente  e già  due  volte  con- 

sole. Egli  resistè  lungo  tempo  , ricevendovi  ferite  sopra 

ferite  ; ma  poi  trafitto  da  una  lancia  nel  petto  fino  alle 

viscere  , esangue  ne  stramazzù.  Come  ciò  udì  Marco 

Fabio  il  console  che  crasi  ordinalo  nel  centro , pigliò 

seco  i più  bravi,  e,  chiamato  Fabio  Cesone  l’uno  dei 

fratelli , marciò  verso  1’  altro  Fabio  (i).  E proceduto 

buon  tratto,  e trascorso  all’ala  destra  de’ nemici,  venne 

a quelli  che  circoudavano  i suoi.  Dato  l'assalto,  causò 

strage  cupa  a quanti  avea  tra  le  mani,  e fuga  ad  altri 

che  erano  da  lontano.  Trovato  il  fratello  che  respirava 


(i)  Il  ferito.  Par  questo  il  senso  migliore.  Nel  testo  si  legge 

in  luogo  di  Fabio.  Qui  dunque  si  hanno  tre  Fabj, 

Marco  , Quinto  , c Cesone,  fiaiclli  lutti  tre. 



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LIBRO  IX.  189 


ancora,  lo  soUcTÒ;  ma  questi  non  molto  sopravvivendo, 

morì.  Crebbe  qui  l’ira  a’ vendicatori  suoi  su’ nemici.  Nè 

più  riguardando  la  propria  salvezza  lanciatisi  in  piccieda 

sebiera  nel  mezzo  di  essi , dove  erano  più  folti , vi  al- 

zarono monti  di  cadaveri.  Pericolò  da  questa  |>arte  la 

milizia  toscana  , ed  essa  che  prima  incalzava  en  incal- 

zata dai  vinti.  Per  l’ opposto  c|oelli  dell’ala  sinistra  che 

gii  crollavano  , e gii  meticvansi  in  piega  li  dove  era 

Mallio,  quelli  fugarono  i Romani  contrapposti.  Imperoo 

cbè  trafitto  Mallio  con  una  lancia  da  banda  a banda  in 

un  ginocchi  o , c riportato  da’  suoi  che  lo  circondavano 

agli  alloggiamenti  ; i nemici  lo  credettero  estinto  , e se 

ne  animarono  ; ed  assistiti  pur  da  altri  forzavano  i Ro- 

mani , ridotti  senza  duce.  I Fal^  dunque  lasdalo  il 

corno  sinistro  furono  di  nuovo  astretti  a soccorrere  il 

destro.  I Tirreni , vistfli  che  venivano  con  esercito  po- 

deroso , desisterono  dall’  inseguire  : e strettisi  fra  loro  , 

combatterono  io  ordinanza  , perdendovi  molti  de’  loro  ; 

e molti  nocidendovi  de’  Romani. 


XII.  Intanto  i Tirreni  ebe  avevano  invaso  gli  allog- 

gia menti  lasciati  da  Mallio , aizaione  il  segnale  dal  ca- 

pitano, marciarono  con  gran  fretta  ed  ardore  verso  gli 

altri  alloggiamenti  Romani  perchè  non  bene  forniti  di 

guardie.  Era  il  loro  concetto  verissimo  ; perché  tolti  i 

triarj  e pochi  giovani,  non  v’  erano  se  non  mercadanii, 

e servi  , ed  artefici.  Ma  ristringendosi  molti  in  picciolo 

spazio  presso  le  porte,  ebbevi  una  viva  e terribile  zuffa 

con  strage  copiosa  e vicendevole.  Accotzo  con  i cavalieri 

Mallio  il  console  per  ajuto  ; cadde  col  cavallo,  nò  po- 

tendo risorgere  per  le  molle  ferite  vi  morì.  Perirono 



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i4o  DELLE  Antichità’  romane 

ancora  intorno  a lui  molti  giovani  valorosi  : e per  tale 

infortunio  gli  alloggiamenti  furono  espugnati  ; vcriGcan* 

dosi  cosi  li  vaticini  fatti  ai  Tirreni.  E se  avessero  ben 

usato  la  sorte  presente,  e guardato  quegli  alloggiamenti; 

sarebbero  stati  gli  arbitri  delle  provvigioni  de’  Romani  e 

gli  avrebbero  costretti  a partire  obbrobriosamente  : ma 

datisi  a predare  le  cose  rimastevi  , e li  più  a ristorarsi 

ancora , lasciaronsi  fuggir  di  roano  una  bella  occasione. 

Imperocché  nunziatasi  appena  all’  altro  console  la  presa 

del  campo  , accorsevi  co'  fanti  e cavalieri  migliori.  Li 

Tirreni  saputo  che  veniva  cinsero  le  trincee  ; e fecesi 

battaglia  ardentissima  tra  chi  voleva  ricuperar  le  sue 

cose , e chi  temea  , se  ricuperavansi , 1’  ultimo  eccidio. 

Ma  traendosi  in  lungo  , e riuscendovi  migliore  assai  la 

condizione  de'  Tirreni , perchè  combatteano  da  luogo 

elevato  contra  uomini  stanchi  dal  'combattere  di  tutto  il 

giorno;  Tito  Siccio  legato  e propretore,  consigliatosene 

con  il  console , intimò  la  ritirata  ; e che  si  riunissero 

ed  attaccassero  tutti  le  trincee  dal  canto  più  facile. 

Trascurò  la  banda  verso  le  porte  per  un  discorso  plau- 

sibile che  non  lo  ingannò;  per  questo  cioè,  che  i Tir- 

reni sperando  salvaf&i  , ne  uscirebbero  : laddove  se  di 

ciò  disperavano  circondati  da  nemici  senza  uscita  niuna; 

sarebbero  necessitati  a far  cuore.  Portatosi  in  una  sola 

parte  l’assalto;  non  più  si  diedero  i Tirreni  a resistere; 

ma  spalancate  le  porte , salvaronsi  ne’  proprj  alloggia- 

menti. 


XIII.  II  console  , rimosso  il  pericolo , scese  di  nuovo 

a dar  soccorso  nel  piano.  Dicesi  che  questa  battaglia 

de’  Romani  fu  maggiore  di  tutte  le  antecedenti  per  la 



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LIBRO  IX.  l4l 


mollltudine  degli  uomini  , per  la  durazione  del  tempo , 

e per  l’ alleraarvi  della  sorte  ; imperocché  venti  mila 

erano  i fanti,  tutti  di  Roma,  floridi  e scelti,  oltre  mille 

dugento  cavalli  che  univansi  alle  quattro  legioni  ; ed  aU 

trettanta  era  la  milizia  de’  coloni , e degli  alleati.  La 

}>attaglia  conunciaia  poco  prima  del  mezzogiorno  si  estese 

6no  air  occaso , e la  sorte  ondeggiò  quinci  e quindi 

gran  tempo  tra  vittorie  e tra  perdite.  Occorsevi  la  morte 

di  un  console , di  un  legato  , stato  due  volte  console  , 

e di  tanti  altri  capitani , tribuni , e centurioni , quanti 

mai  piu  per  addietro.  Il  buon  esito  della  giornata  fu 

creduto  de’  Romani  non  per  altro  , se  non  perché  li 

Tirreni  fra  la  notte  lasciarono  il  proprio  campo,  e pas- 

sarono altrove.  Il  giorno  appresso  fattisi  i Romani  a 

saccheggiare  il  campo  Tirreno  abbandonato  , e seppel- 

lire le  morte  spoglie  dei  loro  , tornarono  agli  alloggia- 

menti. Dove  riunitisi  a parlamento  diedero  i premj  di 

onore  a quelli  che  avevano  combattuto  da  valorosi , e 

primieramente  a Fabio  Gesone  fratello  del  console,  che 

avea  fatto  grandi , e meravigliose  gesta  : in  secondo 

luogo  a Siedo,  cagione  che  gli  alloggiamenti  si  ricu- 

perassero ; ed  in  terzo  a Marco  Flavoleio  duce  di  una 

legione,  si  pel  giuramento,  che  per  la  magnanimità  sua 

tra*  pericoli.  Rimasero  dopo  ciò  per  alquanti  giorni  nel 

campo  ; ma  ninno  più  dimostrandosi  per  combatterli  tor- 

narono alla  patria.  In  Roma  per  battaglia  si  grande  la 

quale  prendea  fine  bellissimo  , voleano  tutti  aggiungere 

r onor  del  trionfo  al  console  che  tornava  : ma  il  con- 

sole stesso  noi  consentì , dicendo,  non  essere  pia  cosa, 

nè  giusta , che  egli  s’  avesse  pompa  e corona  trionfale 



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l[\1  DELLE  ANTICrilTA*  ROMANE 


per  la  morte  del  fratello  e del  collega.  E qui  lasciate 

le  insegne , e congedalo  1’  esercito  , depose  ancora  i) 

consolato  due  mesi  prima  del  termine  suo  , non  po> 

tendo  ornai  più  sostenerlo  per  la  grande  finta  che  lo 

travagliava  e riduoevalo  in  letto. 


XIV.  Il  Senato  scelse  gl’  interré  pe’  comizj , e convo- 

cando il  secondo  interré  la  moltitudine  nel  campo  Mar- 

zo, vi  fu  nominato  console  Tito  Yerginio , e per  la 

terza  volta  Fabio  Cesone,  colui  che  ebbe  i primi  premj 

della  battaglia  ed  era  fratello  insieme  del  console , che 

avea  deposto  il  comando.  Questi,  decidendo  ciascuno  per 

sé  l’esercito  col  mezzo  ddle  sorti,  uscirono  in  campo, 

Yerginio  per  combattere  i Yejenti  e Fabio  gli  Equi  che 

scorrevano,  depredando,  le  campagne  Latine  (i).  Gli 

Equi  all’  udire  che  i Romani  venivano , si  levarono  iu 

fretta  dalle  terre  nemiche , e ritiraronsi  alle  proprie  città, 

sopportando  che  si  derubassero  le  terre  loro  : tanto  che 

il  console  col  subito  venir  suo  s*  impadroni  di  danari  , 

di  persone,  e di  altre  prede  in  copia.  Si  tennero  i Ve- 

jenti  in  principio  tra  le  mura  ; ma  quando  parve  loro 

di  avere  il  buon  ponto , usarono  su’  Romani  sbandati , 

ed  intenti  alla  rapina  delie  campagne.  E perciocché 

piombarono  numerosi  , in  buon  ordine  contro  di  essi , 

non  sedo  ue  ritolser  le  prede;  ma  uccisero,  o fugarono 

quanti  si  opposero.  E se  Tito  Siccio  legato  non  accor- 

reva , e li  frenava , con  soldatesca  ordinata  appiedi  e a 

cavallo , niente  .impediva  che  I’  esercito  in  tutto  si  di- 

struggesse. Ma  giunto  lui  per  impedir  ciò,  si  affretta- 

ci) Adoo  di  Room  37S  aecaudo  Catone,  377  secondo  Marrone  e 

479  av.  Cristo. 



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LIBRO  IX.  I 43 


rono  a rlunirsegli , senza  eccettuarne  alcuno , tutti  i di- 

spersi. Coocenlralisi  tutti  occuparono  a sera  un  colle,  e 

vi  pernottarono.  Animati  dalla  prosperità  li  Vejenti  ac- 

camparonsi  presso  del  colle  e chiamarono  altri  dalla  città, 

quasi  avessero  addotti  i Romani  in  luogo,  privo  in  tutto 

de’  viveri , e poiessero  tra  non  molto  necessitarli  ad  ar- 

rendersi. Accorsavi  gran  moltitudine , si  misero  due 

campi  ne’  lati  possibili  ad  espugnarsi  del  colle  ; ed  altre 

picciole  guarnigioni  in  siti  men  facili  ; tanto  che  tutto 

ribbolliva  di  armati.  Fabio  l’ altro  console  intendendo 

per  le  lettere  del  compagno  che  gli  assediati  nel  colle 

erano  agli  estremi,  e sul  punto  ornai  di  rendersi  per  la 

fame  , se  alcuno  non  li  soccorreva  ; raccolse  1’  esercito  , 

e corse  su’  Vejenti.  E se  giungeva  un  giorno  più  tardi; 

niente  gli  sarebbe  valuto  , ma  trovato  avrebbe  l’ esercito 

rovinato.  Imperocché  quei  del  colle  costretti  dalla  pe- 

nuria ne  uscirono  per  correre  a morte  più  onorata  ; e 

fattisi  alle  prese  co’  nemici , combattevano  esausti  dalla 

fame , dalla  sete , dalla  veglia , da  ogni  disagio.  Ma 

dopo  non  molto,  quando  videsi  l’esercito  di  Fabio  che 

giungeva  numeroso,  in  buon  ordine,  tornò  la  conBdenza 

ne’  Romani  , e la  paura  negli  avversar).  Dond’  è che  i 

Tirreni  più  non  estimandosi  acconci  per  fare  giornata 

cx>ntro  di  un  esercito  fresco  e potente , abbandonarono 

l’ impresa , e partirono.  Ma  non  si  tosto  le  due  armate 

Romane  si  ricongiunsero , fecero  un  amplisnmo  campo 

in  luogo  munito  presso  della  città.  Trattenutisi  quivi 

più  giorni  , e saccheggiatone  il  meglio  del  territorio  di 

Vejo;  rimenarono  in  ‘patria  gli  eserciti.  Avvedutisi  i 

Vejenti  che  le  milizie  Romane  eransi  levate  dalle  inse- 



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i44  DELLE  Antichità’  eomane 

gne , presa  ia  gioventù  più  spedita  che  essi  tenevano  ia 

arme  , e quanta  ne  era  presente  de’  loro  vicini , si  get- 

tarono su  campi  confinanti , e li  depredarono  pieni  di 

fratti , di  bestiami , di  uomini  ; per  essere  i contadini 

calati  da’  castelli  a pascere  i bestiami  c lavorare  le  terre 

su  la  fiducia  che  aveano  nell’  esercito  Romano  trincie- 

rato  innanzi  di  loro.  Non  eransi  questi  ai  partir  dell’e- 

sercito affrettati  a ritirarsi  colle  cose  loro,  non  temendo 

che  i Vejenti , tanto  danneggiati , dessero  cosi  pronta 

la  ripercossa  a’ nemici.  Fu  la  irruzione  de’  Vejepti  pic- 

cola se  se  ne  guardi  il  tempo  ; ma  grandissima  per  la 

quantità  de’  campi  saccheggiati  : ed  avanzatasi  fino  al 

Tevere  verso  il  monte  Gianicolo  a meno  di  venti  stadj 

da  Roma  ; le  recò  dolore  e vergogna  insolita  ; non  es- 

sendovi sotto  le  insegne  milizie  che  impedissero  a quella 

di  estendersi.  Cosi  l’esercito  de’  Vejenti  prima  che  que- 

ste si  riunissero  ed  ordinassero , corse  desolando , e 

parti. 


XV.  Adunatisi  quindi  il  Senato  e i consoli  , c datisi 

a considerare  in  qual  modo  fosse  da  far  guerra  a’  Vc- 

jenti  ; prevalse  il  partito  di  tener  ne’  conOni  milizie  di 

osservazione  pronte  sempre  in  campo  per  la  difesa  del 

territorio.  Couturbavali  che  grande  ne  diverrebbe  il  di- 

spendio , laddove  l’ erario  era  esausto  per  le  imprese 

continue  , nè  più  bastavano  i beni  ai  tributi  ; e molto 

più  contnrbavali  la  recluta  di  tali  presidj  da  spedirsi  * 

perocché  ninno  voleva  star  in  guardia  per  tutti:  doven- 

dosi travagliare  non  a volta  a volta,  ma  sempre.  Essen- 

do per  tali  due  cause  mesto  il  Senato;  i due  Fabj  (a) 

(i)  1 due  Fabj  sono  Marco  Fabio,  e Fabio  Cesoue  nomiaati  di  topna. 



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LIBRO  ix;  145 


convocarono  qnanti  partecipavano  il  loro  lignaggio.  Con* 

saltatisi,  promisero  al  Senato  di  andare  spontaneamente 

essi  per  tutti  a tal  rischio , conducendo  seco  amici  e 

clienti , e militandovi  a proprie  spese  ; finché  durerebbe 

la  guerra.  Ed  esaltandoli  per  la  disposizion  generosa , e 

contando  tutti  di  vincere  anche  per  (jnesta  opera  sola , 

pigliarono  essi  famosi  in  città  le  aripe  tra’sagrifizj  e tra 

i voti,  e ne  uscirono.  Era  duce  loro  Marco  Fabio  il 

console  dell’  anno  precedente,  quegli  che  vinse  i Tirreni 

in  batuglia.  Esso  menava  presso  a poco  quattro  mila , 

clienti  per  la  maggior  parte  ed  , amici  , ma  trecento  sei 

ve  n’ erano  delia  stirpe  de’Fabj.  Usci  non  molto  dopo 

su  le  orme  loro  l’armata  Romana,  comandata  da  Fabio 

Cesone,  Tuno  de’ consoli.  Avvicinatisi  al  Cremerà,  fiume 

non  molto  discosto  da  Vejo  , fordficaroiio  su  di  una 

balza  precipitosa  e dirotta  un  castello  opportuno  a di- 

fendere tante  milizie,  e vi  scavarono  intorno  doppie 

fosse , e vi  elevarono  torri  froquenti.  Cremerà  fu  nomi- 

nato ancor  esso  il  castello  dal  fiume.  E conciosnachè 

molti  esercitavano,  ed  il  console  stesso  coadiuvava  quel 

lavoro , fu  terminato  prima  che  noi  pensassero.  Allora 

cavò  r esercito , e marciò  su  1’  altra  parte  alle  terre  dei 

yejenti , poste  incontra  al  resto  della  Etruria , dove 

quelli  tenevano  i bestiami , non  aspettandovi  mai  l’arme 

Romane.  Fattavi  gran  preda  se  la  recò  nel  nuovo  ca- 

stello , esultandone  per  due  cause  , cioè  per  la  vendetta 

non  tarda  pigliata  su’  nemici , e per  1’  abbondanza  che 

dava  copiosissima  ai  soldati  che  lo  presidiavano,  percioc-  « 

chè  niente  ne  riservò  per  l’  erario , o ne  dispensò  tra  lo 


DIONIGZ  , tomo  in.  1« 



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i46  DEiXE  Antichità’  romane 

sue  milizie,  ma  tulio  concedette  a quelli  che  guarda^ 

vano  la  regione,  greggi,  giumenti,  gioghi  di  buoi, 

ferramenti , e quanto  era  utile  per  la  coltura.  E dopo 

ciò  rlmenò  1’  esercito  a Roma.  Erano  dopo  fondato  il 

cartello  i Vejenti  a mal  termine  ; non  polendo  nè  lavo* 

t^re  con  sicurezza  le  terre , nè  ricevere  esterne  vetto> 

vaglie.  Imperocché  li  Fabj  (i)  diviso  in  quattro  parti  la 

gente  loro , con  una  difendevano  il  castello  , e le  tre 

altre  scorrevano  la  regione  nemica  pigliando,  e traspor> 

landò.  E quantunque  molte  volte  i Vejenti  gli  assalirono 

con  truppe  non  poche  nell’  aperto , e se  li  tirarono 

dietro  in  terre  piene  d' insidie  ; essi  nondimeno  vinsero 

r uno  e r altro  pericolo  ; e fatta  glande  uccisione , n 

ricondussero  salvi  al  castello.  Pertanto  non  osavano  più 

li  nemici  d’ investirli  , ma  tenendosi  per  Ib  più  tra  le 

mura  , np  faceano  furtive  sortite.  E cosi  ne  andò  quel* 

r inverno. 


XVI.  Entrati  l’anno  appresso  (a)  in  consolato  Lucio 

Emilio , e Cajo  Servilio  , fu  nunziato  a’  Romani  , che 

i Volsci  e gli  Equi  eransi  convenuti  di  portare  su  loro 

la  guerra,  e d’ invaderne  tra  non  molto  le  terre;  e ve- 

rissimo ne  era  1’  annunzio.  Imperocché  , armatisi  gli  uni 

e gli  altri  prima  dell’  aspettazione , corsero  , e devasta- 

rono , ciascuno , la  regione  vicina  a sestesso  , persuasi 

che  non  potrebbono  i Romani  combattere  in  un  tempo 

i Tirreni , e rispiiigere  altri  che  gli  assalissero.  Poi  so- 


(i)  Cioè  quelli  i quali  prcaidiavauo  il  casiello  aoUo  gli  auspicj 

di  Marco  Fabio. 


(a)  Addo  di  Roma  37C  lecoudo  Catone,  3^8  lecoodo  Varroae  ; 

e 476  *v.  Cristo. 





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LIBRO  IX.  147 


{iravveiiendo  altri  ridicevano  che  I’  Elriiiia  tutta  levavasi 

in  guerra  coulro  i Romani , e preparavasi  di  s[>edire  ia 

comune  un  soccorso  a’  Vejenti.  Or  lo  avevano  i Ve> 

jenti  f incapaci  di  espugnare  il  castello , imploralo  qu»> 

sto  soccorso  ; commemorando  la  unità  del  sangue , 1’  a- 

micizia,  e le  tante  guerre  che  aveano  insieme  combat- 

tute. Anzi  aVeano  dimandata  l’ alleanza  loro  nella  guerra 

co’  Romani  non  si  per  questi  riflessi , come  per  quello 

ancora  , che  i Vejenti  erano  su  la  frontiera  dell’  Etra- 

ria ; e frenavano  una  guerra , che  versavasi  da  Roma  su 

tutta  la  nazione.  Convinti  di  tanto  i Tirreni  promisero 

mandare  tutti  i sussidj  che  richiedevano.  Per  1*  opposto 

il  Senato,  informatone,  risolvette  spedire  tre  eserciti.  Ed 

arrolate  in  fretta  le  milizie;  fu  spedito  Lucio  Emilio  sa 

i Tirreni.  Usci  pur  con  esso  Fabio  Ceso  ne  , colui  che 

avea  di  fresco  deposto  il  comando , ottenuta  dal  .Senato 

la  facoltà  di  ricongiungersi  in  Cremerà , e partecipare  t 

pericoli  della  guerra  colle  genti  Fabie  che  il  fratello 

aveaci  condotte  in  difesa  del  luogo  : ma  egli  v’  andava 

co’  suoi  compagni  ornato  di  autorità  proconsolare.  Cajo 

Srrvilio  l'altro  console  marciò  contro  i Volsci,  e Servio 

Furio  proconsole  contro  gli  Equi.  Seguivano  ciascun  di 

essi  due  legioni  Romane  , e truppe  alleate  non  minori 

di  Eroici , di  Latini , e di  altri.  Servio  il  proconsole 

espedì  la  guerra  con  termine  rapido  e lieto  ; perciocché 

fugò  gli  Equi  con  una  battaglia  , e senza  stento  ; im- 

paurendoli al  primo  investirli  : e poi  rifuggitisi  questi 

ne’ luoghi  forti  ; ne  devastò  le  campagne.  Ma  Serviliu  il 

console  fattosi  a combattere  con  fretta  ed  orgoglio,  in- 

contrò ben  altra  sorte  da  quella  che  ne  aspettava:  Op- 



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i/jS  DELLE  Antichità’  romane 

posiiglisi  i Volsci  bravissimameote  , vi  perdette  molti  va* 

lentuomini:  tanto  che  si  fidasse  a non  far  più  battaglia: 

ma  standosi  negli  alloggiamenti  , deliberò  di  mantenere 

la  guerra  con  tenui  mosse  e scaramuccie  de’ soldati  leg- 

geri. Lucio  Emilio  mandato  nell’  Etruria  , trovando  ac- 

campati innanzi  della  città  li  Yefenti  con  grandi  rinforzi 

di  quella  nazione , non  indugiò  per  imprendere  : ma 

dopo  un  giorno  da  che  erasi  trincerato , presentò  le 

schiere  in  battaglia.  Vi  si  lanciarono'  i Vejenti  arditis- 

simamente: ma  divenuta  questa  eguale  in  ambe  le  parti; 

prese  i cavalieri , e.  gli  avventò  su  1’  ala  destra  de’  ne- 

mici ; e perturbatala;  corse  su  la  sinistra,  combattendo 

a cavallo  dov’era  luogo  da  cavalcarvi,  e dove  no,  smon- 

tando , e combattendo  a piede.  Venute  in  travaglio  am- 

bedue le  ale  , nemmeno  ' il  centro  potè  più  sostenersi , 

forzato  dalla  fanteria  : e fuggirono  tutti  verso  gli  allog- 

gitrmenti.  Emilio  allora  gl’  inseguì  con  le  milizie  ordi- 

nate, e molti  ne  uccise.  Giunto  presso  gli  alloggiamenti 

diedevi  con  mute  continue  1’  assalto , ostinandovisi  tutto 

quel  giorno  e la  notte  seguente  : finché  nel  giorno  ap- 

presso languendo  i nemici  pel  travaglio , per  le  ferite , 

e per  la  veglia  , se  ne  impadronì.  Quando  i Tirreni 

videro  i Romani  trascendere  le  trincee  , le  abbandona- 

rono, e fuggirono  quali  in  città,  e quali  a’ monti  vicini. 

Tennesì  il  console  per  quel  di  negli  alloggiamenti  ne- 

mici ; ma  nel  giorno  prossimo  onorò  con  doni  conve- 

nienti i più  segnalati  in  combattere,  e concedette  a’ sol- 

dati quanto  era  ivi  stato  lasciato  , giumenti , schiavi  , c 

tende  piene  di  ogni  ricchezza.  E 1’  esercito  Romano  se 

ne  ricolmò  quanto  non  mai  per  altra*  battaglia;  impe- 



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LIBRO  • IX.  1 4p 


rDcclièJi  Tirreni  vivono  vita  delicata  e sontuosa  in  pa- 

tria , ed  in  campo  ; e portan  seco , non  che  le  cose 

necessarie , suppelletlili  ancora  di  pregio  e di  artifizio  , 

ond’  esserne  in  piaceri  e delizie. 


XYII.  Ne’  giorni  appresso  stanchi  da’  mali  i Vejenti 

spedirono  ambasciadorì  i più  anziani  della  città  cq^  modi 

de’ supplichevoli  per  trattare  intorno  la  pace  col  console. 

Or  questi  sospirando,  prostrandosi^  e dicendo,^  tra  molte 

lagrime,  quante  cose  mai  sogliono  impietosire;  indus- 

sero il  console  a questo,  che  permettesse  loro  d’inviare 

oratori  a Roma  per  dar  fine  in  Senato  alla  guerra  : e 

che  non  danneggiasse  in  tanto  la  terra  loro  , finché  ne 

tornassero  colie  risposte.  Ad  ottenerne  però  questo,  pro- 

misero , come  volle  il  vincitore , dar  grano  per  due 

mesi , e danari  per  sei  pe’  stipeudj  di  tutta  V armata.  E 

portate , e ricevute , e dispensate  tra'  suoi  tali  cose  , il 

console  conchìuse  con  essi  la  tregua.  Il  Senato  , uditi 

gii  ambasciadori , viste  le  lettere  del  console  che  molto 

pregava,  e raccomandava  che  si  finisse  il  più  presto  la 

guerra  co’  Tirreni  ; deliberò  dar  la  pace  che  dimanda- 

vasi  : e che  nel  darla  il  console  Lucio  Emilio  stabilisse 

le  condizioni  che  gli  sembrasser  migliori.  Il  console  a 

tale  risposta  si  concordò  co’  Vejenti , facendo  una  pace 

anzi  umana , che  utile  pe’  vincitori , senza  riserbare  per 

essi  delle  terre , senza  impor  nuòve  multe,  nè  garantire 

i patti  cogli  ostaggi.  Or  ciò  lo  mise  in  grand’  odio , e 

fu  causa  che  non  avesse  dal  Senato  ringraziamenti,  come 

savio  nel  procedere  suo.  Imperocché  chiese  il  trionfo; 

ed  i padri  si  opposero  ; incolpando  1'  arbitrio  de'  suoi 

trattati , definiti  senza  il  pubblico  voto.  AlìGaché  però 



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l5o  DKLTT.  AXTICHÌTA’  ROMANE 

nou  sei  prendesse  ad  ingiuria  , nè  sen  corucciasse  ; lo 

destinarono  a portare  le  armi  contro  de’  Volaci  in  soc- 

corso dell’altro  console,  perchè,  come  fortissimo  nomo 

eh’  egli  era , desse  ivi  , se  poteasi , buon  fine  alla  guer- 

ra , e dissipasse  1’  odio  dell’  azion  precedente.  Ma  costui 

sdegnato  sa  la  negazion  degli  onori  fece  presso  del  po- 

polo lunga  accasa  de’  senatori , cpiasi  dolesse  loro  che 

spenta  fosse  la  'guerra  co’  Tirreni.  Diceva  , che  ciò  fa- 

cevano ad  arte  in  conculcaménto  de*  poveri  , perchè 

i poveri , delusine  già  tanto  tempo,  non  insistessero  per 

la  division  delle  terre , se  tornavano  dalle  guerre  di 

fuori.  Queste  e simili  contumelie  lanciò  con  indigna- 

zione vivissima  su’  patrizj  , e sciolse  1*  armata  che  avea 

con  lui  combattuto , e richiamò , e congedò  1’  altra  che 

era  tra  gii  Eqni  sotto  Furio  proconsole.  Con  die  re- 

nelle con- 

ti ricchi  i 


poveri. 


XVIII.  Presero  quindi  il  consolato  Cajo  Orazio , e 

Tito  Menenio  (t)  nella  olimpiade  settantesima  sesta, 

quando  vinse  allo  stadio  Scamandro  da  Mitilene,  es- 

sendo in  Atene  Fedone  P arconte^  Il  torbido  interno 

impedì  questi  a principio  ne*  fatti  del  comune,  fremendo 

la  moltitudine , nè  tollerando  che  si  fornisse  niuna  pub- 

blica cosa  innanzi  la  divisione  delle  terre.  Ma  poi,  vinto 

il  popolo  dalla  necessità , lasciò  quanto  facea  sommossa 

e tumulto , e ne  andò  spontaneo  in  sul  campo.  Impe- 

rocché le  undici  popolazioni  Tirrene  non  comprese  nella 


( I ) Anno  di  Roma  377  secondo  Catone  , 27;)  secondo  Varrone , 

e 4y5  av.  Cristo. 



stimi  molto  potere  ai  tribuni  di  malignare 

doni  contro  del  Senato ,,  e di  alienare  n  ciò 

principio  alla  guerra.  Levaronsi,  ciò  convenuto  , dal  par-» 

lamento.  Indi  a non  mollo  spedirono  i Yejenti  a raddo» 

mandare'  da’  F abj  il  castello , e già  tutta  1'  Etruria  era 

sa  r arme.  I Romani , conosciuto  ciò  per  lettere  spedite 

da’  F abj , decretarono  che  uscissero  ambedue  i consoli 

r uno  alla  guerra  che  sorgea  dall’  Etruria  , e 1’  altro  a 

quella  che  ardeva  già  co’  Yolsci.  Orazio  marciò  con  due 

legioni  e con  truppe  alleate  ben  forti  contro  de’ Yolsci, 

Menenio  dovea  con  altrettanta  soldatesca  incamminarsi 

contro  r Etraria.  Ma  intanto  che  si  apparecchia,  e s’in> 

dogia  ; il  castello  di  Cremerà  fu  preso  , e distratta  la 

stirpe  de’  F abj.  La  sciagura  de’  quali-  si  narra  a due 

modi  r uno  non  persUadevole , 1’  altro  piò  prossimo  al 

vero.  Io  gli  esporrò  tutti  due , come  gli  ebbi. 


XIX.  Narraoo  alcuni  che  sovrastando  no  patno  sa- 

grideio  che  doveasi  porger  da’Fabj,  uscirono  gli  uomini 

con  pochi  clienti  per  compierlo  , ed  andarono , senza 

esplorare  le  strade  , non  ordinati  sotto  le  insegne  , ma 

incauti  e negligenti , quasi  passassero  terre  amiche  , nei 

giorni  lieti  della  pace.  I Tirreni , saputane  anzi  tempo 



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iSa  DELLE  ANTICniTA*  ROMANE 


r andata  , disposero  tra  via  le  insidie  con  parte  dell*  e> 

sercito , mentre  1’  altra  parte  veniva  in  ordinanza  non 

molto  addietro.  Approssimatisi  i Fabj,  sorsero  i Tirreni 

dalle  insidie , e gl’  invasero  di  fronte  , e di  fianco  ; as- 

salendogli non  molto  dopo  da  tergo  il  resto  de’ Tirreni. 

Circondatili  d’  ogn’  intorno  con  fionde  , con  archi , e 

dardi  , e lance  ; gli  uccisero  tutti  colla  moltitudine  dei 

colpi.  Or  tale  racconto  a me  sembra  poco  persuasivo. 

Imperocché  non  par  verisimile,  che  tali  uomini,  addetti 

com’  erano  alla  milizia,  ne  andassero  dal  campo  in  città 

senza  il  voto  del  Senato  per  sagrìficarvi  ; potendo  il 

santo  rito  fornirsi  per  altri  del  lignaggio  medesimo,  già 

provetti  negli  anni.  Che  se  tutti  erano  partiti  d»  Roma 

senza  che  stesse  ne’patrj  lari  alcuno  de’ Fabj;  nemmeno 

può  credersi , che  uscissero  dal  castello  quanti  di  questi 

il  guardavano;  imperciocché  se  ne  andavano  tre  o quat* 

tro , bastavano  a compiere  il  santo  rito  per  tutta  la  pro- 

sapia. Per  tali  cagioni  a me  non  sembra  credibile  questo 

racconto. 


XX.  L’  altro  che  io  reputo  piò  verisimile  su  la  di- 

struzione di  essi , come  su  la  presa  del  cartello  , così 

procede.  Andando  questi  di  tempo  in  tempo  per  forag- 

giare, e.  spandendosi  ognora  più  da  largo,  come  quelli 

che  prosperavano  ne'  tentativi  ; i Tirreni , raccolte  gran 

forze,,  si  accamparono,  senza  che  il  nemico  ne  sapesse, 

in  luoghi  vicini  : poi  facendo  uscire  da’  castelli  masse  di 

pecore , di  buoi , di  cavalli , come  per  pascere , accen- 

devano i Fabj  ad  invaderli:  ond’ è che  venendo  questi 

predavano  i pastori , e menavano  seco  i bestiami.  Davano 

i Tirreni  di  continuo  tal  »ca , traendo  i nemici  sempre 



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LIBRO  IX.  l53 


piii  lontani  dal  campo  : or  quando  ebbero  con  gli  allst- 

lameoti  perpetui  dell’  utile  rallentate  le  provvidenze  loro 

per  la  sicurezza;  misero  di  notte  gli  agguati  in  luoghi 

opportuni , intanto  che  altri  stavano  su  le  allure  per 

esplorare.  Nel  giorno  appresso  mandali  innanzi  alcuni 

soldati , come  per  difesa  de’  pastori,  cavarono  mollo  be- 

stiame da’  castelli.  Come  fu  nunziato  ai  Fabj , che  se 

andavano  di  ià  dai  colli  vicini , troverebbero  ben  tosto 

il  piano  ripieno  d*  ogni  bestiame  senza  valida  guardia  : 

lasciarono  nel  castello  un  idoneo  presidio  , e vi  si  di- 

ressero. E trascorrendo  frettolosi , ardenti   

veri,  e dicendo  opera  loro,  quanto  è l’opera  di 'una 

sorte  improvveduta  , ed  inevitabile  ; li  renderono  inso- 

lenti, se  già  erano  esasperati.  Fra  tanti  mali  i consoli 

spedirono  con  molti  danari  chi  comperasse  grano  dai 

luoghi  vicini  : e comandarono  che  chi  teneane  in  casa 

oltre  i bisogni  moderati  della  vita  , lo  recasse  al  pub- 

blico: e destinatone  i prezzi  convenienti,  e fatte  queste 

e cose  altrettali , ammansarono  i poveri  che  si  sfrena- 

vano , e si  rivobero  di  bel  nuovo  agli  apparecchiamenti 

delia  guerra. 


XXVI.  E certo  tardando  a giugnere  le  vettovaglie 

di  fuori , e finite  in  breve  le  interne,  non  aveaci  altro 

scampo  da’ mali:  ma  doveasi  nece»ariamente  o rischiare 

tntte  le  forze  e snidare  i nemici  dai  territorio,  o morire 

tra  le  mura  per  le  discordie  e la  fame.  Adunque  eles- 

sero farsi  incontro  ai  nemici , come  al  meno  dei  mali. 

E levatbi  di  città  coll'esercito  valicarono  circa  la  mezza 

notte  su  picciole  barche  il  fiume,  e prima  che  il  giorno 

fosse  luminoso  , già  teneano  il  campo  presso  a’  nemici. 

Donde  cavato  nel  giorno  appresso  1’  esercito , 1’  ordiua- 


(i)  Di  ani  illiberali  • sordide.  Silbtirgio  inleade  (|r«.  Quindi  è che  se 

dividasi  390U  per  laS  risulta -i6.  Casaub. 



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i64  DEIXE  Antichità’  romane 


le  trasmutarono  in,  àlire  di  pecore  e’  buoi , tassato  an- 

che il  numero  di  questi  per  le  ammende  avveniife , che 

i magistrati  imporrebbero  su’ privati.  La  condanna  di 

Menenio  fa  causa  che  i patriaj  si  sdegoas'sero  col  p- 

polo , nè  più  gli  permettevano  di  fare  la  divisione  delle 

terre , nè  voleano  in  cosa  ninna  condiscendergli.  Ma  tra 

non' molto  lu  potilo  il  pplo  de’ suoi  giudizj , appunto 

nell’  udire  la  morte  di  Menenio..  Imperocché  non  crasi 

questi  mal  p(ù  veduto  nelle  adunanze , o"  ne’  pubblici 

luoghi:  e polendo  pagare  l'ammenda  (giacché  non  po- 

chi de’  suoi  eran  pronti  a soddisfarla  pr  esso  ) , e con 

ciò  non  perdere'  niun  pubblico  diritto  j non  volle  : ma 

giudicando  pri  la  ingiuria  alla  morte;  si  tenne  in  casa, 

nè  più  ammise  prsona  , e rifinito  dal  dolore  e dalla 

’ fame  ' abbandonò  la  vita.  E tali  sono  le  ■ Operazioni  di 

quest’  anno.  ^ . 


XXVIII.  Divenuti  consoli  Pulsilo  Valerio  Poplicòla  e 

Cajo  Nauzio  (i),  fa  condotto  a giudizio  capitale  anche 

un  altro  patrizio  Servio  Servilio,  console  dell’anno  pre- 

cedente, non  laokò  -dopo  che  aveva  lasciato  il  coma'udo. 

Due  tribuni  Ludo  Cedicio , e.Tito  Stazk)  erano  quelli 

che  lo  accusavano’  al  popolo-  chiedendo  ragione  non 

d' ingiustizia  alcuna , ma  degl’  infortuni  suoi , perchè 

nella  ballagUa  co’  Tirreni  spintosi  egU  fin  sotto  alle  trin- 

cee nemiche  con  più  ardirò  che  prudenza  , e-  rincal- 

zatone da  quei  d’ entro' che  ne  uscirono  in  copia  , vi 

prJetle  il  meglio  de’  giovani.  Questo  giudizio  parve  ai 

patrizi  il  più  duro  di  tutti.' E congregavansì , e doleansi , 


(i)  Abdo  di  Roma  979  Mcoado  Catoast  aSi  secondo  Varrone, 

e 473  >r.  Cristo* 



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LIBRO  IX..  lG5 


è teneano  per  gran  male  se  il  bell’  ardire , e il  non  ri* 

cu  sarsi  ai  pericoli  accusarasi  ne’  capitani  che  non  tro* 

vavan  propizia  la.  sorte,  e da  quelli  che  non  erano 

nemmeno  stati  ne’  perìcoli  : dicevano  , che  qne’  giudizj 

aarebbero , coni’  era  verìsimile , cagione  di  timori  e di 

ignavia  ne’ comandanti,  e di  non  &r  loro  mai  piu  con* 

cepire  nuovi  trovameoti  : che  perita  ne  sa.rebbe  la  li- 

bertà, come  annientata.!’ antorità  del  capitano.  Ed  in- 

sistevano caldamente  presso  la  plebe >.  perchè  non  con- 

dannasse quest’  nomo  , avvertendola  ,che  grabde  ne  sa- 

rebbe il  . danno  se  puoi  vanti  i dttci  > pe’  successi  non 

buoni.  Venuto  il  tempo  del  giudizio , fattosi  innanzi 

Lneio*  Cedicio,  uno  de’ tribuni,  accusò  Servilio  di  avere 

per  imprudenza  ed  imperizia  di  comando  menata  i’  ar- 

mata incontro  a pericoli  manifesti  , e rovinato  il  Bore 

della  repubbnca  : tanto  ohe  se  informalo  beo  tosto  il 

console ' compagno  della  sciagura  volando  a lui  coll’e- 

sercito,  non  respingeva  i nemici,  e salvava  i suoi;  niente 

impediva  che  non  fosse  disfatta  anche  tutta  1’  altra  mi- 

lizia , e che  in  avvenire  per  metà  decadesse  , non  che 

si  ampliasse  la'' potenza  di  Ronìa.  E cosi  dicendo  presen- 

tava per  testimOnj  i centurioni , quanti  ve  n’  erano , èd 

alcuni  soldati,  i quali,  volendo  rilevare  sestessi  dall’  infa- 

mia della  disfatta  e della  foga,  d’  allora  , versavano  sul 

capitano  là  colpa  degl’  infortito)  del  combattimetnto. 

Quindi  inspirando  viva  compassione,  verso  gli  estinti  in 

quella  giornata,  exl  esagerando  quel  male,  ne  ricordò  con. 

molto  .disprezzo  ancor  altri , i quali  detti  in  comune 

contro  i ' patrìzj , scoraggiavano  chiunque  di  loro  volesse 

intercedere  per  Servilla  ; é dopo  ciò  gli  concedè  la  dii- 





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l66  DKU.E  ANTICHITÀ.’  ROMANE 


XXIX.  E Servilio  pigliando  a difendersi  disse  ^ Cif- 

tadini , se  mi  chiamale  al  giudizio,  e cìuedete  ragione 

del  "mio  capitanalo  ; san  pronto,  a renderla  : ma  se 

mi  oliiàmate  ad  una  pena  già  risoluta , e'  mente  pift 

giova  eh’  io  dimostri  che  non  v oJ[esi;  prendete  fusa-, 

temi  come  avete  già  stabilito.  .Egli'è  pur  meglio  eh’ io 

mora  non  giudicato  cK  ottener  le  difese,  nè  persua-, 

dervele  ; perciocché  ■ sembrerei  patir  con  giustizia  ogni 

cosa  che  su  me  sentenziaste.  Altronde  voi  meno  sa~ 

rete  colpevoli,  se  togliendomi  le  difese,  jnentre  oscura 

ancora  c la  mia  colpa , se  colpa  ho  mai  fatta  ; secon- 

date 1 vostri  risentimenti.  Il  pensier  vostro' dalla  vostra 

udienza  mi  -sarà  chiaro  : il  silenzio  o'  il  tumulto  mi 

saran  d argomento  se  m’ avete  alle  ^scolpo  chiamato, 

o alla  pena.  E biò  detto  si  tacque.  E fatto  silenzio,  e 

gridando  ben  molli  che  facesse,  cuore , e dicesse  ciocché 

voleva,  cosi  ripigliò:  Cittadini,  se  .voi  siete  i‘ giudici, 

non  i nemici  miei  ; di  leggeri  spero  XOftVincervi  , che 

non  v’  oj^esì  ; e comincio  da  ciò  cito' tutti  sapete.  Io 

fui  scelto  console  ’coll  ottimo  V-erginio , quando  i Tir^ 

reni  fortificatisi  nel  colle  imminente  a Ronìà , domi» 

navano,  tutta  intorno  la  campagna,  sperandosi  di  abo- 

lire ben  tosto,  ambe  il  vostro f principato.  Eravi  in 

città  fante  , discordia  , defeienza onde  risolvette.  In- 

contratomi in  tempi  così . turbati  e terribili  ruppi , 

unito  al  collega , due  volte  in  battaglia  i nemici , e 

gli  astrinsi  a lasciare,  il  castello  , 'che  guardavano. 

Feci  dopo  non  molto  cessare  la  fame  , ricondotta 

t abbondanza  npl  ■ Foro  , e consegnai  d consoli  susse- 

guenti sgombro  da’  nemici  il  territorio  che  n’  era  pie- 



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L13BO  IX».  167 


HO,  e Roma  sana  da  tutti  i mali  politici , i cot 

pipopoU  l’  avea/io  inabissata.  So  dunque  non  è de^ 

litio  vincere  gt  inimici , e di  che  mai  son  io  ’^lpevole 

presso  vai  ? O conte  ha  Servilio  offeso  il  popolo',  se 

alcuni  bravi  incontraron  la  morte  col,  maU:hio  combai* 

tere  ? Già  non  v’  è niun  Dio  che  asiicuri  ai  capitani 

la  vita  de*  suoi  militari  ; nè  prendiamo , d , comando 

con-  patti  e formale  di  vincer  lutti  i nemici  ^ e non 

perdervi  aldino  de'  nostri.  E chi  mai , s egli  è uomo^ 

chi  si  offrirebbe  di  riunire  in  sè  tutti  i bei  tratti  di 

consiglio  buono  , e di  sorte  ? Anzi  i grandi  risuUad 

con  pericoli  grandi  s'  ottengono. 


XXX.  Nè  già  io-  sono  il  primo  éte  m’  avessi  tale 

ÒKonlro  in  combattere,  ma  se  l ebbero,  dOei,  quanti 

fecero  pericolose  battaglie  con  poche  schiere  contro  lè 

molte  nemiche.  Incalzarono  alctzni  i nemici , e poi 

furono  incalzati:  ne  uccisero,  e ne  furono  decisi,  an- 

che in  più  nurhero.- 

siri  capitani , riuscitici  altri  con  termine  buotto  , ‘altri 

con  doloroso  ? E perchè  dunque^  lasciate  gli  altri , e 

me  'giudicale  ; se  a norma  - ponderale  delle  leggi  le 

opere , non  degne  della  sapienma  e del  capitanato  ? 

Quante  imprese  più  audaci  ancor  della' mia  cadde  in 

pensiero  capitani^  di  compierle , quando  la  circo- 

stanza non  ammetteva  consigli  sicuri,'  é già  maturati^ 

Chi  strappando  le  insegne  dalle . mgni  de'  soldati , le 

gittò  fra  nemici  , perchè  i suoi  scoraggiati  ed  intimo- 

riti » d -rìànimassero  a-  forza,  istruiti  , che  chi  non 

salvatale  ne  avrebbe  morte  ingloriosa  dal  comandante, 

jiltri  scorrendo  sul  territorio  nemico , ucdicarono  e 

ruppero  i ponti  de'  fiumi  valicati,  perchè  i soldati  non 

. vedessero  scampo  nella  fuga,  se  la  tramavano , e com^ 

battessero  coji  ardore  e ferrnezza.  Altri-  dando  alle 

fiamme  le  bagagUe  e le  tende  , necessitarono  ' i suoi 

a ritrovare  nelle  terre  nemiche  quanto  lor  bisogna- 

va. 'Lascio'  mille  altre  imprese',  audaci  tutte , ed 

ideate  da  capitani , che  ió  .potrei  pur  dire  'su  la  sto- 

ria , e su  la  sperienza , e per  le  quali  ninno  mai , 

faUilagli  .la  prova,  soggiacque  alle  pena  E già  niuno 

può  redarguirmi  che  mettendo  i compagni  ad  aperto 

pericolo , io  xnen  tenessi  lontano.  Se  io  mi  vi  esposi 

cogli  .altri , se  ultimo  me  ne  ritolsi  , se  vi  'corsi  la 

sorte  comune  di  tutti  ; e di~che  • sono  io  reo  ? Ma 

basti  il  fin  qui  detto  su  me. 


XXXIL  Voglio  ora  dirvi  alóune  poche  cose  intorno 

del  Senato  e de’  patrizj , perocché  f odio  pubblico 



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l'](y  DELLE  antichità’  HOMANE 

contro  di  loro  per  la  division  sospesa  àeUe  terre  deot* 

neggìa  eutcora  a me,  nè  l accusatore  mio  occultò  que-^ 

sto facendomene  parte  non  piccola  delt  accusa.  E 

questo  dir  mio  sarà  libero  ; giacché  diversamente  nè 

io  saprei  parlarvi,  né  > voi  profittarne»  Popolo!  voi  nè 

giusti  siete  nè  retti non  rendendo  grazie  al  Senato 

de'  tanti  e 'grandi  benefit j che  ne  aveste  ; e sdegnan- 

dovi che  non  'per  invidia  ma  per  calcolo  di  ben  pub- 

blico, vi  si  oppone  .in  cosa  che'-  dimandate , la  quid 

conceduta  tusai  nocerebbe  '.al  comune.  Piuttosto  do- 

vevate accettarne  i consigli  pome' nati -da  principj  sol* 

dissimi , pel  bene  di',  tutti  , e tenervi  dalle  sedizioni'} 


0 se  non  potevate  con  tal  sano  discorso  frenar  gli 

appetiti,  t non  sani , dovevate  implorar  te  dimande , 

persuadendo  , non  violentando,  Imfièroechè  li  doni 

spontanei  titnpettp  de’  violenti  son  più  cari  per  chi  li 

dona  y e più  stabilì  per  . chi.  H riceve..  Or  • voi  , viva 

Dio  , non  ' avete  ciò  cónsiderato  : nia  commossi  ed 

inaspriti  dai  capipopolo,. come  il  mare  dai  venti  che 

insorgano,  F un.  dopo  F altro  , non  avete  lasciato  che 

la  patria  riposasse,  nemmen  picciolo- tempo.,, tra  la 

xoima , 'e  il  sereno.  Dondt  è che.  noi.  dobbiam  pensare 

migliore  per  noi  la  guerra,  che  la  pace  ;^iacchà  nella 

guerra  maltrattiamo  i nemici,  ma  gli  amici  nella  pace. 

Se  voi  lipulate  tutti  burnii  e lutti  utili,  come  sono, 


1 decreti  del  Senato  ; perchè,  non  avete  riputato  tale 

anche  questo  ? E se  credete  che  il  Senato  non  prov- 

veda con  semplicità,  mq  che  male,  e vituperosamente 

amministri , 'perché  noi  degradate  / voi  tutto  , e ven 

prendete  le  cariche  , e consultate  e guerreggiale  voi 



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LIBRO  ix;  • 171 


per  la  potenza  di  Roma , ma  , lo  stuzzicate , e lo  in- 

debolite poco  a poco  , chiamandone  i personaggi  più 

illustri  in  giudizio?  Certo  sarebbe  pur  meglio  che  fos» 

situo  tutti  insieme  combattuti , che  càìunmati  ad -uno 

ad  uno.  Sebbene , non  siete  voi , con»’  io  diceva , la 

cagione  di  ciò,  ma  i capi  del  popolo  che  vi  sommo- 

vano , non  sapet^o  essi  nè  ubbidire  y nè  comandare. 


E per  ciò  che  spetta  alla  loro  imprudenza  ed  impe^ 

rizia',  già  più  volte  sarebbefi  la  nave  rove^aicita.  Ep- 

pure il  Senato  che  ha  riparato  tante  volle  i loro  sba- 

che.  fa  che  la  vostra  repubblica  navighi  rettamente,  ' 

ascolta  ^ peggio  della  maldicenza  da  loro.  Or  queste 

cose , vi  piacciano  o no-,  le  ardisca  io  dire  con  ogni 

verità:  e vorrei  piuttosto  morire;,  videndorm  di  una 

libertà  'profittevole  ab  pubblico  { . che  salvarmi  adu- 

landovi. ■ • ' ■ 


XXXIIf.  G}si, dicendo  ,, senza  volgei^i  a lamentare  o 

deplorar  la  sciagura , senza  uniilianti  a suppliche,  e pro- 

slrai^ioni  non  degne  y e senza'  ..palesai^  affezione  alcuna 

men  che  generosa  , lasciò  che  parlassero  gli  altri , 'do- 

gliosi di ' coadiuvarlo  arringando,  o testificando:  Lui  di** 

scolpavano,  molti  che  eran  presenti , singoK\rmente  Ver* 

giuio  , gii  cpnsòle.  co'n  euo  lui  , riputato  l’autore  della 

vittoria!  Coitui  non  solamente  dimostrò  Servilio  irre- 

prensibile, ma  degno  che  si  encomiasse  ‘ed  otiofasse 

come  peritissimo  in  guerra , e savissimo  tra’  capitani. 

Diceva  che  se  credeano  buono  iì  termine  della  gaerra 

dovevano  ringraziar  lutti  due  ; o tutti  dile  punirli  se 

sci  aurato  ; giacché  avevano  .tntti;.dne  avuto 'doiiiu  ni  i 

consìgli , le  opere  , la  fortuna.  Commovea  non  solo  il 



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172  DELLE  INTICHITA.’  ROMANE 


/ discorso  di  lui  ma  la  vita  intera,  speriménUtta  in  tutte 

le  belle  ationi.  A^iungevasi , ciocché  ispirò  piò  com- 

passione , la  forma  addoloievole , (piai  suoL  essere  in 

qiielli  che  han  sofferto,  o siano  per-  soffrire  tamii  ter- 

ribilL  Tanto  che  li' congiunti  degU  uccisi,  quelli  che 

pareano  più . implacabili  contro  1*  autore  tl^l  danuo  , Ia 

sciaronsi  vincere-,  e deposer  lo  sdegno  che  ne  aveano 

manifestato  ; imperocché  qinna  tribù  nel  dare  il  voto  ló 

diede  per  la  condanna.  E tal  fu  la  fine  de’  pericoli  di 

Servilio.  ■ ' . 


^XXIV.  Marciò  non  mólto  dòpo  contro  i Tirreni 

r armata  Romana  sotto  gli  auspicj  dei  console  Pubfio 

Valerio,  perocché  si  era  d^  bei  nuovo  levau  in  arme 

la  città  di  Vejo , ubendpsde  i Sabini , alieni  fino  a quei 

giorno  di  unirsele , quasi  aspirasse  cose  impossibili  : 

quando  però  vider(>  Menenio  in  fuga  e presidiato  il 

monte  prossimo  a Roma  , giudicando  ^ scadute  le  forze 

Romane , e sbaldanzito  1’  animo  di  quella  'repuUilica , 

eoncertaronsi  co’  Tirreni , spedendo  loro  milizie  nume- 

rose. I Vejenti  confidati  su  le  schiere  proprie  e su  quelle 

giunte  di  fresco^  da’  Sabini  frattanto  che  aspettavano  le 

ausiliarie  degli  altri  Tirreni  anelavtino  , di  volarsene  a 

Roma  col  più  dell’  esercito , quasi  ninno,  ne  uscirebbe  a 

combattere , ma  dovessero  per  assalto  espugnarla , o ri- 

durla con  la  fame.  Indugiandosi  però  essi  ed  aspettando 

i confederati,  lehti  a ingiungersi,  Valerio  ne  prevenne 

i disegni , guidato  contra  loro  il  fiore  de’  Romani , .e 

gli  alleati,  con  sortita  non  manifesta,  ma  occulta  quanto 

polevasi.  Imperocché  .uscito  da  Roma  sul  far  della  sera, 

e valicato  il  Tevere  ; si  accampò  non  lontano  dalla  città. 



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LIBRO  IX.  ' 173 


Poi  levando  F esercito  su  la  mezza  notte , si  avanzò  con 

marcia  oi-dinata;  e prima  che  fosse  il  giorno,  investi 

r nna  de’  campi  nemici.  Erano  due  questi  campi  ; di^ 

sgiunti , ma  non  molto , fra  loro , l’ uno  de’  Tirreni , 

r altro,  de’ Sabini.  Fattosi  primieramente  stil  campo  Sa* 

bino,  assalirlo  fb  prenderlo  ; ''dormendovi  i più  senza' 

guardia  sufficiente,  'come  in  terra-  amica  , e liberi  da 

ogni  sospetto  , nwntre  non  si  annoqziavano  in  parte  ai* 

cuna  i nemici.- Preso  il  campo , quali  furono  uccisi  tra 

il  sonno  , quali  ^orti  appena’,  o mentre  si  armavano , 

e quali  armati  già , mal  resistendo  disordinati  e dispersi: 

la -più  parte  peri,  fuggendo  verso  .1’ altro  campo,'  sor- 

presa dalla  cavalleria.  , 


XXXV.'  Valerio',  invaso'  il  'campo  Sabino , marciò  su 

r altro  de’  Vejenti , postisi  in  luogo  non-  abbastanza  si- 

curo: ma  non  poteano  più  gli  assalitori  ghingeM  oc-' 

culti , per  essere  il  giorno  già  chiaro  ; e datoyi  da  fng- 

gitivi  r avviso  della  strage  Sabina  , e di  quella  immi- 

nente ai  Tirreni.  Pertanto  eca  necemario  andar  con 

fortezza  al  nemico.  'Ecco  dunque  resistere  con  ardore 

sommo  i. Tirreni  avanti  j^i  alleggia'menti , e fervisi' aspra 

tenzone  e strage  vicendevole.;  stando  'lungo  tempo  in- 

cert^  e pendendo  or  quinci  Or  quindi  la  sorte  della 

guerra.  Alfine  dan  volta  i Tirreni  , sospinti  dalla  ca- 

valleria Rpmana  , e ricacciansi  tra  le  uincee. . Segueli 

il  consolé  , ed  approssimatosi  alle  trinclere  nè*  ben  for- 

mate , nè  in.  luogo  , come  ho  detto  , abbastanza  sicuro , 

le  assaU  da  più  parti  ; travagliandovi  tutto  il  resto  del 

giorno  , nè  desistendone  por  nella  notte  appresso.  I Tir- 

renivinti  da’  mali  incessanti  / a'bbandonano  su  l’ alba  il 



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174  DELLE  antichità’  ROMANE 

CAmpo  ; altri  in  città  iuggeo4o$i , altri  dispergendosi  pei 

boschi  vicini.  Il  console , invaso  par  questo  campo,  diè 

riposo  ; in  quel  giorno  all’  esercito  : e net  seguènte  com> 

parti  la  preda  copiosa  de’ due  alloggiameuti  tra  le  Site 

milizie , coronando  co*  premi  ^ usati  chiunque  s’ era  più 

segnalato  nel  'combattere.  SenrUio  il  console  dell’  anno 

precedente  , quegli  che  sfuggi  le  ^ne  popolari , man- 

dato ora  luogdtenente  di  Valerio,  parsé  aver  pià  che 

tatti  risplenduto  fra  le  arme,-  e sospinto  i Vejeqti  alla 

fuga;  è per  tale  SUO  merito  ne  ebbe  il  primo  i premj, 

riputati' più  grandi  tra' Roiliani. 'Fatti  quindi  spogliare  i 

cadaveri  nemici , e>  seppellire  quelli  de’suoi , marciando, 

e venendo  il  console  coll’  esercito  ne’  campi  prosskni  a 

Vejo;  sfidò  quelli  d’  entro  per  la  battaglia.  Ma  non  pre- 

sentandovisi  alcono , e conoscendo  altronde  esser  cosa 

ben  ardua  pigliarli  di  assalto , come  chiusi  in  città  for- 

tissima, scorse  in- gran  parte  il  lor  territorio,  e si  glttò 

su  s quello  dé’  Sabini.  E saccfaeggikto  pei^.,  più  giorni', 

pur  questo  , ^ che  era  ancora  intatto  ; ricondusse  l’ eser- 

cito carico  di  prede  àmplissimi  in  patria.  ‘ Usci  di  città 

molto  a dilungo  per  incontrarlo  ' il  popolo  cintp  di  ghir 

ciò  Furio  (i);  il  Senalo  decretò  che  Tnino  de’due  mar*, 

classe  ^contro  di  Vejo  , ed  essi  decisero,  come  u$ayasi, 

colle  sortì,  chi  andasse.  E 'toccato  a Malliq,  vdlò  col- 

r armata,  e mise  il  campo  presso  a’ nemici.  I Vejenti 

ristrettisi  fra  le  mora , resisteroùO  intanto ,.  e spedirono 

alle  città  Tirrene, _ ed  ai  Sabini,'  recenti  loro ' alleati , 

chiedendone  che  mandassero  sollecito  ajuto,  .Ma  percioc- 

ché non  furono  secondati -e  consumarono  .tra  poco  i 

viveri  ; alfine  ^ necessitati  dalla  fame , uscirono,  i perso- 

naggi  più  provetti  e 'più  veóer;iodi  e co’ simboli  di.  pa- 

ce , ne  andarono  ambasaiadori  ai  console  per  intercedere  ' 

da  esso  il  fin  della  guerra.  M^o  comandò  che  poetas- 

sero a lui  li  viveri  di  due  mesi  per'.tulta.rarmsui).  o 

tanto  di  argento  da  stipendiamela  per  un’anno,  e ciò 


. (i)  Anno  di  Roma  a&u  secoado  .fatoae^  aSa  secoado  Vacroae, 


4t  473  av.  Cristo. 



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176  DELLE  Antichità’  romàne 

fatto , «perirebbero  al  Senato  per  trattarvi  la  pace.  Ac> 

cattarono  i Vejenti  le  condiaioai,  e dati  beu^tosl»  gli 

stipendi , e per  concession  del  console , anche  in  luogo 

del  grano  il  suo  prezzo , ne  andarono  a Roma.  Intro- 

dotti in  Senato  cercarono  perdono  t delle  cose  operate 

fin’ allora,  e requie  dalla  guerra  in  tu.tio.  l’ avvenire. 

Disputate  più  cose  per  l’una  e l'atra  sentenza,  al  line 

prevalse  quella  che  insinuava  la  riconciliazione , e ven- 

nesi  ad  Una  tregua  di  quaraot*  anni.,  Gli  oratori,  avuta 

la  pace,  assai  de  ringraziarono  Roofa  , e partirono.  In 

opposito  Mallio  vi  tornò  finita  la  guerra , e vi  chiese  , 

e n’ebbe  il  trionfo  a piede  (i).  Fecesi,  reggendo  questi 

consoli , il  censo  ; ed  i cittadini  che  assegnarono  sè 

Stessi,  i beni,  e li  figli '^ià  puberi,  fotono,  poco  più. 

che  cento  fneUta'  mila;  . , . 


XXXYU.  Giunti  dbpo  quesU  al  consolato  . Lucio 

Emilio  Mamertx)  per  la  terza  volta  e Giulio  Yopisco 

nella  olimpiade  settantesima  settima  (a) , nella  quale 

vinsè  allo  stadio  Date  Argivo , mentre  Caritè  era  l’a»  ' 

conte- di  Atene  ; ebbero  assai  travaglioso  e turbato  il 

comando , sebben  tacesse.  la  guerra  di  fuori.  Standosi 

ogni  nemico  in  calma  ; ineprsero  per  le  se4izìoni  in- 

terne , in  pbricoti , prossimi  a rovinar  la  repubblica. 

Sciolto  il  popolo  dalia  otilizia  insistè  ben  tosto  per  la 

division  delle' lem.  'Imperocché  fra  i tribuni  aveacene 

uno  baldanzoso,  nè  disacconcio  alle  arringhe.  Gneo 

Genuzib.eia  deiso,  l’ istigatore  dei  popolo.  Egli  ad  ora 


(1)  L’ovatiooe.  *'  ‘ 


(a)  Aano  di  Roma  aSi  secondo  Catone,  aS3  secondo  Varrauc  , 

e 471  a».  Cristo.  ' . ■ , 



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LIBRO  IT.  177 


nJ  ora  adunauJolo  , per  conciliarsi  i poveri  ; pressava 

i consoli  all  eseguire  il  decreto  del  Senato  sa  la  divi» 

sion  delle  terre.  E questi  ricusavano  dicendo , non  es- 

serne la  esecuzione  stabilita  pel  consolato  loro , ma  per 

quello  di  Vergiiiio , e di  Cassio  a’ quali  era  diretto  il 

decreto  : similmente  che  gli  ordini  del  Senato  non  erau 

leggi  perpetue , ma  previdenze  , valide  per  un  anno. 

In  mezzo  a tali  pretesti  non  potendo  costringere  i con- 

soli che  aveano  autorità  più  grande  della  sua  ; diedesi 

a protervi  consigli.  Mise  in  pubblica  accasa  Mallio  e 

Lucio  , consoli  dell’  anno  precedente , e prescrisse  loro 

il  giorno  nel  quale  dovésse  giudicarsene , pronunziando 

svelatamente  per  titolo  dell'  accasa  , ch’essi  aveano  offeso 

il  popolo  col  non  avere  nominati  i decemviri , com'era 

il  decreto  del  Senato , per  dividere  finalmente  i terreni. 

Che  se  non  menava  in  giudizio  altri  consoli  quando 

dodici  erano  i consolati  dalla  emanazione  del  decreto , 

ma  faceva  rei , questi  due  soli , della  promessa  tradita; 

davano  per  cagione  la  mansuetudine  sua.  In  ultimo  disse; 

che  i consoli  attuali  allora  unicamente  ridurrebbonsi  a 

divìder  le  terre , quando  vedessero  alcuni  de’  trasgres- 

sori puniti  dal  popolo , considerando  che  avverrebbe 

anche  ad  essi  altrettanto. 


XXXVllI.  Ciò  detto , esortati  tutti  a venir  pel  giu- 

dizio , giurò  per  le  sante  cose , che  egli  osserverebbe  il 

proposito  , ed  insisterebbe  con  tutto  l’ardore  su  la  con- 

danna di  quelli,  e prefisse  il  giorno  in  cui  sen  farebbe 

la  causa.  I patrizj , ciò  udito , caddero  in  molto  timore 

e sollecitudine  , come  dovessero  liberare  que’  due , e 

reprimere  1’  audacia  del  tribuno.  Deliberarono  resistere 


DIOXIGI  . tomt  Iti.  i> 



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1-^8  DELLE  ANTICniTA’  ROMANE 


al  popolo  fortissimameote , e bisogoandovi , colie  armi 

ancora , né  permettergli  cosa  ninna  , se  mai  la  decre- 

tasse contro  la  dignità  consolare.  Non  però  vi  bisognò 

violenza  ninna , cessando  il  pericolo  con  risoluzione  ina- 

spettata e repentina.  Imperocché  quando  mancava  al 

giudizio  un  giorno  solo;  Genuzio  fu  rinvenuto  morto 

nel  suo  letto  p senza  indizio  niuno  di  uccisione  non  per 

isu-azio  , o capestro , o veleno  , nè  per  altre  insidiose 

maniere.  Risaputosi  il  caso , e portatone  il  cadavere  nel 

Foro  , parve  questo  come  un  impedimento  divino  , e 

ben  tostò  il  giudizio  fu  tolto.  Imperocché  niun  tribuno 

osò  di  riaccendere  la  sedizione , anzi  molto  condannò  le 

lune  di  Genuzio.  ' Se  dunque  i consoli  quando  il  cielo 

chetò  la  discordia  avessero  ceduto,  non  insistito  in  con- 

trario ; non  sarebbero  incorsi  in  altro  pericolo.  Ma  da- 

tisi ad  insolentire  e spregiare  il  popolo,  e fatti  vogliosi 

di  mostrargli  quanto  era  il  potere  del  loro  comando  ; 

causarono  mali  gravissimi.  Intimata  una  iscrizioa  mili- 

tare , e forzandovi  chi  ricusava , con  multe  e verghe  : 

ridussero  il  più  del  popolo  alla  disperazione,  principal- 

mente per  tali  motivi. 


XXXIX.  Publio  Valerone  , un  plebeo , d’  altronde 

illustre  fra  le  arme,  e già  capitano  di  centurie  nelle 

guerre  precedenti , fu  segnato  da  essi  per  semplice  le- 

gionario. Or  lui  reclamando , e ricusando  un  posto  che 

lo  disonorava  quando  non  aveva  demeriti  anteriori,  sde- 

gnaronsi  i consoli  de’  liberi  modi  , e comandarono  ai 

Kttori  di  nudarlo  a forza , e di  batterlo.  Il  giovine  in- 

vocava i tribuni , e chiedeva , se  era  colpevole  , di  es- 

sere giudicato  dal  popolo.  Ma  non  udendolo , ed  insi- 



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LIBRO  IX j irjg 


Stendo  i consoli  perchè  i latori  sei  menassero , e lo  bal^ 

lessero;  egli  riguardò  la  ingiuria  come  insoffribile,  e 

divenne  appunto  il  vindice  di  sè  stesso.  Imperocché, 

fortissimo  eh’  egli  era  , trae  de’  pugni  in  faccia , ed  at- 

terra il  littore  che  primo  lo  investe , e poi  l’ altro.  Esa- 

sperandosene i consoli,  e comandando  a tutti  insieme  i 

satelliti  di  avventarsegli  ; parve  raiion  superbissima  ai 

plebei  ebe  eran  presenti.  E congregandosi  ; e schiamaz- 

zando  per  istigarsi  1’  uno  V altro  alla  vendetta;  ritolsero 

il  govane,  e respinsero  colle  percosse  i littori.  Alfine 

si  spiccavan  su  i consoli , e se  questi  non  isparivan  dai 

F oro  ; sarebbevisi  fatto  male  gravissimo.  Per  tale  evento 

tutta  la  città  se  ne  scinde  ; ed  i tribuni  placidi  fin’  al- 

lora , fremendo  ne  accusano  i consoli  : e le  contese  per 

la  ditnsion  de’  terreni  cangiaronsi  in  altra  più  grave  su 

la  forma  del  governo.  Imperocché  irritandosi  i paU-isj 

come  i consoli  , quasi  fosse  l’ antorilà  conculcata  di 

questi  ; voleano  precipiur  dalla  rupe  l’ audace  che  in- 

sorse su  i littori.  Per  1’  opposi to  i plebei  riuni vansi , e 

vociferavano  e conciUvansi  a non  tradire  la  libertà.  Si 

rimettesse  la  causa  al  Senato , vi  si  accusassero  i con- 

soli, e se  n esigesse  un  castigo , perchè  non  lasciarono 

goder  de’  suoi  dritti , e traturono  come  uno  schiavo,  e 

diedero  a battere  un  uomo  libero  , un  cittadino  , che 

chiedeva  l’ ajuto  de’  tribuni , e di  essere , se  fosse  reo , 

giudicato  dai  popolo.  Fra  tali  contrasti  e ritrosie  di  ce- 

dere gli  uni  agli  altri  , decorse  tutto  il  tempo  di  quel 

consolato  senza  fatti  di  guerra,  o di  governo,  belli  e 

memorandi. 


Xh.  Venuto  il  tempo  de’comizj  furono  dichiarati 



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i8o  DELLE  Antichità’  romane 

consoli  Lucio  Pina  rio  e Publio  Furio  (i).  In  principio 

di  quest’  anno  la  cilià  fu  piena  ben  tosto  di  religiosi  e 

divini  terrori  pe’  molli  portenti  e segni  che  apparvero. 

£ li  vali , e gl'  interpreti  delle  sante  cose,  dichiaravano 

tutti , esser  questi  gl’  indizj  dello  sdegno  celeste  per  al- 

cuna sacra  cosa , fatta  con  ministero  non  pio , nè  puro. 

E dopo  non  mollo  ne  venne  su  le  donne  un  morbo , 

chiamato  contagioso  , e tanta  moruliià  per  le  gravide 

principalmente , quanta  mai  più  per  addietro.  Imperoc- 

ché partorendo  prole  immatura  e già  morta , perivan 

con  essa.  IVè  le  suppliche  ne’  templi  e nelle  are  de’nu- 

mi,  nè  i sagrifizj  di  espiazione  fatti  a scampo  della  pa- 

tria o delle  famiglie , portarono  un  fine  ai  mali.  In  tal 

rio  stato  un  servo  diè  cenno  a’  pontefici , che  una  delle 

vergini  sacre , custodi  del  foco  inestinguibile  , ( Orbilia 

ne  era  il  nome  ) avea  la  sua  verginità  estinta , e che 

non  pura  sagrificava  ; ed  essi  traendola  dai  Santiìario , 

e dandola  a giudicare  ; poiché  per  gli  argomenti  fu  rea 

manifesta  , la  batterono  , e condottala  con  pompa  lugu- 

bre per  la  città  , la  seppellirono  viva.  Di  quelli  poi  che 

ebbero  il  mal'  affar  colla  vergine , 1’  uno  si  diè  la  morte 

di  per  sè  stesso;  l’altro  fu  preso  nel  Foro  pe’ sopra- 

stanti delle  sante  case , e flagellato  come  uno  schiavo , 

ed  ucciso.  Dopo  ciò  fini  ben  tosto  la  infermità  soprav- 

venuta alle  femmine  , e la  tanto  lor  perdita. 


XLI.  La  sedizione  già  si  diuturna  in  Roma  de’plebet 

co’  patrizii , vi  ribolli  per  opera  di  Publio  Valerone  tri- 

buno , quello  che  ntll'  anno  precedente  aveva  disubbi- 


|i)  Anno  di  Roma  aSa  secoudo  Catone,  aS;  secondo  Varrone,  e 

4^0  av.  Cristo. 


♦ 



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LIBRO  IX.  l8l 


dito  i consoli  Emilio  e Giulio  quando  il  segnavano 

per  legionario,  di  centurione  che  era.  Costui  nato  di 

stirpe  vilissima , e cresciuto  in  grande  oscurità  e disa- 

gio , fu  creato  tribuno  dal  ceto  de'  poveri , appunto 

perchè  sembrava  che  avesse  il  primo  tra’  privati  umi- 

liato il  grado  consolare  , autorevole  Gu’  allora  come  quello 

dei  monarchi,  'e  molto  più  per  le  promesse  che  dava 

di  togliere , giurilo  al  tribunato , la  potenza  de’  patrizj. 

Costai  quando  l' ira  del  cielo  era  cheta  , convocando  il 

popolo,  fece  uba  legge  su  le  elezioni  popolari  trasmu- 

tando i comizj  che  i Romani  chiamano  per  curie  in 

quelli  per  tribù.  Io  sporrò  qual  sia  la  differenza  degli 

uni  e degli  altrL  Li  comizj  curiati  perchè  fossero  va^ 

lidi , conveniva  che  precedesseli  il  decreto  del  Senato , 

che  il  popolo  vi  desse  il  voto  di  curia  in  curia  ; e che 

oltre  questi  due  requisiti , niun  segno , nè  augurio  ce- 

leste vi  si  opponesse  : laddove  gii  altri  comizj  compi- 

vansi  dalle  tribù  con  un  giorno  solo  senza  decreti  an- 

teriori del  Senato  , senza  sagriGzj , e senza  le  divinazioni 

degli  auguri.  Due  degli  altri  quattro  tribuni  volean  co- 

m’ egli  la  legge  ; ed  esso  tenendosi  amici  que’  due  ; ne 

andava  superiore  a fronte  degli  altri  che  la  ricusavano 

i quali  eran  meno.  I consoli , il  Senato  , i patrizj  in- 

tendeano  tutti  a distoglierla  e renderla  vana.  E recatisi 

in  folla  al  Foro  nel  giorno  preGsso  dai  tribuni  per  fon- 

dare la  legge  , vi  furono  aringhe  di  consoli , di  sena- 

tori provetti , e di  chiunque  il  volle , per  dimostrare  gli 

assurdi  di  essa.  Risposero  i tribuni , e di  bel  nuovo  i 

consoli  ; e prolungandosi  mollo  le  altercazioni  , fecesi 

notte  , e l’ adunanza  fu  sciolta.  Proposero  nuovamente 



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182  DELLE  Antichità’  romane 

i tribuni  pel  terzo  mercato  la  diacussion  su  la  legge  ; 

ma  concorsavi  gente  anche  in  pi  & copia , se  n’ebbe  un 

fine  simile  al  precedente.  Or  ciò  vedendo  Publio,  de- 

liberò di  non  permettere  ai  consoli  di  accasare  la  legge , 

nè  al  patrizj  di  trovarsi  al  dar  de’  sufiì'agj.  Perocché 

questi  co’  loro  amici  e clienti  non  pochi , ingombravano 

gran  parte  del  F oro , facendo  animo  a chi  denigrava 

la  legge  , e remore  a chi  difendevala  , e cose  altrettali 

che  nel  dar  dei  voti  sono  indizio  di  violenza  e disordine. 


XLII.  Se  non  che  ne  interruppe  i disegni  tirannici 

nn’ altra  calamhé  mandata  dal  cielo.  Imperocché  sorse 

in  città  nn  morbo  pestilente  che  infuriò  pnr  nel  resto 

d’ Italia  ; non  però  quanto  in  Roma.  Nè  valeva  per  gii 

infermi  soccorso  umano , morendovi  del  pari  e chi  era 

con  ogni  diligenza  curato,  e chi  non  lo  era.  Nemmeno 

giovarono  allora  suppliche  , sagrifizj  , espiazioni  private 

o pubbliche , alle  quali  necessitati  si  rivolgono  gli  uo- 

mini io  tali  casi  per  estremo  rimedio.  Il  male  non  di- 

stinse non  età , non  sesso  , non  vigore  , non  debolezza, 

non  arte  , non  cosa  ninna  di  quelle  che  pajono  ren- 

derlo più  leggero;  ma  comprendea  del  paro  Uomini  e 

donne , giovani  e vecchi.  Non  però  durò  gran  tempo , 

e questo  impedì  che  la  città  ne  perisse  totalmente.  Si 

gettò  come  torrente  o incendio  su  gli  nomini  con  im- 

peto furibondo , ma  passeggero.  Quando  il  male  diè 

requie  ; Publio  era  per  uscire  di  carica.  E siccome 

non  potea  stabilire  in  quel,  resto  di  tempo  la  legge  ; 

soprastando  i comizj  j chiese  di  nuovo  il  tribunato  per 

l’anno  seguente,  fatte  molte  e grandi  promesse  al  po- 

polo: e di  nuovo  se  lo  ebbe  egli,  e due  de’ compagni. 



« 



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LIBRO  IX.  l83 


Per  Topposito  i patrizj  tentarono  far  console  un  uomo 

aspro,  odiatore  del  popolo,  e che  non  lascerebbe  punto 

diminuire  l’ autorità  de’  pochi  : io  dico  Àppio  Claudio , 

6glio  di  queir  Appio  eh’  crasi  tanto  opposto  al  ritorno 

del  popolo.  Or  quest’uomo  che  moltissimo  contraddiceva 

alla  scelta  dei  tribuni , questo  che  non  avea  nemmeno 

voluto  venire  al  campo  p«’ comic],  sei  crearono  con-* 

sole , quantunque  assente , avutone  precedentemente  il 

decreto  del  Senato. 


XLIII.  Terminati  ben  tosto  i comic]  > per  esserne 

partiti  i poveri  appena  udito  il  nome  di  Appio  ; pre^ 

sero  il  consolalo  Tito  Qninuo  Capitolino  ed  Appio 

Claudio  Sabino,  nomini  non  simili  di  caratteri  e di 

voglie  (i).  Perocché  Appio  voleva  distrarre  tra  le  mi- 

lizie di  fuori  il  popolo  ozioso  e povero  , afGnchè  coi 

suoi  travagli  guadagnasse  dai  beni  ' del  nemico  il  vitto 

giornaliero , di  cui  tanto  penuriava , e rendendo  UliK 

servigi  alla  patria , non  fosse  malafFelto  e molesto  a’  pa- 

dri che  governano  il  comune.  Dicea  che  avrebbe  puiv 

le  cagioni  plausibili  di  guerra  una  città  che  si  procac- 

ciava il  comando  , e che  era  da  tutti  invidiata  : chie- 

deva che  argomentassero  dalle  cose  passate  le  future , 

esponendo  quanti  moti  erano  stati'  in  città , e come 

sempre  nella  cessazion  della  guerra.  Quinzio  però  non 

pensava  di  portare  ad  altri  guerra  : dichiarando  che  do- 

vea  bastar  loro  quando  il  popolo  ubbidiva  chiamato 

contro  ai  pericoli  esterni , che  sopravvengono  e strin- 

gono , e dimostrando , che  se  forzassero  nel  caso  pre- 

ti) Anno  di  Roma  a83  secondo  Catone  , aSS  secondo  Varrone, 

av.  Cristo. 



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l84  PKLLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE 


sente  gl'  indocili , indurrebbero  la  disperazione  come  i 

consoli  precedenti  1’  avevano  indotta.  Dont}*  è che  por- 

rebbonsi  essi  a repentaglio  o di  opprimere  la  sedizione 

col  sangue  e colle  stragi , o di  scendere  con  vitupero  ad 

appiacevolire  la  plebe.  Comandava  Quinzio  in  quel  me- 

se ; tantoché  non  potea  1’  altro  console  far  nulla  senza 

il  consenso  di  esso..  Ma  Publio  e li  compagni  ripiglia- 

rono senza  indugio  la  legge , che  non  aveano  potuto 

stabilire  nell'  anno  precedente  , aggiungendo  a questa  , 

che  si  creassero  ne'  comizj  stessi  ancora  gli  edili:  o che 

tutto  in  fine,  quanto  si  trattava  o risolveva  dal  popolo, 

si  trattasse  e risolvesse  nel  modo  medesimo  con  i co- 

mizj per  trìbùr  Or  ciò  era  l’ annientamento  manifesto 

del  Senato  , e l’ inalzamento  del  popolo. 


XLiy.  A tale  notizia  mpensierirono , e discussero 

i consoli  , come  togliere  pronti  e sicuri  la  sommossa  e 

la  sedizione.  Appio  consigliava  che  si  chiamassero  al- 

r armi  quanti  volean  salva  la  forma  della  repubblica  ; 

e che  si  numerassero  tra’  nemici  quanti  si  opporrebbero 

ad  essi  che  le  impugnavano.  Ma  Quinzio  giudicava  che 

si  dovesse  prendere  il  po[x>lo  colla  persuasiva  , e con- 

.vincerlo  die  per  ignoranza  de’ -veri  interessi  sla  nciavansi 

a rovinose  risoluzioni.  Dicea  esser  t estremo  'della  de^ 

menta  estorcere  colla  forza  da’  cittadini  ritrosi  ciocché 

aver  ne  poteano  di  buorr  grado.  Ora  approvando  pur 

gli  altri  senatori  il  parere  di  Quinzio  ; i consoli  ne  an- 

darono al  Foro,  e chiesero  da’ tribuni  un’aringa,  ed 

il  giorno  in  cui  farla.  Ottenuta  a stento  l’una  e l’altra 

istanza,  venuto  il  giorno  richiesto,  e concorsa  al  Poro 

moltitudine  d’ ogni  genere  preparata  per  opera  de’  due 



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MBIVO  IX.  l85 


magistrati  in  favor  loro , presenlaronsì  i consoli  per  cen- 

surarvi la  legge.  Quinzio , uomo  altronde  discreto , e 

persuaso  che  il  popolo  avessi  a guadagnar  col  discor- 

rere , chiese  il  primo  udienza , e ragionò  cose  a propo* 

sito  , e con  piacere  di  tutti  ; cosicché  li  fautori  delia 

legge  impotenti  a dir  cose  pii^  giuste  o benigne,  assai 

ne  furono  imbarazzati.  B se  il  console  collega  non  la- 

vasi ancora  troppo  gran  moto  ; forse  i plebei  ricono- 

scendo che  non  cercavano  nè  il  giusto , nò  il  bene  ri- 

pudiavan  la  ■ legge.  Ma  perciocché  colui  tenne  un  discorso 

superbo , e grave  ad  udirsi  da’poveri  ; il  popolo  ne  fu 

crocciato , implacabile , e discorde  , quanto  mai  piò  per 

addietro.  Non  parlò  costui  come  a uomini  liberi,  a cit- 

tadini arbìtri  di  fare  e disfare  le  leggi  : ma  quasi  par- 

lasse con  nomini  vili  , forestieri , né  liberi  solidamente; 

vi  lanciò  detti  amari,  insoffribili:  vi  lamentò  le  assolu- 

zioni dei  debiti , e ricordò  la  separazione  dai  consoli  ; 

quando  dato  di  piglio  alle  insegne , che  pur  sono , san- 

tissima cosa , abbandonarono  il  campo , volgendosi  ad 

un  esilio  volontario.  Richiamò  li  giuramenti  che  avean 

fatti , quando  presero  per  la  patria  le  armi , che  poi 

contro  lei  sollevarono.  Pertanto  diceva  che  non  sarebbe 

meraviglia  se  essi  che  avevano  spergiurato  gl’iddj , lasciato 

i capitani , e diserta  , quanto  era  in  loro , la  p^ttria , e 

che  vi  erano  tornati,  confusavi  la  buona  fede,  e sov- 

vertitevi le  leggi  ed  il  governo  , ora  non  si  dimostras- 

sero moderali  ed  utili  cittadini  : mai  incitati  da  nuòvi 

desideri  ed  eccessi , talvolta  chiedessero  magistrati  pro- 

prj , scelti  dall’ordin  loro,  e questi  iudipendentì  , in- 

violabih  ; tal’  altra  chiamassero  in  giudizio  per  cagioni 



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1 86  DELLE  A^TICHITA’  ROMANE 


turpissime  que’palrizj  che  loro  paressero,  trasferendo 

dal  celo  più  puro  al  più  sordido  i poteri  con  cui  Roma 

faceva  un  tempo  giudicare  sull’  esilio  e la  morte;  e ta- 

lora i mercenari  e privi  de’  palrj  lari  com’  erano , fis- 

sassero leggi  ingiuste  ed  oppressive  contea  i bennati , 

senza  lasciare  al  Senato  la  facoltà  di  proporle  prima 

col  sno  decreto  , tolta  ad  esso  una  prerogativa  che  aveva 

V sempre  avuta  senza  contrasto,  fin  sotto  de’monarchi,  e 

de'  tiranni.  E dette  molte  altre  cose  consimili , senza 

lasciare  indietro  memorie  amare,  nè  risparmiare  nomi 

ingiuriosi  ; alfine  pronunziò  questo  ancora  per  cni  tntto 

il  popolo  ne  infuriò , vale  a dire  che  mai  la  città  che* 

terebbesi  totalmente  dalle  sedizioni  ma  che  sempre  in- 

fermerebbesi  per  nuovi  mali , finché  fossevi  il  poter  dei 

tribuni  ; affermando  che  negli  affari  politici  si  dee  ve- 

dere che  i principi  sian  buoni  e giusti , giacché  da  buon 

seme  si  ha  frutto  buono  e felice,  ma  infelice  e reo  da 

reo  seme. 


XLV.  Diceva  : se  questo  potere  fosse  erttraio  in 

città  di  buon  accordo  per  ulil  comune;  venutovi  col 

favor  degli  augurj  e della  religione , sarebbe  stalo  a 

noi  causa  di  molti  e gran  beni , di  unione , di  leggi 

savie,- di  speranze  belle  dal  ctmto  dé’ numi,  e di  mille 

altre  cose.  Avendovelo  però  introdotto  la  violenza,  la 

prevaricazione  , la  discordia , il  timore  di  una  guerra 

interna,  e tutti  i mali  più  odiati  fra  gli  uomimf  come 

con  tali  principii  ne  sarà  mai  fausto  e salutare?  Ben 

è superfìua  cosa  cercar  farmachi  e cure  quante  sen 

possono  ai  mali  che  ne  germogliano  finché  restavi  la 

radice  viziata.  Nè  mai  vi  sarà  termine  , mai  requie 



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LIBRO  IX.  187 


alcuna  dallo  sdegno  celeste , finché  ques^  invìdia , in» 

saziabile  furia  in  città  s’  annida  , e lorda , ed  infra- 

cida tutto.  Ma  per  tali  cose  vi  sarà  discorso,  e tempo 

più  acconcio.  Ora,  poiché  si  vuole  rimediare  alle  còse 

presenti  ; io  lasciando  ogni  acerbità , vi  dico  : « N& 

» questa  legge,  nè  altra  qualunque  non  approvata  prima 

» dal  Senato  sarà  mai  valida  nei  mio  consolato.  Ma  so> 

n Sterrò  con  parole  gli  ottimati , e quaudo  anche  1’  o- 

» pere  vi  bisognino  , nemmeno  in  queste  sarò  vinto 

» dagli  avversar).  E se  non  prima  ayete  saputo  quanta 

» sia  r /lutorità  de'  consoli , nel  mio  consolato  lo  sa- 

a prete,  a 


XLVI.  Àppio  cosi  disse , quando  Cajo  Lettorio  il 

piò  provetto  e più  venerabile  de’  tribuni , uomo  rico- 

nosciuto non  ignobile  in  guerra , e buono  al  maneggio 

degli  affari , sorse  e replicò  , cominciando  da  alto  , e 

ragionando  a luogo  sul  popolo  , quante  diftìcili  spedi- 

zioni avessero  intrapreso  i poveri , da  lui  vilipesi , non- 

solo  nel  tempo  dei  re , quando  forse  era  necesiiià  , ma 

dopo  la  espulsione  loro  per  acquistare  alla  patria  la 

libertà  e il  comando.  Pur  non  ebbero  , dicea  , ricom- 

pensa ninna  da  palrizj , né  goderono  alcuno  de'  pub- 

blici beni;  ma  quasi  presi  in  guerra  , furono  privati 

injino  della  libertà  : e se  volevano  conservarsela  do- 

vettero . abbandonare  la  patria , cercando  una  terra 

ove  non  fossero , essi  liberi  uomini , insultati^  Senza 

violentare , senza  obbligare  colle  arme  il  Senato  , eb- 

bero nella  patria  il  ritorno , condiscendendo  a lui  che 

chiedeva  e pregava  che  si  rendessero  alle  abbandonate 

lor  cose,  fi  qui  spose  i giuramenti , e rammentò  gii 



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l88  DELLE  antichità’  ROMANE 


accordi  fatti  per  questo  ritorno;  tra’ quali  v’era  I* amni- 

stia di  tutto  il  passato,  e la  concessione  a’  poveri  di 

eleggersi  magistrati  i quali  proteggessero  loro  , e resi- 

stessero a chiunque  volesse  mai  conculcarli.  Scorrendo 

su  ^li  subjetd , aunoverò  le  leggi  fondate  poco  prima 

dal  popolo  ; come  quella  su  la  iraslasion  dei  giudizj  per 

la  quale  il  Senato  cedeva  ài  popolo  che  chiamasse  in 

giudizio  qual  più  volesse  de’  patrizj  ; e 1’  altra  sul  dar 

dei  suffragi,  la  qual  rendeva  arbitri  de’ voti  i comìzj  per 

tribù , non  quelli  per  centurie. 


XLVIL  E così  ragionato  Sul  popolo  ; rivolgendosi  ad 

Appio  disse  : E tu  ardisci  et  insultar  quelli  pe’  quali 

la  repubblica  divenne  di  piccola  grande , e luminosa 

d' ignobile  ? tu  chiami  sediziosi  gli  altri  ^ e rimproveri 

loro  tome  fuorusciti  ? Quasi  non  tutti  rammentino 

ancora  ciocché  avvenne  tra  noi , vuol  dire  che  gli  avi 

tuoi  levarono  il  capo  contro  de’  magistrati , abbando- 

naron  Ut  patria,  e supplichevoli  qui  s' alloggiarono.  Se 

non  forse  voi  che  avete  abbandonala  la  patria  per 

amore  della  libertà  , voi  v avete  fatto  un  opera  belìa^ 

fié  ^ella  è quella  de’  Romani  che  han  fatto  altret- 

tanto, Tu  ardisci  calunniare  l’ autorità  de’ tribuni  conte 

introdotta  a mal  fatto  ; e persuadi  qui  noi  che  c in- 

voliamo questo  sacro , questo  immobile  rifugio  de’  po- 

veri , confermatoci  da  numi  a dagli  uomini  per  tanto 

grandi  cagioni  ? Ta  tirannissimo , ninUcissimo  che 

sei  del  popolo  ! E non  giungi  nemmeno  dunque  a 

vedere , che  ciò  dicendo  , oltraggi  il  Senato , oltraggi 

la  tua  mùgislratura  ? Insorse  pure  ' tutto  il  Senato 

contro  dei  re , più  non  potendo  so  ferirne  la  superbia^ 



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LIBRO  IX.  1 89 


c gli  affronti  ; e fondò  il  consolalo  , e prima  di  ban- 

dirli da  Rema  f coesi  altri  ministri  del  regio  potere. 

2'antochè  ciò  che  dici  contro  del  tribunato  come  in- 

trodotto mal  fato,  per  la  origine  sediziosa,  ciò  dici 

ancora  contro  del  consolato  ; giacché  non  altra  causa 

il  fé  nascere  se  rwri  lo  scuotersi  de’  patrie j contro  dei 

re.  Ma  che  parlo  io  di  queste  cose  con  te  quasi  con 

cittadino  buono  e Moderato  , quando  tutti  sanno  che 

tu  sei  di^ stirpe  mal  grazioso , anzi  acerbo , anzi  in- 

festo al  popolo , nè  buono  da  ingentilire  la  salvati- 

chezea  tua  ? X)  perchè  non  pospongo  i detti , e ^ in- 

vesto co’  fatti , e ti  mostro  che  tu  che  non  ti  vergogni 

di  chiamare  il  popolo  un  sordido , e senza  casa , tu 

non  sai  quanta  sia  la  forza  di  lui  ? quanta  quella  del 

suo  magistrato  a cui  le  leggi  ti  obbligano  di  dar  luo- 

go e di  cedere  ? ma  già  lasciati  1 rammaricìd  delle 

parole , comìncio  le  opere. 


XLVIII.  E ciò  detto  giurò  col  giuramealo , più  rive* 

reado  infra  loro , di  sostenere  la  legge;  o di  morire.  E 

qui  taciutisi  lutti , e latti  empiutisi  di  ansietà  su  ciò 

che  farebbe  : comandò  che  Appio  ne  andasse  dall*  adu- 

nanza. E perciocché  non  ubbidiva  , ma  cingendosi  coi 

littori  e colia  turba  che  aveasì  perciò  condotto  di  casa, 

ripugnava  ad  andare  ; Lettorio , intimato  pe’  banditori 

silenzio,  consigliò  che  i tribuni  facessero  portare  il  con- 

sole nella  carcere.  E qui  la  guardia  di  lui  si  avanzò  , 

comandata , come  ad  arrestarlo  ; ma  il  littore , che  il 

primo  se  la  ebbe  innanzi , la  battè  e respinse.  E levatosi 

romor  grande  e rammarico;  v’accorse  lo  stesso  Lettorìo, 

eccitando  la  turba  in  ' suo  ajulo.  Se  gli  oppose  Appio 



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igo  DELLE  Antichità’  romane 

con  giovani  bravi  e numerosi;  ed  eccone  quinci  e quindi 

viluperauoni , grida , spinte  ; talché  la  contesa  diveni— 

vane  zuflà , ornai  cominciandovisi  il  trar  delle  pietre. 

Se  non  che  ripresse  tali  colpi , e fece  chn  il  male  non 

procedesse  più  oltre  Quinzio  l’ altro  console , caccian- 

dosi egli  c li  più  anziani  de’  senatori , tra  le  minacce  , 

e supplicando  e scongiurando  tutti  a desistere.  Non 

avanzava  allora  se  non  picciola  parte  del  giorno,  e però 

si  divisero  finalmente  , ma  di  mal’  animo.  Incoiparonsi 

i magistrati  a vicenda  ne’  giorni  appresso  : il  console 

accusava  i tribuni  che  tentassero  di  annientare  il  suo 

grado  col  volere  in  carcere  chi  lo  rappresentava  ; ed  i 

tribuui  il  console  , pe’  colpi  portati  su  persone , sacre 

ed  inviolabili  per  la  legge  ; e de’  colpi  avea  Lettorio  i 

segni  manifesti  nel'  sembiante.  Intanto  stavasi  la  città 

scissa  e fremente.  I tribuni  ed  il  popolo  occuparono  il 

Campidoglio,  non  tralasciandone  mai  la  guardia,  giorno' 

e notte  : il  Senato  adunatosi  tenne  lunga  e travagliosa 

discussione  intorno  ai  modi  di  chetar  la  discordia , con- 

siderando la  gravezza  del  pericolo  , e come  nemmeno  i 

consoli  fossero  uniti  fra  loo);  giacché  volea  Quinzio 

conr^dere  al  popolo  le  istanze  • moderate , ed  Appio  vi 

ripugnava , a costo  ancora  della  vita. 


XLIX.  E poiché  ninna  cosa  avea  termine , Quinzio 

presi  nn  per  uno  i tribuni  ed  Appio , orando , scon- 

giurando , raccomandava  loro  di  antepoiTe  il  ben  pub- 

blico al  proprio.  E vedendo  alfine  ornai  rimplacidili 

quelli,  ma  duro  in  sua  caparbietà  il  console  compagno; 

persuase  Leitòrio  e i seguaci  di  lui,  sicché  rimettessero 

al  Senato  l’esame  de’ privati  e pubblici  risentimenti.  Con- 



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LIBRO  IX. 



*9* 


Tocato  quindi  il  Senato,  lodativi  ampiamente  i tribuni, 

e scongiurato  il  compagno  a non  contrastare  la  salvezza 

pubblica , invitò  tutti , secondo  il  solito , a dirne  il  pa- 

rer suo.  Invitato  per  il  primo  Publio  Valerio  Poplicola, 

disse:  che  doveansi  dal  pubblico  condonare,  non  por- 

tare in  giudizio  le  incolpazioni  vicendevoli  de'  tribuni 

e del  console  su  quanto  s’ avean  fatto  o sofferto  nel 

tumulto;  perchè  non  erosi  fatto  per  mal  animo,  nè 

per  ben  propiro  , ma  per  gara  di  preminenza  in  re- 

pubblica: quanto  alla  legge  poi  sen  facesse  previo 

decreto  in  Senato  ; giacché  Appio  console  non  voleva 

che  senza  questo  al  popolo  si  proponesse.  Del  resto 

provvedessero  tribuni  e cofisoli  insieme  il  buon  ordino, 

e C armonia  de'  cittadini  nel  dar  de'  suffragi.  Appro- 

varono lutti  quel  dire  ; e ben  tosto  Quinzio  fe’  dare  il 

volo  a’  senatori  su  la  legge.  AcCusolla  Appio  per  più 

capi,  e -molto  i tribuni  se  gli  opposero,  ma  vinse  (ìnal- 

mente  di  gran  lunga  il  partito  per  introdurla  ì stesone 

il  decreto  del  Senato,  ne  tacquero  le  gare  de’ magistrati, 

il  popplo  di  buon  grado  lo  accolse  , e fece  co’  sufTragj 

suoi  la  legge.  Da>quelip  (i)  fino  a miei  tempi  i comizj 

per  tribù  decidono  col  volo  loro  la  scelta  de’  tribuni  e 

degli  edili  ^enza  dipendenza  ninna  dagli  augurj^e  dalle 

cose  di  religione.  E tal  fu  la  soluzione  de’  dissidj  che 

di  que’ giorni  conturbarono  Roma. 


L.  Piacque  dopo  non  molto  ai  Romani  di  arrolar  le 

milizie , e spedire  ambedue  ^ consoli  contro  gli  Equi  e 

li  Volsci:  perocché  nunziavasi  loro  eh’ erano  uscite  truppe 


(i)  Addo  di  Roma  a83  secondo  Catone,  a85  secondo  Varrone, 

* 4^  UT.  Cristo. 



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1C)2  DELLE  antichità’  BOMANE 


in  gran  numero  deli’  uno  e dell’  altro  popolo  e depre- 

davano  gli  alleati  Romani.  Apparecchiati  dunque  in  fretta 

gli  eserciti , e sceltone  colle  sorti  il  comando  ; Quinzio 

marciò  contro  gli  Equi,  ed  Appio  contro  de’Volsci.  Ma 

ciascun  dei  due  consoli  v’  ebbe  le  vicende  che  meritava. 

Imperocché  l’armata  di  Quinzio  benevola  al  vaientQomo 

per  la  moderazione , e per  la  dolcezza  di  lui , ne  ubbi- 

diva pronta  i comandi , e le  più  volte  anche  senza  co- 

mandi affrontava  i pericoli , per  acquistargli  fama  ed 

onore.  Dond’è  che  scorse  in  gran  parte,  saccheggiando, 

la  region  de’  nemici  ; senza  eh’  ardissero  questi  venirne 

alle  mani  : e raccoltevi  amplissime  prede  , e vantaggi , e 

dimoratavi  alcun  tempo  scevra  in  tutto  da  mali;  si  pre- 

sentò di  bel  nuovo  in  patria , rimenandovi  il  suo  capi- 

tano luminóso  per  le  belle  azioni.  Ma  1’  arntata , anda- 

tane con  Appio , lasciò  per  odio  di  lui  ipulti  patrj  do- 

véri; perocché  fu  mal  animata  in  ogni  spedizione  e poco 

curante  il  suo  duce:  e quando  le  bisognò  far  battaglia 

co’ Volscl , schieratavi  da  . esso,  ricusò  di  venire  alle 

mani.  Centurioni  ed  antesignani , chi  lasciò  la  schiera 

sua , chi  gettò  1’  insegna , e rifuggironsi  agli  alloggia- 

menti. E se  gl’inimict,  sorpresi  dalla  stranissima  fuga, 

ed'  intimoriti  per  essa  di  un  qualche  inganno , non  de- 

sistevano dall’  incalzarli  ; perivane  il  più  de’Romani.  Or 

ciò  faceauo  a mal  cuore  del  capitano  , sicché  egli  sul- 

r esito  di  fauste  battaglie,  non  crescesse  col  trionfo,  e 

con  altri  onori.  Nel  giorno  appresso  ora  il  console  re- 

darguendoli per  la  fuga  -ingloriosa , ora  esortandoli  a 

cancellarne  la  infamia  con  un  generoso  combattimento, 

ora  minacciandoli  che  varrebbesi  del  rigor  delle  leggi  se 



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LIBRO  IX.  ig3 


non  teneansi  fermi  contro  a’  pericoK  , essi  ìadociii  tut>' 

lavia  Io  intronarono  colle  grida , e cltiesero  che  li  ri«> 

tirasse  dalla  guerra  , come  invalidi  a pi&  resistervi  per 

le  ferite.  E quasi  feriti  davvero , ' aveansi  alcuni  fasciate 

membra  sanissime.  Appio  adunque , necessitatovi , ritirò 

r esercito  dalle  terre  nemiche;  ed  i Volaci  tenendogli 

dietro,  ne  ticoisero'non  pochi.  Giunti  in  terre  amiche, 

il  cònsole  convocatili , e fintine  i grandi  lamenti , an- 

nnnrìò  che.  punirebbeli  come  i disertori.  E quantunque 

seniori  e magistrati  militari  assai  lo  pregassero  a tem- 

perarsi , nè  volgere  la  patria  di  danno  in  danno  ; egli 

non  tenne  conto  di  alcnno , e stabili  la  pena.  Quindi 

i centarìoni  le  cui  centurie  fuggirono  «'e  li  portatori 

delie  bandiere , che  le  aveano  peivlute , gli  nm  furono 

decapitati  colle  scuri , e gli  altri  Colle  verghe  battuti  e 

morti.  Del  resto  della  diilizia  ne  peri , tirata  a sorte , 

la  decima  parte  per  tatti.  Tale  fra*  Romani  è il  castigo 

per  chi  lascia  l’ ordinanza  , o getta  la  insegna.  .Dopo 

ciò  egli , duce  odióso  , condocendo  1’  avanzo  dell’  eser- 

cito mesto  è disonoralo  ; ornai  sovrastando  i oomiz)  , si 

rimise  in  patria. 


LI.  Dichiarati  consoli , dopo  questi , Lncio  Valerio 

per  la  seconda  volta  , e Tiberio  Emilio  (i);  i Tribuni 

contenutisi  già  per  qualche  tempo  , introdussero  di  bel 

nuovo  il  discorso  su  la  division  de’ terreni.  £d  andatine 

ai  consoli , chiesero  supplichevoli  ed  insistenti  che  si 

mantenessero  al  popolo  le  proihesse  fattegli  dal  Senato 


(i)  Addo  di  Roma  384  *,  piacciavi  udirle  o no,  vi  dico,,  veracissimo 

e libero  , come  utili  di  presente , e sicure  per  P avve- 

nire , se  lascerete  mai  persuadervene  ; quantunque  per. 

me  che  affronto  pel  pubblico  bene  l'odio  altrui  saran 

causa  di  mali  non  pochi.  Imperocché  ragionando  an- 

tivedo , e presentami  i casi  altrui  come  norma  de'miei. 



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LIBRO  IX.  IQQ 


LIV.  Appio  cosi  disse  , e consenlendo  con  lui  quasi 

tutti , fu  sciolto  il  Senato.  Irriuronsi  i tribuni  per  la 

ripulsa  : e partitisi , considerarono  come  punirne  un  tal 

uomo.  In  mezEO  al  molto  discutere  piacque  loro  di  sot- 

toporre Appio  ad  un  giudizio  capitale.  Pertanto  accu» 

sandolo  .nell’  adunanza  del  popolo , invitarono  tutti  a 

venire  in  giorno  determinato , per  sentenziare  su  lui. 

Sarebbero  queste  le  incolpazioni , vuol  dire  che  stabiliva 

massime  ree  cofilro  il  popolo  ; che  riaccese  in  città  la 

sedizione  ; che  alzò  viqlento  le  mani  sul  tribuno  ad 

onta  delle  leggi  sacrosante  ; e che  duce  delC  esercito , 

sen  tornò  pieno  di  sciagura , e (T  infamia.  Annunziate 

tali  cose  al  popolo  , e destinato  il  giorno  in  cui  di(^ 

vano  che  ne  farebber  la  causa , intimarono  ad  Appio  di 

comparire  a difendersi.  Sen  dolsero  e prepararonsi  i 

padri  Con  tutto  l’ ardore  a salvarlo.  Eid  esortandolo  a 

cedere  al  tempo , e prender  abito  conveniente  alle  cir> 

costanze  ; replicò  che  mai  non  farebbe  azione  vile , nè 

degna  delle  precedenti;  e che  sosterrebbe  anzi  mille 

morti  che  prostrarsi  supplichevole  ad  alcuno.  Rimosse 

alquanti ‘che  eran  pronti  d’ Intercedere  per  lui , dicendo: 

die  sarebbegli  stata  doppia  vergogna , se  vedesse  altri 

fare  per  lui  ciocché  non'  dovea  fare  nemmeno  per  sè 

stesso.  Dette  queste , e cose  consimili , senza  cambiar 

vestimenti,  nè  tener  di  sembiante,  nè  llul  fìnsero  che  per  una  Infermità 

morisse.  Portatone  quindi  il  cadavere  nel  Foro  , -il  Gglio 

di  lui  fattosi  innanzi  ai  tribuni  ed  ai  consoli  » dimandò 



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200  DELLE  ANTICHITÀ’  ROMANE 


che  convocassero  Tadananza  legittima;  e ^mettessero 

a lui  di  lare  sul  padre  suo  la  -funebre  laudazione,  usala 

in  morte  de’ Valentuomini.  Intimarono  ai  consoli  l’adu* 

nanzB  ; ina  vi  ripugnarono  i tribuni , ed  imposero  al 

giovine  di  tor  via  quei  cadavere.  Non  sofferse  il  popolo 

né  guardò  con  indifferenza  clte  inonorato  il  cadavere  si 

rimovesse  ; ma  concedette  al  > 6glU>  di  rendere  i con- 

sueti onori  al  padre  : £ tale  fu  la  fine  di  Appio. 


LV.  I consoli  arrotarono,  e cavarono  di  città  le  mi- 

lizie ; Lucio  Valerio  per  combattere  gli  Equi  e Tiberio 

Valerio  i Sabini  ; perciocché  gli  ultimi  ne’  tempi  della 

sedizione  entrarono  il  territorio  romano,  e danneggia- 

tane gran  parte , ne  partirono  con  amplissima  preda  : 

gli  Equi  poi  venuti  più  volte  alle  mani , e presevi  molte 

ferite,  eransi  riparati  in  luogo  fortissimo,  nè  più  ne 

scendevano  per  combattere.  Ben  tec^ò  Valerio  di  asse- 

diare quelle  trincee , ma  ne  fu  proibito  dal  cielo.  Im- 

peròcclié  mentre  v’andava  e ponessi  all’opera;  si  mise 

il  cielo  in  caligine , in  pioggie  , in  fulgori  , e tuoni 

spaventevoli.  Se  ne  sbandò  l’ esercito , ma  sbandatosi 

appena  cessò  la  procella  : e fecesi  grande  serenità.  Prese 

il  console  come  cosa  di  religione  un  tal  fatto  : e per- 

ciocché gl’  indovini  diceano  non  essere  da  por  quell’as- 

sedio ; egli  diè  volta,  e saccheggiò  la  terra;  e lasciata 

in  utile  de*  soldati  la  preda  , ricondusse  in  patria  l’eser* 

cito.  Tiberio  Emilio  però  scOrrea  fin  dal  principio  con 

assai  negligenza  le  regioni"  de’ nemici,  nè  aspettavano 

ornai  più  le  milizie;  quando  uscirono  a fronte  i Saliini, 

e sen  fece  battaglia  ordinata , quasi  dal  mezzodì  fino  a 

sera.  Sorprese  dalla  notte  ritiraronsi  le  armate  ciascuna 



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LIBRO  IX.  aoi 


al  suo  campo  , nè  vincitori  nè  vinte.  Ne’giorai  appresso 

i duci  presero  cura  de’  loro  estinti , e munirono  di  fossa 

gli  alloggiamenti  ; ambedue  con  proposito  di  difender' 

visi , non  di  uscirne  per  offendere.  Poi  col  volger  del 

tempo  levarono  le  tende , e partironsi  cogli  eserciti. 


LVI.  L’  anno  dopo  (i)  nella  olimpiade  settantesima 

ottava  in  cui  vinse  nello  stadio  Parmenide  di  Possido> 

nia  , mentre  Teagene  «vea  l’ annuo  magistrato  di  Atene, 

furono  in  Roma  consoli  Aulo  Verginio  Cclimoutano  e 

Tito  Numicio  Prisco.  Ascesi  appena  questi  al  comando, 

ridicevasi  che  giungevano  i Volsci  con  esercito  poderoso. 

Nè  mólto  dopo  fu  invaso  da  essi , e dato  alle  Gamme 

un  posto  ne’  dintorni  di  Roma  : e non  essendo  questo 

mollo  lontano  ; il  fumo  stesso  annunziava  alia  città  l’in» 

ibrtunio.  Immantinente,  essendo  ancor  notte,  inviarono 

i consoli  de’  cavalieri  per  osservare , e misero  guardie 

su  le  mura;  ed  essi  stessi  schieratisi  fuori  delle  pqrte 

co’  soldati  più  spediti , v’  a^ettavano  i ' rapporti  de’  ca- 

valieri. Fatto  giorno  raccolta  la  milizia  che  avevasi  iu 

Roma,  andarono  contro  a’ nemici:  ma  questi,  derubato 

il  luogo'  ed  incendiatolo,  ne  erano  ben  tosto  partiti. 

Liberarono  r consoli  )e  cose  che  ardevano  ancora , e 

lasciatovi  un  presidio  sen  tornarono  a Roma.  Pochi 

giorni  appresso  usci  coll’  armata  propria  , e con  quella 

degli  alleati  l’ uno  e 1’  altro  console  : Yergiulo  contro 

degli  Equi  e Numicio  contro  de  Volsci  : e ciascuno  se 

n’  ebbe  fra  le  armi  il  successo  che  desiderava.  Deva- 

stando Verginio  le  terre  degli  Equi  non  ardirono  questi 


(i)  Attuo  di  Roma  z85  tecondo  Calotte,  >87  secondo  Varroac  , 

e 4^  av.  Cristo. 



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aoa  DELLE  anticbita’  romane 

di  venire  alle  mani.  Ben  posero  nna  imboscata  di  uo- 

mini scelti  ove  speravano  di  piombare  su  l’inimico  sban> 

dato;  ma  vanissima  ne  fu  la  speranza.  Imperocché  sa- 

putosi «ben  tosto  pe’  Romani , fecevisi  vigorosa  battaglia: 

ove  gli  Equi  tanto  perderon  de’  suoi  ■ die  più  allora  non 

vennero  al  paragone  delle  armi.  Numicio  marciò  su  la 

città  degli  Anziati , 1’  uua  allora  delle  primarie  tra’VoI- 

sci , ma  non  se  gii  oppose  armata  niuna  , riducendosi 

tutti  a rispingerlo  da  entro  le  mura.  Fu  dunque  sac- 

cheggiato gran  tratto  della  lor  terra,  e presa  una  citta- 

della in  sui  lido,  la  quale  era  per  essi  come  arsenale 

ed  emporio,  ove  concentravano  il  molto  che  andavano 

depredando  sul  mare.  L’  esercito  si  attribuì  per  conces- 

sione dei  console  gli  schiavi , i danari , i bestiami , le 

merci  : ma  gli  uomini  liberi  che  non  erano  periti  tra  la 

guerra  furono  presentati  all’ incanto.  Si  acquistarono  nom- 

meno  su  gli  Anziati  ventidue  navi  lunghe  , ed  apparec- 

chi ed  armi  di  navi.  Alfine  per  comando  del  console  i 

Romani  ne  bruciarono  le  case , ne  devastarono  l’ arse- 

nale, e ne  distrussero  da’ fondamenti  le  mura;  perchè, 

ritirandosene  essi  , quel  luogo  non  fosse  un  castello 

vantaggioso  per  gli  Anziati.  Tali  furono  le  azioni  se- 

parate de’  consoli  ; poi.  gettatisi  insieme  sui  territorio  dei 

Sabini , e depredatolo  , rimenarono  a Roma  gli  eserciti; 

e r anno  finì.  ’ 


LYII.  L’anno  appresso  fatti  appena  consoli  Tito  Quin- 

zio Capitolino,  e Quinto  Servilio  Prisco  (i),  tutta  la 

milizia  romana  fu  in  arme , e spontanea  si  presentò 


(i)  Auno  di  Roma  aS6,  secondo  Catone,  aS8  secondo  Varrone, 

e 4^  av-  Cristo. 



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LIBRO  IX.  ao3 


quella  degli  alleati , prima  che  richiesti  ne  fossero.  Dopo 

ciò  fatte  suppliche  ai  nami,  ed  espiato  l’esercito,  mar> 

ciarono  i consoli  contro  a*  nemici.  Li  Sabini  contro  ai 

quali  era  andato  Servilio , non  che  schierarsi  in  batta> 

glia  , non  nscirono  nemmeno- all’  aperto:  ma  tenendoM 

dentro  del  chiuso,  lascravano  che  si  devastassero  loro  le 

terre,  s’ incendiasser ’ le  case,  e gli  schiavi  se  ne  fuggis*  . 

sero.  Dond’  i che  i Romani  tornarono  a grand’  agio 

dalle  lor  terre , carichi  di  preda , e risplendenti  di  glo* 

ria.  E cosi  terminò  la  spedizion  di  Servilio.  Quinzio, 

ed  il  seguito  suo , movendosi  con  marcia  più  che  mili» 

tare  contro  gli  Equi , ed  i Volsci,  venuti  ambedue  dalle 

regioni  loro  in  un  sito  stesso  a combattere  per  gli  al- 

tri , ed  accampatisi  davanti  di  • Anzio  : diedesi  a vedere 

improvviso.  E fermatosi  non  lungi  dal  campo  loro  in 

tm  luogo , basso  per  sé  medesimo , che  era  quello  ap> 

punto  dove  prima  fa  veduto  e vide  gli  avversar) , po- 

sevi  le  bagaglie  per  far  mostra  di  non  temere  i nemici, 

quantunque  superiori  di  numero.  Or  com’  ebbero  am- 

bedue tutto  in  punto  per  la  battaglia , uscirono  in  cam- 

po , cd  avventatisi  pugnarono  infino  al  mezzogiorno. 

Non  cedevano,  non  superavano,  quésti  o quelli,  risto- 

rando sempre  la  parte  che  vacillava , co’sussidj  ordinàli 

per  questo.  Allora  quando  come  superiori - di  nnmero, 

cominciarono  i Yolsci  e gli  Equi  a vantaggiare  ^ e pre> 

valerne;  non  avendo  i Romani  moltitudine  , pari  all’ar- 

dore , Quinzio  veduti  estinti  molti  de’  suoi , e ferito  il 

più  de’  superstiti , era  per  intima  ve  la  ritirata  : ma  te- 

mendo poi  di  dar  vista  ài  nemici  di  fuggire;  concluse, 

ch’egli  dovea  cimentarsi.  E scelto  il  nerbo  de’cavalieri. 



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2o4  delle  antichità’  bomane 


vola  in  soccorso  de'  laoi  nell'  ala  destra  , dove  princi- 

palmente perìcclavaoOi  Ed  ora  sgridando  di  codardia  li 

duci  stessi , ora  ricordando  le  passale  battaglie , e di- 

pingendo la  infamia  ed  il  pericolo  loro  se  fuggivano; 

alfine  disse  una  cosa  Gota  sì , ma  cbe  rincorò  li  suoi 

più  che  tutto , e sbigottì  F ibiiuico.  Egli  divulgò  che 

r allr  ala  sua  incalsava  già  gli  avversar} , e già  stava 

prossima  agli  alloggiamenti  r e divulgandolo,  spronò  sui 

nemici  ; e sceso  di  cavallo  co’  bravi  suoi  cavalieri,  prese 

a combattere  di  piè  fermo.  Tornò  l’ audacia  aUora  nei 

suoi  che  ornai  si  abbandonavano  , e divenuti  quasi  altri 

da  quelli  cbe  erano,  fulminaronsi  tutti  sul  nemico.  Tal- 

ché li  Volsci  contrapposti  -appunto  in  quella  parte,  dopo 

aver  luogo  tempo  résislito  , piegarono  finalmente.  Quin- 

zio fiigaiili  appena  , rimonta  il  cavallo e corre  all’  al- 

tr’ala,  e mostravi  a’ fanti  suoi  disfatta  l’ala  nemica,  e 

raccomanda  che  non  sieno  per  virtù  minori  de’compagni. 


LYllI.  Dopo  ciò  niono  più  de' nemici 'tenne  fronte, 

ma  fuggirono  tutti  alle  trincee.  Non  gl’  inseguirono 

lungo  tempo  i Romani , ma  beutoste  se  he  rivolsero 

forzali  dalla  stanchezza,  nè  più 'avendo  ornai  l’arme, 

pari  al  bisogno.  Decorsi  alquanti  giorni , convenuti  per 

seppellire  gli  estinti e curare  i mal  conci , avendo  già 

riparato  quanto  mancava  loro  per  combattere,  fecero 

nuovo  conflitto  intorno  gli  alloggiamenti  romani.  Impe- 

roccliè  venute  nuove  reclute  ai  Volsci  e agli  Equi  dalle 

terre  circonvicine,  inanimito  il  capitano  perchè  i suoi 

erano  il  quintuplo  de’  Romani  , e perchè  vedeva  le  trin- 

cee di  questi  su  luogo  non  abbastanza  munito , cre- 

dette il  buon  punto  d’  assalirvegli.  Con  tal  disegno  guidò 



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LIBRO  IX.  . ao5 


su  la  mezza  notte  1’  esercito  intorno  al  vallo  de’  Roma- 

ni , e cinseli , e t«ineli  in  guardia , percbè  inosservati 

non  s’ involassero.  Quinzio  saputa  la  moltitudine  de’ ne- 

mici , ebbe  caro  di  accoglierla.  Ed  aspettaudo  che  fosse  • 

giorno,  e principalmente  Tura  nella  quale  il  Foro  suol 

riempirsi , quando  vide  > che  i nemici  venivano  ornai 

stanchi  dalla  vigilia  e dalle  scaramucce,  non  per  centu- 

rie, nè  in  schiera  , ma  confasi  e sparsi;  immantinente, 

spalancale  le  porte , precipita  su  loro  col  nerbo  de’  ca- 

valieri , mentre  i fanti  lo  seguitavano  serrati  e stretti. 

Sbalorditi  i Yolsci  dall’  audacia  , dopo  aver  sostenuta 

bteve  tempo  la  furia  della  irruzione,  rinculano,  e la- 

sciano gli  alloggiamenti.  E percbè  non  lungi  da  questi 

aveasi  un  colle  alquanto  elevato  ; vi  accorrono  , come 

a riprendervi  requie  ed  órdine. 'Non  riuscì  però  loro  di 

fermarsi  e di  riaversi , giungendo  ben  tosto  i nemici , 

stretti  quanto  poteano  colle  coorti  , per  non  esserne 

trabalzali , nell’  ascendere  a forza  la  pendice.  Fattasi 

azione  vivissima  per  gran  parte  del  giorno,  ne  perirono 

molti  diagli  ani  e degli  altri.  I Volaci , 'tuttoché  supe- 

riori nel  numero,. e rassicurati  dal  posto  occupalo,  nou 

goderono  alcuno  de’  dué  vantaggi  : ma  violentati  dall’ar- 

dore e dalla  virtù  de’  Romani  , abbandonarono  il  colle. 


F uggendo  però  verso  le  trincee , molti  ne  soccombe- 

rono. Imperocché  non  cessarono  i Romani  d’inseguirli , 

ma  tennero  immantinente  .dietro  loro  , senza  desisterne , 

finché  ne  presero  a forza  il  campo.  Impadronilivisi  dei 

prigionieri  e di  ogni  cosa  lasciatavi»  cavalli  , armi , da- 

nari , che  erau  pur  molli , passarono  ivi  la  notte.  Nel 

giorno  appresso  il  console,  apparecchialo  ciocché  biso- 



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2o6  delle  antichità’  romane 

goava  per  un  assedio , diresse  1’  esercito  alla  città  degli 

Ansiati , uon  lontana  più  di  trenu  stadj.  Per  avvenlora 

ivi  slavan  di  guardia  alquanti  Equi  ausiliarj  e custodivan 

le  mura , e questi  per  terrore  della  baldanza  romana 

naacchinavan  fuggirsene.  Saputo  dagli  Anziati , ed  impe- 

diti partirne , congiurarono  dar  la  cittade  a’Roraani  che 

si  appressavano.  Gli  Anziati  avuto  sentore  pur  di  que- 

sto , cedettero  al  tempo  : E imnvenutisi  cpn  loro  ; si  die- 

dero a Quinzio , in  modo  che  gli  Equi  pe^  patto  si 

dimettessero,  accettassero  gli  Anziati  in  città  la  guarni- 

gione , e seguissero  i comandi  de’  Romani.  Divenuto 

pertanto  il  console  arbitro  della  città,  pigliatine  stipendi 

ed  altri  bisogni  dell’  esercito , e presidiatala,  se  ne  ritirò. 

Uscitogli  per  tal  gesta  incontra  il  Senato,  lo  accolse 

gratissimamente,  e lo  onorò  del  trionfo. 


LiX.  L’anno  -appresso  (i)  furono  consoli  Tiberio 

Emilio  per  la  seconda  volu,  e Quinto  Fabio  Ggliuolo 

dell’  uno  dei  tre  fratelli , duci  già  della  guarnigione  spe- 

dita in  Cremerà^  ed 'ivi  periti  co’ loro  clienti.  Ora.  fa- 

vorendo Emilio  console  ai  tribuni , e rimescendo  qu^ti 

di  bel  nuovo  il  popolo  intorao  la  divisione  de’  campi  ; 

il  Senato  voglioso  di  cattivarselo , e sollevarne  i poveri, 

stabili  di  compartir  loro  uu  tratto  del  territoifio  conqui- 

stato r anno  avanti  su  gli  Anziati.  Furono  deputati  per 

la  divisione  Tito  Quinzio  Capitolino , quello  appunto  a 

cui  si  erano  gli  Anziati  venduti  , e Lucio  Furio  ed 

Àulo  Verginio.  Non   

stumio  Albino  per  la  prima  volta , ■ e Quinto  Servilio 

Prisco  per  la  seconda.  Nei  lor  giorni  gli  Equi  risolvei* 


(t)  Anno  di  Roma  -aSS  secondo  Catone,  390  secondo  Vsrrone, 

e 4^4  Cristo. 



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2o8  delle  antichità’  romane 

tero  vioiai-e  i patti , recenti  co’  Romani , per  questa  ca- 

grane.  Gli  Aoziati  che  avevano  case  e campi , rimasero 

nella  lor  patria , coltivando  le  terre  ad  essi  concedute , 

come  quelle  attribuite  ai  coloni  , a’  quali  davano  con 

regole  Gsse  parte  del  frutto  : quelli  perd  che  unila  più 

avevan  di  questo,  si  trasmigrarono.  Gli  accolsero  di  buon 

grado  gli  Equi  fra  loro  ; ma  uscendone  , d^>redav«x> 

le  terre  latine  : dond’  è cbe  'i  più  audaci , e più  poveri 

ancora  degli  Equi , fecero  causa  con  essi.  Lamentarono 

i' Latini  r insulto  in  Senato,  e'tdiiesero  che  mandasse 

loro  un  esercito,  o loro  concedesse  di  ribattere  gli  au- 

tori delia  guerra.  Il  Senato  , udito  eiò , nè 

inviare  un  esercito , né  permise  ai  Latini  che  lo  menas- 

sero : ma  scelti  tre  ambasciadori,  capo  de*  quali  era  Fa- 

,bio , quegli  che  l' anno  avanti  avea  conchiuso  il  trat- 

tato, ordinò  loro  di  chiedere  dai  primarj  della  nazione, 

se  mandava  il  pdbtdico  per  qite’  latrocini  ne’campi  degli 

alleati  di  Roma  , anzi  di  Roma  stessa , ne’  quali  eransi 

anche  fatte  alcune  scorrerie  da , quegli  esuli  : o se  il 

pubblico  non  avea  di  ciò  colpa  ninna  : E se  diceano 

che  r opera  era  de’  privati  senza  volere  del  popolo  ; 

chiedessero  nelle  mani  le  predé  nomuMno  ohe  i preda- 

tori. Venuti  gli  oratori , ed  ascoltatili  ; gli  Equi  diedero 

oblique  risposte  , dicendo , che  1’  opera  non  era  certo 

fatta  per  pubblico  voto,  ma  che  non  istimavano  bene 

consegnarne  gli  autori , perché,  ridotti  già  senza  patria, 

e vaganti  , erano  come  supplichevoli  stati  ricevuti  nelle 

campagne  (t).  AddoloravaSi  Fabio,  e reclamava  i patti 


(i)  Vuol  c^ita  pareva  loro  come  tradire  la  fede  oepiiale  , $e  ti 

conergnaTeoo. 



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Linno  IX.  - 209 


traditi , pur  vedendo  che  gli  Equi  s’inGngevano , e di- 

mandavano tempo  a consultarsi  , e lo  intrattenevano 

come  pe’  doveri  ospitali  ; si  rimase  infra  loro  con  di> 

segno  di  esplorare  le  cose  della  città.  E visitando  ogni 

luogo  sul  titolo  di  vagheggiarvi  le  cose  dei  templi  e 

del  popolo  , gli  opifizj  delle  arme  da  guerra  o Gnite 

o che  si  lavoravano , comprese  i loro  disegni.  Tornato 

■n  Roma  disse  in  Senato  quanto  aveva  udito , e ve- 

duto. Ed  il  Senato , non  più  dubbioso  , decretò  che 

si  mandassero  i F eciali  per  intimare  agli  Equi  la  guer- 

ra , se  non  cacciavan  da  loro  i fuorusciti  di  Anzio , nè 

promettevano  rintegrare  i danneggiati.  Replicarono  gli 

Equi  baldanzosi , Gno  a dir  che  accettavano , nè  già  di 

mala  ' voglia , la  guerra.  Li 

nigione  su’*  turbolenti  di  Anzio , onde  rassicurarsene  , e 

Spurio  Furio  l’altro  de’consoli  coll'esercito  contro  degli 

Equi.  Marciò  ben  tosto  1’  uno  e 1’  altro  ; nfa  gli  Equi 

udendo  uscita  già  l’armata  romana  si  mq^sero  da’ campi 

degli  Ernici  per  incontrarla.  Vedutisi  appena  fra  loro  , 

tutto  che  non  fossero  molto  distanti  , per  quel  giorno 

si  trìncierarono.  Nel  giorno  appresso  i nemici  vennero 

quasi  alle  trincee  de’Romani  per.  esplorarvenè  gli  animi. 

E poiché  questi  non  uscivano  alla  battaglia,  fattevi  delle 

scaramucce,  e niente  di  memorando,  sen  partirono  assai 


(i)  Allude  ai  Romaui' portali  non  molto  prima  iif  Aniio , come 

coloni  pcrchi  nel  tempo  slesto  invigilassero  e lenestero  iit  soggeunn^ 

Ig  città  proclive  alla  ribellione. 



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LIBRO  IX.  213 


magnificandosene.  Il  cohsole  lasciate  nel  giorno  seguente 

quelle  trincee,  come  non  molto, sicure  , trasposele  in 

sito  più  acconcio  , e vi  scavò  fossa  più  profonda  ^ e vi 

piantò  steccati  più  alti.  Crebbe  a tal  vista  il  cuor  dei 

nemici , e molto  più  quando  ad  essi  pervennero  altri 

snssidj  de’  Volaci  e degli  Equi  ; tanto  che  senza  più 

indugi  marciarono  al  campo  romano. 


LXIII.  Il  console  considerando  che  a lui.  non  bastava 

r>esercito  contro  le  dpe  nazioni,  spedisce  alcuni  cavalieri 

con  lettere'  in  Roma  perchè  mandisi  a lui  pronto  soc- 

corso , pericolandogli  tutta  l’ armata.  Giuntivi  questi  su 

la  mezza  notte , Postumio  il  collega  di  lui  ricevendole, 

fe’  convocare  per  via  di  molti  araldi  i padri  in  Senato: 

e prima  che  il  di  si  chiarisse,  crasi  decretato  che  Tito 

Quinzio  già  console  per  la  terza  volta  portasse  bentosto 

con  autorità  proconsolare  il  fior  de’  giovani  a piedi  ed 

a cavallo  sul  nemico  , c che  Aulo  Postumio  il  console 

raccolte  il  più  presto  le  altre  milizie , a raccoglier  le 

quali  vi  abbisognava  più  tempo,  li  soccorresse.  Quinzio 

riuniti  sul  principio  del  giorno  presso  a cinque  mila 

volontari,  dopo  non  molto  marciò.  Gli  Equi  ciò  sospet- 

tando non  istavansi  a bada  : ma  deliberati  d’  assalir  le 

trincee  de’  Romani  prima  che  vi  giungesse  il  soccorso  , 

si  divisero  in  'due  corpi  , e t’  andarono  per  espugnarle 

colla  forza  , e col  numero.  Fecesi  per  tutto  il  giorno 

calda  battaglia  , spingendosi  questi  audacemente  in  più 

parti  su’ ripari,  nè  reprimendosene  pe’ tiri  continui  delle 

lance  , degli  archi , e delle  fionde.  Adunque , conforta- 

tivisi  a vicenda,  il  console  ed  il  legato  spalancando  in 

uri  tempo  le  porte  , ne  sboccano,  e piombando  co’sol- 



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2i4  delle  Antichità’  romane 

dati  più  validi  da  ambedue  le  parti  del  campo  su  i ne* 

mici,  ne  rispingono  quanti  vi  salivano.  Messili  in  fuga, 

il  console  insegai  breve  tempo  i soldati  a lui  coatra- 

posti,  e poi  si  ripiegò:  ma  il  fratello  suo  e Publio  F urio 

il  legato  trasportati  dalla  impresa  e dall’  ardore  corsero 

incalzando  e uccidendo  fino  al  campo  nemico  ; e non 

avean  seco  se  non  due  coorti , numerose  in  .tutto  di 

mille  uomini.  Gli  avversar)  loro  «be  erano  intorno  a 

cinque  mila,  osservato  ciò,  si  avventano  dagli  steccati. 

. E mentre  questi  vengon  di  fronte , la  cavalleria  , fatto 

un  giro,  prende  alle  spalle  i Romani.  Publio  ed  il  se- 

guito suo  cosi  circondato  e disunito  dal  resto  de*  suoi 

ben  potea  salvarsi  se  cedeva  le  arme,  esibendogli  questo 

i nemici , cbe  assai  valutavano  far  prigionierì  que’mille 

bravi,  quasi  potessero  in  vista  di  essi  ottener  pace  ono* 

rata:  ma  i Romani  spregiato  l’invito  ed  animatisi  a non 

far  cosa  indegna  della  patria,  combatterono  e spirarono 

tutti  Ira’  cadaveri  de’  nemici. 


LXIV.  Morti  questi , gli  Equi  inebbriati  dal  buon 

successo  presentaronsi  alle  trincee  romane  elevando  con- 

fitto alle  aste  il  capo  di  Publio  e di  altri  cospicui,  per 

iscoraggirne  quei  d’ entro,  e necessitarli  a ceder  le  arme. 

Ma  se  venne  ad  essi  pietà  per  la  sciagura  degli  estinti 

compagni  , e se  ne  pianser  la  sorte  , si  moltiplicò  ben 

anche  lo  spirito  per  combattere  e l’ onorato  amore  di 

vincere  o di  morir  come  quelli  prima  che  andar  pri- 

gionieri. Circondati  dunque,  com’erano  de’ nemici,  pas- 

sarono i Romani  senza'  sonno  là  notte , riordinando  le 

parli  che  aveano  soiferto  nelle  trincee  , e quant’  altro 

mai  potea  respingere  gl’  inimici  se  tentavano  un  altra 



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LIBRO  IX.  2i5 


volta  investirveli.  F ecest  nel  giorno  appresso  di  bel  nuovo 

r assalto  , schiaotandovisi  lo  steccalo  in  più  parti.  Più 

volte  furono  gli  Equi  respinti  da  quei  d*  entro  che  ne 

uscivano  a schiere  , e più  volte  nell’  audacia  delle  soi> 

lite  , lo  furono  questi  dagli  Equi.  Durò  tutto  il  di  la 

vicenda:  quando  fu  il  console  romano  ferito  nel  femore 

da  uno  strale  a traverso  dello  scudo,  e feriti  pur  furono  ^ 

molti  de’  più  rignardevoli , quanti  li  combattevano  in- 

foiano. Ornai  vacillavano  t Romani  , quando  su  l’ im- 

brunir della  sera  ecco  inopinatamente  apparire  Quinzio 

per  soccorrerli  col  corpo  de’  prodi  volontarj.  I nemici  , 

vedutili  che  avanzavano , diedero  di  volta , lasciando 

l’assedio  imperfetto:  ma  quei  d’  entro  incalzandoli  nella 

ritirata  facean  strazio  della  retroguardia  : se  non  che 

indeboliti  per  la  più  parte  dalle  ferite,  non  gl’  insegui- 

rono a lungo  ; ma  presto  si  ripiegarono  verso  il  lor 

campo.  Dopo  ciò  si  tennero  gli  uhi  e gli  altri  lungo 

tempo  fra  le  trincee  , guardando  sestessi. 


LXVt  Quindi  mentre  il  nerbo  de’  Romani  era  im- 

pegnato in  campo  , altre  milizie  di  Equi  e di  Volaci 

credendo  il  buon  punto  d’ ime  depredando  la  regione  , 

uscirono  tra  la  notte  ; ed  invasala  in  parte  lontanissima 

dove  gli  agricoltori  viveano  scevri  d’ogni  paura,  occu- 

parono non  poco  di  robe  e di  nomini.  Non  però  ne 

ebbero  bella  in  ,dné  né  facile  la  ritirata  , imperocché 

Postumio  il  console  mepaudo  agli  assediati  nel  campo  i 

soccorsi  adunati , appena  udì  le  operazioni  de'  nemici , 

si  presentò  loro  contro  la  espettazione.  Non  sbalordironsi 

essi,  nè  tremarono,  ma  ponendo  a bell’agio  le  bagaglio 

e le  prede  in  luogo  sicuro  , e lasciandovi  guarnigione 



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2i6  delle  antichità’  romane 

che  bastasse,  marciarono  ordinali  al  nemico.  Venuti  alle 

mani , sebben  pochi  contro  molli , fecero  memorabili 

prove.  Imperocché  precipitandosi  giù  dalle  campagne 

uomini  in  copia  cinti  di  lieve  armatura  conir’  essi  che 

eran  tutto  arme  il  corpo  , fecero  grande  uccision  dei 

Romani  ; e per  poco  non  si  ritirarono  , lasciando  nel- 

l’altrui territorio  un  trofeo  su  gli  assalitori.  Ma  il  con- 

sole e con  esso  i cavalieri  più  scelti  spronandosi  a re- 

dini abbandonate  su’  loro  , dov^  erano  il  forte  , e com- 

battevano ; ve  li  sbaragliarono  «e  prostrarono  in  copia. 

Battuti  que’  pnmi , anche  il  resto  dell’  armata  respinto 

fuggì  : e la  guaniigìone  delle  bagaglie , lasciatele , s*  in- 

volò di  su  pe’  monti  vicini.  Cosi  pochi  moriron  di  essi 

nella  battaglia  ; ma  moltissimi  nella  fuga , perchè  ignari 

de’  luoghi  ed  inseguiti  dalla  cavalleria  de’  Romani. 


LXYI.  Intanto  Servio  1’  altro  console  persuaso  che  il 

collega  ne  veniva  a lui  per  soccorrerlo,  e temendo  che 

1 nemici  ^non  gli  uscissero  incontra  e glien  traversasser 

la  strada  ; risolvè  frastornameli , con  assalirli  negli  aU 

loggiamenti.  Questi  però  lo  prevennero;  perciocché  sa- 

puu  la  sciagura  de’  compagni  dai  predatori  salvatisi  , 

levarono  il  campoj  e nella  notte,  che  fu  la  prima  dopo 

la  battaglia,  rientrarono  in  città,  senza  che  avesser  po- 

tuto tptanto  aveano  disegnato.  Ma  se  ne  periron  di  loro 

tra  le  battaglie  e i foraggi  ; ne  soggiacquero  nella  fuga 

d’ allora  assai  più  di  prima  (ra  quelli  che  restavano 

addietro.  Aggravati  questi  dal  travaglio  e dalle  ferite  , 

Iraendosi  a stento  innanzi , perchè  non  .prestavansi  ad 

essi  i lor  membri , stramazzavano  , vinti  principalmente 

dalla  sete  , presso  de’  ruscelli  e de’  dumi  : e raggiunti 



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LIBRO  IX.  ^ , 217 


da’cavallert  romani,  erano  trncidali.  Netnraeno  i Romani 

tornarono  felici  in  tutto  da  quella  f guerra  ; perdutivi 

molti  valentuomini,  ed  il  legato  che  vi  si  .era  segnalato, 

più  che  tutti , nel  combattere.  Non  pertanto  rivennero 

in  patria  con  una  vittoria  non  inferiore  a ninna.  E ciù 

fecesi  in  quel  consolato.  ' 


LXVII.,  Sacceduti  consoli  Lucio  Ebusio , e Pnblio 

Servilio  Prisco  (1);  k Romani  plinti  da  mori>o  con- 

tagioso , quanto  mai  più  per  addietro , non  fecero  in 

queir  anno  cosa  ninna  degna  di  rimembranza  nè  in 

guerra  nè  in  pace.  Gettatosi  quel  morbo  in  prima  tra 

gli  armenti  de’  cavalli , e de’  bovi , e poi  delle  capre  e 

delle  pecore  , disfece  quasi  tutti  i quadrupedi.  Quindi 

serpeggiando  tra'  pastori  e tra’  coloni  via  via  per  tutta 

la  regione , in  ultimo  invase  anche  Roma.  Non  è facile 

ridire  quanti  servi,  quanti  mercenàrj,  quanti  della  , classe 

indigente  perissero.  Da  principio  se  ne  trasportavano  i 

cadaveri  a mucchi  su’  carri  : ma  poi  quelli . de’,  men  ri- 

guardevoli  si  gettarono  nella  corrente  del  fiume.  Con- 

tasene perito  il  quarto  de’ senatori  , e con  essi  i due 

consoli,  ed  il  più  de’  tribuni.  Cominciò  quel  morbo  in- 

torno a’  primi  di  settembre  , e prosegui  per  un  anno 

in^ro  , investendo  e consumandone  di  ogni,  sesso  e di 

ogni  età.  Saputosi  tra’ vicini  il  disastro  romano,  gli  Equi 

ed  i Yolsci  lo  riputarono  occasione  bonissima  da  levare 

sene  il  giogo  , e fecero  patti,  e giuramenti,  di  alleanza 

fra  loro.  Quindi  preparato  quant’  era  d'  uopo  per  1’  as- 

sedio , uscirono  gli  uni  e gli  altri  il  più  presto  colle 


(1)  Anno  di  Roma  391  secondò  Catone,  39!  secondo  Vartoae  , 

e 4^1  av.  Cristo. 



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2i8  delle  antichità’  romane 

milizie;  inondando  su  le  prime  il  territorio  de* Latini  e 

degli  Emici,  onde  precludere  a Roma  il  soccorso  degli 

alleati.  E nel  giorno  che  giunsero  ai  Senato  gli  oratori 

de’  due  popoli  assaliti  per  ottenerne  ajuto  , in  quei 

giorno  appunto  era  morto  Ebuzio  1’  uno  de*  consoli  » 

standosi  già  Servilio  , eh*  era  1’  altro  , per  morire.  Or 

questo , sopravvivendo  anche  un  poco , convocò  il  Se- 

pa to.  Portativi  i più  de’  padri  malvivi  su  le  lettighe  di- 

chiararono ai  legati  di  annunziare  a lor  popoli  ^ che  U 

Senato  concedeva  ad  essi  di  respingere  col  proprio  va- 

lore i nemici , finché  il  consolo  si  risanasse  , e fosse 

raccolto  un*  esercito  per  soccorrerli.  A tali  risposte  i 

Latini  concentrato  ciocché  poteano  dalie  campagne  , 

guardavano  le  mura,  trascurando  ogni  altro  danno.  Ma 

gli  Eroici  non  reggendo  al  guasto  ed  al  sacco  de’ campi, 

diedero  all’ armi,  ed  uscirono.  Infine  dopo  fatte  luminose 

battaglie  con  perdervi  molti  ^de’  loro  ed  uccidervi  molto 

più  de*  nemici , fuggirono  , necessitati , fra  le  mura , né 

tentarono  più  di  combattere. 


LXVIII.  Pertanto  gli  Equi  ed  i Volsci,  depredatone 

il  territorio,  si  avvanzarono  impunemente  ai  campi  Tu- 

scolani.  E derubati  pur  questi  senza  che  ninno  li  re- 

spingesse , scorsero  fino  ai  Sabini  ; e giratisi  impune- 

mente anche  su  le  terre  loro , avviaronsi  a Roma.  Ben 

poterono  essi  turbarla;  non  però  conquistarla.  Quanlun* 

que  languidi  nella  persona , e perduta  1*  uno  e F altro 

console,  mortone  di  fresco  ancora  Servilio,  armatisi  ol- 

tre le  forze  i Romani , si  misero  su  le  mura.  Estese 

allora  per  circuito  quanto  quelle  di  Atene,  sorgeano 

queste  parte  su  i colli  e su.  scogli  dirotti,  fortissimi  per 



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UBBO  IX,  a 19 


natura , e bisogoevoli  appena  di  difesa , e parte  assicu- 

rate dall’ alveo  del  Tevere,  fiume  largo  quattrocento 

piedi  (i),  profondo  da  navigarvisi  con  legni  grandi; 

rapido  quant*  altri  e vorticoso  nel  corso.  Non  passasi 

questo  appiedi  se  non  per  vìa  de’  ponti , de’  quali  ve 

n*  era  allora  sol  uno  , e di  legno  , cui  disfacevano  nei 

tempi  di  guerra.  Il  lato  di  Roma  men  arduo  ad  espu« 

gnarsi  dalla  porta  chiamata  Esquilina  fino  alla  Collina 

era  fortificalo  eoli’ arte;  imperocché  scavata  innanzi  ci 

avevano  una  fossa  , larga , dove'  eralo  il  meno , più  di 

cento  piedi , e cupa  di  trenta , è quinci  e quindi  su  la 

fossa  elevavasi  un  moro,  cinto  da  argine  interno  ampio 

ed  alto,  talché  né  battere  quello  si  potrebbe  cogli  arieti, 

né  rovesciar  sbucandone  le  fondamenta.  Lungo  questo 

lato  circa  sette  stadj  spandesi  cinquanta  piedi  per  largo. 

Or  qui  schieratisi  in  folla  i Romani  respingevano  1’  as« 

salto  nemico  : perocché  noù  sapevano  allora  i mortali 

né  far  testuggini  sotterranee , né  macchine  espugnatrict 

delle  mura.  Diffidatisi  gli  assalitori  di  prendere  la  città 

ritiraronsi  dalle  mura , e devastandone , ovunque  passa- 

vano la  campagna,  sea  tornarono  in>patria. 


LXIX.  I Romani  come  sogliono  quando  restano  senza 

chi  comandi , scelsero  gl’  interré  per  tenere  i comizj , 

e vi  crearono  consoli  .Lucio  Lucrezio  e Tito  Veturio 

Gemino  (z).  Sotto  questi  ebbe  requie  la  pestilenza;  puc 


(i)  'Wel  testo:  ntritfit  rìkirftr  : la  toco  rXtrftr  »’  interpreta 

da  altri  per  jugero  : Svida  la  interpreta  per  cesto  piedi.  — Ma  tale 

cspoiisione  noa  corrisponde.  ' 


(a)  Aano  di  Roma  aga  secondo  Catone,  394  secondo  Varrone, 

e 46a  av.  Qrisio.  1 



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2 20  DELLE  ANTICHITÀ*  ROMANE 


♦ • 


furono  diflerite  le  controversie  civili  private  o pubbliche: 

e tentando  Sesto  Tito  T uno  dé’  tribuni  >,  riaccendere 

quella  su  la  division  de’ terreni;  il  popolo  gli  si  oppose, 

e rimisela  a tempi  più  acconci.  Eccitossi  in  tutti  in  vece 

I un  desiderio  di  punire  quanti  aveano  dato  guerra  alla 

repubblica  ne’ giorni  del  morbo.  Cosi  decretata  la  guerra 

dal  Senato,  e ratiScata ' dal  popolo,  si  arrolarono  le 

soldatesche  : e ninno  di  anni  militari , quantunque  pri> 

vilegiatone  per  le  leggi,  cercò  sottrarsi  da  quell’  impresa. 

Diviso  r esercito  in  tre  parti  1*  una  fu  lasciata  in  guar- 

dia di  Roma  sotto  gli  auspicj  di  Quinto  Fabio,  uomo 

consolare  ; e le  altre  seguirono  i consoli  contro  i Yolsci 

e gli  Equi.  Aveano  gii'  fatto  altrettanto  i nemici.  Riu- 

nitesi le  milizie  migliori  d’  ambedue  quelle  nazioni , te- 

neano  il  campo  aperto  sotto  due  capitani  per  cominciare 

dalla  terra  degli  Ernici  , dove  ' allor  si  trovavano  , a 

devastarne  quanta  ne  soggiaceva  ai  Romani  : la  parte 

men  atta  delle  ipilizie  crasi  lasciata  in  custodia  delle 

città,  perchè  su  di  esse'  ngn  venisse  irruzione  improvvisa 

dagli  emoli.  Avuto  infra  loro  consiglio , crederono  i 

consoli  il  meglio  d’ investire  innanzi  tutto  le  lorp  città 

sul  riflesso  che  la  unione  delle  armate  si  scioglierebbe, 

se  ciascuno  udisse  ridotta  in  pericolo  estremo  la  sua  pa- 

tria ; giacché  riputerebbero  assai  meglio  salivare  le  pro- 

prie cose  che  guastar  le  ini  miche.  G)sl  Lucrezio  piotnbò 

su  gli  Equi , e Yeturio  su  i Yolsci.  Gli  Equi  trascu- 

rando ogni  rovina  di  fuòri  guardavano  la  città  e li  ca- 

stelli. 


LXX.  In  opposito  i Yolsci  ardimentosi , arroganti , 

spregiando  1’  armata  Romana  come  diseguale  contro  la 



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Lisno  IX.  221 


lor  ffloltitudiae , uscirooo  4 combattere  pel  territorio 

proprio,  e misero  il  campo  presso  di  Yeturio-  Ma  come 

accade  a milizie  receuti , raccolte  per  la  circostanza  alla 

rinfusa  di  mezzo  a villani  e cittadini , privi  in  gran 

parte  di  arme  o di  sperienza  , non  ebbero  cuore  nem- 

men  di  venire  alle  mani  : e perturbatine  i più  fin  dal 

primo  avventarsi  de’  Romani , non  reggendo  nè  al  suono 

delle  arme  percosse , nè  ai  gridi , preludio  della  batta- 

glia , tornarono  con  dirottissima  fuga  in  città.  Dond’  è 

che  incalzati  dalia  cavallwia  ne  perirono  molti  nello 

stretto  de’  sentieri , e più  ancora  mentre  a gara  si  cac- 

ciano tra  le  porte.  A tale  disastro  accusarono  i Yolsct 

sestessi  d’ imprudenza , nè  più  tentarono  di  cimenUrsi. 

Li  capitani  però  che  tenevano  in  campo  aperto  le  mi- 

lizie dei  Yolsci  e degli  Equi  all’  udire , com’  erano  in- 

vestite le  loro  città,  deliberano  di  fare  ancor  essi  alcuna 

magnanima  impresa , levandosi  dalle  terre  de’  Latini  e 

degli  Eroici  , e marciando  «on  quanta  avean  furia  e 

prestezza  su  Roma.  .Ancor  essi  avean  mira  che  rinscisse 

loro  r uno  o 1’  altro  de’  due  belli  disegni  , cioè  d’  inva- 

dere Roma  ,improvvista  , o di  richiamarvene  le  armate 

di  lei  dai  loro  territori,  necessitando  ti  consoli  a soc- 

correr la  patria.  Su  tale  pensiero  marciarono  a gran 

fretta  per  essere  inaspettati  su  Rotna , coll’  effetto  del- 

r opera. 


LXXI.  Avvicinatisi  di  nuovo  al  Tuscolo,  udendo  che 

le  mura  di  Roma  erano  tutte  piene  di  arme,  e che  in 

antecedente  aveva  tentalo  il  primo  d’  iikrodiuTe  tale 

eguaglianza  ; ma  dovette  lasciar  I*  opera  imperfetta,  tro-; 

vandosi  U gran  numero  del  popolo  nell'  armata  in  sai' 

campi  nemici , tenutovi  ad  arte.  ,da’  consoli  , finché  il 

tempo  finisse  del  loro  governo. 


IL  Postisi  quindi  a tale  impresa  il  uibubo  Aulo  Veo- 

ginio’e  li  colleghi , t voleano  consumarla:  ma  i consoli  , 

col  Senato , e . con  ■ altri  in  città . più  potenti  adoperavansi 

costantemente  per  ogni  maniera  ,,  affinchè  ciò  non  se-« 

guisse , nè  dovessero  governare  secondo  le  leggi  : e.  più 

volle  sen  tenne  1’  adunanza  del  Senato,  piA  volte  quella 

del  popolo  ; facendo  i lor  magistrati  ogni  sforzo  gli  uni 

contro  degli  altri  ; doiid’  era  a tutti  viàbile  che  verreb!>e 

da'  tanto  Jisàdio  alla  città  disastro  insanabile  e grande. 

A tali  |>resagj.  dai  canto  degli  uomini  agglongevansi  i 

terrori  dal  canto  del  cielo  , d’  alcuni  de'  quali  non  Iro- 

vavansi  L àmili  ne’  pubblici  scritti , né  , par  monumento 

qualunque.  Ben  trovavanà  occorse  ancora  in  antico  e 

coiTuacazioni  soorrenti  pelcielo  ed.  accensioni  fissa  in  un 

luogo,  muggiti  e scosse  continue  delia  terra,. e larve 

qua  e-  là  vaganti  per  l’aere,  e voci  desolatrioi , e cose 

alirallali:  ma  ciò  che  non  erasi  mai  nè  sperimentalo-  nà 

udito,  e che  più  che  lutti  perturbava.,  era  che  il  cielo 

navigò . dirottamente  pQn- già  con  nembo  , dii  neve  , ma 

con  brani,  più  o men  grandi  di  carne;  che  tali  cairn 

momot , ltrio  di  ''contndirla  fino  al 

ritorno  del  terso  mercato.  Or  molti,  d^l  Seoatè  giovani 

e vecch) , nè  giè  de’  più  dispregevoli , la  contraddissero 

per  più  giorni  cou  as^ai  studiati  discorsi.  Stanchi  poscia 


1 tribuoi  per  tanto  consumarsi  di  tempo , più  non  per> 

misero  che  altri  aringasse  in  contrario:  ma  predesti» 

Dando  il  giorno  nel  quale  espedire  la  legge , invitarono 

i plebei  a raccogliersi  appunto  in  quello , giacché  non 

sarebbero  più  conturbati  dalle  lunghe  concioni , ma 

voterebbero  su  di  essa  per  tribù.  Cosi  promisero , e 

sciolsero  4’  adunanza. 


IV.  Dopo  ciò  li  consoli  e li  patrizj  più  potenti  an- 

datine più  esasperali  ad  essi  reclamarono , e dissero  che 

non  permetterebbero  che  introducessero  leggi  senza 

previo  decreto  del  Senato  : SSSMUS  IM  lecci  t patti 



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3 28  DELLE  ANTICHITÀ’  ROMANE 


DSL  COMVNS  DELLB  ClTtjC  IfOTf  DI  ONA  PARTE  DS~. 

GLI  ABlTAafl  DI  QUESTE  : CHE  QUAWDO  LA  PARTE-, 

MEIf  SANA  VI  da'  leggi  ALLA  MIGLIORE  A PRSf.UDlO 

MANIFESTO  DI  DANNO  TRISTO,  INSANABILE , SCON» 

GISSIMO. . Quale.  , aggiuDgevaQO  qtuU  potere  avete  voi 

o.  tribuni  di  far  leggi  o distruggerle  ? Voi  non  avete 

con  questi  diritti  ricevuta  dal  Senato  là  magistratura: 

voi  chiedeste  il  tribunato  in  difesa  de'  poveri  offesi 

o soverchiati , non  per  altra  briga  niuna.  Che  se  aveste 

già  prima  tal  potenza  cedendo  il  Senato  ad  ogni  vo- 

stra pretensione  ; non  C avete  voi  questa,  perduta  col 

mutar  dei  comizj  ? perciocché  non  i Pereti,  del  Sor- 

nald',  non  i voti  dati  per  centurie  destinano  voi  per 

tiibuni  : voi  non  premettete  ai  comizj  per  la  vostra 

creazione  nè  i sagfijicj  dovuti  per  legge  , né  altri  os- 

sequj  verso  de'  numi  , nè  pietose  -opere  verso  degli 

uomini.  Come  a voi  si  appartiene  far  cose  ( quali  ap- 

punto  sono  le  leggi)  che  ahbisognavtmo' di  culto  e di 

sagrifizj  di  un  dato  rito , se  i riti  tutti  violate  f Coai 

«lissero  ai  tribuni  i patrixj  seniori , cosi  li  giovani , .che 

andarono  cinti  da  un  seguito  per  la  città  : e rìcuperà^ 

rono  colle  dolci  i cittadini  più  miti  spaventando  i ca-, 

parbj  e K turbolenti  se  non  faceano , senno,  col  terroc 

de’  pericoli  : anzi  battendo  come  schiavi , ed^  escludendo 

dal  Foro  alcuni  de’ più  bisognosi  ed  abjelti,  i qualt 

non  curavano  se  non  l’ utile  proprio.  • 


V.  L’  uno  di  quelli  ebe  ebbe  maggior  seguilo , e che 

poteva  aUora  più  di  lutti  i giovani  fu  Quinzio  Cesone, 

figlio  di  Lucio  Quinzio  chiamato  Cincinnato , nobile , 

Straricco , bellissimo , valentissimo  nelle  armi , e nel  dire« 



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LIBRO  X.  229 


Or  questi  molto  allora  si  scaricò  su'  plebei , non  aste* 

nendosi'  nè  da  parole  , molesiissitne  ad  uomini  liberi  , 

nè  da’  fatti  corrispondenti  alle  parole,  Pertanto  i pairizj 

lo  onoravano,  e ^istigavanlò  più  a tener  fronte  ai  perì- 

coli , promettendogli  sicurezza  essi  stessi  : ma  i plebei 

r odiavano  più  che  ogni  altro.  Or  da 'un  tal  uomo  ri- 

solverono liberarsi  * i tribuni  avanti  tutto  per  abbattere 

in  esso  gli  altri  giovani  , e necessitarli  ad  esser  più  savj. 

Ciò  risoluto , e preparati  assai  discorsi  e lestimon}^ , lo 

dtardno  come  reo  di  pubblica  * offesa  per  punirlo  'di 

morte.  Intimatogli  di  presentarsi  al  popolo,  venutone  il 

giorno , e convocata  1’  adunanza  , perorarono  a lungo 

coofra  lui  ; nunierando  tutte  le  violente  fatte  , ed  alle- 

gandone gli  offesi  stessi  per  teslimonii.  -Or  .qui  data  li- 

cenza di  parlare  ; il  giovine  chiamato  a difendersi  non 

ubbidiva  : ma  volea  soddisfare  ai  privati  in  'quanto  di- 

ceansi  oltraggiati  da  loi  > secondo  le  leggi , tenutone  il 

giudizio  innanzi  de’  consoli  : ma,  il  padre  di  lui  vedendo 

i plebei  sofferime  malamente  le  ritrosie , prese  a difen- 

’^erlo  egli  stesso  ; dimostrando  le  tante  delle  accuse  coqic 

false  f ed  insidiose  , e dimostrandole , . quando  negar  non 

poteansi , come  picciole  , leggere  , nè  dégne  dell’  ira  del 

popolo , e su  cose  , fatte  non  per  trama  o disprezzo , 

ma  piuttosto  per  enfasi  giovanile  di  gloria.  Per  questa 

diceva  eh’  eragli  occorso  talora  di  fare  e tal  altra  di  pa> 

rire  forse  incautamente  nelle  contese;  non  essendo  lui 

nel  fiore  degli  anni  e del  senno.  Pertanto  pregava  il 

popolo  non  solamente  che  non  se  gli  adirasse  pel  di- 

scorrere suo  , ma  che  giel  condonasse  in  vista  delle  belle 

gesta  di  esso  le  quali  operarono  fra  le  armi  la  libertà 



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23o  delle  antichit-v’  romane 

de’  privati  ed  il  comando  della  patria  , ed  invocavano 

fin  d’  allora  per  lai  quando  Avesse  mancato  la  clemenaa 

ed  il  soccorso  di  tcuti.  E qui  narrò  le  campagne  da  lai 

sosténute  , -e  le  battaglie  nelle  quali  avea  riportato  dai 

capitani  la  corona  de’  prodi , quante  volte  eravi  stato  la 

diiesa  de’  cittadini , e quante  avea  primo  salito  le  mura 

de’  nemici  : da  ultimo  ri  rivolse  ad  impietosire  e scon- 

giurare il  popolo  in  riguardo  della  modera^'one  sua 

verso  tutti , e del  vivere  ‘suo  conosduto  sempre  come 

innocente  ; chiedendo  che  in  grazia  almeno  gli  salvas- 

sero il  figlio.  ' ' 


' VI.  Compiacevasi  il  popolo*  a tali  discorsi  , e delibo- 

ravasi  rendere  H 6glio  al  padre.  Se  non  che  riflettendo 

Yerginio  che  se  costai  non  subiva  le  pene  ; ne  diver- 

rebbe intollerabile  1’ audacia, e la  caparbietà  de’ giovani, 

sorse  e disse  : Contestata  o Quinzio  è la  tua  virA , la 

tua  benevolenza  verso  del  Spopolo  e te  ten  debbe  tutta 

la  stima:  ma  la  molestia , e la  insolenza  di  codesto  tuo 

figlio  verso  tutti  non  ammette  escusàzione  o perdono. 

Egli  educato  con  la  tua  disciplinà  sì  discreta,  cpme  tutti 

sappiamo  , e si  popolare  ; ne  abbandonò  gli  ammae- 

stramenti e seguì  V arroganza  de  tiranni , - e la  sfre- 

natezza de' barbari , portando  in  città  gf  incentivi  a 

tristissiiHe  opere.  E sia  che  tu  noi  conoscessi  per 

tale  ; ora  che  tei  conosci  ben  dei  con*  noi  e per  noi 

concitartene  : che  se  per  tale  il  sapevi , e lo  coadiu- 

vavi in  quanto  egli  inviliva  ognora  pià'  la  sorte  dei 

poveri  ; eri  anche  tu  lo  scellerato  , e mal  souavati 

intorno  la  fama  di  uom  probo.  Afa  tu  non  vedevi 

( ed  io  stesso  potrei  contestartelo  ) quanto  egli  dalla 



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LIBBO  X.  . a3i 


tma  uirtà  degenerava.  Sebbene  io  tenga  però , che  al- 

lora tu  non  partecipavi  con  esso . nelF  offenderci  ; 

dolgomif  che  ora  come  noi  non  te  ne  sdegni.  Ma. 

perchè  tu  meglio  conosca  qual  niostro'  abbi  nudrito 

senza  avvedertene  contro  la  patria,  quanto  tirannico, 

c non  . puro  nemmeno  tlal  sangue. . dk'  cittadini  ^ odi 

la  egregia  opera  sua  , e contrapponi  a questa , se 

puoi  , U bellici  suoi  prèmji  E voi , quanti  siete  imo 

pioto  siti  al  pianger  di  un  padre  , considerate  se  stia 

bene  che  risparmisi  un  tal  cittadino.  ' 


• VII.  E qui  fe'  cenno  a Marco  Volscio  T uno  de’  suoi 

colleghi  perchè  sorgesse  e dicesse  quanto  sapeva  di  quel 

giovane.  E fatto  silenzio  , e grande  espettazioiie  ; V(d> 

scio  soprastando  alcun  poco-,  disse  : Oltraggiato , e pià 

che  oltraggiato  che  io  fui  da  quest’uomo , ben  avréi 

voluto  pigliarmene  , o cittadini , le  pene  che  ut  erano 

concedute  dalle  leggi  : ma  impeditovi  allora,  dalla 

mia  debolezza  , dalf  esser  mio  di  plebeo  , prenderò 

ora  che  mi  è dato  f le  parti  di  testimonio  , se  quelle 

non  posso  di  accusatore.  Udite  le  acerbità , le  inde- 

gnità che  men  ebbi.  Era  Lucio  , fraltel  mio  , ,che  io 

amava  piti  che  tutti  i mortali  Avea  \ questi  cenato 

mecò.  presse  di  un  amico  , quando  al  giungere  della 

notte  di  levammo  , e partimmo.  E già  passavamo  per 

il  Foro  , quando  si  abbattè  con  noi  codesto  petuUui- 

,te , seguito  da  giouani  pari  suoi:  li  quali,  ebbrj  ed 

'arroganti  che  erano , beffarono  ed  insultarono  noi , 

quanto,  insultato  e beffato  avrebbero  i meschini  e gli 

.ignobili.  Così  provocati  j V uno  di  noi  parlò  liberis- 

simamente. Or  codesto  Cesane  estintando  . ria  cosa 



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a3a  DELLE  antichità’  romane 


ttdire  ' ciocché  non  voleva  , gU  s'  avventò  , lo  battè  : e 

mainìenalolo  con  i calci  e con  ogni  guisa  di  sevizio^ 

e cT  ingiurie;  io  uccise.  Ucciso  lui,  manomise  ancor 

me , che  ne  gridava  , e ne  repugnava  quanto  io  po~ 

tev'a  : nè  mi  lasciò  , se  non  dopo  credutomi  estinto  , 

ài  vedermi  immobile  in  terra  , e senza  voce.  Allora 

se  no'  andò  giubilando  come  per  bellissima  prova  ; 

ed  allora'  gli  astanti  raccòlsero  noi  lordi  dal  sangue  j 

e riportarono  a casp  Lucio  il  fnio  fratello  , morto  , 

come  ho  detto  , e me  presso  che  morto  , e che  certo 

ornai  poco  sperava  di  sopravvivere.  Occorse  ciò. sotto 

i consoli  P^ublio  Servilio  , e Lucio  Ebuzio  , quando 

spaziava  in  Boma  la  ff-an-' pestilenza,  alla  quale  era- 

vamo soggiaciuti  atKor  noi.  Quindi  non  potei  diman- 

darne ragione  , morti  /essendo  i consoli  tutti  due.  Suc- 

cederono  poi  consoli  Luaezio  e Tito  Terginio.  Io 

voleva  allora  ' citarlo  in  giudizio  ; ma  ne  fui  impedito 

dalia  guerra , fasciando  ambedue  per  essa  la  città. 

Jiitomati  .questi  dal  campo  , quanto  volte  16  citai 

presso  de*  òiagittrati , quante  volte  mi  vi  accostai , 

tante  ( e ben  molti  lo  sannò  ) fui  da  esso  ferito.  E 

questo, 'o  popolo  , che  io  ne  ho  tollerato,  questo  vi 

ho  detto  con  tutta  la  verità.  • ■ ' ' . 


Vili.  Alzarono  a quel  dire  , gli  astanti  le  grida  , (eo- 

landone  molti  la  vendetta  colie  lor  inani.  Ma  vi  si  op- 

posero i consoli , ed  i più  de’  tribuni , alieni  che  in  città 

s’  introducesse  la  tea  consuetudine  ; tanto  più  che  la 

parte  più  sana  del  popolo  non  voleva  che  si  toglicssero 

le  difese  a chi  pericolava  in  giudizio  della  vita.  La  cura 

duirque  della  ginsUzut  represse  allora  gii  empiti  della  iur 



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LìMRO  X.  • ' a 33 


scienza  , ed  il  giudizio  fii  differito  non,  senza  conten- 

zioni e dobbj  non  piccioli,  se  dovesse'  intanto  il  reo 

serbarsi  neiia  carcere , o dare  i mallevadori  per  la  sua 

dimissione  , come  il  padre  di  lui  dimandava.'  Il  Senato 

adunatosi  decretò  che  se  no  desse  malleverìa  • sotto  ob-> 

biigazion  pecuniaria  ; ed  egli  libero  andasse  finché  di 

lui  si  giudicasse.  Or  mancando  il  giovine  di  comparire  • 

al  suo  tempo  ; . i tribuni  convocarono  il  giorno  appresso 

la  molthndine  , e contro  lui  sentenziarono  ; dond’  è che 

i mallevadori , eh’  eran  dieci , pagarono  là  multa  conve- 

nuta in  sicurezza  delia  sua  presentazione.  Colto  dunque 

fra  tali  insidie  dai  tribuni  che  guidavano  tutta  la  trama  , 

colle  itestimobianze  di  Volscio  , che  poi  false  si  riconób- 

bero , Cesone  fuggi  nell’  Etruria.  Il  padre  di  lui  venduto 

il  più  di  sue  cose , e rintegrati  i mallevadori  delle  multe 

obbligate  visse  tra  il  disagio  e lo  stento  in  un  poderétto; 

che  aveasi  con  picciolo  abituro  lasciato  di  là  dal  Tevere, 

coltivandolo  con  ponchi  servi,  né  più  rècandosi  in  città 

per  1’  afflizione,  b la  inopia,  nè  riabbracciando  gli 

«mici , né  iniramettendosi  -a  festa  , o ricreazione  niuna. 


Ai  tribuni  però  succedé  ben  altro  che  le  loro  speranze: 

imperocché  non  .solo  qon  se  ne  chetò  pér  alcun  modo 

la  gioventù  contenziosa  ammaestrata  dai  mali  di  Cesone  ; 


-ma  ne  imperversò  più  ancora , contrastando  co'  detti  e 

co’  fatti  la  legge;  talché  non  poterono  affatto  stabilirla, 

cousumandosi  in  brighe  la  loro  magistratura.  Pertanto 

il  popolo  confermò  pel  nuovo  anno  i tribuni  medesimi. 


' fX.  Ascesi  ai  grado  consolare  Valerio  Popiicola , e 

Cajo  .Claudio  Sabino  (i),  Roma  corse  in  pericoli  « quanti 


(i)  Anoo  di  Roma  39!  secondo  Catons , 396  secondo  Varrone, 

c 4''8  av.  Cristo. 



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n34  DELLE  ANTICHITÀ*  ROMANE 


uiai  più  ^ per  la  guerra  cogli  i esteri , attiratale  dalle  d!«i 

«cordie  domestiche , come  af  eano  j preoooziato  i libri 

sibillini,  e li  segui  dimostrati  1’  anno  precedente  dai 

numi.  Io  sporrò  cagione,  che  suscitò  U guerra , e ciò 

che  fu  per  queau  operato-  allora  da’  consoli.  Li  tribuni 

preso  di  nuovo  il  lor  grado  su  la  speranza  di  fondare 

la  legge  , vedendo  console  Ca)o  Claudio  pieno  di  odio 

ereditario  contro  del  popolo,  e sollecito  per  ogni  guisa 

nd  impedire  quanto  facevano  ; e vedendo  i più  potenti 

de’  giovani  trascorsi  -iu  fùria  manifesta  da  non  combatterli 

colla  forza , ed  i più  della  plebe  obbligati  da'  servigi 

de’  patrizj , e rimasti  senza  il  primo  ardore  per  la  leggQ 

deliberarono  spingersi  all’  intento  con  mezzi  più  risoluti , 

onde  atterrire  quei  della  plebe , e far  desistere  il  console. 

Su  le  prime  procurarono  spargere  voci  varie  per  la  città, 

poi  sederono  da  mattina  a sera  coosultaudosi  visibiloRate 

senza  comunicarne  ad  alcuno  nè  consigli  nè  parole.  Ma 

quando  parve  loro  tempo  di  .eseguire  i disegni,  finsero 

delle  lettere  ; facendosele  recare  mentre  sedeano  nel  Foro 

da  un  ignoto.  E come  prima  Je  lessero  , , battendosi  la 

.fronte  , e contristandosi  ne’  set^bi^nti  ; levaronsi  in  piede. 

Accorsa  gran  moltitudine,  ed  insospettitasi  che  fosse  in 

quelle  lettere  indicato  alcun  grande  infortunio,  essi  or* 

dioaroiio ,pe’ banditori  silenzio  e dissero;  La  repubblica 

o cittadini  sta. negli  estremi  pericoli.  E sé  la  benevo^ 

lenza  degl  iddj  non  avesse  provveduto  a chi  era  per. 

incorrervi  : noi  tutti  saremmo  in  fetali  sciagure.  Chie- 

diamo che  vi  tfiniale  qui  breve  tempo , finché  riferiamo 

al  Senato  eiocohè  ne  si  avvisa,  e facciamo  di  cornuti 

volo  oiocché  si  debbo  ; E ciò  detto  , ne  andarono  ai 



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LIBRO  X.  a35 


consoli.  Frattanto  che  il  Senato  si  radunava,  faceansi 

pel  Foro  molti  e svariati  discorsi;  ripetendo  altri  appo> 

stalaroente  ne’crocchj  ciocché  era  stato  intimato  loro 

da’  tribuni  ; ed  altri  pubblicando  , come  detto  ai  tribuni, 

ciocché  temeano  essi  stessi  , che  succedesse.  Chi  dicea 

che  i Volsci  e gli  Equi  aveano  accolto  Quinzio  Cesone 

il  giovine  condannalo  dal  popolo  , creandolo  comandante 

assoluto  delle  due  genti  e che  leverebbe  .gran  forze  e 

marcerebbe  contro  di  Roma:  echi  dicea  che  quel  gio- 

vine d’  accordo  cp’  patrizj  tornava  con  esterne . milizie  , 

perché  si  abolisce  una  volta  per  sempre  il  magistrato 

che  era  il  presidio  de’  plebei  : altri  aggiungeva  che  eosì 

non  sentivano  tutti  i patrizj  ma  i giovani  soli:  e. vi  fu 

chi  ardi  fino  dire  che  colui  si  stava  occulto  in  città  , e 

che  occnpenebbe  i posti  più  acconci.  Ondeggiando  cosi 

tutta  la  città  per  |a  espeUazioue  de’  mali , e sospettan- 

dosi tutti , e guardandosi  gli  uni  dagli  altri  : i consoli 

convocano  il  Senato  : ed  i tribuni  vengono  e palesano 

ciocché  avvisavasi  loro:  parlava,  per  tutti  Aulo  Yerginlo 

e disse  : - „ >>  • f > 


X.  Finché  gli  annunzj  che  ci  si  davan  de'  medi  ^ 

ci  sembrarono  non  accureUi , ma  vani  e senza  fondai 

mento  , sdegnefmmo  o padri  coscritti , di  pubblicarlit 

tal  timore  che  non.se  ne  eccitassero  grandi  txirba- 

menti , come  sogliono  , alP  udirsi  triste  cose  , e con 

riguardo  di  non  essere  da  voi  creduti  anzi  precipitosi 

che  savj.  Non  però  lasciammo  tali  annunzj , trascu^ 

rondo  li  eiffaUo  : anzi  ne  abbiamo  i investigata  la  ver 

rità , quanto  per  noi  si  potè..  Ora . poiché  la  provit 

denzu  celeste , la  quale  ci  ha  ‘sempre  salvato  la  re» 



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2 36  DELLE  Antichità’  homane 


pubblica , ci  benefica  p svela  i segreti  consigli  y e le 

ree  macchinazioni  di  uomini  nemici  agt  iddj  , e te- 

niamo fin  delle  lettere  che  abbiamo  di  fresco  ricevute 

in  pegno  di  benevolenza  da  ospiti,  che  voi  poscia 

adirete  ,*  e poiché  concorrono  e concordano  gC  indizf 

Interni  con  gli^  altri  di  fuori , e gli  affari  che  abbiam 

tra  le  mani  non  ammettono  più.  indugio  e riserva  i 

deliberiamo  , com’  è giusto  , palesarli  a vói , prima 

che  al  popolo.  Sappiale  dunque  che  hanno  contro  il 

popolo  congiuralo  uomini  non  ignobili , tra'  quali  di- 

pèsi-esser  parte,  non  grande  però,  degli  anziani, 

ascritti  al  Senato  , ma  più  grande  de’  cavalieri  che 

ascritti  non  vi  sono  ; e questi , quali  siano  , non  è 

tempo  ancora  di  rivelarlo.  Questi , come  udiamo  , 

colta  una  notte  oscura,  sono  per  assalirci  tra’l  son- 

no , quando  nè  può  risapersi  ciocché  è fatto  , nè  va- 

Uomo  a congregarci  e difenderci.  Fermi  sono  d'in- 

vestire ‘e  di  uccidere  nelle  case  noi  tribuni  e quei 

plebei  che  st  opposero  iy  o fossero  mai  per  opporsi 

ad  essi  circa  la  libertà.  Quando  avran  tolto  noi , 

pensano  di  aver  da  voi  ciò  che  resta , sicurissima-  ' 

mente  , cioè  che  revochiate  di  comun  voto  le  conces- 

sioni da  voi  fatte  alla  plebe.  Fedendo  però  che  han 

bisogno  per  compiere  ciò  di  prepararsi  occultamente 

una  milizia  di  fuori , e non  piccola  , si  hanno  eletto 

capo  queir  esule  nostro,  quel  Ceso» e , convinto  del- 

V eccidio  di  cittadini , e della  discordia  della  città , • 

e pure  fatto  per  alcuni  di  qua  entro  , fuggir  salvo 

dal  giudizio  e da  Roma , con  promettere  di  procurar- 

gli il-  ritorno  , magistrature  , onorificenze , ed  altri 



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LIBRO.  X, 



compensi  de' servigj.  E questo  Cesene  ha  protnesso 

di  conduf  loro , milizia  di  Equi  e di  Eplsci , quanta 

abbisognane.  Egli  verrà  tra  non  molto  co’  più  audaci, 

introducendoli  a pochi  a pochi  e '.sparsamente  in  ci/r 

tà:  l^  altre  milizie,  quando  saremo  periti  noi  capi 

del  popolo  si  avventeranno  su  gli  alpi  del  popolo 

stesso , i quali  difendessero  ancora  la  libertà.  Queste, 

o padri  coscritti  sono  le  terribili , le  impurissime 

opere  che  disegnano  far  tra  le  tenebre , senza  temere 

r ira  degli  iddj , nè  riguai  dare,  la  vendetta  degli 

uomini.  ^ , 


XI.  Agitati  da  tanto  pericolo  , a voi  ne  veniamo 

supplichevoli , o padri,  voi  scongiuriamo  per  gf  iddj, 

voi  pe  genj  adorati  dalla  patria , voi  per  la  memoria 

dei  tanti  e gravi  nemici  da  noi  combattuti  in  coma-, 

ne,  affinchè  non  lasciate  che  noi  patiamo  le  sì  dure, 

ed  indegnissime  offese  : ma  v’  'empiate  come  noi  di 

risentimento , e ne  soccorriate , e puniate  , come  delf~ 

Lesi,  tali  macchinatori  tutti , o nei  capi  almeno  della 

infame  congiura.  E prima  che  tutto  , dimandiamo  o 

padri  che  decretiate,  come  è giusto,. che  inquisiscasi 

da  noi  tribuni  su  le  cose  deferiteci;  perciocché  oltre, 

la  giustizia , la  necessità  dee  rendere , inquisitori  di-, 

agentissimi  gV  investiti  dal  pericolo.  Che  se  alcuni 

tra  voi  son  disposti  di  non  compiacerci  punto , anzi 

di  contrariarne  in  , quanto  vi  diciamo  del  popolo  ; 

volsntieri  conoscerò  da  essi  quale  vi  disgusti  delle. 

nosVe  dimande , e ciò  che  vogliate  da  noi  finalmente 

Che  non  facciamo  forse  niuna  ricerca , ma  trascu~ 

riamo  la  si  bufa  e si  rea  tempesta  che  pende  sul 



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2.38  DELLK  ANTICIUTA’  ROMANE 

popolo  ? E chi  direbbe  li  sì  fatti  decisori  esser  sani, 

e non  corrotti)  e non' partecipi  della  congiura  anzi 

chi  non  direbbe  che  temono  per  sestessi  , temono  di 

essere  scoperti , e quindi  scansano  che  si  esamini  • il 

vero  ? Perciò  non  debbesi  attendere  a tali  uomini.  O 

vorranno  forse  che  non  siamo  noi  gl'  inquisitori 'di 

dò;  ma  il  Senato  e li  consoli?  Ma  che  impedirebbe 

che  i tribuni  pure  dicessero , che  a loro  che  han 

preso  a difendere  il  popolo  / a loro  si  spetta  la  in- 

quisizione de*  plebei , se  alcuni  mai  congiurassero 

contro  de'  padri  e de'  consoli , e macchinassero  la 

rovina  del  Senato  ? Or  che  seguirebbe  da  ciò  ? que- 

sto appunto  , che  mai  la  indagine  si  farebbe  ma- 

neggi  reconditi.  Noi  però  mai  ciò  nort  faremmo,  per- 

chè sospetta  ne  sarebbe  f ambizione  : e così  voi  non 

bene  adopererete  dando  mente  a coloro  che  non  vo- 

gliono che  noi  pure  slam  pari  a voi  ne’  casi  nostri , 

per  fare  F esame;  ma  benissimo  adopererete  riguar- 

dando questi , come  nemici  comuni.  Al  presente , o 

padri  coscritti , niuna  cosa  tanto  bisogna  , quanto  la 

sollecitudine:  glande,  imminente  è il  pericolo;  e C in- 

dugio a salvarsi  è sempre  intempestivo  ne’  mali  che 

non  indugiano.  Lasciando  dunque  le  altercazioni , e 

i lunghi  discorsi  decretate  ornai  ciocché  F utile  vi 

sembra  della' repubblica.  eraoo  i padri  come 

rìsolfere:  e riflettevano  seco  stessi,  e ripetevano 'fra 

loro  , come  fosse  ugualmente  arduissima  cosa  concedere 

e non  concedere  ai  tribùni  di  fare  inquisiaione  su  loro, 

in  affane  comune  e gravissimo.  Ma  Cajo  Claudio  1’  uno 



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' . ■ LIBRO  ajg 


de*  consoli , che  tenea  per  obliqua  quella  loi^  propo- 

sta , sorse  e disse  : iVon  penso , o Kergìnio , che  co- 

storo sospettino  me  come  partecipe  della  congiura  che 

dite  macchinata  cantra  voi , e cantra  il  popolo  e 

sospettino  che  io  sorga  a contraddire , perchè  temo  per 

me  o per  alcuno  de  miei  che  n è complice  ; giacché 

il  tenore  della  mia  vita  esclude  in  tutto  da  me  tali 

sospetti.  Io  dirò  sincerissimamente  e sema  riguardi 

ciocché  reputo  £ utile  del  Senato  c del  popolo.  Molta , 

anzi  affatto  s’  inganna  Ferginio  , se  concepisce  che 

alcun  di  noi  sia  per  dire  ohe  si  lasci,,  sema  discu- 

terlo , im  tal»  affare  sì  grande  e necessario  ; e che 

non  debbono  aver  parte , nè  star  presenti  alla  inda- 

gine i magistrati  del  popolo.  Niuno  è sì  stolido  , 

niuno  sì  malevole  al  popolo  che  voglia  ciò  dire:  Che 

se  dunque  alcun  chiede , qual  ne  ho  male  , ohe  in- 

sorgo contra  cose  che  io  concedo  per  giuste  ; e che 

presumo  io  mai  col  mio  dire  ; io  , viva  Dio , ve' lo 

esporrò:  Io  penso,  o padri  coscritti,  che  i savj  deb- 

bano considerar  sottilmente  i germi  e le  linee  prime 

di  ogni  affare  : imperocché  deesi  di  ogni  affare  di- 

scorrere secondo  che  ne  stanno  i principj.  Ora  udite 

da  me  ciocch'  è V intrinseco  del  subietto  presente  , e 

quale  il  disegno  de  tribuni.  Non  riesce  ora  loro  di 

ultimare  ninna  delle  cose  incominciate  nè  proseguite 

nelC  anno  antecedente , perchè  voi  vi  opponete  ad 

essi  come  allora , nè  pià  il  popolo  li  favorisce.  E ciò 

conoscendo  cercano  necessitare  voi , sicché  cediate 

loro  anche  vostro  malgrado , ed  il  popolo , sicché 

cooperi  a quanto  mai  vogliono.  Ma  per  quanto  se  ne 



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24o  delle  Antichità’  romane 

consultassero,  per  quanto  volgessero  da,' ogni  banda, 


V affare , non  trovando  mezzi  semplici  e buoni  per 


V uno  e V altro  intento  ; alfine  così  la  discorsero. . 

» Lainenliamoci  che  alenai  nobili  han  congiurano  di> 


abballcre  il  popolo  / e di  uccidere  quanti  ne  proca- 

» nino  la  salvezza.  E quando  avrem  &UO , che  tali  cose, 

» preparale  da  gran  tempo,  siano. in  cittA  disseminate,; 

» e sembrino  credibili  «I  popolo  (e  credibili  le  renderà 

a la  paura)}  allora  fiugeremo  delle  lettere  da  presenti 

» larcisi  per  un  ignoto  in  presenza  di  molti.  Ne  amdre> 

» mo  quindi  In  Senato,  ci>  sdegneremo,  ci  dorremo, 

» e cercheremo  il  poter  d’ inquisire  su  le  dinunzie  dateci. 

» Se  i patria)  ci  si  oppongono,  prenderemo  ‘da  indi 

» ^argomento  di  calunniaiii  presso  del  popolo;  ed  il 

a popolo  esacerbato  contro  di  essi  diverrà  ^ propizio  a 

X .quanto  noi  vogliamo.  Che  se  cel  concedono  leveremo 

X di  città , come  trovati  complici , i più  misgnanimi  frA 

» loro , e più  nemici  nostri  , vecch j ^o  giovani.  Impe- 

» rocchè  coloro  intimoriti  di  essere  condannati  o pat- 

» tuiranno  con  noi  di  non  più  contrariarci  ; o saran 

» costretti  a lasciare  la  patria  : e co^  la  fàzipn  contrap- 

» posta  sarà  desolata  ». 


XIII.  Tali  sono  i loro  disegni p padri  coscritti,  e 

quando  li  vedevate  che  sedeano  o consultavano  ^ al~ 

lora  tesseano  C inganno  contro  i più  riguwrdevoli  tra, 

voi,  allora  complicavan  la  rete  contro  i cavalieri  più 

puri.  E che  ciò  sia  vero  ; presto  ve  lo  dimostro.  Dì , 

yèrginio  , dite  voi , su  quali  pende  il  pericolo  , da 

quali  ospiti  aveste  la  lettera  ? dove  abitano , come  vi 

conoscono',  come  seppero  tali  nostre  cose  ? Perché 



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LIBRO  X.'  241 


differiste  a svelare  i lor  nomi , perchè  prometteste 

dirceli  poi , nè  li  avete  già  detti  ? Qual  fu  V uomo 

che  vi  portava  le  lettere  ? che  noi  menate  voi  qui  y 

sicché  su  lui  cominciamo  a diicutere , se  vere  elle 

siano  y o se  piuttosto  , come  io  penso  finte  da  voi  ? 

E gt  indizj  interni  che  si  accordano  co’  segni  di  fuori 

quali  sono  mai  questi?  o chi  mai  ve  li  diede  ? Per- 

chè ne  celate , non  ne  pubblicate  le  prove  ? Se  non. 

che  mal  si  trovano  prove  di  cose  che  non  furono 

mai come  io  credo  , nè  mai  saranno.  Questi  o pa- 

dri coscritti  non  sono  indizj  di  una  congiura  contro 

loro  ma  piuttosto  delle  insidie  e del  mal  animo  che 

essi  covano  contro  di  voi  , come  C affare  dichiaralo  • 

per  sè  stesso.  Ma  voi  siete -di  ciò  la  causa,  voi  che 

concedeste  loro  le  prime  cose,  e portaste  a tanta  po- 

tenza codesto  insano  1 loro  magistrato , quando  lascia- 

ste nell’  anno  antecedente  che  giudicassero  per  falsi 

titoli  Quinzio  Cesone  y 'e  soffriste  che  strappasSer 

dal  seno  un  tanto  difensor  de'patrizj.  Da  ciò  nasce 

che- pili  non  serban  misura , nè  tolgon  di  mira  i no- 

bili ad  ano  ad  uno,  ma  investono  e scacciatio  in  un 

globo  tutti  i migliori  della  città  : E- ciò  che  è peggio  j 

non  permettono  nemméno  che  contraddiciate  Biro  , e 

V atterriscono  con  darvi  per  i sospetti  , e calunniarvi 

come  complici  de’ segreti  disegni  ^ con  dirvi  ben  tosto 

inimici  del  popolo  , e citarvi  al  popolo  stesso  , per- 

chè -subiate  la  pena  de’  discorsi  qui  fatti.  Ma  su  ciò 

diremo  altrove  pià  acconciamente.  Ora  per  istringere 

e non  prolungare  il  discorso  , ammoniscavi  che  vi 


PTOIftCr  , tomo  in.  ' it 



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242  DELLE,  antichità’  ROMANE 


guardiate  da  codesti  turbatori  di  'Jioma  , dti  codesti 

seminatori  de’  mali.  Nè  celerò  già  al  popolo  quanto 

qui  dico  ; ma  gli  sporrò  liberissimo  che  non  pendo 

su  lui  niente  di.  male  , se  non  quanto  glien  fanno  i 

tristi  ed  insidiosi  ..tribuni , benevoli  ne'  sembianti  e 

nemici  ne' fatti.  Sorse  al  dire  del  console  clamore  m» 

tomo  ed  applauso  ben  grande , e sciolsero  1’  adunanza 

senza  ^pertncHve  che  '^pià  i tribuni  parlassero.  Dopo  ciò 

Yergiaio  convocato  il  popolò,  vi  accusò  il  Senato  ed  i 

consoli.  Ma  Clandio  ve  li  escusava  apptmio  co’  discorsi 

tenuti  in  Senato.  Presero  i più  discreti  del  popolo  per 

vana  quella  paura:  ma  i più  sjolidi  per -vera,  credendo 

le  dicerie  : e quanti  ne  erano  I più  soellerali , ^anti  i 

più  bisognosi  ognora  di  un  cambiamento , vi  xercaròno 

un  pretesto  -di  sedizione , je  di  torbido  , doù  che  mi> 

ressero  a far  disceraere  il  Vero  dal  falso. 


XIV.  Intanto  un  Sabino  non  ignobile  di  lignaggio  , 

potente  in  averi  (Appio  Erdonio  ih  chiamavano.)  si 

pose  in  cuore  di  - abbattere  la  potenza  romana  , sia  che 

ne  cercasse  per  sé  la  tirannide  , sia  che  una  grandezza 

ed  un  dominio,  ai -Sabini,  sia  che  tina  fama  luminosa 

al  suo  nome.  Comnni'catosi,  in  quanto  a tale  idea,  con' 

molti  amici , divisata  là  maniera  dell’  impresa  , ed  ap- 

provatone ; riuni  li  clienti , e li  più  baldanzosi  de’  servi 

suoi.  Concentrati  In  poco  tempo  intorno  a quattro  mila 

uomini , ed  apparecchiate  arme,  viveri  , e quanto  biso- 

gnava per  una  guerra,  gl’  imbarcò  su  legni  fluviali.  ?ia- 

vigando  sul  Tevere  , gli  approssimò  a Roma  dalla  ban- 

da, ove  sorge  il  Campidoglio  , non  lontana  nemmeno 


uno  stadio  dal  fiume.  Era  la  notte  in  sul  mezzo:  ed  in 


» ’ 



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LIBRO  X.  243 


Roma  calma  grandissima.  Egli  dunque  al  favore  di  queo  ottenuti  i 

luoghi  piu  acconci,  ricever^  gli  esuli,,  liberare,  gli  schiavi, 

sdebitar  con  promesse  i poveri , e consociare  a sestesso 

4utti  gli  akti  cittadini  clie  dal  basso  loro  stato  invidia- 

vano ..ed  odiavano  i potenti,  e seguivano  con  diletto  la 

mutazione.  La  iipniagine.  che  deludevalo  intanto  che  lo 

isperariziva  di  ottenere  quanto  aspettava , era  la  civil 

sedizione,  per  la  quale  concepiva  che  più  non  vi  fosse 

amicizia  , nè  ligame  tra  i plebei  e tra’  patrizj.  Che 

non  fosse  a lui  riuscita  ninna  di  tali  cose  r allora  dise- 

gnava chiamare  con  tutte  le  milizie  i Sabini , i Yolsci 

ed  altri  vicini , quanti  voleano  iredimerst  dal  giogo  ese- 

crato de’  Romani.  . ^ ' 


XV,  Occorse,  però  che  s’ ingannasse  in  lutto  ; jmpe«> 

aocchè  nè  si  diedero  a lui  gli  schiavi,  dè  gli  esuli  ripa- 

triaronb,  nè  gl’ indebitati  q disonorali 'anteposero'!’ utile 

proprio  al  comune,  nè  i sqcj  esterni  ebbero  spaziò  ab- 

bastanza da  preparare  la  guerra:  giacché  tale  affare,  che 

diede  tanta  paura  e turbamento  a^  Romani  , ebbe  Gne 

ben  tosto  ne’  primi  tre  o quattro  giorni.  E per  verità  , 

presa  appena  la  fortezza  , datisi  gli  abitanti  dei  luoglù 


(1)  Questa  porta  fu  chiamala  ancora  scellerata  perchè  poterono 

per  essa  uscire  ma  non  tornare  i Pabj  che  andarono  a Cremerà 

contro  i Toscani  j come  iuiUcano  Testo  ed  Ovidio.  Fasi.  a. 



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a 44  DELLE  AWriCHITA”  ROMANE 


intorao  che  non  erano  rimasti  uccisi  , a gridare  e fug-' 

gire  ; il  popolo  non  sapendo  che  mai  fosse  , impugnò 

le  armi , e Corse  parte  ne*  siti  eminenti  y o ne’  spaziosi  , 

che  eran  molti , della  città , e parte  ne’  campi  vicini. 

Quanti  perduto  il  fiore  degli  anni  erano  nella  impotenza 

delle  forze  , salirono  colle,  mogi)  ai  tetti  delle  case  per 

combattere  di  là  li  forestieri , parendo  loro  ogni  luogo 

pieno  di  nemici.  Fatto  giorno,  come  seppesi  che 'erano 

in  città  prese^  le  fortezze , e chi  prese  le  avesse  ; i coa- 

soli andarono  al  Foro , e chiamarono  i cittadini  alle 

arme.  Li  tribuni  convooita  la  ' moltitudine  dissero  che 

non  voleano  far  cosa  contraria,  alla  patria  ne’ suoi  peri- 

coli ; ma  che  riputavaào  giusto , che  il  popolo  il  'quale 

espoùevasi  a tanto  cimento  vi  si  esponesse  con  patti 

espressi  : Se  i patrìzj  , diceano , promettono  , chiamarti 

done  mallevadori  gli  Dei,  che  Jinifa  la  guerra  cìoon^ 

cederanno  di  creare  i legislatori  , e di  vivere  pari  a 

noi  ne  diritti  per  t avvenire;  liberiamo  con  essi 'la 

patria  : ma  se  ricusano  ogni  partito  di  moderaziode  ; 

e perchè  mai  cimentarsi  ?'  perchè  gettile  la  vita , 

quando  niun  bene' ce  ne  ridonda  ? Mentre  cosi  dice- 

vano ed  il  popolo  se  >ne  persuadeva  tiè  udiva  le  voci 

di  chi  altro  gli  suggerisse  ; Claudio . disse  ohe  non  tJ>- 

bisognavasi  di  tali  che  soccorressero  la  patria  non 

volontari , ma  per  prezzo  e non  ' lieve  : che  i pcurizj 

armando  sestessi  e i clienti,  e chiunque  univasi  loro 

spontaneamente  assedierebbero  le  fortezze  ; Che  se 

tali  milizie  non  pareano  sufficienti;  ne  chiamerebbero 

ancora  dai  Latini  e dagU  Ernici  : e se  la  necessità 

stringesse , prometterebbero  la  libertà  agli  schiavi  : 



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LIBRO  X.  245 


cAe  infine  inviterebbero,  tutti,  piuttosto  che  quelli  che 

in  tal  congiuntura  profittavano  della  odiosità  de'  vec~ 

chj  fatti.  Contraddiceva  a tanto  Valerio  1’  altro  console  : 

e giudicando  che  non  dovesse  mettersi  in  guerra  coi 

patris)  la  plebe  già  adirata  con  essi  .-consigliava  che  si 

cedesse  al  tempo  : si  pretendesse  da'  nemici  esterni  il 

diritto:  ma  si  usasse  helle  gare  domestiche  equità  e 

dolcetta,  E sembrato  egli  al  più  dei  padri  di  aver  dato 

il  consiglio  migliore,  ne  venne  all’ adunanza  del  popolo, 

e tenutovi  un  ' conveniente  discorso  , lo  ■ terminò  , giu> 

rando  , che  se  i plebei  si  unissero  a , lui  con  ardore 

sella  guerra,  q, riordinassero  le  cose  della  città;  con- 

cederebbe ai  tribuni  di  far  discutere  al  popolo  la  legge 

che  essi  progettavano  su  la  eguaglianza  ne’ diritti,  e che 

terrebbe  modo  onde  ciò  che  fosse  à questo  piaciuto  si 

eseguisse  nel  suo  consolato.  Ma ‘non  portava  il  destinò 

eh’  egli  adempiesse  alcuno  de’ patti,  seguendolo  ornai  da 

presso  la  morte.  . • 


XVI.  Sciolu  i’ adunanza  , intorno  a’ crepuscoli  ve- 

spertini accorse  ciascuno  a’  suoi  posti  per  dare  a’  capi  il 

suo  nome,  ed  il  militar  giuramento;  e fra  tali  due  cure 

si  consnmò  qncl  giorno  e la  notte  che  lo  segui.  - Nel 

giorno  appresso  furono  compartiti  e còllocati  da’  consoli 

i tribuni  sotto  le  insegne  sante , aiTollandovisi  la  niolti- 

tndine  ancora  abitatrice  della  campagna.  Ordinata  così 

ben-  tosto  ogni  cosa , i consoli  divisero  le  milizie,  e ne 

tirarono  a sorte  il  comando.  A Claudio  toccò  d’ invigi- 

lare innanzi  le  mura  , aIBnché  non  entrasse  in  sussidio 

altr’  armata  di  fuori  ; perocché  sospettavasi  di  un  moto 

assai  grande,  e temeasi  che  piomberebbero  forse  tutti  i 



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2 46  DELLE  antichità’  ROMANE 


nemici  su  loro.  Portò  la  sorte  che  Valerio  si  mettesse 


all’  assedio  delle  fortezze.  Altri  duci  furouò  destinati  sb 



di  altri  luoghi  muniti,  interni  alla  città ^ ed  altri  su  le* 

vie  che  menano  al  Cartipidoglio  per  impedire  che  vi 

passassero  al  nemico  gli  schiavi  e li  bisognosi  temuti 

soprattutto.  Non  venne  a Roma  sussidio  di  alieniti  , se 

non  de’  Tnscolaili , informati  ed  apparecchiati  in  una 

notte  e guidati  da  Lucio  Mamilio  , uomo  operosissimo , 

e capo  allora  della  nazione.  Questi  soli  entrarono  con 

Valerlo  a parte  de’  pericoli  , et  dimostrandovi  Ihtta  la 

benevolenza  e lo  zelo  ; rivendicarono  con  eSso  le  for- 

tezze. Diedevisi  da  tutte  le  parti  1’  assalto  : chi  adattava 

su  le  donde  vasi  pieni  di  bitume  e ■ pece  incendiaria  , 

e lanciavali  dalle  case  vicine  in  sul  colle  : chi  recava 

, fasci  di  sarmenti  , e fattine  cumoli  ben  àltj  su  lo  sco- 

' sceso  della  rupe  gli  ardeva , lasciando  che  il  vento  ne 

trasportasse  le  damme:  i più  magnanimi  ristrettisi  nelle 

Schiere  salivan  alto  di  su  per  vie  manufatte  : ma  la 

motti(udine  colla  quale  tanto  sorpassavano  1*  inimico  , 

niente  giovava  ad  essi  che  ascendevano  per  sentiero 

angusto , pièno  sopra  di  sassi  da  trabalzameli , e tale 

che  i pochi  vL  divenivano  bastanti  contro  i mólti  : nè 

la  costanza  acquistala  tra  le  molle  ‘‘guerre  incontro  ai 

pericoli  valeva  punto  per  chi  rampicavasi  diritto  sa  pei 

scogli.  Pcroccliò  facessi  la  battaglia  con  colpi  lontani  e 

Dòn  a corpo  a corpo  onde  moslraiwi  audacia  e forza  ; 

le  arme  lanciate  da  basso  in  alto  giungevano  , cotn  -è 

verisimile , se  colpivano , languide  e tarde  ; laddove 

quelle  scagliate  dall’  alto  in  basso  piombavano  penetranti 

e piene  , secondandone  il  peso , \ lor  tiri.  Non  però 



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LIBRO  X.  247 


invilivano  gli  assalitori  , ma  persistevano , necessitati , 

tra'  mali , senza  rèquie  alcuna  diurna  o notturna  : tanto 

che  mancate  finalmente  agli  assediati  le  arme  e le  forze, 

dopo  il  terzo  giorno  gii  espugnarono.  Perdeèouo  i Ro« 

mani  in  questa  battaglia  molti  valentuomini , ed  il  con- 

sole', valentissfmo , come  tutti  concedono.  Costui  seb- 

bene ricevute  molte  ferite  , non  si  levava  da’  perìcoli  : 

ma  saliva  tuttavia  la  rocca , finché  gli  precipitarono  ad* 

dosso  un  macigno  , che  gli  tolse  • la  vittoria  e la  vita. 

Espugnata  la  fortezza , Erdonid  robustissimo  che  era  di 

corpo-,  e bravissimo  in  arme  , destò  strage  incredibile 

idtornct  di  sé,  ma  sopraffatto  infine  dai  colpi  morì.  Tra 

quelli  che -avevano  occupato  con  esso  il  castello,  pochi 

furoRO  pigliali  vivigli  più  trafissero  sestessi,  o perirono 

precipitandosi  dalla  rupe. 


XVII.  Finito  cosi  l’attacco  de’ Ladroni,  i tribuni  ri- 

produssero le  ‘interne  discordie  , chiedendo  dal  console 

superstite  che  adempisse  le  promesse  circa  la  istituzioa 

della  legge  fatte  loro  da  Valerio , estinto  nella  battaglia. 

Trasse  GlandLò  in  lungo  qualche  tempo,  ora  con  espiar 

la  città , ora  con  fare  agl’  Iddii  sagrifiz)  di  ringrazia- 

mento , ed  ora  dilettando  il  popolo  con  spettacoli  e 

giuochi.  Alfine  mancatigli  tutti'!  pretesti  disse,  che  do- 

vessi nominare. in  luogo  del  defunto  un  altro  console, 

perocché  le  cose,  fìtte  da  lui  solo  non  sarebbero  né  le- 

gutime  ',  né  salde,' ma  salde  saqebbero , e legittime  fatte 

da  ambedue.  Respintili  con 'questa  replica,  prefisse  il 

giorno  pe’  oomizj  ove  farsi  un  collega.  Intanto  i capi 

dei  Senato  concertarono  con  maneggi  occulti  fra  loro  il 

console  da  eleggersi.  Venuto  il  giorno  de’comizj,  quando 



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248  DELLE  Antichità’  romane 

il  baDclitore  chiamò  la  prima  classe,  le  diclotto  ceniarie 

de’ cavalieri  e le  ottanta  de’fanti  ricchi  di  più  possideusa 

entrate  nel  luogo  dimostrato  nominarono  console  Lncio 

Quìdeìo  Cincinnato,  il  cui  figlio  Cesone  ridotto  a già* 

di^o  capitale  da’  tribuni , avea  per  necessità  lasciato  la 

patria:  >nè  più  si > chiamarono  altre  classi  a dare  il  lor 

voto,  giacché  le  centurie  che  lo  aveano  dato  superavano 

per  tre  centone  le  rimanenti.  Il  popolo  si  ritirò  prono- 

sticando il  suo  male , perché  sarebbe  il  consolato  in 

mano  di  chi  lì  odiava.  Il  Senato  spedi  uomini  che 

prendessero  e menassero  il  suo  console  al  comando. 

Quinzio  arava  allora  per  avventura  un  campo  per  se- 

minarvi , ed  egli  stesso  scinto  di^  tonica , col  pilco  in 

testa , e con  fascia  ai  lombi , teneva  dietro  ai  bovi  che 

lo  fendevano.  Or  vedendo  i molti  che  a lui  si  recavano, 

fermò  1’  aratro , e dubitò  buon  tempo  chi  fossero  , e 

perchè  sen  venissero  ; ma  precorrendo  un  tale  ed  am- 

monendolo ad  acconciarsi  , andò  nell’  abituro , e accon- 

ciatovisi  riuscì.  Gli  uomini  spediti  a riceverlo , lo  salu- 

tarono tolti  non  dal  suo  nome  , ma  come  console  : e 

messagli  la  veste  circondata  di  porpora , e dategli  le 

scuri , e le  altre  insegne  de’  consoli , lo  pregarono  che 

in  città  si  portasse.  £ colui  soprastando  alcun  tempo  e 

lagrimandone  disse  : questo  mio  campiceUo  . in  qilesto 

anno  restar^  dunque  non  seminato,  ed  io  correrò  pe- 

ricolo di  non  avere  come  alimentarmene.  E qui  salu- 

tata la  consorte,  ed  intimatole  che  provvedesse  alle  coso 

dimestiche , sen  venne  a Roma.  Or  questo  mi  son’  io 

condotto  a dirlo  non  per  altra  cagione  , se  non  perchè 

sì  conosca  quali  erano  allora  i primarj  di  Roma,  come 



Dicitt  i GoOgIc 



LIBRO  X.  249 


operosi  , collie  savj  ; e come  , non  che  gravarsi  di  noa 

povertà  onorata  , ricusavano  , non  ambivano  i sovrani 

poteri.  Dal  che.  sarà  manifesto , che  i moderni  non  so* 

migliano  a quelli  nemmen  per  poco  , eccettuatine  ai- 

quanli , pe’  quali  vive  ancora  la  maestà  romana  e ser- 

basi una . immagine  di  que*  tempi.  Ma  basti  su  ciò. 


XVIII.  Quinzio  preso  il  consolato  (i)  chetò  li  tribuni 

dalle  innovazioni  e dalle  brighe  su  la  legge  , con  inti- 

mare , ehe  àc  non  la  finivano  , porterebbe  tutti  i citta- 

dini fuori  di  ' Roma  , minacciando  una  spedizione  sui 

Volsci.  E replicando  i tribuni  che  lo  avrebbero  impe- 

dito di  arrolare  l’esercito;  egli  convocata  un’  adunanza, 

disse  che  lutti  si  erano  vincolati  col  giuramento  militare 

di  seguire  a qualunque  guerra  fossero  chiamati,  li  con* 

soli;  come  di  non  lasciar  le  bandiere  e di  non  far  cosa 

contro  Ja  legge.  Diceva  che  con  assumere  il  consolato, 

ei  tenevali  tutti  sotto  quel  giuramento.  Ciò  detto , giu-> 

rando  che  si  varrebbe  delle  leggi  contro  gl’  indocili , 

fe’  cavar  le  bandiere  da’  tèmpli.  £ perchè  disperiate  di 

ogni  aggiramento  di  pòpolo  nel  mio  consolato  , non 

tornerò,  disse',  da  cnmpi  nemici  se  non  dopo  Jinitone 

il  tempo.  Apparecchiatevi  dunque  in  quanto  v è ne- 

cessario , come  per  isvernare  nel  campo.  Sbalorditili 

con  tal  parlare,  quando  li  vide  alquanto  più  mansuefatti 

supplicarlo  di  esser  liberi  dalla  spedizione,  dichiarò  che 

sospenderebbe  in  grazia  loro  la  guerra,  purché  non  fa* 

cessero  movimenti,  lasciassero  eh’  egli  reggesse  il  con- 

fi) Aanb  di  Roma  394  secondo  Catone,  996  secondo  Varrone',  a 

4S8  av.  Cristo. 



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aSo  DELLE  Antichità’  romane 


solato  a suo  modo,  e dessero  ed  esigessero  scambievole 


mente  il  giusto. 


XIX.  Calmata  la  turbòienza,  ristabilì  su  le  istanze 

loro  li  giudizj  interrotti  da  tanto  tempo  , ed  egli  straso 

decise  il  più  delle  cause  colla  equità  e colla  giustizia, 

sedendosi  quasi  tutto  il  giorno  nel  tribunale , > io  atto 

sempre  compiacevole , mite , umano  verso  de’  ricorrenti. 

Operò  con  questo  die  il,  governo  non  sembrale  aristo* 

cratico , che  i poveri , gl'  ignobili , ed  altri  infelici  co- 

munque conculcati  da’ potenti,  OOn  avessero  bisogno  dei 

tribuni, 'nè  desiderassero  piu  nuova  legislazione  per  es- 

sere trattati  cOn  eguaglianza  , anzi  che  amassero  e gra- 

dissero tutti  il  ben  essere  attuale  delie  leggi.  Fu  iodato 

nel  valentuomo  questo  procedere,  òome  pure,  che  fluito 

il  suo  comando , ricusasse  non  che  lieto  riaccettasse  il 

consolato  offertogli  nuovamente.  Imperocché  il  Sanato 

che  vedea  la  moltitudine  non  alièna  di  obbedire  aU’uom 

buono  , rivolealo  a grand’  istanza  nel  consolato , perché 

li  tribuni  brigavansi  a non  lasciare  uemmen  pel  terzo 

anno  il  magistrato,  ed  egli  sarebbesi  ad  essi  contrapposto 

rattenendoli  dalle  innovazioni  colla  verecondia  o col  ter- 

rore. Disse  che  non  appcovava  cJte  i tribuni  non  ce- 

dessero il  grado  loro  ^ ma  che  egli  non  incorrerebbe 

' neir  acciua  di  essi.  E convocato  il  popolo  e lamenta- 

tovisi  lungamente  de’  riottosi  a deporre  , il  comando  , 

giurò  solennissimamente  di  non  ricevere  il  consolato  in- 

nanzi di  averlo  ceduto.  E prefisse  il  giorno  pe’  comizi, 

e designativi  i consoli , si  ritirò  di  bel  nuovo  nel  suo 

picciolo  abituro  , c visse  , come  dianzi , col  travaglio 

delle  sue  mtini.  > 





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LIBRO  X.-  aSi 


XX-  Divenuti  consoli  Fabio  Ylbolano  per  la  terza 

volta  , e Lucio  Cornelio  (i),  e celebrando  i patrj  spet> 

tacoli  , frattanto  circa  eeì  mila  Eqof , uomini  scelti , 

marciarono  in  lieve  armatura  nella  notte  , e la  notte 

durando  ancora  giunsero  al  Tuscolo  , città  latina  , di*- 

stante  nemmeno  di  cento  stadj  da  Roma.  Trovatene 

aperte  come  in  tempo  di  pace  , le  porte  , nè  '"custodite 

le  mura,  la  invasero  al  giunger  primo,  in  odio  de’Tu- 

scolaci  > perchè  erano  gli  ardenti  cooperatori  dei  Ror 

mani , e principalmente  perchè  essi  gli  unici  aveano 

fatto  causa  - di  guerra  con  loro  nell’  assedio  del  Campi- 

doglio. Uccisero  certo  degir^uomini , non  però  molti 

nella-  invasione  della  città  ; perocché  mentre  prendeasi 

quei  che  v’ -erano  , eccetto  gl*  invalidi  per  vecchiezza  e 

per  mali , fuggirono ^ spingendosene  fuori  per  le  porte. 

Fecero  prigionieri , le  donne , i fanciulli,  i servi,  e 

diedero  il  sacco  alle  robe.  Nunziatasi  in  Roma  la  espu- 

gnazione,, i consoli  conclusero  che  si  dovesse  bemosto 

provvedere  ai  fuggitivi  e rendere  loro  la  patria.  Oppo- 

nendosi però  U tribuni,  non  permettevano  che  si  arro- 

lasscr  soldati,  se  prima  non  si  desse  il  voto  su  la  legge. 

Cònlurbandosene  il  Senato,  e ritardandosi  là  spedizione, 

sopravvennero  altri  messi 'da’  Latini  colia  nuova  che  là 

città  di  Anzio  erasi  manifestamente  ribellata,  accordan- 

doviki  i Volsci  , antichi  abitatori  di  essa,  e, li  Romani 

venutivi  come  coloni  , e compartecipi  de’  terreni.  Giun- 

sero contemporaneamente  de’  nunzj  ancora  dagli  Eroici 

e dissero , che  già  era'-  uscita  , e già  stava  nel  lor  ter- 


(i)  Adqu  «li  Roma' 395 secondo  Catone  , 397  secondo  Varrone-,  « 

457  av.  Cristo. 



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aSa  DELLE  Antichità’  romane 

ritorio  un  armata  grande  di  Volaci  e di  Equi.  A tali 

a^unzj  parve  al  Senato  che  dovesse  > ornai  ,non  indù* 

giarsi  , ma  corrersi  con  tutte  le  forze  da  entrambi  i 

consoli  : e che  chiunque  ciò  ricusasse  , romano  o con- 

federato : si  avesse  per  inimico.  Or  qui  li  tribuni  cede- 

rono  , e li  consoli  descrissero  quanti  aveano  età  milita- 

re, e* convocate  le  truppe  alleate,  uscirono  bentosto  in 

campo  ; lasciando  il  terzo  delle  milizie  urbane  in  guar- 

dia di  Roma.  Fabio  n*  andò  di  fretta  coIF  esercito  su 

gli  Equi  fra’  Tuscolani  : li  più  di  quelli  saccheggiata  la 

città  , sen’  erano  già  ritirati  : ma  pochi  ne  difendevano 

ancora  il  castello.  E questo  assai  forte , uè  bisognavi 

molto  presidio.  Adunque  alcuni  dicono  che  le  guardie 

del  castello , dal  quale,  come  elevato , scopronsi  dj  leg- 

geri tutti  i dintorni , vedendo  uscire  da  Roma  un’  ar- 

mata, lo  abbandonassero  spontaneamente:  altri  però  di- 

cono , ebe  postovi  da  Fabio  l’ assedio  si  renderono  a 

patti , e passando  sotto  giogo  ebbero  in  dono  lai  vita. 


XXI.  Fabio  venduta  la  patria  ai  Tnscolani,  levò  l’e- 

aercito  sul  far  della  sera , e marciò  di  tutta  fretta  coiv 

tro  a’ nemici  ^ Equi  e Volsci  che  accampavano,  come 

udiva  , con  armata  numerosa  intorno  alla  città  dell’  Al- 

gido. Viaggiando  tutta  la  notte  si  trovò  su  l' alba  a 

fronte  dei  nemici  alloggiati  nel  piano  senza  vallo , senza 

fossa,  come  nel  proprio  territorio',  con  disprezzo  degli 

avversar).  Or  qui  confortati  i suoi  a farla  da  valentnq- 

mini , piombò  prima  sul  campo  nemico  con  la  cavalle- 

ria , mentre  i frati  alzato  il  grido  militare  la  seguita- 

vano- Altri  furono  uccisi  che  dormivauo , altri  che  sorti 

appena  davano  all’  armi , e volgeansi  a resistere  : ma  li 



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LIBRO  X.  a53 


più  gettaronsi  alla  fuga  e si  dispet^ro.  Presi  con  molta 

fiicilltà  gli  alloggiamenti,  concedette  a’ suoi  che  vi  s’im- 

padronissero di  robe  e persone,  salvo  quanto  era  dei 

Tuscolani.  Non  istette  quivi  gran  tenapo  , e menò  1’  ar- 

mata'su  la  città  degli  Eccctrani,  riguardevolissima  allora 

tra  quelle  de’  Volaci,  e fondata  in  fortissimo  luogo.  Te- 

nutovisi  più  giorni  da  presso  coll’  esercito  su  la  Speranza 

che  quei  d’  entro  uscissero  per  combattere  , nè  uscen- 

done ; diedesi  a devastare  la  loro  campagna  piena  di 

bestiami  e di  uomini;  non  avendone  gii  assediati  ritirato 

prima  ciò  che  v’  era  pel  troppo  repentino  giungere  dèi 

nemici.  Fabio  'lasciò  che  i soldati  facessero  anche  qui 

le  prede  per  loro , e consumati  più  giorni  nel  farle  ; 

alfine  con  essi  ripatriò.  Cornelio  T altro  console  mossosi 

contro  i Romani  di  Anzio,  e li  Volsci  sen’ imbattè  col- 

r esercito  loro  che  l’aspettava  a’ confini.  Fattovisi  alle 

mani  , uccisine  molti , e fugatine  gli  altri , s’ avanzò  col 

campo  fin  presso  fe  mura:  ma  non  osandovisi  più  uscirne 

a combattere  ; prima  desolò  la  lor  terra , e poi  ne  rin- 

chiuse la  città  con  fossi  e steccati.  Vinti  allora  dalla 

necessità  , ne  uscirono  novamente  con  tutte  le  forze  , 

che  erano  molte  si , ma  disordinate.  Paragonatisi  in  bat- 

taglia , sostenutala  , ancor  peggio , e fuggitine  scoraggiti 

e svergognati , si  rinserrarono  un’  altra  volta  tra  le  mura. 

Il  console  non  dando  ad  essi  tempo  di  riaversi , portò 

le  scale  alle  mura,,  e ne  abbattè  con  gli  arieti  le  porte: 

e cenciossiachè  da  entro  vi  resistevano  affaticati  e lan- 

guidi; ve  li  espugnò  senza  molto  travaglio.  Quanto  eravi 

monetato  , quanto  di  oro , di  attuto , di  rame,  fe’  por- 

tarlo neU'erario  : gli  schiavi , e le  altre  prede  le  fe’  rac- 





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2 54  DELLE  Antichità’  romane 


cogliere  e venderle  da’  questori  ; lasciando  a’  soldati , 

quanto  ve  n era  , alimenti , vesti , e cose  • altretuli  di 

lor  giovamento.  Poi  scelti  tra  i coloni  e t^a  gli  Anziaii 

nativi  i capi,  clie  eran, molti,  più  cospicui  della  rivolta, 

e battutili  lungamente  e decapitatili  inSne , si  ravviò 

coir  esercito  alla  patria.  Il  Senato  usci  all*  incontro  dei 

consoli  che  tornavano  , decretando  che  ambedue  trion» 

lasserò:  si  concordò,  per  finire  la  guerra,  cogli  Equi, 

che  aveano  perciò  spediti  oratori , e nei  patti  fu , che 

ritenessero  le  cittò , e eie  terre  che  *aveauo  nel  tempo 

che  si  conehindeva  la  pace , ma  ubbidissero  ai  Romani; 

non  pagassero  tributi,  ma  somministrassero  ideile  guerre, 

come  gli  altri  alleati  , truppe  ausiliarie.  secondo  >1  biso- 

gno : e con  ciò  l’ anno  spirò. 


XXII.  L’anno  appresso  (i)  fatti  consoli  Cajo  Nauzio 

per  la  seconda  volta,  e Lucio  Minu^io  ebbero  per  qual- 

che tempo  guerra  domestica  su’  diritti  civili  con  Vergi- 

nio  e li  compagni  di  lui , tribuni  già  da  quattro  anni. 

Ma  poi  venendo  alla  città  guerra  da-’ popoli*  iotorno , e 

paura  che  le  tógliessero  il  régno  ; presero  con  trasporto 

l’ evento  come  dalla  fortuna  : e fatti  i cataloghi  militari , 

divise  in  tre  parti  le  milizie  interne  e confederate,  e 

bsciatane  una  in  città  sotto' gK  ordini  di  Fabio  Vibo- 

lano  ; essi  alia  testa  delle  ^ altre  uscirono  immantinente  , 

Nauzio  contro  de’  Sabini , e Minucio  contro  degli  Equi. 

Iniperoccbé  questi  due  popoli  s’ erano  di  que’  giorni  ri- 

bellati a’  Romani  : li  Sabini  manifestamente  tanto,  che  si 

erano  avanzati  sino  a Fideue,  città  dominati  da  Roma, 


(i)  Anno  di  Roma  396  secouòo  Catone,  398  secondo  Varrouc  , e 

456  av.  Cristo. 




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- UBRo  X.  a55 


che  ne  era  distante  quaranta  stadj  ; laddove  gli  Equi 

ferbavano  colle  parole  i ^diritti  dell’  ultima  pace  ; facen- 

dola nelle  opere  da  nemici,  con  movere  guerra  ai  La- 

tini , confederati  di  Roma , quasi  i^el  trattato  di  pace 

non  «ressero  mcbiuSo  ancor  essi.  Comandava  l’armata  loro 

Gracco  delio  ^ uomo  intraprendente  , che  avea  renduto 

quasi  regio  il  potere  arbitrario  di  cui  era  stato  adornato. 

Costui  ne  andò  fino  al  Tuscolo  , città  pigliata  e sac- 

cheggiata ancora  nell’  anno  antecedente  dagli  E^ui,  che 

poi  ne  furono  espulsi  dai  Romani , e rapi  dalle  campa- 

gne quanti  uq  sorprese‘ uomini  in  copia-  e bestiami , 

guastandovi  i fruiti  , buoni  già  da  ricoglierli.  E giunta 

un’  ambasceria,  dal  Senato  per  intendere  le  cause  per  le 

quali  guerreggiavano  contro  gli  alleati  de’Romani  quando 

erasi  di  fresco  giurata  pace^con  essi , nè  frattanto  era 

occorso  disturbo  alcuno  tra’due  popoli , e dovendo  que- 

sta ammonir  Clelio  a dimettere  i prigionieri  che  avea 

di  quelli , a ritirare  1’  armata  , e ‘ subire  il  giudizio  su 

le  ingiurie  o danni  fatti  a’ Tuscolani  ; colui  s’  indugiò 

lungamente  scuz’  abboccarsele come  impedito  dalle  oc- 

cupazioni. Alfine  quando  gli  parve  tempo  di  ammettere 

r ambasceria,  e quando  i.  membri  di  essa  ebbero  espresso 

gli  annunzi  del  Senato  $ egli  Soggiunse:  Mi  meraviglio, 

o Romani,  come  voi  per^dominare  e tiranneggiare., 

temale  per  Turnici  lutti  gli  uomini , anche  senza  es- 

serne  offesi.  Voi  non  permettete  che  gli  Equi  si  venr 

dichino  de'  Tuscolani,  contrarj  loro.,  senza  che  ciò  si 

concordasse  nella  pace,  firmala  con  voi.  Se  dite  che 

abbiamo  oltraggiato  e danneggialo  voi  ; vi  rinlegre- 

temo  a norma  de'  patti  : ma  se  venite  a chieder  conto 



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2 56  dell?:  Antichità.’  romane 


su  Tuscolani  ; nienle  vale , che  a me  parliató , o vai 

quanto  parliate  con  quella  pianta;  e frattanto  additò 

loro  un  &ggio  (i) , che  prossimo  frondeggiava. 


XXIIL  I Romani  cosi  vilipesi  da  colui  non  cavarono 

subito , abbandonandosi  all*  ira , gli  eserciti  : ma  repU- 

carono  un  altr  ambasceria , e mandarono  i Feriali  che 

chiamano  , uomini  sacrosanti , . per  attestare  i genj  ed  i 

numi , che  essi  porterebbero , necessitati , una  guerra 

legittima  , se  non  erano  soddisbuti  ; e dòpo  ciò  spedi- 

rono il  console  colle  milizie.  Gracco  all’,  intendere  che 

i Romani  venivano,  levò  l’esercito,  e lo  portò  più  ad* 

dietro,  seguendolo  pasto  passo  i nemici.  Egli  volea  ri- 

durli in  luoghi  da  vantaggiarsene  ^ come  addivenne. 

Imperocché  tenendo  in  mira  una  valle  cinta  da  monti, 

non  si  tostò  i Romani  vi  s’ internarono , egli  voltò  fac- 

cia , e si  accampò  su  la  strada  che  conduce  fuori  di 

quella.  Segui  da  questo  ,.che  i Romeni  misero  il  campo 

non  dove  il  volevano  , ma  dove  la  circostanza  lo  per- 

metteva. Ivi  nè  era  facile  il  pascolo  pe’  cavalli , per.  es- 

sere il  luogo  chiuso  da  monti  ripidissimi  e nudi  ; nè 

facile  I dopo  aver'  consumato  quelli  che  portavano  , pro- 

cacciare a sestessi  gli  idimenti  dalle  terre  nemiche  , o 

mutare  il  campo;  standogli  a fronte  i nemici,  e, proi- 

bendone r uscita.  Risolverono  dunque  usar  la  violenza , 

e cacCiaronsi  avanti  per  la  battaglia  : ma  respinti  e feri- 

tivi largamente  si  richiusero  fra  le  loro  trincee,  delio 

inanimato  dal  buon  succedo  li  circondò  con  fosse  e 

steccali  , su  la  fiducia  che  premuti  dalla  fame  gli  si 


« 


(>)  Lìtio  chiama  quèrcia  quella  che  i delta  fiisgìo  da  Dioiùgi. 



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LIBRO  X.  2,5'J 


reoJerpbbero.  Giupta*  in  i\oma  la  ao|i»a  di  ciò.  Quinto 

FabÌ9  lasciatovi  comandaute,  scelse  il  fiore  ed  il  nerbo 

suoi  militari, , e li  spedi  per  soccortere  il  console  , 

sotto  gli  ordini-  di -Tito  Quinzio  uome  cousoUre  , e 

questore.  Mapdò , oopomeno  letiére  a rCsuaio  ra  , e le  .altre  insegne  ornamento  un 

tempo  de\.  re.  Saputo^  che  Roma  .oIeggeval(>  diltàtore  , 

non  solo  non ' si  rallegrò  di  up  4anio  onore,  ina  conr 

tuebandoseoe  disse , adiaufue  per  io  mio  occupdzioni 

perud',pw  e il  fi  allo  di  ifUest'  unno  e noi.tidti  rje 

avremo  grande  il', disàgio  ! Dopò  ciò  recatosi  a Ro- 

ma ( 1^,  confortò  su  le  prime  i cittadini  con  discorso  al 


(•y'-Amio  «li  Roma  agS  secu'mla  Caloof  , ajS  fecondo  Vsernas, 

t 4^  sv.  Lfista.  • . 


ZJYw.v/(;/ . /tZf  ' 



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258  DELLE  Antichità’  romane 

popolò'  dà'enapierlo  di  beile  speranze!  Poi'^coavocAti 

mai  i giovani  dalia  Oittà'  e dalia  campagnì , soncenlrate 

le  truppe  ausiliarie , e nominalo  maestret  de’  cavalieri 

.Lucio  ' Tarquinio  , 'ignobile  per  la  povertà  ma  nobilis- 

simo in  arme,  Usci  coll’esercito  riuaiio  e gianto  >af 

questore  Tito  Quinzio  c6e  io  aspettava , prese  ' pur  le 

sue  schiere  , e né  andò'  sul  nemico.  Appe'Oi#  ebbe  con- 

siderata la  natura  de' luoghi  ov’ erano  gli  accampamenti 

cOilooò  parte  dell'armatA  ntdie  aliuiié  onde  precladerc 

agli  ^quà  i sussidi  ed  i meri,  e' riieneodo 'seco  le  - ah  re 

naHizie  lé  avanzò  cOn  -ordiqe  de  'battaglia,  ■ GleliO  phnto 

tion  si  sbietti , perocché  nè  la  sua  gente  era  poca , 'Oè 

poco  il  cor  suo  nella  guerra,  e lo  seooti^  nel  sUo^  gia- 

gnerè , e ne  sorse  ■una  pugna  ostinata;  Era  decorso 

buon  tempo,  e li  Romani  oom'e  cresciuti ’fi'à'''  le  arme 

rinovavansi  Ognora  al  travaglio,  *e  la  cévallérià  soccorrea 

|yron;a  ove  erano  ì iaHti'*iti  pericolo.  Criccò  dunque 

Eopra0altone  , si  ritirò  nel  suo  cantpo.  Quinzio  ' éllora 


10  cifis^e  con  aho  steccato  e torri  frequenti ,-  e'  quando 

seppe  a!6nc  che  penuriava' de’ vivevi,  lo  investi  con  as- 

salii contigui  nel  stio  oéntfpo,' ordinando  a hSinucfó  che 

uscisse  dall^altVà  parte.  Esausti  gli  Equi  di  viveri  , di*- 

speraii  di  un  soccorso  ,*  -e  streiii  per  ogn’  intorno  Hal- 

r assedm  , furouo  nécéssitéti  à prender  ibr&a  *dì  ' su[^ 

{tlichevbli , e spedire  a Qoìozìq  per  la  pace.  E-  colai 

replicò  che  la  daitebbe , 'e  lasccrebbe*  agli  Equi  iSalva  la 

persona  , se  deponessero  le  arme  , é-  passassero  ad'  uno 

ad  uno  sotto  giogo:  traliersbbe  però' qual  nemico  Gracco 


11  capo  tkUa  guerra,,  e gli  altri  consiglieri  delia  rivolu. 

£ qui  comandò  che  gli 'recassero  tali  '^ùoraiai  in  ferri. 



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turno  X.  a59 


[/milìaVaiui  gli  Equi' a lutto;  quando' egli  ordioó,  che 

giacobè  aveano  senza  "esserne  oilest  previamettie , sog- 

gettilo e derubato  il  Tuscolo  città  coufederau  di  Ruma, 

essi  consegnassero  a lui  ' CorbioBe -,  città  loro  perchè  ne 

lutasse  altrettanto.  Prese  tali  -rrsposta  partirono  gli  ora- 

tori , e dopo  non  molto  tornarono  traendo  .con  st 

Gracoo  è i Compagni  incatenali.  Essi  poi  cedute  le  arme, 

e lasciate 'le  trincee  t ne  andarono  ^so  t(o  ^iogo,  come 

era  il  volere  del  diltaiort  , . à traverso  .del.èaiupo  ro- 

mano. Consegnarono  tiorbione  , e ebn  restituire  ,i  pri- 

gionieri tuscolaai  ottennero  soUmeotè  che  ialiti  prima 

ne  uscissero  gli  uomini  iagfenai. 


XXV.  Quinrio  ricevuta  ht"  città,  comaodd  ■ che.  le 

prede  pià -wgqardevoU  sr  trasportassero  in  Roma  , .con- 

cedéndo  che  le  altre  si  dispensassero  tra’  soldati  venuti 

con  esso,  e tra- gir  altri  spediti  prima  con  Quinzio  il 

questore  ;,  e"  soggiungendo  , che  a^  soldati  rinchiusi  «mi 

console.  Miiiudo  avea  dato  ànjplissimó  «lono , quando  li 

rivenaiet-  dajla-  morte.  Ciò  'fano  , obbligando  Minucio.a 

dhnettérsi  djl  suo  grado,  si  ripiegò  verso  IVoma,  e'ne 

menò.  Uionfo  luminoio,  più.  che  tutti  .i  duci  meuato- Io 

avessero perche  in  sedici  giorni  de’ die  avea  preso  il 

còniaotfo , 'uvea  salvalo  l’  esercilò  anaico,  disfatto  i’ altro 

floridissilno  de’  nemici  ; saccheggiata  la  loto  città  , mes- 

savi guarnigione,  e comku» va • séco  In  catene  il  capo, 

e.  gli  altri  primarj  di’qneUa  gueira.  . FaoeVa  soprattutto 

ùieravigliu  die  avtmdo  ricevuto  quel  magistrato  per  sci 

mési  non  sei  tenne  quuito  eonòedeva  la'>  legge  : • ma  coni 

vocata  la  plebe  , e ragipjiatuJe  delie  cos«r  operate  ; lo 

depose.  E pregandolo  il  Schato  che  prendesse  quanto 



260  DELLE  ANTÌCUITA’  ROMANE 

vote»  delle- terre , degli  schiavi delle  prede  conquistate 

colle  armi , e pressandolo  che  vivificasse  la  tenaiti  sua 

con  ricchexaa  ginata,  ché  egli  possederebbe  'glónosrsaitna, 

come 'tratta  colle  proprie  iàticbe  dal  nemico',  ed=o(fe« 

rendo'gli'  amici-  e pai'enli amplissimi  doni , e pregiando 

più  che  tutto'  adagiare  un  tal  uomo  , egli  ' lodatane  la 

cortesia,  non  prese  nulla,  ma  si  ricondusse  nel  piodolo 

suo  campicello  „ ' ed  antepose  ad  nna  splendida  vita  la 

vita 'tua  travagliósa,-  nobiliubdosi  per  la  ^povertà,  più 

che  altri  .non.  sogliaho  per  l’ opulenta.  Dopo  non  molto 

Nanzio  f altro  console  vinse  in  battaglia  i 

vamente  le  armi  contro  de’ Romani,  e scorKro- «accheg- 

jgiando  assdi  della  lòr  terra  tanto  che  quei  che'  veai« 

vano  int.copia  fuggendo  dalle  campagne,  dicevano  tatto 

in  poter  loro  , quanto  è tra  Fidene  e Cmstumera^  An- 

che gli  .Equi  sottomessi  ultimamente  sorsero^ im’ afira 

volta  alle  armi:  e recandosene  > tra  la  notte  i più  robusti 

a Corbìone , città  ceduta  da  essi  Panno  antecedente  ai 

Romani,  c sorpresavi, la  gnamigioDe  nel  sonno >;  ve  la 

uccisero,  salvo  podhi‘^  che"  per  .ventura  non  v’  erano.  Gli 

altri  marciarono  ju  gran  moltitudine  contro 'di  Ottona, 


(■)  Anno  di  Roma  397  'secondo  Catone,  399  seconda  Varronc,  a 

4S5  Cristo.  ■'  . 



olimpiàde  otlan» 

dr  Gitene  vinse 



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. LIBRO  X.'  . ^ • 261 


cìni  de*  Latini  , e -presala  a prim’ impeto,  fecero  per  la 

rabbia  su  gli  alleati  de’ -domani , docebè  non  potevano 

su’  Romani  medesimi  ' uccisero  tutti  > puberi , eccetto 

quelli -ette  efan  fuggiti  udì’ invadersi  della' cillà-r  rende-, 

rono  prigionieri,  donne,  fanciulli,  vecchj,,  e raccoltovi 

in  fretta  quanto  poteano  trasportar  di  pregevole ,' ripar* 

tirono  prima'' che  v’accorressero  tutti.!  Latini. ,11  Senato 

saputo  ciò  da’  Latini , e da’  militari  salvatisi  della  guarr. 

nigione , decretò  di 'iàr  uscir  le  milqsie  y e con  ùse  i 

due  consoli.  Ma  Verginio  e i colieghi , tribuni  già  da 

cinque  anni  davano  a ciò  ritardo  , opponendosi  come 

negli  -anni  antecedenti  alla  scelta  militare  , , che  faceasi 

pe’coqsojij.u  reclamando  che.  si  Sdisse  prima  la  guerra 

domestica,  -con  rimettere  al  popolo  l’esame  della. legge, 

che  davano  sò  la  eguagliauaa  .dei  diritti  : e la  plebe 

ooadjuvava  t ttibaui  che  asiaf  malignavano  , contro,  del 

Senato.  Imapto  temporeggiandosi , nè  comportando  i 

consoli,’ che  si  facesse  in  Senato  il  previo  decreto  su  la 

legge  e si  proponesse  al  - popolo  né  volendo  i tribuni 

concedere  la  leva  e la  marcia  delle,  milizie,  an^i  facen- 

dosi accuse  inutili  e dice^e  vicendevoli  belle  concioni  e 

nella  curia,,  alSne  fu  ideato  da’ tribuni -uu  altro  disegno^ 

che  sorprese  l padri  e chetò >U  sedizione  attuale,^~ma 

fu* causa  di  molto  ingrandimento  per  il  popolo:  ed  io 

sporrò  .come  il  popolo  se  lo  ebbe  questo  incremento. 


' XXVII.  Essendo  manomesso  e predato  il . territorio 

de’  Romani  e de’  cOufederati , e spaziandovisi  i nemici 

come  per  una  solitudine  su  la  speranza  che  nou 'Usci- 

rebbe oontr’  essi  esercito. alcuno  a causa  dcHe  sedizioni 

di  Róma,  i consoli  -adunarono-  il  Senato  per  consultare 



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3 DET.L5  ANTICHITÀ:’  BOMANE 


come  sy  pericolo  estcetno.  Tenutisi  raoUi  discórsi , li- 

ichestò  il  primo  dei*  parer  suo  Lucio- (^uiozio , il>  dit* 

latore  dellVarìBO,  aotecedents  , >ttomq  ,noo/^solo  -il  più 

grande  allora  fra  le  armi',*; ina  creduto  ancora-  savissimo 

nel  govefoo',  propose  il  coniglio  d ^ale  poi  persuase 

più  che  tnttq'i  tribuni  e gli  altri,  che  si  dij^erine  in 

tempo  più  accóncio  t esame  allora  ‘non  riecessario 

della  legge,  è si  /accise  con  tutta  prontezza  la  guerra 

alfutJe’,  scorsa  ornai  /no,  su  la  etllà  r nè  si  perdesse 

imbeflemente  e Mtuperosasnente  il  comando  con  tanti 

stenti  acqmstato.  H che  se  il  popolo  non  -ià-s'  tmi*- 

ceva;  si  armassero  patrizj  e clienti,  con- guanti  altri 

vòleano  far  causa  con  essi  in  qaeil  aringo  ‘nobilissimo 

della  patria,  e ne  andassero  ardenti  al  nemico,- pren^ 

dendo  per  duci  dell  andafpiento  i Numi 'protettori  di 

Roma.  Imperocché  ne  verrebbe  lune  'o  laUi^  buono 

e bel  fratto^  vuoi  dire  ò che  riporferebbefo  ima  vit- 

toria la  più  gloriósa  fra  tutte  le  riportate  "dai  loro 

ptaggiori  , o che  magfianimi'  niorirebbero  pe'  beni  che 

sìeguòno  la  vittoria.  'Annnnzìaira  c4e>  egli  stesso  ^n 

si  ricuserebbe  a tanto  .esperimento , ma  presento  vi 

pugnerebbe'  qeaniq  i più  coraggiosi',  e ‘che  rpempieno 

manchérebbevi  alcuno  seniori  che  amasse-.la  libertà 

e li  buon  nome.  > > ^ 


XXVHL'-'Così  piacitito  a tutti , Senza  che  alouna  vi 

ù -óppon%sc  , i consoli  convocarduo  il  popolo.' Cbacorsi 

quanti  erano  in  Roma  come  per  ndieofa  di  nuov^  co* 

se,  fattosi  innanzi  Cajo  Orazio,  l’uno  de^ consoli,  tentò 

volgere  spontaneamente  i plebei  anche  alia  guerra  pre* 

sente.  Ma  perciocché  i tribuni  vi  'ripugnavano,  'ed  i 



LTUno  X.  , 263 


plebei  ,!a> senti v«n  coq  essi;  recatoseli  console  Un  altra 

volta  in  tneszo  disse-  : Beìia marlwigliasa  impr^a  ifi 

vero  é^la  vostra -o  f^ejrginìo  ck^.  abbiale  stacpatò  U 

popolo  dal  Senato  ! e cho.  dal^  canto  vostro  avesstmo 

già  perduto  quanto  abbiamo,  ereditato  dagli  .avi , e 

ffuanlo  .oUepiUo  co')Ttoftrì  sudori  Ma  noij  npn,  cede- 

remo noi  questo,  senza  lordarsi  nemmeno  di  polvere) 

ma  impugnando  le  orini  con  .quanti  vprrap  salva  la 

patria  ne  andremo  al  cimento,  i^erantiti  su  la  bontà 

dell’impresa.  E se  àLui}' Dio  rimìui.  le  belle.,,  le' giu- 

stissime imprese')  se  la  sorte  che  da  tanto  ' tc/Apo  prò-  • 

spera  questa  cillà  -,  non  t ahbqndona  sqibnonte- 


reniò  il  nemico. , Ma  se  alcun,  Dio  me  gravita . sopra  4 

c’  ci  si  oppope  per , bt  salvezza  . di  -Jiqma  ) certo  JC 

voler  nostro  x di  nostra  propensione  non  perirà-;  che 

Jortissimamente  per  la  pat/ia  moriremo.  'E  voi  li  belli, 


U generosi  capi  che  siete  di  ' Roma  , guardata  pure 

colle  vostre  mogli  le  case,  abbandonando  e tradendo 

noi:,,  ma  nà  te  noi  vinciamo  onoràta-  sarà  la  vostra 

vita,  nè  sicura  se  perderemo.  Se  pur  non  siete  ■‘ani- 

mali (lidia  misera  speranza  che  inémici  dàpo.' rovinati 

i patrizj , preserveranno  voi  per  gratitudine  , a cori- 

cederànuo  che  godiate  la  vostrd  patria,  la  libèrtà,  il 

comando  , e tuUi  t befù  -^/ie  ora  v’  avete.  Sb,  questo 

appunto  a voi  copeederanao  cfue’ nemici  a'  quali  men-  / 

tre  vói  pensavate  pìà  'saviamehte  avete  levato  tardo 

iersìtorio,  distratte  ttgtle  c'ktà,  JaUine' schià^i  i >popoli, 

ed  irudzati  toni i- trofei,  tanti  manUmérUi  di  nemicizfa, 

e sì  luminosi,  che  mai^per  età  non  perirahpo.  Ma 

perchè  io  mi  addoloro  còl  popolo  il  qtude  non  fu  mqi 



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2^4  TfJULLE  Antichità'  romane 

taUù’o  ài  voter  non  piit  tosto  o Vt^fginìo  con 


Voi  che  per  si  bella-  maniero,  io  dirigete  ? Noi'  certo 

necessitali  b.  non -pensar  bassamente  noi  deliberata 

abbiamo , e ninno  cel  vielirà  , 'di- farci  a combattere 

per  la  patria:  jna  voi  che  abbandonate,  voi  che ^ tra- 

dite il  comune,  voi  ne- avrete  condegna,  irreprensibil 

vendetta  dal  cielo:  nè' fuggirete ‘già  questa,  se  quella 

fuggite  degli  uomini.  Nè  crediate  già  che  io  ciò  dica 

pertatterrirvi  : 'ma  sappiate  che  quanti  siano  qui  la- 

sciati per  guardia  dèlia  città,  se  mai  gf  inimici  pre- 

valilo Ho  ^ ne  destineremo  come  a noi  si  conviene.'  Se 

od  alcuni^  ìfarbatì  , ornai  tra  le  unghie  de'  nomici  , 

venne  in  cuore  di  non  lasciare  ad  essi'  non  le  mogli, 

~hon  i figli  , non  le  cùlà,  ma  di  ardere  .gueste  , e di 

uccidere 'quelli;  non  farànno  altrettanto  sé"  li  Èo- 

mani  de' quali  è proprio  il  dominare.?  ' Certo' degeneri 

non  saratmo  : ma  còmi  notando  da  vqi  > che'  nemicis- 

simi Stata  ,s.  ogrii  amica\lor  cosa  distruggeranno.-  ^on- 

sidarMe  ora  up'i  questo  , ié>  considerandolo  ; fatevi -le 

adunatvte  e-  le  leggi.  - ' ~ • 


XXIX'.  Detto  tali  ^ose  e ‘molte  consimili,  presentò  li 

più  provetii  de  patrie]  che  piangevano.  A tale''s[>euaoolo 

molti  del  popolo  boa  contennero  nemmeno  essi  le  la» 

gtime:  t destatasi  grande  commoxlone  per  gli  acmi  e per 

la  maestà  di  tali  uomini,  il  console  sopraÀandò  alquanto 

disse  : 'Impugneranno  questi  seniori  le  'armi  per  voi 

giovani nè' voi  ve  nè'  vèrgognelete , occultandovi' fin 

.sollotarm  é"  vi  terrete  lontani  da  questi  duci,  che 

padri  sempre  , avete  nominati  ? 'Sciaguo^i  voi  ! nè 

degni  pure  di  èsser  detti-  cittadini  -di  questa  èittà  fon- 



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' : LiBiio  • 265 


Sala  "da  c'olbro  che  àveano  por  iole  fpaile  il  pa- 


dre, aperto  loro  dà  numi  lo  teatnpo  ^ra  le  armi  e le 

fiàmmè-  Catm  Yergioìo  temè  ciré  il  pòpolo  fosse  com- 

mosso dà)  quel  discorso  per  non  SDfhii{V  'dl  dover  met- 

tersi « quella  guerra  coOlro  il  sub  dire,  fecési  avanti'  e 

soggiunse;-  Noi  non  vi  abbandoniamo'- né.  Vt'  6-adiamo, 

Hè  mai  vi  .abbandoneremo  o padrii  come  per  addietro 

mai'^ foste  da  noi  derelitti  su,  et  impresa  niurtae  di  met- 

tere custodi'  delia  libertà  te  leggi  a cui  tutti  ubbidi- 

scano^ Che  se  ciò  vi  .sa  male  p,  Se  sdegriate-  concederle 

a' vostri  cittadini  questa  grazia,'  e'^  riputate  com’  essere 

la  mocte.  vostra  ammetlére-  il  popolo  nelC eguaglianzd; 

non'  pià  vi  darem  briga  su  dà  ,■  ma  vi  chiederemo  ' 

altro'  dono  , avuto  il  quale  farse  noh  avrem  pià  bi- 

sognò di  nuova  legislazione:  se  nonché  ci  vien  paura 

che  non  ottérremo  nemttten  questo  , sebbene  non  sia 

ponto  lesivo  dei  Senato,-  e sia  ^uUo*  bmief  ce- ed- ono- 

revole al  popolo.  s '' 


«‘  XXX.  E replicando  il 'console- che  se  rimetteanb  la 

istanza  vai  Senato , non  sarebbe  oegata  loro  cosa,  che 

discrcia  fosse-;  ed  invitandoio  a dire  ciocché  dimanda*- 

sero , ' Verginio  abboccatosene  alquanto  ^co’-suoi  colleght 

rispose , che  lo  dirèbbe  - al  Senato,  'fiopo  ciò  Ji  consoli 

adnnarooo  il  Senato  , ed  egli  - venutovi  ^ e divisatovi 

quanto  edmpetevasi  al  po>pólo,  chiede  che  si  duplicassero 

i magistrati  del  pòpolo,  ed  .ogni  anno  in  luogo  ;d>  ciò* 



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aGfì  DETXE.ANtlCHITA’  ROMANE 


que  ài  nonaipaiserD  dieci',  tiibuni.  Alcuoi,  ca{>0  de’qaaii 

era  Laoio  QuipzioV  àatorevolissinto  Pilota  , in  v Senato  , 

pensavano  clie.ciò  pon.  offenderebbe*  Ja  repubblica e 

ooDsigll 

nico  vi  si'dppose  Cajo  Claadio  , figlio  di  Appio /dau* 

dio , deir  avvertano  'perpetuo  a voleri  del  popolo  , se 

non  erano  ^a  nórma  'delle,  leggi.  Egli  ereditati  i ' senti- 

menti del  padre,  impedì  quando. fu  console  che  si  con- 

cedesse ai'  tribpni  d.*  inquisire  contro  de’  cavalieri,  calun- 

niati di  congiure,  ed  ora  con  iuiligo  ragionamento  di^ 

mostrava  , che  il  popolo  non  diverrebbe  più  moderato 

e più  docile  y ma  più  incansiderato  e più  grave.  lùipe- 

rocchù  appelli  che  sarebbero  ' dt  poi  giunti  'al  iribonaio 

noi  prenderebbero  gii'  per*  questo*  eoa.-  legame'*  .che  li 

tenesse  ai  patti,  ma  beP. presto  tratter^bero  di  divìsioue 

di 'terre  4^  « dl,e^[}ia|ità  dì  drritir',,e  certdtei;ebbera  par- 

lando e ..brigando  de  cqiUe  cose  , estensive  'delia  potenta 

del  popolo,  eotne  dmpaqenti  1*  onor  del  .Seoato^.-ìlfosse 

ntolti*  tH^  tal  dire  graodemeote  i.  ma  Quinzio  a ri- 


trasse ammaestrandoli voler  1’  otite  del  Sedato  che  i 

tribooS  si  moltipKcttseil» , giacché  i molti  men  *8’ at^r- 

dan  dei  poclii  t esser  rocspediziooe>^  Toccò  a 

MìducÌo  Ja  gaem  co’  Sabfm  ad*  Orazio  1*  altra'  eoo  gli 

Eqaiy- e ben  lostb  marciarono ‘atubedi^e.  L Sabini  gtuuy* 

dando  le  Idko  città.;  non  curarono  .'che' ì Romani  si 

menassero  >6  portasae.ro  quanto  .r’ era  pez  le  campagne. 

Gii  Equi  a|ledirono  'Ito’ armala' per  coalrxitarli;  ma -tutto 

ebe  pugnassero  nobilissimamente  / non  poterono  supe- 

rarli, e si  - ritirarono  ne^sitatt  oeile  loro^  città,*  perduto 

il  castello  pel  quale  avaano  co/nbattùlo'.  Orazio  respinti 

i nemici  , -iPatto  assai  danno  alle,  lor  itette.^  abbattè  le 

mura  di  Corbinne  r ne  rovesciò  da’  fondamenti'  le  mse  , 

e -ricondusse  in  Roma  l»  e(wreito.v  ’ ' ' ' ■*  ~ 


• XXXL  Sotto  Marco  Vaieriòy*  e Spurio  Verìpoio  con- 

soli delH  anno  segne'nte ,(i)  non  osci  dà’ confini  

nato,  e • convoràlv.  il  Senato.  E condosslachè  un  littóre, 

comandatone,  rispinse  T- araldo  ; icilio  e i suoi  coUeghi 

■degnatine  presero  e trassero 'il  littore  me  per  balzarlo 

^la  ‘ rupe  I consoli  tuttoché  sen  tenesseró  's[^giatls$inù 

non  poteano.fiir  violenza,  e redimere  quel  prigioniero: 

e''^i  volsero  ptf  ajuto  agli  altri' tribuni-: 'Perooché  niuu 

pifò  sospendere  p proibire  gli  atti  di-  alcun  tribuno,  se 

non  quegli  che  tribuno,  sia  parimente  giaqchéji  tribuni 

s’ erano   LIBRO  X.  • >  preoccupati 

già, da  molti  e potenti.  Unico  -contraddisse  .a.tal  dire 

Caju  Claudio  , comprovandolo  molti  ; ma  -si  decretò  che 

il  silo  al -popolo  sì  concedesse.  Dopo  ciò.  presenti  i pon- 

tefici,‘ gli  auguri,  e due  sagrificatori  , fatti  secondo  il 

rito.sà^ifizj  e preghiere  , e convocati  da’  consoli  i 00- 

niizj  centurìati  si  'confermò  la  leg^e  , e descritla  sQ  co- 

lonna^ metallica  , e portata  ne|l’  Avventiòq  ' fu  collocata 

nel  tempio  di  Diana.  Poscia-  coqgregatisi  J plebei  tira- 

rono a sorte  il  suolo  dove  fabbricare  e fabbricarono  , 

occupando  ciascuno , lo  spa^o  che  poteva.  Unironsi  al-r 



. • i 



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27 Ò DELIE  ANTICBITà’.  ROIBANB 

r edifiso  dì  qò^lcke  cak  due  o M'  pèrsone , e talvoiu 

più- ancora,  prendendosi  uno  i pianterreni  ».  e gl!  ahri 

i piani  ,'àupdnori.  E 'cosi  tl’.  armo  si  consumò  eoj^i^b- 

bricare.  • ' • ' ' > • 


' XXXIII.  Riusoi  pesò  complicatò  e varìo e pie*o  di 

grandi  avVenluee  l’  anno  seguente  (j)’,  nel  optale  eletti 

consoli  .T'ito' Ro™iliO  e Cafo  Veturio,  furono  riassunti 

al  Hribanale ‘Icilio  e i coUegbi.  {mperoccfaè  fu  di  nuoro 

suscitata  da’ tribuni  la  d*ril  sedizione  ebe  parea  venuta 

ihene;  e sorsero  guerre  dagli' esteri  : ma  queste  non 

4^e  danneggiarla  , ' giovaróno  non  poco  la  repubblica  , 

non  toglierne  gl’  in^rlH  diSsidj  ; essendole’  consueto  e 

viceodevole  di  ' esaére  ’anaoime  tra  le  guerie,  * ma  discor> 

diosa'  nella  pace,  distraiti  - di  ciò  quanti  salirano  al  con- 

solato» prendevano  eoo  trat^rtOi  se  nascevaoo,Te  guerre 

cogli  esteri.  E ce  i ^oemìd  erim'  'cheti  ; essi  stèssi  finge- 

vano’ manoanze  pretesti   0' debi- 

^litavasi  tra  lo  sedizioni.'  Animati  nel  modo  'stesso  i-'oOn* 

soli 'di  quest’'am^,  deliberarono  cavar  1' esercito'  contro 

L taemìci spi  timore  che  i'  poveri  e gli  oziosi . qoaiìn- 

ctassero  a perturbare  - la  pacel  Or  essi-  ben  la  rutebde* 

vano  ,'cbe  'vuoisi-  distrarre  la  mollitudioe  ndle  gtiè'rre 

cogli  esteri  i’hia  non  beò  intendevano  com’ eseguiscasi.' 


' Quando  avrebbero  dovuto  flir  leve  moderate  ì Qotìae  ilo 

città  mal  affetta  ; si  diedero  a 'castigarvi  colla  forzà  tùtii 

i ’ranitenti  i senza  Cfonsazione  o dispensa,  iriando  ine- 

sorabili ^il  rigor  4elie.  leggi  sù  gli  àVen>  e su  le  persone. 


'ny  Anqo  di' Roma  agg  secoodo  Calooc , joi  seoondo  Varroue,  a 

453  av.  Critto..  ■ 



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LIBRO  X.  - ) 37 1 


Presero  da  tal  proceder^  ■ occasioae  di  bel  onovo  i tri* 

buoi  di  concitare  la  plebe  ; e radonatala  , vi  strepitarono 

per  più  cause,  come  ancora, perchè  aveano. .fatto  portar 

nella  carcere  molti  che  reclamavano  1’  ajuto  de’  iriboni: 

e dissero  che'  essi  che  soli  he  aveano  l’ autorità  dalle 

leggi , gli  assolveano  da  quel  rechi  [amento. ' Vedendo 

però  che  niente  ne  profittavano , anzi  ' che  laccasi  la 

coscrizione  piti  severamente  , incominciarono* ad  oppor» 

visi  co’  fatti.  E resistendo  I conscM  .colla  forza  del  grado 

loro  ; sen  fecero  altercazioni  e scaramnCce.  La  tenea  pei 

consoli  la  . gioventù  patrizia  , ma  teneala  • pe’  tribuni  la 

turba  oziosa  e povera  : e quel  giorno  assai-  prevalsero  i 

LODSolif  su'  tribuni.  Ne'  giorni  appresso  - versandosi  in>  città 

più  turba. dalle  campagne  , i tribuni , vedutisi  òmai  con 

forze'  da  contrapporsi , convocarono  assai  spesso  il  po- 

polò-, ^e  mostratigli'! ‘minbui  loro  malconèr  ' dalle  pia- 

ghe , prolestaropo  che  deporrebbero  il  magistrato  se 

non  erano  da  esso  gàraoliti.  - '• 


XXXiVv  Irritatasene  la  nioltitudiée  ; dt^'no  i coiv* 

soli  a ' dar  conto  al  popolo  del  procedete'  loro.  Nóp  gli 

attesero  questi;  ed  andatine  i 'iribòni  alia  curia* ove  il 

Senato  ^a^e va 'già  consultandoqe  lo.aupplicaroooi  a non 

trascurare  essi  tribuni,  offesi  -bruttisiihiàmrate , uè  il 

spopolo,  che  era  dell’  aita  loro  privato. -^E  qui ùàrracono 

quante  ne  aveano  sopportate  da’  consoli , e le  mapohi- 

nazioni  di  quesb  contr*  essi  ond’  erano  svergognati'  non 

pure  flel  grado ) ma'-  nelle  penonc.  Laonde  chiedeaao 

che  ^.consoli  facessero  l*  Una  delle  due  , vuol-  dire  , se 

negavano  di  aver  fatto  . cesa  vietata  datie  leggi  contro 

de’  tribuni  « vemsserò  e giurando*  Ift  negassero  all’ ado- 



2’J2  DELLE  AT^riCUlTH’  ROMANE 


aaaza  ; se  di  giurare  non  sostenevano , venissero , c 

vi  rendessero,  conto  ; e le  tribù  «entenziereLbero  su  loro. 

Si  difesero  i cousoli , . dando  a vedere  ebe  i tribuni 

erano  la  origine  de’, mali,  per  la  caparbieti  , per  l’auda- 

cia di  profanare  Je  persone  de’ consoli,  prima  con  avere 

imposto  ai- satelliti  jorp 'e  agli  edili  di  portare  in  carcere 

uonjini  rivesliti  di  ogni  potere,  e poi  con  tentar  di  as- 

salirli col  raeazo  de'  plebei  più  temerarj  ; e qui  sponeano 

quanto  fosse  il^  divari  a dalla  tribunizia  alla, consolar  di- 

gnità, piena 'questa  di  regio  potere,  e nata  l’altra  solo 

per  protegger'  gli  ttppressi.  Tanto  esser  lungi  che  po- 

tes^ro  far  votare  la  moltitudine  contro  de' consoli,  che 

noi  póteauo  nemmeno  contro  il  minimo  de’  patriz|  senza 

un  decreto  espresso  del  Senato.  Pertanto  'minacciavano, 

se  i,  tribuni  faceano' votar  la  moltitudine  di  dàr.  rju’me 

a*  patria).  Continuandosi  ‘ppr  tutto.il  giorno  i  pochi  contro  de) 


' r • ■ . 


(0  Vedi  Ii  che  si  ripiegasse 

lo  sdegno  su’  lor  fautori , castigandoli  a norma  delle 

leggi.  Se  quel  giorno  i tribuni  trasportati  dall’ira  lan- 

ciavansi  a far  cosa  alcuda  contro  del  Senato,  p de* con- 

soli , niente  avrebbe  impedito  che  la  città  di  per  sé  ro- 

vinasse. Tanto  eran  tutti  pronti  per  armarsi  e .combat* 

Uni  t Ma  perché  sospeser  1’  afiàre , dando  ' a sé  tempo 

per  meglio  consigliartene;  serbarono  essi ' moderazione  , 

e r fra  del  popolo  n'n  fu  mitigÀa.  Intimarono  pel  tc^'zo 

mercato  dopo  quel  giorno  una  assemblea  popolare- ove 

condannire;  i consoli  ad  una  emenda  in  mgeoto,  e sciol- 

sero 1’  adunanza.  Approssimandoti  pe^ò  quel  -giórno  de- 

sisterono anche  da  lah*  intrapreta  dicendo,  di  coneedecp 

ciò  alle-  istanze  di  uomini  i più  'venerandi  per  anni  e • 

per  grado.  Poi  congreg-indo  il  popolo;  dichiararono  die 

essi  rimettevano  le  offese  proprie , sul  desiderio  di  motti 

buoni,  a’ quali  nop  era  lecito  contraddire  : ma  che  le 

ingiuri^  fette  al  popolo  e punirebbero  queste  , anzi  le 

toglierebbero.  Imperocché  diretumente  (i)  aggiùngereb- 

bero tra  le  leggi  pnr  quella  su  la  divisiori  delle  terre 

differìlit  ornai  da  treni’  anni , e quella  su’  diritti  eguali 


r • N.  ’ 


(i)  Kel  lesto  »v^it  nuot’aiiante , forse  ot  nè  per  dono  ,> 

nè  per  compera  , nè  per  altro  legittimo  mezzo  che^ 

possa  dimòstrarvisi.  Se  ne  avessero  questi  dimandata 

parte  pià  grande , che  noi  dopo  • avere  come  noi  tra~ 

vagliato  neW  acquistarle  ; certo  non  sarebbe  stato  de» 

gno  di  uomini  , degno  di  cittadini  che  pochi  si  ap» 

propiassero"  ciocché  era  di  tutti;  ma  pur  stata  una 

causa  vi  sarebbe  a tanta  ingordigia^  Ma  quando  non 

potendo  dimostrare  alcuna  opera  grande  e magnanima 

per  la  quale  si  tengono  ciocché  è nostro , non  sen 

vergognano  ^ 'né  lo  rilasjdano  y nemmeno  convintine  ; 

chi  potrà  comportarli?  _ 1* 


XXXVIII.  Or  su,  per  Dio,  se  io  nfetilo  in  ciò  , 

venga  chiunque  di  questi  onorandissimi , venga , e 

dimostri  per  quali  splendide-  e belle  gesta  presuma 

pià  parte  di  me.  Forse  ha  guerreggiato  pià  anni,  in 

pià  battaglie  , con  pià  ferite  , con  pià  onore  di  po« 

rotte  di  spoglie , di  prede  , o di  cUtre  marcfm  da 

vincitore , per  le  quali  /’  inimico  se  ne  umilia , e la  , 

patria  > magnificata  ne  sfol^ra  ? Dimostri  il  decima 

almeno  di  quanto  io  v ho  dimostrato.  Per, certo  i pià 

d’  essi  non  potrebbero  allegare  nemmen.  la  minima 

parte  delle  mie  gesta  : anzi  alcuni  di  loro  non  par.^ 

rebbero  di' avere  sofferto  nemmen  quanto  il  popoletlo 

pià  basso.  Grandi  essi  ne  detti  , noi  sono  certo  nelle 

armi, pià  vagliano  contro  l' amico  , che  a fronte 

dell'  inimico  : non  pensano  essi  di  avere  una  patria 

a tutti  comune , ma  propria  di  loro , quasi  non  siano 

stati  per  noi  liberati  da’  tiranni , ma  dà  tiranni  ab-^ 

biano  noi  preso  come  un  lòt  bene.  Questi  (perocché 



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un 8 HELLE  Antichità’  romane 

bacaselo  /e  ingiuriò  continue  pià  o men  ^andi  j eh» 

tutti  sapete  ) sono  giunti  a tanta  in  scienza  ^ efu^.non 

soffrono  che  alcuno  di  noi  dica  libere  yoci,  o che 

solo  apra  la  bocca  su  la  patria.  E 'Sputió  Cassio  , 

quello  che  ptimó^  parlò  su  la  le^e  agraria-,  quello 

che  illuitre  per  tre  eonsólati,  e per,  due  trionfi  glo- 

riosi, e che  avea  dimostrato  tanta  solerzia  nel  co- 

mando nplitare  e civile  , quanto  niun  altro  in  quei 

tempii  qùeH'  uomo  si  grande  lo  accusarono  i con- 

•soU’j  come  intento  alla  tirannide,  lo  sopraffecero  con 

falsi  teslìmonj , e,  Jìnalniente^  precipitandolo  dalla 

rupe ,, Io  uccisero',  nè  per  altra  cagione  se  iwn  per- 

ché era  V amico  della  patria  e del  popolo.' E Cajo 

Genuzh)  tribuno'  vòstro- che  riproduceva  - dopo  undici 

anni  la  stessa  legge , e citM>a-  in  giudizio  i consoli 

deir  anno  antecedente  come  trascurati  'a  compiere  i v 

decreti  del  Senato  tu  la  partition  delle  terre  , lo  lè- 

varon  di  mezzo  appunta  il  giorno  avanti,  il  giudizio 

con  occulte  maniere  i non  potendolo  colle  manifeste. 

Donde  tte  venne  .a*  successori  grave  timore,  e niun 

più  st  mise  a quel  rischio  : e già  sono  trend  anni 

che  sopportiamo , quasi  perduta  il  nostro  potere  nella 

tirannide. 


XXXIX.  Ma  lasciamo  il  resta.  I magistrati  vostri 

attuali , quelli  che  voi  avete  rendati  siseri  per  le^e 

ed  mvMabili , a quanti  mali  non  incorsero  per  vo- 

glia di  difendere  gli  oppressi  tra  7 popolo  ? Non  fu- 

rono questi  ètpulsi  dal  Foro  a pugni  e calci,  e con 

ogni  altra  guisa  di  vilipendj  ? Vò  'siro  era  V affronto; 

e voi  vel  comportaste  nè  cercaste  vendicarvene  con 



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• ' LIBRO  X.  , i'^g 


darne  i voti  almeno , in  che  solo  vi  resta  la  libertà. 



Ma  su  prendete  spirita  o miei  cpmpopoUiri.  Presene 

tino  i tribuni  la  legge  su  la  partizione  delle- campa- 

gne';  _e  voi  la  confermate  co’  voti  vostri , nè  soffrite 

pur  voce  chi  reclami.  Voi  non  abbisognate  o tri- 

buni di  esortazione  a questi  opera  ; voi  posti  vi  ci 

siete , e benissimo  fate  a non  desisterne.  E se  la 

caparbietà',  se  là  insolenza  de’  giovani  vi' si  opponga, 

e rovesci  le  urne  in'' che  i voti  raccolgonsi  , o./i  voti 

vi  levino,  o scondita  tal , altra  cosa  nel' dar  de  sofì 

fragi  ntastrate  -loro  quanta  ' il  potere  siasi  del  tri-  i 

bunato.  Che  se  non  è lecito  degradar^  i constai,  sot* 

topOnete  ai . giudizio  i privati , de’  quali  si  vatgonó 

per  le  violenze  ; e fate  che  il  popolo'  voti  su  loro  ^ 

come  su  conculcatori  delie  leggi  sacre  y e distruttori 

del  dostro  magistrato.  * . 


XL,  Or  Jui  cosi  dicendo , ta  moltiludibe  nè  fa  cóm> 

mossa  tanto  intimainente , e manifestò  tanta  ira  contro 

gU  oppositori,  che,  copie  ho  divisato  dai  princt[yio,  non 

vofesa  memmen  tollerarne  t discorsi.  Quaodo  sorgendo 

Icilio  tribuno  dii^e  : che  eran  pur  buoni *1  suggerimenti 

di  Siccio,  e lan^mcnte  lo  encomiò,  tuttavia  dimostrò 

cìie  non  era  cosa  nè  giusta , nè  sociale  negar  la  parola 

a chi  vojeya  perorare  in  contrario , prìncipalmeote'  di> 

acutendosi  una  legge  colia  quale  far  prevalece  il  diritto 

alla  Ibraa varrebboosi  di  occasioni  consitnili , qpelK 

che  non  avevano  pensieri  eqni  uè  ginstì  sul  popolo  , a 

turbar  la  pUè  novamentp,  e'rimovetae  ciocché  le  gio* 

/asse.  E ciò  detto  ^ prescrivendo  ^ il. giorno  seguente  ai  , 

contraddittori  della  legge , sciolse  1’  adunanza.  I consoli 



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aSo  DELtE  Afl^TICHITA’  ROMANE 


a4umildjili  «oiuiglio  privato  de^'pairìxj  più  energici  al» 

lora  e più  floridi , dimostrarono  cbe  dovea  leg^ 

impedirsi  per  ogni  modo  prima' colie  parole,  è poi  colle 

opere,  se  il  popolo  non  lasciasse  persuadérsi.  AdunqH^ 

raccomandavano  a tutti  che  andassero  la  ma^a  al  poro 

ciascuno  quanto  più  poteva  con  amici  e cliènti:,  e quindi 

che  alcuni  ài  stessero  .ed  aspettassero  intorno  la  tributiti 

onde  parlasi  all’  adunanaa  , ed  altri  in  più  crttcchj  tna>. 

versassero  il  Foro , per  intraccbiudere,  il  popolo,  é vie- 

tarne la  riunione.  Parve  questo  U partito  migliore , e 

prima  cbe  il  di  si  chiarisse  , erano  molli  posò  del  Forò 

presi  gii  'da’  patriÉj.  ' ‘ 


XLI,  Vennero  dopo  ^ciò  li'  Iriboni  e li  consoli, 

quando  il  banditore  invitò  chiunque  voleva  dir  contro 

la  legger  Presemaronsi  perciò  molti  onesti  uomini , ma 

il  remore  e il  disordine  non  lasciai*  ascoltarne  le  voci. 

Imperocché  qoal  déflli  astanti  esortava 'ed  animava  i di* 


^ cuori,  e quale  gli  urlava  e'rigettavali nè  la  lode'pre- 

yalèva  de’fautori,  né  lo  strepito  degli  avversar):*  Sdegna* 

ronsi  « .protestarono  r consoli,  che  il  popolo  dava  prìn* 

cipio  alla  vioTenza  col  non  volere  ascoltare  : ma  repli- 

carono i triboni  che  avendo* essi  ascoltato  ben  per  cin- 

que anni , non  laceano  cosa  da  odiarnéli , se  non  voi- 

leaoo  più*  tollerare  trite  contraddizioni , e rant^de.  Còsi 

ne  andara  il  più  delia  giornata,  quando  il  popolo  chiese 

di  votare/  Allora  i giovani  patria)  credendo  che  più  non 

iCoise  da  sufferire , impedirono  il  popolo  che  si  racco- 

gliesse in  tribù,  tolsero  a chi  li  portava  i vasi  de' voti, 

e battendo  e spiugendo,-  cacciarono  quanti  erano  a ciò 

deputati,  nè  $en  parlivauo.  Alzarono  le  grida  i tribadi. 



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' LIBRO  x:  281 


e géttaronsi  nel  _ méz^o  di  essi  : e questi  cederono  e là» 

sciarono  die  ipvioiati  ' passassero  ovnnqne,  ina  passare 

ovnnque  nob  Isàdavano  il  popolo'xbe  li  seguitava  , o 

quello  che  tumultuando  e disordinandosi  qua  e là  per 

lo  Foro  moveasi  verso  di  loro.  Cosi  divenne  inutile  al 

popolo  il  soccorso  de’ tribuni  : ed  i patrizj  ila.  vinsero  , 

nè  lasciarono  che  si  ammettesse  la  legge.  Le  famiglie 

che  più  sembrarono  coadjuvare  i consoli  furono  le  tre 

de’  Posiumj , de’  Sempronj , de’  Clelj,  cospicuissime  tutte 

per  lo  splendor  de’ natali,* e potenti  assai  per  amicizie; 

per  ricchezze  , e riputazione , .come  insigni  per  le  im- 

prese nella  guèrra.  Si  consente  che  da  questi -dipendè 

prìncipalmebte  che  la  legge  non  si  ammettesse^ 


XLll.  Nel  giorno,  appresso  i tribuni  prendendo  i l>le* 

bei  più  rlguardevolT  discùssero  ciocché  fosse  da ‘fare:  e 

tutti  di  comun  voto  statuirono  di  non  citare  in  giudizio 

i cposoli  , ma  i'  privati  che  erano  stati  loro!  minjstrij; 

la  punizione  de*  qudi  ecciterebbe  come  Siccio'  avvertiva 

meno  diceria  contro  del  popolo.  Adunque  cominciarono 

dih'geotemcnte  a discutere,  quabti 'fossero  da  : processare, 

qpal  titolo  Ressero  al  giudizio  « e qtialé.  ne  sarebbe, '.e 

quanta  la  pena.  1 più  buj  di  carattere  consigliava  nò  che 

si  desse  a tutta  un  aria  di  graveùa  e di  terrore  f in 

opposito  i' più  miti  voleano  moderazione  e ^clemenza,  é 

Siccio  era  ,il'  capo  di  questi , e-  ve  li  persuase  ; io  djco 

colui  che  perorò  per  la  partizion  delie  terre  diuonti  del 

popolo.  Parve  loro  che  si  trascùraasero- gli  àitri  patrizi, 

e si  menassero  al  popolo  i Clelj,  i Posiumj,  i Sempronj 

a subirne  le  pene 'delle  opere' fotte  : *si  ! accusassero,’ .di 

aver  soverrbiato  .ed  rnipedUo  i tribuni  dal  forc'uliiiiutre 



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28 a DETXr.  AMTlCìrtTA’  ROM^WE 


la  deftsioQ 'della  legger  qa«ido  lè  l^gt  facre  -dei  Senato-- 

e del  popolo  ,hqn  tsoucedoM  ad;  alcuno , di  p/dl^i  ri 

chiuso  t ed  alfine  sen  venne  il  tempo  di  giudicare  co- 

loro. I cooteli  ed  i , patria]  («rau  questi  i migliori)  a^^ 

sunti  per  consultatvisi -opinavano  che  si  dovesse  con- 

cedere a!  tribuni , la  punigione  , affinché  i|upedki  Uoa 

causassero  male  tpaggiore  1 e lasciare  che  i ^plebei  furi-' 

Ixmdi  versassero*  r ira  loro  sù  le.soÀanxe  degli  accusati 

affiprhè  paesane  arendeita  quanta  ne  voleanp  *,  V iirq>U- 

cidnsero  *pér  l’ avveAire prinoipalmente  ché  il  danno 

negli  averi  potrebbe  risarcirai  a chi  aosteuevalo.  Or  Unto 

appunto  àddivénne.  Imperocché  condannati  questi,  scnaa- 

apptfrìre  in  giudizio,  il  popolo  Inasprito  se  ne^raddolci,- 

ì tribuni  pensarono  che  fossè  rendalo,  loro  un  -moderato 

eivil  potere  e sostegno:  ed  i'patrizj -restituirono  ai-  con- 

dannati le  lo'to  ^stanze  reiHmendole,  a prezzo  eguale 

da  chi  -areale  dal  pubblico  comperate.  Con  tali  ripari  -si- 

dissiparono  i mali  imminenti  ^lla  repubblica.  , ' 


XMII.  Dopo  non  molto  riprodussero  i.  tribuni  il  di- 

scorso su  la  legg^y  àia  l’avviso  delia- irmzioae  repeatina 

de’ucjidci  sul  Tusoolo  fu  causa  bastante  ad  im^edirneli. 

^ceeiuccliè  precipitandosi  li  Tuscolani  in  folta  a , Roma 

«'dicendo  essere  giunta  una  artnaNi  grande  di  Equi, 

che  av«a-  già  devaatatq  le  foro  campagne  , e ohe  tra 


; , 



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LiBFo  X.  a83 


pochi  gieini  ne  espugnerebbero  fin  k ciwà  se  ben  tosto 

non  sibccorpeTauo  ; iK  Senato  decretò  ‘che  v’ andassero 

entrambi  U consolù  .ed  i consoli,  intimata  la  leva,  fchk* 

tnarono  tutti  i dttsdini  alle  anni.  Ebbevi  anche  allora 

del  snsurro,  oppibnendovisi  i tribnni  alla  iscrizion  mili^ 

tare , né.  volendo  die  gl’  indocili  si  pòm'ssei'O  col  rigor 

delie  leggi:  ma  tutto  io  indarno.’ Imperocché -il  Senato, 

raccoltosi,  decretò  che  uscissero  alia  guerra  i ' patck)  coi 

loro  clienti  : che  quanti  voleano  avér  parie  nel  aalvaro 

la  patria,  avessero  ancor  parte  nelle  sante  cose  de’ numi, 

ma  che  niuna  più  ve  n’  avessero  quei  -che  lasciavano  i 

consoli.  Saputosi  il  decreto  del'Sen^o  nell’  adunanza 

del  popolo  mólti  si  misero  spontaneamente  all'  impresa. 

Vi  si  misero  i p{ù  ingenui  per  la  verecondia  'di  non 

soccorrere  toha  città  confederata  ,'  diauuta  wmpre  per 

r aderenza  sua  con  Roma  : tra  questi  fu  Siceio  1’  accu- 

satore presso  del  popolo  degli  usurpatori  delle 'pobblidie 

terre , -il  quale  menava  seco -ottocento  uomini,  timi  co» 

me  -lui  di  età  superiore , nè  piè  vincolati  dalla  legge  ^a 

combattere  ma  pieni  della  riverenza  del  valentuomo 

pe’  grandi  benefizj  ricevutine  aveano  ripntato  cosa  non 

degna  di  abbandonarlo,  mentre  rinsciva  egli*  a fitr 

guerra.  Òr  questa  tra  la  milizia  d’  allora  fu  di  gran 

lunga  la'  migliore  per  la  perizia  iu  combattere  , Come 

per  T'ardire  tra’ pericoli.  Seguitarono  anepr  altri  T eaer- 

cito-  vinti  dall’ aderenza  e dalle  istanze  de' seniori.  - E il 

èri  pur-  k milizia 'pronta «sempre  a tnui  {.pericoli  per 

amor  deUe  prede  , che  si  fan  tra4e  arme..  Pertanto  in 

poco  tempo  ebbest  un  armata  numerosa  , e .'fornita 

splendidissimameute.  .!■  nemici  udite  che  i Romani  mar* 



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*84  DELLE  Antichità’  romane 

cercbbero  contre  ^ essi  , ravviafóQO  terso  la"  patria 

r esercito  : ma  i consoli  avanzando  ,a  .gran  >freilao 

per  6eno,  e gl*  investirono  improvvisi,  mentre  scendevano 

a tor  r acqua  ; e più  volte  a battaglia  li  provocarono. 


XLIV.  -Or  attagiia  ; e cavò 

le  milizie  dalle  trincee#. e comparti  fcavslieriie  fanti  per 

coorti,  ciascuno  ne’luoghi'  Convenienti  ; alfine  chiamando 

Siede  gli  disse  : iVbi  combattiamo  da  quindi  o Succio, 


1 nemicL  Tw-  mentre  noi  ed  efsi  ci  risparmiamo  ap- 

parecchiandocip  va  di  fianco  per-  quella  via  sul  monte 

ove  è il.eaatpo  nemico,  e v assalùci  quei  che  ilo 

guardano  , affinchè  gli  altri  che  slan  contro’  noi  ne 

teman  la  perdita,  e tentando  soccQnjerlo  ci  volgari  le 

spalle  ; e cor/ie.  avviene  ^in  una  subita  ritirata , si  affi. 

foUirt  tutti  per  una  strada  , e con  fUcilità  li.,  conqui- 

diamo : o se  qui  si  rimangono  ; lo  perdano  il^  campo  ^ 

loro.  La  milizia  che  -lo  presidia,  per  quanto  seti  con- 

cepisce, già  non  è.  per  sè  foige,  ma  pan  mettere  tutta 



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■ ' LIBRO  X.  , ■ 285 


la  fiducia  

bliquamente  per  quella  slracbi , impossibile  a salirsi 

di,  rutscosòr  dei  nemici:-  ma  io  vi  condurrò  per  vie 

non, visibili  ad  essi;  e ben  mi  presagisco  trovarle  tali 

òhe  ci -guidino  sul  morite,  e sul  campo.  Inanimiìevi 



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« . , LlDnO  X.  ‘ 



387 



dunque  i e speràlCk  Ciò  detto  s*  avviò  Wk  fa  selva , '>« 

eorsooe  buoa  tratto,  a’ imbattè  con  un 'cHtadioo , parti» 

tosi  non  so  d’  onde  , e fattolo  arrestare  ; , sei  prese  a 

guida.  E colui  rigirandoli  gran  tempo  attorno  del  mon* 

te , li  pose  al  fine  su  di  nn  colle  rimpetto  degli  aHog la  battaglia  ebb^  un 

fine  decisoli  Imperocché  -Siccio  co’  suoi,  non  Si  toifo  - fu 

-presso  degli  alloggiamenti  , trovalbne'' il  danto  verso  di 

sè  derelitto  dalla  iniliiia , intenta  tutta,  come  n spetta» 

cólo  dal  canto  verio  del  combattimento  > vi  diede  faci» 

lissimitmente assaltò  , -e  sonrontpvvi  : . e prorompendo 

in  grida  ; corsele  come  dall’ alto  ^ addosso.  Sopraffatta 

quella  dal  mate  impensato  e concependo  che  venisse 

non  qne’  pochi  ma  l' altro  console  colle  > sue  schiere  si 

precipitò  fuori  delle  trincee,  per  la 'più.  gran  parte 

senz’arme.  Que’di  Siccio  ne'  uccisero 'qua  uà  ne  presero, 

e signori  già  degli  alloggiamenti  , ripiombarono  sa  gli 

altri  nel  piano.  Gli  Equi  , conoscinta- dalla  foga  e dar 

damori  la  presa  degli  alloggiamenti,’  e veduti  dopo  non 

molti^.i  nemici  correre  loro  alle  spalle,  noo 'mostraùlno 

.già  cnof 'generóso  , ma  dnordinadsi , ceecàrono  scanapo 

per  varj  sentieri.  Ma  iu  questi  appunto  fecesi  strage 

copiosa  , non  avendo  i Romani  lasciato  d’  iusegnirli  a 

trucIdarvegU  fino  alla  notte.  Siccio  ne  era  l’uccisor-  più 





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288  DELLE  antichità'  BOMANE 

graude  Ira  Ilice  d’imprese  bellissime:  e quando  vide  le 

cose. nemiche  ornai  ridolte  al  suo  temiihe,  egli  già  fatta 

notte  , tripudiando  e forte  magnificandosene  rimenò  la 

sua  coorte  agli  alloggiamenti  espuguati.  1 suoi  npn  sedo 

illesi  ed  inviolati  da’  mali  che  ne  temeyanó  „ ma 'em- 

piutisi tutti  di  gloria  vivissima  , lo  chiamavano  padre  y 

salvatore,  Dio,  ed  ogni  altro  bel  nome,  nè  finivano  di 

felicitarlo  con  amplèssi  ed  -altre  esuberanze  di  'gioja. 

Intanto  r altra . milizia  romana  tornava  al  campo  tuo 

‘ dall’  inseguire  i nemici.  > , . 


. XLVIL  Era  già  la  mezza  notte  , quando'  Sfecio  ra- 

minando  1’  odio  suo  'bontro  de’  (Gasoli  che  ,lo  oveano 

spedito  alia  morte  -,  si  pose  in  ' animo , dì  tor  loro  la 

gloria  4el  buon'  successo.  Rivelato  il  cor  suo  tra’  com- 

pagni , e sembratone  a tatti  benissimp  , anzi  ammiran- 

done Ognuno  i concetti  e F ardire,  .^li  prese  e fe’' 

prender  le  armi  , e prima  uccise  guanti  trovò 't|tnvi 

nomini,  cavalli,  ed  altri  animali  degli  Equi,  e pòi  mise 

in  fiamme  i padiglioni , pieni  di  arme  , di  vesti  , di 

apparecchi  di  guerra  , e di  robbe  moltissìmé , recàtevi 

dalla  [ureda  tascoiaua  : al  fine , dopo  svanita  ogni  cosa 

tra  r incendio,  parti  su  I’  alba  senza  altro  che  le  arme, 

e rientrò  con  marcia  rapidissima  in  Roma.  Osservativisi 

questi  appena  , solleciti  tra  le  arme , tra  ’b  sangue , tra 

i cantici  della  vittoria  , eccovi  grande  il  concorso , e la 

smania  di  visitarli  , ed  intenderne  le  cose  .operate.,  Ed 

essi,  andatine  al- Foro,  ve  le  narrarono  ài  tribuni:  ed 

i tribuni,  intimata  un’adunanza;  comandarono  loro  che 

vi  favellassero.  Era  già  grandè  la  moltitudine  ; quando 

Siedo  recatolesi  iunanzi  narrò  la.  vittoria  \ e' le  maniere 



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LIBRO  xr  '289 


del  combatlimentp  j >e  come  il  campo  nemico  era  preso 

per  ie  ' forze  sae>e  degK  ottocento  suoi,  spediti  dal  con- 

sole a morire,  e come  infine  le  altre  • milizie  combattute^ 

dai -consoli  ne  ifurono  ridotte  a fiìggjre,  Chiedea  per« 

tanto  che  non  sapessero  grado  , se  non  a luì  dèlia 

vittoria  dicendo  in' ultimo  : noi  veniamo  sMve  le  per- 

sone e le  arme  , nè  pattiamo  coià  ninna  grande  o 

picciola  delle  involate  ài  'nemico.  Il'  popolo  -alf  udirli', 

impietosì,  lagrìmò  , vedendo  la  età  , considerando  la 

fortezza  de’  valentuomini , e crucciandosi , • e smabiandó 

so  chi  voluto  ne  aveva  privare  la  patria.'  Sorkène,  come 

era  l’intento  di  Siccio  , l’odio  di  tutti  contro  de’ con* 

soli.  Il  Senato  srésso'non  soffrì  ciò  di  buon  animo,  nè 

decretò  per  essi  il  trionfo'  o altro  pe’ fausti  cornetti- 

menti.  H popolo  poi  veduto  if  tempo  della  scelta  dei 

magistrati  , nominò 'Siedo  tribuno  ; conferendogli  la  di- 

gnità della  • qpale  erà'  1’  arbitro.  E tali  furono  le  cose 

più  rilevanti  operate  in  qòeiranno.  '•  1 


XLVllI.  Spurio  Tarpeo , ed  A11I9  (i^  Térmipio  pr^ 

sero  il  consolato  per  l’  anno  seguente  (0).  Questi  carez- 

zarono di  continuo  il  popolo  con  più  medi  , ccène  col 


previo  decreto  del  Senato  su’ magistrati  (3);  imperocché 

“ * » * 


(i)  Si  coniulti  SigoDÌo  su  Livio.  Di  là  si  raccoglie  cìie  forse  dea 

Irggtt ti' jfterh.  \ ' 


(a)  Anna  di 'Roma  3ao.  secondo  Catone.. ^o»  secoado  Varrone, 

e av'.  Cristo.  , . ' 


(3)  Cioi  che  si  potessero  multare  i magistrati  arrogami  o clie 

trascendevano  i limili^dei  loro  poteri.  Vedi.g  5o^i  rjueito  libro. 

Nondimeno  vi  è chi  crede  che  vi  si  parli  del  senatusconialto  fallo 

emanare  dai  consoli  perchè  li  tribuni  potessctp  ìar  approvare  dal 


DlOillGT,  amo  Iti.  • ' » ' ' nsoli  ultiini.  Intanto  prima  che*  d*  di  Sén 

Venisse 'di' quella  causa.^  facendo  l’uno  e^l’ altro  d^li 

accusati  calde  brighe  e raccomandaziodi,  essi,  come  già 

consoli , assai  speravano  su  del  $éQato  ; • e teneano  per 

leggero.,  il  pericolo , promettendo  i seniori  di  quel  ceto 

ed  i giovani  che  ilon  lascerebbero  far-  tal  giudizio.  Ma 

ì tribuni  prevependo  tutto  da  lontabo,  e non  valutando 

preghiere;  non  minacce,  non  pericoli  ; a{q>ena  giunsene 

il  tèmpo,' convocarono  .il  popolo.  Eransi  già  riversati 

da’  campi  in  città  poveri  e lavoranti  in  gran  numero  : 

or  .-questi  aggiunti  alla  moltitudine  interna  'empierono  il 

Foro,  e le  vie  che  vi  conduconp. 


popolo  il  progetto  sa  la  formasione  del.le  leggi  , eguali  per  tatti  ; 

'argomeaio  allora  di  controTeraie , -come  apparisce  dalle,  coa'e  pre- 

cedenti/'’ -• 


(r)  Forae  Icilio  tribuno  dell’  anno  precedente.  . ' ‘ 



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• n. 



..  LIBRO  X.- 



».r-XLIX.,  laQ^oUo.per  il  primo  il  gÌRdluo' tU' Romi« 

lio , .Sieda  fattoti  (^vaati  .accurà  le>  violenze  di  lui  nel 

•DO  consolato  contro  de’  tribuni , e le  insidie  contro  di 

aè  e della  sua  coorte  nel  suo  capitanato.  E endo  egli  voluto  esimere'  da  quella  spe- 

dizione. Matxo  .Jciiio  , coetaneo  ed  qmico'SUOf  figlio 

di'  uri  tale  dellfi  coorte^,  perchè  qifesti  non  ujttme.  ài 

un  tempo  col  ^adre  -à  morire  ^ e che  avendo  ottenuto 

da  Aulo  V srginio , zio  suo , e luogotenente  afiqrq 

delle  nfilizie  di  recarsi' ai  consoli^  chiederne  quésta 

grazia  ; i coruiyli  ebbero  cuore  di  .coatraddirh  , ed 

egli, fa  ridotto  al  conforto  nùsero  delle  lagrime  ^ non 

restar^do  à (iti  che  dèplorare- la  calamità,  delf  amico  : 

che  t antico  pel  quale  pregqvaf  udito  ciò,  se_n  venni, 

9 chiesto  di  parlate  protestò  choj  avea  pur  grandi  gli 

obblighi  agi  inteAiessori  suoi,  rna  che. mai  grad^ebbe 

anche  ottenutala  una  concessione  che  levavagli  d' esser 

pietoso  inverso  del  sangue  suo  : nè  nidi  si  Hmove/ubbe 

dal  padre  quanto  più  si  avyiava  a. morte,  certa  come 

tutti  sapeane  : anzi  ne  andrebbe  con  lui  pey  difen- 

derlo fin  dove  potrebbe  , e correrne,  la  sorte  medesi- 

ma, Or  costui  ridicendo  tali  cose , niun  fu  " che  nou 

commiscrasse  la  sorte  di  tali  uomini  : ma  quando  poi 

chiamati , comparvero  per  attestarla  , (cilio  ' padre  , e 

figlio,  e oarrarono  cioochè  era. di  loro;  non  poterono 

i più  del  popolo  contenere  le  lagrime.  'Perorò,  se  ne 



293>  DELLE  ANTICHITÀ^'  ROMANE 


difese  Ròmilk>,'non  ossequioso,  non  pi^érole-ai  tem« 

pi  ; ma  fastoso , e,  grande  ne’  concetti  ' suoi , coÉàe  non 

si  avesse  a dar  cónto  del  consolato.  ■ Adunque  l’ira  ne 

crebbe* de’ cittadini , e rendati  arbhri  di  sentenziame  , 

deliberarono  ripercoterlo,' e condannarlo  co’voti  di'  tutte 

le  tribù  ; . talché  la'  condanna  fosse  una  ' multa  di  assi 

dieci  mila.  Siccio,  'sembrami,  risolvè  ciò  non  senza  nna 

.provi  denza  : ma  perchè  scadesse  il  favór  de'  patrizj  su 

costui,  nè  facessero  broglio  nel  darsene  ih  voto,  consi- 

derando che  la  emenda  era  * in  danari  e non  ‘altro  ; e 

perchè  li  plebei  fossero  più  pronti  a .pronunziarne  la 

pena,  non  dovendo  spogliare  l’àom  consolare  di  patria, 

nò  di  yita.  Condannato  Romilio  fu  dopo  pochi  giorni 

condannato  eziandio  Yeturio.'  Anche  la  multa  sua- fa 

pecuniarìa,  ma  suddupla  di  quella  del   consolato.  Adunque  non  \ più  governavano  misteriosa- 

mente, ma  Con  intento  manifesto  ai  vantaggi  del  popolo. 

E priipa  stabilirono  ne’comizj  benturiati  per  legge:  che 

tutti-  i magistrati  potessero  punire  quelli  i quedi  ecce* 

devono  o disordinavano  i loro  poteri  , perchè  per  ad- 

dietro non  altri  che  i consoli  pòteano  far  questo.  Per 



(i)  Qoi  di'cinqoa  mila  aui.  Ora  ciò  sembra  ragionevòle;  per- 

chè esseodo  Romilio  oppositore  più  che  Velario  de’  tribooi  , dovea 

sentirne  danno  maggiore.  Nondimeno  Livio  afTerma  che  Romilio  fa 

condannalo  per  dieci  mila  assi , e Velario  per  (piiadjci  mila  ; il  che 

ha -fallo,  interpreiare  la  voce  a/oUssi 

qui  dire  minatamente , a voi , che  vef.  sapete  , quanto 

ho  sofferto  dal  pòpolo  non  per  mie  private  ingiusti- 

zie i ma  per  la  henevolenza  mia  verso  di  voi;  tuttavia 

ciò  ricordo  per  neceisità,  affinchè  vediate  che  io  parlo 

per  lo  migliore  ,,  non  per  adulare  il  popoìp  , che  mi 

è eontrarioi  Nè  alcuno  si  meravigli , -je-  io  che  fui 

d altro  asviso  più  volte , e quando  fui  ^console  e 

prima,  ora  mutato  mi  sia  sttbitamenté  ;J  nè  vogliate 

concepire  che  non  bene  consigliassi  allora , , o non 

bene  mi  ritratti  ah  presente.  Io  finché  vidi , o padri  , , 

superiore  lo  .stato  de  nobili,  lo  favorii,  come  doveasi, 

non. curando  quello  dei  popolo.  Ma  poiché  fatto  savio 

da’  mali  miei,  vidi. a gran  costo  che  il  poter  vostrq  è 

minore  dei  vostri  voleri  ; e che  piegaridovi  alta  ne-, 



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294  DELLE  AWTKHITA^  ROMANE 


cessild  più  volle  avete  lasdèUo  manometter  dal  popolo 

quelli  che  vi  sostetievimA  , rdiora  più  ,non  tenni  gh 

antichi  pensieri.  E ben  vorrei  che  rion  fossero  a me, 

nè  al  collega  mio  succedute  le  cose  per  le  tjtiali  voi 

tutti  su  noi'vi  condolete.  Ma  poiché  finite  sono,  tali 

nostre  vieef^e,  e possiamo  solo  curar'  t avvenire,  prov- 

vedendo 'che  ailri  non  soffran  Iq  stesso  , v'i  esorto  ad 

uno.  xid  uno  I é tutti  insieme che  órdinialé  m bene, 

almeno  il  presente:  àmpcrocchò'JèUcissimamente  go- 

vernasi una  repubBlica  , la  qual  si  èontempera  alle 

sue  cose;  quegli  è il  consiglierò  migliòre  che  pòrge  il 

parer  suo  per  cònio  di  utile  pubblico^ -non  di  nirnid- 

xte  private  o furóri;  e benissimo  lei.  porgerà  su'tempi 

di  poi  chi  pigha  esempio  delle  cose  JWhtre  dalle  pas- 

sale. Noi.,  o padri,  quante  sfolte  si ■ disputò , si  'don- 

lése  tra'l  Senato  e tra ’l  popolò  ; tante  ne  àvemmo 

per  alcun  modo  la- peggio  con  morti,  «v»  esilj  , con 

sfingi' (T  Uomini  insigni.  Or  quale  sciagura  maggiore 

per  una. repubblica  che  le  si  tolgano  i cittadini  mi- 

gliori , ò senza  Una  cauia  ? Pertanto  io  vi  esorto  che 

questi  ve  ù risparmiate;  nè  gettiate  i consoli  presenti 

a''màmfesti  pericoli , abbandonaisdoli  poi  tra  la  tem- 

pesta, al  pentimento.  Deh!  che  non  gettiate  ai ‘peri- 

coli niim  altro  qualunque,  e sia  pur  egli  piccolissimo 

per  la  repubblica.  La  principale  fierò  delle  cose  che 

vi' raccomando  , è che  mandiate  deputati  ,'qiusli  nelle 

grecite  città  d"  Italia , e quali  in  Alene  ; perchè  vi 

cerchìn  le  leg'gi  migliori  , e più  confacevoli  a’  nostri 

costumi,  e Sce  le  fìpot'i.iio:  che  Ibrnnti  questi,  i con- 

soli propongano  al  Senato  , quali  debbansi  'scegliere 



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LIBBO  X.  395 


per  legitlatori  con  Jfual  potere  , , per  quanto  tempo  , 

e cosp  altrettali  come  - egli  le  crederà  spedienti  : fi- 

nalmente che  lasciate  le  discordie  col  popolo  , e di 

cofinetlervi  disgrafia  a disgrazia  , principalmente  per 

una  legislazione  , la  quale  ha  seoo , se  tiòn  altro  » uM 

apparqto  'almeno  di  maestà.  . 


- LU.  Seooodarooo  i dpe  consoli  ài  parer  di  Rqntiliò 

con  più  ragioni  premediut^  e , molti  altri  xonsiglieri  lo 

secoodaronof;  tanto  cbè  la  plorftità'vi  ^ deprsj^.  E già 

già  se-  ne  slendeva  ài  decreto,  quando  Slocio'.il^  trtbimot 

quegli  cbe  zyevz  accusalo  iLomilio  sorse,  e fattone  ekn 

gio  copioso , ne  laudò  la  mutazione  , e cbe  non  ayesse 

anteposto  Je  nimicizie  sue  all’  util  comune  ,-,ma  ^tto 

ingennào^entè  9ÌÒ.  eb’era  il  bene.  Peritai  meritp^  sog- 

giunse , IO  gir  rendo  qvesC  ossequio , 0 ^ptesta  ricono^ 

saenza  : io  U>  assolvo  dalla  multa  impostagli' nel  giu- 

dizià  , e dà  pra  in  poi,  me  ^ riconcilio  : perocché  ci 

ha  sopra^atlo  ftel  .bpne.  Egli  disse } e già  altri  tribuni 

presenti  acconsenlironò.  I^on  sostenne  RomiUo- dà,  pren- 

derne quel  conlnccambio  ; ma  lodati  i .tribuni  protestò 

cbe  pagherebbe  la  multa,  essere  questa  sacra  ai  numi: 

e non  fare  ■ cosa  né  giusta  nè  pia,  chi  spoglia  h numi 

di  quanto  si  dee  laro  per  legge  : e.  coti  £e$;9.  Steso  il 

decreto  dal  Senato , 'e  confermato  dal  popolo  , ' furono 

eletti  a prendere  le  leggi  da*  Greci  Spurio  Posiiunio  , 


Setvio.  Sulpicio , ed  Aulo  MalHò  (i).  Furono,  questi  a 

' . , " ^ „ 


(I)  In  Lirio  si  legge  PuM-  Sulpicio  .in  laog'o  di  Servio  Salpido 

come  scrivesi  '.in  Dionigi.  Servio  Sulpicio  fu  eOosdle  l'anno  193,  ma 

Publio  non  si  trova  cbe  'mai  lo  fosso.  Tanto  Liiio  quanto  Dionigi 

numeraao  Aulo  Manlio  Ua  i depùiati,  cd.  Aulo  Maoliq  seooado 



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2g6  DELLE  ANTICmtA’  'ROMANE 

pubbliche  spese  forn^  di  triremi- e > di  ogni  arredo  ; 

quanto  si  convenisse  ialia  maestà  ' dell' impéno  ; e cosi 

l’anno -spirò.  ''  ‘ 


' LUI.  Nella  olimpiade  ottantesima  seconda,  quando 

Lieo  Tessalo'  di  Larissa  vinse  allo  stadio  , e Cherofiino 

era  l’arconte  di  Atene,  compiutosi  1’ anno  ,trecent«imo 

dalla  fondasionb  di  Roma,  cretti  consoli  ' Publio  Orazio, 

e Sesto  Qaintilip  j[i) , proruppe  nella ^città  up  morbo 

coptagioso  , il  inaggioi%  di  quanti  ue  erano  ricordatL 

Vi  'perirono  quasi  tutti  i sèrvi , e circa  .Una  metà  di 

cittadini.  Non.  piò  i medici  avean  cuore  d(  curare  gl’ in- 

iermi  , non  i domestici , non  gli  amici  di  porgere  loro 

le  cose  necessarie  ; perocché  volendo 'assistere  gU  -altri 

còl  tatto  e col  commercio  ne  coutr^evan  i malu  Donde 

è che  piò  famiglie  si^  desolarono  per, deficiènza  di  assi- 

stenti. Non  era  la  minima  delle  sciagure*  quella  so  la 

esportazion  de- cadaveri,  ^ certo  era  causa'.cliè  il  morbo 

non  venisse  meno  subitamente.  Su  le  prime  per  la  ve- 

recondia , e la  copia  de’  funebri  apparecchi  bruciavano 

o seppellivano  i -morti  : ma  poi  curando  poco  la  vere- 

condia , o non  avendo  ciocché  bisognava , ne  gettavano 

molti  nelle  chiaviche , e più  ancora  nella  corrente  del 

fiume.  nd’  è che  spinti  ai  scogli  e alle  arene  delle 

rive , songeane  danno  gravissimo  ; perchè  spiccavasene 


Oiooipi  fu  contotq  r aono  s8o  i laddove  io  Livio  leguaai  .ia  quel- 

l’anno per  coufole  G.  Manlio.  S;  dunque  ì deputali  erano,  còm'a 

veri$imile,  tuui  uomini  co^olari  , il  tèsto- di  Dionigi  in  questi -lue- 

gbi  trovasi  più  eastigato  che  quello  di  LCvio.  t 


.-(t)  Aono  di  Roma  3oi  secondo  Catone ,,  3o3.  secondo  Varrone, 

e 45»  av.  Crisio.  • ■ • ’ 



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f ..  "‘uBao  x;  ' 297 


un -odor  fetidissimo,  il  quf^e  col  corso  dé’ reali  causava 

subite  mutezioni  ai  corpi  anche  saqi.  Nè  l’acqua  portatq 

dal  dame  era  più  buona  da  beveme  si  per  1’  odor  tri» 

sto,  ri  per  le  ree  digestioni  

a designarvi  i consoli,  e designatili ',  propoiTebbero'  io* 

sieme  con  questi  ai  padri  la  scelta  de’  legislatori.  ^ Ao- 

cordativisi  i tribuni , essi  intimarono  -i-  comizj  prima 

assai  deir  usato  , e destinaieno  consoli  Appio  Clandio  , 

0 Tito 'Genuzio.  Dopo  questo  .omettendo  , quasi  già 

fòsser  di  altri,  .tutte -li  cure  {fùbliliche,  più  non  datano 

ascolto  ai  tribuni  ',  e solo  miravano  a sottrarsi  di-  briga 

nel  resto  delia  loro  raagistratnra.  Occorse  intanto  cbo 

Mencaio  l’ iroò  de’  consoli-  s’  ìnfernuMe  di  juna'  lunga 

malattia , e vi  fu  chi  disSe  che  il  languore  sopravvenu- 

togli per  -l’ affanno  e per  1’  abbattimento,  la  rendeva  in* 

sanabile.  E'  Séstio  sol  titolo  che  egli  non  "potea’  solo  per 



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LIBBO  X.  . 1 , a()9 


aè  fiir  aiedle,' respingeva  4e  istanzt  de’ tribuni,^  e voleva 

che  si  vbigessero  a miO^i  niagislrati.  E questi  non  avendo 

altoo  lYiodó,  furono  astretti  in  privato,  e nelle  adunanze 

pufablicbe  dirigersi  ad  Appio , e suo  collega , quantun> 

qùe  non  avessero  ancora  preso  il  coniando.  Or  gli  ri- 

dussero alQue  questi  uomini,  empiendoli'  di  grande  spe> 

ranza  di  onori  e,  di  potere , se  prendessero  a*” cuore  gli 

interessi  del'popdfo.  Imperocché -Appio  iu  invaso  dal- 

1’  ambizione  di  avere  una  qualche  nuova  magistratura , 

di  fondare  leggi  di  cònCordia  e di  pace",  e di  far  che 

tulli  estimassero  'che  la  patria  sola-  comandava^«u‘  citu* 

dini.  Ornato  però  di  una' grande  magistratura  non  vi  à 

contenne;  ma  inebbriàtone  da’ poteri  sublimi  ,^^tr^orse 

ai  furori  di  perpetuarsela  , e per  poco  non  giuose  alla 

tirannide  ; cqme  spbirò  ne’ suoi  tempi.  - 


LV.‘  Allora  dunque  cosi  pensaodota  con  cuore  -buono, 

'6no  a {lersuademe  il.* collega  egl’ invitato  più' volte  dai 

tribupi  alle  adunanae  , vi  'si  (^dusSe  , e 'tenpevi  molti 

ed  umani  ragionamenti.  I quali  rigiravansi . ip  t^eslo 

che  piaceva  a hd  come  al  collega  suo',  prÌTtcipalmeiUe 

che  si  destinassér  le  leggi,  e si  chetassero . le  ■ discara 

die  civili  su  diritti  ; e diceano  ciò  ' palesissimàmeute  ; 

come  pure  che  ''essi  ',  perchè  non  entrati  al  comando  , 

non  aveano  'facoltà  di  nominare  i cosUtutori' delle 

leggp  ‘ che  noH  si  opporrebbero  per  ' mòdo  'alcuno  a 

Menenio’  console  e suo  ^collega  se  dava  esecuzione  al 

decreto  del- Senato,  anzi’ che  do  - coadj'uverebbero  e 

ringràzierebbyo  ; che'  se  Menenio  e il  compiano  re- 

ylica  e protesta- ( Soggiungevano) , che  trovandoci  noi 

designati  per  consoli  f Tton  ^uo  ' nominare  altre' magi- 



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iSoO  DELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE 


slrature  lé  quali  prendano  podestà  pari' alla  consola- 

re ; noi  dal  canto,  nostro  non  saremo  V ostacolo  della 

operazione  : perchè  sporttanoi  cederemo  la  nostra  so- 

prastanza, se  cosi  • piace  in  Senato,  ai  nuovi  che  sce- 

glieransi  in . ^ogo  de'  consoli.  Elocomiava  it  popolo'  la 

buona  volonlà  di  tali  .uomini  ; e spiolMÌ,  tutti  ia  /olla 

nella  curht , Sesto  ( non  poiendoviai  tcovare  Menenjo 

per  la  iufern^ità  ) costretto  a convocare  egli  solo  il  Se- 

nato, propose  la  deliberazione  su  le.  leggi.  Ben  si  disputò 

qninci  e quindi  copiosaiaeute da.  chi  lodava  l’essere 

coiuanihto  dalle  leggi , e da  chi  chiedeva  che  si  rite- 

nessero le*  costumanze  paterne:  ma  prevale  il  , parere 

de’  consoli  designati  propostovi  da  Appio  Claudio  , in- 

terrogatone per  il  pritpo  : vuol  dire  cAe  si  icegliessero 

dieci  i più  cospicui  tra  padri  : che  forrtandastero  su 

tutta  la  repubblica  per  un  anno  dal  giorno  deità  ele- 

zione'col  potere' che 'ci  aveatip  i consoli',  e primari 

re  : e che-.fiotànto  che  governavanp  i decemviri  .ces- 

sasse ogni  altra  .màgislralura:  che  qqesti  proponessero 

le  leggi  più  utili  alla  ivpubblica , scegliendone  le  mi- 

gliori da  quelle  riportate  pe'  deputali  dalla  Grecia  , e 

dalle  usante. della  patria;  che  le  leggi  scritte  da  de- 

cemviri, approvale  • che  fissero  dal  Senato  e ratificate 

dal  popolo  ,,  valessero  per  tutto  f avvenire;  e che  i 

magistrati  che  si  creerebbero  a norma  di  queste  leg- 

gi , discutesteror  a rtórma  appunto  di  esso  i,  conti  atti 

d'e' privali,  e pròvyedessero  al  pubblico. 


- .,LYL.  Preso  questo  decreto  ne  anderonò  i tribuni 

al/ adunanza,  e letto  velo;  assai  vi  encomiarono  i padri, 

ed  Appio  che  lo  aveva  proposto.  Giunto  poscia  il  tempo 



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■ , ' LIBRÒ  x:^  . ‘ 3oi 


de’  comizj , i iribun!  convocatovi  il  popolo , fecero  ve« 

Dirvi  i censoU/ designiti  perchè  g[li  osservà^ro  le  pro- 

messe: e questi  presentatisi  ; deposero  il  consolato.  Non 

finiva  il  popolo  di  encomiarli  e lodarli:  fattosi  quindi 

a dare  il  voto  pe’  legislatori scelse  a tal  grado  -ipiestl 

due  per  i 'primi.  Imperocché,  ne’  comizj  per  centurie 

furono  eletti  legislatori  Appio  (gaudio,  e>Tito  Genuzio^ 

li  due' che  doveano  èsser  consoli  l’anno  seguente  :*  Pu« 

blio 'Sestiò.,  «insqle ^ dell’ anno  corrente,  li  tre  Publio 

Postnmió  , Cervio  Sulpicio  , ed  -Aulo  Mallio  -, . r qusfli 

aveano  riportate  le  leggi  da’  Greci;  Romilio  il  console 

dell’  anno  antecedente  (i)  il  quale  condannato  peo  le 

accuse^  di'  Sfócio  dal  popolo , fu  poi  sentito  il  primo  a 

dir  senlèDEe  fautrici ^ 

cemVirato • f 


LVtll-  Dettesi  quinci  0 quindi  più  cose»' vinse' final- 

tnente.il  partito  di  chi  consigliava  che  sì  tenesse  ancorsi 

il ■ decemvirato  su -là  repubblica;  peroccbè' compilata  in 

picciolo  ,t$mpo  la  legislazione  non  pareva  La  .tutto  ulti- 

osata.,  e -pareva  ancora  ;che  bisognasse  un  magistrato 

assoluto  per  .obbligare  , volessero  0 no , tutti , a quanta 

ne  èpa  già -stata  decretata.  Ma  ciò-,cbe  gl’. indusse  più 

che  tutto,  a preeleggere  i dieci. fu, rinlenlo  di  spegnere- 

il  tribunato , ciocché  bramavano  sommanaenie.  ''Tali  fa- 

tono  i risaltati  delle  - pùbbliche  « cousuUaziom  : ma.  in 

privato  i primi  del  Senato  disegnavano  procurare  per 

sè  quel  magistrato  Sui  timore  che  intrqduceodovisi  uo- 

mini turbolenti  nen  cagionassero  grandi  sciagure.  Il  po* 

polo  ricevè  con  diletto , e ratificò  Con  pieno  trasporto  , 

dandone  -il  voto  , le  sentenze  -dej  Senato. . I dieci  pre- 

fissero il  tempo  de’.comiàj-,  e li  più  provetti  e più  ri- 

spettabili de’  patrizi  ambirono  quel'  magistrato,  b*  fptì 

molto  ebeomiato  da  tutti  JVppio  , il  pruno  ^allora  del 

decemvirato  , * ed  il  popoip  vo)ea  .couifermarvelo  ,-  -come 

se  niou  altro  meglip  di  lui -lo  remerebbe.  Egli-  fingea 

su  le  prime  di  escusarsene  e 'cbiodeva  ebe  Ip  esimes- 



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3o4  DELLE  ANtlCHITA’  ROÌIArfE 


sero  da  nn  incarico  , pieno  di  travagli  e d*  invidia  : ma 

poi  Btimolandovelo  tutti;  fecesi  a chiederlo  nottamenle  ; 

anzi  dolendosi  dei  migliori  ' de’ competitori  , come  di 

animo  non  buono  verso  lui  per  4a  ' invidia  ; favori  gli 

amici  suoi  palesissimamente.  Egli  dunque  nc’comizj  per 

centurie  fu  crealo  per  la  seconda  volta  datore  di  leggi: 

e eoa  esso'lai  furono  creati' Quinto  Fabio  detto  Vibo^ 

lado  , già 'per 'tre  volte  console;  ed- irreprensibile  6no 

a quel  tempo  in  ogni  bel  costume  : e ira  gli  altri  pa-^ 

trii)  diletti  ^uoi;  Mai‘co' Cornelio,  Marco  Sergio,  Lucio 

MinuCio  , Tito  Antonio  , e Manio  Rabulejo , .uomiut 

non  molto  chiari  : de’  plebei  poi  Quinto  Poetelio , Ce- 

sbne  Duellio  , e Spurio  Oppio.  Aveaci  Appio  assunti 

por  questi  per  adulare  il  popolo  coi  dire  che',  1’  equità 

voleva  , • «he  , stabilendosi  una  magistratura  uòica  su 

tutte  le  -còse  ; aves^ro  parie  in  essa  anche  i plebei. 

Applaudito  in  unte'  queste  cose  , . e ‘parendone  il  mi- 

gliore dei  re  , e de’  soprastand  annuali  ; prese  la  magi.i 

stratura  per  l’ anno  che  seguiva.  Or  questo  e non  altro 

' è quanto  si  operò  degno  di  ricordauza  nel  primo  de- 

cemvirato presso  de’  Romani.  ' ^ 


LtX.  Presero  nell' anno  ^guente  -la  podestà  suprema 

i dieci  con  Appio  alle*  idi di  maggio.  Allora  i mesi 

legolavausi  colla  Iona , e cadeva  in  quelle'  idi  appunto 

il  plenilooio.  Or  prima  legandosi  tra  sagrifizl , arcani 

alla  plebe  , convennero  di  non  contrariarsi  mai  fra 

loro,  'di  ratificare  tutti  quanto  ciascuno  giùdicherebbe: 

di  ritenersi  la  magistratura  ih  vìta\  nè  Jasciare  che 

altri  vi  sottentrasse  : di  aventi'  tutti  onore  e potere 

eguali  : di  ricorrere  di  rarii  , e per  necessità  sola , ai 



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LIBRO  X.  . 3o5 


i>oti  del  Senato  e del  popòlo  , e di  ultimare  per  lo 

più  le  cose  colC  autorità  propria.  Poi  jrenuto  il  gio;^o 

da  pigliare  il  comando , ( è questo  giorno  sacro  ai  Ro- 

mani , e guardansi  tutti  di  ascoltare  o vedere  cose  non 

liete  ) ^ fatto  prima  sagrifìzio  agl’ Iddìi  secondo  il  rito, 

uscirono  ben  tosto  i.  dieci  su  la  mattina  con  tutti  i di- 

stintivi di  nn  regio  potere  (i).  Come  il  popolo  vide, 

che  non  osservavano  più  |e  mauiere  popolari  e, modeste 

di  preminenza  , e che  non  avvicendavan  fra  loro  come 

prima  i segni  del  comando  supremo;  assai  ne  decadde 

nell’  aspetto  e nell’animo.  Temè  le  scuri  messe  tra’ fasci 

portati  da  dodici  licori  dinanzi  a ciascuno,  i quali  fa- 

cean  largo  , dando  de’  colpi  come  prima  ai  tempo  dei 

re.  Era  stator  questo  costume  abolito  ben  tosto. dopo  la 

espulsione  dei  ré  da  Publio  Valerio , uomo  popolare  , 

quando  ne  succedette  al  comando.  E paréndo  essere 

stato  autóre  di  ottima  cosa;  tutti  i consoli  posteriore  fe> 

cero  come  lui,  nè  più  misero  tra’  fasci  le  scuri,  se  non 

quando  marciavano,  all’ armata,  o per  altro  intento  usci- 

vano da  Roma’.  Or  quando  portavano  guerra  agii  esteri, 

quando  visitavano  i sudditi,  assuiueans  le  scuri  ; .perchè 

r aspetto  terribile  di  esse- , . come  dirette  contro  de’  ne- 

mici e de’  servi , si  rendeva  mec  grave  pe’  cittadini. 


LX.  Veduto  ciò,  che  riputavasi  il  segnate  di  nn  re- 

gno , si  temè , come  ho  detto  , moltissimo , credendosi 

pòduta  la  libertà , e creati  dieci  per  un  solo  monarca. 

Con.  tal  modo  sbalordirono  i dieci  la  moltitudine  : e 


(f)  Anòo  di  Roma  394  secondo  Catone,  3g6  secondo  Varrous, 

e 448  ar.  CrJslo.  ' '1 


PlOStGt  , Itipu)  in.  ■ ' - . * IO 



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3o6  DELLE  Antichità’  domane 

fermi , cbe  avrebbero  a dominare  per  1’  avvenire  col 

terrore  ; ciascuno  fecesi  Un  seguilo  dì  ^oyanl  i più  le- 

Dterarj , e opporiuui  per  esso.  Ben  era  da  aspettare , o 

sperare  cbe  i più  de’  poveri  e sciaurati  si  dimostrassero 

fautori  della  tirannide  ; anteponendo  l’  utile  proprio  al 

pubblico  ; ma  non  era  da  aspettare  , nè  da  sperare , e 

certo  egli  fu  meravigliosissimo^  che  molli  patrizj  potendo 

grandeggiare  per  'sestauze  e per  , sangue  soffrissero  di 

opprimere  co’  decemviri  la  liberi^-  della  patria.  ' Costoro 

datisi  a tutti  i piaceri , quanti  sottopongono  1’  uomo  , 

comandavano  superbissitnamente  : e legislatori  insieme  e 

giudici  , tcncano  per  niente  il  Senato  ed  il  popolo,  ed 

uccidevano  e spogliavano  , conculcando  ogni  diritto.  E 

perchè  azioni  illegittime  e biasimevoli  sembrassero  noux 

indegne,  anzi  operale  per  giiislizia;  nomsi  accingevano 

a farle  se  non  previo  esame,  ed'uu  giudizio.  Erano 

gli  accusatori  inandaii  da* fondatori  stessi  delta  tirannide, 

creali  i giudici  dal  ceto  de’ loro  amici;  laDlochè  solcano 

questi  in  coniraccaràbio  sentenziarne  per  compiacerli. 

Molte  cause  però',  nè  di  poco  rilievo,  le  defìnivano  i 

dieci  per  sesiessi.  Cosi  quelli  che  erano  per  essere  de- 

fraudali del  loro  diritto  , non  trovando  altro  scampo  , 

conducevansi  necessariamente  a renderseli  amici.  Ood’  è 

che  col  volgere  del  tempo  videsi  la  parte  corrotta  ed 

inferma  maggiore  della  innocente.  Imperocché  coloro 

che  v'  erano  concul^cati  da’  decemviri  sdegnavano  di  ri- 

manervi , e si  ritiravano  «nelle  campagne  , Bspettandovi 

il  tempo  de  comizj  , ^quasi  coloro  finito  1’  apno  fossèro 

per  deporre  il  comando , ed  eleggete  nuovi  ^nagislrali. 

Appio  intanto  £ i colleghi  ^crisscA)  le.  leggi  che  rima- 



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LIBRO  X. 



nevano  in  altre  due  tavole,  e le  aulroao  alle  prime.  In 

queste  eravt  traile  altre  lajegge,  che  non  concodeàsi 

a^atrizj  il  matrimonio  co’ plebei:  e ciò  non  per  altro, 

io 



j * ■ , 



!•  OLGENDO  la  olimpiade  ottantesipia  ' terza  nella 

quale  Grisoue  Imero  vinse  allo  stadio  mentre  Filisco 

era  1 arconte  di  Atene  , i Romani  annientarono  il  de- 

cemvirato il  quale  governava  già  da  tre  anni  la  repub- 

blica. Ora,  io  tenterò  descrivere  dalle  origini  per  qual 

modo  , quali  nomini , con  i|uali  cause  e pretesti  , se- 

guendo la  libertà , si  lanciassero  a schiantare  una  si- 

gnoria che  ovea  già  profonde  le  radici  ; perciocché  ne 

reputo  la  cognizione  bella  e necessaria  principalmente 

al  Glosofo  die  contempla , ed  all’  uomo  dr  stato  che 

amministra , per  non  dire  a tutti.  E certo  .molti  non  si 



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LIBRO  XI,  3o9 


contentano  ^ conoscere  dalia  storia , solamente  come 

gli  Ateniesi  ed  i Lacedemoni  vinsero , per  esempio',  la 

^ guerra  col  Persiano , aiTrontandosi  in  due  battaglie  na- 

vali ed  nna  campale  contro  - un  barbaro  che  area  tre 

milioni  di  nomini , essi  che  'aveano  appena  cento  dieci 

mila  nomini  insieme  cogli  alleali;  ma  vogliono' por  co», 

noscere  dalla  storia  i luoghi  ove  occorsero  , .ed  kiten» 

dere  le  cagioni  per  lè  quali  si  compiecono  le  meravi- 

gliose ed  incredibili  gesta  , come  apprendere  quali  fos- 

sero i duci  delle  armate  greche  e persiane  , nè  essere  , 

per  cosi  dire , defraudati , di  cosa  niuna  fatta  ne’  com- 

battimenti. Imperocché  dilettasi  la  mente  dell’ nomo  por*, 

tata  quasi  per  mano  dai  racconti  alle  opere , e come  a 

vederle  dopo  ascoltatele;  E quando  gli  uomini  odono 

le  civili  vicende  , non  appagansi  di  udire  la  somma  ed 

il  termine  degli  ’ affari , per  esempio.,  come  gli.  Ateniesi 

permettessero  el^e  gli  Spartani  demolissero  le  mura , 

conquassassero  le  navi  di  Atene  , ponessero  guarnigionè 

nella  Iqr  cittadella  è vi  trasmutassero  il  governo  del  po- 

polo in  quello  de’pochi^  senza  nemmeno  combattere  (.i); 

ma.  bentosto  dimandano  quali  erano  le  angustie  di 'quella 

città  , onde  incorse  in  tali  orrori  è miserie , quali  e di 

chi  li  discorsi  che  ve  1’  acchetarono , e quanto  seguila 

tali  cose.  Dilettarsi  poi  della  contemplazione  totale  di 

quanto  ■concerne  gli  affari  è cQmifuq  a tutti ,.  come  agli 

uomini,  pubblici  , tra’  quali  colloco  àncora  i fUosofì , 

quelli  almeno  che  pongono  la  filosofìa  non  già  nelle 


(i)  Occorsero  tali  fatti  oelf''aoao  Hltimo  detta  goeri'a  del  Pelo- 

poaneso  ; conws  pu&  vedersi  io  Senofoute  nel  libro  secoado  lAasx- 

nel  lib.  -i3  di  Di  odoro , t nel  LitandrQ  di  Plutarco., 



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3 IO  DELLE  antichità’  ROMANE 



parole , ma  nelf  esercizio  delle  opere  belle.  Cd  oltre 

questo  diletto,  ne  segue,  > 

no  , e riducendd' quanti  ner  credevano  IntorTerablle  il 

giogo  ; a lasciare  colle  -mogli  e co’  figli  lo^  patria  , ed 

alloggiarsi  nelle  città  vicine,  ricevutivi  da’Lallni  in  forza 

de*'- parentadi  , e dagli  Eroici  per  essere  stati  di  fresco 

creati-  cittadini  da'  Romani.  DI  guisa   

teaoo  traversarne  'le  opere  ; nè  vi  rimasero  nemmeno 

gli  asciiitl  al  Sentito  I qu^li  doveano  per  necessità  star 

pronti  pe’  decemviri  ; ma  l più  trasferendosi  con  quanto 

aveano  in  famiglia;  dimoravano,  abbandonate  lo  case , 

per  le  carrqiagne.  Non  dispiaceano  gli  allontanamenti 

de’  grandi  personaggi  agli  amatori  del  decemvirato  per 

più  cause,  e principalmente,  perchè  I più 'giovani  di 

questi  erano  divenuti  don  che  scellerati,  molto  insoleati, 

né  poteauo  tollerare.  1’  aspetto  di  qtielll  , innanzi  dei 

quali  doveano  arrossirsi  della  loro  impudenza. 


III.  Derelitta  cosi  la  città  dal  fior  degli  uomiai  (^) , 

e cadùlavi  ogni  libertà  ; gli  Equi  già  vinti  da'  Romani , 

cogliendo  la  Occasion  propizia  di  combatterli , di  con» 


(i)  Anuo  di  Roma  3o5  Mcondo  Caioua,  ìof  ascondo  Vartoae  , 

c av.  Cristo. 



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3i2  delle  antichità’  romane 

traecambiarlt  delle  iogiorie  sostennlene , e riveodicarsi 

quanto  perduto  ci  aveano  , apparecchiaronsi  all’ armi , e 

marciarono  con  grandi  eserciti  contro  di  lei',  malconcia 

pel  comando  de’  pochi  nè  idonea  a tener  fronte , nè  a 

concordarsi  , nè  a'  cura fecesi  innanzi  e 

disse  che  portavasi  a -Roma,  la  guerra,  da  due  parti, 

quinci  dagli  Equ^ , e quindi  da’  Sabini  ; tenendovi  un 

discorso  ariifiziosissimo* , indirilto  a far  votare  la  leva 

delle  milizie  e condurle  imipzntioeDtc  in  campagna , 



3i4  DELLE  Antichità’  romane 

non  peùnetteodo  T «Ifare  che  » indagiasse.  Or  lui  cosi 

dicendo  insorse  Lucio  Valerio,  soprannominato  Polito  , 

uomo  che  grande  tenessi  |>e' grandi  genitori:  certamente 

era  stalo  padre  di  lui    più,  importano, 

conte  sarebbe  il  buon  ordine  della  moltitudine,  e che 

la  cosa  stessa  apparisca  utile  a tutti , rimovendo 

dalla  città  la  ingiustizia  e la  soverchieria  che  vi  do- 

mina, e rendendo  l’  antica  forma  al  governo;  in  tal 

caso  sbattuti  quelli  che  ora  inorgogliano  , e gettate 

le  armi,  verranno  a noi  tra  non  molto  per  saldarne 

le  ingiurie,  e trattare  la  pace  : e noi,  ciocché  i savj 

tutti  desiderano  , potrein  finir  senza  le  armi , la 

guerra  con  essi.  Or  ciò  considerando,  poiché  sì  grave 

tra  le  mura  è la  turbolenza  ; io  giudico  che  debbasi 

per  ora  sospendere  ogìti  cura  di  guerra,  e concedere 

a chi  vuole  di  proporre  mezzi  di  concordia  , e buon 

ordine  interno.  Noi  chiamati  da  queste  magistrato 

non  abbiamo  potuto  già  prima  di  essere  addotti  a 

questa  guerra , consultare  su  lo  stato^  de’  nostri  pub- 

blici affari,  e conoscere  se  scóncio  alcuno  ci  avesse. 


Ed  ora  assai  riprensibile  sarebbe  chi,  lasciata  la 

occasione  , •cercasse  di  altro  discorrere  : e niuno  dir 

può  con  sicurezza  che  trascurato  questo  tempo,  come 



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3ao  DELLE  Antichità’  romane 


men  congruo,  un  altro  ne  avremo  pià  acconcio.  Anzi 

se  alcuno  vuol  concludere  V avvenire  dal  passato  ; 

trascorrerà  gran  tempo  senza  che  possiamo  qui  riu- 

nirci per  deliberare. 


IX.'  Io  prego  te  , Appio  , e voi  tutti  presidenti  di 

Honta , voi  che  dovete  provvedere  non  al  bene  vostro 

privato  , ma  a quello  Ai  tutti , a non  corucciarvi , se 

io  parlo  secondo  la  verità , non  secondo  il  genio  vo- 

stro. Voi  dovete  por  mente , che  io  parlo  , non  per 

malignare,  o vilipendere  il  vostro  magistrtUo;  ma  per 

additare  , se  pur  vi  è , una  via  di  salvare , e diri- 

gere la  repubblica  , dopo  mostratine  i /lutti  da’  quali 

è sbattuta.  Quanti  han  cara  la  patria,  debbono  forse 

qui  tutti  discorrere  dell’  util  comune , ma  io  princi- 

palmente. Imperocché  io  debbo  per  la  onorificenza 

fattami  dar  principia  ad  opinare  : e saria  vergogna 

e stoltezza  grande,  se  io  che  sorgo  il  primo  non  di- 

cessi le  cose  che  prime  son  da  correggere  : Appresso 

trovandomi  io  zio  paterno  di  Appio  il  capo  decem- 

viro,  accade  che  più  di  tutti  mi  consolo,  o rattristomi 

secondo  che  bene  o non  bene  governano  la  repub- 

blica. Aggiungi  che  ho  io  ricevuto  da’  maggiori  miei 

la  civil  consuetudine  di  curare  anzi  l'  utile  -pubblico 

che  il  mio  , senza  guartlare  a privati  pericoli  ; nè  io , 

la  tradirò  io  questa  civil  consuetudine , nè  profanerò 

le  gesta  di  que'  valentuomini.  Orjt , che  il  governo 

presente  male  a .noi  si  conviene  anzi  che  incomoda  , 

direi  quasi  tutti  ; siane  questo  l’  argomento  gravissi- 

mo , che  quanti  trattavano  le  cose  civili  ( nè  già  po- 

tete voi  soli  ignorarlo  ) ràiransi  ogni  giorno  da  Ho - 



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LIBRO  XI.  3ai 


ma,  lasciando  le  paterne  case  deserte.  Qual  de' plebei 

più  rìguardevoli  trasferisce  la  propria  sede  colle  mo- 

gli  e co' figli  nelle  città  più  vicine , e quale  nelle 

campagne  più  lontane  da  Roma  : E molti  de'  patrizj 

nemmen  essi  in  città  se  ne  vivono,  ma  li  più  si  di- 

morano per  le  campagne.  Ma  che  giova  parlare  degli 

altri  j quando  appena  in  città  se  ne  stanno  alcuni 

pochi  senatori  uniti  a voi  per  amicizia  o per  sangue, 

e cercan  gli  altri  la  solitudine  più  che  la  patria?  E 

quando  voi  v'aveste  il  bisogno  di  adunche  il  Senato, 

tornarono  invitati  ad  uno  ad  uno  dalle  campagne 

que'  dessi  che  solcano  insieme  co'  magistrati  guardare 

la  patria,  nè  mancare  mai  da  affare  niuno  della  re- 

pubblica. Or  tdie  pensate  voi  che  gli  uomini  ahban- 

donande  la  patria  fugano  i beni  o li  mali  ? certo 

che  i mali.  E t essere  abbandonata  da  plebei  , de- 

relitta da'  pevrizii  senza  incontri  di  guerra  , di  pesti- 

lenze , e di  altri  disastri  mandati  dal  deh  , , ella  è 

sciagitra  questa  non  seconda  a niuna  per  una  città, 

massimamente  per  Roma , la  quale  abbisogna  di 

molle  milizie , tutte  sue  ; se  vuoi  dominare  stabil- 

mente su'  vicini. 


X.  Folete  udir  voi  le  cagioni  che  riducono  i po- 

poli ad  abbandonare  i templi  e le  tombe  degli  avi , 

e lasciar  diserti  i poderi  e le  case  paterne' ^ e cre- 

dere ogni  altra  terra  più  necessaria  della  patria  ? 

Certamente  tali  cose  non  avvengono^  senza  cagioni, 

ed  io  sporrovele  queste , non  occulterowele.  Molte 

Appio  sono  le  accuse  e di  molti  sul  vostro  magi- 


DSOHKlJ  , tomo  III.  il 



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32  2 DELLE  AHTICHITA’  HOMANE 


strato  : vere  o false  che  siano  , noi  cerco  per  ora  : 

certo  che  vi  si  fatino.  Ninno  , se  non  del  vostro  se- 

guito j trova  il  ben  suo  nell' orditi  presente.  I ^andi, 

figli  pur  essi  di  grandi  , à quali  spettavano  i sacer- 

dozj , le  magistrature  , e gli  altri  onori  goduti  dai 

loro  padri , fremono  di  essere  da  voi  respinti  e tolti 

dalle  dignità  degli  antenati.  Quei  del  celo  di  mezzo 

che  cercati  la  calma  del  vivere  , v imputano  lo  spo- 

glio ingiusto  de  beni  loro , lamentano  il  disonore  che 

fate  alle  lor  mogli,  la  effrenatezza  verso  le  loro 

figliuole  nubili,  ed  altri  oltraggi  molti  e gravi:  e la 

parte  più.  bassa  del  popolo , non  più  arbitra  per  voi 

de'  voti  e delle  elezioni,  non  più  chiamata  alle  a4u- 

nanze , nè, partecipe  di  alcuna  civile  uguaglianza , ve 

ne  maledice  appunto  per  questo  , e tirannico  chiama 

il  vostro  governo. 


XI.  Ora  come  voi  correggerete  questi  abusi,  come 

la  lingua , incolpati  che  ne  siete  , accheterete  del  po- 

polo ? questo  è ciò , che  rimanemi  a dire.  Facciane 

il  Senato  previamente  il  decreto  : fate  che  il  popolo 

deliberi,  se  torni  a lui  meglio  ripristinare  i consoli, 

i tribuni  e gli  altri  magistrali  della  patria , o conti- 

nuare r ordin  presente  : se  tutti  i Romani  avran  caro 

il  comando  de'  pochi , e dinoteran  co’  lor  voti  , che 

ve  lo  abbiate  voi  questo  comando  ; voi  terrete  un 

magistrato  legittimo  , non  violento.  Ma  se  vorranno 

di  nuovo  i consoli,  di  nuovo  gli  altri  mostrati  ; voi 

sarete  decaduti  per  legge  , nò  più  crediate  dominare, 

se  ìton  da  tiranni  su  gli  eguali  , non  prendendo  gli 

ottimati  il  comando  , se  non  da'  cittadini  spontanei. 



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LIBRO  XI.  3a3 


E nel  far  questo  , o u4ppio , tu  dei  dar  principio  , c 

tu  disciogliere  un  comando  da  te  stahilUo , utile  un 

tempo  , ed  ora  noceyole.  E m’ odi  ciocché  ne  guada- 

gni, se  mi  ti  arrendi,  se  ne  deponi  codesto  malve- 

liuto  comando.  Se  li  tuoi  colleghi  a ciò  s’ indurranno'; 

ciascwi  dirà  che  buoni  fatti  su  /’  esempio  tuo  vi  si 

indussero  t laddove  se  questi  si  ostinano  a tenere  un 

dominio  illegittimo  ; sarai  tu  benedetto  che  volesti , 

altnen  solo  , compiere  il  giusto  ; mentre  i contumaci 

saran  con  infamia  e danno  gravissimo  degracUtti.  Che 

se  mai  ( lo  che  potria  ben  essere  ) fermato  v'  aveste 

infra  voi  secreti  trattali  e parole  , pigliandovi  i Dei 

per  mallevadori , fa  pur  conto  che  siasi  empietadv 

osservarli , e vera  pietà  vilipenderli , come  contrarf 

ai  cittadini , e alla  patria.  Imperocché  sogliono  i numi 

esser  presi  mallevadori  su  gli  accordi  buoni  e giusti; 

non  su  gV  ingiusti  e vergognosi. 


XII.  Che  se  tu  esiti  lasciare  il  comando  per  timor 

de'  nemici , sicché  non  ten  venga  pericolo , nè  sii 

stretto  a dar  conto  delle  opete  tue  ; certo  non  è ra- 

gionevole questo  timore.  Non  è sì  picciolo  , non  sì 

sconoscente  il  Romano  da  ricordare  i tuoi  sbagli  , c 

scortlarc  i tuoi  benefizj  : ma  contrapponendo  i beni 

presenti  ai  mali  passati  giudicherà  degni  questi  di 

perdono  , c quelli  di  lode.  Potrai  tu  rappresentare 

al  popolo'  le  tante  belle  tue  gesta  innanzi  del  Decem- 

virato , ed  in  .vista  di  queste  ottenerne  ajuto  e sal- 

vezza , e difenderti  in  più  modi  dalle  accuse , come 

ad  esempio , che  non  eri  tu  che  abusavi , ma  un  altro 

senza  tua  saputa;  che  non  bastavi  a reprimerlo  come 



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3a4  , DELLE  antichità’  romane 

tuo  pari:  o che  eri  necessitato  a soffrire  per  areme 

altra  cosa  più  utile.  Ma  troppo  lungo  sarebbe  il  di- 

scorso , se  numerare  volessi  tutti  i modi  delle  difese. 

Coloro  che  non  han  discolpa  niuna  giusta , nè  plau- 

sibile , pur  confessando  il  delitto  , e raccomandan- 

dosi, ammolliscono  il  cuor  degli  offesi , con  allegare 

il  poco  giudizio  degli  anni , la  pravità  de'  tompagnì , 

la  vastità  del  comando,  o la  sorte  che  travia  ne  cal- 

coli loro  tutti  i mortali.  Or  tu  se  deponi  il  comando, 

tu  n avrai , lo  prometto , amnistia  generale  de’  man- 

camenti , e riconciliazione  col  popolo , decorosa  in 

mezzo  de'  mali. 


XIII.  Ma  io  temo , che  il  pericolo  siati  pretesto 

non  vero  a non  lasciare  il  comando  ] essendo  a mille 

riuscito  di  rinunciar  la  tirannide  , nè  scontrarne  al- 

cun danno  da  cittadini.  Le  cagioni  non  dubbie  sono 

un  ambizione  vana  che  cerca  le  apparenze  di  una 

gloria  vera , una  propensione  pe'  rei  piaceri , quali  il 

vivere  concedegli  de’  tiranni.  Ma  se  pià  che  andar 

dietro  alte  immagini , e alle  ombre  degli  onori , e 

de’  piaceri  , ne  vuoi  tu  ciò  che  è solido;  rendi  alla  pa- 

tria la  tua  preminenza , ricevi  le  dignità  dagli  eguali 

tuoi  , acquistati  la  emulazione  de’  posteri , e lascia 

loro  in  luogo  del  mortala  tuo  corpo  , sempiterna  la 

fama.  Questi  sono  gli  onori  fondati  e veri , questi 

gt  indelebili  e cari  nè  rincrescevoli  mai.  Pasci  V animo 

ti.'o  de’ beni  della  patria:  già  non  parrai  di  aver- 

glìt.^e  dato  la  menorna  parte,  liberandola  da  signo- 

ria ce'ti  dura.  Prendi  esempio  dagli  antenati , consi- 

dera chs^  niun  d’ essi  mise  affetto  ad  un  potere  di- 



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LiBBO  XI.  3a5 


spotico  ^ nè  fu  lo  schiavo  vilissimo  de  piaceri  del 

corpo  ; eppur  furono  onorati  in  vita  , e morti  sono 

celebrati  da  posteri  ; giacché  tutti  fan  loro  testùno- 

niama  , che  furon  custodi  fidissimi  delC  aristocrazia  ^ 

che  Roma  fondò , dopo  espulsi  i monarchi.  Non  di- 

menticare  i detti  ^ non  i fatti  tuoi  gloriosi;  perciocché 

belle  pur  furono  le  prime  tue  mosse  nella  repubblicUf 

e pur  grandi  per  la  speranza  ^ che  davano  della  tua 

virtù.  Deh  ! che  siano  consentanee  ancor  le  altre  tue 

opere.  Deh  ! ritorna  a quella  indole  tua  Jlppio  fi- 

gliuolo : sii  nel  genio  del  governo  un  ottimate  , non 

un  tiranno.  Fuggi  quelli , che  adulando  , ti  parlano , 

quelli  pe'  quali  , se’  lungi  dalle  utili  istituzioni  , er- 

rante dal  diritto  sentiero,  già’  wotr  È rzRtstitiLE , 

CHS  AtTSt  SIA  DI  SSL  HVOrO  SXWDUTO  BDOIfO  , DA 

CHI  già’  FSSSIXO  lo  RStfDk. 


Xiy.  Quante  volte  dir  ti  volli  tali  cose  da  solo  a 

solo  j per  instruirviti  dove  le  ignoravi , o per  ammo- 

nirtene, dove  vi  mancavi!  Nè  già  venni,  per  ciò  sola 

una  volta  in  tua  casa,  ma  i servi  tuoi ,me  ne  riman- 

darono , e con  dire , che  non  avevi  tu  ozio  da  inti'at- 

tenerd  con  un  tuo  congiunto  ; ma  clu:  avevi  a fare 

cose  più  necessarie  ; seppur  v è cosa  più  necessaria 

della  pietà  verso  i suoi.  Forse,  i tuoi  servi , ciò  co- 

noscendo y mi  vietarono  di  per  sé  stessi  t entrata , e 

non  per  tuo  comando.  E ben  io  vorrei,  che  così  fosse. 

Certamente  questo  mi  ridusse  a parlarti  di  ciò.  che 

io  volea  nel  Senato , non  avendolo  mai  potuto  da 

solo  a solo.  Ma  .le  buone  , e le  utili  cose  dovunque, 

0 rippùj  y son  da  dire  tra  gli  uomini,  piuttosto  che 



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'JaG  DELLE  Antichità’  romane 


sempre  tacerle.  E che  io  a le  rendessi  gli  ojfizj  do- 

vuti alla  nostra  prosapia  ; ne  attesto  gl'  Iddj  de'  quali 

noi  dell’ Appio  sangue  veneriamo  i templi  e gli  altari 

con  sagrifiej  comuni:  ne  attesto  i genj  degli  antenati, 

a’  quali  porgiamo  del  paro  gli  onori  secondi , e li 

ringraziamenti , dopo  de’  numi  : e soprattiMo  attesto 

questa  terra,  la  qual  tiene  nelle  sue  viscere  il  padre, 

ed  il  fratello  mio  , che  io  dedicava  a te  la  vita  e la 

voce  per  sit^erire  il  tuo  meglio.  Pertanto  desideroso 

di  rettificare , per  quanto  io  posso  , gli  sbagli  tuoi  ti 

prego  a non  rimediare  male  con  male  } à non  per- 

dere le  cose  tue  mentre  aspiri  ad  altre  pià  gratuli  ; 

e finalmente  a non  dominare  agli  eguali  e a maggiori , 

ed  essere  dominato  da' pià  vili,  c più  tristi.  Se  noti 

che,  volendoti  io  ra^nar  di  più  cose  e più  a lungo, 

non  so  ridurmici  : perocché  se  Dio  ti  rivuole  a buon 

senno;  sóprawanzano  le  cose  anzidetle:  ma  seti  ab- 

handona  al  tuo  peggio  , sarebbero  indarno  , quante 

io  ne  aggiungessi.  Eccovi , o padri  coscritti , e capi 

tutti  di  Poma , il  mio  sentimento  per  dar  fine  alla 

guerra , ed  ordine  alla  repubblica  perturbata.'  Se 

altri  tien  cose  migliori  a ridirne  ; vincano  pure  te 

ottime. 


XV.  Cosi  disse  Claudio  ; assai  speranzandosene  i pa- 

«Iri , che  i Dieci  deporrebbero  il  loro  magistrato.  Non 

replicava  Appio  nulla  in  contrario  ; quando  fattosi  in- 

nanzi Marco  Cornelio  altro  Decemviro  disse  : Non  ab- 

bisognano, o Claudio,  i tuoi  consìgli:  su  Futile  no- 

stro provvederemo  noi  da  noi  stessi;  perocché  tale 

appunto  ò'  la  nostra  olà,  da  non  disconoscere  ciò 



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LIBRO  XI.  327 


che  ne  giova  , nè  scarsi  siamo  di  (uaici , età  consul- 

tar nel  bisogno.  Pertanto  dispensati  da  opera  intem- 

pestiva ; non  dare  o gran  veccJào  consigli , ove  non 

se  ne  richiedono.  Che  se  vuoi  di  cosa  alcuna  ammo- 

nire t o pià  propriamente  , inveire  su  di  Appio  ; in- 

veisci a tua  voglia  y ma  quando  se’  fuor  di  Senato. 

Quivi  entro  però  di  ciò , che  ten  pare  su  la  guerra 

t co’  Sabini , e con  gli  Equi  , circa  la  quale  se’  chiesto 

del  parer  tuo  ; e cessa  da  vaniloqui  fuori  di  argo- 

mento.  Sorse  a lai  voci  Claudio  nuovamente  tutto  me- 

sto, e pieno  gli  occhi  di  lagrime,  e disse:  Appio  o 

padri , Appio  , presenti  voi , non  reputa  me  , lo  suo 

zio  , degno  nemmeno  di  risposta.  Egli  precludemi , 

quanto  è da  esso , il  Senato , come  già  la  sua  casa. 

Anzi  levami , a dirlo  più  veramente , dalla  città  ; 

perocché  non  io  potrei  rimirarvi  di  buon  occhio  un 

indegno  degli  antentUi  , un  emulatore  de'  tiranni.  Io 

dunque  raccolti  i miei , e le  mie  cose  , vammene  tra 

i Sabini , per  abitarvi  la  città  di  Jiegillo , dond’  è la 

oiigine  mia , e tenermivi  finché  questi  trionfano  nel 

sì  bel  magistrato , ma  quando  ( nè  dee  molto  tarda- 

re ) fta  di  questo  decemvirato , ciocché  ne  antivedo  ; 

allora  tra  voi  mi  renderò.  Ma  ciò  basà  su  me.  Quanto 

alla  guerra , e sue  cose , consigliavi  o padri , che 

non  diate  sentenza  niuna , finché  i nuovi  magistrati 

non  si  abbiano.  Cosi  dicendo , e svegliando  grandi  ap> 

plausi  nel  Senato  pel  maschio  e libero  suo  spirito;  se- 

dette. E qi)i  rizzandosi  in  piede  Lucio  Quinzio  Cin- 

cinnato , Tito  Quinzio  Capitolino  , Lucio  Lucrezio , 

e lutti  i primari  1 senatori , seguirono  il  parere  di 

Claudio. 





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3a8  DELLE  antichità’  romane 

XVI.  Comarbatine  i coilegbi  di  Appio;  risolverono 

di  non  più  chiamare , a dir  la  sua  mente , niodo  io 

vista  degli  anni,  e dell’autorità  sua  nel  consigliare;  ma 

solo  in  vista  delia  intrinsichezza , e dell’  aderenza  con 

esso  loro.  E qui  procedendo  in  mezzo,  Marco  Cornelio 

fe’  sorgere  Lucio,  Cornelio  il  fratello  suo,  uomo  operoso 

nè  infacondo  nella  ragione  politica , e già  compagno  di 

consolato  a Quinto  Fabio  Vibulano , mentre  Fabio  era.  • 

console  per -la  terza  volta.  Ora  costui  sorto  disse:  Egli  r 

è mirabile  , o padri , che  uomini  di  tatua  età  quanta 

ne  kan  quelli  li  quali  hanno  prima  opinato , e li 

quali  cercano  primeggiar  nel  SeiuUo , portino  per 

gare  politiche,  un  odio  implacabile  ai  capi  dello  sta- 

to , quando  dovrebbero , quanto  è d'uopo  difenderli , 

animare  i giovani  a combattere  intrepidi  per  la  buona 

causa,  e tener  per  amici,  non,  per  nimici  i sosteni- 

tori del  pubblico  bene.  Ma  mollo  pià  mirabile  egli 

è,  che  trasferiscano  là  malvolenza  privata  alle  atse 

della  repubblica , e vogliano  anzi  perir  co’  nemici , 

che  con  tutti  gli  amici  salvarsi.  Eccesso  di  furore  , 

e direi  accecamento  divino  egli  è questo;  eppure  cosi 

li  capi  si  comportano  del  nostro  Senato.  Sdegnati 

questi  che  nel  concoirere  al  decemvirato,  che  ora  ac- 

cusano , furon  vinti  da  altri  che  apparvcr  pià  idonei , 

fan  loro  eterna,  irreconciliabile  guerra:  e sì  stolida, 

e sì  furiosa  ; da  ìovesciare  da  capo  a fondo  la  pà- 

tria, per  calunniare  presso  voi  li  Decemviri.  Vedon 

essi  la  nostra  regione  in  preda  a nemici  : vedono 

che  ornai  giungono  a Roma , giacché  breve  è lo  spa- 

zio che  ne  li  separa  ; ed  in  luogo  di  esortare , e di 



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LIBRO  XI.  339 


incitare  i giovani  a combattere  per  la  patria , e di 

soccorrerla  essi  stessi  con  tutta  la  diligenza,  e l’ or- 

dorè  , quanto  la  età  loro  ne  ammette  ; vogliono  che 

ora  voi  provvediate  ad  ordinare  il  governo , a creare 

nuovi  magistrati , e far  tutto  piuttosto-,  che  conqui- 

dere gC  inimici  : nè  san  vedere  che  danno  sentenze  , 

anzi  che  tengono  desiderj  impossibili. 


XVII.  E certo , fate  cosi  ragione  : il  Senato  emani 

il  decreto  de'  comizj  : i Decemviri  lo  riferiscano  al 

popolo  , destinando  il  giorno  del  terzo  mercato  dal 

giorno  presente  ) perocché  -,  e come  staà  mai  valido 

ciocché  si  vota  dal  popolo  j se  non  compiasi  a norma 

delle  leggi  ? Poi  quando  abbiano  le  tribà  dato  il 

voto  , prendano  i nuovi  magistrati  la  repubblica  , e 

propongano  a voi  la  guerra  perchè  ne  discutiate.  Se 

in  tempo  sì  grande , quanto  ve  n ha  da  ora  ai  co- 

mizj, si  avanzino  intanto  i nemici,  e vengano  fino 

alle  mura;  noi  che  faremo,  o Claudio?  Diremo  loro: 

« atpettate  per  Dio , finché  ci  avrem  fatti  nuovi  magi* 

a straM  ? Certo  Claudio  suggerìvaci  a non  decretare , 

a nè  riferire  mai  cosa  al  popolo  , nè  scriver  le  leve  , 

a se  prima  non  siasi  deciso  come  vogliamo  su'  magi- 

a strati.  Itene  dunque,  e quando  udirete  creati  ì con- 

a soli , creati  i magistrati , e tutto  pronto  per  le  armi 

a tornate  allora  per  trattare  con  noi  della  pace  ; giac- 

B cbè  voi  senza  essere  offesi  da  nei  d avete  i primi 

a oltraggiato  ; e d ricompenserete  , secondo  la  giusti* 

a zia , in  danaro  i danni  delle  vostre  incursioni  : non 

a però  vi  conteremo  le  stragi  degli  agricoltori , non  le 

a inginrie , e le  insolenze  sperimentate  da  femmine  in* 



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33o  DELLE  Antichità’  romane 

M g«uuc,  nè  altro  male  insanabile  ».  Ed  essi  li  nemici 

a tal  nostro  invito  useranno  moderazione  , e lasciato 

che  la  repubblica  crei  li  nuovi  maestrali,  e faccia 

gli  apparecchi  di  guerra  ; tomeran  poi  portando  ùi 

luogo  delle  armi , suppliche  per  la  pace  ; ed  arren» 

dendo  a voi  sè  medesimi. 


Xyni.  O pur  stolti  coloro  d-  quali  van  pel  pen- 

siero tali  delirj  ! e milènsi  noi  se  non  ci  corucciamo 

con  quei  che  li  propongono:  anzi  sosteniamo  di  udirli, 

quasi  consultino  su  nemici , non  su  la  patria  e su 

noi!  Che  non  leviamo  di  mezzo  i cianciatori  sì  fatti? 

che  non  decretiamo  sul  punto  , che  marcisi  a difen- 

dere il  territorio  , il  quale  ci  si  devasta  ? che  non 

armiamo  quanti  vi  sono  idonei  de  cittadini  ? anzi , 

che  non  portiamo  le  armi  contro  le  città  loro  ; ma 

ce  ne  stiamo  qui  a bada,  ed  accusando  i Decemviri, 

ideando  nuovi  magistrati , e discutendo  forme  di  go- 

verno , lasciamo  quant'  è nelle  nostre  campagne,  come 

nella  pace  , esposto  al  nemico  ? Che  sì  ; che  infine  , 

se  permetteremo  che  la  guerra  giunga  alle  mura  , 

corriamo  noi  rischio  di  essere  schiavi , e che  ne  sia 

lì  orna  stessa  distrutta.  Non  sono  queste  , o padri 

coscritti,  le  maniere  di  uomini  sani,  non  le  maniere 

di  una  social  provvidenza , la  quale  antepone  al  ben 

pubblico  gli  odj  privati  ; ma  le  maniere  piuttosto  tli 

una  contenzione  intempestiva , di  un  disamar  sconsi- 

gliato, di  una  invidia  sciaurata,  la  qual  non  lascia 

esser  savio  chi  ne  vieti  preso.  Tacciano  per  Dio  le 

controversie  ; che  tenterò  di  esporre  ciò  che  avete  a 

decretare  salutevole  per  la  patria , ed  espediente  per 



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. LIBRO  XI.  33 1 


1*01 , come  terribile  pe’  nemici.  Stabilite  ora  la  guerra 

co*  Sabini  f e cogli  Equi  : arrolate  diligentissinù  e 

prontissimi  le  milizie  da  guidare  contro  ambedue  : e 

quando  la  guerra  abbia  avuto  buon,  termine  , quando 

siansi  in  città  ricondotte  le  milizie  ^ quando  sia  già 

rinata  la  pace  ; allora  volgetevi  ad  ordinare  il  go- 

verno , allora  chiedete  conto  dai  dieci  delle  opera- 

zipni  loro  nel  mostrato  , allora  createvi  nuovi  ma- 

gistrati , fondatevi  nuovi  tribunali  ; e quando  da  voi 

dipendono  queste  cariche  onoratene  i personaggi  che 

ne  son  degni  ; avvertendo  , che  pud  tboppo  non  seb» 


FONO  I TEMPI  Alts  COSE  MA  LE  COSE  AI  TEMPI. 

Spiegatosi  Cornelio  in  questa  sentenza  vi  aderirono, 

toltine  pochi,  anche  gli  altri  che  dopo  lui  ragionarono, 

altri  perchè  la  stimavano  necessaria , come  -convcnien' 

lissima  a'  fatti  presenti , ed  altri  perchè  piegavansi  e 

blandivano  i Dieci  per  timore  delia  loro  autorità  , la 

quale  avea  costernato  non  picciofa  parte  de’  padri. 


XIX.  'Alfine  essendosi  opinato  dalla  più  parte,  e cora* 

parendo  quelli  che  volcano  la  guerra  superiori  di  nu- 

mero agli  altri  ; invitaron  tra  gli  ultimi  a dire  Lucio 

Valerio , quello  che  volea  fin  da  principio  proporre  la 

sentenza  sua , ma  se  fu  ritardato , come  già  scrissi.  Or 

costui  sorgendo  tenne  questo  ragionamento  : Fedele  , o 

padri  j C inganno  dei  Dieci]  Non  permisero  questi 

che  a voi  favellassi , com'  io  volea , nel  principio  , 

ed  ora  tra  gli  ultimi  mel  permettono  ! quando  pen- 

dano che  io  punto  non  giovi  la  repubblica,  sebbene 

io  segua  il  partito  di  Claudio  , perchè  ben  pochi  vi 

si  appigliarono.  Che  se  io  mi  dichiaro  per  altro  con- 



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33 2 DELLE  Antichità’  bomane 


sigilo  , sia  quanto  si  vuole  bonissimo , ne  sarò  va- 

nissimo difensore  ove  io  contraddica  gli  espósti  da 

loro.  Annoverar  si  possono  facilmente  quei  che  dopo 

me  sorgeranno  per  dire  : e quando  pure  consentano 

tutti  con  me,  che  può  mai  risultarmene , non  facendo 

essi  nemmen  picciola  parte  rimpetto  ai  fautori  di 

Cornelio  ? Ma  sebbene  io  ciò  veda  ; pur  non  dubito 

dire  il  mio  sentimento:  a voi  si  spetta,  quando  udito 

lo  avrete  , di  volgervi  al  meglio.  Quanto  al  Decem- 

virato , e le  cure  sue  del  ben  pubblico^  concepite  che 

io  ven  dica  le  cose  tutte,  che  il  prestantissimo  Clau- 

dio ven  diceva  : e che  debbesi  far  nuovi  magistrati 

prima  che  votisi  per  la  guerra,  giacché  pur  questo 

chiedea  con  purissimo  'fine  quel  valentuomo.  Tentò 

Cornelio  mostrarvi  impossibili  i cos/.ui  su^erimenli  , 

pretestando  il  gran  tempo  che  abbisognavi  per  le  civili 

r forme , quando  la  guerra  ne  ò sopra.  Egli  mise  in 

burla  , cose  niente  burlevoli , e con  ciò  commosse  , 

ed  ebbe  molti  di  voi:  ma  io,  fofò  vedervi,  che  non 

è impossibile , no , - la  sentenza  di  Claudio  ; come 

niuno  di  quanti  la  derisero  osò  dirla  nocevole  : e vi 

mostrerò  come  salvisi  il  territorio ,' e puniscasi  chi 

temerario  danneggialo  : come  ristabiliscasi  intanto  il 

comando,  che  era  qui  degli  ottimati;  e come  tutto  si 

compia , cooperandovi  i cittadini , senza  che  niuno 

tenti  il  contrario.  Nè  sarà  già  questa  una  mia  sa- 

viezza ; ma  io  non  vi  addurrò  se  non  gli  esempli  di 

cose  operate  da  voi;  imperocché  qual  luogo  hanno 

tnai  gli  argomenti  dove  la  sperienza  stessa  ne  am- 

maestra su  ciò  che  giova  ? 



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LIBRO  XI.  333 


XX.  Fi  ricorda  che  i popbli  stessi  che  ora  le  man- 

ti a/w  , spedirono  ancora  milizie  in  un  tempo  stesso  , 

già  è r mino  nono  o decimo^  su  le  terre  nostre  e de^ 

gli  alleati,  sotto  i consoli  Cajo  Nauzio,  e Lucio  A/i* 

maio  F Foi  mandando  allora  molta  florida  gioventà 

contro  i due  popoli  ; f uno  de' consoli  ridotto  a trio- 

cerarsi  in  luoghi  disastrosi,  non  potè  far  nulla , anzi 

videsi  assediato  nel  >suo  campo  medesimo  , e,  sul  ri- 

schio di  esservi  preso  per  la  penuria  de'  viveri.  Nau- 

zio  poi  contrapposto  a'  Sabini,  impegnato  da  battaglie 

continue,  non  potea  nemmeno  accorrere  verso  i suoi 

che  pericolavano  : non  ignoravasi  che  se  periva  V e- 

sercito  contro  degli  Equi,  non  avrebbe  nemmeno  po- 

tuto resistere  V altro  contro  de’  Sabini , riunendosi 

insieme  i nemici.  E fra  tanti  pericoli  intorno  della 

città  , mentre  nemmen  ci  avea  nelC  interno  suo  la 

concordia , qual  rimedio  voi  ritrovaste  ? Congregativi 

su  la  mezza  notte  in  Senato  ( lo . che  giovò  sicura- 

mente ogni  cosa , e dirizzò  la  patria  che  rovinava 

ornai  miseramente  ) , creaste  un  magistrato  solo  , ar- 

bitro della  guerra  e della  pace,  sospendendo  tutti 

gli  altri  ; e prima  che  fosse  giorno , ebbesi  un  ditta- 

tore neir  ottimo  Lucio  Quinzio  , sebbene  si  trovasse 

allora  non  in  città,  ma  in  campagna.  Foi  ben  sapete 

le  imprese  operate  dipoi  dal  valentuomo , come  ap- 

prestò forze  idonee , liberò  V armata  che  pericolava  , 

e punì  gV  inimici,  pigliandone  fino  il  duce  prigioniero. 

E fatto  ciò  con  soli  quattordici  giorni , e riparlato 

quan^  altro  pur  v era  di  male  nella  repubblica , de- 

pose il  comando.  Così  niente  impedì,  volendolo  voi 



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334  DELLE  Antichità’  noiviANE 

che  si  creasse  il  imovo  magistrato , solamente  in  un 

giorno  ; e così  dovete  > credo , imitarne  V esempio  , e 

scegliere , poiché  altro  non  potete , un  dittatore , pri- 

ma che  di  quivi  usciate.  Se  trapassiam  questo  tempo , 

i Dièci  non  pià  vi  aduneranno  per  consultazione  al- 

cuna. E perchè  sia  il  dittatore  nominato  legittima- 

mente eleggete  un  interré  nel  pià  idoneo  de  cittadini; 

come  solcasi  fare  quando  i re  mancavano  , o li  con. 

soli , nò  si  aveano  affatto  , come  ora  non  le  avete , 

legittime  autorità.  Spirato  che  fosse  per  questi  il 

tempo  del  comarulo  ; la  le^e  a sé  ne  richiamava  i 

poteri.  Or  questo  o padri,  che  è sì  fattibile  ed  utile, 

è ciò  che  vi  eswlo  di  fare.  La  opinion  di  Cornelio 

porta  la  dissoluzion  manifesta  del  comando  degli  ot- 

timati ; imperocché  se  i Dieci  divengano  una  volta 

padroni  delle  arme  per  tale  occasione  di  guerra  ; 

temo  che.  valercnisene  contro  di  noi.  (^uei  che  non 

voglion  deporre  i fasci  ,-  depotranno  essi  mai  le  ar- 

mi f Considerate  ciò  : "'guardatevi  da  tali  uomini  ; 

provvedete  contro  tutti  gC  inganni  ; poiché  vai  meglio 

provveder  che  pentirsi;  cotne  é cosa  pià-  savia  discre- 

dere gli  empj  ; che  , credutili , accusarli. 


XXI.  Piacque  il  dir  di  Valerio  ai  più  come  potè  ri- 

levarsi dalle  voci  loro  e da  quelli  che  sorsero  dopo  di 

lui  ; perciocché  doveano  opinare  ancora  i giovani , e 

questi , eccetto  pochi , lenean  per  bonissitno  ,quel  con- 

siglio. Cosi  quando  tutti  ebbero  opinato  , e le  delibe- 

razioni aver  dovevano  un  termine  ; Valerio  chiese  che 

i decemviri  proponessero  la  ritrattazion  dei  pareri  , c 

che  di  nnovo  s invitassero  a dire  tutti  i senatori  ; c 



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UBRO  xj.  ■ 335 


persuase  ciò  fàcilmente  , volendo  molti  di  loro  cangiar 

eli  partito.  Cornelio  che  avea  consigliato  che  si  desse  a 

decemviri  il  tornando  deHa  guerra , opponeasi  poten- 

tissimamente;  dicendo  esser  questo  un  affare  già  discus- 

so , e portato  giurìdicamente  al  suo  fine  col  voto  di 

tutti  : pertanto  si  annoverassero  i voti  nè  cosa  ninna  si 

rìnovasse.  Alternavansi  tali  detti  ostinatamente  a gran 

voce  da  ambe  le  parti,  essendone  scisso  il  Senato;  pe- 

rocché tutti  quelli  che  voleano  riformato  il  disordiu  ci- 

vile , favorivan  Valerio  ; ma  peroravano  per  Cornelio 

quanti  preferivano  il  peggio  , e-  temeano  de’  perìcoli  da 

un  cambiamento.  I decemviri  presa  occasione  di  fare  a 

lor  modo  per  la  turbolenza  del  Senato  , si  -attennero  al 

parer  di  Cornelio.  Ed  Appio  , quell’  uno  di  essi , re- . 

catosi  in  mezzo  disse  : JVoi  v abbiamo  qua  convocati 

o padri  perchè  deliberaste  su  la  guerra  cogli  Equi  e 

co’  Sabini , e per  questo  abbiam  /alto  che  interlo- 

quissero quanti  il  volevano  ^ chiamando  voi  tutti  dal 

primo  aia  ultimo , ciascuno  ordinatamente  , al  suo 

tempo.  I tre  uomini • Claudio , Cornelio,  e Valerio  in 

fine , ne  diedero  tre  pareri  ; e voi  tutti , quanti  altri 

qui  restavate  , li  ponderaste  : e ciascuno  , udendolo 

tutti,  espose  il  partito  al  qual  si  appigliava  Tutto 

fu  a norma  delie  leggi  : ed  essendo  ai  pià  di  voi 

parato  che  Cornelio  abbia  presentata  la  sentenza  mi^ 

gliore  ; dichiariamo  che  questa  prepondefa  ; e scritta 

Ut  pubblicfdamo.  f^alerio  e ti' suoi  partitoni,  annul- 

lino se  vogliono , ma  quando  sian  consoli , i giudizj 

già  finiti  : ed  invalidino  le  sentenze  già  firmale  da 

tutti.  E'  cosi  dicendo  , c comandando  che  io  scriba  le- 



336  DELLE  Antichità’  romane 


gesse  3 decreto  del  Senato  , col  quale  ordinava»  che  i 

dieci  làcesser  la  leva  delle  milizie  , e ammiuistrasser  la 

guerra  ; sciolse  1’  adunanza.  ■ 


XXII.  Quei  della  panie  decemvirale  ne  andavano 

dopo  ciò  superbi  e gonfi  , come  vincitori , e come  riu- 

sciti con  esser  gli  arbitri  delie  arme  , nell’  intento , che 

non  si  abolisse  il  loro  comando.  Per  contrario  quelli 

che  aveano  voluto  il  bene  della  repubblica  suvansi  ti- 

midi e mesti;  come  se  non  più  ne  sarebbero  gli  arbitri 

in  maneggio  ninno.  Dond’  è che  si  divisero  con  risolu- 

zioni diverse  ; riducendosi  i meno  ' generosi  per  indcde 

a concedere  tutto  ai  vincitori , e consociarvisi  ; laddove 

i men  paventosi  teneansi  in  placida  vita  lontani  dalie 

pubbliche  cure  ; e li  più  eccelsi  di  spìrito  faceansi  ua 

seguito  proprio,  intenti  a difènder  sestessi,  e trasmutare 

il  governo.  Capi  di  queste  unioni  erano  Lucio  Valerio 

e Marco  Orazio  , que’  dessi  appunto  che  intrepidi,  pro- 

posero i primi  al  Senato  di  ritogliersi  al  decemvirato  : 

e questi  custodivano  la  propria  casa  colle  armi , e se- 

stessi con  valida  guardia  di  'clienti  e .di  servi  per  non 

patir  violenza  , e non  mostrar  di  temerla  insidiosa  o 

palese.  Quelli  che  non  voleano  in  Roma  part^giar  coi 

più  forti  , nè  brigarvisi  in  cure  pubbliche , nè  giudica- 

vano intanto  ben  fatto  di  starvi  in  ozio  indolente  ; ne 

uscivano  , . parendo  loro  cosa  non  facile  di  vincere  i 

dieci  colle  arme,  anzi  impossibile  di  abbatterne  la  grande 

potenza  ; ed  era  lor  condottiero  1’  insignissimo  uomo 

Ca)o  Claudio,  lo  zio  di  Appio  Clandio  capo  decemviro^ 

il  quale  adempiva  le  promesse  fatte  in  Senato  al  figlio 

del  fratello  quando  stimolavalo  a deporre  3 comando. 



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LIBRO  xr.  , 337 


ne  T«  Io  indusse  (1).  Lui  seguivano  torbe  di  amici  e 

clienti;  ma,  datovi  da  esso  il  principio,  abbandonarono 

la  patria  ancor  altri  colle  mogli  e co’  Ggli , non  già  di 

nascosto  ed  in  pochi;  ma  a moltitudini  ed  in  pubblico. 

Altronde  i compagni  di  Appio  indispettiti  del  fatto  si 

misero  ad  impedirlo,  cbiudendo  le  porte,  e ritraendone 

alquanti  de’  profughi.  Ma  poi  venuti  in  paura  , che  gli 

impediti  si  rivolgessero  alla  forza  , e considerando  più 

rettamente  come  era  meglio  che  uscissero  che  rimanes- 

sero, nemici  loro,  a conturbarli;  spalancarono  le  porte, 

e lasciarono  andarne  quanti  mai  vollero;  incolpatili  però 

come  disertori  , ne  invasero  le  case , i poderi  , ed  ogni 

cosa  non  potata  portar  via  per  l’esilio,  apparentemente 

a conto  del  fisco , ma  in  sostanza  beneficandone  i loro 

fautori,  quasi  comperata  l’avessero.  Or  tali  imputazioni 

date  a’  primarj  esasperarono  più  ancora  i patrizj  e i 

plebei  contro  ai  decemviri.  Nondimeno  se  qiiesti  non 

aggiungevano  novi  errori  ai  già  detti;  parmi  che  avreb- 

bero tenuto  ancora  lungo  tempo  il  comando.  Imperoc- 

ché stavasi  ancora  in  città  la  sedizione,  mallevadrice  del 

poter  loro , cresciuta  da  tanto  tempo , e per  tante  ca- 

gioni : le  quali  facevano  esultare  a vicenda  gli  uni  pei 

mali  degli  altri  ; li  plebei  perchè  vedevano,  mancato  il 

cuor  ne’  patrizj  , e nel  Senato  ogni  arbitrio  su  la  re- 

pubblica; e li  patrizj,  perchè  vedevano  il  popolo  ridotto 

in  tutto  senza  libertà  e senza  forze  , fin  d’ allora  che  i 

dieci  gli  tolsero  l’autorità  de’ tribuni.  Ma  perciocché  tali 

decemviri  nè  moderali  in  campo,  nè  prudenti  ìu  Roma, 

(1)  Vedi  S i5  di  questo  libro.  4 v 


ptONlGl  > ITI’  , la 



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338  DEI.LE  antichità’  ROMANE 

iasistevaDO  con  assai  durezza  centra  l'uno  e Tallro  par* 

ti(o,  lo  astrinsero  infine  a riunirsi,  e deporli  colle  arme 

stesse  , avute  per  la  guerra.  Tali  poi  furono  gli  ulllmi 

delitti  pe’  quali  svergognato  il  popolo  , ne  infuriò. 


XXIII.  Dopo  che  ebbero  stabilito  .in  Senato  il  de» 

creio  per  la  guerra  ; descrissero  in  fretta  le  milizie  , e 

divisele  in  tre  parti,  ne  serbarono  due  legioni  per  guar* 

dia  deir  interno  della  città.  Piesedeva  a queste  due  Ap* 

pio  Claudio  il  capo  decemviro  insieme  uon^  Spurio  Op* 

pio.  Intanto  Quinto  Fabio  , Quinto  Poeteiio  e Manio 

Rabuleio  nè  andarono  con  tre  legiodi  contro  de' Sabini: 

partirono  con  altre  cinque  per  la  guerra  .contro  degli 

Equi  Marco  Cornelio  , Lucio  Minucio  , Marco  Sergio  , 

Tito  Antonio , e Cesone  Duvilio  finalmente.  Militarono 

con  essi  le  truppe  latine  , e di  altri  alleati  , non  meno 

numerose  delle  romane.  Ma  con  tantb  milizie  urbane , 

con  tante  ausiliarie  , niente  riuscì  loro  secondo  il  dise- 

gno. Imperocché  li  nem'tci  spregiandoli  come  nuove  re* 

clute  , si  accamparono  vicinissimi  a loro;  e ne  invade- 

vano i viveri  che  erano  ad  èssi  portati  , insidiando  le 

strade  , e gli  assalivano  mentre  uscivano  ai  pascoli.  E 

se  mai  venivano  ordinati  alle  mani,  cavalieri  con  cava- 

lieri, e fanti  con  fami;  riuscivano  da  per  tutto  vincitori 

i nemici  ; perocché  non  pochi  Romani  mandavano  alla 

peggio  ogni  cosa  , indocili  al  capitano  , come  restii  per 

combattere.  Quelli  che  erano  tra’  Sabini , renduti  sav) 

da  mali  minori,  deliberarono  da  seslessi  di  abbandonare 

il  campo:  e levandosene  circa  la  mezza  notte  ripassarono 

con  una  ritirata  , simile  ad  una  fuga,  dal  territorio  ne- 

mico nel  proprio;  fino  a Crustumero,  città  nou  lontana 



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tiBno  jfi.  339 


da  Roma.  Gli  altri  che.  teneano  il  campo  nell’  Algido 

della  regione  degli  Equi,  ne  riceverono  ancor  essi  non 

poebe^  percosse.  Ma  ostinandosi  incontro  a’ pericoli,  quasi 

a riaversi'  dalie  perdite , incorsero  in  danni  lagrimevoli. 

Imperocché  spintisi  i nemici  su  loro , cacciarono  quelli 

che  erano  in  guardia  degli  steccati;  e salite  le  trincee  , 

occuparono  il  campo , e vi  uccisero  i pochi  che  resi- 

stevano , uccidendone  anche  più  nell’  inseguirli.  Quelli 

che  scamparono  colla  fhga,  feriti  in  gran  parte,  e quasi 

tutti  privi  di  arme,  ripararonsi  al  Tuscolo.  Del  resto 

tende , giumenti , danari , schiavi  e tutti  gli  altri  appa- 

recchi furono  preda  ai  nemici.  Saputasene  in  Roipa  la 

nuova  i nemici  del  decemvirato  , quelli  ancora  che  ne 

occultavano  1 odio,  si  dichiararono,  esultando  su  la  rea 

condotta  de’  capitani.  E già  grande  era  Ja  moltitudine 

presso  di  Orazio  e di  Valerio,  capi  , come  fu  detto, 

de'  crocchi  aristocratici. 


XXIV.  Appio  e Spurio  somministrarono  a quelli  che 

comandavano  in  campo  arme , danari , grano  , ed  ogni 

bisogno,  pigliandone  superbissimamente  da’  privati  e dai 

pubblico:  e reclutando  dalle  tribù  tutti  gl’idonei  a com- 

battere ; gl’'  inviarono  loro  in  supplemento  de’  morti , e 

delle  schiere.  Invigilarono  diligentissimi  su  Roma  , pre- 

sidiandovi i luoghi  più  acconci;  talché  il  seguito  di  Va- 

lerio non  fosse  occulto  nel  sommoversi.  Commisero  per 

vie  sécretissime  ai  capi  dell’esercito  di  sterminare  i loro 

contrari , in  occulto  se  riguardevoli , ma  palesemente  se 

ignobili,  sempre  però  con  qualche  pretesta,  perchè  pa- 

ressero giustamente  levati.  Altri  mandati  da  essi  a fo- 

raggiare , altri  a proteggere  i trasporti  de’  viveri  ; ed 



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34 o DELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE 


altri  ad  altre  belliche  incombenEe  lisciti  dagli  alloggia- 

menti , non  furono  mai  più  vedùti  in  alcun  luogo.  Ma 

li  più  ignobili  accusati _ di  aver  dato  princi'pio  alla  fuga, 

o portato  secreto  notizie  ài  nemico , o non  mantenuto 

r ordine,  erano  in  pubblico  trucidati  per  ispavento  co- 

mune. Così  le  milizie  erano  in  due  modi  disfatte  : le 

fautrici  del  -decemvirato  pe’  cimenti  col  nemico  , e pei 

capitani  le  altre  che  ridesideravano  jl  governo  degli 

ottimati. 


XXV.  Appio  co’ suoi  commetteva  in  città  delitti  con- 

simili e non  pochi  : la  plebe  tenne  picciolo  conto  di 

alcuni  estinti  quantunque  fossero  molti  di  numel-o  : ma 

la  morte  barbara , ingiusta  di  uno  de’  plebei  più  cospi- 

cui, celeberrimo  per  le  belle  virtù  sue  nel  combattere, 

operata  nell’ accampamento  ov’ erano  i tre  capitani,  de- 

cise quanti  vi  erano  alla  ribellione.  Sicciu  fu  I’  ucciso  , 

quegli  che  avea  combattuto  le  cento  v^nti  battaglie  , 

raccogliendone  sempre' il  premio  de’ prodi  , quegli  che 

disobbligato  già  per  gli  anni  dal  > guerreggiàre  , si  diè 

spontaneo  per  'la  guerra  ,con  gli  Equi  menandovi  per 

r amor  che  gli  avcano , altri  ottocento,  già  liberi  ancor 

essi  a norma  delle  leggi  da’  servigj  militari  : quegli  che 

spedito  dall’  uno  de’  consoli  contro  le.  trincee  nemiche 

a rovina  come  parea  manifesta;  pur  le  invase,  e preparò 

pienissima  la  vittoria  pe’  consoli.  Or  quest’  uomo  , cer- 

cando Appio  co’ suoi  di  levarsel  d’intorno,  perchè  avea 

molto  parlato  in  città  contro  i duci  del  campo  come 

codardi  e imperiti»  io  trassero  a discorsi  amichevoli, 

lo  invitarono  a deliberare  con  essi  intorno  le  cose  del 

campo,  e dire  come  fossero  da  emendare  gli  errori 



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‘ LIBBO  XI.  341 


de’  capitani  i e Io  indussero  infine  ad  andare  in  forma 

di  legato  all’  armata  di  Crustumero.  È tra’  Romani  il 

legalo  onoratissima  e santa  rappresentanza  , con  l’ auto- 

rità de’ comandanti,  e con  la  riverenza  e la  inviolabilità 

de’  sacerdoti.  Lo  accolsero  al  giunger  suo  con  benevo- 

lenza i duci , e lo  stimolarono  affinchè  stesse  e coman- 

dasse con  essi  ; anticipandogli  de’  doni , e promettendo- 

gliene ancora.  L’uom  d'arme,  tutto  ingenuo  in  seslesso, 

deluso  dai  scellerati,  come  lui  che  non  capiva  i presti gj 

delle  parole  , e quanto  erano  ingannevoli  ; suggerì  loro 

le  cose  che  utili  riputava,  e soprattutto  che  trasferissero 

il  campo  dal  territorio  proprio  a quello  de’  nemici  ; 

additando  i mali  che  ivi  soffrivano , c rilevando  i beni 

che  da  tale  passaggio  nascerebbero. 


XXVI.  Fingeano  que’duci  udirne  con  diletto  gli  am- 

mpnimenti  : Adunque  che  non  ti.  fai  tu  duce,  gli  dis- 

sero , di  questo  transito  , preeleggendone  il  sito  op- 

portuno , tu  si  perito  do'  f ioghi  por  le  tante  tufi  spe- 

dizioni ? Noi  ti  daremo  schiera  eletta  di  uomini  , 

espediti  per  armamento  leggiero.  Avrai  tu  cavallo 

come  alT  età  tua  si  com’iene , ed  armatura  degita . dei 

tuoi  pari.  Tenne  Siccio  l’invito,  e chiese  cento  uomini 

scelti.  Quegli,  essendo  ancor  notte,  spediscono  lui  senza 

indugio  , c con  lui  cento  i più  baldanzosi  de’  loto  fau- 

tori , istrutti , e mossi  ad  ucciderlo  con  lusinga  ahiplis- 

sima  di  ricompense.  Or  questi  giunti,  ornai  ben, lungi 

dal  campo  , in  luogo  montuoso , angusto,  e difficile  di 

ascenderlo  a cavallo  , se  non  di  passo , ordinaronsi  , 

datone  il  segno  , in  maniera  da  serrarsi  in  folla  su  lui. 

Un  tale , sostenitore  e servo  di  Siccio , valoroso  tra  le 



34 a,  DELLE  ANTICITITa’  KOMAVE 


arme  , indovinando  il  cor  loro  , diedene  cenho  al  pa- 

drone. Il  quale  vedutosi  in  tanto  disagio  di  sito  da  noa 

potervi  nemmen  slanciar  con  forza  il  cavallo',  ne  salta  , 

e postosi  coir  unico  sostenitore  suo  in  una  balza  per 

non  esservi  circondato  , aspetta  che  ve  lo  assalgano.  Or 

tutti  ( ed  erano  molti  ) assalendovelo  ; ne  uccide  intorno 

a quindici,  feritone  il  doppio  : e parca  , se  lo  assaliva» 

da  presso  , che  avrebbe  , combattendo  , straziato  ancor 

gli  altri.  Ma  questi,  conceputolo  per  invincibile,  e come 

non  era  dà  prenderlo  a corpo  a corpo  ; non  vennero 

in  tal  modo  alle  mani:  ma  tenendosi  lontani  da  lui;  lo 

fulminarono  con  dardi , sassi  , e legni.  Ed  altri  avan- 

zandosi di  fianco  in  &ul  motttc,  e riuscendogli  a tergo, 

rotolavano  dall’  alto  macigni  stragrandi  : talché  per  la 

moltitudine  de’  dardi  lanciatigli  conira  , e per  la  enor- 

mità de’  sassi  che  cade.mu  romorosi  dall’  alto  , lo  op- 

pressero in 'fine:  e questo  fu  il  termine  incontrato  da 

Siccio. 


XXyiI.  Tornaitono  gli  uccisori  co’  feriti  nel  campo  , 

e vi  pubblicarono  che  una  insidia  ióiprovvisa  di  nenrici 

avea  spento  Siccio , e gli  altri , che  assalirono  i primi , 

e che  essi  he  erano  a stento  scampati,  ricevutine  molle 

ferite.  Pareano  questi  dir  vero  ; non  però  si  giaeque 

occulta  la  loro  per6dia  : ma  sebbene  avvenisse  1’  eccidio 

in  luoghi  deserti  e senza  testiinonj  ; i fati  stessi  e la 

giustìzia  che  invigila  le  cose  umane,  lo  diedero  a co- 

noscere per  segni  indubitati -(i).  Imperocché  quei  del 

campo  riputando  1’  uom  forte  degno  di  pubblica  sepol- 


(i)  A quella  icotenza  somiglia  quella  lauto  vera  di  Arioslo  can.  6 

e tanto  poco  tenuta  in  peotieio  dagli  nomini. 



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LIBRO  • XI.  343 


tara . e di  onori  distinti  rispetto  degli  altri,  per  più  cau- 

se , e'  principalmente  pel  carattere  suo  di  legato,  e per* 

cbè  libero  già  da’  servigj  militari, eravisi  cimentata  di 

nuovo  per  util  comune;  decisero  di  unirsi  dal  complesso 

di  tre  legioni  e di  uscjre  cosi  per  investigarne  il  cada- 

vere , onde  riportarselo  con  pieno  decoro  e sicurezza. 

Concederono  questo  i capitani  per  non  dare  sospetto 

alcuno  delle  insidie  : e prese  le  arme  uscirono  intenti 

all’^opcra  bella  e degna.  Giunti  al  sito  e vistovi  non 

selve  , non  valli , non  luoghi  consueti  per  le  insidie  , 

ma  una  balta  tuttar  nuda  ed  aperta  ,.ed  angusta  a pas- 

sarla; sospettaron  bentosto  ciocch’era.  Avvicinatisi  quindi 

ai  cadaveri  % mirato  Siccio  e gli  altri  derelitti,  ma  senza 

essere  spqgliati;  si  meravigliarono  che-i  nemici,  vincen- 

do , non  avessero  levate  loro  non  le  vesti  , nè  le  anni. 

E specolando  ihtoroo  ogni  cosa , nè  trovando  vcstigia 

di  cavalli  o di  uomini  se  non  le  impresse  nel  sentiero; 

tennero  per  impossibile  che  i nemici  fossero  su  loro* 

venuti  improvvisi , quasi  uccelli.,  o uomini  discesi  dal 

cielo.  Ma,  più  che  questi  e simili  indi^,  il  non  trovarsi 

ivi  cadaveri,  di  avversar)  fu . loro  argomento  evidentissi- 

mo , che  gli  amici  ne  erano  stati  gii  uccisori  e non  i 

nemici.  Imperocché  non  parea  loro  che  Siccio  , e quel 


Miscr  chi  maV  oprando  si  confida , 


Che  ngnor  star  debba  il  maleficio  occulto  ; 


Che  quando  ogn’  altro  taccia  intorno  grida 

V aria  e la  terra  ittetsa  in  che-d  tepultq^  . 


E Dio  fa  spesso  che  'I  peccato  guida 

Il  peccator,  poi  cV alcun  di  gli  ha  indulto- 

Che" si  medesmo  , seni'  altrui  richiesta 

JnavOedutamstnle  mastifesla. 



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■^44  nF.LT,E  antichità’  ROMANE 


sosteuitore  suo,  e gli  altri, che  seco  perìroofi,  sarebbero 

morti  inulti , specialmente  se  venuta  si  fosse,  quanto  si 

può , (la  vicino  alle  mani.  Rac(:olsero.  ciò  ancora  dalle 

ferite  : perocché  Siccio , come  quel  suo,  sostenitore  , ne 

avea  molte  per  colpi  di  sassi  o di  strali  e di  spade  ; 

laddove  gli  uccisi  da  loro  avean  colpi  di  spade  si,  non 

di  sassi , o di  strali  e di  saette.  Adunque  .ne  sorse  in- 

dignazione , e claipore  , e lutto.  Alfine  compianta  la 

disgrazia  ; raccolsero  e portarono  il  cadavere  ai  campo  : 

e là  gridarono  altamente  contro  de’  capuani , esigendo 

allora  allora  secondo  la  legge  militare  la  morte  degli 

uccisori  ; o che  sen  fidasse  almeno  il  giudizio  ; e già 

molti  erano  pèr  ,farvisi  accusatori.  Ma  conciossiaché  non 

davano  loro  udienza,  e nascondeano  gli  uccisori,  e^ne 

differivano  il  giudizio  , con  dire  che  in  Roma  darebr 

bero  a chi  la  volea  la  podestà  di  accusarli  ; ben  vtdesi 

che  la  trama  era  de’  (ùpitani.  Adunque  portarono  (xm 

* magnifica  pompa  Siccio  al  sepolcro,  alzandogli  una  pira 

meravigliosa,  e tributandogli  secondo  il  loro  potere  altre 

primizie  che  la  legge  concede  negli  onori  estremi  dei 

valentuomini.  Alienaronsi  allora  tutti  dal  decemvirato; 

e pensarono  come  liberarsene.  Cosi  l’ esercito  presso 

Chistumero  r Fideue  era  nimico  a’  suoi  capi  per  la 

morte  di  Siccio  legato. 


XXVIIl.  L'  esercito  acc;impato  nell’  Algido  della  re- 

gione degli  Equi  , e la  molutudiiie  in  Roma  crasi  per 

tali  cagioni  esacerbata  tutta  con  essi.  Lucio  Verginio  un 

plebeo,  non  secondo  a niuuo  nella  milizia,  starasi  capo 

di  una  centuria  nelle  cinque  legioni,  belligeranti  con  gli 

Equi.  Avea  costui  per  avventura  una  figlia  vaghissima 



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LIBRO  XI.  345 


fra  ratte  le  donzelle  romane.  Ella  portava  il  nome  del 

padre,  ed  avealasi  pattuita  in  isposa  Lucio  Icilio,  uomo 

tribunizio,  qome  6glio  (i)  di  quell’ Icilio  che  primo  fe’ 

stabilire  , e primo  assunse  T autorità  di  tribuno.  Appio 

Claudio  il  capo  decemviro  vista  la  verginella  che  leg- 

geva in  una  scuola  ( stavansi  allora  le  scuole  pe’  giovi- 

netti intorno  del  Foro)  bentosto  ne  fu  preso  dalla. bel- 

lezza ; anzi  vinto  dalla  passione  era  così  tòlto  a sestes-^ 

so  , che  non  potea  non  passare  più  volte  intorno  della 

scuola.  Or  non  potendo  torlasi  sposa  come  già  sacra  ad 

altri  , anzi  perchè  egli  avea  pur  moglie  , e perchè  non 

istavagli  bene  donna  plebea  di  lignaggio  contro  il  suo 

grado  e la  legge  scrìtta  da  lui  nelle  dodCci  tavole  ; su 

le  prime  tentò  corrompere  co’ danari  la  giovinetta.  Egli 

mandava  ad  pra  ad  ora  delle  donne  con  doni  e pro- 

messe maggiori' alle  nudrici  di  essa,  orfana  già  della 

madre  ^ avea  però  comandate  le  donne  che  tentavano 

le  nudrici  a non  dire  chi  fosse  l’amante  della  fanciulla, 

ma  solo  eh’  egli  erg  un  tale  che  potea , volendo , -bene- 

ficare e nuocere.  Non  potendo  però^  guadagnarle  , anzi 

vrt.duta  la  donzella  guardata  più  che  prima  , si  mise , 

caldissimo  che  ne  era  d’  amore  , a camminare  altra  via 

con  meno  ancora  di  sénno.  Fattosi  chiamare  Marco 

Claudio  , r uno  de’  suoi  clienti , uomo  ardito  e pronto 

ad  ogni  servigio , gli  additò  la  Gamma  sua  : e prescrit- 


(t)  Forse  nipote’,  perchfc  dalla  islitusione  del  tribonato  all' anso 

prescote  decorsero  45  aooi.  Pertanto  Lucio  Icilio  di  cui  qui  ai  ra- 

giona o era  nipote  ni*, Icilio  Ruga,  o coOTÌen  dire  che  di  molto  ec- 

cedesse gli  anni  di  Virginia  destinatagli  sposa  ; seppure  non  voglia 

dirsi  che  Icilio  Ruga  generasse  beo  tardi  quel  figlio.  > 



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34 fi  DELLE  antichità’  ROMANE 


togli  cioccliè  volea  che  facesse,  e dicesse  ; lo  spedi  con 

allato  uomini  impudentissimi.  Costui  recatosi  alla  stuoia, 

vi  tolse  la  vergine  , b volea  recarsela  palesemente  pel 

Ford.  Impedito  però  dai  clamori  e dal  grande  «oucor- 

so,  di  recarsela  dove  avea  stabilito;  venne  al  magistrato. 

Sedessi  allora  nel  tribunale  Appio*'  solo,  rendendo  ri- 

sposte e r&gioni  a chi  ne  chiedeva.  Or  volendo  colui 

dire  , sòrsene  rumore  e sdegno  tra*  circostanti , i quali 

tutti  reclamavano  , perché  si  aspettasse  6nchè  venissero 

i parenti  della  fanciulla  ; ed  Appio  ordinò  che  in  tal 

modo  appunto  si  facesse.  Passato  appena  picciolo  tem- 

po; ecco  presentarsi 'Publio  Numitore  nomo  insigne  tra 

i plebei,  zio  materno  di  lei,  con, seguito  di  molti  amici 

e parenti;  e dopo  non  molto  ecco  giungere  con  numero 

poderoso  di  giovani  plebei  Lucio  Icilio,  quegli  che  per 

le  promesse  dèi  padre  aver  dovea  la  donzella  in  isposa. 

E questi  , tutto  sospeso  ed  ansio  nel  respiro , avanzan- 

dosi al  tribunale  , addimandò  chi  osato  avesse  toccare 

la  giovine' cittadina  , g (die  mai  ne  pretendesse. 


XXIX.  Fattosi  intanto  silenzio.  Marco  Claudio,  que- 

gli appunto  che  avessi  preso  la  donzella,  così  ragion:^; 

O j^ppio  Claudio  , niente  ho  io  fatto  di  temerario  , 

niente  di  violento  contro  la  fanciulla.  ' Signore  , come 

io  tono  di  lei , secondo  le  leggi  me  la  conduco.  Or 

odi  comi  ella  siasi  la  mia.  Ho  io  una  tal  serva  pa- 

terna che  ministrami  già  da  tempo  lunghissimo.  Or 

questa  , familiare  che  ne  era , usava  di  andare  alla 

mo"liè  di  f^érginio;  e la  moglie  di  Ferginio  persuase 

lei  gravida  a concederle  , quando  che  fosse  , il  frutto 

del  suo  ventre.  La  donna  , partoiita  una  figlia , ( ed 



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LIBRÒ  XI. 



347 



era  questa ) serlà  le  promesse  ; e àiedela  a Numito- 

ria,  con  fingere  presso  noi  che  uscita  fosse  la  di  lei 

prole  già  morta.  Numitorià  tuttoché  madre  non  fosse 

di  fanciulli  o fanciulle,  la  pigliò,  la  fé'  sua,  la  nudrì, 

senza  che  io  sapessi  nel  principio  la  vicenda.'  Or 

la  so  per  indizj  di  molti  e buoni  testimonj  : io  ho 

fatto  t esame  di  quella  serva , e ricorro  alla  legge 

comune  per  tutti  ha  quale  vuole  « che  sia  la  prole  non 

» di  chi  la  impostura  per  sua , ma  di  chi  1’  ha  gene- 

» rata  ; e che  libera  sia  se  nata  di  libera , e serva  , se 

» nata  di  serva , de’  padroni  stessi  delle  madri  u . Su 

questa  legge  esigo  di  riportarmi  la  figlia  della  mia 

serva  , pronto  a subirne  il  giudizio:  Che  se  alcuno  la 

reclama  per  sua,  dia  certi  mallevadori  di  riprodurla  in 

giudizio  : ma  se  anzi  vuole  chi^  ora  qui  sen  tratti  la 

causa  io  lo  secondo , voglioso  c^e  si  espedisca  anzi 

che  si  procrastini , e che  io  mi  assicuri  con  malleva- 

doii  la  vergine.  Scelgano  qual  più  vogliono  di  questi 

partiti. 


XXX.  Claudio  cosi  disse  aggiungendo  vive  preghiere 

di  non  essere  considerato  meno  de’‘suoi  competitori  per  amici , e torlasi  a forza 

quando  glie  la  ripresent'avano  per  la  sentenza.  E perchè 


11  giudizio  fosse  con  buona  forma  , sul  pretesto  che  il 

padre  di  lèi  non  erasi  presentato  ; diè  lettere  a cavalieri 

fedelissimi , e li  spedi  nel  campo  ad  Antonio , cdroan- 

dante  della  legione  ov’ era  Verglnio,  con  ordine  che 

ritenesse  quest’  uomo  cautissima  mente  , talché  udite  le 

vicende  della  figlia , da  fui  non  s’  involasse.  Ma  Io  prejr 

vennero  , attinenti  che  erano  alla  donzella  , il  figlio  di 

Numitorio,  cd  il  fratello  d’ Icilio , spediti  avanti,  sul 

nascere  appena  della  sommossa.  Giovani  pieni  di  corag- 

gio fornirono  prima  il  vaggio  sferzando  i cavalli  ed  ab* 



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35a  DELLE  Antichità’  bomane 


baudonando  loro  le  redini  j e _ narrarono  a Vergitiio 

l’evento.  E Verginio,  ^cimane  ad  ^Antonio  la  cagione 

vera  , e fintogli  di  aver  udita  la  morte  di  un  suo  pa« 

rente  di'  cui  doveasi  fare  il  trasporto  , e la  sepoltura 

secondo  la  legge  , ebbe  il  congedo.  E presso  1'  ora  in 

cbe  accendonii  i lumi  ; se  ne  andò  con  que’  giovini , 

ma  per  altra  via  , temendo  , come  avvenne  , di  essere 

inseguito  da  quei  del  campo  e della  città;  perocché 

Antonio,  ricevuta  la  lettera  circa  la  prima  vigilia,  spedi 

contr  esso  una  banda  di  cavalieri,  mentre  un’altra  spe* 

dita  da  Roma  guardò  per'  tutta  la  notte  la  strada  che 

vi  conduceva  dal  campo.  Ma  non  si  tosto  un  tale  ridisse 

ad  Appio  che  Yerginio  era  l’unto  contro  la  espetta- 

zione;  egli,  uscito  di' senno , ne  andò  con  gran  seguilo 

al  tribunale , e fece  che  a lui  si  chiamassero  i con- 

giunti della  donzella.  Venuti' questi , Claudio  ripetè  lo 

stesso  discorso , e dimandò  cbe  Appio  senza  indugio 

decidesse  l’affare;  dicendo  esser  pronto  chi  lo  esponeva, 

e chi  lo  attestava  , fin  la  serva , madre  vera  della  fan- 

ciulla. Simulava  in  tutti  questi  atti . che  assai  si  sdegne- 

rebbe , se  esso  per  essere  cliente  di  lui  non  ottenea 

come  prima  la  giustizia  egualmente  che  gli  altri  ; e di- 

mandava che  ajutasse  chi  dicea  cose  più  vere,  non  chi 

più  lamentevoli. 


XXXIV.  Il  padre  della  donzella  e gli  altri  patenti 

escludcano  la  supposizione  del  parto  con  molti  argo- 

menti giusti  e veri , per  esempio  che  non  ebbe  cagion 

plausibile  di  farla  la  sorella  di  Numitorio  c moglie  di 

Verginio  maritatasi  vergine  ad  utl  giovine  la  quale  par- 

torì tra  non  molto  : appresso  perchè  sebbene  voluto 



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’ ' LIBRO  XI.  353 


avesse  iotradere  in  sua  casa  un  6glio  altrui  ; v’  avrebbe 

intruso  non  il  figlio  di,  una  donna  schiava , ma  quello 

di  una  ingenua,  amica  o parente  sua,  onde  ritener  fe- 

delmente e stabilmente  ciocché  TÌce'«’eaiée  : ed  arbitra  in 

tutto  di  Scersela  Come  volea  ,*  scelta  s’  avrebbe  la  prole 

non  femipea,  ma > vivile}  imperocché  la  donna  che  par- 

torisce, vinta  dall' aderenza  pe’ 6gli  che  partorisce,  ama 

e nudre  ciocché  la ‘natura  le  porge:  laddove,  la  donna 

che  imposturasi  un  6g)fO  sei' cerca  del > sesso  migliore, 

non  del  più  ignobile.  Contro  lui  poi  che  dava  .l’ indi- 

zio,'e .contro  i molti  tesu'monj- edibili  da  Claudio  come 

degni  di  fede . allegavano  cagioni  tratte  dal  verisimile  : 

vuol  dire  che  Numitoria  non  avrebbe  operalo  imai  pale- 

semente e presenti  molti  ingenui  tekùmònj  tur  fatto  che 

abbisognava  di  silenzio , e che -pbtea' fornirsi  col  mini- 

stero di-  un  solo  ; e c|ò  perché  la  prole  edncatà  non 

fosse  col  tempo  ritolta  dai  padroni  delia  madre.  Ag- 

ginngeano  che  la  dilazione  non  picoiola'  era  segno  evi- 

dente che  il  calunniatore  non  prolTeriva  niente  di  vero: 

perocché  colui  che  dié  l’ indiziò  'della  supposlzioue  e 

gli  altri  che  la  cooteslano  -l’avrebbero  molto  'iuoansi 

svelata,  non  tenuta  Segretissima  per  quindi^,  anni.  Frat- 

tanto redarguivano  le  pròve  degli  accusatori,  come  non 

vere  'né  credibili,  e chiedeano  che  si  paragoudssero 

colle  altre  loro,  nominando  molte  doqpe  non  ignobili 

le  quali  dicevano  aver  veduta  Numitoria  gravida  cOn 

pienezza  di  utero.  Olirà  queste  ne  additavano  altre  che 

in  fom  del  parentado  venute  pel  parto  o per  la  pimr- 

pera  aveano  mirato  k prole , ed  iuasievano  perché  s’ iu- 


Viomci  , tome  III.  .1  »i  • 



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354  delle  antichità.’  romàne 


terrogassero.  Era-  poi  di 

siderando  queste  e simili  cose,  e fra  lóro  discorrendole, 

ne  piangevano.  Appjo  altronde , come  non  cauto,  per 

matura , e corrotto  dalia  grandezto  del  potere , invanito 

di  sestcsso , e caldo  ' di  amore  nelle  viscere , non  ohe 

attendere  al  parlare  dei  difensori , e commoversi  alle 

lagrime  della  vergine , adiravasi  per  la  compassione  che 

di -lèi' Sentivano  >i  circostanti  (Juasi  di  compassitme  egli 

fosse  più  degno,  e patisse  mali  più  grandi,  ridotto  pri* 

■gioniero  dì  quella  bellezza.  Da  tali  cause  infuriato  ardi 

fin  di  'fare' impudenti  discorsi  (pe’ quali,  coloro  che  già 

ne  sospettavano  ,'  foron  -chiari , 'che  sua  era  1-  impostura 

contro  la  donzella  ) > e compiere  infine  la  barbara  c ti- 

rannica azione. 



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, LIBRO  XI.  355 


XXXVI.  Àncora  parlavano , quando  egli  iu- 


Uqoò  sUeniiio  ; e . feoesi.  jbtanlò  la  moilitudine  che  era 

nel  Foro  , ^ntenendo  lo  adegno  si  spinge  innanzi  per 

desiderio  d’ intendere  ciocché  direbbe  ; ed  esso  volgeo'. 

dosi  qua  c là  per  numerare  col  guardo  i crocchi  degli 

amici  co* quali  avea  p|:ima  occupato  il  Foro  cosi  favellò: 

O Verginio  j o voi  qui  presenti  con  , esso  f fiqn  io 

sento  ora  la  prima  voltd  un  tal  fatto , ma-  lo  sentii 

prima  ancora  di  giutfgere  a questo  magistrato.  Or 

udite  ; Come  ' lo  sentàsL  11  ^ padre  di  questo  Marco 

Claudio  ornai . spiratido  la  fitfl  y pregavnmi  die  io 

prendessi  la  tutela  del  figlio  lascialo  da  lui  piccélo  ; 

giqcchò  essi  fin.  dagli  antichi  loro  son  . clienti  della 

ìiostra  famiglifc.  Or  mentre  io  rn  era  il  tutore  di  esso 

udii  della  donzella  e .come  Numitoria  sala  suppone; 

prendendola  dalla  sert>à  di  Claudio:  ed  esaminatala; 

trovai  che  appupto  cosi  pava  •' dettai  c, giudico  esser  Claudio  pa- 

drone della  serva. 



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356  1 DELLE  antichità’  EOJHAME 

XXXVII.  Udito  ciò , quanti  ivi  erano  fiomlni  iniegrì , 

sostenitori  di  que’  che  dicevano  il  giusto  , levarono  le 

mani  al  cielo  , con  “"un  grido  misto  d’  indignazione  , e 

di  pianto  : per  1’  opposlto  i partigiani  de’  Decemviri  , 

mandavano  voci  atte  ' a confortarli  ed  animarli.  Irritatasi 

però  l’adubanza,  e riempiuta»  di  ogni  guisa  di  afTetti, 

e discorri  ; Appio  intimo  silenzio  , e disse  : O tutbo- 

lenti , o inutìii  a tutto  nella  guerra  e nella  pace  !•  se 

non  cessale  di  sonunover  la' patria  , e di  contropor- 

vici  ; farete  alfin  senno  per  forza.  Non  pensate  , jche 

abbiamo  noi  messo  un  presidio  nel  Campidoglio  , e 

nella  fortezza  soltanto  contro  i nemici  di  fuori , e 

che  lascèremb  poi  fare  quei  iT  entro  , i quali  scon- 

ciano ih  Roma,  ogni  cosa.  'Prendete  consiglio  migliore  ^ 

thè  non  avete  o . voi  tutti  a quali  non  spetta  C af- 

fare ; andatene  per  le  cose  vostre  in  buon  ora.  £ tu 

Claudio  recati  ria  pel  toro  ' la  donzella  : non  teme- 

re ; giacche  i dodici  miei  Colle  scuri  ti  saran  guar- 

dia. A ul  dire  gli  altri  ululando,  battendosi  la  froòte, 

nè  potendo  raffrenare  le  lagrime,  partirono  dal  Foro; 

e Claudio  succò  via  la  donzella,  che  stringeva,  che 

baciava  il  padre  suo , e con  voci  affettuosissime  lo  in- 

vocava. Fra  tanti  mali , Yerginio  si  mise  in  pensiero 

un’  azione , amara  , addolorevole  ad  un  padre  , ma  de- 

gna di  ud  nomo  liberò,  -di  un  Uomo  generoso.  Egli 

intercedette  di  salutare  ancora  una  volta  la  6glia , e di 

parlare  a lei  le  cose , che  volea  da  solo  a solo  ; prima 

che  dal  Foro  la  involassero.  Condiscesone  dal  capitano  , 

e ritiratisene  alquanto  i satelliti  , abbraccia  la  figlia  che 

sviene , che  abbandonasi  ; e cosi  la  sostiene , richiaman- 



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LIBRO  XI.  . • 357 


dola,  baciandola',  rasciugandola  dalle  lagnile,  che  la 

inondavano.  Poi^  trattala  seco  un  poco , non  si  tosto  fu 

presso  la  officina  di  un  niacellajo,  rapiscene  di  su  dal 

banco  la  coltella,  ed  immersela  nelle  viscere  della  figlia 

gridando:  Figlia  (i  mando  Ubera  e casta - ai  nostri 

sotterra:  per  colpa  del  tìrarmo  già  ntm  potevi  tu  viva 

serbare  questi  pregi. . SóHevatisi  intanto  ■ de' clamóri  ; 

tenendo  in  pugno  il  ferro  insanguinato,  egli  stesso  gron- 

dante del  sangue , sebitaato  su  lui , nell’  uccidere  della 

figlia  , corse  furibondo  , peó  la  città  , reclamandovi  la 

libertà  ; de*  cittadini.  Passate  a fona  le  porte,  àìcese  il 

cavallo , ebe  ■ tenessi  per  Ini'  preparatp  , e rivelò  nel 

campo , riaccompagnatovi  dà  Icilio , e da'  Knmitórlo  , i 

giovanetti  ebe  ne  *1  cavarono.  Teneano  loc' dietro  anche 

altri  plebei  non  pochi, Jn  numero  quasi  di  ^attro.* 

cento.  j ' ; 


XXXVIIT.  Appio  al  caso  della  ^giovinetta,. levatosi  da 

sedere,  si  slanciò  cpme  per  inseguire  Verginio , dicendo, 

e facendo  cose  non  degne  : ma  eiroondandolo , e pres- 

sandolo gli  , amici  a non  traviare  , si  ritirò  , pieno  di 

rabbia  su  tutti  : quando  ornai  -presso  della  sua  casa  udì 

da  taluni  de'  suoi  fautori , che  Icilio  il  .suocero  , e Nut 

raitore  lo  zio  , ridottici  con  altri  - amici , e congiunti 

intorno  al  cadavere,  gridavano  contea- Ini  an  colpe  no*> 

te,  e non  note  concitando  tutti  a rendersene  liberi  una 

volta.  Colui  spedì  per  la  rabbia»  che  ne'  ebbe,  alcuni 

de’  littori , -con  ordine  d’  imprigionare  i maledici , e di 

levare  dal  Foro  il  cadavere;  opera,  insana  in  v?ro  , « 

sconvenientissima  al  tempo.  Imperocché  mentre  dovea- 

carezzar  la  moltitudine  incollerita  giusUmente,  e-jóedere 



358  * DELLE  Antichità’  bomane 


in  principio  al  tempo  , e poi  rdifendersi , pregare  , be- 

neficare onde’  riconciliarsela  ; egli  'corso  Alla*  violenza  , 

ridusse  tutti . a disperarsi.  Pertanto  non  permisero  che 

gl’  inviati  levassero  la  estinta , o'  portassero  alcuno  nella 

carcere  : ma  gridando , ed  animandosi  gli  uni  gli  altri  ; 

cacciarono  dai  Foro  coll’impeto,  e oolle  percosse  i mi'- 

nistri  della  violenza.  Talché  Appio,  ciò  udendo,  fu  co- 

stretto dì  recarsi  con  molte  partigiani  e clienti  nel  F oro , 

e comandare  'che  battessero , e sbandissero  , chi  v*  era  ,* 

ne’ capi  delle  vie.  Orazio  e Valerio,  duci  come  ho  detto 

degli  altri  a riprendere  la  libeiné , sentito  il  disegno 

dell’ uscir  di  colpi,  menarono' con  sé  molti  bravi  gio- 

vani , e si'  misero  dinanzi  k estinta.  E qpando  ebbero 

più  \icini  {'compagni  di ‘Appio,  prima  inveirono,  (jnanto 

poterono , su  loro  cOn  -clamori  .ed  ingiurie  ; é quindi , 

pareggiando  ai  detti  le  opere , ferirono  e rovesciarono 

quanti  osarono  lanciarsi  su  lOro.  * 


XXXiX.  Appio  mal  .sofferendo  l’ostacolo  impreve- 

duto , nè  trovando  come  trattare  tali  nomini  \ risolvette 

di  correre  Una  viaria  più  rOvinOk.  Impéròccbè  porta- 

tosi al  tempio  di  Vulcano  ; invitavi  a parlamento  la 

' plebe,  quasi' benevola  ancora  verso  di  esso:  e prendevi 

ad  accasare  la  inginslizia,  t la  dnsojenza  di  tali  uomini, 

lusingandosi  per  l’ autorità  sua  .tribunizia , e per  le  vane 

speranze , ebe  la  moltitudine  gli  concedesse  di  precipi- 

tarli dalTa'  rupe..  Afa  i compagni  di  Valerio  occupata 

l’altra  parte  del  Forò,  e postovi  il  cadavere  della  ver- 

gine visibilissimo  a .tutti , ''convocarono  un*  altra  adu- 

.'nahza;  facendovi  vivissime  aCcusé  di  Appio  e de’ suoi. 

Occorse,  com’era  vcrisimile’,  che*’aUÌt'andovene  altri 'la 



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LIBRO  XI.  . 359 


riverenza  per  ^questi  ' nomioi ,,  altri  la  commiserazioae 

vereo  la  dctazella  soggiaciuta  a vicènde  dure,  ,e  più,  che 

dure  per  la  sv>a  bellezza  infelice,  ed, altri  H.  desiderio 

stesso  della  forma  .precedente  df  governo  , vi  si  rioni 

più  gente  che  intorno  di  Appio  : tanto  che  non  rima-c 

seto  presso  questo  'se  non  pochi , appunto  i partigianir 

ira'qtuli  cc  ne^avéa  pur  alèoni , che  per  molte  cagìoivi  ■ 

mal  più  si  acconcravano  eoi  Decemvirato ,,  contèntissimi 

di  rivolgersi  agli-  avversar)  , sé  il  partito  loro  si  fortiG- 

easse.  Appio  vedendosi  - derelitto  ^ -fo  cpstretio  i mutar 

COtasigHo  ,'e  ' ritnrarsi  dèi  Fpro^*cioecll&'  moitissiUo  gii 

giovò.  Imperocché  prèso  a cólpi- 'dalia  moltitadioe  pa- 

gata le  avrebbe  le*  giustissime  pene.  Dopò  .ciò  Valerio  . 

acquistata  preponderanza,  quanta 'ne  volle,  si  sfogò  pe- 

rorando contro  ai 'Decemvirato  , e decise  in  favor  suo 

perGno  i dubbiosi.  Molto . più'  poi  conjpccia'rono  la  moU 

titudiiie  contro  ai  Dètèiòviri  i parenti  della  vergine, 

recando -al  Foro  .il  feretro , -e  T altro  lagubre  apparato, 

maguiGco  quanto  potevano  , è facendo  ..la  traslazione  del 

cadavere  per  le  .vie  più  illustri,  di  Roma  , onde  fóssevi 

più  rimiralo;  imperocché  còrreabu  fuori  di  casa  matrone 

e donzelle  per  piangere  la  sciagura  e qual  d’esse  get- 

tava su  la  bava  Gori^e  ghirlande*',  e qual  veli  e. nastri  . 

e fiV;gi  pel  capo  di  .una  vergine,  e quale,  in  Gne.te 

anella  de’  Vecisi  capelli  : iiratlantor  molti  uomini  •nobilita* 

vano 'la  liinèbre  pómpa  con' doni*  convenienti,  presi  grsì- 

tnitamente’  o con  pfeézró  dalie  prossime  olBcIce.  Tanto 

che  divulgaiissima  era  per' la  citrii  la  lagrimevole  ceri- 

mònia , éd  avea  tulli  acceso  il  desiderio  di -spègnerti  la' 

lirannlde.  Ma  qnei  chè  la  difeudeano  f isirntii  che 



1 ' ; ‘ ".jd  ny 



36o  DELLt  AWTICHITa’  nOMANE 


erano  di  arme , davano  grande  spavento  ; laddove  Va^ 

lerio  W SUOI  non  volea  finire  col  sangue  de’  duadim 

la  disputa.  " . 


Tale  era  in  Roma  la  turbolenza.  Intanto  Ver- 

ginio  che  avea^  come  ho  detto  ^ itccisa  di  sua  mano  la 

figlia  spronando.' a briglia  sciolta  il  .cavallo i giunse  agli 

alloggiamenti  presse  l'  Algido  su  l’ imbruttir  della  sera  , 

tutto  lordo  -di  sangue , e . colla  ooltelitt , in  pugno  , ap- 

punto . com’  era  fuggito  da  Roma.  Vedi^tolo , i soldati 

che  stavansi  a guardia  innanzr  del  campo  ^ non  sapeano 

indovinare  ciocché  . avessè  patito^  e lo  accompagnarono 

per  intenderne  1*  alto.'  e terribile  caso.  E colui  tuttavia 

camminava  piàngendo,  e significando-  a quanti  gli  erano 

intorno  di  .seguitarlo.  Uscivano  fin  di  mezzo  alJf  cena 

da’  padiglioni , presso  i quali  passava  , soldati  Jn  folla  y 

con  faci  e làmpade,  pieni  di  mestizia  e tumulto,  e fa* 

cendogli  corona^  lo  accompagn#ano.  Alfine  giunto  in 

un  luogo  spaziose  del  campo.,'  e salita  una  eminenza 

ov’ essere  da  tutti  veduto,  nar^ò.  le  disavventure  sue, 

dandone  per  testimou)  quanti  erano  con  esso  , venati  da 

Roma.  E quando  infine  videne  molti  addolorati  e pian- 

genti-; fecesi  allora  a supplicarli  e scongiurarli  di  non 

permettere  che  restassero ,. egli  invendicato,  ^ concai- 

cataria  patria.  E lui  coti  dicendo,  ecco. in  tutti- grande 

la  voglia  di. udirlo  e viva  1». istigazione  perchè  parlasse. 

Adunque  tamtx  più  animoso 'inveì  su’ Decemviri , mo- 

strando di  quanti,  aveano  essi  tolte  le  sostanze,  di  quanti 

flagellato  il  corpo,  e quanti  ne  aveano  ridotti  senza 

colpa  niuna  a lasciare  la  patria  ^ e numerando  insieme 

le  ingiurie  verso  le  matrone , i ratti  delle  donzelle . nu- 



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LIBRO  XI.  36 1 


bili,  i '.disoBoramenti  de’ liberi > garzoncelli,  e, le,  tante 

altre  ingiustizie  e tirannidi.  E così,  disse,  ci  calpestano 

* (Questi , senza  che  ne  aibiano  il  poterti  non  dulia 

legge , non  dal  Senato  , non  dal  popolo.  Imperocché 

spirato  è /’  anno  dflla  loro  magistratura  ; e spirato  ; 

doveano  in  altre  mani>  trasmetterla'.' violentissimi  però 

la  ritengono  ; spregiando  in  noi  , quasi  in  femmine  , 

la  paura  grande  e'  la  codardia.  Ognun  • di  voi  qui 

ricordi  quanti^  mali  ha  da  loro  sofferti,  o veduto  sof- 

ferirsi  dagli  e^i.  Che  se  alcuni  qui  blanditi  da  essi 

mai  con' piaceri  o favori , non  temete  il  Decemvirato, 

ne  apprendete  che  eguali  mali  siano  per.,  venire  un 

giorno  su  voi,  sappiate  che  non  vi  è fede  pe  tiranni, 

sitppicUe  che  non  donano  t'  potenti  per  benevolenza , 

e sapendo  queste  e simili,  cose  , Uorreggetévene  : ed 

unanimi  tutti  Iterate  da  tù'onni  la  patria , quella 

dove  sono  i templi  de\ vostri  Dii,  dove  le  tombe  dei 

vo.stri  maggiori,  ! quali  voi  riverite  appresso  gV  Iddj , 

dove  li  veóchi  genitori  che  .dimandano  il  premio  dei 

travasi  e delle  tante  cure  per  voi ^ dove  le  mogli, 

vostre  legittime  ^ dove  le  figlie  nubili,  alle  quali  deesi 

non  tenue  Id  Vigilanza:  dove  infine \i  vostri  figli  ma- 

schi , che  aspettano  da  voi  cose  degne  dèlia  natura 

loro^  e de’  progenitóri.  Taccia  le  vostre  case,  i vostri 

poderi , i vostri  ■ danari  acquistati  con  tome  fatiche 

dagli  antenati  e >da^  voi  : , delle,  quali  cose  tutte  pià 

non  pofrtle  essere  i certi, padroni  'finché  i Dieci  qui 

tiranneggianox  ' . 


XLI.  Già  non  è da  savj ,. non  da  valenùtompii  cer» 

care  colla  fortezza  le  cose  altrui  ^ nè  curare  poi  che 



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36a  DELLE  antichità’  romane 

per  viltà  si  rovinin.  le  proprie  far  co»  gli  Equi  ^ 

co’  Fblsci , co’  Sabini , a ' con  tutti  intorbo  i vicini 

guerre  diuturne  » indefesse  per  la  indipendenza  e pel 

principato , nè  vbter  poi  nemmeno  prendere  le  armi 

per  la^  vostra  sicurezza  e la  libertà  cantra  uomini  il- 

legittimi che  fi  comandano.  Che  nòn  ripigliate  lo  spi- 

rito' delia  patria  ? Che  non  tornano  - in  voi  li  sensi 

degni  degli'  antenati?  cU  quelli  che  per  V oltra^ìo  di 

una  femmina  solà  profanata  da  un  de  •Tarquìnj  ed 

ucàisasi  da  sestessa  per  le^  vergogna , 'tanto  rie  incol- 

lerirono e infierirono  , e tanto  comune  tipqtaron  la 

ingiuria';  che  sbandirono  di  Roma  non  il  solo  Tqr- 

quinio,maJ  re-:  nè  piti  soffersero^  die  magistrato 

alciùfó  vi  comandasse  in  vita,  e senza  doverne  far 

conto  : di  quelli  che  ne  fecero  altisiunto  giuramento 

fitto  con  imprecazione  su  paetèri'  se  noi'  compievano  ? 

Of  essi  non  avran  sopportata  la  incuria  di  un  sol 

giovinastro  su  di  una  libera-  donna'  soltanto  ; e voi 

vi  state  Comportando  una  tirannide  di  tante  teste  , 

•ehé’ scorre  ad  ogti  ingiustizia  e libidine  ^ è scorrerawi 

anche  pià  se  pià  tra  vói  la  tenete  ? Non  la- ebbi  io 

sole  una.  figlia  vaghissima  , che  jippìò-- accirigevasi 

palesemente  a violentare  e lordare  : le  avete  anche 

molti  infra  voi‘'rhogli  o ; figlie  e figli  avvenenti:  Or 

chi  difhn'dele  mai  che  ' ' alcuno  de'  Dièci  nón  fàccia 

loro  come  /dppio  ? Vi  raccertano  forse  gt  Iddf  che 

so  lasciate  impunita  la  insolenza  ' a me  fatta,  no/i  si 

avanzi  questa  fin  su  molti  di  voi;  e che  ^ nmor  ti~ 

tannò  , giunto  alla  mia  figlia , ivi  si  'rimanga  e si 

plachi  rispetto  degli  altri  fanciulli  e faiKÌiille?  Quanto 



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" LIBRO  XI.  • 363 


stolula , quanto  atfena  cosa  è dire  che  mai  tali  idee 

si  -effettuerànno  ! Illimitate  sono  de'  tiranni  le  pas- 

sioni, perchè  superiori  alle  leggi,  e al^  timore.  Su 

dunque  fate  le  mie  vendette , prepardte  la  sicurezza 

vostra,  per  non  subire  egual  male , rompete  o miseri 

una  volta  la^  cótena:  riguardate  ‘con  intenti  sguardi 

la  libertà  : ~E  per  qual  altra  occasione  mai  fremerete 

pià  che  per  queéta;  quando  ne  si  tolgon  le  figlie  prè- 

testandooele  per  ischiave , e quando  via  ne  si  porlan 

le  spose"  co’  littori?  E se'ora  che  siete  tutti  cinti  di 

arme  la  trascurate  la  occasione e:  quando  mài  \ 

quando  il  genia- di  libertà  ripiglierete?  -, 


XLU.  Ma  iotaato  cKe  egli  parlava  molti  gli  promct- 

teanò,  gridando,  la  vendetta:  e chiamati  a nomr  i dnci 

delle  schiere  gl’  invitaronó  a por  mano  aff  impresa  ; 

molli  ancora  , se  ne  avéano  riéeTuto  alcun  danno  , fa- 

ceansi coraggiosi  innanzi,  e lo  rivelavano'.  'Udito  ciò  li 

cinque,  capi  come  ho  detto  delle  legioni,  temendo  che 

la  moltitudine  facesse  qualche  soròmossa ' Cóntro  di  essi 

corsero-  tutti  'al  pretorio  e vi  consultarono  con  gli  amici, 

se  poteanO  chetarne  il  tumulto  cinti  dalle  arme  de  par*  ' 

tigiani.  non  si  tosto  intesero  che  i soldati  eransi  .tri* 

tirati  'nelle  tende  , che  caduto  e cessato  era  il  tumulto , 

senza  sapere  intanto  che  il  piò  de’cènturioni  aveva  con- 

giuralo occultissimamente  d’ insórgere  e liberare  la  pa- 

tria ; destinarono  , appena  fosse  giorno  , imprigionare 

Verginió  che  istigava  la^  moltitudine  , e raccolto  l’ eser- 

citò condurlo  ed  acc^parlo  tra’  nemici , . e desolarvi  H 

meglio  elei  lor  lerritorj  ; nè  più'  lasciare  chè  ognuno 

investigasse  Curioso  ciocché  facevasi  in  Roma , ma  tutti   

perocché  , chiamato  Vergioio  ai  pretorio , i ceatnriooi 

non  permisero  che  v’  andasse  pel  sospetto  che  vi  peri» 

colasse:  e scoperto  com’era  ne’ratpi  'il  proposito  di  por- 

tare l’armata  tra’ nemici.  Io  riprovavano,  dicendo:  Me- 

ramente ci  avete  prima  comandato  benissimo,  perchè 

ora  isperanzili  vi  seguitiamo  f Duci  voi  di  'tanta  mili- 

zia , quanta  ninna  ntai  ne  portò  da  Roma  f e dagli 

alleati  non  sapeste  nè  vincere  , nè  danneggiare  i ne- 

miti.  V oi  dimostrandovici  odi , imperiti , colf  accam- 

parci male  , e col  desolare  , quasi  asversarj  , le  terre 

nostre , ci  rendes^  poveri , e bisognosi  delle  cose  le 

quali  noi  conqOistayamo  col  prev/dere  in  bailaglia  , 

quando  i nostri  capitani  \ eran  migliori  che  voi.  Ora  il 

nordico  inalza  contro  noi  li  trofei i il  nemico  si. porta 

le  cose  nostre;  saccheggiandoci  tende ^ schiavi y ottm, 

danari. . 


XLUl.  Verginio  per  la  rabbia  , e perché  non  più 

temea  que’  capitani  .inveiva  più  libero  conti»  di  essi  , 

'chiamandoli  corruttori  e distruttori  delia  patria,  ed  ani- 

mando i centurioni  a tor  le  insegne,,  e ricondursi  in 

Roma  colle  milizie.  Molti  non  ardivano  ancora  movere 

le  insegne , che  sono  inviolabili  ; né  riputavano  cosa 

onesta  e.  sicura  abbandonare  i loro  capitani  ' e ^i  co- 

mandanti ; perocché  il  giuramento  militare , die  i Ro- 

mani avvalorano  più  che  tutti,,  (à  che  il  soldato  siegua 

i suoi  comandanù  , dovunque  Io  guidino  : e la  legge 

concede  a questi  di.  uccidere , nemmen  giudicandoli  . 

gl’ indocili  e li  disertori.  Verginio,  vedendoli  tenuti  an- 



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' LIBRO  XI.  365 


cora  da  tal  riverenza , mostrò  ' loro  che  La  le^e  stessa 

avea  sciolto  quel  giuramento  : giacché  dea  ehi  có- 

manda  gli  eserciti , esser  scelto  a norma  delle  leggi  ; 

e r autorità  de’  decemviri  era  tutt^  contro  le  leggi, 

trapassalo  t anno  per  cui  fu  destinata  ; far  poi  gli 

ordini  di  chi  comanda  contro  le  leggi  non  è ubbi- 

dienza, nè  pietà,  ma  demenza  e furore.  Or  ciò  aden- 

do , giudicarono  udire  il  vero  : e suscitatisi  a vicenda  ; 

e quasi  dato  lor  cuore’ dagl’  Iddi!;  tolser  le  insegne,  e 

ne  andarono.'  In  mezzo  d’  indoli  tanto  varie  , nè  tutte 

conoscitrici  del  meglio,  si  rimasero,  co’ decemviri,  com’è 

verisimile,  centurioni  e soldati',  minori  però  molto, 

non  eguali  di  numero  agli  altri.  Quelli  clie  partirono 

dal  campo  , viaggiando  tutto  il  giorno  , giunsero  al  far 

della  sera  in  città  , seuzaqhè  alcuno  ve  li  annunziasse  ; 

nè  poco  la  costernarono , credula  cbe  giugnesse  il  ne> 

mica.  Adunque  tutto  tri  divenne  clamore  , moto  , di- 

sordine ; ' ma  non  sì  a lungo  , da  nascerne  òiale  : pe- 

rocché quelli  passando  pe’capi  strada,  vi  gridavano  che 

eran  gli  amici,  e venivano  in  bene  della  pàtrio:  e con- 

formarono le  Opere  ai  detti , non  offendendovi  alcuno. 

Recatisi  ali' Aventino,' colle  il  piò  acconcio  entro  Roma 

per  accamparvisi,  allogaronsi  presso  il  tempio  di  Diana. 

Nel  giorno  seguente  fortificato  il  campo,  e destinati  dieci 

tribuni  miljtàri , de' quali  era  capo' Marco  Oppio,  sul 

comune , si  tennero  in  calma. 


XLIV.  Dopo  non  molto  giunsero  in*  sussidio  loro 

con  molta  milizia  dal  campo  di  Fidene  i centuribni  mi- 

gliori delle  tre'  legioni  , alienatisi  da’  comandanti  fin  di 

allora  che  fecero  trucidare  , come  ho  detto  , Siedo  il 



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366  DELLE  AJITICHITA.’  ROMANE 

legato  ; .e  timidi  non  pertanto  di  cominciare  i primi  la 

ribellione  in  vista  . delle  cinque  legioni  delK  Algido  , 

quasi  fossero  amiclie  ai  Decemviri.  Ora  però  saputane 

la  insurrezione;  acceuarotjo  di  tatto  buon  grado  il  favor 

della  sorte  :■>  anche  di  queste  milizie  eran  capi  dieci  tri- 

buni eletti  in  mezzo  alla  marcia  , ma  Sesto  Manlio  ne 

era  il  più  ragguardevole.  - Congiuatisi  tutti , e deposte 

le  arme,  incaricarono  i venti  tribuni  a poter . dire  e fare 

quanto  dovessi  pel  comune.  .Elessero  di  questi  venti 

come  capi  consiglieri  i due  più  rispettabili,.  Marco  Op- 

pio, e Sesto  Manlio.  E questi  .formata  un  coùsigUo  dei 

centurióni  maneggiavano  tutto  ,cpn,.  essi.  .Non  essendo 

ancor  c^arl  al  popolo  i (prò  disegni , Appio  .consape- 

róle  a ses tesso  di  essere  la  cagione  di  quella  turbolenza, 

e de’ìUali  che  ne  verrebbero,  tenòvasi  in  casa,  non 'ehe 

ardisse  far  pubblici  atti.  Sbigottì  su  le  prime  anche 

Spurio  Oppio  , costituito  , come  lui  , su  la  città  , quasi 

fossero  ben  tosto  per  assalirlo  nemici,  e fossato  appunto 

per  questo  venutL  Quando  però  vide  che‘'uon  fàceano 

innovazioni]  rallentando  le  paure  ^ convocò  li  Senatori 

nell.^  curia  , intimatili  ad  uno  ad  ano  per  le  case.  E 

' standovi  questi  ancora  adunati:  ecco  giungere  i cpman- 

danii  dall’ armata  di  Fidane,  irritati  che  la  milizia  avesse 

abbandonato  T uno  e.T  altro'  campo  , -.ed.  insistere  col 

Senato  perché  ne  prendesse  degna  vendetta.  Ora  do- 

vendo ciascuno  dare  il  sno  voto  su  questo.  Ludo  Cor- 

nelio disse , porlqre  il  dovere ,che  tornussero  i spillali 

'ttcl  giorno  stesso  daW  Avenlitto  lot' campi,  ed  ese- 

guissero gli  ordini  des  comandanti.  Con  ciò  non  sa- 

'rebhero  tenuti  rei  di  quanto  s'  era  fatto  , so  noti  gli 



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LIBRO  XI. 



367 



autori  sali , della  ribellione  ; à qvudi  imporrebbe  la 

pena' il  duce  ^medesimo  : ma  se  non  ubbidwanq  ; il 

Senato  delibererebbe  su  loro  ,,  camq  su  disertori  dei 

posti , affidati  ad  essi  da'  capitani  , e come  su  viola- 

tori  del  giuramento  ipiUtare.  Lucio  .Valerio  gli  contrae 

riava  (i)....  Ma  nè  conviene  che  no»  facclaosi  af&tto' pa- 

role delle-  leggi  romane  ehe  troviamo  nello  dodici  tavole, 

essendo  tanto  venerande  e più  insigni  delia  grecai  legi- 

slazione ; nè  conviene  che  sen  facciano  oltre  il  dovere , 

prolungando  la  storia  delle  leggi  medesime.  --  - 


XLV.  Tolto  il  decemvirato  ebbero  i primi  ne’oomizj 

cenluriati  la  dignità  consolare,  dal  popolò  come  ho ‘detto 

Lucio  Valerio  Potilo,  -e  Marco  Orazio  Barbato  (2),  uo- 

mini popolari  per  indole,  come  per  educazione  eredi- 

tari*'. Fidi  alla  promessa  che  avcan  fatta  al  popolo 

quando  lo  indussero  a,  deporre  le  armi  , di  maneggiare 

sempre  il  governò  in  suo  bene  ; stabilirono  ne’  coraizj 

centuriati,  mal  grado  i palrizj  che  vergognavansi  di  re- 

clamarvi , oltre  le  leggi  che  non  rileva  qdi  scrivere , 

anche  quella  coUa  quale  ordinavasi , che  i decreti  faixi 

dal  popolo  ne  comizj  per  tribù  valessero  conìé  i de- 

creti emanati  ne'  comizj  ceniuriati  per  ogni  classe  di 

cittadini  ;■  sotto  pena  t in  caso 'di  convinzione  , per 

chiunque^  abrogasse  o trasgredisse  questa  legge,  della 



(t)  Qdì  miaca  1’ aliimo  SYÌluppo  de*  fatti  co*  quali  fa  tolta  la 

eppreaaione  Decemvirale.  -Perdita  non  ignobile  ; traltSadoYiti  di  uno 

de*  graudi  oambiameati  di  stato.  . . , *• 


(a)  Aeuo  44^  avanti  Cristo  , dalla  fondaiiooe  di  Aoma  ,3o6  se- 

condo Catone^  Quest*  anuo  è tralasciato  nella  cronologia  di  Varroue 

e però/ le  dne  cronologie  differiscono  dopo  questo  per  un  anno  solo, 

non  per  due  com^  per  I*  addietro.  ‘ 



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368  DELLE  Antichità’  romane 


morie  e della  confisca  de'heni.  Questa  risoluzione  levò 

le  controversie  tra’  plebei  e tra'  patrizj  , i quali  ricusa- 

vano di  ubbidire  ai  d^eti  latti  dai  primi , e riguar- 

davano i decreti  emanati  ne’comizj  per 'tribù  come  leggi 

singolari  di 'esse  non  'come  universali  di'  Roma  intera: 

laddove  ciocché  fosse  stabilito  ne’comizj  per  centurie  lo 

riputavano  ordinato  a sestessi  come  a tutti  i cittadini. 

Fu  gié  détto  innanzi  che*  ne’ comiz)  per  tribù  li  poveri 

e li  plebei  prevaleano  su’ patrizj  , come  i patrizj/ quan- 

tunque assai  minori  di  numero  , prevalevano  su’^plebei 

ne’  comizj  per  centurie.  » ' ' . • 


XLVI.  Stabilita  da’  consoli  questa  legge  con  altre 

leggi , fautrici  ’anch’  esse  , 'come  ho  detto  , del  popolo  ; 

ben  tosto  i tribuni  credendo  vénnto  il  tempo  di  vendi- 

cami di  Appio  e de’ colleghi  di' esso,  pensarono  d’  in- 

timar loro  il  giudizio  >e  chiam'arveli  non  tutti  insieme 

perchè  gli  uni  non  giovassero  gli  altri  ; ma  l’ uno  dopo 

l’altro,  su  la  idea  di  convioceryeli  più  facilmente.  Ora 

considerandu  su  chi  prima  incominciassero  più  a pro- 

posito , deliberarono  mettere  in  istato  di  accusa  Appio , 

il  più  esoso  al  pqpolo  per  le  oppressioni , e per  le  in- 

degnità recenti  contrò  la  vergine.  Parea  (oro  che  assi- 

curatisi ''di  questo , disporrebbono'  facilmente  pur  degli 

altri;  laddove  se  cominoiassero  dai  men  furti,  parea  loro 

che  l’ira  de’ cilladtni , calda  oe’ primi  gludizj«  s’inde- 

bolirebbe, come  spesso  accadde,  per  giudicare  in  ultimo 

i rei  più  segnalati.  Deliberato  ciò , sopravvegliarono  i 

rei  ,(j)  ordinando  a Verginìo  di  accusare  Appio',  senza 


, * ' t • • 


|i)  Cioè  gli  aliti  DeceniTiri  aùìaebè  non  soccorceMcto  Appio. 



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LIBRO  XI.  369 


nemmeno  decidere  colle  sorti  chi  Io  accusasse.  Appio 

dunque  accusato  da  Yerginio  nell’ adunanza  fu  citato  al 

giudizio  del  popolo  , e chiese  tempo  per  giustificarvisi. 

£ siccome  non  si  ammisero  per  v lui  mélievadorì  ; ■ fu 

tratto  in  carcere  per  custodii^elo  finché  di  lui  si  giu- 

dicasse. Ma  prima  ' chu  giùngesse  il  di  prescritto  pel 

giudizio  mori  nella  carcere , per  opera  come  molfi  so- 

spettano de’  tribuni  : ma  secondo  che  divulgarono  altri, 

che  li  discolpano , egli,  appiccò  sé  medesimo.  Dopo  lui 

fu  tradotio  al  popolo  Spurio  Oppio  da  Publio  Numi- 

torio  altro  tribuno  : ma',  dategli,  le  difese , vi  fu  con- 

dannata a pienissimi  voti  : e portato  in  carcere  fini  nel 

giorno  stesso  la  vita.  Gli  altri  decemviri  pfima  di  essere 

necessitati  al  giudizio , ■ condannarono  sestessi  all’  esilio. 


1 questori  incorporarono  all’eràrto  i beni  degli  uccisi  e 

degli  esuli.  Fu  nommeno  citato  Marco  Claudio  quegli 

che  si  accinse  a tor  via  come  schiava  la  donzella  da 

Icilio  lo  sposo  : ma  preiéstando  i comandi  di  Appio  fu 

scampato  da  morte  ^ e 'gettato' in  esilio  perpetuo.  Gli 

altri' ministri  ^elle*  ingrastizie 'dèi  decemviri  non  .subi-' 

irono  giudizio  pubblico  ma  diedesi  a tutti  la  impunità. 

Suggerì  pari  economìa  Marco  Duilh'o  il  tribuno  per 

essere  ornai  turbati  i cittadini,  e.  timorosi  di -essere  fi- 

nalinente  anch’  essi  giudicati. 


XLyiI.  Chetate  le  turbolenze  interne',  raccolto  il 

Senato,  decretatio  che  esca  immantinente  T armata  con* 

tro , a’ nemici.  Ratificato  dal  popolo  il  decreto  del  Se- 

nato, Valerio  l’uno  de’ cònsoli  , marciò  eoa  metà  delle 

schiere  contro  gli  Equi  e li  Yolsci  i quali  miliuvano 


' PtOSIGt , itmo  III.  .- 



370  DELLE  antichità’  ROMANE 


insieme.  (Consapevole  però  thè  gli  Equi  , imbaldanzili 

pe’ vantaggi- precedenti,  elevavansi  fino  a sprecar  gran- 

demente la  milizia  romana  , cercò  renderli  ancora  più 

temerari  e vani  con'^are  di  sé  vista  ingannevole,   

pra  de’  Romani  r -ma  dimostrando  r cavalieri  un  ardor 

sommo  ottenne  una  segnalata  vittoria  , - nccisivi  molti 

nemici , imprigionativene  pii^  ancora  , e preso'  i loro 

alloggiamenti  dereKtti.  IvÙ trovò  •molte  provvigioni  da 

guerra,  e tutta  la  preda  già  tolta,  dal  terchoi^'dé’'Ro- 

mani  : anzi' detenuti  molti  de’ suoi  che  liberò;  non. es- 

sendosi alTretlati  i Sabini  pel  disprezzo  che  aveano  del 

nemico  a riporre  in  sictirb  4anti  loro  vantaggi.  'Adunque 

diede  a’  soldati  la  roba  nemica , preelcggeudone  ciocché 

era  da  offerire  agl’  Iddii  1 ' ma  ‘ rendette  te  prede  a chi 

n^era  stato  spogliato.  ‘ 


XUX.  Fatto  ciò  ricondusse  1’  eserdto  in  Roms  ove 

giunse)- contemporaneamente  anche  . Valerio  : ambedue 

sentivansi  grandi  per  là  vittoria  , e'  se  ue  auguravano 

luminosi  trioufi.  Non  però  uiccedette  cobi’  essi  ne  spe- 

rayano  .imperocché  Raccoltosi  il  Senato'  per  essi  'dtie- 

efae  stavansi  coli’  esercito  sul  campo  -Marzo , ed  esami- 

natine'le  gesta  , non  accordò  loro  il  sagrifizio  per  1» 

vittoria  : essendo  oontrarìati  da  molti. , e da  alcuni  ma- 

nifestamente , soprattutto  da  Cajo  Claudio  , zio come 

scrissi  di  Appio,  vuol  dire  del  fondatore  dei  decemviri, 

e tolto  non  ha  guari  di  mezzo  .da’  tribuni.  Cajo  ricor- 

dava le  leggi  colle  quali  ajrean  essi  ‘ diminuita  rautorilà 

del  Senato , e ricordava  le  altre  maniere  da  essi  tenute 

perpetuamente  ' nel  gorernare  : ricordava  ‘ le  morti  o le 

conCfohe'de’beni  dc’decemviri,  traditi  da  esu  ài  tribuni 



37»  DELLE  ANTICPITA’  ROMANE 


contro  i patti  ed  i giuramenti  essendosi  in  mezEO  alle 

vittime  convendta  tra’  patrizi  e tra’  plebei  la  dimenti« 

canza,  e la  impunità  su  tutto  il  passato.  Protestava  cbe 

Appia  non  era  caduto  morto  innanzi  al  giudizio  di  sua 

mano  , ma  per  malizia  de’  tribuni  : aflìncbè  nell’  essere 

giudicato  non  ottenesse  nè  difese , nè  misericordia  : co* 

me  polea  ben  ottenerle , se  potatalo  in  giudizio  metteva 

ÌDuanzi  al  guardo  la  nobiltà  della  sua  gente,  e le  molle 

beoefìcenze  di  essa  verso  la  repubblica  ; se  reclamava  i 

giuramenti  e' la  buona  ^fede- su  la  quale  gli  uomini  ri- 

posano) e rendonsi  a far  pace;  se veniva,  co’ suoi  figli» 

co’  parenti.,  jn  àbito  di  umiliazione  ; in  somma  con  -gli 

altri  modi  pe’  quali  uo  popolo  si  disacerba  , s’ intene- 

risce, e perdona. '{fra  tali  rimproveri  dati  loro  da  Cajo 

Claudio , e da  altri  presenti , fu  coucluso , che  si  con- 

tentassero i'  due,  di  non  pagarne  le  pene:  del  resto  non 

essere  nemmeno  in  picciobssima  parte  d^gui  del  trionfo, 

o ,di  concessioni  non  dissìmili. 


L.  Valerio  ed  il  coUega  esclusi  ^al  trionfo  ,'  lenen- 

dosene ofTcsìssimi , e sdegnandosene  ; convocano  il  po- 

polo , e vi  accusano  vivamente  il  Settato.  .Peroravano 

per  loro  i tribuni^  e proposero  e ne  ottennero  dal  po- 

polo il  trionfo:  ed  essi  ..primi  di  tutti  i Romani  pro> 

dussero  tal  cot^uetudine.*  Dopo  ciò  rinacquero  ‘i  dissid), 

e le  incolpazioni  tra’  patrizj  f e tra’  plebei.  Li  tribuni 

raccendeano  questi  ogni  giorno  concionandoti.  Irriuyali 

soprattutto  il  sospetto  cbe  li  tribuui  cercavano  di  cor- 

roborare con  romori  incerti , e di  amfdìare  con  divina- 

zioni varie,  come  se  li  patriz)  fossero  per'  )tnnienUre  le 

leggi  stabilite  dai  consoli,  Valerio  e suo  collega:  c quel 



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LIBRO  ’XI.  $7  3 


lupetto  ornai  tanto  prevaleva  che  degenerava  la  fede. 

E tati  sona  gli  eventi  di  qnel  consolalo. 


LI.  Nell’ anno  appresso  foron  consoli  Laro  Erminio,  e 

Tito  Verginio  (i).  Snccederon  loro  Marco  Geganio..>(a). 


LH.  Nè  rispondondo  essi,  ma  sdegnandosene;  Scatùo 

fecesi  di  nuovo  innanzi  e disse  : ecco  o cittadini  che 

si  concede  dai  litiganti  medesimi  che  essi  pretumonb, 

parte  che  a lor  non  compete f della  noslrà  campagna', 

or  voi  considerando  ciò  decidete  ciò  che  é giusto  e 

congruo  co'  giuramenti.  Scattio  cosi  diceva  : ma  i con- 

soli ardevano  dalia  vergogna  in  riflettere  , che  il  giudi* 

aio  prenderebbe  un  ' termine . nè  giusto  , uè  onorato  , se’ 

il  popolo  il  quale  qiai  non  aveast  attribuito  ' la  campagnar 

disputata,  ora,  elettone  giudice,  se  T attribuisse , con 

toglierla  ai  litigami.  Adunque  ad  iscansare  èiò  si  ten- 

nero dai  consoli"  e dai  capi  del  Senato  molli  e molti 

discorsi  ; ma  ihvauo.  Impetocchè  quelli'  che  aveano  pi- 



(i)  Ando  di  Roma  3o7  fecondo  Catone,,  3o3  fecondo  Varrone  , 

e 445  *v.  Ctifio. 


.-(a)  E C.  Giulio  secondo  che  si  ricava  dà  Livio.  Net  consolato 

di  Erminio  e  venissero 

persuasi  in  contrario , annullerebbero  alcuna  delle  rìso- 

kizioni  proprie. 


LV.'  In  vista  di  .tali  minacce  .adunati  gli  Ottimati  Ji 

piu  anziani  e principali  da'  consoli  a consiglio  privato  , 

ponderavano  ciocché ''fosse  da  fare.  Cajo  Claudio  come 

U men  popdiarc  , ed  erede  degli  antenati  in  tal  genio 

di  procedere,  inculcava  ostinatissimo,  che  non  si  ce- 

dessero al  popolo  né  i consolati , nè  altro  magistrate 

qualunque;  e che  senza  riguardo  di  persona . privata  o 

pubblica  si  frenasse  colle  armi , se.  non  l'eodeasi  per  le 

parole,  chiunque  tentasse  il  contrario.  (mpero.cché  chiun- 

que tentava  sommovere  le  patrie  costumanze  o discio- 

gliere la  forma  primitiva  del  governo  era  non  cittadino 

ma  nimico.  Per  1’  opposito  Tito  Quinzio  non  voleva  che 

si  reprintessero  gli  avversari  colla  violenza , .né  si  venisse 

alle  armi  ed  al  sangue  civile  colla  plebe:  tanto  più  di- 

ceva che.  -noi  abbiamo  contrarj  i tribuni , che  i nostri 

padri  dichiararono  sacri  ed  inviolabili;' facendo  igenj  e 

gl'  fddj  mallevadori  dell’  accordo  con  imprecatone  gra- 

vissima delia  rovina  loro  e'  de’  figli , se  da  indi  in  poi 

lo  avessero  mai  violato  anche  in  parte. 


LVI.  Accosta vansi . a questo  partito  . ancor  gli  altri 

chiamati  a'  congresso  , quando.  Claudio  pigliando  la  pa- 

rola disse  : Non  ignoi*o  quaji  Jòndamento  pongasi  di 

mali,  per  tulli  noi,,  se^-concediamo  che  il  popolo  fac- 

ciasi a volare  su  questa  legge':  ma  non  avendo  cosa 

pià  farmi,  nè  come  resistere  a voi;  che  tanti  siete  ; 

ahbattdonomi ' ai  vostri  consigli.  Ben  è giusto  cJte 



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LIBHOXI. . 377 


ognun  dica  Ciò  che  sente  deU  util  comune:  ma  poi 

siegua  ciò  che  i più  ne  conchiudono.  Jar,  eome  esortasi 

in  c^fan  che  aggravano , nè  si  vogliono , vi  esorterei 

che  non  cedeste  nè  ora  nè  poscia  il  consolato  a ninno, 

se  non  ai  patrtzj , i quali  è giusta  è pia  cosa  che  lo 

abbiano  : ma  qustndo  come  cd  presente  , siete  alla  n«- 

cessità  ridotti  di  far  partecipi  anche  gli  altri  cittadini 

del  grado  e del  potere  più  grande  ; vi  dico  che  assu^ 

miate  i tribuni  militari  in  luogo  de'  consoli , defineie- 

ione  un  numero  { otto  -o  sèi  forse,  chè  tanti  credo 

bastarne  ) riel  quale  i patrizj  e i plebei  si  pareggino. 

Così  Jrscendo  nò  renderete  il  córuolato  magistratura  di 

uomini  indegni  ed  abbietti  •,  oè  parrete  per  voi  f ohe 

hricare  un  comando  ingiusto , coll  escluderne  affatto 

i plebei.  Ed  approvando  tatti  , senza  reòlamt>  niuno  un 

lai  voto}  udite  soggiunse , .ciocché  restami  a dire  a voi 

consoli.  Prefisso  il  giorno  in  cui^  stabiliate  quel  previo 

decreto  ^ e ciò  che  daf  Senato  si  giudica , lasciale  che 

parlino  su  Ha  legge  chi  la  difende  e chi  C accusa.  Fi~ 

mia  la  disputa  , quando  fio  t ora  d’  irttendeme  i voti, 

non.  vogliate  da  me  cominciare , non  da,  codesto  Quirtr 

zio , nè'  da  altro  seniore  ma  dsU  popolafissimo  sena- 

tore Lucio  Valerio;  interrogando  appresso  Orazio  , se 

punto  vuol  dire,  Bicercate  così  le  .loro  .sentènze , or- 

dinale che  noi  seniori  diciamo.  Jq  sporrò  liberissirrta- 

mente  il  parer  mio  'contrqrio  ai  tribuni  ,•  e fa  questo 

[ utile  della  repubblica.  .Questo  Tito  Genuzio , se  il 

volete,  dia  la  proposta  su*  tribuni  militari.  Parrà  que- 

sto il  partilo  più  congruo  e meno  sospetto  se  proget- 

tisi o Marco  Genuzio-  dal  tuo  fratello.  I(  consiglio  sena- 





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O'jS  DELLE  antichità’  ROMANE 


brò  giusto  , e parlironsi'  dU  oiAigresso.  T^merbuo  i tri* 

buui  la  secretissima  aduuanza,  come  intenta  a gran  danno 

de’  plebei , perché  fatta  in  casa  , _ non  in  pubblico , e 

senz' .ammettervi  alcuno  de’ capi 'del  popolo.  Adunque 

raccogliendo  anch’  essi  un  consiglio  di  uomini , amantis* 

simi-  della  plebe  ^ idewono  ript|ri  e guardie  contro  le 

iusidìe  che  aspeitavansi  da’  patrizj. 


. LVIL  Giunto  il  tempo  preacritlo  per  fare 'il  previo 

decreto , i consoli  convocato  il  Senato , ed*  esortatolo 

grandemente  al  buon  ordine  ed  alla  concordia;  invitarono, 

prima  di  ogn’  altro  j a parlare  i tribuni  deUik.  plebe,  i 

quali  propónevano  la  legge.  Fe^i  avanti  Cajo  Canule)o, 

un  di  loro  ; ma  egli  non  che  dimostrarla , bon  mentovò 

nemmeno  la  giustizia  e la  utilità  della  legge.  Diceva  c/te 

si  stupiva  de  consoli  che  avendo  fra  loro  ponderato  ù 

deciso  ' ciocché  jsra  da  fare  , ora  quasi  pi  abbisognasi 

sero  consigli  e decisioni , metteansì  a proporlo  ai  Pa» 

dri  , e 'davano-  facoltà  di  cBingaxyi  con  simulakione 

non  cbnvèniente  nè  alt  età  loro  , r\è  alla  ' grandezza 

del  comando.  Diceva  che  irttroducevan  t esempio  di 

tristissime'  pratiche  , quando  umvansi  in  casa  et  con- 

gressi recondite,  jtè  vi  chiamavano  tutti  i Senatori , ma 

i soli  favorevolissimi  loro.  E qui  soggiungeva  che  poco 

faceva^li  meraviglia  che  fossero  esclusi  da^quel  coa- 

1 sigho  edtri  sonatori;,  ma  ^grandissima  gliene  ftcevache 

'avessero  tenuti  indegni  da  invitarveli  Marco  Grazia, 

e Lucio  L aierio , qaell(  che  avetìno . tolto  il  Decemvi- 

rotò,  ambedue  uomini  consplari  %nè  idonei' -men  di 

chiunque  a deliberare  su  la  repubblica:  lui  non  poter, 

concludere  appunto  In  cauta  .di  tal  procedere  ; indovi- 



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LIBBO  XI.  . 379 


nco  iie  però  quest'  unica:  valé^  a direi  cfie  essendo  essi 

per  allegare  -disegni' ingiusti  trovinosi  alla  piche,  non 

vollero,  convocarvf  persone  di  essa  amantissime , per-  ' 

chè  sdegnate  arti  popolaresche  ; numerando  fin  da  principio,  tutti  i 

|>ericoli  venuti  su  Roma  per  colpa  di  quelli  phe  vole- 

vano conU'ario  governo;  rilevando  come  l’odio  versola 

plebe  crasi  renduto  dannoso  a quanti  lo  ebbero;  e lo- 

dando amplìssimamente  il  popolo  .come,  autor  principale 

delia  libertà  e del  comando  delia  repubblica;  alfine  ra- 

gionate queste  e simili  cose  , concluse  non  poter  e^ser 

libera  quella  città  dalla  quale  tolgasi  /’  eguaglianza  z 

e quindi  sembrare  a lui  giusta,  la  legge  la- qual  vuole 

che  concorrano  al  consolalo/  tutti  i Boinani  purché  siano 

irreprensibili  ne  costumi  e degni  per  le  opere  di  lai 

tanto  onore  : non  essere  però,  quello  il  tempo  oppor- 

tuno da  trattare  legge  siffatta  in  tanta  turbolenza  di 

guerra  per  la  repubblica.  Pertanto  consigliava,  ai  tri- 

buni di  permettere  che  si  réclutassèro  i soldati,  e che 

reclutati  uscissero:  ai  consoli  poi  di  pubblicare,  appe-j 



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V',  i.iBHó  xr.'  '*  38 1 


na  detto  buon  alla  guerra  il  previa  decreto  su  la 

legge:  e si  scrivessero  e si  corueruissero  fin  et  allora 

tali  cose  da  ambe  ’ie, parti.  Ta^è  fu  la  senteuza  di  Va- 

lerio « e tale  appresso-  fu  pur  quella  di  Orazio  invitato 

il  secoudo  da*' consoli:  non ^ però  ne  fu  pari  1*  affetto  io 

tutti  gli  astanti.  Imperocché  quelli,  che  voleaoo  preclusa 

la  legge,  ne  udirono  f!Ot>  piacere  la  dilazione , non'peré 

con  piacere  ne  adirono  éhe  essa  dovesse  decretarsi  dopo 

la  guerra:  air  opposito  quelli  che  volevano  che  sì  ac- 

cattasse la  legge  dal  Senato  iotesero  con  trasporlo  che 

giusta  si  dichiarava  : ma  con  isdegno  intesero  che  se  ne 

ritardasse  il  decreto.  ■ j > 


LX.  filato  taraulto  ('oom' è verisimile  , perchè  questa 

sentenza  non  soddisfaceva  in  tutto  ad  ainhe  le  parti , il 

console  fattosi  innanzi  interrogò  per  il  terzo  Cajo  Claudio 

il  quale  sembrava  ostinatissimo  e/  potentinimo  fra  tutti 

i primari  della  fazione  opposta  alla  |>lebe.  Costui  tenne 

un  dùtcorso  premeditato  contro  del  popolo-,  rilevando  di 

luì  tutte  le  cose  che  gPien  parevano  contrarie  a begli 

usi  della  patria,  fra  lo  scopo  principale  ove  tendeva  il 

dir  suo,  che  i consoli  non  pcoponessero  al  Senato  l’^esar* 

me  di  quella  legge  nè  allora'  - uè  mai , ooine  diretta  a 

distruggere  il  comando  degli  Ottimati,  e confondere  ogni 

buon  ordine.  Cresciuto  a tal  dire  il  tumulto , sorse  in- 

vitato il  quarto  , Genuzio  , fratello  dell*  a^tro  con- 

sole.-Costui  j discorse  breveménce  le  circostanze  della  città, 

e come  la  cótnplicav^^no  all*  uno  o all’  altro  disastro , o 

di  far  prosperare  ^i  nemici  per  la  discordia  e 1*  ambiziojie 

de’  citudinij  e, di  dare  mal  termine  alla  guerra  interna 

e domestica  .|>er  espedirsi  dajl’  altra  che  le  era  portata 



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38 2 DELLE  A^ìTICHITA’  ROMANE 


di  fuori,  disse,  che  essendo' due  i maiì'  ed  essendo  ne- 

cessità d’  inwyrreme  , loro  mal  grado,' l’^udo  o Y altro , 

credeva  coufacevole  ai  Padri  lasciar  che  il  popolo  urtasse 

alcune  istituzioni  proprie,  anzi  che  rendere  la  patria  Io 

scherno  di  forestieri'  e nemici^  E cosi  dicendo"  propose 

la  sentenza  approvata  nel  congresso  di  ^elli  che  si  erano 

in  casa  riuniti , sentenza  come  io  dichiarai  suggerita  da 

Claudio , che  si  eleggessero  ift  luogo  de'  consoli  i tri- 

buni militari  , tre  de’  patrizj , e tre  dd  plebei , tutti 

con' potestà  superiore  : chè  quando  -^nìrebbefo  questi 

il  lor  tempo,  e si  dovrebbero  creare  i nuovi  magistra- 

ti ; allora  unitisi  di  bel  nuovo  il  SerUUo  ed  il  popolo 

decidessero  quali  più  voleano  riassumesre  al  cornando  li 

tribuni  militari  o li  consoli  : che  per  valido  si  tenesse 

quello  che  il  voto  comune  destinerebbe:  e che  pari 

decreto  si  rinovpsse  ogni  anno.  ■ , ' ' 


LXI.  Eu  la  opinion  di  Genuzto  acclamata  da  tutti: 

e gli  altri  che  sorsero  a sentenziar  dopo  lui  -la  tennero, 

quasi  tutti , per  b migliore.  ' Se  ne  stese  dunque  da' 

consoli  il  decreto , ed  i tribuni  della  plebe , pigliatolo  , 

oe  andarono  , tripudiando,  al' Foro.  E convocatovi  il 

popolò,  vi  lodarono  amplissimamente  il  Senato^  e vi  di* 

nunziaronoV  cbe  doncorresse  pure  a’  magistrati  .‘insieme 

co'  patrizj  chiunque  il  volea  de*  plebei.  '.Se  non-  ohe  il 

desiderio  senza  cagione , Speciàlmemc'  nel  popolo  ^ è per 

sé"  dori  vano,  e cori  pronto  ' a dar  luogo  arcOnirario  ; 

ohe  quelli  i quali  facevano  ogni  prova  per  essere  a parte  ' 

del  magistrato  , risoluti  se  non  concedeasi  ciò  da’ patrlz}, 

di  abbandonare  la  patria  come  1'  avevano  abbandonata 

altra  volta  , o dì  usurparselo  colle  armi , ottenutane  ap* 



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LIBRO  XI.  383 


pena  la  pertnissione , rattemperacono  sestessi , e rivolsero 

altrove  i loro  favori.  E quantunque  molti  de’  plebei  aspi- 

rassero al  militar  tribunato,  e" facessero  per  giungervi 

insistenze  caldissime  ; non  riputarbno  alcuno  degno  del 

grande  onore.- Cosi  quando  vennesì  al  voti  nominarono 

al  militar  tribunato  tra’  patria)  che  yi  còneorrevano  , Aulo 

Sèmpronio  Atratino^  Lucio  Attilio  Longo,  e Tito  delio 

Sieelo.  . ' ; . y ‘ ^ ■ 


i * 


LXn.  Questi  assunsero  i piWi  qu^  grado  in  luogo 

del  consolare  nell’  anno  terzo  della  olimpiade  ottante- 

sima quarta  essendo  Di61o  arconte  in  Atene  (i):  ma 

ritenutolo  settantatrè' giorni  lo  deposerq  secondò  gli  usi 

della  patria’ spontan^atOébte  ;•  perché  alquanti  segni  ce- 

lesti vietavano  loro  il  maneggio  de’  pubblici  affari.  ' Le- 

vatisi questi  dal  comando;  il  Senato- si  raccolse,  e no- 

minò gr;ìn(errè.  U quali  prefìssero  il  tempo  de’  comizj 

e proposero;  da  risolvere  al  popolo  se  voleat  rieleggere 

li  tribuni  o li  «008011 1 il  popolo  decise  attenersi  agl)  nsi 

primitivi;  ed  essi  cont»derono  che  chiunque  il  volea  de* 

palrizj  concorresse  al  consolato."  Adunque  si  elessero  di' 

nuovo  i' consoli’ dell’  ordin  patriuo , e fuf'onò'  Lucio 

Papirio  Mugiliano , e Lucio  Sempronio  Atratino , fratello 

di  uti  de*  tribuni  che  s’  eran  dimessi.  Dond*  è che  furono 

in  -fiLoma  tu  un  anno  stesso  due  magistrature  supreme. 

Non  però  comparisce  1’  una  e l’ altra  magistratut^  in  tutù 

gli  annali  Romani  : ma  in  alcuni  trova'nsi  i 'soli  tribuni, 


(i)  Aodo  di  Roma  3ii  $ècon{lo  Catone,  3ia  secondo  Varronc  , 

e 44*  ^v.  Ccisle.  Tilo  Livio  dice  cbv  i tribuni  militari  entrarono 

maghtraii  sul  termidare  dall*  anno  3io  , e perciò  toccarono  anche 

l’inno  3 11. 



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384  DELLE  Antichità’  romane 


ÌD  altri  i consoli  soli , osservandosi  in  non  molti  T .una 

e r altra.  Noi  ci  atteniamo  agli  ultimi  nè  senza  ragione, 

affidandoci  alla  testimonianza  de'  libri  sacri  «'recònditi. 

Sotto,  questi  consoli  nou  occorse  altra  cosa  civile  o mi- 

litare degna  di  ricordanza;  fecesi  però  trattato  di  ami- 

cizia e di  alleanza  colla  cidi  degli  Ardeali , peroccliè 

spedirono  ambasciadori  , pe*  qliali , lasciate  le  querimonie 

intorno  la  campagna  , dimandarono  di  essere  gli  amici 

e gli  alleati  de’  Romani.  I consoli  ratificarono  questo 

trattato. 


LXIII.  11  popolo  confermò  co'  suoi  voti  che  si  cf'eas* 

s^  i consoli  anche  per  1’ anqo  seguente  ; e nel.  pleni- 

lunio di  Dicembre  presero  il  consolato  Marco.  Geganio 

Macerinó  per  la  secotula  volta , e Tito  Quinzio  Capi- 

tolino per  la  quinta  (i).  Questi  rimostrarono   

mentre  i più  inutili  e più  svergognati  eran  fuori  ài  ogni 

registro,  e cangiavano  luogo  con  luogo  affine  di  viverci 

come  loro  piaceva.  , 


i. 


(i)  Addo  di  Roma  3ia  se'coado  Catone,  3i3  seeuado,  Yatione  , 

41»  ar.  Cristo. 



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SUPPLEMENTI  E FRAMMENTI 


DEI  NOVE  LIBRI  PERDUTI 


DELLE  ANTICHITÀ  ROMANE 


DI 


DIONIGI  DI  ALICARNASSO. 



DZONlGt,  fmo  Ut. 



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387 


IL  TRADUTTORE 


AI  LETTORI. 



U tomai  dì  AUcartiosso  scrìsse  le  Antichità  Ro- 

mane dalie  orìgini  di  Roma  fino  alla  prima  guerra 

Punica  in  venti  libri  estesissimamente , e di  questi, 

poi  diede  un  compendio  in  cinque  libri  come  fu  già 

detto  nella  prefazione  al  tomo  primo.  De'  venti  libri 

perirono  qualche  parte  deW  undecimo  , e tutti  i nove 

ultimi , salvo  alcuni  frammenti  pubblicati  più  volle 

e ridotti  in  fine  secondo  P ordine  de'  tempi  in  ciò 

che  narrano.  ’ 


Avendo  io  trasportato  nel  nostro  idioma  gli  undici 

primi  libri,  e li  frammenti  già  noti  de'  rimónéitti,  fu 

tutto  dato  in  luce  U anno  ii5ia  per  Fìncenm  Pog- 

gioli, editore  in  Roma  della  Collana  Greca  tradotta 

in  Italiano.  Quattro  anni  appresso  però , cioè  nel 

1816,  apparve  in  Milano  una  stampa  Grecolatina 

della  quale  il  titolo  latino  è:  DiONTsii  Halicarnassei 

RomaDarum  AntiquitaUim  pars  hactenus  desiderata  nunc 

denique  ope  codicum  Ambrostanorum  ab  Angelo  MaJO 

Ambrosiani  Coliegii  doctore  , quantam  licuit , restitala. 

Quella  stampa  comprende  gli  antichi  frammenti  dei 

nove  libri  smarriti,  e parti  riguardevoli  derivate  dal 

compendio,  collocate  prima  c dopo  di  essi  frammenti 



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388 


per  ordinare  un  tutto  il  quale  dia  compenso  e lume 

di  ciò  che  erano  i nove  libri  perduti  di  Dionigi. 


Jn  questo  letterario  ordinamento  ci  si  dà  ciò  che 

si  è trovato  , e non  sopra.  Del  resto  la  versione  la- 

tina è precisa  , corrispondente  , elegante  , buona  , 

anzi  molto  : te  note  opportune , nè  vi  si  desidera  di- 

ligenza : e ciò  basti  su  quell’  opera. 


Considerando  come  i frammenti  veri  de’  nove  libri 

presentati  di  nuovo  in  quella  stampa  erano  già  vol- 

garizzati , C editore  in  Roma  della  Collana  Greca 

tradotta,  cercò  più  volte  di  avere  anche  il  volgare  di 

que’  supplementi  raccolti  come  si  potè  dalla  Epitome 

o Compendio  di  Dionigi:  ed  uUirnumente  vi  aggiunse 

pur  le  sue  premure  il  nuovo  editore  in  Milano  della 

Collana' Greca , presa  la  occasione  dal  valersi  egli 

ancora  della  mia  traduzione.  Su  tali  istanze  ho  con- 

segnato il  volgare  di  que’  Supplementi  ordinato  coi 

vecchi  frammenti  appunto  come  si  ha  nel  testo  Gre- 

colatino.  E ciò  è quanto  basta  a dar  luce  alla  giunta 

seguente. 


Roma  aa.  Settembre  i8a3. 



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389 


DELLE  ^ 


ANTICHITÀ  ROMANE 


DI  > . • ‘ 



DIONIGI  ALICARNASSEO 



LIB^lO.  DUODECIMO.  • 


SDPPLEMENTI  (i). 



i • £jglI  avendo  radtinato  Intorno  a sé  uomini  di 

ogni  reo  genio,  li  nudrìva,  quasi  fiere,  contro  la  patria. 


(i)  Suppiementi.  Cos\  li  chiamo  per  dittiogaerli  dai  Frammenti. 

Qnetti  tono  parti  vere^  dei  libp  perduti  f gli  altri  tono  parti  deri- 

Tite  dal  compendio  de’ Tenti  libri  delie  anpchilà  di  Dionigi  troraio 

in  Milano  ueil’ Ambr*>a°a  io  due  dodici,  l'nno  intitolato:  Di  Dio- 

nigi di  jilicarnatto  Archeologo  Romano  t l’altro:  Dionigi  di  Ali— 

tarna$$o  Archeologo  dplle  cote  Romane.  E chiaro  che  questo  titolo 

i dato  da  altri.  Li  supplementi  avran  sempre  doe  TÌrgole  in  prin- 

cipio ed  in  fine  dei  paragrafi  per  dùtiognerli  dai  frammenti., 



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390  DELLE  antichità’  ROMANE 


Tuttavia  se  ascoltava  me , se  confofmavast  alle  leggi , 

egli  faceva  un  gran  colpo  per  la  difesa  , dando  segno 

non  piccolo  di  non  aver  cospirato.  Ma  sbattuto  dalla 

sua  cosdenza  si  ridusse  dove  quelli  si  riducono,  i quali 

siegnono  scellerati  disegni  contro  dei  loro  più  congiunti; 

deliberò  di  non  presentarsi  al  giudizio  ; e respinse  a 

colpi  di  mannaja  li  cavalieri  spediti  su  lui  (i)  ....  li 

suolo -della  sua  casa  i Romani  Io  chiamano  equimelio: 

conciossiacbè  equo  è detto  da  loro , ciò  cbc  non  ha 

prominenze.  Cosi  il  luogo  soprannominato  Mclio  in 

principio  fu  di  poi  detto  Equimelio  alterandosi  i dne 

nómi  in  un  solo  (2)  ». 


II.  « Guerreggiando  i Tirreni , i Fidenati , e li  Ve- 

jenti  co’  Romani  (3j , « Laro  Tolumuio  re  de’  Tirreni 

segnalandovisi  spaventosamente  ; un*  tribuno  romano  , 

Aulo  Cornelio  cognominato  Cosso,  spronò  il  cavallo  su 

lui.  F attisi  a combattere  già  moveano  ai  colpi  le  aste  ; 

quando  Tolumnio  feri  nel  petto  il  cavallo  dell’  emulo  , 

talché  il  cavallo  ne  infuria  e lo  atterra.  Ma  Cornelio 

internando  I’  asta  per  lo  scudo  e 1’  usbergo  nel  fianco 

di  Tolumnio  rovesciò  pur  lui  da  cavallo.  Ben  sorgea 

questi  ancora , quando  fu  colto  nell'  anguinaja.  Con  ciò 

Cosso  Io  ucdsc  e lo  ' spogliò , non  solo  respingendo 


quanti  accorrevano  fanti  e cavalieri  , ma  disanimando  e 


t . 


(1)  Qo«sla  h parte  òel  discorso  di  Cineinnato  sa  Spn^o  Melio 

Deciso  come  reo  di  ambita  lirannido. 


(a)  La  occisione  di  Spurio  Melio  co4) corre  con  l’anno  3r5.  II 

libro  XI  di  Dionigi  non  eccede  1*  anno  Sia.  Pertanto  cib  ebe  manca 

a dar  conliuna  la  storia  delle  Àniichiià  Romane  con  quella  del  Coca- 

pendio  b la  serie  dei  fatti  dell’  anno  3i2  e dell!  due  sdenti. 


(3)  Anno  di  Roma  3i^.  • 



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• LIBRO  XII.  ' 391 


impaurando  quanti  erano  alle  mani  neN'  uno  e nell*  al- 

tro cornò  »• 


IH.  « Essendo*  consoli'  ntiovamenie  Aulo  Gjmelio 

Cosso,  e Tito  Qtrinzio  (i)  ; penuriò  la  terra  per  gran 

siccità;  mancando  non  che  le  pio^e,  fin  le  acque  nelle 

sorgenti.  Donde  nniversaie  fa  lo  scapito 'di  pecore,  di 

giumenti , di  bovi  : e moitè  -fra  gli  uomini  le.  malattie , 

quella  principalmente  che  scabbia  à detta,  assai  molesta 

per  lo  rosore  nella  cute , c più  Rtolesta  ancora  se  inni- 

ceravasi  : infermità  miserabile  in  vero , e cagione  solle- 

citissima di  rovina  ». 


IV.  ....  « Mal  sembrava  a’  primarj  del  Senato  ad- 

dimesticare il  popolo  alla  pace  e prolungargliene  la  cal- 

ma , sul  riflesso  che  per  la  pace  si  schiudono  in  città , 

vizj  , piaceri , e sedizioni  , e solean  queste  prorompere 

ad  ogni  occasione  , difficili  nè  interrotte , appena  si  lo- 

gliean  le  guerre  di  fuori  ....  E meglio  superar  1*  ini- 

tnico  beneficando , che  punendo  : imperocché  di  là  sie* 

gue  se  ' hon  altro , almeno  la  speranza  loro  più  dolce 

sopra  de’  Numi 


V.  . . a Appena  conobbe  che  i nemid  Io  assali- 


vano alle  spalle  , chioso  com’  era  per  ogn’  intorno  da, 

essif  disperò  di  retrocedere.  Egli  tenea  grave  sul  cuore 

che  nel  pericolo  comune , essi  pochi  contro  de'  molti , 

essi  gravati  dalie  arme  conira  milizie  leggere  perireb- 

bero turpissimamente  senza  dar  segno  di  opera  generosa. 

Adunque  vista  un’ allora  conveniente  nè  lontana  destinò 

di  occuparla  » 


VI.  « Agrippa  Menenio,  e Publio  Lucrezio  e Servio 


(3)  Anno  di  Roma  3i6. 



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' 392  DELLE  Antichità’  romane 

Nauzio  tra  gli  ODorì  di  tribuai  militari  scopersero  and 

insurrezione  di  servi  destinata  coaUx>'di  Roma  (1).  Di- 

segnavano i congiurati  dar  fuoco  tra  la  notte  in  un 

tempo  a più  case  in  più  luoghi,  e quando  vedeano  gli 

altri  intenti  a reprima.  1*  incendio  , allora  invaderne  il 

Campidoglio,  ed  altre  parti  munite,  e quindi  provocare 

ad  esser  liberi  lutti  gii  altri  Servi,  e.  con  essi  ucciderne 

i padrom',  onde  averae  le  mogli  e li,  beni.  Manifestatasi 

la  prauca  , i capi  di  essa  furono  presi , battuti , e cro- 

ciassi : e que’  due  servi  che  la  manifestarono,  ottennero 

essi  la  libertà  veramente , e miUe  (2)  dramme  a testa 

dal  pubblico  erario  a.  . ' . , 


VII.  Adoperavasi  il  tribuno  romano  a compiere  la 

guerra  iu  pochi  giorni,  come  lui  che  credea  facilissimo, 

e quasi  posto  nelle  sue  mani  , sottomettere  còn  una 

batuglia  i nemici.  Per  contrario.Jl  comandante  nemico 

apprendendo  la  perizia  de’  Romani  tra  le  armi , e . la 

costanza  ne’  pericoli , non  avea  cara  una  battaglia  in 

campo  aperto  con  pari  circostanze;  ma  Uaeva  la  guerra 

tra  le  arti  e 1*  inganno  , aspettandone  chq  gli  si  pre- 

sentasse un  vantaggio  (3)  . . . . ferito  e morto  venuto 

appena  ».  , , 


Vili.  « In  quest’anno  fu  l’ inverno  rigidissimo,  in 

Roma  (4) , tanto  che  dove  la  neve  caduta  era  meno , 


( i)  .tnno  di  Roma  335.  ^ 


(a)  Il  mille  mauca  oel  lesto.  È presso  a pòco  il  nomerò  pbe  dee 

supplirai  consideralo  ciò  che  se  ne  ha  presso  di  Livio  lib.  4,  o.  aS. 


(3)  Questo  racconto  consente  per  qualche  modo  con  ciò  che 


narra  Livio  net  capo  4^  del  libro  quarto  , intorno  la  disfalla  dei 

Romani  contro  degli  Equi.  ' r ^ 


(4)  Anno  di  Rema  355. 



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LIBRO  XII.  393 


ivi  era  alta  li  sette  piedi  (1).  Vi  perirono  alquanti  uo- 

mini, e molte  greggi,  ed  altro  bestiame  non  poco,  so- 

praffatto dal  gelo  o dalla  fame  per  mancanza  de’pasccdi. 

Le  arbori  firuuifere  inusitate  alle  grandi  nevi  o perirono 

in  tutto,  o seccate  ne’ tempo  in  tali  regioni  alquanto  più 

boreali  del  mezzo , seguendo  il  circolo  parallelo  il  qual 

viene  per  1’  Ellesponto  sopra  di  Atene.  Allora,  per  la 

prima  ed  unica  volta  1’  ambiente  di  questa  regione  si 

allontanò  dalla  sua  temperatura  fa)  a. 


IX.  « I Romani  fecero  le  feste  dette  letxistermi  nel- 

r idioma,  dei  luog.o.  Or  furono  ammoniti  a tanto  pe’  li- 

bri Sibillini:  giacché  gli  astrinse  a consultarne  l’ oracolo 

nn  morbo  pestilenziale  mandato  loro  da'  Nomi , nè  sa- 

nabile'per  cura  umana.  Adunque  acconciarono,  come 

voiea  r oracolo  tre  ietti , T uno  ad  Apollo  e Latona  , 

r altro  ad  Ercole  e Diana  , ed  il  terzo  a Vulcano  e 

Nettuno.  Fot  per,s?'tte  giorni  fecero  pubblici  sagrifizj  , 

come  pur  fecero,  ciascuno  secondo  le  forze  sue,  private 

offerté  ai  Numi , e conviti  sontuosi  ed  accoglienze  di 


forestieri  (3)  ». 


« ^ , 



I ' 


(1)  Livio  raeconu  I.  ▼,  c.  i3  cb«  il  Tevere  non  pelea  navigard. 

(3)  Questo  fraocbiaaiUko  tcnvere  & desiderare  le  cautele  dell’aa- 

tore  dei  veoli  . libri  delle  Aulichità  Aooiaae.  Le  muiasioai  anche 

rarieeime  dcll'elmosfera  ooa  perché  non  sono  scriue  pel  tempo  paa- 

laio  , può  concludersi  che  non  avvenissero  mai  piò . 


(3j  Livio  parla  di  ul  festa  nel  lib.  t , 0.  i3 , la  dice  occorsa 



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3p4  DELLE  ANTICHITÀ,’  ROMANE 

X«  « Pìsone  il  censore  fa  negli  annaK  suoi  quest’ag> 

giunta  : cioè , che  sebbene  fossero  sciolti  tutti  i servi  ^ 

tenuti  io  ferri  dai  padroni , sebbene  Roma  si  empisse 

di  forestieri  , ' e sebbene  ’si  tenessero  dì  e notte  spalan* 

cate  le  case,  penetrandovi  chi  volea,-senz* ostacolo  ; pur 

ninno  si  dolse  che  avessene  furio , nè  oltraggio  ; quan« 

tnnque  i giorni  festivi  sogliano  per  'le  brìachesze  dar 

largo  il  campo  a disordini  ed  ingiustizie 


XI.  «r  Stando  i Romani  all’  assedio  di  Vejo  (i)  sul 

nascere  delia  canicola  quando  gli  stagni  diminuisconsi  e 

tutti  li  fiumi  all’  infuori  ' dell’  Egizio  {filo  (a) , il  . lago 

de’ monti  Albani,  distante  non  meno  di  quindici  miglia 

da  Roma,  presso  al  quale  fu  già  la  città  madre  de’Ro* 

' mani  , crebbe  senza  piogge  , senza  nevi , e senz’  altre 

apparenti  cagioni , per  le  sole  inteMe  sue  fonti'  a tal 

dismisura , che  'inondò  buon  tratto  delle  adiacenze  con 

molte  case  di  agricokorì.  E finalmente  aprendosi  a forza 

, il  passo  tra-  monti  si  versò  con  terribile  sbocco  ne’  campi 

sottoposti  , ■ ' 



Della  estate  contagiosa,  la  qual  s^cedcltc  all' inverao  rigidissimo 

descritto  diantì. 


(i)  Addo  di  Roma  356. 


(a)  Aie  infuori  delV  Egitto  Nilo-  Questa  cceetione , &t  cono- 

scere, parmi,  che  l’autore'del  compendio  non  i Dionigi.  Imperoc- 

ché egli  nato  in  Alicamasso  città  dell’  Asia  , e già  spettante  al  re- 

gno di  Persia , come  tatto  il  corso  dell'  Eufrate , non  poterà  , e 

certo  non  dorerà  ignorare  in  tanta  naturai  tua  diligenia  che  P Eu- 

frate anch*  esso  nel  luglio  assai'  cresce  e trabbocca  , come  si  legge 

in  Arriano  iibro  ni,  par.  ao,  greco  per  esso,  e scrittore  delle  gesta 

di  Alessandro.  Lo  stesso  Arriano  scrire  nel  lib.  r,  paragr.7  secondo 

la  nostra  tradusione,  che  anche  i fiumi  Indiani  nell’estate  ingrossano 

fuor  di  modo  e neU’inrerno  scemano. 



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LIBRO  XII.  395 


XII.  • Vedalo  ciò  li  Romaai  , da  princìpio  , (jQast 


10  sdegno  del  cielo  minacciasse  Roma,  decretarono  pia* 


care  con  sagrifizj  i Nomi  ed  i Genj  del  luogo  , con- 

saltandovene  pur  gl’  indovini , se  ne  eressero  mai  co$a 

da  significare:  .Se  non  che  né  il  Iago  ripigliava  l'ordine 

SQO,  nè  gTinterpetri  sapean  dirne  a proposito,  ma  sng~ 

gerirono  che  si  mandasse  per  intenderne  P oracolo  in 

Delfo  ».  ' 


XIIL  « Intanto  un  di  Vejo  perito,  per  Ipmc  avutone 

da’ maggiori,  dell' arte  divinatoria  di'  qne* luoghi,  sfavasi 

per  avventura  in  gnardiè'deNe  mura/  Era  cosini  noto 

ad  un  centurione  romano.  E • quél  centurione  venato 

una  volta  presso  le  mura  lo  salutò  come  usava  ; aggiu- 

gnendogli  di  commiserare  Ini  come  tutti  i suoi  pe’mali 

imminenti  nella  espugnazione  dellai  cittè.'Per  l’opposito 


11  Tirreno,  il  qual  già  sapeva  In  inóndàziooe  del  lago 

Albano,  e sapeva  gli  antichi  oracoli  intorno  di  questa  , 

replicò  , sorridendo , guanto  é bene  conoscere  t ot'tv- 

nt're.  Voi  per  non  conoscerne  sostenete  una  guerra 

senza  fine , e travagli  irriuscibili , disegnandovi  la 

distruzione  di  Vejo.  Se  alcuno  vi  rivelasse  portare  il 

destino  di  questa  città  che  allora  sia  presa , quandó 

U lago  Albano  impoverendo  nelle  acque  sue , non 

più  si  mescoli  al  mare,  cessereste  di  tenere  voi  nella 

fatica,  e noi  tra  le  molestie.  Assai  ne  impensierì  ciò 

udendo  il  romano  , e parti  ». 


XIV.  « Nel  giorno  appresso  il  romano , comunica- 

tone il  disegno  co’  tribuni',  rivenne  allo  stesso  luogo  , 

ma  senza  le  armi , onde  il  Tirreno  non  sospettasse  af- 

fatto d’ insidie.  Ripigliò  I’  usato  saluto  , e poi  disse  in- 



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396 



DELLE  antichità’  ROMANE 



nanzi  tutto  l’ incertezza  la  quale  agitava  il  campo  de! 

Romani , e cose  altrettali  da  rallegrarne , com’  egli  cre- 

deva , il  Tirreno.  Poi  chiedealo  spositore  di  alquanti 

segni  e portenti  occorsi  di  recente  ai  tribuni.  Gnidi- 

scese  colui  ' niente  sospettando  d’ inganni.  E fatto  ritirare 

gli  altri  i quali  erano  con 'lui  si  mise  egli  solo  col  .cen- 

turione : £ questi  U passo  a passo  lo  allontanò  dalle 

mura  con  discorsi  diretti  a deluderlo  ; Or  come  fu 

presso  alle  muniuoni  romane. lo  abbracciò  con  ambe  le 

mani , e sei  portò  negli  alloggiamenti  ». 


XV.  B Quivi  i tribuni  or  lusihgando  or  minacciando 

lo  ridussero  a dire  quanto  celava  sul  lago  Albano , e 

poi  lo  mandarono  al  Senato.  Non  parvene  u tutti  i pa- 

dri in  un  modo  : e chi  tenea  costui  per  pno  scaltro  ^ 

per  un  impostore,  per  uno  che  mente  su  gli  oracoli 

de’  Numi,  e chi  dicea  lui  parlare  a punto  il  vero  ». 


XVI.  « Fluttuando  fra  tali  incertezze  H Senato,  ecco 

i deputati  - al  Nome  in  Delfo  riportarne  (i)  le  divine 

risposte,  concordi  a quelle,  date  già  dal  Tirreno:  vncd 

dire  che  gli  Dei  e li  Genj  li  quali  aveano  in  sorte  la 

città  di  Vejo  promettevano  mantenervi  costante  la  pro- 

sperità trasmessavi  dagli  antenati  finché  le  acque  sor- 

genti del  lago  Albano  ne  Uaboocassero  e corressero  al 

mare  : Ma  quando  quelle  acque  , .mutata  la  fonte  e il 

corso  antico  , deviassero  altrpve , nè  più  si  mescolassero 

al  mare,  allora  pur  Vejo  ne  andrebbe  sossopra.  Parve 

che  potesse  pianto  ottenersi  da’.  Romàni  , se  scavando 

delle  fosse  intorno  al  lago  V*  incanalavano  l’ acque  le 

quali  sboccavano,  dirìgendole  in  campi  lontani  dal  mare. 



• (i)  AjBno  di  Homa  357* 



» 



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L^O  XII. 



397 



G>DOsc!ato  ciò  li  Romaai  bentosto  misero  gli  operaj  su 

r intento  », 


XVIL  w Rendutine  i Vejenti  consapevoli  per  nn  pri* 

gioniero,  deliberarono  spedire  a chi  li  assediava,  a fine 

di  toglier  la  guerra  innanzi  ch^  la  città  soccombesse:  e 

scelsero  de’ seniori  per  deputati.  Rigettata  dal  Senato  la 

pace  , lasciavano  questi , taciuirni , la  curia  : quando  il 

più  Cospicuo  fra  loro  e più  famoso  nel  divinare , fer- 

matosene alla  porta  e girato  lo  sguardo  su  tutti  se- 

natori disse:  bel  decreto  v avete  voi  fatto  o Romani! 

e degno  di  voi  U quali  cercate  dominare  per  tutto 

intorbo  , quando  ricusate  aver  suddita  una  città  nè 

piccola  nè  ignobile  la  qual  depone  le  armi  e si  ren- 

de, e destinata  abbatterla  da’  fondamenti  senza  te- 

meme^t  ira  de'^Numiy  nè  la  vendetta  degli  uomini. 

Or  ne  verrà  per  questo  su  voi  la  giustizia  punitriea 

de’  Numi  con  pari  vicenda  ; Voi  che  spogliate  li  Ve- 

jenti di  patria  , voi , tra  non  molto  perderete  la  vo- 

stra (i)  ». 


XVIII.  « Prendendosi  (a)  dopo  breve  tempo  Yejo, 

taluni  de’  cittadini  ne  andarono,  e stettero  da  valebtno- 

mini  contro  a’  nemici , e ne  uccisero  e furono  uccisù: 

altri  diedero  a sé  stessi  la  morte:  ma  quanti  per  co 

dardia , e bassezza  di  spirito  risguardavano  ogni  altro 

successo  come  più  mite  della  morte , abbandonarono  le 

armi  e sè  stessi  al  inncitore  ». 



(i)  Anche  Cicerone  nel  lib.  r,  c.  44  èe  Natura  Deoram  fa  men- 

xione  di  quella  ambasceria  , e dell'annunxio  del  castigo,  succeduto, 

^oni’  egli  scrive  , sei  auui  dopo  la  presa  di  Vejo,  col  piombare  dei 

Galli  su  Roma. 


(3)  Anno  di  Roma  35K. 



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398 



DELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE 



XIX.  « GatniUo  sotto  la  dittatitra  del  quale  Ve)o  fu 

presa , stando  co’  Romani  pili  insigni  su  luogo  elevato 

donde  tutta  quella  città  si  scopriva,  prknieramente  fèli- 

qitava  té  stesso^della'  Iiella  avventura  con  che  gli  era 

accaduto  di  espugnare  e senza  gran  costo  una  città 

grande  e prosperosa , - la  quale  erà  parte  , uè  gii  la 

più  ignobile  'della  Etmria , allora  fiorentissima  , e po- 

tentissvna  tra'  popoli  dell’  Italia , e la  quale  avea  dispu- 

tato |1  principato  ai  Romani  con  guerre  moltiplicate  per 

dieci  generazioni  (i)  con  cimentarsi  alfine  a tutti  i mali 

tra  r assedio  non  interrotto  di  nove,  anni  (a)  ». 


XX.  a Di  poi  ponsiderando  per  qual  lievissimo  bil- 

lico  trascende  la  sorte  umana , e come  nino  bene  tien 

fermezza  , alzò  le  mani , sopplichevole  ' a Giove  e agK 

altri  Nomi,  perchè  tanta  felicilà  non  chiamasse  l’invidia 

su  lui  principalmente  , nè  su  la  patria  : e se  per  Con- 

trario pubblici  disastri  pendeano  su  Roma,  o privati  sa 

lui,  almen  fossero  questi  i più  lievi  e più  tollerabili  ». 


XXI.  « Non  minore  di  Roma  per  gli  cdificj , godea 

Vejo  terreni  ■ ampj , d’  assai  frutto  , dove  piani  , e dove 

montuosi  in  aere  purissimo  e salutevolissimo,  senza  pa- 

ludi vicine  , dalle  quali  sorgono  aliti  gravi  ed  ingrati  , 

e senza  ninn  fiume  il  qual  dia  troppe  fredde  le.  aure 

del  mattino:  nè  scarse  vi  son  Tacque  (3),  nè  condot- 



ti) Ciok  per  circa  irecento  anni  asjegaaado  treni' anni  ad  ogni 

generaaione;  Imptroccbè  Vejo  cominciò  tali  tae  gaerre  con  Romolo: 

poco  prima  della  aua  morte,  e loocomM  l’anno  358  di  Roma. 


(3)  Livio  ed  aliti  dicono  durato  quello  asi^io  dieci  anni  : vuol 

diro  nove  furono  gli  anni'  interi  ciocché  scrive  I’  autore  dell’  Epi« 

tome , ma  non  intero  fu  1’  ultimo. 


(3)  Dionigi  nel  paragr.  i5  del  libro  iz  scrive  che  non  lungi  da 



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, , LIMO  xil;  399 


levi  altronde  , ma  vi  scatnrtacono  copiose  • nommeoo  , 

ohe  bouissime  a beverne  a.  ■ * 


XXII.  «'Dicono,  che  quando  Enea 'figlio  di  Anchise 

e di  Venere  approdò  nell' Italia  volesse, far  sagrìfizio  ad 

un.  tale  de’  Numi  ; e che  fatte  già  le  preghiere , stando 

ornai  per  operare  su  la  vittima  apparecchiata  , mirasse 

venir  da  lontano  tm  greco,  Ulisse  forse  quando  fu  per 

r oracolo  di  Avemo  , o Diomede  quando  si  recò  per 

soccorso  di  Danno.  E dicono  che  disgustato  Enea  del- 

l’incontro,  tenesse  come  inaugurata  la  vista  dell’ inimico 

tra  le  sante  cose,  e che  volendo  respingerla  si  bendasse 

e volgesse  altrove  ; finché  dopo  la  sparizione  di  colui 

lavatesi  di  nuovo  le ^ mani  fece  il  sagrìfizio:  e siccome 

vi  si  rendè  fàusta  ogni  cosa  , e^U  ne  fu  dilettato  per 

.'nodo  da  custodihie  di  poi  nelle  sante  cose  la  cerimo- 

nia; conservandola  per  ciò  li  posteri  di  Ini  quasi  legge 

dei  sacro  ministero  ». 


XXUI.  « In  conformità  de’  patrii  riti  , fatta  la  sup- 

plica Camillo  ancora  si  trasse  in  sul  capo  il  manto  , e 

volea  rivoltarsi.  Ma  travoltoglisi  ciò  che  avea  di  sotto  a 

piedi , nè  potendosene  rattenere , ne  andò  supino  a 

terra.  Or  questo  rovescio  , indizio  che  egli  di  necessità 

cadrebbe  per  una  miseranda  caduta , questo  rovescio 

fàcilissimo  da  intenderlo  senza  calcoli  e divinazioni,  an- 



Vejo  è il  fiume  Cremerà,  e che  da  questo  fiume  fu  denomioaio 

Cremerà  il  caetello  edificato  da  Romani  contro  di  Vejo.  Qui  ai 

•crÌT»  che  non  vi  è niun  fiume  il  ^oalc  dia  troppo  fredde  le  aure 

del  mattino  : che  anche  senza  fiume  vi  abbondano  le  acque.  Questo 

esservi  e non  esservi  un  fiume  & concepire  che  lo  scritture  del  com'.^ 

pendio  non  è Dionigi. 



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4oO  DELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE  LIBRO  XIlJ 

che  da’  meoo  periti , questo  egli  ■ noi  pensò  degno  da 

guardarsene  e da  espiarsene  f ma  lo  ridusse  tale  da. 

consolarsene  come  se  li  Numi  avessero ‘esaudito  le  pre 


glie  pii\  illustri  a' quali  esso  era  maestro  di. lettere,  li 


\ » * 


' • t * 


(i)  Narrano  che  Dionigi  divise  il  suo  campcndie  in  cinque  libri. 

Ambedue  li  codici  trovati  del  compendio  delle  aiilicbilà  non  hanno 

0 non  ritenpoiio  indiaio  ninno  della  distinsiooa  in  libii. 


(a)  Aaoo  di'  Roma  36o 


BfOHlGI,  urna  III.  j ,S 



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4o2  delle  Antichità’  romàne 

cavò  fuori  delie  porte  come  per  passeggiare  dinanzi  le 

mura  , e far  loro  visibile  il  campo  romano.  Poi  sionla* 

nandoli  poco  a poco  dalla  città , li  ridusse  presso  le 

guardie  Romane:^  queste  accorsero;  ed  egli  cedè  sé  stesso, 

e gii  altri.  Menato  a Camillo  disse  , che  da  gran  tempo 

egli  volea  rendere  la  città  de’  Romani  : ma  non  avendo 

in  sua  balla  nè  la  fortezza , nè  le  porte , nè  le  armi , si 

argomentò  di  mettere  nelle  mani  di  lui  li  6gli  ^e’dtta^ 

dini  primarj , consideràndo  cbe  necessiterebbe  li  padri , 

solleciti  di  salvarli , a dar  la  città  quanto  prima  ai  Ro- 

mani. E cosi  diceva,  immaginandosene  maravigliòsi  pre^ 

mj  pel  tradimento,  a 


II.  « Camillo , dati  da  custodire . il  maestro  e (i  fan- 


ciulli, scrisse  al  Senato  il  successo,  chiedendone  cièche 

fosse  da  fare.  ■ Lasciatogli  dal  Senato  di  lÀrne  il  lueglio 

che  a lui  ne  paresse  , egli  cavò  dagli  alloggiamenti'  il 

maestro  e li  fanciulli,  e fece  alzare* il  suo  tribunale  non 

lungi  dalle  porte  , presentandosi  immensa  la  folla  su  le 

mura , e dalle  porte.  Quindi  primieramente  distinse  ai 

Falisci  quanto  il  maestro  fosse  stato  ardito  di  olTeuderli. 

Appresso  ordinò  che  i servi  gli  traesscr  la  veste  , e lo 

canninasser  ben  bene  colle  sferzate  ; e quando  tal  pena 

gli  parve  bastare  ^ .allóra  ‘diè  delle' verghe  ai  fanciulli  , 

e fece  che  sèi  menassero  innanzi  alla  città,  legato  colle 

mani  al  t&rgo,  battendolo  e malmenandolo  per  ogni  ma- 

niera. I Falisci  ricuperalo  i fanciulli,  e punito  il  maestro 

in  proporzione  del  suo  malfare , sottomisero  la  patria  a 

Camillo.  «'  , I ' . , 


-•  , ^ - , f » 


III.  n Lo  stesso  Camillo  nella  spedizione  su  Vejo  (i) 


(i)  Anno  di  Homa  36o. 



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' ' LIBRO  XII. 


lece  volo  a Giunone^ 'Dea  sovrana  del  luogo,  di  collocarle 

se  prendea  Yejo  , la  statua  iu  Roma',  istitoendoveue 

insiemé  cpito  magnidco.  Pertanto  dopo  espugnalo  Vejo, 

man^ò  de’  cavalieri  più  rìguardevoli  a prendere  dalla  sua 

sede  it  simulacro.  Appena  gl’  inviati  vennero  al  tempio, 

r uno  (K  loro  sia.  p^erilmeitte  e per  beflTarsene , sia  per 

fame  l’augurio,  addimandò  la  Dea  se  voleva  tra^mn 

grarsi  a Roma , e colèi  soggronsè  volere  con  chiarissima 

voce  della  statua  ; e due  volte  lo  aggiunse.  Impérocchè 

non  potendo  que’  giovani  peiiuadersi  che  la  statua  fosse 

quella  che  «vea  parlato , replicarono  la  dimanda , e ne 

adirono  un*  altra  volta  la  voce  stessa  (i).  » 


IV.  «'Tra  il  comando  de’  consoli  dopo  Camillo  pro- 

ruppe in  Roma  un  morbo  contagioso  , apparecchiato  dal 

non  piovere  e dall'  anura  estrema.  Afflitti  con  4:iò  git' 

albereti  e li  senànati  porsero  frutti  pochi,  e nocevoli'  agli 

uomini  , e pascoli  scarsi  e malsani  ai  bestiami.  Odd’  è 

che  ■ il  male  consuase  pecore  e giumenti  senta  numero 

non  sedo  per . • quantunque  non  igno- 

rassero che  U multa  eccedèVa  non  poco  gli  averi  di  ]ui: 

ma  ciò  vollero  perchè  messo  ' in  fcavcere  scapitasse  nella 

riputazione  chi  tanta  ne  avea  per  'hobitissiole  guerre , 

amministrate  per^  eecellenia.  Li ‘congiunti  e li  clienti  ac- 

cozzarono e diedero  la  son^ma-  richiesta  afBnchè  egli 

non  soggiacesse  a vilipendj  ; ma  H valentnonio  riputando 

intollerabile  la  ingiuria.,  abbandonò  (a  patriq.  » 


VI.  « Nel  giungere  alle  porte  fra  gli  astanti  • addo* 

lorati  e piangenti  per  la  perdita  che  farebboho,  bagnò 

di  largo  pianto  anch'esso  il  senAbiante, -e  lamentò  la  in- 

famia in  che  era  mesio  dicendo  : > ^  Adunque  disperando  i barbari  prendere 

la  fortezza  per  inganno  o di  furto-,  si  diedero  a trattare 

del  prezzo , cui  dato , i Romani  riavessero  la  cittù.  » 

XIIL  a Dopò  giurati  gli  accordi;  i Romani  portarono 

r oro  , e Vckiticinqae  talenti  era  la  somiina'.la  quale'  do- 

veano  ricevere  i Galli.  Disposta  la  bilancia  ècco  il  Gàllp 

imporvi  un  peso  maggiore  deKgiusto:  se  ne  querelarono 

i Romani  : ma.  il  nemicò-  tanto  fu  alieno  dal  rettificarlo, 

che  lo  aopmccaricò  delia  sua  spada,  levatosela  dal  cinta 

E chiedendo  il  questore  che  volea  mai  significate  quel 

fatto  ; rispose  , ^ubt  pò  vinti.  E poi  che  il  peso  ivi  po- 

sto, ampliato  com’  era-,  non  si  pareggiava , anzi  mancava 

un  terzo'  di  tanto , i Romani  si  ritirarono  chiesto  tempo 

da  raccoglier  l’ intero.  Sosteneano  tanta  insolenza  ignari 

delle  cose  operate  ] come  al>biàm  detto , in  campo  dpe  il  'corpo  ad  un  tempo  e lo  spirito;  converseodola 

oibei  Uòndi  nasposto^ma  palesemente.  Addolorato  Arante 

per  lo  distacco  della  donzella  non  più  reggeva  alia  in- 

giuria-, cbe  ne  avea  da-  ambedue  : né  potendo  pigliarne 

Vendetta  si  mise' ad -ùn  viaggio  sótto  .vista  di  liegoziare. 

Udì  con  trasporto  il  giovine  lo  andare  , dandogli  ciò  che 

era  l^sogao  ai  goadàgiii,'  e T altro  poftò,  nelle  Gallie  molli 

earri  eoa  Q^i  di  vinoV  di  olio  ^ e 'tnollr.'ata  ceste >di 

fichi,  a ' r ‘ . 


a I Galli  di  quel  di' non  conoseeano  il  vino 

delle,  vili,  nè  1’  olio-,  quale  fi'a-uoi  1q  danno  ie  olive: 

ma.teneano  vin  d’orab,  festnefatato  in  acqqà , ó foglia- 

me. tetro  all*  odore  , usando  per  olio  ^assi  vecebj  di 

porco  , ingrati  a odorarne  e gustarné/>  CoiQe  provarono 

frutti  non  prima  gustati  ne  presero  dilatto  masaviglioso, 

iuierrogaodo  il  forestiere , dove  e come  ciascuno  di  questi 

si  generasse,  n -'t  ■ 


XVII.  « E. colai  replica*,  the.'iimpìa  e buona  è la 

terra  che  li  produci , è questa  posseduta  da  uomini  , 

pochi  di  numero:  uè  punto. migliori  delle  Jìemraine  in 

far  guen'a.  Suggeriva;  ,chc'non  ricevessero  più 'tali  cose 

dagli  altri  ad  on  péezzq,  ma  cacciassero  i possessori  an- 

tichi, e se  le  appropriassero.  ( i ).  Mossi  da  quel  dire  ven 

mi.  Ma  i 'GaRii  ne  misero  in  fuga  la  molhtudine  , ed 

occuparono  tutta  Róma  , salvo  il  Campidoglio. 


v Con  c'ò  gran  eommrrcio  praesdente.  Cioachè  non  ti  accorda  con 

la  DoTÌlà  deacriiia  .dei  prodotti  recati  da  Aruoti  nelle  Gallif.  Won 

a facile  a connidemi  ube  una  natione  ai  ecciti  e commo^a  a tfa- 

tmtgrare  pa’ racpooti  dì  un  aTTeuttrriero.  Livio  tcrive  Iv  5.  i4> 

.Eoa  ( Gallt  ) ^lu  oppufinavtrunt  CUuiunì . non  fuh$t  qui  primi  alpet 

trantUrint^  latù  óonstat.  0uel  .aarii  eo/iitat  impoHa  Alt  lai  «ni- 

diaione  era  comune  in  Roma  a'iAreno  Ira!  leueraii  'oi  t,empi  di  Livio, 

che  sod  (joelli  di  Augatcn  ,,  .nel  cui  regno^^  anche  Dionigi  vino,  io 

Roma  luogo  tempo.  Panai  duiiqae  da  coocluderbe  che  lo  scritto  ai 

risente  di  alquanto  nosiooi  te  'quali  .uoo  erano  del  diligentissimo  aa- 

tore  della  aiilicbità  : ciot  questo-  tjompoodio  k di  t>n  greco  il  quale 

non  essendo  £>rao  vivulo  nell*  Italia  , S compendiando  Dionigi , 'vi 

lasciava  conoscere  la  vena  dell*  ingrfpio  ano  non  ai  para  quanto  quella 

di  Dionigi.  ■ ; ' s * 


(t)  Anno  di  Roma.  551.  * ' • •'  . ‘ ' 



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4io 


DELLE  ’,  •!  '• 


* » • f ' 


■ ANTICHITÀ  ROMANE  - 


DIONIGI  ALIGARNASSEO 


) V 


• » \ 


, • rodar(7ao,  nel  lesto  edeltan,  donde  celtico 

e poi  ceillca,  , , 



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4i3  delle  Antichità.’  romane 

dopo  V incendio  generò  dal  ceppo  un  tirgnlto  , come  dì 

Un  cubito , volendo  gli  Dei  manifestare  ^e  ben  presto 

la'  città , ricreando  se  stessa,  darebbe  germi  novi  in  vece 

degli  antichi.  » ' 


y.  H Anche  in ‘Roma  il  picciolo  tempio  di  Marte  in 

cima  al- Palatino  ,  'i  Romani  pensano' chò  debbasi  operare 

ben  alirimen)Ì  debbasi  a’  vecchj 

benefìzi  sagrificare  la  coliéra  per  gli  oltraggi  recenti. 


IXt  -Cerltmenle  della  Romana  grandezza  ben.  fu  me- 

raviglioso. quel  ^axto,  che  non  malmenarono,  pia  lascia- 

rono ille^  tjttti  i Tuscolani  ‘^u^ntuòque  colpevoli  f tna 

più  meraviglioso  ancora  fu  quanto  eòncedesouo  ad  essi 

dopo*  il  perdono  (3).  Imperocché  fattisi  % provvedere  che 

non  .saccedesse  più  nòlla  di  Simile.,  nella  loro  città  , né 

più  ci  avessero  alcuni  comodità  di  far  cose  nuove , non 

conclusero  già  di  mettervi  guarnigione  nella  fortezza , nè 


(l'I  Anno  di  Roma  }-4-  , ^ 


(a)  Questo  e li  tre  seguenti  paragrafi  sono  fratOmeaii  dei  venti  libri 

delle  autichltà  Romane  acUtte  da  bioaigt  e àul''  dal  Gomptndjo  ; 

aono  picciolo  parti  dèli’  opera  vara' e noi»*  parti*  derivata  altronde 

per  supplirla,  il  tasto  grec»  e-la  tradaàioqe  latina  ai  ara  atampata 

più  volte.  Li  framosenti  ai  dislingtsuao  dal  non  avere  l«  virgole  nè 

in  principio  nù  in  fin^  dei  paragrafi.  ' 


(3)  Anne  di  Roma  3^3 . ' . > . .  lasciarono  contro  il  sangue 

loco  eccessi  ùi  oltraggi  che  i barbari  più  empj  potessero 

sopraggiungervi.  . ^ - 'i'  . 


'XI.tE  potrei  allegare’  altri  errori' infìnhi  'di  quelle 

repubbliche  ; ma'  li  tralascio;  giaocbè  spiaeemi  ; - fino 

l’aver  menzionato  gli  ànzidetti.  Imperocché  vorrei  che 

la  nazione  Greca . si  distinguesse '‘dà  . quelle  de’  barbari 

non  col  nome  solo. e col  dialetto;  ma  per  la.inlelligeoza 

eia  scelta  delle  utili  costumanze;  c sopratthtto  che  infra 

loro  noit  si  desolassero  con  ingiurie  più  che  disumane. 

E   ad  esercitare 

i lor  corpi  o faticare  nelle  armìv  ne  ausavano  di  con- 

tinuo, e vi  grondavano  dal  sudore,  costretti  a desisterne 

innanzi  P awiSo  de’ capitani  ».  . 


XUI.  ‘ a Udito  ciò  f ' Camillo  dittatore  de’  RomaOi , 

adunò  le  sue  milizie , e condonò  • tra  loro  , . assai  vivifi- 

(»ndole  ad  imprèndere:  0 ‘Romani  ^ e^i  disse,  nói 

abbiamo  assai  più  cùU  it  nemici  benfatte  le  arme , le 

corazze  y gli  elmi,  gli  stivali,  gli  teuài  saldi,  coi  tiuaU 

guardiamo  tutto  il  corpo  , le  spade'  d due  tagli , ed 

in  luogo  dell  asta,  saette  iP  irreparaòH  colpo.  Le  armi 

colle  qutdi  ci  copriamo  son  tali'da  ndn>  fdcilitare  su 

noi  le  ferite:  laddove  quelle  con  lè  quedi  nodiamo  'ci 

abilitano  per  ogn  impresa.  B poi  - ruiao  è il  càpo  dei 

nemici,  nudo  il  petto  ed  i lati, 'nudo  il,fem&re  è la 

( 1 ) Aiuio  di  Roma  S87 . " . 



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4l6  DELLE  XNTICHn:A’  ROMANE 


gamba  mfino  piedi.  Altro  noti  hanno  die  li. mu- 

nisca se  nonf  lò'  scudo  : nè  adiro   tanto  picchiar  degli 

scudi  , e guani  altro  ostentano  di  barbara  e stolido  a 

bravar  t inimico  , guai  vantaggio  daranno  ad  essi  i 

guali  assalgono  senza  regola  , .a-,  guai  mai  terrore  a 

chi  con  tanta  re^la  sta  tra  i pericoli  ? » 


XVI. ,  B Considerando  tali  cose:  voi  tutti  guanti  ne 

foste  nella  prima  guerra  cpì  Galli  e guanti  non  vi 

foste , non  ‘diserrate.'  o voi  ohe  vi  foste  C arUica  vir- 

tù , col  temere , e;  vai  che  non  virfbste  non  siate  da 

meno  che  gli  altri  net  jegntdarvi  co' fatti  (i).  Andate 


(i)  La  prima  gnarra  ocoqrae  l’ aooo  364  I*  acMiida  ueii’337 



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LIBRO  XIV.  4 * 7 


bravi  giovani  : dimostratevi  degni  de'  padri  valorosi , 

correte  intrepidamente  al  nemico  ; Sarà  con  voi  la  ' 

mano  degC  Iddìi  per  tentarvi  à punire  • quanto  volete, 

questi- impìacabili.  Io  vi  son  duce,  al  qucde  tanto  te- 

slificate  buon  senno  e Jbrlunà.  Da  ora  in  poi  saréte 

felici,  sia  che  riporterete  alla  patria  la  iwbilo  corona 

della  vostra  virtù  , sia  che  qui  finendo  la  vita  lasco- 

rete  a’  teneri' figli]  e ai  vecxhj  padri  per  un  fragile 

corpo  una  splendida  fama  immortale.^  Ma  già  non  è 

più  da  tenervi,  Ecco  t irUaùco  sen  viene  ; ofidaie , 

presentatevi  in  schiera  ». 


XVII.  « Era ‘'il  combattere  de’ Barbari  ansi  brutab: 

e maniaco  senza  le  cure  e la  scienza  delle  e vi 

ascese.  Accorsa  la  molUtudine  'urbana  allo  spettacolo  , 

egli  primieramente  fece  voti  alBncbè  11  ^umi  avvèrsa- 

aero  l’ oracolo  , e facessero  nascere  molti  , eguali  a lui 

di  valore  bella  patria.  Dopo  ciò  lasciate  le  redini  e ' 

dato  di  sprone  cavallò  precipitò  nella  voraginet  Sopra 

lui  furono  gittate  in  quell’  abisso  nioltè.  vittime  , nìolti 

frutti,  molte  ricchezze,  molte  preziose  Vesti  ^ «'molti 

oggetti  di  arti  di  ogni  maniera,  e senza  più  la  terra  si 

ricongiunse  ( i ) ■•  ' ’ 


XXn « Il  Gallo  area  corpo  straordinario,  il 


quale  molto  eccedeva  la  proporzione  comnne  ....  Li- 

cinio Stolone  stato  dieci  volte  tribuno  , quegli  il  ‘‘quale 

fu  capo  alla  fstitnzlone  delle  leggi  , per  la  'quale  dieci 

anni  fu  sedizione,  alfine'  vinto  iu  giudizio  e condannato 

ad  una  multa  in  danaro  ())  disse:  che  non  vi  è bestia 

alcuna  pià  callivà  del  popolo,  il  qutde  non  nsparmia 

nemmeno  chi  lo  sostenta  ». 


XXIII.  B Assediando  Marcio  console  que’di  Piperno , 

ridotti  senz’  altra  speranza  spedirono  a lui.  E Marcio  , 

indicatemi , disse , come  solete  voi  trattare  li  servi  li 

quali  dà  voi  si  ribellano  ? tome  si  dee  , soggiunse  il 

legato  più  anziano  , punir  chi  desidera  ricupenve  la 



(i)  Sie  mai  ri  fu  questa  Toragiae , ciò  che  può  beo  essere,  ta 

ricoopuDtione  di  lai  mode  ò tutta  (àvolosa.  Livio  assai  propiiio  a 

tali  raceopti  aon  la- fiiTorisce.  Vedi  lib.  7.  4*  . 


(3)'.\nao  di  Roma  3^7. 



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4ao  DELLE  Antichità’  romane 

liberti  ncUiva.  DlIetUtosL  Marcio  del  franco  parlare , e 

se  nei , dicea , se  noi  ci  lasciassimo  piegare  a'  lispar^ 

miarvi  ogni  cruccio,  quali  pegni  ne  darete  voi  di  non 

farla  mai  più  da  nemici  ? q V anziano  tipigUava.  Sta 

in  te  o Marcio  e ne'  tuoi  Romani'  sperimetttm-lo.  So 

con  la  patria  Uberi  torniamo  , vi  ci  terremo  • pen 

sèmpre  costanti  amici  : ma  tali  mai  vi  saremo , 'se  ci 

astringerete  a servire.  Marcio  ne  ammirò  li  magnanimi 

M‘q^i , e sciolse  1’  assedio  ».  ^ 






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42t 



- ' D^I/LE 


ANTICHITÀ  RÒMÀNE 



D I 



DIONlGI  ALICARNASSEO 



t ■ 



* ^ ^ 



. . LIBRO  DECIMOQUINTO, 



. -SUPPl^MENTl  E FRAMMENTI. 



L « IV^EMTAE  i GaQi  guerreggiavano  Roma,  un  priil'» 

cipe  di  questi  sfidò  qm^lunque  de’ Romani  a venire  con 

esso  al  paragone  dello  armi,(i).  Un  Marco  Valerio  tri- 

buno proveniente  da  Valerio  PopUcola’  il  quale  insieme 

con  altri  ' Uberò  la  città  dai  tiranni  , si  fece  innansi  pel 

combattimento.  Venuti 'alle  mani,'  un  ooryo  .si.  mise  in 

su. r elmo  di  Valerio,  sgrid^do  e guardando  terribil- 

mente il  barbaro  f e se  mai  lo.  vedeva  portare  de’ colpi 

sul  romano  / gli  si  avventava  ora  colie  unghie  alle 

(i)  Addo  di  Roma  4»5.  j . ' ; 



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422  .DELLE  ANTICHITÀ’  ROMANE 

guance  lacerando , ed  ora  col  rostro  agli'  Occhi , pun- 

gendo. Tanto  che  il  Gallo  ne  andava  fuori  di  se  , non 

potendo  trovare  come  ribatter  1'  emolo  , nè  come  'guar- 

darsi dal  corvo  »!  ' ' 


II.  « Ma  traendosi  la  zuffa  in  lungo,  il'  Gallo  fu  col 

ft;rro  sU  T altro  per  internarglielo  coll'  impeto  nel  seno. 

Corsogli  il  corvo  agli  occhi  Onde  forarglieli,  colui  alzò 

Io  scudo  a respingerlo  : e tenendolo  alzato , il  Romano 

che  ne  seguiva  1e  mosse  , menò  da  basso  la  spada  , e 

lo  uccise,  Camillo  (i)  il  comandante  lo  insigni  .con 

aurea  corona  soprapnominaudolo  Corvino^  dall’  uccello 

compagno  di  lui  nel  combattimento  ; perocchò  li  Ro- 

mani chiamano  corvi',  gli  oicoelll  che  noi  coracas  chia- 

miamo. E costui  da  quel  fatto  ebbe  1’  elmo  ornato-  di 

un  corvo.  In  guisa  che  qùanti  fecero  statue  o pitture 

di  lui , lutti  gli  acconciarono  sul  capo  quell’  uccello  ». 


III.  « Devastavano  le  campagne  ricche  di  ogni  bene... 


nomini  sfìaiti  dalla  g^uerra  • e simili  ai  cadaveri , se  non 

quanto  respiravano  . . . Essendo  calda  ancora  la  penero 

come  dicono  dell*  ucciso  ...  Fu  vittin»  miseranda  del- 

r inimicO’Uomo  il  quale  saziava  la  iuvidia  sua  poi  san- 

gue civile  . . . Dispensò  tra’  soldati  parte  de’  vantaggi 

nè  questa  la  più  piccola,'  ma  tale*  da  sommergéK  frà 

le  ricchezze  la  inopia  dt  ciascùtlo  . . . diedero  il 'guasto 

ài  seminati’ già  colmi  per  h ' raccolta tnalmetiando  il 

meglio  dellB^ terre  fruttifere  »:  ' i ■ 


I • , . . . f I 


* * * • " ' t 


, (i)  Queste  Cemitlo  il, quale  apparisce  ora  aalHaaao'4e&  Roma 

i Uli  tìglio  del^ftmoso  Furio  Csmiflo  morto  i6  ano,!  adòiciro.  .Au- 

cb'esso  viute  S fugò  con  ifna  iniigue  battaglia  i Galli,  tuttavia  mo- 

lesti ai  Romani.  Livio  lib.  7.  aS.  aC.  '' 



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LIBRO  XV.  4^3- 


IV.  . . • Ma  percl^è  spesso  e molto  danneggiavano  i 

Campani  come  iorp' amici  (i).  Pertanto  -il  Senato  ro« 

manò  su  le  istanze  e lamenti  replicati  dé’ Campani  .con* 

tro  de*  Napoletani  spédi  a questi  ordinando  che  non 

più  nòcessero  ai*  sudditi  della  repubblica  ; ma  ne  aves- 

sero e rendessero  ciò  ch’  era  ^usto  -:  e nascendo  coih- 

(roversìe  fra  loro,  le  dJscutesserò  co’gindizj  non'cqlle 

armi , ' secQudo  le  convenzioni  che  ne  farcbbono  : del 

resto  mantenessero  la  pace  con  lutti  ìnlornó  i popoli  , 

non  corseggiassero  il  mare  Tirreno  né  tentassero  eséi 

per  sé  nè  .cooperassero  con  altri  imprese  disdicevoli 

ai  Greci.  Soprattutto  istmi,  gli  .ambasciadori  che  ’ cer- 

cassero , Se  venivano  il  destro , di  alienare  co’  bei  modi 

verso  de’  potenti  la  loro  città  dai  Sanniti , e renderla 

amica  di  Roma.  ' , . 


y.  Ti-òvavansi  di  quel  tempo  (a)  in  Napoli  come 


ambasciadori  di  Tatanto  uomini  rispettabili , e , po’  li- 


gami  del. sangue,  ospiti  antichi  di  que’ cittadini:  ma  por 


altri  ,vi  si  trovavano  inviativi  da’ Nolani , cooSuanti  dei 


Napoletani,  e tutti  dediti'  ai  Greci,  i quali  vi  brigavano 


in  contrario  onde  non  copcórdassero  co’  Ifomani  nè 


co'  sudditi  di  essi)  nè  lasciassero'  l' amicizia  verso  dei 


Sanniti.  'Che  .se  r Romani  set  pigliassero  a pretesto 


di  guerra  { rton  temessero  , nè  invilissero , come  in^ 


su^rabile  rie  fosse  la  forza  ; ma,  perseverassero  , e 


combattessero  come  i jbraoi  Grecf.,  confidando-  sù  le 

- » 


(i)  Manca  il  principio  dj  questo  raccolto:  puj>  coninliar^i  Livio 

nel  lib.  8 , c.  aa.  Questo 'pangrafo  e tutto  il  resto  del  libto 'sono 

Frammenti  veri  dei  libri  perduti  delle  aatichità  di  Dionigi.*  . 

(a)  Anno  di  Aoina  497. 



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/^24'  DELLE  antichità’  ROMANE 

schiere  proprie  ^ e su  le  ausiìiane^  che  verrehhono  dai 

Sanniti.  Riceverebbero  se  ne  abbisognavano  , pià 

delle  loro,  le  forte , navali  dà' TaretUim  , le  quali 

eran  tanUs  e. si,  buone. 


VI.  Adunato  il.  Sanato,  e tenutivi  molti  dlsconi  dai 

legati  « loro  fautori , vi  si  divisero  i senbmenti  : ma  li 

piu  autorevoli  parfianO  tenerla  ' pe’  Romani.  Non  fecesi 

per  quel  giorno  decréto  alcuno  , ma  riserbato  per,  altra 

sessìonè  l’esame  intorno  ai  legati;  recaronsi  a Napoli  in 

folla'  i primarj  de’  Sanniti.  Or  quésti  * Conciliandosi  con 

ossequióse  manio:e  i capi  del  comune-,  pregarono  il 

Senato  a far  si  che  decidesse  il  popolo  dell’,  utile  pub» 

blico.  Quindi  recandosene  all’  adunanza , vi  ricordarono 

i loro  benefizj  , poi  vi  fecero  le  mille  - accuse  di  Roma 

come  di  una  ingannevole  e perfida  : e finalntente  pro- 

misero- le  meraviglie  ai  Napoletani  se  deliberavann  per 

la  guerra:  vale  a dire  che  mauderèbbero  loro. milizie  , 

quante  ne  bisognassero  ‘ per  difender  le  ptura  , come 

Tarmata  e 4utta  la  ciurma  per  le  na#I.  Davano  insieme 

a vedere  che  subirebbero  tutte’  le  speso  guerra  non 

solo  pe’  soldati  proprj , m»  pe’  loro.;  che  respinto  T .e- 

sercito  romano  ■ ricupererebbero  ,Cuma  ,-  occupata  dai 

Campani,  erano  già  due  generazioni  {i),  .cén  esdnderM 

gli  abitanti  : che  renderebbero  la  patria  ai  Cumani , 

accolti  , quando  U perderono  , dai  Napoletani , e fatti 

partecipi  di  ogni  lor  bene:  che  'darebbero  ai  Napoletani 

un  trat^  assai  grande  del  territorio  che  tenevasi  dai 

Catppihi.  , - , ' r ' 


, vn.  Ih  mezzo  a .tal  dire,  la  parte  calcolatrice  dei 


(i)'Auno  di  Roma  335. 



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- . LIBRO  XV.  . 4^5 


Ntpoletani , la  quale  vedea  da'  .lontano  i mali  xhe  ver* 

rri>bero  colle  battaglie,  su  la  città  , dimandava  che  ai 

conservasse  la  ^ace:  ma' la  parte  amante  di  :cose  nuove 

^Ja  quale  cercava  insieme  un.  mezsp  .  arricchire  nelle 

ttsbolenze  lanciavasi  verso  le  guerra:  'Pertanto,  elevafonsi 

a vicenda  e -voci  e mani  ; procedendo  la  contesa  fino 

al  tiro  delsàss).  Alfine  prevalendo  il. partito  men  buono, 

gli.  oratori  di  Roma  dovettero  tornarsene  senza  Tintento. 

Dond’^è  che  il"  Senato  romano  .decreti^  'd’ inviare  un 

eseacito  contro  de’ Napoletani.  . , ' 


.Vln.  1 Romani  all’  udire  5^10  i Sanniti  apprestavano 

un  esercito,  vi  spedirono  prima  Rmbasciadori.(i).  E di 

essi  quelli  eh’ erano  scelti  dell’ ordine ..  senatorio  venuti 

ai  consiglieri  de’ Sanniti  dissero:  Voi  fatfi  ÌQgiustamonte 

o Sanniti  violando  i p'attati  cha  ovate  con  noi  con^ 

cordato.  Amici  vi  eijt^nete  di  nome  , nemici  che  ne 

siete  di  fattL  Vìnti,  voi  da  Romani  in  tanti  condtat» 

timenti,  sciolti  per  le  istanze  vostre  caldissime  dalla 


• f . . ' 


guerra  j oiténuta  la  pace  come  la  volevate'  ^ e desi- 

derosi poi  di  essere  gli  amici  e gli  alleati  di  Roma; 

giuraste,  alfine,  di  avere  amici  e nemici  quelli  appvinto 

che  per  tali  riconosceva  la  nostra  repubblica. 


^ IX.  Ed  ora  immemori  di  tutto  questo  , e fin  posti 

in  non  cale  i , giuramenti  , avete  abbandonato  noi 

nella  jguerra  co'  Latini  e ci>i  Volsci,,cpn  que’  pòpoli 

io  dioOf  che  sono  divenuti  nemici  nostri  appunto  per 

voi , perchè  avevamo  noi  ricusqtò  di  unirci  con  essi 

net  dare  a wi  guerra.  JE  nelt  anno. J precedente  voi 

avete 'istigato  con  tutta  la  premura  e f ardore  , anzi 


(1)  Addo  di  Roma  4’8. 



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4? 6 DELLE  antichità’  ROMANE. 

voi. avete  necessitato  i Napoletani  che  temevano  far- 

lo , a prendere. contro  noi  la  guerra^  e voi  ne  sup- 

plite'le  spese  : voi  la  loro  città  ven  tenete.  Ed  ora 

tutti  intenti  ad  apparecchiarvi  raccogliete  d'  ogn  in- 

torno milizie  ,>  coh  pretesto  , come  pare , innocente  , 

ma:  in  realtà  con  disegno  di  guidarle  contro' i nostri 

cotoni.  Ed  a tanta  ingiustizia  invitate  i .Fdndiani  e i 

Formiqni' ed  altri,  i (fuaii  abbiamo  no,i  pOr^^iato 

ne'  diritti  ai  nostri  cittadini. 


X.‘  Or  'voi  profanando  così  scopertamente  9 turpe- 

mente i trattati  'di  amicizia  e di  alleanza  ; il  Senato 

ed  il  popolo  romano^  deliberarono  di  spedirvi  amba- 

sciadori  , e iperitnentai'vi  colle  parole  , innanzi  di 

procedere  ai'  fatti.  E queste  sono  le  cose  che  ami 

tutto  vi  dimandiamo,  queste  quelle,  ottenute  le  quali, 

crederemo  soddisfatti  i nostri  risentimertti  : Chiediamo 

primieramente  che  ritiriate,  le  truppe 'inviate  in  soc- 

corso ai  Napoletani:,^  e poi  che  non  mandiate  milizie 

condro  i nostri'  coloni  , nè  provochiate-  affatto  i sud- 

diti nostri  a voglie  ambiziose.  Che  se  dite  che  tali 

cose  non  piacciono  a tutti  fra  voi , ma-  che  le  fitnno 

alcuni  solamente  contro  il  ‘votò  comune;  cónsegHàteci 

dunque  voi  questi  perchè  ne  giudichiamo  , 0 cen  ter- 

remo contenti:  ma  se  non  gli  avremo  noi  tjuesti  nelle 

mani  j né  prenderemo  in  ) testimonia  i Numi  , ed  i 

Genj  invocati  da  voi  -nel  giurare  i trattati  ; e pSrciò 

siam  qua  venuti  co*  Eeciali.  ' • • r • 


XI:  Dòpo  H parlar  del  romano  consaìlatisl  infra  loro 

quei  capi  de’  Sanniti  diedero*  questa  risposta  : Non  è 

già  colpa  del  comune  che  i nostri  sussidj  giungessero 



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•LIBRO  XV.  4^7 


a poi  tardi  per  Ut  guerra  'cóntro  i Latini,  Imperocché 

si  era  appunto  decretato  che  questi  a voi  s’ inviasse- 

ro : ma  i capitani  assai  ' s’  irtdugiOrono  nell  àppre- 

starveli  ; come  voi  troppo  vi  acceleraste  a dar  la 

battaglia  ] e coti  giunsero  quelli  tre  o Quattro  giorni 

dopo  il  bisogno.'' Jiispetto'  a Napoli  poi -dove  sono 

alquanti,  de 'nostri , tanto  siamo  lantàni  dcUt  oltrag- 

giarvi soccorrendola  in  qualche  fnodo  mentre  perico-  ' 

la-;  che  noi  pensiamo  di 'essere'  piuttosto  gli  oltrag- 

giati e gravemente  da  voi.  Foi,  tutto  che  non  òjfesi, 

v'  adoperale  a soggiogare  questa  città , confederata 

ed  amica  nostra  non  già  da  poco  , né  d^  allora  che 

con  voi  ci  concordammo  , ma  da  due  generaeioni 

en>antS , e per  grandi  e copiosi  ben^tij  ricevutine. 


XII.  .Tuttavia  non  é la  comun  dei  Sanniti  che  of- 

fendavi nepimeno  in  questo  ; imperocché  di  propria 

voglia  ìóccorpono  Napoli , come  udiamo  , alcuni  no- 

stri , ospiti  ed  amici  loro  , o stipendiati  , per  la  in- 

di^nta’fbrse  del  vivere.  Nè  abbiam  poi  bisogno  di 

staccare  da  voi'  li  sudditi  yostri  ; imperocché  senza 

que’  di  Fondi , ^ e . li  Formiesi , noi  , necessitati  alla 

guerra  , bastiamo  a noi  ■ stessi.  -Apparecchiamo  un 

esercito- non  per  levare:  a^ yostri  colorii  le  còse  loro  ; 

ma  per  difendere  le  nostre  propriamente.  A vicenda 

noi  dimandiamo  da  voi  j se -volete  far  la  giustizia, 

che  partiate  da  Fregelli , città  da  " noi  conquistata 

tanto  priiHa  col  mezzo  delle  armi,  che  è mezzo  di- 

rittissimo di  possedere  ; e voi  sera  alcun  titolo  ve 

t avete  , già  sono  due-  anni  , ' appropriata.  ' Or  tali 



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428  DELLE  Antichità^,  romane 

cose  ci  si  concedano  > nè  crederemo  di , essere  stati 

oltraggiati.  . 


• XUI.  Allora»  subentrando 'al  discorso  il  Pedale  Ro- 

mano , ripigliò  : Niente  impedisce  che  violando  voi 

così  manifestamente  i trattati  di  pacOy  i Bomani  pas- 

sino alle  armi  : nè  già  ponete  lepnerUarvi  di  essi , 

ma  de'  non-  sani  vostri  consigli.  Ornai  da  loro  si  è 

/atto  qtuuUo  doveàsi  per  .le  leggi  rsacre  e civili  della 

patria , o di  pio  verso  i Numi , o di  giusto  verso  i 

mortali.  Gli  Dei  che  per  sorte  soprawegliano  alla 

guerra,  giudicheranno  tfuale  de  due  popoli  osservasse 

i tràttati.  £/  qpi  recatosi  in  atto  di  partire  , e tiratosi 

al  capo  il  lembo  onde  cingevasi  gli  omeri , .alzò  come 

era  il  costume  j le  mani'  al  cielo , orando  don.  impreca- 

zione gl'  Iddii  : che  se  Roma  ingiuriata  da  Sarmio  , 

non  potendo  riaversi  dalla,  ingiuria  cotle  jrsfrole  e 

co'  tribunali  ^ procedeva  finabnerite  alle  operé  , U 

dessero  per  la  mente  ctmsigU  bùqni,.  e.  condotta,  pro- 

pizia per  la  guerra.  Afa  se  in  opposito  Rorna  ìrà- 

scurando  i legami  santi  delV  amicizia,' accattava  pre- 

testi non  giusti  onde  romperla , -.non  la  dirigessero 


0 ne  consigli  o ftelle  opere. 


XIV.  Levatisi  gli  uni  e gli  altri  dal  .colloquio  ; e di- 

chiarate alle  loro  città  le  CMe  disputatevi  ; dascuno  dei 

due  popoli  pensò  molto  diversamente  su  Tabro.  I San- 

niti come  £an  essi  quando  iqtprendon  la  guerra  , te- 

ndano per  lent^  assai  |e  operazioni  de’ Romani;  laddove 


1 Romani  immaginavano  rannata  di  Sannio. ornai  pros- 

sima a . piombare  ^u  i*  Fregèllaui’,  loro  còloni.  Donde 

ne  avvenne  a ciascuno  ciocché  erane  consentaneo:  Im- 



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LIBRO  XV»  ' 429 


perocché  li  primi,  apparecchiandosi  e indugiandosi  ro- 

vinarono la  opportunità  ’d^  imprendere  : per  T opposito 

i Romani  tenendo  tutto  pronto , udita  appena  la  risponsóli.  E prima  che  i nemici  ne  udissero 

la  marcia;  tanto  le  milizie  reclutate 


V , ‘ i.  ' • 


'  . - 


' • ■ , DELLE 


• • , ^ f » * 


ANTICHITÀ  romane 



DIONIGI  ALIGARNASSEO 



LIBRO  DEGIMOSESTO! 



SUPPLEMEÌTTI  E FRAMMENTI. 


/ . ■ * ' ■ r ' ' 


-non.  di»:etidere 

in  teiTa  , ma  .dalla  terra  elevarsi.  Imperocché  nell’  e^ero 

stan  le  sorgenti  del  fuoco  divino  ». 


II.  a Ciò  che  si  dimo^ra  pel  fuora  .nostro  sia  che 

lo  abbiam 'da.  Prometeo  , sia  che  da  Vulcano.  Impe^ 

rocché  quando  è sciolto  da’  vincoli  pe’  quali  è necessi- 

uto  a»  rimanere  fra  noi , corre  subitamente  per  1’  aria 

verso  1*  altro  fuoco , suo  connaturale,  ed  Q quale  doge 

d’interno' tutta  la  natura  del  mondo^  Cosi  donque  l’al.  ■■  l6-  e 

Livio  più  dislesamente  nel  lib.  9.  i5. 


(3)  Il  tratto  aegnenic  sembra  parte  della  ri^tosia  di  Poaaio  ai- 

rinviato  de’ Romani. 





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4^2  DELLE  Antichità’  /Romane 


neUe  guerre  han  ■perduto  i jìgti,  quanti  i fraleìli, 

e quanti  gli  amici?  Ne’>  quali  tutti  come  pensi  che  dee 

traboccatne  la  bile  ^ se  alcuno  ' gf  impedisca  placare 

^ue'  morti  eoa  tante  vite  di  nemici  le  quali  sole  son 

credute  un  ossequio  in  verso  gU  estinti  ì, 


V.  '«  Ma  supponiamo  che  •persuasi,  o forzali^  o per 


qualunque  maniera  vinti  mi  si  arrendano , e contxdano 

che  questi  continuino  tìi  vita,  or  ti  pare,  che  sian  per 

cqnce'dere'che  ritengano  insieme  ogni  lor  cesa,  q sema 

pur  neo  di  vergogna'  se  ne  vadano  quando,  a tbr  pia» 

ce  , 'quasi  eroi . qui  apparsi  per  felicitàrne  ? O non 

piuttosto  sopravvenendomi  j quasi  fiere,  mi  sbranereb- 

bero appena  tentassi  dit  questo?  O non  vedi  come  i 

cani  da  caccia  quando  è presa  la  fiera  la  qual  chiusa 

dà  essi  va  nella  rete , circondano  il  ceuciatort , chie- 

dendo parte  della  preda  ? e se  non  ottengono  bttntosto 

il  sangue  o le  viscere , non  yédi  come  lo  sieguonó , e 

pressano,  e malmenano,  nè.  respinti  sèn  pdrtono , nè 

percossi  ? » » • , ■ ■ 


VI. ...  « Faticarono  tuUo'il  di  cotnbaltendd,  ma^i 

che  le  ombre  tobero  di  rafhgurare  gii  amici  e i nemici, 

tornarono  a proprj  alloggiamenti  . . . Appio  Gaudio  non 

so  per  qual  mancanza  intorno  de*  sagrifizj  perdé  la  vi- 

sta, e ne  fu  denominato ->^f£'eco  ; 'perocché  li' Romani 

cosi  chiamano  chi  non  vede  ^ ^ . le  scritluce'  custodite 

tra  1 murs  (i) , formate  con  lettere/  accuratissime  , odo'- 

rifere  per  lo  misto  in  che  sono,  presentano  tal  iloridez* 


(t)  È diifieite  iotarpetrare  dove  miri  «iitesio  rottame.-  Fn  detto 

che  alle  «nti  Freoettine'. 



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* . • LIBRO,  tVl.  ,•  i 4^3 


u . ^ . I RonUuii  ckUmaQO  calende'  le  ncòmeaie  . come  * 

none  dtiamano  la'  mezza  IbQa , ed  idi  il  pleoiluaio.  » 

VII.  « Era*. la  falange  nel  rnsAZO  disgiunta  ié.  mal 

piena  : cori  quelli  che  ivi  erano  disposti  id  òontrario, 

le  furono  sopra,  e ne 'respinsero  i>coDÒfc|auenli  l’'iaosa,  guàra  aitàccò  tutto  il  fiore  dc^  cita 

Uomini  sacerdoti , onorati  Co’  sacri -minirieii'. 

Quest’  uomo  pien  di  trasporti  senza  consiglro,  insolen> 

tissimo , deliberando  e ctmcentrando  in  sé  tutti  i poteri 

per  la  guerra  E poi  tu  ardisci  di  accusare  ia 

sorte,  turche  la  usavi  pessimarnente,  postola  su  barca 

già  rovesciata  ? Così  eri  stolto  ? \ , .^jilcuni  i membri 

abbisognano  di  cura,  e tali  altri  cicalritzcmdosene  .> . « 

■VQt  (i)  Ma  vo’ ricordare  ancora  un’ arion' dvile -de* 

gna  degli  «noom)  di  tutti  i mortali , dalla  iquale  sia  chiaro 

ai  .Greci  quanto  Roma ' allora  abborrisse  soellerati  , e 

come  fosse  inesorabile  contro  chi  viola  i diritti  comuni 

della  natura.  |Ca jo  Letorìo  soprannominato  Mergo , uomo 

illtutre  pe’^  natali , , còme  >non  ignobile  per  le'  belliche 

imprese  ; dichiarato  trìbW>'  militare*  nefia 'guetta  -San- 

nitica^  Ittsiqgò  per  un  tempo  un  giovinetto^  sub  came- 

rata , vago  più  eh’  altri  di  aspetto  , perchè  rendere  si 

volesse  agli  amorosi  diletti  di-  lui  (a).  Ma  perchè  noi 

guadagnava  cb’'donl , uè  còlle  gentili  maniere,*  ornai  più 

non  bastando  a sesiesM , cpr§e  alla  violen^.  Divulgato- 

sene il  disordine  tra  le  miliziè  ,,  i tribuni  • della  plebe 


y « ; V » ' ' - 


(i)  Qoaoto  Si«go»Ja  questo  .libro , er^etlaato.  it*  paragrafo  lO'A 

lutto  frammenti.  . . ^ 


*•  * V > 


(r)  Anno  di  Roma  4^,  . • . > 


PÌONIGI,  lama  111.  . 1 ' , . U 



4^  DELLE  Antichità’  romane 


• ripuUQ^Io  oltraggiò  comune  della  {repubblica  , me  die» 

dero  .accusa  .pubblica  al  reo-,  cpudannatone  quindi  dal 

.popolò  a Qiorte  eoo  voti  pieqi.  Peroécbè  non  tollerò 

questo  ebe  uomini  di  grado  ,nell',;fsercilo  profanassero 

con  ingiurie ‘ùmpìabili  e contrarie  ali^  -natura  Tirile, 

' persone -iagentté,  mentre  esse  per  la  libertà’ co  njballe-; 

vano  (i)i  .•  ...  . - ' 


IX.  .Se  non  che  non  molto  prima -di  questo  fece^ttn’ 

opera  ‘ aaeor  piò  tp^evigliosa  per  T ingiuria  recata  ad  un 

altra  persona,  quantunque  servile.  Il  (àglio  di  PubKo,io 

dico  t di  uno  di  que’  tribuni  milUari  che  umiliarono  ai 

Sanniti  l’ esercito  e n&  andarono,  sotto  giogo , fa  co- 

stiletto,  come  lasciato  iir  grave  pénuria,  a ter -danari 

ad  usura  pe’ funerali  del  padre ,- ^qtfasi  ch%  sarebbene 

quanto  prima  rilegato  da’  parenti.'  Ma  deinsò  nelle  sue 

speranze,  e scadutone  il  termine {vfa  présir'egU  Stesso 



pel: debito,  giovinetto  èòm’  era.  e vaghissimo  nc’  sem- 


(t)  Valtrìo  Masshiro  pirla  di    a(  capo' primo ' ' ' ' ^ 


Le  deecrjsione  qui  «ecala  b l' una' de’ tram  meati  de’ libri  per- 

doti-di  Oiop^i.  ,II'£|ito  fi  narra  pur  aél  compendio  in.  tal  modo: 

Ua  tal  Romano^,  Cajo  Leutrio , intUleva  cpn  un  giovine  , suo  eu- 

merata,  ond’ avir  tUo  diletto  da  lui  y vago  della  persona.  'Ma  non 

essendo  il  giovane  goodagnalq  nb  per  doni  v né  pér  eavetse  , alta 

Jiite  divalgato  il  disordine  dell’uomo,  i tribuni  lo  condannaranò . 

‘-'IXdnigi , ’Oòm'Vne'^reaiaieoii , leone  per  ciseostinta  gravissima 

del  fitto  la  vipleoia, usala  in  noe  dg  Letorio  : -Se  cglf  compendiava 

sè  atess >Ta  le  carni  ^acci&ct^  appena-^  si'riseajtooo  e ' 

commoTOusi  ifid  tanto  eh*. gli  «piriti . nalnrali  di  esse  yio* 

lentano  i p.ori , e $i  dissipa'no.  Questa  •>, pur  la  cagione 

de’  terremolwià  Roma.  Conciossiaché  tutta  vuota  di  setto 

per  grandi  e contiqùatl  canali  pe’  quali  conducesi  T afana 

tien  m'ohe  sflatatoje^  per  le  quali  sen.esca.il  vento  rio- 

r.hiusovit  ma.  quando  il  vento 'rimastovi  prigiohiero  ' sia 

troppo  e veemente^  questo^  somioove'  Roriù  e rompene 

il  suolo  (a),  a •'  ; . 


(iX  Si^ consenta  in  generata  ani  liplo  rfi  qi|eSto, giATÌnetto  : ma  si 

discorda  autonome,  su  la  famìglia',  e sul  ten^)0.  Valerio' Massimo 

nel  lihA  ^ lo  chiama  *fity  Vetório  figlto  noa  di  Pubblio  ma  di  quel 

Tito  Veturio  che  net  aifq  consolato  fu  dato  ai  Saooiti  (lal.  cfattaio 

obbrobrioso  coocluso  con  essi.  7(10  Livio  chiama  it  giovine  Cajo 

Publicio,  ed  assegna  il  fauo  all’  anqo  .'4^7  di  lioma  aolto  i oontoli 

C.  Poeleliu  fc  Lucjo  Pepino,  vispi  4irùclusa  la  pace  co’  Romani , soprastettero  breve'  tempo 

i Saiteiti,  e poi,,  stimolati  dà  un*  antiéa  ingiuria,  mar* 

' ciaróno  coll'  armata  tra  i Lucani,'  loro  cónfinauti.  Questi 

affidati  da  principio  'alle  forze  proprie  sosienner  la  guér* 

ra  : ma- pòi  vinti  in  tutte  le  battaglie,  pelòta  gran 

parte  del  territorio , e già  prossimi  » perdere^  anche  il 

resto , si  videro  necessitali  ad  implorare  rajuto-  di  Roma» 

J£  quantunque'  consapevoli  a sestessi  di  aver  tradito  i 

patti  cdnclusi  Uria  volta  con  lei  di  antiòizia  e di  allean- 

zaf  non-  disperSròne  ch^  concorderebbe  di  nuovo,  se  le 

inviassero  in  ostaggio  insibme  òon  gli  oratori 'i  giovinetti 

più  rignardèvoti  di  tutta  la  repubblica  loro.  ■ 


XU.  Qr  questo  appunto  ne  seguitò.  Perciocché  Ve- 

nutivi gli  oratori^  e supplicandovi  ca^dissimamente ; il 

Senato  deliberò  di- ricever  gli  ostaggi  e render^  ai -Lo* 

cani  r amicizia;  ed  il  popolo  né  comprovò- la  sentenza. 

Firmati  gii  accordi  con-  gl'  inviati  de'Lh'cani , il  Senato 

elesse  i più  provetti  per  anni  è per  onori  ^ e li  diresse 

ambasciadori  al  consiglio' generale  dèi  Sanniti;  affinchè 

dichiarassero 'ad  èssi  che  ‘i  Luoùni  erano  git  amici  , e 

gli  alleati  .di  Bontà , e gli  esortassero  a render  lóro 

le  terre  usurpatene  , nè  più  tramarli  ostilmente  : già 

non  permetterebbe  la  repubblica' che  alleati  suoi  che 

a ' lei  ricorret'àna , rinutnessero  esclusi , dal  proprio, 

territorio.  ...  • 


tata  levar  tutu  levando,  i oaneli.  Pìi(  volentieri  diremo  che  le  mosee 

de' venti  ttnterranei  seno  éfletlo  4ie'unemoti  ausi  che  la-  priout 

eafione.  * 


(t)  Anno  di  Roo»  4^6. 



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UBBO  XVI,  4^7 


, . XIII.  I Sanniti  gli  mnbasciadcwi  incollerìrono  e 

replicarono  primicramentò  ; che  i trattati  di  pace  non 

erano  Jdtt}  'Con  accordo  'che  essi  -non  mossero  per. 

amico;  o , nemicò  se  /ton  ^quello  che  -assegnassero  • loro 

per  tale  i Romani  i Appresso  , che  i Romàni  ~s'  avje- 

vano  renàuto  amici  i Lficani  non  già  in  antico,  ma  di 

recerite  quand'  erano  questi  già  inoolli-  nella  ~^guerra 

co' ^Sanniti  ; oh  A è che  non  avevano-  titolo  nè,  giusto 

nè  decoroso  per-  romperla  co'  Sanniti  Risposero  i Ro- 

tofiixì'.'che.  coloro  i quaU  avevano  promesso  di  soggia- 

cere, ottenendo  appuntò  con  ciò-  la  pace,  dovevano 

obbedire  in  tutto,  a chi  presedeva.;  '.e  minacciavano  in 

caso  contrario  di  portare  sa  essi  la  guerra.  I 3aimiù 

ripuianjlo  intollerabile  |a  ptresunaione  di  Roma  intima- 

roflo  agli  ambasciadori  cht  partiasero  su.  T istante  ; e de- 

ntarono che  sL  apparecchiasse  spianto  bisognava  per  la 

guerra  di  tutta .1»  fazione,  e di  ogni  citti^^^  ^ 


XrV.  Pèrtanto' la  ; cigìon  manifesta,  nè  ingloriosa  a" 

raccontarla ,.  della  guerra  Sanuiliea , fu  .la  voglia  di  soc- 

Q>rrere  i Lucani  caccòmmuidatisi  a Roma quasi  fosse 

già  pubblico  e^  vecchio  costume  * di  essa  ^difendere  gli 

oppressi, che  la  invocavano:  ma  la  oagion  recondiu.,  e 

che  più  \li  sospinse  a romper  la  pace  , era  la  potenza 

Saimitica,  divenuta  già  grande,  e la  qnal$' crescerebhene 

ancora,  se  domati  i.l,ucani  ed  i confinanti  di  questi  si 

volgessero  ad  essi  anche  le  barbare  genti  .che  stayansf 

appresso.  Cosi  tornati  appena  gli  ambasciadori  la  pace 

fu  rotta  , e sì  àfrolarono  due  armate. 


XV.  Postumio  già  console  , ■ venuta  1*  oca  di  esserlo 



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438  DELLE  AJWICHITa’  ROMANE 


ii«vatneiue  - ( i ) , teniasi  grande  per  to  splendor  de*’na- 

taii , come  pel  gemino  consdato»  Doleasene  sa  ie  prime 

il  collega  di  Ini  quasi  escluso'  daU’  essergli  Uguale,  e più 

volle  ne  fece 'in  Senato  rimostranxa.  Alfine  qUah  plebeo 

venuto  in  luce  da  poco,  riconosoendosegli' mìAore  per 

gli  antenati,  per  gli  amici,  e per  àltre  eccellènze,  .n'mi* 

liossegli , e gli  concedette  di  per  si  stesso  il  comandò 

della  guerra  Sanuitica.  Diede  grande  invidia  aPostumio 

un  tal  fatto,  come  nato  dalla  media  arroganza  sua';  ma 

poi  glien  ' diede  un  altN , ancona  più  indegno  di  un 

duce  -Romano.  linperoccbè  separali  due  mila'  difi  esercito 

suo  li  ridusse  nelle  campagne  sue  proprie'  senza  i fèrri 

con  ordine  l'nsieme  ebe  potassero  "un  qùerceto,  leneu- 

doK  gran  tempo  in  òpere  ài  mercenari  e dà  schiavi. 


XVI.  E superbo  tanto  ^ prima  di  Uscire  |Kr  la  s|>è- 

dizione,  apparve,  più  InioUeraUle  ancora  nel  compierla; 

dando  al  Senato  ed  al  popolo  catise*  giustissime  òndè 

r abborrissero.  E ceno,  • avendo.  i|  Senato  definitó'che 

Fabio  il  console-  dell’  àttnò  precedente,  il  quale  area  vinto 

i Sanniti  cbiamali'  ’FeHtri'{i)  si-  rimanesse  nei  campo 

.con  aniorità  proconsolare  per  guefreg^are  con-  la  parte 

stessa  de' Sanniti,  ^gli.oon  ieiterrs(ia'  gl'  intimò  di  par* 

tirne  , come  spettasse  e lui  sólo  còmaudarvi.- Spedirono 

i FUdtì'a  ^chiederlo  ebe  non  impedisse  al  proconsole 

di  stTtre,  nè  ripugnaste 'ài  loro  decreti;  ed  'agli  non  diede 

se  nOn.  òrgegboae  e*  tiranne  rlsposfe,  dicèndó:*cAe  fin- 


(■)  Anno  (li  Roma  ' 


(a)  Aocbe  Litio  fa  mauaionè  di  quelli  SaoaÌM  : nondimeau  Cla- 

tetio  li  tralatoia  Della  ina  Italia  antica. 



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LIBRO  xn.  43 a . . > 


. IV.*-*  beticippe  IvaocdeaiOBe-ìùteyVÓgÀido  l’oracolo, 

dove  portaste  il  destino  * che  egli  cc/’^stiei  '‘prendessero 

tede,  né  ascoltò  chè  dovessero  Aavìgare-AllMuiia,  «divi 


(i)  Caprifico,  fico  «ilvcstfe.  La  voce  greca  tigoifica  ca'pro 


e pr«s$o  .glcuui  popoli  caprifico.  Quindi  P ambiguiii  d*  iulerprcUrc 

la  voce  per  capro  o-  capritico.  ^ 



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LÌfiRO  XVII.  • 443 


ahbìtàre  dove  approdati  rimanessero  un 'giorno  ed  una 

notte.  Approdata  la  flotta  intorno  di  Gallipoli 'in  un  tal 

campo  de^T^renlinì,  dilelliito'Leacippo  della  aalbra  del 

luogo  , operò  coi  Tarenlini  .afllnchè  gli  isonCedessero  di 

stanisi  ii  giorno  e la  notte.  ^ Cosi  passatine  più  giorni  ; 

voleano  ' i ^Tarentini  che  ne  partissero  ì -ma  colui  noti 

ditd^  lor  mente,  dicendo  che  secondò  ^li  accordi  uvea 

iU  loì^  quel  tUoigo  pel  giorno  e per  la  notte",  e però 

sino  a Umto^che  fosse  o furio  o f altra  non  se  ne  parti- 

rebbe.'I  Taréalini  vistisi,  nell’ inganno,' coQsentirono  che 

rimanessero  (ì).  » > > ' 


'V.  u I Looresi  popolando  Zefirio  (3)  , «Ina  punta 

d’  Itali»;  ne  flirtino  soprannominati'  Epizeflrii  .X.  . Stav 

tniropo.  che  rimanesse  nel  hiogo  in  che  era , soste- 

nendone la  ^ecn.  che  ne  derivava  .«.  furono  dissipati 

tra  selve  e valli  e ripidezze,  s 


Vi.  « Un  TarentiOo,  uomo  empio,  e deditO/-à  tatti 

i piaderf  p«*  la  incpntinenztr  e prostituzione'  della  Sua 

bellezza  fln'da  ^ovinetto  / ne' iu  nominato  Taide  . . . . 

Fatta  ià' scelta  dal  popolò  erano'' partiti  ....  Vilissimi 

e petulaaUssìml  tra*  cinadini.'  » ■ • 


VII.'  (3)  Fu  Postumio  spedito  ambàsciadore  ai  Ta- 

rentinr  : ma'  facendovr  rimostranza  ; questi  non-T  iitte> 

sero , nò  ' pigliaronp  il  contegno  de’  saVf  i quali -òòmuliino 

su  là  patria  che  pericola  : anzi , se  nieoiotavitno  mai  che 

cóldi  non  parlava  accuratissimo  il  greco  'Idioola  , ve! 


(1)  Siraboàs  pel  libro  setto- dà  questo '«Sdetiaid  racconto  per  la 

origine  di  Melapoalo.  ■ ^ ‘ r 


(a)  Cosi  detto  perebà  risolte  al  vento  Ztflro  ciot  di  Ponente. 


(3)  Questo  e li  tre  paragrafi  srgoenti  tono  frammenti.  - 



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444  DELLE  Antichità’  romane 

deridevano , ed  elevando  1i;m  le  mani  o la  voce  , se  ne 

irritavano,  e barbaro  lo  chiamarono;  jtantt>  che  1q  espul- 

sero infine  .dal  teatro  (i).  E già  costui  m ne  andava 

co’ suoi,  quandd  per  istrada  si  avvenne  con  essi ,.  Fi- 

lopide  , un  accattone  (a)  di  Tasanto  il  ' quale  sopran-j 

nomina  vasi  Colila  dalF  uso  che  avea, ‘continyo  di  bria> 

carsi.  Caldo  del  vino,  ancora  del  di  precedente , come 

ebbe  vicini  i Romani , si  tirò  su  la  veste  : e scompó- 

stosi in  atto  indegnissimo  da  «vederlo , sbrufTè  sul  manto 

sacro  de’  Legati  ciocché  non.  pttò  nominarsi  ' nemmeno 

con  decenza.  , 


, Vili.  Scoppiatene  da  tutto  '3  teatro  le  .visa',  e sbat- 

tendoglisi  per  fino-  le  mani  da'  più  protervi ,-  EoStumio 

riguardandolo  disse  : accettiamo  o tvtissimo  uomo  / au- 

gurio  : giacché  ci  date  fin  le  cose  che  nòn  chiedi/ama. 

Poi  rivoltosi  alla  moltitndine  ,■  mostratovi  contaminato  il 

suo  manto , e sentitevi  uuiversaliN  aucora  'e  più,  grandi  le 

risa,  anzi  le  voci  nemmeno  , di  àlcUni  che'sen  compia- 

cevano , e lodavansi,  della  contutUelid  : -ridete  f disse  , 

finché  V é dato  ; ridete,  pure  o "Tarenùni  ; ehè  assai 

ne  sospirerete  dii  j>oi.  Fremendo  alquanti 'alla  minaccia 

iò  ; replicava  , perchè  pià  Jremiale  vi  aggungo  ; che 

assai  laverete  col  sangue  :quesUi , mia  Cosi  spre- 


giati dai  'prijvati  e(kl  pubblico,  e tosi •pcoaunziatp  quasi 

come  un  vaticinio  divino  , su  loro  / sciolsero  ,d  legati  dal 

porto  dà  Taranto.  „ ' . • v ' * « ^ ' 


IX.  Giunti  questi  sotto  Emilio  fiarbula  magisti^to 


(i)  Aono  di  Roma 


(al  Altri-  alla  idea-dj  acoattone- soatitaiacono  quella  *di  od  aomo 

brflardo  t garrulo , ellione  de**  Lucani  e de*  Bruzj  ‘j  e finch’  era'  indomita 

la' nazione' grande  le  bellicosa  de*  Sanniti  , e 1*  altra 'de*  questi  son  fatti  a\dar  buoni 

auguri  , a chi  cerca  mantenne  i beni  pri>prii.  Ma.  chi 

cerca  r altra!,  spii  queiU  augnrf  da  uccelli  di  pronto  e 

rapido  impeto  per  lontauT  Via^.  Ginciossiaché  questi 

uccelli  sieguooo  e pcocacciansi  ciò  che  nbn  hanno  : ma 

gli  altri  guardano  e''cnstodiscòno  ciò    saltité  ».  ■Pormi  sa- 

viezza mandar’ lettere  di  minàcce  aC sudditi:  ma  vi&t 

pendere  come  uomini  da  pocoro  da  nulla- Uomini  dei 

quali  non  siansi  considerate  le  milizie  -nò  conosciuto 

il  valore  , questo  è indizio  di  forsennato  , o di  chi 

non  sa  ciò  che  è senno.  3Ia  noi  sogliamo  punire  i 

nemici  co  folti  , non,,  colle  parole.  Nè  fàteiamo  te 

giudice  de’  nostri  richiami  co’  Tapentùti , oo’  Sanniti  , 

e con  altri:  nè  prendiam  te  garante- dà  far  valere  ciò 

che  tu  . giudichi.  Decideremo  colle  armi  nostre  la  di- 

sputa pigliandone  la  pena  che  ne  vohemo.-  Su  tali 

'notizie . apparecchiati  come  nimico  ^ noa  come  giudice 

nostro  ».  - , » ' 


XVIII.  « Vagli  poi  considerare  quali  ’ garanti  ne 

darai  per  te  da  soddisfare  le  ingiurie  >che  tu  ci  fai  : 

non  ricevere  a carico  tuo  che  nè^  farentim . né  sdtri 

nemici  opprimeranno  i diritti.  Se  luti  deliberato  di int- 

prendere  per  ogni  rqdnierà  la. guerra' contro  di  nói  , 

tieni  certo  che^ti  succederà  dò  Se  di  ^ 'necessità  suc- 

cede a chi  vuole  combattere  innanzi  di,  aver  ponde- 

ralo con’ chi  sia- per  .combatterò.  'Abbi 'tutto  in  pen- 

siero , e poi  se  cosa  ti  bisogna  da  noi,  aìlo'ntàna- le 

minacce  , pon  già.  quella  tua  regia  fierezza  V vieni  al 

Senato  , informalo  ,,  persuadilo  uè' vedrai  -mtuteanS 

non 'il  tjlirilto,  e non  £ equità  a. 



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i'»9 



• DELtE  ' 


ANTICHITÀ  ROMANE 



n I 



DIONIGI  ALICARNASSEO 



> • J . ' 


LIBRO  DECIMOTTAVO.  . 


SUPPLEMENTI  E FRAMMENTI. 



I.  « JLìevino  console  ramano  (i),  preso  un  esploratore 

«li  Puro  (e  prendorfe  alle  sue.  milizie  le  armi  e schie>r 

rarsì  : poi  mostratone  a lui  lo  spettacolo  gl’  impose  di 

riferirne  a cbv  lo  mandava,  tutta  la  verità  : e che  oltre 

le  cose  vedute  dicesse  che  Levino  il  console  de’Komani 

lo  ammoniva  a -non  inviare  occultamente ‘altri  per  os- 

servare : venisse  egli  'e  vede^  palesissipiameate,  e spe* 

rimenlasse  ciò  che-gian  Tarmi  romane  ». 


(■)  Addo  (li  Roma. 474- 


n/ÓJV/C/.  lówà  III.  ' ' '>9 



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45o  DELLE  antichità’  ROMANE 


IT.  « Ua  tal  Oblaco,  loprannominato.VuUinlo,  dace 

de'Fereatani,  al  vedere  che  Pirro  non  avea  posto  certo, 

ma  presentavasi  rapido  dòvuoqnc.  .tra’  soldati , diresse 

r attenzione . a.' lui  solo  : e dove'  che  ,ne  andasse  il  re 

cavalcando , ivi  piegava  anch’  esso  il  proprio  cavallo. 


' Osservando  'ciò  Leonnato  di  Macedonia  figlio  di  Leo- 

fante , .l’nno  de*  compagni  del  re,  se  ne  empi  di  so- 

spetto, e scoprendolo  a Pirro  disse  fvMarortaro(^o.  Dopo  quell’  incontro  il  monarca 

afEne   fidisstihó  e valorosissimo  fra’  coin|>kgni  la  da* 

mide  sua  di  porpora  e di  Oro  usata  da  Ibi.  nel  com- 

battere, c l’armatura,  migliore  delle  altre  per  la  materia 

e pei  'tavqro , ed  Segii  prese  la  clamide  bruna  , e 1’  u- 

sbergo  e la  causia  colla  quale  , Megacle  difendeva  il 

capo  dagli  ardori.  E questo  fu  cagione , sembra  , a lui 

dj  salute  a. 


‘V.  (i).  Dopo  (Jbe  Pirro  signore  degli  Epiroti  aveva 

portato  r esercito  contro  - ai  Romani , deliberarono  spe* 

dirgli  ambasdadoH  pel-  riscatto  de'^rigiouieri , sia  che 

colui  volesse'  restituirii'cambiandoli,  sia  che  tassando  un 

prezzo  per  ciascuuo  di  essi  (a).  Pertanto  dichiararono 

ambasciadori' Cajo  Fabrizio  , il  quale  gii  console  , ad- 

dietro da  tre  anni , vinte  i Sanniti , i Lucani  , i Bruzj 

con  strepitose  battaglie  , e disciolse  1’  assedio  ‘di  Turi , 

e Quinto  Etnilio  il  quale  éelTega  un  tempo  di  Fabrizio 

fece  la  guerht  co’  Tircehi«,  è Pdbiio  Cornelio  il  quale 

gii  console  addiètrct  da  quattré'  atini  atuccò  ^utti  i 

Galli  chiamati  Scnoni,  nenvcilsfmi'de’^omani, 'e  'mitene 

a 61  di  spada  tutù  gli  adulti.' 


VI.  Venuti  quésti  a Pirro , e -discorsogli  qninto 

concerneva  il  subjelto  , come  la  sorte  non  Imttoposta 

a calcoli , corno  repentini  sOno  *i  eangiamenti  fra  le  ar- 

mi, e .come  niun  può' di  leggieri  antivederne  il  futbro; 

proposera  a- lui  che  sceglieste  dì  rendere  i -prigionieri 


a p-szzo  o permuta.  . . • ’ * • ' 


• - •■  * • 


(t)  Anno  di  Roma  47S.  ' ( ' 


001101  rispose  : 

jirduo  cimento  è il  vostror  o Romani  , . che  ricusate 

can^iungervi  meco  di  aiaicieia  , e richied/ete  i vostri 

prigionieri  da  usarli  in  altre' battaglie  in  mio.dannoi 

Voi  se  desiderate  il  bene.,  se  intenti  siete  tdX  utile 

comune  a noi  due  ; pacificatevi  con  me  , e ee’  miei 

confederati,  e ripigliatevi  gratuitamente  1 vostri  pri- 

gionieri, alleati,, 0 cittadini  che  sieno.  In  altra  moda 

non  soffrirò  che  vi  abbiate  un'  altra  volta-  tanti,  Je 

^ tanto  valorosi.  Corì  disse  presenti  i tre  'legéti  , ma  poi 

prendendo  Pabrizio  in  disparte  soggiunse:, 


Vili.  Odo  o Fabrizio  che  tu  se  prestantissimo  nel 

guidare  una  guerra,  che  se’  giusto,  e sobbrio  e pieno 

d’^ogni  virtù,  dell’  uomo  privato  , ma  che  intanto  sei 

povero  di  sostanze,  e depresso  in  ciò  solò  dalfis  sor- 

te ; onde  noli  vivi  tù  eoa  più  agio  cher . gV  infimi  se- 

natóri. Ora  io  volendo  sollevarti  anche  in  ciò,  ti  af- 

ferò tanta  quantità  di  argento  e di  oro  da  superarne 

il  più  facoltoso  tra’  Romìmi.  Imperocché  io  reputo 

liberalità  bellissima. , e degna  di  citi  presiede  , be- 

neficare i valentuomini  i ‘ qiysli . per , la  povertà  non 

vivono  con  dignità  de’  lor^  genj  bennati,  e- questi  io 

reputo  doni,  questi  monunten{i  luminosi  per /una  re-: 

già  potenza.  ' 


, IX.  Or  tu  vedendo  '0  Fabrizio  il, voler  mio,  lascia 

ógni  verecondia  ',  vieni  ,a  parte  de’  miei  beni  ; e con- 

cepisci che  mi  farai  piacer  grande,  . . e.  che  sarai 

presso  me  riverito  come  un  amico  , o un,  congiunto  , 

o certo  coni  uno  degli  ospiti  più  onorevoli.  Nè  già 

per  questo  mi  dovrai  tu  p/eslare  l’ opera  tha  in  cose 



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LIBRO'  xvnì.  4'^^ 


non  giuste,  o non  degne,  md  in  coj&  onde  tu  ne  sia 

piti  stimabile  e grande  ancora  nella  tua  patria.  E 

primieramente  pròvecherai  spianto  puoi  perchè  faccia 

la  pace  'cotesto  tu&  Senato , fin  qui  duro  , e privo  di 

niodprati  contigli.  Dirai  che  ia  venni  in  danno'  di 

Roma  promettendo  soccorrere  i Tarentini  ed  altri 

d'  Italia  : che  ora  non  sarebbe  giusto, , né  decoroso 

che  gli  cdibandonassi  io  presente  qui  coll'  esercito',  e 

vincitore  già.,di  tuia'  battaglia:  che  nondimeno  affari 

imperiosi  e molti  avvenutimi  poscia  -mi  richiamano 

alla  reggia.  • ‘ ' 


X.  Ed  io  qui  ne  do  , sii  tu  solo  o am  gli  altri 

compagni  , le  assicurazioni  più.  ferme  , c&è  io  son 

intento  a tornarmene  se  ì Romani  mi  si  concordano 

per  la  pace  : talché  puoi  dirlo  pur  francamente  ai 

tuoi  cittadini  se  alcuni  mai  - ve  ne  ‘fossero  d quali 

mal  suona,  il  mme  di  un,re,  come  quello  di  un 

fi4o , ne’  trattati,  e-témessero  di  me  similmente  perchè 

taluni  monarchi  si. videro,  sorpassare  i giuramenti,  e 

tradire  gli  accordi..  Fatta  la ■ 


XV.  Magro  ò il  nfio  poderetto:  eppure  amando  io 

di  lavorarvi  ed  appiicàndomene  prudenzialmente  ->  i 

frutti  t somministramb  tutto  il  bisognevole;  riè  la  na- 

tura ci  viohnUf  a cercare  pià  che  il  bisogiievole. 

"Soave  m’  è f alimento  cui  la  fame  còridiscemi,  dolce 

la  • bevanda  Cui  la  seté  procurasi  , e molle  il  sonno 

cui  la  stanchezza  precede.  '&ijfèientissima  rrì  è la 

vèste  Che  mi  difènde  dal  fredda  , come  acconcissimo, 

il  -vose  meri  prezioso  fra  quanti  datino  P uso  mede- 

simo. Noti  saria  ^unquè  giusto  accusare  la  sorte,  la 

quale  mi  pòrge  quanto  basta  alla  natura,  e la  quale 

se  'non  dovami  H'  abbondanza , non  tri'  impresse  netn- 

tnèno  desiderf  superflui.  • 


XVL  Io  non  hb  mètri' è vero  da- soccorrere  riti- si 

debbe  ;~'ma  nemmeno  diedemi''Dio.  su  le  ricchezze 

quella' cognizione . certa  j 'o  divinatoria  per  la  quale 

gioitasi  chi  he'  abbisogna  , come  nemmeno  diedemi 

tante -altre  cose.  Partecipo  ciocché  ho  colla  patria  e 

gli- amici;  porgo  loro  còme  comuni  le  cose  mie  , be- 



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456  DEixE  Antichità’  romane 

neficando  come  posso  chi  ne  abbisogtia  , nà  'quindi 

io  credo  mancare.  K quesfe  sono  quelle  manierp  mie 

che  tu  giudichi,  prestantissime  , e else  sei  pronto  di 

comperale  a sì  gran  prezzo.  - 


, XVll.  Che  se  poi  la  ^ gran  possidenza  sia  degna 

che  procqrisi  po/t  tante  premure , e gare  appunto  per 

benefitare  chi  ne  abbisogna  » e se  questa  rende  più 

Jelici  i pià  ricchi  come  sembra  a voi  re  j qaoii  vie 

saran  le  migliori,  da  pi'ocurarsela,  quellè  per  le  quali 

vuoi  tu  'che  io  me  l'  abbia  ingloriosamente  , o quelle 

per  le  quali  io  V avrei  prima  ottenuta  con  decoro  ? 

Certamente  gli  affari  di  stato  mi  diedero  tante  volte 

per  addietro  > mezzi  da  arricchirne  principalmente 

quando  già  da  tre  anni  fui  • consolo  , spedito  col- 

f esercito  cantra  , 


XVIII.  K potendo  di^  tali  acquifU  applicarmene 

quanto.io- voleva  ; • non  veppi  toccarne  I 0 trascurai 

per  amor  della  gloria  uua  ricbhezza  anche  giusta  ; 

come,  fece  falcfio  Poplicola,' e ,come  pur  fecero,  altri 

moltissimi  pc’  quali  - Roma  tante  'ne  è grandiosa,  Ma 

da  te  quali  doni  mi  si,  apparecchìanà  ? Non  cans- 

hierei  forse  il  meglio  col  peggio  ? Sal'ebbe  quella 

prima  maiiiera  di  possedimento  stata_uiùin  colla  sod. 

disj azione  del  cuore,  con  un  apparalo  di  giustizia,  e 



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, j LIBRO  XVIU.  ' 4^7 


decoro;  ma  da  codesta  tua  Ujopfia  tatto  ciò  manca. 

Imperocché  qpAttVO^  uquo^accstta  dall’  nomò  k 

cotta  ca  knseTiro  csb-gu  gravita-  iNTOthro  riw 

cuk  SOL  oottrairifA  i k NAseoaDASf  purb  . la  etA- 


TORÀ  DBL  PRESTITO  .co' tfÙMI  SPSCIOSf , DI  DONLf  Dt 

favori  ; DI  BiOfBFfCBmBE.'  , , o 


XIX.  Or  su  poni  che  io  uscendo  da  me  prenda 

C oro  che  mi  offerì,  e ciò  divulghisi  tra’  Homani.  I 

magistrati  irreformabiU , quelli  . che  noi  chiamiamo 

censori , a’  quali  spetta  esaminare  U' vivete  de'  ife>« 

mani  e castigar  ehi  devia  -dalle  cóasuetadini  della 

patria  , quelli  mi  citino  e m’  astringano  a-  dar  conto 

de’  doni  ricevuti , al  cospetto  del  pubblico  e,  dicano  : 

;,xt.  « Noi  (i)  ti  abbiamo  inviato  o.  Fabticio  con 

due  consoUpi  al  monarca  per  trattare  il  riscatto  dei 

prigionieri.  Tu  rivieni  dalla  spedizione  ‘ feoza  li  pri- 

gio/tieri , e sene’  altro  bene  por,  la  eittà  : Bitorni  col» 

mà  , e m solo^  e npn.  i tuoi  compagni ,,  delle  regie 


.( se  non  da  ciò  die  tu  ne  tradisci  al  -ne- 

mico, sì  che  egli  coi  tùo  mezzo  soggioghi  per  sè  /’/- 

talia  , e tu  col  mezzo  di  lid  tòlga  alla  patria  la  li- 

bertà ? Così  fan  tutti  gli  nomini  di  una  v^tà  simu- 

lata," e non  vera,  quando  si  sono  avanzati  al. grande 

e forte  degli  affari  «.  « . > . , 


• XX.I.  w Che^fe  non  -tu- adorno  ddla  dignità  sena- 

toria,-e  non  da  nemici,  cnom^per  tradire  e far  ti- 

ranneggiare la  patria  avessi  accettato-  que  doni,  ma 

soltanto  come  privato  da'-un  re  cotfederato,  e senza 

ombra  di  male  pel  comune,  dì,  non. saresti  da  pu- 

nire anche  per  questo  che  depravi  li  giovani  , insi- 

nuando nella  loro  vita  il  genio  per  la-  ricphezza,  per 

le  delizie  , • e per  Its  sontuosità  dd  monarchi-^quando 

abbisognavi  condnenza  estrema  a preservar -la  repub- 

blica? Svergogni,  li  tuoi  maggiori  de'  qu^i  niuno  de- 

viò dagli  usi  della  patria  nè  mutò  la  povertà  deco- 

rosa con  turpi  ricchezze  : Si  tennero  tutti'  nel  tenue 

patrimonio,  che  fu  riceyesti,'ma  poi  “riputasti  minore 


di  tC  n'  . , K 


' XXII.  u Anzi  tu  ' dissipi  la  gloria  a te  risultata 

pe’  fatti  anteèedenli , la  qiiaL  possedevi  di  uom  tem- 

perante , e superiore  ai  bassi  desìderj.  Ti  diletterai 

di'  esser  fatto  malvagio  di  proho , quando  dovevi  an- 

che cessare  dall'  esSer  inalvagió  , se  eri  mai  tale? 

'O  sarai  da  ora  in -poi  messo  a parte  mai  più  degli 

onori  dovuti  ai  buoni  ? anzi  levati  piuttosto  dalia 

città,  o dal  Foro  almeno.  E se  ciò  dicendo  mi  cas- 


i.  ' 



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LIBRO  XVIII.  4^9 


sasserp  dai  Senato  , e mi  riducessero.  disonnati, 


qual  cosa  ftqtrei  replicare  , o.  quid  Jar  giustamente 

in  contrario  ? E, dopo  ciò  qital  vita  vivrei  io  mai, 

caduto  in  tanta, infamia t‘~e  versatola  in  tutti  i iniei 

posteri  ? n • , , - 


XXIlI.  u Quanto  a te  poi  come-  darò  segno  mai 


più  di  giovarti , se  tra  miei  perdo  la  influenza  e Ut 


riputazione  , per  le  qatdi  ora  cerchi,  di  afJezionap~- 

miti  ? Quando  non  potessi  più  nuUa  nella  patria  , 

non  mi  rimarrebbe  che  uscirne  cottr  tutta  la  Jìtmiglia, 

condannandomi  da  me  stesso  ad  un  obbrobrioso  esilio.' 

Ma  dove  mi  starei  da-  indi  in  poi  , qual  ' luogo  mi 

ricetterebbe  » ridotto^'  ^eom’  è conseguenza  , senza  la 

libertà  del  parlare  ?>  Forse  il  tue  regno?  Viva- Giovo 

se  mi  apprestassi  tutta  la  règia  tua  prosperità,,  non 

mi  daresti  tanto  bene  quanto'  mé  ne  togli' , . levatami 

la  libertà,  preziosissima  innanzi    ,n . * 


XXI-V.  u Còihe  potrei  tener  vita  tanto  divérta  ^ 

tardi  ammaestrato  a servire?  Se  cJù-  è nato  ne’ regni 

e nelle  tirannidi  quàhdo  abbia  cuor  generoso  , ama 

la  libertà , stì/nando  ogni  -benè  meno  difessa  ; come 

chi  è cresciuto  ùt  città  libbra  e consueta  dominare^ 

su  gli  altri  , passerà  volentieri  di  bpie  in -mole  , di 

libero  in  suddito  per  imbandire  laàte  ogni  giorno  le 

mense,  pie  .aver  gran  seguito  intórno  di  servi,  e 

pigliar  diletto  senza  rifeèya  eoa''  femmine  e donzelli 

formosi  quasi  'la  ùmana  felicità  sia  riposta  in 

questo  0 non  già  nella  virtù  ?-n 


XXY.  u'Ma  sùm  pure  questo  e cose  altrettali  de- 

gnissime \di  esser  cercate  , or  quando  /’  uso  ne  sarà 



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46o  DELLE  Antichità’  romane  / 

tnai  lieto  se  non  sono  mai  stabili  ? Se  a voi'  sta 

concedere  tali  amabili  còse.;  voi  le  ritogliete  uguale 

mente  ,■  quando  vi  piace.  Lascio  di  ridire  le  gelosie  , 

le  calunnie  , la.  vita  sempre-  in  pericolo  , sempre  in 

timore , e tutti  gli  altri  sconci , non  degni  del  wx» 

lentuomo  , quanti  ne  porta  lo  sfar  presso  ai  moìiar- 

chi.  Già  non  colpirà  tanta  stoltezza  Fabrizio  da  ab- 

bandonare la  famosissima  Roma  per  vivere  nelC  E- 

piro;  o da  ridurlo  chk  merUre  può  far  da  capo  nella 

città  dominante , voglia  essere  dominato  da  un  solo , 

pien  di  sestesso,  e .còhsueto  di 'udire  dagli  altri  sol- 

tanto ciò  che  diletHa  ».  j 

XXVI.  « Già  non  potrei  levare  il  grandioso  nei 

pensieri t nè  impiccolirmiti , anche  volendo,  sicché  tu 

non  debba  sospettare  niun  danno.  E rimanendomi 

come  la' natura  e-'glt  usi  della'  patria  mi  han  fatto  , 

ti  parfè  grave , ■ e quasi  tirare,  da. ogni  pòrte  il  co- 

mando verso  di  me.  Generalmente  debbo  avvertirti 

ctie  non  vagli  ricevere  nel  - tuo  regno,  nè . Fabràio,  nè 

altri , sia  maggiore  sia  .'pòri  tuo  nella  virtà  , . ni  af- 

fatto chiunque  sia'crescitUò  iti,  città  Ubère  con  sensi 

più  grandi  deiiP  nomo  privato.  Già*  non  è sicura 

ai. principi  nè  cara  la  dimestichezza  con  uomini,  di 

mente  eccelsa.  • Mà. su: V utile  tuo  vagli  tu  da  te,  di- 

scernere ciò  eli  è da  fare:.-quaoto  a prigionieri  nostri 

scéndi  ai  miti  consigli,  lasciane  aitdare  ». 


. XXVII.  Appena  Fabrizio  (ìae,  maraviglialo 

della  magnanimità  sua,  lo  prese ‘per  la  (lesira  dibendo: 

Già  non  mi  vlen  maraviglia  che  la  vostra  città  sia 

tanto  celebrala  , • la  cresciuta  a tanta  signoria , dap- 



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LIBRO  XVllI.  4^1 


poiché  dia  nudre  tali  valentuomini.-  Ben  avrei  caro 

che  non  fosse  stata  fra  noi  briga  ninna  fin  dalle 

origini,  fifa  poiché  vi  fu,  poiché  taluno  de'  numi  volle 

che  noi  misurassimo  a vicenda  le  nostre  forze  e iL 

valore , ^ misuratolo  ci  riconciliassimo  ; son  pronto. 

E cominciando  io  la  benignità  la  quale  dimandate  , 

restituisco  'in  dono,  e non  a prezzo  i suoi  prigionieri 

a Roma  n.  ^ , •' 



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46a 



DELLE 


, ANTICHITÀ  ROMANE 


di"  ' . 


I » 


DIONIGI  ALICARNASSEO 



LIBRO  DECIMONONO. 



. SUPPLEMEirri  B FRAMMEHTL 



I.  « X^ECto,  un.  Campano,  lasciàtd  da  Fabrizio 

console  romano  per  capo  ddia  gbarnìgione  di  Regio  (t), 

invaghito  dei  beni  di  questa , finse  venutagli  lettera  da 

un  ospite  suo  nella  .quale  si  annunziava  che  il  re  Pirro 

manderebbe  cinque  mila  soldati  a Reggio  per  invaderla, 

promettendogli  li  cittadini , di  aprir  loro  le  porle.  Su 

tale  pretesto  uccise  cinque  di  Reggio,  e poi  comparti 

le  maritate  e le  nòbili  tnt*  suoi  militari,  » vi  si  fece 

(i)  Anno  di  Roma  47^. 



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CELLE  antichità’  ROMANE  LIBRO.  XIX.  4®'^ 

tiranno  (i).  Alfine  caduto  nudato  degli  Occhi  mandò 

cercando  • in  Messina  Dessicrate  medico  » prestaatissimo 

secondo  che  udiva.  ...>,.»  r 


II.  « Pirro  recitò  li  versi  che  Omero  mise,  in  bocca 

di  Ettore  verso  Achille  ,'qnast  detti  da’  Romani  versò 

di  Pirro; 


. , Ma  te  tale  e Xaot’  nomo  io  gHi  non  voglio  , 


Cól  guardo  seguitandoti , di.'forto  , ■ 


^ Ma  palese  ferir^  se  mi  riesca  i ' • ■ 


Poi'  soggitmgendo  che  egli  seguiva  forse  nn  tristo  $u> 

bjetto  di  guerra  contro  Greci , buonissimi  e giustissimi , 

ma  rimanevaci  un  solo-  e bel  termine  ; che  li  rendesse 



amici  di  nemici  , con'*  principio  magnifico  di  benevo- 

lenza. n • ‘ 


III.  tt  Quindi  fattisi  veaire'  li  prigionieri  de’  Romani, 

diede  a tutti  vesti  convenienti"  ad  uomini  liberi  , e le 

spese-  del  viaggio,  Con  esortargli  infine  a ricordarsi  quale 

egli  foése  staio-  inverso  'di  essi,'  a manifestarlo  - agh  altri, 

e cooperare  con  (utlb  1’  impegno  ‘ a .rendergli  amiche  le 

patrie  loro  , quando  vi  giungessero,  .'i  . 1 Certamenté 

r oro  de’  principi' ticn  forza  insuperabile,  hè  fu  dagli 

uomini  trovato  -fin  qui  riparo  contro  di  arme  siffatta.  »... 


IV.  CKnia  da  Crotone  uomo  soperchiatore  privò  di 

libertà  le  cittadi,  'cOn  dar  fritnehigia  ad  esuli  e schiavi 

numerosi' de’ 'luoghi  intorno  (a).  Fondata  là  tirannide 


(i)  Quel  di  Reggio '«ve  vano  cercalo  il  presidio  Romano,  temendo 

tanto  de*  Cariagipeai  quanto  di  Pirrol  Dacib  uccise  li  cinque  qni  si- 

gnificali in  un  convito.  Ma  li  soldati  ne  uccisero  assai  più  per  le  case, 

come  sì  racc'bgjlie'  da  Dione.  ''  ' 


(a)  Questo  paragraie  , e l(  tegajeuti  lino  al  duodeoimo  sono  fram- 

menti. 



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464  DCLi.E  Antichità’  Domane 

col  mezEO  di  questi  uccise  o bandi  li  Grotoniati  più 

rìguardevòli.  Anassilao  oocopò  la  fortezza  di  Keggio , e ■ 

ritennela  per  tutta  la  vita,  lasciandola  appresso  al  figlio 

suo  Leofrone  (i'.  Dopo  questi  anche  altri  facendosi'  a 

dominar  le  città  vi  sconvolsero  ogni  cosa^ 


V.  Ma  il  dispotismo , ultimo  a nascere  e massimo  ad- 

opprimere  le  città  d’ Italia , fu  quello  di  Dionigi , tiranno 

della  Sicilia.  Imperocché  passato  nella  Italia  in  soccorso 

de’  Locresi  che  vel  chiamavano  a danno  di  que’  di  Reg- 

gio , che  erano  loro  nemici , ebbe  incontro  eserciti  Ita- 

liani numerosissimi  ; ma  postovisi  in  battaglia  uccise 

moltissimi , e presevi  a forza  due  città.  Poi  tornato  un’ 

altra  volta  in  Italia  svelse  dalle  loro  sedi  gl’  Ipponiesi 

traendoli  nella  Sicilia  : invase  Crotone  e Reggio  e vi 

tiranneggiò  per  dodici  anni  fiqché  queste  città  sopraffatte 

dal  timore  di  lui  si  diedero  ai  barbariv  Ma  poi  premuti 

pur  da’  barbari  come  nemici , si  rimisero  nelle  numi  del 

tiranno.  E fluttuando,  come  le.  acque  dqli’  Euripo , si 

volgevano  senza  requie  qua  e là  fortuitamente , levan- 

dosi da  chiunque  li  malmenasse. 


VI.  Scese  PiiTo  di  bel  nuovo  nell’  Italia,  non  riu- 

scendogli. nella  Sicilia  le  cose  come  le  ideava  , perchè 

il  governo  di  Ini  sembrò  dispotico  anzi*  che 'regio  alle 

città  principali.  E per -vero  dire,  iutrodoftp  questo  in 

Siracusa  da  Sosistrato  che  allora  vi  presedeva , e^da 

Toinone  capitano  della  fortezza  (a),  e ricevnto  da  essi 

r erario  , e presso  che  dngento  navi  rostrate  , e sotto- 


(i)  Ciurlino  uel  lil>.  a fa  mcniione  di   più 

zelante  per  pubblica  ^confessione  e più  attivo  nel  dar 

mano  a Pirro  pèrcbé  scendesse  nell’  isola  e vi  regnasse , 

giacché  si  eca  .costui  recate  colla.  fidUar^er  incontrarlo^ 

e gli  av^a  renduta  l’ isoletta , da  Idi,  presidiata  in  Sira- 

cusa (i)..  Ma  tentando  sorprèndere  ugualmente  Sosistrato 

fu  ddosò.;  perocché  costui  previde  le  insidie , * e fùggì. 


- ' r ' ‘ • 


' ' i * ' ' *’ 


,(r)  ^irapnsiT'pcr  quatuo  rileviamo  da  Lucio  l^loro  era  coma  aoa 

ciùà  composta  da  tre  cittàio  delle  quali  ngoiina  /ra  cir- 


oonJata  di  mora.  Vedi  le  uote  lib.'  a , c.  nella  faoSlra  tlradu- 

xKltoe  ^i  quello'  icritìera.  • , ' 


DIÓA’TGI  f tomo  ///.  , i , 



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4G6  DELLE  Antichità’  romane 

Poi  coniinciaiKlo  a scouyolgeoi  le  cose  di  Itti  ; Carta> 

gine  credette  avere  il  buon  tempo  da  riprender  nell’isola 

i luoghi  perdniivt,  e' ti  spedi  sollecita  un’ arinata. 


. IX.  Evagora  figlioolo  di  Teodoro , ^alacro  ' figliuolo 

di  Mieapdro , e Dinarco  figliuolo'di  Nicia , tristi , infàmi 

sopra  tutti  gli  amici  di  Pirro  ,*  emoli  com’  erano  in  dar 

consigli , alieni  da’  Dumi  e dal  culto , vedendo  il  mo- 

narca in  disagio,  cercar  vie  da  conseguire  danari , glie 

ne  proposero  una  indegnissitna^  i^e  era  quella  di  aprire 

i tèsoli  sacri  di  Prosèrpina  (t).  Imperocché  nella  città 

stessa  eravene  un  tempio  aaitvo , il  quale  serbava  oro 

in  copia , intatto  da  tempo  antichissimo , e dove  altro 

ven'  era  invisibile  a tutti,  come  posto  occnltistimamente 

sotterra.  Sedotto  ^da  tali  adulatori,  e riputando' la  neces* 

sità  superiore  a'  tutto,  si  valse  de’  consiglieri  medesimi 

per  lo  spaglio  sacrilego.  Quindi  tutto  riconfortato  im- 

baroò  con  altre  ricckecze  Toro  venutogli'! dal  tempio, 

spendendolo  a.  Taranto. 


X.  Ma  la  provvidenza  giusta  degl’  Iddj  maoifcslò  T ef- 

ficacia sua.  Perocché  ariose  dai  porto  pròcéderono  in 

principio  le  nari' col  fi^re  A t/n.  venm  terra  ; ma 

poi  cambiatosi  questo  iu  altro  coo^rìo  ii^pestà  per 

tutta  la  notte , e quali  ne  affondò , . quali  ' ne  miruse  al 

golfo  di  Sicilia  ; e spinse  ai  fidi,  di  liocrs  quelle  ov’  èra- 

no portati  i doni' , già  votivi  ne’  tempj , e P oro  'am- 

Jtnas&atooe  : e qui  disfacendosene  i legni  foce  perire  i 

nocchieri  naufoaghi  pel  riflusso  deUe  onde  , e sparse 

)’  oro  sacra  su  la  spiaggia  appunto  più  prossima  a Ix>cri. 

Donde  costernato  rese  il  mouaroa  alla  Dea  tulli  gli  or- 


(>}  Anao  di  Roma  4/8- 



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LIBRO  XIX. 


namenti  e i tesori , quasi  per  allontanare  con 

collera.  » 



4G7 


ciò'  (a 



Stollo  ! che  non  vede»  t/ùali  tormenti 


Tf«  ìncorrerì*  : 'chè  facili  non  tono  , ■ , , 


. Thnla  a mutarti  le  celesti  menti,  * ' ' 


Come' Ai  détto  da  Omero  (r).  Dappoiché  stese  la  mano 

lemerliria  su  1’  oro  sacro,  onde  valersene  in  guerra,  la 

Dea  lo  iniìitQÒ  nè*  Consigli  » per  esempio'  e 'documento 

de’  posteri.  t 


XI.  E per  questo  appunto  ' io  vlcrto  colle  armi  da’  Ro  praticati  don  éagli  uomini,  ma  dàlie 

capre  per  lo  selvoso  e scosceso  in  che  sorto  : cd  erano  , 

per  andare  senza  ordine  alcùno  spossandosi  dalla  sete  e 

(1)  Odissea  111-,  , 


):^micllUà  Romane  di  Dionigi. 

Tulio  il  resto  t auppliio  col  compendio  formala  su  li  medesimi 

verni  libri.  ' , 



. ) 



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4^9 


DELLE  ■ 


ANTICHITÀ  ROMANE 


. ' - '01  ,  

parecchio.  Conciossiachè  ivi  crescono  in  copia  abeti  al- 

tissimi e pioppi , e la  pingue  picea , e il  pioppo  e il 

pino  > e r ampio  fàggio , e il  frassino , fecondati  dàlie 

acque  che  vi  trascorrono  ^ ed  ogni  altra  sorta  di  alberi, 

la  qual  densa  ne’  rami  tiene  continua  1’  ombra  su  la 

montagna  1»).  » s - \ 


VI.  a Eh  questa  sélva  gir  alberi  prossimi  al  mare  e 

ai  fiutni  tagliati  interi  dal  ceppo  e recati  ai  porti  ricini 

forniscono  a tuttà  T Italia  materiali^ per  navi  e case:  gU 

alberi^  lontani  dal  mare  e da’  fiumi , ridotti  in  pezzi , e 

riportati  su  le  spalle  dagli  uomini somministrano  remi 


V " 


(t)  Àpao  di  Roma  481.'  ‘ '• 


(a)  Stra'bufu  nel  lilwo  V-I  di«  che  questa  selva  eré  lunga  tcllc- 

cento  stadj. 



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4 7 "2  DELLE  Antichità’  romane 

e pertiche,  e mezzi  di  ogni  arme,  e rasi  domestici:  fi* 

naimcnie  la  parte  di  piante  più  grande  , e più  oleosa 

vien  preparata  a dar  le  resine , e scn  fornia  la  resina 

chiamata.  Bruzia-.,  la  più  odorata  , -e  la  piu  soave  infra 

quante  io  ^ne  conosca.  Or  dagli  affitti  di  unto  Roma  ne 

ha  ciascon  anno  cospicue  rendite.  » 


VH.  « Io  Reggio,  iecesi  un’  altra  sommossa 'dal  pre- 

sidio lasciatovi  di  Romani  e di  confederati  : seguitatidone 

da' ciò  stragi  ed-  esilii  noti  pochi.  Per  tanto  Gajo  Ge- 

micio  r altro  de’ consoli  usci  coll’  esercito  a punir  quei 

ribelli.  Presa  la  città  colle  ardii  rendette  ai  citudini  prò* 

fughi  gli  averi  loro,  edarresuto  il  presidio  lo  condusse 

prigioniero  in  Roma.  Or  su  questi  tanta  fu' Pira,  c 

tanto  il  dispeuo.-Dcl  Senato  e uel  popolo  che- non  vi 

fu  I pietà  di  partiti  : nm  da  tutte  le  tribù  (ù  senlenziau 

su  tutti  la  pena  di  morte  come  presciivono  le  leggi  su 

tali  malfattori  (■).  » > ' ' . 


Vili,  a Stabilita  la  sentenza  di  morte  furono  pianUti 

de’  tronchi-  nel  foro  e condottivi  e legati  trecento  a cor- 

po nudo  i quali  aveanq  già  i cubiti  avvinti  dietro  le 

spalle:  e poi  battuti,  e poi  decapitati  con  le  scuri.  Dopo 

ì primi  vi  furono  puniti  altri  trecento,  e quindi  altret- 

tanti ancora  4 findiè  in  t'uttO  furono  quaMro  m'da  dn- 


(i)  La  Irgiooe  Campaoa  con  Decio  capitano  occupi  Ecgg'o  l'an- 

no 4/4  Roma  poco  ifopo  la  venuta  di  Pirro  nM’  ftalia  , occorsa 

appunto  in  quell’  ann^.  La  legione  ribelle  fu  punita  l’anno  4^^ 

sotto  il  contole  Genucioi  Livio  XX Vili , aS.  dice  clic  la  pena  fu 

dicci  anni  dopo  il  delitto  , é ebe  li  póniti  in  Roma  furono  quattro 

rada.  Nel  testo  ai  parla  della  ribellione  come  aeconda.  Non  k chiaro 

se  la  indicata  io  questo  luogo  eia  detta  seconda  in  rispetto  a quella 

di  Dcciu , o di  altra  antecedente. 



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LIBRO, XX.  ,47  3 


quecento.  Non  ebbero  questi  sepoltura  , ma  tirati  dal 

Foro  in  luogo  aperto  dinanzi  la  città  vi  si  abbandona- 

rono, pascolo  di  uccelli  e di  cat^i.  » 


IX.  . « La  turba  mendica  non  tenea  cura  delPo* 

nesto  nè  del  giusto.  Però  sedotta  dal  Sannite  (i)  si  rac- 

colse in  un  corpo  , e su  le  prime  vivea  por  lo  . più  pei 

monti  nelle  campagne.  Ma  poi  cbe  fu  cresciuta  in  nu- 

mero ornai  da  tener  fronte  occupi  una  città  forte  , dalla 

quale  prendea  le  mosse  a depredare  le  terre  ihtomo. 

ÌÀ  consoli, cavarono  la  milizia,  contro  di  questi.  Ricu- 

perata senza  gran  briga  la  città  batterono  ed  uccisero 

gli  autori  della  ribellione , véndendone^  gli  altri  all’  in- 

canto. Era  già  1’  anno  avanti  stata  venduta  la  terra  e g^i 

altri- acquisti* fatti  colle'  armi  e l’argento  risultatone  dal 

prezzo  èra  stato  comparilo  ai  cittadini  (1).  n 


fi)  Ano»  di  Roma  4^-  ' ' ' ' - ’ > ’ ' 


Qui  81  attude  «Ila  guerra  concitata  da  LoUio  Sannite  il  quale  fug- 

gito da  Roma  dove  era  ostaggio,  raccolse  gente,  prese  un  luogo 

munito  della  sua  regione,  e vi  padrone'ggiava,  e. predata. 


(a)  Dionigi  nel  lib.  1.  9 dice  di  tessere  la  storia  sua  fioo  al  prin- 

cipio della  prima  guerra  Punica  1 Questa  occorse  Panno  488  di 

Roma  ; e le  cose  di  quest’  ultimo  paragrafo  concernono  P anno  {85 . 

Tanto  che  il  eoiApendio  ha  prossima  corrispondensa  alla  storia  delle 

aSA*itA  «Usa  in  venta  libri.  • > - 


J '•  ..  ' • . 


- • i t , 


. . PINE/ DELLE  iNTICniTÀ*  ROMÀNE 

■ ‘ ■ DI  ntONir.l  DI  ILIClRMASSO. 



•I  r-. 


■T — 



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474 


INDICE 


DELLE  COSE  PllT  NOTABILI  IN  DIONIGI 


DI  ALldARNASSO. 



tl  mmero  romano  accenna  il  libro  t P altro  numero  iparagnf. 





.A-borigeoi.' Sono  porto  degli  Oeootri  di  Arcadia.  Tt  36.  Se* 

condo  alcani  non  diiT ' >. 


Agricoltnra.  Romolo-  conginnge  le  cure  di  essa  con  «joelle 

della  miliaia.  II.  a8.  Anco  Maraio  raccomanda  Tagricoltara 

e li  pascoli  pinttoato  dié  la  gneira.  III.  3G.  ^ 


Agilla  cpsi  chiamata  dai  Pelasgi  fa  poi  détta  Cere  dagli  Etra- 

sci.  I.  1 1 . 


Agrippa  vedi  Menenio.  f 


Alba  Lunga,  suo  fondatore  e sito.  I.  5^.  Sua  durasione. 

III.  5i, 


Albani:  da  quali  genti  r|snltassero,  IL  2.  Catalogo  dei  loro 

re.  I.  Ga.  Dopo  la  morte  di  A,mnlio  e di  Nnmitore  ebbero 

annui  magistrati.  V. Al)«>nza  degli  Albani  e de'Romani 

sotto  Romolo,  III.  3.  Guerra  tra,  i' due  popoli;- loro  capi- 

tani, ed  esito  della  medésima  , 2 e segg.  Traflaziqne  degli 

Albani  in  Roma,  2q,  • 


Albani,  campi  fertili  di  ave  e frutti,  t.  28.  Bontà  premi- 

nente del  suo  vino  , 5^.  'Monte  Albano,  Vili.  87.  Ferie 

Latine',  ivi.  1 > 


Alceo  , poeta  esiliato.  V.  ^3.  ... 


Algido.  I Volaci'»  gli  Equi  vi  accampano.  X.  21.  XI.  3.  i 

Romani  .vi  sono  danneg^ati  ,23.  ■ 


Alsio,  Inogo  degli  Aborìgeok  I.  11.  '' 


Amiterna  Inogo  dei  Sabini.  ’I.  6.  IL 


Amnlio  , ipoglia  il  ano' fratello  Enmitore.  I.  €7.  Regna  XLII 

anni,  G2.  Viene  aaaalito,  ^5,  ' • 


Ancbiie , figlie  di  Capi  -e  padre  di  Enea.  I.  53.  Sua  tomba, 

55.  Porto  di  Anchise,  4L  '^Itri  looghi  i qnaR' ebbero  nomo 

per  Aflcbise,  64.  ' t 


Ancile  o scudo  caduto  dal  cielo.  II.  70. 



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47^  ■ 


Anco,  prenome  di  Marzio  re  e di  t*ablioio  Corano,  Vedi  que- 

sti nomi. 


Anfittioni  e loro  congressi.  IV.  25, 


Aniene , Game,  III.  22.  Non  era  lontano  dal  Monte  Sacro. 

VI,  45.  Era  ricino  * Fidene.  Ili,  55,  Si  ecarioa  nel  Te- 

vere , ivi. 


Anterana,  sna  fondazione,  l.  8.  È tolta  ai  Sicoli  dagli  Abo- 

rigeni. II.  35.  Fn  resa,  colonia  Romana  , ivi.  Si  unisce  a 

Marnilio  TuScolano  per  soccorrere  Tarqninio  contro  i Ro- 

mani. V.  21. 


Antistio  Petrone  i ucciso  per  inganno' da  Sesto 'Tarquinio , 

IV.  57. 


Ansio , è fondata  da  Anzio  figlio  di  Ulisse.  I.  G3.  B cittì  pri- 

maria de*  Volaci.  VIII.,i.  IX.  56.  Fa  lega  con  Tarquinio 

superbo.  IV.  49.  Soccosre  quei  della'  Ricoia.  V.  36.  Soc- 

corre i Latini  contro  i Romani.' VI.  3vSoceorre  quéi  di 

Goriolo,  f)2.  & preso  il,  porto  e la  campagna  di  essa.  IX. 

56..  Sì  rende  a Qoinaio,  .5R,.  Parte  delle  sue  terre  divisa  tra 

i Romanì,«5().  Oli  Anziati  spogliati  delle  terre  ne  partono  , 

sono  ricevuti  dagli  Equi,  e fanno  scorrerie  su  campi  de’ La- 

tini, 60.  Gli  Anziati  si  ribellano.  X.  20. 


Apiolani  espugnati  da  Tarquinio  Prisco.  III.  40* 


Appello,  la  legge  Valeria  permise  a chiunque. di  appellare  dai 

' magistrati  al  popolo  sa  le  condanne  .di  morte  o di  battitore. 


' V.  20.  Si  voglicmò  paniti  i consoli  perobi  impediscono  que- 

st'appello. IX.  3g.  .,  ■ 


Appio,  prenome  Sabino  de’  Claudi  e di  Erdonio.  Ve£  ffuesù 

homi.  : . ^ 


Aquìdotti  magni Gcentisai mi  di  Romq.  III.  67. 


Aqaillo,  C.  console.  Vili.  64*  Vinoe  gli  Erpici,  ,65.  Ne  ot- 

tiene la  ovaz'ione,  67. 


AquìI),  L.  e M.  conghirati,  vicende  nella  loro  pena.  V.  g. 


Ara  massima.  I.  3i.  ' * , 



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477 


Arcadi,  i primi  fra  i Grecj  veogooo  ad  abitare  l'Italia.  I.  3.  ^ 

dove  abitassero,  36. 


Arcadia  fa  già  detta  Licaonia.  II.  i.-  Atlante  fa  ano  primo 

re.  I.  Si.  Dilario  di  Arcadia,  Sa,  5g. 


Ardea  è fondata  da  Ardeas  figlio  di  Ulisse,  I.  63.  È città 

del  Lazio.  V.  6i.  Tarqpinió  superbo  1* assedia.  IV.  6{. 


Fa  fregna  coi  Romani, '85.  V.  i.  È toko  loro  parte  del 

territorio.  XI.  54 


Aurunci,  popolo  d’Italia.  I.  12.  Loro  qualità,  ivi,  e VI.  Ss. 

Occupavano  la  parte  più  bella  della ’Gampa'oia,  ivi.  Sono 

vinti  da  Servili 0 , ivL  Ridomandano  i caiòpi  degli  Ecce- 

tranì,  ivi.  . , 


Ao  sonia  era  l’Italia.  I.  27.  Il  .seno  Apeonio  fu' pei  chiamato 

il  seno  Tirreno , 3i  Oli  Ausoni  cacciati  dai  iapigi  vanno 

in  Sicilia  , i3.  ' . ' 


Auspizj  s’ imprendono  ooA  cui  le  cose  ardne.  V.  28.  Si  de- 

cide con  essi  li' sito  di  Roma.  I.  77,  Più  volle  sono  di- 

sprezzati.  Ut  G. 



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479 


A»io  Nevio  Aogare  > tua  «ccelienu.  I-  6i.  E tolto  di  mez- 

10,  63. 


Aizio  Tallo  capo  de*  Volaci.  Vili.  l.  Accogllè  benigoameote, 

Coriolaoo,  3.  Stimola  i Volaci  coìitro  i romam  : fa  dicbia-' 

rare  Coriolaoo  per  (mmandante  delle  MÌlicie , i3.  Ne  pro- 

oara  la  morte,  ^7  « segg.'E  uoeiso  in  gaeira , 69.  Suo 

olrattere,  ivi.  * . . 


* ; 



Babilonia,  eoa  celebrità.  I>  27.  Sne  mora.  IV.  25. 


Bacco , pianto  dei  Greci  en  j caeì  di  Bacco.  II.  g.  Tempio  ' 

inalzatogli  da  Fostumio  dettatóre.  VI.  17.  Coneagrasioae  ' 

fattane, 


Battaglia  impedità'  dai  et^ni  celeetì.  IX.  55-  Prima  \di  altóc* 

caria  fanno  preghiere  e eagriiiaio,  10. 


Balia  luogo  degli  Aborigeni.  I.  i5.  ^ ' 


Bighe,  gara  delle  roedeeime.  VII.  93. 


Bitumo,  rasi  pieni  di  bitnme  e pece  drati  colle  Condo  eu  i 

nemici.  X.'iC.  ' 


Boario,  Poco.  I.  3i.  Servio  Tallio  vi  forma  un  tempio  della 

Fortuna.  IV ' t . 


Canne  raconfilta.  II.  17.  . . . 


‘Capi.  I.  ,62.  ' , ' ' ' . • 


Capitolino,  colle,  già  detto  Saturnio.  II.  O Tarpee.  III. 

6q.  Perché  poi  ai  cfaianiasae  Capitolino.  IV.  Gì.  Romolo  lo 

fortiGca.  II.  07.  In  citna  di  qoeato  colle  osala  Catppidoglio 

vi  i il  tempio  di  Giove  Feretrio,  5{.  Tarqoipio  Prisco  vi 

conaìncia  un  tempio , Tarqoinid  anperbo  ve  lo  continua  , 

sua  Innghezza  e larghezza.  IV.  Ci.  È poi  compito,  e M. 

Orazio  lo  dedica.  V.  35.  Vja  in  lìàmme.  IV.  61.  E.  riedi- 

ficato, ivi.  * . . ‘ ' 


Capua  , città  della  Campania.  VII.  10.  Eb^e.  noMer-da  Capi. 

I.  64. 



Carine  luogo  di  Roma.  1.  5g.  III.  22.  Vili.  79. 


Carmenta.  I.  22  a aeg.  • - ‘ ^ 


Carmenlale  porta.  I.  22.  X.  i4.  , v ^ . -f 


Carsola.  I.  C.  ' 


Cartagine.  Timeo  Sicolo  dice  che  fu  fabbricata  circa  i Xempi 



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• 


(li  Roma.  I.  G5.  Toroa  a cercare  di  naoTO  T Impero.  II. 

1'^.  I Cariagineai  sono  eipuUi  dal  mare.  Proemio,  3.  Loro 

viitime  umane/  2r).  , • ' 


Catiandro  re  di  Macedooiar  L ^o. 


Carvilio  (Sp.)  il  primo  ripadia  la  moglie  qon  prima  delt’anno 

5lo  di  Roma.  II.  2$. 


CaMÌo  (Sp.)  Uscelltoo  trionfa  dei  Sabini.  V.  Tito  Larglo 

Dittatore  Io  prende  -per  maestro  de’  cavalieri , 'jb.  Senti- 

u)eolo  doro  di  osto  circa  il  castigo  dei  Latini  ribelli.  VI. 

20.  E fatto  console  di  nuovo,  40’  Guarda  la  città,  gì.  De^ 

dica  il  tempio  di  Cerere  e di  Bacco  , g5.  Diviene  consolo 

per  la  tersa  volta.  Vili.  C8.  Noi  resto  di  questo  libro  sie- 

gue  il  (racconto . dell’  ambisione  di  lai , degli  Sforai  per  in- 

trodurre la  legge  Agraria , le  accuse  , ed  il  suo  tkagico 

fine,  'jg.  I figli  di  Castio  non  sono  privati  nA  della  pa* 

tria  , nè  de’  beni  , nè  degli  onori  pe’  delitti  del  padre  per 

decreto  del  jSènato.  Vili.  8o.  Il  popolo  si  pente  di  aveiio 

condannato  , *82.  ' ' ~ ^ . 


Castore  e Pollace  diconsi  apparsi  in  Roma.  VI.  i3.  Monu- 

menti in  Roma  della  loro  apparisiooe , giuochi  , feste,  ivi. 


Cavalieri.  Servio  Tallio  li  ordinò  in  18  centurie.  IV.  18.  Piò 

di  quattrocento  plebei  souo  aggiaiiti  all’ ordine  de’'cava- 


. lieri.  VI.  4i.  . 


Cecilio  IL.  Metello)  , suo  trionfo  e zelo  nel  oonservare  le  cose 

di- Vesta,  e statua  di  lai.  nel  Campidoglio.  II.  6G. 


Cecidio  (L.^)  tribuno  della  plebe  accusa  Servilio  uomo  con- 

solare. IX.  28. 


Celeri,  origine  del  loro  nome.  II.  i5.  .Loro'incoiubenze  , GL 

Tarquinio  snperbo  costituisce  Bruto  prefetto  di  eui.  VI. 

92.  Bruto  Uscia  questa  prefettura  , '^5. 


Celti  o Galli  fanno  vittiose  umane  a Saturno.  I.  2g. 


Censori , loro  uffizio.  IV,  Come  permettono  il  divorzio 

DIorriGJ,  tomo  II/.  3, 



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48a 


di  Garvilio.  11.  2 5.  CommenUrj  o regùtri  de’  oentori.  I. 

65.  IV.  22.. 


Cento  de’ Romani,  oome  ùtitnito  da  Servio  Tollioi  IV.  i5. 

C latti Bcaaio ne  de’ Romani  , iG.  VII.  5g.  Sfumerò  di  citta- 

dini-IV.  22.  Geiuo  fatto  ancora  dai  contoli.  V.  .20.  Cento 

sotto  Tito  Largio  primo  Dittatore,  g5.  Altro  cento  ove  tro- 

vanti cxxs  mila  cittadini.  VI.  C3.  Cento  dell' anno' 261 

di  Roma.  VI.  gC.  Cento  dell'  anno  2^8  di  Roma.  IX.  25. 

Cento  dell’anno  280.  IX.  36.  Cento  rettituSta  dopo  ig 

anni.  XI  in  fine. 


Centurie,  te  ne  fanno  ]g3  e ti  dividono  in  tei  datai.  IV. 

18.  VII.  5g.  Di  raro  ti  chiedeva  il  voto  della  tetta  clatte. 

IV.  20.  Luogo  tpeciale  delle  oentnrie  negli  tpettacoli. 

III.  «8.  - 


Ceoturiati,  comiaj.  IV.  20.  VII.  $g.  Come  differiacano  dai 

comiaj  per  tribù.  IX.  Ut,  XI.  46*  Intimazione  dei  eomitj 

oentnriati.  V.  10.  Loro  forza.  XI.  55.  I Patrizi  vi  preva- 

levano. Vili.  82.  XI.  4^*  I decreti  di  qtietti  eoli  comizj 

' nn  ^empo  erano  riguardati  come  leggi  dai  patrbi , ivi.  L’in- 

terré-oonvoca  queati  comizj.  VII.  go. 


Centurioni,  loro  scelta.  IV.  i>j.  Dove  collocati.  X-  iG. 


Cecere  insegna  l’agricoltura  a Triptolemo.  I.  4*  Tempio  e 

tacrifitj  di  Cerere , ^4-  Pottomio  Dittatore  le  fonda  un 

tempio  per  voto.  VI.  l'j.  Se  le' innalzano  tUtne  metalliofae. 

Vili.  2g.  A'  Iti  ti  contagrano  i beni  di  quelli  che  facevano 

violenza  ai  -tribuni.  VI.  8g.  X.  4>.  ^ 


Cipria , via  in  Roma.  III.  22. 


Circe , dove  abitatae'.  IV.  G3.  Telegono  figlio  di  essa  e di 

ditte,  45*  Circei  donde  denominiti.  IV.  G3.  Si  rendono  a 

Minio.  Vili.  i4' 


Circo  Massimo.  lL''3i.  Chi  lo  incominciaste.  III.  68.  Vi  era 

tal  termine  il  tempio  di  Cerere.  VI.  g4> 


Citerà,  itola.  L 4l> 



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483 


Citt;idini  romani  come  da  Romolo.  II.  Come  Servio 


Tallio  volle  rieaperne  il  oamero,  il  ietto  e l’ rià.  IV.  l5. 

Come  ne  accrebbe  il  nomero,  91.  Tullio^  vuol  pareggiare 

il  diritto  de’  ciUadini , Non  era  lecito  battere  nn  citta- 

dino. IX.  39.  Non  poteva  nociderai  eenaa  cogniaioii  della 

canta.  VII.  3G.  Qoali  arti  non  potette  eiercitare.  IX.  x5. 

Claudia,  gente  oriunda  da  Regillo  città  di  Sabina.  XI.  i5. 

È condotta  in  Roma  da  Tito  Claudio.  V.  4o*  Tribà  Clan- 

dia  , ivi. 


Claudio  (Appio)  Sabino,  nega  che  potrà  levarti  la  leditione  con 

donare  i debiti.  V.  60.  È Contqle.  VI.  23.  Discorda  dal  col- 

lega'circa  dei  poveri  i4  , e Sol  trionfo  di  lui,  3o.  Suo  di- 

' scorso  per  chetare  le  seditiooi,  38.  E chiamato  nemico  del 

popolo  , 48-  Suo  discorto  circa  il  ritorno  del  popolo , C6  e 

tn  la  legge  agraria.  Vili.  ^3.  Suo  consiglio  per  frenare  i 

tribuni.  IX.  10.  X.  3o.  ' • 


Claudio  (Appio)  nipote  di  C.  Clàudio  per«  parte  del  fratello,  è 

console.  X.  54.  È creato  Decemviro,  56,  (9.  E creato  di 

nuovo  Deceniviro , 58  e ritiene  un  tal  grado  pel  terzo 

anno,  Ci.  Seguito  delle  sue  vioende,  XI.  4 • eeg.  Muore 

in  carcere.  ^.6. 


Claudio  (C.)  Sabine , sio  del  Decemviro  è console.  X.  9.  E 

contrario  anobe  egli  alla  plebe , ivi.  Sua  parlala  in  Senato 

contro  i Decemviri.  XI.  7.  Si  ritira  in  Sabina,  22  , 

Claudio  (M.),  cliente  del  Decemviro  : sue  pretensioni  su  Vir- 

' gioia.  XI.  32, 


Claudio  (Neròne);  console  per  la  seconda  volta.  Proemio , 3. 

Clelia  fugge  con  gli  oslaggj.  V.  53  e teg. 


Clienti  o Clientela.  Proemio,  8. 


Cloache,  loro  grande  artificio.  Ili,  67. 


Cluvilio,  capo  degli  Albani,  occasiona  la  guerra  di  questi  coi 

Romani.  III.  2.  Sna  morte,  repentina ,'  5.  ' 


Cluvilio  Graooo,  sommo  comandante  drgli  Equi.  X 21.  Sua 



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484 


riapoaU  orgoglioaa  ài  Romani.  X.  22.  Gli  arviluppa  , 25.  E 

vinto  e portato  in  trionfo  , 2/(..  , 


Clovilip  (Q.^  Sicoioj  è conaole  , e reata  alla  gnardla  di  Roma, 

e perchè.  V.  5 9.  Depone  il  contolato  e nomina  Largio  per 

Dittatore,  92.  Fa  prigionieri  parte  de'  predatori  latini  , er.  escludere  i scellerati  dalla  città  propria. 

IV.  2$.  Colonie  divenute  maggiori  delle  città  madri.  III.  11. 

Colonne , vi  ai  descrivono  le  alleanze.  IL  55.  Talvolta  si  cn- 

stodivano  ne’ teibpi.  III.  33.  Vi  s'incidevano  li  leggi.  X. 

32.  In  tempi  pib  antichi  le  leggi  si  scrivevano  ip  tavole  di 

quercia.  HI.  36.  ' 


Cominio  (Post.)  console.  V.  So.  Dedica  il  tempio  di  Saturno. 

VI.  I.  È console  per  la  seconda  volta,  49 ed  in  qnal  epoca.  V.  1 1 . 


Confarreazione.  Ilt  2 5-. 


Consoli , prkni  cemioli  Brolo  e Collatino.  IV.  Loro  di- 

stintivL  III.  Ga.  IV.  V.  75.  X.  5q.  Diritto  di  convo- 

car le  concioni.  VII.  17.  Il  Senato  di  loro  1*  autorità  dì 

crncloder  la  pace.  Vili.  18,  Il  oonsole  è privato  del  con- 

solato dal  Dittatore.  X.  25^  I consoli  si  rendono  amici  al- 

cuni tribuni  per  contrapporli  agli  altri.  IX.  i , '2.  l 'consoli 

sono  citati  al  collegio  de’  tribuni.  X.  3i.  Contrasto  coi  tri- 

buni , ivi.  Sono  citati  dii  tribuni  ai  popolo,  3^.  Comin- 

ciano a governare  favorendo  la  plebe,  ^8.  1 consoli  tengono 

nn  Senato  privato  in  casa,  55.  Contesa  dei  patrizj  e della 

plebe  per  creare  consoli  cìascnno  della  soa'  fazione  : Un 

oonsole  si  sceglie  fra  i fautori  'della  plebe,  uno  tra  i fau- 

tori dot  patrizj.  Vili,  qo  e a«g.  Si  creano  i Decemviri  in 

Inogo  dei  consoli.  X.  56.  Si  terna  a creare  i consoli.  XL 

45.  Si  creano  i tribuni  militari  in  luogo  de' consoli  | Ga. 

GonsolaH , nomini , citati  in  giudizio  dai  tribuni  finite  il  con- 

solato per  la  trascnratesza  sa  le  cose  agrarie.  IX.  37.  Sono 

multati  in  danaht  in  Inogo  di  esporli  a pene  personali , e 

perchè.  X.  49'  Ordine  nel  ohieder  loro  i.  pareri  in  Senato, 

5.  Limiti  deir  autorità  consolare.  IV.  75.  4.  Toi*na  in  potere  degli  Equi , 26.  È distratto  dai  Ro- 

mani, 80.  ■>  ' 


Gorciresi  , loro  sedizione.^  VII.  66. 


Cordo,  cognome  di  Mnzio.  V.  aS.  ' 



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486 


Gorilla  0 Coriola  paoae  dei  Latini.  IV. 


Goriola , oittà  famosa  de’  Volaci  tiene  assalita  da  Poslumio 

Gominio.  VI.  92.  Si  rende  a Marcio  Gnriolano,  Vili.  19. 

Marcio  ebbe  nome  appunto  d*' Goriola.  VI.  94* 


Gornelio  (L.  Siila)  , durissioio  nella  sua  dittatura.  V.  77. 


Gornelìo  (L.)  console.  X.  20.  Espufgna  Ansio,  21.  Suo  pa- 

rere su  le  istanze  dei  Decemviri.  XI.  16  e aopra  i r'Idali 

che' abbandonavano  il  campo  dei  Decemviri , 44- 


Gornelio  (M.),  fratello  di  Looio  Gornelio,  è Decemviro.  X.  68. 

Sna  risposta  a G.  Glaudio.  XI.  16.  invita  Lucio  eoo  fra- 

tello a dire  il  suo  parere,  iC>  Marcia  contro  glj  Equi,  2Ó. 


Gornelio  (Ser.),  console,  fa  tregua  per  un  anob  coi  Vedenti. 

Vili.  8a. 


GorneUnì,  popolo  del  Lazio.  V.  Gz. 


Gornicolo , città  del  Lazio.  IV.  1.  Gade  in  potere  di  Tarqoi- 

DIO  Prisco.  III.  5l.  ' 


Gorni  di  bove  :.  si  convocava  con  essi  la  plebe  romana. 


IL  8.  > 


Corona  di  oro  donata  dai  Romani  a Porsena.  ,V.  35.  Gorona 

di  oro  data  a chi  aveva  salvate  le  bandiere.  X.  36.  Gorona 

civica  donata.  Vili.  29.  X.  07.  Gorona  anurale,  ivi.  Il  po- 

polo esce  coronato  ad  incontrare  il  vincitore.  IX.  35. 


Gote  , segata  cpo  un  rasojo.  III.  71. 


Greraera,  castello  presidiato  dai  Romani  contro  i Vejeoti.  IXi 

i5.  E preso  dagli  Etrusohi , 2Ò. 


Grotone , quando  fondata.  IL  69.. 


Grotone  nella  Etrnria  tolta  dai  Pelssghi  agli  Umbri.  I.  1 1* 

Muta  abitatori  e nome,  ed  A chiamata  Goiornia.  17.  Lingua 

de*  Grotoniati , lo.  . **eoe  tiranno  , 8.  Come  le  ne  li* 

bera  , li.  Viene  occnpat'a  dai  Gampapi.  Tomo  £e^s/on/.  In- 

contro in  Coma  dei, Legati  Romaqi.  Manda  nn  Mocono  ■ 

quei  della  Riccia.  V.  36.  ‘ • 


Goraxj.  III.  iL  Loro  spoglie  portate  in  Roma,  21. 


Cori , sna  origine.  II.  48- 


Coreti , loro  rili.  IL  90.  Faroleggiati  ohe  educassero  Gìore 

fanciollo.  II.  61.  1 Coreti  dei  Greci  sono  gl' istessi  cbe  i 

Salj  dei  Latini,  'jo.' 


Carie  erano  parti  anbalteme  delia  divisione 


pii  generale  dei  cittadini  in  Roma.  IL  Se  avessero  nome 

dalle  matrone  Sabine,  47*  Sbotto  Romolo  scelsero  i Senatori , 

ed  i Celeri,  3,  Ordinano  coi  loro  voli  che  ai  restituiscano 

i beni  a Tarqainio  superbo. -V.  6. 


Cariali.  Vedi  Comizi  e Centurie  tì.^ 


Gnriasj.  Vedi  Cumtj.-  . il 


Cnrieni^  capi  delle  Carie.  IL  7.  Facevano  pnbblico  sacrifizio 

per  le  Carie.  IL  64 


Difesa  , non  dee  negarsi  ad  alcuno.  V.  4-  \Tcmpo  acoordato 

per  difendersi.  VII.  58.  , 


Dittatore  , origine  dtl  nome.  V.  73..  S'na  anlorilà  e dnraaione. 

VII.  56.  Creavasi.  nel' tempi  diffioili  della  repubblica.  XI. 

20.' Condotta  del.  primo  dittainre  Tito  Largio.  V.  75.  Imi- 

tato dagli  altri  dittatori  6uo  a Siila  ,77»  Anio  Poslnmie 



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ditutor»  «econdo.  TI.  >.  Mjnio  TaWrìo  dilUtore  terw*.  VL  ^ 

3g.  Loeio  $.  Vinte  le 

Spagne  viene  io  Italia  , ivi.  Uccide  Caco  , 33  e .diviene 

insigne , 34>  Abolisce  i sagriGsj  umani  soliti  a farsi  a Sa- 

tarno,  28-  Evandro  gli  tributa  onori- divini,  3i.  Soci  com- 


, pagiii  che  si  fissano  presso  dèi  Pallanteo.  II.  i.  Alenai  han 

crednto  che  egli  lasciasse  de’  figK  nell’  Italia.  I.  3^. 


Ercole,  Arconte  di' -Atene.  .IV.  4 >• 


Erdonio  Appio  «conpa  il  Campidoglio^  X.  1 i-  Muore  combat- 

tendo talerosamente  , iC.  ' 


Erdonio  (Turno),  resiste  a Tarquinio  superbo,  cabala  di  que- 

sto per  Deciderlo.  IV.  e seg. 


Ereto , città  Sabina.  III.  5q.  Battaglia  data  in  Breto  eontro  i 

Toscani.  IV.  3.  Sua  distanza  da  Roma.  III.  3i.  Restava 

presso  del  Tevere.  XI.  3.  I Sabini'- vi  al  aocampanp,  ivi. 

Vi  tono  vìnti  da  Tarquinio.  aoperbo.  IV.  5l. 


Erinni,  venerate  dai  Groci.'II.  Jj.  • r 


Elitra , luogo  dell’  Asia  minore.  IV.  62. 


Ermmio  (Lar.)  conscie.  XI.  5i. 


Erminio  (Tito),  i latciatò  Inogotenente  da  Tarqninio  nel  cam- 

po , suo  zelo  per  liberare  la  patria  dal  medesimo.  IV.  8. 

E UDO  de’ capitani  contro  Porsenna.  V.  22.  Tito  Erminio 

console , 36,  Lnogotenente  del  Dittatore  impedisce  la  foga 


' \ 



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49* 


dc'RomaoL  VI*  Uocide  Manulio,  io  cpoglia  ed  4 uo> 

oieo , ifi.  , , ' , r-  • 


firnici , popoli  *icini  ai  Romani.  Vili.  Si  collegano  eoa 

Tacqninio  , inperbo.  IV.  4q-  Ritpondoao  ambiguameote  ai 

Romani  che  dimandano  loccorto.  V.  Promettono  ajuto 

ai  Latini  contro  i Romani.  VI.  5.  Risposta  loro  superba  ai 

Romani.  Vili.  64*  Lasciano  gli  alloggiamenlt  di  notte  a 

faggono,  C6.  Chieggono  la  pane  e la  ottengono,  G8  « seg. 

Cassio  vuol  che  partecipino  alla  ilivisìone  ilelle  terre,  90 , 

9 ■ . Mandano  >i  Romani  il  doppio  de’  sussidi  ricercati.  IX. 

5.  Dimandano  ajnto  ai  Romani  contro  gli  Equi  e gli  Er- 

niciy  C9.  X.  20. 


Ersilia  Sabina , antrice  della  Legasione  muliebre  ai  Sabini 

dopo  il  ratto.. II.  4^.  III.  1. 


Esequie,  Tarquinio  Superbo  le  proibisce  in,qlQrle.di  Servio 

Tulliò.  IV.  4o.  Escq  uic  per  Virgioia.  XI,  39.  . ' 

Espiasione.  Romolo  fa , saltare  ^il  popolo  attraverso  le  Gamme 

per  espiarlo.  I.  99.  Espiazione  per  acciskme  non  volonta- 

ria. IIL  2 2.  Espiasione  pe^  causa  di  un  morbo  cohtagioso. 

JX.  ^o.  Espiasione  o lustrazione  di  Roma  dopo  ia  morte 

di  Erdonio.  X.  19.  ' 


Esploratori  mandati  in  qualità  di  J/gatu  VI.  i5.  ' ' ■ 


Esquilino , colte,  il.  5'f.  Servio  Tullio  lo  oniOoe  a Roma.’IV. 


là.  Tribù.  Esqnilio'r,  ì4-  Porta -Esquilioa.  IX.  68. 


Etrunia  ; E la  stessa  che  la  Tirrrnia  o Toscana,  è fertile  in 

vino.  I.  28.  E divisa  in  dodici  principati  ed  à potentissima 

per  terra  e per  mare.  VI.  95.  • 


Etrnachi  delicati  e sontuosi  nel  vivere.  IX.  16.  Mandano  soc- 

corso ai  Latini  contro  i Romani.  111.  3>.  Coma  ai  Sabini, 

65.  Sono  vinti  da  Tarqninio  Prisco,  ivi,  e da  Servio  Tal- 

lio. IV:  29.  Sono  battali-  da  quei  delta -Riccia  ed  accolti 

dai  Romani.  V.  36.  Ricusano  socoot^reàa  tanto  i Romani , 

quanto  I Latini,  42.  Destinano  socoòrrere  i Vejentì  contro 



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49» 


- i Romani.  IX.  i.  E'K' toecorretto,  C.  Abbandonano  gli  ao 

campamenti,  i3.  Stacenno  i Yeieotì  dall’ amiciaià   


’ mani.  IX.  i8.  Ocenpano  il  OiamenU,  2ó.  Foggono  di  notte 

a Vejo,  aG.  Etmachì  vebati  ad  abitare  nr  Roma.  I.  So.  Via 

Elrnica  o Tirrena  in  Roma.  'V.  36.  Ré  de^i  Etmsci  : loro 

diatiotivi.  III.  Gl.  ' 


Evandro.  L 92.  Viene  e prenda  sede  cOn  gli  Arcadi  dn  Pa- 

la tia.  I.  So.  II.'  I.  (Inori  che  porge  àd  Ercole.  L'3i.  Dina 

o Lavinia  figlia  di  Evandro,  a3.  ' ' 


Eariléone  Aacanio  figlio  di  Enea  , re  de’  Latini.  I.  5G.‘ 



F • ‘ ‘ 


Fabia  , gente  cccvi.  Fabj  marciano  per  difesa  di  Roma  contro 

di  Vcjo..  IX.  1 5.  Il  consoilato  fa  per  sette  anni-  contiabi 

nella  casa  dei  Fabj  fratelli  Cesene,  Marco,  e (Quinto,  22. 

Se  necièt  i trecento^sei  Fabj  sopravvanzasse  nella  gente  F^* 

bia'  nn  aòlo  fanoiollo,  ivi.  ' 


Fabio  (Cesène),  fratello  di  Q.  Fabio,  estendo  questore  accasa 

Cassio  di  tirannide.  Vili.  7^.  B fatto  console,  83.  Va  a 

■oocorrere  gli  alleati  di  Roma,  S(.  Diviene  oonsole  per  la 

seconda  volta.  IX.  1.  L’esercito  non -lo  ubbidisce  e lo  in- 

salta’ e mettevi  in  marcia  senza  il  comando  di  Ini,  3.  E Io 

priva  di  una  segnalata  vittoria , ivù  Diviene  console  per  la 

tersa  volta,  Soccorre  il  Collega,  ivi.  Va  qaal  proconsole 

ai  Fabj  che  presidiavano  Oreoieral,  16. 


Fabio  (M  ),  fratello  di  Cesene,  é console.  IX.  21.  È' mandato 

a soccorrere  gli  alleati.  Vili.  88.  Depone  il  consolato  e 

ricasa  il  trionfo,  iZ.  Va  con  gli  altri  Fabj.  contro  Ve- 

jp,  i5.  . • ' , 


Fabio  (Q-),  storico  Romano, anlichisshaó.  Proemio,  6.  ' 


Fabio  (Q.),  Pittor»  cosa  narri  dei  dne  gemelli  di  Ilia.  I.  70. 

Gota  del  tradimento 'di  Tarpea.  IL  38eseg.  Si  rigetta  Iacea* 





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teoz»'di  >rai  circa  i figli  di  Tarquiaio  Frjico.  lY.  6«  Seoti- 

menlo  di  Fabio  aa  di  Egerio,  G4>  Foca  ma  diligenza  nella 

cronologia^  3o.  , 


Fabio  (Q.)  r.ooDtole- Vili.  77-.  Marcia  contro  gli  Eqai  ed  i 

Volici,  83.  Q.  Fabio , figlio  di  Ccione , console  per  la  se- 

comU  Tolte,  QO.  È ncciso,  20. 


Fabio  (Quinto),  figlio  di  uno  dei  tre  Fabj  i qnali  preiiede-* 

rano  alla  guarnigione  di  Cremerà , diriene.^  console.  IX. 

5g.  Fa  pace.oon  gli  Eqni,  ivi.  Q.  Fabio  Vibnlano  & còn- 

sole per  la  .seconda  volta.  IX.  6i.^.Debella  gli  Eqni,  ivi. 

Q-  Fabio  Vibolano  console  per  la  tersa  volta  marcia  contro 

gli  E  delibera  sa  la  guerra  contro  i Romani.  V. 


‘ 5o,  Sa,  Ci.  ^ • 


Feciali,  Noma  istitnises  il  collegio  de’ Feciali  in  Roma.  II. 

•ji.  Sono  impiegati  nel  'cènoiliare  la*  plebe- col  Seiuto.  VI. 

89.  Loro  incombente.  II.  93.  ' . 


Ferelrio , Giove.  II.  34-  ' 


Fidene-,  è fabbricata  dagli  Albani.  II.  53.  Era  lontana  cinque 

miglia  da  Roma. 'III.  2ij.  X.  22.  Romolo  la , rende  colonia 

Romana.  III.  2*  prende  Tar- 

• qninio  Prisoo,  58.  Per  impulso  di  Sesto  Tsrquinio  si  ri- 

■ bella  dai  Romani,  V.  4^-  6 riacquistata,  45.  I Sabini  ac- 

campali a Fidene  sono  vinti.  IV.  5s. 


Fido  Giova  Saiico.  IV.  58.  Sp.  Postnmio  consagra  il  tempio 

di  Giove  Fidio.  IX.  Co. 


Figli.  I delitti  de’  figli  non  privano  il  padre  de’  propri  beni. 


Vili.  80.  Figli  come  soggetti  al  padre.  Vedi  padre. 


Flanmii , pecchi  cbs)  chiamati.  IL  C4. 


Ftanleio  (M.),  sna  bravura,  premio,  esortasioni.  IX.  io. 

Fortuna.  Ser.  Tallio  le  fabbrica  due  te(npj.  IV.  2’j.  Uno  di 

questi  tempi  s’ incendia , 4^2.  Giuochi 

funebri.  V.  jj.  Oraiioni  funebri  aolite  in  morte  de*  vaien* 

tuomini.  IX.  54*  Qual  popolo  le  intradnceaae.  V.  ijt  Ora- 

aio  padre  non, rende  i funebri  onori  al)a  figlia  percbi  non 

amica  ‘della  patria.  III.  ai.  , 


Fario  (Lnoio)  , console.  IX.  36.  ~ 


Furio,  triumviro  per  dividere  i terrenj.  IX.  5g.  -*  . 


Furio  (Sta.)  , oòniole.  Vili.  i6. 


Furio. (Spor.),  oopaole.  IX.  i.  Corre  e saccheggia  le  campa'- 

gne  degli  Equi,  a.  . - /4g.  ■ 


Geganio.  (L.),.  fratello  di  T.  Gegaoio  oonsole,  i spedito  a com- 

prare i grani  in  SiciK».  VII.  i.  Suo  ritorno,  lo. 


Gegaoio  (M.  Macerino),  console.  XI.  5i. 


Geganio  (T.  Macerino),  console.  VII.  i. 


Geli)  , i dne  fratelli,  nipoti  di  Bruto  congiurati.  V.  €.  '* 


Gellio  (Gn.),  senteosa  di  lui  oirca  Tanno  del'ratto  delle  Sa- 

bine. Il,  3l.  Altra  sul  collegio  de' Feoiali,  gl.  Scrisse 

che  Numa  lasciò  una  figlia,  Suo  parere  sul  venir  di 



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Tarqainio  a Roma.  IV.  C.  È oegligeatt'  nella  ■ oronologia. 


- VII.  I.  , ' 


Gelone,  iuocede  ad  IppocraU  nella  tirannide.  VII.  i . Manda 


■ framenlo  in  dono  li  Romaoi,  so.  ‘ 


Gennaio  (On.),  tribuno  della  plebe,  insiete  per  la  legge  agraria  e 

si  ritrova  morto.  IX.  Z’j,  38.  E ohiamato  Cajo  in  .Inogo 

di  Gneo.  X.  38.  4Tito  Gennaio  obiama  in  gindiaia  Tito  Me- 

nenio. Titn  Livio  chiama  Gennaio  sempre  Tito  e non  Cneo 

nè  Cajo.  IX.  27.  • ' . '   PorseOa  lo'  occnpa.  V.  22^  Lo 

ooonpano  gli  Etruschi.  IX-  2{.  Lo  abbandonano,  2C. 


Giapigia  , promontorio 'Saleolino.  I.  ^2. 


Giove,  spoglia  Saturno  del  comando.  IL  1 9.  Tarquiàio  Prisco 

comincia  a fabbricare  id  comune  un  tempio  a Giove,  Giu- 

none e Minerva.  III.  C9.  Giove  Feretrio.  II.  34.  Fidio , 

vedi  questa  parolk. , 


Giove'  Capitolino,  ammonisce  i Romani  a replicare  i giuochi  in 

suo  onore.  VII.  68.  Sagrifis)  a Giove  nel  monte  Albano. 

Vili.  87.  Romolo  alsa  un  tempio  a Giove  Statore.  IL  5o. 

Giove  Terminale.  II.  74. 



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497 


Ginlia,  famiglia  traiferiu  da  Alba  a Roma.  III.  29.  Giulio  il 

pili  grande  de’  figli  di  Ascanto  diede  origine  e uomo  alla 

gente  Giulia.  I.  61. 


Giulio  Proolo  , suoi  racconti  eu  Romolo.  II.  C5. 


Giulio  (Cajo)  Cesare  rende  alle  loro  cariche  i tribuni  espulsi 

da  Pompeo.  Vili.  ^8. 


Giulio  (C.)  Ginlo  console.  Vili.  i. 


Giulio  (C.)  console.  Vili.  90. 


Giulio  Decemviro.  X.  5C. 


Giulio  Vopisco  console.  IX. 


Giulio  (L.)  Bruto  perchè  detto  Bruto.  IV.  G7.  Sua  perora- 

zione contro  la  tirannide  ^ 70.  Bruto  e Collatioo  i primi 

sono  destinati  consoli , 7G.  Austerità  sua  nel  punire  i oon- 

giorati  a favorir  la  tirannide.  V.  8.  Fa  rimovere  Collatino 

dal  consolato  e prende  P. /Valerio  per  collega,  12.  È uc- 

ciso da  Arante  Tarqninio  in  battaglia  j i5.  E riportato  in 

Roma:  aoa  pompa  funebre,  17  e seg. 


Giunio  (Brolo  L.)  , nomo  plebeo.  Vedi  Bruto. 


Ginnj  (Tito  « Tib.)  figli  del  console  oongiurano  e sono  pa- 

niti. V.  8. 


Giunone , suo  tempio.  I.  ^1.  Sul  Campidoglio  insieme  con 

quello  di  Giove  e di  Minerva.  IV.  61.  Giunone  Luci~ 

fera,  i5. 



Icilio  (C.)  Ruga,  è creato  tribuno.  VI.  89. 


Icilio  (L.)  tribuno  della  plebe  per  la  seconda  volta.  X.  33. 

Riprova  in  parte  il  parere  di  Siccio , 4». 


Icilio  (L.)  destinato  sposo  dì  Verginia.  XI.  28.  La  soccorre,' 

ivi.  Perora  in  suo  favore,  3i  e seg. 


Icilio  (M.)  coetaneo  e compagno  di  Sp.  Verginio.  X.  49* 

mOJSIGI.  tomo  ut.  Si 



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498 


Icilio  (Sp.)  è spedito  dalle  plebe  al  Senato  insieme  con  Im 

Gionio  Brolo,  e M.  Decio.  VI.  88.  Sne  querele  contro 

del  Senato  per  la  carestia  e per  la  colonia  mandata  in 

luoghi  malsani.  VII.  i4  , 19.  Sp.  Icilio  Roga  edile  tenta 

di  arrestare  per  ordine  dei  tribuni  Goriolano  ed  ò ri- 

spinto dai  patria),  26.  Icilio  tribuno  aumenta  il  potere  della 

plebe.  X.  3i. 


Itia  figlia  di  Numitore.  I.  6'}.  È falla  Vestale,  ed  ingravidata, 

ivi.  Partorisce  doe  gemelli  , 69. 


Imatiooe,  Remo  Gglio  di  esso.  I.  63. 


Imperiale,  abito.  Vili.  Sq. 


Interri , quando  si  creava.  XI.  20.  Interri  creati , morendo 

un  console  e stando  malato  1*  altro.  IX.  i4*  O morendo 

tolti  dne  i consoli,  69.  Interri  creati  per  cagìon  de’comis). 

XI.  Ga.  OfGsio  degl*  interri.  II.  58.  IV.  4o>  So* 


Interregno  dopo  la  morte  di  Romolo.  II.  5'}.  Dopo  la  morte 

di  Tulio  Ostilio.  III.  3C.  Fatto  l’ interri  cessarono  tolti  gli 

altri  magistrati.  Vili.  90. 


Italo,  Oenotro  di  origine  regnò  nell’ Italia  e le  diede  il  nome. 

I.  26.  Sicolo  creduto  figlio  d’ Italo  diede  nome  alla  Sicilia, 

i3.  Ad  Italo  soccedette  Morgete , 64* 


Italia  ebbe  nome  da  Italo.  I.  26.  Fu  già  delta  VItalia.  2’).  E 

dai  Greci  Esperia  ed  Ansonia , ivi.  Come  Saturnia  dai  pae- 

sani, ivi.  Bontà  dell*  Italia,  2';,  28-  Limiti  dell’ Italia , a. 

Antichi  limiti  della  medesima,  64*  Città  Greche  nell’Italia. 

X.  54-  L’Italia  si  ribella  dai  Romani.  IL  17. 



Labìcani  , popolo  del  Lasio.  V.  4*.  Erano  colonia -degli  Al- 

bani. Goriolano  gli  espugna.  Vili.  19. 


Lacedemoni  , loro  colonia  passala  tra  i Sabini.  II.  49*  Uno 

Sparlano  il  primo  si  espose  nudo  affatto  a compiere  i giuo- 



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499 


chi  olimpici  : non  concedevano  agli  esteri  il  diritto  di  cit- 

tadinaosa se  non  rarissimamente,  ij.  S*  impadroniscono  di 

Atene.  XI.  i.  I Re  loro  erano  dne.  lY.  q'S.  Sottoposti  alle 

leggi.  V.  jii  II*  ìAi  Autorità  somma  nel  Senato,  ivi. 

Così  crebbero.  IV.  Perderono  il  comando  con  ignomi- 

nia. II.  7. 


Largio  Sp. , capitano,  protegge  l’esercito  che  si  ritira.  Y.  23, 

2Ì,  Procura  i viveri  a Roma,  sf,  È console,  3iL  Sp.  Lar- 

gio consolare  marcia  a soccorrere  Valerio  , Sp.  Largio 

fratello  di  'T.  Largio  Dittatore /resta  in  gnardia  di  Roma, 

7 5.  Sp.  Largio  Flavio  console  per  la  seconda  volta.  VII. 

68.  Sp.  Largio  mandato  ambasciadore  oon  altri  a Gorìo- 

laoo.  Vili.  23^  Spurio  Largio  stando  a difendere  Roma  ne 

protegge  le  vicine  campagne.  Sp.  Largio  interré  , go. 

Consiglia  la  guerra  contro  i Vejenti , Qi. 


Largio  (T.)  oons.  V.  ^ T.  Largio  Flavo  cons.,  5g.  Sua  mo- 

derasione,  60,  E dittatore  il  primo,  7^.  Sna  condotta, 

75.  Sentenza  di  lai  sol  pacificarsi  coi  Latini.  VI.  ^ Sai 

ristabilire  la  concordia  interna  ed  esterna,  e seg.  È la- 

sciato in  guardia  di  Roma,  4^.  Sno  diacorso  alla  plebe  ri- 

tiratasi, 81. 


Largio  (T.)  legato  di  Postumo  Cominio  espugna  Coriola.  VI. 


Larisse,  due,  nna  in  Italia. I.  l2.  L’altra  in  Tessaglia.  X.  iL 


Latino  figlio  di  Ercole  ma  creduto  figlio  di  Fauno , e per- 

chè. L 34.  Re  degli  Aborigini  : il  suo  regno  passa  ad 

Enea  , ivi. 


Latino  Silvio  Re.  L Ql, 


Latini , ebbero  questo  nome  sotto  Latino,  L 1 , 56  , 5_l,  Le 

città  Latine  ricusano  di  ubbidire  ai  Romani  dopo  la  caduta 

di  Alba.  III.  34,  Sono  vinte  da  Anco  Marzio,  E da 

Tarquinio  Prisco,  4S:  Si  collegano  con  esso,  54.  Decretano 

far  guerra  contro  i Romani  per  favorire  Tarquinio  Super- 

bo,  61.  Vinti  cercano  la  pace.  VI.  1 Volaci  cercano 



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5oò 


•nmiDOVftre  i Latini  , e questi  ne  portano  gli  ambasciailori 

legati  a Roma,  e ne  tono  premiati.  VI.  zi.  Sono  infettati  dai 

Volaci.  Vili.  L2.  E da  Curiolano,  ^ Catsio  vuol  che  par- 

lecipiuo  alla  divisione  delle  campagne  come  i Romani,  6r). 

Cercano  toocorto  dai  Romani  contro  gli  Eqni./4X.  L.  Man- 

dano il  doppio  de*  snttidj  dovuti  ai  Romani,  ^ Sbaragliano 

gli  Equi  ed  i Voitci,  Sì.  Chiedono  di  nuovo  ajoto  dai  Ro- 

mani contro  gli  Equi,  Co . 67.  Città  Latine.  VI.  63  , 7^. 

Vedi  Ferentino.  Ferie  latine  istitnite  da  Tarqninio  superbo 

sni  monte  Albano.  IV.  ^ Se  ne  aggiunge  una  seconda  per 

la  espulsione  del  tiranno  stesso  il  qnale  le  aveva  istituite  , 

ed  una  tersa  pel  ritorno  del  popolo.  VI.  q5. 


Lazio  , era  luogo  della  regione  degli  Opici.  L 63. 


Lavina  o Lavinia  figlia  di  Anio  o di  Latino.  L Lavina  figlia 

di  Evandro  , 


Lavioio  metropoli  del  Lazio,  e di  Roma.  Vili.  3o.  E fon-' 

data  dai  Trojani.  I.  36.  Vili.  2 1 . Coriolano  l' assedia  , ivi. 

Quei  di  Lavioio  cercano  soddisfasione  dai  Romani  per  l’ol- 

traggio  fatto  ai  legati.  IL  .*)  2. 


Lanrento  città  d' Italia.  L 44 . 46.  Era  degli  Aborigeni, 

Situazione  di  essa,  36. 


Legge , si  esaminava  prima  dal  Senato  , e poi  si  proponeva' 

al  popolo.  IX  .45.  Tempo  richiesto  per  I’  esame,  4j_ì  Di- 

ritto di  formare  le  leggi  presso  del  popolo.  II.  i_4.  1 pa- 

trizi tenevano  per  leggi  quelle  sole  emanate  dai  comiz|  cen- 

toriati.  XI.  Ma  poi  riconoscono  anche  le  altre  dei  Co- 

mizj  per  tribù  , ivi.  Leggi  di  Romolo.  IL  z3.  Leggi  di  Servio 

Tullio.  IV.  i_3.  Il  tiranno  Tarqninio  toglie  tutte  le  leggi  di 

Tullio,  43.  Legge  di  Romolo  sol  matrimonio.  IL  £3.  Legge 

del  medesimo  circa  la  potestà  patria,  ìQ.  Compilazione  delle 

leggi.  Vedi  7)ece/nviro/o.’ Queste  leggi  sono  proposte  all’esame 

del  popolo.  X.  5^  Ne  risultano  le  leggi  delle  dodici  tavole. 

Co.  Le  quali  furono  stimatissime.  XI.  44- 



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5oi 


L4‘ttorìo  G.  tribano  della  plebe  rttponde  al  console  Appio  Gl.  a 

nome  della  plebe.  IX.  4^  Suo  tumulto  |>er  arrestare  Appio,  4^ 

Licinio  storico  : sue  narrazioni  su  la  strage  di  Tazio.  II.  5a  « 

54.  Su  Tarqninio  Prisco.  IV.  ù±  Su  la  ovazione.  V. 


Su  Tarqninio  superbo.  VI.  1 1.  Sua  negligenza  nell'  esame 

de'  tempi.  -VII.  u 

Licaoni , dne.  L 1. 


Licinj  C.  e Pab.  creati  triboni.  VI.  8^ 


Lioorgo , dà  leggi  severe  agli  Spartani.  II.  42:  Divulga  di 

averle  apprese  da  Apollo  Delfico,  f)  i . 


Lidi  o Lydi , inventori  di  nn  dato  giuoco.  II.  'jL. 


Littori , precedevano  il  re  con  fasci  di  verghe  e con  scure. 

III.  ILl,  Difendono  il  console  ooniro  il  tribuno.  IX. 

Rimovono  per  comando  dei  consoli  la  torba  che  tumnltoa. 

VII.  IL  Ogni  Decemviro  fa  precedersi  da  dodici  littori.  X. 

5q.  I tribuni  risolvono  di  far  gittare  dalla  rupe  tarpea  oa 

littore  perchè  aveva  ubbidito  al  consoli.  X.  3i, 


Liguri , loro  emigrazione  dall'  Italia  nella  Sicilia.  L lL  I Li- 

cori contrastano  il  passo  ad  Ercole  nelle  Alpi  , 


Liri , fiume.  L L, 


Lista,  metropoli  degli  Aborigeni.  L S, 


Liti,  e cause  discusse  ne’ tempi  de' mercati.  VII.  fiS. 


Locri  , f n tempo  Lelegi.  L Q. 


Longola  città  de' Volaci  è presa  da  Postumo  Cominio.  VI.  qi. 

• È presa  da  Goriolano.  Vili.  56. 


Lucani,  infestati  dai  Sanniti.  Tomo  III.  Lfgationi.  Sono  vinti 

 5-  Perchd  chiamati  Aborigeni , 5. 

Vengono  dall’Arcadia  con  Oenotro.  II.  i. 


Oenotro , ana  nascita  e venata  in  Italia.  I.  3. 


Opici , popolo  : loro  porto.  I.  44*  La  regione  loro  abbracciava 

anche  il  Lazio,  C3.  Gli  Opici  cacciano  i Sicoli,  i3. 


Opimia,  Vergine  Vestale;  è condannata  per  lo  stupro.  Vili.  8q. 


Oppio  (M.)  capo  dell’  esercito  che  si  ritira  dai  Decemviri. 


21.  44. 


Oppio  (Sp.)  Decemviro.  2.  58.  Resta  con  Appio  Glandio  a 

proteggere  la  cittii.  21.  a3.  Convoca  il  Senato,  44*  R con- 

dannato a pieni  voti  dal  popolo  e more  lo  stesso  giorno  in 

carcere,  4C. 


Orbilia  Vestale  è punita  per  lo  stupro.  12.  4c. 


Ostia  città,  da  ohi  formata.  III.  44. 


Ovazione,  perchè  cosi  chiamata.  V.  47  Doao  maodato 

dai  Remaci  al  medesimo  « 35. 


Porta  Capeoa.  TIII.  4-  Carmentale.  I.  23.  Mogooia.  IL  5o. 


Sacra.  X.  i4-  Trigemina.  I.  a3.  3o. 


Porzio  (M.)  Catone,  eoo  racconto  su  dne  gemelii  d'Ilùu  I.  ^o. 

Sa  l’anno  della  fondazione  di  Roma,  65.  Su  le  tribù  sta> 

bilite  da  Tallio.  IV.  i. 


Fostamio  (4.)  consolo,  è nominato  dittatore.  VI.  2.  Marcia 

contro  de’  Latini , 3.  Parla  all’  esercito  per  animarlo , 6. 

Trionfa  dei  Latini,  17.  Lascia  la  dittatura  e rende  i suoi 

magistrati  alla  Patria , 23.  A Postnmio  Albo  combatte  bra- 

vamente contro  gli  Aoranci , 33.  ' 


Fostamio  (A.)  Albo  console,  collega  di  Furio  lo  soccorre. 

IX.  65. 


Fostamio  (P.)  Taberto  console  con  M.  Valerio  , marcia  a eoo 

correrlo.  V.  3q.  P.  Postnmio  Taberto.  console  per  la  se- 

conda volta,  è battuto  per  la  troppa  audacia,  .(4*  Ripara 

r infamia , vince  bravamente  i Sabini , gli  si  accorda  1’  o- 

vazione , 47>  Postnmio  Taberto  è legato  alla  plebe  pro- 

fuga » 9- 


Postnmio  (Sp.)  Albino  console.  IX.  60.  Dedica  il  tempio  di 

Giove  Fidio , ivi.  Spur.  Postnmio  va  legato  in  Grecia  a 

raccoglier  le  leggi.  X.  52.  E creato  Decemviro,  56. 

Postamj , impediscono  la  legge  Agraria , ed  il  popolo  li  con- 

danna ad  una  emenda.  X.  4a> 


Postnmio , legato  vilipeso  dai  Tarentini.  Tomo  III.  Lega- 

zioni. 


Preda,  parta  data  ai  soldati  , parte  all’  erario.  X.  21.  Preda 

venduta  dai  questori  con  metterne  il  denaro  nell’  erario. 

VIII.  82.  Colle  decime  della  preda  se  ne  fan  sagrifizj,  VI. 

17.  Primizie  della  preda  date  ai  valentuomini,  q4. 

Prenestini , popoli  del  Lazio.  V.  4i*  Prenestina  via.  IV.  53. 

Proca  Silvio , Re  di  Alba.  I.  62. 



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5i2 


Prole.  È deliUo  di  ucciderla.  I.  8.  Quando  polesse  eaporei 

secondo  la  legge  di  Romolo,  II.  i5. 


Fi'oserpina,  «e  ne  dedica  il  tempio.  VI. 


Punica,  prima  gnerra  per  la  Siotlia.  II.  6C.  Suo  comincia- 

mento , quando.  Proemio,  8.  ' 



Quadrighe,  combattimenti  con  ewe.  VII.  'jz,  '^3. 


Questori,  Vendono  la  preda.  VII.  05  e ne  portano  il  danaro 

nell’  erario.  Vili.  82.  Vendono  i beni  dei  profughi , e ne 

recano  il  prezao  nell'  erario.  XI.  06.  Sono  comandati  di 

fare  a spese  pubbliche  i funerali  di  Menenio.  VI.  q6.  Ac- 

cusano Cassio  come  reo  di  tirannide  al  popolo.  Vili.  ^7. 


Querqnelnla , popolo  del  Lazio.  V.  Oi. 


Questura  , la  esercita  un  nomo  consolare.  X.  23. 


Qaintilj  trasferiti  da  Alba  in  Roma.  III.  2^. 


Quintino  Sesto  console , muore  per  la  peste.  X.  55. 


Quinzia , via.  I.  6. 


Quinzio  C.  o Curzio  console.  XI.  5z. 


Quinzio  Cesene  figlio  di  L.  Quinzio  Cincinnato,  si  oppone  ai 

plebei  : è accusato  al  popolo.  X.  5.  Va  in  esilio  , 8. 


Qnhizio  (L.)  Cincinnato,  padre  di  Cesene,  fa  la  causa  del  figlio 

presso  del  popolo.  X.  5.  Venduti  i suoi  beni  paga  per  la 

sicurtà  del  suo  figlio , e si  ritira  io  un  suo  poderelto  di 

là  dal  Tevere.  X.  g.  Donde  è chiamato  al  consolato,  l’j. 

Sna  condotta , e seg.  £ chiamato  dal  suo  poderetto  alla 

dittatura  , 24.  Soddisfa  al  bisogno , e torna  privato  al  suo 

rampo  , 25.  Suo  parere  sul  frenare  i tribuni,  1'}.  E sol 

duplicarne  il  numero  , 3o. 


Quinzio  Tic  Capitolino  console , discorda  da  Appio  suo  col- 

lega. IX.  4i-  Ammansa  il  popolo,  ivi.  Divide  la  rissa  dei 

tribuni  e del  sno  collega , 48>  È console  per  la  seconda 



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5i3 


volta.  IX.  ^ Vince  gli  Equi  e i Volaci , ivi  Ne  trionfa, 


È console  per  la  terza  volta , Qjj  Proconsole  porta  ajoto 

■ Ser.  Furio,  Questore  porta  ajuto  a Miuuoio  circon- 

dato dai  nemici.  X.  22,  Parere  di  lui  su  le  richieste  dei 

Decemviri.  XI.  i2>  E console  per  la  quinta  volta,  02, 

Quirino,  vedi  Romolo  e Marte. 


Quirinale.  II.  58.  K congiunto  a Roma  da  Romolo,  e Tazio, 

2q,  Noma  lo  ricinge  di  mora , , 


Quiriti , nome  di  tatti  i cittadini  di  Roma  derivato , da  Curi 

patria  di  Tazio.  II.  ^6.  . . 



Rabolejo  (C.).  tribuno,  come  divise,  come  dii'  fine  alle  oou* 

tese  dei  consoli.  Vili.  5^ 


Rabnlejo  (M.)  Decemviro.  X.  28,  Marcia  contro  i Sabini. 


XI.  a5.  ■ ' ‘ ' • 


Rasena  duce  Tirreno.  L 21,  . . _ 


Ratto  delle  Sabine.  II.  2tL  In  grazia  di  esse  lasciasi  ai  loro 

cittadini  vinti  la  patria,  la  libertà  , li  beni,  55. 


Reatino  agro,  fu  tenuto-  dagli  Aborigeni.  II.  I Reatini  ac- 

colgono i Listani  profughi.  L 6* 


Regillo  , città  Sabina , patria  della  gente  Claudia.  V.  4°^ 

Claudio  a tempo  dei  Decetnviri  protesta  ritirarvisi  di  nuovo. 


XI.  i2, 


Regillo , lago  nel  Lazio.  V.  ' v 


Regno , Numa  lo  ricusa.  II.  Ila.  Suo  diritto  TÌmaneva  nei  col- 

latori.  IV.  ^ Si  regnò  lungo  tempo  sotto  certe  condizioni.  . 

V.  2^  Perchè  gli  antichi  talvolta  togliessero  il  governo  re- 

gio ; ivi.  Quanto  durasse  in  Roma.  IV.  82, 


Re  delle  cose  sagre,  vedi  Manto  Papirio. 


Rea  , figlia  di  Numitore.  L 

Rea  , ossia  Opi , suo  tempio.  II. 


vio.vicr,  toma  III.  ^ ' il 



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5i4 


Religione,  quanto  ne  fouero  ouer?aatt  gli  antichi.  Vili.  o-). 


Rem  uria.  1.  ^6. 


Ren>o>  nome  dato  da  Fanalaio.  I.  ^o.  È fatto  prigioniero,  ’ji. 

£ aoiolto . ^a.  Sua  morte  e tomba,  78. 


Roma,  Donna  Trojana,  vi  è chi  scrive  che  desse  il  nome  alla 

città  regia  di  Romolo.  I.  65. 


Roma , se  ne  additano  tre.  Proemio , 7.  FondaaioDe  fattane 

da  Romolo.  II.  2.  Il  suo  popolo  derivaTa  dai  Greci  non 

dai  Barbari.  VII.  72.  Romolo  e'  Tasio  l' ampliSoano.  II.  So. 

Servio  Tullin  vi  aggiunge  i|  Viminale.,  e 1’  Esqnilino.  IV. 

i3.  Dividendola  in  quattro  p.irii,  e tribù  ; tanto  che  i colli 

di  Roma  divennero  sette,  i{.  Brolo  la  rende  libera.  Vedi 

Giunlo  Bruto.  Re’  suoi  pericoli  più  grandi  conservò  sempre 

^ la  sua  dignità.  Vili.  36.  Non  usava  cedere  punto  ai  nemici. 

VI.  71.  In  tempo  di  pace  era  sedisiosa  , i laddove  era  una- 

Btmc  in  tempo  di  gnerra.  X..  33.  Fa  rifugio  a quanti  vi 

cercavano  sede  sicara.  V.  56.  Moltitadine  della  colonia  che 

vi  andò  con  Romolo.  II.  2.  Quando  presa  dai  Galli.  I.  65. 

Fn  dominata  prima  dai  Re  {'quanto  ciasenno  vi  dominasse, 

66.  Quindi  ebbe  per  capi  i consoli,  poi  K Decemviri,  e di 

nnnvo  i consoli,  i triboni  militari,  e di  nuovo  i consoli. 

Vedi  queste  parole. 


Romilip  (T.^  console.'  X.  33.  Gommissioni  (die  egli  diede  a 

Siccio,  Siocio  lo  accusa  al  popolo,  ^ condannato, 

ivi.  Sèntensa  di  lui  su  la  compilazione  delle  leggi.  So.  E 

creato  Decemviro  , 56. 


Ronsolo  figlio  di  Enea.  I.  Nascita  di  Romolo  e 


Remo,  6q,'7«.  Era  decimoseuimo  nella  disceadeosa  da 

Enea  , 36.  Non  ennenrda  col  fratello  sol  laogo  di  fabbri- 

care Roma , 76.  Uccide  Remo  e se  oc  pente , 78.  Fonda- 

aione  di  Roma.  II.  a.  È creato  re,  dal  16  al  56,  delio 

stesso  libro  si  esprime  la  condotta ‘di  Romolo  nel  regno; 

muore,  56.  Noma  gli  inalza  un  tempio  e la  venerarlo  con 

annui  tagriCzj , 63. 



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5i5 



Ro*tri  nel  Foro  Romano.  L 20: 


Rutuli,  fanno  guerra  a Latino.  L 4^  Si  ribellano  di  nuovo 

(la  Latino  , Enea  niuor*  combattendo  con  eui , iei.  Pro* 

mettono  di  mandare  ajulo  ai  Latini.  V.  4^ 



Sabini  j cosi  denominati  da  Sabino  o Sabo.  II.  4^  Vi  è chi 

li  crede  Spartani  di  orìgine  in  gran  parte.  IL  Un  tempo 

erano  molli  come  gli  Etruschi  , 58.  Prendono  Lista',  me- 

tropoli degli  Aborigeni,  Sotto  il  comando  di  Tazio  por- 

tano guerra  ai  Romani , 5iL  Condizioni  con  le  quali  con- 

cludono la  pace  con  Romolo  , 4^  Tallo  Ostilio  li  debella. 

111.  Ili  Rompono  1'  alleanza  e li  debella  di  nuovo , 

Come  pure  li  vinco  Anco  Marzio , 4»  . 4--  Promettono 

ajute  ai  Latini  contro  t Romani  « ìlL,  Li  vince  anche  Tar> 

quinìo  Prisco,  55  , G^.  E Tarquinio  so|)erbo.  IV.  5o.  fi 

li  consoli.  V.  Esultano  per  una  leggera  vittoria  e 


sono  disfatti  novamente  , i_5.  Ottengono  la  pace  , 

saliscono  i Romani  mentiv;  erano  in  festa.  Yi«  3_L.  Movono 

guerra  di  nuovo  ai  Romani , 34.  Promettono  soccorrere  i 

Volaci , e sono  vinti , 4A:  Soccorrono  i Vejenti  conlro  i Ro- 

maoi.  IX.  ^ Sono  vinti , ìjL  Fra  la  sedizione  di  Roma 

ne  devastano  la  campagna  , 5^  Tutti  due  i consoli  deva- 

stano la  loro  campagna  , 56.  Servilio  consdle  li  desola  ao- 

vamente,  5‘j.  Scorrono  sino  a Fidene.  X.  2^  Manomettono 

di  nnovo  I’  agro  romano.  X.  zfL  Di  nuovo  fanno  s>:orreria 

ne*  coo6oi.  XI.  5 . Combattono  co'  Romaui  pel  comando. 

VI. 


Sacro  Monte.  VI.  45^  Lai  plebe  vi  alza  nn  altare  e vi  sagri- 

Aca , 90.  Via  sagra.  IL  4C . 5o.  V.'35.  Classi  otto  di  mi- 

nistri sagri  istituite  da  Jfuma  , ii.  Cause  spettanti  a cose 

sagre  deciJevansi  dai  Poatefici,  ’)5.  Legge  sagra:  cioè  quella 

su  la  inviolabilità  dei  tribuni.  VI.  ^ Cittadini  lordi  di 



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5i6 


sangue  sparso  si  espiano  prima  di  accostarti  alle  sagre  cose. 

V.  ^ 


Sacrifisj , dopo  la  viUoria  per  render  grazie  ai  nnmi.  X. 


Vili.  6^  Sagrifìzi  per  il  termine  della  peste  , ivi. 


Salj , istituiti  da  Nama.  II.  2^  Tallo  Ostilio  ne  raddoppia  il 

numero.  III.  2l2.  Salj  Palatini , e Collini , 2^  Ancili  o 

scudi  de’  Salj , 2i_! 


Saline  antiche  all’  iniboccatora  del  Tevere.  II.  5^ 


Samotracia  i«o|a  , perchil  così  chiamata.  L iz.  Enea  porta   


Sanniti , sconsigliano  i Napoletani  dall’  amicisia  de’  Rolnani  , 

loro,  guerra  (>oi  Lucani  eo.  Tomo  III.  Legazioni. 


Satirico  , giochi  e salti.  VII.  2^ 


Satrieo , popolo  del  Lazio  , Corìolano  lo  riduce  colla  forza* 

Vili.  . . 



Saturnia , colonia  degli  Aborigeni.  L SiL  L’ Italia  fu  detta 

Saturnia , e perchè  , sJL  Saturnio  colle  fu  detto  il  CaunpU 

doglio , ivi. 


Saturno  regna  io  Italia.  Ì.  22*  SagriEsj  fatti  a Saturno  « zq. 

Ercole  alza  un  altare  a Satùrno , VI.  1,  Tempio  dì  Sa- 

tnmo  snl  colle  Capitolino,  ivi. 


Saturnali.  IV.  i^.-  - 


Scattini  popolo  del  Lazio.  V.  S_L.  ■ 


Scellerata , via.  IV.  59. 


Scola  letteraria  nel  Foro.  XI.  a8. 


Scriba  ucciso  in  luogo  di  Porsena..  V.  z8> 


Scuri  , vedi  Fasci. 


Sedia  Curale.  V.  4^  Coriolano  fa  mettere  a basso  la  sedia 

eoa  al  venir  della  madre.  Vili.  4^  '' 


Sempronio  (Q.)  Alratino  console.  VI.  l.  Postumio  dittatore 

lo  lascia  a presedere  à Roma , !•  Console  per  la  seconda 

volta.  VII.  20.  Sentenza  sua  su  le  cose  agrarie.  Vili. 

Sempronio  (A.)  Atratino  interré.  Vili.  E tribuno  militare 

in  luogo  di  console.  XI.  Ci.  ■ ■ 



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* 5i7 


Sempronio  (L.)  Atratino  coniole.  XI.  fìa.' 


Semprooj , impediscono  la  legge  agraria , e ne  sono  paniti. 

X.  ^ e seg. 


Senato,  donde  cos)  detto.  II.  1_Z,  OfBsj  del  Senato,  Pri- 

vilegi. Romolo  stabilisce  nn  Senato  di  cento.  II. 


1-1_.  Vi  si  aggiangnno  altri  cento  dopo  cbe  i Sabini  farono 

messi  a parte  delle  cose  di  Roma  , ^ Tarqninio  Prisco 

ne  aggiunge  altri  cento , rendendo  il  Senato  di  trecento. 

III.  ^ -Strazio  del  Senato  sotto  il  tiranno  Tarquinia.  IV. 

4-2,  Dopo  espulsi  i re  si  ascrivono  dei  plebei  nel  Senato 

per  supplire  i trecento.  V.  il.  Siila  pone  in  Senato  ogni 

feccia  di  nomini , 2Jz  Senato  era  il  freno  dell*  antorilà 

consolare.  VII.  55.  II  console  aduna  il  Senato  di  notte.  IX. 

65.  XI.  2jk  I Senatori  sono  convocati  ad  uno  ad  ano  in 

affari  ardui.  Vili.  5,  I tribuni  tentano  convocare  il  Senato 

sebbene  tal  diritto  fosse  dei  consoli.  X.  3.1  e seg.  I con- 

soli adunano  in  casa  loro  un  corpo  di  senatori  pi&  scel- 

ti , 4^  ^ Quali  fossero  f primi  a dire  il  loro  pa- 


rere in  Senato.  VI.  84^  I censori  esaminano  la  vita  dei 

Senatori.  IV.  2^, 


Seaatusconsnlto  avea  forza  per  un  anno.  ^X.  Ricercavasi 

il  Senatusconsnlto  su  cose  intorno  le  quali  non  vi  era  leg- 

ge. VII.  I'  tribuni  presentano  alla  pdebe  il  sefatusoon- 

snlto  scritto  dai  consoli.  XI.  Gj,  La  plebe  approva  il  sena- 

tnscoosulto.  X.  5^  , 


» ■ ' 


Sette  acque , luogo.  LG,  • ' 


Sette,  pagi.  1 Vejenti  li  consegnano  ai  Romani.  II.  55.  I Ko  • 

mani  li  rendono  a Porsena.  V.  5G, 


Sequinio  Albano.  III.  i5. 


Serg  io  (M.)  Decemviro.  XI.  25, 


Servii)  trasferiti  da  Alba  a Roma.  III.  2^ 


Servilio  (C.)  console,  poco  felice  contro  i Volaci.  IX.  iG, 

Servilio  (P.)  Prisco  console  discorda  da  Claudio  ano  collega 

VI.  25,  Placa  i poveri,  3G,  Eccita  i plebei  alla  gnerra,  28. 



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UiS 


Vince  i Voitcì.  VI.  19.  Si  arro(>a  I*  ovasione  eenza  beneplacito 

del  Senato  a vinca  gli  Aaruaci  ,02.  / 


Servilio  (P.)  Prisco  console , prossimo  a noprte  convoca  il 

Senato.  IX.  6'j.  Muore  di  peste,  68.  ' 


Servilio  (Sp.)  console.  IX.  25.  Più  andace  che  felice  contro 

gli  Etruschi,  26.  È citalo  al  gìodiaio  del  popolo  appunto 

per  questo,  28.  E assolalo,  33.  È legato  di  Valerio  nella 

guerra  co’  Vejenti  e si  distiogoe,  35. 


Servilio  (Q.)  è fatto  maestro  dei  cavalieri  dal  dittatore  Vale- 

rio. VI.  4o. 


Servilio  (Q.)  Prisco,  console.  IX.  5^.  Devasta  la  regione  Sa- 

bina, ivi.  Q.  ^ervilio  console  per  la  aecouda  volta.  Co. 

soccorre  i Latini , ivi. 


Servi  reodoti  liberi  nelle  grandi  urgenze  di  guerra.  VII.  55. 

Servo  quando  torna  di  suo  diritto.  II.  2^.  Cospiraaione  dei 

servi  contro  la  fepubblica.  V.  5i. 


Sestio  (P.)  , console.  X.  5(.  Diviene  Decemviro,  56. 


Setini  popolo  del  Lazio.  V.  61.  Coriolano  ne  prende  la  loro 

città  Seizet 


Sibille  Oracoli.  I.  .{o.  Oracoli  della  Sibilla  Eritrea , 46*  Libri 

Sibillini  esibiti  a Tarquinio  superbo.  IV.  62.  A chi  dati  in 

custodia , e quando  consultati  , ivi.  Si  consultano  in  una 

grande  carestia.  VI.  17.  Como  in  caso  di  segni  portentosi. 

X.  2.  I libri  Sibillini  si  bruciavo,  e ai  procurane  altre  col- 

lezioni di  oracoli  e dà  quali  luoghi.  IV.  62.  Privilegi  dei 

custodi  dei  libri  Sibillìai , ivi. 


Sicania  fu  detta  un  tempo  la  Trinacria  o Sicilia  dai  Sicani , 

popolo  delle  Spagne.  I.  i3. 


Siccio  (L.)  Dentato  : sue  parole  al  popolo  per  la  legge  agra- 

ria. X.  5u.  Propone  consigli  più  miti  di  altri  , 4-*  Siegue 

i consoli  in  guerra  , ma  si  scusa  dall*  adempirne  certi  co- 

niaudt  , 4S-  Come  si  vendicasse  dei  consoli,  46  e seg.  PI 

fatto  tribuno  , 47*  Accusa  Romilie  console  al  popolo,  48. 

Si  riconcilia  con  Romilio , $2.  E ncciao  per  la  perfidia  dei 



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5i9 


Decemviri.  XI.  36.  L*  eeercito  gli  fa  iplendidi  fanarali,  2']. 

Da  alcaiii  è chiamalo  L.  Sicioio  Dentato, 


Siccio  (T.)  console  vince  i Yolsci.  Vili.  67.  Ife  triooEa,  ivL 

T.  Siccio  legato  saggcrisce  a Fabin  come  riprendere  gK  ac- 

campamenti , 68.  Ottiene  i premj  delia  eoa  prodeiaa , ivi. 


Sicilia  fu  detta  dai  Siedi , popolo  italiano , quella  che  un 

tempo  ai  chiamava  Sicania  o Trinacria.  I.  i5.  Roma  ipe- 

disCR  in  Sicilia  a provvedere  i grani.  VII.  1.  La  Sicilia  ai 

ribella  ai  RomanL  IL  17. 


Sicinio  (C.)  Bellbto  nomo  sedizioso  prooora  di  sollevare  ì 

soldati  plebei.  VI.  VII,  33.  Son  risposte  ai  legati  dai 

consoli.  VI.  45.  Aduna  la  plebe  nel  i.ionte  sagro  e permette 

che  i legati  del  Senato  vi  parlino , e fa  che  i plebei  rispon- 

dano. VI.  71  , 72.  E creato  tribuno  dai  plebei,  8q.  E tri- 

bnno  per  la  seconda  volta.  VII.  33.  Sue  invettive  contro 

Goriolano  , 3{.  Cita  Goriolano  al  popolo,  38.  Fa  che  il 

popolo  ne  sentenzi  ,61. 


Sicoli , qnal  gente  fossero  d’ Italia  , e dove  abitassero.  II.  i . 

Italiani  nominati  Sieoli  da  Sioolo  re.  I.  4-  Un  tempo  abi- 

tarono Roma,  I.  Ne  sono  cacciati  dagli  Aborigeni  e dai 

Pelaighi , ivi.  Passano  dall’Italia  nella  Sicania , i3.  Legati 

Sicoli  assaliti  dagli  Anziati.  VII.  37.  Vestigi  de’  Sieoli  in 

Italia.  II.  I. 


Sicolo  figlio  d’italo  porta  nna  oolooia*di  làgqri  nell’Italia.  I. 

i3.  Sicolo  re  di  Ausonia,  ivi.  Siedo  prologo  da  Roma 

viene  a Morgete  , 64. 


Signia , colonia  di  Tarquinio.  IV.  63.  Sesto  Tarqninio  tenta 

invano  di  prenderla.  V.  58. 


Silvio  figlio  postumo  di  Enea  cosi  denominato  dalle  selve.  I. 

Gl.  Ebbe  il  regno  de' Latini  dopo  la  morte  di  Ascanio,  ivi. 

Da  lui  furono  Silvj  denominati  tutti  i re  di  A^ba , ivi. 


Soci  del  popolo  Romano  dovevano  mandargli  de’  sossidj  nella 

guerra.  X.  2i.  Leggi  date  ai  Latini  circa  i sussid;.  VITI. 

i3.  E Su  racquieto  de’ nnovi  campi,  74. 



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520 


Sole , ano  (empio.  II.  5o.  Fonte  dèi  aole.  I.  46. 


Sparla , Spartani.  Vedi  Lacedemoni. 


Spineto  j bocca  del  Po.  I.  io. 


Spoglie.  Vedi  Prede. 


Sterile,  moglie  ripudiata.  IL  25. 


Sobarrana^  tribb.  IV.  i4.  ' • 


Sneasa  Fomexia^  cittì  rignarderole  dei  Volaci.  VI.  2^  Tarqni- 

nio  àoperbo  la  espagna.  FV.  5o.  Servilio  la  prende.  VI.  2g. 

Abbondansa  della  ana  preda  , I Soeaaani  profoghi  ec- 

citano i Cab)  a far  guerra  a Tarqniuio.  IV.  53.  ' - 


Suffragi.  Vedi  Ceiftiz/. 


Solpizio  (Q.)  Camerino  oonaole.  VII.  68. 


Sitlpiiio  (Q.)  Uno  dei  legati  apediti  a Coriolano.  Vili.  32. 


Sulpiiio  (Ser.)  Camerino  coniole.  V.  52.  Sua  prndeoxa  nello 

acoprir  la  congiura , 53.''  Dopo  la  morte  del  collega  egli 

prosiegue  aolo  a reggere  il  consolato,  5^. 


Sulpizio  (Ser.)  Camerino  console.  X.  i.  Ser.  Solpixio  mau- 

dato  per  le  leggi  in  Grecia  j Sz.  È creato  Decemriroj  56. 


Sona  Soana,  paeae  degli  Aborigeni.  I.  6. 


* J 



Tanaqnilla  moglie  di  Tarqnìnio  Prisco  perita  degli  augurj  e 

d*  interpretare  i segni  portentosi.  III.  4’}-  IV.  2.  Sua  pru- 

densa.  IV.  4-  Sno  - favore  per- Servio  Tullio,  ivi.  Se  Tana- 

qoilla  seppellisse  Arnnte  figlio  di  Tarquiaio.  IV.  3o. 


Tareolini , sconsigliano  i Napoletani  dall*  amiciaia  de’  Romani. 

Tomo  III.  Legaùom.  , 


Tarpeja  , suo  tradimento,  morte  e sepoltura.  II.  38  e vg. 


Tarpeo  , colle',  poi  detto  Capitolino  e perchè.  III.  6g.  Tarpea, 

rupe-,  aoprastava  al  Foro,  e vi  ai  precipitavano  i rei.  Vili. 

98.  IX.  4a. 


Tarpejo  (Spnr.)  console.  X.  48. 


Tarquinj  , cittì  ricca  di  Etmria.  III.  46. 


Tarqninieai  cospirano  co'  Vejenli  contro  i Romani.  IV.  zj. 



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Ss  I 


Intercedono  per  Tarqoinio  supèrbo.  Y.  ^ procurano 


colle  armi  il  ritorno  in  Roma  , 


Tarqnioio  Arante,  è messo  dittatore  in  Collazia  donde  prende 

il  nome  di  Gollatino  , esso  e snoi  discendenti.  III.  So. 

Tarqninio  Arante  , fratello  minore  di  Tarqniiiio  superbo  prende 

per  moglie  Tnllia.  IV 

E fatto  re  , 4^  Da  questo  § fino  al  termine  del  lib.  Ili  si 

narrano  le  imprese  di  Tarqninio  re , e la  morte  in  fine. 

Tarquinio  (L.)  superbo,  prende  in  moglie  la* figlia  maggiore 

di  Servio  Tullio.  IV.  Le  òk  la  morte,  e prende  la 

minore , Come , e quando  s*  impadronisse  del  regno  e 

perchè  fu  chiamato  snperbo,  4Ai  Da'  questo  § fino  al  ter- 

mine del  lib.  IV  si  espongono  le  'sue  azioni  fino,  alla  per- 

dita del  regno.  Esule  tenta  più  volte  di  ricuperare  il  trono. 


V.  ^ Porsene  si  distacca  da  lui , Tarquinio  incita*  gli 

Etruschi  contra  i Romani  , 5i  , 6i.  Procura  sedizioni 

in  Roma,  S3,  Quanto  tempo  regnò.  L OS,  Muore  in  Coma. 


VI.  ai, 


Tarqnioio  (L.)  Collatino  torna  dal  campo  in  casa.  IV.  Gj.  La 

ritrova  piena  di  lotto , ivi.  E destinato  e fatto  console  insie- 

me con  Bruto  , , 8i.  Rinunzia  il  consolato  e-  si  ritira  a 


Lavinia.  V.  LI,  Ove  muore.  Vili.  4^ 


Tarquinio  (L.)  maestro  de*  cavalieri  sotto.  T.  Qainzio  Ditta- 

tore. X.  2^. 



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r 9 5 


Tarquiaio  (P.)  e Marno  di  Laurealo  rivebno  una  coapirazio- 

nr,  V.  5^  Premio  dato  loro , 5^ 


Tarqoiiiio  Sesto  Gglio  del  superbo  : suo  messaggio  al  padre 

da  Gabio.  IV.  ^ £ creato  Re  di  Gabio  , Violenta 

Lucrezia , ^ Esule  fa  guerra  par  il  padre.  V.  aa  , afL  É 

creato  capitano  dei  Sabini , Manda  sussidi  ai  Fideoati 

assediati,  5S.  E capitano  dei  Latini  contro  dei  Romani ^ (Ll, 

E ucciso.  VI.  L2. 


Tarquinio  (T.)  figlio  del  superbo  porta  una  colonia  in  Si- 

gnia.  IV.  Egli  a Sesto  fan  guerra  per  il  padre.  V.  aa^ 

a6.  È ferito.  V.  1 1. 


Tarquinia  moglie  di  Ser.  Tullio  muore  d’improvriso.  IV.  4^ 

Strangolala  da  Tarquinio  superbo  , 


Tazio  (T.)  re  di  Curi  e duce  de*  Sabini  contro  i Romani. 

II.  2ÌL  Fatta  la  pace  si  fissa  in  Roma  , e regna 

eoo  Romolu  , ho.'  Erige  altari  a più  Dei  , ivi.  Muore , 5l. 

Telefono  figlio  di  Circe  e di  Ulisae.  IV.  4ì_- 

Tellene  città  del  Lasio.  III.  V.  Qì.  Chi  ne  fosse  l’ autore. 

L & Anco  Marsio  la  espugna  e ne  porta  in  Roma  i cit- 

tadini. III.  !>& 


Tiirsosio  (C.)  tribnno  della  plebe  primo  tenta  introdnrre  leggi 

e diritti  nella  repobblioa.  X.  La  , 


Terenzio  Varrone,  che  dica  su  i Sacerdoti  istitnili  da  Romolo. 

11.1  2±,  So  la  origine  del  nomo  delle  Curie , 4^ 

oracoli  Sibillini.  IV,  fil, 


Tebaoi  tolgono  l'impero  agli  Spartani.  Proemio,  ^ Sono  sol* 

touessi.  II.  l 'j. 


Temistocle  Arconte  di  Atene.  VI.  54» 


Teologia  dei  Romani  migliore  di' quella  de*  Greci.  II. 

Termenio  Cossia  Aterio  console.  X.  4d. 


Termini  Dii  , loro  sagrifisi  e festa.  IL 

Testrina  o Testrnna,  paese  Sabino.  II. 


Tenero  Re  della  Teucri.!  o Troade  nella  Frigia.  L ^ 

Tevere,  passa  vicino  a Fidcne.  11.  hh,  Cliiamavati  Albula  e 



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5a3 


prette  altro  nome  ila  Tiberino  Re  orlak>  dalla  corrente  di  esao.  L Gz. 


Tibnrtini , popolo  del  Laaio»  V.  4i-  Loro  fondatori.  L 8* 

Timeo  Siculo,  storico  non  affatto  diligente,  eioccbè  scrive  sa 

gli  Dei  Penati.  L Gfi.  E sa  1*  epoca  della  fondasiona  di  Ro« 

ma  , (15. 


Tiora,  paese  degli  Aborigeni.  L 6. 


Tisicrate  Grotooiate  vince  nello  stadio.  V.  VI.  43* 


Tisio  (Ses.)  tribuno  della  plebe.  IX.  Cg. 


Toga , soB  forma.  III.  Gì.  Intessnta  di  oro.'  V.  4^! 


Tolerini  espugnati  a farsa  da  Coriolano.  Vili, 


Tuoni  e lampi  spaventevoli  dissnadono  Valerio  il  console  dal> 

r assalire  il  campo  degli  Equi.  IX.  55. 


Trabea,  o Tibeuna.  VI.  i5. 


Trebnia  paese  degli  Aborigeni.  L IL 

Triarj , quali  soldati.  V.  lL  Vili.  SG, 


Tribuni,  prefetti  delle  trib&.  II. 


Tribuni  dei  Celeri  e loro  ofGsj.  II.  64^ 


Tribuni  dèi  soldati , venti  creati  nel  ritirarsi  le  armate  dai 

Decemviri.  XI.  4i^ 


Tribuni  militari  destinati  in  luogo  dei  consoli.  XI.  6t.  Depon- 

gono  il  tribunato  militare  dopo  acttanlatri  giorni  , Ga, 

Tribuni  della  plebe  quando  creati  e quanti.  VI.  8 

aegneiize  , ^ Si  arrogano  Tarbitrio  di  accnaare  qaalnnqne 

patrizio,  5g.  Nel  caso  di  Coriolanoj  ivi.  Cominciano  a ci- 

tare al  popolo  qnalanqne  cittadino  « Si  oppongono  a 

Cassio  per  la  legge  Agraria.  Vili,  Si  oppongono  alla 

leva  de*  soldati,  87.  Impediscono  col  loro  potere  i comizj , 

90.  Nella  penuria  de*  viveri  incitano  la  plebe  contro  i Con- 

soli. IX.  Chiamano  al  gindisio  del  popolo  i già  consoli 

perchè  diano  conto  del  loro  consolato  , ^ , 28.  Restano 

pel  secondo  anno  nelle  cariche  loro  , Sforzi  loro  per- 

chè 8*  imprigioni  nn  console ,'  48^  Insistono  sn  la  formazione 

delle  leggi.  X.'l.  Sono  chiamati  in  Senato  a consnltarvi  sa 

la  salute  pubblica , 2.,  Cacciano  con  finti  delitti  Quinzio 

Cesene  da  Roma.  X.  8.  Restano  pel  terzo  anno  nella  loro 

carica,  ^ E per  il  quarto , 21,  Confermati  per  nn  qninto 

anno  impediscono  la  leva  innanzi  che  il  Senato  decreti  per 

la  formazion  delle  leggi , 28,  Tentano  di  convocare  il  Se- 

nato , il  che  aspettava  ai  consoli,  3i.  Il  Senato  conceda 

che  L tribuni  siano  dieci  in  luogo  di  cinque  , 3^  Gitano 

al  popolo  i consoli  i quali  non  ubbidiscono  , ^ Sono  im- 

pediti nella  legge  agraria , 4i  ° *eg>  La  peste  ne  uccida 

quattro , 88,  Cessano  col  crearsi  dei  Decemviri , 4^  Vedi 

Decemviri.  Ristabiliti  si  vendicano  dei  Decemviri.  XI.  46. 

Istigano  di  nuovo  la  plebe  contro  i patrizj , Pretendono 

che  anche  i plebei  possano  chiedere  il  consolato,  82,  Cac- 

ciati da  Roma  vanno  a Cesare  nelle  Gallie.  Vili.  87. 


Tribè,  Romolo  ne  forma  tre,  -divise  in  dieci  curie.  II.   25.  Anco  Marsio  li  vince,  ^i.  Come  poro 

Tarquioio  Prisco,  58.  E Servio  Tullio.  IV.  2>].  Teotaoo 

riportare  al  trono  i Tarquinj.  V.  i4>  Sono  «ioti  dai  Ro- 

mani, i5.  Cornelio  accorda  loro  la  tregua.  Vili.  82.  Sac- 

cheggiano il  territorio  di  Roma  e ne  sono  repressi,  Qi. 

Cercano  il  soccorso  degli  Etruschi  contro  i Romani.  IX. 

1,5.  Assalgono  i Romani  dipersi , 19.  Scorrono  frao  al 

Gianoioolo , ivi.  Implorano  soccorso  dagli  Etruschi  contro 

i Romani , 16.  Appoggiati  all*  aiolo  degli  Etruschi  e dei 

Sabini  riprendono  di  nuovo  le  armi  contro  i Romani , 34. 

Ottengono  una  tregua  di  aoni  quaranta  , 3G.  Si  acuingono 

a ribellarsL  XI.  54. 


Velia  Inogo  di  Roma.  I.  11.  V.  ig. 


Vellelri  , città  dei  Volaci  si  rende  ad  Anco  Marno.  III.  ^2. 

E presa  da  Verginio  console.  VI.  ^2.  Rifinita  dì  popolo 

dalla  peste,  chiama  dei  coloni  da  Roma.  VII.  iz. 


Vesbola  o Suessola  paese  degli  Aborigeni.  1.  6. 


Vesta  è la  terra.  II.  GG.  Perchè  siale  consagrato  il  fuoco  : e 

a chi  siano  note  le  cote  sacre  di  essa  , ivi.  Tempio  di  Ve- 

sta , So.  Da  chi  prima  fosso  fabbricato  e dove,  65.  Perchè 

vi  si  onstodisse  il  fnooo  e dalle  Vergini,  GG.  Nel  tempio 

non  potevano  pernottare  de’ maschi,  G^j.  Fonte  al  tempio 

di  Vesta.  VI.  i3. 


Vestali  , vergini  nobilissime.  I.  Gl.  Da  obi  foMero  prima  isti- 

tuite. II.  G5.  Quante  ne  stabilisse  Niima  , e qnaute  gli  altri 

Re , G7.  Tarquiuio  Prisco  ne  aggiunte  due.  III.  G’;.  Of- 

fiij  loro.  II.  6G.  Quanto  tempo  dovessero  conservare  la  ver- 



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5i’j 


ginilil.  I.  C8>  IL  67.  Dopo  qnetto  tempo  poteaoo  maritarti. 

IL  67*  Onori  delle  Vestali , ivi.  Loro  gastigo  se  lasciavano 

eorromperai.  L C^.  IL  C7.  III.  G7.  Veatale  convinta  di 

etupro  aottoposta  a pene  solenni.  IX.  4*  Vili.  8g.  Suppli- 

xio  dei  corruttori  delle  Vestali.  Vili.  89,  IX.  4** 


Vetoria,  madre  di  Corlolano.  Vedi  Coriolano> 


Vetnrio  (G.)  console.  X.  $2. 


Vetnrio  (P.)  console.  V.  58- 


Veturio  (T.)  Gemino  console.  VI.  3i.  IX.  69.  Marcia  contro 

i Volaci.  IX.  G9.  Ne  trionfa:  ne  ottiene  la  ovaiione  , 71. 

E fatto  Decemviro.  X.  67. 


Virginio  (A.)  Mentano  console.  VI.  3(.  Va  oontro  i Volaci, 


Va  Legato  alla  plebe  profuga  , G9. 


Virginio  (A.)  oonsole.  IX.  i5. 


Virginio  ^A)  Celimontano  console.  IX.  5G.  1 


Virginio  (A.)  triumviro.  IX.  Sq. 


Virginio  (A.)  tribuno  della  plebe.  X.  S e seg. 


Virginio  (Op.)  Tricosto  console.  V.  /(g.  ' 


Virginio  Poolo  console.  Vili.  58,  71. 


Virginio  (Sp.)  console.  X.  3i.  ^ 


Virginio  (T.)  console.  VI.  J. 


Volsci  , sono  ridotti  in- dovere  da  Anco  Marsio.  III.  4i.  Do* 

città  dei  Volaci  ai  coliegano  con  Tarqninio  superbo.  IV.  .49. 

Il  quale  infetta  il  terrtìorio  delle  altre,  52.  Mandano  am- 

basciatori a Gabio  perchè  voglia  far  guerra  con  essi  a Tar- 

qninio , 53.  1 Volaci  ricusano  socoorrere  i Roiiani  contro  i 

Latini.  V.  4 A.nsi  apparecchia  osi  a soccorrere  i Ladini  eon- 

tro  i Romani.  VI.  5.  Giungono  in  soccorso  dei  Latini  dopo 

la  battaglia , i Mandano  ambasciatori  al  campo  Romano 

per  esplorarlo,  i5.  SI  nmiliaoo  e tornano  a ribellarsi,  25. 

Servilio  li  debella,  29.  In  pena  ne  sono  uccisi  in  Roma  gli 

ostaggi , 3o.  Servilio  ne  trionfa  contro  il  voto  del  Senato , 

ivi.  Mandano  legati  in  Roma  a richiedere  ciocché  era  stato 

tolto  loro,  3{.  Sono  costretti  a ricevere  i coloni  Romani, 



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528 


VI.  43  e s«g.  Dopo  la  goerra  Latina  i primi  fomentano  la 

bellione  dai  Romani,  >}C.  Poatomio  Gominio  li  debella,  91. 

In  tempo  di  fame  macchinano  contro  i Romani , ma  la  pe- 

ate li  raffrena.  VII.  13.  Volaci  comandati  ohe  cacano  da 

Roma  tatti  per  nna  porta.  Vili.  4-  Ridomandano  per  meazo 

di  legati  le  loro  cose  ai  Romani , q.  Intimano  gnerra  ai 

Romani  e creano  capitano  Coriolano  , ii.  Il  quale  gli  ac- 

costuma alla  disciplina  militare  dei  Romani , Marciano 

con  gli  Equi  contro  i Romani  , e si  attaccano  fra  loro,  G3. 

Chiedono  pace  dai  Romani,  68.  Q.  Fabio  li  vince , 9i.  Si 

confederano  di  onovo  con  gli  Eqni  contro  i Romani.  IX. 

iC.  Resistono  bravamente  a Serrilio  console  , ivi.  Nansio 

console  devasta  le  loro  campagne,  35.  Sono  presi  i loro 

accampamenti , 58.  In  tempo  di  peste  cospirano  con  gli 

Equi  contro  i Romani,  6'].  Sono  respinti,  70.  Valerio  li 

sbaraglia.  XI.  47* 


Volscio  (M.)  tribuno  della  plebe.  X.  7. 


Voinnnia  moglie  di  Coriolano.  Vili.  io.  Come  ricevuta  da 

Coriolano , i5. 


Volnnnio  (P.)  console.  X.  i. 


INDICE 


Delle  Tavole  a Carte  contenute  nelli  tre  dolami  delle  Antichità 

Romane  -dX  Dionigi  di  AUearnasso. 


Tom.  I.  Ritratto  dell'Autore in  principio 


» » Carla  delli  Antichi  Contorni  di  Roma  . . . n ivi 


n li.  La  Porca  00'  3o  porcelli;  e la  Lupa  del  Campidoglio  o ivi 


» n Carla  topografica  dell’antica  Rmna  . . . . n ivi 


M n Ritratta  di  Giunto  Bruto  ....  ...»  89 


» 111.  Tav.  1.  eli.  Tempia  di  Giano  e sne  vetligia. 



FINE. 

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