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LVCCHESI -PALLI-
BIBLIOTECA LUCCHESI • PALLI
III.» SALA
Scaffale.
Pluteo.
N.» CATENA.
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COLLANA
DEGLI
ANTICHI STORICI GRECI
VOLGARIZZATI.
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Digit zec! ov
\Vo3^
LE
ANTICHITÀ ROMANE
I
DI
DIONIGI
D’ALIGARNASSO
VOLGARIZZATE
DALL’ AB. MARCO MASTROFINI
già’ frofessore di matematica e di filosofia
NEL SEMINARIO DI FRASCATI
MtmOKX KOrJMMKTt USCOKTIUTÀ COI TM3T0 BAh TKÀBVTTOBt
TOMO PRIMO
MILANO
DALLA TIPOGRAFIA De’ FRATELLI SONZOCMO
1823.
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I
MARCO MASTROFINl
AI LETTORI
NOTIZIE
su DIONIGI DI ALICARNASSO.
I. Dionigi^ di Alessandro fu di Alicarnasso ,
reggia un tempo della Caria , della quale pur furono
Eraclito il poeta ed
Erodoto di gr^ca istoria padre
come Petrarca lo intitola nel terzo de' capitoli sul
trionfo della Fama. E difficile determinare V anno ,
non che il giorno della sua nascita. Fozio nella sua
Biblioteca (cod. ^4) dice che egli precedette Dione
Cassio , ed Appiano Alessandrino, espositori aneli essi
di Storie Romane. Errico Dodwello che meditò gra-
vemente quelt argomento non seppe ristringersi ad
altra particolarità , se non a questa , che Dionigi
debbo essere nato fra t anno (i"G e ^oo di Roma
calcolali alla maniera di V airone.
DIOyiGI , toma ^ ‘ ■
, X
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I(. Dionigi sentiva in sè la nobiltà del cor suo]
c si mosse verso la capitale del mondo, e venne a
Roma nelt anno F^arroniano ja5 , cioè finita la guerra
interna di Augusto contro di Antonio ; domd è che
egli non vi giunse prima dell' anno suo venticinque-
simo. Fi si trattenne 22 anni: vi compose le opere
critiche , e vi apprese intanto diligentemente C idioma
del popolo vincitore su la mira di leggerne gli antichi
monumenti nazionali, e di scriverne infine con greco
stile una stona per uso de’ Greci suoi che troppo la
ignoravano. Egli riusci nell intento , e la scrisse, e la
divulgò nell anno Fcu roniano y47 sotto il nome di
Antichità Romane come l ebreo Giuseppe Jion molto
dipoi , forse ad imitazione di lui , e certo con più
proprietà, pubblicò sotto il titolo di Antichità Giudai-
che la storia del popolo ebreo , la quale era insieme
la storia della origine stessa del mondo.
III. Par che Dionigi delineasse la storia col di-
segno stesso con cui Firgilio cantava la Eneida: vuol
dire l uno e l altro spargevano fiori appiè de’ trion-
fatori non senza il lusinghevole desiderio di guada-
gnarne la grazia : non leggera conquista per uomini
inermi , autorevoli solo per sillabe , per parole, e per
periodi ! 'Dionigi fece sapere a’ suoi che il popolo del
Campidoglio non era poi barbaro ; anzi che era pur
esso greco di origine, e che assai conosceva leggi e
costumi ; e ciò perchè riuscisse il comando romano ,
se non pregevole , certo men duro nella Grecia d’ Asia
e di Europa , paesi che una volta orati patria e tempio
di fortezza e di libertà.
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IV. Egli distese il suo scrino in venti liLri ; ma
non sopravanzano che i primi dieci e parte dell’ un-
decimo; tutto il resto perì per la ingiuria de' tempi.
Per quanto ci racconta Fozio (i) che aveala letta per
intero, scorre ane la narrazione dagli Aborigeni e dalla
venuta di Enea nella Italia fino alla guerra de’ lio-
mani con Pirro , monarca degli Epiroti ; perchè ivi
appunto comincia la storia Romana deli altro greco
scriuor precedente , Polibio da Megalopoli. Quest or-
dine di storie si consideri diligentemente ; perchè da
indi apparisce che Dionigi dee precedere c non se-
guire Polibio, come parve al primo che dispose la Col-
lana Greca , e come trovo fatto pur questa volta irre-
parabilmente su Cantico disegno (a). Siccome un estero
per la novità che v incontra , può notare ì. costumi
varj de' popoli meglio che il nazionale che cresce e
invecchia con essi ; così questi due Greci conversando
co’ Romani seppero distinguervi e descriver più cose
che i Romani stessi non han descritto e trasmesso
con la successione de’ tempi ai tardi nipoti. Or ciò
dovea tanto più seguitarne quanto che scrivean quelli
pel greco il quale non avrebbe gustata nè intesa la
loro narrazione se non esponevano minatamente le
cose notissime tra Romani. E quindi è che Polibio
delincò su la milizia romana quello che non si legge
in niuno de’ romani scrittori medesimi: e Dionigi toccò
tante picciole circostanze che meglio dichiarano le ori-
,gmi, il complesso, ed il termine degli eventi: cioc-
(i) Bihiiotre. cod. 8f>.
( 1 ) Ediz. romana di Vinccoio Pojryiuli delT anno
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che ne ha rendalo , e ne renderà sempre , preziosis-
simo quanto sopravanza delle storie di lui.
V. Livio rimpelto a Dionigi è come il compendio
rimpello all' opera estesa ; tanto che il primo racco-
glie in tre libri ciocché l’altro dilata in undici. Nè io
saprei dolermi su tanta espansione quando le cose vi
fossero state moltiplicale in proporzione. Ma per dirne
ciocché io ne penso, e dare intanto il paragone degli
autori fin qui da me volgarizzati che sono Sallustio,
Quinto Curzio , Lucio Floro , e Dionigi ; mi è sem-
pre parato che in Sallustio non capano i sentimenti
dentro le parole , che in Curzio si pareggino compiu-
tamente gli uni alle altre, che in Floro le parole su-
perino alquanto i sentimenti, e che in Dionigi fincd-
mente- ( siami cosi lecito di esprimermi) le sentenze
galleggino affatto tra le parole. Sallustio é come il
fior vivo, che di sé promette gran cose , ma stretto
in parte ancora dalla sua buccia : Curzio è il fior
copioso , odoralo , aperto graziosamente al sole che
10 vagheggia ; Floro è il fior vago , ma tutto spam-
panato con molte le f rendette e poco t odore; e Dio-
nigi finalmente è il fiore delle ampie e libere frondi
11 quale sot^ di sé nasconde il picciolo guscio che
ravvolgevalo , e par sorgere pomposo e vario tra le
aure che lo investono , ma troppo , se lo stringi , è
minore delle belle apparenze. Dionigi era un greco
dell jfsia, e fa sentire in sé la prolissità propria di
quella vastissima parte del globo. Le parlate in lui
sono lunghissime , e per ordinario non ripetono se
non ciò che presentano le storiche narrazioni ; lad-
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doue in ,Tilo Livio sono lampi e folgori, sentenze e
risultati. V ultimo lascia a pensare , il primo li lascia
senza pensieri prima che finisca di parlare ; nelV uno
senti il capitano ed il console , nell altro lo storico
«d il declamatore : quegli è pieno di entusiasmo e di
fuoco su gt interessi della sua nazione , /’ altro vi si
spazia sopra come il panegirista che loda non per
affetto , ma in vista di ricompense , o per moda.
Forse tanta loquacità non piacque nemmeno tra' suoi
nazionali; e Dionigi voglioso di essere letto , s’indusse
a ristringere in un compendio di cinque libri quanto
avea steso in venti. Fozio nella sua Biblioteca [cod. ^4)
parla eziandio di un tale compendio ; e lo dice più
utile per questo , che non contiene se non le cose
necessarie alla storia. Egli paragona Dionigi in quel
nuovo scritto ad un re che giudica e tiene intanto in
mano lo scettro; e sentenzia ma con la precisione e
col tuono di chi comanda (i).
Vr. Quanto allo stile i giudizj ne sono difformi :
vi è chi lo chiama scrittor soave , scrittore elegante ;
e non vi è dubbio che e"li abbia de' bei tratti, dei
pellegrini concetti , e gravissimi documenti. Nondimeno
vi è chi dice risolutamente che Dionigi rimpetlo a
Senofonte è come il duro e licenzioso jépulejo rim-
pclto alle maniere delicate e spontanee di Livio. Dio-
nigi fa pur troppo conoscervi che egli non era nativo
deir Attica. Fra le sue formole ne occorrono alcune
(i) La prcsealc versione fu stampala in Roma l’anno i8ia. Dopo
quest’ anno il Compendio fu creduto rilrovato in Milano. Se ne
patterà nel tomo quarlo là dove sono i fiammcnli.
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nuove , Ialine (T indole , o certo non abbastanza monde
da solecismo ; tantoché vi si violano le regole prò-
poste da esso medesimo nelle opere sue critiche per
gli storici e per gli oratori. Ad ogni modo Dionigi é
come la miniera ampia di oro , e come V archivio
ricco di monumenti preziosi in mezzo di altri che
sono anzi un ingombro ; dond è che un tale scrittore ,
come ho toccato dianzi , sarà caro finché saran care
le storie. Ora diciamo qualche cosa delle versioni del
nostro Autore.
VII. Lapo lìira^o fiorentino il primo diede una
versione latina di Dionigi. Questa fu pubblicata la
prima volta in Trevigi Hanno i48o, e poi di nuovo
in Basilea nel i53a. Il Glareano ebbe cura di tal
seconda edizione e la purificò da sei mila errori co-
ni egli dice. Boberto Stefano vedendo pubblicato Dio-
nigi nella lingua non sua, trasse il greco originalo
dalla Biblioteca dei re di Francia, e lo mise in luce
l’anno ì5^(i. Il Gelenio divulgò colle stampe in Ba-
silea [ anno iS/fg una nuova versione latina de’ dieci
primi libri. Silburgio rettificò con critica squisitezza
le tante lezioni non sane che ci aveano nel greco
dello Stefano , e nel latino del Gelenio , e congiunse
i due testi e li stampò V anno i586 in Francfort. In
questa edizione vi é la traduzione dell’ undecimo libro
fattu da Silburgio medesimo , li frammenti ricorielti
delle Legazioni già pubblicale da Fulvio Ursino , ed
un libro di annotazioni in fine. Mentre apparecchia-
vasi o compivasi da Silburgio questa edizione ; Emilio
Porto diede su t originale dello Stefano una nuova
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traduzione latina delle antichità con amplissime an-
notazioni, imprimendo anche il libro delle legazioni
con la trina interpretazione dì Stefano, di Sitburgio
e di Porto. JSel 1704 si ebbe la vaghissima edizione
fatta in Oxford la quale comprende il testo greco di
Dionigi colla versione di Porto , emendata dove nera
il bisogno , e le legazioni secondo la impressione fat-
tane da falesie riunite a quelle già pubblicate da
Ursino. Si cominciò finalmente nel 1774» ^ ^i com-
piè nel 1777 lO' edizione riputata la più corretta di
Lipsia colle note varie di Errico Stefano , di Silbur-
gio , di Porto , di Casaubono , di Fulvio Ursino , e
di Giangiacomo Peiscke.
Vili. Francesco Venturi fiorentino ci diede nel
1545 colle stampe venete la prima versione italiana
delle sole antichità di Dionigi. In quell'epoca il testo
greco non era nè stampato nè rettificato , e quindi
avendo egli lavorato su di ^un manoscritto, frequen-
tissime sono le aberrazioni dcd vero senso. Aggiungasi
che lo stile è contorto , implicato , nè sempre regolare:
in somma risente tutte le imperfezioni del primo tra-
duttore latino Lapo Birago : nè questi potè sempre
capire il senso del testo , ma dove ciò non potè fu
contento di volgarizzare le parole greche , appunto
come significavano , una per una. Il signor Desiderj
nel continuare in Roma V anno 1 794 la edizion sua
della Collana Greca ideava, parmi , riprodurre la ver-
sione stessa del Venturi; ed il primo periodo di questa
è del V snturi in gran parte ; ma fatto accorto che
grande ne era la oscurità, e poca la naturalezza.
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continuò a pubblicare non il resto del Venturi, ma
una traduzione di traduzione; t'uol dire , diede alla
Italia un Dionigi tradotto , forse non sempre ade-
guatamente , e certo non sempre con purità di stile ,
sopra la traduzione francese , e non sid greco origi-
nale. Al primo leggere il Dionigi del Desiderj mi
parve ravvisarvi una fisionomia anzi francese che gre-
ca. Adunque paragonai la versione framese del padre
Francesco la Jai Gesuita con la produzione del De-
siderj a luogo a luogo , e fui convinto che era ciò
veramente che io sospettava. Questa immagine éT im-
magine , questa eco di eco che scolora le fattezze , e
deprime sempre più la energia dell originale , questa
stampa non greca , non francese, e forse non italia-
na , non dee numerarsi tra le versioni , degna almeno
di un tal nome ; tanto più che quella versione fraru-
cese essa stessa non lascia gustare la vena ampia ,
continua , maestosa del greco originale , ma presenta
la inquietudine, lo scintillamento , e come la spezi
satura consueta delle parli.
IX. Che io sappia niun altro ha poi volgarizzalo
tra noi Dionigi. La mia versione è diretta su la edi-
zione di quest' autore intrapresa in Lipsia nel i
Chi vuol ragione di ciascuna delle mie interpretazioni
dee consultare il testo greco , la versione latina , le
note in piè di pagina, ed in fine de’ tomi. Spesso a
fissare i sensi ho consideralo anche la versione fran-
cese , supplitami dalla Biblioteca del Collegio Romano
nella nuova mia dolcissima dimora in quel luogo nel-
l’ anno 1 8 1 1 , la quale mi concedè calma profondis-
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sima da compiervi quasi per intero la traduzione che
ora presento. Sarebbemi piaciuto ugualmente di con-
sultale la traduzione inglese di Eduard Spelman im-
pressa in Londra t anno 1759; ma per quanto la
ricercassi tra le Biblioteche , tra i libraj e tra gli
amatori di libri , non mi venne fatto di rinvenirla in
Roma. Aveva io già presso che terminato questo mio
travaglio quando mi ju significalo che in Francia si
pubblica una nuova versione di Dionigi: ho il piacere
che l'Italia he veda contemporaneamente un altra sua,
lavorata quasi tutta in Roma , ove lo storico di Ali-,
carnasso stendevano già t originale.
Roma i8ia , 10 Febbrajo.
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PROEMIO.
1 1
I. UANTU^■QUE alieno io ne sia , pur sono astretlo ad
una prefazione , com’ usa nelle storie , e sopra di mfe ;
non già per diffondermi nelle lodi mie proprie , che so
quanto , udite , dispiacciano , o nelle accuse di altri
scrittori , come fecero Teopompo ed Anassilao gli sto-
rici, ne’ prologhi loro ; ma solo per dichiarare le cagioni
per le quali mi diedi a .quest’opera , e per dire de’ mezzi ,
onde io seppi ciocché son per iscrivere. E certamente
chi risolve lasciare a’ posteri monumenti d’ ingegno , i
quali , come i corpi , non vengano meno per anni , e
molto più chi scrive le istorie, nelle quali, tutti conce-
piamo che siavi la verità, principio del sapere e della
prudenza ; costui dee per mio sentimento , scegliere
argomenti vaghi e magnifici , come bene fruttuosi a chi
legge ; e poi dee preparare le materie opportune al
subjelto con assai previdenza e lavoro. Imperocché chi
ponesi a trattare di cose vili, abominate , indegne delle
cure di una storia , sia che brami rendersi chiaro , ed
acquistare comunque una fama , sia che voglia manife-
stare la idoneità sua nell’ arte del dire , non sarà mai
da’ posteri né invidiato per la fama sua , né per 1’ arte
encomialo ; lasciando a chi leggelo da sospettare che egli
amasse nel vivere le maniere appunto che descrisse ;
per essere gli scritti la immagine de’ cuori , come da
tutti si giudica. Colui ^ poi che ottimo sceglie l’argo-
mento; ma ne scrive scioperatamente, e come per caso ,
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I 2 ■ PROEMIO.
seguendo i ronoorl del volgo, nemmen’ esso ne ottiene lo-
de niuna ; imperocché si spregiano , se negligenti sle-
no e confuse le storie delle città famose e de’ principi.
Or pensando Io per uno storico esser questi I canoni
sommi ed inviolabili, ed avendone tenuto cura gelosa ;
non volli nè trasandare il discorso su di essi , nè com-
partirlo altrove , che nel proemio.
II. £ che io scelsi argomento, bello, grandioso, uti-'
lissimo; non bisognano, credo, molte parole a con-
vincerne chi non affatto Ignora la storia comune. Im-
perocché se alcuno recando 41 pensiero su’ governi an-
tichissimi delle città e delle genti e contemplandoli ,
parte a parte , o nel paragone dell’ uno coll’ altro , vo-
glia saperne qual di esse fondasse principato più grande,
o che più splendesse per azioni belle , in guerra ed in
pace; vedrà che la signoria di Roma sorpassò di gran
lunga quante prima di lei se ne additano , non solo jper
grandezza d’impero e per luce d’imprese, cui niuno
mai lodò' quanto basta , ma per la durazione ancora del
tempo che abbraccia , 6no al presente. Fu pur antica
la signoria degli Assirj , e ne chiama fino ai secoli fa-
volosi ; ma non comandò che su picciola parte dell’Asia.
Abbattè la monarchia de’ Medi quella degli Assiri , e
crebbe a potenza maggiore sì , non però molto diutur-
na , cadendo alla quarta successione. I Persiani fiacca*
t ono il Medo , e dominarono infine quasi per tutto nel*
r Asia ; ben si gettarono poi su gli Europei , ma noti
molto vi profittarono , e tennero poco più che dugen-
t’ anqi II comando. Il Macedone , vinti li Persiani , su-
però colla sua tutte le dominazioni che precederono :
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PROEMIO. l3
Don però fiorì lungo tempo , comiuciaiido a declinare
alla morte appunto di Alessandro : imperocché smem-
brato da’ successori il potere in molti principi , sosten-
nesi la monarchia fino alla terza o quarta generazione ;
ma resa debole per sé stessa, fu distrutta finalmente dai
Romani : nou tenne poi mai servi tutti i mari e le ter*
re : che non vinse in Africa se non l’ Egitto , il quale
non è vasto , nè sottomise tutta l’Europa ; ma nel set-
tentrione di questa si estese alla Tracia , e nell’ occaso
fino all’ Adriatico.
III. Pertanto i più famosi degl’ imperj che precede-
rono , giunti , come sappiam dalla storia , a tanta forza
e grandezza , rovinarono. Con essi non sono poi da pa-
ragonare le Greche potenze le quali nè spiegarono mai
si ampia la signoria , nè lo splendore si diuturno. Gii
Ateniesi quando più poterono in mare , ne dominaro-
no per anni sessantotto la spiaggia , e non tutta , ma
quella solamente tra l’ Eusino ed il mar di Pamfilìa. E
gli Spartani impadronitisi del Peloponneso e del resto
della Grecia stesero fino alla Macedonia le leggi; ma
non prevalsero che per quarant’ anni (i) nemmeno in-
teri, e trovarono ne’Tebani chi li depresse. Ma la Re-
pubblica romana signoreggia tutta la terra , non già la
(i) testa uri o?ici in TpmiccfTx: cioè nemmeuo iuteri treo-
t’aimi. Isacco Casaubono vi saslilui rinrxfxi'oyTX cioè quaranta.
Pur questa emenda fu tolta, nè so perchè : concedendosi comune-
mente che gli Spartani dopo vinti gli .Ateniesi al fìuinc Egio furono
gli arbitri più che 33 anni. Ciò stando non può dirsi nel testo m-m-
meno interi treni’ anni , ma usando un numero rotondo , dovremo
leggere quaranta come il Casaubono.
l4 PROEMIO,
deserta , ma quanta ne è 1’ abitata : signoreggia tutto il
mare non solo
nai mente Oenotro diciassette generazioni avanti che a
Troja si combattesse. E questa è l’epoca nella quale
mandarono i Greci nella Italia una colonia. Oenotro poi
si levò di Grecia ; perché non pago della sua parte :
giacché nati essendo a Licaone ventidue figli; aveasi l’Ai^
cidia a dividere in altrettanti. Per tale cagione lasciando
OcDOiro il Peloponneso, passò con fiotta gié preparata il
mar Ionio, e passavalo teco Peucezio l’uno de' fratelli
di lui. Navigavano con essi molti della sua gente , po^
pelosissima , come si dice , nelle origini ; e quanti altri
de’ Greci non aveano terreno ^he loro bastasse. Peucezio
pigliò sede in sul promontorio Japigio , appunto ove
prima sbarcò nella Italia , cacciando chi v’ era , e da lui
furono Pcucezj chiamati quanti abitarono que’ luoghi.
Oenotro guidando seco il più dell’ esercito , venne ad
altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chia-
mato dagli Ausonj, che la spiaggia nc popolavano. Ma
quando i Tirreni diventarono i padroni de' mari prese
il nome che tien di presente.
IV. E trovando la regione bonissima da pascolarvi
o da ararvi , ma deserta in moltissimi tratti , anzi con
poco popolo ov’ era abitata j dìé la caccia a’ barbari in
tina parte della medesima , e fondò citt.ì non grandi
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a4 DELLE antichità’ ROMANE
si, ma frequenti in sui mouli ; com’era stile antichissi>
mo , di situarsi. Così tutta la regione fu detta Oenotria,
essendone amplissimo lo spazio occupalo ; ed Oeuotr)
pure si dissero gli uomini tutti a’quali comandava , mu-
tando nome per la terza volta ; mentre Ezei si chiama-
vano dominandoli Ezeo , e poi subito Licaonj quando
al governo succedè Ligaone. Menati però nella Italia da
Oenotro , Oenotrj si nominarono per un tempo : nel
che Sofocle il tragico mi è testimonio net suo Tripto-
Icmo : perciocché vi s’ inU'oduce la madre degli Dei che
dimostra a Triptolcmo quanto spazio debba trascorrere
per seminare i semi eh’ ella dati gli aveva. Or ella ,
mentovato prima l’ oriente d’Italia dal promontorio J.i-
pigio 6uo allo stretto Siciliano, e poscia additata la Si-
cilia che sta dirimpetto; volgasi tosto alla Italia occi-
dentale , e numera i popoli più grandi della spiaggia ,
cominciando dagli Oenotrj: ma bastino le sole cose da
lei dette ne’ jambj , percl)è dice :
Questo é do tergo ; a destra siegue tutto
La Oenotrìa , il mar Tirreno , e la Liguria.
Antioco di Siracusa , scrittore antichissimo , annoverando
i primi ad abitare la Italia e le parli occupale da ognu-
no , afferma che gli Oenotri in questo precederono ogni
altro di cui s’abbia ricordo, dicendo: jéntioco il fi-
gliuolo di Zenofanle compilò su la Italia queste cose,
le più credibili e più manifeste ira vecchi monumenti',
la terra che ora Italia dimandasi la ebbero antkhism
simamente gli Oenotri : poi discorre in qual modo la
governassero , e come Italo un tempo divenisse re loro
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LIBRO I. 35
cd Itali ue fossero oomioati : e poi Morgili per essere
a Morgite venato quel principato. E siccome stando
Sicolo per ospite presso Morgite , e tentando appro-
priarsene la signoria , ne divise le genti ; conclude : cosi
gli Oenotri divennero e Sicoli e Morgiti ed Italiani.
V. Ora dichiareremo quanta fosse la gente degli
Oenotri allegando per testimonio nn altro vecchissimo
autore, io dico Ferecide, non secondo a niuno degK
Ateniesi che trattasse delie genealogie. Egli fa su quelli
che dominaron 1’ Arcadia questo discorso: nacque Li-
caoue da Pelasgo e Dejanira e sposò Cillene , una ninfa
dell» Najadi dalla quale ebbe nome il monte Cillene:
poi divisando i generati da questi e quai luoghi cia-
scuno abitasse , fa menzione di Oenotro , e di Peucezio
dicendo : Oenotro , donde Oenolrj son detti gli abi-
tatori Italia ; e Peucezio onde sono i Peucezj lungo
il golfo Ionio. Tali sono le cose dette da’ vècchj poeti
e mitologi sul popolarsi d’Italia, e su la origine degli
Oenotri. In forza di che, se greca veramente è la stirpe
degli Aborigeni , come disse Catone , e Sempronio e
molti altri ; io penso che provenisse da questi Oenotrj :
perocché trovo e Pelasgbi e Cretesi , e quanti altri abi-
taron l’ Italia , venuti in tempi di poi : nè so vedere
spedizione più antica di questa , che si recasse dalla
Qrecia alle parti occidentali di Europa. Giudico poi che
gli Oenotri occupassero molti luoghi d’Italia, o deserti,
o poco popolati, e parte smembrati ancora dalle terre
degli Umbri , e che Aborigeni si chiamassero per le
abitazioni, come gli antichi le amavano, prese ne’ monti:
cosi pur v’ ebbero in Atene que’ della spiaggia e dd
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a6 DELLE Antichità’ romane
monti. Che ie alcuni per indole non ricevono di subito
senza prove quanto si afferma su cose antiche , nem-
men subito decidano esser questi , o Liguri ovvero Um-
bri , o tali altri de’ barbari : ma sospendendo finché
apprendano le cose che restano , giudichino poi da tutte
qual ne sia la più verìsimile.
VI. Delie città che furono degli Aborigeni , poche
ora ne sopravanzano : perocché premute la maggior
parte dalle guerre , o da altri mali che straziano , fini-
rono in solitudini. E secoudo che Terrenzio Varrone
scrisse nelle anlichilà , ve ne erano nell’ agro Reatino
non lungi dagli Appennini ; e le meno disgiunte da
Roma , ne disiavano per lo viaggio di un giorno. Di
esse io ridirò le più celebri secondo la storia di lui.
Palazio è l’ una , lontana venticinque stadj da Rieti ,
cittade abitata da’ Romani fino a miei giorni , presso la
strada Quinzia. Siede Trebula a sessanta stadj pur da
Rieti , su dolce collina : e da Trebula con pari inter-
vallo disgiungesi Vesbola dicontro a’ monti CerauBj: lad-
dove quaranta stadj ne è lungi Soana , città famosa con
antichissimo tempio di Marte. Discostavasi Mifula da
Soana per trenta stadj , e se ne additano ancora le ror
vine, e le vestigia de’ muri. A quaranta stadj da Mifula
elevavasi Orvinio, città, quanto altra mai, chiara e grande
in que’ luoghi : e segno ancora ne sono i fondamenti
delle mura di lei come le tombe di antica struttura , e
li recinti pe’ cimiterj comuni su’ monti altissimi : e là
pure vedessi nella sommità di lei 1’ antico tempio di
Minerva : lungi dieci miglia da Rieti , procedendo per
la strada Giulia , là presso il monte Corito v’ era Car-
arbari , e soprattutto ai Sicoli , loro conGnanti. E sa
le prime pochi bravi , quasi giovani sacri mandati da
genitori in traccia de’ bisogni della vita , nscirono se-
guendo un primitivo costume , che pur vedo seguito
da molti de’ Barbari e de’ Greci. Imperocché quante
volte le città moltiplicavano tanto in popolo che non
più bastassero ad esse i proprj viveri ; quante volte fa
terra danneggiata dalle mutazioni del cielo rendea meno
dell’usato; e quante volte altro caso non dissimile buono
o rio le necessitava a minorarsi di gente ; consacrando
allora agl’ Idd^ d’anno in anno una serie di discendeuti
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libro I. 2g
gii armavano , e li congedavano. E con fausti augurii
gli accompagnavano se giusta le patrie leggi sacrificando,
rendevano grazie ai cieli per la generazione copiosa , o
per le vittorie tra Tarmi : laddove se pregavano i Numi
irati a rimovere da loro i mali che tolleravano ; li di-
mettevano pure slmilmente , ma rattristandosi , e chie-
dendo die loro si perdonasse. E quei sen partivano
quasi non più avendo una patria, se pure altra non sen
facevano che li raccogliesse o per amicizia , o combat-
tendo , e vincendo ; ed il Nume al quale i congedati
eran sacri parca per lo più cooperare con essi , ed al-
zarne sopra la espettazione le colonie. Su tale consue-
tudine gli Aborigeni , floridi allora in popolazione , e
schivi , perchè noi credeano il meno de* mali , di ucci-
dete alcuno de’ posteri , consacravano agl’ Iddii d’ anno
io anno le generazioni, e via via dimetteano gli allievi,
già grandi fatti , dalla patria. Uscitine questi non desi-
sterono di far contro i Sicoli , e derubarli. Ma non si
tosto conquistarono alcuna delle contrade inimiche ; di-
venutine ornai più sicuri ancora gli altri Aborigeni i
quali bisognavano di terreno , insorsero parte a parte
su’ confinanti : e fondarono alcune città , e quelle , abi-
tate ancor di presente , degli Antemnati , de’ Tellenesi ,
e de’ Ficolesi presso i monti Cornicli nominati , e dei
Tiburtini finalmente , tra’ quali evvi un luogo della città
che pure a dì nostri si chiama Siciliano. Nè furono ad
altro vicino più molesti che incontro de’ Sicoli. Sorse
da tali contrasti guerra con tutte le genti ; talché mai
non fu per addietro la più grande in Italia, e v’ infierì
lungo tempo.
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3o DELLE AXTICIIITA’ ROMANE
IX. Dopo questo alcuni de’ Pelasgbi che abitavano la
regione ora detta Tessaglia costretti di trasmigrarne ,
divenuei'o gli ospiti degli Aborigeni ; ed i compagni di
arme, contro de’SicoIi. Gli accolsero gli Aborigeni forse
{icr la speranza , io penso , di un utile , ma più per la
comunanza di origine: perocché son pure i Pelasgbi un
greco lignaggio , antichissimo del Peloponneso : quan»
tunque sciaurati per molte cose e principalmente per la
vita errante , nè mai stabile in sede ninna. E certo ,
come molli affermano su di essi, abitarono su le prime
la città che ora chiamasi Argo di Acaja ; traendo il
nome di Pelasgbi da Pelasgo , loro sovrano , generato
da Giove e da Niobe la figlia di F oroneo , quando il
Dio si congiunse la prima volta con donna mortale ,
come è ndle favole. Poi nella sesta generazione lasciato
il Peloponneso, passarono nella Emonia che ora Tessa*
glia si nomina ; e duci furono del passaggio Acheo e
F tio , e Pelasgo , figli di Larissa e di Nettuno. Giunti
nella Emonia ne cacciarono i barbari che 1’ abitavano ,
e la divisero in tre regioni cognominandole da’ condot*
tieri , F liotide , Acaja , e Pelasgiote. Fissi colà da cin-
que generazioni , lungamente vi prosperavano , profit-
tando pur de’ campi migliori della Tessaglia: ma intorno
la sesta generazione ne furono espulsi da Cureti , e da
Lelegi che ora sono gli Eioli ed i Locri, e da più altri
che abitavano intorno del Parnasso , guidando i nemici
Dencalione il figlio di Prometeo e di Glimene nata
dall’ Oceano. '
X. Dispersi nella fuga , altri vennero io Creta , altri
ottennero alcune deile Cicladi. Alcuni abitarono la re*
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LIBRO I. 3 1
gione intorno di Olimpo e di Ossa, ora detta Estiotidc:
ed altri furon portati nella Beozia, nella Focide e nella
Eiubea : alcuni tragittandosi in Asia occuparono molte
delle spiagge deli’ Ellesponto e molte delle isole dirim>
petto , e quella che ora Lesbo si chiama , mescolatisi
alla colonia che prima andavaci dalla Grecia sotto gU
auspizj di Macaro Gglio di Criaso. La maggior parte
però dirigeudosi entro terra a’ loro parenti i quali al-
bergavano in Dodona , ed a' quali , come sacri , niuno
facea guerra , abitarono quivi alcun tempo : ma poiché
si avvidero che eran di aggravio, non bastando la terra
a nutrire tutti in comune, se ne involarono, mossi dal-
r oracolo che ordinava loro di navigare in verso la Ita-
lia , allora chiamata Saturnia. E fatto apparecchio in
copia di navi, passarono il mar Jonio, procurando giun-
gere in parti presso la Italia. Ma pel vento di mezzo-
giorno , e per la imperizia de’ luoghi , portati più oltre
capitarono ad una delle bocche del Pò chiamata Spi”
itelo e quivi lasciarono le navi, e la turba meno idonea
ai travagli con un presidio , per avervi una ritirata , se
i disegni non riuscivano. Or questi rimanendo in quella
regione circondarono di muro il campo dell’ esercito ,
cd introdussero colle navi copia di vettovaglie. E poi
che videro succedere loro le cose come voleano , fab-
bricarono una città coLnome appunto della- bocca del
fiume. Quindi prosperando più che tutti su le spiagge
dell’ Jonio , e prevalendo lungo tempo sulle onde , por-
tarono quant’ altri mai, decime vistosissime in Delfo alla
Divinità , de’ beni tratti dal mare. Da ultimo però ve-
nendo amplissima guerra su loro da’ barbari intorno ,
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32 DELLE Antichità' romase
losciarono la città , donde anche i barbari furono dopo
nn tempo cacciati da’ Romani. Cosi mancarono i Pela
minandola da Larissa , metropoli loro nel Peloponneso.
Delle altre città ne resta pure alcuna fino a miei giorni,
quantunque variati spesso gli abitatori: ma Larissa è di-
strutta già (la gran tempo : nè presenta dell’ antica esi-
stenza altro segno più manifesto che il nome , e nem-
meno questo è noto a moltissimi. Era non lontana dal
foro chiamato Popilio. Finalmente possederono , toglien-
doli a Sicoli , molti altri luoghi entro terra , o lungo
la spiaggia.
XIII. I Sicoli ornai non più valevoli a resistere ai
Pelasghi ed agli Aborigeni, riunendo i figli e le mogli
e quanto aveano di moneta in oro ed argento, si leva-
rono in tutto da quella terra. Ripiegatisi a’ monti verso
del mezzogiorno , e trascorsa tutta l’ Italia inferiore ,
siccome dovunque erano discacciati , apparecchiarono in
fine delle barche nello stretto , e notandovi il flusso e
(piando era fausto , passarono dalla Italia in su l’ isola
vicina. Allora i Sicani , Spagnuoli di origine , la poue-
devano , nè da gran tempo vi erano stati ammessi, cer-
cando uno scampo dai Liguri; e già per essi era detta
Sicania l’isola un tempo chiamata Trinacria^ per la fi-
gura sua di triangolo. Non molti erano in questa gran-
d’isola gli abitatori; ma la più gran parte vedeasi ancora
deserta. Giunti i Sicoli ad essa , ne abitarono su le
prime i luoghi occidentali , e mano a mano più altri ,
talché l’isola ne fu detta Sicilia. Cosi la gente de’ Sicoli
abbandonò la Italia ', tre generazioni , come Ellanico di
Lesbo scrive , prima delle cose trojane , correndo in
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36 DELLE Antichità’ romane
Argo r anno vigesimo sesto del sacerdozio di Alcione.
Perciocché stabilisce due passaggi fatti dalla Italia nella
Sicilia il primo degli Elimei cacciati dagli Oenotri , e
l’altro dopo cinque anni degli Ausoni, che fuggivano i
Japigi. Dice che re di questi fu Sicolo , donde ebbero
il nome gli uomini e 1’ isola. Filisto però di Siracusa
scrisse che 1’ anno di quella discesa fu 1’ otuntesimo in-
nanzi la guerra trojana: e che non Sicoli, non Ausonj,
non Elimei , ma Liguri furono gli uomini trasportati
dalla Italia , conducendoli Sicolo , figliuolo di Italo , e
che dalla signoria di quello furono Sicoli nominati. La-
sciavano i Liguri le patrie terre , astrettivi dagli Umbri
e da’ Pelasghi. Antioco di Siracusa non distingue il
tempo del tragitto; ma Sicoli dichiara quelli che tra-
gittarono, premuti dagli Oenotrj e dagli Umbri, piglia-
tosi nel trasmigrare Sicolo per condottiero. Tucidide
scrive che Sicoli furono i profughi , e Opici quelli che
li fugavano , per altro molti anni dopo la guerra di
Troja. E queste sono le cose che affermansi da uomini
riguardevoli intorno de’ Sicoli , passati dalla Italia nella
Sicilia.
XIV. Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia
e bella , ne ebbero pur le città ; poi fondandone altre
ancor essi , crebbero presto e molto in forze , in ric-
chezze , ed altri beni ; non però ne goderono lungo
tempo. Ma sembrando floridi troppo per ogni parte fu-
rono sbattuti dall’ ira de’ celesti , e quali ne perirono
per divine calamità , quali pe’ barbari confinanti : e la
parte più grande ne fu dispersa tra’ barbari , o nuova-
mente Ira’ Greci , e lungo ne sarebbe il discorso se per
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tninuto seguissi un tal fatto. Pochi ne sopravanzaronc
nella Italia per cura degli Aborigeni. Parve alle città
che la origine prima di un tale struggersi di famiglie
fosse la siccità che intristiva la terra, talché non restava
frutto alcuno Gno al maturarsi negli arbori; ma innanzi
tempo cadevano 5 nè i semi che sbucciavano in germi,
vegetavano Gnchè le spighe floride si empiessero nei
tempi naturali , nè bastavano i pascoli alle greggio. Non
più le fonti eran atte a toglier la sete , guaste , impic-
ciolite o spente dagli estivi calori. Consentivano con ciò
le vicende delle bestie e delle donne nel generare : e
quale sconciavasi in aborti , e quale dava Agli , morenti
nel parto , o fatali nell’ utero ancora alle madri. Se
scampavano 1 pericoli del parto , mutili , o storpi , o
manchevoli per altro disagio , non eran’ utili , onde si
allevassero. L’ altra moltitudine poi , specialmente la più
vegeta era colta da mali, e da morti frequenti più del-
r usato. E consultando l’ oracolo per quale violazione di
genj o di Nomi questo patissero , e per quali pratiche
mai fosse da sperare una calma in tanti orrori, udirono
ciò essere perchè esauditi ne’ loro desiderj , non aveano
penduto quanto promisero ; ma dovevano ancora agli
Dei cose preziosissime. Imperocché li Pelasghi l’idotti a
penuria di ogni cosa nelle loro terre , si votarono a
Giove , ad Apollo , ed ai Cabiri (i) di santiGcare ad
essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella pre-
ghiera presero ed offerirono agli Dei parte delle messi
e de' frutti , quasi votati si fossero per questo soltanto.
(i) Forte Castore e Polluce. E certo che erano Dei di Sanietracia.
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38 DELLE Antichità’ romane
Mii'silo di Le$bo scrive ciò quasi con le parole medesi-
me , toltone , che egli chiama Tirreni e non Pelasghi
quegli uomini , di che dirò più sotto le cause.
XV. Ascoltato 1’ oracolo non sapevano interpretarlo.
Fra dubbj loro un più vecchio, raccogliendone i sensi,
disse che erravano affatto , se credevano che gli Dei li
punissero a torto : volere il diritto ed il giusto , che si
desse loro la primizia di tutto : nondimeno aspettavano
ancora parte della generazione degli uomini , cosa più
che tutte ad essi accettissima: se avessero questa, l’ora-
colo sarebbe adempito. Parve ad altri che costui parlasse
rettamente ; ad altri che tendesse delle insidie. E pro-
ponendo un tale che s’ interrogasse il Dio se gradiva
che si facessero per lui le decime , ancora degli uomini ;
inandarono i sacri vati per questo , e rispose che si fa-
cessero. Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di de-
cimarsi : e prima surse a vicenda tra’ capi della città ;
poi l’altra moltitudine prese i suoi magistrati io sospetto:
nè già sollevavansi con regola alcuna, ma come per en-
tusiasmo e per divino furore. Cosi molte case furono
abbandonate, trasmigrandosi parte di essi, nè sostenendo
gli attenenti di essere abbandonati dai loro carissimi , e
restarsene tra i più crudi nemici. Primi questi levandosi
dall’ Italia errarono per la Grecia, e molto tra’ barbari:
quindi ancor altri incorsero ne’ mali medesimi , conti-
nuandosi ogni anno la decima. Nè i magistrati la so-
spendevano , ma sceglievano le primizie de’ giovani più
robusti pe’Numi, quantunque nel proposito di soddisfare
agli Dei , temessero i moti di chi usciva a sorte per
vittima. Erano ancora non pochi espulsi dagli avversar)
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LIBRO I. 3^
per nimiclzia , lutto che sotto specie di oneste cagioni.
Laonde spessissime furono la partenze ; e la gente Pe-
lasga errò dispersa in più terre.
XVI. Erano i Pelasghi , vivendo in mezzo a genti
bellicose tra cure e pericoli , divenuti assai buoni nelle
armi , e più ancora nella nautica per avere coabitato
co’ Tirreni. La necessiti che ne’ stenti della vita ispira
coraggio, fu loro maestra e direttrice in tutti i cimenti.
Perciò non difUcilmente dovunque ne andavano vince-
vano. Erano chiamati ad un tempo Pelasghi e Tirreni
dagli altri uomini si pel nome delia regione donde par*
ti vano , come in memoria della origine antica. Ora io
dico ciò perchè alcuno udendoli chiamati Pelasghi e
Tirreni da’ poeti e dagli storici , non meraviglisi come
abbiano ambedue le denominazioni. Tucidide in Atte
di Tracia fa menzione di loro e delle città che vi era*
no , abitate da uomini bilingui : e questo è il dir suo
su’ Pelasghi. Ivi sono de Calcidesi , ma i più sono
Pelasghi , cioè que’ Tirreni che abilarono un tempo
Lemno ed Atene. E Sofocle nel dramma suo dell’ I-
naco fa questi versi detti dal coro :
Inaco genitor, figlio de' fonti
Bel padre Oceano, assai splendendo , reggi
Le terre d’ Argo e di Giunone i colli
E i Tirreni Pelasghi.
Quindi il nome de’Tirreni risuonava in que’ tempi nella
Grecia : e tutta la Italia occidentale lo assunse ancora
per sé , lasciando i nomi speciali de’ suoi popoli. Oc-
corse già pari vicenda nella Grecia e nella regione ora
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4° DELLE ANTICinTA’ KOMA!SE
detta Peloponneso: giacché dagli Achei, che eran Tuno
de* popoli che v’ abitavano, fu detta Acaja tutta la Pe«
nisola ov’ erano gli Arcadj , c li Jonj , ed altre nazioni
non poche.
XVII. L' epoca nella quale cominciarono i Pelasghi
a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi
la guerra di Troja, e durarono, direi, dopo ancora di
questa 6nchè si ridussero ad un gruppo di gente. E ,
salvo la città di Crotone , famosa nell’ Umbria , e tale
altra, se pur v’ ebbe, data loro ad abitare dagli Abori-
geni , perirono tutte le rimanenti de’ Pelasghi. Crotone
serbò lungo tempo l’antica sua forma, ora non è molto,
ha mutato nome ed abitatori , e divenuta colonia ro-
mana, si chiama Cortona (i). Varj poi furono c molti
che occuparono le sedi abbandonate da’ Pelasghi secondo
che ciascuno vi confinava ; ma le migliori e le più si
rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’ è chi li dice
naturali d’ Italia e chi forestieri. E quei che li stimano
propri della regione , affermano che si diè loro quel
nome per gli edifizj sicuri , che essi i primi di quanti
vi erano, si fabbricarono : imperocché le abitazioni con
muri e con tetto son tirseis chiamate dai Tirreni come
da’ Greci. Cosi pensano imposto loro quel nome per
accidente come nell’ Asia ai MosinIcI dalle mosine che
sono le case di legno abitate da essi , altissime in for-
ma di torri.
XVIII. Ma quelli che favoleggiano che i Tiireni
sono stranieri , additano un tale, detto Tirreno, che fa
(i) Ssronito altri Cotorni'n ■
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LIBRO I. 4 1
duce della colonia , e dal quale ebbe nome la nazione.
Dicono che originario fosse di Lidia , chiamata già
Meonia; e che da indi antichissimamente si trasmigrasse;
e che egli fosse il quinto dopo di Giove. Imperocché
narrano che da Giove e dalla terra nacque Mani , il
primo a regnare in que’ luoghi : che da questo e da
Calliroe. figlia dell’ Oceano nascesse Coti ; che da Coti
sposatosi con Alle , figlia di Tulio , uomo paesano ,
germinassero due figli Adie ed Ati : che da Ati e da
Callitea figliuola di Coreo sorgessero Lido e Tirreno :
e che Lido rimastosi in que’ luoghi succedesse al regno
paterno , e Lidia lo denominasse dal suo nome ; ma
che Tirreno fattosi duce di una colonia occupò gran
parte d’Italia, Tirreni chiamando il luogo, e quanti lo
seguitarono. Erodoto però dice che Tirreno nacque da
Ati figlio di Manco , e che P andarsene de’ Meonj nel-
r Italia non fu volontario. Imperciocché narra che re-
gnando Ati si mise la penuria tra Meonj : che gli uo-
mini ritenuti dall’ amore della regione si argomentarono
in più modi a vincer quel male , taluni di colla parsi-
monia , e tal altri con 1’ astinenza : ma che prorogan-
dosi la sciagura , tutto il popolo diviso in due , decise
per le sorti chi dovesse di là trasmigrarsi , e chi rima-
nere y e che perciò 1’ un figlio di Ati si stette , parten-
dosi r altro : la moltitudine che pendeva da Lido trasse
colle sorti il suo meglio , e si stette ; ma 1’ altra pi-
gliando quanto le si dovea per le sorti in danaro , na-
vigò verso r occidente d’ Italia , e postasi dove erano
gli Umbri , vi fondò città che duravano ancora al suo
tempo.
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42 «ELLE Antichità’ bomane
XIX. Ben so che altri non pochi scrissero , ap-
punto come io scrissi , della origine de’ Tirreni ; ma
che altri ne variano il fondatore ed il tempo. Imperoc-
ché dissero alcuni che Tirreno era figlio di Ercole e
di Onfale Lidia : che venuto questo in Italia , espuke i
Pelasghi dalle loro città , non però da tutte , ma da
qnelle poste di là del Tevere su le parti boreali. Altri
però ci fan vedere in Tirreno un figliuolo di Telefo
venuto in Italia dopo la rovina di Troja. Zanto lidio
perito quant’ altri mai delle storie antiche , e creduto
nelle patrie non inferiore a niuno, nè mentova in parte
alcuna de’ suoi scritti un tirreno signore de’ Lidj , nè
conosce passaggio alcuno de’Meonj nella Italia, nè parla
mai de’ Tirreni come di Lipia colonia, sebbene parlasse
di cose ancora bassissime. Dice che Ati generò Lido e
Toribo , che dividendosi il regno paterno si rimasero
ambedue nell’ Asia , c che diedero il nome loro a’ po-
poli su’ quali comandavano. Imperocché scrive: da Lido
si fecero i Lidj , e da Toriho i Toribi 5 poco d’ am-
bedue differisce l’ idioma , e gii uni , come li Jonj e li
Doriesi , usano a vicenda le parole degli altri : Ellanico
di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi as-
sunsero il nome che or hanno , quando abitarono la
Italia ; imperocché nel suo Foronide (i) scrive , da
Pelasgo re loro , e da Menippe figliuola di Peneo
nacque Fraslore , da questo surse Amintore , che
diede Teutamide , e da Teutamide ebbesi Nanas j
regnando il quale i Pelasghi , profughi dalla Grecia
(1) Opaieolo di Ellaaieo; ne fa meniione Ateneo nel lib. 9.
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LIBRO I. 4^
lasciarono le navi dove il fiume Spineto esce nel mare
Ionio (i), ed invasero entro terra la città di Crotone;
e di là movendosi fondarono quella che Tirrenia ora
si chiama. Mirsilo sponendo come Ellauico le altre co-
se , dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profu-
ghi dalla patria , furono detti Pelasghi per certa somi-
glianza loro con le cicogne, pelarghi chiamate; giacché
passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari:
aggiunge che essi alzarono il muro detto Pelargico in-
torno la rocca di Atene.
XX. A me però sembra che s’ ingannino quanti si
persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che
una gente ; perciocché non è meraviglia che alcuni ab-
bian talvolta il nome di altri , mentre in pari vicenda
incorsero ancora altri popoli greci o barbari come i
Trojani ed i F rigi , perchè prossimi di regione. Eppure
molti fanno di questi due popoli Un solo, quasi distinti
di nomi, non di lignaggio. I popoli poi d’Italia, nom«
meno che quei d’altri luoghi , furono confusi ne’ nomi.
E v’ ebbe un tempo quando Latini , Umbri , Ausoni , e
molti altri si chiamavano Tirreni da’ Greci ; riuscendo
ogni ricerca di questi men chiara per la lontananza di
que’ popoli : anzi molti degli scrittori pigliarono Roma
ancora per città de’ Tirreni. Io dunque penso che que-
ste genti mutassero il nome , variandosi fino il vivere :
non penso però che una fosse la origine di ambedue ,
per molte cagioni , e più per le voci loro non simili ,
(i) Qui si estende il nome di ionio all’interno dell’ Adriatico.
Spesso gli storici antichi cosi praticarono contro 1’ uso de’ geografi
che distinguono 1’ uno dall’ altro mare.
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44 BELLE A^TICHITA’ ROMANE
ma diversissime. Imperciocché nè li Crotoniati (i) come
scrive Erodoto , nè li Piaciani ne’ proprj luoghi parlan
la lingua dei circonvicini ; ma una ne parlano tutta lor
propria; donde è manifesto che serbano i caratteri del-
r idioma che aveano quando in que’ luoghi si traslata-
rono. Meraviglisi poscia chi può che li Crotonlati somi-
glino nell’ idioma al Piaciani , popoli ne’ lidi dell’ Elle-
sponto , nè somiglino intanto a’ vicini Tirreni. Erano
que’ primi ambedue Pelasghl ne’ principj loro : e se la
unità di origine prendesi per causa della uniformità nei
linguaggi ; dunque la differenza di origine è pur causa
del divario di essi ; non dando un principio medesimo
contrarj gli effetti. Certamente , se avvenga , ben è ra-
gionevole quello , cioè che uomini di una gente mede-
sima domiciliatisi lontani fra loro non conservino i ca-
ratteri de’ proprj idiomi per lo conversar col vicini; ma
che poi negl’idiomi non somiglino popoli di una origine
istessa , e d’ istesse contrade, ciò non è ragionevole per
ninna maniera.
XXI. Seguendo tali indizj convincomi che differi-
scono i Pelasghi dai Tirreni ; nè credo i Tireeni un
tralcio de’ Lidj ; perocché nè parlano la lingua mede-
sima , nè può dirsi che se non la parlano , ritengono
almeno alcuni vestigi della teiTa materna , nè tengono
per IdJj que’ che da’ Lidj si tengono ; nè li somigliano
per leggi o per abitudini , ma in ciò dai Lidj si diver-
sificano più , che da’ Pelasghi. Pertanto sembrano più
verisimili quelli , che dicono un tal popolo , naturale
( I ) Cortoncsi .
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LIBRO I. 4^
della contrada , non venutovi altronde : pérciocchè si
rinviene antico in tutto ; nè simile ad altri nel parlare ,
o nel vivere : e niente ripugna che avesse un tal nome
da’Greci o per le abitazioni fortissime (i) o per l’uomo
ancora che li dominava. Ma i Romani con altri nomi
li chiamano Etruschi dalla Etruria , regione dove un
tempo abitarono : ed ora li dicono Toschi men pro-
priamente , avendoli come i Greci , nominali prima con
più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie
del culto divino, nelle quali sorpassano lutti, Que’ po-
poli inoltre distinguono sè stessi dal nome di Rasenna
r uno già de’ loro comandanti. Sarà poi dichiarato in
altro libro quali città fossero abitate dai Tirreni e con /
quali forme di governo , quanta fosse di tutti insieme
la potenza , e quali , se pur degne ne ebbero di ricor-
danza , le azioni ne fossero , e le vicende. 1 Pelasghi
che non perirono , nè si disgiunsero per fare colonie ,
si rimasero, pochi di molti, con gli Aborigeni , sotto
le leggi de’ luoghi ne’ quali si lasciavano , e ne’ quali col
volger degli anui i posteri loro fondarono Roma. E tali
sono le novelle intorno de’ Pelasghi.
XXII. Dopo non molto tempo , nell’ anno , al più ,
sessantesimo come narrano i Romani , prima della guerra
trojana , capitò ne’ luoghi medesimi un’ altra spedizione
di Greci la quale abbandonava il Pallanteo , città del-
r Arcadia. Il duce erane Evandro , figlio di Mercurio ,
e di una ninfa , abitatrice di Arcadia. I Greci la ten-
gono per ispirata da’ Numi , e la chiamano Temide ;
(i) Tirseis delle di *opa J xvii.
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46 DELLE Antichità’ romane
ma Carmeiita è delta nella patria lingua da’ romani
che scrissero le antichità di Roma: perocché la ninfa
avrebbesi a dir propriamente Tespi-ode con greca pa-
rola : ma le odi chiamansi carmi da’ Romani , e quindi
è Carmenta : si consente poi che tal donna presa dallo
spirito divino presagisse , cantandole , le cose avvenire
ai popoli. Non venne quella spedizione di comun senti-
mento; ma nata sedizione del popolo, la parte inferiore,
di voler suo si spatriò. Dominava di que’ tempi su gli
Aborigeni Fauno, un discendente come dicono di Marte,
uomo di azione e di prudenza , e riverito da’ Romani
con sagrifìzj e con inni come un genio del loco. Ricevè'
costui con assai benevolenza gli Arcadi che erano po-
chi , e diede loro della sua terra , quanta ne vollero ;
ed essi , come Temide gli avea , vaticinando , ammae-
strati , presero un colle poco lontano dal Tevere , il
quale ora è nel mezzo di Roma , e tanto vi fabbrica-
rono , che bastasse alle genti venute con le due navi
dalla Grecia. Era questo il principio segnato dai. destini
per formare col volger degli anni una città , non pareg-
giala mai da greca o barbara città per grandezza di
abitazioni, di comando, e di ogni bene, e certamente
memorabile soprattutto finché dureranno i mortali. Pal-
lanteo chiamarono quel fabbricato come la metropoli
loro in Arcadia: ora Palagio è detto da’ Romani per la
confusione che inducono i tempi ; e ciò diede a molti
la occasione di stolte etimologie.
XXIIl. Dicono molti , e tra questi Polibio di Me-
galopoli , che quel nome viene da Pallante, un giovi-
netto ivi morto , nato da Ercole e da Cauna la 6glia
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LIBRO I. 4?
di Evandro: perchè facendogli questo avolo materno in
quel colle un sepolcro , chiamò ' Pallanteo , quel luogo
dal giovinetto. Io nè mirai in Roma la tomba di Fal-
lante , nè conobbi che vi si praticassero funebri onori ,
nè potei conoscere nulla di slmile : quantunque la fami-
glia di lui non sia dimenticata , nè priva del culto col
quale i semidei sono venerali dagli uomini. Perocché
vidi che i Romani faceano gelosamente ogni anno pub-
blici sacriGzj ad Evandro e a Carmenta, come agli altri
genj ed eroi : e vidi gli altari dedicali a Carmenta appiè
del Campidoglio presso la porta carmentale , e quelli
dedicali ad Evandro appiè dell’ altro colle detto Aven-
tino , non lungi dalla porta trigemina ; nè vidi intanto
cosa ninna di queste latta inverso Fallante. Gli Arcadi
i quali coabitavano appiè del colle, eressero pure altri
monumenti nelle forme della patria , e santi riti v’ isti-
tuirono ; ma per ispirazione di Temide, innanzi lutti a
Pane Liceo , Nume il più antico e più riverito tra quelli
di Arcadia , in sito idoneo , che i Romani chiamano
Lupercale , e noi diremmo Liceo. Ora empiuto essen-
dosi di abitazioni il suolo intorno ; non è facile rintrac-
ciarne la natura del luogo. Era questo , come dicono ,
appiè del colle, una spelonca, vetusta , grande, coperta
da una querce, ramosa qual bosco : profonde bulicavano
le fonti abbasso delle pietre ; e lo spazio appresso ai
dirupi era opaco per arbori , altissime e folte. Qui col-
locando un altare a quel Nume compierono il patrio
sagriGzio , che i Romani , non mutando cosa alcuna
delle antiche allora fatte, ripetono ancora di presente
dopo il solstizio d’ inverno nel mese di febbrajo. La
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48 DELLE Antichità’ romane
maniera del sagrìGzio sarà detta più innanzi. Ergendo
poi su le cime del colle un tempio alla Vittoria, stabi-
lirono in questo ancora annui sagriGzj che i Romani
tributano ancora.
XXIV. Gli Arcadi favoleggiano che questa sia figlia
di Fallante generata da Licaone : e Minerva , fece , che
ricevesse da’ mortali gli onori che le si rendono ; impe-
rocché fu essa educata colla Dea , giacché la Dea nata
appena fu consegnata da Giove a Fallante, e presso lui
fu nudrita finché ascese alle stelle. Fondarono ancora
un tempio a Cerere ed il sagrifizio, che faceano le donne
ma non usate al vino , com' era la pratica de' Greci :
nel che 1’ andare del tempo non ha cagionato muta-
zioni , fino a miei giorni. E Nettuno Ippio ebbe pure
il suo tempio e le feste , dette Ippocratie da’ Greci ,
ma ConsucUi da' Romani: e Roma in esse libera per
uso dal travaglio cavalli e muli, e ne incorona le teste
di fiori. Consecraronu similmente altri tempj , altri al-
tari, altri simulacri, costituendo purificazioni e sacri-
fici , ritenuti ancora ne’ modi medesimi. Né già sarei
meravigliato se alcune di queste cose neglette , come
antiche troppo , non avessero più ricordanza tra’ po-
steri : nondimeno le consuetudini presenti danno ancora
assai da congetturare su’ riti arcadici d’ allora , de’ quali
diremo altrove più pienamente. Dicesi che gli Arcadi
recassero i primi nella Italia 1’ uso delle lettere greche,
note ad essi da poco , e la musica della lira , della ti-
bia e del trigono , non sonandosi ivi altri armonici
stromenti che le sampogne de’ pastori : e dicesi che vi
introducessero le leggi , vi raddolcissero le maniere del
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LIBRO I. 49
vivere , 6ere in gran parte , e che vi diflondessero le
arti , e le istruzioni , ed altre utili cose in gran nume*
ro« onde assai ne furono rispettati dagli ospiti. Questa
greca moltitudine , seuouda dopo i Pelasghi , giunta
nella Italia ebbe comune 1’ abitazione con gli Aborigeni
in uno de’ bonissimi luoghi di Roma.
XXV. Pochi anni dopo degli Arcadi vennero nella
Italia altri Greci, guidati da Ercole il quale avea do-
mato la Spagna , e le parti , fiu dove il sole tramonta.
Alcuni di loro , implorato da Ercole il congedo dalla
milizia , si fermarono in questi luoghi ; e trovando un
colle opportuno , lontano al più tre sladj dal Pallanteo,
vi si accasarono : chiamalo alloca Saturnio , o Crònio
come i greci direbbono , ora si chiama Capitolino.
Erano quei che rimasero per la più parte del Pelopon-
neso , io dico i F enueati , e gli Epei della EUide , di-
samorati di viaggiare in verso la patria, perchè deva-
stata nella guerra con Ercole. Mescolavansi ad essi al-
cuni de’ Trojani &tti prigionieri quando Èrcole prese
già Troja , regnandovi Laomedonte. E pormi che in quei
luogo si annidassero ancora tutti di quell’esercito , quanti
o stanchi dalla fatica , o dal rigirarsi ottennero levarsi
dalla milizia. Alcuni , come ho detto , stimano antico il
nome del colle ; tanto che gli Epei gli si affezionarono
nommeno in memoria del colle , Gronio chiamato nella
Elide in su le terre di Pisa lungo le rive dell’ Alfeo.
Gii Elicsi riputando quel poggio loro sacro a Saturno
vi si adunano in fìssi tempi, e l’onorano con sacriGzj
e con altro colto. Nondimeno Eusseno , ed altri mitologi
VIOlfJGT , tomo I. i
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5o nr.LLE Antichità’ romane
Italiani pensano che i Pisani per la simiglianza del Cro-
mo loro dessero il nome anche all’ altro : che gli Epei
con Ercole erigessero a Saturno l’ altare che trovasi alle
falde del colle presso la via che mena dal Foro al
Campidoglio : e che essi istituissero il sagriCzio che i
Romani v’ immolano ancora con greche cerimonie. Ma
io , paragonando , trovo » che prima della venuta di
Ercole nella Italia quel luogo era sacro a Saturno , e
Saturnio chiamavasi da’ terrazzani : e che tutta 1’ altra
regione, che ora dimandasi Italia, era dedicata ancor
essa a quel Nume, e Saturnia nominavasi dagli abitanti,
come trovasi detto nelle risposte date dalle sibille o da
altri Iddii. Eid in molti luoghi di questa sonovi de’tempj
alzati a quel Nume , ed alcune città da lui si denomi-
nano , come allora tutta la Italia: e portano ancora il
nome del Dio molti luoghi, singolarmente i monti e le
rupi.
XXVL Col volger degli anni fu detta Italia per un
uom potentissimo , Italo nominato. Antioco di Siracusa
lo dipinge per uomo destro e filosofo , il quale convin-
cendo molti popoli col dire e molti colla forza, ridusse
in poter suo quanto v’ è tra ’l golfo Napitino (i) e
quello di Scilla : e quel tratto fu il primo che Italia
da Italo si dicesse. Dopo ciò scrive che divenuto più
forte, fece che molti altri gli ubbidissero; perocché
mise il cuore su’confinanti , e ne prese molte città: e
scrive finalmente eh’ egli era Qenotro di nazione. Ella-
(l) Cluverio in tini. Aniiq. I. IV crede die deliba Irgf’ersi La-
me/in* in Tece di IVrpitino. Filoguno k di parere die Lamet città
di Lucania desse nome a questo golfo.
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MBRO J. !) I
iiko di Lesbo narra die Ercole coiiJucevasi i bovi di
Gerione alia volta di Argo , ma che essendo già nell' I-
talia il tenero figlio di una vacca spiccossegli dall’ ar-
mento , e profugo vi errò da per tutto ; finché solcalo
il mare interpostp giunse nella Sicilia : che cercando
Ercole quell’ animale , e chiedendo ovunque capitava ,
se alcuno lo avesse veduto de’ paesani , siccome poco
intendevano il greco , e da’ segni lo chiamavano come
aneli’ oggi si chiama nella patria lingua vitello ; cosi
Vilalia chiamò tutta la regione da questo percorsa.
Non è poi meraviglia che uu tal nome si tramutasse
com' è di presente ; mentre tanti greci nomi eziandio
subirono pari vicende. Ma , sia che prendesse quel no-
me , come dice Antioco, dal condottiero, il che forse
è più probabile , sia ebe dal vitello come pensa Ella-
nico ; raccogliesi da ambedue che lo prese intorno ai
tempi di Ercole , o poco prima ; essendo chiamala iu-
nanzi Esperia ed Ausonia dai Greci , e Saturnia da
[laesani , come di sopra fu detto.
XXVII. Coutasi ancora tra qne’ popoli la novella
ebe innanzi al principato di Giove ivi Saturno regnasse:
e che tra loro più che altrove si avesse quella vita sì
famosa , beata per tutti i beni , quanti le stagioni ne
apportano. Ma se alcuno risecando ciocch’è di favoloso
nel discorso , vaglia Intenderne la bontà di quella
gioite , dalla quale il genere umano , sorto di recente
dalla terra , come è vecchia fama , o d’ altronde , ne
raccolse vantaggi moitissiini , e giocondissimi ; non tro-
verà [>cr tal fine suolo pili acconcio di questo. Iiiipe-
rocciiè se paragonisi una terra con altra di eguale gran-
5-2 DELLE Antichità’ romane
àezza , T Italia pei* mio giudizio è la migliore neU' Eu-
ropa, e dovunque. Non ignoro clie io sembrerò dir cose
incredibili a molti, i quali risguardano l’Egitto, la Li-
bia , e Babilonia , e quante altre vi sono beate contrade:
ma io non pongo la ricchezza della terra in una specie
sola di prodotti , nè invidierei di abitare dove pingui
sono le campagne , nè vi si scorge altro bene se non
tenuissimo: ma quella regione chiamo la migliore la
^ale sia bastantissima a sé Stessa, e che meno abbisogni
deir altrui. Sono poi persuaso che la Italia paragonata
con altra qualunque, appunto sia la terra datrice di ogni
frutto , e di ogni utile*
XXVIII. E certamente, se comprende campagne fe-
lici e molte , non perchè madre è di messi , è men
propizia per gli arbori : e se vale assai per ogni genere
di alberi, non perchè tale, è poco ubertosa^ nel semi-
narvi: o s’ è bonissima per ambedue questi usi, non per
questo è men propria pe’ bestiami : nè perchè varia si
dimostri ne’ prodotti e ne’ pascoli è disamena poi se vi
si abita. Ma direi che di ogni agio soprabbonda e di
ogni diletto. E qual terra mai frumentaria vince le terre
dette della Campania, bagnate dalle acque non de’fiumi,
ma del cielo f Io vi contemplai campagne che davano
tre raccolte nudrendo dopo i semi del verno , quelli
per la state , e dopo gli estivi , gli altri in 6ne per
1' autunno. Quale coltivazione supera in olio quella dei
Messapj , de’ Daunj , de’ Sabini e di altri? Qual mai
suolo con vigne sorp rende più che il Tirreno, l’Albano
e il Falerno 7 il quale ama così le viti, che ne porge
col tnen di lavoro amplissimi frutti e bonissimi. Ma
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LIBRO I.
oltre le terre che si lavorano, ivi molte pur se ue tro-
vano, riservate per le capre e per le pecore ; ma più
mirabili ancora sono quelle da pascervi le mandre dei
cavalli e de’ bovi: imperocché soprabbondandovi l’erba
palustre c dei prati , e riuscendovi fresca e rugiadosa
nelle parti che si coltivano , dan pascoli senza limite in
tutta l’estate , e mantengono in fiore gli armenti. Qual
dolce spettacolo ivi sono le selve per balze , per valli ,
per colli non culti , e di qnale e quanto niateriale per
le navi e per altre operazioni ì Nè già cosa alcuna di
queste è dilTìcile ad ottenerla , nè rimota dall’uso degli ^
uomic» : ma tutte sono pianissime, e tutte facili a tras-
mettersi per la moltitudine de’ fiumi , i quali scorrono
tutta la regione : e li quali con utile vi agevolano i tra-
sporti e le permute dei prodotti della terra. Vi si tro-
vano ancora in più luoghi delie acque calde , propriis-
sime a’ bagni , e bonissime per le cure di mali diu-
turni. E metalli vi sono d‘ ogni genere , e cacce d’ani-
mali in copia , e mari fecondissimi , come pure altre
cose moltissime ; e più utili e più meravigliose. Benis-
simo soprattutto ne è 1’ aere per la dolce sua temperie
secondo le stagioni, e poco opponesi con calori o
freddi eccessivi al formarsi de’ fratti , ed al vivere degli
animali.
XXIX. Non è dunque da meravigliarsi che gli an-
tichi prendessero quella terra per sacra a Crono , o
Saturno; concependo che questo Dio vi fornisse , e sa-
ziasse i mortali d’ogni bene. Ma sia che chiamisi Crono
come da’ Greci, sia che Saturno (i) come da’Romaui;
(i) Stefano r fiasaubono credono ebr qui fosse nel testo K«^ac
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ìy!^ dkt.i.t; Antichità’ koma^e
•omprenJeitilo ciascuno di essi la natura tutta delle
cose ; tu lo nomina come più vuoi. Nemmeno è da
meravigliarsi cbe contemplando in quella ogni abbon-
danza e delizia , commoventissime cose , ne credessero
ogni luogo più acconcio , degno degli Dei , com' era
de’ mortali ; e li monti e le selve si ascrivessero a Pane,
i prati e floridi luoghi alle ninfe , e le rive e le isole ai
geuj marini , ed ogni altra parte ad un genio o a un
Dio , come più couvenivagli. È fama che gli antichi im-
molassero a Crono umane vittime , come in Cartagine ,
^ mentre esistè , come tra’ Celti , e come in mezzo di
altri occidentali ; e che Ercole volendo precludere U
barbarie di quel sacrificio, innalzasse l’ altare nel colle
Saturnio, e facesse che vittime pure vi si ardessero con
puro fuoco. E perchè que' popoli non sen corucciassero
quasi spregiasse i patrj sacrifizj, è fama die gli ammo-
nisse a placare l’ira di quel Nume; e piuttosto che gli
uomini gettare nel Tevere legati nelle mani e ne’piedi ,
a gettarvi i simulacri loro , vestiti appunto com’ essi.
Egli serbava una immagine degli antichi costumi , per-
chè si sterpasse alfine, quanta superstizione, ' restava an-
cora ne’ cuori. Conservavano i Romani tal pratica ancor
ucl mio tempo , rlnovandola poco appresso all’equinozio
di primavera nel mese di maggio nelle idi che chia-
mano, le quali vogliono che ricorrano il giorno aj>-
punto , cbe è il ipezzo del mese della luna (i). In questo
il che «linde > «azieti , e bcDÌssiraa corrisponde alla pa-
rola Ialina di Saturno i e perh di sopra abbiamo usala il verbo sa-
ziata. Crono poi non h che il tempo ; cd il tempo lutto prepara , a
di tallo ioruiicc ^li iiooiini col suo corso.
(i) 1 fiamapi «Inp» \nraa regolavano l’anuo sul corsa delia Urna,
*
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LIBBO I. DD
i ponteGci , vale a dire i primi tra’ sacerdoti , come le
vérgini , custodi del fuoco inestinguibile , i pretori , e gli
altri che esser possono all’ opera santa , dopo avere com-
piuti secondo la legge il sagriGzio , gettano del ponte
sublicio nel Tevere, trenta simulacri in forma umana
Argei (i) nominati. Ma de’ sagriGzj e delle altre divine
cerimonie^di Roma , nazionali o greche di maniere ,
diremo in altro libro ; richiedendo ora il subjetto che
più riposatamente seguitiamo Ercole nella sua venuta
in Italia, nè trasandiamo cosa da lui fattavi, degna di
lode. !
XXX. E su questo Dio diconsi delle cose , quali
più vere e quali più favolose : e cosi stanno le favolose.
Ercole , oltre gli altri travagli , comandato da Eurisleo
di condurgli da Eritea li bon di Gerione in Argo ,
tornando dalla impresa in sua casa , venne in molte
parti d’ Italia e della terra degli Aborigeni, prossima ai
Pallanteo. E trovandovi copioso e buon pascolo , vi
addusse i bovi, ed egli, quasi stanco dalle fatiche, die*
desi al sonno. Intanto un ladro paesano, Caco di nome,
capitò tra’ bovi , pascolanti senza custòde , e se ne in-'
vaghi. Ben conobbe che Ercole si riposava ; ma vide
che> nè puteali tutti involare occultamente , nè facile ne
sarebbe la impresa. Quindi ne ascose pochi solamente
ed il principio della nuora luna era principio insieme del nnoT»
mete. Di qui nasce che faceano combinare te idi di maggia c«l
plenilunio o col mezzo del mese lunare.
(i) Queste figure erauo di giuoco: si chiamavano Argei, qnsai
rappreseiilasscro tanti Argivi che si slarmioavann come nemici degli
Arcadi. *
56 DELLE Antichità’ eomane
nell’ antro vicino , dov’ egli vivea , traendoveli via via
retrogradi per la coda , perché vedendovisi le pedate
contrarie all’ ingresso , potesse render vano ogni argo-
mento sa di essi. Ma levatosi Ercole poco appresso , e
numerati i suoi bovi ; come vide che ne mancavano ,
dubitò su le prime, ove fossero andati , e li cercò mano a
a mano come erranti da’pascoli. Nè raggiungendoli ancora ;
venne alla spelonca sebbene sconsigliatovi dalle pedate ,
niente meno pensando , quanto che ivi ne ritroverebbe
il covile. Standone Caco dinanzi l’entrata, e richie-
stone , dicendo non averle vedute , nè volere che ivi
più si cercassero ; anzi convocando clamorosamente i
vicini , quasi patisse violenza dal forestiero ; Ercole ,
dubbioso in prima come istrigarsela , prende in fine a
' dirigere all’ antro ancor gli altri bovi. Ma non sì tosto
quegli da entro sentirono la nota voce e 1’ odore , la-
sciarono verso gli altri di fnora un muggito , e fu quel
muggito r accusatore del furto. Caco, vedutosi reo ma-
nifestamente , ricone alla forza convocando tutti i suoi
compastori. Ecco Alcide investirlo colla clava , ed ucci-
derlo e sprigionarne i suoi bovi: poi vedendo, com’era
la spelonca un refugio opportuno pe’ rubatori, la dirupò.
Quindi, parificatosi con Tonde del fiume dalla strage,
inalzò presso quel luogo a Giove ritrovatore un altare ,
ora visibile in Roma nella porta trigemina ; sacrifican-
dovi un vitello al Nume onde ringraziarlo su’ bovi ricu-,
perati. Roma porge ancora quel sacrificio, tutto con
greci riti , come Ercole lo istituì.
XXXI. Gli Aborigeni e quegli Arcadi che abitavano il
Pallanteo come seppero della morte di Caco , c mira-
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LIBRO I. 57
rono Èrcole , nemici già del primo per le rapine, siu>
pirano all’ aspetto del secondo , credendo non so che
divino in lui per la grande avventura sua nella vittoria.
I poveri tra loro spiccando ramnscelli di alloro , copioso
in que’luoghi , ne coronarono Ercole e sè stessi ; ed
accorrendo i loro monarchi lo invitarono ad ospizio.
Come poi dal dir suo ne conobbero il nome , il lignag-
gio , e le imprese ; prolferivano a lui per benevolenza
il i-egno e sé stessi. Ed Evandro che anticamente udito
avea da Temide stessa, volere il destino che Erctde, il
figlio di Giove e di Alcmena, cambiasse per la virtù la
natura mortale colla immortale , appena ravvisò chi egli
fosse, ansioso di prevenire tutti e di rendersi propizio
l’eroe con gli onori de’ Numi, alzò di repente con assai
cura un alure , sacrificandogli dove l' oracolo avea già
significato, un giovenco, intatto ancora di giogo, e
supplicandolo a ricevere da lui le primizie di un culto.
Meravigliatosi Ercole delle accoglienze , tenne il popolo
a convito, immolando parte de* bovi , e separando per
ciò le decime delle altre prede : poi donò a quei re
che assai Io bramavano , molte delle terre de’ Liguri ^
e di altri confinanti , cacciando da esse alquanti ribaldi.
Dicesi ancora che egli fe’ la ricerca , giacché i primi
de’ paesani lo tenevano per un’ Iddio , che gli perpe-
tuassero quegli onori , sagrificandogli ciascun anno un
giovenco non domo, e santificandone l’azione con gre-
che cerimonie : e dicesi che insegnasse queste a due
famiglie le più riguardevoli perchè vittime in tutto ac-
cette gli si offerissero: essere poi quelle de’Potizj e dei
Pinarj , le famiglie allora istruite del greco rito , e le
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.^8 DETXK antichità’ ROMANE
loro generaziout aver lungo tempo continuata la cam
de’ sagriiìzj , come v’ erano da colui depuute : talché i
Potizj erano i capi nella santa operazione , ed aveano
le primizie al bruciarsi delle vittime; laddove i Pinarj
non ammetteansi a parte delle viscere , e teneano sem-
pre i secondi onori nelle cose comuni ad ambedue. E
cagione a questi della onorificenza minore fu la tardanza
loro nel presentarsi; giacché comandati di venire sul far
del mattino , giunsero essendo già consumate le viscere.
Ora r incarico del santo ministero non è più de’ posteri
loro: ma di servi comperali dal pubblico. Dirò poi nel
suo luogo le cause per le quali il costume fu varialo ,
e le significazioni del Dio quando i santi ministri si
permutarono (i). L’ara ov’ Ercole offerì le sue decime,
chiamasi Massima da’ Romani , e trovasi presso al foro
detto boario , veneratissima , quanto altra mai , da’ pae-
sani : imperocché su questa fa patti e giuramenti chiun-
que vuole stabilità negli accordi ; e su questa si offrono
spesso ancora le decime a compimento de’ voti. Nondi-
meno un tale altare nelle fattezze è minore della sua
gloria. Vi ha de’ tempj di questo Nume altrove ancora
in più luoghi d’ Italia ; e gli'altari ne sono per le città
e per le strade: e diffìcilmente trovcrebbesi una popo-
lazione che non lo adorasse. E questo ci tramandan le
favole intorno di Ercole.
(i) Il testo ove DioDÌp spiegava tali cose è perito. Potrà veder-
seue ciocché ne scrive Livio oel libro nouo. Egli dice occorsa la
mutaiioDc quando Appio Claudio esercitava le funxinni di censore.
Allora in un anno perirono dei Potizj trenta tnaschj abili a rinovaro
le famiglie , a cosi la stirpe virile corse al suo termine.
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T.IBRO I, f)C)
XXXIL Ma il più vero è quest’ altro : e molti die
scrissero le imprese di lui , cosi nella storia lo delinca-
rono. Ercole divenuto potentissimo in arme tra tutti dei
suo tempo, e postosi con esercito numeroso scorse tutta
la terra cinta dall’ Oceano , levando , se ce ne aveano ,
qualunque tirannide, grave e molesta ai sudditi, e qua-
lunque impero di città contumelioso e nocevole agli altri
vicini colla condotta dura e colle uccisioni ingiuste degli
ospiti , e stabilendo monarchi onesti , governi savj , c
costumi socievoli ed umani. Scorse ancora tra’ Greci e
tra’barbari, neirinterno de’ mari e delle terre, in mezzo
popoli infidi , intrattabili : fondò città .su luoghi deserti,
diresse fiumi che inondavano i campi, aprì vie su monti
impraticabili , e mille cose fece onde i mari tutti e le
terre si comunicassero ogni vantaggio. Giunse finalmente
in Italia ma non già solo , nè con mandre di bovi ;
perocché non è questa regione in senti«‘o per chi viene
dalle Spagne in Argo , nè conseguito ci avrebbe tanti
onori per causa di un passaggio. Egli vi giungea dalle
Spagne conquistate, ma con esercito amplissimo per sot-
toporsela , e dominarvi. Se non che fu costretto a con-
sumarvi gran tempo, e perchè lontana era la sua fiotta,
stanti le bnrrasche ree dell’ inverno , e perchè le genti
d’ Italia , non tutte spontanee gli si abbassavano. E per
non dire di altri barbari , i Liguri , popolo numeroso e
guerriero, posto ne’ passi delle Alpi, tentarono d’impe-
dirgli colle arme 1’ ingresso nella Italia , e là s’ ebbero i
Greci battaglia fierissima , esaurendovi tutti gli strali.
Eschilo , poeta antichissimo , menziona questa battaglia
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6o
DELLE ANTICHITÀ ROMANE
nel suo Prometeo disciolto (i). Ivi inducesi Prometeo
(he presagisce ad Ercole non che le altre vicende ,
quelle che gli sovrastavano nella spedizione contro di
Gerione , e nella guerra co’ Liguri , certamente non fo-
cile : e questi ne sono li versi :
À fronte là de" Liguri starai.
Imperterrita gente : onta e rammarco
Non ti fa guerreggiarli , e per destino ,
Pugnanda , ti vedrai mancar gli strali.
XXXIII. Ma poiché , vincendo , s’ impadronì di quei
passi ; alcuni , specialmente se greci di origine , o non
valevoli a resistere , sottomisero volontai^' le loro città ;
ma i più vi furono astretti con le arme e con gli as-
sedj. Quanto ai vinti in battaglia, dicesi che Caco, quel
si noto per le favole de’ Romani , barbaro principe di
barbara gente , gli si opponesse perchè dominava luoghi
assai forti , il che lo rendeva molesto ancora ai vicini.
Costui poiché seppe che Ercole si accampava ne’ piani
contigui apparecchiatosi all’ uso de’ ladroni , appari con
subita scorreria su 1' esercito di lui che dormiva , e ne
involò le prede , quante ne erano senza guardia. i Ma
rinchiuso poscia per assedio da’ Greci che ne espugnavano
le fortezze , finalmente anch’ egli soggiacque , e nel
mezzo de’ suoi baluardi. 1 suoi castelli furono rovesciati;
ed i compagni di Ercole , Evandro con gli Arcadi , . c
Fauno con gli Aborigeni suoi pigliarono ciascuno per
(i) Eboliìlo sdisse il suo Proiueleo ignìfera, il suo Promeleo
legato, ed il Prometeo seioUo. Strabono nel lib. i , Ateneo nel 14
liarlarono dell’ ultimo. Il secondo ci resta ancora.
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LIBRO I.' 6l
9Ò parte delle terre del vinto. Ma ben può taluno im-
magnare che i Greci rimasti in quella regione furono
gli Epei , e gli Arcadi originar) della città di Feneo ,
e li Trojani, lasciativi a presidiarla. Perocché tra le arti
imperiali di Ercole fu pur quella nommeno sorprendente
che le altre , di sospingere tra le sue milizie uomini
divelti a forza dalle città conquistate , e di metterli al-
fine , se animosi combattessero , ad abitare le terre in-
vase , arricchendoli dell’ altrui. Per tali cagioni , e non
per II viaggio che niente area di rispettabile , il nome
e la fama di Ercole divenne grandissima nell’ Italia.
XXXIV. Aggiungono alcuni, che ne’ luoghi ora abi-
tati ^a’Komani egli vi lasciasse due suoi figliuoli gen^
retigli da due donne. Pallente era 1’ uno natogli da
Launa (i) la figlia di Evandro: Latino è l’altro, natogli
da una donzella boreale. Egli la conduceva seco dataci
dal padre in ostaggio , e custodivaia finché candida si
maritasse ; navigando però verso 1’ Italia ne fu vinto
dall’ amore , e la fecondò. Ma essendo egli ornai per
tornarsene in Argo concedè che si restasse sposa di
F anno , re degli Aborigeni ; e per tale cagione molti
tengono Latino per figlio di Fauno , e non di Elrcole.
Narrano che PaUante morisse nel fiore primo degli anni:
ma che Latino , adulto fatto , succedesse al comando
degli Aborigeni : e che venuto lui meno senza stirpe
virile , il regno , per la battaglia co’Rutòli confinanti ,
restasse al figlio di Anchise , vale a dire ad Enea, che
(i) Quesu nel S Zini, precedeatemente è chiamata Canna, ed ora
« chiama Launa. Forse non k che la tanto nota Lavinia detta da
Greci Launa, Labina, Laiinia , o Laouinia.
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63 DEixE Antichità- homane
iliveuae suo genero'; ma queste cose accaddero in altro
tempo.
XXXV. Ercole , ordinate come volea , le cose tutte
d’Italia, e giuntagli la flotta, salva dalle Spagne, ofTerl
con sagrifizio agl’ Iddii le dècime delle sue prede, e là ,
dove alloggiavasi la milizia navale , eresse una piccola
città , dandole il nome di sè stesso (i) , la quale ora
albergaci Romani, e giace tra Pompeiano e tra Napoli
con porto sicurissimo per ogni tempo. Cosi divenuto
tra gl’ Italiani simile ad un Dio per gloria , per emu>
lazione , per onori , fece vela per la Sicilia. Gli uomini
lasciali custodi ed abitatori dell’ Italia , là , d’ intorno al
colle di Saturno , si ressero un tempo da sè stessi : ma
non molto dopo compartendo i proprj costumi, le leggi,
i santi riti agii Aborigeni , come già fecero gli Arcadi,
e prima i Pelasgbi , divennero coudttadini degli Abo-
rigeni , talché sembrarono in (ine una gente medesima.
E questo sia dettò su la spedizione di Ercole nella Ita-
lia , e su quei del Peloponneso che vi restarono. Nella
seconda generazione dopo la partenza di Ercole , nel-
r anno cinquautesimoquinto al più regnava su gli Abo-
rigeni ornai da trentacinque anni Latino il Aglio di
Fauno il discendente di quel magnanimo.
XXXVI. In quel tempo i Trojani fuggendo con
Enea da Ilio già debellata approdarono a Laurento ,
.spiaggia degli Aborigeni in sul mare Tirreno non lon-
tano dalle bocche del Tevere. Ed avendo da’ paesani'uu
luogo per abitarvi, c quanto chiedevano, alzarono poco
(i) (^uMia citi à di Ercole, si crede dorè ora è la torre del Grt-cu
nel gulfe di .
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LIBRO I. 63
lungi dal mare in un colie uqa città cui chiamarono
Lavinia. Ma da indi ’ a non molto , cedendo 1’ antico
nome , ebbero quello di Latini dal re di que’ luoghi ;
e levandosi da Lavinia insieme co’ terrazzani fondarono
una città più grande, Alba denominata. Donde uscendo
di tempo io tempo fabbricarono molte e molte delle
città de’vecchj Latini, abitate in grandissima parte ancor
di presente. Sedici generazioni 'dopo la presa di Troja
spedirono- una colonia nel Pallanteo , e nella Saturnia ,
dove già fabbricato avcano i Pelopounesj e gli Arcadi ,
e dove erano pur le reliquie di essi, e fecero che vi ^
abitasse. Allora cinto di mura il Pallanteo prese la prima
volta la forma di una città. Allora ebbe il nome di Ro-
ma dal duce della colonia , io dico da Romolo , dicias-
settesimo tra’ posteri di Enea. Ma , perciocché gli scrit-
tori , parte ignorano, e parte ricordano variamente quanto
è della venuta di Enea nella Italia , non io vo' trattarne
come di fuga , ma prendendo ciò dalle storie , almeno
più accreditate de’ Greci e de’ Romani. Ora tali sono le
cose narrate su quell’ argomento.
XXXVII. Espugnato ilio da’ Greci .sia per l’ inganno
del cavallo di legno , come è presso di Omero , sia pel
tradimento degli Aulcnoridi , o per altra maniera , pe-
rirono in città la popolazione , e gli alleati , sorpresi
ancora nelle camere loro ; sembrando che la sciagura
gii assalisse , non guardandosene , tra la notte. Enea e
con esso i Trojani venuti da Dardano c da Olrinio a
soccorrere gl’lliesi , c quanti altri conobbero in tempo
la sciagura, che era preso il basso della città, fuggendo
a luoghi più forti di Pergamo occuparono il castello ,
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64 DELLE Antichità’ romane
difeso da proprj muri, ove, come ia saldissima parte,
erano le sante cose di Troja , e danaro in copia , in-
sieme col fior dell’ esercito. Standosi colà respingevano
chi tentava di espugnarveli; ma per la perizia ne’ sot-
terranei vi riceveano chi vi si riparava dalia città già
pigliata. Così più furono quelli che ne scamparono, che
non quelli che caddero prigionieri. Con tal metodo
Enea conseguì che l' impeto col quale i nemici ovunque
infuriavano, non comprendesse in un tempo ogni cosa.
Poi calcolando nelle sue probabilità l’avvenire , siccome
era impossibile conservare la città , perdutane già la più
gran parte , si rivolse al partito di cedere le mura ai
nemici, e di salvare almeno le persone , e le sante cose
della patria , e quanto potea trasportarsi di danaro. Così
deliberato , comandò che fanciulli , e donne, e vecchj ,
e quanti abbisognavano di pausa nel fuggire , s’ incam-
minassero intanto verso le cime dell’ Ida ; mentre ~gli
Achei tra T ardore di espugnar la fortezza non curereb-
bero d’insegnire la moltitudine che levavasi dalla città:
destinò parte di milizie in guardia di ehi si avviava
perchè la fuga riuscisse più certa , e nello stato presente
men dura; avvertendoli insieme che occupassero i luoghi
più forti dell’ Ida. Intanto ( col resto dell’ esercito , ed
era il più rilevante ) egli persistendo su le mura , te-
neavi dis’ ratti i nemici che le attaccavano , e rendeva
meno disagiato lo scampo ai suoi , che sfilavano : se
non che salendo poi Neptolemo co’ suoi la fortezza , e
convocandovi d’ ogn’ intorno i Greci perchè lo ajutas-
sero; Enea finalmente si ritirò. Spalancate le porte ,
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LlhRO T. 6 !)
deuominate perla fuga di tanti (i), anch’egli uscì per
esse , ma in ordine di batiaglia tra quelli che gli re-
stavano , portando su di ottime bighe il genitore , i pa-
trj Dei , la sua donna , i figli , e quante v’ erano per-
sone , o suppellettili più riguardevoli.
XXXVIII. Intanto gli Achei, presa di for/.a la città ,
spaziandosi intorno la preda , lasciavano ai fuggitivi
grande comodità di salvarsi. Enea raggiungeva via via
gli altri suoi, finché raccoltisi tutti in un corpo, occu-
parono i luoghi più forti deir Ida. Sopravvennero ivi
ancora quelli che abitavano in Cardano ; perocché ve-
dendo lanciarsi da Ilio fiamme copiose fuor dell' usato ,
abbandonarono tra la notte insieme la loro città , leva-
tine gli altri , i quali partirono prima coti Elimo ed
Egesto , avendosi apparecchiate delle navi. Poi vi giunse
tutto il popolo della città di Ofrinio , e vi giunsero dalle
altre città Trojane quanti aveansi cara la libertà , sicché
in poco tempo la milizia vi divenne grandissima. Ora
questi', fuggiti con Enea dal cader prigionieri , tenen-
dosi in quei luoghi sperarono di rendersi dopo non
molto alle patrie , appena i Greui via navigherebbero :
ma i Greci sottomettendo Troja e le adjacenze , e de-
vastandone le fortezze , apparecchiavansi a porre sotto
giogo ì rifuggiti ancora ne’ monti. E mandando questi
gli araldi perchè desistessero , nè li necessitassero alla
guerra , si venne per le suppliche a trattative , e tali ne
furono gli accordi. Enea e li suoi recandosi tjuanlQ
(i) ni/Asf ^vyciéits , porle de' fu(;giiÌTÌ.
s
DIOAIGI t l.
66 DELLE Antichità’ romane
aveano salvalo nella fuga partissero in dato tempo
dalla Traode , e consegnassero le fortezze : i Greci
in apposito ovunque dominavano in mare ed in ter-
ra , vi procurassero la sicurezza à Trojani che viag~
giovano a norma de’ patti. Enea consentendo a lai leggi,
anzi bonissime riputandole per le circostanze ; manda
Ascaiiio il più grande de’ figli con banda di milizie per
10 più frigie , alla terra detta Dascilite ove ora è il
lago uiscanio, perchè invitatovi da’ paesani a prendervi
11 comando. Ascanio andò , e vi stette ; ma non molto :
perocché giugneudogli dalla Grecia Scamandrio e gli
altri Ettoridi , rilasciativi da Necptolemo , egli guidan-
doli ne’ regni paterni , si rimise in Troja. E tanto è
quello che si narra di Ascanio. Enea però com’ ebbe
pronta la flotta , vj assunse gli altri figli , il padre , le
cose auguste de’ Numi , e navigò su 1’ Ellesponto alla
penisola vicina, chiamata Pallene, la quale giace dirim*
petto di Europia (i). Ivi un popolo ci avea , di Traci
si , detto Cruseo , ma bellicoso e fidissimo tra quanti
erano gli alleati de’ Trojani nella guerra.
XXXIX. Tale è il racconto il più verisimile fatto da
Ellanico , scrittore antichissimo , intorno la fuga di Enea
1
(i) Nel teilo si legge: ZufUTns Europa: ciocebè ha prodotto
degli equivoci: la vera lezione deve essere cioè di Europia
la quale h regione della Macedonia che prende nn tal nome dal
fiume Europo. Pailene talvolta è detta ancora città di Tracia, per-
chè li Traci vi comandarono. Del resto essa è pib distante che la
Tracia a quelli che navigano dall’ Asia per 1’ Ellesponto. E Dionigi
Den propriamente 1’ ha chiamala vicinissima per questi, essendo
tale pinitesto la Tracia.
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là dove tratta delle cose Trojane. Se ne hanno ancora
degli altri e non simili in altre leggende , ma non si ,
come io penso , persuasivi. Decidane chi gli ode , come
più vuole. Sofocle il tragico nel suo dramma su Lao«
coonte , esseudo già Troja in sul termine , rappresenta
Enea che va con le sue robe in sull’ Ida , seguendo i
voleri del padre Anchise , pieno dei ricordi di Venere,
e mirando la distruzione ornai della patria ne’ freschi
portenti avvenuti su’ figli di Laomedonte. E tali souo i
versi di lui ma pronunziati da altra persona :
£cco il fgliuol di tenere alle porte ;
In dorso ha il padre, a cui di [bisso pende
Cerulea veste dalle spalle , tocche
Dalla folgore un tempo ; intorno intorno
Gli fin turba i domestici , e le schiere
Non si grande però , come tu pensi ,
De‘ Frigi , amanti d’ aver sede altrove.
Menecrate di Zante fa saperci che Enea mise la patria
nelle mani de’ Greci , tradendola per l’odio suo contro
di Alessandro , e che gli Achei per tal merito gli con*
cederono che salvasse la sua casa (i). Egli comincia la
sua storia dalla sepoltura di Achille in tal modo. Erano
gli Achei liete afflizione , sembrando a sè stessi co-
me privi del capo della milizia. Nondimeno ergendo-
gli una tomba guerreggiavano di tutta lena ; finché
Ti'P]a fu presa per tradimento di Enea. Quest’ uomo,
perche spregiato da Alessando , ed escluso dagli onori
(i) Piccolo dooo aozi nullo: raentte Enea aveva luLio questo, c
più ancora, sema il iradìmento: yorrei dire che Meuecraie non è
savio , uel tulio aluaeuo de’iUCt;outì , e quindi cUc poco stm» da
aiifudarsi.
\
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68 DELLE Antichità’ romane
sacerdolali , rovesciò la reggia di Priamo , e divenne
per tali opere come uno de' Greci. Altri però narrano
eh’ Enea di quel tempo si trovava dove ferme si stava-
no le inavi trojane, ed altri che nella Frigia , spedi-
tovi da Priamo con soldatesca pe’ bisogni della guerra ;
anzi evvi pure chi; assai piò favoleggia su la partenza di
Enea : ma ne senta ognuno come vien persuaso.
XL. Le vicende di lui dopo la partenza mettono
più incertezza ancora in molti; perciocché taluni gui-
dandolo in Tracia dicono che ivi compiesse la vita ; e
tra questi sono Cefalone Gergitio, ed Egesippo il quale
scrìsse intorno Pelleiie , antichi entrambi e rispettabili.
Altri ripigliandolo dalla Tracia lo sieguono 6no all’ Ar-
cadia ; e dicono che abitasse in Orcomeno di Arcadia ,
e nel luogo , che , sebbene entro terra , cangiossi in
isola , per le paludi e pel fiume , che le colonie che
ora chiamansi Cafie sursero per Enea e pe’ compagni ,
ma Gamie nominandosi allora da Capi trojano. Sono
questi racconti di varj e di Aristo che scrisse le cose
degli Arcadi. Novelleggiasi ancora eh’ Enea capitasse
veramente in que’ luoghi , non però che in essi moris-
se , ma nell’ Italia : e ciò da molti attestali , come da
Agatillo , Arcade poeta , nelle elegie scrivendo :
Feline in Arcadia e generò nell’ isola
Con le due donne Antèmone e Codone ,
■ Due ,/iglie ; e scorse nell' Italia , e quivi
Del gran Romolo suo padre divenne.
La venuta di Enea e de’ Trojani nella Italia la sosten-
gono tutti i Romani ; e monumento ne sono le pratiche
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LIBRO I. 69
nelle feste e ne’ sagi'ifizj , i libri sibillini , gli oracoli
Pitici , e ben altre cose , le quali niuno trascurerà ,
quasi aggiunte per ornamento. In Grecia ne restano
tuttora molti indizj notissimi , come il porto nel quale
approdarono , ed i luoghi ne’ quali si . trattennero , non
essendo il mare navigabile. Siccome dunque sono tanti ,
io ne farò come posso menzione , ma breve. Primiera-
mente dunque vennero in Tracia approdando alla pe-
nisola detta Pailene , tenuta , come indicai , da’ barbari
chiamati Crusei , e v’ ebbero ospizio sicuro. Passando
ivi r inverno edificarono in un promontorio un tempio
a Venere , e fondarono la città di Enea , dove lascia*
rono quanti non poteano pe’ disagi più navigare , o
quanti voleano rimanere , vivendovisi come nella patria.
Questa durò fino al regno de’ successori di. Alessapdro ,
ma nel regno poi di Cassandro fu distrutta, quando
sorse Tes.salonica : e gli Eneati e molti altri passarono
alla nuova città. , ;
XLI. Salpando da Pailene vennero i Trojani a Deio ,
ove Anio signoreggiava. E , finché - Deio fu popolata r e
(lorida , molti erano gl’ indizj della venuta di • Enea , e
de’ compagni nell’ isola. Dalla quale navigando a Cite-
rà (1) aUra isola incontro del Peloponneso ’ vi edifica-
rono un tempio a Venere. Da Citerà tornandosi al mare
e trovando morto non lungi
varono i Trojani con Eleno. Ottenuto l’ oracolo sulla
nuova loro sede, offersero al Dio cose trojane , e tra
queste crateri di bronzo , de’ quali alcuni manifestano
ancora con iscrizioni antichissime gli oblatori : e quindi
si ricondussero camminando quattro giorni alle navi.
Intendesi la venuta de’ Trojani a Butrinlo da un colle
ove accamparono , che ancora chiamasi Troja. Da Bu>
trinto sospinti lido lido Gno al porto detto, dopo un tal
fatto, di uincitise ed ora chiamato con nome men chia*
ro (a), eressero ancor ivi un tempio di Venere : e pas-
sarono il mar Ionio avendo per guida della navigazione
molli , che volontari li seguitavano , e li quali menava-
no con sé Patrone da Turi con la sua genie ; ma li
più di questi , giunta l’ armata nell’ Italia , tornaronsi alle
patrie : rimasero però nella flotta Patrone ed alquanti
de’ suoi mossi a far causa con Enea , nel cercar nuove
sedi ; quantunque alcuni dicano che il domicilio mettes-
sero in Alunzio di Sicilia. In memoria di tal beneGzio
col volger del tempo i Romani donarono agli Acarnani
Leucade ed Auaitorio , togliendole ai Corintii ; e per-
misero ad essi che lo bramavano , di rimettere ne’ pro-
(i) Regia dirimpetto a Corfb dalla qnale è lontana 13 miglia.
(a) Il Casaubono crede questo porto quello che da Tolomeo h
chiamato Onchesmo, e da Strabone Oochismo ; il quale incontra-
Tasi dopo Butriuto e Cassiope ( ora Januia ); crede che in principio
si chiamasse di Anchise , poi di Anchesmo , o d^i Anchismo , e
quindi men chiaramente , di Onchesmo , o di Oncbismo.
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7^ nm.LE antichità’ romane
prj averi gli Oniadi , e di godere in comune con gli
Etoli il frutto delle isole Ecliioadi. Calarono i compagni
di Enea , ma non tutti in un luogo a terra ; approdan-
do coi più delle navi al capo japigio , detto allora dei
SalenUni ; e con le altre al lido , prossimo a quello
cliiamato di Minerva nel quale Enea stesso sbarcò. Era
questo sito ancora un promontorio ma con porto estivo
denominato di Venere , appunto dopo quel giorno. Poi
navigarono , quasi col piè sulla terra , fino allo stretto
di Sicilia , lasciando, ovunque andavano, de’ monumenti,
e tra questi là nel tempio di Giunone, la caraffa me*
fallica , la quale con antichissimo scritto manifesta 4I
nome di Enea che porgevala in dono alla Diva.
XLIII. Fattisi ornai vicini, eccoli nella Sicilia final-
mente a Drepano , dir non saprei , se portativi per di-
segno di sbarcare, o se per le burrasche de’ venti, con-
suete in quel mare. Qui s’imbatterono coi compagni di
Elimo e di Egesto fuggiti prima di loro da Troja. Fa-
voriti questi da’ venti propizj e dalla sorte, nè gi'avati
di molte bagaglio , erano in poco tempo approdati in
Sicilia , e fabbricato aveano intorno al fiume Crimiso
in una terra che i Sicani aveano amorevolmente ad essi
ceduta , per essere Egeste nodrito già nella Sicilia e
congiunto col sangue di loro per questo Caso. Uno dei
maggiori suoi , famoso trojano , cadde nell’ ira di Lao-
medonte , e quel re pigliandolo , certo per una incol-
pazione , lo uccise , uccidendo nemmeno tutta la stirpe
virile di lui perchè alfine non • sen vendicasse ; ma le
vergini figlie giudicò bensì cosa non degna lo ucciderle,
ma uon sicura nemmeno a permettersi che si accasassero
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LIBRO I. 73
eoa Trujani. Pertanto le diede a mercadanti con ordine
che lontanissime le portassero. Or queste rimovendosi
navigò con esse un cospicno garzone, il quale preso già
dall’amore di una maritollasi , e trassela nella Sicilia; e
là dimorandosi nacque di loro il fanciullo Egesle nomi-
nato. Apprese i costumi e la lingua del loco : infine
morendogli i genitori , e dominando Priamo in Troja ,
brigossi per lo ritorno. E militò pur egli contro gli
Achei ; ma prendendosi ornai la città, navigò di nuovo
per la Sicilia , fuggendo con Elimo su tre navi , usate
già da Achille quando saccheggiava la Troade , e poi
da esso abbandonale perché portn bello ^ o buono, ma nel co-
dice Valicano ai La porto cattivo: il che varia la
àeuicuta .
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LIBRO I. 7 5
quali finge Nettuno che presagisca la grandezza avvenire
«li Enea , come de’ posteri , con tali maniere :
Ifo , non i dubbio ; la virtù di Enea
/leggerà li Troiani , e re^ranli
Be’ figli i fgli, e chi verrà da loro.
G^ncependo da ciò , che Omero conosciuto avesse che
questi regnavano nella Frigia ; inventarono qnel ritorno
di Enea, quasi fosse impossibile che abitando nella Italia
dominassero genti trojaue. Eppure ben poteano coman-
dare a Trojani già diretti nei viaggio e stabilitisi altrove:
vi saranno forse altre cause per le quali diasi a vedere
r inganno.
XLY. Che se alcuni sien turbati da questo : che la
tomba di Enea si dica e si additi in più luoghi , non
potendo in più luoghi esser lui tumulato ; riflettano es-
ser tal dubbio comune su molti uomini , specialmente
su gli insigni per sorte , e vivuti sotto cielo ognor va-
rio : e sappiano che una è 1’ urna che accoglie i loro
cadaveri, ma molti tra le nazioni li monumenti per gra-
titudine sul bene che vi operarono, massimamente se tra
quelle esistano stirpe o città che da essi provengano , o
se lungo vi fecero ed amorevol soggiorno. Or tali ap-
punto conosciamo che furono i casi che del nostro eroe
si novelleggiano. Costui dopo aver operato che Ilio nel-
r esser preso non fosse totalmente distrutto , dopo aver
operato che gli alleati si ritirassero salvi in Bebricia che
chiamano; lasciò sovrano della Frigia 'Ascanio suo figlio,
eresse in Pailene una città col nome di sé medesimo ,
maritò la figlia nell’ Arcadia, e fissò parte de’suoi nella
Sicilia : e sembrando che segnalato avesse la sua dimora
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76
DELLE Antichità’ romane
in più altre parti , beneficandovi ; ne acquistò la bene-
vola propensione per la quale gli eroi quando cessano
la vita dell' uomo si onorano , e con pompa di monu-
menti in più luoghi. £ veramente quali altre cause mai
potrebbe alcuno ideare de’ monumenti di lui nell’ Italia ?
Ma di ciò sarà detto nuovamente secondo che le materie
de’ subjetti si dorran rischiarare.
XLVI. Che poi l’armata trojana non veleggiasse verso
parti più remote di Europa, ne furono cagione gli ora-
coli , i quali prendéano compimento appunto in quei
luoghi, e la divinità che tante volte avea rivelato, cioc-
ché si volesse. Laonde approdati a Laurento alzarono le
tende in sul lido. Ma stentandovi su le prime per la
sete , perchè il luogo mancava di acque ; ecco vedonsi ,
( dico ciò che ne udii tra’ paesani ) prorompere dalla
terra spontanei rampolli di acque dolci , dalle quali fu
tutto abbeverato 1’ esercito , ed irriguo ne divenne quel
campo , scorrendo co’ rivoli loro dalle sorgenti fino a
gettarsi nel mare. Ora però non si le acque abbondano
che ne trascorrano , ma scarsissime , si restano in un
cavo luogo , credute da’ paesani sacre al sole : e presso
queste si additano due altari, trojani monumenti, rivolto
r nno all’oriente l’altro all’occaso, ove favoleggiano che
Enea facesse il primo sagrifizio in ringraziamento al
Nume per le fonti che scaturirono. Poi sedutisi in terra
per desinarvi , posero i cibi secondo molti su degli strati
di appio come su le tavole ; ma secondo altri , per
mondezza maggiore , li posero su focacce di farina : se
non che finitisi i cibi apparecchiati , prima 1’ urto , indi
r altro mangiava già 1’ appio o le focacce sottoposte ;
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LIBRO I. 77
quando com’ è fama , uno de’ Ggli , o certo della tenda
slessa di Enea disse : oh ! Gn le tavole ci divoriamo.
Destossi all’ udir ciò fra tutti un entusiasmo , uno stre-
pito , come allora si compiessero i primi oracoli che
riceverono : essendo già fatto ad essi un presagio , in
Dodona secondo alcuni , o come altri dicono in En-
tra (i) nelle vicinanze dell’Ida ove sta la Sibilla, fatidica
ninfa di que’luoghi. Questa annunziò loro che navigas-
sero verso /’ occidente , finché giungevano in luogo ,
dove sarebbero mangiale le mense : e che prendesse-
ro , quando vedeano ciò verificaio, per guida un qua-
drupede, e dove stanco del viaggio sdrajavasi, ivi fon-
dassero una città. Ricordevoli di quest’oracolo, chi per
comando di Enea portava custoditi com’ erano i simu-
lacri de’ Numi dalle uavi a luogo destinalo , e chi pre-
parava basi ed altari per essi. Le donne accompagna-
vano le sante cose con ululati e con danze. InGne es-
sendo già tutto pronto pei sacriGzio , i compagni di
Enea stavano coronati intorno l’ altare.
XLVII. E già questi facevano de’ voti , quando la
porca già pronta pel sagriGzio , gravida nè lontana dal
parto , dibattendosi tra le mani de’ sacri ministri che la
tenevano, fuggissene in parti più remote del mare. Enea
concependo esser questa il quadrupede di cui 1’ oracolo
signiGcò che sarebbe loro di guida le tiene dietro , non
(i) Vi ebbero pià Lrilre ; I’ una in Beoiia l’altra in Tessaglia; (jui
si parla della terza nella Jooia tra Llazomcns c Teon. Ma questa
Krilra non era poi cosi vicina dell’ Ida : il che fa vedere che il
testo non è puro abbastanza : seppure la idea di vicinanza non è
qui relativa a distanze beo grandi.
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legni e cose di rustico
apparecchio su le quali appariva che dolentissimo ne
sarebbe chi ne era privato. In quel tempo Latino re
guerreggiava co’ Rutoli , suoi vicini , ma con poca pro-
sperità nelle battaglie. In tale suo stato gli annunziano ,
esagerando le imprese di Enea : che un esercito di fo-
restieri gli devastava tutto il litlorale: che se non davasi
presto a riutuzzarlo, avrebbe poi manifestamente guerra
più aspra con essi , che non co’ vicini. Temè Latino a
tal nuova , e ben tosto , sospesa la guerra presente ,
mosse con esercito poderoso contro a’ Trojani. Ma ve-
deudoli armali alla greca , intrepidi , in buon ordine ,
aspettare il cimento , si arrestò , difGdando di poterli
sottomettere in un colpo , come avea già speralo nel
moversi contro di essi. Ed accampatosi in un colle
pensò che doveva iuuanzi tutto ricrear le milizie dalla
So DELLE antichità’ ROMANE
molta fatica , sostenuta nel lungo e coutinuo travaglio.
Adunque ivi riposò quella notte; ma disegnò di lanciarsi
al fare del giorno sul nemico. Fra tali risoluzioni un
genio del loco venne a lui tra ’l sonno , e gl’ impose
di ammettere i Greci che venivano a grande utilità di
Latino , e bene comune degli Aborìgeni. Parimenti i
Dei patrii, svelandosi tra la notte ad Enea, suggerivano
che inducesse Latino a concedergli spontaneamente una
sede nel luogo che bramava, e rendersi i Greci alleati,
e non competitori nelle arme. Tal sogno contenne l’uno
e r altro dal cominciar la battaglia. E non si tosto fu
giorno, elle milizie mossero in campo; ecco gli araldi
venire da ambe le parti ai capitani per chiedere un vi-
cendevole parlamento; e si tenne.*
XLIX. Latino il primo querelatosi della guerra im-
provisa e non intimata , chiedeva ad Enea che dicesse
chi fosse , e con quale disegno invadeva e derubava
que’ luoghi , non avendone mai ricevuto alcun danno ,
e non ignorando che gli assaliti rispingono gli autori
della guerra. E laddove tutto esibivasi a lui se moderate
ne erano le dimande, e potea rinvenire tutto nella cor-
tesia degli abitanti ; egli violando la giustizia comune
degli uomini , voile impudentemente anzi che da ono-
rato , arrogarsi ogni cosa colla forza. Enea rispose :
Noi siamo Trojani di lignaggio , e veniamo da una
città non ignota affatto tra Greci. Essi espugnandola
con gueira di dieci anni ce la tolsero ; ed ora vaga-
bondi ci rigiriamo , sema città , senza regione , ove
prendere sede finalmente. Siamo qui venuti seguendo
i voleri de' Numi ; annunziandoci gli oracoli che que-_
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LIBRO I. 8 I
»ta è la tota terra che ci lascia come requie da tanti
errori, Abbiam preso dalle wstre terre quanto ri era
bisogno ; Noi provvedevamo anzi alla nostra infelicità
che al decoro, lutto che non volessimo far cosa meno
di questa, come novizj in tai luoghi. Ma ne daremo
copiose e buone ricompense. Vi offeriamo i nostri
corpi, le nostre anime, costumati ahbaslanza ai tra-
vagli. Comunque usar ne vogliale ; noi custodiremo
come inviolabili le vostre tene , noi ci lanceremo ad
acquistarvi quelle de' nemici. Noi vi supplichiamo che
non ascriviate ad odio le cose operate; non avendole
noi fatte per ingiuriarvi ma dalla necessità violentati;
e ciò che non è volontario è pur degno di scusa. E
se ora ce ne scusiamo , se ne imploriamo voi sten-
dendovi le mani supplichevoli; già non si conviene
che ci destiniate alcun male, Altrimente invocheremo
gli Dei, invocheremo gli Genj di queste terre perchè ci
condonino quanto abbiamo fatto o necessitati faremo.
Noi tenteremo respingervi la guerra se ce la incomin-
ciate ; chè non è questa la prima nè la massima di
quante ne abbiamo sostenute. Latino ciò udendo sog-
giunse : Io sono propenso inverso di tutti i Greci e
mi struggono il cuore i mali necessarj degli uomini.
E pregerei moltissimo di salvarvi se poteste mai far-
mi chiaro che qua venite bisognosi di una sede, per
aver parte nelle nostre terre e su quanto vi sarà dato
per amicizia , non per involarmi colle armi il coman-
do. Se questo dir vostro è vero ; se ne dia , chiedo ,
la vostra fede e se ne riceva la nostra : e saranno
queste le mallevadrici pure de' patii.
Dtomet , Hmt r. s
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8 3 DELLE A;VTICHITA.’ ROMANE
L. Enea encomiò quel parlare ; e si giurarono tali
patti tra i due popoli : Darebbero gli Aboiigeiti ai
Trojani quanta terra volessero in qualunque parte del
colle , dentro il giro di cinque miglia da questo. Li
Trojani entrerebbero a parte della guerra che gli Abo-
rigeni aveano tra le mani, e militerebbero con essi
in qualunque altra li chiamerebbero. Farebbero in co-
mune ambedue col senno e colla mano t utile vicen-
devole. Stabiliti tali patti , e confermatili con gli ostaggi,
combatterono insieme contro le città dei Rutoli : e sog-
giogando in brevissimo tempo ogni cosa , presentaronsi
ad ultimare la trojana città non compiuta , e tutti con
un ardore vi fabbricavano. Enea le diè nome di Lavi-
nia , come dicono i romani scrittori , dalla figlia di
Latino, chiamata anch’ essa Lavinia; e secondo alcuni
de' greci mitologi dalla figlia di Anio re tra Deliesi ,
Lavinia nominata ugualmente : perchè morendo questa
nel primo costruirsi degli edifizj, e datale sepoltura ap-
punto nello spazio dove Enea fabbricava (i), la città
ne era il monumento. Dicesi che navigasse co’ Trojani
conceduta dal padre alle istanze di Enea , come donna
di senno e di profezie. È fama che i Trojani nel fab-
bricare Lavinia ne avessero questi segni. Accesosi jl
fuoco da sè stesso in una valle, narrano che un lupo
vi traesse colla bocca e gittassevi aride materie ; e che
(i) si spiega per infermarsi, travagliarsi, quasi Dionigi
dica che la donna fu sepolta dove infermava ; ma tal voce significa
ancora fabbricare e rende il senso pib acconcio e concorde. Altronde
non è facile che uno seppeliscasi nel luogo appunto o aiansa. o tenda
dove si ammala.
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LIBKO I. 83
no’ aquila volaado , Vi eccitasse le (ìamtue col battere
delb ale ; ma che una volpe in contrario si desse ad
estinguerle colla coda , bagnatala iu un Hume : e die
ora vincendo chi accendeva ed ora chi ammorzava, al>
fine , prevalessero le due ale , partendosi la volpe senza
che nulla più vi potesse: che Enea da quello spettacolo
conchiudessc , come la colonia diverrebbe magniCca ,
meravigliosa , celeberrima ; darebbe il crescere di essa
invidia ed affanno ai vicini ; ma ne vincerebbe ogni
ostacolo , ricevendo dagl’ Idùii fortuna più potente del-
l’odio de’ mortali in combatterla. Questi sono i portenti
famosi , nati colla città : e per memoria se ne custodi-
scono ancora da tempo antichissimo in mezzo al foro di
Lavinia le immagini metalliche di quegli animali.
LI. Poiché fu compiuta la città de’ Trojani entrò
desiderio in tutti di giovarsi a vicenda ; e primi ne die-
dero r esempio i monarchi accomunando pe’ matriinonj
il grado de* paesani e de’ forestieri , e sposando Latino la
sua figlia Lavinia ad Enea. Quindi presi ancor gli altri
da brama eguale, dandosi in breve a gara 1’ uno all’al-
tro leggi , costumi , sacrifici , congiungendosi in città
di cure e di consorzio , e divenendone tutti un corpo
e chiamandosene Latini dal re degli Aborigeni , osser-
varono con tal fermezza gli accordi , che uiun tempo
mai più li divise. .Tali sono le genti che vennero e si
congiunsero, e dalle quali è la stirpe de’ Romani, pri-
ma che si fondasse la città che otn gli alberga. Erano
i primi gli Aborigeni , i quali cacciarono dalle proprie
.sedi i Sicoli 4 greci antichissimi del Peloponneso , di
quelli , io credo , spatriatisi con Eouotro dalle terre ora
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84 DELLE Antichità’ romane
dette di Arcadia . erano secondi ì Pelasghi , usciti dal>'
r Emonia , ora chiamata Tessaglia : ed erano terzi quei
che vennero con Evandro nell’ Italia dalla città del Pal-
lanteo. Si ebbero dopo questi gli Epei ed i Feneati del
Peloponneso , militari di Ercole , a quali si mescolava-
no alquanti Trojani; e gli ultimi furono i Trojani scam-
pati con Enea da Ilio , da Cardano e da altre loro città.
LII. Che poi li Trojani ancora fossero Greci, prin-
cipalmente di orìgine , usciti un tempo dal Peloponneso
fu già detto da molti , ed io pure lo dirò brevemente:
e cosi stà quel racconto. Atlante divenuto primo re
dell* Arcadia che ora chiamano, abitava intorno al monte
detto Taumasio. Sette erano le figlie di questo ora tras-
ferite , dicesi , nel cielo col nome di Plejadi. Giove
sposandosi 1’ una di esse vi generò Giasone e Cardano:
Glasoue si tenne celibe, ma Cardano sposò Crise la fi-
glia di Palante, e gli nacquero Ideo e Cimante, i quali
due regnarono nell’Arcadia, succedendo al trono di
Atlante. Poscia avvenendo il gran diluvio in Arcadia ;
i campi ne divennero paludosi , nò più coltivabili per
lungo tempo. Gli uomini ridottisi ad abitare nei monti ,
e con scarsi viveri, consentendo ad una voce che le
terre intorno non erano più bastanti a nutrirli , si divi-
sero in due. Rimastisi gli uni nell’Arcadia crearono so-
vrano Cimante il figlio di Cardano > gli arltri partirono
su gran flotta dal Peloponneso ; e direttisi in verso di
Europia giunsero al golfo detto di Me lane , recandosi
ad un* isola della Tracia , non saprei se abitata allora
o deserta , cui chiamarono Samo Tracia con nome com-
posto dal duce e dal luogo , per essere questo nella
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usno I. 85
Tracia , e Samone 1’ altro , figlio di Mercurio e di Re-
ne , ninfa Gillenide. Ma non a lungo vi dimorarono ;
cbé non era ivi una facile cosa la vita , avendosi a lot«
tare con terre ingrate e mare disastroso. Adunque la-
sciando un gruppo di loro nell’ isola, li più se ne mos-
sero nuovamente inverso dell’ Asia sotto gli Auspicj di
Bardano ; perocché Giasone era morto fulminato nell’ i-
sola per avervi appetito il concubito con Cerere. Ve-
nuti al mare chiamato Ellesponto , e sbarcatine , abita-
rono la terra detta poi di Frigia. Ideo con la parte da
lui retta della milizia di Bardano , abitò ne’ monti che •
Idei si appellano da lui , ne’ quali ergendo un tempio
alla madre degl’ Iddii v’ istituì misteri e sacrifici , du-
revoli ancora in tutta la Frigia: e Bardano nella Troa-
de che dicono , fondandovi la città coi nome di sé me-
desimo , e ricevendone delle campagne da Teucro re ,
dal quale Teucria fu nominata la terra. Molti, tra’ quali
Faiiodimo che scrisse delle antichità dell’ Attica , nar-
rano che Teucro ancora passasse dall’ Attica nell’ Asia ,
e regnasse in sul popolo di Zipeta ; allegando su ciò
molti argomenti. Quivi dominando egli campagna am-
pia p buona , ma non molto popolata , desiderò di ve-
dere Bardano , e li Greci con esso venuti , si per avergli
alleati nelle guerre co’ barbari , sì perchè la sua terra
non giacesse deserta.
LIU. Ora porta il subjetto eh’ espongasi da quali Enea
discendesse : ed io ciò laro ; ma brevemente. Bardano
morendogli Crise la figlia dL Fallante dalla quale avea
due fanciulli , si sposò òon Batia la figlia di Teucro.
Di lei nacqn^li Elrittooio, creduto tra’ mortali felidssif
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86 dt:lle antichità’ eomane
mo per la*cloppia eredità della signoria paterna , come
deli’ altra fondata dall’avo materno. Da Erittonio e de
Callii’oe figlia di Scamandro nacque Troe dal quale
ebbe nome la nazione. Da Troe e da Acalide fisiia di
O
Euniida sorse Assaraco : e da questo e da Glitodora
figlia di Laomedonte ebbes! Capi. Poi questo e la ninfa,
Kaide chiamata, generarono Anchise: e di Anchise e
di Venere è figlio Enea. Cosi avrò dichiarato che i Tro-
iani siano Greci di origine.
LIV. Su 1’ epoca della fondazione di Lavinia scrivesi
variamente : a me sembrano piò verisimiii quelli che
r assegnano all’ anno secondo dopo la partenza da Troja.
Imperocché Ilio fu preso nel fine della primavera , il
giorno diciassettesimo prima del solstizio estivo , mancan-
dovi otto giorni a compiersi il mese Targhilione secon-
do la cronologia di Atene: e dopo il solstizio rimaneanci
venti giorni a terminare quel giro di anno. Pertanto nei
trentasette giorni decorsi dopo quella presa io stimo che
gli Achei provvedessero su le cose della città , che rice-
vessero le ambascerie di quelli che erano usciti , e giu-
rassero dei patti con essi. Nell’ anno seguente e primo
dopo la espugnazione , i Trojani salpando da quella
terra circa l’ equinozio autunnale passarono 1’ Ellesponto:
e portati nella Tracia ivi dimorarono quell’ inverno, rac^
cogliendo gli altri che giungevano ancora dalla fuga, e
preparando la navigazione. Levandosi dalla Tracia in
sul fare biella primavera tragittarono fino alla Sicilia
dove riparatisi spirò intanto quell’ anno : ivi spesero il
secondo inverno fabbricando città con gli Elimi. Ma
divenuto il pela^ navigabile fecero vela dall’ isola , e
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LIBRO I. 87
valicando il mare Tirreno vennero finalmente sul mezzo
della estate a Laurento , spiaggia marittima degli Abo-
rigeni , e presavi terra , vi fabbricarono Lavinia mentre
compievano 1’ anno secondo dopo la invasione di Troja.
Per tali detti sarà chiaro quanto io su ciò concepisco.
LV. Enea fornendo la nuova città di tempj e di altri
edifizj i più de’ quali persistevano ancora a’ miei giorni,
alfine nell' anno seguente , terzo della sua emigrazione ,
regnò ma su’ Trojani solamente. Morendo però Latino
nel quarto , ebbe anche il regno di questo si per 1’ af-
finità sua con esso, di cui Lavinia era la erede, si
per essere lui già duce degli eserciti nella guerra coi
vicini. Imperocché li Rutoli si erano di bel nuovo ri-
bellati da Latino scegliendosi per capitano Turno un
disertore di Latino , e cugino di Amata , regia moglie
di lui. Questo giovine alle nozze di Lavinia comccia-
tosi dell’ affine suo che tenesse anzi cura degli esteri
che de’ parenti , e sospinto da Amata e da altri , andò
cM>lle milizie delle quali era capo , e si congiunse coi
Rutoli. E mossasi per tali richiami la guerra perirono
in battaglia vivissima Latino e Turno e molli altri ;
trionfandone Enea. Da quell’ epoca ebbe questi lo scet-
tro del suocero , e regnò dopo la morte di lui tre anni
ancora ; ma nel quarto morì combattendo : perocché gli
uscirono contro dalle loro città tutti in arme li Rutoli
e Mezenzio re de’ Tirreni che per le sue regioni te-
meva , conturbato al vedere che la greca poteuza via
via si ampliava. Si dié la battaglia , ma fortissima non
lungi da Lavinia; soccombendone molti da ambe le parti,
finché la notte sopravvenendo , divise gli eserciti. Enea ^
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88 PEi.T.E Antichità’ romane
più non apparve ; e chi lo disse trasferito Ira’ Numi ,
chi perito nel fiume , presso cui fu la pugna. I Latini
gli eressero un tempietto iscrivendolo : del Padre e Dio
del loco il quale regge il corso del Jiume Numicio.
Pur vi è chi dice edificato il tempio da Enea per An*
chise , morto P anno avanti tal guerra. L’ edifizio è non
grande : ma tiene arbori ordinatamente intorno degne
da vedersi.
LVI. Passando Enea da questa vita , al più I’ anno
settimo dopo la presa di Troja , assunse il comando
su’ Latini Eurileone , quegli che . nella fuga intitolavasi
Ascanio. Erano allora i Trojan! chiusi tra le mora , e
la forza nemica ognora più spaventava ; nè bastavano i
Latini a soccorrere gli assediati a Lavinia. Ascanio dun»
que il primo chiese pace e condizioni onorate ai ne»
mici : ma non giovando la inchiesta , fu costretto ren»
dersi pienamente , e finire la guerra come il vincitore
ne giudicasse. Ma siccome il monarca de’ Tirreni oltre
le tante cose intollerabili comandava come agli schiavi
che si recasse ogni anno ai Tirreni quanto vino pro-
ducerasi dalla campagna latina ; cosi per la ìndegnissi»
ma condizione Ascanio prima , e dopo lui li Trojani
dichiararono co’ decreti loro sacro' a Giove ogni frutto
della vite. E confortandosi gli uni gli altri ad impren-
dere da valentuomini , e chiamando i Numi a parte dei
loro pericoli , si mossero di città ma tra notte non chiara
per luna. E sopravvenendo improvvisamente, presero in
un subito il campo nemico il più vicino alla città , ri-
putato antemurale ancora delle altre milizie , perchè te-
nuto su luogo forte e difeso dal fiore de’ giovani tir-
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LIBRO I. 89
reni , comandati da Lauso , figlio di Mezenzio, Intanto
che questo luogo espugnavasi le soldatesche attendate nei
piani vedendo la luce insolita , ed ascoltando le voci
degli oppressi fuggirono ai monti. Ivi sorse fra loro
paura e strepito grande qual suole tra schiere mosse di
notte , che apprendano già già di essere assalite , ma nè
ordinate uè provvedute abbastanza. I Latini all’ opposito
poiché vinsero per assalto quel presidio , e conobbero
lo scompiglio deir altra milizia , le furon sopra incal-
zando e trucidando : e questa non potea nemmeno sa-
pere i suoi mali; non che pensasse ricorrere alla forza.
Quindi confusi , incerti che fare chi s’ avvia tra .dirupi
e ne soccombe , chi tra luoghi cavi ma senza esito , ed
è preso. Li più non distinguendosi tra loro si trattaro-
no ira le tenebre a vicenda come uemicì ; e ben fu la
sciagi>ra micidialissima. Mezenzio occupato un colle con
pochi , poiché vi seppe la morte del figlio, quanto eset-
cito gli fosse perito , ed in quai luoghi ora si fosse iin
tempo in cui fu costrutta la città , signora al presente
delle cose. Ma quali ne fossero i fondatori , con quali
vicende recassero la colonia , o le fondassero la città ,
molti già lo narrarono , discordandone alcuni in più
casi. Io sceglierò da' monumenti le cose più persuade-
voli ; te quali sqn queste.
LXYIl. Dopo che Amulio usurpò colla forza la reggia
di Alba eliminando dagli onori paterni Numitore il fra-
tello. più grande , scorse ad altre infamie col molto abuso
dei diritti, macchinando all’ultimo distruggere la stirpe
di Numitore per timore di subirne la vendetta , e per
desideri^ di perpetuarsene il principato. E macchinando
ciò da gran tempo , notò primieramente dove recavasi
alla caccia Egeste il figlio già pubescente di Numitore,
e, fattegli delle insidie nel meno visibile di que’luoghi ,
lo uccisse appunto che inseguiva le fiere , dando opera
che si dicesse poi , che il giovine fu vittima de’ladroni.
Ma tal voce artificiosa uon potè soffocare la verità che
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102 DKi.LE Antichità’ honianf.
lacevasi; perocché molli ebbero cuore di palesarla , con
pericolo ancora. Ben conobbe Nunillore il successo ; ma
tollerando con saviezza bonissima fìnse non conoscerlo
per differirne i risentimenti a tempo meno pericoloso.
Amulio tenendo la vicenda per occulta , fece ancora ,
che la figlia di IVumitore detta Rea secondo alcuni , e
poscia Ilia quando fu matura per le nozze , si dedicasse
al sacerdozio di Vesta perchè andando subito a marito
noti partorisse un vindice della sua gente. Dee iren-
l’anni, e nommeuo rimanersi candida da cose maritali
lina donzella messa alla cura del fuoco inestinguibile,
o per altro religioso ministero serbato per legge alle
sue pari. Compieva Amulio tutto ciò co’ bei nomi di
onorare c distinguere il parentado : perchè non avevane
egli introdotto la legge : anzi essendo già praticata non
astringeva il fratello, sicché la prima volta esso tra’ no-
bili si valettse di quelli onori. E pregiavasi tra g]i Al-
bani che le donzelle più nobili ministrassero a*\^esia.
Ben vedea Numitorc che il fratello non facea Ciò per
amore del meglio: tuttavia non espresse l’ira* sua, ma
tacque profondamente ancora su questa ingiuria per .non
esserne malmenato dal popolo.
LXYIII. Dopo quattro anni Ilia recatasi al bosco sacro
di Marte ad attingervi limpide acque pc’ sacriGzj vi fu
violentala da uno, dicono, de’ giovani innamorato della
donzella : o da Amulio non si per amori che per in-
ganni , tutto in arme , e travisatosi quanto poteva , onde
essere terribilissimo a vedere. Molli però novelleggiano
che fu in persona il Nume del loco, acconciando a tal
fatto varie circostanze divine , e che il sole se ne ascose.
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LIBRO I.
I()3
e le tenebre si spnrsero in cielo. Essersi ,la immagine
di quel Dio presentata augusta più che la umana per
la mole e per la bellezza. Aggiungono che colui che
aveala violata ( e da ciò conchiudono che fosse un Id-
dio) dicesse alla fanciulla che si consolasse, non si afflig-
gesse per la vicenda* essere a lei fatte le cose de’ma-
trimonj dall’ unirsele del genio del loco : ne partorirebbe
due figli y potentissimi in arme. Narrano che, ciò di-
cendo , nna nuvola lo circondasse , e che spiccatosi di
terra , si elevasse per 1’ aere. Non è poi questo il luogo,
ma bastino i detti de’ filosofi , per discutere la sentenza
da aversi su queste cose, cioè se debbano dispregiarsi
come opere umane imputate agli Dei, la natura de’quali
felice nè corruttibile non subisce niente d’ indegno ; o
se debbano riceversene le narrazioni , perchè 1’ universo
è un composto di tutte le sostanze , tra le quali haccene
pure una intermedia tra la umana e divina , che ora
mescendosi agli uomini , ora ai Numi , genera la stirpe
degli eroi. La donzella dopo la violenza si diè per in-
ferma : consigliatavi dalla madre per la sicurezza di lei ,
come per la riverenza de’ Numi : nè più andava alle sante
cose ,' ma se dovea porgervi l’ opera sua , supplivano le
vergini , compagne nel ministero.
LXIX. Amulio , sia che mosso dalla coscienza , sia
che da’ concetti del verisimile, spiava attentissimo le ca*
gioni per le quali tcneasi tanto tempo lontana da’ riti
divini. E mandò de’ medici su’ quali fidava moltissimo :
ma pretestando le donne non essere un tal male da
presentarsi ai maschj , mise la moglie sua per guardia
della fanciulla. Ma non si tosto colei gli accusò la in-
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io4 DELLE Antichità’ romane
(loie del male , conghietlurando da indizj muliebri ,
ignoti alle altre ; egli fe’ custodire co’ soldati la donzella:
perchè il parto , ornai prossimo , non si occultasse. £
chiamando a collocjuio il fratello , disse la violazione
recondita , dolendosi che i genitori vi stessero a parte
con la fanciulla, e comandò che non tacessero, anzi pub-
blicassero il fatto. Asseriva Numitore eh’ egli udiva cosa
incredibile: ma che egli era innocente in tutto, e chie-
dea tempo per chiarire la verità. £d ottenutolo a stento,
poiché seppe dalla moglie la cosa come erale narrata in
principio dalla fanciulla , gli riferì la violenza fatta dal
Nume, e le cose dette su’ due gemelli, e dimandò che
si prestasse fede a tanto , se da quel parto nasceane la
]>role cora’ era presagita dal Nume. Non essendo ornai
lontano il parto ; egli non sarebbene deluso lungamente :
intanto esibiva donne in custodia della figlia, nè ricu-
savasi a prova ninna. Acconsentivano quanti erano in
parlamento: Amiilio però diceva che non aveaci punto
di buono in que’ detti , e diedesi per ogni guisa a pci^
dere la lànciulla. Intanto presentansi gl’ incaricati per invi-
gilare su quel parto , e narrano aver lei dato in luce due
maschi. Insistè Numitore ben tosto in dimostrare che a'veaci.
r opera del Nume, e richiedÈva che oltraggio non si facesse
alla vergine incolpabile. Amulio nondimeno concepiva
che ci avesse della cabala umana anche nel parto mer
desimo , con essersi procurato 1’ uno de’ fanciulli da al-
tra donua , ignorandolo o cooperandovi le custodi ; e
molto su ciò fu disputato. Come i consiglieri videro
che il re piegavasi ad ira inesorabile , sentenziarono an-
eh’ essi , com’ egli volea ; che si applicasse la legge , la
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LIBRO I. I o5
quale ordina che uccidasi , battuta con verghe , la ver*
gine profanata nel corpo, e gettisi ciò che è nato da
lei ndla corrente del fiume. Ora però le leggi per le
sacre cose prescrivono che tali donne seppelliscansi vive.
LXX. Fin qui la più parte degli scrittori narrano le cose
medesime o con picciolo divario , altri seguendo più la
favola , ed altri la verisimiglianza. Ben però discordano
su ciò che vi rimane ; dicendo altri che la condannata
fu tolta immantinente di mezzo , ed altri che serbata
in carcere oscura fe’ nascere nel volgo la idea della oc-
culta morte di lei. Scrivono che Amulio a ciò s’indu-
cesse vinto dalla figlia supplichevole che chiedevagli in
dono la cugina ; già nudrite insieme , e pari di età vo-
leansi il bene di sorelle. Amulio che non avea se non
quella figlia , gliela concedette ; nè più compiè la morte
di Ilia , ma tennela rinchiusa, nè visibile; finché fu li-
berata col morir del medesimo. Cosi le antiche scritture
discordano intorno di Ilia , ma tutte presentano un ap-
parenza di vero ; e perciò ne ho fatta menzione. Chi
legge intenderà da sè stesso quale sia più credibile.
Quanto ai figli d’Ilia cosi scrive Fabio detto il Pit-
tore , cui seguirono Lucio Cincio , Porcio Catone, Cal-
purnio Pisone, e la più degli storici. « Alcuni de’ mini-
stri prendendo per comando di Amulio i fanciulli, posti
in un cestello, ve li U'asportavano per gettarli nel fiu-
me , lontano quasi cento venti stadii dalla città. Ma co-
me vi si approssimarono e videro che il Tevere per le
pioggie incessanti usciva dall’ alveo suo naturale in su
i campi , discesero dalle cime del Pallanteo fino alle
acque più vicine ; uè polendo avanzarsi più oltre , de-
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ìoG DF.LLK Antichità’ homane
posero il cestello appunto ove il fiume toccava , inon-
dando le falde del monte. Ondeggiò quello alcun tem-
po ] ma poi ritirandosi la fiumana dalle parti più ester>
ne , il vasello percosse in un sasso , e deviatone , tra-
volse i fanciulli ^ che vagendo in sol fango si dimena-
vano. Quando apparendo una lupa , fresca di parto»
e gonfie le mammelle di latte ne porse i capi alle te-
nere bocche de’ medesimi , tergendoli via via colla lingua
dal loto onde erano intrisi. Frattanto sopravvengono dei
pastori che guidavano le greggi ai pascoli ; potendosi
già per que’ luoghi camminare. Al vedere 1’ uno di essi
come la bestia carezzava que’ pargoletti , restossi estati-
co per lo spavento e per la incredibilità dello spettacolo.
Quindi ( perciocché non era col solo dire creduto ) an-
dando, e raccogliendo quanti potea de’ vicini pastori, li con*
duce a mirare il portento. Approssimatisi questi, e vedendo
come la bestia molcea que’ pargoletti, e come i pargoletti
usavano colla bestia quasi colla madre , parvero a sé st«si
presenti a celeste meraviglia : ma congregatisi e proce-
duti ancora più oltre tentarono col tuonare delle grida
impaurire la lupa. E questa non incrudita affatto dal
giungere degli uomini , ma quasi domestica fosse, riti-
randosi passo passo da’ fanciulli, si levò ( mutoli restan-
done ) dalla vista de’ pastori , essendovi non lungi un
luogo sacro , opaco per selva profonda , ove le fonti
sgorgavano da pietre cave. Dicesi che quello fosse il
bosco di Pane ; ed un allare’per lui vi sorgeva. In que-
sto venne la fiera e si ascose. Ora il bosco non è più:
ma ben additasi 1’ antro dal quale scorrevano le acque ,
in vicinanza del Pallanteo , lungo la via che mena al-
}
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LIBRO I. 107
r Ippodromo ( 1 ) : scorgesi ivi prossimo un tempietto
ov’ è j come effigie del fatto , una lupa che offre a due
fànciullini le poppe ; metallico e di antico lavoro è quel
monumento.
Era questo luogo , com’ è fama , sacro per gli Ai'^
cadi che vi si accasarono con Evandro. Allontanatasi la
fiera , i pastori presero i fanciulletti provvedendo che
si allevassero appunto , come se volessero gli Dèi che si
conservassero. Era tra questi un placido uomo , il capo
de’ regj pastori , F austolo nominato , il quale trovavasi
in città per alcun suo bisogno , nel tempo che lo stu-
pro vi si riprendeva ed il parto d' Ilia.' Dopo ciò men-
tre erano que’ teneri putti portati al fiume , egli nel
tornare ài Pallanteo , tenne per incontro divino la stra-
da medesima di quelli che li portavano. E non dando
vista di sapere principio alcuno del fatto , dimandò per
sè que’ miserelli , e presili con voto comune , e recan-
doseli , venne alla moglie. E trovatala che avea parto-
rito , e dolente , che il parto erale morto, la racconsolò,
e le diede que’ fanciulli da sostituirsi ; contandole dalle
origini la vicenda che li riguardava. Poi crescendo, chia-
mò r uno di essi Romolo e Remo 1’ altro. Fatti adulti
/
non somigliavano per la bellezza dell’ aspetto e della
prudenza a pastore niuno di gregge immonde o di bo-
vi , ma chiunque numerati li avrebbe tra’ regj figli ,
specialmente tra quelli creduti di generazione divina ,
come in Roma cantano ancora nelle patrie canzoni. Era
la vita loro fra’ pastori , e col travaglio la sostenevano,
(i) Cirro oTc -garrpgiavasi col corso Je’ cavalli.
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io8 DELLE Antichità’ bomane
fissando per lo più su’ monti e legni e canne in guisa
che dessero in un tempo alloggio e tetto. Ed ancora
nel lato che dal Pallanteo piegasi verso l’ Ippodromo V
sopravanza 1’ uno di questi abituri , detto di Romolo >
cui guardano come sacro , ma nulla vi aggiungono on-,
de renderlo più venerando. Che se parte alcuna ne vi6a
meno per anni o tempeste , la suppliscono , riparando-
la , quanto possono con simiglianza. Giunti a’ diciotto
anni ebbero dispute su de’ pascoli co’ pastori di Numi-
tore i quali tenevano i loro bovili sull’ Aventino , colle
situato rimpetto del Pallanteo. Ricbiamavansi spesso gli
uni su gli altri, che pascessero i campi non proprj , o
soli si tenessero i campi comuni , o per cose altrettali,
se ne avvenivano. Davansi per tali dissidj colpfdi mani
e di armi ; e ricevendone da’ giovani assai li servi di
Numitore , e perdendovi alcuni di loro, ed essendone
esclusi a forza dalle campagne, cosi macchinarono. Dis-
posero in valle occulta le insidie su’ giovani , e concor-
dato con quei che le disponevano il tempo di eseguirle ,
gli altri intanto andarono in folla alle roandre de’ me-
desimi. Romolo di quel tempo crasi co’ paesani più ri-
guardevoii recato alla città detta Genina per farvi a no^
me della comune i patrj sacrifizj. Avvedutosi Remo della
incursione volò per la difesa , prendendo in un subito
le armi , e li pochi venuti a lui per unirsegli dal vil-
laggio. Non aspettarono quelli , ma fuggirono per tirar-
seli dietro , dove rivolgendosi a proposito gli assalissero.
Ignaro della trama , seguitandoli Remo lungamente , si
ingolfò nel luogo delle insidie ; e le insidie proruppero
e li fuggitivi si rivolsero ; e circondando lui co’ seguaci
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LIBRO I. 1 09
e tempestando co’ sassi , gli arrestarono, com’ era il co-
mando de’ loro padroni che volevano vivi que’ giovani
nelle mani. Cosi 'fu Remo condotto prigioniero. »
LXXl. Ma Elio Tuberone uomo grave , e ben cauto
nel tessere le istorie scrìve : che avendo que’ di Numi-
tore preveduto che i due garzoncelli erano per ofTerire
a Pane ne’ lupercali 1’ arcade sagriGzio come era isti-
tuito da Evandro , tesero gli agguati pel tempo appunto
del santo ministero , quando bisognava che I giovani ,
abitanti il Pallanteo, correswro dopo le oblazioni nudi
per la terra , e velati solo nel sesso con le pelli recenti
delle vittime. Era questo un tal rito patrio di espiazio^
ne , praticato ancora di presente. Standosi nel più an-
gusto de’ sentieri i nemici a tempo per le insidie su
quei facitori di sante cose , ecco venirsene ad essi la
prima banda con Remo , seguitando più tarda 1’ altra
con Romolo per essersi la gente loro divisa in tre masse,
e distanze. Non aspettando quelli il giungere degli al-
tri , dato un grido, uscirono in folla sa’ primi, e cir-
condatili , gl’ investirono > chi con dardi e chi con sassi
o con altro , comunque gli era alle mani. Sbalorditi
questi dall’ inaspettato assalto , e mal sapendo che fare ,
inermi contro gli armati , furono assai facilmente arre-
stati. Con tal modo, o con quello tramandatoci da Fa-
bio , divenuto Remo il prigioniero de’ nemici , fu tratto
in Alba. Romolo, al conoscere le ingiurie sul fratello,
pensò dover subito tenergli dietro col Bore de’ suoi pa-
stori , quasi a ricuperarselo ancora tra via : ma ne fu
distolto da Faustolo che vedea la insania del disegno.
Era F austolo ancora tenuto come padre , avendo sem-
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1 1 o DELLE Antichità’ romane
pre occultato ai due garzoacelli i loro primi tempi ,
perchè non si mettessero di slancio a’ pericoli , prima
della robustezza degli anni. Allora peiTò vinto dalla ne-
cessità rivela , solo a solo , a Romolo ogni cosa. E Ro-
molo in udire tutta la sciagura che areali involti 6n
dalla nascita, impietosito per la madre venne in grande
ansietà verso di Nnmitore. E molto consultandosi con
Faustolo conchiuse che doveva allora contenersi da ogni
impeto ; sorgere poi con apparato più grande di forze
a redimere la sua famiglia dalle ingiustizie di Amulio ,
e subire fin 1’ ultimo rischio in vista de’ grandi risul-
tati , operando col padre della madre , quanto egli nc
risolvesse.
LXXII. Stabilito ciò per lo m^lio , Romolo convo-
cando i paesani , e pregandoli a recarsi di subito in
Alba , non però tutti io folla , nè ad una porta perchè
non si eccitasse in città sospetto di loro , c a tenersi
nel foro , pronti per eseguire , s’ incamminò per il pri-
mo verso di quella. Intanto quei che menavano Remo
presentatolo ai regj tribunali , ve lo accusavano delle in-
giurie, quante ne aveano da lui ricevute, e vi addita-
.vano le ferite dei loro protestando che abbandonerebbero
tutte le manche , se non erano vendicati. Amulio vo-
lendo fare cosa grata alla moltitudine accorsa , come a
Numitore, forse presente ad incolparlo per altri (i), volen-
do la tranquillità del paese, e stimando insieme sospetta
la baldanza del giovane , imperterrito in sue parole ; lo
( i) Secondo Dionigi , Numitorc ignaro della condiziona di lìcmti,
lo accusava a nome de’ suoi clienti.
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LIBRO I. Ili
.condannò con rendere Numitore 1’ arbitro del castigo ,
e con dire che chi fa ree cose , non dee rintuzzarsene
da altri quanto da chi le ha sostenute. Intanto che Re-
mo era condotto con le mani addietro legate, ed erane
vilipeso da’ pastori (i) che sei conducevano Numitore
postoglisi appresso ne ammirava la bellezza delle forme
che aveano molto del regio , e ne contemplava la no-
biltà de’ sentimenti , che egli conservava in mezzo an-
cora a terribili cose , non volgendosi a far compassione
nè importunando , come tutti fanno in simili casi , ma
procedendo con silenzio maestoso al suo termine. Giunto
in sua casa , Numitore fece che gli altri si ritirassero ,
ed egli , solo con solo , chiese a Remo chi fosse , e da
quali parenti ; non potendo lui , : ootal giovine , essere
da ignobile stirpe. E soggiungendo Remo quanto ne
sapea dal suo nutritore. , come dopo la nascita era stato
esposto bambino nella selva col germano , gemello di
lui , come raccolto da’ pastori fosse poi stato allevato ;
colui , sospesone alcun tempo , alfine , sia che in ciò
vedesse
vole sospettando che egli non pensasse come parlava ,
cosi rispose : I giovani , come è loro mestieri , vanno
pasturando de' bovi pe' monti. Io men veniva in no-
me di essi cdla madre per dichiararle come stieno i
loro fatti. Ma udendo come tu fai guardare questa
donna , io dirigevami a supplicare la figlia tua perché
a lei m' introducesse. E questo cestello , io recavalo
meco per certificare i miei detti. Ora poiché tur sei
fermo di ricondurre qua li garzoncelli , ne esulto ; e
manda con me chi vuoi , che io dimostreroUi , perchè
loro si annunzino gli ordini tuoi. Cosi dunque diceva
per allontanare la morte de’ giovani , e sperando egli
insieme fuggire da quelli che sei menavano , quando sa-
rebbe ne’ monti. Amulio immantinente invia con esso i
più fidi tra’ suoi militari , ordinando però segretamente
che afferrino , e gli rechino quelli che il pastore dimo-
strerebbe. Intanto deliberò chiamare il fratello e farlo
custodire , ma senza catene finché 1’ affare presente se
gli acconciasse. Lo chiamò dunque ma in vista ben di
altre cose. Mosso l’ araldo speditogli , dalla benevolenza
e dalia compassione de’ mali di lui che pericolava non
tacque i disegni di Amulio a Numitore : e questo ma-
nifestando a’ giovani l’ infortunio che pendeva su loro ,
e confortandoli a farla da valentuomini , -andò alla reg»
già tra le arme di clienti , di amici , e di non pochi
servi fedeli ; e lasciato il mercato pel qual erano venuti
in città , vi andarono ancora co’ pugnali sotto degli abiti
i contadini, gente robustissima. £ forzando tutti con
impeto comune l’ ingressa , non presidiato da molli ,
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LIBRO I. I l5
bea tosto uccisero Amulio , e presero poi la fortezza.
Cosi Fabio ne racconta su ciò. '
LXXV. Altri però giudicando non convenirsi punto
di favoloso alla storia dicono inverisimile che la proje>
zione de’ fanciulli non seguisse com’ era ordinata ; e di-
cono che l’amorevolezza della lupa che porge le- mam-
melle ai fanciulli è piena di comiche incoerenze. Rac-
contano invece che Nnmitore al conoscere la gravidanza
d’ Uia , ne tramutasse poi nel parto i figliuoletti , sup-
plendovene altri nati di fresco ; e dandoli in fine ai cu-
stodi della parturieute , perchè al re li recassero. Sia
che la fedeltà di questi fosse comperata con oro , sia
che la sostituzione fosse compiuta per mezzo di fem-
mine ; ad ogni modo Amulio prese ed uccise gli spurj;
laddove i figli d’ llia cari più che ogni cosa a Numito-
re , furono da lui salvati, e consegnati a Faustolo. As-
seriscono che un tal F austolo era un Arcade , originato
da’ compagni di Evandro , alloggiato in sul Pallanteo
colla cura degli armenti di Amulio ; e che condiscen-
desse di allevare i figli di Numitore , indottovi da Fau-
stino (i) , fratello sno , presidente de’ bestiami di ]Vn-
mitore i quali pascolavano per 1’ Aventino : essere stata
la nudrice , la esibitrice delle poppe sue , non la lupa ,
ma com’^ verisimile la moglie di Faustino detta Lau-
renza , e Lupa con soprannome da quei del Pallanteo
perchè prostituiva il suo corpo. Certamente era questo
(i) Questo nome si legge Tariaroenle. Plutarco io Rumalo Io chiama
PUiacino. Altri Io ha chiamalo Fausto: perchè tra Faustolo e Fausto
siavi somiglianza come tra Romolo e Remo : ed altri con molla con-
fusione lo chiama Faustolo come il fratello.
V
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1 1 6 DELLE Antichità’ romane
il greco aatico ^ soprannome per le femmine le quali si
vendono ne’ riti di amore , e le quali ora con più gen-
til nome, amiche si appellano. E «quindi alcuni che ciò
non sapevano ne tesserono la fàvola della Lupa , cosi
chiamandosi quella bestia tra’ Latini. Aggiungono che
i fanciulli slattati appena , filrono dagli aj loro man-
dati a Gabio città non lontana dal Pallanteo perchè vi
prendessero greca istruzione ; e che nudriti colà presso
gli ospiti di Faustolo Gno alla pubertà furono ammae-
strati nelle lettere , nel canto , e nell’ uso greco delle
armi ; che rivenendo poscia ai padri loro putativi bri-
garonsi co’ pastori di Numitore intorno de' pascoli co-
muni , e li percossero , e gli allontanarono colle greg-
gie : essere tali cose state fatte col volere di Numitore
perché si avesse un principio di ridami, ed una causa
onde la turba de’ pastori in città si recasse : che dopo
dò Numitore fe’ lamentanze contro di Amulio , quasi
per grave danno e ruberie de’ pastori di lui ; diman-
dando che se egli non avead parte, gli desse nelle mani
il porcajo , reo delia lite , e li Ggli di quello : che
Amulio a rimuovere da sè quella . incolpazione , ordinasse
a tutti gli accusati , ed a quanti si dicevano essere stati
presenti al successo di comparire in giudizio per Numi-
tore : che insieme concorrendo molti altri sul pretesto
di quella causa, Numitore dicesse a’ nipoti quanta, scia-
gura gli avea perseguitali : e dimostrando^ lui che quella,
se altra mai ve ne fu , quella appunto era 1’ ora della
vendetta , iramautiuenle volarono colla turba de’ pastori
all’ assalto. E queste sono le memorie su la origine e su
la educaziouc de’ fondatori di Roma.
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LIBtlO I. 1 1 7
' LXXVI. Ecco poi le cose avvenute nella fondazione:
ciò clic mi resta anche a scrivere, ed ora mi vi accin-
go. Poiché Numitore col morirsi di Amulio riebbe il
principato ; spese breve tempo a riordinare su le anti-
che maniere la città , già premuta colla tirannide , e
ben tosto fabbricandone un’ altra , meditava di crearvi
anche un regno pe’ figli. Pareagli bello , essendosi il po-
polo suo troppo moltiplicato , levarne totalmente la
parte almeno già sua contraria , per non più sospet-
tarne. E comunicatosi co’ figli , ed essendone questi di-
lettati ; diè loro , perchè vi regnassero , le terre dove
erano stali allevati , e la parte del popolo divenuta a lui
sospetta , e disposta ancora per fare innovazioni , e
quanti voleano spontaneamente mutar sede. Ci avca tra
questi , come per una città che si mova , molti della
plebe , e buon numero de’ più potenti , anzi pure dei
Trojani reputati più nobili , de’ quali esistevano ancora
a’ miei giorni , almeno cinquanta famiglie. Diede a’ gio-
vani danaro , arme , frumento , schiavi , bestie pe’ tras-
porti , è quanto ricercasi per la fondazione di una cit-
tà. Poiché questi ebbero cavato da Alba il popolo loro,
aggregarono ad esso quanti rimaneano nel Pallanteo e
nella Saturnia , e ne divisero tutta la massa in due parti.
Sembrava loro che ciò desterebbe dell’ ardore nella gara
di compiere più speditamente un lavoro ; quando fu
causa del pessimo de’ mali , cioè di una sedizione. Im-
perocché celebrando le due parli il suo capo , ciascuna
lo inalzava come il più idoneo al comando di tutti: al-
tronde li due capi non più avendo una mente e non
quella di fratelli , ma di soprastanti 1’ uno su 1’ altro ,
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1 1 8 DELLE Antichità’ romane
ornai non curavano 1’ eguaglianza , e moltissimo ambi'^
hivano. Celatasi fin qui , proruppe finalmente la loro
ambizione per questo incontro. Non piaceva ugualmente
a ciascun d'essi il luogo per fabbricarvi la città : vdleala
Romolo sul Pallanteo per più cause , e per la prospe-
rità del luogo , essendovi stati salvati e nudriti : ma
sembrava a Remo da edificarsi nella sponda che ora da
lui lìomoria si addi manda (i). Ben erane il luogo ac-
concio per una città , su di un colle non lontano dal
Tevere , in distanza di circa trenta stadj da Roma. Da
tal gara appalesaronsi ben tosto le voglie di soprastarsi;
apparendo assai chiaro che qual, di essi prevaleva sul-
r altro dominerebbe ancora su tutti.
LXXVII. Passato intanto alcun tempo, nè sceman.
dosi punto il dissidio , parve ad ambedue da rimetter-
sene all’ avo materno , e si recarono in Alba. E colui
suggerì che lasciassero giudicare agli Dei , quale di loro
due desse nome e comandi alia colonia. E predestinan*
do ad essi il giorno , ordinò che si trovasserò di buon
mattino separatamente ciascuno nel luogo ove 'bramava
porre la sede : e che sagrificandovi prima secondo le
usanze agl’ Iddii vi osservassero gli uccelli propizj : e
qudlo di loro due per cui sarebbero gli uccelli più
fausti , quello comandasse la colonia. •! giovani lodato il
consiglio partirono , e trovaronsi poi nel giorno deci-
sivo , appunto come avevano convenuto. Prendeva Ro-
molo gli augurj sui Pallanteo dove ujeditava fissare la
(i) Pesto con altri colloca Komeria nelle cime dell’ Arentino : ma
Dionigi sembra collocarla più lontana. Sarebbero mai state due que-
ste Romnrie , o Remurie t
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LIBRO I. II9
colonia : ma Remo nel colle contiguo , detto Aventino,
o Romoria , come altri raccontano. Erano con essi le
guardie , perchè non permettessero che alcuno de’ due
dicesse altre cose che le vedute. Postisi ambedue nei
luoghi convenienti ; Romolo dopo un poco , per ansia,
-e per invidia del fratello , e più che per invidia , per
impulso forse di un qualche Nume , innanzi di avere
osservato alcun segno , quasi il primo avesse veduto lo
augurio lieto , spedi messaggeri al fratello, perchè a lui
ne 'venisse prontamente. Ma non accellerandosi questi ,
perchè vergognosi di portare un inganno p intanto sei
avvoltoi , volandogli a destra , apparirono a Remo. Era
costui lietissimo delia veduta , ma dopo non molto gli
inviati da Romolo , movendolo , sei menarono al Pallaa"
teo. Dove giunti , Remo chiedeva da Romolo , quali
uccelli avesse veduto : e dubitando Romolo come rispon-
dere ; ecco dodici avvoltoi , propizj col volo gli si mo-
strarono. Inanimato al vederli disse, addiundoii a Re-
mo: che cerchi tu s pel tempio , e per gli usi del comune. Tale
era la partizione fatta da Romolo ne’ terreni e negli uo*
mini diretta alla massima eguaglianza comune.
Vili. Ora dirò della partizione degli uomini per con-
cedere privilegi ed onori secondo la dignità di ciascu-
no. Scevrò gli uomini cospicui per nascita, o lodati per
virtù , o comodi secondo quel tempo per danaro , pur-
ché avessero prole , dagl’ ignobili , dagli abietti e dai
bisognosi. E plebei nominò quelli di sorte deteriore ,
che il greco appellerebbe dimolici ; ma intitolò padri
quei di fortuna migliore sia che per la età maggioreg-
giassero su gli altri , sia perchè avessero figli , sia per
la chiarezza della prosapia, sia per tutte queste cagioni ;
pigliando , come può congetturarsi , 1’ esempio dalla
repubblica degli Ateniesi , quale esisteva in quel tem-
po. Imperocché questi chiamavano Eupatridi principal-
mente o patrizj li più distinti per nascita , e più potenti
per danaro , a’ quali afQdavasi la cura della repubblica :
e chiamavano agrici , o rustici gli altri che di niente
eran arbitri sul comune: ma col volger degli anni fu-
rono ancor essi elevati agli onori. Per tali cagioni di-
cono gli scrittori più credibili delle cose romane che
Padri fossero nominati que’ valentuomini , e patrizj i
squadre de* cavalieri erano divise in decurie come i chiaro da Var-
rooe e da Polibio.
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LIBRO li.
i35
loro discendenti. Ma coloro che guardano 1’ affare con
occhio d’ invidia , e malignano su le origini vili di Ror
ma , non dicono che i patrizj avessero questo nome per
tali cagioni , ma perchè soli potevano additare gli autori
della loro generazione ; quasi gli altri non fossero che
vagabondi, o senza liberi padri. E davano per sicuro
argomento di ciò , che quando piaceva al re di convo>
care i patrizj , gli araldi gl’ intimavano pel nome loro
e per quello ancora de’ padri ; laddove pochi banditori
invitavano alle adunanze i plebei rinfusamente col buc-
cinare de’ corni da bove : ma nè la intimazione per
mezzo di araldi è buon segno degl’ ingenui natali , nè
il snon della buccina è simbolo della ignobilità de’plebei:
ma la prima recavasi per onorificenza ; spandevasi l’altro
per compendio ; non riuscendo invitare in poco tempo
a nome tutta la moltitudine.
IX. Poiché Romolo segregò li più degni dai men ri-
guardevoli , ordinò per leggi le incombenze degli uni e
degli altri. Adunque stabili che i patrizj intenti con esso
alle cure pubbliche fossero i sacerdoti , i magistrati , i
giudici , ma che li plebei , liberi da tali sollecitudini per
la imperizia e per la penuria , lavorassero le terre , al-
levassero i bestiami , ed esercitassero le arti mercenarie,
perchè non sorgesse fra loro sedizione, come in altre
città , quando gli uomini di grado spregiano gli igno-
bili , o quando i vili c poveri invidiano la preminenza
degli altri. Affidò , qual deposito , a’ patrizj i plebei ,
concedendo a ciascuno di questi di eleggersi liberamente
tra quelli un patrono. Greca antica consuetudine era
questa ritenuta lungamente da’ Tessali , e dagli Ateniesi
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i36 DELLE Antichità’ ro3Iane
quando ancora conoscevano il meglio : ma poi declina**
rono al peggio, ed insolentirono su’ clienti; comandando
loro cose non degne di uomini ingenui, minacciandoli
di battiture se non ubbidivano, ed abusandoli con altre
maniere , quasi schiavi comperati- Gli Ateniesi chiama-
vano Thitas pe’ servigi che rendevano , i Clienti , ed i
Tessali li chiamavano Ponesti (i) vituperandone fin col
nome stesso la condizione. Ma Romolo fregiò con nome
conveniente , chiamandola patronato , la garanzia de’ bi-
sognosi e degl’ infimi : e date all’ uno ed all’ altro utili
cure , ne rendè la congiunzione benevola veramente e
cittadina.
X. Le obbligazioni stabilite da lui sul patronato e
conservatesi lungo tempo tra’ Romani erano queste: do-
veano i patrizj informare i clienti della legge che igno-
ravano , doveano prender cura di loro ugualmente, fos-
sero o no presenti , e far su di essi come i padri su’ figli,
quanto alla roba , ed ai contratti su la medesima ; mo-
vendo liti pe’ clienti se altri ne era danneggialo , su
contratti , e subendola , se altri la moveano. E per dir
molto in poco , doveano proctware. ad essi tutta la ti'an-
quillità della quale abbisognavano nelle cose domestiche
e nelle pubbliche. I clienti a vicenda se i patroni scar-
seggiavano di beni doveano coadiuvarli , maritandosene
le figlie : doveano riscattarli da’ nemici se alcuno di essi
(i) Diouigi qui paragona i clienii Romani, i TMti drgli Ateniesi
ed i Penesti dei Tessali : ma i Thili erano almeno liberi , e servi-
vano per la miseria o pe' debiti. 1 Penesù dei Tessali erano un in-
termedio tra gli schiavi e gli uomini liberi. Non era cosi de’ c.ieuti
Romani. Questi non di raro parteggiavano o superavano la fortuna
dc'pauoui.
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LIBRO ir. 187
o de’ figli rtmaDeva prigioniero : pagare del proprio per
loro non a titolo di prestito , ma di gratitudine le liù
perdute , e le pubbliche multe tassate in moneta : e con-
correre quasi ne spettassero alle famiglie , nelle spese di
essi per le magistrature , per gli onori , e per le altre
pubbliche dimostrazioni. Quanto ad ambedue poi non
era lecito o giusto pe’ clienti o patroni che gli uni ac-
cusassero gli altri ; che si dessero testimonianze e voti
contrari ; o si lasciassero cercare gli uni per nemici degli
altri. E se alcuno era convinto di aver fatto l’opposito,
soggiaceva alle leggi di tradigione promulgate da Ro-
molo : ed era per chiunque santa cosa lo ucciderlo ,
come vittima a Dite ; costumando i Romani di consa-
grare agl’Iddj , spezialmente infernali , le persone alle
quali volevano impunemente dare la morte, come fece
allora anche Romolo. Adunque perseverarono per molto
tempo tramandandosi da figlio Jn figlio le congiunzioni
dei patroni e dei clienti, senza che niente differissero
dai ligami strettissimi di parentela. Ed era gran lode per
uomini d’ inclita stirpe aver clienti in più numero , cu-
stodendo i patrocini lasciati loro dagli antenati , ed
acquistandone altri ancora colla propria virtù. E mera-
vigliosa era la gara di ambedue per non lasciarsi vin-
cere gli uni dagli altri nella benevolenza ; proferendosi
li clienti a far quanto potevano verso de’ patroni ; nè
volendo i patrizi dar loro molestia con riceverne da-
nari in dono. Così era tra loro il vivere condito con
ogni diletto ; e . la virtù non la sorte era la misura della
felicità.
XI. Non solamente poi vivea sotto l’ ombra de’ patrizi
i38 DELLE Antichità’ romane
la plebe di Roma; ma quella delle colonie di lei, quella
delle città confederate ed amiche , e quella ancora delie
conquistate colle armi tenevasi per custode e protettore
qual più voleva de' Romani. E più volte il senato ri-
mettendo ai protettori le controversie di città e di na-
zioni confermò le sentenze date da essi. Anzi era tanta
la concordia de’ Romani cominciando dall’ ora che Ro-
molo ne fondava i costumi , che mai per secento venti
anni tumultuarono con stragi e sangue, sebbene nasces*
sero intorno del comune molte e gravi dispute tra la
plebe e li magistrati , come nascono in tutte le città ,
picciole o popolose : ma illuminandosi , e persuadendosi
a vicenda , e parte concedendo , parte ottenendo racche-
tavano le interne dissensioni. Dacché però Cajo Gracco,
divenuto tribuno , sconvolse 1’ armonia della città , non
cessano dal sopraffarsi colle stragi e con gli esilj ; nè
risparmiano misfatto per vincersi. Ma per dir tanti mali
avrem poi luogo più acconcio.
XII. Ordinate tali cose , ben tosto Romolo deliberò
di creare i consiglieri co’ quali dividere le pubbliche
cure , e trascelse cento de’ patrizj cosi facendone la se-
parazione. Prima nominò fra tutti il più idoneo , a cui
si afBdasse lo stato , quando egli coll’ esercito uscireb-
bene dai confini. Quindi prescrisse a ciascuna tribù di
scegliersi tre uomini , savissimi per età come insigni per
nascita. Fissati questi nove impose ancora che ciascuna
delle curie eleggesse tre li più opportuni fra li patrizj.
Infine unendo ai primi nove dichiarati dalle tribù li
novanta determinati col voto delle curie , e facendo pre-
sidente di tutti quell’unico prescelto da lui ; compiè la
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LIBRO II. 1 39
serie di cento consiglieri. Potrebbe il consesso di «pesti
signiBcare tra’ Greci un senato , e con tal nome chia-
masi appunto tra’ Romani. Nè io saprei deGnire se un
tal nome se lo acquistasse per la età senile , o per la
virtù dei membri che vi furono incorporati. Certo so-
lcano gli antichi dir seniori i più maturi negli anni e
nelle opere. Quanti ebbero luogo in senato furono chia-
mati e si chiamano ancora Padri Coscritti. Greca isti-
tuzione era questa : perocché quanti regnavano , sia pei^
chè succeduti a’ diritti paterni , sia perchè nominati capi
dalla moltitudine, aveano un consiglio di ottimi uomini,
come attestalo Omero , e poeti antichissimi : nè le mo-
narchie primitive de’ principi erano, come ora , assolute,
e Gsse agli arbitrj di un solo.
XIII. Ordinato il consiglio de’ cento seniori, vedendo
che egli avea bisogno di una gioventù regolata da usarla
in guardia del corpo suo , come per incumbenze di af-
fari pressanti , unì trecento i più robusti delle più in-
signi famiglie. Le curie nominarono ciascuna dieci di
questi giovani come aveano nominato li senatori ; ed
egli tenea sempre con sè tali uomini. E tutti , panti
erano stabiliti in quella schiera , aveano il nome di Ce-
leri , come dai più si scrive , per la speditezza ne’ loro
servizj ; chiamandosi Celeri dai Romani gli uomini pronti
e spedili nell’ operare. Ma Valerio Anziate dice che lo
derivarono dal duce loro , Celere nominato. Era un tal
duce riguardevolissimo nel suo grado ; ed a lui ubbidi-
vano tre centurioni , ed a’ centurioni altri capitani mi-
nori. Questi lo accompagnavano per la città colle aste,
pronù ai suoi cenni: ma nel campo erano propugnatori
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i4o DELLE Antichità’ romane
e custodi : e spesso dirigevano a buon fine ia battaglia,-
primi a cominciarla , ed ultimi a levarsene. Combatte-
vano, dove il luogo consenti vaio , a. cavallo; ma appiè,
dove era aspro , nè proprio da cavalcarvi. Sembrami
cbe un tal uso lo derivasse da’Lacedemoni coll’intendere
die tra quelli vegliavano alla custodia dei re, e li pro-
teggevano nelle guerre giovani generosissimi, buoni per
militare a cavallo ed appiede.
XIV. Composte in tal modo le cose , comparti gli
onori ed i poteri cbe volevano in ciascuno ; presceglien-
done tali primizie pe’ monarchi. Volle dunque cbe avesse
il -re primieramente la presidenza de’ templi e de’ sagri-
fizj , e che tutte per lui si compiessero le sante cose in
verso de’ Numi : cbe fosse il custode delle leggi e dei
patrj costumi: che avesse cura dei diritti provenienti
dalla natura o dai patti : che esso giudicasse delle in-
giustizie capitali ; ma rimettesse il giudizio su le altre
ai senatori , e provvedesse che niente si peccasse ne’ tri-
bunali: cannasse il Senato, convocasse il popolo, e pri-
mo vi dicesse il parer suo , ma seguitasse quello dei
più. Tali sono le prerogative che egli riservò pe’ mo-
narchi, oltre quella di un comando indipendente nelle
guerre. Al consesso poi de’ senatori attribuì questi onori,
e questa autorità : cioè , che esaminassero le cose che
il re proporrebbe , e ne votassero , ma vi prevalesse la
sentenza dei più. Trasse quest’ uso ancora da' Lacede-
moni : perciocché li re de’ Lacedemoni non si pre-
ponderavano da fare a lor modo , ma l’ autorità su-t
prema terminavasi nel senato. Lasciò da ultimo al
popolo il potere di eleggere i magistrali , di appro-
»
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LIBRO II, l4l
Tare le leggi e discutere intorno la guerra quando al
re ne paresse, non però deOnitivamcnte se contrario
tosse il senato. Il popolo dava i sufTragj non tutto in
un corpo , ma convocato per curie ; e riferivasi poscia
al senato ciocché le più sentenziavano. Ora cangiata è
la consuetudine ; imperocché non è il senato che ratifica
le sentenze del popolo ; ma il popolo è 1’ arbitro delle
sentenze, del senato. Io lascio , che chi vuole esamini
quale di queste due consuetudini sia la migliore. Con
tali scompartimenti le cose civili prendeano marcia savia
e regolata , e le militari altresì la prendeano docile e
pronta. Imperocché quando fosse piaciuto al re di muo-
ver l’ esercito , non aveansi a creare i tribuni dalle tri-
bù , nè li centurioni dalle centurie , nè li maestri dai
cavalieri ; nè restava àd alcuno di essere coscritto , o
scelto , o di ricevere il posto che gli conveniva. Ma il
re intimava i tribuni , e li tribuni i centurioni. All’ av-
viso di questi ciascuno dei decurioni cavava i soldati ,
subordinati a sé stesso. Così per un solo comando la
milizia, secondo che era chiamata , in parte o del tutto,
presentavasi colle arme al luogo destinato.
Xy. Romolo abilitando la città pienamente per la
pace e per la guerra con tali istituzioni , la rendè con
esse grande e popolosa : obbligò primieramente gli abi-
tanti ad allevare tutta la prole virile, e le primogenite
delle femmine , con ordine che non uccidessero niun in-
fante più recente di tre anni , se pure non era storpio,
o mostruoso fin dalia nascita. Tali sconci bambini non
proibì che via si esponessero , se presentatigli a cinque
uomini dei più vicini , vi consentissero. E per chi vio-
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i43 delle Antichità’ romane
lasse questa legge stabili fra le altre pene la con6sca di
una metà delle loro sostanze. Considerando poi che
molle delle città d’ Italia erano miseramente premute
dalla tirannide di uno o di pochi; procurò di ricevere
e di tirare a sè li tanti che ^ne fuggivano , purché fos-
sero liberi , senza esaminarne i pregiudizi , o la sorte , e
tutto per ampliare la potenza romana , e diminuire quella
de’ vicini. Adunque fe’ ciò cogliendone una bella occa-
sione su le apparenze di onorare gl’ Iddi!. Fondatovi un
tempio , non saprei deci ferace a quale de’ Numi , o dei
genj , dichiarò come asilo per chi ricorrevaci il luogo
tra ’l Campidoglio e la fortezza, ora detto nell’ idioma
de’ Romani il basso tra le due selve , e nominato allora
cosi , per essere quinci e quindi coperto dalle ombre
delle piante amplissime delle terre contigue ai due colli.
Inoltre per la riverenza de’ Numi, promise a chi rifug-
givasi al santo luogo che non ci avrebbe molestie dai
nemici , anzi , che se voleva albergare presso di lui ,
parteciperebbe ai diritti sociali , ed alle terre che leve-
rebbe altrui guerreggiando. Pertanto vi si affollavano
d’ ogn’ intorno uomini che fuggivano i mali domestici ;
nè altrove poi si trasferivano allettati dai colloquj , e
dalle cortesi maniere di lui.
XVI. La terza istituzione di Romolo , degna soprat-
tutto che i Greci la osservassero , e certo la migliore ,
come io penso di tutte , la quale fu principio della li-
bertà stabile de’ Romani , nè poco contribuì per la for-
mazione dell’ impero , la terza istituzione fu di non uc-
cidere tutta la pubertà delie città debellate , nè di ri-
durre queste come terre da pascervi , ma di mandare
\
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LIBRO li: 1 43
in esse chi se ne avesse in parte i campi , e di ren-
derle , quando erano vinte , colonie de’ Romani, e tal-
volta ancora di ammetterle ai diritti stessi di Roma.
Introducendo queste e simili pratiche fe' grande la co-
lonia sua di picciola , come la cosa stessa dichiaralo.
Imperocché quelli che fondarono Roma con esso, erano
non più che tremila fanti nè meno che trecento cava-
lieri ; laddove quando egli spari dagli uomini vi lasciò
quarantaseimila fanti , e poco meno che mille cavalieri.
Ma se egli basò tali regole , le custodirono poscia i re
die gli succederono , e dopo i re li magistrali che pi-
gliavano di anno in anno il comando, aggiungendone
altre per modo , che il popolo romano trovasi non in-
feriore a niuno tra quanti sembrano i più numerosi.
XVII. Ora paragonando con questi i Greci costumi ,
non so come lodare le pratiche de’ Lacedemoni , dei
Tebani , e degli Ateniesi che tanto pregiano sé stessi
per sapere. Essi gelosi troppo dell’ incorrotto loro li-
gnaggio, non comunicarono se non a pochi i diritti
della propria repubblica , per non dire che taluni ripu-
diavano anche gli ospiti. Da tale arroganza però non
solo non raccolsero alcun bene, ma gravissimamente ne
scapitarono. Cosi gli Spartani battuti nella pugna di Leut-
tra con perdervi mille settecento de’ suoi : non solo non
poterono mai più rilevarsi da quel danno , ma deposero
turpemente il comando : e cosi li Tebani , e gli Ate-
niesi per la sola sconfitta riportata in Cberonea furono
in un tempo spogliati da’ Macedoni e della preminenza
su la Grecia , e della libertà. Ma Roma , brigata in
guerre gravissime nella Spagna e nella Italia , brigata a
i44 DELLE Antichità’ romane
ricuperare la Sicilia e la Sardegna che le si erano ribel-'
late , quando ardevano tutte in arme contro lei la Grecia
e la Macedonia, quando Cartagine eie varasi novamente
a disputarle il comando , quando l’ Italia , non che essere
quasi tutta in rivolta, trae vale addosso la guerra detta
di Annibaie ; Roma in mezzo a tanti pericoli , quasi
contemporanei , non solo non si abbattè ; ma ne rac-
colse forze maggiori che dianzi , proporzionandosi fino
per contrapporle a tutti i mali. Ne consegui già questo
per favore di sorte propizia come alcuni sospettano ;
mentre per conto della sorte sarebbe andata in rovina
con la sola sciagura di Canne ^ quando di sei mila suoi
cavalieri ne rimasero appena trecentosettanta , e di ot-
tanta mila soldati ne scamparono pochi più che tre mila.
XVIII. Ora queste e le cose che io son per aggiun-
gerne fanno che io prenda meraviglia su Romolo. Im-
perocché avendo concepito che le cause dello stato flo-
rido di una città sono quelle che tutti decantano , ma
pochi seguitano, cioè primieramente la carità verso gli
Iddii, colla quale tutte le cose degli uomini si risolvono
in bene , e secondariamente la temperanza e la giustizia,
per la quale men si offendono e più concordano fra
loro , nè misurano la felicità co’ sozzi piaceri, ma colla
rettitudine , e finalmente la fortezza nel combattere , la
quale rende utili a chi le possiede anche le altre virtù ;
ciò, dico, avendo Romolo concepito, non pensò che
tali perfezioni provenissero per sè stesse, ma conobbe
che le leggi provvide , e la bella emulazione nel disci-
plinarsi, formano appunto una città pia, prudente, giu-
sta, bellicosa. Adunque molto in ciò vigilando , comin-
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- L 1 BI \0 II. 145
ciò dal cullo de’ genj e de’ Numi : e seguendo le leggi
migliori de’ Greci mise in pregio le sanie cose , io dico
i templi , gli altari , le statue , le immagini , i simboli ,
le forze, i doni co’ quali gli Dei ci beneGcano, e le feste
convenevoli per ogni genio o Nume; e li sacriGzj coi
quali gradiscono essere venerati dagli uomini , e le ces-
sazioni dalle arme, e li concorsi, e li riposi dalle fati-
che , e quanto si addita di simile. Ripudiò le favole che
sen divulgano , sparse di bestemmie e di accuse contro
di loro , giudicandole ree , dannevoH , obbrobriose , in-
degne di un uomo dabbene non che de’ Numi ; e ri-
dusse gli uomini a dire e sentire magniGcamente su’Nu^
mi , non a gravarli di cure aliene da una natura beata.
XIX. Già non si ode tra’ Romani nè Gelo castrato
da' Agli , nè Crono che stermina i figli per timore di
essere da loro assalito , nè Giove che scioglie il regno
di Crono, e rinchiude il suo genitore nella prigione
del Tartaro. Non le guerre vi si odono , non le ferite,
e le catene e le servitù degli Dei presso gli uomini :
non feste vi si usano atre e dolorose per gli cluiaii e
per il lituo di femmine che piangono gli Dei levati
loro , come in Grecia il ratto si piange di Proserpina,
e le avventure di Bacco , e cose altrettali. E quantun-
que ornai li costumi vi si corrompano , niuno ravvisa
colà nè uomini invasali da’ Numi , nè furie di coribanti,
nè baccanali , nè misteri iuelfjbili , nè veglie notturne
di femmine e raaschj nei templi , nè osservanze consi-
mili , ma ravvisa tutto praticarvisi e dirvisi verso gli
Dei con tanta pietà con quanta non si pratica o dice
BIONICI, tomo I. IO
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l46 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
tra’ Greci o tra’ Barbari. Eid io vi ho soprattutto ammi-
rato, che sebbene sieno venute a Roma tante migllaja
di esteri necessitati a venerare ciascuno i suoi Dii coi
riti delle patrie loro ; pure mai questa , come pur troppo
succedette ad altre città , non venne in desiderio di ri-
ceverne pubblicamente il culto peregrino : e se per le
risposte degli oracoli introdusse talvolta sante cose come
quelle della madre Idea , le onorò co’ riti suoi propri! ,
escludendone quanto ci avea di superstizione e di favola.
Quindi i pretori ogni anno apprestano alla diva Idea
sagrifizj e giuochi secondo le leggi romane : ma un fri-
gio , ed una donna , fHgia ancor essa , le immolano il
sacriGzio. Questi la recano in giro per la città que-
stuando per la dea come è loro costume, fregiati di
immaginette ne’ petti , movendo il passo , e percotendo
i timpani intanto che altri gli accompagnano col suono
delle tibie , e cantano gl’ inni della gran madre : ma
ninuo de’ Romani nativi ornato con veste di vario co-
lore va per la città questuando o sonando di tibia , o
venerando con frigie adorazioni la diva (i) ; e tutto è
secondo le leggi ed il voto del senato. Tanto è cauta
la città su gli usi forestieri interno de’ Numi ; e tanto
ne ripudia le osservanze vane nè decorose !
(i) Questo (ratto su la madre Idea non è ben chiaro. Sembra
che il culto de lei fosse ricerulo ed eseguito in una parte solamente
colle leggi romane. Quei riti che non erano ricevati non poteano
esercitarsi dai Romani. Dei resto Dionigi forse afferma senza verità
che gli Dei forestieri adottati in Roma non si veneravano co' riti
ancora de' forestieri . Arnob. lib. a e Valerio Massimo lib. primo
possono dimostrare il contrario.
4
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LIBRO II. 147
XX. Nè credasi che io non sappia che alcune delle
favole greche sono utili agli uomini. Certamente talune
dimostrano allegoricamente le opere della natura : e ta-
lune furono simboleggiate per confortarci ne’mali; altre
levano i 'turbamenti ed i terrori dell’ animo , e lo pur-
gano dalle opinioni non sane , ed altre ancora per altro
buon termine furono immaginate. Ma quantunque io
nommeno che gli altri , conosca tali cose , pure vi sono
assai cauto , ed ammetto piuttosto la teologia de’ Roma-
ni; considerando che tenui sono i beni derivati dalle
favole greche e che non possono far utile se non a
pochi , a quelli cioè che investigano le cagioni per le
quali furono inventate. Ora ben rari possiedono questa
fìloso6a ; ma la moltitudine ignorante suole rivolgere al
peggio i discorsi che se ne fanno , e patirne 1’ una o
l’altra miseria , cioè di spregiare gl’ Iddii come implicati
in 'tanto malfare, o di non contenersi m.ii più da in-
giustizie e da vituperi , vedendo die sono questi gli
esercizi de’ Numi.
XXI. Ma lascisi ciò da contemplare a quelli che que«
sta parte sola si appropriano di filosofia. Quanto al go-
verno istituito da Romolo io reputo degne della storia
queste cose ancora : e primieramente il numero delle
persone che egli deputò per le cure religiose. Certo
niuno potrebbe additare in altra nuova città stabilitovi fin
da’, principi .tanto sacerdozio e tanto ministero dei Numi.
Per non dire de’ sacerdoti gentilizi, furono sotto il regno
di lui creafi sessanta 'sacerdoti che fornissero le pubbli-
che divine funzioni delle curie e delle tribù. Nè io qui
ridico non le cose che descrisse nelle sue antichità
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i48 DELLE Antichità’ romane
Terrenzio Varrone , peritissimo tra quanti Borirono ai
suoi tempi. Poi siccome altri per lo più fanno ineonsi-
deratamente , e malamente la scelta de’ sacri ministri ;
siccome altri ne mettono a prezzo le dignità per la voce
de’ banditori; e siccome altri infine le compartono a
sorte; egli non volle che fossero il premio dell’argento,
o della sorte , ma decretò che si nominassero da ' ogni
curia due uomini , maggiori di cinquanta anni -, pteemi-
nenti di lignaggio , insigni pe’ meriti , agiati abbastanza
di averi , nè difettosi in parte della persona. E comandò
che questi avessero quegli onori non a tempo ma du-
rante la vita , e che essendo per la età già liberi dalle
cure militari , lo fossero per legge dalle politiche.
XXII. E siccome alcuni sagrifizj si aveano a fare
dalle femmine , ed altri da’ giovani , aventi tuttavia pa-
dre e madre ; cosi perchè questi ancora degnamente si
amministrassero , ordinò che le donne de’ sacerdoti fos-
sero le compagne de’ mariti ancora nel sacerdozio ; che
esse compiessero le sante cose che le leggi della patria
non permettevano agli uomini, ed i figli loro prestassero
il servigio, proprio de’ giovani: Che se non avevano
prole scegliessero dalle altre case nella curia loro i più
graziosi tra’ fanciulli e fanciulle, perchè ministrassero,
quelli fino alla pubertà , queste finché erano pure senza
le nozze (i). Io credo che Romolo derivasse questé pra-
tiche ancora da’ Greci ; mentre ciò che ne’ Greci sacri-
(i) Qnesii fanciulli cosi eleni anche dalle altrui case erano chia-
mati Camillì e Camille. Plutarco nella vita di Numa accenna elio
cosi chiamavansi que’giovinelti che ministravano «1 sacerdote di
Giove, •
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LIBRO II. 1 49
ficj forniscono quelle che Canifore si domandano , lo
compiono tra’ Romani quelle che Camille (i) son dette,
cinte di ghirlande la testa , come da’ Greci la testa in-
ghirlandasi delle statue di Diana Efesina. E quanto èse-
guivano un tempo fra’ Tirreni e prima già fra’ Pelasghi
i Cadolj nelle adorazioni dei Cnreti e degli Dei Grandi,
lo ministravano nel modo medesimo ai sacerdoti i garzon*
celli nominati Camilli tra’ Romani. Prescrisse inoltre che
intervenisse da ciascuna tribù ne’ sagriGzj un indovino ,
che noi chiameremmo Jeroscopo , ed i Romani chia-
mano aruspice , serbando in qualche tenue parte la de-
nominazione primitiva ; e statuì , che li sacerdoti ed i
ministri loro fossero tutti nominati dalle curie, ma con-
fermati da quelli che interpretavano i voleri de’ Numi
colla divinazione.
XX [II. Ordinate tali cose intorno al servigio divino ,
divise ancora , secondo che era per cosi dire opportuno ,
alle curie le sante cose, destinando a ciascuna i Numi
ed i genj che in perpetuo adorerebbe ; e tassò per le
sante cose le spese che aveansi a supplire dal pubblico.
Celebravano coi sacerdoti le curie i sagriGzj a loro as-
segna ti. facendo per le feste il convito nelle case delle
curie.' Perocché vi era in ciascuna curia un cenacolo ,
ed insieme vi era un’ edifizio comune , consacrato per
tutte ; -.come i Pritanei tra’ Greci. Que’ cenacoli , quegli
edifizj, curie si, chiamavano , e si chiamano, come le
partizioni stesse del popolo (a). E tale istituzione sem-
. (j) La voce Camille manca nel tetto : ma par troppo coerente
colla totalità del senso, Canifore vai quanto portatrici de' canestri.
(a) Varroiie uellil>. 4 della lingua latina diceche gli edirizj ciita-
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l!)0 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
brami che Romolo se l’ avesse dalla disciplina che fio-
riva allora tra’ Lacedemoni ne’ riti sociali. Licurgo avea
ciò , fluttua quella fra le tempeste ; e che però debbe
un uomo savio di stato , legislatore o sovrano che sia
dar leggi che rendano i privati prudenti e giusti nei
vivere; Ma qon tutti mi sembra che vedessero egxial-
mente còn quali industrie e leggi si rendessero tali , e
sembrami che alcuni assai , per non dire interamente ,
mancassero, nelle parti essenziali e primarie della legi-
.slazione.; come subito ne’sposalizj e nel convivere colle
femmine , donde un legislatore dee cominciare , come
ne cominciò la natura l’ ordine armonioso di noi tutti.
Imperciocché taluni pigliando esempio dalle bestie vol-
lero i congiungimenti del maschio colla femmina pro-
miscui e liberi , quasi fossero cosi per liberare la vita
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i52 delle Antichità’ homane
dalle furie amorose, e preservarla dalie gelosie che uc>
cidono , e rimoverla dai tanti mali che per causa delie
femmine invadono le intere città , non che le famiglie.
Altri esclusero dalla città tali silvestri e ferali eoocu»
bili accordando un uomo per una donna : in custodia
però delle nozze , e della moderazione delle mogli ,
non tentarono più o meno far leggi , ma se ne asten-
nero; quasi impossibile fosse il contrario. Aluri nè la-
sciarono, come taluni de' barbari, le cose amorose senza
leggi , nè le mogli senza premunirle come i Lacedenào-
ni, ma vi promulgarono molte e castissime regole. E
vi furono pur quelli che fondarono un magistrato che
invigilasse intorno la purità femminile : ma non bastarono
tali provvidenze alla cura. Fu quel magistrato languido
più del dovere , nè potè ridurre a pudicizia chi mal ci
avea contemperata la natura.
XXV. Ma Romolo non dando azione all’uomo contro
donna se adulterava , o se abbandonavagli la casa ;
nè dandola alla femmina che accusava l’uomo di pes-
sima amministrazione o d’ ingiusto ripudio ; non for-
mando leggi sul ricevere e sul restituirsi della dote ,
nè definendo altra cosa qualunque , consimili a queste;
ne stabilì solamente una , migliore assai ( come il fatto
dichiarò) delle altre, colla quale fe’ le donne' savie e
pudiche e di ogni onoralo contegno. E la legge fu:
che la femmina maritala la quale secondo le sacre
leggi recavasi alt uomo , divenisse partecipe de’ beni e
delle sacre cose di lui. Gli antichi chiamavano con
formola romana nozze sacre e legittime la confarrea-
zioiie per l’uso conume del farro .che . noi Zea chia-
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LIBRO II. I 53
nilamo. E come noi Greci tenendo l’orzo per antichis-
simo diam principio con esso a’ sagrifìzj ; ed que-
sto. cliiamiamo: cosi li Romani giudicando cibo primi-
tivo e pregevolissimo il farro; incomincian col farro ,
quante volte una vittima si abbruci. E ul rito persiste,
nè si compensò con altre squisite primizie. L’ essere le
donne fatte partecipi con gli uomini di un cibo il più
sacro e primitivo, e della sorte di essi , qualunque fosse,
aveva un nome dalla comunanza del farro , e ciò por-
tava un ligame indissolubile di appropriazione, e niente
polca disfare quel matrimonio. Questa legge necessitava
le mogli eome prive d' altro rifugio a vivere co’ modi
di chi aveasele maritate, e faceva agli uomini tenere
le donne come cose proprie nè separabili. Quindi una
moglie pudica e docile in tutto al marito, era appunto
come r.uorao , l’ arbitra della casa. Morendo 1' uomo ,
ne era la erede , come la figlia del padre : se moriva
senza figli e senza testamento , essa era la padrona di
ogqi cosa lasciata da lui , ma se avea de’ figli essa era
coerede di parte eguali con questi. Che se colei pec-
cava , avealo giudice della delinquenza , cd arbitro della
grandezza della .pena : se non che li parenti ancora in-
sieme coir uomo la giudicavano fra le altre reità , se
avea contaminato il suo corpo , o se bevuto del vino ,
mancanza certo nel parere de’ Greci tenuissima. Ambe-
due queste colpe, come le estreme delle colpe femminili,
ordinò Romolo che si -castigassero : la contaminazione
qual priimipio d’ insania , e la briachezza qual principio
della contaminazione. E lungo tempo seguirono ambe-
due queste colpe ad avere odio implacabile tra’Romani.
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i54 DELLE Antichità’ RoarANE
Ora che buona fosse questa legge su le donne; lo at>
testa la esistenza lunga di essa ; consentendosi che per
dnquecento venti anni non si sciolse in Roma niun
matrimonio. Solamente narrasi, che sotto il consolato di
Marco Pomponio , e di Cajo Papinio , nella olimpiade
centesima trentesima settima Spurio Garvilio , uomo
non ignobile , il primo lasciasse la moglie , costretto In-
nanzi però dai censori di giurare , che la donna sua
non abitava in sua casa per generare con esso. Certa-
mente la sua donna era sterile: ma egli per quest’ o-
pera, quantunque la necessità ve lo' inducesse , ne ‘in-
corse r odio perpetuo del popolo. •
XXVI. Tali sono le leggi egregie di Romolo colle
quali rendè le donne piu disposte inverso de’ -mariti.
Assai più gravi e più convenienti di queste e molto
diverse dalle nostre sono le leggi sul rispetto e su la
corrispondenza de’ 6gli , perchè onorino I genitori col
dire e col fare quanto comandano. Coloro che ordina-
rono i governi de’ Greci, istituirono che i' figli rima-
nessero un tempo , troppo breve , sotto la potestà dei
loro padri: vuol dire istituirono alcuni che vi restassero
tre anni dopo la pubertà ; altri , fin che erano celibi ;
ed altri finché non erano scritti nelle curie pubbliche:
e questo a norma della legislazione appresa da Soloné,
da Pittaco, da Caronda, uomini di sapienza riconosciuta.
Preordinarono ancora delle pene ; ma non gravi su'figli
indocili , permettendo ai padri di espellerli e diseredarli
e non altro. Ma le pene miti uon bastano a correggere
la precipitanza e la caparbietà de’ gióvani , nè a ren-
derli nel bene attenti di trascurati. Dond’ è che assai
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LIBRO II. l55
vlluperii si commettono da’ Ogli contro de’ padri nella
Grecia. Ma il legislatore di Roma diede a’ padri sul
• figlio per tutta la vita autorità compiuta di escluderlo ,
di batterlo , di vincolarlo a’ lavori campestri, e di ucci-
derlo ancora se cosi volessero , quantunque il figlio già
trattasse le cose pubbliche , già sedesse tra’ magistrati
supremi , e già si avesse gli applausi per lo zelo suo
verso del popolo. In forza di questa legge uomini rag-
guardevoli concionando da’ rostri su cose contrarie al '
senato', e care al popolo e divenuti perciò famosi, fu-
ròno di là staccati e rapiti altrove da’ padri , perchè su-
bissero la pena che iie voleano ; e traendoseli per lo
foro , ninno potea liberarli non il console , non il tri-
buno , e non la plebe da essi adulata , sebbene questa
*■ valutasse tutti men che sé stessa in potere. Ometto di
dire quanto i padri uccidessero de’ valentuomini , spin-
tisi per virtù e per ardore a far magnanime imprese
ma diverse da quelle prescritte dai padri , come abbia-
mo di Mallio Torquato e di altri, de’ qnali diremo a
suo tempo.
XXYII. Né il legislatore di Roma ristrinse a questo
soltanto i padri; ma permise loro anche di vendere i
figli , niente attendendo che altri vinto dalla sua tene-
rezza riprendesse la concessione come dura e gravosa.
SopratUttto, chi fu allevato colle maniere molli de’Greci
riguarderà come a(Cerbo e tirannico, che lasciasse i pa-
dri utilizzare su’ figli eoi venderli fino a tre volte , dando
licenza più grande a’ padri sn’ figli che non a’ padroni
su gli schiavi. -.Perocché il servo venduto una volta se
riacquista poi la libertà rimane in seguito padrone di
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1 56 DELLE Antichità’ komane
sè : ma il figlio venduto dal padre se diviene libero ri-'
cade di nuovo sotto il padre: e quantunque rivenduto
e liberatosi per la seconda volta; pur trovavasi ancora
servo del padre come in principio ; ma dopo la terza
vendita più non era del padre. Osservavano da principio
i re questa legge stimandola rilevantissima, scritta o non
scritta che fosse , ciocché non posso decidere. Disciolta
poi la monarchia , quando piacque ai Romani che si
affiggessero nel foro, manifeste ad ogni cittadino., tutte
le leggi e le consuetudini patrie e quelle ricevute di
fuori , perchè il diritto comune non finisse col potere
de’ magistrati ; i Decemviri che erano incaricati dal ' po-
polo di compilarle, e distenderle , scrissero ancora questa
legge colle altre: e trovasi nella quarta delle dodici ta-
vole, che chiamano, che essi esposero nel .fòro. Che *
poi li decemviri , eletti trecento t^nni appresso per la
ordinazione delle leggi, non diedero essi i primi questa
legge ai Romani , ma che ricevutala come antica molto,
non osarono toglierla, lo deduciamo da molle fonti ,- e
principalmente dai decreti di Numa tra’quali era scritto;
Se un padre conceda al figlio di prender moglie la
quale secondo le leggi sia partecipe delle cose sacre
e de' beni , questo padre non avrà fin dt. allora più
facoltà di vendere il figlio. Or ciò non avrebbe., cosi
scritto, se per le leggi antecedenti non era permesso af
padri di vendere i figli. Ma basti su 'ciò : frattanto vo-
glio dcllneare come in compendio la . bella istituzione
colla quale Romolo ordinò la vita de’ privati.
XXVIII. Vedendo che le adunanze politiche, ove
i più sono indocili , non si riJucouo con magistero di
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LIBRO II. iSj
parole a vivere temperantemente , a preferire il giusto
all’ utile , a dumr la fatica , nè riputare cosa alcuna più
onorata del retto procedere ; ma che piuttosto si dirigono
ad ogni virtù colle consuetudini buone ; e vedendo che
quelli ohe si disciplinano anzi di forza che spontanea-
mente, ben presto, se niente impediscali, ritornano ai
geiij loro; non concedette che ai servi ed a’ forestieri
di esercitare le arti sedentarie , illiberali , fautrici dei
turpi desideri , come quelle che guastano e profanano i
corpi e le anime di chi vi si applica. E lungo tempo
rimasero queste ingloriose tra’ Romani, e ninno che
nativo fosse di que’ luoghi , vi rivolse le industrie sue.
Lasciò solamente per gl’ ingenui le due cure della cam>
pagna e delle armi ; perocché vide che con tali maniere
di vivere gli uomini signoreggiano il ventre , e meno
languiscono tra gli estri amorosi, nè sieguono quella
voglia di arricchire che dissocia i cittadini a vicenda ,
ma quella che trae 1’ utile dalle terre o da’ nemici. Ri-
putando imperfette , anzi litigiose queste vite se disgiunte,
non ordinò già che una parte si desse ai lavori del
campi , e 1’ altra andasse e derubasse i nemici come la
legge disponeva tra’ Lacedemoni; ma prescrisse in co-
mune li rustici e li militari travagli. Se godea pace,
; costumavali a star tutti intenti per le campagne , salvo
il giorno ( ed erari da lui destinato ogni nono giorno )
• in cui faceano mercato ; perchè allora amava che accor-
rendo iu città vi commerciassero. Ma se prorompeva la
guerra , addestravali a farla , e non cedere gli uni agli
altri nel faticarvi o lucrarvi; pèrocchè divideva tra loro
ugualmente, quanto involava al nemico, campi, schiavi,
danari , e xciidcali con ciò volenterosi ad imprendere.
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i58 DELLE Antichità’ romane
XXIX. Spediva , non prolungava i giudizj su le of-
fese scambievoli ; c quando giudicavale da sé medesimo
e quando per mezzo di altri: e proporzionava ai delitti
le pene. Considerando che la paura più* che tutto re-
spinge gli uomini dalle scelleraggini , coordinò più cose
per incuterla, come un tribunale, ove sedea giudicando ,
nel più visibile luogo del foro , imponentissimo l’ appa-
rato de’ soldati , trecento di numero , che lo seguivano ,
e le verghe e le scuri portate da dodici uomini li quali
nel foro stesso batteano chi avea colpe degne di batti-
ture , o nella' pubblica luce lo decapitavano, se altri
ne avesse più grandi. Tale fu l’ ordine del governo in-
dotto da Romolo , e da queste cose ben si può con-
ghietturare su le altre.
XXX. Quanto alle altre opere civili o beUiche di un
tal uomo , queste ne furono tramandate , degne che si
intessano ad una storia. Siccome i popoli circonvicini a
Roma erano molti, e grandi, e bellicosi , nè punto amici
di essa ; deliberò conciliarseli co’ matrimoni , mezzo gii>*
dicato dagli antichi saldissimo di procacciar le amicizie.
Considerando però che tali genti non si unirebbero
spontaneamente con loro, nuovi di colonia, impotenti
per danaro , e privi d’ ogni gloria di belle operazioni ,
e che altronde cederebbero violentati , se oltraggiosa non
fosse la violenza; risolvè, (ciocché avea NumitOre l’avo
suo materno già suggerito) di faré, ed in copia, i 'ma-
trimòni col ratto delle vergini. Cosi risoluto , fe’ Voti al
Dio guidatore dei disegni reconditi , che se la prova gli
riusciva appunto come la ideava, gli tributereUie ogni
anno e feste e sagrifizj. Quindi riferito il .disegno in
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LIBRO li. 1 5()
senato , e comprovatovi , propose di celebrare giuochi
solenni a Nettuno , e ne sparse la nuova per le città
vicine ; invitando chiunque al concorso ed ai giuochi ,
che giuochi sarebbero moltiplici di cavalli e di uomini.
iVenuii forestieri in copia alla festa insieme colle mogli
e co’ figli , e compiti già li sagriCzj a Nettuno e li giuo-
chi, infine nell’ ultimo giorno quando era per dimettere
la moltitudine fe’ intendere ai giovini che al dare di un
segno certo, tutti involassero quante a loro ne capita-
vano , le vergine accorse agli spettacoli , le custodissero
però quella notte inviolate , ed a lui le recassero nel pros-
simo giorno. Compartitisi i giovani in truppe non si tosto
videro elevato il segno convenuto ; si volsero a far preda
di vergini. Sorgene un tumulto un damore de’ forestieri
che maggiore ne sospettavano il male. Condottegli nel
prossimo giorno le vergini , Romolo consolavale disani-
mate , con dire che tendea quel ratto a maritarle non
a vilipenderle. £ dichiarando che Greco , e primitivo ,
e nobilissimo era il modo tenuto da lui tra tutti i modi
co’ quali si procurano le nozze alle femmine ; invitavale
ad amare gli uomini che la sorte ad essi offeriva. Dopo
ciò numerando le donzelle e trovandole secenlo ottan-
talrè ; scelse bentosto altrettanti de’ suoi non maritati ,
e con essi congiunsele. Egli legandole colle nozze se-
condo il rito della patria , rendeale partecipi dell’ acqua
stessa , e del foco ; e quel rito mantienesi ancora.
XXXI. Alquanti scrivono che avvenne un tal fatto
nell’ anno primo del regno di Romolo : Gneo Gellio lo
assegna nell’ anno terzo , e ciò pare più verisimile. Im-
perocché non è- probabile che il capo di una città ua-
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iGo DELLE Antichità’ romane
scente si accingesse a tal opera prima clic ne avesse
costituito il governo. Altri stimano cagione di quel ra-
pimento la scarsità delle femmine , altri l'impulso a far
guerra; ed altri più persuasivi, a’ quali io m’attengo,
la necessità di aver amicizia cogli abitanti vicini. Ripe-
tevano i Romani anche al mio tempo la festa allora
consacrata da Romolo chiamandola Consuali (t). In essa
un altare sotterraneo, scalzato intorno intorno di terra,,
posto vicino al circo massimo , onorasi con sagriOzj , e
primizie che bruciansi. Evvi corsa di cavalli sciolti , o
congiunti ai carri. Conso chiamasi da’ Romani il Nu-
me a cui tributano questi onori : e taluni con greca
interpretazione dicono che sia Nettuno , scotitore della
terra , e che si venera appunto in altari sotterranei ,
perchè questo Dio possiede la terra : ma io ne so’ pure
altra origine perchè udii che la festa era celebrata per
Nettuno , e per Nettuno li s giuochi equestri; ma che
r altare sotterraneo era stato consecrato infine ad un
genio ineffabile , guidatore e custode de’ segreti disegni.
E certamente Nettuno in niun luogo tiene altari invi-
sibili inalzatigli da’ Greci o da’ barbai'i. Pure è difficile
a diffinire come stiasi la verità.
XXXII. Come la fama del rapimento delle vergini e
gli eventi de’ giuochi si sparsero per le città vicine; altre
si corucciaron su 1’ opera , ed altre invesugando 1’ af-
fetto ed il fine ond’era avvenuta, la sopporlavanu in
(i) I giuochi isliluili da Romolo nel ratto delle Sabine furono chia-
mali Consuali perchè fatti in onore del Dio Conso. Appresso furono
detti Circensi quando Tarquinio Prisco fece il circo massimo. Sem-
bra che la prima volta fossero celebrali nel campo Marso.
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LIBRO II. l6l
pace. In fine però ne proruppero delle guerre , alcune
sicuriiniente ben facili ; ma grave e disastrosa fu cjuella
co’ Sabini. Felice fu l’esito di tutte, come prima che
si cominciassero ne aveano presagito gli oracoli, i quali
significavano che grandi ne sarebbero i travagli , ed i
pericoli , ina lietissimo il fine. Le città che prime si
misero a tal guerra furono Genina, ed Ànlemna , e
Crustumero , in apparenza pel ratto delle vergini e jicr
vendicarsene ; ma la cagione vera che ve le spingeva
era la fondazione , era il créscere di Roma divenuta
grande in poco tempo , e la voglia di non trascurare
che più si estendesse quel male , comune a tutti i vi-
cini. Ben tosto dunque spedendo ambasciatori ai Sa-
bini gl’ invitarono perchè fossero i capi nella guerra ,
essi che erano i più polenti di arme e di danaro , de-
gni di comandare ai vicini , nè oltraggiali menu degli
altri; essendo le vergini rapite per la maggior parte
Sabine.
XXXIII. Ma poiché niente profittavano , pere he gli
ambasciadori di Romolo contrariavano, ed appiacevoli-
vano con parole e con opere quella gente ; stanche al-
fine di perdere più tempo coi Sabini i quali esitavano
c rimettevano ognora a tempo più rinioto il consiglio
di guerra , destinarono fra loro di combattere esse i
Romani; pensando che avrebbono suificieiiza in sè stesse
di forza , se univansi tutte tre , per invadere una città
sola , nè grande. Così dunque si coiicerlarouo ; ma non
si espedirono già per concentrarsi tutti in un esercito ;
insorgendo innanzi gli altri i Ceuiuesl , pi'imarj già nel
PÌ0HI6J , tamo I. 1 1
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iGa DELLE Antichità’ romane
volere la guerra. Ora avendo questi mossa l’ armata ,
e devastando il campo contiguo , Romolo usci colle sue
truppe : e piombando repentinamente su' nemici che non
seu guardavano ; ben presto ne espugnò gli alloggia-
menti , che appena erano formati. Poi gettatosi appressa
quelli i quali si rifuggivano nella città , dove non crasi
udita ancora la sciagura dei suoi , non trovandovi nè
guardate le mura , nè chiuse le porle ; la invase a pri-
mo impeto, ed uccise, combattendo, e spogliò colle
sue mani delle arme il re di essa venutogli incontro
con forz^ poderosa,
XXXIV. Cosi prendendo e* comandando la città che
gli consegnasse le armi , e togliendosene per ostaggio ,
que’ gioviui che più volle; marciò contro gli Antemnati.
Rendutosj colla subita incursione padrone delle milizie
di questi , sbandate ancora a far preda , come crasi pa-
drone renduto delle precedenti , e trattati i vinti nella
maniera medesima; ricondusse a casa l'esercito, recando
le spoglie degli oppressi in battaglia, e le pripiizie delle
prede ai Numi i quali onorò con assai sagriSzj. Andava-,
massimo della pompa egli stesso in veste di porpora ,
e coronato di alloro le tempie, ma su di una qua-
driga (i) per serbare la dignità di monarca. Seguivano
(i) Plutarco scrive c>;e Dipoigi uon dice bene quando afferma che
Romolo veniva su di un carro. FwyueAer it vac piia-tt
Aisrue-rur. Tito Livio scrive che Roipolo spo-
lia ducis hostiunt cacti tuspensa , fabrieato ad id apté ferculo , ge-
rent , i/t capholium asce/idit. Il Casaubono pensa che Dionigi per
la non piena peiizia delia lingua latiua interpretasse quel ferculum
di ^vio, dal quale derivava tali racconti, per cocchio;' quando eia
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LIBRO ir. ' i63
le milizie de’ fanti e de’ cavalieri, ornate secondo i loro
gradi , magnifìcando gl’ Iddii colle patrie canzoni , ed
il capitano con gli slanci di versi improvvisi. Quelli della
citii recatisi loro incontro colie mogli e co’ figli, e schie-
rai isi quinci e quindi per le vie si congraiulavano con
essi per la vittoria, e davano ogni altro segno di ami-
^ cizia. Entrata la truppa in città trovò crateri spumanti
di vino e mense colme di ogni varieià di cibi appiè
delle case più riguardev.oli pei’chè a piacere vi sì saziasse.
Cosi andava con trofei e sagrifizj la pompa della vit-
toria istituita la prima volta da Koniolo , e chiamata dai
Romani trionfo : ma ora, trascendendo ogni antica sem-
plicità , spiegasi magnifica e clamorosa come in tragico
rito , anzi per gala di ricchezze che in prova di virtù.
Dopo la pompa e dopo i sagrificj Romolo edificò su
le cime del cimpidoglio un tempio a Giove detto Fé-,
retilo da’ Romani : Non era grande il sàiito edificio ;
apparendone ancora i primi vestigi, e vedendosene! iati
maggiori meno lunghi oi dal vero chi voglia questo (jiove Feretrio
a cui Romolo offerse le anni , chiamarlo il Dio che
tiene i trofei , o che porge come altri dicono , le spo-
glie de’ nemici , o il Dio preeminente , perché supera
ed abbraccia tutta intorno la natura ed il movimento
degli Esseri.
piutlo.s(o come iuterprela Plulaico ciocché ni direbbe trnfeo. Lo
stesso Plutarco ìoscgiia che Lucio Taripiaio Piiscu fu il (irinio che
tiiuufasse sul cairu.
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i64 DELLE Antichità’ romane
XXXV. Poiché Romolo ebbe tributalo agl’ Iddìi le
primizie ed i sagrifìzj di ringraziamento , deliberò, pri-
ma di far al irò , col senato, com’erano da trattarsi le
città debellate ; ed esso il primo ne dichiarò la sentenza
che ottima riputava. E piaciuta questa come la più si-
cura e la più luminosa a quanti erano in quel consesso,
ed encomiatone pe’ vantaggi che a Roma ne risultavano
non pur di presente , ma in ogni avvenire; comandò
che venissero a lui le donne di Cenina e di Antemna
cadute prigioniere con altre. Riunitesi sconsolaté^, e pro-
stratesi , e piangendo esse la sorte della patria; accennò
che frenassero i pianti e tacessero e poi disse: hen do-
vrebbero i vostri padri , i vostri fratelli , e le intere
vostre città subire ogni male , perchè scelsero anzi che
r amicizia la guerra , e guerra non necessaria nè one-
sta. Nondimeno abbiamo noi deliberato di essere cle-
menti con essi per molle cagioni, e perchè appren-
diamo la vendetta de' Numi , pronta contro i superbi,
e perchè temiamo la indignazione degli uomini, e
perchè giudichiamo essere la compassione compenso
non lieve de' mali comuni , noi che già la dimanda-
vamo dagt altri : e finalmente perchè pensiamo che
ciò non sarà caro e grazioso poco per voi , congiunte
finquì co' vostri mariti senza che possano querelar-
sene. Condoniamo questo delitto , nè togliamo a’ vo-
stri cittadini non la libertà , non i poderi , non altro
bene qualunque. Lasciamo noi dunque ( nè già se ne
avranno a pentire) lasciamo libera a tutti la scelta
di rimanere in patria se il vogliono , o di traslatar-
sene. Ala perchè niente pià faccia abberrare le vostre
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LIBRO II. 1 65
città, perchè niente più trovisi in esse che possa ri-
dividerle dcdla nostra amicizia’, rìputianio espedientis-
simo e saluberrimo per la concordia e sicurezza di
ambedue se le rendiamo colonie di Roma , e se da
Roma vi mandiamo abitanti che bastino. Àndcde :
statevi di buon animo : moltiplicatevi nelt ossequio e
nella benevolenza de’ vostri mariti; tra’l dolce senti-
mento che liberi per voi sono i vostri figli , liberi i
vostri fratelli, libere le patrie vostre finalmente. Ti-i-
pudiando in udir questo le donne e lagrimando viva^
niente di gioja partirono dal Foro. Romolo mandò in
ciascuna città trecento uomini e le città cederono ad
essi , dividendolo a sorte , il terzo de’ loro terreni.
In opposito menò in Roma quanti Antemnati e Ce-
ninesi vollero trasferirvisi , e raeuovveli colle mogli e
co’ figli mentre ritenevano in que’ luoghi i campi ad
essi toccati , e portavano seco il danaro che possede-
vano. Li descrisse il re ben tosto nelle curie e nelle
tribù ; nè furono men di tre mila : tanto che ne’ cata-^
loghi romani si numerarono allora la prima volta sei
mila fanti. Genina ed Antemna città non ignobili avean
greco lignaggio : imperocché tolte ai Sicoli caddero in
potere degli Aborigeni , i quali erano una parte degli
Oeijoirj , venuti già dall’ Arcadia , come nel primo li-
bro fu detto, ma ora finita la guerra divennero colonie
romane.
XXXVI. Romolo dopo ciò condusse Tesercito incon-
tro de’ Crustumerini , apparecchiati meglio che i primi :
e vintili, quautiinque stati fortissimi (i), nella battaglia
(i) Qui Dionigi è contrario a Livio il qnale scrive:' Poi t’in-
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i66 DKLLE Antichità’ romane
\ in campo e su’ muri, non volle che patissero più oltre;
ma fece della città , come delie altre una colonia ro-
mana. Era Cruslumero colonia degli Albani speditavi
mollo tempo innanzi di Roma. Divulgando la fama in
molte città la fortezza militare del capitano e la cle-
menza in verso de’ vinti; si congiunsero ad esso ancora
non pochi valentuomini ; i quali con tutte le famiglie
a lui trasferendosi, gli recarono forze non dispregevoll.
Ed uno de’ colli di Roma ancora chiamasi Celio , da
Celio che uno fu di que’capi venuti dalla Etruria. Anzi
a lui si diedero Intere città, cominciando dalla città dei
Medullini , le quali divennero colonie romane. I Sabini
al veder ciò se ne conturbarono, accusandosi a vicenda
che non avessero messo iiu argine alla monarchia dei
Romani in sul nascere, o che si avessero a brigare con
lei fatta già grande. Nondimeno parve ad essi che fosse
da correggere il primo errore collo spedire un esercito
rispettabile. E riunitisi a congresso In Curi la più co-
spicua e la più imponente delle loro città , vi decisero
co’ loro voti la guerra ; creaudone generalissimo Tito
Tazio re dei Cureli. Deliberato ciò ripatiiaronsl e pre-
pararono i Sabini la guerra per marciate In su la nuova
stagione con esercito poderoso contra Roma.
XXXVIL Intanto Romolo si apparecchiò fortlsslma-
mente onde jìsosplugere uomini fiorentissimi in arme.
Elevando le mura del Palatino e torrioni più alti di
camminò contro de* Crustomenesi g i quali portavano la guerra z
ftia qui ci ebbe men di contrasto perchè già gli animi erano abbaia
tuli per le sconfitte degli altri»
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LIBRO II. 1 67
esse perché dentro vi si stessè con sicurezza , e circon-
dando con fossi e irincere 1’ Avventino , ed il Campi-
doglio che ora chiamano, colli ambedue dirimpetto dei
primo, e presidiandone l’uno e l’altro con salda guar-
nigione; ordinò che nella notte vi si riparassero e greg-
gio e villani. Munì similmente con fossi e palizzate , e
guardie ogni altro luogo opportuno per la loro sal-
vezza. Intanto Lucumone , divenuto amico suo non
molto di prima , Lucumone uomo operoso ed insigne
nelle arme , venne a lui con buon sussidio di Toscani
da Vetulonia ; e vennero pure da Albano in copia ,
( e mandavagli 1’ avo materno ) combattitori . commis-
sari, arteBci di militari stromenti. Diè loro frumento ed
arme e quanto facea di mestieri, e largamente ne diede
per ogni vicenda. Poiché furono apparecchiati ambedue
per r impresa , i Sabini al sorgere della primavera ,
ornai sul pnnto di cavar le milizie , deliberarono di
spedire , e spedirono prima a’ nemici un ambasceria la
quale esigesse le donne e la soddisfazione della rapinà
di esse ; perchè se ’l giusto non ottenevano , apparisse
che spinti dalla necessità davano alle arme. Romolo
pregò in opposito che si permettesse alle donne rima-
nersene con quelli a’ quali si erano maritate giacché re-
stie non ci convivevano: che se abbisognavano di altra
cosa, volessero da lui riceverla come da un amico, non
lo investissero colla guerra. I Sabini non contentati in
alcuna dimanda menarono in campo venticinque mila
pedoni e quasi mille cavalli. Non molto differiva dalla
milizia sabina la romana ; numerosa di ventimila fanti ,
e di ottocenfp cavalieri , ed accampatasi divisa in due
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l68 DELLE antichità’ EOMANE
parli dinanzi la città , teneva con una parte il colle
Esquilino sotto gli auspicj di Romolo, e con l’altra il
Quirinale ( che allora non avea questo nome ) , e Lu-
cumone il Tin'eiio erane il capitano.
XXXV IH. Al conoscere tali disposizioni Tazio re
dei Sabini levandosi di notte , traversò coll’ esercito la
campagna , non già per danneggiarla , ina per mettersi
prima del nascer del sole in sul campo tra ’l Quirinale
ed il Campidoglio. Ma vedendo che tutto era custodito
dalle guardie vigili de’ nemici, e che non ci avea luogo
sicuro per lui , cadde in gravi dubitazioni senza rinve-
nire intanto come avea da usare quel tempo. Fra tante
dubitazioni sorsegli una prosperità non pensata ; essen-
dogli consegnato un de’ luoghi fortissimi con questo
successo. Rigirandosi appiè del colle Capitolino i Sabini
per esplorare se ci avea parte niuua , donde potesse
espugnarsi con sorpresa , o di forza ; videli dall’ alto
Tarpeja , una vergine cosi nominata , figlia del valente
uomo al quale era la cura hdata di que’ luoghi : s’ in-
vaghì la donzella , come scrive Fabio e Ciucio , dei
braccialetti che que’ Sabini s’ aveano intorno la sinistra ,
e s’ invaghì degli anelli. Brillavano allora di oro i Sa-
bini, molli nommen che i Tirreni nel vivere. Ma Lucio
pisone il censore narra che la fanciulla ciò fece sul bel
desiderio di esporre ai cittadini i nemici , nudi delle
arme colle quali si difendevano. Ben può da quel che
siegue raccogliersi qual sia di queste due cose la più
verisimile. Mandando fuora una serva per una tal por-
ticina che niun si avvide che fosse aperta, fe’ richiedere
il monarca Sabino che venisse a lei senza compagni per
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. LIBRO II. 169
nn colloquio ; ed essa parlerebbegli di cosa grande e
necessaria. Accettò Tazio l’ invito su la speranza di un
tradimento , e recatosi al luogo additatogli , e venutavi
( che ben lo potè ) la donzella , disse che il padre suo
quella notte si era allontanato per un tal bisogno dalla
fortezza , e che le chiavi delle portò erano presso di
lei : consegnerebbele se a lei venissero quella notte , e
se in premio della consegna le si dessero quelle fulgide
cose che ì Sabini portavano tutti nella sinistra. Piacque
a Tazio 11 partito, e contraccambiatasi ambedue la pro-
messa con giuramento di non illudersi ne’ patti ; la ver-
gine distinse la parte per la quale avrebbero a venire
a quel fortissimo luogo , e distinse 1’ ora della notte in
che meno s' invigila ; e poi ritornossene , nè quelli che
eran dentro ne seppero.
XXXIX. Concordano Gn qui ma non già nel resto
gli storici romani. Pisone il censorino del quale abbiam
detto di sopra scrive che Tarpeja spedì quella notte un
messaggiero che signiGcasse a Romolo gli accordi fatti
tra i Sabini e tra lei ; e come ella esigerebbe le arme
difensive di essi , deludendoli coll’ ambiguità de’ trattati :
egli dunque mandasse altra milizia nella fortezza , e vi
sorprenderebbe i nemici col capitano spogliati di arme.
Aggiunge però che il messaggero fuggendosi presso il
re de’ Sabini gii accusasse i disegni di Tarpeja. Ma nè
F abio nè Cincio dicono che ciò avvenisse , e sostengono
che la donzella mantenesse i patti del tradimento. Dopo
ciò continuano tutti la storia con slmiglianza. Imper-
ciocché narrano che avvicinatosi il re dei Sabini col Gor
dell’ esercito colei per adempiere le promesse aprisse
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j ']0 DELLE Antichità’ romane
a’ nemici la piccola porla concordata , e che destate le
guardie del luogo le stimolasse a scampare sollecita-
mente per tragitti ignoti ai Sabini che ornai possedeano
la fortezza. Narrano inoltre che i Sabini al fuggire di
quelli, trovatene le porte aperte, occupassero la fortezza
abbandonata ; e che la donna avendo prestato i servigi
pattuiti , ne chiedesse il premio secondo i giuramenti.
XL. Dopo ciò scrive Pisene che essendo i Sabini
pronti di dare l’oro di che riluceano ne’bracci sinistri;
Tarpeja la donzella ue pretendesse non i fregi ma gli
scudi : che Tazio andasse in collera per l’inganno, ma
pur si guardasse dal violare i trattati : che era a lui
sembrato perciò che si dessero alla vergine le arme ri-
chieste ma per modo , che ricevutele non potesse va-
lersene : che ben tosto dunque , comandando di essere
imitato dagli altri , lanciasse lo scudo con quanta avea
forza contro Tarpeja : la quale investita d’ ogn’ intorno
e sopraffatta da tanti colpi e si gravi succumbè sotto
delia tempesta. Ma Fabio ascrive a’ Sabini la frodolenza
su’ trattati. Perocché dovendo secondo i patti dare a
Tarpeja le auree cose che dimandava , rattristatine per
la grandezza di esse , scagliarono su lei le arme colle
quali si difendevano , quasi scagliar le medesime fosse
un darle come aveano promesso quanto giurarono. Se
non che sembra che i fatti consecutivi rendano più ve-
risimile il giudizio ultimo di Pisone. Certamente fu la
giovine, dove cadde, onorata di tomba , e la tomba sta
nel più augusto de’ sette colli , e Roma ivi le replica
ogni anno sacre libagioni. Io dico ciocché scrive Pisone.
Cioè se ella fosse morta tradendo la sua patria non
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LIBRO II. I 7 I
avrebbe ottenuto niuno di questi due onori nè da quelli
che ne erano traditi , nè da quelli che ne furono gli
uccisori : anzi se avanzo mai v’ era del tuo cadavere
sarebbe stato poi disotterralo e gittato per atternre i
posteri , e respingerli da simili operazioni.
XLI. Tazio e li Sabini impadronitisi di quella for-
tezza , e pigliato senza disagi il più degli appareccbj
de* Romani , facevano ornai la guerra da luogo sicuro.
Cosi tenendosi dunque ambedue le armate dirimpetto
a piccola distanza fra di loro , molti erano in molte
occasioni li tentativi e gli attacchi senza grandi risultati
di danno o di utile per ninna delle parti. Due furono
le battaglie più rilevanti date con tutte le milizie ,
schierate 1’ una contro l’ altra; e grande ne fu la strage
vicendevole. Ma tirandosi in lungo , ambedue li re con-
corsero nel sentimento di venire a decisiva giornata. E
recatisi nello spazio intermedio ai due accampamenti i
capitani migliori nelle armi ed i soldati già sperimentati
in mille cimenti fecero memorabili prove dando e ri-
battendo gli assalti , e traendosene e rimettendovisi
ugualmente. Coloro i quali contemplavano da luogo
munito la equilibrata battaglia, e che d’ora in ora pie-
gava dall’ una o dall’ altra parte , incitando , ed accla-
mando incoraggivano chi vi si distingueva ; o con pre-
ghiere e pianti richiamavano chi vacillava o lasciavasi
ornai sopraffare , perchè vile sempre non rimanesse.
Dond’ è che gli uni e gli altri erano necessitati a so-
stenere travagli , maggiori delle forze . Cosi tenuta
avendo la battaglia nel giorno con sorte eguale ; alfine
essendo già notte si ravviarono lieti ai proprj alloggia-
menti.
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172 DELLE Antichità’ romane
XLH. Ne’ di seguenti dando sepoltura ai morti rista-
bilirono i feriti , e procurarono insieme altre forze.
Poiché parve loro di farsi nuovamente alle mani , tor-
nati jiel luogo medesimo vi combatterono fino alla
notte. Prevalsero i Romani in ambe le ale; reggendone
Romolo stesso la destra , e Lucumone il tirreno la si-
nistra. Ma restando dubbia ancora nei centro la sorte
delle armi ; Mezio , cognominato il Curzio, uomo me-
raviglioso per le forze del corpo , magnanimo nelle
arme , e chiaro soprattutto perchè noa turbavasi a pe-
ricoli o terrori , impedì la disfatta totale de’ Sabini e
portò di nuovo contro de’ vincitori le schiere che sor-
vanzavano. Costui messo a dirigere 1’ armata del centro
avea già vinto i nemici che gli stavano a fronte. Vo-
lendo poi ripristinare lo stato delle ale sabine ornai
sbattute , e presso a dar volta , esortandovi la sua mi-
lizia si mise ad inseguire i nemici che fuggivano sban-
dati da lui, cacciandoli fino alle porte, cosicché Romolo
fu costretto a lasciare imperfetta la sua vittoria , e ri-
volgersi ad accorrere contro la parte de’ nemici che era
vincitrice. Cosi quel corpo de’Sabini il quale pericolava
si riebbe j allontanaudosegli Romolo colla sua gente : e
tutto il nembo si raccolse inverso di Curzio e de’ suoi
che erano già vittoriosi, e questi tenendo fronte per un
tempo ai Romani combatterono luminosamente. Ma poi
rovesciandosi troppi su loro ; piegarono e rìpararousi
negli alloggiamenti , assai contribuendo Curzio alio
scampo col ritirarli grado a grado , non col fargli in-
seguire in disordine. Egli flesso arrestavasi in arme , e.
facea fi'onte a Romolo che lo investiva. E grande e
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LIBRO II. 1^3
bella a vedere fu la gara de’ capitani che si attaccavano.
Alfine essendo già Cur/io ferito, già esausto di sangue,
riucnlava poco a poco , quando eccogli addietro una
palude profonda ; difficile da girarla intorno , perchè
cinta da’ nemici , e dilficilissima da traversarla per lo
fango che ammassavasene alle sponde , e per le acque ,
che altissime vi erano in mezzo. Inoltratosi dunque vi
si lanciò con tutte le arme. E Romolo sul pensiero che
colui quanto prima perirebbe nella palude non poten-
dovisi perseguitare pel fango e per le molte acque ; si
rivolse contro degli altri. Ma Curzio dopo molti e lun>
ghi stenti emerse finalmente còlle arme dalla palude ,
e fu portato a’proprj alloggiamenti. Rimanea la palude
nel mezzo quasi del foro romano , e lago chiamasi di
Curzio dalia vicenda ; ma ora è tutta ricoperta dalla
terra.
XLIII. Romolo inseguendo gli altri avvicinasi al Cam-
pidoglio. Spaziava nella speranza di rivendicarselo : ma
travagliato da molte ferite, e più da un colpo di pietra
lanciatogli dall’alto nelle tempia fu preso ornai semivivo
da’ compagni , e riportato dentro le mura. Sbigottirono
i Romani più non vedendo il capitano, e dicdesi l’ala
destra alla fuga. Sostenevasi ancora la sinistra diretta da
Lucumone , uomo chiarissimo nelle arme , e segnalatosi
per molte e belle imprese in tal guerra. Ma nemmeno
questa più resse alfine ; quando colpito in un fianco
da'Sabini cadde pur Lucumone rifinito di forze. Allora
la fuga fu universale. I Sabini imbaldanziti gl’ incalza-
vano verso le mura: se non che giungendo alle porte
pe furono respinti , sboccandone contro loro i giovani
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i'^4 DELLE Antichità’ romane
a’ quali aveva il re dato in guardia le mura. Ed a(Yrct-
taiidosi quanto potè per soccorrerli Romolo stesso, ria-
vutosi già dalla percossa ; la sorte assai ne variò della
battaglia. Imperocché li fuggitivi mirando iuaspettata-
ineute il sovrano , risorti dalla paura , si riordinarono ,
uè più s’ indugiarono a volar su’ nemici. Questi che
aveano finora pressato i Romani e concluso non esservi
schermo , che impedisse di prendere la loro città culla
forza ; non si tosto videro il cambiamento inopinato e*
repentino , pensarono come scampare sè stessi. Il ritorno
al campo era precipitoso per essi , inseguiti dall' alto ,
e per istrada profonda. Quindi grande fu la strage loro
in questa ritirala. Cosi pugnato avendo quel gioruo da
pari a pari , ma involgendosi ambedue tra casi inaspet-
tati ; alfine ornai tramontando il sole , si divisero.
XLIV. Ne’ di seguenti consultarono i Sabini se aves-
sono a ricondurre in patria l’esercito devastando intanto
il più che poteano le campagne nemiche , o se di là
ne chiamassero un altro , ivi trattenendosi cd insistendo
fiuchè dessero buon fine alla guerra. Ben era misera
cosa per essi partire, donde mauifeslcrebbcsi la infamia
che niente aveano conseguilo; ed era misera cosa noni-
meno il rimanersi non riuscendo loro disegno alcuno
come speravano. Concepivano poi, che venire a trattali
co’ nemici, unica maniera conveniente a levarsi di gueiv
ra , gioverebbe anzi a’ Romani che a loro. Tuttavia uon
meno , anzi assai più che i Sabini , erano i Romani
caduti in gran dubbio intorno le cose da fare. Imperoc-
ché nè volevano rendere nè riteuere le donne ; riputando
la prima cosa un seguito di uua [lerdila mauilcsta , cd
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LIBBO n. 175
un preludio di aversi nccessariamenle a sottomeltere an-
che ad altri coaiaudi : ma 1’ altra cosa presentava molli
e gravi mali , distrutte le patrie campagne , e la gio>
ventò più florida trucidata. Se faceansi a trattar coi
Sabini , parca loro che questi non ser berebbero alcuna
misura , per molte cagioni e principalmente perchè i
superbi insolentiscono non condiscendono col nemico
che volgesi agli ossequj.
XLV. Mentre ambedue cosi cogitabondi , e così di-
sanimati dal cominciare o battaglie o discorsi di ricon-
ciliazione dispergevano il tempo ; le mogli de’ Romani ,
quelle che erano sabine di origine, quelle per le quali
ardeva la guerra , congregatesi ed abboccatesi fra loro
in un luogo medesimo risolverono d’ intramettersi con
ambi per la pace. Dava tal partito alle altre Ersilia ,
non ignobile di legnaggio tra’ Sabini. Di lei dicono che
rapita già come vergine con altre donzelle , ora fosse
maritala. lN|a più verisimile è chi scrive che ella si fosse
rimasa spontaneamente colla unigenita sua , 1’ una delle
derubate. Riunitesi a tal sentimento andarono le donne
in Senato , ed ottenutovi di parlare , ve lo diffusero ,
chiedendo di uscir per un colloquio co’ loro parenti.
Annunziavano che aveano molte e belle speranze di
fiduiTe unanimi le due genti e stringerle di amicizia.
Come udirono ciò quelli i quali consultavano col mo-
narca assai ne furono dilettati , riputando che questo
fosse r unico spediente in tanto inviluppo di cose.
Adunque si decretò che quante Sabine avean Agli tante
lasciando questi co’ mariti , avessero la potestà di an-
darne oralrici ai lor nazionali: che quelle però le quali
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l'jS DELLE Antichità’ romane
eran madri di più 6gli ne recassero con sè la parte
che più volcano , e trattassero la riconciliazione de’ po-
poli. Uscirono dopo ciò tra lugubri vesti , e talune coi
teneri Ggliuoletti. Giunte al campo sabino mossero col
piangere e col prostrarsi appiè di chiunque iucontravale
tanta compassione , che ninno de’ riguardanti potea rat-
tenere le lagrime. E Tannatosi per esse il fior del Se-
nato, e comandate dal re che dicessero le cagioni della
venuta; Ersilia, autrice e guida della S])edizioue, feceiie
una lunga e patetica sposizione , implorando che do-
nassero pace a’ mariti appunto in grazia di esse per le
quali dicevano intimata la guerra. Si adunassero i prin-
cipi loro; ed essi, veduto 1’ utile puliblico, discutessero
le condizioni ,per le quali cessassero le discordie.
XLVI. Ciò detto caddero prostese co’ teneri figli ap-
piè del sovrano e vi si tennero, finché quelli che erano
presenti non le rilevarono da terra con promettere che
farebbono quanto era onesto e possibile. Fattele uscire
dal Senato , e consultando fra loro , si decisero per la
pace. E prima si fece la tregua : poi riunendosi i re ,
si concordò su la pace ancora. E tali ne furono le
convenzioni che sen giurarono. Sarebbero ambedue re
dei Romani Romolo e Tazio con eguali poteri ed
onori. La città serbando il nome del suo fondatore
chiamerebbesi Roma , e romano ogni suo cittadino
come per l’addietiv- Ma tutti insieme si chiameiiano
generalmente Quiriti desuntone il nome dalla patria
di Tazio. Si domicilierebbero que’ Sabini che voleano,
in Roma , ma comunicandosi le sante cose , c pren-
dondo luogo nello tribù c nelle curie. Giurate questo
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LIBRO II. 177
cose , ed eretti gli altari ove far 1’ alleanza , in mezzo
quasi della Via 1 Sacra, si mesoolarono insieme. Poi rao*
cogliendo ogni duce li suoi , tornarono alle proprie
magioni. Si rimasero in Roma Tazio il monarca e con
esso tre de’ più , riguardevoli Valerio Voleso , Tallo ,
soprannominalo il Tiranno , ed in fine Mezio Curzio ,
quegli che : avea colle armi trapassato la palude , e vi
ebbero gli onori che i discendenti loro pur vi godcronow
Anzi con questi si rimasero amici , consanguinei , e
clienti , non minori di numero agli altri di Roma.
XLVIL Mentre ordinavano queste cose parve ai so»
vrani di raddoppiare il numero de’ patrizj per essersi la
popolazione moltissimo arnpbata. Adunque segnando in
X catalogo colle famiglie più nobili tanti cittadini novelli ,
quanti erano i primi , chiamarono patrizj ancor’ essi.
Poi trascelli cento di «questi col voto delle curie gli
connumerarono ai senatori antichi. E su ciò concordano
presso a poco tutti gli scrittori delle cose romane : dif-
ferisce taluno sul: numero de’ sopraggiunti : dicendo che
non cento cui cinquanta furono gl’ inseriti al Senato.
Non consentono però gli storici romani su F onore che
i re concederono alle donne perchè gli aveano rioou»
dotti aUa pace. Perocché scrivono alquanti che diedero
ad esse distintivo grande e moltiplice non pure i prin-
dpi, ma le curie : le quali essendo trenta , come già
dissi , presero nome ognuna da queste , giacché trenta
furono ancora le oratrici. Ma Terrenzio Varrone si di»
scosta da questi in tal capo, aflermando che i nomi
erano stati imposti -alle curie anteriormente da Romolo,
DJOMtGI . tomo X.
1: py ;
i-j8 DELLE Antichità’ romane
quando divise la prima volta il suo popolo: c die quei
nomi furono desumi da’ capi di esse , o dalle antiche
lor patrie. Aggiunge che le femmine andate amba-
sciadrici non furono trenta ma cinqueceutotrentatrè :
dond’ è che noti sia verisimile che il re concedesse ad
alcune poche di esse quell’onore, escludendone le altre.
A me nè tali son parute queste cose da non farne pa-
rola , nè tali da scriverne dtra il bisogno.
XLVIII. Ora l’ordine stesso della narrazione dimanda
che io dica quali e donde fossero i Cureti alla città
de’ quali apparteneva Tazio , e quei eh’ eran seco. Noi
cosi ne sappiamo. Nel tempo che gli Aborigeni posse-
deano 1’ agro Reatino una vergine nobilissima natia di
que’ luoghi entrò , per danzarvi , il tempio di Enialio.
Enialio lo chiamano Quirino i Sabini , ed , ammae-
strati da essi , i Romani , senza che sappiano dire più
oltre s' egli sia Marte , o tal altro , eguale a Marte in
onore. £ li primi pensano che 1’ uno e 1’ altro nome
dicasi del Nume arbitro delle guerre ; ma gli altri che
sia quel doppio nome non di uno, ma di due Dei bel*
licosi. La vergine danzando già nel tempio fu dallo
spirito investita del Nume; e lasciale le danze si ritirò
ne’ penetrali santi di lui , dove , come a tutti sembra ,
fecondatane , diede un fanciullo , che Modio fu detto ,
ed ebbe soprannome di Fabidio (i). Or questi, adulto
(i) Vi è chi pensa che il Modio Fabidio sia il Afe £>iuj Fidius
de’ fìoinaui , forinola colla quale riguardavaisi il Nume tutelare
della fede, o pure Ercole figlio di Giove. Se ciò lesse, Diouigi
avrebbe malameuie iuierpiaato quella formula Romana di giura-
mento.
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LIBRO II. 179
feuo nella persona, ebbe forma non umana, ma divina,
e combattè con preemiuenza di tutti i valentuomini.
Preso poi dal desiderio di abitare una città che avesse
la origine da lui, congregando gente io copia da luoghi
d’intorno, eresse in tempo assai breve quella che Curi
addimandasi , denominandola , come narrano alcuni , dal
Nume , dal quale è &ma che egli fosse generato , e
come altri asseriscono dall’ asta , poiché Curi chiamasi
1* asta in. Sabina. Cosi scrive Terrenzio Yarrone.
XLIX. Ma Zenodoto Troizinio uno scrittore del-
l’Umbria, narra che le genti di essa furono prima abi-
tatrici de’ campi detti Rèalini : che espulse da’ Pelasghi
se ne vennero alla terra dove ora soggiornano , e dove
mutato nome coi luoghi , si chiamarono Sabini per
Umbri. Porzio Catone dice imposto tal nOme ai Sabini
da un Nume di que’ luoghi Stoino ( 1 ) Sanco , e che
Sanco per alcuni vai quanto Dio Fidio, Dice che fii
domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Te-
strina presso la città di Amiterna ; che movendosi da
questo inondarono i Sabini 1’ Agro ReatioQ abitato al-
(1) Silio nel libro ottavo scrive.
Ibant et laeti pars tanctum voce canehanl,
Auetorem genlis , pars laudes ore ferebant ,
Sahe , Uuis , qui de patrio cognomine primus
. Dixisli poputos magna ditione Sabinos.
Forse dunque nel testo di Dionigi dee leggersi Sabo e non Sabino.
Festo e Yarrone additano che Sanco tra’ Sabini siguifìca Ercole.
Ora Plutarco nel suo Noma e Servio nel libro 8 dell’ Eneide de-
rivano i Sabiui dagli Spartani, e gli Spartani da Ercole. Quindi
quel Sabo Sanco non sarebbe che Ercole ; tanto più che Sanco
'«redesi il me Diut Fiditu, c questa par furatola per additare Ercole.
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i8o DELLE Antichità’ romane
lora dagli Aborigeni , e da Pelasghi : e che ne otten-
nero colla forza delle armi Colina la loro città più
cospicua : che spedendo dal contado Reatino delle co-
lonie fondarono altre città non poche , ove , senza cin-
gerle di mura , si viveano ; e tra queste la città che
Curi fu nominata : che occuparono campagne lontano
circa dugento ottanta stadj dall’ AdrìaUco , e dugento
quaranta dal mare Tirreno: e dice che stendeasi la lun-
ghezza di quelle poco meno che mille stadj. Secondo
le storie paesane intorno de’ Sabini abitavano con essi
già dei Lacedemoni quando Licurgo tutore di Eunomo,
nipote suo , . dava a Sparta le leggi : e questo perchè
impazientiti alcuni dalia dura legislazione di lui , stac-
caùsi da’ compagni abbandonarono affatto la città ; e
corso ampio tratto di mare , e desiderosi ornai di pren-
dere terra dovunque, si legarono per voto cogl’Iddii di
abitare quella appunto ove imprima giungerebbero. Ve-
nuti nell’ Italia ai campi detti Pomentini nominarono ,
dal mare che aveali portati , Feronia il luogo dove
prima approdarono , e vi eressero un tempio alia Diva
Feronia alla quale aveano fatto i lor voti ; e la quale
mutatane una lettera ora Faronia si chiama. Alcuni da
indi rimovendosi ne andarono a dimorar tra’ Sabini : e
però spartane sono molte delle loro istituzioni , spartani
principalmente gli amori per la guerra ; la parsimonia
e la durezza nelle opere tutte della vita. Ma ciò basti
su la origine de’ Sabini.
L. Ben tosto Romolo e Tazio ampliarono la città
congiungendole altri due colli , 1’ uno chiamato Quiri-
nale , e Celio r altro. E ponendo separatamente le case
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LIBRO II. 1 8 1
viveasi ognuno nelle sedi sue. Avessi Rouiolo il monte
Palatino ed il Celio , monte contiguo col primo. ^azÌo
avevasi il Campidoglio , occupato già ne’ principi da
esso , ed il Quirinale. Recisa la selva la quale spande-
vasi appiè del Campidoglio , e ricoperta in gran parte
di terra la palude , la quale per la concavità dei sito
rooltiplicavasi dalle acque scese da’ monti , fecero ivi il
foro, dei quale servonsi ancora i Romani. E là tenendo
le adunanze, consultavano nel tempio di Vulcano, cbe
quasi al foro sovrasta. Inalzarono i tem^q , e consacra-
rono gli altari ai Numi , a’ quali gli aveano promessi
co’ voti nelle battaglie. Romolo ne eresse uno a Giove
Statore presso la porta òe Muggiti la quale mena dalla
via sacra al Palatino , perché quel Nume esaudendo i
voti di Romolo fe’ cbe l’ esercito suo già fuggitivo si
arrestasse,, e si volgesse a fronte dei nimico. Tazio ne
eresse al Sole , alla Luna , a Crono , a Rea , ' come
pure a Vesta, a Vulcano, a Diana, ad Eniàlio ed altri
difScili a nominarsi con greca parola. Mise in tutte le
Curie le mense per Giunone Quirizia (i) le quali esi-
stono ancora. Dominarono cinque anni insieme senza
dissidio, e compierono in quel tempo con impresa co-
mune la spedizione contro de’ Camerini. Impercioccbè
questi mandando delle masnade assai danneggiavano loro
il paese : e tuttoché chiamativi non erano mai comparsi
a darne ragione. Adunque schieratisi a fronte di essi ,
e vintili in campo , e poi nell’ assalto delle mura , gli
astrinsero a cedere le arme e la terza parte della re-
(i) Secondo Pesto vuol dire Giunone coW atta, vedi $ 4^ prc-
oedenle. •
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iSa PFLLE Antichità’ romane
gione. Continuando nondimeno i Camerini ad Infestarla
riuscirono nel terzo giorno I re coll’ armata e li fuga-
, rono , e ne divisero ogni cosa ai proprii soldati , con-
cedendo solamente che quelli , se volevano , si domici-
liassero in Roma. Quattromila quasi ve ii’ ebbero , e lì
compartirono tra le curie. E Camaria , sorta già tanto
tempo prima di Roma , Camaria già domicìiio famoso
degli Aborigeni , e poscia di un ramo di Albani , fu
ridotta colonia de’ Romani.
• LL Tornò, nei sesto anno il comando a Romolo so-
damente , morendo Tazio per le insidie de’ primarj tra
Laurenlini tesegli per questa cagione. Scorsi gli amici
di Tazio a far preda nel territorio de’ Laurenlini ne
aveano rapito danari in copia , e menato via de’ be-
stiami t uccidendo o ferendo chiunque presentavasi a
rivendicarseli. Spedita quindi dagli offesi una legazione
a reclamar la giustizia , Romolo sentenziò che gli o^
fensori le si consegnassero. Tazio però sollecito degli
amici , non istimava bene che si desse alcun cittadino
perchè si portasse in giudizio tra forestieri e nemici.
Laonde intimò che quanti si richiamavano della ingiuria
venissero e discutesserla ne’trihunali di Roma. Cosi non
trovando giustizia partirono indispettiti gli ambasciadori.
Ma datisi per isdegno alcuni Sabini a seguitarli gli
assalirono , che dormivano tra le tende lungo la via
sorpresivi dalla notte : e spogliatili di ogni cosa , ne
scannarono quanti giaceansi ancora ne’ letti. Si ricon-
dussero alia loro città quauti si avvidero a tempo dei-
r insidie e fuggirono. Dopo ciò venendo ambasciadori
da Laurento e da molte città si dolsero su’ diritti vio-
lati, ed intimarono la guerra, se non erano compensati.
LITtP.O IT. l83
LII. Sembrava a Romolo , com’ era , terribile 1’ ol-
traggio d(^li ambasdadori e degno di una subita espia-
zione , es:;endosi profanata una legge santa. E vedendo
che Tazio tcneane picciolo conto , egli senza più indu-
gio presi e legati i complici, li diede agli ambasciadori \ ortato a Roma ebbe magnifica se-
poltura , e la città gii rinnova ogni anno pubblici sa-
grifizj.
LUI, Romolo trovandosi un’ altra volta solo nel prin-
cipato purificò la infamia commessa contro gli amba-
sciatori pubblicandone privi dell’ ncque e del fuoco gli
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i84 DELLE Antichità’ romane
autori , faggitt già tutti da Roma al primo udire la
morte di Tazio. In opposito essendogli conseguati da
Laurento ero la vittoria per saviezza del capitano,
il quale occupato di notte un monte non molto lontano
da’ nemici teneavi in agguato il fiore de’cavalieri , e dei
fanti , giuntigli ultimamente da Roma. Tornati in campo
ambedue per combattervi come prima , non si tosto diè
Romolo il segno convenuto a quelli del monte , corsero
schiamazzando dalle insidie alle spalle de' Vejentani : e
piombando essi , freschi ancora su uomini stanchi , non
durarono lunga fatica a travolgerli. Pochi ne morirono
in campo ; ma molti piò nellt; acque del Tevere , il qual
fiume scorre presso Fidene, lanciativisi per iscampare
nuotandovi. Perocché parte per le ferite e la stanchezza
non resse a compiere il transito , e parte per la impe-
rizia del nuoto e la confusione dell’ animo in vista dei
pericoli soccombè tra’ vortici non preveduti. Se i Vejen-
tani avessero ponderato seco stessi , quanto furono scon-
sigliati la prima volta , e se avessero dall’ora in poi cei^
cato la calma , non sarebbero incorsi in disastri , più
gravi ancora. Ma sjierando di riaversi de’ mali passati ,
e pensando che vincerebbero di leggeri , se uscissero con
apparato maggiore ; bentosto arrolate milizie in copia dalla
città loro , e procuratene presso de’ nazionali secondo i
trattati di amicizia , marciarono per la seconda volta con-
tro de’ Romani. Si combattè di nuovo ferocemente presso
piiuii. iiy Ci( ••
LIBBO II. ' 187
Fidene ; e di nuovo i Bonnani vi superarono i Yejenti,
e ve ne uccisero, e più ancora ve ne imprigionarono.
F 11 invasa la loro trincierà piena di danari , di arme, di
S( biavi: furono prese le barche lluviali cariche di vetto-
vaglia copiosa e con queste per lo fiume trasportati in
Roma li prigionieri. Fu questo il terao trionfo di Romo-
lo ma più brillante assai de’precedcnti. Venne dopo non
molto un' ambasceria de’ Vejenli per chetare la guerra
e chiedere perdono de’ mancamenti , e Romolo ne se-
condò le istanze imponendo : che cedessero i terreni
contigui al Tevere nominati Setlepagi : che non si ac-
costassero alle saline presso le bocche del Jiume : e
che dessero cinquanta ostaggi in pegno , che non fa-
rebbero innovamenti. Si rimisero i Vejeiiti alle leggi: e
Romolo fece tregua con essi per cento anni , e ne
scolpi su più colonne le condizioni. Rilasciò senza com-
penso i prigionieri vogliosi di andarsene ; ma rendè cit-
tadini di Roma quanti pregiarono di rimanersene, ed
erano più numerosi degli altri , e li comparti fra le cu-
rie , e diè loro in sorte le campagne di qua del Tevere.
. LVI. Quest» furono le guerre di Romolo degne di
stima e di ricordanza : e parmi , che se egli non sotto-
mise ancora altri popoli vicini , ne fosse cagione la fine
prematura di lui , quando era florido ancora per le armi.
Di questa fine varj e molli ne sono i racconti. Coloro
.che più ne favoleggiano dicono , che intanto che arin-
gava le milizie , abbujatosi l’ aere sereno , e fattasi pro-
cella terrìbile , Romolo diventasse invisibile , e che Marte
il suo genitore in alto se lo rapisse. Ma chi scrive cose
più vcrisimili dice che da’ suoi cittadini fu morto ; e
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i88 DELLE Antichità’ romane
dice elle gliene fu cagione 1’ aver egli restituito senza il
voto del popolo , contro la consuetudine , gli osti^gi
presi gii da' Vedenti ; il non serbare la eguaglianza tra
i cittadini antichi e novelli , ponendo i primi in altis-
simo onore, e trascurando gli ultimi: e Gnalmente Tin-
crudelire nelle pene dei delitti , e lo insuperbire. Impe-
rocché sentenziando , solo , da sé comandò che fossero
precipitati dalla rupe non pochi nè ignobili uomini, in-
colpati di essere scorsi a predare i vicini. Ma soprat-
tutto ,ne fu cagione , 1’ essersi ornai renduto pesante , e
dispotico f e tiranno , anzi che principe. Per questo ,
narrano, che i patrizj, congiuratisi, ne decisero la mor-
te, e la eseguirono nel Senato ; e che divisone in brani
il cadavere , perclté non se ne sapesse , uscirono occul-
tandone sotto le vesti ognuno la parte sua , che pdi
seppellirono , onde renderle invisibili. Altri però nar-
rano che egli aringando fosse tolto di mezzo da’ citta-
dini nuovi di Roma ; e che m lanciassero ad ucciderlo
quando appunto abbuiatosi il cielo, crasi il popolo di-
leguato , ed egli rimasto senza guardia : e però dicono
che un tal giorno tien nome da quel dissiparsi di po-
polo , chiamandosi tuttavia fuga della moltitudine. Sem-
bra che gli eventi ordinati da’ Numi sui concepimento
e sul termine di quest’ uomo diano non piccola occasione
a coloro che fanno de’ mortali un Iddio , e che ne spin-
gono al cielo le anime più segnalate. Perocché nella
.compressione della madre di lui sia per uno Dio , sia
per un nomo , affermano che il soie si ecclissasse , e
che tenebre , totali come nella notte , coprissero la terra;
e che il simile avvenisse por nella morte. Romolo il fun-
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LIBRO II.' 189
datore di Roma , il primo , assunto da lei perchè la do-
mioasse, cosi narrasi che finisse. E tutlodiè nella età di
cioquanlactnque anni , e già monarca da trentasette non
lasciò rampolli di sua generazione. Novello in tutto del-
r impero de’ popoli , se lo ebbe nell’ anno suo diciotte-
simo come unanimi lo ripetono gli storici di queste cose.
LVII. Nell’anno seguente non si fece alcun re dei Ro-
mani : ma vigilava su la comune un magistrato detto
interré, costituito in questa maniera (1). I Patrìzj ascritti
da Romolo in Senato , dugento , come dissi , di numero
si divisero io decadi. Poi traendo le sorti diedero la
reggenza sovrana a que’ dieci che primi erano favoriti
dalle sorti ; non già che i dieci reggessero tutti in un
tempo , ma successivamente ciascuno cinque giorni, nei
quali avea con sé li fasci , e gli altri simboli del regio
comando. Il primo cedeva il comando ai secondo, que-
sti al terzo e cosi fino all’ ultimo. Decorso lo spazio dei
cinquanta giorni, fisso . pe’ dieci , primi nel comandare,
succedea la decade seconda al governo , e poi le altre
via via. Finalmente piacque al popolo di abolire questi
decemvirati , essendo ornai stanco da tanto trasmutarsi
di comandanti , varj nella natura e ne’ genj. Allora dun-
que i Senatori convocando l’ adunanza del popolo per
tribù e per curie renderono ad esso il potere di discutere
la forma del governo , cioè se volevano un re ; o se an-
nui magistrati. Ed il po[K>lo non decise già esso , ma
fece che scegliessero i Senatori , pronto di attemperarsi
(i) Ciò fu nell’anno 713 avanti Cristo : secondo Catone nell’ an-
no 38 e secondo Varrone nel 4 ° di Roma.
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190 DÈLLE Antichità’ romane
all’ ordìae che approverebbei'o. Parve a tutti di fondare
la regia domiuasione ; ma non tutti concordavano tra i
quali si avesse ad eleggere il futuro monarca : e chi pen-
sava che tra vecchi e chi volea che tra’ novi Senatori
ossia tra gli aggiunti di poi , à dovesse trascegliere il
|>er8onaggio che regnerebbe su Roma.
LYIII. Procedendo la disputa, si convenne finalmente
su questi due punti : che i Senatori antichi scegliessero il
monarca non però del ceto loro , ma qualunque altro
ue giudicassero idoneo; o che farebbono ciò li Senatori
novelli. Presero essi la scelta i Senatori più antichi , e
molto consultandone stabilirono ; di non dare , giacché
essi ne erano esclusi , il principato a niuno degli emuli,
ma di creare monarca un personaggio cercato ed intro>
dotto di fuori, nè aderente ad alcuno de’ due > princi-
palmente perchè semi non ci avessero di discordie. Ciò
deliberato , destinarono co’ voti loro , il figlio del chia-
rissimo nomo, Pompilio Pomone , Sabino di lignaggio ,
Numa di nome , e per età prudentissimo , come non
mollo lontano dall’ anno quarantesimo. Regia ne em
la dignità dell’ aspetto ; e grandissima la riputazione
per la sapienza non pur tra’ Cureti ma tra popoli
intorno. Pertanto riuniti in questa sentenza aduna-
rono il popolo ; e fattosi in mezzo l’ uno di loro , in-
terré di que’ giorni , disse : che piaceva a tutti i Se-
natori di fondare un regio governo : e che egli inca-
ricalo di trascegliere chi lo assumesse trasceglieva in
Numa Pompilio il monarca di Roma. Dopo ciò de-
putando dei Patrizj ; gli spedi perchè invitaswro il va-
lentuomo alla Reggia. E fu questo nell’ anno terzo della
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gemati da Romolo per non essere stati con'esso in guerra
niuna , non godevano terre , nè utile alcuno. Questi
senza case , e vaganti per la miseria , erano di neces-
siti nemid ai più ricchi, e vogliosi di mutamenti. Fra
tali agitamenti fluttuava Roma quando Numa ne prese
le redini , e su le prime ricreò la classe de* poveri ,
compartendo loro porzione delle campagne possedute da
Romolo , ed un tal poco ancora de’ terreni dei pubbln
co. Non togliendo quanto godeano, ai patrizj fondatori
di ‘Roma , e concedendo ai patrizj più recenti altri onori,
ne chetò le discordie. Proporzionata come uno stromento
tutta la moltitudine all’ oggetto unico del pubblicò bene;
ed ampliato il giro della città con inchiudervi II Quiri- .
naie, colle non ancora cinto di mura , si rivolse ad al-
tre istituzioni. E concependo che grande e beata diver-
rebbe la città che se ne adorna ; procurava queste due
cose : la pietà primieramente , insegnando agli uomini ,
che gl’ Iddi! sono i datori e li custodi di ogni bene alla
mortale natura ; e poi la giustizia, dimostrando che per
essa i beni dispensati da’ Numi arrecano delizioso godi-
mento a chi li possiede.
' LXni. Non reputo però che slan tutte da scrivere le
leggi e le pratiche per le quali consegui 1’ uno e l’altro
intento e con tanta amplitudine; perchè temo la pro-
lissità de’ racconti , uè la vedo necessaria ad una storia
pe’GrecI. Solo ne dirò sommariamente le cose principai
lissime , idonee a dimostrare la mente di un tanto uoimo,
cominciando dalle disposizioni di lui sul culto divino.
Lasciò nel pieno vigore lé consuetudini e le leggi die
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196 DELLE antichità’ ROMANE
trovò fondate da Romolo , credendole benissimo istitoite:
ne supplì quante ne erano state da lui pretermesse ; e
diè sacri luoghi a’ Numi , non adorati ancora , c fece al-
tari e tempj , e compartì feste per ognnnp , e ministri
per le sante cose. Finalmente ne ordinò colle leggi la
illibatezza, le espiazioni , le suppliche e tante altre ono-
ri Gcenze e tanto culto ; quanto non mai ne ebbe non-
barbara gente, nè Greca, nemmeno delle più famose un
tempo per la pietà. Comandò che Romolo ancora , di-
venuto più che uomo , s’ intitolasse Quirino , e si ono-
rasse con templi e con annui sacrifizj. Perocché non sa-
pendosi ancora come Romolo fosse sparito, se per di-
vina provvidenza , o se per Iraude umana ; venne in
mezzo del F oro un tal Giulio , un agricoltore della stirpe
di Ascanio , uomo incolpabile di costumi , nè capace di
mentire per utile alcuno. Ora costui disse che tornan-
dosi di campagna vide Romolo che partivasi di città
colle arme ; e che fattoglisi più da vicino gl’ intimava :
O Giulio va , riferisci in mio nome ai Romani ; che
il Genio che ni ebbe in sorte per custodirmi quando
io nacqui ; questo, ora che io compiei la mortale car-
riera , mi solleva tra Numi , e che io sorto Quirino, ^
LXIV. Noma stese in iscritto tutte le ordinazioni su
le cose divine , dividendole in otto classi, quante erano
quelle de’ sacerdoti. Diè l’ incarico primo delle funzioni
religiose ai trenta Curioni de’ quali io diceva che coinr
pieano i sacrifizj comuni delle curie : diè 1’ altro si Ste-
fanofori detti da’ Greci , e Flamini dai Romani , cosi
nominati dai portare delle berrette e delle bende ( 1 ) le
(i) Nel usto PUot e stemma. 0 ptimo era una specie di berretta
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LIBRO n. 197
quali portano ancora , e le quali Flama si chiamano :
diede il terzo ai capitani dei Celeri , soldati come addi-
tai, che combàttono a piedi e a cavallo in guardia dei
monarchi; e certo que’ capitani ancora fornivano divini
ordinati esercizj : diede il quarto a quelli che interpe-
trano i segni mandati dal cielo , e dichiarano se con-
ceróOno private o pubbliche cose. I Romani chiamangli
Auguri dall’ indole dei precetti dell’ arte loro , e noi
OionopoU li chiameremmo, uomini scenziati in ogni di-
vinazione de’ segni del cielo , dell’ aere , e della terra.
Il quinto alle vergini , custodi del fuoco sacro, appellate
Vestali fra loro dal nome della Diva a cui servono.
Noma il primo fondò il tempio di Vesta , e misevi delle
vergini che ministrassero nel culto di lei. Su che rileva
che io dica alcune poche còse le più necessarie ; diman-
dandole il sobjetto ; perocché degna ne è la ricerca , e
degna pur si stima da’ romani scrittori in questo luo
30 a DELLE ANTICHITÀ ROMANE
consola di una tomba , non 1’ esequie , non altro rito
niuno legittimo. Molti sono gl’ indiz) di mancanza nel
santo ministero, e principalmente lo spegnersi del fuoco:
accidente che i Romani temono più di tutti i mali, pi-
gliandolo , e sia qualunque Torigine di esso , come pre-
sagio della rovina ultima di Roma. E molto ossequiando
e placandolo; di nuovo riconducono il fuoco nel tem-
pio. Ma di ciò sarà detto a suo luogo. >
LXVIIL Ben è degna che raccontisi l’assistenza ma-
nifestata delia Dea per le vergini indegnamente accusate.
Credesi questa da Romani , quantunque ioconcepibile , e
molto gli scrittori ne ragionarono. Quei che vansene a ma-
niera degli Atei filosofando, se filosofare dee dirsi mai que-
sto , ripudiano tutte le assistenze de’ Numi avvenute tra
Greci e tra Barbari , e molto ne deridono i racconti ,
ascrivendole a ghiattanza nmana, quasi niuno de’ celesti
prenda cura delle cose de* mortali. Ma quelli che non
levano agl’ Iddi! questa cura , e li giudicano propiz)
ai buoni, e malafifetU a’malvagj, venendosene con istorie
moltissime , non prendono per impossibili tali divine
manifestazioni. Narrasi dunque che smorzandosi un tempo
il fuoco per poco avvedimento di Emilia, che allora ne
era la guardiana , perocché ne avea trasmessa la cura
ad una compagna novella , e di fresco ammaestrata ;
Borsene in città turbamento ben grande , e si cercò dai
pontefici se violazione ci avesse nel ministero santo del
fuoco. Allora, dicono, che Emilia, la incolpabile Emi-
lia, non sapendo che farsi nell’evento stendesse io pre-
senza de’ sacerdoti e delle vergini le mani in su l’altare
e dicesse: o Vesta, o tu Dea, custode di Roma, se
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LIBRO II. 2o5
io santamente , e debitamente compiei le sacre tue
cerimonie ornai da treni anni , se pura l anima mia,
se immacolate ti si presentarono le membra di questo
mio corpo , deh ! tu soccorrimi , nè volere trascurare^
che la tua sacerdotessa miserandamente si muoja. Ma
se io pur commisi alcuna cosa men pia , deh ! che
nelle pene mie la pena si dissipi di Roma. Ciò detto
è fama che spiccando il lembo dalla veste di lino onde
era coperta lo gittasse in so 1’ altare : e che dopo la
preghiera , essendo la cenere già fredda , e già senza
favilla ninna, brillasse di.su per quel lembo una damma
copiosa , talché più non abbisognò la città né di puri'*
ficaztoni , né di fuoco novello.
LXIX. Più meraviglioso ancora e più somigliante ad
una favola è ciò che io sono per dire. Narrano che un
tale accusasse Tuzìa 1’ una delle vergini ma «>n alle»
gazioni non vere di congetture e di testimonj ; non
polendo affermare che fosse per lei venuto meno il
ìkoco : e che la vergine comandata rispondere dicesse
che smentirebbe co’ fatti le calunnie : che ciò detto in-
vocata la Dea perché le fosse guida nelle sue vie, s’in?
camminasse verso del Tevere concedendolo i pontefici,
seguita dalla moltitudine: che giunta in riva del fiume,
si ponesse a cimento impossibile, ora passato in pro-
verbio : cioè, che prendesse acqua con un vaglio vuoto
e ve la recasse fino al Foro, quivi ai piedi spargendola
de* pontefici. E narrano che dopo ciò 1’ accusatore di
lei , per quante ne fossero le ricerche , né vivo più nè
morto si ritrovasse. Ma quantunque dell’ intramettersi
della Dea potrei soggiungere più cose ; reputo che ba-
stino le dette finora.
2o4 delle Antichità’ romane
LXX. La sesta parte delie istituzioni religiose fa
quella intorno àe Salii che chiamansi In Roma. Numa
stesso li nominò scegliendo dodici decentissimi giovani
patiizj. Stansi le sacre loro cose nel palazzo ; ed essi
ne sono chiamati Palatini. Ma gli Agonali , de’ quali
serbansi le sacre cose nel poggio Collina , questi co-
gnominati Salj Collini , furono istituiti dopo Noma da
Ostilio re pel voto fatto da lui nella guerra co’ Sabini.
Del resto i Salii tutti sono danzatori e lodatori dei
Numi delle arme. Tornano le loro solennità arca i
tempi delle nostre Panalenee nel mese detto di marzo :
si celebrano a pubbliche spese per piò giorni , ed in
questi guidano per la città cori di saltatori al Foro, al
Campidoglio , ed altri luoghi speciali , o comuni. Va-
riopinte ne brillano le toniche traversate con cinture di
rame ; ed affibbiate sono le trahee loro che chiamano,
luminose di porpora intorno. Sono le trahee in Roma
pregiatissime, e proprie del luogo. Torreggiano loro sul
capo tiare (i) alte con forma di cono, apici dette fra
loro , ma cirbasie tra’ Greci. Ognuno è cinto di spada;
stringe colla destra mano un’asta o verga, o cosa con-
simile ; e colla sinistra uno scudo romboidale , stretto
ne’ lati , quale è quello de’ Traci , e quale , dicesi che
in Grecia lo portino quelli che vi celebrano le 'sacre
cose dei Curetl. I Salj , per quanto io conosco , sareb-
bero con greca Interpetrazione I Cureli , denominati
(i) Nel testo sono detti piUi, ma le cirbasie erano specie di tiare
secondo Esicbio la lesione dello scudo romboidale è del codice V a-
ticano e par la migliore.
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LIBRO II. 2o5
cosi tra noi dalla età giovanile (i) ; ma tra’ Romani
hanno quel nome dal moversi faticoso : perocché spio
carsi e battere co’ piè la terra tra lor si chiama salire.
Per questa ragione medesima quanti altri noi chiame-
remmo dallo spiccarsi e battere con tal modo ,
essi gli chiamano salitorì con voce originata dai Salj (a).
Che poi dirittamente io do questi nomi, può chi vuole,
concluderlo dalle cose che fanno. Movonsi colle arme
regolatamente al suono delle tibie , ora insieme , ora a
vicenda , e danzando intuonano patrie canzoni. Ora se
dee con antichi monumenti procedersi, i Gureti furono
primi che insegnarono a danzare armati tripudiando e
battendo con le spade gli scudi : nè bisogna che io ri-
peta ciocché ha la fàvola su loro , essendo noto poco
meno che a mtti.
LXXI. Ben molti sono gli scudi che portano i Salj ,
0 che i loro ministri portano sospesi in su de’bastoni:
ma tra questi uno ce ne ha che dicesi caduto dal cielo.
È fama che fosse nella reggia ritrovato di Numa , non
avendovelo recato ninno , anzi neppur conoscendosene
la forma nella Italia. Argomentarono da tali due segni
1 Romani che fosse quell’ arme celeste di origine. E
volendo, Numa che lo scudo si onorasse , e recasse nei
dì solenni per la città da’ giovani cospicuissimi , e ri-
scotesse annui sagrifizj ; e temendo che i nemici in oc*
. ^ -,
(i) Quasi aiaao Ktft$ gioTaoi , ma forte ebbero cuti nome ^wi
rnt cioè dalla tontora : perchè erano tosi nella parte an-
teriore del capo.
(a) Si saltava anche prima de’ Salj, però la voce salùores che pre-
cede non è pptieriote al nome de’ Salj.
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ao6 DELLE antichità’ ROMANE
culto lo ÌDsidiassero e rapisserio; dicono che fabbricasse
molti scudi uniformi a quello caduto dal cielo , accin-
gendosi Mamorìo artefice a questo , che f arme divina
per la somiglianza egualissima con altre umane non più
potesse contrassegnarsi e riconoscersi da chiunque vi
macchinasse un inganno. Ebbe quel rito de* Cureti ac-
coglienza e pregio tra’ Romani , come io lo deduco da
più seghi , e principalmente dai spettacoli nel circo e
nei teatri. Ne’ quali spettacoli giovinetti già puberi , ac-
conci d’ abito con cimiero , con spada , e con scudo ,
moTonsi come con le leggi di un ritmo armonioso; e £u-
tlioni chiamansi i duci della pompa , dalla invenzione
fattane , sembra , nella Lidia. Questi sono , a me pare ,
immagine de’ Salj ; perocché non fanno appunto come
i Salj cosa ninna in foggia de’ Cureti sia negl’ inni sia
ne’ salti; e prendonsi da ogni condizione; laddove i Salj
deggiono esser liberi e naturali del luogo , e ricchi di
padre e di madre. Ma perché mai rigirarmi più a lungd
su queste cose ?
LXXIL Fu la settima parte delle leggi sacre indiritta
a dar ordine a’Feciali che chiamano. Questi con greca
significazione giudici si direbbono della pace : scelgonsi
tra le più illustri famiglie , e restansi per tutta la vita
ht santo ministero. Numa anch’egli dava la prima volu
ai Romani tal ceto venerando. Io non so definire sé
egli ne derivasse l’esempio dagli Equicoli, come alcuni
pensano , o se, come Gelilo scrive , da Ardea : bastami
dir solamente che innanzi Numa non erano Feciali tra
i Romani. Numa quando era per dar guerra a’ Fidenati,
perchè aveano fatto scorsa e ruberia nel territorìu'dt
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LIBRO n. 107
lui ; Numa gl’ ioslitul , perchè vedessero se voleano pa>
ciGcarsegli senza le arme, come vinti dalia necessità poi
fecero. E poiché non ci ha nella Grecia tribunale di
Feciali; giudico necessario di adombrare quante e quali
De sieno le incombenze; perchè coloro che ignorano la
pietà che i Romani coltivano , non si meraviglino che
tutte ad ottimo fine riuscissero le guerre loro : certa-
mente imprendeano queste con prìncipj e cagioni one-
stissime, dond’è che aveano propizj gl’ Iddi! ne’ pericoli.
Non è già fiicile , per la moltitudine , comprendere le
cure tutte de’ Feciali. A delinearle però con tocco lieve
son tali : debbono cioè provvedere ' che i Romani non
movano guerre ingiuste a ninna città confederata ; che
cominciando taluna a rompere i trattati verso loro ,
vadano ambasciatori , e ne dimandino il giusto prima
con parole , poi v’ intimin la guerra , se non ubbidi-
scono. Similmente se mai confederati alcuni dicendosi
offesi da’ Romani chiedano de’ compensi , debbono i
Feciali riconoscere, se quelli han sofferto contro dei
patti; e se par loro che lamentinsi con diritto fan pren-
dere e consegnare i colpevoli ai danneggiati. Giudicano
su gli oltraggi degli ambasciadori , e vegliano per la
Osservanza fedele dei trattati : fan le paci o le annulla-
no , se fatte sieno contro le leggi sacre : decidono ed
espiano , quante sono , le violazioni fatte de’ giuramenti
e delie alleanze' da’ capitani : ma di ciò dirò ne’ suoi
Inoghi. Quanto ali’ andarsen’ essi come araldi per esigere
soddisfazione da città che sembrino offenditrici , ne ho
conosciuto (peste cose , non indegne ancor esse che si
risappiano, per la molta cura che involgono della giu-
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ao8 DELLE ANTICHITÀ.’ BOMANE."
sUzia e della pietà. Uno de’ Feciali eletti a voti dagli
altri , cinto degli abiti e delle insegne sacre perchè fra
tutti distingnasi, vassene alla città rea: ai primo toc-
carne i conGni , attesta Giove ed altri dumi che egli'
viene perchè Roma sia compensata : poi giurando che,
dirigesi alla città colpevole, ed invocando s’ei mentisce,
maledizioni terribili contro sè stesso e contro Roma ,
slanciasi olure i conGni. Quindi protestandosi ancora col
primo che gli s’ imbatte , rustico o cittadino che sia , C;
ripetendo l’ esecrazioni medesime, continua di andare iu
città ; ma prima di entrarvi protestatosi nel modo ine>.
desimo col portinajo e con qual’ altro nelle porte gli
capita il primo, s’inoltra sino al Foro; ove giunto
parlamenta co’ magistrati ; aggiungendo tratto .tratto giur
ramenti , ed imprecazioni. Se danno soddisfazione con-
segnandogli li colpevoli , egli menali seco e vassene ,
amico già , dagli amici. Che se dimandano tempo per
consultarsi , ripresentasi dopo dieci giorni , e pazienta
Gno alla terza dimanda. Decorsi trenta di se la città
non siegue il dover suo , egli invocati i Numi celesti e
grinfemali se ne parte, questo solo dicendo, che Roma
deciderebbe , tra la sua calma , su loro. Poi recatosi
cogli altri Feciali in Senato , dichiaravi come tutto fu
compiuto secondo le leggi sacre, quanto convenivasi : e
che se vogliono risolversi per la guerra niente vi si
oppone dal canto degl’ Iddii. Senza tali pratiche nè il
popolo , nè il Senato può conchiudere col voto suo j la
guerra. Questo è quanto abbiamo risaputo su’ Feciali.
LXXIIL Nelle ordinazioni di Numa intorno le,, cose
divine v’ ebbe in ultimo la classe la . quale ottennero .•
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LIBRO II. ^ 209
quanti aveano in Roma sacerdozio ed autorità superiore.
Questi con patria voce si chiamano pontefici dal rifarsi
di un ponte di legno che è uno degl’ incarichi loro ; s
son gli arbitri di cose grandissime. Imperocché giudi-
cano tutte le cause sacre de' privati , de’ magistrati e
de’ ministri de’ Numi : fissano le cose religiose non
scritte nè solite ; scegliendo le leggi , e le consuetudini
che stimano più acconcie : esaminano tutti i magistrati
o tutti i sacerdoti a’ quali è fidata la cura de’sagrificj e '
della venerazione de’ Numi: provvedono che i loro mi-
nistri e cooperatori non violino punto le sacre leggi :
espongono ed interpetrano il culto de’ Numi e de’ Genj
a’ privati che lo ignorano; e se colgono alcuno, disub-
bidiente agli ordini loro, lo puniscono secondo i delitti:
ma essi non soggiacciono nè a giudizio nè a multe ,
non rendendo ragione nè al Senato nè al popolo. Non
travierà poi dal vero chiunque vuole chiamare tali sa-
cerdoti o dottori , o dispensatori , o custodi , oppure
interpetri delle sante cose. Mancando ad alcuno di loro
la vita gli viene sostituito un altro , il più idoneo ripu*
.tato tra’ cittadini ; nè già il popolo sceglielo ; ma essi
medesimi : 1’ eletto però piglia il sacerdozio , quando
propizj gli siano gli augurj. E tali sono , oltre alcune
più piccole , le leggi più grandi e cospicue di Numa
sulla pietà, compartite secondo i rami varj del culto ,
per le quali Roma ne divenne più religiosa.
LXXIV. Moltissime poi sono le leggi che guidano
r uomo a vita frugale e temperata , e che ingenerano
r amore della giustizia' la quale custodisce in città la
DIONIGI , tomo I. ■;
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310 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
coacordia : altre però di queste sono scritte , ed altre
non scritte ma passate pel lungo esercizio in abitudini.
E lungo sarebbe a dire di tutte ; ma basterà dire di
due più degne di ricordanza , e cbe sono argomento
delle altre. La legge su’ confini da’ poderi fu causa che
oguuno si contentasse de’ proprj ; non gli altrui deside-
rasse. Imperocché comandando a ciascuno di marcare
intorno i proprj poderi , e di porvi de’ sassi per ter-
mini , dichiarò sagri que’ sassi a Giove Terminatore , e
volle che tutti periodicamente ogni anno recatisi in sul
luogo vi facessero sopra de’sagrifizj, e stabili parimente
una festa in onore degli Dei termini. I Romani chia-
mano la festa Terminali , da que’ sassi o termòni, che
essi con simiglianza al nostro idioma, chiamano termini ^
mutata una lettera soia. E se alcuno involava o traspo-
neva que’ termini fu per legge sacro agl’ Iddii ; talché
potesse , chiunque volevalo , uccidere qual sacrilego im-
punemente , e senza macchia di colpa. Nè stabili tal
diritto su’ poderi de’ privati solamente , ma su quelli del
pubblico eziandio , circondandoli di con&ni ; perchè gii
Dei termini tenessero distinte le terre comuni dalie in-
dividuali , e quelle de’ Romani dalle altre de’ convicini.
Praticano i Romani pur ne’ miei tempi un tal rito , al-
meno per apparenza , come ricordatore de’ tempi : pe-
rocché riguardano i termini come Numi , e sagrificano
ad essi focacce di fior di farina , ed altre primizie di
frutti , e non già cose animate ; essendo profanità ri-
putata insanguinarne le pietre. E bisogna che rispettino
la cagione medesima per la quale fecero d’ogni termine
un Dio , contenti de’ poderi proprj , non arrogandosi
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2 I I
LIBRO II.
gli altrui colla forza , o coll’ inganno. Ora però con-
trassegnano i propri
ma a propagare la giustizia e la moderazione ; e con
questi tenne il comune di Roma ordinato più ancora
di una famiglia.
LXXYI. Con quello poi che ora io sono per dire
egli fe’ Roma sollecita procnratrice delle cose necessarie
e delle dilettevoli. Considerando il valentuomo che una
città istituita per amar la giustizia e serbare la tempe-
ranza non dovea penuriare delle cose necessarie ; divise
tutta la campagna in porzioni chiamate pagi, assegnando
per ciascuna un capo che la visitasse e curasse. Questi
recandovisi di tempo in tempo , e notandovi i buoni o
tristi cultori , ne riferivano poscia al sovrano ; ed il
sovrano ricompensava i buoni con lodi e con altre gen-
tili maniere ; e svergognava i tristi o mullavali , onde
accenderli a cultura migliore. Quelli dunque che sciolti
dalle core della guerra o della città sen vivevano in
ampio ozio , pagandone col vitupero o colle multe la
pena , diventavano tutti operosi in lor bene , e riputa-
vano la ricchezza della terra che è la più giusta di
tutte, essere ancora più dolce della militare, che incerta
fluttua ognora. Segui da ciò che Numa fu amato dai
sudditi , emulato da' vicini , e celebrato da’ posteri. Per
opera di lui nè sedizione interna disunì la città , nè
guerra esterna la distolse dalla disciplina sua bonissima
e mirabilissima. E tanto i circonvicini furono alieni da
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LIBRO II. 2i3
prendere la calma inerme de’ Romani come occasione
d’ invaderli; che se prorompea guerra alcuna tra quelli,
assumevano i Romani per mediatori; e deliberavano di
spegnere le inimicizie su le condizioni date da Numa.
Pertanto io non prenderei vergogna di collocare questo
uomo tra’ più famosi per sorte beata. Nato di regia
stirpe ebbe regia presenza, e si esercitò nelle discipline
non già di lettere vane, ma in quelle donde apprese la
pietà verso i Numi , e la pratica di altre virtù. Giovine
fu riputato degno di prendere il comando di Roma :
ed invitatovi a prenderlo per la bella fama delle sue
virtù , regnò per tutta la vita su popolo docilissimo.
Complesso com' era di persona ^ nè danneggiatone mai
dalla sorte , giunse a lunghissima età. Finalmente con-
sumato dalla vecchiaja venne meno a sé stesso con
morte placidissima. Quel medesimo genio di felicità che
gli era toccato da principio , quello sempre lo accom-
pagnò finch’ egli non fu tolto dall’ aspetto de’ mortali.
Visse più di ottant’anni , regnandone quaranlatrè. Di
lui restarono , come i più scrivono , quattro figli , ed
una figlia , de’ quali conservasi ancora la discendenza :
ma Gellio scrive che egli non lasciò che una figlia ,
dalla quale nacque Anco Marzo , terzo re di Roma
dopo lui. Tutta la città si abbandonò , lui morendo
al dolore ; facendogli nobilissima sepoltura. Egli riposa
nel Gianicolo di là dal Tevere. E tali sono le (jose che ‘
abbiamo risapute su Numa. . ■
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DELLE
ai4
ANTICHITÀ ROMANE
D I
DIONIGI ALICARNASSEO
LIBRO TERZO.
I. IVEancatO Numa Pompilio, i Senatori arbitri nuo-
vamente de’ pubblici affari deliberarono di conservare il
governo medesimo: nè già il popolo era di altro avviso.
Adunque deputarono un numero certo de’ Seniori i
quali comandassero intanto nell’ interregno. Da questi ,
approvandolo tutto il popolo , fu nominato re Tulio
, Ostilio , di cui la origine fu , come siegue. Un tale ,
Ostilio di nome , uomo nobile e facoltoso di Medullia ,
città fondata dagli Albani , presa a condizioni da Ro-
molo e venduta colonia romana , trasportatosi , per do-
miciliarvisi , a Roma , vi tolse in moglie una sabina ,
la figlia appunto di quella Ersilia , la quale , ardendo
la guerra co’ Sabini , consigliò le sue nazionali di ao-
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DELLE Antichità’ romane libro in. 2 i 5
darne oralrici ai padri loro su de’ mariti , e la quale
sembra la cagion principale che i due popoli si rac-
chetassero. Compagno costui di Romolo in più guerre,
e segnalatovisi per opere grandi ; moti finalmente , la-
sciando un unico figlio, nel combattere co’ Sabini, e fu
sepolto dai re (i) nella parte più insigne del Foro ,
onorato di una iscrizione , che la virtù ne ricordava.
Cresciuto 1’ unigenito suo , e legatosi con nobile matri-
monio, ne ebbe un figliuolo; e Tulio Ostilio fu questi,
uomo elBcace. Dichiarato monarca dal voto , dato se-
condo le leggi dal popolo; i Numi ne approvarono con
augurj propizi la scelta. Quando egli prese il comando,
volgea r anno secondo della olimpiade vigesima settima
nella quale Euriboto ateniese vinse nello stadio essendo
arconte Leostrato (a). E nello stringere appena lo sceu
tro si affezionò la classe de’ mercenari e de’ poveri con
questa liberalissima azione. Aveansi i re predecessori
eletto ampio e bel territorio , colle rendite del quale
fornivano i templi di sagrifiz) , e le regie case di ab-
bondanza moltiplice. Romolo avealo tolto a’ primi pos-
sessori colla legge delle armi : e morendosi lui senza
figli , aveaselo goduto Numa che gli succedette nel re^
gno. Laonde non era allora quel podere del popolo ;
ma perpetuamente dei re. Tulio nondimeno concedè
che si compartisse tra’ Romani privi in tutto di campa-
gna; dicendo essere a lui sufficienti le sostanze paterne
per le cose de’ Numi , e della regia famiglia. Sollevò
(i) Romolo e Tazio.
( 3 ) Anni di Roma 84 secondo Varrone , 8 a secondo Catone ,
avanti Cristo 670.
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2i6 delle Antichità’ homane
Goa questa beneGcenza li cittadini bisognosi ; tanto che
non più stentassero in servigio degli altri. E perché
ninno fosse privo di alloggio aggiunse a Roma il monte
Celio chiamato. Ivi quanti non aveano magione se la
fabbricarono, pigliatovi sito che bastasse : ed egli stesso
la sua residenza vi collocò. E tali sono le operazioni
urbane di quest' uomo degne di ricordanza.
II. Ma delle militari molte se ne raccontano , ed io
mi accingo a parlarne , cominciando dalla gueiTa di
lui con gli Albani. Gluvilio , un Albano , allora magi-
strato supremo , fu cagione che i dne popoli consan-
guinei si scindessero , e separassero. Punto da invidia ,
e mal più la invidia potendo rattemperare su la pro-
sperità de’ Romani, come superbo e maligno per indole,
risolvè d’ implicare i due popoli in guerra vicendevole.
Non sapendo però come volgere gli Albani a commet-
tergli che portasse 1’ esercito contro Roma ; altronde
non avendone alcuna causa giusta e necessaria; macchinò'
questa o simile trama. Concitò, promessane la impunità,
li più poveri e li più baldanzosi degli Albani a far
preda su’ campi romani: dond’ è che seguendo un gua-
dagno senza pericolo molti che tra ’l pericolo ancora
seguito r avrebbero , empierono le terre vicine di assalti
e di latrocinj. E ciò fece con disegno non alieno, come
r evento stesso lo dimostrò. Perciocché prevedea che i
Romani non sofierendo le rapine correrebbono all’ armi ,
che egli potrebbe accusarli al suo popolo come primi a
romper la guerra : e prevedea che moltissimi Albanesi
invidiosi delia prosperità della colonia , riceverebbero
C6n piacere le accuse , e farebbero la guerra contro di
j
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LIBRO III. 2I
senti se fosse da accettarsi il partito. A16ne , ascoltatine
i roti , tornò nel consesso e disse: A noi non sembra
o Tulio che abbiamo a lasciare solitaria la nostra pa-
tria , deserti i templi paterni, vuote le case degli an-
tenati, e desolata infine quella sede che i nostri padri
tennero quasi per cinquecento anni; tanto più che nè
guerra ce ne bandisce , nè flagello niuno del cielo.
Non però ci dispiace che formisi un Senato , e che
una sia la città che domini, sut altra ancora. Scrivasi
questo se così vi pare , tra le condizioni , e levisi ogni
seme di guerra. Concordi 6n qui , difTerivano poi sa
la città che prenderebbe il comando. E molti furono i
discorsi quinci e quindi tenuti, giustificando ognuno che
dorea la propria città signoreggiare su l’ altra. L’ Al-
bano insisteva su questo diritto : Noi o Tulio siam da-
gni di comandare anche al resto d Italia, perchè una
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LIBRO III. 229
gente siamo di Grecia, e la più potente che qui in»
torno si alloggi. Crediamo giusto di precedere i La-
tini almeno , se non altri , nè già senza cagione; ma
per la legge comune data dalla natura a tutti gli uomi-
ni , che 1 padri comandino ai figli : crediamo che ci
si convenga il Comando su la vostra città, piucchè su
le altre , che pur sono nostre colonie , delle quali non
possiamo finora dolerci. Noi abbiamo inviato la colo-
nia nella vostra ; nè già da tanto tempo che siane
per t antichità svanito ogni legame di sangue ; ma
indietro da tre generazioni. Quando la natura avrà
capovolte le leggi umane facendo che i giovani mag-
gioreggino su veechj , e li posteri su gli antenati; al-
lora , e non prima , noi sottoporremo la nostra città
madre perchè sia governata dalla colonia. Questo è
ìuno de' titoli della nostra superiorità, nè questo mai ce-
deremo spontaneamente. Il secondo è tale. Voi lo pren-
dete , detto non come per calunnia o doglianza , ma
per sola necessità. Il popolo di Alba mantienesi an-
cora qual era sotto de' fondatori : nè può alcuno ad-
ditarvi altro ramo di uomini , se non Greci o Latini,
partecipi della nostra repubblica: ma voi avete con-
traffatto la sì gran purità della vostra cittadinanza in-
trinsicandovi Tirreni e Sabini , ed altri barbari molti,
erranti e senza patrj lari. Tanto che poco soprawanzavi
di quell ingenuo lignaggio che da noi vi si diramava,
ed è questo, come un solo, tra i moltissimi, rice-
vuti dt altronde. Se noi vi cediamo il comando; il
». non ingenuo comanderà su l ingenuo , il barbaro al
Greco , i estero al patriota. Nè già potreste voi dire
i
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2.10 DELLE Antichità’ romane
che non permettete a peregrini di amministrare il co-
mune , e che voi , naturali del luogo , voi presiedete
e regnate : voi creale re forestieri , e senatori in gran
parte di altri popoli. Dite: v'inducete a ciò di vostro
volere? Ma chi mai di voler suo f chi se più sia va-
leni uomo abbandonasi cd governo dei meno riguarde-
voli ? E se apparisce , che voi siete a ciò sospinti da
necessità , ben sarebbe grande tj pravità , grande la
manìa nostra se volontarj a tanto c inchinassimo. Da
ultimo così dico ; in Alba niuna parte ancora si è
smossa della repubblica : corre già , da che vi si abita
la decima ottava generazione ; e V ordine ancora vi si
mantiene , e le abitudini primitive. Ma la vostra città
senza buorì ordine e senza bel complesso , come nuo-
va , e sorta da più genti , assai bisogna di tempo e
di vicende , perchè inferma e scissa , com’ ella è , sì
articoli e calmisi. Tutti poi concederanno che deono
le cose ordinate antistare alle disordinate , le cose note
alle ignote , e le sane alle inferme. Voi dunque chie-
dendoci in contrario ; non bene adoperate.
XI. A Fuffezio che cosi ragionava sottentrando Tul.>
lo rispose , o Fuffezio , o uomini di Alba noi li ab-
biamo uguali con voi li diritti della natura e del me-
rito de* progenitori ; perocché vantiamo ambedue la
origine da capi medesimi. Quindi niuno è di noi da
meno , o da più dell’altro. Noi non istimiamo nè vero
nè giusto che debbano le città madri , quasi per legge
indispensabile della natura, dominare su le colonie.
E molte sono le nazioni dove le città madri servono,
non comandano alle colonie. Massimo , luminosissimo
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LIBRO III. aSi
esempio del proposito mio si è Sporta , elevatasi a
comandare non pur gli altri Greci: ma fino i Do-
riesi da’ quali discendeva. Sebbene e che giova dir
su gli altri? Voi stessi , voi padri della colonia che
fece tlioma , voi non siete che un tralcio de’ Laviniesi.
Quindi se diritto è della natura che le città madri
regnino su le colonie, non saranno con precedenza i
Laviniesi li legislatori de’ nostri popoli ? E ciò sia
detto sul primo de’ vostri titoli sì bello nelle appa-
renze.
Siccome tu poscia o Fuffezio ti davi a contrapporre
r una all’ altra città, quali sono, dicendo che il puro
lignaggio di Alba rimanesi tale ancora; laddove il
nostro si è degenerato col tanto soprajfondervi de' fo-
restieri , e che non sono degni i non ingenui di co-
mandare agli ingenui , nè i forestieri agl’ interni ;
vedi, quanto anche in ciò ti sei deviato. Tanto è lungi
che noi vogliamo vergognarci di rendere la patria no-
stra comune a chi vuole; che anzi ,, di ciò moltissimo
ci gloriamo : nè già siamo noi gli autori di tale isti-
tuzione : ma ce ne diede Atene l’esempio , Atene tra
Greci famosissima per questo, almeno in parte se
non in tutto. E questa pratica è sorgente a noi di
molti beni non che ci dia rimprovero e pentimento ,
quasi per essa, mancassimo. Tra noi comanda e prov-
vede , e tali altri onori si gode chi di essi è degno
non chi tiene il molto oro , nè chi può la serie ad-
ditare degli avi sempre nazionali : perciocché non po-
niamo in altro la nobiltà che nella virtù. ; l'altra mol-
titudine non è che il corpo della città il quale som-
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a3i DKLLE antichità’ romane
ministra potenza e forza a savissimi consiglieri. Con
tale benevolenza si è la nostra città fatta grande di
piccola , e formidabile d' ignobile tra’ popoli intorno,
ed è cominciata tra noi la forma di signoria , che
tu o Fuffezio condanni , e che niuna ornai de’ latini
può disputarci'; perocché sta la potenza delle città
nella forza delle armi ^ e la forza delle armi nella
moltitudine delle persone. Ma le città piccole , e spo-
polate , e però deboli non comandano le altre , anzi
nemmeno sé stesse. Jo generalmente stabilisco che uno
debbe esaltare il proprio governo e riprovare quello
degli altri, quando può dimostrare che la sua città
col metodo che le ascrive , diviene glande e felice, e
che le altre se ne decadono e sconciansi appunto col
non seguirlo. Ora così vanno le cose; la vostra città
già nel fior della gloria , già ricca di molti beni , si
è ridotta ad uno scarso abitato ; e noi movendoci da
piccioli principi abbiamo tra non molto tempo ingran-
dito Roma più d’ ogni altra città vicina, e colle isti-
tuzioni che tu ne biasimi.
Le. nostre sedizioni, poiché di queste ancora tu ne in-
colpi o Fuffezio, non tendono alla depressione o rovina,
ma sibbene alla salvezza ed incremento del comune. I
giovani vi contendono co’ schiari , i nuovi con gli an-
tichi cittadini chi più debba operare il pubblico bene.
E per dir tutto in breve , spettano alla città che dee
comandare le due qualità , forza nel guerreggiare , e
saviezza nel risolvere; e queste tra noi sono ambe-
due. Né ce ne fa testimonianza un millantarsene vano,
ma il fatto che supera ogni dire. Imperocché non era
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LIBKO ni. 233
possibile che la nostra città nella terza generazione
appena dopo la origine, fosse già divenuta sì grande
e' potente , se non abbondavano in lei senno e valore.
Argomentano la nostra potenza le tante città. Ialine
le quali sebbene da voi fondate , pure voi dispregiane
do , si concederono a noi per essere comandate anzi
da Roma che da Alba. E questo perchè potevamo noi
prosperare gii amici e por già gl’ inimici ; ma non
potfiono gli Albani altrettanto. Ben altre cose e for-
tissime o Fuff&sio potrei rispondere ai diritti che ne
presentasti. Ma considerando che vano è il disten-
dersi , perciocché il dir breve vale quanto il prolisso
con voi che siete i competitori , ed i giudici; cesso
tT insistere. Aggiungo soltanto , e finisco, che io penso
che tunica maniera , bonissima per togliere le nostre
controversie, della quale si valsero greci e barbari
ne’ dissidj di principato e di territorj sia questa , cioè
che gli uni e gli altri veniamo a battaglia con una
parte solamente dell’esercito, vincolando la sorte della
guerra alla vita di pochissimi , e concediamo che la
città che co’ suoi guenneri vince i guerrieri delt emu-
la , quella domini ancora. Ben è giusto che ove le
parole non vogliono , i brandi decidano.
XII. Tali furono le dispute di que’ due principi su la
preminenza delle città : ma il seguito delle dispute non
fu se non quello suggerito dal Romano. Imperocché
quelli di Alba e di Roma presenti al colloquio cercando
^ un sollecito fine alla guerra ; deliberarono di risolver la
lite colle armi. G)ncluso ciò, si ebbe controversia intorno
ai numero de combattenti; non sentendone ambedue li ca-
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a34 DELLE Antichità’ bomane
pilani in un modo. Imperocché Tulio voleva che si de-
cidesse la gara col menomo delle persone , contrappo-
nendo per combattere uno de’ più riguardevoli Àlbahi
ad altro simile de’ Romani : ed egli stesso era pronto a
spendersi per la patria, invitando TAlbano ad emularlo.
Diceva che era pur bello che quelii che prendono il
comando delle schiere , prendano pur la tenzone pel
comando e pel principato o vincano de’’ valent' uomini,
o vinti ne siano. E qui ricordava quanti capitani e quanti
re cimentarono la vita loro per lo comune , tenendo
essi a vii cosa di partecipare al più degli onori , ed al
men della guerra. L’ Albano credea ben detto che do-
vessero le due città rischiarsi con pochi: discordava però
su la battaglia di un solo contro di un solo. Esponeva
che bello, anzi pur necessario è il combattimento da
solo a solo intorno la sovranità pe’ capi degli eserciti
quando fondano la propria potenza; ma che stolido anzi
vituperoso è ne’ suoi pericoli quando ne disputano due
città sia che sperimentino sorte propizia sia che malva-
gia. Adunque consigliava che tre valent’ uomini dell’una
e tre deU’allra città pugnassero in vista di tutti gli Al-
bani e Romani ; essendo questo numero , come avente
principio , mezzo e fine , propriissimo alla total decisione
della controversia. Ciò stabilito per voto de’ Romani e
degli Albani il congresso fu sciolto ; e ciascuno ritornò
nei proprj 'alloggiamenti.
XIII. Poi convocando i capitani ciascuno le loro mi-
lizie a parlamento , riferirono la disputa vicendevole , e
le condizioni ricevute per la soluzion della guerra. Ap-
provarono vivamente gli eserciti i patti di ambedue li
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LIBRO III.
235
capitani ; e gara meravigliosa di onore comprese centu-
rioni e soldati ; desiderando moltissimi di riportare la
palma di quel combattimento , e studiandovisi non pur
con parole , ma profTerendovisi con preludj di bell' ar-
dore ; tantoché si rendette malagevole ai duci il giudi-
zio su quelli che erano i più idonei. Se alcuno vi era
nobile per luce di origine , o forte per gagliardia di
corpo , o cospicuo pe’ fatti di arme , o segnalato co-
munque per eventi ed ardire, insisteva che mettessero
lui primo fra i U'e. Ma tali fiamme di emulazione che
più e più si dilatavano in ambedue gli eserciti le ri-
presse il capitano di Alba col riflettere che la provvi-
denza celeste antivedendo già da tanto tempo la tenzone
che sarebbe tra le due città , ne avea preordinato che
quelli che vi si cimenterebbero fossero non ignobili di
lignaggio , buoni in guerra , belli a vedere , nè simili
a molti pe’ casi della nascita rara, meravigliosa , impen-
sata. Sicinio un di Alba avea nel tempo medesimo ma-
ritato due figlie gemelle , 1’ una ad Orazio Romano, e
r altra a Curazio (i) un Albano di popolo. Ingravida-
rono ancora ambedue queste donne in un tempo , ed
ambedue diedero nel primo parto prole virile , e trige-
mina. I genitori pigliandone buon augurio per sé , per
le famiglie, e per le patrie allevarono e perfezionarono
tutti que’ gemelli. Iddio , come io dicea da principio ,
diè loro beltade, robustezza, magnanimità; talché non
cedeauo a niuno de’ben avventurati per indole. A questi
(i) Mei testo Corazio. Sigonìo crede che vada bene e che in Tito
Livio si debba leggere Curazio , com' egli ha trovato in un mano-
scritto e non Cariazio come comnnemente si legge.
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2 36 DELLE antichità’ EOMANE
deliberò FufTezio di appropiare la battaglia sa la pre-
minenza de’ popoli. Quindi invitando vid un colloquio
il re di Roma gli disse:
XIV. Un Dio , sembrcuni o Tulio che provvedendo
le nostre città, dia loro segni manifesti di benevo-
lenza in p ià cose; come su la tenzone imminente. Cer-
to ben dee parere in tutto opera divina e meravigliosa
che si rinvengano per combatterci uomini non inferiori
a niuno di prosapia , buoni nelle armi , belli a ve-
dere j originati da un padre , nati da una madre sola,
e venuti', ciò che è pià singolare, in ungiamo stesso
alla luce ; e tali sono gli Orazj fra voi , tali fra noi
li Curazj. Che dunque non abbracciamo una tale
provvidenza divina , e non assumiamo ambedue per
questa gara di sovranità que trigemini ? Bisplendono
tn essi ancora le doti sublimi, quante altre mai ne
brameremmo in chi fosse per uscire al paragone delle
armi; ed essi pià che tutti gli Albani e Romani han
pure il bene che essendo fratelli non abbandoneranno,
pericolano , i compagni nella impresa. Cesserà su-
bitamente rimpetto a loro la emulazione difficile a
calmarsi per altra maniera in altri giovani , de' quali
tnolti tra voi penso che di virtà competerebbero , come
Ji'a gli Albani competono. Noi persuaderemo questi
di leggeri , se additeremo loro come la bontà Divina
ba prevenuto le sollecitudini umane , dandoci con.
egualità chi decida con le armi le contese della pa-
tria. Nè già crederanno di essere superati dalla virtit
dè' fratelli trigemini; ma da certa prosperità di na-
tura ed opportunità di fortezza eguale in essi per
competere.
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LIBRO III. 287
XV. Cosi disse Fuffezio , e comune ne fa I’ appro-
vazione , quantunque presenti vi fossero i più bravi di
Alba e di Roma. Soprappensò Tulio un poco , e se-
guì : Ben sembra o Fuffezio che abbi tu saviamente
concepito. Imperocché meravigliosa è la sorte che ha
dato in questa generazione ad ambedue le città prole
tanto simile; quanta altra volta mai non vi s’incontrò.
Mi sembra però che non abbi tu considerato che as-
sai rattristeremo i giovani se chiediamo che fra loro
dontendano. Imperocché la madre degli Orazj nostri
è sorella della madre de' vostri Curazj : e questi cre-
sciuti giovanetti nel seno di tali due donne si carez-
zano ed amansi come fratelli. Bada che non sia forse,
indegna cosa dare le armi e sospingere gli uni alla
morte degli altri, questi, congiunti per fratellanza e
per educazione. Il sangue se vi si astringono , il san-
gue di cui si lordano ritornerà su noi che ve li astrin-
giamo. Replicò F ufTezio ; iVbn ignoro o Tulio , il pa-
rentado de’ giovani ; nè io già , se li ricusano , sono
per violentare i cugini alla battaglia. Ma non sì tosto
mi venne in pensiero di mandare dal canto mio li
Curazj di Alba io gli investigai se porrebbonsi vo-
lentieri al cimento. E ricevendo essi il dir mio con
enfasi incredibile e meravigliosa, io fui deliberato
allora di svelare e proporre quel mio sentimento. Sug-
geriscoti che anche tu facci altrettanto chiamando quei
tuoi trigemini, ed esplorandone i cuori. Che se vor-
ranno anch’ essi esponersi per la patria , tu ne ac-
cetta la benevolenza : ma se ricusano , tu per niun
modo non isforzarvegli. Io di loro presagiscoti cioc-
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238 DELLE antichità’ ROMANE
c/l’ è degli altri miei. Se come abbiamo ascoltato ( giac~
chè venuta è fino a noi la fama della loro virtà ) sa~
migliano i pochi bennati, e se bellicosi ancor sono
per indole ; abbracceranno prontissimi , e senza che
niuno ve li necessiti , di combattere per la patria.
XVI. Accolse Tulio il suggerimento : e conchiusa una
tregua di dieci giorni per consultarsi, e tentare 1’ animo
degli Orazj, e risponderne ; si ricondusse a Roma. Deli-
beratosi ne’ primi sei giorni co’ migliori , e vedutili per
lo più propensi agl’ inviti di Fufiezio; chiamò li fratelli
trigemini , e disse : Fu/fezio o uomini Orazj , abboc-
catosi meco nell' ultimo congresso nel campo , mi
annunziò , che crasi fatto per la provvidenza degli
Iddii , che si cimenterebbero per V una e per V altra
città tre bravi , de quali invano ne cercheremmo altri
più. valorosi, o più idonei, cioè li Curazj per Alba,
e voi pe'Jìomani. Ciò conoscendo , mi disse, che aveva
egli primo investigato , se que vostri cugini si espor-
rebbero volontari per la patria : e trovatili che ar-
dentissimi correrebbono ad ogn impresa, inanimatone
mi propose V evento , invitandomi perchè io vedessi
di voi parimente , se voleste offerirvi per la patria ,
e rispondere in campo ai Curazj , o se lasciaste ad
altri tanta emulazione. Ben io mi argomentava che
voi per lo valore dell’ animo, e per la possanza delle
mani , doti in voi non occulte , spontanei più che tutti,
vi rischiereste per trionfare : ma temendo che la con-
sanguinità vostra co’ tre gemelli di Alba non fosse
un impedimento al vostro ardore , chiesi tempo a ri-
solvermene , e feci tregua con lui di dieci giorni. Re-
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LIBRO III. 289
stituitomi in Roma adunai li senatori, e proposi l’qf-
fare sicché ne discutessero. Parve al più, di loro
che se voi spontanei vi mettereste alla impresa, bella
e degna di voi , impresa che io già voleva , solo io
per tutti combatterla ; allora ve n esaltassi e v ac-^
cettasi. Ma se voi, restii contro al sangue de vostri,
e non già confessandovi pusillanimi, dimandereste al-
tri fuori della vostra famiglia ; allora , parve loro ,
che io non dovessi farvene la menoma violenza. Così
pronunziava il Senato : nè già ne avrà egli ramma-
rico se voi riguarderete la impresa come grave: ma non
picciola è la gratitudine che dovravvene , se voi pre-
gierete la patria più de’ parenti. Or su ponderate col
bene vostro , ciocché siate per farvi.
XVII. Udendo i giovani questo ; si ritirarono , e con-
ferirono brevemente. Tornatisi quindi a rispondere cosi
disse il maggiore fra loro : Se noi fossimo liberi; se
fossimo gli arbitri unici delle nostre risoluzioni; e tu
ci avessi o Tulio incaricato di consultarci su la pu-
gna contro i nostri cugini: già ti avremmo risposto
de' nostri voleri. Ma perocché vive il nostro genitore
senza cui niente vorremo dire nè fare ; preghiamoti
che ci concedi alcuna requie a risponderti , finché ce
ne intendiamo con esso. Encomiando Tulio la pietà
loro , e volendo che cosi appunto facessero ; partirono
in verso dei padre. Dichiaratogli l' invito di F uffezio, il
colloquio di Tulio con essi , e la risposta vendutagli ;
alfine insisterono perchè dicesse ciocch'egli ne sentisse.
E colui sottenlrando disse : Pietosamente o figli ado-
peraste riserbandovi al padre , nè risolvendovi senza
a4o DELLE Antichità’ romane
lui. Ma ò tempo ornai che voi pure vi manifestiate
idonei a tali consigli : concepite già venuto il fine dei
miei giorni; palesatemi ciocché scegliereste di fare ,
deliberandovi tra voi sema del padre : Allora cosi
rispose il maggiore: Noi o padre assumeremmo a noi
di combattere per la preminenza di Roma, e ci por-
remmo alle vicende che a Dio si piacessero; bramosi
anzi di morire che di vivere indegni di te e degli oìv-
tenatì. Il ligame del sangue co’ nostri cugini non lo
avremo noi sciolto i primi; ma come sciolto già dalla
sorte , placidi lo mireremo : perocché se i Corcai; sti-
mano la parentela men che il benfare ; nemmeno agli
Orca] parrà quella più. onorevole della virtiu Come
il padre conobbe i loro sentimenti , divenutone lietissi-
mo, e sollevando le mani al cielo , parve che rendesse
copiose grazie agl’Iddii, perchè gli avessero dato figli
onesti e generosi. Quindi prendendoli uno per uno , e
dando loro soavissimi amplessi e baci di amore , voi vi
avete, disse, magnanimi figli , anche il mio voto. An-
• date j rispondete a Tulio i pietosi e belli sentimenti.
Allora giojosi quelli per le ammonizioni paterne si di-
visero, e corsi al monarca accettarono la battaglia. E
colui convocato il Senato , e mollo encomiativi i gio-
vani spedisce messaggeri alPAIbano per dichiarargli che
i Romani sieguono ,il suo volere , e pongono gli Oraz)
per combattere sul principato.
XVIII. Ora dimandando il subbletlo che rappresentisi
diligentemente la forma della battaglia , nè scorrasi di
volo su’ casi che la seguirono, simili a quelli di una
tragedia , tenterò di pareggiare , quanto io posso , coi
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LIBHO III. 34 I
detti ogni cosa. Venuto il tempo di compiere le con-
disioni , uscirono tutte in campo le milizie romane , e
dopo le milizie , fatte prima suppliche ai Numi , usci-
rono i giovani. Essi ne andavano compagni del re ,
mentre il popolo per tutta la città gli acclamava , e
spargeva loro de’ fiori sui capo. Erano già uscite an-
ch’esse le schiere albane. Collocatesi le une in vicinanza
delle altre destinarono per teatro dell’ azione il campo
che separa i confini di Alba e di Roma ove già s’ al-
loggiavano entrambi gli eserciti. Quivi sagrificando giu-
rarono anzi tutto Romani ed Albani su le vittime che
ardevano di essere contenti della sorte la quale per
r una e per l’altra città risulterebbe dal combattere dei
cugini, e di osservare santamente i patti senza mescervi
inganno , essi nè i posteri. Compiuti tali sacri riti in
verso de’ Numi si avanzarono in arme dal proprio
campo , spettatori gli uni e gli altri della battaglia ; la-
sciando , tre stadj o quattro di spazio intermedio pei
combattitori. Prescntaronsi indi a non molto il capitano
di Alba ed il re di Roma conducendo quello i Curazj,
e questo gli Orazj , armati splendidissimameute , e con
apparato quale il prendono , uomini destinati alla morte.
Giunti gli uni vicino agli altri consegnarono le loro
spade agli scudieri ; e corsero e si abbracciarono, pian-
gendo vicendevolmente , e chiamandosi co’ più teneri
nomi; talché datbi tutti intorno alagrimare, accusavano
la grande inumanità loro , e de’ capitani , perché po-
tendo definire la lite con altri , l’ aveano ridotta al
sangue de’ parenti ed ai contaminarsene delle famiglie.
DIOHIGI , Uno X. „ '*»
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242 DELLE Antichità’ romane
Staccatisi CDalmente i giovani dagli amplessi , ripigliale
dagli scudieri le spade , e già ritiratisi quanti s’ aveano
intorno , si contrapposero secondo la statura , e si av-
ventarono. .
XIX. Stavansi Gn qui le milizie placide e senza cla-
mori : ma poi da ambedue proruppero grida frequenti ,
esortazioni scambievoli per chi avea da combattere e
voti e rammarichi , e continui suoni di voce , varj se-
condo r ondeggiare vario della mischia , quali per le
cose fatte e vedute dall’ una e dall’ altra parte , e quali
per le cose future o pronosticale : ma più dalle imma-
ginazioni ne derivavano che dai successi ; perocché la
visione fatta in tanta distanza non era ben chiara ; e
passionandosi tutù pe’loro combattenti, prendeano come
avvenuto quanto ideavano. E gli assalti incessanù , le
ritirate degli emuli , e li passaggi rapidi , e li rivolgi-
menù (i) degli uni in su i luoghi degli altri levavano
ai riguardanù la forza del distinguere. Durò tal vicenda
gran tempo; perocché gli uni e gli altri aveano pari le
forze del corpo , pari la generosità degli animi , e bo-
nlssime le armi che li circondavano; nè rimaneano loro
membra alcune indifese ; tanto che feritivi , subito ne
morissero. In tale stato molti Romani e molti Albani
in mezzo all’ansia di vincere e nel commovei'si pe’loro
atleti , s’ inGammavano , elGgiandosi appunto con gli
affetti di quelli , quasi volessero anzi star nel conflitto ,
che rimirarlo. AlGne il maggiore degli Albani serratosi
col Romano che stavagli a fronte , e dando e ricevendo
(1) Cioè il voiiat della taccia, molalo luogo.
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LIBRO III. 243
colpi su’ colpi ; immerse non so come la spada nel>
r anguinaja dell’ emulo. Questi ingrevilo già da altre
ferite ai riceverne l’ ultima e mortale , cadde , rilascian*
dosi nelle membra , e spirò. Alzarono a tal vista gli
spettatori tutti le grida ; gli Albani come già vineitori ,
e li Romani quasi già vinti ; concependo i due loro
fàcilissimi da essere conquisi dai tre degli Albani. Frat'
tanto il Romano che era per soccorrere il caduto com>
pagno y vedendo quanto l’Albano rabbellivasi ai fausto
evento , si spiccò come un lampo su lui , e menando
e riportando ferite in copia , alfine gli cacciò la spada
nella gola e lo uccise. Ricambiatisi in poco d’ ora i
successi de’ combattenu , e le affezioni degli spettatori ,
elevandosi i Romani dal primo abbassamento , e per^
dendo gli Albani la esultazione ; un’ altra volta ancora
la sorte spirò contraria ai Romani, e ne umiliò le spe concio ; por zoppicandone , ed appoggiandosi via via su
lo scudo , reggeva ancora , e si ritirava presso del fra-
tello rimastogli , che starasi alle prese col Romano. Re-
stava a questo F uno de' contrarj a fronte , venendogli
r altro da tergo. Allora temendo che avendola a fare
con due che da due lati lo investivano , sarcbbenc fa-
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244 DELLE ANTICHITÀ.’ EOMANE
cilmente rlnthiuso : e trovandosi invulnei^to ancona ;
pensò di separare i nemici e combatterne . 1’ uno dopo
r altro. Concepì che avrebbeli facilmente disgiunti se
facesse vista di fuggire; non potendo ambedue segui*
tarlo , giacché vedeane l’ uno infermo del piede. Cosi
deliberato fuggi con quanto avea di velocità , nè gli
vennero meno le speranze. L’ albano che non avea piaga
mortale , tennegli immantinente appresso; ma l’ invalido
a camminare si rimase più addietro che non dovea. Qui
gli Albani confortavano i suoi : riprendevano i Romani
il proprio guerriero : anzi cantavano quelli e si magui-
fìcavano , come sul termine glorioso della impresa ; ma
s addoloravano gli altri come non più potesse la for-
tuna rasserenarsi verso di loro. Quando ecco il Roma-
no, coltone il punto, si rivoltò rapidissimo ; e prima
che r Albano potesse guardarsene , gli diè colla spada
in un braccio , e spiccoglielo nel gomito. Fattagli . ca-
dere la mano e colla mano la spada gli sopraggiunse
un colpo , e con questo la morte. Quindi si lanciò su
r ultimo albano e lui già derelitto , già semivivo scannò.
Poi spogliati i cadaveri de’ cugini , corse in città ; volendo
esso il primo dare al padre la nuova della vittoria.
XXL Portavano però i destini che essendo mortale
anch’ egli non avesse prospera ogni cosa ; ma sentisse i
morsi ancora della invidiosa fortuna. Lo avea questa iu
pochi momenti venduto grande di picciolo, e sollevato
a chiarezza inaspettata e mirabile, e questa appunto nel
medesimo giorno lo gittò dentro amara sciagura, spin-
gendolo ad uccidere la sorella. Come egli fu vicino alle
porte di Roma , videvi moltitudine immensa che fuori
•A
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LIBRO III.- 245
se, ne versava, e vide accorsa con essa ancor la sorella.^
Tnrbato ài primo vederla perchè essa, donzella ornai
nubile, ave^ lasciato la custodia materna, e si fosse
esposta in mezzo di turba incognita ; ne formava pen-
sieri funesti: ma si rivolse alfine ad altri più miti e be«
nevoli , quasi ella cedendo al muliebre genio avesse ne*,
gletto il decoro per desiderio dì salutare primieramente
il fratello salvo , e d’ intenderne i fatti virtuosi degli' e-
stinti. Colei però s’era ardila di mettersi alla insòlita via
non' per desiderio del fratello ma vinta dall’ amore di
uno de’cugini , col quale aveale il padre fuo concordate
le. nozze. Celavano colei l’ ineffabile afletto ; ma poiché
seppe da un tal dell’ esercito gli eventi della giornata ;
non più lo contenne : ma lasciati i domestici lari corse
come furiosa alle porle di Roma, nemmeno volgendosi
alla nutrice che la seguiva , e la richiamava. Uscita dalla
città come vide il fratello festevole colle ghiriande trion-
fali dntegli dalle regie mani , e gli amici che portavano
le spoglie degli estinti , e tra le spoglie ancora 1’ am-
manto vario , che essa avea colla madre tessuto e màh-
dato in pegno delle nozze allo sposo, giacché usano gli
sposi futuri tra’Latini abbigliarsi di ammanto vario; come
vide il caro suo dono macchiato di sangue ; si lacerò le
vesti , si battè con ambe le mani il petto; ululò , richiamò
l’ amato cugino ; tanto che grande stupore ne invase
quanti in quel luogo si stavano. £ pianto il destino dello
sposo folgorò col fisso sguardo sul fratello , e gridò: Tu
esulti o sozzissimo uomo su la occisione decagoni, e
tu , scellerato , tu privasti con ciò dello sposo la mi-
sera sorella tua. Nè pietà senti de’ trafitti parenti che
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2 46 DELLE Antichità’ romane
pure chiamavi fratelli tuoi; ma f innebrj di gioja
quasi per buonissima impresa y e vai fra tanti mali
coronato. E qual cuore è mai il tuo ? forse di una
fera ? ■■ anzi , colui replicò , di un cittadino che ama la
patria ; di uno che punisce chi le vuol male , siasi
egli un estraneo o siasi un domestico. E tra questi
colloco te pure , te' che vedendo i beni grandissimi ,
e i grandissimi mali in un tempo awemUici, la vit-
toria della patria che io qui ti presento , e la morte
de tuoi fratelli ; già non esulti o malvada pe’ beni
comuni della 'patria , nè ti addolori pe’ domestici in-
fortuni > spregiati i fratelli , non sospiri che lo
sposo ; e profani te stessa non fra le tenebre ; ma
nel pubblico aspetto di tutti. A me la mia virtù,
rimproveri , a me le mie corone ! O non vergine ,
non ‘sorella, e non degna degli avi! Poiché dun-
que non piangi i fratelli ma lo sposo ; poiché tieni
il corpo co’ vivi , ma V anima colf estinto ; va , ten
corri a lui che richiami, nè più. disonorare il geni-
' tare , e i fratelli. Cosi dicendo , più non serbò misura
nell’ odio della scellerata ; ma le immerse con quanto
area d* ira la spada ne’Ganchi; ed uccisala andossene al
padre. I costumi e gli animi de’ Romani erano allora
cosi pieni dell’odio del male, e cosi fermi in questo;
che se alcuno li voglia paragonare co’ nostri , dirà che
erano aspri e duri, nè diversi molto da quei delle fiere.
Il padre udita la spaventevole uccisione non -solo non
se ne corrucciò ; ma la tenne come debita e decorosa ;
perciocché nè permise che fosse portata nella sua casa ;
nè procurò che la seppellissero nelle tombe degli avi ;
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LIBRO III. 247
nè clic fosse con esequie e fregi, c conianque coTunebri
riti onorata. Ma coloro che passavano dove giacevasi uc>
mettono che uccidasi alcuno impunemente, e riferendo
gli esempi dati dagl’iddi! su le, città che non vendicano
gli scellerati. Faceva il padre le difese del giovine, ed
incolpava la Gglia ; pretestando eh’ ella non ebbe morte,
ma castigo : che niuno era nella domestica sciagura giu-
dice più acconcio di lui come genitore di ambedue. Mol-
tiplicandosi da arabe le parti i discorsi, assai fu per-
plesso il monarca come avesse a terminare il giudizio.
Eigli per non portare la colpa, e la maledizione nella
magione sua da quella dell’ autore di esse credea bene
che non si assolvesse chi dichiaravasi reo del sangue
della sorella , sparso prima di ogni condanna, e per ca-
gioni per le quali vietano le leggi che uccidasi : non
ammettea però che si avesse ad immolare come un omi>
cida chi avea scelto di cimentarsi per la patria e tanta
signoria le avea procacciato , mentre nou tenealo per
colpevole il padre stesso a cui la natura e la legge danntT '
i primi diritti di risentimento per la figlia. Incerto come
decidersi , tenne da ultimo per lo meglio rimetterne al
popolo la sentenza. Il popolo Romano divenuto allora
la prima volta giudice di un omicida si attenne alle de-^
siinazioni del padre , ed assolvette il suo liberatore dalla
morte. Pure non istimava il re che' bastasse a chi volea
mantenere la pietà verso i Numi tal giudizio venduto
dagli uomini: ma chiamati i pontefici commise loro .che
placassero i Geni! e gl’ Iddi! , e mondassero il giovine
colle espiazioni le quali purificano da morti involontarie.
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LIBRO III. a 49
E quelli eressero due altari, l’uno a Giunone, Dea
difenditrice delle sorelle , e 1’ altro ad uno Dio , chia-
mato (i) Genio da’ nazionali , col nome appunto de’cu-
gini Curazj uccisi dal giovane. E facendo su questi de’
sagrifìzj , ed usando nondimeno altre espiazioni, da ul-
timo passarono 1’ Orazio sotto il giogo. Costumano i Ro-
mani , quando diventano gli arbitri di nemici che ab-
bassano le armi , di piantare due aste diritte , acconcian-
done una terza supina su di esse ; e poi di passarvi sotto
li prigionieri, e dimetterli alfine liberi verso le patrie loro.
E questo è ciò che chiamasi giogo. Coloro che lustra-
rono J1 giovane si valsero di tal ultimo rito nel puri-
ficarlo. I Romani tutti stimano sacro il luogo della città
dove fu praticata la cerimonia. Rimane questo nell’ an-
gusta via che mena giù dalle Carene coloro che ven-
gono all’angusta via Cipria. Ivi sorgono altari allora edi-
ficati , e su gli altari stendesi 1’ asta supina confitta ai
due muri contrapposti: pende questa sul capo di quelli
che ne escono , e chiamasi nel parlar de’ Romani asta
o legno della sorella. Questo luogo onorato con annui
sagrifizj ricorda in Roma ancora la sciagura del giovane:
ma ricorda il valor suo tra la battaglia la colonna an-
golare che è principio del portico secondo nel Foro dalla
quale pendevano già le spoglie de’trigemini Albani. Le
armi vennero meno per gli anni ; ma la colonna ser-
bane ancora la denominazione chiamandosi pilastro Ora-
zio. Che anzi evvi in Roma una legge nata da tal fatto ,
(i) Genio Curazia: fu così detto perchè destinato a placare le
ombre de' Coratj . Ed Orazio meritava appunto di essere espiato
dal sangue della sorella e de’ cugini.
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aSo DELLE Antichità’ romane
ed osservatavi pur nel mio tempo , a riverenza e gloria
de’ giovani immortali, la quale ordina che nascendo dei
tiigemini si dispensino per essi a pubbliche spese i vi*
veri Gno alla pubertà. Tal Gne ebbe la serie delle cose
degli Oraz] iniessuta d’ inaspettate e meravigliose vi-
cende.
XXIII. Indugiatosi il re de’ Romani per un anno onde
apparecchiare quanto era d’uopo alla guerra; inGne de-
liberò di avanzar coll’ esercito contro Fidene. Preodea
le cagioni di guerra da questo , che invitau i ciuadioi
di essa a giustiGcarsi circa le insidie ordite su gli Al-
bani e Romani non aveano ubbidito , anzi dando in un
subito alle armi e chiudendo le porte e congregando le
schiere ausiliarie de’ Yejenti , erai^si manifestamente ri-
bellati. Aggiungevasi , che andati gli oratori per inten*
dervi le ragioni della rivolta, i Fidenati non altro ri-
sposero , se non che non aveano essi cosa alcuna co-
mune co’ Romani Gn dalla morte di Romolo al quale
si erano , giurando , congiunti di amicizia. Su tali ca-
gioni armò le sye milizie , e fe’ richiedere le conJede-
rate , delle quali Mezio F uffezio recava da Alba le più
numerose in apparato bellissimo ; tantoché superava ogni
altra forza amica. Tulio commendò Mezio, come detet^
minato a prendere seco lui la guerra ardentissimamente,
in ogni miglior modo ; e Io rendè consapevole di tutti
i disegni. Ma quest’ uomo incolpato già da’ suoi come
rio capitano di guerra , anzi calunniato di tradimento ;
questo dopo che si era tenuto per tre anni sotto 1’ au-
torità suprema di Tulio , alGne sdegnando un princi-
pato schiavo dell’ altrui principato , e di essere diretto
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LIBRO III. s5l
pimtosto che dirigere; macchinò cosa non degna. Im-
perocché mandati messaggeri segreti a’ nemici de’ Ro-
mani , irresoluti anewa per la ribellione , gl’ infiammò
^ , che non piò dubitassero ; promettendo che in mezzo
della battaglia investirebbe egli stesso i Romani. E tali
cose macchinando e facendo ; potè rimanersene occulto.
Tulio apparecchiate le milizie sue e quelle de’ com-i
pagni le portò su’ nemici, e valicato il fiume Aniene si
pose non lungi da Fidene : ma scoprendo innanzi di
questa io ordinanza un gran numero di Fidenati e loro
compagni si tenne in calma tutto quel giorno: nel se-
guente convocando 1’ albano F nlfezio , ed altri de’ piò
intimi amici ponderò con essi com’era da praticare la
guerra ; e poiché parve loro che fosse da combattere spe>
ditamente, senza indugiarvisi ; egli preaccennando i po-
sti e r ordine che ognuno prenderebbe , e destinando
per la zuffa il prossimo giorno , congedò l’ adunanza.
Quindi FufFezio che ancora tenevasi occulto con molti
degli amici sul tradimento che meditava , fatti a sé ve-
nire i più cmpicui tra’ suoi centurioni e tribuni disse:
XXIV. Tribuni , centurioni , io sono per comuni-
carvi grandi , inaspettate cose , che vi tacqui finora.
Vi raccomando se non volete distruggermi che voi
pure le taciate : anzi che miei cooperatori vi siate ,
se utili a compiersi vi parranno. Il tempo angusto
non consente che io distesamente vi parli di ogni cosa;
e ristringomi alle primarie. Io per tutto V intervallo
che fummo subordinati a' Romani fino a questo giorno ;
io m’ ebbi una vita piena di vergogna e di ramma-
rico j eppure fui onorato dal monoica loro della ma-
aSa DÈtLE Antichità*' ROMANE
gisàratitra 'suprema , oggimaì da tre anni, è lo sarò'
nemmeno per sempre se il voglio. Ma perciocché mi
parca t estremo de* vituperj che io' solo mi fossi felice'
nella sciagura comune ; e vedeva intanto io bene che
eravamo stati spogliati della sovranità contro tutti i
diritti sacri dell’ uomo ; cosi mi diedi a considerare
come potessimo ricuperarla , ma senza rischiarvi gran
fatto. E discorrendola io meco moltissimo ti-ovai una
via sola facile nè pericolosa che guiderebbe all’ in-
tento , cioè che sorgesse loro una guerra da confinanti.
Imperocché prevedeva io che i Romani avrebbono a
chiamare le truppe ausiliarie , e le nostre massima-
mente , e prevedeva dopo ciò che non avrei gran bi-
sogno di persuadervi che più. bello , e più giusto è
combattere per la nostra libertà , che per istahilire'
r impero de’ Romani. Spinto da tali pensieri produssi
a’ Romani la guerra de’ sudditi loro Fidenati e Ve-
jenti risolvendoli alle arme con esibire che io pren-
derei parte con essi. Fin qui si rimase occulta a’ Ro-
mani la pratica ; ed io provvidi intanto per me la
occasione di assalirli. Ora considerate quanto sia
questo opportuno. Primieramente , grande in una ri-
bellione manifesta , sarebbe il pericolo o di avventu-
rare ogni cosa mentre siamo sprovveduti per la fret-
ta , e contiamo unicamente su ciò che potrebbero le
nostre forze ; o di essere sorpresi da essi già pronti
mentre ci apparecchiamo e ci procuriamo dagli altri
un ajuto. Noi però così non manifestandoci non cor--
reremo nè V uno nè V altro disastro ,• e ne avremo
raccolto almen questo bene. Secondariamente noi non.
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LIBRO III. a53
ci daremo a percuotere la grande , la bellicosissima
potenza e fortuna degli emuli con le violente manie-
re, ma si bene colle artijiziose e scaltre, con le quali
si prendono finalmente le cose trascendenti , e meno
facili a battersi colla forza ; nè già saremo a far
questo i primi , o li soli. Inoltre siccome le nostre
milizie mal potrebbero schierarsi in campo a fronte
di quelle de’ Romani e degli alleati ; così abbiamo
congiunto a noi le forze sì grandi , come vedete, dei
Veìenti e de Fidenati. Anzi si è da me provveduto
che le ardite schiere di questi ne diano con effetto
il soccorso che ne ho cercato. Imperocché già non
sarà J.a pugna nelle nostre campagne; ma battendosi
i Fidenati per le proprie , difenderanno in esse an~
coro le nostre. E quello che riesce dolcissimo agli
uomini , quello che di raro occorse ne’ tempi andati ;
questo ancora per voi si combina : noi giovati dai
nostri alleati sembreremo di avere ad essi giovato, E
se r affare si termina a piacer nostro, come par ve-
risimile; i Fejenti e li Fidenati che avranno liberato
noi da un durissimo giogo , essi noi ringrazieranno
quasi col favor nostro ottengano un pari benefizio.
.Questi sono i successi che da me con gran diligenza
procurati mi sembrano bastare ad ispirarvi confiden-
za, e viva prontezza ad insorgere.
Ora udite in qual modo io voglia por mano alla
impresa. Tulio mi ha destinato appiè del monte ;
perchè io vi governi luna delle ale. Ma quando sa-
remo per attaccarci co’ nemici ; io non attendendo
allora tale destinazione ; mi ritirerò poco a poco sul
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2 54 DELLE antichità’ ROMÀNE
monte. Voi seguitemi allora ordincUamente. Giunto
alle cime ed in salvo , udite come io continuerò.
Quando vedrò le cose che qui dico riuscirmi come
io le disegno ; quando vedrò infiammati di corono
i nemici perchè noi cooperiamo con essi, umiliati e
spaventati come traditi i Romani ; e come è verisi-
mile, già più. intenti a pensare la fuga che le difese;
allora io starò su loro : ed io coprirò de’ loro cada-
veri il campo ; perocché scendendo dcdC altura destra
a basso , mi gitterò su di essi sbigottiti e dispersi
con esercito pieno di beW ardore e di ordine. 'Rile-
vantissima è nelle guerre la fama sparsa di un tra-
dimento anche falso degli alleati, o del giung.'re di
altri nemici ; e sappiamo che grandi eserciti furono
totalmente da tali vane apprensioni rovinati, più che
da altri spaventosissimi casi. Il nostro adoperare
però già non sarà fama vana , nè arcano spauri-
mento ; ma cosa più che tutte terribile a vedersi e
provarsi. Ma ( dicansi pur le cose consuete a pre-
sentarsi contro la espettazione , giacché la vita ne
involge molte, nè verisimili ) se gli eventi riusciranno
contro i disegni ; anch’ io farò cose ben altre da
quelle che in mente io ravvolgevami. Allora io piom-
berò co’ Romani su nemici ; co’ Romani raccoglierò
la vittoria , simulando di aver prese le alture per
cingere gt inimici. Ben avran fede i miei detti con-
cordandosi le opere colle finzioni : tanto che noi non
comunicheremo cogP infortuni di niuno , e solo par-
teciperemo lo belle vicende dell’ uno o delC altro. Io
tali cose ho deliberato : e tali cose eseguirò col fa-
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LIBBO 111. 255
vorB degV Iddii come bonissime non solo per gli AU
boni ma per tutti i Latini. Bisogna che voi guardiaie
prima che tutto il silenzio : poi, che serbiate il buon
ordine, che vi prestiate immantinente ai comandi,
che guerrieri vi siate pieni di bell’ ardore , e che tali
rendiate pur quelli che vi ubbidiscono ; considerando
che il combattere nostro per la libertà non somiglia
al combattervi degli altri, consueti ad essere coman-
dati , e lasciati da loro padri in tale condizione. Noi
liberi siamo naU dai liberi : anzi i nostri avi ci han
tramandato il comando su vicini ; serbarono questa
forma per cinquecento anni ; nè di questa si trove*-
ranno per noi spogliati li posteri. Nè tema chi vuole
far questo , quasi rompa i trattati , e violi i giura-
menti fatti sopra di essi: pensi piuttosto che egli i
diritti ripristina rotti e violati da' Romani : nè già i
tenui diritti ma quelli che la natura ci ha dato degli
uomini , quelli che la legge ha fondato comune ai
Greci ed ai Barbari , vuol dire che i padri coman-
dino j i padri dian leggi ai figli , e le città madri
alle colonie. Questi sacri diritti che mai saranno
cancellati dalla natura degli uomini , questi noi vo-
lendo che siano perpetuati , nè frangiamo alleanza
fàuna, nè genj nè Dii ci si potran corrucciate quasi
non sante cose facciamo , se mal pià comportiamo
servire cì nostri discendenti. Cnloro però che li hanno
conculcato i primi , e che con opera indegna han ten-
tato di far prevalere la umana alla le^e divina ;
coloro , corn è giusto , e non già noi , s' avranno a
fronte V ira de’ Numi , c su di essi non su noi soi't
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256 DELLE Antichità’ romane
gerà la vendetta degli uomini. Pertanto se queste vi
sembrano le cose migliori / eseguiamole , e chiamia^
movi protettori gl’ Iddii. Ma se alcuno sente in con-
trario e sente o t una o t altra delle due cose ; vuol
dire o che più, non debba ricuperarsi t antica dignità
della patria ; o che debbasi aspettare un tempo pià
acconcio del presente ^ e differire; costui' non esiti, a
dire i suoi pareri; e quello sarà fatto che a tuui
sembri il migliore.
XXV. Alfìae lodato nel dir suo dagli astanti, e pro-
mettendosi questi a far tutto ; esso ne obbligò ciascuno
col giuramento, e dimise radunanza. Nel prossimo giorno
all’ uscire appunto del sole , uscirono da’ proprj allog-
giamenti le milizie de’ Fidenati e degli alleati, e si schie-
rarono per la battaglia: vennero nemmeno di fronte i
Romani , e si ordinarono. Tulio stesso e i Romani si
opponeano coll’ala sinistra ai Vejenti i quali formavano
la destra nel corpo loro. Nell’ ala destra dei Romani si
stava Mezio Fuffezio e gli Albani presso del monte in-
contra de’ Fidenati. Rendutisi ornai vicino gli uni degli
altri , gli Albani prima di essere a tiro si staccarono dal
resto dell’ esercito , ascendendo ordinatamentè sul monte:
I Fidenati ciò vedendo e cerziorandosi della realtà del
tradimento promesso dagli Albani si portarono più bal-
danzosi contro de’ Romani. L’ala destra de’ Romani , es-
sendosene tolti gli alleati , erane ornai rotta e molto in
pericolo. Combattea però bravissimamente 1’ ala sinistra
e Tulio con essa in mezzo di scelti cavalieri. Quan-
d’ ecco un cavaliere affrettandosi verso quelli i quali
pugnavano presso del monarca, o Tulio, disse, la na-
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LiBno ni. a57
stra ala destra è sul perdersi : gli jilbani , abban-
donatala , ascendono il monte , ed i Fidenali che li
teneano schierati dinanzi, ora preponderando a fronte
ilelt ala tanto indebolita j già la circondano. I Ro-
mani ciò ndcmlu , e vedendo T accelerarsi degli Albani
in sul monte; temerono di essere avviluppali da' nemici,
taulu che non aveano cuore nè di combattere , nè di
restare in quel luogo. Or qui , dicesi , che Tulio niente
commosso all* aspetto di un male si grave e tanto ina-
spettato facesse uso dell’ avvedutezza : e che salvasse con
questa 1* esercito ornai nel pericolo manifesto di essere
circondato; c disfacesse e terminasse tutto il bene degli
inimici. ltn[>erocchè non si tosto il messaggero ebbe det-
to; egli a gran voce sicché i nemici, la udissero, o Bo-
mani , esclamò , li nemici son vinti. Gli Albani sul
mio comando hanno occupato come vedete il monte
prossimo a noi per piombare alle spalle de' nimici.
Mirale ! gli abbiamo pin e al nostro buon punto gli
impiegabili awersaij. Noi siamo loro dirimpetto , e
gli Albani alle spalle : pià non possono aveutzare ,
ISO retiocedei e. Dall' uno de' lati rinserrali il fiume ,
dall’ altro il monte : ci daran pure le pene meritate.
Andate : avventatevi intrepidamente su loro.
XXVI. Cosi esclamando ne andava tra le milizie. E ben
presto i Fidenati furono presi dalla paura che quel tra>
dimenio, si rivolgesse fìnalmente su loro per frodolenza
del capo degli Albani : perchè nè lo vedeano schierarsi
contro i Romani , nè fulminarsi contro di essi come avea
già promesso. Altronde avea quel parlare iniiammati di
VIOSIGI , P>m» l. ir
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258 DELLE Antichità’ romane
ardire e riempiuti di confidenza i Romani. Adunque scop«
piando in un grido e ristrettisi lanciarousi all’ inimico.
Piegarono allora , e fuggirono i Fidenati in disordine
alla loro città. Il re de’ Romani rilasciando la cavalleria
su questi atterriti e turbati li perseguitò qualche tempo;
ma vedutili poi sbandati, senza animo di raccogliersi e
senza forza , permise che fuggissero ; e si rivolse con-
tro r altra parte de’ nemici ancora ordinata. Ivi era bat-
taglia viva tra’fanti; e più viva ancora tra’ cavalieri. Im-
perocché li Yejenti quivi schierati non che sbigottirsi
e dar volta , resistevano all’ impeto de’ cavalli romani.
Alfine vedendo che l’ ala loro sinistra era battuta, e che-
l’esercito de’Fidenati e degli alleati fuggiva tutto precipitosa-
mente, anch’cssi per timore di non essere colti in mezzo
da’ nemici che tornavano da inseguire gli altri, diedero
volta, e si scomposero e tentarono di salvarsi a traverso
del fiume. I più robusti , e men carichi di ferite , nè
impotenti a nuotare passarono senza le armi il fiume e
scamparono: ma quanti non aveano l’uno o l’altro di
que’ requisiti , affondavano tra’ vortici ; essendo il Te-
vere presso Fidene rapido e tortuoso. Tulio intanto
impose a parte de’ cavalieri di uccidere i nemici che .
accorrevano al fiume , ed egli conducendo il resto del-
r esercito assali gli accampamenti de’ Vejenti e gl’ in-
vase. E tali sono le operazioni che diedero, a’ Romani
salute inaspettata.
XXVII. Quando il re d’Alba vide manifestamente vit-
toriose le milizie di Tulio ; egli per dare a vedere che
faceala da alleato , calando dal monte le sue , le menò
contro de’Fideuuti che fuggivano ; e molli in tale stalo
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• LÌBnQ III. ... a!xg
ne uccise. Tulio vedendo il suo fare , ed esecrando la
nuova sua tradigione , dissimulò di presente , finché lo
avesse nelle mani : ansi diè vista di lodare tra* molli
come l>onissima l’ andata di lui su pel monte : e spc-
una banda di cavalieri lo richiese che desse
ultimi contrassegni di zelo, incaricandolo , che cercasse
con diligenza , e trucidasse que’ Fidenati che non po-
tendo ripararsi tra le mura , vagavano dispersi intorno •
in tanto numero per la campagna. Colui quasi avesse,
già conseguila Tana delle due cose che sperava, e quasi,
fosse accetto veramente a T ullo , ne fu dilettato ; e ca-
valcando gran tempo per que’ campi fe’ strazio, de’ prò-,
fughi i quali sopraggiungeva. E già tramontato il sole,
condusse i suoi squadroni da tale persecuzione al campo
Romano , c vi festeggiò con gli altri la notte. Tulio di-,
inoratosi nell’ accam|)amento de’ Vejenti fino alla prima
vigilia vi esplorava da’ prigionieri più riguarderoli quali
fossero mai stati li capi della rivolta. Come poi seppe
che ci avea tra congiurati anche 1’ Albano Mezio Fuf-
fezio, gli parve che i fatti di lui concordassero colle in-
dicazioni de’ prigionieri. Adunque montato in sella si ri-,
condusse cavalcando in città fra lo stuolo dc’suoi più fidi.
E prima della mezza notte convocando dalle case loro i
Senatori ; disse del tradimento degli Albani , dandone
|)er teàlimonj li prigionieri ; e narrò gli artcGzj co’ quali
egli avea deluso i nemici e li Fideuali. E poiché la
guerra avea fine bonissimo ; invitò loro a discutere come
si avessero a punire i traditori, perchè Alba si rendesse
|>iù savia per 1’ avvciiire. Parve a tulli giusto anzi ne-
cessario che si ['Unissero quanti si erano messi ad ojteia
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200 DELLE antichità’ ROMANE
tanto «cellerata. Si ondeggiò però molto intorno la ma-'
oiera facile e sicura della esecuzione. Sembrava loro im>
possibile che tanti cospicui Albani si potessero involare
con morte tenebrosa e nascosta. Che se tentassero arre-
starli e punirli palesemente , torneasi che quel popolo,
piuttosto che ciò non curare , volasse alle armi. Non
voleano poi combattere in nn tempo co’ Fidenati/ coi
Tirreni , e con gli Albani loro consocj.- Ora non espe-
dendosi essi ; diè Tulio in6ne uu suo parere cui tutti en-
comiarono. Io ne dirò dopo un poco.
XXVIII. Siccome non era Fidene distante da Roma
se non cinque miglia ; ' cosi egli eccitando con tutto
r ardore il cavallo si restituì negli alloggiamenti : e pri-
ma che il giorno brillasse’ laminoso , chiamando Marco
Orazio il superstite de’ trigemini , e dandogli li fanti e
li cavalieri piò scelti , ordinò che marciasse con questi
ad Alba , che vi s’ introducesse in sembianza di amico ;
che , quando ne avesse in sua balia gli abitatori rovinasse
da’ fondamenti la città, non risparmiando edifizio alcuno
privato o pubblico, se non i tempj: non vi uccidesse però
nè vi oltraggiasse uomo ninno, ma consentisse che ognuno
s’avesse le sue cose. Spedito questo egli aduna tribuni
e centurioni , palesa ad essi il decreto del senato , e
forma di loro la guardia del corpo suo. Si presentò
dopo non molto 1’ Albano in gaudio per la vittoria co*
mune , e per congratularsene con Tulio t e Tulio ser-
bando tuttavia li segreti suoi , Io encomiava , confessa-
valo degno di gran doni, ed invitavalo a scrivere i nomi
de’ valentuomini che si erano più distinti nel combat-
tere e portarglieli perchè tutti partecipassero ai beni
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LIBRO III. 261
della villoria. Inondatone costui dal jnacere diè su di
una tavoletu in iscritto i nomi de’ suoi più fedeli, de’ quali
si era valuto ne’ disegni reconditi. Allora il re di Roma
invita a radunarsi lutti , senza le arme , e radunatisi ;
fece che il duce degli Albani, come li centurioni e tri-
buni si collocassero presso di lui , e che gli altri Al-
bani ordinatamente si compartissero ; ponendo dopo lo-
ro il resto degli alleati e dietro tuui infine circolai--
mente i Romani , tra’ quali ce ne avea de’ magnanimi ,
co’ brandi sotto degli abiti Quando poi gli sembrò di
avere a suo bell’ agio i nemici ; sorgendo cosi ragionò :
XXIX. Romani , amici , compagni di arme , fi-
nalmente abbiamo col favore degl' Iddìi portala la
vendetta su Fidene e su quanti partigiani di lei , fu-
rono arditi investirci con guerra manifesta. Seguirà
da questo t una delle due , vale a dire che quanti ci
molestavano si cheteranno ; o ne daranno pene tanto
più spaventose. Ora venule già le prime nostre im-
prese a buon termine , é tempo iche puniamo quei
guerrieri che avendosi il nome di amici nostri , ed
assunti a questa guerra da noi perchè facessero con-
tro (i nemici comuni , abbandonarono la loro fedeltà
verso noi , si strinsero con patti segreti a nemici , e
macchinarono la universale nostra rovina. Ben sono
essi peggiori de' nemici manifesti , e perciò degni di
pena più grande. Imperocché facile cosa è deludere
le insidiose lor trame , e ribattere si possono se ci
assaliscono come nemici : ma né riesce di leggeri
cautelai si da amici che la fan da nemici, né si pos-
sono risospingere se ci prevengano. Ora tali sono i
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262 DELLE antichità’ ROMANE
guerrieri che Alba ci manda\>n : ingannevoli alleali !
eppure non danneggiati , ma beneficati grandemente ,
e in tante cose da noi. Noi , ramo già della lor
gente , non toglievamo punto della lor signoria , ma
'la nostra forza , la nostra potenza fondavamo qol
domare i nostri nemici. Premunendo di mura la no-
stra patria contro genti amplissime e bellicosissime
abbiamo prodotto ad essi un alta sicurezza in fra le
guerre de’ Tirreni e de’ Sabini : tantoché serbandosi
la nostra città prosperamente , dovean essi rallegrar-
sene principalmente ; e decadendo questa non dovean
meno rattristarsene che per la propria città. Essi però
si ostinarono ad invidiare non solamente il nostro
ben • esseio , ma il proprio ancora nel nostro : e da
ultimo non potendosi più Iodio nascondere, ci hanno
premeditato la guerra. Ma perciocché vedeano noi
benissimo acconci a ripeivoterli , non essendo essi
valevoli contro di noi , c invitarono a trattati ed ami-
cizia , e richiesero che la lite sul principato si deci-
desse con la tenzone di tre combattenti. Acoetlammo
t invito e vincemmo ; e ci fu la loro città sottomessa.
Or , dite : che abbiamo noi fatto dopo questo ? Po-
tendo noi ricevere gli ostaggi da Alba, polendo met-
tervi guarnigiotìe , e qual’ uccidervi , qual cacciarne
de’ principali a por dissidio tra t uno e t altro po-
polo; potendo cambiarvi in favor nostro la forma del
governo , smembrarne il territorio , prescrivervi de’ tri-
buti , e torlo infine le arme ciocché era facilissimo ,
ed avrebbe tanto più noi convalidato ; polendo noi
tutte queste cose ; non abbiamo pur voluto farvene
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i ' LIBBO in. 263
nemmeno una, mossi anzi dalla pietà versò loro, che
dalla sicurezza del nostro principato. E preferendo
cioccK era il decoio all’ utile abbiamo conceduto che
si godesse ogni suo bene. Permettevamo che Mezio
Fujfezio, che essi avevano elevato à primi gradi come
il più degno , vi amministrasse ancora la repubblica.
Ed essi ( ascoltate qual .contraccambio ce ne rende-
rono quando più bisognavamo dell’ amicizia , e delle
armi loro ) ! si convennero in segreto col nemico co-
mune di assalirci insieme tra la battàglia ; e quando
t inimico e noi eravamo già già sul combattere ; essi
lasciando il posto della ordinanza , corsero a’ monti
vicini onde preoccuparne le alture più forti. E se la
cosa andava loro a seconda , niente avrebbe impedito
che noi tutti perissimo 'circondati dagli amici e dai
nemici ; e che tulli i combattimenti da noi sostenuti
per la signoria della nostra città , tutti in un giorno ,
■svanissero. Ma poiché tal disegno riuscì vano primie-
ramente per disposizione benefica degV Iddìi da quali
ripeto quanto io fo mai di buono e di bello , e poi
per t avvedimento mio che non poco valse a scorag-
gir t inimico ed accendere i nostri, essendo stato mio
stratagemma il dire che gli Albani ^ ordine' mio
preoccupavano il monte per cingere t inimico ; poiché
t affare si terminò coll utile nostro ; noi non sarenp-
mo , quali essere ci conviene , se non punissimo i
traditori ; quelli io dico i quali, doveano se non per
altro , almeno pe' ligami di parentado serbare gli ac-
cordi ed i giuramenti , fattici di recente , e li quali
non temendo gl Jddii che fecero testimonj de’ loro
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a64 DELLE Antichità’ bomane
trattati , non riverendo la giustizia stessa , non la ri-
provazione degli uomini, non calcolando la grandezza
del pericolo se il tradimento sconciavasi, tentarono in
miseranda maniera di perdere noi progenie , noi be-
nefattori loro , essi nostri fondatori , e congiurali con
gt implacabili nostri nemici.
XXX. Dicendo lui queste cose prorompeano gli
Albani in gemiti, e preghiere d’ogni modo. ÀHermava
il popolo non aver lui saputo niente dei disegni di Me-
zio : simulavano' i capitani non aver conosciuta la mao
chinazione, se non che nel darsi della battaglia, quando
più non era in poter loro d’ impedire , o non fare i
comandi. Riferivano altri il lor fatto alla insuperabile
necessità di congiunzione e di parentado ; quando il
re, fatto silenzio disse: niente,. Albani, niente ignoro,
di quanto allegate per iscusannivi. E penso che il più
di voi noi sapesse quel tradimento, perchè dove molti
sono i consapevoli , non si tacciono , neppur brevissi-
mo tempo le cose : penso che de’ tribuni e de’ centu-
rioni la parte minore fosse la complice ; ma che la
più grande non era che aggirata , e ridotta a passi
non volontari . Che se niente di ciò fosse vero ; se
voi tutti Albani , quanti qui siete , e quanti si rima-
sero in Alba, vi aveste in cuore di danneggiarci, nè
già da ora, ma da tempo antichissimo ; pur s avrebbe
il liomano nella sua parentela una ben forte cagione
a pazientarne le ingiurie. Perchè però non più vi
aduniate a consulte ingiuriose contro noi , non più
violentati , non più sedotti vi troviate da’ capi della
vostra città ; ito abbiamo pure sebbene unico , questo
t
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LIBRO III. a 65
rimedio : vale a dire che divenendo tutti cittadini di
una città riguardiamo - questa sola per patria , e par-
tecipiamo ciascuno ai beni e mali di tei, coma essa
ne incorre. Finché saranno come ora discordi i pa-
reri , finché disputeremo su la preminenza; non sor-
gerà mai stabile pace fra noi ; principalmente se gli
uni i primi siano per insidiare gli altri con vista di
dominare vincendo , o di essere come parenti impuniti
se perdono. Imperocché quelli die sono assalili ten-
teranno riscuotersi coll estremo de' mali , nè fuggi-
ranno modo alcuno onde nuocere gli tdtri quali ne-
mici, come ora addivenne. Pertanto sappiate: avendo
io nella scorsa notte adunalo il SeruUo , i Romani
per bocca sua emanavano, ed io firmava il decreto
che la vostra città fosse disfalla , nè si permettesse
che vi restasse in piedi edifizio niuno privato nè
pubblico alf infuori de' templi : che quelli che vi abi-
tano ritenendo ogni bene , non ispogUali di schiavi ,
non di bestiami, non di oro pongano da ora innanzi
la sede in Roma: che gli Albani poi, che non hanno
campo alcuno se lo abbiano , purché non sia de' po-
deri sacri co’ quali si procacciano i sagrifizj : che io
provveda i luoghi della città dove le abitazioni si
fondino degli emigrati , e supplisca a chiunque di voi
più ne ahbisogna , i mezzi onde tompierle : che tutta
la vostra moltitudine prenda la forma del nostro po-
.polo ; comportasi in, curie e tribù; abbia parte nel
Senato e nelle magistrature più insigni, e si ascrivano
alle famiglie patrizie le famiglie de'Giulj, de' Servi Ij,
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2 66 DELLE ANTICHltA’ ROMANE
de Geranj , de Metelj , de’ Corazj , de’ Quintìlj (i) ,
e de’ Cluvilj ; che finalmente Alezio e quanti delibe-
rarono con esso il tradimento , se ne abbiano le pe-
ne , e noi le stabiliremo queste , giudici sedendo di
ogni causa ; mentre a ninno dee negarsi giustizia e
difesa.
XXXI. Intanto che Tulio cosi diceva i poveri tra gli
Albani gradendo di essere fatti abitatori di Roma, e di
parteciparne le campagne , lo acclamavano a gran voce.
All’ opposito i più cospicui per grado o più agiati per
sorte si affliggeano che avessero ad abbandonare la pro-
pria città , e le case paterne , e vivere per 1’ avvenire
in terra altrui; nè più sapean che dire in tanto orribile
necessità. Poiché Tulio ebbe investigato i pareri della
moltitudine , impose a Mezio , che allegasse , volendo ,
le sue giustiBcazioni r e costui non sapendo che repli-
care alle accuse ed alle testimonianze t disse che il Se-
nato di Alba avealo segretamente incaricato di far ciò
quando usci per guerreggiare; e pregava gli Albani ai
quali avea tentato di racquistare il comando , che lo
soccorressero , nè guardassero con indifferenza la patria
che rovinava , e tanti cittadini degnissimi che erano
strascinati al supplizio. E già nasceane tumulto nella
moltitudine , e volavano alcuni ad afferrare le armi ;
quando i Romani che circondavano l’adunanza sguaina-
rouo , datone il segno , le spade : ed essendone tutti
aiierriti ; sorse Tulio un'altra volta e disse: Albani,
non qui vi è dato d' insorgere, nè di trawiarvi: giac‘
(i) Lrsino , e Patino de Famil. Romanor. leggono Quinzf.
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LIBRO III. ’ ^6'J
cJtè tulli, se ariìiste commovervi, sareste trucidali da
questi : ( E cosi dicendo additava le spade de’ suoi ).
Prendete ciocché vi si dona , diventale fin da oggi
Romani. È per voi necessità , domicitiaivi in Roma ,
o non avere più patria sulla terra. Marco Orazio
andò sulC ordine mio fin dalC aurora per abbattere la
vostra città dai fondamenti , e condurne in Roma gli
abitanti. Ora sapendo che ornai questo è fatto , non
vogliate correre alla morte; ubbidite. Metio Fuffezio,
quesf occulto nostro insidiatore , che nemmen ora te-
me d’ invitare alle armi i turbolenti e li sediziosi';
questo ne darà le pene , degne del perfido cuore e
scellerato. Sbigottì ciò udeudo la parie irritata degli
adunali , come vinta da insuperabile necessità. Fremea
Fufiezio per l’ opposi to , e vociferava , ma solo , e re-
clamava r alleanza , egli che era accusato di averla tra-
dita , nè perdea la baldanza , anche in mezzo de’ mali ;
quando i littoii per comando di Tulio afferrandolo gli
squarciano in dosso le vesti e lo caricano di battiture.
Poi quando parve che ornai quel supplizio bastasse ^
avvicinando due carri , legarono con lunghe redini le
braccia di lui nell’ uno di questi , e li piedi nell’ altro.
Allora spingendo gli aurighi quinci e quindi i due
carri ; egli strascinato e tirato in parti contrarie , fu
subitamente ridotto in brani. Tale fu il termine mise-
rando e vergognoso di Mezio. Infine io stesso re mise
un tribunale per gli amici e complici di lui nel tradi-
mendo ; punendoli , come li scopriva rei , colla morte >,
a norma delle leggi su’ disertori e su’ traditori.
XXXII. Intanto che si laccano tali cose, Marco Ora-
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268 DELLE AUTICHITa’ ROMANE
zio spedilo innanzi con scelta milizia a distruggere Alba
compiè’ ben tosto la marcia , e se ne impadroni ; tro-
vandovi le porte non chiuse , nè difese le mura. Poi
convocando la moltitudine le palesò quanto era acca-
duto nella battaglia , e quanto il Senato di Roma ne
decretava. Contrariavano quelli, e dimandavano tempo
almeno per ispedire degli ambasciadori. Ma costui senza
indugio spianò case , muri ; e tutti in somma i privati
e pubblici ediGzj ; scortandone con assai diligenza a Ro-
ma gli abitatori , che menavano e portavano ogni loro
bene con sé. Tulio ritornato dal campo gli comparti
ira le curie e tribù romane , li coadjuvò per fabbricare
ne’ luoghi , che sceglievano in Roma , le case : dispensò
porzione sufGciente de’ terreni del pubblico fra i loro
meroenarj , e sen cattivò con altre amorevolezze la mol-
titudine. Ma la città di Alba già fondata da Ascanio
nato da Enea figlio di Anchise , e da Creusa figlia di
Priamo , quella che per quattrocento ottanlasette anni
dalla sua fondazione era tanto cresciuta di popolo, di
ricchezze , di ogni ben essere , quella che aveva pro-
pagato trenta colonie in trenta città del Lazio e che era
sempre stata la capitale della nazione , quella alfine vit-
tima ^i) dell’ ultima delle sue colonie giace squallida an-
cora e desolata. Prese requie nell’ inverno il re Tulio ;
ma nel sorgere della primavera cavò nuovamente l’ eser-
cito contro Fidene. Non era venuto a’ Fidenati, nè lo
pretendeano , pubblico soccorso ninno dalle città confe-
derate : solamente da più luoghi erano venuti de’ mer-
(i) Anni di Roma 88 secoodo Catone; 90 secondo Varane , e
G 6 f aTanli Cristo.
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LIBRO III. 369
cenar} ; e contando su questi osarono un’ altra volta
esporsi in campo. Schierativisi , uccisero molti de’ nemi-
ci; ma poi furono rispinti di nuovo tra le mura. Come
però Tulio cingendo la città di argini e fosse la ridusse
alle ultime angustie ; vinti dalla necessità , si renderono
a discrezione. Divenuto costui padrone della città vi
uccise nemmeno gli autori della ribellione. Lasciò gli
altri a sé stessi ; concedendo ebe godessero i lor beni :
e restituendo ad essi la forma che aveano di reggenza ,
congedò 1’ armata. Restituitosi a Roma onorò gl’ Iddii
con la pompa trionfale e co’ sagrilìzj promessi , e fu
questa la seconda volta che trionfò.
XXXIII. Si eccitò dopo questa a’ Romani la guerra
de’ Sabini ; e tale ne fu la cagione. Onorasi da’ Latini
e Sabini in comune il tempio, sacrosanto più che ogni
altro , della Dea nominata Feronia , che taluni con
greca interpetrazione chiamano la portatrice de’ fiori ^
0 r amica dei serti , o Proserpina. Essendosene an-
nunziate le feste , erano dalle eittà d’ intorno venuti
molti per supplicare , e sagrificare alla Dea , e molti ,
mercadanti , artefici , agricoltori per guadagnare nel
concorso ; ivi tenendosi fiera famosissima più che in
altri luoghi d’ Italia. Recavansi per avventura a questa
luogo alquanti non ignobili tra’ Romani , quando alcuni
Sabini concertatisi , li circondarono e derubarono. E 1
quantunque si spedissero de’ messaggeri , non voleano
su questo i Sabini rendere la giustizia : ma riteneansi
1 danari e le persone degli arrestali ; imperocché dole-
vansi anch’ essi de’ Romani che avessero dato ricetto ai
fuggitivi de’ Sabini , costituendo il sacro asilo , come si
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2'jo DELLE Antichità’ . ROMANE
dicliiarò nel primo libro. InSammanciosi da tali queri>
monie alla guerra uscirono con moltissime schiere in
campo aperto. Fecesi ordinata battaglia , e pari splen-
deavi il coraggio de’ combattenti ; tanto che separatine
dalla notte lasciarono la vittoria indecisa. Ke’ giórni ap-
]>res$o considerando ambedue la mohitudiue degli estinti
c de' feriti , ricusarono ogni altro cimento ; ed abban-
donando gli accampamenti , si ritirarono. Ma tenutisi iu
cylma per quell’ anno uscirousi di nuovo a fronte con.
forze più formidabili. Si appiccò la zuffa presso di
Erelo lontana centoquaranta sladj da Roma , c molti vi
soccombeano da ambe le parli. E pendendo questa zuffa
ancora lungo tempo sospesa , Tulio elevò le mani al
cielo, votandosi che se vinceva in quel giorno i Sabini
istituirebbe delle feste a Saturno ed a Rea con pubblica
s])esa. Celebrano ogni anno i Romani tali feste dopo
che barino riportato tutti i frutti della terra. Egli facea
voto insieme che raddoppierebbe il numero de’ Salj.
Derivano questi da nobile prosapia ,, e ne’ debiti tempi
si cingono di arme , e saltano accordando al suono
delle tibie i salti , e cantando patrie canzoni , come ho
spiegalo nel bbro primo. A quel volo si mise tanto ar*
dorè ne’ Romani che questi pressando , come freschi
soldati, gli stanchi, ne ruppero le schiere in sul man-
care del giorno , e ridussero gli stessi capitani a dar
principio alla fuga. E seguendo essi li fuggitivi ai pro-
pri irincieramcnli , ne raggiunsero la maggior parte vi-
cino alle fosse. Tuttavia nemmeno dopo ciò retrocede-
rono : ma rimanendosi ivi nella notte imminente , e
respingendo i uciuici che pugnavano da entro il vallo ,
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LIBBO III. 271
invasero alRne gli accampamenti. Trasportaronsi dopo
ciò quanta preda voleano dalle campagne sabine : e sic-
come niuno più presenlavasi a combatterli , si ricon>
dussero in casa. Fece il re per questa battaglia il terzo
trionfo. Quindi per le molle ambascerie de’ nemici de-
pose le armi , avendone da essi li suoi disertori , e li
soldati suoi caduti prigionieri ne’ pascoli; ed esigendone
la multa decretata contro loro dal Senato di Roma il
quale avea calcolato in argento r danni ricevuti da’ ne-
mici negli armenti, nelle bestie da giogo, e nelle altre
cose tolte ai coltivatori dei cttmpi di lei.
XXXIV. Fransi cosi scioiii dalla guerra i Sabini : e
scrittine su colonnette i trattali, gli aveauo collocati nei
tempj. Ma suscitatasi per le cagioni che tra poco dire-
mo , la guerra di Roma con le città latine , congiurate
fra loro , guerra che non parea da essere ultimata nè
con prestezza nè con facilità ; li Sabini afferrarono di
Lenissima voglia tale occasione , e dimenticarono quasi
non fatti , i giuramenti e i trattati. E reputando esser
questo il buon punto da rivendicare anche il multiplo
del danaro sborsato a’ Romani ; uscirono su le prime ,
in pochi , ed occulti a predarne le campagne vicine. E
succedendo in principio il disegno secondo il desiderio,
perchè non accorreva milizia ninna in difesa de’ colti-
vatori ; si adunarono in gran numero e palesemente : e
spregiato l’ inimico macchinarono di recarsi fino su Ro-
ma. Adunque congregarono le soldatesche da ogni loro
città, brigando di congiungersi co’Laiini. Ma non venne
lor fallo di ottenere nè amicizia uè lega ninna con
quella gente. Imperocché Tulio veduti i loro peusieri ,
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273 DELLE Antichità’ romane
fe tregua colle città latine , e deliberò di volgere le*
annate contro di essi. Egli aveva in arme il doppio di
allora , quando mosse alla presa di Alba , ed aveà rac*
colto il più che potea di sussidj dagli alleati. Già 1’ e—
sorcito de’ Sabini crasi concentrato. Quindi avvicinatisi-
entrambi alla selva della dei malfaUori (i) si accam-t
parono a picciola distanza fra loro. Nei giorno appresso
investendosi , combatterono , ma con dubbia sorte gran
tempo ; finché violentati al far della sera i Saliini dalla ’
cavalleria romana piegarono ; e molta ne fu nella ' fuga '
la uccisione; spogliarono i vincitori i cadaveri de’ iie->
mici ; invasero quanto ci avea di danaro negli alloggia-
menti ; e conducendosi dalle campagne il fiore delie
prede , tornaronsi a casa. Tal fine ebbe pe' Romani la
guerra Sabina nel regno di Tulio. '
XXXV. Erano le città Latine divenute allora per la
prima volta discordi da Roma , perchè essendo distnitta
Alba , ricusavano fidare il comando di sé stesse ai Ro-
mani che ne erano i distruttori. Tulio, volgendo l’anno
quindicesimo dalla caduta di Alba avea spedito amba-
seladori alle città filiali , o suddite di questa le quali
eran trenta, per chiedere che ubbidissero ai Romani, pa-
droni di ogni cosa degli Albani , e con ciò dell’ imperio
ancora - su’ Latini. DIcea che due sono i titoli pe’ quali
gli uomini diventano gli arbitri di altrui : la libera de-
dizione e la necessaria : e che i Romani se gli aveano '
tutti due per dominare le città già ligie degli Albani :
[tercliè i primi avevano vinto i secondi dichiaratisi loro
i .
(1) Livio la chiama tj-lva malUiom.
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LIBRO III. 2*; 3
nemici , e fra le arme , ed aveano poscia accomunato
Roma ad essi che aveano perduto la patria. Ora da ciò
seguitava che gli Albani o vinti o volontarj cedeano ai
Romani l’imperio de’sndditi loro. Non risposero le città
Latine una per una agli oratori : ma congregatesi pei
deputati a Ferentino decisero co’ voti loro d^ non sotto-
mettersi a’ Romani ; e crearono immantinente due capi-
tani arbitri della guerra e della pace , 1’ uno Anco Pu-
blicio della città di Cori , e 1’ altro Spurio Vecilio di
Lavinia. Si fece per queste cagioni guerra tra* Romani
e tra’ popoli di una gente medesima : continuò cinque
anni ma quasi civilmente secondo 1’ antica temperanza.
Imperocché venendo le intere milizie degli uni a batta-
glia ordinata con le intere milizie degli altri , mai non
si fece gran danno , nè piena occisione ; nè mai ninna
loro città vinta in guerra , soggiacque alla distruzione ,
alla schiavitù , o ad altre insanabili disavventure. Ma
gettandoti gli uni ne’ territori degli altri ne’ tempi della
raccolta pascolavano e predavano e ritiravansi in casa ,
e cambiavansi lì prigionieri. Tulio solamente cinse di as-
sedio Medullia città latina, divenuta come fu detto nel
libro antecedente fin da’ tempi di Romolo colonia dei
Romani , ed ora congiuratasi co’ suoi nazionali , e con
ciò la ridusse a non più tentare innovamenti. Non oo-
corse a ninna delle due parti alcun altro de’ mali con-
sueti nella guerra perché le guerre de’ Romani di quei
giorni eran subite, e per la subitezza non iochiudevano
tanto rancore. , ;
XXXVI. Cosi adoperava nel suo principato Tulio
PlONIGl , tomo I, tS
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2^4 BELLE AjX'ìICHITa’ HOMAME
Osiiiio, r uuo de’ pochi uomini degni di lode per l’ar>
dire felice tra le arme , e per la saviezza ne’ pericoli ;
c più che per tali due cause, per ciò che egli non era
precipitoso a far gueire, ma postovi si, non mirava che
a silperare in tutto i nemici. Dopo uu regno di trenta
due anni mori per l’ incendio della sua casa , e con lui
pur morirono nel fuoco medesimo la moglie , i figli , i
domestici. Vi è chi dice che la casa di lui fu messa in
fiamme dai fulmine ; essendoglisi irritato il Nume per
alcuna sua non curanza di sante cose , perchè si erano
sotto lui tralasciati dei sagrifizj della patria , introdu-
cendovisi in parte gli altrui. Ma i più raccontano che
fu quel disastro per insidia degli uomini ; ascrivendolo
a Marzio , re , successore di lui : perocché Marzio sde*
guavasi , dicono , che egli nato di regio lignaggio dalia
figlia di Numa Pompilio vivesse tra’ privati : e vedendo
già grande la prole di Tulio , altamente ne sospettas’a ,
che' se costui periva , passasse il regno a’ figli di lui.
Fra tali concetti insidiava da gran tempo la regia vita.
£d essendogli molti Romani, fautori per dargli lo scet-
tro , e Tulio essendogli amico , ed era creduto fidissi-
mo; spiava la occasione di sorprenderlo. Era Tulio per
fare in sua casa un sagrilizio al quale non volea pre-
senti che i suoi più congiunti; ma divenuto per avven-
tura quei giorno ferale per tenebre , per pioggia , per
nembi , le guardie aveano lasciato deserti gii atrj della
reggia. Parendo questo il buon punto s’introdusse Mar-
zio e i compagni co’ brandi sotto degli abiti : uccisero
il monarca , i figli e quanti vi erano : vi appiccarono il
fuoco in più bande e poi divulgarono la novella del
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LIBRO III. 2-j5
fuoco. Ma io non ricevo la novella , perocché , nè vera
la credo, nè verìsimile : e piuttosto m’ appìglio 'alla
prima opinione , e penso che quest’ uomo per ira degli
Iddìi corresse tal sorte. Imperocché non è facile che la
congiura , operandola molti , si resusse occulta : nè il
capo di essa era sicuro che egli sarebbe proclamato
monarca da’ Romani dopo la morte di Tulio Ostilio: e
quando fosse tutto stato sicuro per lui dal canto degli
«omini , non potessi confidare che somiglierebbero i
divini agli umani pensieri. Bisognava dopo il voto delle
tribù che propizj gli augurj comprovassero il regno per
lui. Qual genio o qual Nume avrebbe mai sopportato
ebe un uomo cosi lordo di delitti e di sangue si acco>
stasse agli altari suoi per compiervi de’sagrifizj, o altre
pie cerimonie ? Per tali cagioni io riferisco quell’ evento
agl’ Iddìi , non alle trame degli uomini. Tuttavia ne
giudichi ognuno come più vuole.
XXXVII. Dopo la morte di Tulio Ostilio fu creato
secondo i patrj costumi l’ interré dal Senato ; e l’ in-
terré dichiarò sovrano della città Marzio , che Anco
denominavasi. E Marzio , dopo confermati i decreti del
Senato dal popolo , dopo renduti agli Iddii quanto a
loro si conveniva, e compiuta a norma delle leggi ogni
cosa, assunse il comando nell’ anno secondo della ohm-
\ piade 35 .* nella quale vinse Sfero spartano , nel tempo
che Damasìa esercitava in Atene l’annuo magistrato (i).
Ora osservando questo re la trascuraggìne delle pratiche
religiose istituite da Noma , avolo suo materno , esser-
ti ) Anni 114 secondo Catone, e 116 secondo Varroae dalla foa-
dasione di Ruma e 638 aTanti Cristo.
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2 '] 6 DELLE Arrt-ICHÌTA’ ROMANE
vando die il più de’ Romani erano divenuti guèrrieri è
dediti a vili guadagni , nè più si volgeano come prima
ai lavori della terra; chiamati tutti a parlaménto, esortò
che ripigliassero il culto degl’ Iddii come a’ tempi di
Numa ; dimostrando che per tali negligenze delle sante
cose erano venuti in città morbi e pestilenze ed alu'i
Hagelli che ne aveano desolata parte non picciola : e
che lo stesso re Tulio perchè non vegliavane quanto
doveva alla custodia, travagliato per molti anni da tutti
i generi de’ mali , nè più essendo padrone della stia
mente , ma decadutagli questa come il corpo , incone
in catastrofi miserande egli nemmeno che la sua stirpe."
E lodando a’ Romani la pubblica forma indotta da Nu-
ma come egregia e savia , e generatrice di abbondanza
quotidiana per giustissime cause ; raccomandò che la
ravvivassero e volgessero l’ opera loro , a coltivare le
terre , ad allevare i bestiami , e ad altri lavori , liberi
dalle ingiustizie della violenza e della rapina , e spre-
giassero in fine le utilità che nascono dalla guerra.
Con questi e simili detti risvegliava iu tutti il dolce
trasporto per la calma , aliena dalle armi , e per la in-
dustria sapiente. Convocando poi li pontefici , e pren-
dendone le leggi delineate da Numa intorno le cose
divine , le scrisse ed esposele in su tavolette nel Foro
a chiunque volesse vederle. Ora quelle tavolette vennero
meno: perocché non usavano ancora le colonne di me-
tallo ; ma scriveansi in tavole di querce le leggi del
fero e de’ templi. Dopo la cacciala dei re furono H-
prodolte in pubblico dal pontefice Cajo Papirio, il quale
avea la cura suprema delle cose divine. Rendendo il suo
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LIBBO III. 277
splendore ai ministeri negletti de’ sacerdoti , e rendendo
ai lavori suoi la turba oziosa ; encomiò gli utili agricol-
tori, e ne biasimò gl’improvidi, come cittadini non veri.
XXXVIII. Lusingavasi al favore di tali istituzioni di
vivere sempre libero da guerre e disastri come 1’ avo
materno : tuttavia non ebbe pari ai desiderj la sorte ;
ma in onta del cuor suo fu necessitato alle arme , e
ravvolto in tutta la vita fra turbolenze e pericoli. Im>
perocché nel primo ascendere al comando appena diede
calma allo stato , i Latini ve Io dispregiarono : e pen-
sandolo per codardia non idoneo alla guetra; tutti man-
darono entro i confini di lui bande di rubatori , che
' assai danneggiarono molti Romani. E spedendo il so-
vrano degli arobasciadori a chiedere compensagioni pei
Romani secondo i trattati, finsero ignorare in lutto quei
latrocini , non die fossero con pubblica autorità con-
certati. Diceano pertanto non dovere di cosa alcuna ri-
sponderne a’Romani; tanto più che i trattati erano con
Tulio e non co’ presenti; e Tulio mancato, erano periti
con esso gli accordi. Necessitato da tali pretesti e cavil-
lazioni de’ Latini Marzio portò conti'O loro l’ esercito.
Postosi all’ assedio della città di Politorio , la prese a
condizioni prima che i soccorsi le giugnessero de’ Latini.
Non infierì già cogli abitanti , ma portossegli tutti a
Roma co’ beni che avean seco, aggregandogli alle tribù.
XXXIX. Ma siccome i Latini mandarono nell’ anno
seguente nuovi abitanti a Politorio , e ne coltivavano i
campi , così Marzio pigliando I’ eserdto lo ricondusse
contro di loro. Uscirono dalle mura i Latini e combat-
terono; ma egli li vinse, e prese la città per la seconda
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2^5 DELLE Antichità’ romane
volta. E peixìhè più non fosse un richiamo de’ nemici .
nè più lavorassero i campi di lei , ne abbattè le mura ,
ne incendiò gli edi6zj, e parli. Recaronsi nell’anno ap-
presso i Latini a Mednllia ov’ erano de’ coloni romani ,
e dandole d’ ogn’iniomo l’assalto la espugnarono. Maiv
'zio andato di quel tempo contro la città di Tillene e
divenuto vincitore in campo , c poi su le mura , la
sottomise. Non tolse a’ prigionieri nulla di quanto aveano:
ma li trasse in Roma ove. diè loro de’ luoghi perchè vi
edi6cassero le abitazioni. Soggiacque Medullia per tre
anni ai Latini , ma nel quarto la riconquistò con molle
e grandi battaglie. Espugnò dopo non molto Fidene(i),
città presa tre anni addietro per condizioni ; e ne 4ra-
sferl tutto il popolo a Roma ; e non danneggiando la
città più oltre , parve che si diportasse anzi con man»
sneludine che con' prudenza. Imperocché li Latini vi
supplirono nuovi abitanti; e sen tennero e sen goderono
il tet^ritorio ; tanto che fu Marzio costretto di accorrervi
per la seconda volta; e divenutone per la seconda volta
padrone a grande fatica ; ne abbandonò le case alle
fiamme , e ne devastò le mura.
XL. Occorsero dopo ciò due battaglie tra’ Latini e
Romani. Durò la prima lungo tempo : e gli uni sem-
brandovi eguali agli altri , si distaccarono , e ritiraronsi
a’ proprj alloggiamenti. Nella seconda i Romani vinsero
i Latini e gl’ incalzarono fino alle trinciere. Dopo ciò
più non vi ebbe fra loro battaglia ordinata : ma conti-
nue furono le scorrerie degli uni su le terre vicine degli
(i) Vi i ehi legga Ficolara per Fidrue. E verameaie più sotto si
parla della ribtIlioBe di Fideue.
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. LIBRO III. 279
altri ; > e continua le scaramucce tra cavalieri e fanti che
volteggiavano; ma per lo più colla meglio de’ Romani i
quali teneano in campo aperto appiè di castelli oppor-
tuni un armata sotto gli ordini di Tarquinio Toscano.
Ribellaronsi intanto que’ di Fidene da’ Romani , nè già'
dichiarando guerra manifesta ; ma danneggiandone a
poco a poco con occulte incursioni le campagne. Marzio'
però presentandosi loro con esercito ben fornito innanzi
che si apparecchiassero alla guerra si accampò d’appresso
alia città. Fingeano i magistrati non supere per quali
affronti i Romani fossero venuti contro di loro : e di--
chiarando il re che veniva per aver soddisfazione dei
latrocinj e danni fatti da essi nella sua terra ; si escu-
sarono che niente era stato con pubblica autorità , e
chiesero tempo per esaminare e discernere i complici
delle ingiustizie. Procrastinavano intanto , non adempie-
vano gli obblighi loro , adunando in segreto de’ sussidj ,
e travagliando all’ apparecchio delle arme.
XLI. Marzio conosciutine i disegni scavò de' cunicoli
dal suo campo fino alla città : e compiutone il lavoro
suscitò le schiere, conducendole con molte scale e mac^
chine e stromenti proprj per gli assalti, alle mura, non'
però dove riuscivano sotto queste le vie sotterranee, ma
in tutt’ altra parte. Accorsi in folla i Fidenati dove era-
r assalto, bravamente lo rispingevano, quando ì Romani
incaricatine , dato 1’ ultimo traforo ai cunicoli , sboc-
carono dentro la città; e trucidando chiunque capitava,
spalancarono le porte agli assalitori. Soccomberono nella
presa della città molti de’ Fidenati; Marzio impose agli
altri che cedessero le armi : poi fattili per la voce dei
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aSo DET.LE Antichità’ romane
banditori congregare in luogo certo , ne battè con Ter-
ghe e ne uccise alcuni pochi , autori della ribellione ; e
concedè che i soldati saccheggiassero le case di tatti.
ÀlSne lasciato quivi un presidio marciò coll’ esercito
contro de’ Sabini. Nemmeno questi eransi tenuti ai patti
conchiusi con Tulio ; ma gettandosi nelle terre de' Ro>
mani ne aveano devastato le più vicine. Marzio , cono»
sciato dagli esploratori e dai disertori il tempo acconcio
ad investirli , andò con i suoi iànti , e mentre i Sabini
spargeansi a predar le campagne prese di assalto le
loro trincierò , fornite di pochi difensori ; ordinando
intanto che Tarquiuio piombasse con la cavalleria su i
nemici che divisi rubavano. Al vedere la cavalleria ro-
mana verso loro lasciarono i Sabini la preda e quanto
seco portavano o conducevano di proficuo , e fuggirono
agli alloggiamenti. Ma non sì tosto mirarono questi hr
potere de’ fanti ; dubitarono dove rivolgersi , finché si
sparsero per le selve e per le montagne. Perseguitati
pelò da* soldati leggeri e da' cavalieri , ne scamparono
pochi, soccombendone la parte più numerosa. Spedirono
dopo ciò nuovi ambasciadori a Roma ed ottennero l’a-
micizia che voleano. Imperocché la guerra , permanente
ancora, co’ Latini rendea necessaria la tregua o la pace
con gli altri nemici.
Xl.II. Intorno al quarto anno dopo questa guerra
Marzio il re de’ Romani andò colle sue milizie e col
più che potè delle ausiliarie contro de’ Vejenti , e de-
vastò gran parte della loro campagna; imperocché questi
si erano i primi gettati nell’ anno precedente sul terri-
torio romano; e molto vi saccheggiarono, e vi uccisero.
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I.IBRO III. 281
Ben uscirono
sperità , grandi oltre il dire , su le prime si diedero in
pochi a scorrerne e derubarne le campagne : poi lusin-
gati dal guadagno misero palesemente in piede un eser-
cito ; e le desolarono. Ma non riuscì loro di portarsi
via que’ guadagni , nè di partire impuniti. Imperocché
venuto provvidamente il re de’ Romani , e posto il stio
presso al campo de’nemici, gli astrinse a fare giornata.
Sorse dunque battaglia terribile , e molti perirono da
ambe le parti : nondimeno per la sperienza , e per la
tolleranza de’ travagli , antica fra loro , prevalsero finale
mente di gran lunga i Romani , e fecero ampia ucci-
sione, seguitando immantinente i Sabini che disordinati
e disgiunti riparavansi agli alloggiamenti. Poscia inva-
dendo pur questi pieni di ogni ricchezza, e ricuperando
i prigionieri usurpati da’ Sabini quando predavano ; sen
tornarono in patria. Tali si dicono le gesta guerriere
di questo re , credute degne di ricordanza , e di stima
da’ Romani : sono poi le politiche , quelle che mi ac-
cingo a narrare.
XLIV. Primieramente aggiunse alla città non piccìola
parte rinchiudendo fra le mura 1’ Aventino. E questo
un colle alto leggermente, con perimetro di circa stadj
diciotto : r occupavano allora piante di ogni genere e
più che tutto lauri bellissimi , dond’ è che una parte di
esso chiamasi laureto da’ Romani : ora è tutto ingom-
brato di case , e tra’ molti edi6zj , il tempio sorgevi di
Diana. Dividevalo valle angusta e profonda dal colle
della città ^ chiamato Palatino , dove fu Roma nel na-
LIBRO III.
a83
«cer suo collocata : ma ne’ tempi appresso l’ intervallo
tra* due colli fu riempiuto di terra : ora vedendo che
un tal colle sarebbe un luogo forte per un* armata ne-
mica se nini si avvicinasse, lo circondò di mura e fossi,
e inisevi ad abitare le genti trasportate da Telline , da
Poiilorio , e da altre città soggiogate. Celebrasi tale
istituzione del re come utile e bella , perchè Roma ne
divenne più ampia , e meno espugnabile per quanti
nemici mai le soprastassero.
XLY. Migliore del regolamento anzidetto è 1’ altro
che la rendè più felice nel vivere, e la mise ad im-
prese più generose. Imperocché scendendo il fiume Te-
vere dai monti Appennini , passando appiè di Roma, e
scaricandosi attraverso de’ lidi del mare Tirreno , dirotti
e senza porti , rende alla città picciolo bene , e certo
non memorabile , perchè dove si scarica non evvi un
emporio il quale riceva e cambj a’ mercadanti le merci
portatevi dal mare, e giù colla corrente stessa del fiume.
Altronde essendo il Tevere navigabile fin dalle origini
con barche fluviali mezzane , e dal mare fino a Roma
co’ legni grossi da trasporto ; egli deliberò di fare ivi
un luogo da ricever le navi , servendosi della imboc-
catura come di porto ; tanto più che ivi il fiume si
spande amplissimo , e formavi gran seni appunto come
ne’ siti de’ porti migliori. E , ciò che porge più mera-
viglia , il Tevere non è traversato nella sua foce da cu-
muli di arene , come altri gran fiumi , nè dilagasi in
stagni o paludi , nè consumasi con altre maniere prima
che giintga nel mare : ma sempre navigabile si scarica
per una sola bocca naturale, separando a forza le acque
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284 DKLLE Antichità’ romane
marine , quantun(]ue ivi spiri un vento occidentaie
grande e malagevole. Adunque le navi lunghe per
quanto grandi, e quelle da carico, capaci ancora di tre
mila misure , si avanzano per la bocca del medesimo
e giungono a Roma , sospintevi con remi e funi : ma
le navi maggiori fermate colle ancore presso la imboc-
catura si vuotano su barche fluviali, che succedono ai
trasporU. Tra lo spazio cui cingono il mare ed il Gume
con forma di cubito , il re fece erigere una città chia-
mandola Ostia , o come noi diremmo , porta dall’ uso
che presta , rendendo con ciò Roma mediterranea e
marittima , talché godesse i beni ancora d’ oltremare.
XLYI. Inoltre cinse dì muro il Gianicolo che è un
colle alto di là dal Tevere , e posevi guarnigione che
bastasse per difendere chi navigava in sul Game ; im-
perocché li Tirreni tenendo lutto il tratto di là dal
Gume infestavano e derubavano i mercadanti. E dicesi
che egli soprapponesse al Tevere il ponte Sublicìo , il
quale dee per legge esser tutto di legno , senza rame
nè ferro , ed il quale , perchè sacro lo estimano , con-
servasi ancora. E se parte alcuna ne pericola, i ponteGci
la curano , compiendo insieme patrj sagriGzj mentre
riparasi. Operate nel suo principato tali cose degne di
storia. Marzio dopo un regno di ventiquattro anni moti,
lasciando Roma non poco migliore di quello che aves-
sela ricevuta , e lasciando due Ggli 1’ uno fanciullo an-
cora, r altro di più anni, e già nubile.
XLVII. Dopo la morte di Marzio , il popolo rimise
al Senato la scelta del governo che più bramava ; ed il
Senato Gssò di litenerne la forma consueta. Adunque
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LIBRO III. a85
furono gl’ interré dichiarati ; e questi riunirono pe’ coi^
mizj la moltitudine , e scelsero Lucio Tarquiuìo per
monarca (i). E confermando i segni divinf la elezióne
della moltitudine ; egli assunse il regno nella olim-
piade nella quale Cleonida tebano vinse nello sta-
dio, mentre era arconte in Atene il figliuolo di Enioco.
Ora , secondo che io ne trovo negli scritti di que’ luo-
ghi, dirò di quali parenti, e di qual patria fosse questo
Tarquinio , per quali cagioni venisse in Roma , e per
quali arti giugnesse al comando. Un tale di Corinto ,
( Demarato ne era il nome ) della stirpe de’ Bacchiadi ,
risolutosi di commerciare navigò per la Italia con nave
propria e proprie merci. Vendutele nelle città tirrene
allora le più prosperose d’ Italia , e fattovi assai guada-
gno , non volle più rigirarsi per altri porti ; ma tenne
continuamente lo stesso mare , portando le greche cose
ai Tirreni , e le tirrene ai Greci ; donde ricchissimo né
divenne. Nata però sedizione in Corinto , e postasi la
tirannide di Cipselo attorno de’ Bacchiadi , egli ricco
uomo , e del grado degli ottimati , più non credendo
sicuri col tiranno i suoi 'giorni , raccolse quanto potea
di sue robe , e fece vela per sempre da Corinto. E
perchè stante il commercio continuato egli aveva amici
molti Tirreni, anche riguardevoli; specialmente in Tar>
quinia , città, grande allora e felice, quivi si domiciliò,'
prendendovi una nobile donna per moglie. Da questa
nacquero a lui due figli, chiamandone con tirreni nomi
Aronle 1’ uno , e 1’ alu'O Lucumone. Diè loro greca é
(i) Anni di Roma l3S secondo Catone, i^o secondo Varrone, e
6i4 acanti Cristo.
1
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a86 DELLE A?)TICHITA’ romane
tirreoa istituzione, e adulti fatti , li cougìaute per ma-
trimonio colle più insigni famiglie.
XLVIIL Mori non molto dopo il primogenito suo, non
avendosi ancora di lui prole distinta (i). Da indi a po-
chi giorni si mori per l’ ambascia Demaralo ancb’ esso
destinando erede di ogni sua cosa Lucumone il Aglio
superstite. Investito questi de’ beni paterni , che erano
assai grandi, desiderò di essere nom pubblico, di ma-
neggiare il comune, e Ggurare co’ primi della città. Ma
respinto in ogni parte da’ paesani , e non aggregato non
dico a’ primarj ma nemmen co’ mediocri , mai sopportò
quel dispregio. E sentendo come Roma accogliea con
beneplacito i forestieri , e facevali cittadini , e gli onorava
secondo i lor gradi ; risolvette di trasferirvisi. E raccolte
per ogni modo le cose sue menò seco moglie, amici ,
e domestici quanti ne vollero ; e molti vollero con lui
trasmigrarsi. Giunto al colle chiamato Gìanicolo , che è
quello donde Roma presentasi in prima a chi .vien di
Toscana , un aquila calatasi di repente , gli ghermisce il
pileo che tieu sul capo , e sollevatasi , roteandosi a volo,
si occolu al Aae nell’ allo delK aere : poi d’ improvviso
rimise in capo a Lucumone il suo pileo come eravi
quando sei portava. Riuscì tal segno inaspettato e me-
raviglioso a tutti: e Tanaqaila (che tale ne era il nome)
la' moglie di Lucumone , sperimentata assai nell’ arte pa-
tema degli auguri > menatolo in disparte . lo abbracciò
colmandolo di belle speranze , come se dalla condizione
de’ privati a quella gingnerebbe dei re. Desse dunque
(i) Latoiò la moglie graeiJa : e da essa aacrjua poscia Arunlc
dopo la morie di Demaralo. Vedi § 5o.
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LIBRO III.
387
opera , moitranJosene degno , di ricererc il comando dai
Romani spontaneamente.
XLIX. Lieto Lucumone de’ successi , ornai presso
alle porte , supplicò gl’ Iddi! che verificassero gli augurj ;
supplicò che gli dessero un* ingresso felice , e si mise
dentro la città. Quindi venuto a colloquio con Marzio
il regnante indicò primieramente chi egli fosse, poi co>
ni’ egli era deliberato domiciliarsi in Roma ; che avea
perciò portate seco le paterne sostanze, delle quali pos*
sedendone piucché un privato , esibivale fin d’ allora in
servigio de' Romani e del re. Lo accoke questi di buon
grado , ascrivendo lui co’ Tirreni compagni in una curia
e tribò. Cosi fabbricò Lucumone in città la sua casa ,
avutone in sorte il sito che bastasse , e ricevutane pure'
una parte di campagna. Ciò fatto , e divenuto del nu->
mero de’ cittadini , osservando come ogni Romano ha un
nome comune , ed inoltre uno patronimico e gentilizio ,
e volendo in ciò conformarsi , assunse , per suo nome
comune quello di Lucio in luogo di Lucumone , e pel
gentilizio quello di Tarquinio dalla città dove ebbe i
natali e la educazione. In breve divenne 1’ amico del
sovrano , donandogli ciocché si avvedea che più gli
bisognava , e porgendogli danari , quanti ne erano di
mestieri per la guerra. Combattitore benissimo a piede
e a cavallo contavasi per sapientissimo quante volte bi«
sognassero opportuni consigli. Nè già col divenire caro
al monarca aveasi perduto la benevolenza de’ Romani ,
ma si vincolò molti de’ patrizj co’ beneficj , e tentò di
affezionarsi la plebe col chiamarla , e salutarla , e con-
versarla piacevolmente , e col porgerle danari ed altre
significazioni di amore.
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a88 DEtLE Antichità’ roma:he
L. Tale era Tarqulnio , e per tali cagioni vivendo
Marzio divenne il più cospicuo de’ Romani ; e morendo
questo fu da tutti proclamato degno del trono. Salitovi
fece guerra in principio con gli Apiolani , popolo non
ignobile del Lazio. Imperocché gli Apiolani, come tatti
del Lazio , credendosi colla mone di Marzio sciolti dai
trattati di concordia devastavano le campagne romane
pasturandovi , e saccheggiandovi. Di che volendo Tar-
quinio farli pentiti usci con grande armata , e disfece
quanto era il meglio del territorio di quelli. Ben so-
pravvenne gran soccorso per gli Apiolani da’ popoli vi-
cini del Lazio : ma egli attaccò due volte battaglia con
essi , e vintala due volte , si ristrinse all’ assedio della
città, spingendovi a mano a mano delle schiere 6n alle
mura. In opposito dovendo quelli della città combattere
pochi di numero e senza intermissione contro i molti e
freschi , soccomberono alfine. Presa la città di forza , i
più degli Apiolani morirono con le arme in pugno : e
se taluni le cederono , furono venduti colle altre prede.
Furono le donne e i fanciulli condotti schiavi da’ Ro-
mani : fu la città lasciata al saccheggio , e dopo il sac-
cheggio alle fiamme. Il re dopo' questo , e dopo rove-
sciate le mura da’fondamenti ricondusse in casa le milizie;
rivolgendole poi contro la città de'Crustumerini: colonia
anch’ essa de* Latini , la quale erasi ceduta a’Romani nel
tempo di Romolo : ma cominciava di nuovo a tenersela
co’ Latini , dacché Tarquinio prese il comando. Nè già
bisognarono a questo assedj e travagli per umiliarsela.
Imperocché li Crustumerini vedendo la moltitudine ve-
nuta contro loro, la debolezza propria, e la niuna aita
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LIBRO III.
389
de’ Latini verso di essi , aprirono le porte ; ed uscitine
i più anziani e più riveriti consegnarono a lui la citld ,
supplicandolo che usa^e moderazione e clemenza. Ben
fu l’ evento propizio ai desiderj: perciocché andato quel
inotutrca in città non vi uccise ninno, ma banditine per
sempre alcuni pociù , amatori della ribellione , concedè
che gli altri ritenessero i beni loro , e partecipassero
come) prima alla cittadinanza romana. Ma perchè più
non si rimovessero , lasciò de’ Romani con essi.
LI. Egual sorte incontrarono i Nomentani datisi a
pari consigli. Imperocché spedendo bande di ladroni
ne’ campi de’ Romani si costituirono aperti loro nemici ;
coutidaudu nella confederazione de’Latini. Ma giuguendo
Tarquinio su loro, e tardando il soccorso latino, e non
b.isiando essi contro tanti nemici, uscirono 'di città coi
simboli di pace, e si renderono. Gli abitanti di Collazia
111 archi narono far battaglia co’Romani ed emersero dalle
mura di essa : ma superati in tutti gli attacchi e molto
danneggiatine ; furono costi-etti rifuggirsi tra le mura ,
e spedirono alle città de’ Latini per chiederne truppe
compagne. Ma indugiandosi questi, e presentando i ne terre, ninno resistendovi, e messo il campo
dinanzi la città , ne invitava gli abitanti a far pace. Ma
ricusando questi , e confidando su le fortibcaziooi dei
ricinti , e concependo che -verrebbero per loro schiere
confederate d’ogn’ intorno, il re ne circondò con truppe
le mura , e le assalì. Resisterono lungo tempo i Corni-
colani combattendo virilmente , e coprendo di ferite gli
assalitori , ma stanchi pei dalla continuità de’ travagli ,
e piò stanchi eziandio dalla discordia, perchè non erano
più unanimi fra loro volendo altri la resa , ed altri la
difesa della città Gno agli estremi ; furono alGne espu-
gnati. Li più generosi di loro perirono fra le arme nella
presa della città : gli altri , salvatisi come ignobili , fu-
rono venduti schiavi insieme co' fanciulli, e colle donne,
la città fu prima abbandonata al saccheggio , e quindi
alle Gamme. Dicchè malcontenti i Latini deliberarono
con voto comune di uscire io campo contro a’ Romani:
e fatto grande apparecchio di forze , si gettarono su le
terre più buone di essi , e v’ invasero assai prigionieri,
e vi divennero signori di amplissime prede. Volò Tar>
quinio contr essi coll’ esercito spedito e pronto : nè po*
tendo raggiungerli , portò su le terre loro simili cala-
mità. Cosi per le vicendevoli incursioni ne’ campi vicini.
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LIBRO III. 2()r
molle lerano le perdite e gli acquisti di ambedue. Ven-
nesi con tutte le forze a battaglia ordinata presso Fi^
deoc; e molti ne perirono da ambe le parti; ma vin-
cendo inCne i Romani , costrinsero i Latini a lasciare
il campo , e fuggirsene tra la notte alle loro città.
LH. Dopo quel comlntti mento marciò Tarquinio colle
milizie schierate alle città de’ Latini esibendo ad essi la
pace. E queste non avendo né riunite le forze' comuni,
nè ben confidando su’ proprj apparècchj , accettarono
batteano questi nell’ ala destra ed aveano già fugato gli
emuli che eran con essi alle mani , ma l’ inaspettato
presentarsi di lui li sorprese e sconvolse. Intanto la
fanteria romana riavutasi dalla paura piombò su’ nemici.
Allora grande fu la strage de’ Tirreni, e piena la rotta
dell’ala destra. Tarquinio dato avviso ai duci della fau>
teria di tenergli appresso in buon ordine, e passo passo,
spinse di tutta lena i cavalli in su gli alloggiamenti ne*
mici; e gl’ invase a prìm’ impeto, prevenendo quelli che
vi si riparavano dalla fuga. Imperocché quelli che ne
erano in guardia non avendo prima saputa la sciagura
che invalse su i loro , né potuto distinguere per la ra-
pidità del corso quali cavalli venivano , lasciarono che
entrassero. Invasi gli alloggiamenti de’ Latini , quelli che
dalla fuga vi accorrevano come ad asilo , vi erano sor-
presi ed uccisi da’ cavalieri che lo aveano preoccupato :
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394 DELLE Antichità’ bomane
e se altri si fossero affrettati di là verso il piano s’ im-
battevano' colla fanteria romana , e ne perivano : li più
di loro spintisi e concnlcatisi a vicenda soccomberono
con ignobile e miserabile fino intra i valli , e li fossi.
Dond’ è che quanti vi sopravanzavano non avendo via
ninna di salvezza erano costretti di rendersi ai vincitori.
Tarquinio impadronitosi di persone , e robe in copia
vendè le prime , e concedè le seconde in premio ai
soldati.
LV. F allo ciò si diresse alla città de’ Latini onde
prendere combattendo quelle che a lui non si davano :
non però vi fu bisogno di assalti : ma si rivolsero tutte
alle umiliazioni ed alle preghiere ; e mandando oratori
a nome del comune supplicarono che desse fine alla
gtierra co’ patti che gli piacevano , e si renderono. 11
re divenutoi cosi l’arbitro delle città fu moderatissimo
e mitissimo verso di tutte : perocché non uccise , non
bandì , nè multò niuno de’ Latini. Lasciò che godessero
-le terre loro , e conservassero le leggi delia patria : ma
comandò che rendessero ai Romani i disertori ed i pri-
gionieri senza prezzo ninno: che restituissero ai padroni
i servi, quanti presi ne aveano nel fare le prede , agli
agricoltori il danaro quanto ne aveano derubato ; e
compensassero tutti gli altri danni o guasti , se causati
ne aveano nelle scorrerie. Fatto ciò dichiarò che sareb--
bero gli amici e li confederati de' Romani se pronti
sarebbero in tutto ai loro comandi. A tal fine venne
la guerra de’ Romani co’ Latini ; e cosi Tarquinio vinse
e trionfò.
LVl. L’ anno appresso prendendo 1’ esercito , lo con-
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LIBRO III. 3^5
dusse contro i Sabini , avvedatisi già molto innanzi dei
disegni e de’ preparamenti suoi contro di loro. Non
aspettarono questi che la guerra passasse in sul proprio
territorio ; ma premunitisi di forze sufilcienti si avanza-
rono tutti ad un luogo. Fattasi ne’ confini battaglia fino
a sera non vinsero né gli uni uè gli altri , anzi molto
ne furono afiaticati. Quindi ne’ giorni appresso nè il
duce Sabino nè il re dei Romani cavarono le milizie
dagli accampamenti: ma via via trasmutandoli , senza
danneggiare le terre , si ricondussero in casa ; ambedue
coi disegno di piombare nella primavera con armata
più grande 1’ uno nel territorio dell’ altro. Poiché furono
ambedue preparali , primi si mossero i Sabini fiancheg-
giati da sussidio sufficiente di Tirreni , e collocarousi
presso Fidene, dove l’ Aniene concorre col Tevere.
Fecero questi due campi, l’uno dirimpetto, e come in
continuazione dell’altro; avendoci tra tutti due 1’ alveo
delle correnti riunite , e sull’ alveo un ponte di legno
congegnato di picciole barche , il quale rendea spedito
il transito dall’ uno all’ altro campo , anzi rendeali di
due uno solo. Tarquinio uditane la irruzione aach’ egli
cavò le sue genti , e si trincerò presso 1’ Aniene , al-
quanto più sopra di loro in una munita collina. Erano
venuti ambedue con tutto l’ardore a tal guerra ^ por
non vi ebbe ninna battaglia ordinata , non grande nè
picciola. Imperocché Tarquinio con iscaltrezza di capi-
tano prevenne ed isconciò tutte le opere de’ Sabini , e
ne distrusse l’ uno e l’ altro campo. Lo stratagemma fa
questo.
LVII. Preparate e riempiute piociole barche fluviali
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àg6 DELLE Antichità’ romane
di legna aride e di zolfo e di |>cce *ul fiame presso al
quale esso accampava , e poi colto uii vento propizio ,
ordinò che nella vigilia mattuliiia si desse fuoco a qnei
combustibili e si lasciassero le navi a seconda della Cor-
rente. Queste scorrendo iu breve tempo la distanza in-
termedia percossero il ponte, e vi comunicarono ' in
più luoghi r incendio. Accorsi per ajuto i Sabini a
tanta fiamma improvvisa , e datisi a far tutto , quanto
giovasse ad estinguerla , ecco intanto gingnere su l’alba
Tarquinio coU’eseixito in ordinanza; ed investire l’nno
de’ campi , deserto di guardie, andate in gran parte
contro del fuoco. Pochi dunque sorsero a resistervi ;
talché senza fatica gl’ invase. Mei tempo di tale opera-
zione altre milizie romane sopravvenendo espugnarono
anche il campo Sabino posto di là dal fiume: premesse
da Tarquinio nella prima vigilia erano su piccioli na-
vigli valicate da sponda a spanda , laddove fattosi di
due fiumi uno solo, rimarrebbero invisibili nel passaggio.
Appena poi videro il ponte iu fiamme piombarono
( che tale ne era l’ accordo ) in sul campo dei Sabini :
ove quanti ne erano o combattendo caddero appiè dei
Romani, o gittatisi a nuoto nella 'confluenza de’ fiumi
nè resistendone all’ impeto , si affondaron tra’ vortici :
peri nou picciola .parte ancora per liberarne il ponte ,
tra le fiamme. Tarquinio, preso l’uno, e l’altro cam-
po , diede a’ soldati . le robe che vi erano percltè se le
compartissero , ma ' condusse in Roma e guardò ’ con
molta diligenza li prigionieri ; ben molti in tutto, Sabini
e Tirreni.
LYIII. Sentirono a tale sciagura i Sabini la propria
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LIBRO III. . 397
debolezza , e mandando gli ambasciadorì concbiusero,
00 ’ Romani una tregua di sei anni. I Tirreni mal sop-,
porundo che fossero tante volte vinti , e che Tarquinio
j»er quante istanze ne facevano, non s rendesse i loro
prigionieri , anzi li ritenesse come ostaggi ; decretarono
di spingere tulle generalmente le città Tirrene in guerra
contro de’ Romani e di non più riguardarla come al-
leata , se taluna se ne ricusava. Cosi deliberati cavarono
in campo le milizie , e tragittato il Tevere si trincie-
rarono presso Fidene. E prima s’ impadronirono di
questa con frodoienza , per esservi sedizione tra’ citta-
dini: poi fatti prigionieri in buon numero, e condottesi
via via gran prede dal territorio romano ^ tornarono in
patria. Fidene sembrava loro una piazza bonissima d'ar*
me in tal guerra; e vi lasciarono guernigioue quanta
ne bastasse. Ma Tarquinio mettendo per la stagione se-
guente in arme tutti i Romani , e congregando il più
che poteva di alleali marciò sui giugnere della prima-
vera contro i nemici prima che riunitisi dalle varie città
venissero su lui come 1’ anno d’ innanzi. Dividendo in
due parti tu'.ia 1’ armata , egli stesso ne andò colla mi-
lizia romana contro le città de’ Tirreni : e fidate le
truppe ausiliarie , per lo più latine , ad Egerio il suo
consanguineo , gl’ ingiunse di marciare conU'O Fidene.
E queste piene di disprezzo per l’ inimico , accampatesi
in luogo non ben sicuro presso delia città ; non fiirono
per poco tutte disfatte. Imperocché le guardie di Fideue
procuratosi un rinforzo occulto dai Tirreni , e spiatone
il tempo opportuno , fecero una sortita ed invasero il
campo nemico non bene difeso , e grande fu la strage
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apS DELLE antichità’ ROMANE
di qaein che erano usciti per foragghtre. la opposito la
milizia romana sotto gli ordini di Tarquinio , mano-
metteva e depredava le terre di Vejo , e traevane molti
vantaggi. Ben si riunirono poi grandi snssidj da tutte
le cittA de'Tirreni in sostegno di Vejo : ma Tarqnioio
diede ad essi battaglia, restandone non dnbbiamente
vincitore. Poi scorrendo a bell’ agio il paese nemico lo
devastò : Cnalmente lattivi molti prigionieri , e presevi
assai cose come in terre felici , essendo ornai per finire
la state , si ricondusse in casa.
LIX. Straziati i Vejenti da quella battaglia non usci-
vano più di città , ma dentro vi si teneano , mirando
intanto sterminarsi le loro campagne : Perocché Tarquinio
uscito per la terza volta , privavali per il terzo anno dei
prodotti delle loro campagne , desolandole in gran parte :
e non avendo poi come più danneggiarli condusse 1’ eser-
cito alla città di Cere, sigilla chiamavasi la città quando
i Pelasghi ne erano gli abitanti , ma soggiacendo poscia
ai Tirreni fu Cere nominata. Era questa felice e popolata
quanto altra mai fra’ Tirreni. Quindi ne uscì valido esercito
a combattere per le proprie campagne , e molti vi straziò
de’ nemici ; ma perdendovi più ancora de' suoi , rifug-
gissene alla città- Rimasti i Romani padroni di una terra
la quale somministrava tutto in abbondanza vi si trattenero
molti giorni ; finché venuto il tempo di ritirarsene me-
narono con sé quanta preda potevano , e si ridussero in
casa. Riuscitegli come desiderava le operazioni su Vejo ,
Tarquinio ricavò l’esercito contro i nemici di Fidene
per cacciameli , con ansia di punire quei che aveano la
ci ttà consegnata a’ Tirreni. Vi fu batttaglia tra’Romani
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LÌBRO III. 299
tf tra le ihilizie ascile da Fidene , e' poi darò contrasto
nell’ assalto delle 'mura. Fu la città pigliata di forza, e
tatti li prigionieri Tirreni legati e custoditi. Dei Fidenaii
giudicati autori della rivolta quale ne fu battuto pub-
blieatnente e poi decapitato , e quale bandito per sem-
pre. I Romani lasciativi per abitatori e custodi della città
misero a sorte e se ne appropriarono i beui.
■ LX. Occorse l’ ultima battaglia fra Romani e Tir-
rani' presso di Ereto nella Sabina. Imperocché lì Tirreni
erano venuti attraverso di questa incontro al Romano
persuasi dai potenti di que' luoghi che i Sabini militereb-
bero insieme con essi. E certamente già era spirata la
tregua sessennale conchiusa da questi con Tarquinio , e
molti ardevano dal desiderio di emendare le antiche dis-
fatte, essendo già cresciuta nelle città gioventù numerosa.
Non pelò succedette ciò come ideavano : perchè ben to-
sto si presentò l’esercito Romano, nè potè farsi che ab
cuna delle città mandasse un soccorso ai Tirreni ; e solo
vi si congiunsero alquanti volontari , e pochi reclutali a
gran soldo. Fu questa guerra la più grande di quante
ne sorsero infra loro ; ed i Romani ne crebbero mera-
vigliosamente , riportandovi una segnalata vittoria , ed il
Senato ed il popolo decretarono a Tarquinio il trionfo,
lu opposito lo spirito ue decadde ne’ Tirreni ; perchè
avendo spedito da ogni loro città tutte le milizie , non
riebbero salvi, se non pochi di tanti; gii altri o perirono
tra la battaglia , o fuggiti in luoghi non idonei per Io
scampo , si arresero. Colpiti da tanta sciagura i primarj
delle città la fecero da savj ; perchè prendendo Tarquinio
una nuova spedizione su loro , essi riunitisi a consiglio
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3oo DELLE Antichità' romane
deliberarono trattare della pace ; e mandarono da ogni
città plenipotensiarj anziani e riipettabili per conciliti-
derla (i).
LXI. Teneano questi al re che gli udiva ragionamenti,
induttivi a misericordia e moderazione , e ricordavano il
parentado di lui colla lor gente; quando Tarquinio disse
che volea sapere unicamente , se disputavano ancora
intorno ai diritti e venivano per fare la pace con certe
riserve ; o se confessavausi vinti , e rendevano a lui le
proprie città. E rispondendo questi che le rendevano , e
che desideravano la pace comunque loro si concedesse ,
egli dilettatone disse : ascoltale con quali condizioni
sono per dare la pace , e quali benefizj vi dispenso
con essa. Non io rn ho già nelt animo di uccidere ,
o bandire , o multare alcuno de' Tirreni. Lascio Ifs
vostre città senza guarnigioni , senza tributi : lascio
che vivano arbilre di sè stesse , e colla forma primi-
Uva di governo. Ma per tante cose che io concedo a
voi giudico che questa sola da voi mi si dia , cioè
che io m'abbia la direzione suprema che pur ni avrei
delle vostre città quand anche voi noi voleste , finché
io sono il vincitore. Piacemi aver questo da voi sporta
taneamerUe anziché di mai animo. Andate, riferitene
alle vostre città, lo vi prometto sospendere le armi ,
finché torniate.
LXII. Ricevute queste risposte andarono di volo gli
ambasciadori; e dopo pochi giorni ritornarono portando
non già parole nude, ma i fregi stessi del comando coi
(i) Anni di Roma i 65 «ecoado Caioae, 177 secondo Varrone ,
587 avanli Cristo.
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LIBRO III. ' 3oi
qnali adornano i proprj monarchi , la areano seguali di giogo e di esecrasione. Ma
se acquistano in guerra una vittoria ; se il irj di ogni città : e prima che 1’ armata de’ Romani
venisse nelle terre loro , essi menarono la propria nelle
campagne di quelli. Come il re Tarquinio udì che t
Sabiui aveano passato 1’ Aniene e che devastavano per
tutto intorno de’ loro accampamenti , prese : i giovani
ro nani più spediti e piombò di tutta fretta su’ nemici
sparsi a predare. Ed uccisine molli , e ritolta loro la
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LIBRO III. 3o3
preda che si recavano , mise il campo suo presso del
loro. Passati cosi pochi giorni , finché gli era di città
venuto il resto delle milizie, e le truppe ausiliarie dagli
alleali , presentò la battaglia.
LXV. Vedendo i Sabini i Romani venuti con ardore
per combattere, cavarono la propria armata ancor essi,
non inferiori nè di numero , nè di valore. Investitisi
combatterono con tntto 1’ aadire fin eh’ ebbero a fare coi
soli schierati di fronte : ma poi fatti accorti che mar-
ciava loro alle spalle un altro esercito ordinato e ben
fornito; abbandonarono le bandiere e dieronsi alla fuga.
Era di Romani 1’ esercito che apparve alle spalle , fanti
lutti e cavalieri scelti , disposti insidiosamente da Tar-
quinio tra la notte in luoghi opportuni. Spaventali i
Sabini da questi nomini inaspettati che li raggiungevano
non fecero più ninna bella azione ; ma quasi colti dagli
inganni de’ nemici , ornai sotto il nembo di danno irre-
parabile , tentarono chi d’ una e chi d’ altra via salvare
sè stessi. Allora appunto però soggiacquero a strage
grandissima inseguiti e rinchiusi d’ ogn intorno dalla
cavalleria de’ Romani ; tanto che pochi in lutto si ri-
pararono nelle città vicine : gli altri , quanti non cad-
dero combattendo , rimasero prigionieri. Imperocché que«
gli lasciati negli alloggiamenti nè ardivano respingere
r assalto de’ nemici , nè uscire in battaglia : ma cosier-
pati dal male impensato renderono senza combattere sè
stessi e quel posto. Le città de’ Sabini vinte come dai
stratagemmi e dagl’ inganni non dalia virtù dei nemici ,
si accinsero a mandare ben tosto milizie più copiose , e
capitano piu sperimentato, Tarqajuio vedendo il loro
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3o4 DELLE Antichità’ romane
dise^o , guidò soliecitameotc l’ esercito , e passò 1’ A-
nieue prima che quelli si potessero tutti riuuire. A tal
nuova il duce Saltino andò prestissimo quanto polea
colla nuova armata e mise il suo presso al campo ro-
mano su di un colle erto e dirotto : non giudicava però
ben fatto dar battaglia se prima a lui non giungevano
le altre milizie de’ Sabini. Solamente spedendo • delle
bande de’ cavalieri , e postando delle coorti nelle balze
e nelle selve contro quelli che uscivano a foraggiare ,
impedì che i Romani infestassero colle scorrerìe la
campagna.
LXV. Per tal sua condotta di guerra molte erano le
scaramucce, ma di pochi fanti e cavalli , e niuna la
battaglia universale. Adunque temporeggiandosi , e sde-
gnandosi Tarquinio dell’ indugio , risolvè di andare col-
r esercito alle trinciere de’ nemici , e più volte ne fece
l’assalto: ma vedendo che non era farìle espugnarli per
la fortezza del luogo , destinò di abbatterli colla penu-
ria. E stabilendo delle guardie su tutte le vie che me-
navano’ al colle , nè permettendo che i nemici andassero
a far legna , e recassero foraggi pe’ cavalli , o prendes-
sero altro che facea di mestieri dalla regione; li ridusse
a gravi disagi. Tanto che furono costretti , cogliendo uoa
notte burrascosa per vento e pioggia, lasciare vergogno*
samenle quel luogo; abbandonandovi giumenti e tende,
e feriti , ed ogni apparecchio militare. I Romani cono*;
seiutane al nuovo giorno la partenza , e lattisi padroni
del campo senza contbattete vi predarono tende, e giu-
menti ed ogni cosa , e conducendosi i prigionieri si rav-
viarono a Roma. Continuò questa guerra cinque anai ,
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LIBRO III. 3o5
c gli uni (levasUnJo le campagne degli altri; .diedero
via via delle battaglie piu o men grandi , vinte di raro
da’ Sabini , e spessissimo da’ Romani : i ma nell’ ultimo
cimento ebbe interamente il suo termine. Imperocché
li Sabini non già di aumo in mano come dianzi ma
quanti per la età ' lo poteano , erano tutti in uh tempo
stesso marciati alla, guerra. In opposito i Romani tutti,
raccolte le forze aosiliarìe latine , tirrene , ed in genere
degli alleati erano venuti a fronlè del nemico. 11 duce
Sabino dividendo le milizie ne avea fatto due campi :
aveale il re dei Romani compartite in tre corpi in tre
campi non molto lontani fra loro , ed egli comandava
i Romani; dato ad Aruntc figliuolo del suo fratello il
governo de’ Tirreni , e quel de’ Latini e degli altri ad
un valentuomo per consiglio e per arme , ma forestiero
e privo della patria. Servio era il nome di lui, e Tullio
quello della sua stirpe : e fu quegli appunto cui dopo
Tarquinio , morto senza prole virile , i Romani inalza-
rono ai trono per amore del suo ben lare tra le arme
e nell’ uso della repubblica. Io sporrò ma nel suo luogo
la prosapia , la educazione , le avventure di quest’ uo-
mo , c come gl’ Iddii per lui si manifestassero.
LXYII. Allora dunque , poiché gli uni e gli altri vi *
furono apparecchiati , diedero la battaglia. Avevano i
Romani l' ala sinistra , i Tirreni la destra standosi i
Latini schierati nel centro. Durò vivissima tutto il giorno
la battaglia finché viuserla di gran lunga i Romani.
Uccisero molti de’ nemici segnalatisi nell’azione; e più
ancora ne presero prigionieri tra la fuga. Espugnatone
INTONICI y t *»n> T, >0
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3o6 DELLE Antichità’ bomane
l’uao e r altro accampamento ne ammassarono ricchezze
in copia , e signoreggiarono senza timore Hitla la cam-
pagna: e messala a ferro e fuoco, e distruttivi gli al-
loggiamenti sen tornarono a casa ornai tramontando la
estate. Tarquinio a questa vittoria trionfò per la terza
volta nel suo principato. E preparando nelf anno se-
guente r esercito nuovamente per condurlo contro le.
città de’ Sabini , non più concepirono questi nulla di
magnanimò e di grande , ma deliberaronsi tutti per la
pace prima di mettere a pericolo sè stessi dei giogo, e
le patrie della rovina. Pertanto vennero da ogni città
li Sabini principali a Tarquinio uscito con tutta 1' ar-
mata , e cederongli le terre loro supplicandolo di miti
condizioni : e colui propensissimo ricevendo , perchè senza
pericolo , il sottomettersi di quella gente , fe’ tregua e
pace ed amicizia co’ modi appunto co’ quali aveala in-
nanzi fatta co’ Tirreni, e rendè loro pur senza prezzo
li prigionieri (i).
LXVIII. Tali sono le imprese militari di Tarquinio:
le urbane e pacifiche son come sieguono; che già non
voglio passarle senza ricordo. Giunto appena ai comando
desiderando , come aveano fatto i re predecessori , di
conciliarsi la plebe , se la conciliò con questa benefi-
cenza. Scelti fra tutto il popolo cento nomini a’ quali
il pubblico grido accordava virtù guerriere , o civil sa-
pienza , li nominò patrizj aggregandoli a’ senatori : i
quali essendo fin’ allora dugento ampliaronsi al numero
di trecento fra’ Romani. Poi , quattro essendo le vergini
(i) Ad. di Boom 171 secoudo Catone, 173 secondo Varronc, e.
58 i avanti Cristo.
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LIBRO III. 3o7
custodi del fuoco inestinguibile egli ve ne sopraggiunse
altre due: imperocché cresciuti i pubblici sagrifizj ai
quali doveano intervenire le vergini Vestali ; non parve
che quattro più ne bastassero. Seguirono la istituzion di
Tarquinio ancor gli altri principi , e sei pur ne’ miei
tempi si additano le vergini ministre di Vesta. Ed egli
sembra il primo, che guidato dalla ragione, o forse;
dalle insinuazioni de’ sogni come pensano alcuni , ideò
li castighi co’ quali i sacerdoti puniscono quelle che la
verginità non conservano : e gl’interpreti delle sante coso
dicono che que’ castighi si rinvennero dopo la morte di
lui ne’ libri delle Sibille. Certo ne’ giorni suoi fu ravvi-
sato che Pinaria Vergine , la figliuola di Pubblio , an-
(lavasi con membra non pure ai sacri ministeri. Ho poi
già dichiaralo nel libro innanzi qual sia di tali castighi
la forma. Egli abbellì circondando di officine di arte-
fici , c di altri apparecchi il Foro ove si arringa e si
giudica , e compionsi altre pubbliche cose : egli il primo
deliberò di costruire con gran pietre lavorate a misura
i muri della città, già vili e grossolani: ed egli prese
a cavar la cloaca o canali sotterranei pe’ quali tutto ,
quanto scola dalle strade , vasseiie a scaricare nel Te-
vere : meraviglioso è questo edifizio , e maggior di ogni
dire. Io tengo in Roma per tre magnificentissime cose,
c donde la potenza rilevisi dell’ impero ; gli acquedotti,
i lastricati delle strade , e le cloache ; non già che io
ne rifletta la utilità della quale dirò ne’suoi luoghi, ma
si bene 1’ amplissima spesa. E ben può questa argomen-
tarla taluno da un fatto solo del quale io nc fo mal-
levadore Cajo Aquilio. Scrive costui che non più scor-
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3o8 DKIXE anticfiita’ romane
rendo , perchè negligentale , le cloache , i censori le
diedero a spurgare e racconciarle per mille talenti.
LXIX. F e pur Tarquiuio il circo massimo tra ’l colle
Aventino e tra’l Palatino costruendovi il primo intorno
intorno sedili coperti. Certamente il popolo per addietro
starasi in piede agli spettacoli in cima a’ palchi , fon-
dati su cavalletti di legno. Compartì similmente il luogo
in trenta spazj assegnandone uno per ogni curia , per^
chè ciascuna sedesse e mirasse dal posto che le si do-
veva. Anche questo edifìzio sarebbe col volger degli
anni numerato tra le meraviglie bellissime della città.
Perocché stcndesi il circo per lungo tre stadj e mezzo ,
spandendosi quattro jugeri per largo. Cinge i due lati
maggiori ed uno de’ minori una fossa profonda e larga
dieci piedi per raccogliere le acque , e dopo la fossa i
portici sorgono con tre piani. I portici terreni han di
pietra e poco elevati i sedili come ne’ teatri ; ma di le-
gno sono ne’ portici più alti. Concorrono i due lati
maggiori ad un tutto e congiungonsi fra di loro per
via del minore che formato in guisa di luna li termina:
cosicché risulta da tre ordini un sol porticato amGtea-
trale di otto stadj capace di cento cinquantamila persone.
L’altro de’ lati minori che restasi aperto contiene !e
mosse donde i cavalli si rilasciano, spalancandosi tutte
in un tempo , ad un suono. • F uori dell’ amfìteatro evvi
pure altro portico ma di un piano solo, il quale in sè
contiene le òfTGcine c sopra le officine le abitazioni. In
ognuna delle officine sonovi 'ingressi e scale per chi
viene agli spettacoli ; e con ciò' nOri siegue confusione
tra tante migliaja che vanno e tornano.
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LIBRO IH. V . 3o9
LXX. Si accluse il re similineatc a iàbbricare il
tempio di Giove , di Glaaoue, di Minerva per adem>
plere il voto da lui fatto a quegl’ Iddìi nell’ ultima guerra
co’ Sabini. Ma siccome il colle destinato per la santa
magione abbisognava di radili travagli , perché non era
questo agevole da salirlo nè eguale , ma scosceso e tutto
' acuto in su la cima; eg^i ponendo intorno intorno altri
ripari, e tra’ ripari e la cima assai terra lo rendè piana
ed acconcio! pel tempio. Non però s’ebbe il tempo di
metterne le fondamenta, Tnon essendo egli vissuto che
quattro anni dopo il fin della guerra. Molti anui ap>
presso , Tarquinio terzo re dopo lui, quegli che fu espulso
dal trono , ne gitlò le fondamenta , facendo gran parte
del sacro edilìzio : ma noi compiè nemmen' egli, e solo
ebbe il tempio il suo termine sotto gli annui magisirati
da’ consoli dell’ anno terzo. Ben’ è convenevole che le
cose ricordinsi accadute prima della erezione di questo,
come pur le ricordano quanti scrìssero la storia di quei
luoghi. Deliberatosi Tarquinio a far qnel tempio impose
primieramente agli auguri, convocandoli, che spiassero
co’ divini riti quale in città ne fosse il loco più accon*
do e più caro a que’Numi. E riferendo esser questo il
colle che sovrasta al Foro, colle detto Tarpeo di quei
giorni , ed ora del Campidoglio , comandò che replicati
i riti santi additassero in qual parte principalmente del
Campidoglio aveansene a porre le fondamenta. Non era
ciò cosi fàcile a definirsi ; perchè sorgendo io sul colie
a riverenza de’ genj , e de’ Numi altari in gran nume*
ro ; doveasi trasportare questi , e lasciar libera l’ area
pel tempio novello degl’ altri Iddìi. Parve agli auguri di
DIOUIGI, tomo I.
•so
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3 IO 15ELLE antichità’ ROMANE
fare le divinazioni loro so di ogni altare , e poi moverlo
se il proprio Nome Io concedeva. Consentirono alquanti
genj e Numi che i loro altari fossero altrove portati :
ma il Dio Termine è la dea Gioventù per quanto gli
auguri pregassero e ripregassero non gli udirono ; nè
condiscesoro a cedere il luogo. Adunque furono gli
altari loro inchiusi nel tempio che destinavasi: ed ora
r uno resta nel vestibolo, e l’altro nel sacro ricinto
stesso di Minerva presso al simulacro di lei. Presagi-
rono da ciò gl’ indovini che ninna età mai nè li ter-
mini moverebbe né il florido stato di Roma : ciocché
si é già verificato fino a’ di miei per ventiquattro ge-
nerazioni.
LXXI. Nevio chiamavasi per nome proprio, ed Azio
col nome della prosapia il più insigne degli auguri ,
che trasferì quegli altari, definì il tempio di Giove, ed
altre celesti cose ridisse per la sua divinazione al po-
polo. Si consente che carissimo egli fosse agl’ Iddii fi:a
tutti del santo suo ministero , e che conseguito avesse
riputazione grandissima per le prove da lui date incre-
dibili e trascendenti nell’arte sua divinatoria. Io ne ri-
corderò solamente una la quale mi fu meravigliosissima
infra tutte , dicendo innanzi per quale incontro di casi,
e per quali divine occasioni venne in tanta chiarezza
che fe’ tutti li coetanei comparir dispregevoli. Povero fu
il padre di lui , cultore d’ ignobile campicello. Nevio il
suo figliuoletto porgeagli l’opera sua , quanta per la .età
ne poteva, e guidava de’ porci, e pascevali. Caduto una
volta nel sonno, nè più rinvenendo al riscuotersi alcuni
di quegli animali , ne pianse per timore de’ paterni ca-
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LIBRO III. 3ll
stighl. Ma poJ venendo al tempietto sacro agli eroi nel
suo campicello, pregò che a lui concedessero di trovare
le perdute cose ; egli prometteva loro se ciò concedes-
sero il grappolo più grande del suo poderetto. Trovò
indi a poco gli animali, e volea recare i promessi doni
agli eroi: ma 'grande era 1’ ambiguità sua nel decidere
il maggiore ira’ grappoli. Adunque conturbatone suppli-
cava gl’ Iddii che volessero col mezzo palesargli degli
uccelli ciò che cercava. Or qui per divino favore gli
venne in mente di dividere la vigna in parte destra e
sinistra , e notare gli auspicj che in ognuna occoire»-
sero. Apparsi in una delle parti gli uccelli com’esso ve
li bramava , suddivise pur questa in due considerando
gli uccelli che vi capitassero. Determinandosi con tale
distinzione di luoghi, e venendo da ultimo alla vite in-
dicala dagli uccelli: ebbe un tal grappo incredibile nella
sua forma. Egli recavalo appiè delle immagini sante degli
eroi , quando il padre lo vide. E meravigliato questi di
una tal mole del frutto , e domandando d’ onde se lo
avesse : il figlio narrò dalle origini tutto il successo.
Concependo colui , ciocch’ era , che fossero questi na-
turali preludi della divinazione nel figlio , lo condusse
in città, e lo sottomise a’ maestri delie lettere. E poiché
fu nelle comuni discipline istrutto quanto bastava , af-
fidollo all’ augure più dotto fra’ Tirreni perchè Io eru-
disse nel suo sapere. Nevio che avea naturali lumi per
la divinazione , aggiungendovi pur gli altri de’ Tirreni ;
superò di gran lunga quanti erano intesi agli anspicj.
Quindi nelle consultazioni sul pubblico tutti gli auguri
della città v’ invitavano lui quantunque non fosse del
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3i2 delle Antichità’ romane
ceto loro , per la reltitudiae sua nel pronosticare , ti«
cosa mai vaticinavano , se non ' approvata da lui.
LXXIL Ora volendo Tarquinio creare tre nove cen-
turie (i) di cavalieri da lui scelti , ed intitolarle dal
nome suo e degli amici , questo Nevio il solo magna-
nimamente gli resisti , non permettendo che alcuna si
alterasse delle istituzioni di Romolo. Disgustato per la
proibizione il sovrano , e sdegnato con Nevio diedesi a
vilipenderne 1’ arte come di nn vano nè veridico parla-
tore. Con tale intendimento chiamò Nevio nel suo tri-
bunale essendovi moltissimi presenti del Foro.. Egli avea
già divisato con qnei che lo circondavano i modi onde
convincere l’aagure di menzogna: e lacendosegli questo
dinanzi lo accolse con degnevoli salutazioni : ed ora ,
disse , o Nevio è il tempo di mostrare il potere del-
f arie tua divinatoria. Siccome io macchino di pormi
ad una gran cosa ; vorrei per f arte tua risapere se
possa riuscirmi. Or va : consultane co' riti tuoi , o
toma il più presto per dirmene : io qui su questa
sede ti aspetto. Esegui l’ augure i comandi , e dopo
non molto tornò dicendo che propizj erano gli auspicj,
e fattibile £ intento di lui. Diè Tarquinio in un riso
a tali voci, e cavando dal seno una cote ed un rasojo
gli disse: ora ben apparisce o Nevio che tu mi deludi,
deluso che se’ manifestamente dagl Iddii , dacché ar-
disci anrutnziarmi possibili , le impossibili cose : per-
(i) Nel testo ^vXmt tribù : ma i chiaro che parlandosi di cava-
lieri non debba pensarsi a tribù : Forse vi ò qualche sbaglio. Gli
altri storici in questo luogo chiamano centurie quelle che Dionigi
chiama tribù.
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LlBnO III.
ii3
ciocché io meditava se potessi col rasojo fendere que-
sta cote per mezzo : ridevano tutti d’ intorno , e Nevio
niente commosso dalla beffa e dallo strepito : ferisci ,
disse, o Tarquinio animosamente come ideavi la cote:
perciocché ne sarà divisa , e se no ; mi ti offero ad
ogni pena. Sorpreso il re della confidenza dell’augure
mena il rasojo su la cote , e l’ acume del ferro ne pe-
netra r interno e dividela, incidendo anche in parte la
mano che la teneva. Esclamarono per la novità quanti
contemplavano la incredil.'ile e meravigliosissima cosa.
Tarquinio vergognatosi del cimento dato a quell’ arte ,
c voglioso di emendare la indecenza de’ vilipendj ^ pri-
mieramente cessò da que’ suoi tentativi su 1’ ampliar le
centurie ; poi risoluto di onorare Nevio come il più
caro di tutti i mortali ai celesti, obbligosselo con pegni
vari e copiosi di benevolenza ; e perchè la memoria se
ne perpetuasse tra’ posteri collocò la statua di lui , fab-
bricala in rame , nel Foro : e questa , più picciola di
nn uomo mezzano , e velata il capo , esisteva pur nel
mio tempo dinanzi la curia , da presso del fico sacro.
Dicesi che poco lungi del fico sia la cote sepolta ed il
rasojo sotto di un’ ara sotterranea ; e quel luogo chia-
masi il pozzo da’ Romani. Tali sono i ricordi che si
hanno su questo indovino.
LXXIII. Tarquinio ornai chetavasi dalla guerra, vec-
chio già di ottanta anni ; quando mori tra gl’ inganni
de’ figli di Anco Marzio. Aveano questi macchinato fin
da principio di balzarlo dal trono , e più volte vi si
erano adoperali su la speranza che, balzatone lui , di-
verrebbe di loro come trono un tempo del padre , e
I
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3i4 DELLE Antichità’ eomane
die (li leggieri ad essi darebbonlo i cittadini. Delusi via
via dalla speranza gli ordirono alfine insidie insuperabili
che gii Dei non permisero che restassero impninite. Io
narrerò la forma delle insidie. Quel Nevio del quale io
dissi che erasi opposto al re che volea di meno far più
le centurie , questi (piando più per le arti sue Boriva ,
quando potea sopra tutti i Romani come augure nobi-
lissimo , allora sia per invidia degli emuli , sia per in-
sidie de’ nemici , sia per altra sciagura , spari di subito
da’ mortali ; nè alcuno potè de’ congiunti indovinare il
destino di lui , nè più trovarne il cadavere. Addolora-
tone il popolo , e mal sopportando il suo danno , e
molto sospettando di molti; i figli di Marzio ne ristrin-
sero su Tarquinio l’ accasa. E non potendo allegare ar-
gomenti e non segni della calunnia ; insisterono su
queste due ombre di ragione. Era la prima , che volea
Tarcpiinio far molti e gravi attentati contro le pubbliche
norme ; e che però si era tolto d’ intorno chi sarebbe
•per contrapporsegli come per l’addietro : la seconda era
poi, perchè succeduto tanto infortunio non aveane fatta
niuna ricerca , ma trasandavalo in tutto : nè avrebbe
mai cosi praticato chi non era tra’ complici. E fattosi
col dispensare de’ loro beni , gran seguito di patrizj e
di plebei diedero gravissima accusa a Tarquinio , e sti-
molarono il popolo a non trascurare un tanto scellerato
che stendea le mani su le sante cose , e la regia auto-
rità contaminava ; molto più che egli non era un ro-
mano , ma un estero , anzi uno senza patria. Tali cose
dicendo nel Foro uomini ; autorevoli nè infacondi ; con-
citarono molti plebei perchè lo rispingessero se venivaci.
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LIBRO III. 3l5
come impuro da quel luogo. Ora cosi fecero , perchè
nè poleano combattere la verità nè persuadere al popolo
che dal trono il cacciassero. Se non che dissipando lui
con difesa validissima le incolpaeioni , e Tullio il genero
suo , potentissimo tra la moltitudine , risvegliando verso
lui la tenerezza de* Romani ; furono quelli avuti per
calunniatori e scellerati, e carichi di vergogna partirono
dal Foro.
LXXIV. Sconciati in tal tentativo , ma tuttavia per>
donati per opera degli amici , perchè Tarquinio conte-
nevasi a fronte di tanta perfidia in vista de’benefizj pa
gravidasse , e ne partorisse poi Tullio. Certamente non
par la novella affatto credibile : pur la rende inverisi-
mile meno un tal altro segno divino inopinato e mera-
viglioso intorno di quest’ uomo. Imperocché sedendosi un'
tempo egli di mezzodì nella regia camera , e presovi dal
sonno ; una fiamma gli usci balenando dal capo. Videro
questa la madre di esso e la regia consorte , che per
la camera passeggiavano , e quanti erano presenti alle
donne : e luminosa gli si tenne intorno intorno del capo
finché accorsa la madre riscosselo. Allora insieme c
ciansi nemmeno le picciolo ingiustizie , e solleverai li
poveri co’ benefizj , e co’ doni ; e quando ne parrà
tempo , (diora diremo che Tarquìnio è morto ; allora
gli daremo pubblica sepoltura. O Tullio ! tu nudrilo ,
tu educalo , tu renduto partecipe da noi di tanti beni
quanti ne derivano i figli da padri e deUle madri, tu
congiunto alla nostra figliuola , tu se mai divieni , o
Tullio, re de’ Romani , è giusto che almeno in riguardo
mio la quale tanto in ciò ti coadjuvai , presenti la
benevolenza di un padre verso questi teneri fanciuU
letti : e che quando siano già grandi , quando già
bastanti a regnare , tu renda (diora al primogenito la
corona di Roma.
V. Così dicendo diede' 1’ uno e 1’ altro fanciullo in
braccio alia 6glia ed a! genero : e risvegliò tenera com-
passione verso di ambedue ; poi quando ne fu tempo ,
uscita di camera impose ai domestici che assistessero ,
come richiedeasi , per la cura , e convocassero i me-
dici. Lasciala passare la notte , siccome nel giorno ap-
presso accorse gran turba alia reggia ; ella si fe’ vedere
alle finestre che rispondono alla via dinanzi dell* atrio :
e su le prime scoperse quelli che aveano congiurata la
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12 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
morte del sovrano , e quindi presentò tra le catene i
sicai'j mandati per compierla : e quando vide il popolo
in pianto per la sciagura , quando videlo fremere contro
de’ malvagi ; alfine gli disse , che pur non era la perfida
trama riuscita , e che potuto non avevano trucidare Tar*
quinio. Confortavansi tutti all’ annunzio ; quando ella
mostra in Tullio il personaggio eletto dal re, finché
guariscasi , per curare le private sue cose , e le pubbli-
che. Adunque andossene il popolo , lieto come se il re
non avesse niente patito di terribile, e gran tempo si
rimase con questo concetto. Tullio cinto da’ regj littori
marciò con valida schiera al Foro, e fece pe’ banditori
intimare che venissero i Marzj al giudizio. E siccome
questi non ascoltarono ; ne proclamò 1’ esilio perpetuo ,
ne confiscò li beni ; e cosi tenne sicuro lo scettro di
Tarquinio.
VI. Ma sospendendo alquanto la narrazione , vo’ dir
le cause per le quali io nè con Fabio consento nè con
quanti scrivono che i fanciulletti lasciati da Tarquinio
eran suoi figli ; perchè se altri si avviene in quei scritti
non creda che io improvvisi quando non figli li chiamo,
ma nipoti. Essi divulgarono ciò su que’ garzoncelli , ma
per' negligenza ; niente considerando gli assurdi eie im
cuni Storici Romani levarli con altri assurdi, e dissero
che non era già madre de’ fanciulli Tanaquilla ma Ge-
gania , una donna , di cui nulla additarono le istorie.
Ma in tal caso riesce improprio il matrimonio di Tar>
quinio nella età quasi di ottanta anni, e certo inverisi-
mile riesce in quella età la generazione di figli. Nè già
egli era mancante di prole ; tanto che ne languisse pei
desiderio : ma egli avea due figliuole e queste già ma-
ritate. In forza di tali assurdi e di tali impossibilità dico
che que’ fanciulli non eran figli ma nipoti di Tacqui-
nio ; nel che sieguo Lucio Pisene, uomo savio, e funi- i
co che ciò scriva ne’ suoi annali. Ma forse eran questi ,
nipoti a Tarquinio per nascita , e figli per adozione , e
forse fu questa la origine dell’ abbaglio di tutti gli Sto-
rici delle cose Romane. Or dopo un tal prologo egli è
tempo di ripigliare la narrazione.
Vili. Poiché Tullio prese le redini del ^ornando , e
dileguata la fazione de’ Marzj , giudicò di averselo con-
solidato ; fe’ con magnifica pompa trasportare Tarquinio,
come spirato alfine per le ferite ; condeoorandolo di un
cospicuo monumento e di altri onori : e tutore essendo
de’ regi fanciulli ; e curò e guardò fin d’ allora le pri-
vale loro cosce le pubbliche (i). Non andavano tai fatti
a grado de’ patrizj , ma doleansi e sdegnavansi , mal sof-
fiando eh’ egli a sé stabilisse il regio potere senza le
(i) Addì, di Roma sec. Catone, 179 scc. Varrooe : e 577
avanti Cristo.
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i6 DELLE* Antichità' romane
forme prescritte dalle leggi. E riunendosi più volte i più
potenti , trattavano fra loro de’ mezzi onde abbattere TiU
legittimo governo. Ora parve ad essi , come fossero la
prima volta adunati , per tenere il Senato , da Tallio
di violentarlo a lasciare i littori e le altre insegne del
comando ; e fatto ciò di nominare gl’ interré da’ quali
si scegliesse regolarmente chi dominasse. Tallio , risa-
puto il disegno , si diede a favorire il popolo , c soc-
correrne i poveri , sperando coll’ opera sua di ritenere
r impero. £ chiamata la moltitudine a concinne , pre-
sentò dinanzi la ringhiera i fanciulli ; e poi disse :
IX. Molle cause o cittadini ihi astrinsero a prender
cura di questi teneri garzoncelli. Perciocché Tarquinio
l m>olo loro accolse e curò me privo di padre e di
patria, nè fecemi punto meno che a un figlio; ma
diedemi la sua Jìgliuola in isposa, e mi amò finché
visse , e mi onorò sempre , come sapete , quasi fossi
da lui generato : e poiché fu colto dalle insidie egli
affidatami in caso di morte la cura de' fanciullettì.
Ora e chi mi stimerebbe pietoso verso gl Iddf , chi
giusto verso gli uomini , se io trascurassi e tradissi
questi oifani a quali tanto io sono debitore? Ma nè
io tradirò la mia fede, né darò per quanto è da me,
1 ultimo abbandono , a fanciulli già derelitti. Ben è
giusto che ricordiate voi li benefizj che l avolo suo
dispensava su voi quando a voi subordinava tante città
Latine emide del vostro principato, quando vi umiliava i
Tirreni i pià potenti tra tutti i vicini, e quando neces^
sitava al vostro giogo i Sabini ; procurandovi ognuna
di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Speltavasi a
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LIBBO IV. 17
voi per tanta sua beneficenza di essere grati a lui
finché visse, e di esserlo dopo la morte in verso dei
posteri -suoi, e non già di seppellire coi cadaveri dei
benefattóri la memoria ancora delle opere. Pensatevi
dunque tutti eletti custodi de’ fanciulli , reusicurate per
essi il regnò che t avo ad essi lasciava. Già non tanto
bene- risentiranno essi dalle cure di me che son uno,
quanto ‘dal soccorso, comune di voi tutti. Io mi vedo
necessitato a dir questo ; sentendo che > alcurù com-
movonsi contro loro , e vogliono dare ad altri il co»
mandò. Io vi. supplico o Romani, che memori ancora
siate de' combattimenti che .io feci pel vostro princù»
pato , i quali np pochi sono nè piccoli. Ma ben sa^
pendolo voi , non occorre che altro io vi dica , se non
che rivolgiafe su questi fanciulli gli obblighi che me
ne avete. Imperocché non io per me fabbrico il prir^
cipato : nè se io mel cercassi , ne era già meno degno
degli altri; piacemi solamente amministrare il comune
in sussidio della stirpe di Tarquinio. Io vi raccomando
che non vogliate ahbtmdonare a sé stessi questi farin
ciuUi ora che il regno ne pericola : sarebbero anche
espulsi da Poma , sé fauste riuscissero le prime mosse
ai nemici. Ma non debbo io più dilungarmi su ciò ,
mentre sapete voi quello che dee farsi , anzi siete per
fare quanto conviene.
. Ora udite il bene , che io a voi apparecchio , e pel qua-
le qui vi adunai. Quanti a debiti saziacele nè potete
levarvene per la indigenza,, tutti sarete da me soccorsi
come cittadini, e come già tanto affaticati, in servigio
della patria; pert;hè voi che avete fondata la libertà
DIOntGl, //. •
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i8 DELLE Antichità’ romane
di lei , la vostra non perdiate : io porgerò del mio da-
naro onde i debiti estinguiate. Inoltre quanti torranno
ad imprestilo io non più soffrirò che sieno imprigio-
nati per debito : ma porrò per legge che niuno dia
de' prestiti assicurandoli su la persona di uomini li-
beri, mentre io penso che basti agli Usuraj di riva-
lersi su bèni de' contraenti. E perchè da 'ora in poi
sosteniate più di leggeri il tributo pubblico , pel quale
i poveri sono gravati, e ridotti a far debito ; coman-
derò che si registrino tutti i beni , e che ciascuno dia
secondo l' aver suo , come odo che si pratica rtelle
città più grandi e meglio ordinate ; mentre ancK. io
credo più giusto e più vantaggioso al Comune che chi
più possiede più paghi, e meno chi meno, Piacemi
inoltre che il terreno pubblico f quello che avete cors-
quislato colle Urrtse > non sia come ora de* più impu-
denti , nè che per compera ve lo abbiate , nè indarno:
ma che quelli se lo abbiano infra voi che privi sono
di terre : perchè voi liberi essendo non serviate , nè
coltiviate le campagne altrui , ma le pròprie ; imperoc-
ché già non allignano generosi pensièri' ov’è disagio
del vitto quotidiano. Soprattutto ho deliberalo render
pari e fàcile il governo per tutti , e dàce a tutti eguale
azione contro chiunque; perciocché sono alcuni venuti
in tanta baldanza che oltraggiano il popolo, nè. liberi
stimano i poveri fra voi. Ora perchè i più grandi nem-
meno che gl’ infimi esigano' e Soffrano il giusto;, io
farò leggi proibitive della violenza, e lonservOtrici dei
diritti lomuni: nè mai lascciò di provvedere a questa
libera procedura di lutti conlto tutti.
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LIBRO IV.
X. Sorsero , lui cosi dicendo , grandi elogj tra la moloi gli esuli , e di ceden’i ai figli di Marzio , a
quelH che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono,
e sì amico di Roma , a quelli che macchiatisi in tanta
scelleraggine , non osando risponderne in giudizio, si
tolsero a voi colla fuga , a quelli in fine a quaU avete
voi t acqua interdetta ed il fuoco. E se ben tosto non
vòlavane a me t avviso, tali patrizj eccitando una forza
straniera, avrebbero di bel nuovo introdotto nel cuor
della notte i fuorusciti in Roma. Ben vedete voi quan-
tunque io le taccia , le seguile , come i Marzj favoriti
da' patrizj sarebbonsi impadroniti senza fatica di tutto,
atsalendo primieramente me che il custode sono della
regia prole , me che t autore fui del giudizio contro
di loro , e spegnendo finalmente i regj fanciulli, e tutti
I consanguinei , e tutti gli amici , quanti ve ne resta-
no , di Tarquinio. Misere le nostri ritogli , le nostre
madri , le nostre figlie , e misere le femmine tra noi!
le avrebbero que' ribaldi ( tanta lumno di brutale e di
tirannico ! ) terwie in' conto di schiave. Ora se tanto
o popolani piace a voi pure , che qua si riammettano,
anzi che re si proclamino i parricidi , e che i figli se
rie scaccino de’ vostri benefattori , e dal trotto .« tol-
gano che V avo ad essi lasciava ; se tanto , dico , a
voi piace ; io mi cheto su destini. Ma deh ! per gli
Iddj , deh / pe’ genj tutti , quanti le mortali cose ri-
guardano ( e noi colle nostre donne , noi co’ nostri
figli supplichiamo voi pe’ tanti benefizj ancora che
Tar quinio su voi spondeo perpetuamente , e pe’ tanti,
eh’ io stesso vi procurava ) , deh ! coruredeteci questo
dono ; manifestateci i vostri voleri una volta. Se voi
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a a DELLE antichità’ romane
credete altri più degni di noi di tale onore ; questi
fanciulli f e tutto il parentado di Tarquinio, partiran-
Ho, abbandoneranno la vostra città. Io poi ben altri
più generosi consigli ho per me ! Ahbcatanza vissi alla
virtù , abbastanza alla gloria : mancatami la vostra be^
nevolenza , quella che io pregiava più che tutti i beni,
già non voglio io vivere indecorosamente presso di ab-
tri. Prendete i vostri fasci , dateli , se così piacevi ,
ai patrizj. Io mel vedrò , -nè mi oppongo.
XII. Cosi dicendo , e già standosi in atto di ritirarsi
sorse un clamor vivo per tatto , nn pregare , an pian-
gere , perchè restasse , e governasse nè temesse. Allora
alcuni, sparsi ad arte qua e là pel Foro, gridarono che
si creasse re , che si convocassero le curie , e sen chie-
dessero i voti. Così preordinato T evento; ben tosto il
popolo tutto vi propendè. Tallio ciò vedendo non tra-
scurava la occasione: ma professandosi ad essi obbliga-
tissimo che memori fossero de’ benefizj , e prometten-
done più ancora se re lo creasseró ; prescrisse il gionu>
de’ comizj ; ordinando che v’intervenissero lutti dalla cam-
pagna. Accorso il popolo ; egli chiamando una per una
le curie consegnava ad esse i lor voti. E giudicato da
tutte le curie degno del trono ; vi ascese. : nè curò del
Senato che non volle come solea ratificare la scelta del
popolo. Cosi re divenuto fondò molte altre istituzioni, e
fece grande e memorabile guerra co’ Tirreni. Io dirò
prima delle istituzioni.
XIII. Appena strinse lo scettro comparti tra’ merce-
narj Romani le terre del comune : poi fe’ comprovare
le leggi su i contralti e su le ingiustizie dalle curie ,
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, LIBRO IV. 2 3
estese ^illora a cinquanta , quantunque non sia ora ciò
da ricordare. Aggiunse a Ronia il Viminale , e l’Esqui-
lino due colli , cosi nominati , capaci T uno e 1’ altro
di nna città liguardevole, dispensandoli parte a parte ai
Romani privi di case , perché ivi se le fabbricassero ;
anzi egli stesso ivi ediCcò la sua nel sito più idoneo
delle Elsquilie, Fu questo 1’ uhimo re che ampliò il cir-
cuito, della città , congiungendo ai cinque gli altri due
colli, dopo avere presi gli aiigurj e compiute le usate
pie cerimonie inverso gl' Iddj. Non poi la citti mise mai
più da largo le sue mura ; non avendolo, come dicono ,
permesso i destini : ma tutti intorno i sobborghi che
pur sono molti e grandi, si resuno so>perti, non chiusi da
mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che
se alcuno mirando a questi , voglia la grandezza racco-r
glierne di Roma ; egli errerà certamente : perocché noo
avrà nino certo seguo , dal quale discernere fin dove la
città si oontinua o dove si termina. Cosi bene que’ sob-
borghi al fabbricato inleroo si congiungono , che pre-
sentano a chi li contempla la immagine come di una
città che stendesi all’ iii6nito. Ma se taluno prendendo
regola dalle mura , certamente malagevoli a distinguersi
per le molte case fabbricatevi intorno , ma che pur sevv
bano via via de’ vestigj dell' aulica loro struttura voglia
risaperne il circuito in ristretto dei circuito di Alene;
vedrà che il ricinto di Roma non molto eccede quello
di Atene. Ma quanto alla grandezza e bellezza che Rpma
presenta a miei giorni ; avremo appresso luogo più ac-
concio a discorrerne.
XIV. Poiché Tullio comprese entro un giro solo di
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a 4 DELLE antichità’ ROMANE
oiura i sette coili ; divise la città in quattro parti ; - de-'
nominandole da que’ colli , 1’ una Palatina ^ l’ altra Sii-
burrana , la terza Collina , e 1* ultima Esquilina. Cosi
distese a quattro le tribù che erau tre sole. Intimò poi
che chiunque abitava 1’ una delle quattro parti , quasi
paesano di quella nè portasse in altra il suo domicìlio ,
nè in altra desse il nome suo pe' cataloglù militari , nè
il tributo per le spese della guerra : in somma che noi^
rendesse in altra i servigi che doveansi pel comune; nè
più ordinò le milizie secondo le tre tribù disposte come
prima per genti ( i ) ma secondo le quattro da lui create
e compartite ne’varj luoghi ; destinando per ciascuna un
capo qual sarebbe un tribuno o prefetto , il quale dor
vesse conoscere il domicilio di ognuno. Quindi ordinò
che in ogni quadrivio si facessero da’ vicini picciole sa-
cre cappelle agli Dei lari custodi della contrada , isti-
tuendo per legge che ogni anno si onorassero di aa-
grifizj , e che ciascuna famiglia porgesse loro le obbla--
zioni sue : comandò che assistessero e ministrassero à
chi facea tal sagri6zio non gl’ ingenui ma i sèrvi ; di-
lettandosi quegl’ Idd) del ministero di questi. Continuano
i Romani pur nel mio tempo pochi giorni dopo de’Sa*
tumali tal festa , veneranda in tutto e magniBca , e detta
compitale da’ quadrivi che compiti da .loro si chiamano.
(i) Romolo fece ire tribù eecondo te diverse genti : erano la
tribù , la prima Ramnentù dei Romani posti ad abitare nel Pala-
tino , la seconda TatUnsU da Tasio , ebbe il monte Capitolluq , e
la tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo i era degli
stranieri che aveano ivi cercato nn rifugio. Col progresso del tempo
siccome la gente aggregala a Roma superara il popolo primitiro ;
COSI Tullio fece una nuova divisione di tribù.
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LIBRO IV. a 5
Serbano nel* sagrifìzio 1’ anticx) rito, placaodo gl* Iddj
Lari con intrametlervi i servi , a’ quali tolgono in quei
giorni quanto tien forma di servile; perchè riconfortati
da tali dolci maniere ove è misto del grande e dell’ono*
, riGco sì affezionino più vivamente ai padroni e men sen>
tano il peso della loro condizione.
XV; Inoltre , come Fabio scrive , divise tntla la cam-
pagna io ventisei parti , chiamandole tribù parimente :
e congiunte queste alle quattro urbane se ne ebbero
trenta inAutte : ma Yenonio dice che se ne ebbero tren-
tuna : laddove Catone ben più autorevole di essi (,) af-
ferma che le tribù ne’ tempi di Tullio furon tutte, non
però distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli
atupizj divisa la campagna in tante parti, quante mai
furono , apparecchiò su luoghi montuosi e fortissimi de-
gli asih\ chiamandoli pagos con greco nome o castelii,
onde renderne salvi i coloni. Imperocché .quivi tutti si
rifuggivano ndle irruzioni de’ nemici , e quivi spessis-
simo pernottavano. Ci aveano in questi de’ presidi inca-
ricati di conoscere i nomi de’ coloni, conti*ihnenti a quel
borgo , e li poderi su quali viveano. E se mai portava
il bisogno di convocare que’ contadini per le arme , o
di esigere da ciascuno le lasse ; questi li congregavano,
o ne raccoglievano le somme. £ perchè la moltitudine
non fosse difGcile a trovarsi , ma facile a descriversi e
palese; fece erigere degli altari ai Numi contemplatori
e custodi del luogo , perché quella ogni anno vi si riu-
nisse e ve gli onorasse con pubblici sacri Gzj , istituendo
(i) Di Fabio • di Venonio.
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a6 DELLE Antichità’ bomane
9 tal (ine la festa soleanissima delta dei viUagi (i)."^Anzi
intorno a tali sagrifizj scrisse leggi che i Romani ser*
bano ancora. Per tal sagriSzio , per tal celebrità volle
cbe contribuissero tulli una data moneta, altra però gli
uomini , altra le donne , ed alu'a gl’ impuberi : talché
numerandosi queste dai, presidi delle sante cose rileva-
vasi il totale degl’ individui secondo il sesso e la . 6tà.
E volendo , come scrive Lucio Pisone nel primo degli
annali , conoscere quanti erano domiciliati in Roma,
quanti vi nasceano o vi morivano , o toccavano * la età
virile; stabili qual moneta dovessero i parenti vergare
per ognun che nasceva nell’ erario di Eileitia , detta dai
Romani Giunone Lucifera , o in quello che chiamano
di Venere Libitina , là nel bosco , per ognun che mo-
riva , o in quello della Dea Gioventù per ognuno che
alla virile età perveniva. Da queste monete intendeasi
ogni anno quanti erano in tutto , e quanti aveano ido-
neità militare. Ciò fatto diede ordine, che i Romani. re-
gistrassero, apprezzandoli inargento, i lor beni, e giu-
rando di apprezzarli come dee 1’ uomo candido e buo-
no t e che insieme dichiarassero quanta era la età loro,
quali i padri loro , le mogli, ed i figli ; aggiungendovi
dove in città soggiornassero, o in quale de’ villaggi d^Ho
campagna ; e chi non &cea pari stima era in pena spo-
gliato de’ beni , flagellato e Venduto. Dorò questa legge
lungo tempo tra Romani.
XVI. Cosi prese da tutti 'le stime, e rilevatone il nu-
mero di essi , e la grandezza de’ beni loro introdusse
(l) Ciut Paganaliu.
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LIBRO IV. 07
una instituzione savissima che fu poi larga fonte di beat
a’ Romani , come il fatto stesso Io dimostrò. La islit»*
zione fu di segregare dal resto del popolo quei che
aveano sostanze più grandi non però minori di cento
mine , e di ordinarli in ottanta centurie (1) , le quali ,
armandosi , portassero scudo argolico , elmo di bronzo,
corazza , stivali , asta e spada. Poi separandole tutte in
due parti formò quaranta centurie di giovani per le spe>
dizioni in campo aperto , e quaranta de’ più adulti , le
quali in città si restassero per custodirla quando le altre
uscivano per la guerra. E questa era la milizia , prima
di ordine ; per altro i giovani aveano sempre il primo
luogo onde proteggere tutta l’armata. Dal residuo quindi
del popolo segiegò quelli ancora che aveano meno di
cento mine non però più scarse di settantacinque, compar»
lendoli in venti centurie che portassero arme , simili a
quelle de’ primi , toltane la corazza e dato ad essi lo
scudo lungo in luogo dell’ argolico (u). E dividendo
quelli di oltre quarantacinque anni dagli altri che aveano
età militare formò dieci centurie di giovani, le quali an-
(1) Nel Cesto Xt^gn: questa roce k ambigua: può sigaificare cen-
turia , manipolo , coorte. Il traduttore latino la interpreta per cen-
turia : e questa pare la nozioue piti acconcia : ma deve riflettersi
che cengia: vai quanto compagnia di cento , laddove in questo
luogo non significa cento esattamente ; ansi ne] paragrafo iS di
questo libro significa ben altro che cento.
(a) Tra i Latini ci ebbe io Cfypeut e lo tculuni. Il primo era
detto «cevrir da’* Greci , ed il secondo Bv/i»f i il primo era più
breve e sièrico, l’altro piò lungo. La nostra lingua, come di un
popolo che più non usa quelle armi non ba forse parole ben disliute
o note pet indicare la doppia forma. Targa , Rotella o Broccbiero
può forse dirsi il C/fpeus , e scudo è voce generica di ogni sorta di
quelle armi.
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a8 DELis Antichità’ romane
dassero in guerra per la patria , « dieci di anziani che
in gtiardia rimanessero delie mura. Era questa la mili-
zia , seconda di ordine , e prendea luogo dopo de' primi
nella battaglia. Una terza ne fece di quelli che aveano
meno di settantacinque mine non però sotto le cinquanta;
ma ne minorò T armatura non solo delle corazze come
alla seconda; ma de’ stivali ancora. Descrisse pur questi
in venti centurie dividendoli parimente secondo 1’ età ,
talché se ne avessero dieci de’ più gióvani, e dieci de’
più maturi. Era il luogo loro nelle battaglie appunto do-
po quelli che seguivano i primi.
XVII. Trasse un quart’ ordine di soldati da quelli
che avean meno di cinquanta , e non meno mai di ven-
ticinque mine; disponendolo in venti centurie , dieci dei
floridi , dieci de’ provetti per anni , come avea fletto co-
gli altri ; e dando loro per arme scudi , aste , e spade ,
e r ultimo posto nelle battaglie. Reclutò la quinta mi-
lizia da quelli che avean meno di venticinque mine ,
non però meno di dodici e . mezzo , acconciandola k-
condo gii anni di ognuno in trenta centurie , quindici
de’ più avanzati , e quindici de’ più giovani. Diè loro
strali e Sonde , ma luogo fuori deli’ esercito , Uiesso in
battaglia. Comandò che quattro centurie allatto inermi
accompagnassero tutte le altre : cioè due di annajuoli ,
di falegnami , e di altri per altro militare lavoro, e due
di sonatori di trombe e timpani e di altri stromenti
pe’ bellici segni. Ma gli arteflci seguitavano la miUzia dà
second’ ordine : e distinti anch* essi per età , quali se .
guitavano le bande de’ giovani , e quali degli anziani.
I^addove i sonatori di trombe e di timpani lenean die-
tro alla miUzia quarta di ordine ; distribuiti anch’ eglino
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LIBRO IV. 39
in giovani e vecchi. Erano li centurioni tmcelti fra' tutti
li più insigni nelle arme; e reggea' ciascuno la sua cen-
turia docilissima ai cenni.
XYlll. Tale era il metodo onde avessi la soldatesca
legionaria e leggera. Scelse poi la cavallerìa dai più
facoltosi , e più cospicui di lignaggio , e formatene di-
ciotto centurie le dié compagne alle prime ottanta cen-
turie de’ legionarj. Erano pur di queste diciolto , chia-
rissimi lì centnrioni. Finalmente ridusse ad una centu-
ria gli altri tutti , ben più numerosi de’ primi che aveano
men che dodici mine e mezzo , e gli escluse dalla mi-
lizia e li rese immuni da ogni tributo. Cosi risuitaron
sei ordini che i Romani dicono classi denominandoli
con greca parola : imperocché quello che noi signifi-
chiamo colla voce imperativa colei ( chiama ) lo signifi-
can essi coll’altra cala (>) ed anticamente caleseis pro-
nunziavano in vece di classi. Comprendeano queste
classi cento novanutrè centurie. Formavano la prima
Bovantotto centurie compresevi quelle de' cavalieri : ven-
tidue cogli artefici la seconda : venti la terza : di nuovo
ventidue co’ sonatori di trombe e di timpani la quarta ;
trenta la quinta : ed era dopo queste una centuria uuica
la classe de’ poveri (a).
(i) Calo catas tt» antico veibo latino por chiamare j donde pur
cbbesi la noce Calerule.
(a) Classe prima. - 9S
-- seconda aa
— ' tersa. ao
— quarta aa
— quinta 3 o
- — sesta 1
193
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3o DELLE Antichità’ romane
XIX. Introdotto un tale sistema , iatimava i soldati
per la guerra secondo le centurie , e li tributi secondo
li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci o venti-
mila soldati ; avendo distinta la moltitndine in cento
novantatrè centurie, imponea ebe desse ognuna la sua
parte. Calcolando, le spese da farsi pe’ frumenti e per gli
bisogni di guerra ; egli stesso le compartiva secondo gli
averi di ognuna tra le centurie , ordinate in cento no-
vantatrè. Seguitò da questo ebe i possidenti piò grandi
essendo minori di numero ma divisi io più centurie
fossero sensa requie astretti a più guet're , e vi contri-
buissero danaro più ohe altri : laddove i possidenti mez-
xani e piccioli quantunque più numerosi, ridotti in meno
centurie , non combatteano che alternativamente e di
raro , né pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che
non possedeano quanto rìchiedevasi , erano intatti da
ogni molestia. Nè ciò facea senza causa ; ma persuaso
che gli averi sono per 1* uomo il premio della guerra , .
e ohe ciascuno travaglia per difenderseli ; riputò giusta
cosa , ohe chi pericola su più beni , più ancora al pe-
ricolo si opponga colla robba e colla persona : che men
di molestia risenta in ambedue chi men perderebbe: e
finalmente che chi non teme per cosa ninna non sia
nemmeno in cosa alcuna aggravato , immune da’ tributi
perchè bisognoso , e libero dalla guerra perchè libero
da’ tributi. Imperocché li soldati Romani militavano al-
lora , ciascuno a spese sue non lo stipendio riceveano
dal pubblico ; nè pensava altronde che avesse a contri-
buire chi non aveane i mezzi e stentava il vitto quoti-
diano : nè che colui che non contribuiva militasse a
spese altrui qual mercenario. ,
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LIBRO IV. 3 1
XX. G)sl rivolse Ai più ticchi tatto il carico de’ pe«
ricoli e delle spese : vedendo però che sen disgustavano^
nè raddolcì per altro modo il mal contento , e ne rat*
temperò lo sdegno , concedendo ad ewi tal prerogativa
per cui gli arbitri sarebbero del pubblico esclusine i
poveri. Nè comprese il popolo di ciò che facessi le con*
srguenze. Era la prerogativa ne’ comitj , ove dai popolo
risolveansi. le cose le più gravi. Ho già detto di sopra
come il popolo secondò le antiche l^gi era 1’ arbitro
di tre cose grandissime e necessarissime : cioè di eieg>
gere i suoi capi in città e nel campo , di ammettere o
di abrogare le leggi , e di conchiudere la guerra o la
pace.' E tali cose discuteva , e decidevate il popolo per
curie , parrggiandovisi il voto del grande a quello del
picciolo possidente. ^ E siccome pochi , come avviene ,
erano i facoltosi ; ma più assai li poveri; cosi preva»
leano questi ne’ comlej. Tullio ciò vedendo trasferì nei
ricchi la prepotenza de’ voti. Imperocché quando pare»
vagli di' far creare i Magistrati o discutere le leggi , o
Conchiudere la guerra teneva i comizj non più per ci^
rie , ma secondo le centurie anzidette. E prima chia»
mava a dare il Suo volo le centurie di maggior possi»
densa le quali èrano ottanta di fanti e diciotto di ca-
valieri. Or' queste più numerose che le altre di Un tre (i)
quando fossero unanimi , superavano le altre ; e la di»
scussione avea fine. Che se non si univano queste in
uu parere ; invitava allora le ventidue scritte nel se*
coud’ ordine*., £ se i voti sciudcvansi ancora ; soprac»
(i) Erauo noTanioUo, e le altre tutte novauUoinijue.
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3 2 DELLB Antichità’ romane
cbianuva le centarie di terz’ ordine : iodi quelle del
quarto, e cosi via via, finché novantasette centurie si
trovassera consentanee (i). Che se ciò non ottenessi nep-
pure colla quinta, chiamata , ma le cento novantadue
centurie si contrapponeano con parti eguali.; invitava
allora 1’ ultima centuria che era de’ bisognosi , e però
libera dai tributi e dalla milizia. E qualunque fosse la
parte alla quale accostavasi questa centuria ; quella pre-
ponderava. Ma ciò era ben raro a succedere , per non
dire impossibile ; mentre il più delle discussioni termi**
navasi col chiamar de’ primi ordini senza procedere al
quarto. Doud’ è che l’ invito de’ quinti e degli ultimi
superduo riusciva.
XXI. Istituendo tal sistema e tal prerogativa inverso
de’ ricchi , Tullio deluse , come ho detto i poveri ; né
sei conobbero , e furono esclusi dalle cariche. Immagi-
navano questi che essendo richiesti un per uno a dare
il suo voto, ciascuno nella sua centuria, avessero egual
parte nel tutto : ma s’ ingannavano : perchè uno era il
voto della intera centuria , e qual centuria conteuea .
men cittadini e quale più i^sai ; e perchè prime vota-
vano le centurie più ricche, più numerose per serie,
quantunque con men cittadini. Aggiungi che un solo
era il voto de’ bisognosi , quantunque fossero i molti ; ed
aggiungi che ultimi si chiamavano. Per tal metodo i ric-
chi , quatunque assai soggiacessero a spese , né avessero
mai requie da’ perìcoli della guerra , men sentivano il
(i) Erano le centurie senza l’ultima 193. numero la cui metà
è 96. Affinchè dunque vi , fusse preponderanza doveva un parlilo
nascere almeno da 97 e I' alito da 96 ocniutia. * ...
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LIBRO IV. 33
peso ; perchè erano gli ariìitri divenuti di gravissime
cose , ed aveano tolto agli altri tutto il potere. Altronde
i poveri se non aveano che la minima parte nelle pab-
bliche cure sei comportavano placidi e ebeti, perchè li-
beri dai tributi e dalla guerra. Dond* è che que’ mede-
simi i quali consigliavano ciocché era da fare ; quegli
appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere. Durò
tal sistema per molte età tra’ Romani. Ma ne’ tempi miei
fu variato, e renduto più popolare per forza di grandi
necessità , non perché le centurie fossero disciotte ; ma
perchè non più serbavasi 1* antica diligenza nel chia-
marle; come io stesso, presente più volte ai comizj, ho
veduto.: ma non è questo il tempo conveniente a parlar
di ciò.
XXII. Tullio data cosi regola al censo , comandò che
tutti i cittadini andassero colie armi al campo più grande
dinanzi Roma : e là , messi in squadre i cavalieri , or-
dinati li fanti in battaglia , e ridotti i soldati leggeri ,
ciascuno nelle proprie centurie ; li espiò con un toro ,
un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre
volte le vittime intorno dell’ esercito le sagri Beò poscia
a Marte, Nome sovrano di quel luogo. Anche a miei
giorni vengono i Romani purificati con egual cerimo-
nia , che essi chiamano lustro , dopo &tto il censo , da
que’ che n’ esercitano' il magistrato santissimo. Come ri-
levasi da’ libri de’ censori , il , catalogo de’ Romani che
si registrarono ascese allora ad ottantaqnattro mila set-
tecento. Prese questo re non picciola provvidenza per
ampliare le classi del popolo, ideandone de' mezzi sfng-
DIOKIGI , tomo II. S
V
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34 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
giti a suol predecessori. Imperocché provvidero questi a
far moltitudine ricevendo i forestieri e consociandoseli
senza divario di natali o di sorte. Ma Tullio concedè
che entrassero a parte della repubblica pur gli schiavi
Fenduti liberi , se mai non volevano ripatriare. Àdon«
que permettendo che registrassero le loro sostanze iu-
sieme con gii altri uomini ingenui gli ascrive fra le
tribù urbane che erano quattro fra le quali ritrovasi aa«
cora la discendenza dai liberti , e fece che vi godessero
quanto gli altri vi godeano di diritti.
XXIII. Disgustandosi di questo e mal sopportandolo
i Patrizj ; egli convocatane la moltitudine disse : cho
meravigUctvasi primieramente de' malcontenti se credei
vano che t uomo libero differisse dal servo per natura
piuttosto che per la , sorte : e secondariamente se mv~
stiravano gli uomini degni di onori non dai costumi
né dalle maniere , ma dalla prosperità, vedendo quanto
caduca , e quanto mutabile sia la prosperità , mentre
TÙuno , nemmeno de’ più felici, può dire quanto tempo
gli durerà. Considerassero quante città barbare e gre^
che erano di serve divenute libere , e di libere serve.
E qui condannava la grande loro incongruenza mentre
rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad
essi invidiavano la cittadinanza : e consigliavali piuttosto
a non liberarli, se malvagi li riputavano: ma -se ripa*
tavanli buoni, non li vilipendessero quantunque fore-
stieri. Dicea , che ben era informe nè savia cosa che
essi ammettessero alla loro cittadinanza tutti i forestieri,
senza distinguerne la sorte , o por mente , se erano servi
divenuii liberi ; e poi tenessero come indegni di tal gra-
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LIBRO IV. 35
eia ^elli stessi che erano da loro liberati : e dicea , che
essi i quali credeano più saperne che gli altri non ve-
deano poi le cose presenti , elementari , e piane anche
ai più inetti': cioè che assai penserebbero i padroni a
non rendere liberi cosi di leggeri i servi se poi do-
veano accomunarseli alle cose più grandi fra gli uomi-
ni : e che i 'servi assai più si studierebbero di far Fatile
de’ padroni , se capivano che resi liberi sarebbero an-
cora cittadini di una città grande e beata ; e che am-
bedue questi beni Se gli avrebbero appunto dai padroni.
Da ultimo fattosi a ragionare su F utile pubblico ricor-
dava a chi io sapeva , ed a chi noi sapeva insegnava ,
che una città che aspiri al comando , una città che pre*
pansi alle grandi cose, non dee niun bene cercare quanto
F aumentò del popolo , onde aver forze contro tutte le
guerre , e non distruggere Ferario con assoldare gli estra-
nei , perciò dicendo che i primi re concedevano a fo-
restieri la cittadinanza. Che se ora adottavano la sua
legge; aggiungeva che per loro via via crescerebbe una
gioventù numerosa , nè sarebbero mai scarsi di soldati ;
anzi che ne avrebbero abbastanza quantunque fossero
astretti far guerra contro di tutti. Vi sarebbero ancora
oltre le pubbliche, altra utilità non poche pe’ ricchi se
lasciavano che gli schiavi renduti liberi avesser parte
nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in queste nel mag-
giore bisogno favoriti co’ voti o con altre decenze , e la*
scerebbero ne’ discendenti di essi altrettanti clienti ai
posteri loro. Consentirono a tal dire i patrizj che si am>
mettesse un tal uso in repubblica: e vi persevera anco-
ra, custodito come una delle leggi sacre ed inviolabili.
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36 DELLE Antichità’ romane
XXIV. E poiché son venuto a tal parie di narrawo—
ue ; parmi necessario adombrare i costami de’ Romani
in que’ tempi sopra gli schiavi ; perchè niuno riprenda
nè il re che tentò volgere in cittadini gli schiavi già li-
beri , né quei che la legge ne ammisero , quasi abbiano
incautamente abolito istituzioni bellissime. Ottenevano i
Romani dei schiavi per giustissime guise:' imperocché
gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali
qual preda all’ incanto, o concedendo un capitano che
si appropriassero i presi in gnerra insieme con altre cosej
o redimendoli da altri che gli aveano . con eguali mar-
niere acquistati. Mé Tallio che lo introdusse, nè gli altri
che lo riceverono e serbarono; tennero come vituperoso
e nocivo al pubblico il costume pel quale si ridonasse
la libertà e la patria da chi possedeali come schiavi, a
quegli uomini che spogliati in guerra di patria e di li-
bertà si erano utili dimostrati verso i primi che gii aveano
soggiogati, o verso altri che gii avevano comperati dai
primi. Ricuperavano moltissimi la libertà gratuitamente
in vista deir onesto e bel procedere loro : e questo ■ era
il più onoridco mezzo onde riaversi : pochi ne sborsa-
vano un prezzo, accozzato con legittime e caste fatiche.
Non è però così di presente , ma sono le cose in tanta
confusione , e cosi belle virtù de’ Romani sono invilite
e bruttate; che chiunque trae danaro da crassazionl^
da sfasci, da prostituzioni o per altre ree guise , costui
con tal prezzo redimesi , e diviene un Romano. Otten-
gono altri un tal dono dai loro padroni , divenutine i
complici degli avvelenamenti , delle uccisioni , e. delle in-
giustizie contro la : repubblica e contro gl’ Iddj : tal altri
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prime ad insorgere, e colpevoli di aver mosso le altre
alla guerra co’ Romani , queste in pena le multa della
campagna, coi divise in sorte tra gli ammessi di fresco
alla cittadinanza di Roma. Compiate tali cose in guerra '
ed in pace, e fondati due tempj l’uno nel Foro boario,
e l’altro in riva del Tevere alla Fortuna sembratagli
propizia tutti i suoi giorni , e da lui chiamata Kirile
come chiamasi ancora (i) ; alGne provetto assai per età,
nè lontano ornai dal suo termine, morì tra le insidie
dei genero suo e della Gglia. Io dirò di queste insidie ma
ripigliandone il GIo alquanto da lungi. .
XXVIIL Avea Tullio due Gglie , nategli da Tarqui-
nia , sposata a lui dal re Tarquinio medesimo. Divenute
nubili le donzelle, cugine dal canto materno a’ nipoti di
Tarquinio , diedele appunto a questi per mogli , la più
grande al più grande , e la minore al minore ; cosi pa-
rendogli che meglio converrebbobo a chi le prendeva ;
(i) Tullio fondò piò che due tempj. Fiutar, in quest. Rom. 74 *
Ma la fortuna ViriU fu coosccrata da Anco e non da Serrio secondo
lo stesso Plutarco De Fortuna Roman,
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LIBRO IV. 43
se non che per la diflbrmità de’ costami si trovò ì’ua
genero e l’ altro accoppiato col sao contrario. Lucio
il maggiore , baldanzoso , caparbio , tiranno per indole ,
ebbesi la fanciulla , savia ^ mansueta , piena di amore
paterno: laddove Arunle il più tenero, mite molto per genio
e tutto affabile , se ne ebbe la iniqua, e tutta ardire, e tutta
odio contro del padre. Ora seguiva che movendosi ognuno
a seconda del genio suo venivane ripiegato in contrae
rio dalla sua donna. Ardea lo scellerato dal desiderio
di balzare il suocero dalla reggia : ma intanto che a tale
disegno applicavasi, erane dai voti contrariato e dal pianto
della consorte. In opposito il mite sposo , fermo in cuor
suo che non aveasi ad offender il suocero ma che do*
veasi aspettare che la natura ne consumasse la vita , ni
tollerando che il fratello commettesse quella ingiustizia,
era spinto in contrario dalia ribalda sua compagna ,
che lo istigava e garrivalo , rimproverandolo come vile.
E poiché niente poteano nè le suppliche della savia donna
che insinuava il suo meglio al non giusto suo sposo ,
nè le istigazioni della malvagia che provocava ai delitti
Taomo suo, che non era temperato a commetterne;
ma ciascuno seguiva l’indole sua tenendo per molesta la
compagna perchè non avea desiderj uniformi ; la prima
ne piangeva , ma comportava l’acerbo suo caso , quando
l’altra fremevane audacissima, e cercava come togliersi
dal sno camerata. Or qui levatasi di mente la scellerata,
considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito
della sua germana , sei fa eh iamare , quasi per abboc*
carsegli di necessarie cose.
XXIX. E poiché fu venuto; ordinando che si riti*
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44 DELLE Antichità’ romane
tasserò quanti eran seco per discorrere sola con solo»
Or su, disse, o Tarquinio posso io liberamente e
senza pericolo ridire quanto medito pel bene di am-
bedue ? Lo celerai tu quanto sei per udire ? o vai
meglio che io taccia , nè palesi V arcano' consiglio ?,
£d invitandola Tarquinio à dire, e certificandola coi
giuramenti, qualunque ne volesse, cbe-taóerebbe i di-
scorsi ; ella non più contenuta dalla verecondia >neO‘ amici che abbondano ,
ed altre comodità copiose e grandi per imprendere.
Che più, dunque t’ indugj ? u4 spetti forse il tempo che
per sé stesso venga e ti dia la corona senza che pur
te ne brighi ? Quando ? dopo la morte di Tullio ?
Jippunto la fortuna riguarda gl’ indugj degl’ uomini ,
appunto la natura pon fine alle vite secondo la pro-
porzione degli anni ! Anzi oscuro , incomprensibile è
f esito delle cose mortali. Sebbene , io lo dirò pur
francamente , quandi anche tu me ne chiami temera-
ria , una a me sembra , una la causa per la quale
niente commoveti , non l’ amor degli onori non della
gloria. Hai tu donna mal conforme a tuoi modi; e
questa li lusinga , e t’ incanta , £ ammollisce : e da
questa rendalo men che uomo diverrai finalmente un
ignoto. Così pure quel marito eh’ è meco, tutto paura,
e senza nulla di virile , quegli ha depresso me ch’era
nata alle grandi cose , quegli ha fatto il fiore lan-
guir di bellezza che mi avvivava. Se portava il de-
stino che tu prendessi me per moglie ed io te per
marito , già non saremmo tanto tempo vivati nella
ignobilità de’ privati. Che dunque non emendiamo le
colpe della sorte ? che non trasmutiamo il matrimo-
nio ? che non togli tu dalla vita cotesta tua donna ?
Io sì che apparecchio per quel mio marito /’ egual
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46 DELLE Antichità’ romane
trattamento. E quando , spenti questi ^ ci sarem con-
jugcUi y allora consulteremo con 'sicurezza sul resto ,
liberi già dagli ostacoli che ci conturbavano. Che so
altri per cUtre cause teme la ingiustizia ; già non è
da riprendersi chi tutto ardisce per dominate.
XXX. Mentre Tullia cosi diceva, ne ascoltava Tai>
quinio con diletto i disegni : e dando immantinente e
ricevendo i pegni di fede, e le primizie dell’ empie noz-
ze , si ritirò. Non andò guari tempo ; .e perirono p^
eguale sventura la primogenita di Tullio, ed il minor
de’ Tarquinj. E qui sono astretto a far parola di nuovo
di Fabio, e riprenderne la negligenza nell’esame dei
tempi. Imperocché fattosi alla morte di Arante non. pecca
per questo capo solo come io dinanzi dicea, che deaeri-
velo per figlio di Tarqninio ; ma per l’ altro ancora che
narra , che mortosi Arunte fu sepolto dalla madre Ta-
naquilla , la quale non potea di que’ tempi più vivere.
Conciossiachè giù di sopra fu dimostrato che costei nu-
merava settantacinque anni , quando mori Tarquinio.
Ora aggiungi a questi altri quarant’ anni , giacché sap-
piam dagli annali che Arunte mancò nell’ anno quaran-
tesimo del regno di Tullio; e saran gli anni di Tana-
quilla cento quindici. Tanto picciola nelle storie di que^
st’ uomo é la cura intorno la ricerca del vero ! Dopo
ciò Tarquinio senza indugio riprese in Tullia una mo-
glie , ricevendo lei da lei stessa , e senza che la madre
approvasse , o consolidasse il padre quelle nozze. E come
que’ due impurissimi , come que’ due micidiali si con-
giunsero , tentarono di cacciare se noi cedea di buon
grado, Tullio dal trono: e teneano perciò delle con-
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LIBRO IV. •
Al
venticole , e raunavano que’ senatori che aveano cuore
alieno da lui e dalie forme di un governo’ popolare, e
comperavano i più bisognosi della città quei che non
Bveau cura ninna della giustizia , facendo intanto tutto
senza nasconderlo. Tullio vedendo ciò , ne fu contur»
baio , e temette di essere sorpreso da qualche infortu-
nio. Nè dovrebbesi meno se dovesse far guerra alla figlia
ed ai genero , e pigliarne vendetta come di nemiri.
Adunque invitò molte volte Tarquinio a discorso in
mezzo degli amici ; ora redarguendolo, ora ammonendolo
ed ora esortandolo a non far contra lui mancamento.
Poiché però costui non lo attendeva , e pretestava che
direbbe in Senato i suoi diritti; egli stesso adunando il
Senato , incominciò : Tarquinio o senatori ( e ben mi
è ciò manifesto ) Tarquinio tien dei congressi; Tar~
quinio m insidia lo scettro. Io da lui voglio , pre-
senti voi, risapere, qual privata ingiuria ha da me
sostenuta , o qual vede che io ne ho fatta sul pub-
blico per insidiarmi. Rispondi Tarquinio, non '{infin-
gere , di che avresti tu mai per incolparmene? È que-
sto il Senato , ove di essere udito desideravi.
XXXI. E Tarquinio replicò : Breve o Tullio sarà
il dir mio , ma giusto ; e però voleva io profferirlo
tra questi. Tarquinio V avolo mio possedè la reggia
di Roma , e molti e grandi travagli sostenne per essa.
£ lui morto , io , gli debbo succedere secondo le leggi
comuni de’ Greci e de Barbari. E convenivasi , come
si conviene a quei che succedono agli avi , che io ne
ereditassi non pur le monete , ma la reggia : e tu mi
davi le une, come lasciate da esso, e mi toglievi la
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48 DELLE Antichità’ romÀn¥
reggia , e già da tempo la tieni , senza averla mai
ricevuta a norma delle leggi : perocché nè gl’ interré
vi ti scelsero , nè i senatori mai per te davano il
voto , nè assunto vi eri dacomizj legittimi come l’avo
mio e come tutti i re precedenti. Tu andavi al trono,-
e comperando e subornando per ogni modo una turba
di vagabondi e di miseri, una turba rovinata nella
stima per le accuse e pe’ debiti , una turba infine
niente sollecita del pubblico bene : e così andandovi
nemmeno dicevi di stabilirlo per te , ma davi' le viste
di custodirlo per noi orfani e pargoletti: e dichiaravi,
udendolo tutti , che quando saremmo già adulti , lo
renderesti a me che sono il pià grande. Se dunque
volevi tu far la giustizia, quando mi consegnavi la
casa , quando il danaro dell’ avo ; dovevi tu conse-
gnarmene nommeno la reggia seguendo V esempio dei
tutori onorati e dabbene, i quali ponendosi alla cura
de’ regi figli, orfani de loro padi’i, rendono ad essi
appena son grandi puntualmente e santamente la si-
gnoria degli antenati. Che se ancora non io semhra-
vati idoneo a pensieri convenienti , ìiè bastante pei
giovani anni a città si popolosa , dovevi almeno re-
stituirmene il governo quando io giunsi ai treni anni
che son gli anni vegeti del corpo e della mente , e
ne’ quali tu mi davi la tua figlia in isposa. Avevi
pur tu questa età quando prendevi la cura della no-
stra casa e del regno.
XXXII. Ti sarebbe , cosi facendo , accaduto di
esserne detto pietoso e giusto , di essere il partecipe
de’ miei consigli, il partecipe degli onori, e di udir- .
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LIBRO IV. 49
miti chiamar padre , e benefattore « e salvatore ; e con
ogni bel nome , quanti ne sono destinati dagli uomini
per le assioni le pià preziose ; nè io già da quaran-
taquattr anni sarei privo del regno , io non informe
di corpo , io non disadatto di mente. E ciò stando y
osi pur dimandarmi quale aggravio io ne senta, sicché
io labbia per inimico, e te ne accusi? Anzi dX, Tullio ,
dì per qual causa non mi stimi tu degno degli onori
delt avo ; dì , qual ne trovi , qual ten ^ngi buon ti-
tolo di tal mia privazione ? Non pensi forse che io
sia germe puro di quella stirpe, ma intrusovi e spu-
rio ? Come dunque tu curavi un estraneo da quella
famiglia ? o come , quando ei crebbe , gliene rendevi
la casa ? O pensi che io non lontano molto dai cin-
quant’ anni > io pur siegua ad essere un orfano ? un
incapace ed moneti del pubblico ? Lascia dunque gli
schemi di domande invereconde; cessa una volta di
esser malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere
io, son pronto di rimetterle a questi giudici , de’ quali
tu non potresti ih città rinvenirne altri migliori. Ma
se di qua levandoti ricorri tu , come sempre solevi ,
a quella tua ligia moltitudine ; già non sarà che io
mel soffra. Io qui sono appeaecchiato disputare sul
giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo , se
non mi- ascolti.
XXXIII. Al tacere di lai ripigliando Tullio il discorso,
così disse : Quanto è vero o senatori che dee t uomo
aspettarsi ogtd caso pià impensato nè crederne as-
surdo rduno, se fn questo Tarquinia sta per levarmi
DIONlGt, tomo tZ. '
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5o DELLE Antichità’ homank
dal pritKÌpato : questo Tqrquinio , else io prendea ,
che io salvava fanciulletto da’ nemici che lo insidia-
vano , che io educava e crésceva , e cresciuto, ' com-
piaceami di avermelo a genero, ed erede infine di
tutto se io patissi umana vicenda. Ma poiché tutto
mi riesce in contrario , e che ne sono ami accusato
come ingiusto ; serberommi a piangere la mia sorte ,
rispondendo ora su miei diritti a fronte di lui. O Tar-
quinio , io presi la cura di voi lasciati fanciullini :
nè già di voler mio , ma costrettovi dalle brighe , la
presi. Imperocché si dicea che quelli ette aveano ma-
nifestamente ucciso I avolo vostro onde riprendersi il
tròno , avrebbero occultamente insidiato • anche tutto
il parentado : e quanti a voi per sangue si riferi-
scono , tutti confessano , che se quelli restavan gli
arbitri del comando , non avrebbero pur seme la-
sciato della stirpe de’ Tarquinj. Non ci avea curar
tore , non tutore ninno di voi se non una donna , la
madre del vostro padre , . bisognosa ancor essa di alr
tri curatori per la cadente età siui. Rimanevate vm
solo a me corifidati , custode unico dell orbitade vo-
stra , a me che ora chiami un estraneo , un che niente
a voi si appartiene. Jn tali turbolenze ponendomi al
comando io punii gli uccisori' deU’ avolo vostro', e ’
voi crebbi allo stato di uomini , nè avendomi prole
virile , io vi eleggea ^perchè à me succedeste. E que-
sto o Tarquinio il discarico della mia ‘cura; nè già
potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna, .
XXXIV. Ma quanto al regno , poiché di questo mi
accusi, odi come io me ìo abbia^ e le Cause per le quali
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LIBRO IV. 5l
10 non a voi lo ceda , nè ad altri. Quando io presi
11 governo , avvedutomi che mi si tramavano delle
insidie , volea nelle mani riporlo del popolo. E chia-
mando tutti a concioAe , io già faceami a cedere il
comando per cambiare con una vita di calma e senza
pericoli^ la vita del comcmdare , la quale è piena di
invidia ,■ e sparsa pià di amarezze che di piaceri. Non
comportarono i Romani che io tanto eseguissi , nè
vollero alcun altro sul Comune , e me ritennero , ed
a me diedero col consenso de’ voti , il régno , quel
possesso loro, o Tarquinia , e non vostro. Così pure
l'Oveano già dato all’ avolo vostro tuttoché forestiero,
e niente congiunto col re precedente ; sebbene Anco
Marzio lasciava de’ figli maschi e floridi per anni ^
e non de’ nipoti , e piccioli , come Tarquinio voi la-
sciò. Se legge è comune di tutti, che chi eredita le
sostanze e i danari dei rei che cessano , debba in-
sieme r,iceverne il regno , dunque non fu Tarquinio
l’ avolo vostro che al morire di Anco ottenne là co-
tona , ma il figlio primogenito di questo. Ma il po-
polo di Roma chiama al comando t uomo degno di
averlo, e non il successore del p’adre. Imperciocché
giudica che le sostanze sieno di chi le possiede, ma
che il regno sia di quelli che il diedero ; giudica con-
venirsi che ottengano quelle gli eredi per sangue o
per testamento se i padroni sén muojono , e che tomi
l’ altro a chi ’l diede se vien meno chi preselo a reg-
gere •; se non forse hai tu da contrappormi che I avolo
tuo ricevette il regno con tal condizione che non po-
tesse pià tortegli, e che lo tramandasse a voi suoi
5a DELLE antichità’ homane
discendenti; sicché non fosse pià t arbitro esso po-
polo, di conferirlo a m«, levandolo a voi. Ma se hai
tu punto di simile, che noi produci? Ma non gli
hai tu questi patti. Che se io non ebbi il regno per
buona via come dici , non- eletto dagf interré , noti
portato dai senatori agli cffari, né compiendo il re-
sto a norma dette leggi; questi dunque, .questi ho
10 vilipesi e non te : e questi e non tu , saria giusto
che V autorità men finissero. Ma nè io violai questi,
né cdtro chiunque. Jl tempo tn é buon testimonio’, che
11 potere mi fu dato legittimamente, e che legittima^
mente mel tengo. Imperocché già ne volge I armo
quarantesimo e niun Romano pensò mai che io com-
mettessi , avendolo , una ingiustizia ; e non il po-
polo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene.
XXXV. Ma lascisi pur tutto ità : diasi pur luogo
alle tue ragioni. Se io te privava di un deposito del-
t avo , se io mi ascrissi il tuo regno contro . tutti i
diritti degli uomini, convenivasi che tu a quelli ne
andassi che mel diedero : che con quelli ti ramari-
cassi e garrissi che io mi tenga te cose non 'mie ; è
che essi mi si obbligarono col dispensarmi t. altrui:
e se tu il vero dicevi; di teneri gli [avresti persiut-
si. Che se tu non certificavi ciò co- tuoi parlari ; e
tuttavia pensavi , indebita cosa che io regnassi, e che
tu sei pià acconcio al maneggio del pubblico ; potevi
almeno , fatta ricerca diligente de miei errori , e nu-
merate le belle tue gesta , riclamartene giuridicamente
la precedenza. Ma tu non hai fatta, nè luna nè F al-
tra cosa; e dopo tanto tempo , finalmente , quasi ria-
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LIBRO rv. 53
vendati da lunga ebbrietà , vieni per accusarmene » e
nemmen ora dove si dee. Canciossiachè, già non con-
viene che queste cose qui dichi ( e voi non ve ne sde-
gnate o Padri., mentre io cosi parlo non perchè vi
si tolga questa causa , ma per dichiararvi li costui
vanilotfuj ) , ma conveniva che preaccennandomi tu.
che aduneresti il popolo a conciane là mi accusassi.
Ora ciocché hai tu schivato , lo supplirò io questo per
te :• convocherò il popolo , lo Jarò giudice delle Mense
che òuoi : lascerò che decida di nuovo , qual sia pià
idoneo di nói per comandare ; e quello che là desti-
nasi, quello adempirò. Ma basti il fin qui detto a
risponderti : perciocché toma allo stesso dir poche o
molte ra^ni eon emoli che non le apprezzano , men-,
tre questi per indole nemmen soffrono ciocché li per-,
suada ad essere umani.
^XXXYl. Ben io mi meravigliava o senatóri che
sdeuni di voi (se ve ne sono ) volendo depor me , co-
spirassero con costui. F^olentieri udirei da loro per
qual mia ingiustizia mi fan guerra, o da quale mio
trattò inaspriti. Sanno essi forse che assai nel mio
principato , perirono senza essere uditi, assai furono
spogliati, di patria , assai delle sostanze, o con altro
sciagure affitti ? o non avendo a ridire su me niun
tirànnico modo di questi , sono essi forse conseqtevoli
delle, mogli lóro da ma disonorate ; delle prof ansate
loro verini figlie, o di tal altra mia incontinenza su
ingenue persone ? Egli è giusto se in me sorto tali
eplpe , che io sia , nonuì del regno privato , che della
vita. O può .dire alcuno che un superbo io sono , un
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54 DELIE Antichità’ bomane
esoso per la mia durezza, un-iiHollerabile per la mia
caparbietà nel governare ? Qual mai dei re predeces- ■
sori fu così moderato , così umano nel suo potere ,«
o qual fu con tutti come me , quasi un tenero patire
co’ figli? Io quel potere che voi mi deste, voi custodi
di ciò che avete dagli avi ricevuto io non lo volli
questo nemmen per intero : ma creai leggi, ( e voi le
approvaste queste leggi) su cose principalissime ,• e
le intimai perchè tutti esigeste e rendeste cots-esse i
diritti , ed io stesso il primo mi vi sottoposi , docile
come un privato agli ordini , che io dava per nitri.
Che più : non io mi tenni giudice di tutte le ingiusti-‘
zie ; ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri-,
vate} ciocché ninno uvea fatto dei re precedenti. ^Laon*
de , non vedesi in me colpa sicché altri me ne con-
trarino. O turbano voi forse i benefizf miei verso del
popolo ? Ma non sarebbe così pensare un offendeivi !
se già tante volte con voi me ne giustificai. Se non-
ché niente bisognano discorsi tali : se a voi pare che-
questo Tarquinio , preso il govermo, sia per ammii-
nistrarvelo anche meglio : io non invidio a . Roma .il
suo miglior principe. Restituendo il comandò al po-^
polo che mel diede, e tornandomi tra privati , farò
che vedasi chiaramente che io sapea tanto, ben' «io»
minare , ' quanto io posso dignitosamente servire^ . 55
ascese in tribuna , e tennevi un patetico e Inngo ragio-
namento óve numerò le gesta militari eh’ egli iece men-
tre viveva Tarquinio e dopo , e .ricordò mano a mano
le istitnaioni donde sembrava il Cornane prosperato di,
molte ; e grandi utilità. E venendogli dal dir di ogni fatto
-amplissime lodi, e desiderando ornai tutti sapere perchè
li ridicesse , palesò finalmente come Tarquinio accusa- •
vaio di' egli tenesse a torto un regno che a lui si do-
veva : e come apaigeva che l’avolo gli avea nel morire
lasciato con le ricchezze anche, il regno , e che non po-,
teva il popolo concedere ciocché suo non era. E qui
-^Vegliatosi in tutti clamore , ed. indignazione , egli inti-
mando silenzio, piega vali, che non impazientissero nè
tumultuassero a quel dire : ma chiamassero Tarquimo ,
e se. forse aveva giuste cose da esporre le conoscessero:
e se lo trovassero offeso, e se. piò idoneo a reggere ,
gli affidassero pure il comando di Roma : egli se ne al-
lontanerebbe , e renderebbelo ad essi da’ quali lo .ebbe.
Cosi lui dicendo e movendosi già per,i iscendere dalla
' tribiina , , proruppe da tutti un grido , un gemito , un
pregar vivo ebe non cederne ad alui.il comando. E ci
avea por chi esclamava elve si avesse a tempestare Tar-
qninio : e colui , vista in fremito la moltitudine, temendo
che non gli desser di mano ; foggiasene cogli amici in
casa. Allora tripudiando tutto il popolo ricondusse tra
gli applausi e le acclamazioai Tullio alla reggia.
■ X^XVllL Tarquinio, veuutogK meno, quel tentativo,
fremè dal rancore, che il Senato non gli dess^ alcnn
aiuto, quàndo egli fidava su questo principalmente; e
teuniesi per alcun* tempo in casa non conversandolo che
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56 DELLE Antichità’ romane
gli amici. Quando la donna sua gli si fece a dire elle
più non dovea star mollemente a bada , ma ebe dovea^
lasciate le parole , Tenire ai fatti, e primieramente cer-
car pace per mezzo degli amici da Tnib'o , perché co-
lui credendoselo riconciliato, meno il guardasse. E pa-
rendogli eh’ ella ben consigliasse , finse di esser pentito,
e più volle per .mezzo degli amici Orò caldamente Tul-
lio affinchè lo perdonasse ; né difficilmente ve lo indusse,
essendo placabilissimo per indole, ed alieno da nna guerra
inestinguibile colla figlia e col genero. Ma venutogli po-
scia il buon ponto , essendo il popolo sparso ne’ campi
per la raccolta , egli usci cìnto di amici co’pngnali sotto '
d^li abiti: dati i fasci ad alcuni de’ servi, e* presa per
se regia veste ed altri simboli del comando , si recò net
F oro ; e standosi dinanzi la Curia , intimò che il ban-
ditore convocasse il Senato. E siccome ci aveanO già pel
Foro appostatàmente molti de’Patrizj consapevoli ed isti-
gatori del delitto ; allora si concentrarono. Intanto corso
alcuno in casa di Tullio lo informa come Tarquinio' ersi
uscito con regie vesti , e chiamava i Padri a consiglio.
Stupitosi Tullio dell’ ardimento andò tra piccfolo seguito
con più velocità che saviezza: e giunto nella Curia) e
vedutolo in sul trono , e con gli altri distintivi reali ,
chi , disse , chi , scelleratissimo uomo , ti concedè que-
sti onori? e colui, /ìi, replicò, l’ardire tuo; fu la
tua inverecondia o J\dlio ; perocché non essendo tu
libero , ma servo nato da serva « e posseduto qual pri-
gioniero dalT avolo mio, ti arrogasti il comando di
Roma. Tullio , ciò udendo , inaspritone , à biqciò fnor
di proposito su lui , come per isbalzaflo dal trono. Vide
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tlBKO IV. 5'J
TaitjaÌDio ciò con diletto ^ e sorgendo dalla regia sede
afferra e trasportasi Ini vecchio , che grida , ed invoca
i suoi. Giunto fuori della Curia egli florido e forte, le*
vaio in alto > e trabalzalo giù per le scale che mettono
al luogo de* contizj. Alzatosi appena dalla caduta il vec-
chio , cóme vide intorno , pieno tutto de* partigiaui di
Tarquioio , e deserto e vuoto de* cari suoi , partesene
malconcio e mesto con pochi che lo sostengono , e ri-
coóducoDO , mentre riga intanto la via di sangue.
XXXIX. Narransi dopo ciò le opere dell’ empia e
barbara figlia, tremende ad udirsi, come portentose nè
credibili a farsi. Costei sentendo che il padre era ito in
Senato vogliosissima di conoscerne la fine , venne in sul
cocchio nel Foro : e conosciutavela , e veduto Tarqui-
nio in su le scale della Curia , essa la prima a gran
voce lo salutò monarcA , supplicando gF Iddii , che il
regno di hii riuscisse propizio a Roma. E salutandolo
monarca altri ancora de’ cooperatori suoi , • lo trasse in
disparte e di^se: Le prime cose o Tarquinia te hai
Ut faUe come àoveansL Ma finché vive TuUio non
potrpi renderli stabile il regno. Egli se abbia picciolo
tempo di questo giorno ; ecciterattene incontro il po-
polo ; e tu sai’ quanto il popolo tutto è per lui. Su
dunque' prima ih* ei torni in casa , manda chi lo uo
cida ; te ne libera. Ciò detto , e sedutasi di nuovo in
sul cocchio ,. parti. Tarquinio convinto che la iniquis-
sima donna ben consigliava , spediscegli contro alquanti
de’ suoi ■ co* brandi : e quelli trascorrendo rapidissima-
ménte la via raggiunsero Tullio pressò la casa , e lo
uccisero. Abbandonato palpitavane ancora il cadavere
58 DELLE antichità’ BOMANE
per la strage recente ; quando la figlia sopraggiunge :
ma stretta essendo la via donde avessi à passare le
mule a tal vista si spaventarono : e 1’ auriga stesso .che
le guidava mosso da compassione si fermò e si volse
a colei. La quale dimandandogli perchè mai non pro-
cedesse : Non vedi , disse , o Tullia , che qui giace U
morto tuo padre , nè vi è transito fuorché, sul cada-*
vere suo ? E sdegnatasene quella , e levatosi lo scAbello
da’ piedi e lanciatoglielo disse : ’E non le guidi o stolto
in sul morto ? E colni gemendo anzi per la compas-
sione elle per la percossa spinse forzosamente le mole
so del cadavere: E la via chiamata Olbia (i) per ad-
dietro, fu dopo il tragico e barfiAro caso, detta nélF i—
dioma de* Romani scellerata. ' ‘
XL. Tale fii il termine di Tullio dopo quaranta-
quattro anni di regno. Dicono che qnest’nomo il primo
alterasse ì patrii costnmi e le leggi .ricevendo il prin-
cipato non' dal Senato insieme, e dal popolo come
tatti i re precedenti ma dal popolo . sedo , guadagnane
dosene la classe > indige nte con' distribnzione e'donii, ^
altri sedncimentL E cosi sta la'veritè; perciocché' nei
•> *-
(l) OAjStar >0 greco saU fiUce , firtunaUn sareiiba il teina che
la vìa ftlice fortunata fu delta scelterata pel delitto. Alcuni leggono
»va-fi»s io luogo di tXfittf, certamente, secondo che scrive Var—
rime nel lib. ^ , de lingua laiina, i Sabini quando tinnirono ai Ro-
mani , chiamarono Cipria la contrada di Roma nella quale si allog-
giarono come per buono angario, perché Cjrprwn tra’ SaiNui tigni—
Scava il bene. E secondo ciò la contrada, detta Cipria o. buona dni
Sabiui pel buon augurio, sarebbe appunto quella ghe fu. poi della
scrllerata per la empietà commessavi. Ma Varrone .scrive che questa
contrade cran prossime , e non già le. medesime.
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LIBRO IV.
prifni tempi quando un re moriva , il popolo dava al
corpo del Senato la podestà di stabilire la forma che
pià volessero di governo, ed il Senato nominava gl’in-
terré, e gl’ interré sceglievano per sovrano 1’ uom più
pregevole sia de’ cittadini , sia de’ nazionali, sia de’ fo-
restieri : e se il Senato ’ne approvava la scelta, se il po-
polo co^ voti suoi r aotorizzava , se gli anspizj la con-
fermavano, còlui prendeva il comando. Che se mancava
alcuna di queste condizioni, ne; nominavano nn 'secon-
do ; e poi un terzo, se avveniva che il secondo non
avesse propiziò quanto era d’ uopo dal cielo e dagli'
notami. Ma Tullio, come innanzi fu detto, assumendo
in ■principiò il carattere di regio tutore , e poi guada-
gnandosi il popolo con gli amorevoli modi', fu -re no-
minata solamente da quello* Poi • diportandosi come uo-
mo temperato e clemente fe' colle opere successive ta-
cere le accuse*, che non avesse* adempita ogni cosa a
norma delle Ipggi ; lasciando a > molti il 'sospetto , che
se non era presto > levata; avrebbe' ridotto- lo Stato- a
forma di una repubblica. E (|nesta é la cagion princi-
pale. per «ui dicesi che alenai de’ palrizj lo insidiassero^
Pionr potendo con altro modo hnirne il comando , ini-
sero -TarqUinie alla impresa e gli cooperarono il regno^
per voglia di deprimere -il •'popolo fornài troppo potente
pel ' governo
tura un giorno ; nella prossima notte spirò. S’ ignorava
però da molti la maniera del termine suo. Diceano al-
cuni eh' ella stessa aveasi data da sé la morte , an-
teponendola al vivere. Altri però diceano che era
stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo ad-
dolorata e benevola inverso lo sposo. Per queste ca-
gioni il corpo di Tullio fii privo di regj funerali , e di
magnifico monumento : conseguì però coUe opere sue
memoria perenne in tutti, i tempi. Anzi quanto iegU |
fosse caro agl’ Iddìi lo., fece eziandio palése nu se-
gno celeste : dond’ è che alcuni tennero ancora per vera
la opinione incredibile e fiivolosa intorno la nascita sua
come dianzi fa detto. Appiccatosi il fuoco id tempio
delia fortuna , che egli area già fabbricato, mentre tutto
era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente la
statua di lui in legno dorato. . Il tempio e quanto .è' nel
tempio rifabbricati dopo l’ incendip sul modo antico
presentano le traccie di un’ arte recente: ma la statua ,
antica com* era nelle fattezz^. vi riscuote ancora il qulto
dai Romani. E ciò è quanto abbiamo ricevuto sopra
Tullio.» . ,
XLI. Dopo di lui prese la siguoria di Roma Laicìo
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LIBRO IV. . 6l
Tar^illnio non gi^ fecondo le log^ ma colle armi nel-
r anno quarto dell* olimpiade sessantesima prima nella
quale vinse nello stadio Agatarco , essendo arconte di
Atene Tericleo (i). Cosmi spigando la popolar mol-
titudine , spregiando i patria] da’ quali era stato con-
dotto al trono, e confondendo e sconciando ogni co-
stume- e legge e disciplina colla quale i re precedenti
ave'ano dato forma a Roma; rivolse il governo in nna
manifesta tirannide. E primieramente mise intorno a sé
guardie di bravi , naaionali ed esteri , con spade e lan*
ce, i quali vegliando di notte negli atrj della reggia ,
é scortandolo di giorno, ovnnqne ne andasse, lo scber»
missero appieno dalle insidie.' Inoltre non usciva nè di
continuo , né con periodo certo , ma di raro , e quando
non aspettavasi. Deliberava su le cose comuni molto
in sua casa , e poco nel F oro , in mezzo a’ parenti più
stretti cbe lo guardavano. Non concedette che alcuno
di quei che il volevano si presentasse a Ini se noi
chiamava : e presentatoglisi , non era giè con esso ,
compiacevole e mite , ma grave ed aspro ' come un ti-
ranno, e terrìbile ansi che gioviale a vedere. Definiva
le controversie su’ contratti in conformità de’ costumi
suoi , non delle leggi e del dritto. Per le quali cagioni
i Romani lo denominaron superbo , ciocché nell’idioma
nostro vuoi dire soperchiatore contrassegnando l’ avo
col soprannome di Prisco, o come noi diremo antico
per nascita, giacché quello aveva i nomi appunto del
giovine.
(i) NelP annp »e di Roma secondo Catone, a» seconde Vat-
reus , e &3a avanti Cristo.
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6a DELLE antichità’ ROMANE
' XLI. Qaaado poi concepì di aver già consolidato il
suo regno , concertandosene co’ più ribaldi de’ suoi ami>
d, avviluppò tra accuse capitali i piò cospicui de’ cit-
tadini ; e primieramente i contrari suoi , quei che già
non^voleano che Tullio si levasse dal trono , e quindi
altri li quali immaginavaseli malcontenti del cambia-
mento , o li quali abbondassero di riccbezae. Coloro
che in giudizio li riducevano, gli accusavano l’un dopo
l’altro con delitti falsi, e con quello specialmente che
tendevano insidie al re che ne era il giudice. Ed egli
quali ne condannava alla morte , e quali all’ esilio: e
confiscati i beni degU uccisi o banditi , dispensavane
alcun poco tra gli accusatori , serbandone la piò gran
parte per sè. Pertanto molli de’primar} vedendo le ca>
gioni per le quali erano insidiati, lasciarono , prima di
essere complicati in delitti, Roma tutta al Uranno. Vi
furono pure alcuni sorpresi ed oppressi di furto da lui
nelle case o ne’ campi : uomini ben degni di riguardo ,
ma non piò sen trovarono nemmeno i cadaveri. Di-
Btrutla così la maggior parte del Senato con su*agi e
con esilii perpetui la supplì con chiamare agli onori di
quei che mancavano i propri amici: nè però concedette
loro di fare o dire se non quanto egli avesse prescritto.
Tanto che li senatori già scelti da Tullio , e superstiti
ancora nel Senato , e contrarj fin’allora al popolo sul
concetto che la mutazione tornerebbe in lor bene per
le promesse avutene da Tarquinio ingannevoli e tradi-
uici , vedendo infine che non aveano piò parte nelle
pubbliche cose, anzi che aveano' come il popcdo per*
dula la libertà ne sospiravano : ma temendo un avve-
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.LIBRO IV. 63
nire ancor più tetribile , nè potendo impedire «pianto
faceagi , chctaronsi necessariamente a’ mali presenti.
XLllI. Or vedendo il popolo dò , pensava che stesse
lor bene , e godea sul «Hintraccambio , quasi là tt>
rannida foste per essere 'grave a quelli soltanto e non
pericolosa per lui ; quando non molto dopo ne vennero
i mali ancora più su di esso : imperocché Tarquinio
annullò tutte le leggi di Tallio per le quali il popolo
rendeva ed esigeva il giusto con diritti eguali senza es>
seme come prima sovverchiato da’ patria) ne’ contratti :
né lasciò pur le tavole dove erano scritte , ma fattele
levare dal Foro le distrusse. Poi tolse i daz) , propoiv
zionevoli ai registri delle sostanze , tassandoli novamente
sul modo antico. E se mai bisognavano a lui denari,
Contribuivane il più ' povero quanto il più ricco. Or
tale regolamento esaurì subito colla prima imposizione
gran parte dei popolo; essendo astretti a pagare dieci
dramme a testa. Intimò 'che non più si facessero quei
concor» , quanti sen facevano per villaggi, per curie',
o per vicinati , a Roma , o nella campagna in occasione
di feste o sagri6zj comuni , perchè riuneudovisi molti
non vi macchinassero occultamente fra loro di abbattere
il principato. Ci aveano qua e là disseminati , ignoti
osservatori e spie dei detti e de’ fatti , e questi intra
punto contro il governo scandagliavano gli animi: e se
scoprivano alcuno esasperato da’ mali introdotti lo in-
(xilpavano presso del tiranno: ed aspre» irreparabili ne
erano le pene , se restava convinto. >
XLIY. Né gli bastò di abusate m tal modo' del po-
64 DELLE ANTIC&ITa’ ROMANE
polo : ma raccogliendo dal meazo di esso quanti ci area
6di e proprj per la gnerra , astrinse gli altri a lavorare
in città, riputando che i re moltinimo pericolano, ae
i più scellerati e poveri stieno oziosi. E desiderando vi-
vamente che si ultimassero nel suo regno le opere la-
sciate imperfètte dall’ avo suo, che si continuassero; fino
al fiume le cloache cominciate da quello e si circondasse
di portici coperti il Circo Massimo il quale -non aveane
che le gradinate; si applicarono a questo lavoro; e ne i
ottennero parco frumento i poveri , altri tagliandone i
materiali, altri guidando i carri che li trasportavano, ed
altri portando su le spalle i pesi. Chi scavava sotterra-
nei canali e largure : chi facea volte in essi ; e chi sn. Tarquinio perché aveasi scelto Mamilio per genero
e non lui , fece uda lunga accusa di Tarquinio nmne-
randone le op^re di orgoglio e di soperchieria , come
il nou essere venuto in consiglio, dove eran già tutti,
e dove gli aveva esso • stesso invitati. Difendealo Ma-
roilio , imputando l’ indugio a cause urgenti^ime, e chie-
dea che diiferissero ; e differirono il consiglio al prossi-
mo giorno , indotti dai suo parlare i Latini.
(t) Livio nel lib. i dice che era della Aiceia : Tur /mi Herdo-
»iui ai Arida. Forte la gran vicinanta di Coriolo e dell'.tfr(cM
Ccce prender l’nna per l’altro. Coriolo era fra i terrìtorj Amiate,
Ardcatinp , ed Aricino , tal monte Giov».
toJOttlQI tomo Jl. %
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66 DELLE antichità’ ROMANE
XLYI. Giunto nel giorno appresso Tarquinio , e con-
gregato il consiglio , e toccato di volo l’ ittjiagio suo ^
fecesi a discorrere della preminenea che a lui cecnpe-*
teva come posseduta già dall’avo per la forza delle armi;
e presentò gli accordi delle città fatti ctm quello. Lungo
fu il suo ragionamento intorno dei diritti -e def patti; e
grandi le premesse di beneficare le città se amiche gli
si tenessero , e provocavale infine a far guerra con esso
ai Sabini. Come dié fine al dir suo. Turno recatosi in-
nanzi accusava la tardanza di lui, nè permetteva che li
compagni gli cedessero il principato, perchè nè dovuto
a lui per giustizia , nè possibile a darsegli con utile dei
Latini. E molto ragionò su l’nna e su l’altra cosa dicendo
che i patti che avean segnati ccfll’avo suo quando gli ac-
cordarono la sovranità finirono colla sua morte, per non
essere scritto in quelli che il dono esienderebbesi anche
ai posteri suoi. E qui dimostrava eh' egli chè pretendeva
succedere ai diritti dell’avo, era il più ingiusto, e mal-
vagio ' de’ mortali : e ne allegava le opere da lui latte
per aversi il comando di Roma. Adunque scorrende^ i
tremendi e molti suoi delitti , conchiuse infine che egli
non tenea legittimamente nemmeno Roma, non aven-
dola come i re precedenti ricevuta da’sudditi spontanei.;
Egli t lui presa , disse , colla violenza e ' colle armi: &
fondatavi la tirannide , uccide , esilia, confisca , e tò-
glievi fin la libertà di parlare, non che quella del vi~
vere. Ben sarebbe grande la stoltezza, grande la in-
giuria inverso gli Iddj ripwmetlersi mai tratti umani
e benevoli da un empio e da uno scellerato , e cre-
dere che chi non ha perdonato nemmeno agi intimi
t
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LIBRO IV. 67
ruoi j nemmeno al suo sangue , risparmi poi gli altri.
Esorlavali dunqne giacché noa eransi ancora sottoposti
al giogo , a combatto^ per non sottoporvisi. Da ciò che
pativano gli altri di terribile argomentassero ciocché sa*
rdibero essi per sopportare.
XLVII. Vaiatosi Turno di questo discorso, ed assai
commossine i più; Tarqainio dimandò per difendersene
il giorno seguente , e lo ebbe. E sciolto appena il con-
siglio ; convocati i suoi più intimi , esaminò con essi
ciocch’ era utile a farsi. £ quali suggerivano le ruposte
di apologia , quali ragionavano fra loro de’ mezzi onde
era da blandirsi la moltitudine. Soggiunse Tarquinio
che niente di ciò bisognava, e disse il parer suo di le*
vare l’accusatore , anziché di purgarsi dalle accuse. E lo«
datone da tutti e concertatosi con essi; pigliò tali vie
per l’intento, quali non sarebbero cadute in mente di
uomo che macchina o si difende. Imperciocché cercati
U servi più rei che menavano i giumenti o curavano le
robbe di Turno , e corrottili con argento , gl’ indusse a
prendere da sé stesso nella notte assai spade e portarle
nell’ ospizio del padrone e nasconderle , e lasciargliele
tra le bagaglio. Poi nel giorno appresso , riunitosi il
consiglio, e venutovi : Breve è , disse , topologia su le
mie colpe , e giudice ne stabilisco t accusatore mede^
simo. Questo Turno , o compagni , giudice stabilito
delle reitadi che ora mi ascrive , questo da tutte as-
solveami già, quando chiese in isposa la mia figlia.
Ma poiché ne fu rigettato , com' era ben giusto ( im-
perocché qual savio mai rispinto avrebbe Mamilio, un
si nobile , un sì potente Latino , e prescelto avrebbe
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68 DELLE antichità’ ROMANE
per genero costui, che mal può delincar la sua stirpe,
fino al trisavolo ? ) poiché ne fu rigettato, indispetti-
tone mi assalisce colle accuse. Doveva , se per tale mi
conoscea qual mi accusa, non desiderarmi per suo-
cero : o se mi tenea per onesto quando mi chiese ‘la
figlia, non doveami ora come un ribaldo accusare.
E ciò basti su mei perciocché non si debbe ora più
discutere se buono o malvagio io mi sia , quando voi,
o compagni , voi correte il più grave de’pericoli. E. su
me potete aruor dopo chiarirvi : ben ora dee colla sal-
vezza vostra la libertà provvedersi della patria. 1 pri-
marj delle città , quei che ne maneggiano il pubblico,
tutti sono insidiati da questo bel capo-popolo, il quale
apparecchiasi , uccidendo i più cospicui, torsi il regno
del Lazio. E questo , questo é il fine che qua lo
menava. Né già io parlo immaginando , ma di pienis-
sima scienza , datami nella notte andata da uno dei
complici della congiura. E se voi vorrete meco alt ospi-
zio di costui venire, io ven darò documento infallibile
del dir mio, le armi che vi occxdla.
XLVIII. Or lui cosi parlando sciamarono tutti, e chie>
sero , temendo per sè , che certificasse il fatto , . non gK
illudesse. E Torno, come lui che non avea preveduto
le insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione,
e chiamò li primarj per compierla , aggiungendo che se-
guirebbe l’una delle due, o che egli morirebbe se il
trovassero con apparecchio di altre arme che pel viag-
gio , o che le pene sue subirebbe chi lo calunniava.
Cosi piacque ; ed andarono e trovarono nelf albergo cU
liti tra le bagaglie le spade na$costevi da’ servi. ÀUora
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LIBRO lY. 69
Dòn lasciando nemmen che parlasse gillarono Turno in
UDS voragine , e coprendolo , vivo ancora , di terra lo
aterminaron sul fatto. Ed encomiando nell’adunanza Tar>
quinio come benefattore comune delle città, perchè ne
àvea salvalo gli ottimati , lo crearono capo della nazione
co’ diritti appunto co’ quali ne aveano già creato Tarqui«
nio r avolo suo , e poi Tullio. Scrissero in su colonne
que’ patti , e datosene il giuramento per la osservanza ,
si congedarono.
XLIX. Tarquinio divenuto capo de’ Latini spedì mes-
saggeri alle città degli Eroici e de’ Yolsci invitandoli a
far seco amicizia ed alleanza. Ma de’ Volaci due sole
cittadi Echetra, ed Anzio secondarono l’ invito ; laddove
gli Eroici si decisero tutti per 1’ alleanza. Ora curando
Tarquinio che gli accordi colle città si conservassero in
ogni volger di tempo ; deliberò fissare un tempio co-
mune ai Romani , ai Latini , agli Eroici ed ai Volaci
confederatisi, perchè riunendosi ogni anno al luogo de-
stinato vi mercantassero , e banchettassero , partecipando
de’sagrifizj medesimi. Ed ascolundone tutti con piacere
la idea , scelse quanto era possibile in mezzo de’ popoli
per luogo della riunione il monte sublime , il quale so-
vrasta alla città di Alba : e dichiarò per legge che in
questo fbsser le fiere, in questo fosse triegua di tutti
in verso di tutti , e conviti si facessero e sacrifizi co-
muni a Giove detto Laziale , prescrivendo quanta parte
dovesse ogni città contribuire per essi , e quanta rice-
verne. QuaranUsette furono le città compartecipi delle
feste e de’ sacrifizj ; e tali sagrifizj e tali feste le conti*
nuano ancoc di presente i Romani che Laiine le chia*
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'jo DELLE Antichità’ homane
maoo. I^e città compagne nel sagrificare portano agnelli^'
o cacio , o latte , o tal’ altra oblazione in fratti e fari-
ne. Immolandosi però da tutte un sol toro, ciascuna
prendeane per sè la parte stabilitale. Il sagnfizio è per
tutti , ma presiedono al rito santo i Romani.
^ L. Poi cb’ ebbe rassodato il regno con tali confedera-
zioni ; risolvè di porure Tarmata contro i Sabini. E re-
clutando de’ Romani quei che men sospettava che fareb-
bonsi liberi se otteuevau le armi, e conginngendo con
essi truppe alleate, più numerose ancora delle* sue , de-
vastò le campagne Sabine : e vintivi quei che vennero
con esso a battaglia ; menò l’esercito contro de’ Pomen-
tini. Abitavano questi la città di Sessa e pareano i più
felici de’ conBnanti, anzi per la felicità molesti e gravi
a tutti. Avendo egli già reclamato ad essi per alquante
rapine e prede , e richiestili che dessero de’ compensi ,
non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi po-
stisi in arme aspettavano pronti la guerra. Adunque ve-
nuto con essi in sul conBne alle mani , ed uccisine
molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e
poiché non più ne riuscivano , accampatosi dirimpetto ,
li circondò di fossa e vallo , investendo la città con as-
salti continui. Resisterono quei che v’erano dentro, du-
rando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma poi venendo ad
essi meno ogni mezzo , infiacchendo ne’ corpi , e non
ricevendo soccorsi , nè requie mai , anzi travagliando
di e notte ; furono sopraffatti dalia forza. Impadronitosi
della città trucidò quanti vi stavan colle amie: lasciò
che i soldati rapissero donne , fanciulli , quanti sop-
portavano di cader prigionieri , e moltitudine non facile
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LIBRO IV. 7 I
a calcolarsi di servi : e concedè' che invadessero e si
portassero qnant’ altro veniva loro ' alle mani sia nella
città , sia per la campagna : ma 1’ oro e l’argento, quanto
se ne trovò , lo fe’ tutto rammassare in un luogo , e de-
cimatolo per la fondazione del tempio , ne divise il re-
sto fra le milizie. Tanta poi ne fu la somma che ogni
soldato rioevè cinque mine di argento e la decima per
gr iddj non fu minore di quattrocento talenti di ar'
gento.
LI. Ancora egli stavasi a Sessa quando gli giunse un
messaggio , eh' era uscita la gioventù horentissiroa dei
Sabini: che gettatasi in dne corpi nelle terre de’ Ro-
mani devastavano le campagne , l’ uno tenendosi presso
di Ereto , e 1’ altro presso di Fidene : e che se una
forza non le si opponesse, ben tosto tutto soccombe-
rebbe. G>m’ ebbe ciò udito lasciò picciola parte dell’eser-
cito in Sessa con ordine che vi guardasse le prede e
bagaglie : e prendendo con sé il resto della milizia ,
spedita e leggera , e marciando contro quei che erano
accampati presso di Ereto, si trincerò su le alture a pic-
ciolo intervallo da essi. Decisero i due Sabini dar la bat-
taglia in sul mattino; e spedirono perchè venisse l’eser-
cito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il disegno
per essere stato preso chi portava le lettere dagli uni
agli altri. Per tal successo ei si valse di questo accorgi-
mento. Divise r esercito in due parti , e ne mandò l’ una
fra la notte di nascosto de’ nemici su la via che viene
da Fidene , e schierando l’ altra in sul brillare del gior-
no , la menò dagli alloggiamenti alla battaglia. Corag-
giosi gli uscirono incontro i Sabini non vedendo gran
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7 a DELLE Antichità’ romane
serie de' nemici , e credendo non altro mancare aliare
mata di Fidene , se non di gingnere. Coti venutisi que->
sti a fronte combatterono , e la pugna pendè gran tempo
dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da Tar—
quinio ripiegarono la marcia , e correvano a tergo dei
Sabini. Sbalordirono questi al vederli , e ravvisarli dalle
insegne e dalle armi , e gettando le proprie» tentarono
di salvarsi : ma il tentativo rìnsd difHcilissimo , essendo
essi circondati da’ nemici e rinchiusi dalia* cavalleria dei
Romani postata d' ogn intorno. Pertanto pdchi ne scam-
parono e tra duri casi : i più ne perirono , o cederono.
Quelli eh’ erano lasciad agli alloggiamenti non li sosten-
nero ; e quel luogo di sicurezza fu invaso al primo as-
salto. Furono qui prese le robbe de’Sabini, e qui molti
de* prigionieri , e qui le robbe de’ Romani quante ne
erano intatte, e tutto fìi salvato per chi le aveva perdute;
LIL Riuscito il primo saggio a Tarquinio secondo
il cuor suo , prese 1’ esercito, e ne andò contro i Sabini
accampati giù in Fidene, a’ quali non era ancor nota la
disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per
avventura tra via: ma non si tosto furono più da vicino
e videro le teste de’loro capitani confitte alle aste ( che
ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispa-
ventare i nemici); conoscendo com’era l’altro lor campo
distrutto , più non tentarono nulla di generoso , ma ri-
voltisi alle suppliche ed alle umiliazioni si resero. Cosi
devastati miseramente , e vituperosamente nell’ uno e
nell’ altro esercito , e ridotti i Sabini a speranze tenuis-
sime , anzi timorosi che fossero le loro città pigliate di
assalto ; spedirono ambasciadori per la pace., profieren-
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• LIBRO IV. 73
dosi per sudditi e tributar). Pertauto lasciò la guerra, e
ricevute appunto «>a tali coudizioni le loro città , si ri-
condusse a Sessa ; e ritiratene le milizie lasciatevi , e le
prede ed ogni bagaglio , tornossene a Roma coll’ eser-
cito carico di ricchezze. Poscia fe’ molte incursioni su
le terre de’ Yolsci, quando con tutte le forze, e quando
con parte , ne ottenne gran prede. Ma riuscitegli per
lo più le cose a voler suo ; gli si eccitò una guerra coi
con&nanti* ben lunga pel tempo , giacché durò sette anni
continui , e ben grande pe’ casi inaspettati e terribili.
Ora io dirò brevemente le cagioni per le quali nacque,
e qual ne fu 1’ esito , essendo stata terminata per in-
ganni e per stratagemmi non preveduti.
LUI. Una città , Latina di gente , e colonia già degli
Albani, lontana cento stadj da Roma ( Gabio ne era il
nome) sorgeva in su la via che mena a Palestrina.
Città popolosa allora e grande qnant’ altre , ora non
tutta si abita , ma solo presso la strada per uso degli
alloggi. E ben può raccoglierne la grandezza e la ma-
gnificenza , chi mira le rovine in più luoghi delle case
ed il giro delle, mora , che in gran parte esistono an-
cora. Eransi qua concentrati alquanti involatisi da Sessa,
quando fu presa da Tarquinio , e molti fhggiti da Ro-
ma. Or questi supplicavano e pressavano quei di Gabio
a prendere vendetta di loro , promettendo gran doni se
ai beni proprj tornassero ; e dimostrando possibile e fa-
cile la distruzione del tiranno. Adunque ve gl’indossero
sul riflesso che in Roma a ciò coopererebbero , e che
lì Volsci erano ad altrettanto animati; giacché mandate
aveano delle ambascerie, bisognosi anch’essi di ajutO’
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74 DELLE Antichità’ romane
per imprendere la guerra contro di Tarquinio. Si fe^
cero dopo questo irruzioni con eserciti poderósi , fi
scorrerie su 1’ altrui territorio e battaglie , com’ è Veri»»
simile, ora di pochi con pochi, ora di tutti contro di
tutti: e quando i Gal^, respinti fino alle porte i Ro-
mani, ed uccidendone diedero intrepidamente il guasto
ai lor campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e
rinchiudendoli nella loro città , • sen portavano schiavi ,
e preda copiosa. . • . •
. LIV. Or ciò facendosi di continuo, fu l’una e l’altra
parte costretta a cinger di mura, e presidiare i luoghi
forti delle proprie terre in ricovero de’ contadini. Di
là prorompevano su’ predatori , e scendendo folti , stra-
ziavano , se ne vedeano , i piccoli corpi staccati dal
resto dell’ esercito , o li disordinati per poca apprensìon
de’ nimici , come accade nei pascere. Similmente te-
mendo r una parte gli assalti improvvisi dell’ altra fu
costretta a munire dì fosse e di muri le città facili a
scalarsi ed a prendersi. Adoperavasi in ciò principal-
mente Tarquinio : e rassicurò con molte fortificazioni il
tratto intorno la porta la quale menava a Gabio , sca-
vandovi fosse più larghe , elevandone più alte le mura ,
e coronandole di torri più spesse : imperocché la città
sembrava in tal canto men solida , quando era nel resto
dei suo circuito sicura abbastanza, nè facile da inva-
derla. Se non che si fece in ambedue le città penuria
di ogni vettovaglia , e costernazione gravissima per l’av-
venire , essendo le campagne diserte per le incursioni
incessanti de’ nemici , né più somministrando de’ frutti
come accade a’ popoli avvolti in guerre diuturne. 11 di-
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i
LIBRO IV. 7 5
sagio però’ stringeva i Romani più che i Gabj ; tanto
che U poveri infra quelli, angustiatine più che gli al-
tri , giudicavano essere da venire a trattati, e far pace
comunque coi Gabj , se la volessero.
LV. Or dolendoti Tarquinio altamente de* successi ,
e non sofierendo di' deporre obbrobriosamente le armi^
nè polendo altronde resistere più inmmzi ; volgevasi a
tutte le prove , a tutti gl’ inganni. Quando il figlio più
grande ( Sesto ne era il nome (i) ) scoperse al padre
un suo disegno. Egli parea mettersi ad impresa audace
quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile , con-
cedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dun-
que ‘fintosi in discordia col padre per voglia di por fine
alla guerra : ne fu battuto colle verghe nei F oro , e
con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse in-
torno la fama. E su le prime inviò come profughi i
suoi più fidi perchè dicessero occultamente ai Gabj che
egli deliberava far guerra al padre , e che ne anderebbe
tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli
altri refugiaii Romani , senza renderlo ai padre per
isperanza di finir col suo danno le proprie nimicizie.
Udirono con diletto quei di Gabio il discorso , e con-
cordandosi di non offenderlo , egli venne , e con lui
molti compagni e clienti come fuggitivi; e per meglio
(i) Tito Lirio dà questo nome e' questa impresa al figlio minore :
ma il disparere col padre e l’ incarico assunto pare più yerisimile
in chi area più diritto di succedere ad un regno . direnuLo assolu-
to, e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Uiouigi
sembra più naturale, qualunque fosse il nome del finto rilielle. Vedi
S 65 di questo 'libro.
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'jG . BTìLLE Antichità’ romane
accreditare la ribellione sua dal padre portò seco molto
di argento e di oro. Dopo ciò sotto velo di fuggir lar
tirannide molti a lui confluirono ; tanto che ornai glie
n’ era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei
di Gabio che avrebbono grande incremento dal giu-
gnere di tanti ad essi , e lusingavansi che tra non molto
.avrebbono suddita Roma, illusi ancor più dalle opere
di quel ribelle , il quale scorrendo di continuo la cam*
pagna , raccoglievane prede ubertose. Ed il padre ap-
punto, risapendo prima in quai luoghi il figlio verreb-
be , ubertose glie le apprestava , e senza guardia se noa
di scelti cittadini che egli v’ inviava come a lui sospetti
per farli distruggere. Su tali significazioni molti creden-
dolo amico fido , e buon capitano , e molti arrenden-
dosi all' oro suo ; lo inalzarono al comando supremo
delle milizie.
LVI. Sesto divenuto per frodi e per illusioni T ar-
bitrò di un tanto potere spedi , senza che i Gabj se ne
avvedessero , un tale de’ servi suoi per dichiarare al pa-
dre r autorità che avea preso , e per udirne ciocch’era
da fare. Tarquinio volendo che il servo non intendesse
ciocché ordinava al figlio di fare , venne ( e conducea
seco il messo ) al giardino , congiunto al regio palagio.
Aveaci là de’ papaveri nati spontaneamente , già pieni
di frutto , e maturi per la raccolta. Or tra que’ papa-
veri aggirandosi e dando co’ bastoni in su le tòste de’ più
alti , abbattevali. Congedò ciò fatto il messaggiCro niente
rispondendogli , quantunque interrogato ne fosse più
volte. Egli imitava per quanto a me sembra la prudenza
di Trasibulo Milesio. Imperocché chiesto da Periandro,
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LIBRO IV. 77
allora tiranno di Corinto , per via di un messaggiero ,
con quali modi possederebbe più saldamente il coman-
do, non rispose pur sillaba , ma fatto cenno all’ inviato
die lo seguitasse, il. condusse in un campo di biade,
ed ivi percosse le spiche più eminenti , le atterrò ;
signiBcaudo che. cosi dovea pur egli troncare , e di-
smettere i -primi delle città. Or facendo Tarquinio al-
lora somigliantemente. Sesto ne intese le mire, e co-
me ordinavagli di por giù li più insigni di Gabio. E
convocò la moltitudine , e le tenne un lungo ragiona-
mento su questo, ehe egli ricorso cogli amici alla, lor
buona fede , rischiava ornai di esser preso da alcuni,
e dato al padre: ma che era pronto a deporre il co^
mando, an^i che Lucerebbe la città prima di cadere
in tanto infortunio ; e qui lagrimava e deplorava la
sorte sua , come quelli che di cuore si dolgouo su’mali
estremi. ,
Lyil. Irritatane la moltitudine, e ricercando sollecita
quali mai fossero per , tradirlo , esso nomina Antisiio
Petrone, il personaggio più distinto di Gabio. Egli
erane il più insigne divenuto pe* molti belli suoi rego-
lamenti in pace, e pe’ molti capitanati in campo eser-
citati. Reclamando intanto quest’ uomo , ed offerendosi
come Hbero da’ rimorsi ad ogni esame , disse 1’ altro
che volea che se ne investigasse la casa: e che vi
manderebbe perciò degli amici: egli intanto aspet-
tasse TtelP adunanza finché ritornassero. Imperocché
già era Sesto riuscito a corrompere con argento alquanti
servi di lui perché prendessero e ponessero in sua casa
lettere contrassegnate co’ sigilli paterni, e macchinate in
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--8 DELLE Antichità’ romane
rovina di Pelrone. Or come gl’ inviali alla indagine
(che non aveala Pelrone contradetla ma concednla) vi
rinvennero le carie occulutevi, tornarono recando al-
l’adunanza molte lettere indicatrici , e quella scritta ad
Anlistio; e dicendo Sesto che vi riconosceva il sigillo
del padre la sciolse; e la diede allo scriba perchè la
recitasse. Scriveasi in questa che gli consegnasse il fi-
glio , vivo principalmente ; o se ciò non poteasi , almeno
glie ne mandasse la testa recisa. Diceva, che darebbe
ad esso ed d complici , oltre le taglie promesse già pri-
ma , la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe
tutti frd patrizj ^ ed aggiungerebbe case e poderi e
doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno i Gibinj ;
dialordtva Antistio dalla sciagura impensata , mancando-*
gli fin la voce: ma quelli co’ sassi lo tempestano e lo
uccidono ; lasciando a Sesto la cura di far la ricerca e
la vendetta su gli altri, compartecipi in ciò di Petrone.
E Sesto fidando le porte agli amici suoi perchè gl’ in-
colpali non s’ involassero mandò per le mise- più illa-
stri , e vi uccise molli de’ valentuomini.
LVIIL Intanto che ciò faceasi ed era in Gahio tuiv-
bolenza pe’ sì gran mali ; Tarquinio avvertitone per
lettere vi marciò coll’ esercito , e giunto prima della
mezza notte ed apertegli le porte da ■ uomini posti ad
arte per questo , ed entratele ; s’ impadronì senza stento
della città. Come il male fu ravvisato , deploravano tutti
sè stessi , e le stragi , e la schiavitù che patirebbono, e
temeano insieme gli orrori , quanti ne vengono su por
poli sorpresi da’ tiranni. Quando pur li trattasse mitis-
simameute ; immaginavansi la perdita della libertà , e
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> LIBRO IV. 79
de’ beni , e cose altrettali. Pure Tarquinio sebbene scel-
lerato, sebbene implacabile in punir gl’ inimici non fe’
ntilla di ciò che aspettavano e temevano ; nè uccise ,
nè liandl , nè disonorò , nè multò persona ninna di Ga-
bio. Ma convocando la moltitudine, e prendendo regie
maniere in luogo delle tiranniche sue , disse che re-
stituiva la propria città ; che concedeva ad essa i lor
beni; e che donava inoltre a tutti cittadinanza quale
appunto r avevano i Romani : non già che ciò facesse
per benevolenza inverso de’ Gabj ; ma per consolidare
a sè con essi .la signoria su’ Romani; pensando che di-
verrebbe presidio stabi^imo per sè e pe’ figli la fe-
deltà di un popolo che fuori di ogni speranza era sal-
vo, e ricuperava tutti i suoi beni. E perchè non più
temessero per 1’ avvenire nè dubitassero se stabili sareb-
.bero. tali parole ; scrisse le condizioni colle quali sareb-
bero* amici,' e le giurò subito nell’ adunanza , e poi
toccando gli altari e le vittime. Monumento di quest’al-
leanza esiste in Roma nel tempio di Giove Fidio, chia-
mato Sango da’.Ròmani , uno scudo circondato colla
pelle del bue sagrlGcato allora appunto per compierne
il giuramento , su la quale scritte ne sono con antichi
caratteri le condizioni. Ciò fatto , e dichiarato Sesto re
di Gabio, ritirò le milizie; e tal fine ebbe la guerra
con quella città.
LIX. Dopo ciò Tarquinio dando requie al popolo
dalle cose militari e dalle battaglie; si mise alla ere-
zione de’ templi, desideroso di compiere i voti dell’avo.
Erasi questi nell’ ultima guerra co’ Sabini votato a Gio-
ve , a Giunone , a Minerva di fondare ad essi de’ tem-
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8o DELLE ASTICHITA’ ROMANE
pii se vincesse. E già , come fu detto nel libro prece»
dente , avea con grandi ripari e con terra|)ieni accori»
data l’altura ove destinava di erigerli; ma non potè'
poi compierne la impresa. Deliberatosi Tarcpilnio di
ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa
posevi a lavorare tutti gli artefici. Or qui narrasi che.
accadesse un meraviglioso portento sotterra , doè che
scavandosi per le fondamenta , e che già molto essendo
gli scavi profondati , si rinvenisse la testa di un uomo
ucciso come di recente, con faccia simile a quella dei
vivi , stillandone ancora dalla ferita un sangue tepido e
fresco. In vista di tale prodigioi^arquinio comandò gli
opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli
indovini della patria dimandò che mai dir volesse quel
segno. Ma non rispondendone , anzi dando' essi la
scienza di tali cose ai Tirreni , ricercò da loro e seppe
qual fosse fra’ Tirreni l’ interprete più famoso de’ por»
tenti ; ed a questo inviò messaggieri i più pregievoli
cittadini.
LX. Giunti i valentuomini alia casa dell’ augure , si
le loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere
ambasciatori di Roma , vogliosi di consultare il vate ,
e pregavano che a lui li presentasse. Il giovine allora :
Colui, disse, che ricercate, è mio padre: egli è di
presente occupato : ma presto a lui passerete. Ora
intanto che lo aspettate , ditemi perchè mai ne venite.
Così voi se mai per imperizia foste per ishagliar la
dimanda; istruiti da me non errerete. E le giuste
interrogazioni non sono già la minima cosa nell arte
de’ vaticini . Or piacque a coloro di secondarlo, e sve-
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LIBRO IV. 8l
Urono a lui quel portento. Ckime il giovine gli ebbe
ndiù , sopraslando breve tempo , ascoltate , disse o Bo-
ntani. Il mio padre ve lo interpreterà tal prodigio ,
e senza menzogne ; che certo ad un vMe non si con-
vengono. Ma perchè neppur voi erriate , nè mentiate
su le cose che direte o risponderete ; apprendete da
me questo > che assai rileva che vel sappiate. Quando
esposta gli avrete la meraviglia ; ei soggiungendo di
non intendere appieno ciò che vi dite , descriverà
colla verga quanto un picciolo tratto di terra , e poi
vi dirà : seco la svrs tarsìa qvzsta nè la partx
CMS GUARDA l' ORISNTS , quSSTA CBS L OCCASO: QUS-
STA È LA PARTS SOREALS , QUSSTA LA OPPOSTA. Ed
indicandole intanto colla verga vi chiederà da qual
canto fu tiltvenuta la testa. Or che vi esorto io che
rispondiate ? appunto che non concediate che fosse
trovata in alcuna delle parti eh' egli addita colla ver^
ga , e ve ri interroga , ma che in Eotna tra voi fu
veduta su la rupe Tarpea. Se tali risposte serberete;
se punto col dir suo non ve ne allontanate; allora
egli ravvisando che il fato non può cangiarsi, vi sve-
lerà , non vi occulterà quel prodigio che volete , che
interpetri.
LXL Ammaestrali in tal modo i legati , «piando il
vate ne ebbe comodità , venne un tale che a lui li con-
dusse , e parlarono del portento. Ora lui sofisticando ,
e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e
facendo in ogni quadrante interrogazioni sul trovamento,
non si turbarono punto di mente i legali , ma tennero
DIONIGI , lem» II. 6
8 2 DELLE Antichità’ bomane
la ridata , come aveala suggerita il 6glio dell’ indo-
Tino, nominando sempre Roma e la rupe Tarpea , e
pregando l’interprete che non travolgesse il segno, ma
ne dicesse a proposito , e schiettissimamente. Cosi non
potendo il vate nè illudere gli oratori , nè imbrogliarè
r augurio , soggiunse ; Andate , annunziate o Romàni
a vostri concittadini , portare il destino che il luògo
dove avete il teschio trovato sia capitale di tutta l’I-
talia. Dall’ ora in poi capitolino fu detto il luogo del
travamento; capi chiamando i Romani le teste. Tai>i
quinio udendo ciò da’ legati rimise gli opera] su'lavori;
e molto fece del tempio, ma noi compiè, cadendo 'in
breve dal regno. Roma alfine lo perfezionò nel terzo
consolato. Fu basato il tempio su di una altura la quale
aveva un circuito di otto plettri , ed ogni lato di esso
apprassimavasi ai dugento piedi col picciolo divario nem-
meno di quindici piedi interi tra la lunghezza e la la-
titudine. Perciocché il tempio riedificato dopo l’incendio
a’ tempi de’ nostri padri su’ fondamenti medesimi diffe-
risce dall’ antico per la sola preziosità della materia.
Dalla parte della facciata che guarda il mezzogiorno
circondalo un ordine triplice . di colonne : ma doppio
solamente è quell’ordine nei lati. Tre sono’ in uno i
templi , e paralleli , e divisi da mura comuni. Sacro è
quello di mezzo a Giove , e quindi è l’ altro . di Giu-
none , e quinci di Minerva : ed un solo tetto , di un
comignolo solo li ricopra (i). .
(i) Questo tempio terminara a Iriargolo : la cima del. triangolo
in tutto il tetto ossia il colmo del letto è ciò che cbiamasi comì-
gnolo. Uno de’ nostri lempj a tre narate sotto un tetto comune può
foeilitare t’ intelligenza di questo luogo.
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LIBRO IV. 83
LXIL Dicesi che nel regno di Tarquinio occorresse
ai Romani un’ altra propizia e meravigliosa avventura sia
per dono di un nume sia di un genio , la quale salvò
la città non per poco tempo ma finché visse, più volte,
da gravi mali. Una donna , nè già nazionale , venne al
tiranno , vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Si-
bilini : ma ricusando Tarquinio comperarli al prezzo cei>
catogli ; colei partita ne spiccò tre libri e li arse. Ri-
porundo dopo alquanto i libri superstiti gli ofierl sul
prezzo medesimo. Riputatane stolta , e derisane perchè
di minori volumi n’esigea la somma appunto che non
aveane potuto ricevere quando erano più; si ritirò nuo-
vamente e bruciò metà dello scritto che rimaneva. Tornò
quindi co’ tre libri ancor salvi, e chiese l’oro di prima.
Attonito Tarquinio su i disegni della donna fece cercar
gl’ indovini , e narrò 1’ evento, e dimandò ciò ch’era da
fare. Or questi conoscendo da alquanti segni che ripu-
diavasi un bene mandato dal cielo , e dichiarando che
grande era la sciagura che non avesse comperato tutti
i volumi ; comandò che si numerasse alla donna il valor
dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La
donna che avea dato que’ libri , inculcò che si custodis-
sero con diligenza , e sparve dagli uomini. Tarquinio
creando tra’ cittadini i duumviri o due riguardevoli per-i
aonaggi , e subordinando ad essi due ministri pubblici ;
diè loro la’cura de’ libri : ma poi cucitolo io una otre
bovina gettò nel mare Marco Acilio 1’ uno de’ due ri-
gnardevoli perchè parea sfregiare la buona fede , ed era
accusato di pai-ricidio da uno de’pubblici ministri. Dopo
la cacciata dei re , fattasi la repubblica a sostenere gli
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84 DELLE Antichità’ romane
Oracoli , nominò custodi loro, durante la vita, personaggi
chiarissimi, liberi da ogni militare e civile incomben 2 a ,
consociando ad essi ancor altri pubblici uomini , senza
i quali non poteano i primi consultare que’scritti. A dirla
in breve , i Romani non guardano ninna cosa con tanto
zelo non i poderi sacri , non i tempj , quanto le rispo-
ste divine delle Sibille. Yalgonsi di queste i Romani
quando il Senato sta per votare in tempo di civil sedi-
zione , o di grave infortunio in guerra , o di portenti
e grandi visioni , malagevoli ad intendersi , come avven-
ne più volte. Fino alla guerra chiamata Marsica gli ora-
coli posti in un’ ama marmorea ne’ sotterranei del tem-
pio di Giove Capitolino furono custoditi dai decemviri.
Ma braciandosi poi questo dopo 1’ olimpiade centesima
settantesima terza sia per insidie , come pensano alcuni ,
sia per caso ; arsero colle votive cose del nume, anche
i libri. C gli oracoli che ora si hanno , furono.' portati
in Roma da più luoghi , quali dalle città d’ Italia, quali
da Eritra dell’Asia, speditivi per decreto del Senato Com-
missarj a trascriverli , e quali da altre città , trascrittivi
da' privati. Ma sen trovano confusi co’ Sibillini anche
aluri , come convincesi da que’ che acrostici si diman-
dano. Io qui dico ciocché Terrenzio Varrone ha scritto
nelle sue teologiche trattazioui.
LXIII. Avea Tarquinio operate queste cose in guerra
ed in pace ; avea fondate due colonie , l’uja Cioè Segni,
per caso , perché svernando ivi i suoi soldati aveansi il
campo come una città ridotto ; e la seconda Circea-per
disegno , perché ponessi nella campagna Pomentina , la
più grande intorno del Lazio, e contigua col mare, in
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LIBRO IV. 85
bel sito , alto discretamente , che sporge quasi penisola
nel mare Tirreno ; ed abitato già com’ è fama da Circe
la figlia del Sole : avea dato qnesle due colonie a due
figli suoi che ne erano i fondatori, Circea ad Anmte,
e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del
suo principato ; allora per la ingiuria fatta ad una donna
da Sesto il suo primogenito , fu cacciato dai principato
e da Roma. Àveano gl’ Iddj dato il segno della calamità
futura della sua famiglia con molti augurj de’ quali qu^
sto, fu l’ultimo. Venute nella primavera delle aquile in
un luogo adjacente alla reggia fecero il nido su di un’alta
palma : mentre però teneano i figli ancor senza penne,
volandovi in folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc«
cisane la prole, e bezzicando e ferendo co’rostri e colle
ali , respinsero dalla palma le aquile che tomavan dal
pascolo. Vide Tarquinio l’augurio, e vegliava per istor-
name se poteva il destino: ma non potè superarne la
forza ; e perdette il regno , congiurando su lui li pa»
trizj , e cooperandovi il popolo. Io tenterò dichiarar bre-
vemente gli autori della congiura ; e come si fecero ad
eseguirla.
LXIV. Guerreggiava Tarquinio colla città di Ardea
sul pretesto che ricettava i fuggitivi da Roma, e mac-
chinava di rimetterli in patria : ma in realtà perchè ne
aspirava le ricchezze come di una delle città più felici
d’ Italia. Ribbattendolo però gli Ardeatini generosamente,
e prolungandosi l’assedio loro; stanchi quei del campo
per la diuturnità della guerra e quei di Roma impotenti
a più contribuirvi; si disposero a ribellarglisi , appena
ve ne fosse un principio. Intanto Sesto il primogenito
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86 DELLE Antichità’ bomanb
de’ figli di Tarquiaio spedito dal padre nella cittì chiamata
Collazia per compiervi talune incombenze militari si al-
loggiò presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto
Collatino. Fabio delinea quest’uomo come figlio di Ege-
rio, del quale ho sopra dichiarato ch’era figlio dei fra-
tello di Tarquinio l’antico , re de’Romani. Da lui messo
al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, la-
sciandone la denominazione anche a’ posteri suoi. Io
sono persuaso che questi era nipote ad Egerio se avea
la eti conforme ai figli di Tarquinio , come Fabio ha
scritto e molti con esso ; e la cronologia conferma tal
mio concetto. In que’ giorni Collatino era nel campo.
Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di Lu
crezia riposava , e colla spada in mano vi penetrò, non
sentito nemmeno da quelli che prossimi alla porta dor-
mivano della camera.
LXV. F attesi al letto , e svegliatasi la donna col giu-
gnere delle insidie , e chiedendo chi fosse , colui svela
il nome ; e comanda che taccia e resti nella camera ,
minacciando lei della vita, se tentava fuggire, o gri-
dare. Cosi, sbalorditala, propose alla donna di scegliere
.qual più le piacesse o lieta vita , o morte infame, ó'e
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LIBRO IV. 87
t’ induci , disse , a compiacermi , io te farò mia spo~
sa y e tu regnenù meco , ora s.u la città che mio par-
dre mi assegna, e dopo la morie del padre sii Ro-
'mani , sii, Latini, sii Tirreni e su quanti egli domi-
na. Io, tu lo sai, primogenito de' suoi figli, io sarò
t erede del regno , come à ben giusto. E quali beni
inondano i re, de' quali' tutti sarai tu meco possedi-
trice ; che giova che io qui ti additi, se tu ne sei pe-
ritissima? Che se tenti resistermi per salvare la tua
pudicizia , ucciderò te prima , poi scannando un dei
servi porrovene a lato i cadaveri , e dirò che sorpresa
avendoti in obbrobrio col servo, io vi punii tutti due per
vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tanto che
turpe , ignominiosa sarà la tua fine, nè la morta Uia
spoglia saià di sepolcro onorata nè di altre funebri
cerimonie. Ora siccome assai minacciava , insisteva, giu>
rava a^ ogni suo detto ; Lucrezia sbigottita di una morte
infame venne nella necessità di cedere agli arbiirj amo-
rosi di lui.
LXVI. Fattosi giorno; costui sazio della voglia scel-
lerata e Ainesta , tornossene al campo : Lucrezia però
corucciata per l’evento ascese quanto potè frettolosa in
sul carro , e venne a Roma , cinta di lugubri vesti , ed
occultandovi sotto il pugnale; non salutando , salutata,
negl’ incontri , né rispondendo a chi voleva intendere
de’ suoi mali , tutta cogitabonda , e mesta , e lagrimosa.
Giunta a casa dal padre '( e ci aveano alquanti parenti )
ella prostratasi e stregasi ai ginocchi del padre vi sin-
ghiozzò , ma senza parole : e sollevandola e stimolandola
il padre a dire ciocché solTerto avesse: Padre, disse, ecco
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88 DELLB antichità’ ROMANE
la supplichevole tuai se tremenda , se insanabile è tonta
mia, padre la vendica: non trascurare Ut figlia tua, in-
corsa in mali più gravi della morte. Stupitosi il padre, e
con esso par gli altri , eccitavala a dire chi offesa 1’ a-
vesse , e di qual modo. E colei ripigliava: Le udirai
le mie ingiurie ; ma hrevissimamenle o padre: e solo
or tu mi concedi questa grazia che prima te ne chie-
do. Convoca gli amici , e i parenti che puoi , perché
da me la odano, da me, non da altri la calamità che
io patii. Quando tavrai conosciuta la terribile, la ver-,
gognosa necessità ch’io sostenni; tu deciderai con essi
la vendetta che dei per me fare e per te. Ma deh /
non indugiarmi tu lungamente.
LXYIL Corsi all’ invito sollecito 'e premurosissimo i
più riguardevoli nella casa com’ ella dimandava , narrò
loro , pigliandolo dalle origini , tutto l’ evento. E qui
abbracciandosi ai padre , e molto lui supplicando, e gli
astanti e gl’Iddj, eli patri! lari che solleciti la scioglie»*
sero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve*
sti e, portandosene una piaga sui petto , 6no al cuore
se lo internò. Clamore intanto e gemiti e femmineo tu-
multo turbando tutta la casa ^ il padre avviatosene al
corpo la circondava , la richiamava, la curava quasi po-
tesse redimerla dalia ferita : ma colei tra le sue braccia
palpitando e spirando Gai. Parve il caso agli astanti si
terribile e si miserando che una fu la voce di tutti che
era mille volte meglio morire per la libertà che patire
ingiurie siffatte dai tiranni. Era tra questi Publio Vale-
rio , discendente da uno de’ Sabini venuti con Tazio a
Roma , uomo intraprendente e destro. Costai fu da loro
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J?tonu7t J' AlìcamaJ-j-,/ 'J'.JT.
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LIBRO IV. 89
spedito in campo perchè narrasse al marito di Lucrezia
r evento , e perchè ribellassero , uniti , le milizie dal ti-
ranno. Uscito appena dalle porte eccogli per avventura
incontro Collatino il quale veniva dall* armata a Roma
ignaro de’ mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giu-
nio soprannominato Bnilò cioè stolido se tal nome ne
interpetri con greche maniere. E poiché li Romani ad-
ditano quest’ultimo come principalissimo nell’ abolir la
tirannide; porta il pregio che preaccennisi brevemente
chi , di qual sangue egli fosse , e come sortisse un tal
nome . niente a lui consentaneo.
LXVIIL Di costui fu padre Marco Giunio , prove-
niente da uno di que’ che menarono con Enea la co-
lonia , e distintissimo per la sua virtù tra’ Romani : fu
la madre Tarquinia , figlia di Tarquinio 1’ antico. Egli
ricevè la educazione , e tutta la coltura nazionale , nè la
indole sua contrariavasi a niun de’ bei pregi. Dappoiché
Tarquinio ebbe ucciso Tullio levò segretamente di mezzo
con molti uomini probi anche il padre di lui non già
pe’ delitti , ma per la ingordigia d’ invaderne le ric-
chezze ereditate da pingue , antico patrimonio di fami-
glia : levò similmente con esso il figlio primogenito di
lui nel quale appariva non so che di generoso , e che
sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre.
Bruto giovinetto ancora , -e privo in tutto del soccorso
de’ parenti si rivolse al mezzo savissimo di fingersi ,
stolido divenuto. Dall’ ora in poi , finché non gli sem-
brò di averne il buon tempo , ritenne le apparenze dello
stolido ; e se n’ ebbe il soprannome , ma si liberò con
questo dalle ire del tiranno , mentre tanti egregj uomini
ne soccombetrano.
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po DELLE Antichità’ romane
LXIX. Tarquinio trascurandone la demenza apparente
e non vera , spogliatolo di tutti i beni paterni , e da-
togli un tal poco pel vitto quotidiano, lo custodi presso
di sé, come garzoncello orfano , e bisognoso di chi lo
qurasse , e concedè che oo’ figli suoi conversasse ; nè già
per onorarlo qual congiunto suo , come fingea tra’ pa-
renti , ma perchè desse da ridere a’ propj figli, dicendo
costui le mille frivole cose , e facendone le simili agli
stolidi veramente. Anzi quando mandò li due figli Àronte
e Tito per interrogare 1' oracolo di Delfo su la peste
( giacché nel regno suo proruppe una peste insolita su
le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano , e
più terribile ancora e men curabile su le gravide , che
morte cadeano col proprio feto in su le vie ) quando io
dico mandò questi per conoscere dal nume le cause del
male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co’ figli
che gliel chiedeano perchè avessero intanto chi beffare
e deridere. Giunti all’oracolo i giovani ed ascoltatolo
su la causa ond’ erano inviati porsero sacri doni al nu-
me, e lungamente risero di Bruto che avea consecrato
ad Apollo una bacchetta di legno ; ma colui trapanatala
tutta come una fistola aveaci offerto , senza che ninno
ne sapesse , una verga di oro. Poi consultando essi il
nume chi mai , portavano i destini, che divenisse re di
Roma ;-^rispose che il primo che bacerehhe la madre. E
non intendendo i giovani la mente dell’ oracolo concor-
darono di baciare insieme la madre onde regnare in co-
mune. Bruto però penetrato ciocché 1’ oracolo volea
significare , non si tosto discese nell’ Italia , prostratosi ,
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LIBRO IV. 91
ne baciò la terra , giudicando questa la madre di tutti.
£ tali SODO i fatti precedenti di quest’uomo (1).
LXX. Come Bruto udi da Valerio i successi di Lo»
eresia e la storia della morte di lei sollevando le mani
al cielo disse: O Giove, o Dei tutti, quanti vegliate
su la vita de’ mortali , è dunque giunto finalmente il
tempo per aspettare il quale io contrafeci finora me
stesso ? Fuole dunque il destino che Roma sia da me
liberata e per me dalla insojfribil tirannide ? E ciò
dicendo vassene sollecito in casa insieme con Collatino e
Valerio. Entrata la quale, appena Collatino videvi Lucrezia
stesa nel .mezzo, col padre allato, scoppiando in copi ge«
miti la slringea , la baciava, la chiamava , e fra tanta
sciagura uscito di mente tenea colla estinta il discorso,
quasi fosse ancor viva. Or essendo lui tutto in pianto,
e con esso il padre a vicenda, e tutta rimbombando la
casa di lamenti e di gemiti; Bruto, rimirandoli disse:
O Lucrezio , o Collatino, o voi tutti , parenti di que^
sta donna, beri avrete altra volta il tempo di piangerla.
Ora ( e ciò deesi alla ingiuria presente ) pensiamo ^
come vendicarla. Egli sembrava dir giusto : adunque se*
dendo soli fra sè , sgombrata immantinente ogni turba
dimestica , esaminarono ciò ch’era da fare. Bruto comin-
ciando il primo a dire sopra sestesso che la sua demenza
non fu vera , qual parve a molti , ma simulata ; e sve-
laudo le cause per le quali diedesi a fingerla , e giu-
dicatone savbsimo infra tutti ; alfine , allegatene molte ,
ed acconcio ragioni , animò tutti al parer suo di cac-
(t) Plinio sul fine del libro XV. scrive che Bruto baciò la terra
di Delia , a non dall* Italia.
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Q2 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
dare Tarquinio e li figli da Roma. E vedmili ornai tatti
consentanei, disse Che non era pià tempo di parole e
promesse, ma di opere; e che egli imprenderebbela
il primo se cosa alcuna fosse da imprendere. Ciò di-
cendo , e stringendo il pugnale con cui la donna fini
sestessa , e venuto al cadavere di lei , che giaceva an-
cora spettacolo compassionevole a tutti , giurò su Marte,
e su gli altri Dei Che farebbe tutto , quanto potea ,
per abbattere la tirannide di Tarquinio , che non pià
si riconcilierebbe co' lii'anni , nè permetterebbe che
altri si riconciliasse con essi: ma terrebbe per nimico,
chiunque non volesse fare altrettanto ; e perseguite-^
rebbe fino alla morte la tirannide e li partigiani di
essa. Che se mancava a quel giuramento , imprecava
per sè e pe’ figli un termine della vita , quale il ter-
mine fu della donna.
LXXI. Ciò detto invitò pur gli altri a simile giura-
mento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi
a mano a mano il pfignale giurarono , ed investigarono
poi qual fosse la maniera di dar principio all’ impresa.
Bruto cosi consigliò : Primieramente poniam le guardie
alle porte , perchè Tarquinio non penetri niente di ciò
che in Roma si dice o si opera contro la tirannide ,
innanzi che noi siamo ben preparati. Quindi portando
il cadavere della donna , lordo comi è di sangue , nel
Foro, ed esponendovelo, chiamiamovi a parlemento il
popolo. E quando siavisi congregalo, quando ne vedremo
già piena ( adunanza; allora Lucrezio e Collatino pre-
sentandosi narrino H orribile caso , e deplorino la loro
sciagura ; poi qualunque altro facciasi innanzi ed oc-
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LIBRO IV. f)3
ousi la ^tirannide , e provochi li cittadini a liberarsene.
Oh! come avran caro di veder noi patrizj insorgere
i primi perla libertà. Stanchi del Tiranno , e de’ molti
e terribili mali che ne han sofferto , non abbisognano
die St un primo impulso appena. Quando vedremo la
moltitudine in furia per togliere la monarchia ; far-
remo c^ risolva co' voti, che Tarquinio non dee più
regnare su Roma , e solleciti ne spediremo il decreto
in campo all' esercita- Ivi quando coloro che han tarmi
conosceranno che tutta si è la città ribellata da Tar-
quinio , infiammeransi per la libertà della patria , in-
sensibili a tutti i doni del tiranno , essi che non più
reggono agli affronti de' f gli , e degli adulatori del
perfido. Or avendo lui cosi detto soggiunse Valerio: Tu
mi sembri o Giunio che abbi giustamente parlato su
le altre cose ; ma quanto ai comizj vorrei da te sor
pere chi li potrà convocare legittimamente, e chi dare
alle curie i voti; essendo questo offizio de' magistrati,
e niun di noi trovandosi magistrato. Ripigliando allora
Giunio : o Valerio, io, gridò, sono tale; imperocché sono
il tribuno de Celeri , e per legge mi è dato d inti-
mare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava tal
massimo incoi ico , a me come stolido , e che appresa
non ne avrei la potenza , o che se appresa V avessi ,
non saprei prevalermene. Ma io mi son quegli che il
primo arringherò contro del tiranno.
LXXII. Detto ciò lo applaudivano tutti come lui che
prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo
pressavano a dirne anche il seguito ; ed egli disse : E
poiché ci piace far questo , vediamo ancora qual ma-
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J)4 delle antichità* romane
gistrato , e da chi mai crealo, debba reggerci dopo Ut
espulsione dei re : anzi vediamo qual Jorma daremo
allo Stato f liberi dalla tirannide ; imperciocché prima
ài accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de»
liberata ogni cosa , anzi che se ne lasci alcuna non
discussa , né premeditata. Ora dica ciascuri di voi su
tali cose ciocché ne pensa. Dopo ciò si tennero molti
discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da
tutti i re precedenti , amava che si riordinasse la regia
dominazione; e chi ricordando le tiranniche ingiustizie di
altri e di Tarquinio finalmente su’ proprj cittadini , non
voleva il Comune sotto di un solo , ma che piuttosto
arbitro se ne dichiarasse il Senato come in molte delle
greche città : varj però non anteponeano nè 1’ uno né
r altro , ma consigliavano che si fondasse un governo
popolare , conne in Atene , esponendo le ingiurie , le .
avanìe de’ pochi ^ e le sedizioni de’ miseri contro de’ po-
tenti, e dichiarando che in città libera il comando più
sicuro e più degno è quello delle leggi , eguali per
tutti.
LXXIII, Ma sembrando a tutti malagevole ed arduo
il giudizio su la scelta pe’ mali che sieguono da ogni
governo ; alfine Bruto , ripigliando disse : O Lucrezio,
o Collatino , o voi tutti , quanti qui siete , uomini
buoni , e JigU ancora di buoni-, io quanto a me non
penso che noi dobbiam di presente dar nuova forma
allo Stato. Troppo é picciolo il tempo a cui siamo ri-
dotti, perché ci sia facile staBilirvela armoniosa ; lu-
brico altronde , e pericoloso , é tentar di cambiarvela,
quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto.
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LIBRO IV. ’ 95
X)uando ci saremo levati dallà tirannide , allora po-
trem finalmente , consultandoci con più agio e più
feria , trascegliere il governo migliore a fronte de' menò
buoni j seppur avvene uno migliore di guei'^ che 7?o-
molo e Numa e gli altri re successivi stabilirono e ci
"lasciarono , donde la città ne crebbe e ne prosperò ,
signora fin qui di più popoli. Solamente vi esorto che
si emendino , e che provvedasi ora che più non v ab-
biano i mali terribili solili prorompere dalle monar-
chie , pe’ quali si mutano in tirannidi crude , e pe' quali
tutti le abborrono. Ma quali son queste provvidenze ?
Primieramente giacché molti attendono ai nomi , è
secondo i nomi vanno al male o fuggono t utile ; e
siccome è succeduto che ora molto attendasi a quello
di monarchia; vi consiglio che il nome cangiate del
governo , fe che da ora in poi quelli che vi comandano
non più re li chiamiate , non più monarchi, ma con
appellazione più discreta ed umana : poi , che non più
rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa , ma fidiate
a due la potenza dei re, come odo che i Lacedemoni
fanno da molte generazioni, e che perciò ne hanno
più di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso
il comando in due , e l’ uno potendo appunto quanto
F altro ; meno acconci saranno a violarci , e meno ad
opprimerci: anzi da tale egualità dee seguirne princi-
palmente la verecondia, il ritegno vicendevole dell’uno
per F altro , sicché noti si sfrenino , ed una viva gara
per la fama della giustizia.
LXXIV. E poiché molti sono li regii distintivi , io
giudico che y impiccioliscano o tolgano quelli che àd-
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96 DELLE Antichità’ romane
dolorano a rimirarli o sdegnano il popolo , io dico
gli scettri , dico le corone di oro ^ e le clamidi eli
oro intessute e di porpora, se non forse si asswnono
ne' giorni festivi e ne’ trionfali per magnificare g/i
Jddj ; mentre usate di raro non offendono. In oppo-
sito penso che si conservi a questi uomini la sedir
curule ove siedono rendendo ragione , e la veste can-
dida cinta intorno di porpora , e li dodici fasci che
il venir loro precedano. Oltracciò perchè quelli che
prendono il comando non molto ne abusino, io penso
utilissima e principalissima cosa , che non lascinsì
comandare tutta la vita. Imperciocché riesce a tutd
grave un comando ind^nito , uft comando che non
pià dia di sè ragione ; e di qua vien la tirannide.
Ma si limiti come tra gli Ateniesi f autorità del co-
mando ad un anno. Quel- comandare a vicenda e
quell' essere comandato , quel deporre il pMere prima
che il pensar vi si guasti , preoccupa le indoli vane,
nè lascia che vi / inebbrino. Se .così stabiliamo , go-
deremo i beni che sono il frutto di una regia domi-
nazione , e schiveremo i mali che né conseguitano. E
perchè il nome regio , consueto già tra' nostri avi ,
ed introdotto in questa città co t gli augurj propizj
degl Jddj che lo favorivano , ti custodisca , almeno
per tale riguardo ; si faccia continuamente , a vita ,
ed onorisi un re del Culto ^ un che libero dalle cure
militari in questo solo si occupi e non in altro, cioè
che abbia , quasi re ne fosse , l’ arbitrio sovrano
de’ sacrifizj.
LXXV. Ora udite come fia ciascuna di queste cose.
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libro IV. 97
’ Io , poiché dalle leggi mi si concede , io raccoglierò,
come diceva, l’adunanza del popolo, e riesporrò la
mia mente di bandire Tarquinia colla moglie e coi
figli da Roma e suo territorio , escludendoneli per
sempre essi e la lor discendenza. Quando avran ciò
stabilito co’ voti , io dichiarando allora il governo che
pensiamo fondare, eleggerò V interré, il qual nomini
quelli che prendano le redini della repubblica. Quindi
io deporrò la prefettura dei Celeri; e V interré da me
creato , proporrà gl’ idonei all’ annua preminenza ,
rimettendoli al voto de’ cittadini : e se il pià delle
centurie ne tien buona la proposta , se propizj gli
oracoli la favoriscono , assumano i fasci e le insegne
del potere sovrano , e provvedano che libera abitiamo
la patria , nè pià li Tarquinj vi ritornino. Imperoc-
ché questi , abbiatelo per certo , se non invigiliamo
su loro , tenteranno colla persuasiva , colla forza ,
coll’ inganno , per ogni via finalmente , rimettersi
nell impero. Queste sono le somme , le principalis-
sime cose, che io dir posso e raccomandar di pre-
sente. Quelli poi che avranno il comando devono ,
come io giudico , esaminare una per una , le cose
particolari, giacché troppe, nè facili a discutersi pie-
namente ; e noi siamo stretti dal tempo: anzi'deono,
come usavano i re ponderarle col corpo del Senato ,
non concludendone alcuna senza noi ; e quando siano
approvate dal Senato , rapportarle , come f accasi tra
i nostri maggiori , al popolo non levandogli niun
diritto di quanti s’ avea nel principio. Così le sue
magistrature saranno sicurissime e bellissime.
DIOSIGI, tomo ir, -
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98
DELLE antichità’ ROMÀNE
LXXVI. Proferendo Giunio Bruto tal suo parere tutti
lo commendanino ; e datisi ben tosto a consultare, de-
cisero che si nominasse interré Spurio Lucrezio il padre
di colei che uccise sestessa: e che da lui si scegliessero
per avere il potere dei re Lucio Giunio Bruto , e Lu-
cio Tarqninio Collatino. Stabiliscono che tali sopra-
stanti nell’ idioma loro si chiamassero Consoli , vnol
dire consiglieri o capi del ronsiglio , interpetrando in
greco tal nome , giacché i Romani ciocché noi simbou-
las diremmo chiaman consiglio. Coi volgere però del
tempo i consoli furono per l’ ampiezza del potere chia-
mati Ypati dalia Grecia , comandando essi a tutti e t^
neodo.il più sublime de* gradi; e chiamandosi da’ nostri
antichi Ipaton quanto sopralzasi, e maggioreggia. Dopo
tali consulte e tali istituzioni supplicarono co’ voti gli
Iddj che fossero propizj ad essi .intenti ad opera si giu non colla sepoltura
a norma delle leggi : e Tarquinia la donna di que-
sto ch’egli dovea venerare qual . madre , come sorella
del padre, Tarquinia già tanto .sollecita in suo bene, %
egli la strangolava , sì, questa misera , innanzi che
prendesse il lutto , e che rendesse in su la tomba al
marito gli ultimi onori. Così contraccambiava quelli
da quali fa salvo , da quali fu nudrito , ed. a quali
avrebbe pur succeduto sol che avesse un poco aspet-
tato finché venisse loro naturalmente^ la morte. . t
LXXX. Ma perchè più, su questo riprendolo , quan-
do , oltre i delitti contro de’ consan^inei e de’ suo-
ceri , ho pur da accusarne le tante prevaricazioni
contro la patria , e contro noi tutti , se prevarica-
zioni son queste , e non sovversioni e rovine di ogni
costume e di ogni legge. E per comiiKiare subito ^dal
regno , come lo prese egli questo ? forse come i re
precedenti? ma quando mai? molto nè egli lontano.
Imperocché quei tutti furono da voi portati al trono
secondo i patrj costumi e le leggi , prima col decreto
del ' Senato che è il capo di ogni pubblica delibera-
zione , poi degl’ interré scelti ed incaricati dal Senato
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102 DELLE Antichità’ romane
per nominare il pià idoneo al comando f e co’ voti
dati ne' comizj dal popolo , da cui , la legge vuole ,
che si ratifichi ogni cosa più rilevante , e finalmente
cogli augurj f colle vittime , e con altri segni propizj
senza i quali niente giovano i maneggi e le previ-
denze degli uomini. Or dite , qual di voi mai vide
una parte almeno fatta di ciò quando Tarquinio
prese il comando ? qual vide decreto preliminare del
Senato? quale scelta degl’ interré? quali suffiragj del
popolo ? per non dire dov è tutto questo ? quantun-
que se egli voleva il regno lecitamente , non dovea
parte ninna pretermettersi di quanto chiedesi dalle
leggi. Certo se alcuno può dimostrarmene fatta pur
una di queste cose , più non vo’ che si brontoli su
le altre che si tralasciarono. Come dunque egli si
spinse al trono ? colle arme , come i tiranni , colla
violenza , colla congiura degli scellerati, noi riprovan-
dolo , e dolendocene, E fattosi re , comunque ciò
fosse , la sosteneva egli V autoràà tua regalmente ?
Emulava i suoi predecessori i quali co’ detti e co’ fatti
costanti così ressero, che lasciarono a’ posteri la città
più felice e più grande che presa non V avessero ?
Chi , se pure è sano di mente , chi potrà mai dir
ciò , vedendo quanto miseramente e scelleratamente
siamo stati da lui malmenati ?
LXXXI. Tacio le sciagure di noi senatori, le quali,
pur un nemico , udendole , ne piangerebbe , e come
siam pochi rimasi di molti , come rendati abbietti di
granài , e come venuti a disagio e stento , cadendo
dai tanti e sì ampj beni. Que’ grati j que’ potenti ,
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LIBRO IV. Io3
que cospicui uomini , po' quali questa nostra città
era un tempo magnifica , quelli perirono , o fuggono
la patria. E le vostre cose y o popolo , come stan
esse ? Non ha tolto . a voi le leggi ? non i concorsi
soliti per le feste e pe’ sacrifizj ? Non ha fatto ces-
sare i comkj , i suffragj , e le adunanze tutte su le
pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati,
ai vilipendi di tagliare , di portare pietre ed arbori ,
di logorarvi tra gli antri e i baratri senza requie
mai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran
fine mai tali strazj ? fino a quando li starem soppor-
tando ? Quando la patria libertà vendicheremo ? .. .
Al morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sarà allora
pià facile ? E perchè non piuttosto assai meno ? se
per un Tarquinio ne avrem tre molto pià scellerati?
Se chi di privato è divenuto monarca, se chi tardi
ha cominciato a nuocere, ha percorsa tutta la mal-
vagità de’ tiranni , quali , pensate , esser debbono i
discendenti da lui , scellerati di stirpe , scellerati di
educazione , che mai non poterono vedere nè appren-
dere in città misure politiche di moderazione ? E per-
chè non per congetture , ma intimamente conosciate
la perversità loro , e quai cani latratori alleva contro
voi la tirannide di Tarquinio ; specchiatevi in un a-
zione sola del primogenito.
LXXXII. E questa la figlia di Spurio Lucrezio ,
lasciato prffetto in Roma dal Tiranno nelP andare
alla guerra , e moglie insieme di Tarquinio Colla-
Uno , del consanguineo de’ tiranni che pur tanto ha
da loro sopportato. Or questa per serbarsi pudica.
Vy
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io4 DELLE Antichità’ romane
e tutta agli amori del suo marito , come fanno le
virtuose , avendo Sesto qual parente preso ospizio
appo lei , mentre Collatino era lungi nelt armata ,
non potè schivare nella passata notte le onte. sfre-
nate della tirannide; ma violentata come una schù^va
sostenne ciocché libera donna non dee. Pertanto esa-
cerbatane , e presa la ingiuria per insoffribile , dopo
che ebbe narrato al padre e a congiunti le vicende
ree che la desolarono , dopo che ebbe pregato e scon-
giurato che la vendicassero per tanti mali; alfine
traendo il pugnale che celava nel seno , profondos-
selo, e vedendola il padre j o Romani, nelle viscere.
O tu certo mirabile , o tu di encomj degnissima per
la nobile ' risoluzione ! t’ involasti, moristi non reg-
gendo agli obbrobri del tiranno , e ■■ ricusasti le dol-
cezze tutte del vivere perchè simile calamità non ti
avvenisse. Avrai tu dunque o Lucrezia nella tua fem-
minil condizione K avuto il. cuore de’ valentuomini , e
noi , uomini - nati , noi saremo in viltà men che le
femmine ? Tu perchè predata a forza del fiore im-
macolato della tua pudicizia , avrai tu reputato la
morte pià dolce e pià beata della vita; e noi non
avrem pur nell’ animo , che Tarquinio non da una
notte , ma già da venticinque anni ci opprime , e ci
ha colla libertà levato gli agi tutti del vivere ? No ;
pià non dobbiamo , o Romani , noi vivere avvolgen-
doci in tanti pericoli , noi che discendenti siamo di
que bravi , che vollero fondare i diritti fin per gli
altri, e lanciaronsi a tanti .pericoli per la sovranità
e la gloria : ma V una delle due si dee scegliere o
LIBRO IV. Io5
libera vita, o morte onorata. È pur venuto il tempo
che bramavamo ; perchè lungi è il tiranno dalla città,
e perchè duci sono della impresa i patrizj , e perchè
se con animo pronto ci facciamo ad imprendere , non
abbisogniamo di cosa niuna non di uomini , non di
danari , non di arme , non di capitani , non di altro
apparecchio militare ; essendone Roma pienissima.
Siaci pure una volta vergognà che noi che cerchiamo
signoreggiare i Volsci , i Sabini , ed altri moltissimi^
noi stiamo • ad altri servendo , e che mentre tante
guerre imprendiamo per in^andire Tarquinio , niuna
per la nostra liberuì ne facciamo.
LXXXIII. Ma di quali incora^menti ci varrem
per la impresa , di quai leghe ? È questo che rima-
nenti a dire. Primieramente c incoraggiremo su la
speranza negl’ Iddj de’ quali Tarquinio viola le sante
cose , i templi , gli altari , libando e sacrificando con
mani lorde di sangue, e di ogni scelleraggine contró
de cittadini; appresso c incoraggiremo su la speranza
che abbiam su noi stessi che nè pochi siamo , nè
inesperti di gierra ; e finalmente sul rinforzo di que-
gli alleati i quali non ardiranno far novità se noi
non ve 'gV invitiamo ; ma se vedono che noi il valor
nostro raccendiamo , lietissimi ci si uniran per com-
battere ; nemico essendo della tirannide chiunque
vuole esser libero. Che se alcuno di voi teme quei
cittadini che in campo si porran con Tarquinio per
militare con esso contro noi ;• non bene teme costui.
Anche ad essi è grave la tirannide , ed ingènito in
tutti è V amore della libertà : ed ogni occasione di
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I06 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
mutamento basta a chi è misero necessariamente. Che
se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la pa-
tria , non timore li riterrà co’ tiranni , non grazia , e
non cosa ninna la quale sforzi o persuada , a mal
fare. E se in alcuni si è per la ria natura , e la
trista educazione abbarbicato V amor dei tiranni ; ri-
durremo ancor essi , che molti non sono , con insu-
perabile necessità sicché utili ci divengano i malevoli ;
perciocché teniamo in città quali ostaggi i loro figli ,
le mogli , i parenti , pegni carissimi che ognuno pre-
gia più che la vita. Or se noi prometteremo di ren-
dere questi , se decreteremo per essi la impunità
quando distacchinsi dal tìrannno ; di leggeri li per-
suaderemo. Cosicché fatevi cuore o Romani , concepite
belle speranze per V avvenire , uscite per una guerra,
certo la più gloriosa di quante mai ne imprendeste.
Si , palrj Dei , propizj curatori di questa terra , sì
Genj , tutelari già de nostri padri, sì, città caris-
sima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e
cresciamo , sì noi vi difenderemo co’ pensieri, colle
parole , colle opere , colla vita ; pronti a tutto sof-
frire , quanto la fortuna porti ed il fato. Presagi-
scorni che alla impresa buona seguirà fine bonissinto.
Possano quanti confidano , quanti decidonsi come noi,
voi salvare ed essere da voi salvati parimente !
LXXXIY. Mentre Bruto aringava , faceansi ad ogni
suo detto acclamazioni dal popolo in signiBcazione , che
esso appunto cosi voleva, e comandava. Ed i più sen-
tendo quel parlare maraviglioso ed inaspettato lagrima-
vano per tenerezza. Inondavano passioni varie nè punto
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LIBRO IV. 1 07
amSi ogni petto: e dove il rancore, dove la gioja trion-
favano , là pe’ mali già sostenuti , qua pe’ beni che si
aspettavano. Dove era audacia , dove timidità , quella
che incitava a non curar sicurezsa contro i subjetti ,
odiati perchè intenti a far male ; e T altra che oppo»
neasi agl’ impeti delia prima , perchè vedea non facile
la rovina della tirannide. Ma non sì tosto colui cessò
dal parlare ; tutti , quasi con una bocca , ad una voce
esclamarono, che guidassegli alle arme. E Bruto dilet-
tatone , sì , disse , ma quando prima avrete udito , e
confermata co’ voti vostri i decreti del Senato. E noi
decretiamo CHS i TAsqvatj s tutta la consangvu
HIT a' loro svogano ROMA E QUANTO È Ds' ROMAICI :
CBS NIUNO FOSSA DIRE O BRIGARE SUL RITORNO DEI
tiranni; e se contravviene; si" uccida. Or se
volete che un tal parere si adotti ; compartitevi in
curie , e datene i voti. Questo incominci per voi li
diritti della' vostra libertà. Disse ; e cosi fu hitto : e
poiché tutte le Curie ebbero decretato 1’ esilio del ti-
ranno ; Bruto fattosi innanzi , ripigliò : Giacché avete
voi ratificato quanto deesi , le prime cose ; ascoltate
U resto che abbiam deliberata su lo Stata. Esami-
nando noi qual magistrata esser dee V arbitro del
comando , ci è piaciuto , non già di rinnovare il co-
mando di un solo , ma di creare ogm anno due capi
con regio potere , che voi stessi eleggerete ne’ comizj,
votandovi per centurie. Or se volete anche ciò ; da-
tene il voto. Il popolo lodò questo ugualmente; nè vi
fu pur un voto contrario. Quindi ripresentatosi Bruto ,
nominò Spurio Lucrezio per interré , perchè secondo le
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io8 DELLE Antichità’ romane
patrie leggi prendesse cura de’comisj. Costui sciogliendo '
r adunanza , ordinò che tutti subito si recassero in arme
al campo , dove solcano tenere i comizj. Recativisi ;
scelse due Bruto e Gollatino che facessero quanto fa-
cevano i re. Ed il 'popolo chiamato per centurie con»
fermò la magistratura a que’ due. Tali sono le cose ai»
lora fatte in città.
LXXXV. Tarqninio come udì da messaggeri sottrat»
tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne
chiudessero , che Bruto (perché narravano questo solo)
fattosi capo-popolo , aringava i cittadini , e suscitavali a
rendersi liberi , parti senza dirne le cause , prendendo
se^o i figli , ed altri più fidi , e correndo a briglie
sciolte onde prevenire la ribellione. Ma trovando chiuse
le porte , e piene le mura di arme , tornossene , quanto
potè , veloce nel campo affligendosi e lagrimando : se
non che già le sue cose erano qui pure in iscompigUo.
Imperocché li consoli antivedendo la sollecita venuta di
lui verso Roma aveano per altra via spedito all’armata,
invitandola a togliersi dal tiranno , ed annunziandole i
decreti di quei della città. Or Tito Erminio e Marco
Orazio lasciati dal tiranno nel campo prendendo quelle
lettere le recitarono nell’ adunanza : e dimandando via
via per centurie ciò che era da fare , e piaciuto a tutti
che si ratificassero le deliberazioni della città ; più non
riceverono Tarquinio che tornavasi a loro. E caduto
pur da questa speranza fuggisseue con pochi alla città
di Gabio f della quale , come ho detto di sopra , avea
creato monarca , Sesto il suo primogenito. Esso già ca-
nuto per anni avea tenuto per cinque lustri il comando.
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LIBRO IV, 1 09
Erminio ed Orazio , concbiusa una tregua di quindici
anni cogli ÀrdeatinI , ricondussero in patria le milizie.
Per tali cause e da tali uomini fu tolta in Roma la
regia dominazione, conservatavisi per dugcnto quaranla-
quattr’ anni dalla sua fondazione , e divenuta in fine
tirannide sotto 1’ ultimo re.
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Ilo
DELLE
ANTICHITÀ ROMANE
O I
DIONIGI ALICARNASSEO
LIBRO QUINTO.
I. OloMSERVATASl in Roma la regia dominazione per
dugento quarantaquatlr anni e cangiatavisi poscia in ti-
rannide sotto r ultimo re fa per le cagioni anzidette
abolita da tali uomini (i) sul principio della olimpiade
sessagesima ottava , nella quale Iscomaco da Crotone
vinse allo stadio , mentre Isagora esercitava in Atene
r aunuo magistrato. Ed istituitasi la signoria de’ pochi ,
mancando quattro mesi al compiersi di quell’anno , as-
sunsero i primi il comando supremo , Lucio Giunio
Bruto e Lucio Tarquioio Collatino col nome di consoli,
(i) Anni 345 fecondo Catone e i 47 'ecjndo Varrone dalla fonda-
ilone di Roìna , e So; avanli Cristo.
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DELLE Antichità’ bomane libro v. ih
cosi chiamandosi da* Romani, come già dissi, nel patrio
idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a sè
gli altri che numerosi tornavano dal campo in città dopo
conchiosa la tregua con gli Àrdeatini ; e pochi giorni
appresso la espulsione del Tiranno convocando il popolo
a parlamento , e ragionando copiosamente su la concor*
dia ; fecero di bel nuovo decretare co’ voti , come già
quelli che erano in Roma lo avevano decretato , bando
perpetuo ai Tarquinj. Dopo ciò puri6cando la città ,
fattone sacrifizio ; essi i primi , stando intorno le vitti-
me , giurarono , e ccndussero pur gli altri a giurare ,
che mai più dal bando richiamerebbero il re Tarquinio,
nè la prole di lui , nè i figli de’ figli : anzi che non più
iarebbono re ninno in Roma , nè tollererebbono chi far
cel volesse. Cosi giurarono su’ Tarquinj , su* figli, e su
la prosapia loro. E , couciossiachè pareano i re , stati
autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deli-
beratisi a conservare il nome almeno di tal signoria ,
finché Roma durava, comandarono ai pontefici ed agli
auguri di eleggere il più idoneo tra’seniori, perchè tolto
da tutte le cure , se non dalle religiose , presedesse in
sul culto, e Me si chiamasse non delle politiche, non
delle militari , . ma delle sante cose. Per tanto fu delle
sante cose nominato re per il primo Manio Papirio ,
uomo patrizio e dedito alla dolce calma (i).
II. Stabilito ciò , temendo , io credo , che non si ge-
nerasse negli altri sui nuovo governo la idea non vera,
che in luogo di uno dominavano due re la città mentre
Secondo Feslo il primo re tacriJieuUu , fa Sicinnio Beliulo ,
ed in cfò discorda da Dionigi e da Livio.
II2 DELLE Antichità’ romane
r uno e 1’ altro de’ consoli avca come un tempo i re le
dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal concetto, e sce-
mare la invidia del comando, e fecero cbe l’uno de’con-
soli portasse dodici scuri , e F altro dodici littori colle
verghe coronate solamente (i) come narrano alcuni: tal-
ché le scuri le assumesse e recasse ora l’uno ora F altro vi-
cendevolmente per un mese intiero. Animarono con que-
sto F umile plebe a conservar quel governo ; e con simili
cose non poche. Imperocché rinnovarono tutte le leggi
scritte da Tullio su’ contratti ; le quali si tenean per
umane e popolari , e Tarquinio aveale tutte soppresse :
e comandarono che si facessero come a’ tempi di Tullio,
i sagriGzj che in città si faceaiio o nella campagna , riu-
iiendovisi que’ di Roma e de’ villaggi. Concederono che
il popolo si radunasse per le cose più rilevanti , e desse
il voto , e ripigliasse a voler suo gli usi primitivi. Pia-
ceano tali cose alla moltitudine ravvivatasi dal servir
lungo a libertà non aspettata. Nondimeno ci ebbero al-
quanti i quali desiderosi de’ mali della tirannide per de-
menza o per avarizia congiurarono di tradire la patria
e richiamarvi i Tarquinj , trucidandone i consoli : ed io
dirò quali ne fossero i capi, e come im provvedutamente
scoperti , mentre credeansi occulti a- tutti, ma riassumerò
le cose alquanto più addietro.
III. Caduto Tarquinio dal trono , si tenne per un
tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a
(i) Il lesto non è ben fìsso : e fotse dee leggersi verghe curve o
grosse nella lesta. Il codice Valicano avendola voce xafvtat e noa
xtfà/tttt favorisce la idea di verghe grosse in testa. Silburgio pro-
pende per le verghe ricurve iu cima .
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LIBRO V. I 1 3
lui ne venivano amici della tirannide pià che delia li-
bertà , e confortandovisi in su le speranze de’ Latini ,
quasi potessero questi ricondurlo alla reggia. Ma poscia
che le città non io ascoltavano nè voleano per lui fare
una guerra ai Romani ; disperandone alfìne il soccorso
fuggissene a Tarquinj città Tirrena , donde era la ma-
terna origine sua. E cattivandosi que’ cittadini co’ doni ,
e prodotto da essi in piena adunanza , rinnovò 1’ antica
congiunzione con loro, e commemorò li benefizj deU
r aiuolo suo con tutte le città Tirrene , e gli accordi
che avean fatto con lui. Poi si lamentò con tutti della
sciagura che avealo preso , e come travolto in un sol
giorno da lietissima condizione , ora profugo con tre
6gli e bisognoso fin del necessario , era costretto ricór-
rere a popoli , un tempo, sudditi suoi. Scorrendo su
tali cose pateticamente e con molte lagrime, indusse il*
popolo a spedire il primo a Roma uomini che portas»
sero parole di pace per lui , quasi i potenti ivi fossero
per favorirlo, ed ajutarlo* al ritorno. Nominati quelli
eh’ egli volle per ambasciadori , ed istruitili delie cose
che erano da dire e da fare gli spedi con alquanto di
oro e con lettere de’ fuorusciti con esso dirette con
preghiere agli amici e domestici loro.
IV. Venuti questi a Roma dissero hi Senato : che
chiedea Tarquinia la franchigia di venire con pochi
prima in Senato, e poi, quando ciò fossegli conce--
duto dal Senato , nell adunanza del popolo per darvi
conto delle opere sue fin dai principj del regno ,
falline giudici tutti i Romani , se alcuno mai lo ac -
DIONIGI , tomo II. S
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1 1 4 DELLE Antichità’ romane
cusasse. Che se appien si giustifica, se persuade che
egli non ha colpe degne dell esilio ; allora se gUel
concedano , regnerà novamente con que' limiti che gli
prescriveranno : se poi decreteranno di non voler più.
come per l’ addietro la sovranità dei re , ma di fon-^
darne un altra qualunque , egli uniformandovisi al
pari degli altri reslerassene colla sua famiglia in Ro-
ma, sua patria, libero almeno della vita degli erranti,
e de' profughi. E ciò detto supplicavano il Senato pei
comuni diritti che vogliono che niun si condanni senza
discolpe e giudizj , a concedere una difesa della quale
essi giudicherebbero. Che se ciò non volevano a lui
concedere , fossero compiacevoli almeno in vista della
città la quale s' intrametteva. Compiacendola , tutto-
ché senza discapito loro , assai onorerebbero la città
che ciò conseguiva. Uomini essendo , non si elevassero
sopra la sorte degli uomini: nè serbassero immortali
sdegni in cuori mortali : ma in grazia degt inter-
cessori si sforzassero anche contro lor voglia di usare
mansuetudine ; considerando eh' egli è da savio con-
donare le inimicizie per le amicizie ; ma da stello e
da barbaro volgere in nemici gli amici.
V. Aveano ciò detto , quando Bruto sorgendo re-
plicò : Sul ritorno de' Tarquinj in Roma cessate o
Tirreni di più ragionarne. Imperciocché già si è qui J
volato irreparabilmente per l'esilio loro: ed abbiamo
tutti ^giurato agC Iddj di non restituire i tiranni, e di
non tollerare che altri ce li restituisse. Ma se chie-
deste con altra moderazione a cui nè le leggi nè li
giuramenti si oppongono', manifestatevi. Or qui fai-
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LIBRO V. 1 I 5
tùi innanzi gli ambasciadoi’i soggiunsero : Terminale ci
sono contro la espettazione le prime dimandet am-
basciadori per uno che si raccomanda , per uno che
vuole dare a voi conto di sè stesso , abbiamo chiesto
qual grazia ciocch’ era diritto per lutti : nè potemmo
ottenerlo. Ora poiché ve n è parato così ; non più vi
presseremo sul tornar de' Tarquinj. J\oi facciamo
istanza per un altro diritto di cui la patria c incari-
cava , e su cui non legge , non giuramento impedi-
scavi, cioè che rendiate al monarca i beni clm [ avolo
suo possedeva senza toglierli a voi nè di forza nè in
occulto , ma portati qui avendoli , come ereditati dal
padre. A lui basterà , se lo ricupera, il suo, per vi-
vere altrove Jelicemente, senza vostra molestia. Riti-
raroDsi ciò detto gli ambasciadorì. Bruto T uno de’ con-
soli suggeriva che si ritenesser que' beni in compenso
delle ingiustizie sì gravi e sì numerose dei tiranni
contra del pubblico , e per util di Stato : perchè non
si dessero ad essi de mezzi co’ quali far guerra ;
preammonendo, che nè si affezionerebbero ad essi
i Tarquinj col riavere i lor beni nè sosterrebbero una
vita privata , ma porterebbero su Romani le arme di
altri popoli , e tenterebbero di tornare colla forza al
comando. Collatino però consigliava il contrario , di-
cendo che non gli averi , ma le persone dei tiranni
noceano la città. Pertanto scongiuravali a guardarsi
prima dalC incorrere nella rea fama di avere espulso
i Tarquinj per invaderne i beni , e poi dal porgere
ad essi cosi spogliandoli , giusta occasione di guerra :
dicea che non era chiaro , che ricuperando i beni si
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1 1 6 DELLE Antichità’ romane
accingerebbe^ ancora ad una guerra con essi , lad-
dove era ben manifesto , che non ricuperandoli f rion
si cheterebbero.
VI. Cosi dicendo i consoli ; e molti sentendola col-
r uno e coir altro ; il Senato dubitò come avesse a ri-
solvere. E ripigliandone per più giorni l’ esame , e pa-
rendogli che Bruto consigliasse il più utile , ma Colla-
tino il più giusto ; in ultimo deliberò che giudice ne
fosse il popolo. Or qui dette essendo più cosedairnno>
e dall’ altro de’ consoli , e venendo alBne le curie , che
eran trenta di numero , ai voli , preponderarono le une
alle altre con si piccini divario che quelle le quali in-
timavano che si rendessero i beni superarono di uà
sol voto le altre le quali voleano che si ritenessero. I
Tirreni avuta la risposta dai consoli : e molto lodando'
la città che anteponesse all’ utile il giusto ; spedirono a
Tarquinio perchè mandasse chi ricevesse i beni di lui ;
frattanto essi resiavansi a Roma sul titolo del trasporto
de’ mobili, o di dar sesto a ciò che non potessi menar
via j nè carreggiare : ma in realtà spiando e brigandovi,
come il tiranno aveali incaricali. Perocché ricapitarono'
le lettere de’ profughi agli attinenti loro ; pigliandone
le altre di replica. E conversando , e studiando le affe-
zioni di molti , se ne trovavano alcuni facili ad essere
guadagnati per la poca fermezza , per la inopia , o pel
desiderio di 'empiersi nella tirannide, davansi a subor-
narli coir oro e con ampliarne le belle speranze. Vi
sarebbero secondo le apparenze in città si grande e si
popolata, alquanti non degl’ infimi solo ma de’riguar-
devoli i quali anteporrebbono il governo men buono al
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LIBRO V. I 1 7
migliore 'y or furono tra questi i due Giunj Tito e Ti>
berio , figli di Bruto il console , puberi appena, e con
essi i due Geli] (i) Marco e Manio fratelli della moglie
di Bruto , idonei a’ pubblici affari : Lucio e Marco
Aquìlio, figli ambedue della sorella di Collatino, altro
consolo , e conformi di anni al figli di Bruto , presso
a’ quali , non più vivendo il lor padre , per lo più si
adunavano e ctmcertavano sul ritorno de’ tiranni.
VII. Tra le molte cose , per le quali a me sembra
che Roma giugnesse per la provvidenza de’nnmi a stato
si prospero , non sono le infime quelle che avvennero
allora. Imperocché si mise in que’ sciaurati tanta de-
.menza , e tanta cecità , che osarono fino scrivere al
tiranno di propria mano lettere che indicavano il nu-
mero copioso de’ congiurati ed il tempo nel quale as-
salirebbero r uno e r altro console , lusingati dalle epi-
stole del perfido ad essi per le quali volea sapere i
.compensi che avrebbe a dare, tornando in trono , al
Romani. Ebbero i consoli queste lettere per tale in-
contro. Eransi i prlmarj de’ complici riuniti in casa,
degli Aquilj nati dalla sorella di Collatino , invitativi
come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordi-
nando che quei che lo aveano ministrato uscissero e si
• tenessero nell’ anticamera; confabulavano infra loro su
• la rintegrazione del tiranno , e segnavano ciascuno , i
.mezzi che glien parevano di mano propria in lettere
che gli Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tir-
reni, e questi a Tarquinio. Intanto uno schiavo (Vin-
(i) Sigonio ne* scogtj LÌTiani pone Vitel^ in luogo di Gellj se-
guendo le antoriià di Livio e di Plnisrco.
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I 1 8 DELLE antichità’ BOMANE
dicio ne era il nome ) della città di Genina , il quale
fervito gli avea di bevanda, sospettando dalla remoaione
de’ servi che coloro macchinassero qualche scelleraggine,
si stette solo fuori della porta , ed applicatovisi in una
fessura ben lucida , ne udì li discorsi , e ne vide le
lettere che vi si scrivevan da ognuno. Quindi a notte
avanzala uscendo come in servigio de’ padroni , non
ardi di andare ai consoli sol timore che volessero per
r amor de’ congiunti che il fatto si occultasse , e ' levas~
sero di mezzo chi porgea la dinunzia : ma recatosi a
Pubblio Valerio l’ uno de’ quattro , primarj nel tor la
tirannide y congiunsero a vicenda la destra , e giuratagli
da lui sicurezza , gli svelò quanto odi , e quanto vide.
Colui , saputo il fatto , si presentò • senza indugio su
r alba in casa degli Aquilj con valida schiera di clienti
e di amici , e penetrandone senza «>ntesa le porte co-
me per tutt’aliro affare , s’impadronl delle lettere men-
tre pur v’ eran que’ giovani , i quali menò seoo innanzi
de’ consoli.
Vili. Ora essendo io per dire le sublimi , e meravi-
gliose gesta di Bruto di che tanto i Romani si magni-
ficano , temo che sembrino austere troppo nè credibili
ai Greci , giacché tutti sogliono per natura giudicare le
cose che di altri si dicono dalle proprie, e secondo
queste aversele per credibili o non credibili. Nondimeno
io le dirò. Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto in
tribunale , ed esaminando le lettere de' congiurati , ap-
pena scopri quelle de’ figli distinguendole dai sigilli , e
dopo rotti i sigilli , dai caratteri; ordinò primieramente
•he lo scriba leggessene 1’ una e l’ altra , sicché tutti le
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LIBRO V. I 19
udissero, e quindi che i Ggli dicessero su ciò se vo-
leano. Niuno de’ due ardiva rivolgersi impudentemente
a negarle per sue, ma quasi avessero già condannato
sè stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo
sorse ; ed intimalo silenzio , ed aspettando tutti qual ne
sarebbe la flne , disse , che condannavali a morte. Or
qui alzarono tutti la voce , alienissimi , che avesse un
tal uomo a punire sè stesso colla morte loro, e voleano
condonare al padre la vita de’ figli. Ma egli non com-
portando nè le voci nè i pianti comandò a’ satelliti che
di là rimovessero i giovani che lagrimavano e supplica-
vano e co’ nomi più teneri lo chiamavano. Riusciva
spettacolo meraviglioso a tutti che un tal uomo niente
piegato si fosse nè per le preghiere de’ cittadini , nè per
la commi aerazione inverso de’ figli : assai però parve più
portentosa 1' austerità di lui circa il supplizio. Imperoc-
ché nè permise che si uccidessero i figli allontanati dal
cospetto del popolo , nè egli , almeno per fuggirne la
terribile vista , si ritirò dal Foro finché non furono pu-
niti : nè condiscese pure , che subissero , non disonorati
co’ flagelli almeno , la morte destinata. Ma custodendo
tutte le consuetudini , e tutte le leggi quante ve n’ ha
su’ malfattori , egli stesso nel Foro tra la pubblica vista
presente a tutto , fattili prima straziar colle verghe ;
concedette alfine che con le scurì si decapitassero. Sor-
prendente soprattutto , inconcepibile era in quest’ uomo
la immobilità degli sguardi senza indizio nemmeno di
compassione. Tanto che piangendo tutti , egli solo fu
visto non piangere sul destino de’ figli: nè sospirò per
sè stesso , nè per la solitudine la quale facevasi nella
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120 DELLE Antichità’ ROMANE
sua casa , nè diè segno in tutto di debolezza: ma senza
lagrime , senza lamenti , e come inalterabile , portò ma-
gnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di ani-
mo , tanto costante in compiere le risoluzioni , e tanto
superiore agli affetti che turbano la ragione !
IX. Uccisi i &gli fe’ chiamare immantinente gli Aqui-
Ij , 6gli della sorella dell’ altro console , presso a’ quali
teneansi i congressi de’ congiurati. E comandando alle
scriba che ne leggesse l’ epistole sicché tutti le udis-
sero ; intimò ad essi che sen difendessero. Ma i giovani
venuti dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero
dagli amici , sia che di per sè lo risolvessero , si gitta-
rono a piedi dello zio per essere da lui salvati. Ma co-
mandando Bruto ai littori che li svellessero , e li traes-
sero se non voleano giustificarsi alla morte ; Collatino
sopraggiunse a questi , che sospendessero alquanto fin-
ché abboccavasi col collega , e pigliatolo da solo a solo
orò lungamente pe’ garzoncelli ; parte escusandoli che
fossero caduti in tale stoltezza per inesperienza e per
compagnie triste di amici , e parte eccitandolo a con-
donare la vita di parenti , dimandandolo in grazia lui
che non d’altro mai più lo vesserebbe , e parte facendo
riflettere che turberebbesi il popolo tutto se davausi ad
uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co’ fuoru-
sciti perchè ritornassero ; imperocché dicea eh’ eran
molti , e parecchi non ignobili di lignaggio. Ma non
venendogli di persuaderlo; ne chiese almeno pena più
mite che non la morte, dicendo: mal convenirsi che i
complici si avesser la morte , mentre il tiranno non so-
stenea che l’ esilio. E perciocché Bruto ripugnava da
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LIBRO V. I 2 I
pene più mi», nè voleva (ciocché chiedeva da ultimo
il suo collega ) nemmeno differire il giudizio de’ colpe-
voli , e minacciava , e giurava di darli tutti appunto iu
quel giorno alla morte ; Coliatino sdegnatosi in fine che
niente ottenea ; soggiunse : io , pari tuo , to scamperò
que' giovini se tu se tanto intrattabile e duro : E Bruto
indispettitone , no , disse, Coliatino ; non potrai finché
10 vivo far salvi i traditori della patria : anzi tu pure
darai tra non molto le pene che meritL
X. Ciò detto, e messa una guardia su’ giovani chiamò
11 popolo a parlamento : e riempiutosi il Foro, perchè
il supplizio de’ figli suoi , già si era in città divulgato ,
egli facendosi in mezzo , cinto da’ più cospicui de’ se-
natori disse : lo vorrei o Cittadini , che Collatino ,
questo mio compagno , fosse concorde con me su tutto,
ed odiasse e combattesse i tiranni non pur colla voce,
ma colle opere. Ora poiché lo trovo manifestamente
contrario e congiunto in tutto a' Tarquinj di sangue,
di voglie , e di brighe onde riconciliarceli , anzi col--
[ utile suo che del comune ; io sono risoluto di op~
pormegli perché non compia le ree sue macchinazioni,
e perciò vi ho qua convocati. Io dirò primieramente
in qitanto pericolo sia la città ; poi come t uno e
t altro di noi siasi diportato. Biunitisi alquanti in
casa degli Aquila nati dalla sorella di Collatino , e
tra questi ambedue li miei figli e li fratelli della mia
moglie , ed altri non ignobili ; stabilirono , e congiit-
rarono la mia morte , e di restituirvi in Tarquinio il
monarca. E già erano per mandare ei fuorusciti /efr-
tere contrassegnate da loro caratteri e sigilli. Ma si
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122 DELLE ANTICHITÀ* BOMANE
fe ciò , la Dio mercede , a noi manifesto , indican-
docelo questo uomo , che è un servo degli jiquilj , di
quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella
notte precedente le lettere ; e noi , le abbiamo noi ,
queste lettere. Io già ne punii Tito e Tiberio miei
figli : e niente , non leggi , non giuramenti , furono
da me violati per la clemenza di un padre. Ma Col-
latino mi ritoglica dalle mani gli Aquilj con dire che
non soffrirebbe che partecipassero la sorte de' miei
figli , se partecipato ne aveano i disegni. Ma se co-
storo non soggiacìono a pena , nemmen dunque vi
dovran soggiacere non i fratelli della mia moglie ,
non quanti sono , i traditori della patria. E qual di-
ritto più grande avrò io contro questi, se risparmiatisi
quelli ? Dite , qual contrassegno c mai questo , di
amici della patria , o del tiranno , di conferma del
giuramento che avete voi tutti prestato noi preceden-
dovi , o di sconvolgimento e di perfidia ? Se egli ri-
manevasi occulto , pur sarebbe in preda alle fune e
sotto la vendetta degli Dei che spergiurava. Ora poi-
ché vi si è palesalo a voi si spetta , a voi di punirlo.
Vi persuadea costui pochi giorni addietro che rende-
ste i suoi beni al tiranno , non perchè la città se gli
avesse per usarne in guerra contro i nemici , ma per-
chè li nemici gli avessero per usarne contro la città.
Ed ora si arroga di esentare dalle pene i congiurati
a restituirvi i tiranni , in favore come è chiaro di
questi , perchè se mai tornano , sia di forza , sia per
tradimento egli in vista di tanti servigj ne ottengcL
come amico , quanto dimanda. Ed io che non ho per-
S
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LIBRO V. ia3
donato a’ figli miei , io dovrò, o Collatino, te rispar-
miare , che sei con noi di presenza , ma coll’ animo
tra’ nemici ? E tu che salvi i traditori della patria ,
tu me che per essa travagiiomi , ucciderai ? Or potrà
farsi ? Eh ! che lontani siamo di molto. E perchè
non possi nulla di simile , ti levo dal consolato e
cornandoti che in altra città ti conduciti. E voi o citi-
iadini voi chiamerò ben tosto per centurie , e presi i
voti, deciderete se dobbiam così fare. Intanto , (e
vivissimamente avvertitelo ) voi l' una delle due mi
dovete , escludere Collatino , o Bruto.
XI. Or lui cosi dicendo ; Gollatino esclamando ed
angustiandosi , cbiamavalo di cosa in cosa calunniatore
e traditore degli amici : e purgandosi dalle incolpazioni
contro di lui , pregava intanto pe’ fìgii della sorella: ma
perciocché non permettea che si dispensassero i voti
contro di lui ; inferocivane il popolo , levandosi a re-
more in ogni suo dire. Ora essendo cosi inferocito nè
soffrendo discolpe , nè volendo preghiere ma solo che
si dispensassero i voti ; ed interponendosene il suocero
Spurio Lucrezio , uom pregiatissimo , per timore che
Collatino non perdesse ignominiosa mente ad un tempo
il magistrato e la patria , chiese da ambi i consoli fa-
coltà di parlare. Ed ottenutala , esso il primo , come
dicono gli storici Romani , giacché non v* era ancor
r uso che un privato aringasse il comune ; diedesi pub-
blicarrtente a pregare 1’ uno e 1’ altro de’ consoli , Col-
latino perché non si ostinasse e non ritenesse il comando
a mal cuore de’ cittadini , che spontanei gliel diedero ;
ma se pareva a que’ che gliel diedero di ripeterlo , vo-
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124 delle antichità’ romane
lontanamente lo restituisse , e levasse co’ fatti , non coi
detti le accuse contro di lui : prendesse le sue cobbe e
si recasse ad abiure altrove, dovunque voleva, Gnchè
10 Stato non era in salvo ; cosi porUndo 1’ utile pub-
blico : riflettesse come in altre ingiustizie gli uomini se
ne sdegnano , quando sono commesse : ma che sospet-
undosi di tradimenti stimano anzi saviezza temerne in-
vano e guardarsene', che trascurarli e lasciarsene rovi-
nare. Persuadeva poi Bruto , che non cacciasse dalla
città con vergogna e con vitupero quel magistrato com>
pagno col quale avea preso le risoluzioni più belle {>ér
la patria : ma che desse a lui , s’ avea cuore di lasciare
11 suo grado e di trasmigrarsi , tutto 1’ agio a raccor le
sue robbe , e gli aggiungesse a nome del popolo un
dono come pegno di consolazione nelle sue calamità.
XII. Cosi consigliando quel valentuomo , inUnto che
il popolo ne lodava i discorsi , Collatlno depose la sua
dignità , contristato che per la pietà de’ parenti era
astretto a lasciare e senza demeriti la patria. All’ oppo-
sito encomiavalo Bruto perchè risolveva il migliore per
la sua Roma e per sè , e pregavalo a non. disamorarsi
nè verso di lui , nè della patria : trasportando al-
trove la sede , considerasse ancor sua , la patria che
lasciava , nè si meschiasse a’ nemici contro lei non
colle parole , non colle opere. Considerasse in somma
questo transito suo qual pellegrinalo , non qual
bando, o fuga: tenesse il corpo presso quei .che lo
ricevevano , ma V affetto suo , lo . tenesse questo ,
presso quei che lo mandavano. Or, cosi avendo am-
monito quest’ uomo persuase il popolo a regalarlo di
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LIBRO V.’ laS
venti talenti , con aggiungerne egli cinque del suo. Ca»
duto Tarquinio Cotlaiino in tale disgrazia si ritirò a
Lavinia , antica madre de’> Latini dove carico di anni
mori. Bmto non sopportando di essere solo al comando,
per non dare sospetto , che levato avesse il compagno
dalia patria per fervisi re , chiamò bentosto il popolo al
campo dove usava eleggere i sovrani- e gli altri magi»
strali , e creò per collega nel consolato Pubblio Yale»
rio , uno dei discendenti , come sopra fu detto , dai
Sabini , uom degno di ammirazione e di lode per le
molle suo doli , e principalmente per la sobria sua
vita. Egli trovando in sé stesso una luce naturale di
filosofia , la fece brillare in più affari , come poco ap»
presso diremo.
XIII. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a
morte , quanti erano , i congiurati al ritorno de’ fuom»
sciti , e dichiararono libero e cittadino il servo . che
aveali denunziali , colmandolo di oro. Poi fecero tre
bellissimi ed utilissimi regolamenti , che la città con-
temperarono a pensare tutta di un modo , sminuendo il
favor pe' nemici. Il primo spediente fu di scegliere i
migliori della plebe e di crearli patrizj , onde compier
con essi un Senato di trecento. Appresso esposero al
pubblico le suppellettili del tiranno , concedendo che
ognuno se ne avesse , quanto toglievano ; e comparti-
rono i terreni di esso a chi non aveane , riservandone
unicamente il campo tra ’l fiume e tra la città , dedi-
cato già dal voto degli antenati a Marte , come prato
benissimo pe’ cavalli e per gli esercizj de’ giovani in
arme. Tarquinio però , sebbene prima di lui fosse già
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ia 6 DELLE ajitichita’ romane
sacro a qnel nume , aveaselo appropiato , e sem inavaci :
di che è sommo argomento la risoluzione allora presa
da’ consoli sul ricollo che sen ebbe. Imperocché sebbene
avessero conceduto al popolo di prendere e portarsi
quanto era del tiranno , non però consentirono che al-
cuno si arrogasse il grano germogliatovi , sia che fosse
nelle spighe , sia che nell’ aja , sia che già lavorato ;
ma decretarono che si gettasse nel fiume come esecraa*
do , né degno che se lo avessero in casa. £ di tal giuo
sopravvanza ancora , monumento famoso , la isoletta sa-
cra ad Esculapio , bagnata intorno dal fiume , prodotta,
dicono , dagli ammassi delle paglie corrotte , e dai fango
che vi si appiccò nel correr delie acque. Rispetto a
quelli che eransi fuggiti a Tarquinio accordarono ad
essi generale perdono , e ritorno sicurissimo in patria
fra venti giorni , intimando a chi venuto non fosse in
quel termiue , 1’ esilio perpetuo e la confisca de’ beni.
Or tali provvedimenti impegnarono ad ogni cimento
quei che godeano le robe , quante mai fossero del ti-
ranno, sul timore che non venisse ior meno l’utile che
ne aveano; come impegnarono a favorire non più la
tirannide ma la patria , que’ lutti che per le gesta loro
sotto dei despoti , eransi esiliati da sé stessi , per timore
di non pagarne le pene.
XIV.- Ciò fallo , si diedero co* pensieri alia guerra te-
nendo intanto 1’ esercito in campo presso di Roma sotto
le insegne e li capitani per addestrarvelo ; perchè aveano
udito che i fuornscili apparecchiavano centra loro ua
armata dalle città dell’ Etruria , e che quelle de’ Tar-
quinj e de’ Vejenii , potentissime ambedue, cooperavano
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LIBRO V. 127
manifettamente al ritorno di essi , mentre gli amici loro
adunavano dalle altre de’ stipendiati e de’ volontarj. Ma
non si tosto seppero che l’ inimico moveasi , delibera-
rono di farsegli incontra ; e passando prima di esso il
fiume , s' inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni
nel prato Giunio , presso la selva sacra ai genj di Ora-
to (i). Trovaronsi ambedue le milizie quasi pari di nu-
mero con ardore eguale per combattere. £ su le prime,
surse , appena si videro , picciola mischia tra’ cavalieri ,
innanzi che le fanterie prendessero campo. Cosi gli uni
sperimentarono gli altri , e non vincitori e non vinti si
ritirarono ciascuno al corpo de’ suoi. Quindi messa la
fanteria nel centro , e la cavalleria nelle ale si mossero
da ambe le parti coll' ordine stesso fanti e cavalli gli
uni contro degli altri. Conducea l’ala destra Valerio il
console , contrapponendosi a’ Yejeuti : Bruto reggea la
sinistra avendo a fronte la n^ilizia de’ Tarquiniesi co-
mandata da’ figli del tiranno.
XV. Erano già già per venire alle mani quando
' avanzandosi dalle fila de’ Tarquiniesi 1’ uno de’ figli del
tiranno , ( Aruute ne era il nome) il più vago di aspet-
to , e più magnanimo de’ fratelli, e spinto il cavallo verso
i Romani in parte, dove tutti ne intendesser la voce,
coperse d’ ingiuria il duce Romano , chiamandolo fe-
rino , selvaggio , lordo del sangue de’ figli , imbelle e
vile , e lo sfidò per tutti a combattere solo. E colui non
(i) Cosi nel Codice V.iticano. Alcuni peto leggono jirslo in luogo
di Orato , perchè secondo Tilo Livio e Valerio Massimo jfrtia si
idiiamava la selva.
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128 DELLE Antichità’ romane
più bastando alle ingiurie , spronò dal suo posto il ca-
vallo senz' attendere gli amici che nel distoglievano ,
correndo fortissimamente alla morte che eragli apparec-
chiata dai fati. Rapiti ambedue da pari ardore , intenti
a ciò che era da fare non a ciò che ne patirebbono ,
avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dell’al-
tro , e vibransi colle aste colpi vicendevoli , non repa—
rabili cogli scudi , nè con gli usberghi , immergendone
la punta chi nelle coste , e chi nelle viscere. Urtatisi
per la foga del corso i cavalli nel petto , eievaronsi su
pie’ di dietro , e girandosi colla cervice rovesciarono i
cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue in copia
dalle ferite , e lottando colla morte. Come le milizie
videro caduti i duci loro , spiccaronsi tra clamori e stre-
pito , e sorsene battaglia , quant’ altre mai ferocissima ,
di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile. Impe-
rocché li Romani dell’ ala destra comandati da Valerio
console vinsero li Vejenti , ed incalzandoli 6no agli
alloggiamenti , copersero il campo di stragi. Per l’ op—
posito i Tirreni dell’ ala destra guidata da Tito e da
Sesto figli del tiranno misero in volta i Romani dell’ala
sinistra , e corsi presso alle loro trincierò usarono per-
fino tentare se poteano in quell’ impeto primo espu-
gnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v’ erano
dentro , si ripiegarono. Àveanci di guardia i Triarj ,
cosi detti , veterani peritissimi di guerra pel lungo eser-
cizio, e soliti riservarsi pe’ cimenti più gravi , quando
ogn’ altra speranza vien meno.
XVI. E fattosi già il sole presso l’ occaso , tornarono
gli uni e gli altri a’ proprj alloggiamenti non ti lieti
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LIBRO V. I 29
per la viuoria , che doleati per la moltitudine de’ per-
duti compagni. E se doveasi far nuova battaglia non
credeano bastarvi quanti erano intatti fra loro ; essendo
i più feriti : se non che più grande era I’ abbattimento,
e la diffidenza ne’ Romani per la morte del comandante;
in guisa che venne a molti in pensiero che fosse il loro
migliore di abbandonare prima del di le trìnciere. Ma
intanto che cosi pensavano e dicevano usci circa la
prima vigilia dal bosco presso al quale accampavano
una voce , sia del genio tutelare del bosco medesimo ,
sia di Fauno che chiamano , la quale rimbombò su
l’uno e l’altro esercito, sensibilissima a tutù. A Fauno
ascriveano i Romani i panici timori , e tutte le visioni
che varie ne’ luoghi varj presentansi spaventosamente ai
mortali : e di questo Dio dicono che sian opera le chia*
mate fatte dal cielo , le quali tanto perturbano chi le
ascolta. Animava questa voce i Romani a bene operare
quasi avessero vinto , significando come era morto uno
di più tra’ nemici : e dicono che levatosi a tal voce
Valerio ne andasse nel cuor della notte agli alloggia-
menti de’ Tirreni, e che uccidendoveli per la più parte,
o fugandoneli s’ impadronisse del campo.
XVII. Tal fu l’esito di questa battaglia. Nel giorno
appresso i Romani spogliarono i cadaveri de’ nemici ; •
seppelliti quelli de’ suoi , partirono. I migliori de’ cava-
lieri , presolo con molta onorificenza e con lagnme ,
riportavano a Roma il corpo di Bruto in mezzo ai fregi
della propria virtù. Mossero all’ incontro di essi il Se-
nato che avea decretato che si portasse il duce con
pompa trionfale , ed il popolo che ricevè l’ esercito con
BIOaiGl , torneai. 9
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i3o DELLE Antichità’ romane
crateri colmi di vino e con mense. Giunti nella città ;
il console ne trionfò come i re soleano , quando solen-
nizzavano i sagriBzj e le pompe pe’ trofei ; ed offerse
a’ numi le spoglie , e fe' di quei giorno una festa ,
convitando i più riguardevoli de* cittadini. Pigliata nel
giorno appresso lugubre veste , ed esposto il cadavere
di Bruto su magnidco letto in splendido ornamento nel
F oro , vi convocò la moltitudine , e salito in palco , ve
ne recitò 1’ elogio funebre. Io non so ben discemere se
Valerio il primo introdusse in Roma quel costume , o
se dai re io desunse : ben so che ti*a* Romani antichis-
sima é la istituzione degli elogi nella morte de’ valentuo-
mini ; e so da’ pubblici documenti di poeti antichi , e
di storici famosissimi che non i Greci i primi la fon-
darono. Imperocché le vecchie storie danno a conoscere
che ci aveano in morte di uomini insigni , combatti-
menti equestri e ginnici , come Achille ne fe’ su Pa-
troclo , e come Ercole , prima ancora , su Pelope : ma
che gli encomj se ne recitassero , ninno lo scrive se
non i tragici di Atene , i quali adulando la propria
città , favoleggiarono che avesse ciò luogo nei sepolti da
Teseo. Laddove tardi istituirono gli Ateniesi per legge
le funebri laudazioni ; sia che le incominciassero su
quelli che morirono per la patria ad Artemisio , a Sa-
lamina , a Platea , sia che su quelli i quali caddero a
.Maratona. E la impresa di Maratona , se in quella sì
cominciarono gli elogj pe’ defonti , è più tarda della
morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando
d’ investigare quali stabilissero prima i lugubri encomi ,
voglia esaminare presso chi sia la legge meglio ordi-
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LIBRO V. 1 3 I
nata ; la troverà tanto più savia tra questi che tra quelli,
quanto che gli Ateniesi introdussero i pubblici elogi
mortuali , pe’ defunti in battaglia , quasi estimassero la
bontà del solo termine glorioso della vita , sebbene al>
tronde indegnissima : laddove i Komani destinarono tal6
onore non al soli estinti nel combattere , ma a tutti
gli uomini , insigni per sublimi consigli , o per belle
operazioni , sia che in città , sia che in guerra avessero
comandato, ovunque morissero , giudicando che debbansi
i valentuomini celebrare non per la sola morte luminosa ,
ma per tutte le virtù della vita.
XVIIl. Così morì Giuoio Bruto, colui che schiantò
la tirannia , che primo fu console dichiarato , che tardi
rendutosi illustre 6orl sì , piccini tempo , ma fortissimo
parve fra tutti. Non lasciò prole non di maschi non di
femmine , come scrivono gli storici i quali esaminarono
le cose de’ Romani , ancor le più chiare : di che ne
allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non
facile a vincersi , che egli era dell’ ordine de’ patrizj ;
laddove quei che si dicono originati da lui li Giunj e
li Bruti eran tutti plebei, perocché conseguivano le ca-
riche degli edili e de’ tribuni , che son quelle che per
legge a’ plebei si permettono , e non il consolato , cui
niun conseguiva fuorché li Patrizj. E quando questa di-
gnità si concedette ancora a’ plebei coloro non la otten-
nero se non tardi. Ma lasciamo che discutano ciò quelli
a’ quali si appartiene conoscerlo più chiaramente.
XIX. Dopo la morte di Bruto , Valerio il collega
suo , divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scet-
tro ; primieramente perchè tenea solo il comando , do-
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l3a DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
vendo far subito eleggersi un compagno , come quando
Bruto ripudiò Gollatino ; e poi perchè aveasi fabbricato
la casa in sito invidiato , preso nella parte alta e dirotta
del colle , il quale chiamasi Yelio e domina il Foro.
Convinto però da' suoi come ciò dispiaceva al popolo ,
pre&sse il giorno pe’ comizj e fe’ darsi un compagno in
Spurio Lucrezio. E morendo costui dopo pochi giorni
della sua magistratura , sostituì Marc' Orazio ; e trasferì
r abitazione sua dalle cime alle radici del colle , perchè
i Jtomani , come ei disse concionando , potessero tem-
pestarlo co* sassi date alto se trovavano eh* ei facesse
ingiustizia. E volendo rendere il popolo più certo della
sua libertà levò le scuri dai fàsci , dando ai consoli sue*
cessivi il costume , durevole pur ne’ miei giorni , di
usare le scuri quando escono di città , ma di non por-
tare nell’ interno di essa che i fasci soli. Fondò leggi
piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo; proi-
bendo con una manifestamente che niun de’ Romani
andasse alle magistrature se dal popolo non le prendeva;
con pena di morte a chi contravvenisse , e licenza a
tutti di ucciderlo. Con altra legge si decretava : Se un
magistrato Romano voglia uccidere, o battere, o mul-
tare alcuno in danari; possa f uomo privato appel-
larne al popolo senza che intanto niente ne soffra
dal magistrato finché il popolo ne sentenzii. Or sic-
come onoravasi con tali regolamenti il popolo ; cosi ne
diedero al console il nome di poplicola , che in greco
appunto significa curatore del popolò. E tali sono le
cose fatte in quell’ anno dai consoli.
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LIBRO V. l33
XX. Nell* anno seguente (i) fu di nuovo creato con>
sole Valerio , e con esso Lucrezio : ma non si fece
nulla di memorabile se non il censo de’ beni , e la tas*
sazion dei tributi per la guerra secondo le istituzioni di
Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio ,
e rinovate da essi la prima volta. Trovaronsi in Roma
idonei alle arme cento trenta mila : e fu spedito un
esercito per guardia a Sincerio (z) , luogo di frontiera
contro i Latini e gli Ernie! da’ quali si aspettava la
guerra.
XXL Creali consoli (3) Valerio detto Poplicola per
la terza volta e Marc’ Orazio con esso per la seconda,
'Laro , re di Chiusi nell’ Etrurìa , quegli che Porsena si
cognominava , promise ai Tarquinj ricorsi a lui , 1’ una
di queste due cose , o di riconciliarli co’ Romani pel
ritorno , e la ricuperazion del comando o che ripiglie»
rebbe e renderebbe ad essi i beni de’ quali erano stati
spogliati. Imperocché spediti 1’ anno precedente amba>>
sciadori a Roma , i quali portavano preghiere miste a
minacce , non aveaci ottenuto nè la riconciliazione , nè
il ritorno de’ Tarquinj; pretestando il Senato le impre-
cazioni e li giuramenti fatti contro di questi, nè aveaiie
riavuto i beni , negando restituirli coloro che se gli
aveano divisi , e godevanli. E non contentato in niuna
delle domande , e chiamandosene vilipeso e conculcato ,
•
(i) a46 secondo Catone e a4S secondo Varrone dalla fondazione
di Roma , e 5o6 STanti Cristo.
(a) Nel Codice Vaticano sì legge Tiiionirio.
(3) a47 sec. Ceti e a4g see. Var. dalla fondazione di Boma ,
e 5o5 avanti Cristo.
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i34 DELLE Antichità’ romane
arrogante altronde , e briaco per 1’ ampiezza delle sue
ricchezze e dominio , credette avere cagioni assai per
abbattere la signoria de’ Romani , come già per addie-
tro desiderava , ed intimò loro la guerra. A lui si con*
giunse Ottavio Mnmilio il genero di Tarquinio sul di-
segnò di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli
si mosse dalla città del Tuscolo e menò seco i Carne -
rifai , e gli Antemnati , lignaggio latino , alienali già pa-
lesemente da’ Romani , e molti volontarj suoi fautori ,
delle altre genti Latine le quali ricusavansi ad una guerra
manifesta contro di una città confederata , e tanto po-
derosa.
XXII. Saputo ciò li consoli romani ordinarono a’tml-
tivatori di portare masserìzie , bestiami , e schiavi ai
monti vicini , fabbricandovi -ne’ luoghi forti de’ castelli ,
opportuni a difendere chi vi si riparava. Quindi pre-
munirono con più potenti maniere e con guarnigioni il
Gianicolo , alto colle , cosi chiamato , nelle vicinanze di
Roma di là dal Tevere, e provvidero con ogni diligenza
perchè non divenisse un baluardo pe’ nemici contro la
città, e vi depositarono gli apparecchi per la guerra.
Quanto alle cose interne della città le disposero , ancor
più propiziamente verso del popolo , diffondendo assai
beneficenze su’ poveri , perchè questi non si ripiegas-
sero in verso de’ tiranni , nè tradissero per 1’ utile
proprio , il comune ; imperocché decretarono che fos-
sero immani da’ tributi pubblici , quanti al tempo dei
te ne pagavano , nè soggiacessero a spese di milizia e
guerra , giudicandoli assai contribuirvi se la persona
esponevano per la patria. Collocarono nel campo dinanzi
Digitizccj^
LIBRO V. l35
Roma la milizia preparata ed esercitata già da gran
tempo. Giunto il re Porsena coll’ esercito espugnò di
assalto il Gianicolo , spaventandovi i Romani che lo
presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi
marciò verso la città quasi avesse a prenderla senza fa*
tica. Ma fattosi ornai prossimo al ponte , e visti accam-
pati i Romani nella riva a lui più vicina del fiume - si
apparecchiò per combattere , in guisa da sopraffarli col
numero, e spinse assai spregiantemente innanzi la mi-
lizia. Reggeano l’ ala sinistra Tito e Sesto figli di Tar-
quinio , tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da
Roma , il fiore della gente di Gabio , e stranieri , e
mercenari non pochi. Mamilio il genero di Tarqninio
comandava la destra ov’ erano i Latini ribellatisi da’ Ro-
mani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata
nel centro. Ma Spurio Largio , e Tito Erminio teneano
l’ala destra de’ Romani contro ai Tarquinj: Marco Va*
lerio, fratello del console Poplicola, e Tito Lucrezio il
console dell’ anno precedente stavano colla sinistra a
fronte di Mamilio e de’ Latini. Moveano tutti due i
consoli il corpo fra le due ale.
XXIII. Fattasi alle mani combattè virilmente l’una e
l’altra milizia con lunga resistenza; superando i Romani
per esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma po-
tendo questi assai più de’ primi col numero. Alfine ca-
dendone quinci e quindi in gran copia s’ intimorirono
prima i Romani dell’ aia sinistra in vedere i loro duci
Valerio e Lucrezio feriti , e portati fuori della batta-
glia ; e poi , quando mirarono in piega i loro compa-
gni, sbigoltironai aneli’ essi, quei dell’ala destra sebbene
4
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i36 DELLE Antichità’ bomane
ornai vincitori delle schiere de’ Tarqainj. E fuggendosi
tutti alla città , |>recipitosi , in folla , su per un ponte
solo ; piombavAno intanto su loro ferocissimi gl’ inimici :
e poco mancato sarebbevi che Roma priva di mura
dalla banda del fiume , fosse espugnata , se i vincitori
investita 1’ avessero misti co’ fuggitivi. Se non che so-
stennero r inimico , e salvarono tutto 1’ esercito tre uo-
mini , due seniori , Spurio Largio , e Tito Erminio ,
appunto i duci dell’ ala destra , e Publio Orazio , un
giovine, il più beilo, il più valoroso de’ mortali Coclite
detto dallo strazio degli occhi , per essergliene stato di*
velto uno in battaglia. Era questi figlio dei fratello di
Marc’ Orazio console , e traeva la origine sua generosa
da Marco Orazio 1' uno de’ trigemiai che vinse già li
tre Albani ,. quando le città guerreggiando per la pre-
minenza . accordaronsi a non cimentarsi con tutte le
forze , ma con soli tre uomini , come fu dichiarato nei
libri antecedenti. Questi soli fattisi alla lesta del ponte
disputarono gran tempo il passo al nimico , fermi sul
posto medesimo , in mezzo a nembo di strali e tra ’l
fulminar delle spade , finché tutta l’armata ripassò di
qua dal fiume.
XXIV. Come però videro in salvo i suoi , Erminio
e Largio , laceri già nell’ armatura pe’ colpi incessanti ,
si ritirarono a grado a grado. Orazio però , sebbene
dalla città lo richiamassero i cittadini ed il console , e
tentassero per ogni via di salvare un tal uomo ai pa-
renti e alla patria , Orazio solo non ubbidì , ma nel
posto suo si rimase come dianzi , raccomandando ad
Erminio di dire in suo nome ai consoli che tagliassero
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LIBRO V. 1 37
verso la città, quanto prima potevano il ponte. Era di
quel tempo il ponte uno solo e di legno , con tavole
congiunte per sè stesse e non per ferrei grappi , quale
custodiscesi tuttavia dai Romani : raccomandò nemmeno
che quando avessero sconnesso il più del ponte , quando
picciola parte resterebbe a disfarne , a lui lo dichiaras-
sero con certi segni , o con sonora voce. Lasciassero a
lui poi la cura del resto. Cosi ricordando a que’due si
tenne in snl ponte, e parte col ferir della spada, parte
col dar dello scudo, ne respinse , quanti investendolo ,
vi si avventavano. E già quelli che perseguitavano il
romano non ardivano più venire alle mani con esso ,
come preso da furore e fermo di morire *, molto più
che non era facile andar fino a lui , che aveva a destra
e a sinistra il fiume , e dinanzi un monte di cadaveri e
di armi : ma tenendosegli discosti Io bersagliavano in
folla con lance, e dardi, e sassi quali empirebbon la
mano ; o coi brandi e coi scudi degli estinti , se non
aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro
medesime : tirando su la moltitudine ; sempre , com’ è
verisimile, colpiva alcuno. E già percosso , già carico
egli era di ferite in più parti del corpo , già un colpo
portatogli direttamente per la coscia alla testa del fe-
more , lo addolorava e difficoltava nel caminare; quando,
udendo gridarsegli addietro essere il ponte nella sua più
gran parte disciolto, si gettò di un salto colle arme nel
fiume. E valicatolo a stento, perchè divenuto rapido e
molto vorticoso per le travi che già sostenevano il pon*
te , e che ora abbattute rompevano il corso delle acque,
fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto
perduta niuna delle armi.
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i38 DEixK Antichità’ romane
XXV. Tale azione produsse a lui gloria immortale :
e li Romani coronandolo lo portarono immantinente
per la città com’ nno degli eroi tra’ cantici trion&li. RU
versavasi la urbana moltitudine, finché le era permesso,
per desiderio di vederlo , almeno nell’ ultimo presentar-
sele; sembrandole che tra non molto morirebbe per le
ferite. Scampò tuttavia da morte; ed il popolo mise
nella parte più cospicua del Foro la statua metallica di
lui com’ era fra le armi ; e diedegli del terreno pub-
blico quanto ne potrebbe in un giorno un pajo di buovi
arare d’ intorno ; e senza contare i pubblici doni , ogni
uomo o donna , i quali erano insieme più che trecento
mila, gli recarono ciascuno il vitto di nn giorno men-
tre era fra tutti terribile la peuorta. Orazio dimostrala
in tal tempo tanu virtù parve più che tutti i Romani
invidiabile. C quantunque, divenuto perchè zoppo, inu-
tile ad altr’ incarichi nou potesse in vista di tale scia-
gura conseguire nè il consolato, nè altre militari presi-
denze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da
lui, vedendolo tutti ì Romani, in quella battaglia, me-
rita di esserne encomiato quanto mai lo fosse ciascuno
de’ più famosi per la fortezza. Cajo Muzio , sopranno-
minato Cordo , sceso da chiari antenati , anch’ egli si
mise ad una nobilissima impresa. Io ne dirò tra poco
dopo esposti i mali che allora ingombravano Roma.
XXYI. Dopo quella battaglia il re dei Tirreni col-
locatosi nel monte vicino, dal quale avea discacciato il
presidio romano , dominava tutta la campagna di là dal
Tevere. Li figli di Tarquinio , e Mamilio il genero di
lui tragittando le milizie loro picciole barche aU
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LIBRO V. ' i3y
r altra riva per cui vasai a Roma , accampamsi in
luogo ben forte. Donde slauciandosi davano ilguasto
alle terre , ed agli alloggi pe’ bestiami , e piomavano
su’ bestiami stessi che uscivano dai sicuri luo^i per
pascere. Ora essendo tutto 1* aperto in balìa el iie»
mico, nè più di qua, nè più sopra il fiume reandoai
in città le merci se non scarsissime; vi riuscì be tosto
carestia gravissima ; consumandovi tante raigliaja Iprov-
vigioni già fattevi , che non erano copiose. Allea gli
schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon nttiero,
disertavano dai padroni , e li più malvagi del ppolo
trasferivansi alle parti del tiranno. In vista di ciò arve
ai consoli di supplicare i Latini i quali riverivano' le>
gami del sangue , e sembravano fidi ancora , che ian>
dassero come prima potean de’ rinforzi : e di spjire
ambasciadori a Cuma nella Campania, ed alle itià
Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvenneri ad
essi i Latini ; come quelli che non credevano giusti far
guerra con Tarquinio nè co’ Romani , avendo con m-
bedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio pe-
diti commissari pel trasporto de’ frumenti, avendo trin-
cate da’ campi Pomentini più barche di ogni vettva-
glia , le introdussero in una notte senza luna dal tare
EU pel fiume, in occulto de’ nemici. Ma venuta mno
ben tosto pur questa provvigione, e ridottisi gli uoainì
ai disagi di prima ; Porsena chiarito dai disertori cime ,
que’ eh’ eran dentro vi penuriavano , mandò arabi ad
essi intimando che ricevessero Tarquinio se veleno li-
berarsi dalla guerra e dalla fame.
XXVII. Non comportarono i Romani il coaando ,
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i4o DELLE Antichità’ romane
risola piuttosto di subirne ogni male. Ma prevedendo >
Musi' che l’una delle due ne seguirebbe, o che vinti
dal bogno non terrebbono gran tempo la parola , o
che aendola ne perirebbono sgraziatissimamente; pregò
li coioli che gli adunassero il Senato , come volesse
proprgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli ,
disse Io medito o senatori una impresa, donde il
popo nostro s’involi da’ mali presenti. Ardita molto
ella ì questa , ma facile , io penso , da compierla.
Beri , riuscendomi , poco , ower nulla io spero su la
mie vita. Ora essendo io per espormi a tali pericoli,
anaaiovi da speranze sublimi, non ho voluto che ,
voitutti lo ignoraste ; perchè se mi accada di mancar
la trova , io sitine celebrato almeno per V azione bel-
lis.ma , e me ne abbia gloria eterna in luogo del
capo mortale. Già non era sicuro palesar quanto
mcchino al popolo , perchè niuno spinto dall util suo
ne riferisse à nemici, quando è ciò da nascondersi
cote arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli ma-
niestolo, i quali , ne confido, lo tacerete: gli altri da
vo r udiranno a suo tempo. La impresa che io medito
è mesta : Fintomi disertore , andrommene al campo
Treno. Se non mi ciedono e muojo , voi non avrete
peduto che un cittadino : laddove se mi riesce intro-
dumi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il
sue re. Caduto Porsena , sarà per voi finita la guerra.
Io pronto sono ad ogni sorte , qualunque gli Dei me
ne òstinino : e tenendo voi per consapevoli e tesli-
monj miei presso del popolo , e pigliando il genio
buoni della patria per guida , portomi^ e vado.
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LIBRO V. 1 4 1
XXVni. Encomiatone dai senatori presenti , ed avuti
gli augurj propizj per la impresa , passa il Tevere : e
giunto agli alloggiamenti de’ Tirreni , ne penetra come
nno di essi le porte , deludendone le guardie : perchè
non portava arme visibili , e perchè parlava alla tir>
rena , come eravi fanciullo stato istruito dalla sua na-
trice tirrena. Approssimatosi al Foro ed alla tecda del
principe vedevi un uomo cospicuo per grandezza e
complessione di membra seduto in veste di porpora nel
tribunale in mezzo a molti che armati lo circondavano.
Or pensò , ma indarno , che costui fosse Porsena, non
avendo altra volta mai veduto il re de’ Tirreni : ma
egli non era che il regio scriba il quale sedea nel tri-
bunale e numerava i soldati , e registravano i paga-
menti. Inoltrasi a tal vista tra la moltitudine fino allo
scriba, e salito, senza esserne impedito perchè inerme,
snl tribunale , cava il pugnale che celava sotto l’abito ,
e daglielo in capo. Ucciso con un colpo lo scriba, egli
è preso immantinente e portato al re già consapevole
della strage. Il quale vedutolo appena , Ah scelleralis-
simo ! esclama, pagherai ben presto le pene che me-
ritasti. Dì , chi sei ? donde vieni ? e su qual confi-
denza osasti un tanto attentato ? Destinavi la sola
morte delio scriba, o la mia parimente ? quali com-
pagni hai tu della perfidia? Non celarmelo, o li tor-
menti vi ti forzeranno.
XXIX. E Muzio non presentando pur un segno di
paura non col variar del colore , non colla fissezza dei
pensieri, nè con altre affezioni solite in chi dee punirsi
(li morte gli rispose : lo sono un Romano: venni qual
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i/ja DELLE Antichità’ romane
diserlom ed tuo campo , nè già per causa vile , ma
per liberare la patria dalla guerra, lo voleva uccidere
te , qu$nUmque io non ignorava che o riuscissi o fai'
lèssi tujl colpo io ne dovrei morire : io destinava con'
secrard alta patria la vita , e lasciarle pel corpo che
essa àveami dato , una gloria sempiterna. Errai : e
causa ifelT errore furono la porpora , lo scanno , e le
altre irfsegne del comando. Uccisi chi non voleva ! . .
lo scriba tuo per te stesso. Pertanto io non ricuso la
morte thè io decretava a me medesimo nell accingermi
a rfuesta impresa. Che se tu giuri per gli Dei di ri-
sparmiarmi li tormenti e gli ohbrobrj ; io prometto
che ti svelerò cose , gravissime per la tua salvezza.
Cosi Muzio diceva per deluderlo. E colui come attonito,
e temendo pericoli non veri da molti , glie lo giurò.
Muzio allora ideato un inganno del quale non potea
convincersi : disse : O re , trecento Romani tutti a ma
pari di età , tutti patrizj di condizione , abbiamo mac'
chinata di ucciderli , dandocene vicendevoli giuramenti.
Pavé, a noi quando ci consultavamo su le maniere
insìiiarli , che non tutti insieme ci ponessimo a
questa impresa , ma ciascuno da sà , tacendo perfno
ai compagni , quando , dove , come , e con quale oc-
casione £ investirebbe , acciocché facile ci fosse di
occulterei. Cosi macchinando , ci demmo le sorti , ed
io me la ebbi il primo per cominciare la impresa.
Istruito tu dunque che tanti valentuomini hanno sete
egiude di gloria, e che forse alcuno la sazierà con
successo più fausto del mio ; deh ! considera se possi
more mai guardia abbastanza che ti d fenda.
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LIBKO V. 143
XXX. Il re ciò udendo comanda al «atelliti che in-
calenino costui , se lo menino , e lo custodiscano diii>
gentissimamente : egli poi convocando i più amici , e
facendo che Arunte il figlio suo gli sedesse da presso ,
ragionò con essi le maniere da far vane le insidie : ma
suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano co-
gliere il punto : quando il figlio suo propose un consi-
glio , superiore all’ età ; perciocché volea che non si
pensasse a guardie onde precludere i mali, ma piuttosto
a far quello per cui le guardie non bisognassero. E
maravigliandosi tutti del suo consiglio , e desiderando
sapere come lo eseguirebbe ; col farci , ei disse , amici
i nemici , e col pregiare o padre, la salvezza tua più
che il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: cìut egli ben
diceva, ma essere da consultare come consdignità si
pacificassero. Sarebbe gran vitupero , se egli che uvea
superato in battaglia , e tenea ristretti i Romani fra
le mura si ritirava , senza compiere quanto avea pro-
messo ai Tarquinj , quasi vinto dai vinti , e quasi
fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte.
Facea conoscere che l’unico mezzo da togliere le ni-
niicizie sarebbe , se gli avversar) mandassero ambasciadori
per trattare gli accordi.
XXXI. Cosi disse in quel giorno agli astanti ed al
figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato egli il
primo a fare proposizioni di pace per questa cagione.
Sbandatisi intorno i suoi militari , e datisi a predar di
continuo quei che recavano in città le merci; i consoli
Romani se ne misero in buon luogo alle insidie , e
molti ue uccisero , e più ancora ne imprigionarono. Di
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i44 DELLE Antichità’ romane
ohè nuioontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro
iocolpaodo il monarca e i duci suoi sul tanto prolun-'
garsi della guerra , e sfogandosi in desiderj di rendersi
alle lor case. Or vedendo come tutti gradirebbero ma*
nilestamente la pace spedi per trattarla i più intimi suoi.
Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio
sul giuramento di tornare poscia al monarca: ma vo*
glion altri che fosse piuttosto custodito come ostaggio
nel campo fino alla pace : il che forse è più verisimile.'
Questi poi furono gli ordini che il re diede a’ commise
sarj ; non dicessero parola sul ritorno de Tarquinj ;
ma ne raddomandassero i beni , principalmente gli
ereditar] dal canto di Tarquinio P antico , già posse-
duti da essi bitoncunenle : e se ciò ricusatasi; dessero
almeno , quant’ era possibile , i compensi delle case ,
de' bestiami , de' campi ,» delle raccolte , come purea
loro espediente , col danaro del pubblico , o de' pos-
sessori , ed usufruttuarj atlucdi de' beni. E ciò quanto
ad essi. Chiedessero poi > per lui che deponea le inimi-
cizie li sette pagi , cosi detti , antico luogo dell' Etru-
ria , invaso da Romani nella guerra e tolto a proprie-
larj , e finalmente chiedessero de' giovani delle famiglie
più insigni , per ostaggio , che i Romaai si terrebbono
amici costanti de' Tirreni. >
XXXII. Venuti i deputati a Roma , il Senato per in*
sinuazione di Poplicoia console si risolvè di accordarne
tutte le dimande in vista della penuria che alHigeva il
popolo e . la classe de* poveri ; onde accettissima sarebbe
loro una pace , giusta nelle condizioni. Il popolo ratificò
tutti gli articoli del decreto del Senato; non soffri però
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LIBRO V. 145
die si vendessero i beni , o si desse a’ Tarquinj dana-
ro , privato nè pubblico , e volle che si mandassero am-
basciatori a Porsena perchè si contentasse degli ostaggi
e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli
giudice fosse tra’ Romani e tra Tarquinio , udisse 1’ una
e r altra parte , e ne sentenziasse non per favore nè
per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa risposta ,
e con essi gli ambasciadori del popolo i quali condu-
ceano per ostaggi venti giovani delle famiglie più illu-
stri , avendo i primi dato i consoli Marco Orazio il
6gl lo, e Publio Valerio la figlia, idonea già per le
nozze. Pervenuti questi nel campo , il re dilettatone , e
molto- lodati i Romani, conchiuse una tregua per un
numero certo di giorni, e prese a giudicare la causa.
Baltristaronsi però li Tarquinj , caduti dalle speranze
più lusinghiere , che avrebbegli quel monarca ricondotti
sui trono ; e per necessità dovéttero acconciarsi alle
circostanze, e prendere clocch’era lor conceduto. Giunti
da Roma al tempo ordinato i più anziani de’ senatori e
gii oratori della eausa ; il re sedutosi cogli amici nel
tribunale, ed assunto anche il figlio per giudice ; intimò
che parlassero.
XXXIII. Trattavasi ancora la causa , quando un tale
annunziò che gli ostaggi s’ eran fuggiti. Perciocché le
donzelle tra' questi , avuta come la chiedeano , la facoltà
di andare e di bagnarsi nel fiume , andatevi , dissero
agli uomini che alquanto se ne discQstassero , finché la-
vate e rivestite si fossero, sicché non le vedessero nude.
Or questi cosi facendo ; quelle gitlatesi a nuoto ripara-
ronsi a Roma , eccitatevi da Clelia che le precedeva. A
DIONIGT, tomo II, io
i46 DELLE Antichità’. ROMANE
ul nuova Tarqutnto assai rimproverava li Romani di
iperginro e di mala fede , e provocava il sovrano per-
chè più non gli adisse , come divenuto il giuoco dei loro
tradimenti. Esciisavasi il console , dicendo queir opera ,
tutta delle donzelle , senza voler del Senato: e che pre-
sto dimostrerebbe che niente era per inganno. Persua-
sone il re concedè che andasse e rimeuasse come prò-
mettea le fanciulle. Andò Valerio appunto con tal fine:
Dia Tarquinio e il genero macchinarono in onta di ogni
diritto un opera infanóissima, e spedirono in su la strada
una banda di cavalieri per sorprendere le fanciulle ri-
condotte , il console , e quanti tornavano al campo , e
ritenersene le persone pe’ beni tolti da’ Romani a’ Tar-
qninj , senz’ aspettare il fine del giudizio. Ma non per-
misero gl’ IJdj che succedesse loro secondo il disegno :
perché mentre gl’ insidiatori uscivano dal .campo Latino
per sopraffarsi a que’ che venivano , il console romano
era già passato innanzi colle fanciulle : e già era alle
porte degli alloggiamenti Tirreni quando fu sopraggiunte
da’ persecutori. Si fe’ qui mischia fra loro, ma ben pre-
sto fu nota a’ Tirreni , e ne corsero frettolosissimi in
ajuto il figlio del re con de’ cavalieri , e la schiera dei
fanti che stava di guardia innanzi del campo.
XXXIV. Sdegnatosi di ciò Porsena convocò li Tir-
reni > e narrò come essendo egli fatto giudice da’ Ro-
mani di quello ond’ erano accusati da Tarquinio ; gli
espulsi , e bene a ■ diritto , da loro , aveano tentato di
violare, le persone sacre degli ambasciadori e degli ostag-
gi , in tempo di tregua , e prima che si decidesse la
causa. Dond’ è che i Tirreni assolvettero su di ogni
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LIBRO V. 147
richiamo i Romani , e togliendosi all* amicizia di Ma-
nilio e di Tarquinio , intimarono loro cb’ entro il pros*
rimo giorno si ritirassero. Così lì Tarquinj » pieni in
principio di belle speranze per 1’ ajuto de* Tirreni, o di
essere di nuovo i tiranni di Roma, o di ricuperare*!
loro beni , perderono 1* uno e 1* altro per la offesa degli
ostaggi e degli ambasciatori , e partirono con infamia ,
e con odio dai campo. Il re poi de* Tirreni facendosi
condurre gli ostaggi dinanzi dei tribunale gli rendette
al console , dicendogli che pregiava la fedeltà de' Ro-
mani più di ogni ostaggio. R lodando Clelia , che avea
persuaso le compagne di passare a nuoto il fiume, come
ne* suoi pensieri maggiore del sesso e della età , e feli*
citando Roma perchè allevava non pure de* valentuo*
mini ma delle eroine , regalò la donzella di un cavallo
generoso , e magniCcamente bardato. Sciolta radunanza
fe’ cogli ambasciatori de* Romani gli accordi e li giura-
menti di pace e di amicizia , e li onorò come ospiti , e
restituì senza prezzo, perchè li recassero in dono alla
loro città , tutti li prigionieri , che eran pur molti : or-
dinò che rimanessero com* erano i padiglioni suoi, fatti
non come per breve durata su le terre altrui , ma fre-
giati , quasi una città, con private e pubbliche spese;
quantunque i Tirreni dopo avervi alloggiato , usassero
di. t noti serbarli. E fu questo , se in danaro
si .calcola , non picciolo dono pe* Romani , come lo di*
chiarò la vendita fattane da* questori dopo la partenza
del re. Tal fu la fine della guerra de’ Tirreni e di
Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a tanti
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i48 DELLE Antichità’ romane
XXXV. Dopo la partenza de’ Tirreni adunatosi il
Senato Romano decretò che si mandasse a Porsena.il
trono di avorio, lo scettro, il diadema e la veste trion-
fale colla quale i re si adornavano: e che Muzio , espo*
stosi alla morte per la patria, e cagione principalissima
del termine della guerra , si premiasse a spese del pub-
blico ,> come già Orazio che resistè sul ponte, con tanto
terreno; di là dal Tevere, quanto poteane in un giorno
solcare intorno coll’ aratro : e questo è il terreno che
pur nel mio tempo si chiama il prato di Muzio. Cosi
fu decretato su gli uomini. Quanto a Clelia concede-
rono che una statua di metallo se le innalzasse , ed i
, padri 'delle donzelle glie la innalzarono nella via sacra,'
dove mette al Foro : tifa noi non più ve l’ abbiamo tro-
vata ; e dicesi che mancò per un incendio delle case
d’intorno (i). Fu quest’anno compiuto il tempio di
Giove Capitolino, dei quale partitamente abbiamo scritto
nel libro antecedente. E Marco Orazio console lo con-
sacrò , e lo intitolò prima che potesse tornare Valerio il
compagno , uscito per avventura dalla città coll’ esercito ,
per difenderne la campagna : perocché Mamilio speden-
dovi a far preda, assai vi danneggiava li coltivatori éhe
vi si erano di fresco l'icondótti , lasciate le fortezze. -E
questo è ne’ fasti dèi terzo consolato. ‘
XXXVI. Spurio Largio e Tito Erniinio consoli del-
l’anno' quarto (2) io compierono senza guerra. Morì nel
1 •
; I • ■ • •
(i| Plutarco sclibenè poslèriore a Dionigi dice che la statua di
Clelia esisteva aucora su la via sacra là donde vasai isf e-asAttrter
in palatiwn. Casaub.
(3) Ad. 348 secondo Catone, e aSo secondo Vatrone dalla fuuda-
sioue di Roma , e 5o4 avanti Cristo.
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LIBRO V. 149
loro consolato Aruote il 6glio di Porsena re de' Tirreni»
Assediava già da due anni , la città della Riccia , per-
ché conchiusa appena 1’ alleanza co’ Romani , prese dal
padre metà dell’ esercito , e marciò contro quella città
per sottoporsela , e dominarvi. Ma essendo ornai per
espugnarla , sopravvennero a questa de’soccorsi da Anzio, .
dal Tuscolo , e da Cuma della Campania. Egli schierò
le milizie sue' minori contro le più numerose: ma dopo
respinti , dopo incalzati gli altri 6no alla città , peri
finalmente , vinto egli stesso dai CumanI condotti dalr
r Aristodemo , che Malaco si chiamava. Fuggi, non
sostennesi a tale caduta 1’ armata di lui. Molti ne ^ soc-
comberono incalzati da’ Cumaui ; ■ ma più ancot^ : sban-
dati ; ridotti senz' arme , nè più Idonei per le ferite a.
fuga più lunga , ripararonsi nel territorio non lontano
di Roma. Se li menarono i Romani dalle .campagne' in
citté^ nelle proprie case, portandovene i più malconci a
cavallo., o su carri, o su cocchi: e ciascuno a proprie
spese li nudrirono, e curarono, e ristorarongll con sol-,
lecitudine molto affettuosa. Di talché molti di loro le-
gati da tanta benevolenza desiderarono non di tornarsene
in patria , ma di rimanersi fra tali benefattori ; ed il
Senato assegnò loro perclié vi si fabbricasser le case ,
la valle tra ’l Palanteo , ed il Campidoglio, lunga presso
a quattro stadj. Chiamasi questa anch’ oggi nell’ idioma
de' Romani la contrada Tirrena ; e vi si passa venendo
dal Foro al circo massimo. E per tali cortesi maniere
ebbero dal re di quella gente dono non lieve , e che
assai li dilettava , la campagna di là dal fiume , ce-
duta già da essi quando ne ottenner la pace. Cori
iSó DELLE antichità’ ROMANE
trìbuUroao agl’ Iddj li sagnfiz) magoìBci che aveano
già promesso co’ voti se ricuperavano mai li sette
pagi.
XXXVn. Correa nell’ anno quinto dopo la espulsione
dei re la Olimpiade sessantesima nona , nella quale
Iscomaco Crotoniate vinse allo stadio, Acestoride fa
1* arconte di Atene per la seconda volta , e furono con-
soli Romani Marco Yalerìo , fratello di Valerio Popli-
cola, e Publio Postumio , detto Tuberto (i). Arse nel
loro consolato un’ altra guerra co’ vicini , la quale co-
minciò colle prede , e procedette a numerose e grandi
battaglie : finché cessò da indi a quattro consolati , dopo
essersi nel tempo intermedio sempre stato fra le arme.
Imperocché alcuni Sabini considerando Roma indebolita
per gl’ incontri suoi co’ Tirreni , quasi non dovesse mai
più ricuperare l’antica dignità, ne assalirono , affin di
predarli , e certo molto ne danneggiarono , li coltiva-
tori , i quali calavano di bel nuovo dai luoghi forti alla
campagna. I Romani prima di prendere le armi spedi*
rono ambasciadori a chiedere conto e soddisfazione, tal>
ché non più molestassero chi lavorava i terreni. Ma non
ricevendone che orgogliose risposte , intimarono ad essi
la guerra. Valerio il console il piimo con truppe eque-
stri e con fiore di milizie leggere scorse tu que’ ruba-
tori de’ campi , e grande fu la uccisione de' sorpresi nri
pascoli , sbandati , com’ è verisimile , nè provvidi del
venir de’ nemici. E spedendo i Sabini contr’essi un
(i) An. a49 ài Rom. ucondo Caioae, e aSi secondo Varronr, e
&o3 «vanii Criaio,
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LiBno V. 1 5 1
esercito sotto un duce perito di guerra , i Romani usci*
rono di bel nuovo con tutte le forze , dirette da ambi
li consoli. Postumio mise il campo nelle alture prossime
a Roma , pei'cbi uon vi si facesse una subita irruzione
da’ fuorusciti. Ma Valerio marciò di fronte al nemico iu
riva all’ Aniene , fiume che nella città di Tivoli casca
da rupe altissima , e poi corre , dividendoli fra loro , i
campi de’ Romani e de’ Sabini , finché vago in vista e
dolce a beverne , scende nel Tevere.
XXXVUl. Erano i Sabini dall’ altra parte del fiume
non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte,
e che poco a poco degrada. In principio gli uni rispet-
tando gli altri esitavano a passare il fiume e farsi alle
mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di beni, ma
rapiti dfiir ira e dall’ ardor di combattere , furono alle
prese. Imperocché venuti ad abbeverare i cavalli e far
acqua , inoltraronsi molto entro il fiume , vmile allon
nel suo corso , perché non accresciuto dalle acque in*
vernali : e siccome bagnavali appena , poco più su delle
ginocchia ; lo trapassarono. Attaccatisi in su le prime
pochi con pochi , ecco accorrere altri a difenderli ,
ognuno dai proprj alloggiamenti , e via via sopraggiun-
gerne di rinforzo , come questi o quelli erano superati.
E quando i Romani respingevano i Sabini dal fiume,
e quando i Sabini ne toglievano l’uso ai Romani. E
molti uccisi e feritivi, ed eccitativisi tutti a combat-
tere , come avviene nelle scaramucce fortuite , sorse ar-
dore eguale di passare il fiume ne’ duci stessi degli
eserciti. E primo passandolo il console Romano e con
esso r armata sua , ' piombò su li Sabini. Non eransi
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i5a DELLE Antichità’ romane
questi ancora nè bene armati , uè schierati ; pure non
esitarono ad accettar la battaglia , inanimiti molto è
spregianti , perchè non arcano a farla nè con ambi li
consoli , nè con tutte le milizie Romane , e slanciatisi ,
combatterono con furia di baldanza e di odj.
' XXXIX. Ardea rivissi ma la battaglia ; ma se 1’ ala
destra , or’ era Postnmio il console, superava gli avversar]
ed avanzavasi ; la sinistra ‘era travagliata e respinta al
fiume. Or saputo ciò 1’ altro console usci coll’ esercito
suo : marciava egli pian piano colla fanteria , ma fe’
precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Se-
niore , e console dell’ anno precedente. Andato costui
di tutta briglia passò facilmente il fiume , che non era
guardato da alcuno , e giratosi attorno l ala destra dei
toemici pigliò di fianco la cavalleria de’ Sabini., Or qui
sorse battaglia diuturna e grave di cavalleria con caval-
leria. Frattanto avvicinatosi anche Postumio co’ suoi fanti
a queU’ ala ed investitala , molti ne uccise , e molti ne
disordinò : di modo che se non sopravveniva la notte,
i Sabini avviluppati da’ Romani che già prevalevano, sa-
rebbero stati del tutto disfatti : ma le ombre occultarono
qùei'che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi,
e salvi si ricondussero alle lor case. Impadronironsi i
consoli senza combattervi de’ loro alloggiamenti, abban-
donati dalle guardie al veder quella fuga : ed occupa-
tevi molte suppellettili, e datele in preda all’esercito,
*lo rimenarono in patria. Cosi riavutasi Roma , allora la
prima volta , da’ inali suoi co’ Tirreni , senti lo spirito
antico , ardi come prima arrogarsi 1’ impero su’ vicini ,
decretò pe’ due 'consoli insieme un trionfo , e di più
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LIBRO V. 1 53
che si desse a Valerio che era I’udo di questi, un sito
nella parte- più distinta del Pallanteo , dove gli si fon-
dasse una casa a spese del pubblico. Questa è la casa
innanzi alla quale sta il toro di bronzo , e questa tra
tutti i privati e pubblici ediCzj è la sola che ha le
porte che aperte si girano in fuori (i).
XL. Presero dopo questi il consolato Publio Valerio
Poplicola per la quarta volta , e Tito Lucrezio, di bel
nuovo collega suo (a). Quest’ anno le città Sabine, te-
nuto un congresso comune, decretarono far guerra ai
Romani , quasi fosse finita 1’ alleanza loro , per essere
caduto dal trono. Tarquinio a cui 1’ aveano giurata.
Aveale indotte a ciò ,1’ uno de’ figli di Tarquinio, Sesto
di nome , il quale coll’ onorare e supplicarne i citta-
dini primari di ognuna , metteva in tutte un animo per
la guerra : anzi aveva a sé guadagnate, e consociate a
queste pur le due città Camcria e Fidene , ribellatele
da’ Romani. In contraccambio le città lo elessero gene-
ralissimo loro con facoltà di reclutare milizia da ognuna,
come quelle che aveano perduta la prima battaglia per
la insufficienza delle forze , e del capitano. Ed in ciò
si adoperavano questi : ma la fortuna volendo contrap-
pcsare i beni al mali di Roma , le diede in luogo degli
alleati che le si eranp tolti , un rinforzo , quale non
1
(■) Tra i Greci era grande onarificenia aver le porte che ai apria-
aero au.la pubblica strada; e questa servitù della pubblica strada
coiopcravasi a gran presso: come è chiaro da ciò che si legge d’I-
ficrate presso di Aristotele negli Economici.
(a|)'An. di Bom. aSo secondo Catone, e aSa secondo Varrone, e
5oa av. Cristo.’*
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i54 DELLE Antichità’ romane
imperava dal canto de’ nemici. Tito Claudio , un Sid>mo
domiciliato a Regillu , nobile e denaroso , fuggissene in
seno di lei menando con sé gran parentado , ed amici
e clienti in copia , i quali spatriavano con le famiglie ;
tanto che tra, questi ce ne avea cinque mila buoni per
le arme. E questa dicesi la cagion cbe lo spinse a tra»
sferire in Roma la sede. I primar) delle città più cospi-
cue alienatisi da lui -lo aveano incolpato di poca affe-
zione verso il pubblico bene , citandolo qual traditore ;
come r unico che mal soffriva la guerra , e che avea
ripugnato in consiglio a quei che voleano sciolta 1’ al-
leanza , nè permise che i suoi cittadini AtiGcassero il
decreto degli altri. Or temendo egli un giudizio , ove
le non sue città sentenzierebbero della sua sorte , rac-
colse le sue robe , e gli amici , e si congiunse ai Ro-
mani , non senza picciolo sbilancio degli affari ; talché
parve a tutti la cagion principale dell’ esito propizio
della guerra. Per tanto il Senato ed il popolo lo ascris-
sero tra’ patrizj , lasciandogli in città quanto sito volle
per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra
Fidene e Picenza perchè li • compartisse co’ suoi com-
pagni , da’ quali risultò poi la tribù Claudia che ancora
tiene quel nome.
XLL Apparecchiatasi appuntp l’ una e 1’ altra parte,
li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero due ac-
campamenti , r uno all’ aere aperto non lungi da F ide-
ne, r altro in Fidene a difesa del popolo , come in ri-
fugio dell’ esercito esterno in caso di sciagura. I consoli
Romani al sapere la venuta de’ Sabini contra loro ,• usci-
rono anch’ essi con floride scltiere , e presero campo ,
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LIBRO V. l55
separati T ano dall' altro , Valerio a fronte degli allog»
' giatnenti sabini all’ aere aperto , e Lncreaio poco più di
sopra , in un* altura donde potea vedere l’ armata com- .
pagna. Era disegno de’ Romani di venire quanto prima
a giornata per decidere subitamente , e visibilmente la
guerra. Ma' il capitano Sabino temendo di attaccare in
pieno giorno la baldanza e la robustezza romana, sem-
pre ferma , contro ai casi anche più duri , deliberò di
investirla di notte. Quindi facendo preparare quanto era
necessari a riempire le fosse , e trascendere il vailo ,
quando ebbe pronto tutto, voleva tor seco il 6or deU
r esercito , ed assalire nel primo sonno le trincee de’Ro*
mani. Su tal disegno avea fatto intendere all’ armata di
Fidene che quando si avvedessero del giunger suo ve-
nissero anch’ essi dalla città , ma con armi leggere : ed
avea posto in luoghi opportuni gli agguati con ordine,
che se andavano dei rinforzi a Valerio dall’altro campo,
uscissero loro alle spalle e gli assaltassero fra strepito
di voci e di arme. Sesto con tale risoluzione, istruitine
e trovativi pronti li centurioni , non aspettava che la
opporiobità. Ma un suo disertore venuto al campo ro-
mano disse di quella trama al console. Giunsero non
molto dopo i cavalieri con dei Sabini che usciti a far
legna furono presi. Interrogati questi separatamente c/te
mai preparasse il lor capo , risposero , che scale e
ponti : ma che dove , o quando fosse per valersene ,
non lo sapeano. Valerio ciò udendo spedi Marco al-
r altra armata per divisare a Lucrezio che vi comandava
r animo dei nemici , e come si dovessero questi assalire.
Poi chiamando egli stesso tribuni e centurioni, dicendo
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1 56 DELLE Antichità’ romane
quanto avea raccolto dal disertore , e da’ prigionieri ;
confortandoli ad esser magnanimi , e credere cb’ era
giunto alfine il tempo sospirato onde prendere' su’ ne»
mici una luminosa vendetta ; prescrisse ciocché doves-
sero fare , diede i segni , e rinviò ciascuno alla sua
schiera.,
XLII. Non era ancora la notte a mezzo , quando il
duce Sabino fatti levare i soldati , ne condusse il fiore
al campo romano , imponendo, a tutti che , taciti, avan-
zassero senza strepito di arme ; perchè i nemici non si
avvedessero di loro prima che fossero giunti. Or come
i primi a procedere furono vicini al campo, nè videro
ivi lume di fuochi , nè voci vi udirono di sentinelle ,
assai riprendeano di stoltezza i Romani , quasi tralasciata
ogni gtiardia , se la dormissero : c già riempiute le fosse
in gran parte , le passavano senza ostacolo alcuno. I
Romani però si teneano , non veduti si per le tenebre,
ma schierati nello spazio tra i valli e le fosse, e quando
chi le passava era loro alle mani, uccidevanlo. Rimase
alcun tempo occulta la rovina di chi precedeva a quei,
che seguivano. Ma non si tosto quei eh' erano vicini
alle iosse videro col chiarore della luna che nasceva, i
mucchi incontro de’ cadaveri de’ compagni , e le schiere
valide de’ nemici che resistevano; gettarono le armi, e
fuggirono. Allora alzato i Romani un altissimo- grido ,
perchè quel grido era segno all’ altra armata, corsero
in folla su loro. Lucrezio a quei clamori, spediti su-
bito 1 cavalieri per ispiare se ci aveàno insidie nemi-
che , si mosse indi a poco egli stesso col fiore della
fanteria. Imbattutisi i cavalieri con gli usciti da Fidene
I
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LIBRO V. iB'J
per insidiare , li fugarono: ma la fanteria perseguitava)
ed uccidevali , : ornai disordinati e sena’ arme , quelli che
erano venuti ad assalire il campo romano^ Morirono in
teli òombaltimenti circa tredici mila tra Sabini ed al*
leali, rimanendone prigionieri! quattro mila dugento: ed
il campo loro fu preso nel giorno medesimo. la stoltezza , e chia-
mandoli degni di morte quanti ve ne erano , giacché
nè erano grati pe’ beneGzj , nè faceano senno pe’ mali ;
ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi
vi uccisero i più cospicui per nobiltà. Quanto agli altri
lasciarono che albergassero come prima , ponendo a coa-
bitare con. essi la guarnigione che era decretata dal Se-
nato , e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo
ciò ritirarono le truppe dalle teiTe nemiche ,■> e trionfa- «•
rono secondo il decreto del Senato. E tali furono le
geste di , questo consolalo. • .
XLIV. Creato consolo Publio Postumio Tuberto per
N
1 58 DELLE Antichità’ romane
la seconda volta , e con esso Menenio Agrippa Lana-
to (i) , fecesi ma con piu schiere la tersa Irmzione dei
Sabini prima che i Romani se n avvedessero, e pro>
cedette 6n presso le mura di Roma, Risultarono da
questa molte uccisioni non solo di agricoltori romani ,
colti repentinamente da nembo che non aspettavtno
prima di ricoverarsi ne’ castelli vicini , ma di quelli
eziandio che in città dimoravano. Imperocché Postumio
il console riputando insopportabile quella ingiuria; uscì
di tutta fretta , con truppe comunque per soccorrere i
suoi , pih animoso in vero che savio. I Sabini , visto
con quanto dispregio , disordinati , e sbandati si avan-
zassero verso loro , e latto disegno di ampliarne ancor
più la negligenza , partirono con marcia più che ordir
naria , quasi fuggissero addietro , finché giunsero ad una
selva profonda ove il resto celavasi delle loro milizie.
Or qui voltando faccia contrastettero a chi gl'inseguiva;
^ come pure gli occultati nel bosco ne uscirono , vocife-
rando. Ed essendo essi in buon ordine e molti , pro-
stesero gli altri che combattevano disordinati , sbandati ,
ansanti per lo viaggio ; e rinchiusero in una pendice
deserta quanti ne fuggirono , con preoccupare le vie
che menavano a Roma. E perocché già la luce era
mancata ; posero le arme presso di quésti invigilandoli
tutta la notte , sicché taciti non s’ involassero. Saputosi
in città r informnio , vi fu gran turbamento , e concorso
* ai muri, e. timor comune, che i nemici trasportati, dal
successo propizio , si presentassero in quella notte a
(i) An. di Rom. aSi secoado CaioDe, a53 secondo Varrone,
e Sol av. Crino.
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LIBRO V. 1 5g
Roma: e là com piange vans! i morti; qua »i commise-
ravano li sopra vanzatt , come quelli che 'se nop erano
immaniineote soccorsi , caderebbero prigionieri per la
penuria. Passatasi con tanto mal' in cuore senza sonno
la notte, Menenio , nato il giorno , armò li più floridi
per anni , e li guidò ben forniti e con ordine a liberare
gli assediali nel monte. I Sabini al vedere che ti avan>
cavano non li aspettarono ; e tolto il campo si ritira-
rono , pensando che bastassero loro i vantaggi presenti:
e senza indugiarsi gran tempo , tornarono festeggiando
alle patrie , ricchi di bestiami , di schiavi , di danari.
XLV. Rattristati i Romani dal danno , e credendolo
causato da Postumio il console ; deliberarono di mar>
ciane sollecitamente con tutte le forze contro la Sabina,
desiderosi di rifarsi della perdita inaspettata ' e turpe j
molto più che assaissimo gli aveva esulcerati 1’ amba-
sceria recente e contumeliosa e superba colla quale i
nemici , come già vincitori , e prenditori senza contrasto
di Roma se non erano ubbiditi , comandav.vno che ren-
dessero ai Tarqninj la patria, cedessero ai vincitori
r imperio , e stabilissero il goverho e le leggi , come
sarebbero ordinate da questi. Aveano i Romani replicato
a tali messaggi , che annunziassero alle loro comuni
che i Romani comandavano ai Sabini , di deporre le
armi, di sottomettere le loro città , di ubbidire ,come
per addietro , e ciò fatto di venir supplichevoli per
iscusarsi dalle ingiustizie e da’ mali onde gli aveano vio-
lati nelle incursioni passate , se voleano pace ed amici-
zia : ma se ricusa vansi a tanto, aspettassero tra non
molto la guerra su le loro città. Cosi comandando e
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i6o DELLE Antichità’ romane
comandati a vicenda, quando ebbero tutto in pronto ;
uscirono per la guerra. Conducevano i Sabini il -fiore
de’ giovani di ogni città con arme bellissime : e li Ro-
mani tutta la milizia urbana e le guarnigioni , conce-
pendo che i domestici e li schiavi , e quanti superavano ^
la età militare, bastassero in difesa di Roma e dei ca-
stelli della campagna. Cosi concentrati si accamparono
ambedue con breve intervallo fra loro non lungi da
Ereto , città de’ Sabini.
XLVI. Come gli uni sepper degli altri o per con~
gettura dall’ampiezza degli alloggiamenti, o per ciò che
ne udivano da’ prigionieri ; si eccitò ne’ Sabini confi*
denza e disprezzo inverso la scarsezza degl' inimici ; ma
timore ne’ Romani per la moltitudine di essi. Pur fe-
pero cuo^e , e pigliarono qualche speranza su la vittoria
pe’ segni mandati loro dal cielo, e per 1’ ultima visione ,
quando erano 'per ischierarsi , che fu questa : Su le
punte dei lanciotti (sono queste le armi che i Romani
scagliano nel farsi alle mani; bastoni grossi che ti em-
pion le mani , e lunghi , con ferrei spuntoni nell’ uno
e nell’ altro estremo , diritti , nè minori di tre piedi ,
tanto che le armi , compresovi il ferro , somigliano ad
aste mezzane ) su le ferree ponte di . questi lanciotti ,
piantati tra padiglioni , brillarono delle fiamme ; talché
per tutto il campo fu luce continua come di accesi fa-
nali , gran tempo delia notte. Ora come gli auguri - di-
chiaravano ( nè già era difficile intenderlo ) , concepirono
che gli Dei con tal visione annunziassero loro una sol-
lecita e luminosa vittoria : imperocché tutto cede al
fuoco , nè cosa vi è che per esso non consumisi. E _
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LIBRO V. l6l
percfac le fiamme brillarono su le armi loro; uscirono
con assai fiducia dalle trinciere , e nell’ estero di tale fi*
ducia , attaccatisi combatterono , sebbene di tanto mi-
nori , co' Sabini. La sperienza eh’ era in essi col vivo
amor dei travagli , elevava li a spregiare ogni pericolo.
Postumio il primo ebe guidava 1’ ala sinistra , inteso a
riparare la passata disfalla urtò 1’ ala destra de’ nemici ,
non curando la vita per la vittoria : e come chi rapito
è da furore , e fermo per ogni via di morire, si lanciò
nel mezzo di essi. Allora i soldati i quali erano nell’ al*
tr’ ala con Menenio ornai stanchi , ornai cacciati di po*
sto , al conoscere che que’ di Postumio prevalevano su
gli emoli , rimbaldanzirono e turbinaronsi su gli avver-
sar] loro. Cosi piegò 1’ una e 1’ altr’ ala de' Sabini , e
diedesi pienamente alla fuga. E dopo la perdita delle
ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro per*
sislerono , ma forzati dalla cavalleria Romana che gli
assaliva si misero in volta. Tutti al proprio alloggia-
mento si riparavano , ma i Romani seguendo e inve-
stendo , ne invasero 1’ uno e 1’ altro. C se l’esercito ne*
mico non fu totalmente distrutto , ne fu cagione la notte
ed il luogo della sconfitta , che era nella Sabina. Impe-
rocché per la perizia de’ siti chi fuggiva salvavasi in casa
più facilmente di quello che lo potesse , per la imperizia
sua , sorprendere chi 1’ inseguiva.
XLYII. Nel prossimo giorno i consoli , bruciati i ca-
daveri dei loro , e raccolte le spoglie , e tra queste le
armi abbandonate dai vivi nel fuggire, e trasportando
seco non pochi fatti prigionieri, c le robe invase' (non
compresevi quelle tolte da’ soldati ) colla pubblica ven-
VlONlOT , iomo II, ii
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i6a DKLLE Antichità’ romane
dita delle quali cose ogaaao riebbe i prestiti , contri'*
baiti per la spedizione ; tornarono con una luminosa
vittoria nella patria. Quindi per decreto del Senato Tubo
e r altro ne trionfarono ; Menenio col trionfo primario
sedendo su regio carro, Postumio col secondario, e
men grandioso , che chiamano della ovazione , altera'-
tone il nome che era greco, sicché più non distin-
guesi (i). Conciossiaché per quanto io ne concepisco o
ne trovo in molli degli storici Romani questo trionfo
chiamavasi nelle origini Evezione da ciò che vi si pra-
ticava : ed il Senato , come Licinio racconta , ora per la
prima volta ne ideò la pompa. Differisce quest’ onor
secondario dall’ altro, primieramente perchè chi sei gode,
entra la dttà colle schiere a piedi e non sul carro come
in quello: e poi , perchè non porta come l’altro la toga
contraddistinta pe’ ricami varj e per l’oro ; nè la corona
pur di oro; ma la toga candida contornata di porpora,
la quale è l’ abito nazionale de’ comandanti e de’ con-
soli , e la corona di alloro (a) : e se tien le altre cose ;
in questo cede al primo trionfante , che noU va collo
sceturo. Postumio poi , sebbene più che altri segnalato
(i) OTaxione tu detta originalmente evatio ; qnindi % !a voce di
Virgilio I. 6. Ea. Evantes orgia circum ducehat Phrygias. Questo
ovari era dal greco tva^nt il qnale esprimeva le accismasioni fotte
con dire s«s
lasserò Tarquinio , Mamilio , gli Aricini , e cbiunqae
davasi per accusatore di quella , iìuchè uditili tutti , seu-
tenziarono essere stata l’alleanza rotta dai Romani; e
fecero intendere a Valerio che col suo tempo discute-
rebbero come aveano a vendicarsi di loro che aveano i
diritti calpestati del sangue. In mezzo a tali vicende
congiurarono molti servi d’ invadere i luoghi riguarde-
voli di Roma , e d’ incendiarla in più parti. Se non che
datone indizio da’ complici , ne furono ben tosto chiuse
le porte dai consoli , e preoccupati i siti forti dai ca-
valieri. Allora quaiiU erano denunziati partecipi della
congiura presi immantinente tra i domestici , o portati
dalla campagna , perirono tutti , battuti , tormentati ,
crociGssi. E tali sono le cose operate in quel con-
solato.
LII. Sotlentrati a tal dignità Servio ^ Sulpizio Came-
rino , e Manio Tullio Longo (i), alcuni di Fidene con*
vooando de’ soldati dal popolo de’ Tarquiniesi occupa-
rono il castello di essa , e parte uccidendo , parte esi*
liando quelli che si opponevano , ribellarono di nuovo
Fidene ai Romani. Venutivi degli ambasciadori da Ro-
ma, erano per malmenarli come nemici: ma contenutine
da’ seniori , gii esclusero dalla città senza udir nè ri-
spondere. Il Senato quando seppe tali cose' non voleva
ancor far guerra co’ Latini , perchè aveva udito che non
a tutti piaceano le risoluzioni del congresso , che i po-
ti) An. di Roma 354 secondo Catone, aS 6 secondo Varrone, a
498 STtnli Cristo.
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LIBRO V. 1 69
poli ia ogni città vi si ricusavano , e perchè certo di-
ceansi più quelli che voleano mantenere 1’ alleanza , che
gli altri i quali sciogliere la voleano. Pertanto decretò
che Manio un de’ consoli marciasse con armata poderosa
contro Fidene: e questi, depredatane impunissimamente
la campagna senza che niuno gli si opponesse , ne andò
coir esercito fin sotto le mura , e provvide che non più
vettovaglie vi s’ introducessero , nè armi , nè soccorso
niuno. Ridottisi i Fidenati a guardare le mura , spedi-
rono alle città de’ Latini per implorarne solleciti ajuti.
Convocarono i capi di quelle un congresso comune di
tutte : e datavi di bel nuovo facoltà di parlare ai Tar-
quinj come agli altri che venivano dagli assediati, invi-
tarono i consiglieri , cominciando da’ seniori e più co-
spicui , a djcbiarare il lor voto , e come aveasi a far
guerra ai Romani. Dicendovisi molte cose , e prima su
la guerra se dovesse ratificarsi , i più torbidi fra i con-
siglieri insistevano perchè si riconducesse Tarquìnio al
trono , e sì volasse in soccorso di Fidene. Essi miravano
con questo ad ottenere cariche di comando militare , e
mescersi ai grandi affari ; e quelli vi miravano soprat-
tutto , i quali cercavano in patria preminenza , e tiran-
nide , lusingati che avrebbero ad essi ciò procacciato i
Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i più agiati e
miti ( ed eran questi i più accreditati nel popolo ) chie-
deano che si stesse ai patti , non si corresse ciecamente
alle armi. Respinti quei che brigavansi per la guerra
dai consiglieri di pace , persuasero all’ adunanza che
mandasse almeno oratori a Roma perchè la pregassero,
ed esortassero a ricevere i Tarquinj e gli altri fuoruscili
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l'jo DELLE Antichità’ romane
senza pena e senza memoria d’ Ingiurie : giurasse que» '
sto , e si governasse poi di suo modo. Ritirasse però
r armata da Fidene ; non potendo essi guardare con
Indifferenza che i parenti ed amici loro si spogliassero
della patria.' Ma se ricusasse far 1’ una e l’altra di que-
ste cose , le s’ intimasse , che deciderebbonsi per la
guerra. Non ignoravano costoro che Roma non pieghe*
rebbesi nè all’ una nè all’ altra dimanda : ma cercavano
pretesti decorosi onde romperla , sperando Intanto di
rendersi col tempo e colla buona grazia benevoli i loro
contrarj. Concluso questo , fissarono un anno , ai Ro-
mani per deliberarsi , come a sè per apparecchiarsi : e
nominati gli ambasciadori come parve ai Tarquinj; sciol*
sero r adunanza.
LUI. Separatisi i Latini , ognuno per la sua patria ,
Mamilio e Tarquinlo vedendo che i popoli propende-
vano alla pacej deposero le speranze che aveano su loro
come istabili in tutto. E cangialo consiglio si rivolsero
a mettere in Roma stessa una guerra interna , nè pre-
veduta , svegliandovi sedizione tra’ ricchi e tra’ poveri.
Imperocché già disunita vi si era , nè più riguardava al
ben pubblico una gran parte del popolo, quella princi-
palmente dei bisognosi e degli oppressi dai debiti; e ciò
appunto per 'gli usura) che non usavano moderazione
ne’ crediti , ma fin carceravano e malmenavano i debi-
tori come schiavi comperati. Su tale notizia spedì Tar-
quinio a Roma Insieme co’ messaggeri latini persone non
sospette con oro. Intramettendosi questi co’ poveri e coi
baldanzosi , e parte dando , e parte promettendo se ivi
il re sen tornasse; aveano subornato moltissimi. Àdun-
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LIBRO V. l 'y I
que fecesi contro i3e’ potenti una congtnra de’ poveri
ingenui , e de’ servi màlvagi , i quali stimolati dal desi-
derio di esser liberi , e disamoratisi de’ padroni perchè
aveano punito nell’ anno antecedente i loro conservi ,
gl’ insidiavano. Ed essendo malcreduti e sospetti , come
se venutone il tempo essi pure gli assalirebbero ; con
piacere si diedero a chi gl’ invitava. Il disegno poi
della congiura era tale. Doveano i capi di essa occupare
in una notte senza luna i luoghi eminenti e forti della
città ; gli altri poi come intenderebbero dai gridi che
gitteriano , aver loro già preso que’ siti opportuni , do-
veano uccidere tra ’l sonno i proprj padroni , saccheg-
giare le case doviziose, e spalancare ai tiranni le porte.
LIV. Ma la providenaa celeste la quale in ogni tempo
ha salvato , e salva tuttavia Roma y fe’ traspirare i di-
segni al consolo Sulpizio. À lui ne diedero indizio due
già propensi a Tarquinio, anzi principalissimi nella con>
giura , Publio e Marco fratelli , della città di Laurento
necessitati da impulso divino. Imperocché si presenta-
rono loro tra’l sonno visioni spaventevoli, minacciandolt
di pena gravissima , se non si chetavano e toglievansi
dall’ impresa. E già parca loro che i rei genj gl’ incal-
sassero, li battessero, e sterpassero loro gli occhi, col-
mandoli di altri mali terribili. Dond’ è che spaventati e
tremanti destaronsi , nè più poterono pel turbamento
aver calma nel sonno. E su le prime per togliei'si ai
genj rei che li conculcavano , tentarono i sagrifizj di
propiziazione co’ quali si allontanano i mali. Non traen>
done però niun frutto , si rivolsero alla divinazione : e
celando lì disegni, perchè non eran da dirsi, cercarono
172 DELLE Antichità’ romane
solamente d’intendere se tempo fosse da compiere cioc'
chè volevano. Ma rispondendo l’oracolo eh’ essi teneano
via di delitto e di perdizione , e che se non mntavan
proposito, ne perirebbero infamissimamente; investiti dal
timore che altri non li prevenisse nel portare in luce
l’arcano, lo indicarono essi medesimi al consolo che in
città si trovava. Costui lodatili , con promessa grande
ancora di beneficarli se il dir loro a’ fatti corrispondesse;
li ritenne ambedue presso di sè y tacendone con chiun-
que. Allora introdotti in Senato i deputali latini , tenuti
a bada fino a quel giorno per la risposta, disse di con-
certo co' padri : amici , compagni , andate , riferite al
comun dei Latini che il popolo di Roma non condi-
scese prima il ritorno al tiranno su le istanze dei
Tdrguiniesi , nè punto appresso vi si commosse irt
forza di tutti i Tirreni che ciò domandavano, e gui-
dati da Porsena ci portavano la pià orribile delle
guerre; ma che seppe vedere i suoi campi manomessi,
ed arsivi li casolari , e perfino ridursi a difendere le
sole sue mura per esser libero , e non comandato a
fare ciò che non vuole. Dite , che meravigliati ci sia^
mo che sapendo voi ciò , siale venuti a comandarci
che ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dall assedio
di Fidene , con intimarci la guerra se ricusassimo.
Cessino di opporci ornai più tali pretesti, fiacchi, im-
persuasibili, di nimicitia. Nondimeno se vogliono per
questo scindersi dalla nostra alleanza e far guerra ,
più non s’ indugino.
LV. Data tale risposta agli ambasciadori , ed accom-
pagnatili per significazione di onore fuori della città ,
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LIBRO V. 173
poi disse in Senato delia occulta cospirazione ciocché
aveane appreso dai delatori : ed avutane autorità piena
d’ investigare L complici , e trovarli , e punirli , non
tenne già mezzi orgogliosi e tirannici , come un altro
ridotto a tale necessità gli avrebbe tenuti, ma si rivolse
a mezzi ragionati , salutevoli , e convenienti al governo
d' allora. Imperocché non deliberò che i satelliti snoi
svellessero per le case i cittadini dall’ amplesso delle
mogli , de’ figli , e de’ padri , e li traessero a morte ;
considerando quanta pietà ne sarebbe tra gli attinenti
nel distacco de’ cari lor pegni , e temendo che alcuni ,
disperatisi , corressero alle arme , e si necessitassero ai
male a costo di sangue civile. Non deliberò che si eri-
gessero de’uribunali contro di essi; riflettendo come tutti
negherebbero , e come non avrebbero i giudici argo-
menti incontrastabili e saldi , ma semplici denunzie , e
colle quali , se credeansi , dovrebbero sentwaziare la
morte de’ cittadini. Ma per sorprendere i novatori ideò
tal metodo , per cui li capi si adunassero prima spon-
taneamente in un luogo , e quindi arrestati vi fossero
per argomenti indubitabili , che non lasciavano mezzo
a discolpe : ideò che fosse questo luogo di unione non
una solitudine , o ritiro , dove pochi osservassero , e
convincessero; ma il Foro, talché scoperti alla presenza
di tutti ne fossero in proporzione puniti , nè sorgesse
in città turbamento nè sollevazione degli altri , come
suole ne’ castigi de’ congiurati , massimamente in tempi
pericolosi.
LVI. Forse un altro, quasi poco sia bisogno di pre-
cisione in tai cose, penserà che basti dir sommarianieute
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174 delle Antichità’ homane
che arrestò tutti i complici de’ maneggi secreti , e gli
uccise; ma io riputando degna che ricordisi la maniera
onde furono presi, ho risoluto non tralasciarla; percioc-
ché giudico che non basti all’ utile di chi legge le storie
conoscere il termine solo de' fatti, (piando brama piut-
tosto ognuno che gli si espongane le cagioni , le guise
delle operaxioni , i pensieri di chi praticavate, e come
i Numi li favorissero ; nè gli si taciano le conseguenze
che per natura vi si congiungono. Molto più ch’io vedo
essere tali cognizioni necessarie agli uomini di Stato ,
perchè abbiano d^lì esempj co’ (piali dirigersi ne’ varj
casi. Or questa fu la maniera ideata dal console per
l’arresto de’ congiurati. Chiamati i più validi de’ senatori
ordinò che al segno convenuto occupassero in città con
seguito di amici e di parenti i luoghi forti ne’ (piali per
avventura abitavano : istruì poi li cavalieri a tenersi ar-
mati nelL' case più acconcie intorno del Foro, e com-
piere ciocché sarebbe lor comandato. E perchè nella
presa de’ cittadini i loro fautori non si elevassero , nè
ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse al console
che assediava Fideoe , perché al far della notte mar-
ciasse col fior dell’ esercito alla volta di Roma , e lo
accampasse nelle alture intorno de’ muri.
LVII. Ciò preparato; impose ai delatori che venissero
circa la mezza notte nei Foro ai capi de’ congiurati con
i compagni loro più fidi come a ricevervi 1’ ordine , il
posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno
ciocché avrebbe egli a fare. Or ciò appunto si fece. E
poiché tutti questi si furono accolli nel Foro; imman-
tinente al darsene di un segno arcano per essi, i luoghi
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LIBRO V. 175
foni farooo pieni di uomini , armatisi per la patria ; e
r intorno del F oro fu guardato da’ cavalieri , sen.ia che
via vi lasciassero per chi volea ritirarsene. Intanto Manio
r altro console si presentò coll’ armata in campo Marzo.
Nato appena il giorno i consoli , cinti da uomini di
arme , recaronsi ai tribunali , e fecero che i banditori ~
invitassero pe’ quadrivi il popolo a parlamento. Concorsa
la moltitudine , le rivelano il maneggio sul ritorno del
tiranno, e le presentano i delatori. Quindi concedendo
che si difendesse chiunque volea per ambigua 1’ accusa,
nè volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal
Foro in Senato per chiedervene la sentenza dai padri:
e presa e scrittavela ; tornati al popolo gliela pubblica-
rono, e tale ne era il tenore. Si desse ai due denun-
ziatori la cittadinanza , e dieci mila dramme di ar-
gento a testa, e venti jugeri de’ terreni del pubblico ^
e se così ne paresse al popolo si prendessero i com-
plici della congiura , e si uccidessero. E ratificando il
popolo quel decreto, ordinarono che uscissero dal Foro
quanti vi erano per 1’ adunanza : e chiamati i littori
colle arme , intimarono che dessero morte a tutti li
congiurati : e quelli , circondandoli ; appunto ov’ eran
già chiusi , trucidarono li colpevoli. Uccisi questi , non
che ammettere le incolpazioni su degli altri partecipi ,
ne assolvettero qualunque era salvo ancora dal suppli-
zio ; e ciò per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi
finirono quei che aveano macchinata la congiura. Ap-
presso il Senato ordinò che tutti si purificassero per
essere stati ridotti a sentenziare la morte de’ conci ttadini :
nè concedersi loro d’intervenire alle sante cose ed ai
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*
1^6 DELLE Antichità’ romane
sagrifizj , prima di esserne rendati mondi e tersi colle
espiazioni consuete. E poiché da quei che dirigono le
cose divine , a norma delle leggi della patria fu com-
piuto quanto ricercavasi per sanliGcarli , decretò che ia
rendimento di grazie si facessero sagriGcj e giuochi
agonali per tre giorni. In questi giuochi sacri e deno-
minati di Roma Mauio Tullio 1’ uno de’ consoli caduto
tra la pompa dal carro sacro nei circo , ne mori da
indi a tre giorni : e perchè poco rimaneva dell’ an-
no , Sulpizio tenne in questo tempo il consolato senza
collega.
LVIII. Furono designati consoli per l’anno seguente
Publio Veturio , e Publio Ebuzio Elva (i). E di questi
Ebuzio fu incaricato delle cose politiche le quali sem-
bravano abbisognare di cure non tenui, perchè i poveri
non facesservi mutamento. Veturio poi menando seco
metà dell! esercito , devastò le campagne de’ Fidenati
senza che ninno gli ostasse : e postosi all’ assedio della
città, davate assalti continui. Ma non potendola espu-
gnare con questi , la cinse di vallo intorno e di fosse
per sottometterla colla fame. E già ne eran gli abitanti
nelle angustie , quando venne un soccorso di Latini
spedito da Sesto Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre
cose utili per ia guerra. Cosi ringagliarditi osarono
uscire dalla città con forze non piccole , e mettersi in
campo aperto. Allora non più giovò pe’ Romani la cir«
convallazione ; ma parve che vi bisognasse una battaglia.
Diedesi questa vicino alla città ; pendendone qualche
(i) Ad. di Roma aS5 secondo Catone , 357 secondo Varrone , s
4 o 7 av. Cristo.
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LIBRO V. l'jj
tempo dopo l’ esito incerto. Infine , quantunque più co-
piosi di numero , sopraiTatti i Fidenati dalla fermezza
Romana ne’ travagli , acquistata col molto esercizio, fu>
rono ridotti alla foga. Non fu la strage loro copiosa ,
per essersi tra non molt^ ritornati in città mentre gli
altri respingevano dalle mura chi gl’ incalzava. Dissipa-
tesi dopo ciò le truppe ausiliarie sen partirono senza
avere punto giovato gli assediati ; e la città ricadde
ne’ mali e nella penuria di prima. Intanto Sesto Tar-
quinio marciò con un armata Latina sopra di Segni do-
minata da’ Romani come per occuparla a prira’ impeto^
Ma resistendogli da entro generosissimamente , tentò di
stringerli ad abbandonarla almeno per la fame. Se non
che spesovi gran tempo senza opera niuna degna di ri-
cordanza , e giunte vettovaglie e rinforzi dal canto ? dei
consoli ; ne perde la speranza ; e ritirandone 1’ armata ,
ne sciolse l' assedio. > •
LIX. Nell’ anno seguente i Romani elessero consoli
Tito Largio Flavo e Quinto delio Sicolo. delio , dolce
per indole e popolare , fu messo dal Senato con metà
dell’ armata su le cose politiche per vegliare contro dei
novatori: Largio ordinate milizie e stromenti da impren-
der gli assedj , parti per la guerra co’ Fidenati (i); E
spossatili colla diuturnità dell’ assedio , e col disagio di
ogni cosa , desolavali ognora più , minando i muri , ei^
gendo terrapieni , avvicinando macchine, nè lasciando di
e notte di stringerli , tanto che sen prometteva in breve
il t. I i
(i) All. >li Roma lS6 secondo Catone, aSR eecondo Varroue , •
/Jg6 avanti Cristo. ■' \
DIOJflCT, tomó,ll. Il '
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178 PELLE antichità’ BOMANE
di espugnarli. Né le città Latine, su le quali contando
ì Fidenati trovavansi in guerra , potevano ornai più sal-
varli. Imperocché niuna città bastava sola da sé per li-
berarli dall' assedio: nè le forze comuni di tutte si erano
riunite ancora : ma li capi del|e città Latine a’ frequenti
messaggi de’ Fidenati rispondeano sempre di un modo ,
cioè che presto giungerebbe loro il soccorso: non però
mai nino fatto moveasi pronto su le promesse , né le
speranze scintillavano più in là delie parole. Nondimeno
i Fidenati non diffidavano in tutto de’ Latini: ma per-
sistevano su la espettazione di essi affronte di tutti i
mali , sopialtutto della fame , la quale facea senza com-
battere strazio grande degli uomini. Spedirono , è vero,
alfine come stanchi da’ mali a chiedere al console tregua
di un numero certo di giorni per deliberare intanto
su la pace co’ Romani , e sui modi onde riordinarla.
In realtà però ciò non cbiedeano per deliberare , ma
per fornirsi di compagni di arme, come alcuni diser-
tati di fresco da essi indicarono , giaoché nella notte
innanzi aveano spedito i cittadini loro più cospicui , e
più validi tra’ Latini , perchè iu forma di oratori sup-
pbcassero quel popolo.
LX. Largio , ciò saputo , ingiunse agli ora tori che
deponessero le armi e spalancassero le porte, e poi fa-
vellasser di tregua : iu altro modo non pace , non armi-
stizio , non moderazione , non umanità presumessero dai
Romani. Frattanto provvide che gli ambasciadori deputati
ai Latini . non rientrassero in città ; preoccupando con
guardie rigorosissime le vie che vi conducevario. Tal
che diffidatisi gli assediati di un ajuto qualunque degli
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LIBRO V. l’jf)
alleali si videro astretti a pregar veramente l’iaimico. B
riunitisi , conohiusero di soiTrire la pace , comunque il
vincitore la desse. Altronde il console ( tanto i costumi
de’ capitani di que’ tempi respiravano 1’ amor della pa>
tria , e tanto erano lontani dalle maniere tiranniche che
pochi san fuggire de’ capitani presenti , invaniti dal C 0 i
mando I ) il console sebbene prendesse la città niente vi
permutò di voler suo : ma fattala deporre le armi , e
presidiatala , conducendosi a Roma e convocando il 3^
nato , lasciò che esso ne deliberasse. Lieti i Padri del
rispetto del valentuomo verso loro dichiararono che i
più nobili dj Fidene secondo che il console li giudi»
- casse capi della ribellione , si battessero colle verghe , e
ei decapitassero : su gli altri poi disponesse egli stesso
come glien parrebbe. Largio divenuto 1’ arbitro di tutti
sparse in vista del pubblico il sangue, e confiscò li beni
di alcuni pochi accusati dal partito contrarlo; ma con-
cedè che gli altri ritenessero la patria e le robe loro ,
e solamente ne dimezzò le campagne , poi dispensate
a sorte tra’ Romani lasciati in guardia della fortezza.
Alfine dopo ciò ricondusse in casa 1’ esercito.
LXI. Risaputasi fra’ Latini la espugnazione di Fidene,
ogni città ne fu sospesa e tremante , e mal soddisfatta
de' capi suoi ; come tradito avessero li confederati. C
fattosi consiglio in Ferentino, quei che persuadevano la
guerra , assai vi accusarono gli altri che la dissuadevano.
Erano de’ primi Tarqulnìo , e Mamilio il genero di lui
e li capi tra gli Aricini. Rapiti dal dir loro, quanti erano
i Latini, vollero generalmente la guerra contro de' Ro-
mani , e diedero scambievole giuramento , che tiiuua
l8o DELLE ANTICHITÀ^ ROMAIfE
città tradirebbe il comune , nè farebbe pace sema il
consenso delie altre decretando : che qualunque non os->
servasse i patti decadesse dalla lega alla esecrazione e
nimicizia di tutti. Sottoscrissero e giurarono questi patti
i deputati degli Àrdeati , degli Aricini , dei Boiaiani ,
dei Bubentani , dei Coresi , dei Corventani , dei Gabj ,
dei Lavrentini , de' Laviniesi , dei Labiniani , de' Labi-
cani , de' Nomentani , de' Moreani , de' Prenestini , de'
Pedani , dei Querquetulani , de' Satricesi , de' Scap-
tini , de’ Sezzesi , de' Teliini, de' Tiburtini , de'. Tu-
scolani , de' Tolerini , de' Trienni , de' Veliterni (i).
Doveansi scegliere tra gl’ idonei alle armi , tanti in ogni
città quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto ^
Tarquinio , i quali erano generalissimi nominati. E per
giustifìcare ancor più li titoli della guerra spedirono a
Roma da ogni città li personaggi più insigni come ora-
tori. Venuti questi in Senato dissero : che quei della
Riccia si richiamavan di Roma , perchè ■ qucuido i Tir-
reni mossero contro loro la guerra , essa non solo
die a’ primi libero il passo per le sue terre , ma li
coadjuvò su quanto era d' uopo , ricoverandoli mentre
poi ne fuggivano e salvandoli tutti , inermi e feriti :
eppure non ignorava che quelli portavano guerra al
corpo tutto della nazione : e che se avessero domalo
(i) Dioaigi nel namerare questi popoli siegue l’ordine dell’ alfa-
beto latino e non del greco : del resto numera popoli quando nn
tal Bruto nel lib. VI. di quest' opera § 74 dice ebe furono trenta
i popoli latini concorsi a tal guerra. Dovrebbero dunque additarsene
altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi
abbiamo ugualmente allegali nel testo. La nomenclatura per quanto
aia stata emendala non par libera ancora da ogni storpiatura.
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LIBRO V. ' i8r
la Riccia; niente pià gli avrebbe impediti , sicché non
soggiogassero le altre città. Pertanto annunziavano
che se Roma voleva darne conto a quei della Riccia
nel tribunale comune de’ Latini , e rimettervisi al giu-
dizio di tutti, non avrebbon essi cagioni di guerra.
Ma se tenendosi all alterigia sua consueta ricusava
affatto condiscendere sul giusto e su V onesto inverso
de’ confederati ; minacciavano che i Latini tutti la
moverebbero con tutte le forze la guerra.
LXn. A tale invito il Senato alieno di fare cogli Ari*
cini una causa dov’ essi giudicherebbero , e dove preve-
deva che i nemici non sentenzierebbero di questo sola*
mente , ma vi aggiungerebbero ordinazioni ancora più
gravi , decise che accettava la guerra. Argomentava dal
valore e dalla sperienza de’ suoi tra le arme che Roma
non incorrerebbe in danno ninno: apprendendo però la
moltitudine de’ nemici , sollecitò più volte con ambascia*
tori le città vicine per confederarsele ; se non che spe*
divano i Latini ancora nelle stesse città legazioni che
accusassero a lungo Roma , e la contrariassero. Gli Err
nici adunati a consiglio di stato diedero all’ una e al-
r altra ambasceria risposte sospette nè salutevoli , dicendo
che per ora non si vincolavano con alcuno; ma voleano
posatamente discutere qual de’ popoli seguisse causa più
giusta , e prendeansi per discuterne un anno. I Rutoli
in contrario promisero senza arcano mandare soccorsi ai
Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le ini-
micizie , essi mansuefar ebbono i Latini , e ne concilie-
rebbono gli accordi. Risposero i Volaci che si stupivano
della impudenza de’ Romani ; perciocché sapendo essi
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DELLE antichità’ ROMANK
quante volle gli avessero offzzl conTenlftnti a «pcgnere ^elfa tnrblo ratiBcò; dando t principj certi
di una tirannide a norma :
LXXI. Quindi i capi del Senato si fecero a conside-
rare lungamente e providamente il personaggio che avreb-
be a comandare. Paiea loro che vi fosse necessità di un
nomo espedito negli affari , più che perito nell’ arme, e
savio , e temperato , sicché poi non > delirasse per l’am-
piezza del comando; insorama di uno il quale oltre le
belle doti , quante ai buoni comandanti si convengono ,
sapesse presieder con fortezza, nè cedere mollemente alle
istanze. Di un uomo tale appunto abbisognavasi allora.
.Videro concorrere doti siffatte quante seu chiedeano
in Tito Largio, uno de’ consoli ; laddove delio il colle-
ga, uomo altronde buonissimo, non era nè attivo, nè
bellicoso , nè imponente , nè temuto , ma edite troppo
in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato pren-
dea .verecondia di levare a que^o un’autorità che aveva
secondo le leggi, e di concentrare .nell’ altro il potere
di ambedue , anzi un poter più che. regio. .Teniea per
qualche maniera che delio riflettendovi, non si gravasse
della rimozione sua , come disonorato dai Padri ; e cam-
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LIBRO V. ’ ' 193
hiale le maniere del vivere , si ponesse alla testa del
popolo , c turbasse dal fondo la repubblica. Esitando
tutti , e gran tempo , per la verecondia di proporre
ciocché ideavano, un seniore, venerabilissimo tra gli uo-
mini consolari , diede un tal suo parere , per cui fu
salvo l'onore di ambedue li consoli, scegliendo essi ap-
punto il personaggio più acconcio al comando. Diceva :
Poiché il Senato ha risoluto , ed il popolo ha ratifi-
cato che il poter del comando si affidi ad un solo ,
restano ai Padri due cure non picciole : chi debba
sottentrare ad una autorità pari alia monarchia , e chi
possa legittimamente nomiruuvelo. Or egli suggeriva
che l’uno de’ consoli sia per cessione, sia per sorte',
eleggesse il romano più idoneo , a far 1’ utile e il bene
della patria: giacché trovandosi allora in città magistrati
sacrosanti , non vi abbisognavano gl’ interré come nella
monarchia , per eleggere di accordo chi succedesse al
comando. ' i
LXXII. Applaudivano tutti al partito , quando leva-
tosi un altro disse : Ali sembra o Padri che debbasi
alia sentenza aggiungere: che reggendo di presente la
repubblica, due valentuomini, de’ quali non trovereste
i migliori , V uno 'debba dare la nomina , e l’ altro
riceverla , talché scelgati essi fra loro il più idoneo ;
e C uno e i altro se ne abbia onore e soddisfazione
uguale, quello perchè sceglie nel collega il più degno,
c questa perchè scelto sen trova : dolcissime e bonis-
sime cose ambedue. Ben vedo che sebbene io non
avessi ciò aggiunto ; pure avrebbono i consoli così
DWaiGI , toma II. il
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IQ4 DELLE Antichità’ romane
praticalo ; egli è meglio^ nondimeno che il facciano
eziandio col vostro volere. Parve a tutti ciò detto a
proposito , e niuno più notandovi altra cosa , ne decre-
tarono. I consoli ricevuto il potere di eleggere fra loro
il più idoneo al comando , fecero una mirabilissima
cosa , e ben varia dalle affezioni dell’ uomo. A vicenda
r uno dicea 1’ altro , e non sè , degno del comando :
così passarono tutto quel giorno , encomiando l’ un
l’altro, e insistendo ciascuno per non comandare: tanto
che gli astanti in Senato ne furono in grandi perples-
sità. Sciolto il Senato , i parenti più prossimi di cia-
scuno , e li Padri più venerabili recatisi a Largio assai
lo stimolarono £no a notte avanzata , dichlaraùdogli
come il Senato poneva in esso ogni speranza , e di-
cendo che le sue ritrosie volgevansi in pubblico danno:
egli tuttavia ricusava , ora supplicando , ed ora contra-
dicendo. Adunatosi nel prossimo giorno il Senato ,
mentre colui ripugnava, nè levavasi ancora dal suo pa-
rere su le istanze comuni , Clelio sorge , e lo nomina ,
come gl’interré solevano nominare, e lascia il consolato.
LXXIII. Fu questi il primo che, solo, fu reso àr-
bitro in Roma della guerra , della pace , d’ ogni affare,
col nome di Dittatore (i) sia per la podestà di ordi-
nare e dettare leggi su’ diritti e sul bene degli altri ,
come glien pareva e piaceva , chiamandosi da’ Romani
Editti gli ordini e prescrizioni sul giusto e su l’ ingiu-
sto : sia per essere allora un tal. uomo detto e dichia-
rato da un solo e non dal popolo secondo i riti della
(i) Ad. di Roma aS6 socondo Catone, a58 secondo Varrone , •
ar. Cristo. .
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LIBRO V. 195
patria , perché comandasse. Guardaronsi dal dare al
magistrato di una città libera un nome esecrabile e
grave per rispetto di quelli che ubbidivano , sicché in
odio del titolo non si conturbassero , e per rispetto di
chi prendeva il comando , sicché nè fosse costui offeso
dagli altri senza saperlo, uè gli offendesse egli co’ modi
consueti nel grande potere. E certo il nome di dittatore
non bene l’ ampiezza ne significa del potere ; non es-
sendo la dittatura che un Dispotismo elettivo. Sembra
che i Romani ne traessero pur da’ Greci la istituzione.
Imperocché gli Esimneti che chiamavansi antichissima-
mente tra loro erano, come dichiara Teofrasto nel libro
intorno del regno , despoti elettivi. Li creavano le città
non per tempO' indefinito o perpetuo , ma nella circo-
stanza , e fin quando sembrava che giovassero loro ,
come li Mitilenei già scelsero Pittaco contro gli esuli ,
compagni di Alceo poeta.
LXXIV. Tennero questo metodo I primi che aveano
appreso per esperienza ciò che giovava. Imperocché
nelle origini era ogni greca città sovraneggiata , non
però dispoticamente come tra’ barbari , ma secondo le
leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea tanto
più per potente quanto era più giusto , e più fido alle
leggi , e men schivo de’ patrii costumi : ciocché s’ in-
tende per Omero il quaì nomina i sovrani, vindici del
diritto , e de/f onesto (i). Tennesi lungo tempo la si-
gnoria dei re come quella de’ Lacedemoni sotto fisse
i
(i) Mèi testo: intarrtXnt , e SiftttTttrtXuf. cioè che si rer-
uuio sul giusto e su C onesto .
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ig6 DELLE Antichità’ romané
costituzioni. Ma cominciando poi taluni di questi a tra-
scendere gli usati poteri , poco concedendo alle leggi e
molto ai genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgu-
stati , e rovesciarono 1’ autorità de’ monarchi , e le loro
maniere : e stabilendo leggi e creando magistrati , as-
sunsero questi come custodi delle città. Ma perciocché
non bastavano nè a proteggere il giusto le leggi poste
da essi , nè a coadjuvare le leggi li magistrati o li co-
missarj che avean cura di queste ; e percioccliè il tempo
col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a
fare stabilimenti non ottimi si , ma certo i più consen-
tanei alle vicende che li sorprendevano o di sciagure
abborrite , o di smoderate prosperità. Per le ' quali con-
fondendosi ' lo stato della città, e bisognandovi un pronto
riparo ed un arbitro immediato , furono necessitati a
rialzare l’autorità dei monarchi e dei re, velandone coi
nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tettar'
~ chi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armosti
per timore d’ intitolarli tiranni o monarchi : aggiungi
. che teneano per cosa scellerata rinovare poteri abattuti
tra giuramenti ed esecrazioni su 1’ oracolo de’ numi.
Quindi , come ho detto , a me sembra che i Romani
prendessero da' Greci l’esempio: Licinio però crede che
i Romani ideassero un dittatore a norma degli Albani ;
scrivendo cbe questi, venuta meno la regia discendenza
dopo la morte di Numitore e di Amulio , eleggessero
annui presidenti col potere appunto dei re, ma con ti-
tolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Ro-
ma derivasse il nome, ma sibbene onde pigliasse la idea
dell’ autorità che in tal nome si ' addita. Se uon che
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LIBRO V. I97
forsb non è pregio dell' opera che scrivasi di ciò più
luDgameate.
LXXy. Ora dirò brevemente ciocché Largio il primo
dittatore facesse , e con quale apparato decorasse la sua
dignità ; persuadendomi che siano più utili ai lettori le
materie appunto che porgono in copia esempj splendidi
ed opportuni pe’ legislatori, e capi de’ popoli, in somma
per quanti vogliono governare e maneggiare il pubblico»
Imperciocché non io prendo a descrivere le istituzioni >
e li modi di una città vite e negletta , né li consigli
e le pratiche di uomini ignobili e di niuna espettazione,
sicché lo studio mio su tenui e volgari cose paja ad
altri frivolezza e molestia : ma di una città legislatrice
di tutti, e di capitani che la sollevarono a tanto potere;
cose tutte che se un amante della sapienza giunga a
non ignorare ; ne sarà per politico ravvisato. Investito
Largio appena del suo potere dichiarò maestro de’ ca-
valieri Spurio Cassio , già console nella olimpiade 70.*
Osservavasi tal costume da’ Romani fino a’ miei giorni ,
e ninno mai , scelto per dittatore , ne tenne la dignità
senza maestro de’ cavalieri. Quindi a rilevare la potenza
di una tal dignità, per imporre piuttosto che per osar-
ne , ordinò che i littori marciassero per la città con
fasci e scuri secondo il costume ivi proprio de’ re , tra-
lasciato poscia da’ consoli , e primieramente da Valerio
Poplicola per diminuire la odiosità del comando. Spa-
ventati con questo ed* altri segni di regia dominazione
i turbolenti eà i novatori , comandò a lutti i Romani
di adempiere la migliore delle leggi .di Servio Tullio ,
sovrano popolarissimo , cioè di assegnare per tribù li
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198 DELLE Antichità’ . ROMANE
loro beni, li nomi delle mogli e de’ figli , e la età loro
e de’figli. Terminato in breve il registro per la severità
de’ castighi , perdendosi da’ contravventori i beni e la
cittadinanza ; si rinvennero cento cinquanta mila sette-
cento e più Romani adulti. Poi separando gli uomini
di età militare dai provetti , e riducendoli in centurie ;
li divise tutti , fanti e cavalieri in quattro parti : e ri-
tenutane una , che era la migliore , per sé , fece che
delio già suo collega nel consolato se ne eleggesse un
altra qualunque tra le rimanenti : che Spurio Cassio il
prefetto de’ cavalieri avesse la terza , e Spurio Largio il
fratello la quarta ; la quale fu comandata trattenersi e
presidiare insieme co’ vecchi la città.
LXXVI. Egli poi , com’ ebbe pronto quanto biso-
gnava per la guerra, menò le milizie in campo aperto;
appostando tre armate ne’luoghi appunto donde sospet-
tava che i Latini uscirebbono. E considerando esser
proprio de’ savj capitani fortificare le sue cose come
debilitare quelle del nemico , e terminare le guerre
senza battaglie e stenti, o certo col minimo danno delle
milizie ; anzi considerando che sciauratissime e luttuo-
sissime più che tutte sono le guerre tra’ popoli amici e
congiunti ; concludeva che si aveau queste a finire con
tratti di clemenza piuttosto, che di rigore. Adunque
spedendo occultamente persone non sospette ai più ri-
guardevoli de’ Latini, li persuase a rendere la pace alle
loro città: e spedendo insieme apertamente ambasciadori
ad ogni città , come alla rappresentanfa generale di
tutte; ottenne senza difficoltà che non tutti avessero più
l’antico ardore per la guerra; alienandoli principalmente
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LIBRO V. 199
cogli ossequiosi modi e co’ benedzj dai duci loro. In
opposilo Mamilio e Sesto , che aveano da’ Latini rice«
TUto il generai comando , riunite nel Tnscolo le forze ,
si apparecchiavano come per piombare su Roma ; se
non che spesero su ciò gran tempo o che aspettassero
le città le quali tardavano , o che non buoni apparis-
sero loro gli auguri santi. Intanto alcuni di loro spic-
catisi dall' esercito devastavano la campagna romana.
Largio , risaputolo , spedi delio su loro col fiore dei
cavalieri e de’ soldati leggieri : e costui , presentatosi
inaspettatamente , gli assalì , e ne uccise , imprigionan-
done la più gran parte. Largio curatine li feriti, e gua-
dagnatiseli con altre amorevolezze li rinviò senza offesa
o prezzo al Tuscolo ; mandando riguardevolissimi ro-
mani ton essi per ambasciadori. Or questi operarono
che si sciogliesse l' armata latina , e si facesse tra le
città la tregua di un anno.
LXXVII. Largio, ciò fatto, ricondusse l’ armata dalla
campagna: e designando i consoli depose prima che ne
spirasse il tempo la dittatura senz’ avere ucciso , o ban-
dito , o ridotto comunque a gravi mali un romano.
Cominciato T invidiabile esempio da un tal uomo si
mantenne in quanti ottennero poi quella dignità fino
alla terza generazione prima della mia. Imperocché la
storia fino a quest’ epoca non presenta ninno il quale
non esercitasse quella dignità moderatamente e qual cit-
tadino , quantunque Roma fosse astretta più volte a
sospendere le magistrature ordinarie, e concentrare tutto
nelle mani di un solo. E non sarebbe gran meraviglia
se personaggi ottimi della patria pigliando la dittatura
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200 OKLLE Antichità’ romane
solamente nelle guerre cogli esteri si fossero tenuti in-
corrotti nella grandezza del potere: ma pigliandola nelle
sedizioni interne, grandi e molte, per togliere I sospetti
di regni e tirannidi rinascenti , o per altra sciagura ,
lutti , quanti la ottennero , conservaron sestessi iqinia-
colati , e simili al primo dei dittatori. Tanto che tutti
unanimemente conclusero che la dittatura era 1’ unico
rimedio contro de’ mali intrattabili , e 1’ ultima speranza
dii salute quando sparse sono le altre speranze . dalla
procella. Quattrocento anni però dopo la dittatura di
Tito Largioj a memoria de’ Padri nostri parve tal carica
biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che
primo ne abusò , vendicativo e 6ero : talché li Romani
allora sentirono a prova , ciocché aveano prima igno-
rato , che la signoria de' dittatori non era se,, notk liran*
nide : imperocché costui ordinò un* Senato di uomini
comunque , infìacchi 1’ autorità del tribunato , devastò
città intere , distrusse e creò regni , ed altre cose fece
e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a rac-
contare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia , ne trucidò
nemmeno di quaranta mila , datisi a lui prigionieri ,
dopo averne prima tormentati alcuni. !Non è questo il
tempo di discutere se egli fe’ ciò necessitato o per utile
del comune : solamente ho voluto dimostrare che ne
divenne abominato c spaventevole il nome di dittatore:
ciocché pur succede ad altre cose ammirale e disputate
dagli uomini, non che alle sole dominazioni: perciocché
tulle le cose appariscono belle e giovevoli se bene si
.adoperino , come danncvoli c turpi se mal si dirigano ;
di (he ne è causa la natura che in lutti i beni ha
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DELLE antichità’ BOMANE LIBBO V. 201
sparso i germi dei male ; se noa die di tali cose di-
remo altrove più propriamente. L’ anno prossimo a
questo nella olimpiade 'j i ^ nella quale vinse allo stadio
Tisicrate Croloniatej- essendo Ipparco F arconte di Ale*
ne , presero il consolato Aulo Sempronio Atratino e
Marco Minucio.
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202
DELLE
ANTICHITÀ ROMANE
D I
DIONIGI ALICARNASSEO
LIBRO SESTO.
I. Li anno prossimo a questo nella olimpiade 71.*
nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo
Ipparco arconte di Atene , presero il consolato Aulo
Sempronio Atralino e Marco Minucio (i), ma niente vi
operarono degno di ricordanza , nè in città nè fra le
armi : perciocché la tregua co’ Latini dava loro placida
calma cogli esteri , e la legge decretata dal Senato di
sospendere la esazione dei prestiti , finché la guerra
imminente avesse buon termine , avea sopito le som-
fi) Àn. di Roma aS7 secondo Catone, 259 secondo Vairone, •
4
recchi per la guerra. Il complesso de’ Romani era vo-*
lentei'oso e propensissimo a combattere ; ma il più dei
Latini eravi disanimato e forzato : dominando per le
città uomini quasi tutti corrotti dai doni e dalle prò»
messe di Tarquinio , e di Mamilio , rimossi dalle cure
pubbliche quanti favorivano il popolo e ripudiàvan la
guerra. Cosi non più dandosi a chi la volea la facoltà
(li discorrere , si ridussero i più corucciati a lasciare in
copia la patria , e fuggirsene in Roma. Nè quelli che
dominavano ve gl’ impedivano , ma teneansi obbligatis-
simi ai competitori , dell’ esilio spontaneo. Li riceveano
i Romani e compartivano tra le milizie interne, e me-
scbiavano alle coorti urbane quanti ne venivano con
mogli e figli , ma spedivano gli altri a' castelli intorno
e per le colonie , sopravvegliando intanto che non fa-
cessero' mutamenti. E consentendo tutti che bisognavaci
novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare
a suo modo ogni cosa , fu nominato dittatore Aulo
Poslumio il console più giovine da Virginio il collega :
e costui , come già 1’ altro dittatore scelse per suo
maestro de’ cavalieri Tito Ebuzio Elva , e registrati in
poco tempo tutti i Romani già puberi , ordinò la mi-
lizia in quattro parti , reggendone egli 1’ una , dandone
a reggere la seconda a Virginio il compagno nel con-
solato , la terza ad Ebuzio il maestro de’ cavalieri , c
(i) An. di Roma aSS secoado Catone, aCo secondo Varrone, •
4e essi agevole-
rebbero ossea più le cose loro. Se non che mentre de-
liberavano ancora giunse coll’ armata sua da Roma Tito
iVirgiuio r altro console , marciato improvvisamente nella
notte dinanzi : e prese anch’ egli campo in altra altura
assai forte. Di modo che i Latini rimasero intracchiusi ,
nè più idonei ad un assalto , avendo a sinistra il con-
sole e a destra il dittatore. Adunque tanto più sen con-
turbarono tra quelli i capitani i quali non voleano se
non partiti sicuri , e temerono che tardando si ridu-
cessero a consumare le loro provvigioni , le quali non
erano molle. Postumio notando quanta fosse la impe-
rizia loro nel comandare spedi Tito Ebuzio maestro dei
cavalieri col nerbo de’ cavalli e de’ soldati leggeri ad
.occupare un monte rilevantissimo in su la via , per la
quale recavansi i viveri dalle loro terre ai Latini. Andò
questa milizia espedita con la cavalleria , e condotta di
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LIBRO VI. 207
notte tra selve non frequentate ; prese il monte prima
che i nemici se ne avvedessero.
V. I capitani nenuci osservando invasi anche i posti
forti che erano loro alle spalle , nè più avendo spe-
ranze buone sul trasporto indubitato de’ viveri da’ paesi
loro , deliberarono respingere i Romani dal monte prima
che vi si assicurassero ancora cogli steccati. Adunque
Sesto r un d’ essi presa la cavalleria vi si lanciò con
impeto ; quasi la cavalleria Romana non si tenesse a
ribatterlo : ma tenendosi questa bravissimamente contro
gli assalitori , Sesto durò qualche tempo ora dando voi*
ta , ora tornandole a fronte. Ma perciocché quel luogo
riusciva opportunissimo a chi ne avea le alture , e co-
stava assai travagli e ferite a chi vi si recava dabbasso ;
e perciocché giungeva ai Romani un soccorso di milizia
legionaria mandata appresso da Postumio ; egli ritirò ,
non potendo altro fare, la cavalleria negli alloggiamenti.
I Romani impadronitisi appieno del luogo , si misero a
fortificarlo pubblicamente. Dopo ciò parve a Sesto e
Mamilio ndn essere più da indugiare gran tempo , ma
doversi decidere la sorte con una pronta battaglia : e
parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque
avesse ne’ principi ideato di dar fine alla guerra senza
combattere , sperando giungere a ciò , specialmente per
la imperizia de’ capitani. Imperciocché da’ cavalieri cu-
stodi delle strade furono sorpresi de’ messaggeri che an-
davano dai Yolsci a’ Latini con lettere di avviso che ,
indi a tre giorni al più , verrebbe milizia copiosa di
rinforzo da loro , come altra dagli Eroici. Or ciò ri-
dusse i duci Romani a venire , sebbene contro il pro-
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■n
208 DELLE Antichità’ romane
posilo , a pronta giornata. Datosi da ambe le parti il
segno della battaglia ; si avanzarono gli uni e gli altri
al campo intermedio , e cosi vi ordinarono le armate.
Sesto Tarquinio ebbe a reggere 1’ ala sinistra de’ Latini,
ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1’ altro figliuolo di
Tarquinio comandava il centro óve erano i disertori e
fuorusciti Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu
dispensata alle ale ed al centro. In opposito Tito Ebuzio
ebbe 1’ ala sinistra de’ Romani contro di Ottavio Mami-
lio , e Tito Virginio il console si contrappose colla de*
stra a Sesto Tarquinio; Empiva de’ genj suoi Postumio
stesso il dittatore 1’ armata di mezzo , e moveala contro
Tito Tarquinio ^ e gli esuli da Roma j i quali eran con
lui. Il complesso delle milizie venute a combattere erano
ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri nella parte
Romana , e quaranu niila fanti , e tre mila cavalieri
nella Latina.
VI. Quando erano per andare a combattere i capitani
Latini , aringando ognuno i suoi , diedero mille ecci-
tamenti di coraggio , e ricordarono lungamente cioc-
ché bisogna al soldato. Dall' altra parte il Romano ve-
dendo cbe i suoi temeano come quelli che cimentavansi
con gente assai più numerosa , e volendoli sollevare da
quella paura , fe’ radunarli , e poi tra corona di sena-
tori , onorabili per anni e per credito , cosi concionò :
Gli Dei cogli aitgurj , colle viltime , con ogni segno
divinatorio promettono alla nosti'a patria Li libertà ,
ed una propizia vittoria; contraccambiandoci della
pietà verso loro , e della giustizia esercitata da noi
verso gli altri in tutta la vita : per lo contrario , inì-
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~ »
LIBRO VI. ' » 209
mici sono , come deano , de' nostri nemici , perchè
tante volte e tanto da noi beneficali , essi parenti ,
essi amici nostri ', essi legatisi a noi di giuramento
per avere appunto gli amici stessi ^ i nemici , ora
spregiato ogni vincolo , ci movono una guerra ingiusta
non per decidere qual di noi si abbia la preminenza
e il comando , ciocché sarebbe il meno de mali ; ma
in favor dei timnni , e per fare la patria nostra che
è libera', schiava ai Tarquinj. Ora intendendo voi o
centurioni e soldati , che militano con voi gli Dei ,
quelli stessi che hanno sempre difesa Roma , si con^
viene che rnagnanimi vi dimostriate in questa bat-
taglia : molto più che ben sapete che gli Dei fa-
voriscono i bravi combaltitori , quelli che quanto è
da loro fan tutto per vincere , e non quelli che fig-
gono i 'pericoli, md quelli che li sostengono per sal-
vare' sè stessfi Inoltie a voi sono apparecchiati dalla
sorte altri mezzi non pochi per la vittoria , e tre so-
prattutto manifèstissimi.
Vn. Il primo è la fedeltà scambievole , requisito
principaliss'tmo in chi disegna vincere l’ inimico ; im-
p^ciocchè non' dee già cominciar • questo giorno a
rendervi amici fidi e costanti; ma la patria ha da
tanto tempo preparato' a voi tutti un tal bene. V oi
allevati in urta terra, educati di una maniera sagri-
ficate agl’ Iddj su di altari medesimi : . e voi avete
fin qui partecipato i tanti beni e sperimentato in-
sieme i tanti mali, i quali rinforzano, anzi rendono
indissolubili, le amicizie fra gli uomini , quante volte
DIONJGt. tomo II. i . *4
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a I o DELLE Antichità’ domane
presentasi loro un cimento comune su gravissime cose.
In secondo luogo , se voi soggiacerete .ai nemici , già
non sarà che alcuni di voi restino immuni , altri su-
biscano r estrema degl' infortunj ; ma tutti, sì, tutti
perderete la gloria vostra , f impero , ' la libertà j noit
più padroni delle mogli , non più de' figli , non più _ •'
delle sostanze, non più altro bene vostro qualunque. ^
E li vostri capi, li vostri pubblici magistrati ‘ miseran-
damente moriranno tra flagelli e tormenti. Se già non
offesi da voi punto nè poco , fecero a voi tutti ogni
maniera cT ingiurie ; e che mai potete aspeltarvene
ora se vincano , nella memoria che hanno de’ mali ;
che gli avete ridotti fuori della patria , che gli avete
spogliati de’ beni , nè consentile che tornino alle case ,
paterne ? L’ ultimo de’ mezzi indicàtir, nè minore de-
gli altri se rettamente sen giudichi,, è che noi troviamo
le cose tra’ nemici men prospere che non pensavamo.
E certo vedete voi da voi stessi che tolto gli Anziati,
niuno è qui per soccorrerli nella guerra. Noi conce-
pivamo che verrebbero per essi tutti i Eolsci ; e Sa-
bini ed Ernici in copia , e mille altre vane paure ci i
fingevamo. Erano questi tutti sogni de’ Latini , imma- I
ginati su promesse vane , su speranze senza base.
Quindi altri nel meglio ne abbandona la causa, spre-
giando r euUorità de’ sì belli capitani:, altri li terranno ^
anzi a bada che li soccorreranno , temporeggiandoli
con lusinghe ; e quelli che or si apparecchiano , come
tardi per la battaglia , inutili diverranno. ■ I
Vili. Che se alcuni di voi pensano che giusto sia I
ciocché io dico , eppur temono . la quantità de' nemici, j
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\
' LIBRO VI. a I I ■
€onoscanò per una breve iilruzione, o piuttosto ricordo,
che essi temono non temibili cose. E prima conside\
tino che il pià di' loro è stato forzato alle arme con-
tro di ìtoi , come ce lo ha con tante opere e detti
mànìfestato ; e che gli spontanei , quelli che di lor pia-
cere combattono pe’ tiranni sono ben pochi , e piut-
tosto una parte insensibile rimpetto di voi. Appresso
considerino che le guerre guidale a buon successo non
la superiorità' nel numero , ma nella fortezza. E lun-
ghissima opera sarebbe ricordar quanti eserciti di bar-
bari, quanti di Greci, tuttoché preminenti di numero,
siano stati disfatti da piccioli corpi e quasi non cre-
dibili a dir. Ma tralascio gli esempj altrui : dite ^
quante guerre non avete voi ben guerreggiato con ar-
mata minore della presente, e contro apparecchi assai
pià potenti di questi ? Dite ; voi fin qui teiribili agli
altri che avete combattuti e vinti, siete ora voi dispre-
geiSbli a questi Latini, ai Folsci loro alleati, perchè
non vi han essi mai sperimentato Jra le arme ? Sa-
pete pure voi tutti quante volte i nostri padri gli hanno
in campo superati ambedue. E vi par verisimile che
la condizione da’ vinti sia dopo tante perdite migliore,
e peggiore sia quella de' vincitori dopo tanti bellis-
simi fatti ? E chi ,' se abbia mente , chi mai dirà
questo ? Anzi ben io mi 'stupirei se alcuno di voi
paventasse questa turba ove si pochi sono li bravi, e
spregiasse la milizia nostra si forte e si numerosa ;
che nè pai' numerosa nè pià forte mai ne abbiamo
finora schierato in battaglia.
IX. Che pià : deve , o cittadini ì esservi impulso
I
t
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i\-> DELLE Antichità’ bomane
grandissimo a non temere , nè ricusare i pericoli t ej-
sere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con
voi la sorte stessa delle arme i primarj de’ senatori ,
quelli che la età o la legge gli esenta dalla milizia.
Che^sl; che egli sarebbe vituperoso che -uomini nel
fior degli anni temessero i pericoli quando i provetti
gli affrontano, Avran cuore i vecchi di ricevere per la
patria la morte se dare non là possono ai nemici; e
voi li sì . vegeti , voi che ben potete • f una e l’ altra
cosa , o salvarvi e vincere senza danno , o certo ma-
gnanimamente operare , e soffrire , voi non vorrete
nè cimentare la sorte , nè la Jama .procacciarvi de’ va-
lorosi F No , ciò di vói non è degno , o Homani , ai
quali sopravvanzan tante mirabilissime gesta degli an-
tenati , le quali niuno loderebbe mai quanto basta :
e se voi vincerete questa guerra, i vostri posteri an-
cora si gioveranno di tante vostre gloriosissime im-
prese. Ma perchè nè sia senza frutto chi si delibera
K alle grandi azioni ; nè si trovi col danno chi ne teme
i rischj oltra il debito , udite prima d incorrerla,
Indite qual sarà la sorte dell’ uno e delt altro. Chiun-
que ìlei combattere imprende belle e magnanime gesta
ne sarà da chi ’l vede encomiato ; ed io, quando di-
spenserò li premj che .ciascuno' -dee raccoglierne. se-
condo il costume della patria j quando. darò insorte
le, terre pubbliche , io costui ne appagherv, sicché pià
di nulla abbisogni. Al contrario chiunque nel cuor suo
vile, offensivo de’ numi , si deciderà per la fuga ,
costui si troverà per me colla morte che fogge ; chè
ben è meglio per esso e per altri che un tale citta-
»
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LIBRO VI. 2 I 3
dina perisca : e così perendo , non che attere i fune-
bri onori eia tomba ^ si resterà, non emulato' nè
pianto , in abbandono agli uccelli e alle fiere. Con
ioli previdenze , andate : combattete alacremente ; e
V abbiate per guida alle grandi azioni la speranza
buona , chè dato a questo cimento un termine gene-
roso , come tutti desideriamo , avrete ottenuto amplis-
simi beni, avrete liberato voi dal timor dei tiranni ,
avrete , come doyeasi , corrisposto alla patria , che
chiedea la gratitudine vostra per avervi generati e
nudriti , avrete operato eh» i teneri vostri figli , le
vostre mogli non sqffrano oltraggio da nemici, e che
ì vecchi vostri genitori vivano in calma il picciolo
avanzo di vita. Felici voi d quali riservasi tornare
da questa guerra col trionfo, mentre li figli vostri' ve
ne aspettano , e le spose , e li genitori. Quanto sa-
rete celebrati , quanto ' invidiati pel coraggio di dare
voi stessi per là patria ! Tutti deano morire valen-
tuomini o no] ma il moribe con dignità' e CON
GLORIA NON È PROPRIO CHE DE' VALENTUOlilNI-
X. Ancora egli continuava tali detti magnanimi ;
quando ecco spargersi nell’ esercito un ardore divino ,
e tutti ad una voce gridare : ardisci , e guidaci. E qui
Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi
agl’ Iddj , se avea buon successo nella guerra , di fare
grandi e sontupsi sagrilìzj , e ^lendidissimi giuochi da
rinnovarsi in. Roma ogn’ anno rilasciò le milizie perchè
si oi'dimssero. Quindi come i duci diedero il segno e
le, trombe l’invito a ^mbattere; lanciaronsij gridando,
quinci c quindi prima i soldati leggeri e li oavalietà , e
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2 1 4 DEiXE Antichità.’ homane
poi le lej^ioni le quali aveano schierameotd ed armi
consimili. Fecesi di tutti una mischia vivissima , ^dottasi
tutta al dar delle mani. Tennesi questa lungo tempo
contraria alla espcttazione di ambedue, sperando gli Ubj
e gli altri che non avrebbero nemmeno a combattere ,
ma che a prim’ impeto forarebbero , ed intimorirebbero
rinunieo; i Latini alhdati alla cavalleria loro numerosa
quasi i’ urto ne fosse irreparabile alla cavalleria Romana;
e li Romani aU’andarne audaci c spregianti ai perìcoli ,
quasi cosi avessero a soprailare l’ inimico. Non ostanti
tali primitivi concetti degli uni su gli altri , vedeano tutti
seguire il contrario. Quindi considerando che il mezzo
di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la
paura de’ nemici ; militarono bravlssimamente anche so-
pra le forze ; e varie ne furono le vicende e le sorti.
XI. Primieramente li Romani del centro dov’ era il
fiore de* cavalli con Postumio dittatore, e'dove combat-
teva egli stesso tra’ primi , cacciano di posto i loro com-
pettitori dopo ferito con uno strale in una spalla , cd
inabilitato a valersene , Tito l’ uno de’ figli di Tarqur-
nio ; sebbene Licinio c Gellio senza esaminare le cose
verisimili e possibili, suppongano esser questo che mili-
tando a cavallo restò ferito lo stesso re Tarquinio, uomo
più che nonagenario (i). Caduto Tito , le sue milizie
(i) .\nofaa Tito Lhrio i di - questo parere, quantunque avesse
considerata la difficoltà degli anni : ^li scrìve in Postumiwn prima
inacìesuos aiihortantem i/utruentemtfua , Tarquinius super but quam-
quam jam alate et viribus crai graiùar equnm infestas admitil. Nà
SODO mancsti altri re che in quella ^ fornivano tutti gl' incarichi
del regno o còmbattevano. Massiuissa fu I’ uno di.questi, cd .àntea
re degli 'Setti mori combattendo, vecchio pi4 (he di novant’anni
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MBBO VI. 2 I 5
tennero fronte alcun tempo , e sollecite ne raccolsero
vivo il corpo , non però fecero altro più di generoso ,
ma rinculavano incalzate via via da’ Romani , 6nchè
soccorse da Sesto l’ altro 6glio di Tarquinio co’ fuoru-
sciti Romani , e da truppa scelta di cavalieri si arresta-
fono , e tornarono su l’ inimico. Cosi ripigliato Corano
combattevano questi nuovamente. Intanto negli altri coi>
pi (i) segnalandosi più che tutti i duci Ebuzio e Ma-
milio , fugando ovunque volgeansi chi resisteva , e rior*
dinando i loro se scompigliavans! ; vennero a disfida in
fra loro : lanciatisi 1’ uno su l’ altro portaronsi colpi gra-
vissimi , ma non mortali , Ebuzio spingendo 1’ asta per
la corazza al petto di Mamilio , c Mamilio traforando il
braccio destro di Ebuzio: tanto che ne caddero ambedue
da cavallo.
XII. Portali ambedue fuori della battaglia Marco Va*
lerio che era un’ altra volta luogotenente anzi il più
vecchio, prese le veci di Ebuzio maestro de’ cavalieri : ma
contrastando colla sua la cavalleria nemica , e contenen*
dola per breve tempo , infine fu violentato e respinto assai
lungi ; perocché gèinsero in ajuto al nemico i fuorusciti
Romani a cavallo , o di milizia leggera: e Maiadìo stesso
riavutosi dalla percossa era tornato in campo con caval-
eon Filippo Macedooe. E Luciioo scrive che Tarqptinio superbo
più che nonagenario viveva robustissimo in Coma. Forse Licinio e
Gellio non son dà riprendere. Dee poi notarsi, che Tarquinio;
anche secondo Dionigi , visse più di novani’anni. Vedi § ai di
questo libro. '
(i) Cioù Mamilio nell’ ala destra de’ Latini ed Ebutio nella si-
nistra de’ Romani , percbù già stavano appunto in queste aie ; uù
Diouigi lia (inora dello che avessero cambiato posto.
I
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2i6 delle Antichità.’ romane
lerla numerosa e col nerbo de’ soldati espeditì ; anai in
questa pugna cadde trafìtto da un’ asta Io stesso luogo-
tenente Valerio (i) quegli che il primo avea trionfato
de’ Sabini , e rialzato lo spirito di Roma infìacchito pei
danni ricevuti da’ Tirreni : e con lui pur caddero altri
molti nobili e valorosi Romani. Sorse sul caduto corpo
di esso una lotta vivissima facendosi scudo allo zio li
due Publio e Marco , fìgli di Poplicola. Or questi con-
segnandolo intatto colle armi sue , mentre respirava an-
cora , ai scudieri perchè Io riportassero agli alloggia-
menti; lanciarono sestessi in mezzo al nemico spinti
dall’onta ricevuta e dall’ardore dell’ animo : ma piom-
bando d’ ogn’ intorno i fuoruscili su loro , alfine carico
r uno e r altro di ferite mori (a). Dopo tale infortunio
r armala Romana fu cacciala di posto , ed assai mal-
menata dalla sinistra fino al centro. Il dittatore al co-
noscere che i suoi fuggivano , ben tosto si staccò per
soccorrerli con i cavalieri che aveva d’ intorno : e dato
ordine a Tito Erminio di andare coll’ ala della caval-
(i) Intende il Valerio fratello di Valerio l’oplicola: però il pri-
mo Valerio è detto tio de’ fìgli di -Poplicola. Il Valerio del i-
gotliti , li menò contro 1’ armata di IMamilio , ed egli
stesso avventandosi addosso di lui die era il più grande
e più gagliardo di quanti gli erano a fronte, lo uccise;
ma fattosene a spogliare il cadavere, egli ancora vi soc-
combò trafitto .dal brando di un tale in un lato.* Sesto
Tarquinio, duce dell’ala sinistra Latina, resistendo tut-
tavia tra tanti mali , avea cacciata di posto 1’ ala destra
de’ Romani : come però vide Postumio venire su lui col
uei'bo de’ cavalieri , disperatosi corse in mezzo a’ nemici.
E qui circondato da’ fanti e da’ cavalieri ed investito ,
quasi una fiera d’ ogu’ intorno , mori , ma non senza
averne anche egli stesi molti di quelli che lo investi-
vano. Caduti i duci , pienissima fu la fuga de’ Latini ,
e la presa de’ loro alloggiamenti , abbandonati pur dalle
, guardie. Dicchè i Romani se n’ebbero molti e belli van-
taggi. Gravissima fu la perdita de’ Latini , tanto che
moltissimo ne decaddero : e la strage fu tanta , quanta
mai più per addietro ; imperocché di quaranta mila fanti
e tre mila cavalli , come ho detto di sopra , nemmeno
dieci mila tornarono salvi alle case.
XIII. È fama che in questa battaglia si rendesser vi-
_sibili al dittatore, ed al seguito suo due cavalieri adorni
del Gore primo di giovinezza , grandi e belli assai più
2i8 delle antichità.’ romane
che la condizione non sostiene dell’ uomo ; e che po-
nendosi alla testa della cavalleria romana , peKotessero
colle aste i Latini che le si avventavano , o' li sospin-
gessero a rapidissima fuga. E fama è similmente che
dopo la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro alloggia-
menti, presso al crepuscolo vespertino, appunto quando
la zuffa ebbe fine, si dessero a vedere in abito militare
nel F oro romano due giovani altissimi , e vaghissimi ',
spirando in volto ancora 1’ ardore della battaglia , dalla
quale venivano , e reggendo cavalli , molli di sudore.
Dicesi che smontati l’ uno e 1’ altro da’ cavalli, lavavansi
nell’onda, la quale sorgendo presso il tempio di Vesta
forma una lacuna , picciola si , ni» profonda : ma che
fattisi molli intorno di loro , e chiedendone se punto
recassero di nuovo dall’ esercito , rilevarono ad e»i
Ciocch’era della battaglia, e come 1’ aveano guadagnata:
e che partiti poscia dal Foro non più furono veduti
da alcuno , tuttoché seu facesse ricerca grandissima dal
comandante lasciato in Roma« Come però nel giorno
appresso riceverono i capi della città lettere dal ditta-
tore , e conobbero 1’ assistenza dei due numi , e tutti i
successi della battaglia ; giudicarono che i .due perso-
naggi apparsi fossero , com’ era verisimile , gl’ Iddii
stessi , e conchiusero che erano le immagini di Polluce
e di Castore. Attestano la comparigione inaspettata e
meravigliosa di questi Numi , molti segni ancora, come
il tempio fondalo a Castore e Polluce nel Foro , ap-
punto dove comparvero j e la fonte vicina , chiamati c
creduta sacra finora , e li sagrifizj magnifici che il po-
polo ne celebra ogni aqno per mezzo de’ a fare nè 1’ una nè l’ altra di queste
due cose: che. era bensì, da giovine iL trasporto d’ allora
per combattere ; ma che assai più biasimevole sarebbe'
il fuggirsene a casa : e che qualunque de’ due parliti
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LIBRO VI. 321
seguissero , andrebbe a genio de’ nemici. Era il parere
di questi , cbe di presenta 'si triucierassero e preparas-
sero quanto bisognava per la battaglia , e clic intanto
spedissero ai Volaci per chiedere che inviassero nuove
forze onde pareggiare quelle de’ Romani , o che richia-
massero le altre già’inviate. La sentenza però sembrata
più persuasiva e ratificata da’ capi fu di mandare al
campo romano alcuni osservatori col nome di amba-
sciadori onde preservarli , li quali , complimentandolo ,
dicessero al capitano, che il comune de' Volsci man-
davali per ajuto de'Bomani: si doleano però che giunti
tardi per la battaglia non troverebbero uemmen grati-
tudine di tanto amore, vedendo come l’aveano già vinta
a grande lor sorte , anche senza degli alleati. Con tali
dolci maniere illudendo , c dandosi per amici , andas-
sero , spiassero , conoscessero la moltitudine de’ nemici,
le arme , gli appareccbj , i disegni. Conosciuto ciò ,
discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove
truppe , o menare le presenti all’ assalto.
XVI. Poiché si riunirono tutti in questa sentenza,
ne andarono gli oratori eletti da essi al dittatore : e
poiché recati nell’ adunanza vi esposero gl’ insidiosi loro
discorsi ; Postumio soprastando alcun tempo, alfine ri-
spose: Voi siete o Volsci venuti qua con rei consigli
sotto belle parole,: nemici nelle opere , volete presso
noi la stima di amici. Voi foste inviati dal vostro
comune ai Latini per combatterci. Ora. non essendo
voi giunti a tempo per • la bat&iglia ; anzi vedendo
questi già vinti, cercale deluderci con dirne cose con-
trarie a quelle che eravate per Jdré. Ma nè sincera
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22 2 DELLE ANTICHITÀ’ ' ROMANE
è r amicìzia del parlare che assiunete in vista del
tempo presente , nè sincero il titolo della vostra le-
gazione ; ma pieno è di malizia e d’ inganno. Non
voi veniste sensibili pe nostri beni , ma per investi-
gare qual sia lo stato tra' noi di debolezza 'e di
forza. Messaggeri ne' detti , voi non siete che esplo-
ratori nè fatti. E negando questi, ogni cosa , soggiunse
che presto li convincerebbe. E qui produsse le lettere
dei Volsci intercettate da lui prima delia battaglia, e chi
le portava ai duci dei Latini , nelle quali prometteano
mandare a questi un soccorso. Riconosciute le lettere ,
e palesato dai prigionieri il comando che aveano ; arse
la moltitudine di manometter que’ Volsci , quali spie
sorprese nel delitto. Non però volle Postumio che essi,
nomini probi , si diportassero come i malvagi ; dicendo
esser meglio serbare permesso
a quelli a’, quali solcasi , che die^fes^ i loro pareti ;
Tito Largio, il primo de’ dittatoti create già per l’anno
antecèdente (i) consigliò che ■usassero'*^ la sorte sobbria-
mente. Diceva ' essere encomio grahdissimo per una
città come per un uomo se rion lasciandosi corrom-
pere dalle prosperità , le sostiene con regola e con
dignità : odiarsi tutte le prosperità , quelle principal-
mente per le quali possono ingiuriarsi , e gravarsi i
(i) Vuol dire tre anni addietro: come fu notalo da Silburgio.
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LIBRO VI. ’ 2 2^
miseri e li sottomessi. iVon confidassero su la sorte ,
essi che àveano sperimentato tante volte ne’ beni, e
ne' mali proprj , quanto fosse mal ferma e mutabile:
nè Kiducessero i nemici 'alla necessità di pericolo
estremo per la qualè ipesso gli uomini s’ innalzano ,
e combattono sopra le forze. Temessero , se prèn-
deano pene irreparabili e dure su chi avea mancato,
di provocarsene f ira comune di ogni popolo sul quale
aspiravano di comandare ; imperocché decaduti dalle
maniere consuete colle quali eransi rendati chiari di
oscuri parrèbbono aver fatto ' della sovranità una ti-
rannide, nqn lìn governo éd un patrocinio. Dieea che
mezzana non irremisibile è la colpa , se città già li-
bere ,• anzi usate al comando, nOn sanno dall’ antico
grado discendere. Se quei che anelano il meglio ,
siano sé falliscono il colpo , vendicati immedicabil-
mente ^ niente ipipedirà, che gli uomini, generati tutti
con intimo amore della libertà si distravano gli uni
cogli altri. ^AggiuDgefra che assai piti nobile , assai
piti fenho è il principato^ che amministrasi tenendo i
sudditi colld beneficenza ' non co’ supplizf : perciocché
dà quella' nasce la benevolenza , e dà questi il ti-
more ■> e ciocché si teme , ^^si odia vivàmente per ne-
cessità di natura. Da ultimo pregayali a pigliar per
esempio le opere bellissime pqr le quali gli antenati
loro'tajfto erano encomiati'^ ' e qui ridiceva com' èssi
aveano niàgnificatò" Bonia ^à piccola , non diroccando
le città prese',' nè Spopolandole nè spegnendovi al-
meno gli adulti , ma riducendqle colonie di Bofna ,
Dionigi:’ tomo II.' ^ ' , J , • (S •
aa6 DELLE antichità’ romane
e concedendo la cittàdLinanza a tutti i yinti che in
Jtoina vollero domiciliarsi. Tilo Largib mirava col dir
sao principalmente a questo , che si riqovasse co’ Latini
l’alleanza, com’ eravi staU,'nè più ingiuria dcun% di
qualunque città si ricordasse. ''
XX. Servio Sulpizio punto non contradisse intorno
la pace e la rinovazione dell’ alleanza. Siccome di oomini
che aveano tr^viatot E costui pigliandone -vesti e cibi
per r esercita, ^e . scegliendone trecento .. ostaggi, dalle
famiglie più cospicue , _ parti come ^ avesse dissipata la
guerra. Non però fu, questo un dissolver!^ 'ma .piuttosto
I
LIBRO VI. a33
un dlHerirla , e dar causa di apparecclij ad essi, preoc-
cupati dal giungere loro inaspettato. Ritiratosi l'esercito
romano, si accinsero i Volaci di bel nuovo alla guerra,
e munirono e meglio presidiarono le città , ed ogni
luogo acconcio da rifuggirvisi. Si consociarono con essi
per l'impresa i Sabini, e gli Ernie! svelatamente ; ma
segretamente molti altri ancora. I Latini, essendo venuti
ad essi a,mbasciadori per chiederne 1’ alleanza , li lega-
rono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla
/
costanza della lor fede , e più ancora alla prontezza
colla quale > solcano spontaneamente per esso cimentarsi,
e combattere, ^^iudi restituì loro gratuitamente, cioc-
ché pur vedea di’ essi desideravano , ma vergognavansi
dimandare, intorno atbeimila fatti prigionieri nelle guerre
eoa essi : e perchè il dono, prendesse una forma degna
de’ parenti , -li rivestì tutti con abiti proprj di uomini
liberi. Del resto fece intendere che non abbisognavasi
di sòccorso latino , dicendo che bastavano a Roma le
proprie forze . per vendicarsi de’ ribelli. E cosi risposto -
ai Latini'^ decretò la guerra contro de’Volsci.
XXVI. Ancorò il 'Senato sedeva nella Curia, ancora
considerava quali milizie destinasse a marciare ; quando
fu visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni ,
sordido ne’ vestimenti , e ha^'buto ^ capelluto ., gridava
ed invocava soccorso dagli uomini, Accorsa la moltitu-
dine Intorno; égli postosi in luogo donde fosse visibile
disse: Io. generato libero y dopo. 'èssere finché n era
la ptà., marciato in tutte le spedizioni , dopo averi'
sostenuto vent’ otto battaglie ^ e riportato pià volte ,i
premj militari.,' alfine quando sopravvennero i tempi
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2 34 DELLE Antichità’, romane
che strinsero Jìonm alle ultime angustie fui necessi-
tato a prendere wi prestilo per supplire al tributo
che mi si chiedeva: perchè il mio campicetlo' era
desolato da’ nemici , e le' rendite urbane tutte. per la
penuria de’ viveri mi si consumavano. Cosi non avendo
come più redimere il debito , fui condotto dal pre-
statore con due miei figliuoli a servire. Comandan-
domi poi quel padrone non facili cose io contraddis-
si ; e ne fui con moltissimi talpi battuto^ E così di-
cendo squarciò la lurida veste ; ,e mostrò pieno il petto
di ferite, e grondanti le spalle di sangue. E. qui ulu-
lando , e piangendone la moltitudine .?■' ^1 Serrato si di-
sciolse : e tutta la città fu percorsa da’ poveri che. de-
ploravano la infelice lor swte , ^ cliiedeano soccorso
da’ vicini. Uscirono allora dalle Case (i) tutti quelli che
erari servi pe’ debiti, «abbuffati le chiome, e la maggior
parte colle catene alle mani,,' e co’ ceppi nei piedi,
senza che alcuno osasse reprimerli: e so altri osava pur
toccarli, erane manomesso co’ dU'ittL della, forza. Tanta
rabbia in quel punto invase il' popolo ! Nè molto dopo
il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di
chi signoreggiavali.. Appio a, come .autore non ignoto
de’ mali , temette coutfa di sè le ffe della moltitudine ,
e s’involò, fuggendo, dal-Foro. Ma Servilio deposta la
veste contornata di porpora , e gettatosi lagrimando ap-
pie di ciascuno ; a stento li persnase a contenersi per
quel giorno, e tornar; nel seguente, mentre il Serrato
■ provvederebbe iij qualche modo su loto. Cosi dipendo ,
Ds’ creditori
•i
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LIBRO ‘VI. • a35
e comandando al banditore di proclamare , die ninno
de’ creditori potesse trar seco pe’ debiti alcun cittadino ,
finché il Senato su ciò deliberasse , e che tutti gli
astanti 'ne andassero ove più /deano senza timore ;
chetò la turbolenza.
XXViL Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo
giorno vi' si riunì non solo la moltitudine della città ,
ma r altra ancora de’ campi vicini; tanto che sull’ alba
già .il Foro ne ribolliva. Adunatosi il Senato per discu»
te re ciocché era da fare , Appio chiamava il compagno
adulatore del popolo e capo' della insolenza de’ poveri :
e Servilio rimproverava lui come austero , caparbio , e
fabbro de’ mali che pativano: nè ci avea niun fine alla
disputa; Intanto latini cavalieri spronando vivissimamente
i cavalli si apprésentarono al Foro , annunziando essere
già usciti 1 nemici con -.esèrcito poderoso , e già sovra-
staìre alle cime -de’ monti loro. Cosi dissero questi : e li
cavalieri , e quanti avéano ricchezze e gloria ereditaria ,
armaronsi in fretta, come.su. pericolo estremo; laddove
i poveri ;• sjngolarmenle gravati da’ debiti, nè toccavan
armi, né -soccorrevano in alcun* modo a’ pubblici biso-
gni: anzi gioivano , ed accoglievano con desiderio la
guerra esterna , come quella che redimerebbe loro dai
mali presenti. E se altri, gli' esortava a respingere gli
inimici , mòstràvanò a lui le catene é. li ceppi , e lo
confondevano addinrtandando , se Cosse mai degno com-
battere per difendersi tanto benefizio. Anzi taluni osa-
rono perfino dire., esser meglio servire ai -Volsci , che
soffrire i vilipendj de’ patrizj. Infine., era tutta la città
ripiena di ululàti ; di tumulti , e di ogni lutto di fem- '
mine. >
236 DELLE antichità’ ROMANE
XXVIII. A tale spettacolo i senatori pregarono ii
console Servilio, come più autorevole presso del popolo,
a soccorrer la patria. E costui convocandolo al Foro ,
dimostrò la urgenza del tempo presente , e coiùe non
ammettesse discordie civili : pregava e supplicava che
piombassero unanimi tutti sul nemico , non che tol-
lerassero che rovinasse la patria , ov’ èrano le divi-
nità paterne, e le tombe. degli antenati, cose prezio-
sissime tutte presso i mortali. Sentissero verecondia
pe genitori incapaci a difendersi per la vecchiezza ;
e pietà delle donne che bentosto sarebbero astretti a
subire gravi ed inesplicabili affronti : ioprattiitto
commiscrassero che teneri figliuoletti , cèrto non edu-
cati a tale speranza , avessero a finir tra' le ingiio'ie
e i vilipendj spietati. Quando tutti al paio concordi,
tutti al paro infiammati , avessero tolto il rischio
presente; allora discutessero comèra da ordinare un
governo eguale, comune, salutevole a tulli, e 'tale,
che nè i poveri insidiassero ''agli averi , del. ricco ,, nè
il ricco i poveri ne conculcasse ^ cose tutte in società
dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica
discrezione fosse da provvèdere ai poveri, con quale
agli altri li quali dopo - dati i prestiti per soccorrere,
ora ne erano ingiuriati : nè dalla sola Roma si le-
verebbe la fede do contralti, bene principalissimo tra
gli uopiini e cuslóde dell' armouia nel corpo delle
città. Dette queste e slmili cose , quali convenivano al
tempo , da ultimo provò com’ era la benevolenza sua
stala sempre costante verso del popolo^ e.pregò'che in
contragcamblo , almeno di questa , si unissero per la
UBRO VI. ■ 237
spedizione j essendo a' lui data ^'.amministrazione della
guerra, e quella di Ron^a alt compagno. Protestava che
la sorte avÉvd così destinate a Ipro le. parti : che il
Senato tn>evalo\ assicurato di cpncedere quanto egli
prometteva al popolò ■; ,.'e- che egli aveva assicurato il
Senato cìie\ il .pòpolo non tradirebbe la patria ai
nemici. ‘ V- ' ''I
XXIX.' Ciò detto ido^ose al banditore dì pubblicare
che hiunof poiessé- arrogarsi le case di quelli che
rnilitassètó. oon lui. ccfntro.^i Vblshi , nè venderle , nè
impegnarle^ nè. rendet .sérVQ' pe' contratti alcuno della
stirpe di èostbro, np impedire : veruno a guerreggiare :
perwtessero pei^' Sècjondò^ i patti le 'azioni de’ pre^
stamri.'coutre'qaellijche -noli, prendeano le armi. Co-
me i pòveri ódirono tiòj. decisero, e lanciaronsi tutti ,
pienirdi ardore aUa guerra'; vchi stimolato dalla ape-
rto» dì, guadàgnare ; cbi ..dalla benevolenza pel capi-
tano,,^ et gVan'.-p.firte' per. levarsi da ‘Appio e dai
vilipendi; ^ersQ q^^rv lllnrra et » ! màli : finché
, vinsero no-
Ro-
fecero che lungo tempo si 'oppo’neàiercr ai
sopravvenendo’ ài ^Rqmani'laVlèro cavalleria
vamente 'i, Sabini r ’e fatta'assai' strage , ttfrnaroho a Ro-
ma conducendo seéo'in’’cópia li prigidhl«n.''ETmpnb^oi
cei/cati e messi nella 'carcere feSabln^éhefècaùsi a. Roina
sul titolo, di veder gli ^spettàcoli , dóveariq’ se^rido Tac-
cordo all’ avvicinàrsi*'aéi lóro, prebccuparne ^ T luoghi piu
forti :* e li sagnfizj ihterrbttK per' (a guerra fiiroho per
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LIBRO VI. 24 I
decreto del Senato raddoppiati ; talché oc fu ^oju e
riposo nel popolo.
XXXII. Ancora festeggiavano 1 quand’ ecco ambascia-
dori dagli Arunci , popolo che occupava i più be’ luo-
ghi della Campania. Presentatisi questi in Senato diman-
davano' il territorio tolto dai Romani ai Volsci Eccetrani
e dispensato agli nomini mandativi per guardia della
nazione : dimandavano insieme che tal guardia si richia-
masse; altrimenti verrebbero quanto prima gli Arunci
su’ Romani, e vendicherebbero tutti i mali che aveano
causato ai loco vicini. Replicarono a ciò li Romani.
Ambasciadori , annunziate agli Arunci che noi Tlo-
mani teniamo per ^uslo che altri lasci a’ posteri suoi
ciocché ha conquistato per valore su nemici : che la
guerra degli Arunci non la temiamo ; giacché non è
questa per noi nè la prima nè la più terribile : che
noi costumiamo combattere con chi vuóle per t impero
e pel bene ; e se la cosa riducasi ora all arme , in-
trepidamente all arme verremo. Dopo ciò movendosi
gli Arunci con esercito poderoso, e li Romani con
quello che aveano sotto gli ordini di Servilio ; si scon-
trarono presso la Riccia città lontana centoventi stadj (1)
da Roma. Accamparonsi ambedue su di alture forti , e
poco distanti fra loro: e poiché vi ebbero trincierati
gli alloggiamenti , scesero al piano per combattere. At . XXXIX. Avendo Appio cosi detto , ed acclamando-
velo strepitosamente i giovani , quasi egli desse il ben
della patria ; Servilio ed altri seniori sorsero per con-
traddirlo : furono però sopraffatti da* giovani che erano
venuti preparati ed insistevano con forza grande; tan-
toché prevalse inGne la sentenza di Appio. Dopo ciò li
consoli , sebbene i più volessero Appio per dittatore ,
come l’unico da por freno alle sedizioni, pure lo esclu-
sero di concerto , ed elessero Marco .Valerio frateDo di
Pubblio già primo console , uomo anriano e popolaris-
simo di credito , persuasi che a lui basterebbe la terri-
bilità della sua carica; e che si abbisognasse più che
tutto di un uomo placido , perchè non si ^cessero delle
innovazioni (i). ^
XL. Valerio investito della sua dignità, e scelto per
maestro de’ cavalieri Quinto Servilio fratello d> Servi-
lio , collega di Appio pel consolato ; ordinò che il po^
polo si radunasse a parlamento. E raduna tovisi albra
la prima volta ed in gran moltitudine , da che guidato
all’ armata erasi poi scisso manifestamente al dimettersi
di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e
(i) Qursto Valeria nel § 13 delMibro presente si dice ucciso in
baiiaali* ; ed ora si desorWe colile diitaiore. Vedi la nota al S 11
ciiaia.
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LIBRO VI. 249
disse : Sappiamo o cittadini che sempre di vostro buon
grado hanno a voi comandato alcuni della stirpe dei
p^alerj , da' quali liberati dalla dura tirannide , non
foste mai rigettati nelle' oneste domande^ nè temeste
violenza ; affidandovi a quelli che sembravano e sono
popolarissimi infra tutti. Pertanto non io qui parlo y
quasi voi abbisognate di essere illuminati che noi
convalideremo al popolo la libertà la quale gli ab-
biamo da principio vendicato : io parlo per ammo-
nirvi solo brevemente affinchè siate pur certi che vi
manterremo quanto promettiamo. Non ammette che vi
deludiamo V età nostra venuta alla perfezione ^e men
sostiene che vi ri^riamo , il grado supremo che ab-
biamo , e finalmente dMbianm pur vivere V avanzo
dei nostri giorni tra voi per iscontarvela se parremo
di avervi abusati. Io tralascio però queste cose giac-
ché non abbisognano di molto discorso tra voi che le
conoscete. Ma ciò che avendo voi sopportato dagli
altri, pormi che dobbiate ragionevolmente temerlo da
tutti, nel vedere che sempre il console che v’invitava
contro i nemici , prometteavi dal innato, senza man-
tenervele mai , le cose , per voi necessarie ; questo
io vi convincerò che non dovete di me sospettarlo ,
principalmente per tali due argomenti : prima perchè
a deludervi in tal modo' mai sarebbesi il Senato abu-
sato di me che amantissimo sono del popolo, aven-
done altri più. acconci : e poi perchè non mi avrebbe
mai condecorato della dittatura per la quale io posso
concedervi anche senza di lui ciocché il vostro meglio
mi sembra.
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!ì5o delle Antichità’ romane
XLI. Non crediate che io dia mano al Senato per
ingannarvi f nè che io consultando con esso vinsidii.
E se voi così giudicate ; fate ciocché pià volete di
me, come del più, scellerato tra’ mortali. Ma liberate,
datemi udienza , da tale sospetto gli animi vostri :
ripiegate la collera dagli amici su vostri nemici che
vengono per levarvi la patria , e per fare voi schiavi
di liberi , sollecitandosi a premervi con tutti i mali y
riputati gravissimi dagli uomini. Già non lontani si
dicono dalle nostre campagne. Sorgete , accingetevi ,
mostrate loro che la milizia Romana in discordia ,
tissai pià vale della loro , tutta unanime. Se presi
noi tutti da un ardore , piomberemo su loro ; o non
ci aspetteranno , o prenderanno le pene degne del^
r audacia loro. Considerate che i nemici che a voi
portano la guerra sono i Fblsci, sono i Sabini, quelli
che tante volte avete combattuti e vinti: e che non
ora han fatto pià grande il corpo nè pià generoso
di prima il cuore ; ma che ben altro se lo hanno ;
tuttoché ci disprezzino per le patrie gare. Quando
avrete punito V inimico , io vi prometto che il Senato
darà buon fine alle vostre contese pe’ debiti, ed alle
oneste dimando secondo la virtù che mostrerete nella
guerra. Intanto libere siano le sostanze , libere le
persone , libera la fama de’ cittadini Romani dalle
azioni de’ prestiti , e di ogni altro contratto. Per quelli
poi che combatterai!, con impegno bellissima corona
fia la patria ridiriaata , luminosa la gloria tra com-
pagni , e pari la nostra ricompensa a vivificar le fa-
miglie , c magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi
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LIBRO VL aSi
esempio , ve n’ esorto , V ardor nùo verso de' pericoli :
io stesso come imo combatterò de’ pià robusti tra
voi.
XLII. Udì tali detti , coDsoIandosi il popolo , e come
quello che non più sarebbe deluso, promise di arrokrsi
per la guerra; e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno
di quattromila uomini (i). Prese ogni console tre di
questi corpi con quanta cavalleria gli fu compartita. Il
dittatore prese gli altri quattro col resto de’ cavalli. Ed
apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito
Velurio contro gli Equi, Aulo Verginio contro i Vol-
aci, ed il dotatore Valerio contro de’ Sabini; rimanendo
a guardia della città Tito Largio co’ più vecchi , e con
piccolo corpo di giovani. La guerra co' Volsci ebbe
prontissima risoluzione : imperocché necessitati a com-
battere , pensando gli antichi mali , e come aveano mi-
lizia più numerosa , piombarono i primi , anzi pronti
che savj , su’ Romani , appena si videro accampati , gli
uni dirimpetto degli altri. Attaccatasi vivissima la batta-
glia , fecero molte magnanime cose ; ma scontramdone
ancor più terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo
fu preso , e Velletri loro città principale fu ridotta per
assedio. Lo spirito poi de’ Sabini fu invilito ancor esso
in brevissimo tempo , essendosi 1’ una e 1’ altra parte
deliberata a campale battaglia. Dopo ciò la campagna
fu saccheggiata , e presi alcuni villaggi , ove i soldati
acquistarono schiavi e roba in copia. Gli Equi all’udire
la fine de’ compagni , riflettendo la propria debolezza
(i) An. iti Roma a 6 o secondo Catone, 363 secondo Varrone, a
Ì93 av. Cristo. ' >
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aSa DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
si misero su luoghi forti ; e ritirandosi alia meglio per
le cime di monti e balze presero tempo e mantennero
alcun poco la guerra. 'Non però poterono ricondurre
illeso r esercito , perchè sopravvenendo i Romani ardi-
tissimamente su pe’ dirupi ; ne espugnarono a forza il
campo. Dond’ è che fuggirono dalle terre de’ Latini , e
le città si ridiedero colla facilità , colla quale erano^ già
state prese al giungere del nemico. Alcune però furono
espugnate , non cedendone le guarnigioni ostinate il
comando.
- XLIII. Riuscitagli la guerra secondo il disegno , Va*
lerio trionfò , com’ era 1’ uso, per la vittori^ e congedò
la milizia , quantunque non paressene al Senato tempo
ancora, afBnchè i poveri non esigessero le promesse.
Quindi a diminuire la sedizione in Roma , scelse al-
quanti di questi, e li mandò nelle terre acquistate colle
arme 'e tolte ai Volsci , perchè le possedessero , e le
presidiassero. Ciò fatto chiese ai Padri che avendo avuto
il popolo tanto pronto a combattere , gli osservassero le
promesse. Non però davano questi udienza , ma si op-
ponevano come dianzi all’ intento,; perchè li giovani e
più violenti e più numerosi tra loro , fatto partito ,
brigavano ancora in contrario, e chiamavano con alta
voce la prosapia di-^ lui adulatrice del popolo , e con-
duci trice alle ree leggi, tanto care ai Valer] su le adu-
nanze e su’ tribunali; 'malignando che aveano con queste
annientato tutto il potere de’ patrizj (i). Esacerbatone
•«
f
(i) Allude alla legfi^ falla da Valerio 1’ aano 347 di Roma se-
condo Catone , colla quale davasi ad un privato il diritto di ap-
pellare al popolo dai magistrali che lo aveano condannalo. Vedi
1. 5, S «9-
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LIBRO VI. 2 53
molto Valerio , e dolutosi come se calunniato a torto
patisse pel popolo , compianse il vicino fin d’ essi cbe
cosi consigliavano : e com’ è verìsimile nel suo caso ,
presagendo loro pi& cose , altre per passione , altre per
intendimento maggiore degli altri, s’involò dalla Curia,
« convocato il popolo disse : Cittadini , dovendovi io
piena riconoscenza per la prontezza colla quale mi
vi deste per In guerra ; e più. per la virtù la quale
dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai
perchè foste voi ricompensati con ogni modo , princi-
palmente col non essere delusi nelle promesse che
io vi feci a nome de’ Padri , quando fui scelto con-
siglierò ed arbitro di ambe le partì, onde ridurvi al-
lora scissi, a concordia. Nondimeno ora sono impe-
dito di soddisfarvi da uomini che non mirano il bene
della 'comune ma solo il proprio, almen di presente.
Questi prevalendo di numero prevagliono con una
potenza che ad essi la gioventù concede più che la
perizia degli affari.' Ed io , sono vecchio come -.vedete
e vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel
consigliare, ed invalidi per eseguire, e la provvidenza
su la repubblica sembra ridotta propriamente a que-
sto , che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro
al Senato un vostro fautore, e voi mi accusate come
benevolo troppo verso del Senato. >
XLIV. 5e il popolo innanzi carezzato da me fosse
venuto meno alle promesse del Senato , sarebbe la
giustif razione mia, che voi. siete i mancatori, e non
io. Ora però non mantenendosi i patti dal Senato ,
mi è necessario dichiarare che è senza mia parte
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a54 DELLE Antichità’ romane
quanto patite , e che io medesimo sono come voi ,
anzi più, di voi, circonvenuto e deluso. Imperocché
. non solo io sono offeso con ingiuria a tutti comune,
ma in ispecie con quante mormorazioni di me vanno
facendo. Di me si mormora che io per far f utile
de’ privati dispensai senza il voto del Senato a’ poveri
Va voi le spoglie prese nella guerra ; che io rendei
del popolo ciocché era di tutti , e che per impedire
che il Senato vi malmenasse , licenziai , ripugnandovi
lui, la milizia che dovea tenersi ancora nelle terre
nemiche fra le marce, e i Vavagli. Mi si rimprovera
la spedizion de’ coloni nella regione de’ V^olsci , per-
chè ho io comportilo una terra ampia e buona a po-
veri Va voi , piuttosto che donarla a pcUrizj ed a ca-
valieri. Soprattutto mi si provoca indignazione moltis-
sima perchè io nel fare la leva ho assunto più che
quattrocento do’ vostri tra cavalieri ; don^ è che ricchi
ne son divenuti. Se ciò mi avveniva quando fiorivano
gli anni , ben avrei insegnato co’ fatti a’ nemici , qual
uomo avessero vilipeso. Ora essendo io più che set-
tuagenario , invalido a provedere fino a me stesso , e
reggendo che non più la vostra sedizione può da me
racchetarsi ; rinunzio la' dittatura : e chi vuole , io
gliel concedo , faccia di me come giudica , se crederi
comunque da me danneggiato,
XLY. Intenerirousi tutti a que’ detti e gli fecero se*
gulto quando parti dal Foro. Ma questo appunto esa-
sperò contro lui li senatori: e ben tosto ebbe tali con-
seguenze. I poreri non più celatamente nè di notte ,
come per addietro, ma pubblicisshnamente riunÌTansi,c
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LIBRO VI. 2 55
trattavano di scindersi da’ patrizj. Il Senato , disegnando
impedirneli , diede ordine ai consoli di non dimetter
r esercito. Certamente eran questi arbitri ancora delle
reclute , come sacre pe’ ligami de’ giuramenti militari. £
per questi vincoli ninno attentavasi di abbondonaroe le
insegne ; tanto la riverenza potea de’ giuramenti ! Alle^
gavasi per titolo della ritenzione , che gli Equi e li Sa^
bini eransi convenuti per la guerra contro de’ Romani.
Ora essendo i consoli usciti colle schiere , ed essendosi
accampati non lontani 1' uno dall’ altro , i soldati radu*
naronsi tutti in un luogo colle arme , e per istigazione
di un tal Sicinio Belluto se ne ribellarono ; appropian-
dosi le insegne , cose tra’ Romani onoratissime e sante ,
come simulacri di Numi (i). E creatisi nuovi centurioni,
ed un capo in Sicinio Belluto; occuparono non lontano
da Roma presso 1’ Aniene un monte che sacro si chia-
ma 6n da queir epoca. Pregando , sospirando , prornet-
tendo , li richiamavano i consoli ed i centurioni ; ma
Sicinio replicò: Qual fare è il vostro o Patrizj che
ora vogliate richiamare quelli che avete espulso dalla
patria , e che di liberi gli avete schiavi rendati ? Con
qual credito mai ci assicurerete le promesse, le quali
siete rimproverati di aver tante volte tradito? Piutto-
sto , poiché volete in città , soli , aver tutto ; andate ;
abbialevelo : non vi angustiate pe' bisognosi, e pe mi-
seri. Per noi sarà buona ogni terra; e qualunque ne
terremo per patria , solchè vi si abbia la libertà.
XLVI. Annunziatesi tali cose in Roma , tutto vi fu
(i) .\n. dì Roma a 6 o tccoudo Catone, 263 secóndo Varrone, e 49 ^
«T. Cristo.
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2 56 DELLE Antichità’ romane
romore e pianto: e là correva il popolo, intento a la>
sciar la città , qua li patrizj cbe voleano alienameli ,
colla forza ancora , se ricusavano. Soprattutto eravi cla-
more e pianto alle porte ; ed ingiurie vi si facevano ,
come tra’ nemici , con parole e con opere , niun più
riverendo nè la età , nè l’ amicizia , nè la gloiia della
virtù. Non potendo però, come scarsi , i soldati di guar-
dia destinativi dal Senato custodire le uscite, le abban-
donarono , sopraffatti dalla moltitudine. Allora versando-
sene fuora gran popolo ; parca lo spettacolo , còme la
città fosse presa. Gemeano, si rimproveravano quelli che
' restavano , vedendo che desolavasi. Dopo ciò si fecero
molte consultazioni ; si accusarono gli autori delia sepa-
razione; ed intanto correano li nemici , depredando la
campagna , 6no a Roma. Li fuorusciti presero i viveri
necessarj drile terre intorno , nè punto più le danneg-
giarono. Tenendosi in campo aperto accoglievano quanti
venivano da Roma , o da’ castelli intorno ; tanto che ne
divennero numerosi ; perciocché vi concorrevano , non
solamente quelli che voleano levarsi dai debiti , dai giu-
dizj, e da altri; angustie imminenti, ma tutti eziandio
gl’ inBngardi , gli oziosi , i malcontenti ; quelli che in
malfar si emulavano, che Invidiavano l’ altrui ben essere,
o che per altri mali , e cause comunque , discordavano
dal governo.
XLVII. Adunque si eccitò ne’ patrizj turbazione , ed
angustia grande , e paura , come se li fuorusciti e li ne-
mici stranieri fossero per venire quanto prima contro
di Roma. Poi , quasi tutti ad un segno , prendendo coi
loro clienti le armi , altri corsero alle strade donde pen-
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rrBRo VI. 257
savano clie giungessero gl’ inimici , altri ai castelli per
difenderne i posti forti , ed altri ai campi innanzi la
città per trincerarvisi , e quei che per la vecchiaja non
poterono iàr nulla di ciò, furono distribuiti per le mura.
Come però seppero che i fuoruscili nè si univano coi
nemici , nè saccheggiavano la campagna , né faceano al-
tro danno considerabile , respirarono dalla paura ; e mu-
tato pensiero , esaminarono come si riconciliassero. Sug-
gerirono i capi del Senato mezzi di ogni genere , di-
versi per lo più fra loro; ma li più anziani suggerirono
i più discreti , e più convenienti ai tempi ; facendo ri-
flettere che il popolo twn ti era separalo da loro per
malizia , ma in forza de proprj mali , o delle pro-
messe non mantenutegli , e che auca così risoluto V u-
tile suo piuttosto tra la collera che tra la calma della
ragione , vizio consueto nella ignoranza. Aggiungevano
che i più di questi conoscevano di avere mal delibe-
rato , e cercavano emendarsene , se il buon punto ne
avessero iiche già ne' ei^an le opere come di chi si
pente ; e che volentieri tornerebbero nella patria se
potessero, augumrvisi un avvenire felice , dando loro
il Senato perdono , e pace decorosa. In mezzo a tali
consigli supplicavano che essi che erano i gratuli non
sentisser la ira più che i minori’, nè differissero stolti a
riconciliarsi allora .quando fossero necessitati a far
senno , e curare il male più piccolo col più grande ,
vuol dire , quando' avessero a tedere le armi, e le per-
sone , e togliersi da sè stessi la libertà : cose tutte
quasi impossibili a farsi. Usassero moderazione , prò-
\ DlOtilGIp tomo II, ' • 17
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258 DELLE Antichità,’ romane
ponessero i primi gC ulili consigli, e la riunione , av-
vertendo che se era proprio de' patriiù] comandare e
dirigerò ; era propria ancora de' buoni C amicizia e la
pace. Mostravano che la dignità del Senato non mi-
norasi quando provede alla sicuiozza col sopportare
pazientemente le perdite necessarie ; ma quando op-
ponesi tanto ostinatamente alla sorte che la repub-
blica ne rovini : gli stolli trascurare la sicurezza per
amor del decoro : ben essere da ceivare ambedue
queste cose : ma dove sia da cedere V una o C altra,
doversi la salvezza riputare più necessaria. Era l’intento
«li tali consiglieri che si mandasse a fuorusciti per trattar
della pace non altrimente che se la colpa loro non fosse
insanabile. s
XLVIIL Piacque cosi appunto al Senato ; e scelti per-
sonaggi accontissimi , li diresse a quelli che erano in
campo con ordine d’ intenderne i bisogni e le condi-
' zioni colle quali volessero in cittlt ritornare ; perciocché
se fossero discrete e fattibili, jl Senato non le rigette-
rebbe : intanto se depenessero le arme , e tornassero in
Roma , promettea loro perdono e dimenticanza perpe*
tua di tutto il passato : come belle ed ntili le ricom-
pense a chi servisse valoroso , ed affrontasse ardente-
mente i pericoli per la patria. Recarono gli oratori e
comunicarono tali voleri al campo , aggiungendovi cose
consentanee. Non accettarono' i fuorusciti l’ invito : anzi
rimproverarono a’ patrizi T orgoglio , la dnrezza , le si-
mulazioni loro perchè fingevano ignorare i bisogni del
popolo, e quelli pe’ quali si era separato. Ci assolvono,
diceauo, da ogni pena per la ribellione , come fossero
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LIBRO VI. 259
i padroni, essi che abbisognano dell’ ajulo nostro.
Quando giunga su loro , e sarà tra non molto , con
tutte le forze il nemico ; non potranno alzare nem-
men lo sguardo contr esso , e pur ci voglion far cre-
dere che non sia bene loro t esser difesi ; ma felicità
di chi si unisce a difenderli. Aggiunsero a tal dire che
se vedevano già le angustie di Roma ; comprendereb-*
bero poi meglio con quali nemici avessero a guerreg-
giare : e qui minacciarono molto e veementemente. Non
contraddissero a ciò, ma partirono, e dichiararono i legati
a’ patrizj le risposte dei segregati: e Roma, uditele, se
ne turbò ; e temette più che per addietro. Il Senato
non sapendo come espedirsi o diffenrc , si disciolse ,
dopo avere più giorni ascoltate le infamazioni e le ac>
cose vicendevoli de’ suoi capi fra loro. Il popolo rimasto
in Roma per benevolenza verso de’ patrizj , o per de-
siderio della ..patria più non somigliava sestesso; dile-
guandosene gran parte nascostamente o in pubblico >
nè sembrandone il resto affatto più stabile. Fra tali vi-
cende i consoli , avendo poco più tempo per coman-
dare , fissarono il giorno pe’ comizj.
XLXIX. Venuto il tempo nel quale aveansi a riunire
nel campo Marzo e scegliere i proprj magistrati; ninno
ambiva , nè sostenea di esser consolo. Adunque nella
Olimpiade setlantesÌDa seconda nella quale Tisicrate da
Crotone vinse allo stadio, essendo arconte in Atene
Diogneto ; il popolo rielesse al consolato due vecchi
consoli Postumio Gominio e 'Spurio Cassio, uomini cari
alla moltitudine ed ar grandi , da' quali già domati i
Sabini aveano lasciato di competere dell’ impero con
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a6o DELLE Antichità’ romane
Roma. Or questi riassumendo il loro grado alle calende
di settembre, vale a dire prima del tempo consueto ai
consoli precedenti , convocarono innanzi tutto il Senato
per deliberarvi sul ritorno del popolo (i). CbieslO' il’
parere di tutti ; invitarono a dire Menenio Agrippa ,
uomo allora venerabile per età, credulo più che gliaU
tri insigne in prudenza , e lodato principlmente' per loi
scelta de’ suoi regolamenti, perchè teneasi^al mezzo non
fomentando 1’ arroganza de’ nobili , nè lasciando che i|
popolo operasse tutto a suo modo. Or questi esortando
il Senato alla riconciliazione , disse r Se quanti qui
siamo o Padri Coscritti fossimo tutti di un animo; e
se niuno si opponesse a far pace col popolo , comtm-
que la facessimo , per giuste o per ingiuste condizùy- ^
ni ; e se questo fosse proposto unicamente d diseu^
tere ; dichiarerei , con poche parole dà che ne penso.
Ma perciocché alcuni giudicano che sia dà ponderare
ancora se forse riesca più utile far guerra a fuoru-
sciti ; non credo che io possa in ^ poco- insinuare dà
che dee farsi: ma sento il bisogno tt istruir ampia-
mente su la pace quanti tra voi ne discordano. Im-
perocché questi conducono a cose contraddittorie ; spa-
ventano voi , che già ne temete , su mdli da nulla o
lievi a curarsi, e trascurano gl' immedicabili e gravi.
Certamente cosi propongono perchè non decidono del-
r utile colla ragione , ma col furore e coll’ impelo. E
come si direbbe che essi provvedono le cose proficue,
o fattibili almeno , quando stimano che Roma , una
(i) A^oi di Roma a6t «ceoodo Catóne, o63 secondo Varrone,e
4{)t arami Critu».
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LIBRO VI. a6i
città si grande , ed arbitra di tante genti ^ e già in~
yidiata e molestata da’ vicini , possa ritenerle e difen-
derle facilmente senza il suo popolo , o che possa in
luogo del suo sì scellerato introdurre altro popolo che
per lei combatta del principato ; che con lei sia di
buon accordo su la repubblica , e sempre moderato in
pace ed in guerra ? Eppure non altro potrebbono
dirvi quei che tentano dissuadervi dalla pace.
L. Ma qual sia la più stolta di queste cose, vorrei
che voi stessi lo decideste dalle opere. Considerate ,
che alienatisi da voi li più poveri perchè abusaste della
loro infelicità senza modestia e senza politica , e che
recatisi appena fuori della città senza farvi o macchi-
narvi altro mede , col solo intento di averne una pace
non ingloriosa , molti de’ vostri nemici abbracciarono
con trasporto questa occasione come dono della sorte,
e riedzan lo spirito , e credono venuto per loro fitud-
mente il tempo felice da battere il vostro impero, di
Equi , i Eolsci , i Sabini , gli Etnici , questi che mai
si alienano eìal farci la guerra , esatperali ora dalle
sconfitte recenti, già devastano le nostre campagne.
Que’ Campani , que Tirreni die vacillavano nella no-
stra soggezione ora parte fi abbandonano matdf està-
mente , parte in occulto • vi si preparano. E gli stessi
LeUirti , quantunque nostri congiunti, a me non sem-
■hran procedere di buona fede, costanti neW amicizia;
ma odo che guasti sono in gran numero per amore
di un cambiamento , che tanto gli uomini alletta. Noi
die abbiamo fin qui portato in campo aperto la guerra
su gli altri; noi ci stiamo or qui dentro , difensori
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aGa DELLE antichità’ romane
delle mur^; lasciando senza seminarli i nostri terreni,
anzi 1 vedendovi saccheggiali i villaggi , via levale le
predo , e fuggirsene di per sestessi gli schiavi , senza
che abbiamo rimedj a tanti mali. Non pertanto noi '
tutto soffriamo , perchè speriamo ancora che il popolo
ci si riconcilj , ben sapendo che da noi dipende il
togliere- con un solo decreto la sedizione.
LT, Ma se pessimo è lo stato nostro in campagna;,
non è meno funesto e terribile dentro le mura. Noi '
non ci siamo .apparecchiati già da gran tempo , come
per un assedio , nè bastiamo di numero contro tanti
nemici. La nostra gente è poca, nè da guerra, e ple-
bea, per gran parte, merce nar f , clienti, artefici, cu-
stodi tton affatto saldi dello stato turbato degli Otti-
mali : e le continue loro diserzioni verso de’ fuorusciti
ce li hanno rendati tutti sospetti. Soprattutto essendo
le nostre campagne dominate da nemici, ed impossi-
bilitato il trasporto de’ viveri ; abbiamo a temer di
una fame : e quando a tal disagio saremo; tanto più
ci spaventerà la guerra , la quale senza questo ancora
non concede mai calma allo spirito. Quello poi che
supera tutti i mali è vedere le donne dei segregati,
vedere i teneri figli , i padri cadenti , che sqqallidi e
miserandi si rigiran pel Foro e per le vie , che pian-
gono e supplicano e stringono a ciascuno la destra e
i ginocchi, e deplorano la solitudine loro presente e
più ancor la futura, spettacolo in véro desolante ed
insopportabile ! Niuno è si barbaro che non s inte-
nerisca a mirarlo , e non si appassioni sul destino de-
gli uomini. Che se abbiamo a diffidar su plebei ; do-
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LIMIO VI. 263
{fremo rimoverne gt individui, altri come inutili nel-
r assedio , ed altri come amici non saldi. Or se questi
rimovansi , quid forza rimane in guardia di Roma ?
o da quale soccorso animati ardiremo star contro dei
mali ? V unico nostro rifugio , P unica nostra buona
speranza è la gioventù patrizia : ma poca come vedete
ella è questa , nè bastante a darci i grandiosi disegni.
Che dunque impazzano , quei che propongon la guer^
ra , o perchè mai ci deludono , e non consigliano piut~
tosto di cedere fin da ora senz ar^ustie , e senza
sangue Roma ai nemici ? '
LII. Ma forse io ciò dicendo son cieco , e predico
per terribili , cose che non son da temere. Roma non
corre altro rischio che di un cambiamento , cosa certo
non difficile ; potendovisi facilissimamente introdurre
mercenarj e ' clienti in copia da ogni gente e luogo,
posi van divulgando molli de* contrarj al popolo, uo-
mini , viva . Dio y non dispregievolì. A tanta stoltezza
vengono alcuni ; che non propongono già consigli sa-
lutevoli , ma desideri impossibili I Ora io volentieri
dimanderei questi uomini quode tempo mai ne si, dia
per far tali cose , essendone tanto vicini i nemici :
qtude condiscendenza alt indugio o al ritardo del giu-
gnere degli alleali in mezzo à mali che non tempo-
reggiano , nè aspettano ? Qual uomo , o qual Dio mai
vi terrà sicuri , o congreghem da ogni luogo in gran
calma , e qui ci porterà de’ sussidj ?. Inoltre e quali
tuoi saran. ' quelli che lasceranno la patria per venir-
sene a noi ? Quelli forse che haruus case e Dii Lari
€ viveri ed onori tra proprj cittadini per la nobiltà
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264 DELLE Antichità’ romane
degli antenati, o quelli che per la gloria risplendono
de' pnoprj meriti ? E chi mai sosterrebbe di abhem-
donare i proprj commodi, e partecipare vergognosa^
mente i mali altrui ? Eppure a noi si verrebbe non
per dividere con noi la pace e le delizie, ma la guerra
e i pericoli, e questi incerti, se a bene riescano !
Convocheremo forse una -turba, qual fu quella riget-
tata da noi, plebea e senza lari? Ben è chiaro che
pe' disagi suoi , io dico pe’ debiti , per le penalità , c
per cause altrettali prenderà volentierissima . dovunque
una sede : ma sebbene questa plebe sia utile , c ( per
concederle questo ancora ) sebbene sia moderata ;
tuttavia ci riuscirà generalmente , assai, meno 'buona
della nostra , perchè non è rutta tra nci, nè come noi
disciplinata , e perchè ignora i nostri costumi, le no-
stre leggi , e le nostre maniere. celebrasi la vostra clemenza ,
il quale nè manda a noi per conciliarcisi esso che à
C offensore , nè porge risposte umane e socievoli a
quelli che noi stessi gli abbiamo inviati : ma s’ inal-
bera e minaccia , nè lascia conoscere quello che vo-
glia. Udite voi dunque ciò che iò consiglio che^ fac-
ciasi. lo nè penso il popolo irreconciliabile a noi >
nè > ohe mai farà quanto mincucip, ; dióchà mi sono
buon argomento le opere sue che a’ detti non somi-
gliano. -Dond’ è che io lo credo assai piò che ■ noi
sollecito di pacificarsi. Certamente noi abitiamo una
patria onoratissima , e teniamo irt poter nostro le so-
stanze di lui, le case, i genitori, a tutte le cose pià
preziose : ed egli si trova senza patria , senza ma-
gioni , senza i pegni suoi più, cari , e senta V abbon-
danza ancora del .^vivere quotidiano. Che se alcuno
mi chieda perchè mai fra tanti patimenti egli nè ac-
cetti gl inviti nostri , nè mandi a noi per istanza
niuna , rispondo s ciò essere manifestamente , perchè
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2G8 delle antichità’ romane
fin (jid mn intese dal Senato che parole senza ve-
derne poi le opere o di benevolenza o di modera-
zione ; e perchè crede di essere stato molte volte in-
gannato da noi che promettevamo di provvedere su
lui, senza avervi mai provveduto. Non ci spedisce am-
basciadori perchè son qui tanti che ce» lo accusano ,
e perchè teme non ottenere ciò che dimanda : e forse
così gli suggerisce un ambizione non bene conside-
rata; nè già è meraviglia. Imperocché son pure tra
noi non pochi , difficili , contenziosi , i quali colle
brighe loro non vogliono che cedasi punto ai cóntrarf ,
e cercano per ogni via di sopraffarli senza mai con-
discendere essi i primi , finché loro non sottomettasi
chi vuole essere beneficato. Or ciò considerando io
penso che debbansi spedire al popolo ambàsciadori ,
principalmente di stia confidenza : e consiglio che
questi ambasciadori siano plenipotenziarj , perchè le-
vino la sedizione coi patti che essi terranno per giu-
sti , senza rimettersene al Senato. Questo popolo che
ora vi pare sì spregiante e grave , questo darà loro
utlienza , al vedere che voi cercate veramente la con-
cordia , e ridurrassi a condizioni più mitij senza chie-
derne alcuna vituperosa , o non fattibile. Imperocché
tutti, e specialmente i plebei, ne’ dissidj s' irf urtano
con chi su loro insolentisce ; ma si ammansano con
chi li blandisce.
LVII. Cosi disse Menenio; e levossene in Senato gran
romore , parlandovi ciascnno alia sua volta. I fautori del
popolo esortaVansi a vicenda a dar tutta la mano per-
chè rlpatriasse, avendo per capo di questo consiglio il
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MERO VI. 269
pii riguardevole de* patrizj. Per Topposìto quegli ottimati
die cercavano che nulla si alterasse de’ costumi della
patria mal sapeàno ciò che avessero a fare , nò voleano
condiscendere; nè poteano ostinarsi. Nondimeno uomini
integerrimi né caldi per l' uno o 1’ altro partito voleano
la pace , intenti a questo di non essere assediati tra le
mura. Or qui fattosi da tutti silenzio il più anziano dei
'ìonsoli encomiò Menenio della sua generosità , stimo»
landò anche gli altri a somigliarlo nella cura della re-
pubblica , a dir francamente ciocché ne sentissero , e
compiere senza strepitò ciocché sen decidesse: indi nel
modo stesso cercandolo dei suo parere , chiamò per
nome Manio Valerio, nomo infra tutti gli ottimati ca-
rissimo ài popolo, e fratello all’uno di quelli che aveano
liberato Roiòa dai tiranni.
LVIII. Costui levatosi in piede ricordò ai Padri i suoi
provvedimenti , e come avendo egli presagito più volte
i terribili casi avvenire , ne tennero pochissimo conto :
poscia esortò li contrari discutere
ornai su la moderazione , ma solo a vedere ( giacché
non aveano permesso che si estirpasse quando era
ancor piccola ) di racchetare ora , comunque , il pià
presto , la sedizione , perchè , trascurata , non proce-
desse pià oltre , e non divenisse incurabile f o presso
che incurabile , e sorgente di mali senta fine. Di-
chiarò che le dimande del popolo non sarebbero come
per r avanti; e pronosticò che non si accorderebbe
colle condizioni di prima insistendo per la sola re-
missione dei debiti , ma che vorrebbe forse un qual-
che difensore , onde tenersi illeso nell' avvenire : af-
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a'jo DELLE Antichità’ romane
fermava che dopo introdotta la dittatHra era venuta-
meno la le^e tutelare della Uhtrià la quale non per^
metteva a’ patrizj di uccidere alcun cittadino non giu-
dicato , nè di cederlo giudicato reo nelle mani de’ loro-
contradditori , e la quale concedeva a chi volea V ap-
pelto f di portare le cause al popolo da’ patrizj f tanto
che quello si eseguisse che il popolo ne decidesse^
Poco mancarvi che non fosse statà tolta al popolo
tutta la potenza esercitela già da esso ne' tempi ad*
dietro , quando non potè ottenere dal Senato per le
imprese rmlitari il trionfo a Pubblio Servilio Prisco,
uomo infra tutti degnissimo di quest’ onore. Pertanto-
ben essere verisimile che il popolo cosi ojfeso sconfortisi
nè abbia se non triste speranze della sua sicurezzaj
Non il console , non il dittatore aver potuto soccorrerà
il popolo , quantunque il volessero,; .anzi averne par-
tecipale le incurie e V avvilimento , perchè studia»
vansi provvedere su lui. Essersi poi cospirati per im»
pedirli non uomini autorevolissimi fra li patrizj , ma
uomini oltraggiosi , avari , . acerrimi ne’ rei guadagni,
« quali , pe’ grandi prestiti a grandi usure , aveano
ridotto schiavi ì pià de’ cittadini ; dicea che questi
facendo loro leggi dure , orgogliose . aveano alienata
tutta la plebe da patrizj ; e che datosi per capo Ap-
pio Claudio , odiatore della plebe , e propizio ai po-
chi y rimescolavano tulli gli affari di Roma. E se la
parte savia del Senato non si contrapponesse , la
repubblica pericolerebbe di essere schiava o distrutta.
Da ultimo dichiarò ben fatto valersi del parer di Me-
nenio , e chiese che si spedisse al popolo qiumto
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LIBRO VI. 271
prima: procurassero i deputati quanto volessero la
calma della sedizione : ma se il popolo non accet-
tava le dimando loro , essi quelle accettassero del
LIX. Sorse , invitato , dopo lai Appio Claudio , uomo
contrario al popolo, e grande estimatore di sestesso, nè
senza cagione. Perocché nel vivere suo quotidiano era
moderato e santo , nobile nella scelta de' provvedimenti,
e tale da conservare la dignità de’ patrizj. Costui pren«
dendo occasione dell’ aringa di Valerio , disse : Certa-
mente sarebbe Valerio men riprensibile se palesava
unicamente il suo parere , senza condannare quello
de’ contrarj ; giacché non avrebbe nemmen egli ascoU
tato i suoi vizj. Siccome però non fu pago di dar
consigli onde renderci schiavi ai cittadini pili vili,
ma sferzò pure i suoi contrarj , cimentando anche
me ; così vedomi necessitato assai di rispondere , e
di respingere primieramente le calunnie a me fatte.
Son io rimproverato di una condotta nè' sociale , nè
decorosa , quasi io cerchi per ogni via far danari ,
quasi spogli molti de’ poveri della libertà, e quasi
da me sia derivata in gran parte la separazione del
popolo. Ben vi è facile però di conoscere che niente
di ciò è vero , niente probabile. Or su , dimmi , o
Valerio , quali sono quelli che ho io ridotti servi pei
debiti , quali i cittadini che ora tengo nella carcere ?
(filale dei fuorusciti si è privato della patria per la
durezza e per V avarizia mia ? Certo non potrai tu
dirlo. .Anzi tanto è lungi che alcuno sia da me ri-
ilotto servo pe’ debiti che. io sparsi tra molti V aver
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2^2 DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE
mio , nè mi rendei schiavo , nè disonorai niuno di
quei che mi hanno defraudato : ma tutù ne son U-
beri, e tutti me ne ringraziano , e stansi nel numero
degli anici e de clienti miei pià familiari. Nè ciò
dico per incolpare chi non opera come me, nè per
ingiuriare chi ha faUo cose concedute dalle leggi; nta
solo per levas'e da me le calunnie.
LX. In ciò poi che mi accusa della durezza e del
patrocinio mio sui scellerati, chiamandomi odUpopolo
ed oligarca perchè favorisco il comando de’ pochi , in
ciò son io da riprendere quanto voi che avete ricu-
sato , come pià riguardevoU , di soggiacere ai men
degni , e di lasciarvi togliere il comando dei vo-
stri antenati da una democrazia , pessimo infra
tutti i governi. Nè già perchè egli soprannomina oli-
garchia il comando de’ pochi dovrà questo disciogliersi
per le beffe del nome. E pià giustamente e propria-
mente possiamo noi riprendere lui come un adulatore
del popolo , ed un ambizioso di tiranneggiare. Per-
ciocché niuno ignora che la tirannide nasce dalle adu-
lazioni della plebe : e che la via speditissima a ren-
dere le città schiave è quella che mena al comando
col mezzo de’ cittadini peggiori. Or egli ha fin qui
carezzato costoro , nè tuttavia cessa di carezzarli. Ben
vedete che questi abietti , questi miseri , non avreb-
bero . mai ardito d’ insolentire in tal modo se non
fossero stati eccitati' da questo sì riguardevole e
bello amatore della patria , come se l’ tali trattare, Abhiam per ostaggi le
loro mogli, i loro padri, e tutto il parentado , dei
quali non potremmo ckiedtrne altri migliori dd\Numi,
Questi , li collocheremo • nói, questi al cospetto dei loro
congiunti , minacciando , se tentano assafirti , di uc-
ciderli con estremi supplizj: ina, credetemi, dove ciò
sappiano , voi li riceverete inermi', supffikhevoli, pian-
genti , pronti ad ogni pena. Terribili sono tali neces-
sità , e frangono , ed annientano ogni baldanza.
LXIII. E questi sonod riflessi -^pd quali non dob-
biamo la guerra temere degli esuli. Le mirtacce poi
di altri popoli rum ora Ut prima volta si trovarono
fnire in paroUf; ma 'per ^addietro ancora ci si sco-
prirono sempre rtùnori delt apparenza quante volte i
popoli fecero di noi paragone. M quelli che tengono
per insufficienti le intime nostre forze, e però temono
appunto la guerra , quelli non bene le han calcolate.
Ai citrini da noi separati, se il vogliamo , possiamo
contrapporre scegliendoli e liberandoli , il ' fiore de’ servi
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LIBUO VI. 277
Certamente vai meglio donare a questi la libertà ,
che lasciarsi torre da quelli il comando : tanto più
che stati essendo questi tante volte presenti ne’ nostri
campi hanno sperienza che basta di guerra. Per com-
battere poi cogli esteri usciremo ' noi stessi pieni di
ardore e meneremo con noi tutti i clienti, e tutto il
resto del popolo : e perchè sia questo ' cspedito a ci-
menti , rilasceremp ciascuno privatamente , e non max
per legge , ad esso i suoi debiti. Se dobbiamo in
vista de’ tempi cedere in parte e temperarci; non dee
mai farsi questo con cittadini che ci s' inimicano , ma
cogli amici , perché sappiasi che noi concediamo grar
zie, eomthossi e non violentali’, che se queste non
bastino, se bisognino altre fòrze , f arem venirne dai
presidii e dalle colonie: e quanta sia- la moltitudine
loro , è facile raccoglierlo dalC ultimo censo. 1 .Ro-
mani atti (die arme son cento trenta mila, e di questi
appena la settima tparte è fuggita ' da noi ( 1 ). Non
commentoro qui le' trenta città de’ Latini , le quali
come voitre alleate ^ combatteranno di bonissima vo-
glia per voi, sol che decretiate di ammetterle alla
vostra cittadinanza che > sempre .vi hanno domandata.
LXlV..Ora vi aggiungo' (.e finisco ) quello che ri-
leva fra le arme assaissimo , e che voi non avete av-
vertito , o certo niun dice de’ Padri. Chi cerca il buon
esito delle guerre, di niente ha tanto bisogno, quanto
di egregi capitani. Or di questi la nostra città soprob-
(1) Questo ceuso non par quello fatto da T. Largio primo dituiorr,
ma l’altro fissato da Sigouio oell’ anno sGu di Roma, ov« dice eba
furono numerati più che centodieci mila ciuaUini.
t
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i'jS DELLE ANTICHITÀ.’ BOMANE
benda , ma scarsissime ne sono quelle de' nemici. Lè
grandi milizie se ricevano duci mal atti alle arme, si
svergognano , e rovinano di per sestesse con danno
tanto maggiore, quanto sono più numerose: ma i buoni
condottieri presto rendono grandi anche picciole ar-
mate. Di qua seguita che fiiìchà avrem uomirU buoni
al comando, mai avremo penuria di quelli che fac»
cianci comandare. Or ciò considerati^ , e ricordando
voi le imprese di Roma ; certo mai non porrete de-
creti meschini , vili , indegni. Che dunque , se alcuno
tnel chiede , ( e già forse bramate da gran tempo sa-
perlo ) che dunque io propongo che facciasi ? Io pro->
pongo che nè spediscansi ambaseiadori d fuorusciti ^
nè sen decida arti , finché raccolto il voto de’ se-
natori SI dedicassero ai voleri dei più. Se violato 1’ uno
LIBRO VI. 379
e r altro di questi cousigli, faceano di lor voglia la
pace ; protestavano che noi permetterebbero , ma vi si
opporrebbono di tutto lor animo, colle parole finché
dovevasi , o colle arme in ultimo se bisognava. Era que>
sto partito J1 più forte , aderendovi quasi tutta la gio«
ventù palriaia. In opposito piegavano al partito di Me-s
uenio e di Valerio tutù quelli che aveano cara la pace,
p cbe torneano soprattutto per 1’ età loro, considerando
quanti siano .nelle città li mali delle guerre civili. Mossi
però dai clamori e dai tumulto dei giovani , adombrati
dall’ ambizione loro , e dall’ arroganza contro de’ consoli ,
e timorosi che indi a poco si venisse alle mani se nou
cedevano; si volsero in ultimo a piangere, e supplii
care , piangendo , i conirarj.
LXVL Sopitosi coi tempo lo strepito, e tornato il
silenzio , i consoli abboccatisi fra loro, cosi conchiusero.
Noi vorremmQ primieramente o Padri Coscritti , che
voi tutti foste unanimi d intelligenza e di volere in^
torno la salvezza del comune : se no , che i più gio^
vani almeno cedessero , non ripugnassero d seniori ,
considerando , che ancK essi giunti alT età di questi
avran pari onori dai discendenti. Ora siccome vediamo
voi caduti in una discordia , rovinosissima fra i mali
umani , e sorgere qui mollo f arroganza de’ giovani ;
e siccome poco ornai soprawanza del giorno, nè pos-
sono aver fine le discussioni ; ritiratevi dal SeruUo :
tornerete in cUtra adunanza più placidi e con sentenze
migliori. Che se qui persevera l’ amore delle contese,
non più ci varremo de' giovani por giudici , né per
consiglieri su ' quello che giova : ma precluderemo il
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I
aSo DELLE Antichità’ romane
disordine con una legge ; determinando la età che
aver dee chi consiglia. Quanto a’ seniori se non si
uniscono ne' sentimenti ; torneremo a dar loro la pa-
rola , e ne risolveremo le dispute per una via spedi-
tissima , la quale è meglio che voi udiate e conosciate
precedentemente. Voi sapete che noi abbiamo fin
dalla fondazione di Roma , che il Senato è t arbitro,
è vero , di ogni cosa , ma non di creare- i magistrati,
rum di fare le leggi , rum di portare ■ o cesseue la
guerra ; le quali tre cose il popolo le difinisce in "ul-
timo col suo voto. E siccome ora non consultiamo
che su la guerra e la pace ; cosi debbe il popolo, li-
berissittur ne' suoi voti ratificare indispensabilmente i
vostri decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i
vostri pareri , ru>i scguerulo questa legge , inviteremo
la moltitudine al Foro , perchè ne sentenza. Così le'
contese avran fine ; mentre ciò che la pluralità dei
voti destinavi , quello abhracceremo. Senza dubbio son
degni di quest’ onore quelli che si tennero finora he-
naffetti alla patria , io dico i compartecipi de' nostri
beni e de mali.
LXVII. Sciolsero, ciò detto, radunania. Fecera nei
giorni appresso annunziare a tutti de’ villaggi e della
campagna che si presentassero, e similmente al Senato
che si riunisse nel di stabilito ; e qnaudo videro la città
riempita di popola, e gli animi de’ patrizj mossi dalle
preghiere fatte tra le lagrime , e tra’ lamenti de’ vecchi
genitori , e de’ teneri '6gli de’ profughi , recaronsi nel
tempo destinato sul finir della notte al Foro , angusto
a tutta ia moltitudine. Venuti al tempio di Vulcano
.1
Googk
LIBRO VI. 281
donde solcano aringar l' adunanza , lodarono primiera-
mente Il popolo dello zelo e della prontezza nell* accor-
rere in tanta frequenza: quindi lo esortarono che aspet-
tasse in calma la risoluzione del Senato; animando in-
tanto gli attenenti de' profughi a buone speranze, come
quelli che riarrebbero tra non molto i loro pegni dol-
cissimi. Dopo ciò passando in Senato vi tennero benigni
e modesti ragionamenti , ed invitarono ancor gli altri a
proporre consigli vantaggiosi , ed umani. Chiamarono
innanzi tutti Menenio , il quale alzatosi in piede rivenne
ai suggerimenti di prima stimolando il Senato alla pace :
e riproponendo che si deputassero ai segregati bentosto
de’ personaggi , arbitri di concordare.
LXVin. Invitati poi secondo 1’ età sorsero a mano a
mano gli uomini consolari: parve a tutti questi che fosse
da seguire il parer di Menenio ; finché toccò ad Appio
di favellare. Or questi sorgendo t'eggo , disse , o Padri
Coscritti che piace ai consoli e poco meno che a tutti
di rimpatriare- il popolo colle condizioni eh’ ei vuole:
che fra tutti i contrarj della pace or io rimangomi
solo , esposto aie odio di quello , e niente utile a voi.
Ala non per questo rimovomi dalle mie prime deli-
berazioni : nè ripudio da me stesso ciò che intendo
su la repubblica. Quanto piò. restomi derelitto da
quelli i quali come me ne sentivano ; tanto piò col
volger degli anni ne sarò pregiato tra voi , sarò in
vita coronato di gloria , e morto sarò benedetto dalla
ricordanza de posteri. Sia pure o Giove Capitolino ,
o Dei presidenti della nostra città , o eroi e genj , e
quanti in guardia avete il suolo Romano, sia pur
Diomcj, urna IT. i**
l
a8a . DKLLE antichità’ romane
hello ed utile a tutti il ritorno de fuorusciti , e de-
lusa resti la espettazione eh’ io ni' avea su 1’ avvenire.
Ma se pe’ consigli presenti dee venire (e fia ciò pa-
lese tra non molto ) alcun disastro su Roma , deh !
rettyicateli voi prestamente , e fate la nostra salvezza.
Deh ! siate benevoli e propizj a me che non avendo
mai voluto dir le piacevoli per le utili cose , non
tradirò nemmen’’ ora il comune per la mia sicurezza. Io
così volgomi a pregare gV Iddj ; perchè non abbiso-
gnano più, parole. Ripeto la sentenza di prima : as-
solvasi IL POPOLO RIMASTO IN CITTa’ DAI DEBITI ;
MA COMBATTANSI CON TUTTO L ARDORE I FUORUSCITI
TINCBÈ STARANNO SU LE ARMI.
LXIX. E ciò detto Gnl. Poiché le sentenze de’ seniori
concordaronsi con quella di Menenio , e poiché venne
il discorso ai giovani ; standosi tutti in espettazione ,
sorse Spurio Nauzio , un rampollo della prosapia nobi-
liasima originata da quel Mauzio compagno di Enea nel
guidar la colonia, e sacerdote di Minerva m'bana, il
quale nel trasmigrare aveane portato seco il divin simu-
lacro , dato poi successivamente in custodia a’ suoi di-
scendenti (i). Ora Nauzio che parea per le sue belle
doti più nobile ancora di tutti i giovani , nè lontano
mollo dall’ ottenere la dignità consolare , cominciò la
difesa comune di questi : diceva che quando nel Senato
(i) Anche Virginio fa meniioue di questo Nauxio , che egli chia-
ma Pfautt , nel libro 5.
Tum senior PfaMes , unum Triionia Paìlas ,
Quaeitt docuit , muUaqus insignem reddidit arte ,
Haec responsa datai.
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LIBRO VI. 283
precedente avetmo pronunziato in contrco'io de' padri
non fu già per amore di contendere o insuperbire
con essi, ma solo mancando , se aveano pur mancato,
per inesperienza di anni : e qui soggiunse che fareb-
bero fede di ciò col variar sentimento : che lascia-
vano a loro come più savj decidere co’ voti il ben
del comune : essi non contrarierebbono , ma secon'
darebbero i seniori. E dichiarando Io stesso ancor gli
alni giovani , toltine pochi , legati di parentado con
Appio ; i consoli ne lodarono la verecondia ; ed esorta»
tili ad essere sempre tali ne' maneggi ' pubblici , elessero
tra’ seniori piÀ cospicui dieci deputati , uomini consolari
tutti, fuori che uno. Furono gli eletti, Manio Valerio,
Tito Largio , Agrippa Menenio figlinolo di Gajo , Publio
Servilio figliq di Publio, Postutnio Tuberto figlio di
Quinto, Tito.Ebuzio Flavio figlio di Tito, Servio Sul»
picio Camerino figliuolo di Publio, Aulo Postumio Albo prima alle tose loro quei che le
aveano lasciate.
LXX. Presi tali ordini, partirono i deputati nel giorno
(1^ Nel testo si omeltoDO Maoio Valerio , Tito Largio , e si no-
lano altre maacaaxe in questo luogo. Noi alitiamo seguita la lesione
di Porlo .
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a 84 DELLE Antichità’ romane
medesimo. Precedè la fama il giunger loro, divulgando
nel campo tutte le cose fatte in città : dond’ è che la-
sciando tutti le fortificazioni uscirono immantinente in-
contro a’ deputati che erano in via. Aveaci nel campo
un uomo turbolento affatto \ e sedizioso, acuto a preve-
der da lontano ciocché avverrebbe, nè insufficiente ,
come parlator lusinghiero , a dirne quanto ne pensava.
Chiamavasi questi Lucio Giunio col nome appunto di
lui che tolse i tiranni : e voglioso di assumerne il nome
per intero , facessi intitolare Bruto ancora. Rideano i
più su la cura vana di esso^ e Bruto il chiamavano
quando pungere lo volevano. Or questi mise in cuore a
Sicinio , duce dell’ esercito , che il bene del popolo non
istava nel rendersi troppo facilmente , sicché men degno
ne fosse il ritorno per le umili condizioni ; ma nel re-
sistere lungamente , simulando come in tvia tragedia. E
profferendosi egli a Sicinio di parlare in favore del po-
polo , e suggerendogli altre cose che erano da fare o
dire , lo persuase. Dopo ciò Sicinio , convocato il po-
polo , impose a’ legati che dicessero le cagioni per le
quali venivano.
LXXL Recatosi in mezzo Manio Valerio come il più
provetto e popolare , e contestatagli dalla moltitudine la
sua benevolenza con grida e saluti amichevoli , alfine ,
fatto silenzio, disse: Niente, o popolo proibisce che
vi riconduciate alle vostre case , niente che vi paci-
fichiate co’ Patrizi . Il Settato ha per voi decretato' un
ritorno utile e decoroso j e di non pià ricordare o
vendicare il fatto finora. E noi che vedeva propen-
sissimi per voi , come da voi rispettati , ha qui de-
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LIBRO VI. 285
putato con poteri assoluti di concordare : affinchc noi
non opinando nè congetturando su vostri desiderj ,
ma udendo da voi stessi con quali condizioni chie-
dete riconciliarvici , ve le accordassimo se moderate ,
se non impossibili , nè impedite da indecenza insa-
nabile , sene’ aspettare il voto de’ Padri , e senza in-
tristire V affare colle dilazioni , e colla invidia dei
contrari (i). Avendo il complesso de’ Padri così per voi
decretato ; ricevetene il dono lieti , pronti , e benevoli s
pregiandone degnamente una sorte sì bella , e rin-
graziando vivamente gV Iddj che Roma , la domina-
trice di tanti popoli , che il Senato , regolatore di
tutto il bene che è in essa , mentre V usanza della
patria non permette che cedasi ad alcuno , cedano
alle istanze vostre solamente , nè pretendano come i
più. grandi su’ men grandi discutere minutamente
quanto conviene ad ambedue , ma primi essi vi spe-
discano per . la pace : che non piglìasser con ira le
risposte imperiose da voi fatte ai primi ambascia-
dori , ma pazientassero alt orgoglio e fierezza di una
ostinazione giovanile , come il buon padre sul figlio
non savio : che volessero indirizzarvi una seconda
ambasceria , diminuire i loro diritti', e rimettervisi
dove la moderazione il consente. Giunti a tanta
felicità non esitate a dime ciocché bisognavi, e non
esorbitate o cittadini : lasciate le sedizioni : tornatevi
giubilando alla terra che vi ha generati e nudriti :
(i) Allude ai scDatorì che arrebbono perorato in contrario nei
Senato.
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286 DELLE Antichità’ romane
Già non le deste voi li trofei e le ricompense pià
belle , riducendola quanto è da voi solitaria, o come
un campo da pascolarvi. Se trascurate questa oc-
casione , forse ne richiamerete pià volte la somi-
gliante.
LXXII. Taciotosi Valerio fècest innanzi Sicinio , e
I disse , che chi ben consulta non riguarda V utile da
una banda sola , ma lo contempla nel suo rovescio
ancora , principalmente in affare di tanta importanza.
Pertanto comandò che chi volea rispondesse a ciò ,
deponendo ogni verecondia e timore. Non permettere
la natura delle cose che essi benché ridotti a tante
angustie cedessero per paura o per vergogna : E qui,
fatto silenzio , e gli uni riguardando su gli altri , e cer-
cando chi perorasse pel comune; ninno si presentò. Ma
replicando Sia aio altre volte l’ istanza venne alfine in
mezzo secondo gii accordi quel Ludo Ginnio desideroso
di essere cognominato Bruto : ed avuto a far dò grandi
significazioni dalla moltitudine , tenne questo ragiona-
mento : Il timore che avevate de’ Patrizj o compagni
è scolpito ancora per quanto vedo , e triorfa negli
animi vostri. Abbattuti da questo timore esitate far
qui , udendovi tutti , i discorsi che usavate tra voi.
Forse ciascuno confida che il vicino suo aringherà
sul comune , e che piuttosto incorrerà tra’ perìcoli
ogni altro e non egli : ami che egli tenendosi in sal-
vo , goderà senza perìcoli parte del bene che possa
mai nascere dall ardire degli altri : ma stolto è que-
sto concetto. Imperocché se tutti aspettiamo la stessa
cosa , la codardia di ciascuno sarà nocevole a tutti;
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I.IBBO VI.
287
c dove ognuno figurasi la sua sicurezza; ivi insieme
con tutti rovinerà la comune. Ma se non avete ap-
preso finora che per le arme ci togliemmo la paura,
e per le arme avete consolidata la vostra libertà ;
conoscetelo ora almeno , ed i Patrizj , essi stessi ve
10 insegnino. Questi orgogliosi, questi durissimi uo~
mini , non vengono come prima comandando e mi-
nacciando , ma supplicandoci , ed esortandoci a tor-
nare alle nostre case : e già cominciano a trattarci
come liberi veramente. Che dunque or più vi anne-
ghittite e tacetq ? Che non la Jote da liberi uomini ?
c se avete già scosso il freno : che non dite qui ora
pubblicamente ciocchò avete sopportato da loro ? O
miseri ! e quali patimenti temete ? se io stesso v in-
vito a parlar francamente ? Io dunque , io stesso mi
rischierò di dire liberamente per voi ciocché è ffusto,
senza niente occultare. E poiché Valerio dice che niente
proibisce che vi rendiale alle case vostre conceden-
dovisi dal Senato il ritorno , ed essendosi decretato
di non perseguitarvi ; io risponderò a lui cose nem-
meno vere che necessarie a dire.
LXXIII. Oltre i motivi ben grandi e varj , tre ne
sono o Valerio fortissimi e chiarissimi che c impe-
discono di rimetterci a voi deponendo le armi. Il
primo è che venite a noi per esortarci come traviati;
e Radicate beneficenza vostra accordarci il ritorno :
11 secondo è che invitando noi a pacificarvici , niente
dichiarate le condizioni compiacevoli o giuste su le
quali possiamo ciò fare : è poi ! ultimo che niente
di quanto ci promettete sarà per essere stabile , giac-
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288 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
chè avete continuato a rigirarci e deluderci tante volte.
Discorrerò di ciascuna di queste cose , incominciando
dai diritti ; giacché sempre dai diritti si vuol comin-
ciare sia che trattinsi le cose private, sia che le pub-
bliche. Noi dunque se ve ne abbiamo mai fatte , noi
non chiediamo nè impunità nè dimenticanza delle in-
giurie. E non yorremo piò. rio starci a parte della
vostra città , ma dandoci in balia della sorte e dei
genj che ci guidino , ci fermeremo là dove .porta il
destino. Ma se per colpa vostra noi siamo ridotti alla
condizione in cui ci troviamo ; e percpè non confes-
sate che voi li quali foste gli oltraggiatori , voi abbi-
sognate anzi di perdono e di dimenticanza ? Come
dite di accordarci voi questa ; quando avreste a di-
mandarcela ? Come così vi magnificate quasi voi cal-
miate lo sdegno verso di noi , quando dovreste cer-
care che noi verso di voi lo placassimo ? Cosi con-
fondete la natura della verità , così la dignità dei
diritti pervertite ! Che poi non siate voi gli offesi ma
offensori; che voi beneficati tante volte e tanto dal
popolo per fondare la libertà e V impero, lo abbiate
non bene contraccambiato ; uditelo , e convincetevene.
Io non parlerò se non di cose che voi sapete , e se
alcuna mai sarà falsa ; reclamate per gli Dei ve ne
prego , non che stiate a bada pazientando.
LXXIV. Il nostro governo primitivo fu monarchico,
e lo abbiamo conservato per sette generazioni. In tutti
que’ principati il popolo non fu mai conculcato dai
re , specialmente dagli ultimi. Anzi lascio di dire che
derivò da quel dominio molti e segnalati vantaggi;
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■ LIBRO VI. a8g
impemcchè per obbligarlo a sestessi e console porgeva al popolo, noi non
più memori verso di voi dei mali antichi, noi pieni
di lusinghiere speranze per f avvenire , ci dedicammo
tutti a voi stessi; e dissipate in poco tempo tutte le
guerre , tornammo con seguito folto di schiavi e di
prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense
giuste , o degne de’ pericoli ? ma quando mai ? troppo
lungi ne siamo. Anzi ne avete tradito le promesse
che imponevate al console di farci a nome del co-
mune. E quest’ uomo bonissimo , del quale abusavate
per deluderci , lo avete . questo privato del trionfo ,
quando degnissimo ne era più che tutti i mortali. Nò
LIBRO VI. 293
già per altra cagione così ancor lo spregiaste , se \
non perchè vi dimandava che adempiste le pro-
messe , e perchè sdegnato mostravasi che ci bef-
faste.
LXXVII. Ultimamente ( vi aggiungo questo solo
intorno al diritto , e finisco ) quando gli Equi , i 5a-
bini , i Volsci insorsero di comun voto , e concitarono
ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e
gravi , a ricorrere a noi negletti e vili , colmandoci
di promesse per iscamparvela ? e non volendo parer
d’ ingannarci come altre volte , trovaste per coprir la
impostura questo Mania Falerio , uomo amantissimo
della plebe. E noi credendogli come a uomo dal
quale non saremnw traditi perchè dittatore , ed ami-
cissimo nostro f ci consociammo novamente a voi per
questa guerra , e vincemmo i nemici con ‘ battaglie
non poche , nè pieciole , nè ignobili Ridotta la guerra
a bellissimo fine prima ancora delle sperante comuni,
tanto foste alieni da renderne grazie , e ben copiose
al popolo , else cercavate ritenerlo anche senza voglia,
sotto le insegne e fra V armi , per trasandar le pro-
messe , come trasandarle destinavate fin dal princi-
pio. E non tollerando il valentuomo la beffa, nè la
infamia delV opera , e riportando in città le bandiere,
e rilasciando tistti per le proprie case ; voi , presone
motivo onde non far la giustizia , ingiuriaste lui , nè
serbaste a noi veruna delle convenzioni con tre abusi
gravissimi , perchè profanaste la maestà del Senato,
annientaste il credito di un tal uomo , e rendeste
inutile cC vostri benefattori il merito delle fatiche. Omj
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294 DELLE A.NTICHITA’ ROMANE
potendo noi dir queste e simili cose non poche , non
abbiamo o Patrizj voluto piegarci (die umiliazioni ed
alle preghiere, nè accettare come i rei di gravissime
colpe , il ritorno su la obblivion del passato. Seb-
bene , essendoci noi qui riuniti per concordare ; non
dobbiamo ora investigare pià sottilmente queste cose,
ma vociamo trascurarle e dimenticarle , • e tener-
cele.
LXXVIII. Che non dite voi dunque palesemente a
qual fine siete qui deputati, e qual cosa venite per
chiederne ? Su quali speranze volete in città ricon-
durci ? Qual sorte abbiamo a prendere per guida del
nostro ritorno ? Qual giubilo , quale benevolenza ci
aspetta ? Fin qui non abbiamo punto ascoltate esibi-
zioni umane e benefiche , non onori , non magistra-
ture , non sollevamento dalla indigenza, nè altre cose
qualunque , sebbcn tenuissime. Quantunque non dovea
già dùcisi ciocché siete per fare , ma ciò che fate ,
perchè sperimentandovi subito benevoli nelle opere
vostre , vi argomentiamo ancor tali per l’ avvenire.
Ma io penso che voi risponderete a ciò , che voi siete
qui plenipotenziari , e che qualunque^ cosa ci persua-
deremo a vicenda, sarà stabilita. Or_ sia ciò vero; e
ne sieguano conformi gli effetti ; niente vi contraddico.
Bramo però sapere le cose che da loro ci si faranno
dopo queste. Vale a dùe , quemdo avremo noi detto
su quali condizioni vogliamo il ritorno ; e quando ci
saran concedute ; chi ci sarà di esse - mallevadore ?
Su quale sicurezza deporremo le armi , e metteremo
le nostre persone di bel nuovo nelle lor mtmi ? Su
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LIBRO VI. 290
quella forse dei decreti che si faran dal Senato , non
essendovene ancora ? Ma qual cosa mai impedirà
che annullino questi con altri decreti , quando così
paja ad Appio e ad altri che pensan com’ egli ? Con^
teremo forse su la dignità dei deputati che ne por-
gono in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han
deluso colla interposizione di tali uomini. Riposeremo
forse ne trattati fatti innanzi agV Iddj , e confermati
da loro co' giuraménti? Ma io temo di ogni fede
umana consimile , vedendola da quei che comandano
vilipesa. E so , nè già ora per la prima volta , che
i trattati forzosi tra chi brama esser libero e chi vuol
dominare han vigore soltanto finché la necessità così
porta. Or quale è queir amicizia e quella fede nella
quale siamo costretti ad ossequiarci contro voglia ,
insidiando t uno il tempo dell' altro ? Allora inces-
santi i sospetti e le calunnie; allora le invidie e gli
od] ed ogni maniera di mali: allora la gara di preoc-
cuparsi a distruggere V emolo ; riuscendo ogn indugio
a mal termine.
LXXIX. Non vi è , come tutti sanno , guerra più.
trista della civile : questa i vinti fa miseri, ed in-
giusti li vincitori : e li 'vinti han dagli amici i lor
mali, i vincitori agli amici li causano. Or voi dun-
que o Patrizi vogliate chiamar noi a pari cir-
costanze , a pari bisogno non desiderabile ; e noi o
plebei non ci rendiamo loro mai più: ma come la
sorte ci ha divisi , così teniamoci in calma. Abbian
pur essi tutta Roma , senza noi se la godano , e ne
raccolgano soli ogni bene , essi che han ridotto fuor
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agO DELLE a?«ticihta’ romane
della patria noi miseri, noi disonorati plebei. E noi
andiamocene pure dove gt Iddj ei guidano , conside-
rando che non la nostra ma t altrui città lasciamo.
Niuno di noi qui lascia non campagne proprie , non
abitazioni paterne , non sacerdozi , non ‘ magistrature
comuni come in sua patria per t esercizio delle quali
siavi ritenuto pur contro voglia ; anzi nemmeno la-
sciammo qui per noi la libertà, quella che ci ave-
vamo colle arme e con tanti travagli acquistata. Im-
perocché parte i nemici , parte la miseria quotidiana,
parte V alterigia degli usurieri ci han guasto e con-
sunto e tolto ogni cosa : tanto che noi- miseri eravamo
ridotti a coltivare le terre di questi zappando , pian-
tando , arando , pasturando , divenuti conservi degli
schiavi loro da noi presi colle arme; e chi di noi
portavamo catene alle mani , chi ne piedi , chi nella
cervice finalmente , come fere intrattabili. E qui non
ricordo le ferite , gli avvilimenti , le battiture , le fa-
tiche da notte a notte (i) , ed ogni altra sevizia , e
non le ingiurie , e non C orgoglio che ne abbiam so-
stenuto. Liberati , la Dio mercè , da tanti e sì gran
nudi , fuggiamo ben contenti quanto possiamo e sap-
piamo , e prendiamo per. duci della fuga la sorte e
gl’ Jddj li quali veglian per noi, considerando come
patria nostra la libertà , e la virtù còme nostrà ric-
chezza. Ogni popolo nè, ammetterà, sì perchè non
molesti, come perchè utili a chi ne riceve.
LXXX. E ci siano in ciò' di esenqtio molti Greci,
(i) Dal tempo prima dell’alba fiuo a aera.
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;
LIBKO VI. 297
e molti barbari , e principalmente gli antenati tii
quelli e di noi. Gli antenati nostri passando con
Enea dal£ Asia nelC Europa fondaronsi nel Lazio
una patria : e poi spiccandosi da Alba sotto gli au»
spicj di Romolo che guidava la colonia , pigliarono
sede ne' luoghi appunto abbandonati da noi. Abbiamo
noi forze non già poco maggiori che essi, ma tripli-
cate, e celione molto più giusta di trasmigrare. Quelli
partivan da Ilio perseguitati da nemici, e noi di quà
dagli amici : e ben è più misera cosa essere espulsi
dai domestici , che dagli estranei. Quei che a Romolo
si ligaroho per compagni trascurarono la patria per
cercare terre migliori : ma noi lasciamo un vivere
senza città , un vivere senza case paterne quando re-
chiamo la colonia : e certo la rechiamo non odiosa
agl Idàj , non molesta agli uomini , nè gravosa a
terra niuna ; non rei' del sangue e della strage de’ cit-
tadini che ci han discacciati , non rei del ferro o del
fuoco messo ai campi che abbandoniamo, nè di altro
monumento qualunque fondatovi di eterna inimicizia;
come spinti da necessità sconsigliata rei se ne fanno
i popoli traditi nett aUeanza. Noi chiamati in testi-
monio i genj e gl' Iddj che guidano con giustizia le
cose mortali, e lasciandQ'che essi prendano per noi
la vendetta , abbiamo chiesto unicamente di riavere i
nostri teneri figli, i (secchi Padri, che in città si ri-
masero , e le mogli in fine , se alcune pur vogliono
dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere
questo, non altro dimandiamo da Roma, E voi tanto
■ DIOKICI , tomo ZI. , ' kj *
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298 DELLE antichità’ ROMANE
impolitici f tanto insocievoli verso de' miseri , vivete
felici, e come più desiderate.
LXXXI. Appeaa Bruto ebbe ciò '' detto si tacque.
Parve agli astanti tutto vero quanto disse intorno ai
diritti , e quanto per accusare la superbia de’ senatori ,
principalmente quando dichiarò che la semplicità dei
patti era tutta piena d’ intrico e d’inganni: ma quando
infine delineò gli alTronti che aveaoo patito dagli usucierì,
e ciascuno ricordò li suoi mali ; niup v* ebbe sì fermo di
animo , che non si desse a piangere , e lamentare i
danni comuni. Nè impietosirono già sol essi, ma fino
gl’ inviati dal Senato. Non poteano que’ seniori conte-
nere le lagrime , pensando la calamità per la separazione
de' citudini : e rimasero gran tempo tra 1’ afflizione , e
tra ’l pianto senza sapere ornai che più dire. Cessali gli
alti gemiti , e tornato il silenzio nell’ adunanza , proce-
cedelte per farvi le difese Tito Largio autorevole sopra
tutti i citudini per anni , e per dignità , come lui che
due volte console , e già rivestito della ditutura , avea
con esercitarla bene più che gli altri , renduu venera-
bile, e sanu una carica altronde odiata. £ datgsi a par-
lare sopra i diritti , e ulvolta incolpando gli usuraj per-
chè aveano operate cose durg , e disumàne ; talalira
rimproverando i poveri come non giusti nel' chiedere
che si rimettessero ad essi i debiti per forza anzi che per
grazia, e nell’ esacerbarsi col Senato piuttosto che con
quelli che impedivano che si'ccmcedesse loro alcuna cosa
anche moderaU; e dippiù tentando mostrare cl^e pic-
ciola era la parte del . popolo, .ingiuriosa suo mal grado,
e necessiuta a dimandate per la igopia gravissima la
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LIBRO VI. 299
condonaeione dei debiti , ma più grande assai la parte
la quale esigeva ciò perche viveasi scorretta , insolente ,
voluttuosa , e preparata a supplire co’ furti alle sue pas-
sioni , talché ' doveansi ben distinguere i poveri dai ri-
baldi, quelli che erano da compatire da quelli che erano
da odiare ; ed aggiungendo in (ine discorsi consimili ,
veri si ma non grati generalmente; non soddisfece tutta
la udienza. Dond’ è che sorsene strepito grande di voce,
altri sdegnandosi . quasi rincrudisse loro gli affanni , ed
altri confessando che dicea pur troppo il vero. Ma per-
ciocché gli ultimi erano assai minori di numero , scom-
parivano tra la moltitudine degli altri , e prevaleano
soprattutto i clamori degli adirati.
LXXXII. À queste cose ne aggiugnea Largio poche
altre su la partenza e precipitanza loro , quando ripi-
gliando la parola Sicinio il capo del popolo ne riaccese
assai più lo sdegno con dire : che ben poleano da un
tal parlare, comprendere quali onori e quali ringra-
ziamenti ne avrebbero , se tornassero nella patria. Se
quelli che slansi nel colmo de’ pericoli , ed abbiso-
gnano del braccio del popolo , e per questo a lui
vengono , non san trovare nemmen ora discorsi mo-
derati ed umani; qual animo dee credersi che avranno
quando siano .le cose riuscite loro secondo il disegno,
e quando chi offendono ora colle parole , sia sotto-
messo loto ancora nelle opere ? Da quali insolenze
mai si conterranno ? da qual; flagelli , o da quali
tiranniche sevizie ? Se a voi dà il cuore , ei dicea , di
servire tutta la vita incatenati , battuti , straziati col
ferro , col fuoco , colla fame , con ogni guisa di maU;
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3oo delle antichità’ romane
su , non perdete tempo , gettate le armi , seguitateli.
Ma se V è pure in voi desiderio di libertà ; non pa-
zientate ornai più. Ambasciadori ! o dite su quali corti-
dizioni ci richiamate ; o partite daW adunanza ; per-
chè non lasceremo più che vi parliate.
LXXXIII. E qui tacendosi lui , tutti gli astanti ne
strepitarono , acclamandolo , perchè area detto a propo-
sito. Restituitasi quindi la calma Menenio 'Agrippa il
quale areva interloquito in Senato sul popolo , e pro-
posto e fatto principalmente che gli s’ inviasse un’ am-
basceria plenipotenziaria , fe’ cenno di volere aneli’ egli
discorrere. Riuscì la richiesta gratissima ; e parea come
r augurio che udirebbe nsi allora Analmente condizioni
giuste , e salutevoli ad ambe le parti. E subito escla-
marono tutti a gran voce , che parlasse. Poi si chetaro-
no , e si profondamente , quasi fessevi solitudine. Parve
uu tal uomo , com’ era verisimile , assai persuasivo nei
suoi discorsi, e tutto confacevole ai voleri della udienza:
è' fama però che in ultimo proponesse una tal favola sul
gusto delle Esopiane espressivissima delle circostanze, e
che con questa principalmente li guadagnasse. Dond’ è
che la favola fu creduta degna di ricordanza , e rap-
portasi io tutte le storie antiche. L’, aringa di lui fu
questa : Popolo , noi veniamo dal Senato a voi , non
per difendere lui , nè per accusarne voi: nè già pormi
che il tempo ciò chieda , nè che ciò sia prosperevole
per la sorte della .repubbUca. Ma noi veniamo con
tutto f ardore e V efficacia per 'levar le discordie , e
rimettere la > repubblica nel 'buon ordine primitivo^
rivestiti per ciò fare di^ un potere assoluto. Pertanto^
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LIBRO VI. 3oi
non pensiamo che ,sian ora da esaminare i diritti >
come fece con orazione lunghissima questo Giunio ;
pensiamo piuttosto che debbansi con gli amorevoli
modi ricongiunger gli spiriti. Qual fede sia poi per
garantire le nostre convenzioni , ve lo esporremo ,
appunto come ne cibiamo deliberato. Considerando
noi else le sedizioni si curario in ogni città col to«
gliere i semi delle discordie , abbiamo giudicato ne»
cessarlo di conoscere e spegnere le cause produttrici
della divisione. Or trovando noi che le esazioni dure
de’ presuli sono la origine de’ mali presenti ; così le
correggiamo. Decretiamo che quanti soggiacciono a
debiti , nè possono estinguerli , ne siano del tutto as-
soluti. Decretiamo Uberi tutti , quanti son detenuti per
aver differite le paghe oltre i tempi legittimi , e de-
cretiamo liberi infine quanti furono in mano conse-
gnati dei creditori per sentenze speciali di giudici^
annullando noi queste totalmente. Cosi ripariamo ai
contralti precedenti tenuti come causa della sedizione:
ma quanto a centratti avvenire facciasi come ne or-
dinerà la legge che sarà costituita da voi, da tutto il
popolo , dal Senato. Dite , non erano queste le cose
che vi alienas>ano da’ Patrizf ? Non giudicavate voi
che sareste conienti , e che altro di più non brame-
reste , se le impetravate Oggi vi si concedono ; an-
date , tornatevi' gittiilando alla patria.
LXXXIV. I riti poi- che convalideranno ed assicu-
reranno questi trattati saran quelli appunto delle leggi,
usati nel depórsi delle inimicizie. Il Senato appro-
verà pur egli questi trattati ^ e darà loro forza di
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3o2 delle Antichità’ romane
leggi quando scritti gli avremo. Anzi schiviamoli qui
noi come ne piace ; ed il Senato vi sarà sottomesso.
E che questi si rimarranno indelebili ; che il Senato
non potrà mai sopraggiungervi nulla in contrario , noi
qui deputati , noi li primi ne facciam garanzia sul
corpo , e vita , e stirpe nostra , e con noi pure ve ne
fan garanzìa li senatori che firmeranno il decreto.
Imperocché mai , ripugnandovi noi si decreterà cosa
niuna contro del popolo ; giacché noi -siamo li primi
del Senato , e noi li primi a dichiarare i nostri pa-
reri’. ven farà da ultimo garanzia la fede comune a
tutti i Greci, e a tutti i Barbari, quella che niun
tempo mai potrà cancellare , quella che con giura-
menti , e libagióni rende i Numi vindici degli accordi,
e su la quale chetaronsi tante, e non picciole nimi-
cizie de’ privati , e tante guerre di repubblica con re-
pubblica. Or questa fede ricevetela ancora voi ; sia
che vogliate permettere a noi, pochi si , ma capi del
Senato , di giurarvi a nome di questo ,^sia che vo-
gliate che tutti i Padri sottoscrivano *e giurino con
rito santo di serbarvene i patti inviolati. E tu, o
Bruto , non incolpare il pegno delle destre , non le
libagioni, non la fede data invocandone i Numi, né
togliere tali espedienti bellissinii degli uomini: e voi
non vogliate tollerare che costui ricordi le promesse
tradite dai scellerati e dai tiranni , da quali tanto è
lontana la virtà de’ Romani.
LXXXV. Or lasciate, che io soggiunga (e terminò)
una cosa non ignorata i fiè controversa da rtiun dei/
mortali. Ma quale è mai questa? Essa importa >'t utit
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LIBRO VI. 3o3
colmine , . e saU/a le parti f una colt altra : essa è
r unica e sola che ci raccolse già tutti in un corpo ,
e che mai farà separarci. Abbisogna , nè mai cesserà
di abbisognare la moltitudine imperita di sas>j che la
dirigano ; come un complesso di savj idonei a dirigere
abbisogna di chi lascisi governare. Nè ciò per imma-
ginazioni sappiamo , ma per esperienza. Che dunque
ci riduciàmo a tremare brigandoci gli uni con gli al-
tri ; o che ci logoriamo in triste ^parole ; essendoci
facilissimo tornare alt utile nostro ? Che dunque non
ci espandiamo , ed abbracciamo , e voliamo (dia pa-
tria , aUe antiche delizie , agli oggetti di tanti dolcis-
simi e soavissimi nostri desiderj ? A che cercare im-
possibili assicw'ozioni? A che fidanze malfide^ come
in guerra nemici fierissimi che in tutto sospettano il
peggio ? A noi, o plebei , a noi membri del Senato,
basta la sola vostra parola , clte non sarete se tornate
iniqui con noi: e perchè ? perchè sappiamo il vostro
buon allevamento , la istituzione legittima , e le altre
virtù che avete in guerra ed in pace dimostrate. E se
i contratti oggi ottengono a nome del comune una
riforma , così dimandando la fedeltà , così la speranza ,
degli uni verso degli altri ; teniam certo ancora che
siano per corrispondere in voi le altre buone doti : e
niente da voi cerchi (uno ^i giuramenti, niente gli ostag-
gi , nè altro pegno qualunque di sicurezza ; nè però
mai contrarieremo le vostre dimande. Ma ciò basti su
la fedeltà intorno • la quale Bruto c incolpava. Che se
in voi resta aricora alcuna, invidia non degna , che vi
àccita a pensar' pravanten^s del Senato •, io dùò pur.
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3o4 DELLE AHTICHITA.’ ROMANE
di questa : e voi attenti , in calma , ascoltatemi o
plebei. 1 '
LXXXVI* Somiglia ad un corpo umano una repub-
blica : perciocché l uno e t cdtra risultano da più par-
ti ; nè ciascuna delle parti in essi ha forze eguali ,
né porge un uso medesimo. Adunque se le membra
del corpo umano ricevessero tutte , come il senso , la
voce , e poi nascesse discordia fra loro congiurandosi
tutte le altre ad una ad una contro del ventre, e, li
\
piè si dolessero che il corpo intero poggia- su loro , le
mani che solo esse traltan le arti , procacciano il ne-
cessario , combattono co’ nemici, e pongono molti t^ri
beni in comune-, gli omeri perchè p'orVan essi ogni
peso , la bocca perchè parla , la testa percitè vede ,
perchè ode, e perchè comprende tutti i sensi onde il
complesso vive del corpo ; e se quindi dicessero , or
tu buon ventre fai tu niuna di queste cose ? quale
riconoscenza, qual utile tu ci rendi? Anzi tanto sei lon-
tano dal cooperare e dal compiere con nei alcun utile
comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel che è
più intollerabile , ci necessiti a servirti , e portarti di
ogn intorno quanto ti sazj negli appetiti tuoi. Orsù;
chè non ci rendiamo noi liberi, nè cessiamo dalle
cure che .in grazia di lui sosteniamo ? Se così piacesse
loro , se nhtna parte più fornisse le proprie funzioni-,
or potrebbe il corpo a lungo 'sussisterne ? Anzi in
pochi dì consumerebbesi dsdla fame , pessimo fra tutti
i mali ; e niuno può dirne il contrario. Or concepite
pure altrettanto di una repubblica. Compiono questa
molti generi di persone niente, infra li>r ,sornigUanti';
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LIBRO VI. 3o5
e ciaicùno le porge un uso proprio di lui t come le
nsembra lo porgono al corpo. Chi coltiva i campi f
chi pe' campi combatte co' nemici : chi ne reca assai
beni tr^Jicando pe' mari ; e chi travaglia in su le
arti necessarie. Se ciascun genere di queste persone-
insorga contro il Senato , che è l’ ordine degli otti-
mali , e dica ; qual cosa , o Senato , tu ci fai di be-
ne ? e per qual causa, non avendone tu alcuna; vuoi,
comandare su- gii altri? Non ci terremo una volta
da questa tirànnide tua ? nè vivremo indipendenti ?
Se con tali pensieri si levasse ognuno dalle usate
incombente ; cosa impedirà che una tale sconcia re-
pubblica miseramente- perisca per la fame, per la
guerra , per ogni male ? Istruiti dunque , o voi del
popolo , che come ne' corpi nosU'i il ventre accusata
a torto da molti, nudrito nudrisce, conservato con-
serva ; e quasi uim dispensa universale , porge ad
ogmino il' suo bene , e la sussistenza in un tutto ;
così nelle repubbliche il Senato che matteria il co-
mune e provvede a ciascuno V utile suo , tutto salva
e custodisce e dUrige ; cessate di lanciar contro lui
voci ccUunniose , quasi per lui siate fuori della pa-
tria , e ne andiate raminghi e mendici. Il Senato non
volle mai questo, nè farawelo : anzi vi chiama, evi
supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le porte,
e raccoglievi. '
■ . LXXXVII. Intanto che Menpnìo concionava, sorgeano
ad ora ad ora voci varie e molte da^i astanti. Ma pai>
chè sul fine del suo ragionatiteoto si diede a comma»
veri! , e 'deplorare le disgrazie e la sorte immiucnle su
DlOUtai, lomo II. a*
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3o6 DELLE Antichità’ romane
di ambedue , su quelli rimasi in città e su gli altri che
ne erano usciti ; si misero tutti a piangere , ed unanimi
ad una voce gridarono che li riconducesse alla patria ,
né più s’ indugiasse. E poco mancò che partissero tutti
a furia dall’ adunanza ; rimettendo ogni cosa ai deputati
senea brigarsi più oltre della sicurezza. Se non che Bruto
facendosi innanzi ritardò l’ impeto loro , dicendo : che
erano pur buone per quei del popolo le promesse del
Senato , e chiedendo che grazie appieno gli si ren-
dessero per le cose a loro concedute. Aggiungeva an-
cora di temere per l’ avvenire che uomini una volta
oppressivi, si dessero, venutone il tempo, a ricor-
dare , e punire le cose operate dal popolo. Jtimanervi
una sicurezza sola per quelli che temono questo dagli
Ottimati , cioè quella di rendere indubitato che , se
vogliono , non posson piii offenderli. Finché sta in
essi il poter danneggiare , non mancheran de mal-
vagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga
tal sicurezza ^ -non altro resteragli da chiedere. Ripi-
gliando Menenio , ed invitandolo a dire qual sicurezza
pensava che al popolo bisognasse , concedeteci , disse ,
che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro
alcuni magistrati i quali non siano ad altro autoriz-
zati che a proteggere gli oltraggiati , e gli oppressi
nel popolo , nè lascino che alcimo sia defraudato
de' suoi diritti. Alle^ cose accordateci aggiungete in
grazia ancor questa , ve ne preghiamo , ve ne suppli-
chiamo , se la pace esser dee non in parole , ma in
fatti.
• LXXXYllI. 11 popolo udendo un tal dire lo accom-
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LIBRO VI.
807
pagnò con grandi e lunghe acclamazioni , raccomaiidau*
dosi ai deputati che gli concedessero anche questo. I
deputati ritirandosi daU’adunanza, e conferendo alquanto
in fra loro , vi ritornarono dopo jion molto. Taciutisi
tutti , Menenio fattosi iunanzi disse : La dimanda è
grande e piena o plebei di enormi sospetti. A noi
viene timore ed ansietà che non abbinasi a fare due
città di una sola. Quanto è da noi , nemmeno in ciò
vi ci opporremo , or voi compiaceteci (tende anche (Que-
sto al ben vostro ) date a tre deputati che tornino in
Aonuif e narrino al . Senato la richiesta. Non ci arr
roghiamo noi di risolverne > quantunque abbiamo da
esso U potere di concordare come ne piace , arbitri
in tutto di prafnettere.. Siccome il caso che ci occorre
è inaspettato e nuovo ; così ce ne riportiamo ai Pa-
dri , quasi in esso V autorità ci si limiti. Ci persua-
diamo, pelò ‘ che essi ne sentiran come noi. Frattanto
io qui resto >, e con me parte dei deputati. Valerio e
gli altri onderanno. Stabilito ciò gl’ incaricati d’ infor-
mare il - Senato spronarono i cavalli alia volta di Roma.
Proponendo i consoli in Senato la richiesta; Valerio
opinò che si concedesse. Appio , nimico Gn da princi-
pio di ogni, accordo , contraddisse anche allora chiaris-
simameute , esclamando e rilevando , chiamatine in te-
stimonio i Numi , i germi dei mali che impiantavano
alla repubblica. Non però convinse la pluralità , desi-
derosa, come ho detto, di .spegnere la discordia. Adun-
que il Senato autorizzò con suo decreto lè promesse
dei deputati ai popolo , come pure che gii accordas-
sero la sicurezza che dimandava. Fatto ciò tornando il
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3o8 , OEtLE antichità’ ROMANE
giorno ap|>resso i deputati nei vi eapoM0a4.";^HH
Ieri del Senato. Quindi esortando ' Menenio- U'^poii^lD
d’inviare alquanti a’ quali il Senato desse la Sull' ftdé ;
fu spedito Lucio Giuùo Bruto, del qnale abbiÀtt'i^no
di sopra , e Marco Decio , e Spurio Icilio con esso.
Andò metà dei deputati compagna di Bruto in Roma.
Agrippa , pregatone , si rimase nel campo , per istender
la legge a norma delia quale il popolo creerebbe i suoi
magistrati. ' ' ' , '
LXXXIX. Nel di seguente Bruto rìlortiò già fatti
i patti col Senato per mezzo de’ Feciali , che cfaia>
mano. Divisosi allora il popolo in Fratrie , * come ah
tri qui nominerebbe quelle che essi dipono Curie ,
dichiarò suoi, magistrati dell’ anno Lucùr Gìnnio Bruto,
« Cajo Sicinio Belluto, 6 no a > quel di loro capi, e con
essi ancora Ca}o e Publio Licinio ì e Cap Icilio Ru-
ga (i). Assunsero questi cinque- i primi' la^ potestà tribu-
nizia , quattro giorni avanti le idi di ’decembre {%) , CO 7
me pur nel mio tempo si pratica. Firttterle ’eiéEÌoni'parve
a’ deputati del Senato, adempito l’ intento della loro mis-
sione. Ma Bruto , convocata l’ adunanza ' del popolò, con-
sigliò che dichiarassero i suoi magistrati Santi ed: invìo-
.
(1) Lìtio, Dionigi, ed altri storirn antichi non ben si accordano
sn la nomina di questi magistrati. Livio dice che i due i primi no-
minati furono Cajo Licinio, e L. Alhiud . e che questi poi si scef-
aero tre colleglli tra quali fiv Sicinio V autore delia seditìone. -Ma^
Dionigi pone per primi Lucio. _Giunio Bru^o , e C. Sicinio Bellirto :
a quindi C. e Fuhiio Liciuro , e C. Icilio Ruga.
(3) Anni di Roma 361 secondo Catene , s63 aeeondo Varrona ,
a 491 avanti Cristo. \ -
Diiiilizc:. GcOglf
LIBRO V|. 3o9
labili slabilenilone la sicurezza colle leggi e co’giiiramenti.
Piacque ciò a tutti , e si fece su lui e su collcghi la
legge : che niuno forzaste un tribuno ) come un altro
qualunque a far mai cantra sua voglia ; ni lo bat-
tette , ni lo uccidesse , né ordinasse ad altri di bal-
te rio , o di ucciderlo. Che te alcuno a dà contravvenga
anche in parte ; itane reo capitale ; se ne diano a
Cerere -i beni : e chiunque lo uccide , abbiasi coma
puro dalla strage. E perchè non si potesse mai più far
cessare questa legge , ma restasse immobile iu ogni ar«
venire ^ si stabili che ì Romani giurassero tutti co’ riti
santi dì osservarla ' essi , ed i posteri loro perpetuamente.
E si aggiunse ai giuramenti la preghiera , che gli Dei
superni , ed inferni fossero propizj a' chiunque favoriva
la legge , ma contrarj a quanti la violavano, come coo-
taminati di delitto gravissimo. Da indi sorse ne’ Romani
il-cosWme che persevera pur ne’ miei giorni, di riguai^
dare le persone de’ tribuni come sacrosante.
XC. Concordato dò, fecero un aitare su le dme
della montagna ovo s’^erano accampati, e lo denomina»
rono nell’ idioma, loro , l’altare di Giove la
cito su la fiducia di respingere i nemici che si avan*
zavano ; ma costretti bruttamente a fuggire^ prima di
dare alcuna nobile prova , nemmen fecero punto di ger
nevoso combattendo poi su le mura. Adunque i Ro>
mani in un sol gioruo s’ impadronirono sehzà
tere dei lor territorio , e , ne presero a forza la citti ,
nè con molto travaglio. Il comandante Romano concedè
' . .. 'V
(t) Vuoi' (lire Edile. Era qacsto vócaboìo proprio d«’ RoroasK'
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LIBRO VI. 3 I I
che le miline si approp lasserò le robe invase; e presi»
diala la città , ne andò col resto deli’ esercito contro
l'altra città de’ Volsci , chiamata Polusca, non molto
lontana da Longola. Nè osando alcuno di uscirgli in-
contro , percorse facilissimamente U campagna , e ne
investi le maia. E datisi i soldati , chi a spezzare le
porte, chi a scalare le mura ed ascenderle; Polusca
anch’essa fu presa nel giorno medesimo. Il console scel- ,
tivi alcuni pochi, autori della ribellione, li fe’ morire :
e multati gli, altri in danari, e spogliatili delle arme;
gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani.
XCII. Lasciato anche in guardia di
I
I
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3aa Delle antichità’ romane
ni. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta , in-'
tanto che Milziade 'era arconte di Atene, i Tirreni dei
contorni del golfo Jonio , cacciati poscia di là dai Galli,
e gli Umbri con essi , e li Dauuj , ed altri barbari in
copia tentarono distruggere Cuma , Greca città tra gli
Opici fondata dagli Eretrj e da’ Calcidesi (i) , senz’ al-
tra vera cagione, se non che ne odiavano la prosperità.
Imperocché Cuma famosissima di quei tempi in tutta
r Italia per la ricchezza , per la potenza , e per molti
altri beni , avea le terre le più fruttuose della Campa-
nia , con porti utilissimi presso al Miseno. Invidiandone
i barbari il si gran bene, le mossero incontro con di-
ciotto mila cavalli e con cinquecento mila fanti (a), e
non meno. Accampatisi questi non lungi dalla città surse
un portento meraviglioso, quale non ricordasi accaduto
mai nè tra’ Greci dovunque, nè tra’ barbari. I fiumi
che scorreano presso gli alloggiamenti ( Volturno no-
minavasi 1’ uno , e l' altro il Ciani (3) ) lasciando lo
(i) Gli Eretrj ed i Calcidesi erano popoli dell’ Eukea o Ne^o*
ponte. Elrelrìa era distante venti miglia da Calcide. Vi erano dus
altre Eretrie. Vedi tom. i , la not. al S 4^» parla della
prima.
(a) Par troppo torrente contro di una città : forse vi à d>aglio nei
numeri .
(3) Vi sono altri lìami di pari nome. Questo à quello additato
da Virgilio 1. a, Georg. ,
Vicina Veitvo
Ora jugo ,el vaeutt Ctanius non aeqmt acervis.
Antonio Boudrand: (vedi novum Lexicon Geographic.) chiama que-
sto fiume Agno ; e dice che passa presso di Acerra , di Aversa e
Mintomo. Forse il Ciani h quello stesso fiume che ora chiamasi
JPatria nelle catte geografiche.
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MBKO VII. 32.3
scendere lor natarale » si ripiegarono , rifluendo gran
tempo dall’ imboccatura alle fonti. Vista la meraviglia ,
fecero core i Cnmani di piombare su’ barbari , come se
i Numi fossero per deprimere l’altezza di quelli , e per
sublimare loro che depressi ornai ne pareano. Pertanto
dividendo in tre corpi la gente militare , con uno guaiw
darono la città , con altro le navi , e coi terzo , «:hie-
ratoio avanti le mura , aspettarono l’ inimico che inoU
travasi. Seicento erano i cavalli Cumani, e quattro mila
cinquecento i fanti : pure si pochi di numero tennero
fronte a tante migliaja I
IV. Ck>me i barbari seppero che eransi appareo:hiati
per combattere , dato un grido , coi*sero in barbara for>
ma , disordinati e misti , cavalli e fanfl , appunto per
annientarli tutti in un colpo. Il luogo, dove innanzi la
città si affrontarono, era una valle angusta , rinchiusa da
lagune , e da’ monti , propizia al valor de’ Cumani , ma
nemica alla fdUa de’ barbari. Dond’ è che, travolgendosi
e calcandosi questi , gli uni gli altri in più luoghi , e
principalmente su pel fango intorno la palude , si di-
strussero in gran parte fra loro , senza pur venire aUe
mani colia Greca milizia di Cuma : e quell’ esercito ap-
piedi si numeroso , e disfatto , e sbaragliato da sestesso,
fini qua e là fuggitivo , senz’ avere operato nulla di
generoso. Li cavalieri però si avventarono , e molto tra-
vagliarono i Greci : ma non potendo circondar l’ inimico
per r angustia del loco , e temendo i destini che com-
batteano per Cuma colle piogge, co’ tuoni, co’ fulmini ,
si diedero anch’ essi alla fuga. In questa battaglia i ca-
valieri Cumani militarono tutti luminosamente, ricono-
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3a4 delle Antichità’ bomane
sciutine quindi come autori della vittoria. Si distinse so»'
pra tutti Aristodemo cTiiamato Màlaco ; imperocché solo
opponendosi , uccise il capitano nemico , e molti valo-
rosi. Finita la guerra porgeansi sagriGzj di ringrazia-
mento ai numi , e davasi magnifica sepoltura agli estinti
in battaglia : ma quando si ebbe a decidere a chi si
dovesse la corona , come al più forte ; assai se ne di-
sputò. Li giudici più ingenui , e con essi anche il po-
polo , voleano che ad Aristodemo si concedesse ; ma i
più potenti , e con loro tutto il Senato , ad Ippo'me-
donte , duce de’ cavalieri. Di que’ tempi era in Guma
il governo degli ottimati , nè molto il popolo vi potea :
ma natavi sedizione appunto per tal controversia , i se-
niori temendo che tanta ambizione finisse colle armi e
colle stragi , persuasero ambedue li partiti di dar "pari
onore all' uno e all’ altro di que’ valorosi. Da quell’ ora
divenne Aristodemo Malaco il protettore del popolo : e
poiché ‘si avea procacciato una persuasiva nei discorsi
di Stato , commovea con questa la moltitudine , allet-
tando lei con stabilimenti gradevoli , beneficando coll’aver
suo molti ' de' poveri , e rimproverando i potenti che si
appropiavano ciocché era del comune. Dond’ é che ne
divenne ai primi degli ottimati molesto e terribile.
, V. Venti anni dopo la battaglia co’ barbari vennero
ambasciadori dalla Riccia co’ simboli di pace al Cumani
per supplicare che li soccorressero nella guerra contro
i Tirreni. Imperocché Porsena re di questi dopo la pace
con Roma dando metà dell’ esercito , come esposi ne’li-
bri antecedenti, ad Arunte suo figlio, lo aveva inviato,
voglioso che n’era, ad acquistarsi un dominio : e costui
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LIBRO VII. 3a5
di quel tempo appunto assediava gli Arieini rifugiatisi
tra le ;nura , sulla idea di prenderne tra non molto la
città colla fame. A tale ambasceria li primi degli otti-
mati odiando Aristodemo e temendo che non causasse
alcun male al governo ; concepirono di avere il buon
punto di levarsel d’ intorno con delicate maniere.v Per-
suadendo il popolo a spedire due mila per soccorso de-
gli Aricini , e nominandone capitano Aristodemo come
il più insigne nelle armi, fecero poi tal maneggio , nde
iusingarsi che colui perirebbe o per le battaglie co’ ne-
mici , o per le fortune di mare. Imperocché resi dal
Senato arbitri di scegliere quei che dovrebbero andare
di rinforzo , non v’ inchiusero alcuno de’ più famosi e
più riguardevoli ; ma reclutando i più poveri e più scel-
lerati .da’ quali aveano sospettato sempre delle sommosse,
ordinarono con questi l’ armata , e riducendo in mare
dieci navi antiche , pessime a correr le acque , e dan-
done il comando a Cumani poverissimi , ve la soprap-
posero , con minacciare di morte chiunque ne disertasse.
VI. Aristodemo , dicendo unicamente che non igno-
rava le mire degli avversar) che in apparenza Io man-
davano per soccorrere , ma in realtà per farlo soccom-
bere ; assunse il comando dell’ esercito. E facendo ben
tosto vela co’ deputati Aricini , e superando a stento
e con pericolo il tratto interposte, di mare , approdò sui
lidi più prossimi dell’ Aricia. E lasciata guarnigione
sufBciente alle navi , e fatto nella prima notte il cam-
mino il quale vi restava , che certo non era lungo , si
presentò su 1’ alba inaspettato agli Aricini. Accampatosi
presso di loro , e persuasi gli assediati di uscire all’ a-
\
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3a6 DELLE Antichità’ romane
perto sfidò ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi
ed attaccatisi , gli Aricini resisterono piòciolo' teinpo , e
piegarono e rifuggironsi in folla tra le mura. Aristodemo
però coi pochi scelti Gumani che avea d’ intorno , so~
Bienne tutto il forte della battaglia , ed uccisone di sua
Diano il duce , mise in fuga i Tirreni , riportandone una
vittoria nobilissima. Ciò fatto , e magnificato dagli Aricini
con doni copiosi rinavigò speditamente verso Cuma per
essere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a
lui molte barche Aricine colle spoglie e coi schiavi presi
ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e messe a proda le
navi , concionò tra 1’ armata. E molto accusando i capi
della città , e molto encomiando quelli che si erano se-
gnalati nella battaglia, e dispensando argento e parteci»
pando a ciascuno i doni degli Aricini; pregò che di
tali beneficenze si ricordassero , quando sbarcherebbero
nella patria , e lo fiancheggiassero se mai gli ottimati
gli creavan pericolo. Confessandosi tutti obbligatissimi
per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta ,
come perchè tornavano colle mani non vuote in fami-
glia ; e protestando che darebbero a' nemici anzi sestessi
che lui ; Aristodemo , rirtgrazionneli , e sciolse 1’ adu-
nanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i più ma*
liziosi e prodi , e guadagnandoli tutti co' doni , co' bei
discorsi, e colle spc>anze lusinghiere, li fé* pronti a
mutare il governo che vi era.
VII. Presi questi per ministri e per combattitori ,
istruitili parte a parte su ciò che avessero a fare , e
messi in libertà gli schiavi che conduceva per obbligarsi
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LIBRO VII.
327
ancor essi, viaggiò piò oltre colle navi coronate (i) 6no
ai porti di Cuma. I padri e le madri de’militari , tutto
il parentado, i Ogli insieme e le mogli, venutili ad in-
contrare mentre scendevano a terra , lagrimavano , gli
abbracciavano ,. li baciavano , li chiamavano con teneris-
simi nomi. Tutto il resto della moltitudine urbana rice-
vette fra tripudj ed acclamazioni il capitano , accompa-
gnandolo fino alla casa. Di che dolenti i capi della cittò,
quelli principalmente che gli aveano affidato 1’ armata e
ne aveano con altri modi tramato la rovina, facean
tristi colloqui su T avvenire. Aristodemo lasciati decor-
rere alquanti giorni onde rendere agi’ Iddj li suoi voti ^
e ricevute intanto le sue navi da carico rimaste indietro,
alfine venutone il tempo , disse voler esporre in Senato
le cose operate nella guerra e mostrargli le prede ripor-
tatene. Riunitisi in numero i primarj , ed i magistrati
nel Senato, egli fattosi innanzi prese a dire e narrare
tutte le cose operate nella battaglia : quando gli uomini
apparecchiati da lui per 1* impresa , accorsi in folla nel
Senato co' pugnali sotto gli ‘ abiti , vi uccisero tutti gli
ottimati. Si diedero allora a fuggire e correre , chi alle
proprie case, chi fuori delia città, quanti erano al Foro,
eccetto i complici del disegno , i qnali avevano occupato
la fortezza , il porto , ed ogni luogo monito delia città.
Nella notte seguente sprigionando quanti vi erano ( e
molti ve ne erano ) dalle pubbliche carceri , destinati
alla morte, ed armandoli con altri suoi amici, tra* quali
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(t) In segno della -riltoria riportala. G>si ae’trionfì ai coronavano
ancora li fasci.
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3a8 DELLE antichità’ romane
erano gli Schiavi Tirreni , ne fece un corpo di guardia
per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo
a parlamento , ed accusativi a lungo gli uccisi , disse
che erano stati meritamente % puniti ; avendo per tante
volte insidiata a lui la vita : ma che , quanto agli altri
.cittadini , egli darebbe loro la libertà , la eguaglianza
.dei diritti , ed altri beni copiosi
Vili. Ciò dicendo , ed elevando tutto il popolo a
speranze meravigliose , stabili due regolamenti , pessimi
tra tutti i regolamenti ^ ed iniziativi di ogni tirannide , io
dico la nuova division delle terre e la remissione dei debiti.
Figli promettea provvedere su l’una e l’altra cosa, purché
fosse eletto comandante assoluto , finché il comune fosse
in salvo, e v’ordinassero uno stato popolare. Con piacere
ud) la plebe e tutti i peggiori che avrebbonsi a ghermire
i beni degli altri: ed egli, avutone un potere indipen-
dente , aggiunse un nuovo decreto col quale deludendo
ancor essi , alfine tolse a tutti la libertà. Imperocché
fingendo temere torbidi e sedizioni de’ nobili contro dei
.plebei per le assoluzioni dai debiti e per le divisioni
nuove de’ terreni , disse che a precludere una guerra
ed un eccidio civile , trovava un solo rimedio, cioè che
, tutti prima di ridursi a tal male , recassero dalle loro
case le arme , e le consacrassero agl’ Iddj per averle nel
bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano ,
e non contro sestessi: pertanto esser bonissima cosa che
stessero quelle presso de' Numi. Persuasi di tanto i Cu>
mani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti , e
negli altri appresso fe’ cercare le case di • ognuno , \ic-
cldendovi molti buoni , sul pretesto che non avessero
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LIBRO VII.
3‘29
portate ai Numi tutte le armi. Dopo ciò fortificò la ti-
rannide sua con tre generi di guardie : il primo fu di
que’ vilissimi e reissimi cittadini co’ quali tolse 1’ auto-
rità degli ottimati : il secondo fu de’ servi indegnissimi
renduti liberi da esso perchè aveano trucidati i loro pa>
droni : ed il terzo furono i militari assoldati da’ barbari
più inumani. Erano questi nommen di due mila , e va-
lidissimi più che gli altri nelle arme. Tolse le immagini
degli uccisi da ogni luogo sacro e profano supplendovi
in vece loro le sue. Le case , i campi , ogni avere di
questi lo donò tutto ai complici suoi nel preparargli la
corona , riservando per sè l’ oro e 1’ argento , e quanto
altro è base della tirannide. Ma li doni più numerosi e
più grandi li profuse tra gli assassini dei loro padroni ;
i quali chiesero perfino in moglie le donne e le figlie
de’ padroni medesimi.
IX. Quantunque però niente avesse in principio cu-
rata la stirpe virile degli uccisi , alfine si accinse a ster-
minarla tutta in un giorno , sia che per un qualche
oracolo , sia che per computi verisimili concludesse che
perpetuava con questa a sestesso uno spavento non pic-
colo. Ma perciocché vivamente nel distoglievano quelli (i)
presso a’, quali dimoravano i figli e le madri , egli vo-
lando concedere loro* un tal dono, gli assolvè, sebbene
contro sua voglia , dalla morte. Per cautelarsi però da
loro sicché congiurandosi non .insorgessero contro il suo
regno ; comandò che uscissero tutti dalla città chi verso
r uno e chi verso l’ altro luogo : e vivessero per le
(i) I Saidliti del tiraoDu alli quali egli stesso le area mariiate.
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33o DELLE Antichità’ romane
campagne senza istruzione e coltura , propria di liberi
giovinetti , con pascer le greggi o con altri campestri
esercizi , minacciando di morte chiunque di loro in città
fosse preso. Cosi quelli , abbandonati I patri > so-
steneansi come schiavi per le campagne, servendo agli
uccisori medesimi de’ padri loro. E perchè niente) pi&
ci avesse di virile o di generoso prese ad effeminare
colle Istituzioni sue tutta la gioventù Cumana , toglien-
dole I ginnasi e gli esercizi militai , e variandone le
maniere già consuete del vivere. Volle che I giovani
come le donzelle nudrisser la chioma , e bionda la ri-
ducessero e ricciasserla , e ricciata di reti lievi la cii^
condassero ; e portassero toghe talari e ricamate , e
clamidi sottili e molli , vivendosi all’ ombra. Donne ,
educatrici loro , li accompagnavano, recando parasoli e
ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti
musiche dissolutezze: ed esse li lavavano , esse porta-
vano ai bagni i pettini , e gli alabastri con gli unguenti,
e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani fino
ai venti anni, concedendo allora che passasser tra gli
uomini. Ma egli che avea cosi vituperato e danneggiato
i Cumani , egli che non avea risparmiato loro nè im-
pudenze , nè sevizie , egli alfine già vecchio , quando
si credea sicuro nella tirannide , Sterminato con tutti, i
suoi , ne pagò le giustissime pene ai Numi ed agli uo-
mini.
X. I prodi che insorgendo liberarono la patria dalla
tirannia di lui furono i figli de’ cittadini uccisi : quelli
che egli avea risoluto in principio di trucidare tutti in
nn giorno, ma che poi risparmiò, come ho detto, vinto
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LIBRO VII. 33 1
dalle istanze de’ satelliti suoi , maritati da lui colle ma-
dri loro, comandando che abitassero per le campagne.
Pochi anni appresso viaggiando egli pel contado e ve-
dendoli già adulti e molti e floridi ; temè che non n
congiurassero ed assalisserlo : e macchinò di prevenirli
ed ucciderli tutti prima che niuno se ne avvedesse.
Adunque consultandosene • cogli amici , deliberava con
essi le maniere sollecite e piane ma occultamente, onde
spegnerli. Sepperlo que’ giovinetti per indizio forse di
alcuno che ne era consapevole, e, forse mossi da con»
getture probabili , fuggironsi ai monti , dando di piglio
ai fèrri degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto
loro i fuorusciti Cumani rifugiati in Capua , tra’ quali
erano i più cospicui , e seguiti in gran parte dagli ospiti
loro Campani , i figli d’ Ippomedonte , di quello che
nella guerra Tirrena avea comandato la cavalleria. Essi
armati recavano a’ compagni le armi con una truppa
non picciola di amici e di mercenarj della Campania.
Alfine riunitisi scorrevano e turbavano predando i campi
nemici , ritoglievano gli schiavi dai padroni , ed ogni
altro qualunque dalle carceri , e gli armavano , e quanto
, non poteano trasportare o menar seco lo davano alle
fiamme , o alla mòrte. Ansio dubitava il tiranno come
avesse a combatterli , perchè nè sapeasi quando impren»
derebbero , nè teneansi fermi sempre in luoghi mede-
simi , ma regolavano le loro incursioni o colla notte fino
all’ aurora , o col giorno fino alla notte. Avendo più
volte spedito milizie ma' indarno a guardia delle cani»
pagne , a lui ne venne un tale degli esuli malconcio di
battiture , spedito ad arte da essi quasi un disertore.
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33a DELLE antichità’ romane
Costui chiedendo la impunità promise al tiranno di
guidare 1’ armata che manderebbe con lui , nel luogo
appunto ove quelli sarebbero nella notte imminente. In-
dotto il tiranno a credergli perchè non chiedea verun
premio , e porgea sestesso in ostaggio , spedi li suoi
duci più fidi , seguiti da molli cavalieri e da’ mercenari ,
con ordine di conduire a lui , legati almeno , i più ,
se non tutti quegli esuli. Il disertore eh’ erasi a ciò
posto menò tutta la notte 1’ armata a disagi gravissimi
per vie non trite e per boschi , in parti le più lontane
dalla città.
XL Come i ribelli e l profughi posti per le insidie
intorno all’ Averno , monte vicino alla città , conobbero
pe’segnali dati dagli esploratori che l’armata del tiranno
era uscita, mandarono circa sessanta i più arditi di loro che
cinti da irte pelli portavano fi)sci di sarmehti. Or que-
sti nell’ ora , quando accendonsi i lumi , chi per l’ una
e chi per 1’ altra parte entrarono, quasi opera) , la città
senza essere conosciuti; ed entrali cavarono da’ sarmenti
le spade che vi occultavano , e si raccolsero tulli ad un
luogo. Donde marciando in schiera alle porte che me-
nano all’Averuo, ne uccisero i custodi che dormivano,
e spalancatele , v’ introdussero tutti i loro che v’ eran
già prossimi, nè per tanto il fatto ^ ravvisa vasi ancora.
Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa,
ond’ è che tutti oziavano per tutto in città tra le be-
vande ed altri diletti. Or ciò diè loro gran sicurezza di
trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del ti-
ranno : e nemineu qui trovando nelle entrate molti , nè
.vigilanti , ve gli uccisero senza stento , oppressi dal sonno
I
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LIBRO VII. 333
o dai vino : ed internatisi in folla trucidarono nell’ abi-
tazione , quasi una greggia, tutti gli altri, ornai pei vino
non più arbitri de’ corpi nè degli animi loro. Or qni
preso Aristodemo , i figli , e tutti i parenti , e battutili
gran parte della notte , e torturatili , e devastatili con
ogni male , gli uccisero finalmente. Cosi sterminando
dalle radici quella stirpe di tiranni fino a non lasciarvi
non fanciulli , non donne , non consanguineo ninno ; e
rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a fondar la
tirannide ; andarono , nato il giorno , nel F oro , e con*
Tocatovi il popolo , e depostevi le arme , renderono la
patria a scstessa.
XII. Or questo Aristodemo nel quartodecimo anno
della sua tirannide in Cuma , questo vulcano gii esuli
compagni di Tarquinio cbe giudicasse tra loro e la pa-
tria. Ripugnarono alcun tempo i deputati de’ Romani ,
come quelli cbe nè erano a tal fine venuti, nè avevano
dal Senato i poteri per difendere ivi Roma. Non pro-
fittando però niente , anzi vedendo quel despota pro-
pendere in contrario per le brighe , e per le istanze
degli esuli ; chiesero un tempo per le difese , e deposi-
tarono una somma per garanzia di eseguirle essi stessi.
Ma poi nel correre di questo tempo, quando niuno più
vegliava su loro , fuggirono , ritenendosi il tiranno gli
schiavi , li giumenti , e li danari che aveano portalo per
comperare de’ viveri. Tali furono gl’ incontri di queste
legazioni , e così riuscì loro di tornarsene in patria seb-
bene senza l’ intento. Ma la legazione spedita neU’Etru-
ria comperatovi miglio e farro lo trasportò su barche
fluviali a Roma , e Roma ne fu nudrita sebbene per
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t'
334 bELLE Antichità’ romane
poco ; fiocbè consumatili , ricadde ne’ disagi medesimi.
Non erari genere di alimenti a cui non si rivolgesse.
Dond’è che non pochi tra la scarsezza, e la inconve- '
nienza de’ cibi non soliti , s’ avean male nella persona ,
o diventavano a tutto impotenti , non soccorsi nella pcv-
vertà. Come ciò seppero i Yolsci domati di fresco, s’ isti-
garono con vicendevoli occulti messaggi a riprender le
armi , quasi fosse impossibile che i Eomaui resistessero
bersagliali dalla guerra e dalla fame. Ma i numi propiz)
che vegliavano perchè non rimanessero in preda a’ ne-
mici , ne dimostrarono allora più chiaramente la prote-
zione. Di repente si mise tra^Volsci una tal pestilenza,
quanta non leggesi mai stata in Greche o barbare terre,
disfacendoli promiscuamente di ogni età, di ogni fortu-
na , di ogni temperamento , validi o invalidi. Mostrò
soprattutto gli eccessi del, male Yelletri, città insigne,
de’ Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste appena
ne rispailniò la decima parte , investendovi e consu-
mandovene le altre. Ond’ è che i superstiti a tanto in-
fortunio , mandati ambasciadori , e dichiarata a' Romani
la loro solitudine , sottomisero fa città. E siccome aveano
prima ricevuto de’ coloni da essi ; ne chiedeano di pre-
sente ancor altri.
XIII. Impietoùrono, sapendoli , ai loro mali i Ro-
mani ; nè pensarono che si avessero a premere come
nemici fra tanta sciagura , dacché pagavano agl’ Iddj le
pene per ciò che voleano fare su Roma. Piacque loro
, di riammetter Yelletri, e spedirvi numero non picciolo
di coloni presagendone sommi vantaggi. Parea che il
posto , se presidiavasi acconciamente , sarebbe ostacolo
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LIBRO VII. 335
grande e ritardo a chiunqae si voleva rimescolare e
sommoversi. E concepivasi che la penuria di Roma non
poco si scemerebbe se una parte notabile di popolo al-
trove si trasferisse. Inducevali soprattutto a spedire una
colonia la sedizione che vi si riproduceva , non essen-
dovi ancora sopita in tutto la prima. Imperocché il po-
polo discordava un altra volta come per addietro , e ne
odiava i Patrizj : e molta era 1’ amarezza dei discorsi
co' quali accusavano la poca cura, e la scioperatezza di
essi perchè non aveano a tempo preveduta nè riparata
la penuria futura , dicendo alcuni perfino che ad arte
aveano procurato la caresua per astio e desiderio di af-
fliggerne il popolo in memoria della ribellione. Per tali
riguardi sollecitissima fu la spedizione della colonia , de*
slinativi dal Senato tre condottieri. Da principio udiva
il popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni,
perchè sarebbe cosi levato dalla fame , e perchè vive-
rebbe in terra felice : ma poiché rifletté che la peste ge*
aeratasi nella città che gli avrebbe a ricevere aveva di-
strutto i suoi cittadini , e temè che in tal modo ancora
maltratterebbe i coloni, variò poco a poco di sentimento.
Tantoché non molò , anzi meno assai che il Senato ne
permetteva , esibironsi per la colonia : e questi bentosto
ne furon pentiti come sconsigliati, e scansavano di usci-
re. Da tale vincolo erano trattenuti questi e quanti al-
tri non più si acconciavano ad andare. Ma dertretato
avendo il Senato che la colonia si ricavasse dal com-
plesso di tutti i Romani secondo le sorti , e stabilendo
dure ed irreparabili pene per chi ricusava ; alfine fu per
tale necessità condotto il numero conveniente in iVelle-
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336 DELLE antichità’ ROMANE
tri. Noo raoUi giorni appresso un’ altra colonia fu tra>
sferita in Norba, città non ignobile dei Latini -(i).
XrV. Non però segui da ciò ninna delle cose con~
gbietturate da’ patrizj secondo la speranza di spegnere-
le discordie. Imperocché la plebe rimasta intrisi più an-
cora, vociferando con assai clamore contro de’ padri
nelle adunanze prima di pochi , indi di molti , per la
fame divenuta gravissima; e concorrendo al Foro vol-
geasi lamentosa ai tribuni suoi perchè 1’ aiutassero. Or
tenendo questi adunanza , fattosi innanzi Spurio Icilio
allora capo di essi perorò lungamente contro de’ padri
aumentandone quanto potè la malvolenza. Egli istigò
pur altri a dire pubblicamente ciocché sentivano , e prin-
cipalmente Siccinio e Bruto allora edili , invitandoveli a
nome, appunto come capi già del popolo nella prima
sedizione , ed inventori , anzi magistrati la prima volta
della podestà tribunizia. Presentatisi dissero anch’essi,
udendoli il popolo vogliosissimamente , malignissime cose
già da molto tempo premeditate , come se la carestia
fosse procurata per malizia de’ ricchi , perchè il popolo-
avea loro malgrado , ricuperata colla sedizione la libertà.
Dissero che i ricchi non aveano pur la miaima parte
del disagio dei poveri : molta essere la loro non curanza
de’ mali , perchè aveano cibi occulti e danari onde com-
perarli se introducevansi , laddove i plebei mancavano di
ognuna di queste due cose: protestarono che mandare
i coloni a’ luoghi contagiosi , era un avviarli a rovina
visibile e funestissima, aggravando quanto più poteana
(i) A tempo di Plinio era nn ammasso di rovine. Restava circa
sei miglia lontana da Segni a- measogiomo.
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LIBRO VII.
337
con parole il male. Chiedeano qual sarebbe il fine a
tante sciagure , e richiamavano loro in memoria gli an>
tichi Hagelli , ond’ erano stati malmenati da’ ricchi ; ag>
giungendo ancora iinpuuissimamenie cose consimili. Da
ultimo Bruto la Gni minacciando , dicendo cioè , che se
secondavano , egli necessiterebbe quanto prima a spe-
gner r incendio quelli stessi che eccitato Taveano. E così
r adunanza fu sciolta.
XV. Intimoriti i consoli su tali innovazioni , e solle-
citi che le adulazioni di Bruto verso del popolo iiou
terminassero in grandi sciagure , intimarono nel prossi-
mo giorno il Senato. Ivi si fecero discorsi molti e varj
da essi , come dagli altri seniori. Pensavano alcuni che
si dovesse blaudire i plebei con ogni dolcezza di parole
e promessa di opere , e renderne i capi più moderali
con esporre lo stato delle cose , e convocarli e consul-
tare insieme il bene comune : io opposito altri consiglia-
vano che non cedessero , uè si abbassassero verso del
popolo : essere la moltitudine, imperita , e caparbia : in-
solente , incredibile 1’ ardore dei capi che 1’ adulano :
facessero piuttosto costare che non ci avea ne’ patrizj
colpa ninna , c promettessero ovviare , quanto potè vasi ,
al male. Redarguissero e miuacciassero di pene conde-
gne i sommovitori dei [K>polo , se nou si chetavano. .\p-
pio era il primo in tal sentimento , e prevalse in mezzo
alle grandi opposizioni de’ padri. Tanto che il popolo
turbalo all’ udirne tanto da lungi i clamori accorse alla
curia , e tutta la città fu sospesa nella espeltazione. Dopo
ciò li consoli usciti adunarono il popolo , restandovi breve
DlOXlGi t Zumo 21.
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338 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
parte del giorno , e tentarono di esporgli i voleri del
Senato. Contraddissero i tribuni , nè già fu vicendevole
nè ordinato il colloquio. Gridavano, interrompevansi ;
tanto che non era facile agli astanti distinguere i loro
pensieri , e ciò che volessero.
XVI. Diceano i consoli cb’essi come di autorità pre-
mineute doveano comandare in tutto alla città ; laddove
i tribuni replicavano che i consoli avean dritto in Se-
nato , ma su le adunanze del popolo i tribuni : questi
aver tutto il potere su quanto si dee discutere e sen-
tenziare da’ voti del popolo. Prendea parte , vociferava
per essi la moltitudine , pronta ad assalire se bisognava,
chiunque ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano , e
davan animo ai consoli , circondandoli. Vivissima era la
contesa per non cedere gli uni agli altri ; quasi allora
appunto si cedessero i diritti una volta per sempre. Già
il sole era per tramontare , e tuttavia concorrea dalle
case nuovo popolo al Foro: e se la notte non li tron-
cava, forse i dissidj* finivano a colpi , ancora di pietre.
Bruto perchè ciò non seguisse , fecesi innanzi , e chiese
ai consoli di parlare ; promettendo di sedare il tumulto.
Concederono questi che parlasse , parendo loro che si
deferisse ai consoli mentre quel capipopolo ciò chiedeva
da essi , presenti i trihuui. Fatto silenzio , Bruto senza
dir altro interrogò li consoli di tal modo: Ki ricordale
voi che lasciando noi le divisioni, ci accordavate per^
diritto che quando i tribuni adunassero sotto qualun-
que fine il popolo , i patrizj nè intervenissero all’ a-
dunanza , nè la turbassero ? Ce ne ricordiamo , disse
Geganio. E Bruto ripigliò : qual male aveste voi dun-
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LIBRO VII.
'qué da noi che c impedite , nè permettete che i tri-
buni dicano ciocché vogliono? E Geganio rispose: per-
chè non voi , ma noi consoli avevamo chiamato il
popolo a parlamento. Se fosse stalo invitalo da voi,
non V impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brighe-
remmo in ciò che si tratta : ora essendo da noi con-
vocalo , non v' impediamo che Jdvelliale ; ma che noi
ne siamo impediti , ciò non è giusto. Allora Bruto ,
abbiamo vinto , disse, o popolo: concedesi a noi dagli
awersarj q> anlo chiedes’amo : ora desistete , chetatevi,
ritiratevi : domani promettevi dichiarare quanta forza
V abbiale. E voi tribuni cedete ad essi di presente
nel Foro : non sempre già qui cederete qiumdo ab-
biate compreso ( e presto lo comprenderete , io pro-
metto chiarirvene ) il potere del vostro magislialo.
Abbasserete cotanta loro preminenza : e se troverete
che io V abbia deluso , fate ciocché vi piace di me.
XVII. E uiuno più contraddicendo, ritiravausi tutti
dall’ adunanza : non però gli uni e gli altri con pari
divisaniento. Credeano i poveri che avesse Bruto ideato
qualche nobile impresa , e che non indarno la promet'
lesse : ma i patrizj trascuravano la leggerezza di lui ,
pensando che T audacia delle promesse non andasse più
in lò delle parole; non essendo conceduta dal Senato
ai tribuni altra autorità che di proteggere il popolo , se
non facevasi ad esso ragione. Non però la cosa parca
spregevole a tutti , specialmente ai seniori , ma che do-
vesse attendersi che la manìa di un tal uomo non ge-
nerasse mali insanabili. Bruto la notte appresso svelato il
parer suo fra i tribuni , e raccolta una massa non tenue
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34 o DELLE Antichità’ romane
di popolo , ne andò di conserva nel Foro : e prima clie
si facesse di chiaro, occupato il tempio di Vulcano
donde eglino soleano concionare , invitarono il popolo
a parlamento. Empiutosi il Foro di un concorso, quale
mai più V* era stato , presentasi Icilio il tribuno, e par-
lavi luughissimamente contro de’padri. Egli commemora
quanto han latto in danno del popolo , e come nel
giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare con-
tro i poteri ancora della sua dignità. E qui disse : e di
che altro tarem più padroni se noi siam di parlare ?
Come potremo soccorrere voi se ojffesi , quando ci si
toglie la libertà di adunarvi ? Son le parole i preludj
delle operazioni : nè ignorasi che quelli che non pos-
sono dir ciocché pensano , nemmen possono far cioc-
ché vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la potestà
che ci deste , se non volete mantenercela inviolabile;
o proibite con legge che alcuno più ci si opponga. A
tal dire provocavalo il popolo che egli stendesse la leg-
ge : e siccome teneala già scritta , la lesse. £ , dispen-
sati i voti , fe’ che il popolo immantinente ne decidesse ;
parendogli non esser questo un affare da esitarne , o
differirlo , perchè non avesse altri inciampi dai consoli.
La legge era questa : Concionando un tribuno al po-
polo , niuno aringhi in contrario , nè interrompalo : e
se alcwio contravvenga , dia mallevadori ai tribuni di
pagare , chiamatone in giudizio , la multa che gl im-
porranno : e non dandoli, egli sia punito di morte,
li beni di lui sien sacri , e tutte le controversie su
tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata coi
voli la legge dimisero 1’ adunanza : ed il popolo si ri-
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LIBRO VII, 341
tì rò , tatto di bu on anirno , e pieno di riconoscenza per
Bruto , come per 1’ autore della legge.
XVIII. Dopo ciò li tribuni ripugnavano ai consoli
molto , e su molte cose : nè il popolo ratificava i de-
creti del Senato , nè il Senato approvava decisione niuna
della plebe. Cosi teneansi contrapposti e sospetti. Non
però r odio loro , come avviene in simili turbolenze ,
procedette a danni irreparabili. Imperoccbè nè i poveri
investirono mai le case de’ ricchi ove concepivano che
troverebhon de’ cibi riservali ; nè mai si lanciarono su pa-
lesi merci per involarle : ma pazienti comperavano a gran
costo il poco , e sostcneansi di radici e di erbe se pe-
nuriavan di argento. Nè mai li ricchi per dominare soli
nella città violentarono colla forza propria, o de’ clienti,
(eh’ era pur molta) la classe indigente, esiliandone o
trucidandone ; ma conduceansi come padri savissimi in-
verso de’ figli , con cuore sempre benevolo e premuroso
tra le lor delinquenze. Or tale essendo lo stato di Roma,
le città vicine invitavano qual più volealo de’ Romani tt
traslatarsi nel seno di esse , allettandoli con dar loro la
cittadinanza , ed altre propizie speranze : ma le une in-
vitavano mosse dai bei genj per benevolenza e pietà nei
mali altrui , le altre (ed eran le più !) per invidia della
prosperità passata della repubblica. E furono ben molli
quei che partirono con tutte le famiglie, e posero al-
trove il soggiorno : ma taluni di questi , riordinato lo
stato , ripatrìarono , e tal’ altri mai più.
XIX. Or ciò vedendo i consoli parve loro , per voler
del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati,
e porre in campo un esercito. Prendeano occasione spe-
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342 DELLE antichità’ ROMANE
ciosa a tanto dall’ essere la campagna tante volte dan-
neggiata dalle scorrerie , e saccheggi de’ nemici ; calco-
lando ancora i beni che nascerebbero dall’ inviare un
esercito di là da’ confìni : mentre quei che restavano
avrebbero , come diminuiti , le vettovaglie in più copia:
e gli altri colle arme vivrebbero io siti più abbondanti
a spese dell’ inimico , e la sedizion tacerebbe , almen
quanto si tenesse in piedi l’armata. Tanto più poi sem-
brava che resùiuirebbcsi la calma tra patrizj e plebei ,
quanto che dovrebbei'o militare insieme , e partecipare
i beni e i mali a fronte de’ pericoli. Non però la mol-
titudine ubbidiva , nè si presentava spontanea , come al-
tre volte , per essere iscritta. Non vollero i consoli foi^
zare secondo le leggi i renitenti : ma alcuni patrizj s’iscris-
sero volontarj co' loro clienti , congiungendosi ad essi
che uscivano , anche picciola parte di popolo per mili-
tare. Era duce di quest’ esercito quel Caio Marcio , il
quale espugnò la città de’ Coriolani , e riportò la co-
rona dei forti nella pugna cogli Anziati. Or vedendo
lui per capitano , i più de’ plebei che aveano piglialo
le anni vi si confermarono , altri per benevolenza ,
altri per la speranza di esserne diretti a buon fine.
Imperocché famosissimo egli era quest’ uomo , e gran-
de il terrore sparso di lui fra nemici. Si avvanzò
tal esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi ^
e di bestiami in copia , senza dirne il mollo grano che
era ne’ campi ; tornandone indi a non molto ricchissimo
fatto di viveri : tanto che quei che s’ eran rimasti, eran
mesti e dolenti verso de’ tribuni, pe’ quali sembravano
privi di un tanto bene : cosi Geganio e Miuucio consoli
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LIBRO VII. 343
di queir anno trovatisi in tempeste varie e grandi , e
più volte in pericolo di rovinar la cilli, non operarono
nulla con troppa efficacia : pur salvarono la repubblica
più savj che prosperi nell* uso delle circostanze.
XX. Marco Minucio Augurino, ed Aulo Sempronio
Atraiino eletti consoli dopo loro , presero per la se-
conda volta quel grado (i). Non imperiti nell’arme, e
nel dire , empierono con assai provvidenza la città di
grano e di ogni maniera di viveri , come si ristringesse
all’ abbondanza la concordia del popolo. Non però po-
terono ottenere 1' uno e 1’ altro bene ; ma venne colla
sazietà pur l’orgoglio in quelli eh’ eran saziati. E quando
meno pareva , allora fu su Roma il pericolo maggiore
che mai per addietro. I commìssarj spediti pe’ grani ,
comperatone negli emporj entro terra o sul mare , lo
aveano già trasportato a' pubblici serbato)'. Quand’ ecco
i negozianti pure di viveri ne condussero d’ ogn’ intorno
in Roma : e Roma comperando a pubbliche spese i lor
carichi , li custodiva. Vennero i primi i commissarj spe-
diti in Sicilia , Geganio e Valerio con piene assai bar-
che ; portavano in esse cinquanta mila moggia siciliane
di grano , metà procacciato a lievissimo costo , e metà
regalato e mandato a spese sue dal tiranno. Nunziatosi
in città 1’ arrivo delle navi portatrici de’ grani siciliani ;
discussero i patrizj longamente come avesse a dispor-
sene. I più moderati e popolari fra loro , considerata la
pubblica calamità , consigliavano che il grano donato dal
re si donasse ancora a tutti del popolo , e che 1’ altro
(i) Anni iti Roma 263 seconda Catone , 265 secondo Varone , e
469 avanti Cristo.
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344 tìet.le Antichità’ hotmane
comperato coll’ erario , si vendesse loro a picciol mer-
cato , ricordando clie per tali beneficenze principalmente
si ammansano gli onimi de’ poveri verso de’ ricchi. Per
r opposito i più arroganti fra loro , ed amici del co-
mando dei pochi , sentenziavano che aveasi con tutto
r ardore e l’ ingegno a deprimere il popolo, ed eccita-
vano a non fargliene se non carissima la vendita , per-
chè la necessità li rendesse per innanzi più savj e più
conformi alle leggi.
XXL Fra questi amici del comando de’ pochi era pur
quel Marcio , chiamato Coriolano , uè già dicea come
gli altri in occulto e con riguardo i proprj sentimenti ,
ma di proposito , e con ardore , sicché molti del popolo
lo udirono. Avea costui non che le cause comuni con-
tro del popolo, motivi privati e recenti onde parer di
odiarlo meritamente. Cercando esso ne’ comizj ultimi il
consolato , il popolo se. gli oppose, ad onta de’ padri
che lo sostenevano , nè permise che lo conseguisse ; per-
chè sospettava che un tal uomo colla chiarezza ed ar-
dire suo prendesse ad abbattere il tribunato ; e tanto più
ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a lui ,
come a niun altro mai per addietro. Inbammato costui
dalla ingiuria , e macchinando riordinar la repubblica su
le antiche maniere , adoperavasi , come ho detto , pale-
semente , incitandovi pur gli altri, aU’annientamento del
popolo. Lui cingeva un seguito di molti nobili e ric-
chissimi giovani , e per lui stavano molti clienti , pro-
speratine già nella guerra. Esaltato da questi , andavano
fastoso, e minaccievole , e fra tutti chiarissimo; non
però ne ebbe termine fortunato. Adunatosi pe’ casi pre-;
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LIBT \0 VII. 345
senti il Senato e proponendo , com’ è costume , il pro-
prio parere prima li seniori , tra quali non molti con*
trariarono manifestamente la plebe ; alfine ridottasi la
disputa ai giovani , egli chiese da’ consoli il poter dire
ciocché voleva : e tra ’l favor grande , e la grande atten-
zione di tutti cosi contro del popolo ragionò.
XXII. Che U popolo non siasi ribellato per neces-
sitA e per disagi , ma sollevalo dalla rea speranza di
abbattere il comando de' pochi , e farsi egli stesso
l’ arbitro del comune ; credo ornai che lo abbiate o
padri compreso voi tutti , considerando la inconten-
tabilità sua nel pacificarcisi. Non era il solo disegno
suo di violare la fede de' contratti, e di abolire le leggi
che la garantivano , senza passare più oltre. Esso per
levare il magistrato de' consoli , ne fondava un altro
nuovo , c lo rendeva sacrosanto ed immune per legge,
ed ora, e voi non vel conoscete, lo ha con un ple-
biscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E
per certo , quando gC incaricati di un tal magistrato
col pretestare i bei titoli di proteggci'e i plebei mal-
menati opereranno con esso e disporranno come a lor
piace , quando niuno , non uomo privato , non pub-
blico , potrà impedirne gli abusi per timor della legge
la qual toglie anche il dire non che il fare , minac-
ciando la morte a chi pur lascia fuggirsi una libera
voce in contrario ; dite , e qual altro nome dee met-
tere allora chi ha senno a tal magistrato se non quello
di ciò che è veramente , e che voi tutti confesserete ,
quello cioè di una tirannide ? Siasi un solo che tiran-
tt^ggia , siasi il popolo tutto , e qual divario ? quando
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346 DELLE Antichità’ romane
uno appunto è l’operar di ambedue? Era ottimissima
cosa non lasciare mai che il seme s’ introducesse di
un simil potere y e soffrir prima tutto, come il valo-
rosissimo jéppio voleva, antivedendone da lauto tempo
le ree conseguenze. Ma giacché ciò non si fece , ora
almeno sradichiamolo , gettiamolo dalla città mentre
è debole ancora, e facile da superarlo. Certo voi non
siete , o padri coscritti , nè i primi , nè i soli a’ quali
tocchi ciò fare ; quando molti già tante volte deviando
dalle buone risoluzioni su di affari gravissimi ; e rav-
voltisi in necessità sconsigliate , tentarono estinguere
il mal già cresciuto , se impedito nel nascere non lo
avcano. E quantunque la penitenza di chi lardi fa
senno sia da meno della previdenza ; tuttavia sott’ al-
tro rispetto apparisce non inferiore , rmnullando V er-
rar già commesso coll’ impedir che si termini.
XXIII. Se alcuni di voi han per gravi le opera-
zioni del popolo , se pensano doversi lui prevenire
sicché più non esorbiti, ma vien loro la verecondia di
parere i primi a rompere i patti e li giuramenti; sap-
piano , che se fan ciò, saranno incolpabili innanzi
gl’ Iddj , e compiran la giustizia col? utile proprio ;
giacché non eomincian essi /’ oltraggio ma lo respin-
gono , non tolgon essi i patti , ma chi prima li tolse
puniscono. E grandissimo argomento siavi che non
voi cominciate a rompere i patti, non voi l’alleanza,
ma il popolo il quale non più soffre le leggi colle
quali ottenne il ritorno. Non chiese già egli i tribuni
per danneggiare il Senato ; ma per non essere dan-
neggiato. Eppure or ne usa non per ciò che lo dee^
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LIBnO VII. 347
nè per ciò che fu crealo , ma per turbare e confon-
dere lo stalo della repubblica. Ben vi ricorda dell ul-
tima adunanza , e delle cose dettevi dot tribuni , e
quanta euroganza e quale disordine vi dimostrassero.
Ed ora , niente più savj , quanto fasto non menano
al vedere , che tutta la forza della città sta ne’ voti ,
e ne’ voti ci vincon essi , tanto maggiori di numero ?
Se dunque han essi incomincialo a frangere i patti e
le leggi; che dobbiamo noi fare se non rispinger la
ingiuria p se non ripigliarci giustamente ciocché ingiu-
stamente ci han tolto ? e frena' tante lor pretensioni
ognora più grandi? e ringraziare gl Iddj che non han
permesso che essi coll acquisto del primo potere di-
venissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal
vituperio e briga per la quale voi di necessità tentaste ri-
cuperare il perduto, e custodir ciocché resta, come si dee?
XXIV. Se volete riavervi; non altra occasione mai
fia così buona, quanto la presente. Ora la più parte
di essi è vinta dalla fame , e /’ altra non potrà resi-
stere lungamente per l indigenza , se abbia i viveri
scarsi e cari. Li più rei , quelli non mai propensi al
comando de’ pochi , ridurransi a lasciarci, ma gli altri
più miti diverranno ancora più docili , nè mai più vi
turberanno. Custodite dunque , non iscemate di prezzo
i viveri, e fate che vendansi il più caro che mai. Voi
ne avete oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella
ingratitudine di un popolo che mormora , quasi ab-
biate voi prodotta la carestia , nata dalla ribellione
loro , e dal guasto che diedero alle campagne, levan-
done e trasportandone ciocché vollero come da terre
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348 niìLLE antichità’ romane
nemiclie , e nelle spese dell’ erario per la spedizione
de’ commissarj in cerca di viveri , e nelle tante altre
ingiurie , onde foste oltraggiali. Conoscansi fin da ora
quali sono i mali co’ quali ci afliggeranno , se non
facciamo tutto a piacere del popolo, come i capi loro
dicono per atterrirci. Se vi lasciate fuggir di mano
questa occasione ; ne sospirerete le mille volte una
simile. E se il popolo sappia una volta che voi mac-
chinavate di abbattere tanta sua forza , ma ne desi-,
steste ; tanto più vi si renderà gravoso , tenendovi nei
vostri voleri come nemici, e come impotenti ne’vostri
timori.
XXV. Si divisero a tal dire di Marcio i pareri , e
molto si romoreggiò nel Senato. Imperocché quelli che
da principio contrariavan la plebe , e ne ammisero mal-
grado loro la pace , tra quali erano i giovani , quasi
tutti , e li più ricchi e più riguardevoli de’ seniori ;
esasperandosi della impudenza di essa , encomiavan que-
st’ uomo come generoso , come amico della patria , e
che parlava il ben del comune. Ma quelli che propen-
deano , come prima , verso del popolo , nè stimavano
le ricchezze oltre il dovere , nè credevano cosa alcuna
necessaria quanto la pace, eransi corucciati a tal dire,
non che vi aderissero. Volevano che si vincessero i po-
veri colle dolci , non colla violenza : essere la dolcezza
una cosa non solo conveniente ma necessaria ; prin-
cipalmente per la benevolenza verso de’ eittadini : e
chiamavano que’suoi consigli non libertà di detti, e di
opere ; ma delirj : nondimeno questo partito , come pic-
ciolo e debole , era sopraffatto dall’ altro più forte. Oi!
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LIBRO VII. 349
dò vedendo i tribuni ( eran questi presenti , invitati in
Sonato da’ consoli ) gridarono e fremerono , chiamando
Marcio peste e rovina della città ; come lui cbe usciva
in discorsi si rei contro del popolo. E se i patrizj non
lo frenavano coll’ esilio o con la morte , mentre svegliava
in Roma una guerra civile , essi , diceano , che lo pu-
nirebbero. Or qui nato un tumulto ancora più vivo pei
discorsi dei tribuni , principalmente dal cauto dei gio-
vani cbe mal sopportavano quelle minacce ; Marcio ani-
matone parlò più veemente ancora e più risoluto. Io ,
diceva, io se voi non la finite di far qui turbolenza, e
di sommovere i poveri; io da ora innanzi mi farò can-
tra voi non colle parole , ma colle opere.
XXYI. Or qui riscaldatosi più ancora il Senato, i tri-
buni vedendo che più erano quelli che volevano richia-
mare , che serbare i poteri conceduti alla plebe , fug-
girono dal Senato gridando , e protestando gl’ Iddj , vin non
fate voi parer vere le calunnie che di voi si spar^
gono ? e che savj sono pel pubblico , quanti consi-
gliano che non pià crescer si lasci questa vostra po-
tenza violatrice delle leggi ? A me così par certa-
mente. Afa se vorrete far cose , contrarie a quelle
delle quali vi accusano , moderatevi , ve ne consiglio :
ricevete a cor placido , e non con ira , i discorsi dai
quali siete investiti. F’oi se così fate, ne parrete uo-
mini dabbene , e coloro che vi odiano , ne saran/w
pentiti.
XXXII^ Avendovi cojè noi fatto ragione amplis-
sima come pensiamo , non siate , ve n esortiamo ,
indegni di voi. Folendovi noi implacidire non esa-
sperare ; miti , umane furono le opere colle quali vi
abbiamo trottato : io dico , per tacere le antiche ,
quelle fattevi di recente pel vostro ritorno. Certa-
mente sarebbe pur giusto che voi vi ricordaste di
queste ; mentre noi vorremmo dimenticarcene. Tuttavia
la necessità ci stringe a ricordarvele per chiedervi in
contraccambio di tanti e grandi benefizj che noi già
concedevamo alle istanze vostre , che nè si uccida ,
nè bandiscasi Un uomo amantissimo della patria , e
nobilissimo infra tutti nella guerra. Non poca sarebbe
la perdita , voi lo vedete , se Roma fosse privata di
tanta virtà. Egli è giusto che mitighiate lo sdegno
verso lui , risgiiardando almeno quanti ne salvò di
voi nella guerra , e ripetendone le belle sue gesta ,
non perseguitandone lé vane parole. Niente vi hanno
i detti nociuto di lui, ma moltissimo i fatti vi gio-
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356 DELLE Antichità’ r ROMANE
varvno. ' Che se pur siete inflessibili in suo riguarda,
donatelo almeno a noi, donatelo al Senato che vel
chiede : rendete una volta la stabile calma, e la sua
unità primitiva alla patria. E se voi non vi piegherete
alle nostre persuasive ; riflettete che neppur noi ce-
deremo alle vostre violenze. Così il popolo messone
a prova o sarà cagione a tutti di amicizia sincera e
di beni maggiori; o nuovo principio di una guerra
civile , e di gravissimi mali.
XXXIII. I tribaoi , avendo Minuzio cosi perorato ,
consideratane la moderazion del dire , e come la plebe
era mossa dalia dolcezza delle sue promesse , ne furono
sdegnati e dolenti , e soprattutti Cajo Sicinio Belluto ,
quegli che avea suscitato i poveri a ribellarsi da’ patrizj
ed erane stato nominato capitano , 6nchè fìiron su Tar-
mi. Nemicissimo degli ottimati, era perciò stato portato
a grande chiarezza da’ cittadini. Ora creato per la se-
conda volta tribuno giudicava che a ninno giovasse
men che a lui che la città fosse appieno concorde, e
ripigliasse la forma antica. Imperocché vedeva che se
governavano gli ottimati, egli nato e cresciuto ignobile ,
senza luce alcuna d’ imprese in pace o in guerra , non
avrebbe più gli onori , nè la influenza medesima ; anzi
che correrebbe pericoli estremi , come sommovitore dei
popolo , ed autore di tanti suoi mali. Fissato adunque
ciocché avrebbe a dire e fare , e consultatosene co’ tri-
buni compagni , poiché li ebbe unanimi , sorse , e la-
mentata brevemente la disgrazia del popolo, lodò li
consoli perchè degnati si fossero di rendere ragione ai
plebei , senza spregiarne la loro bassezza : e d'sse che
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LIBRO VII.
rìngraziava i patrizj ancora , perchè nasceva finaluaente
in' essi la cura della salate de' poveri ; e che molto più
egli ciò contesterebbe 'a nome di tutti i colleghi, quando
darebbero pur le operc> simili ai hitti.
XXXIV. Cosi proemiando , e parendone anzi sedato,
e propenso alla pace , si volse a Marcio presente ai con-
soli V e disse i E tu o valentuomo niente ti difendi coi
tuoi cittadini su quanto hai detto in Senato ? Chè
non supplichi piuttosto , e ne plachi lo sdegno , sic*’
chò miti sieno nel sentenziartene ? Già non 'vorrei
che tu negassi un tale tuo fallo , avendolo tarili ve*
dolo ; nè che , tu Marcio , tu pià altero in cor tuo
che un privato , ti volgessi ad invereconde difese.
Sarà parato non indegno ai consoli ed ai patrizj di
aringare essi in tuo bene , nè parrà per te degno
che tu lo facci su te stesso? Or ■cosi parlava -costui ;
ben conoscendo che quel generoso non soffrirebbe mai
di essere T accusator di sestesso , e chiedere come col-
pevole la esenzion della pena , nè mai contro l’ indole
sua ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche: ma
che o ricuserebbe fare ogni difesa ; o facendola coll’ in-
nato ardimento suo , niente tempererebbe nè il popolo ,
nè il dire. E cosi fu ; perchè taciutisi , e presi i plebei,
quasi tutti , da bel desiderio di liberarlo , purché- egli
ne &vorisse la occasione , manifestò tanta insolenza e
dispregio per essi ; che nè , presentatosi, negò le parole
da lui dette in Senato , nè come pentitone , si diede ad
impietosirli e placarli: ma fin sul principio non li volle,
come privi di autorità competente per giudici di cosa
ninna , pronto per altro a sottomettersi , com* era la
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358 DELLE antichità’ ROMANE
legge , al tribunolc de’ consoli , se alcuno volesse ac>
cusarvelo , e cbiederoe soddisfazione pe’deui, o per le,
opere. Diceva eh’ egli era, colà venuto , giacché vel chia-
marono , parte per riprendere le loro prevaricazioni , e
la incoutentabiUlà j manifeslala aemprepiù nella separa-
zione y e dopo il riiomo ; e parte per consigliarli, per
fiammata , soffiandovi , 1’ ira del popolo , concluse l’ao
cosa , che il tribunato ne sentenziava la morte , per
r oltraggio fìtto agli edili , che egli percosse e respinse,
mentre per ordin suo lo arrestavano il di precedente:
non finire che su chi gC incarica, gli oltraggi de’ mi-
nistri, E così dicendo ordinò che portassero Marcio al*
l’altura che sovrasta sul Foro. È questa un dirupo ro>
vinoso e vasto donde solcano precipitare i rei condan*
nati alla morte. Corsero gli edili per prenderlo: ma
dato un altissimo strido , si levarono conira loro in
folla i patrizj , e quindi contro de’ patrizj il popolo : e
molto era in arabe le parti il disordine , molto lo in*
giuriarsi. Io spingersi, Tassalirsi. Se non che gli autori
di un tanto moto furouo rattenuti e necessitati a mo-
derarsi dai consoli i quali , cacciatisi in mezzo, coman*
darono ai littori di rimover la turba. Tanta era allora
negli uomini la riverenza per quel magistrato, e tanto
il pregio deir autorità suprema ! Intanto Sicinio non piò
saldo , ma perturbato , e timoroso di ridurre i partiti a
respingere forza con forza , non volendo lasciare , nè
potendo continuare la impresa una volta tentata , era
pensierosissimo su >ciò che fosse da fare.
XXX VL Or lui vedendo in tanti dubbj Lucio Gin*
nio Bruto , quel capipopolo che ideò le condizioni della
concordia , uomo acuto specialmente in trovare , ove
mancano, gli espedienti, venne, e solo con solo, sug-
gerì che non si ostinasse in una disputa ardente ,
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3Go DELLE Antichità’ romane
nè legittima : mirasse tutti i patrizj irritati , e tutti
pronti alle armi se vi fossero invitati dai consoli ,
ma dubbiosa la parte migliore del popolo , nè ben
animata a permettere senza previo giudizio la morte
dell' uomo più. insigne di Roma : cedesse per allora ,
egli così consigliava; badasse a non combattere i
consoli per non eccitare mali manieri : piuttosto in-
dicesse a un tal uomo , fissandone un tempo qua-
lunque , di perorar la sua causa , i cittadini votas-
sero per tribù su lui: e ciò sen facesse che la plu-
ralità de’ voti dichiarerebbe. Non competere che ai
tiranni la violenza che ora minacciavasi , facendosi
il tribuno accusatore in un tempo e giudice ed arbi-
tro della pena : ma in una repubblica doversi agli
accusati le difese come voglion le leggi , ed il gastigo
secondo il voto dei più. Cedette Sicioio a tale consi-
glio non trovandone altri migliori , e fattosi innanzi
disse : Foi vedete o plebei V entusiasmo de’ patrizj
per la violenza e le stragi : vedete come tengon voi
tutti da meno che un solo caparbio che oltra^a una
intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo
e corriamo alla nostra rovina, cominciando o respin-
gendo una guerra. Ma perciocché alcuni di loto al-
legano , come onorevol pretesto , la legge la qual non
permette che uccidasi un cittadino ' senza previo giu-
dizio , ed allegandola ci tolgono d infliger le pene ;
diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne’ nostri di-
sagi abbiamo noi mai sofferto nè cose giuste ,
nè secondo le leggi da essi. Dimostriamoci anzi probi
colle clementi maniere , che del numero de’ vostri of-
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Linno VII.
36 1
Jénsori colla violenza. Ritiratevi ; aspettate , nè già
sarà molto , il tempo avvenire. Noi preparando in^
tanto le cose che importano , fisseremo a codest’ uomo
un tempo perchè si difenda , e non eseguiremo se
non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i
suffragi secondo la legge , votatene allora la pena
che merita. E ciò basti su questo proposito : Che poi
giustissima facciasi la compra e la distribuzione dèi
grani , noi vi provvederemo , se questi (\) ed il Se-
nato non vi provvedono. E ciò detto disciolse i' adu-
nanza.
XXXVII. Dopo questo evento i consoli convocando
il Senato considerarono posatamente come dar fine alla
discordia presente. Sembrò loro primieramente che do-
vessero cattivarsi il popolo con vendergli i viveri a pic-
ciolo e fàcil mercato , e poi persuadere i lor capi a che-
tarsi in grazia dei Senato , nè astringere più Marcio al
giudizio , e temporeggiare in fine lunghissimamente , se
non lasciassero persuadersi , finché l’ ira del popolo si
diminnissc. Ciò decretato portarono e proclamarono al
popolo tra pubblici applausi l’ editto su i viveri cosi
concepito che : sarebbero i prezzi de' generi necessari
al vitto quotidiano , tenuissimi come innanzi la sedi-
zione. Poi col molto insistere presso de’ tribuni ebbero
per Marcio dilazion quanta vollero, se non piena asso-
luzione. Anzi essi stessi gli procacciarono altro indugio ,
valendosi di questa occasione. Gli anziati , spedita una
banda di pirati , aveano predato non lu ngi dal lido ,
(i) I CoDsvii.
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36a DELLE antichità’ romane
mentre tornavano in casa , le navi e i deputati del re
di Sicilia , che aveano recalo i grani in dono ai Ro-
mani , e volgendone ogni cosa come di nemici ad olile
proprio , ne teneano in carcere le persone. I consoli ,
ciò saputo , spedirono agli Anziati : ma non potendone
per ambasciadori ottener la giustizia , decisero marciare
colle armi su loro. Adunque fatto il ruolo di tutti gl’ie-
gli ninna delle cose ordinate dalle leggi su de’ giudizj.
Pareva ai consoli , deliberatisi col Senato, che non fosse
da permettere che il popolo s’ impadronisse di un tanto
potere. Or si diè loro un titolo giusto e legittimo d’im-
pedirneli ; e credeano, usandolo, di renderne vani lutti
i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i capi
«
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LIBRO VII. 363
del popolo. Congregitisi cou quanti erauo gli opportuni
per essi , Minucio disse : Tribuni , ci è piaciuto decre-
tare che bandiscasi la sedizione da Jloma con tutte
le forze , nè più nudrasi contesa ninna col popqlo ;
vedendo voi principalmente che tornavate dalla vio-
lenza alla giustizia ed alla ragione. Or noi lodando
voi di questo proposito , abbiamo reputato che il Se-
nato , come è patria usanza, vi precedesse co’ suoi
decreti. E potete contestare voi stessi che dalP ora
che i nosU'i avi fondarono Roma , il Senato che la
ebbe , ritenne sempre questa precedenza : e che il
popolo senza la previa risoluzione idi lui mai nò giu-
dicò , nè votò non solo in questi tempi, ma nemmeno
in quelli dei re. Tanto che li re non rimettevano al
popolo , se non le cose decise in Senato , e così le
confermavano. Non vogliate dunque levarci questo di-
ritto , nè abolire tal bella istituzione primitiva. Preanv-
monile il Senato, se avete il bisogtto di cose mode-
rate e giuste , e quello che il Senato ne avrà giudi-
cato , quello notificate al popolo , e ne decida.
XXXIX. Cosi discorrendola i consoli , Sicinio mal
sopportavali , nò volea render aibitro di cosa ninna il
Senato. Ma gli altri , eguali a lui di potere , seguendo
i suggerimenti di Lucio (i) consentirono che si facesse
questo previo decreto. Imperoccbé ancor essi avevano
(i)- Lucio Bruto: forte come pensa il Ccleoio , dee leggersi Decia
in luogo di Imcìo, .Certamente in questi affari elibe parte anche De-
ciò nominato prima e poi da Dionigi: vedi I. fi, § 8S. Bruto aveva,
tt vero il pronome di Lucio ; Ma Dion'gi nou lo ha mai contratte*
guato ancora col solo pronome.
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364 r)ELLr* antichità’ romane
falla ( nè i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ;
Che il Senato desse la parola anche ai tribuni, che
sono i procuratori del popolo , come agli altri che
volevano aringare favorendo, o contrariando; e che
infine , dopo udite le discussioni di tutti , -allóra cia-
scun padre porgesse il suo voto , premesso il giura-
mento legittimo , come ne’ giudizj , e dichiarasse cioc-
ché gli paresse il giusto e V utile della repubblica :
e quello si tenesse per valido che i più. preferissero.
Concedendo i tribuni che si decretasse come i consoli
dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno appresso
i padri in Senato , i consoli vi esposero le convenzioni:
e quindi chiamando i tribuni gl’ invitarono a dire le
cause per le quali venivano. £ qui fattosi innanzi Lu-
cio , colui che avea condisceso che si facesse il previo
decreto , disse :
XL. Potete ravvisare o padri ciocché sia per suc-
cedere , vuol dire che noi saremo accusati appresso
il popolo dell’ essere qui venuti, e che V accusatore
sarà quel nostro collega , per quel previo decreto che
V abbiam conceduto. Pensava costui che -non doves-
simo noi chiedere da voi quello che ci attribuiscon le
leggi , nè prendere per benefizio quanto avevamo per
diritto. Chiamali in giudizio correremo in rischio non
tenue , che condannati , abbiamo a soffrire bruttissi-
mamente come chi diserta , e tradisce. Ma quantun-
que ciò sapessimo ; noi siamo qui venuti , superiori
a noi stessi j confidando su la rettitudine della cau-
sa , e mirando ai giuramenti secondo i quali voi do- '
'vete dirigere le vostre sentenze. Noi tenui siamo , e
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LIBRO VII. 365
disacconci pià assai che non conviene , a parlar di
tali cose, che piccole certamente non sono. Porgeteci
non pertanto udienza y e se queste vi parranno giuste
ed utili , e vi a^iungo , necessarie ancora pel conw
ne , vogliate spontaneamente concedercele.
> XLI. Primieramente dirò sul diritto. Quando o se-
natori cacciaste i monarchi avendo noi compagni nel-
r opera, e fondaste il governo nel quale ora siamo,
ed il quale noi non riproviamo , voi vedendo i plebei
aggravati ne’ giudizj se mai li facevano ( e molti scn
facevano ) co’ patrizj , emanaste per suggerimento di
Publio Valerio consolo una le^e per la quale per-
mettevasi a tutti i plebei sowerchiati da quelli di ap-
pellare al popolo : e per niun altra, quanto per que-
sta legge , procacciaste la concordia di Soma , e re-
spingeste i re che vi tornavano in seno. Jn forza di
questa l^ge citiamo codesto Caio Marcio dinanzi al
popolo , e gli prescriviamo che risponda su cose nelle
quali tutti ci diciamo da lui sowerchiati ed offesi.
Nè su questo abbisognavi previo decreto del Senato.
Imperocché voi siete gli arbitri di deliberare i primi,
ed il popolo di confermare co’ voti quello su cui le
le^i non pollano ; ma dove ci han le leggi , sono
immobili , e debbono osservarsi , quantunque niente
ora voi , perchè si osservino , decretaste. Già non
dirà ninno che in caso di aggravio ne’ giudizj un
privato appelli validamente al popolo , nè valida-
mente v’ appellino i tribuni. E forti per tale conces-
sion della legge , veniamo qui , non senza pericolo ,
ad esser sotto voi giudici. Pel diritto della natura ,
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366 DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
diritto che non è scritto , nè introdotto come le altra
leggi , noi vogliamo che il popolo non sia nè da pià
nè da meno di voi : mentre con questo diritto ha con
voi sostenute molte e grandissime guerre, e mostrato
ardore vivissimo per compierle , contribuendo non
poco perchè Roma le desse , non ricevesse da alwi
le leggi. Or voi farete che noi non siamo da meno
che voi se frenerete col terror di un giudizio chiun-
que attenta contro le nostre persone e la libertà. Pen-
siamo che i magistrati , le precedenze , gli onori deb-
bansi compartire ai primi e pià virtuosi tra voi : ma
pensiamo pure ben giusto che essendo tutti sotto un
governo , tutti dobbiamo ugualmente e senza riserva
o non essere offesi ^ o riceverne pari soddisfazione.
Come dunque a voi concediamo que’ gradi sublimi e
luminosi, così non vogliamo esser privi dei diritti
eguali e comuni. Ma sebbene potrebbero aggiungersi
le mille cose , bastino le dette fin qui sul diritto.
XLII. Or quanto sian utili queste cose, quanto il
popolo le apprezzi se faccianst , lasciate che io bre-
vemente ve lo esponga. Su dunque : se alcuno vi di-
mandi qual pensiate il pià grande de’ mali, quale la
cagioH pià pìonta della roiàna delle città ; non di~
reste che sia questa la dissensione? certo che sì. Or
chi è si stolido , chi sì fatto a rovescio , chi ■ sì ne“
mico della eguaglianza , il qual non veda, che se
concedasi al popola di giudicare le cause che gli
spettano , avrem la concordia ; ma se gli si neghi ,
leverete a noi per fino la libertà ( chè la libertà si
toglie , a chi le leggi si tolgono e li giudizj ), e ci
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l
LIBRO VII.
367
ridurrete ad insorgere nuovamente , e combattervi ?
Certo che nelle città dalle quali si escludono i giu-
dizj e le leggi , la discordia soUentra e la guerra.
Chi non si è trovato in guerre civili non è meraviglia
che per la inesperienza non senta ribrezzo de mah
antecedenti , nò precluda i futuri. Ma quelli , che
caduti come voi tra pericoli estremi , felicemente se
ne liberarono , sgombrando i mali come permetlevasi
dalle circostanze ; quelli , io dico , se vi ricadono ,
qual mai scusa aver possono sufficiente e decorosa ?
Chi non condannerebbe la stoltezza e delirio vostro
grandissimo , considerando che voi li quali per non
avere la plebe discorde vi piegaste , non ha gìiari t
a tante concessioni , forse non tutte convenevoli ed
utili , ora vogliate in discordia tornarvela , tutto che
non siate offesi negli averi , nelf onore , o in altre
pubbliche cose , e solo per favorir chi la odia ? Se
non che voi ciò non farete se savj. Con piacere io
V interrogherei quali concetti erano i vostri quando
ci concedevate il ritorno colle condizioni che chietle-
vamo. Ne apprendevate voi forse ragionando un be-
ne ? o fu necessità che vi ridusse a cedere ? Se ne
apprendevate il bene di Roma , e perchè ora non vi
ci attenete ? se fu necessità , se impossibilità di es-
sere diversamente , or che vi dolete del fatto ? Biso-
gnava , se pur tanto potevate , non cedere forse da
principio ; ma ceduto avendo una volta , non dovete
più rimproverarvene.
XLIIL A me sembra o padri che voi seguiste il
vostro migliore nel paci/icarvici : ma se fu necessità
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368 DELLE ANTICHTTa’ ROMANE
di scendere a condizioni; ella è pure necessità man-
tenercele. Voi gV Iddj chiamaste vindici degli accor-
di , imprecando molte e terribili pene a chiunque li
violava di voi o de nipoti in perpetuo. Ora io non
Pedo perchè dobbiamo tediare pih a lungo voi che
tanto bene il sapete , con dire che giuste ed utili
sono le nostre dimande , e molta la necessità che vi
astringe a corrisponderle , se memori siete de Mura-
menti. Voi capite , o piuttosto ( giacché io non dico
cosa che voi non sappiate ) voi tenete presente che
rileva per noi non poco il non desistere dalla impresa
per violenza o per inganno, e che un fortissimo sti-
molo ci ha qui condotti , offesi gravemente , e pià
che gravemente , da quest’ uomo. Date dunque su
quanto ho detto il vostro voto , ma, dandolo , consi-
derate qual sarebbe il vostro animo verso quel ple-
beo , se alcuno pur ve ne fosse , il quale tentasse
dire o fare centra voi nelle adunanze , ciò che qui
codesto Marcio ha pur tentato di dire.
XLIV. Le convenzioni della pace sacrosante al
Senato , quelle che munite più -che con vincoli ada-
mantini j ninno di voi , per averle giureUe , nè de’ vo-
stri discendenti può sciogliere , finché Roma fia Ro-
ma ; quelle ha il primo codesto Marcio tentato di
rovesciarle , non essendo nemmen quattro anni che si
conclusero , e tentato ha di rovesciarle non col silen-
zio , non da oscurissimo luogo , ma qui , pubblicissi-
mamente , al cospetto di voi tutti', sentenziando, che
non dovea più lasciarsi , ma ritogliersi a noi la po-
destà tribunizia, che è la primaria ed unica difesa
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LIBRO VII. 369
della libertà , e col mezzo della quale potemmo ri^
congiungersi. Nè qui C ardinsento finì del suo dire ,
ina vi consigliava a ritorcela ; divulgando come una
ingiuria la libertà dei poveri , e tirannide nominando
r uguaglianza. Risovvengavi ( era questa la più infame
delle istanze sue ) com’ egli disse allora , che era pur
venuto il tempo di ricordar tutte le ingiurie del po-
polo nella prima discordia , e come esortava quindi
a mantenere la stessa penuria di viveri , giacché il
popolo , logoro dai disagf diuturni si ridurrebbe a
cedere in tutto ai patrizj. Non resisterebbero i poveri
gran tempo comperando a carissimo prezzo cibi scar-^
sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la cUtà,
e parte rimanendovi, perirebbero infelicissimamerUe,
E così delirava , così era in ira ogF Iddj ciò persua~
dandovi; che non discerneva che oltre i tanti mali
co* quali travagliavasi per annientare i trattati del Se-
nato , quando avrebbe ridotto i poveri i quali eran
pur tanti , alle angustie de* viveri , questi poveri ap-
punto farebbonsi addosso agli autori delle angustie,
non più tenendoli per amici. Tanto che se voi pur
delirando approvavate il suo parere; non restava più
mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo ,
o de* patrizj. Imperocché non ci saremmo già dati
quasi schiavi a spatriare o morire : ma chiamando i
genj ed i numi in testimonio de' mòli che soffriva-
mo ; avremmo riempiute , ben lo intendete , le piazze,
e le vie di ukdergogne ; sin che tu abbi un altra difesa qua^
Itlnque; scendi da quel tuo enlusiatmo orgoglioso e
tirannico , toma , o sciaurato , ai concetti del popolo :
renditi simile agli altri', prendi come chi ha peccato
e raccomandasi , un abito dismesso , addolorcvole *
conforme ai disastri , e cerca il tuo scampo ; umilian-
doti, non insolentendo dinanzi gli oltraggiali da te.
Sianti esempio di bella moderazione^ le opere , le
quali se tu avessi ùnitalo , non saresti ora ripreso dai
tuoi cittadini , io dico, quelle di tanti buoni , quanti
qui ne vedi, segnalati per tante virtù militari e ci-
vili, quante non sarebbe facile nemmeno in grati
tempo pen.orrere. Li quali quantunque grandi e ris-
spettabili ; niente mai fecero di duro , niente di or^
goglioso contro noi si tenui e bassi , e primi intromiì-
sero discorsi di pace , primi la pace offerirono , quando
la sorte ci avea separati, e concedcron la pace non
su le condizioni che essi riputavan migliori, ma su
quelle che noi chiedevamo ; dandosi infine premura
grandissima di levcu'e i disgusti recenti su la dispenstt
de' grani per la quale noi gli accusavamo.
XLVI. Ma tralasciando le altre cose , quali ptc*-
ghiere non fecero per te , nel tuo superno acceca-
mento , presso tutti , e presso ciascuno del popolo per
involarti alla pena? Appresso i consoli ed il Settato,
i> quali invigilano su questa , tanto grande città , cre-
deron bene che al giudizio ti sottomettessi del pò-
polo , nè tu o Marcio a bene lo tieni ? Questi tutti
non han per un biasimo il pregare per tuo scampo
il popolo , e tu per biasimo tei prenderai? JVè ciò li
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372 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
bastava , o magnanimo ; ma quasi fatta una belV o»
pera , ne vai con fronte altera e magmfìcandoti , e
niente adoperandoti a mansuefarli? per non dire che
insulti , che rimproveri , che minacci la plebe. E pre-
tendendo lui quanto niuno di voi ; non vi sdegnerete ,
o Padri , a tanto orgoglio ? Se voi tutti risolveste di
accingervi ad una guerra per esso ; egli dovrebbe
amarvene , e tenersi tutto pronto per voi, non accet-
tar però mai un tal bene privato col danno comune,
ma sottomettersi alle difese , alla sentenza , a tutte
infine le pene , se bisognasse. Questo- sarebbe l’ ob-
bligo di un vero cittadino , di uno che vuole il bene
colle opere , non colle parole. Ma le violenze pre-
senti qual ne additano mai C indole sua , quale la
inclinazione ? quella appunto di violare i giuramenti ,
di tradire la fede, di rescinder gli accordi, di far
guerra al popolo , di oltraggiare le persone dei ma-
gistrati , di non sottometter la propria per niuna mai
di queste cause , e di girarsela franchissimamente, non
come un eguale di tanti cittadini, ma come uno che
niun teme , e di niuno abbisogna , immunissimo in
tutto da tribunali e discolpe. Or non è questo un vi-
vere alla tirannica? certo che jì / Eppure a conforto
di quest’ uomo spargono aure lievi e suoni dolci, al-
cuni tra voi che pieni di odio implacabile verso del
popolo non san vedere che questo male si termina
anzi contro de’ nobili che degl’ ignobili , e credonsi
affatto sicuri, sol che deprimano il partito che è loro
contrario per natura. Ma non così sta il vero , ingan-
nati che siete. Prendete a maestra la esperienza che
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LIBRO VII, 373
Marcio stesso vi somministra , prendetene il corso dei
tempi: illuminatevi per gli esempj stranieri insieme
e domestici.^ e ravvisale , che la tirannia la qual nu-
dtesi contro i plebei , contro tutta la città si alimene
ta: e che la tirannia che ora contea noi s’ incornine
eia , fortificatasi , contea tutti ruggirà.
XLVII. Ragionate queste cose da Oecio , e supplite
da’ triboni compagni quelle che mancar vi sembravano ,
quando il Senato nè dovè sentenziare , levaronsi i primi
in piedi i seniori tra gii uomini consolari , inviati se-
condo r ordjne consueto dai consoli , e quindi via via
gli altri men riguardevoli per queste qualità : seguirono
ultimi i giovani , ma non disser parola ; perocché ci
avea di que’ giorni ancora tra’ Romani la verecondia ,
che niun giovane si arrogava saperne più degli anziani.
Pertanto accostaronsi essi alle sentenze de’consolarì. Erasi
preordinato che i senatori presenti giurassero prima ,
come ne’ tribunali , e poi dessero il voto. Appio Clau-
dio il patrizio , come ho detto , più acerbo col popolo,
e che mai non aveva approvato che si concordasse con
esso, mal soffriva che ora si facesse un pari decreto,
e disse :
XLVIII. Avi'ei veramente voluto , e più voltf ne
ho supplicato i numi , essermi sbagliato io circa il
sentimento su la pace col popolo , vede a dire che il
ritorno de’ fi frusciti non era nè giusto , nè decoroso ,
nè utile; tanto che quante volte sen prese a trattare^
tante io primo ed ultimo mi vi opposi , anche abbona
donalo da tutti. Anzi avrei voluto o padri , che voi
li quali per le speranze concepute del meglio , cora-^
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3-y4 delle Antichità.* boriane
(UscendesCe ed popolo sul giusto e su t ingiusto , He
compariste ora più savi di me. Hiuscitevi però le cose,
non come io desiderava , anche pregando_ne i numi ,
ma come io prevedeva , e cangialevisi le beneficente
in vilipendio ed odio ; io lascerò , come estraneo a
ciò che dee farsi , di riprendervi e di contristarvi in
vano per le vostre mancanze , quantunque sarebbe
pur facile , ed è pur questo f uso dei più. Dirò piut-
tosto ciò che può rettificare le cose passate , quelle
almeno che non sono in tutto insanabili, e renderci
più savj circa le presenti. Quantunque non ignoro ,
che dicendo io liberamente i miei sentimenti , parrò
farneticare e sagrifìearmi , ad alcuni di voi , li quali
considerino quanto sia disastroso il parlar francamente,
e riflettano la calamità di Mcuxio, il quale non per
altra cagione ora corre perìcolo della vita. Ma io non
penso che la cura della propria salvezza sia da pre-
giarsi più che il pubblico bene. Già questa mia per-
sona è tutta pe’ vostri pericoli , tutta pe' cimenti della
patria ; tanto che gl’ incontrerò generosissimamenle ,
come piace agl’ Iddj , con tutti voi , o con pochi ^ e
solo ancora , se bisogna. Nè finché io vivo , mai mi
terrà la paura dal dire quello che io penso.
XLIX. E primieramente io voglio elte vi persua-
diate una volta senza eccezioni che il popolo è ma-
laffetto , e nemico al governo presente f e che qua-
lunque cosa gli avete , coma deboli , corueduta , £ avete
spesa vanissimamente , e vi è stala cagione di vilipen-
dio , quasi conceduta £ abbiate per forza , non a ra-
gion veduta , c per beneplacito. Considerate come il
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LIBRO VII. 3^5
popolo si appartò da voi , pigliando le armi , e come
ardi mostrarvìsi palesissimamente per inimico , non
o^eso da voi realmente , ma fingendosi offeso : per-
chè non polca corrispondere a suoi creditori, e di-
cendo , che se decreten ate la remissione dei debiti, e
la condonazione delle colpe commesse per la sedi-
zione , non desidererebbe più oltre. 1 più di voi, non
però tutti , sedotti da vani consiglieri ( cosi /atto mai
non lo avessero ! ) deliberarono di anntdUire le leggi,
mallevadrici della fede pubblica , nè più ricordane ,
nè perseguitare l’ esorbitanze passate. Egli però non
si tenne già contento di questa concessione , pel solo
bisogno della quale diceva di essersi ribellato ; ma
ben tosto pretese altra prerogativa più grande, e meno
legittima : io dico quella di eleggersi ogni anno dal-
t ordin suo i tribuni , pretestando il troppo nostro
potere, peichè fossero scudo e rf i^io d poveri oltrag-
giati ed oppressi, ma in realtà tendendo insidie alio
stato delta repubblica , e volendola ridurre democra-
tica. Adunque vi persuasero questi consiglieri a la-
sciare che entrasse in repubblica il tr ibunato ; come
in fatti vi entrò per isciagura comune , e princìfxd-
mente in onta del Senato , mentre io , se bene ve
ne ricorda , tanto ne schiamazzava , protestando ai
numi ed agli uomini , che introdurreste tra voi una
guerra interna ed implacabile , e presagendovi tutti i
mali, quanti ve ne avvengono.
L. E questo buon popolo che vi ha egli fatto dopo
che gli avole conceduto il tribunato? Non ha già va-
luta’o degnamente tanto dono , anzi nemmeno da voi
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DELLE Antichità.’ romane
10 prese con prudenza , e con verecondia , come so
glie lo abbiate accordato , premuti e costernali dalle
forze di lui. Ha detto che aveasi a rendere sacro ,
inviolabile, sicuro pe giuramenti , ed ha pretesa un
autorità migliore che rwn quella da voi destinata pei
consoli. E voi avete tollerato ancor questo, e là tra
le vittime giuravate la roidna di voi e de’ vostri di--
scendenti. E dopo questo ancora che vi ha fatto egli
mai questo popolo ? In luogo di riconoscervene ,
dolora per le altrui sciagure, e sa compatire gli uomini
costituiti in dignità, se la sorte loro travolgasi. Tuttavia
diresse a Marcio la maggior parte del discorso mista di
ammonimenti , di esortazioni , e di preghiere che face-
vano violenza. E giacché egli era la causa . della discor-
danza del popolo dal Senato , e calunniavasi come ti-
rannica la esuberanza delle sue maniere, e temeasi che
per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gra-
vissimi, quanti ne sorgono dalle guerre civili; pregavalo
a non verificare , o non confermare almeno le incolpa-
zioni e le paure con quel suo nou gradito contegno :
assumesse un abito più umiliato : sottomettesse la sua
persona per dar conto a quelli che chiamavausi oltrag-
giati da lui : si presentasse alle difese contro di un ac-
cusa ingiusta si , ma che in giudizio appunto si annul-
lerebbe. Sarebbe un tal fare più sicuro per la salvezza,
più splendido per la fama che desiderava , e più con-
sentaneo colie opere antecedenti. Dichiarava che se
ostinavasi anziché raddolcirsi , e se riduceva , persua-
dendoli , i padri a subire ogni pericolo per òsso , mi-
sera sarebbe per loro se vinti la perdita, ma turpissima
se vincitori , la vittoria. E qui tutto davasi al pianto ,
riepilogando i mali gravi e non dubbj che straziano
nelle discordie le città.
LY. Tali cose esponendo con molte lagrime non
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LIBBO VII. 385
artificiose 'e noa finte , ina vere , egli venerabillstima
per anni e per meriti , come videne commosso tutto il
Senato , cosi con più confidenza seguitò , dicendo : Se
alcuno di voi conturbasi , o padri , pensando che in-
troducesi un tristo costume nel concedere al popolo
di votar su patrizj , e che non produrrà niun bene
f autorità de' tribuni che tanto si fortifica , sappiate
che voi siete errici , e v ideate il contrario di quel
che conviene Imperocché se mai vi sarà metodo sa-
lutare , metodo per cui non si tolga né la libertà nè
le forze a Romec, e per cui le si conservi in perpetuo
la concordia ; senza dubbio il metodo principalissimo
sarà quello che assumasi anche il popolo al goverrto,
talché non sìa questo nè pretta oligarchia , nè demo-
crazia, ma un tal misto di tutti. E questa la forma
che più che tutte ne giovi ; perchè ciascuna delle al-
tre , applicata sola , com* è per sestessa , scorre faci-
lissimamente alle insolenze ed alle ingiustizie; laddove
quando una forma si abbia ben contemperata da
tutte , allora se una parte commovesi ed esce dal-
r orditi suo , vien contenuta sempre dall altra, che è
savia, e tiensi al dovere. La monarchia divenuta dura^
superba , tirannica , suole abbattersi da pochi valenti
uomini : la oligarchia , qual voi t avete al presente ,
se troppo s' innalza per le ricchezze e per le ade-
renze, nè più tien conto della giustizia e della virtùf
si annienta da un popolo savio : un popolo savio e
che vive secondo le leggi , se poi volgesi ai disordini
ed alle ingiustizie; è sopraffatto dalle arme, e rimesso
piomat , tamo II. ' . j5
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386 DELLE antichità’ ROMANE
in dovere dal pià forte. Voi trovaste, o padri, rimedj
efficaci perchè il potere di un solo non si mutasse i n
tirannide. Voi scegliendo in luogo di un solo due
capi della repubblica , e dando loro il comando non
per un tempo illimitato, ma per un anno; destinaste
oltracciò per invigilarli i trecento patrizf, i più anziani
e più grandi , da' quali è composto il Senato. Ma
voi , per quanto si vede , non avete fin qui messo
per voi niun che vi osservi , e tenga in dovere. CeT’~
tornente io finora non temei che vi corrompeste ancor
voi tra t abbondanza , e la grandezza dei beni, per--
chè non è molto che avete liberato Roma da una
vecchia tirannide ; nè aveste mai comodo di scapric-
ciarvi e cC insolentire per le guerre continue e lunghe.
Ma riflettendo io ciocché può succedere dopo voi , e
quante mutazioni suol produrre la diuturnità dei
tempi ; temo che i potenti del Senato si rimescolino,
e riducano per occulte vie finalmente il governo in
tirannide.
LVI. Ma se comunicherete il comando col popolo,
non sorgerà quindi alcun male. E se altri ( giacché
tutto dee prevedersi da chi consulta su la repubblica)
se altri tenti elevarsi più de’ colleghi e del Senato ,
procacciandosi un seguito di uomini pronti a congiu-
rare e ad offendere ; costui citato dai tribuni al po-
polo, per quanto egli sia grande e magnifico, renderà
conto ai negletti ed ai poveri : e trovatosi reo , ne
subirà le pene che merita. Ma perchè il popolo con
tal potere non insolentisca nemmen esso , nè guidato
da capi rei s’ inalberi contro de' buoni, tiranneggiando
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•• ^
LIBRO VII.
38 ^
( che nasce tmcìie nel popolo la tirannide ) ; lo invi-
gilerà , nè pennellerà che ne abusi un uomo distin-
tissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con
potere assoluto, inappellabile , separerà dalla città la
parte infetta di popolo, nè lascerà che la sana se ne
corrompa. Egli , riordinati i costumi e le preclare
maniere del vivere, nominati i magistrali, che giudica
savissimi per la cura del pubblico , ed eseguili tali
cose in sei mesi , rientri di bel nuovo nella classe
de’ privati , conservando per sè t onore , e non più.
Pertanto considercutdo vqì questo , e giudicando bo-
nissima tal forma di repubblica , non vogliate da ciò
che chiede escludere il popolo. Ala come avete attri-
buito al popolo che scelga ogni anno i magistrali che
regolino , che ratifichi o annulli le leggi , e decida
della guerra e della pace, cose tutte rilevantissime e
principali tra quante in uno stato sen facciano ; nè
avete di niuna di esse lasciato cubitro indipendente
il Senato ; cosi chiamale anche il popolo a parte dei
giudizj , massimamente se alcuno sia accusato di of-
fendere la stessa repubblica, eccitando sedizioni, pre-
parando la tirannide, convenendosi co’ nemici di tra-
dirci, e macchinando mali consimili. Imperocché quanto
più renderete terribile agl indocili ed ai superbi la
trasgression delle leggi , e le innovazioni di Stato ,
mostrando intenti su loro più occhi e più guardie ;
tanto più la repubblica starà nel suo fiore.
LVII, Dette queste e cose consimili , tacque. Con-
vennero nel parere medesimo gli altri senatori sorti
dopo lui , eccettuatine pochi. E standosene ornai per
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388 DELLE Antichità’ romane
formare il decreto ; chiese Marcio la parola e disse :
Quale, o padri coscritti , io sia stato verso la repub^
blica , come io sia venuto in tanto pericolo per la
benevolenza mia verso di voi , e come ora io ne sia
da voi contraccambiato fuori della mia espettazione ,
voi tutti il vedete , e meglio lo intenderete ancora
dopo dato un fine alle mie cose. Ed oh ! se come
la sentenza di Valerio prevale ; così vi giovasse , ed
io mi sbagliassi nelle mie congetture sul futuro. Al-
meno però perchè voi che siete per emanare il de-
creto , conosciate le cause p^r le quali mi consegniate
al popolo , nè io ignori su che sarà combattuto nel-
t adunanza di esso ; intimale ai tribuni che dicano
alla presenza vostra la ingiustizia su la quale mi ac-
cuseranno , e qual titolo diasi a questo giudizio.
LVin. Egli cosi diceva , perchè congetturava che a*
vrebbe a difendersi appunto pe’ discorsi fatti in Senato,
e perchè voleva che i tribuni convenissero che su que»
sto appunto verserebbe l’azione. Ma i tribuni consulta-
tisi lo accusarono che brigato avesse la tirannide, e su.
questa accusa chiedevano che venisse a difendersi. (Schivi
di restringere 1’ accusa ad una sola causa , e questa nè
valida nè cara ai Senato ; riserbavansi il potere di ac-
cusarlo su quanto volevano > pensando che resterebbe
così Marcio spogliato di tutto il soccorso del Senato ).
Marcio dunque replicò: se io debbo essere giudicato
su questa calunnia , mi sottometto ed giudizio del
popolo , nò mi oppongo che ne stenda il Senato 'il
decreto. Piaceva al più de’ padri che su ciò si rigi-
rasse l’accusa e per due fini: perchè da indi in poi
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LIBRO VII. 38q
non più sarebbe un senatore incolpato per dire cioc>
chè pensava nelle consultazioni ; e perché di leggieri
quel valentuomo se ne purgherebbe, sobbriissimo altron«
de , ed irreprensibile nella vita. F u dunque , secoudo
ciò , steso il decreto pel giudizio : e dato a Marcio tem*
po per preparar le difese da indi al terzo mercato. Te-
nevasi allora , e tuttavia si tiene da’ Romani il mercato
in ogni nono giorno. In questi adunandosi i plebei dalle
campagne in città ; vi cambiavan le merci, e vi discu-
tevano le liti private : e ricevendo i voti ; sentenziavano
su le cause pubbliche , riservate loro dalle leggi , o dal
Senato. Negli otto giorni intermedj a’ mercati viveansi
nelle campagne , essendone i più di loro lavoratori e
poveri. I tribuni preso il decreto, e recatisi al Foro,
v’adunàrono il popolo : e lodatovi con ampj encomj il
Senato , e lettavene la sentenza ; intimarono il giorno
nel quale si finirebbe quella causa ; raccomandando a
tutti d’ intervenire , perchè discuterebbono importantis-
sime cose.
LIX. Divulgato ciò ; vivissime furono le cure e i ma*
neggi de’ plebei e de’ patrizj ; di quelli come per punire
un arrogante , e di questi perchè non restasse all’ arbi-
trio de’ loro avversar] il difensore del comando de’ po-
chi. Pareva ad ambi che si mettessero in quella causa a
pericolo i diritti tutti della vita e della libertà. Giunto
il terzo mercato , si ridusse dalle campagne in città
tanta moltitudine , quanta mai più per addietro , occu-
pando infino dall’ alba il Foro. I tribuni la invitarono
a riunirsi per tribù , separando con funi il sito dove
ciascuna si alluogherebbe. L’ adunanza su quest’ uomo
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3go DELLE Antichità’ komane
fu la prima la quale votasse per tribù ( i ) , sebbene as-
sai si opponessero i palrizj perchè ciò si facesse ; chie-
dendo che si tenessero, com’era l’uso della patria, i
comizj per centurie. Imperocché ne’ primi ten>pi se il
popolo dovea votare su di una causa qualunque rimes-
sagli dal Senato ; i consoli adunavano i comizj per cen-
turie, compiendo prima i sagrifìzj legittimi , che in
parte si compiono ancora. Il popolo ordinato come nei
tempi di guerra sotto i centurioni e le insegne , adu-
navasi nel campo di Marte posto innanzi della città.
Quivi non prendevano e davano tatti insieme il lor
voto ; ma ciascuno nella propria centuria , secondo che
eran chiamate dai consoli. Ed essendo le centurie cento
novanta tre , e dividendosi queste in sci classi , chiama-
vasi innanzi tutte , e dava il suo voto la prima classe ,
la quale formata dei più riguardevoli per sostanze , e
primi negli ordini militari , comprendeva diciotto cen-
turie equestri , ed ottanta appiedi. Appressò votava 1’ al-
tra classe la quale men comoda per sostanze , seconda
nell’ ordine della battaglia , e men cospicua de' primi per
armatura , formava venti centurie; aggiuntene ancor due
di artefici , i quali apprestano legni e ierro , ed ogni
altra macchina militare. Costituivano i chiamati nella
terza classe venti centurie , inferiori tutte nell’ onore ,
nell’ ordine della battaglia , e nelle armi , non simili a
quelle de’ precedenti. Gli altri chiamati appresso , rispet-
tabili anche meno in pregio di sostanze e di armi , ma
più sicuri di posto nella battaglia , divideausi ugualmente
(i) Anni di Roma a63 secoado Catone, aR5 secondo Varrone ,
a 4^ ae- Cristo.
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I
LIBRO VII- 391
ia venti centurie ; alle quali se ne univano altre due y
di suonatori di corni e di trombe. Qiiamavasi per quIn-i>. 4 t S'So j ù
tratta la materia medesima. I soldati che qui si dicoDo immuni dai
cataloghi militari, erano certameule liberi dalle coscrizioni: peral-
tro potevano militare se volevano.
(a) Nella prima classe ci aveano ottanta centnrie appiedi a diciotto a
cavallo, ìu lutto novanlollo vedi loco citato. Le altre classi in tutto
costituivano novantacinque centurie : perchè la seconda classe com-
prendeva venlidua centurie: la terza venti: la quarta di nuovo ven*
lidne : e la quinta trenta; risultaudo la sesta da una sola.
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3q2 delle antichità’ romane
bio da ricorrere al voto fioale de’ poveri. Era questo
il refìigio estreirio , se mai le cento novantadue centu-
rie scindeansi in parti eguali ; e ne preponderava la
parte alla quale quell’ ultimo voto si volgeva. Chiedeano
i difensori di Marcio che si adunassero i comizj ordinati
secondo gli averi, immaginandosi forse che il valentuomo
sarebbe liberato dalle novantotto centurie' della prima
classe quando le chiamavano, o dalie altre almeno della
seconda o della terza. Ma sospettando eziandio ciò li
tribuni , conclusero che si avesse a riunire il popolo per
tribù , e così renderlo giudice della contesa ; perchè nè
i poveri ci avessero men potere dei ricchi , nè i soldati
leggeri men di quelli di grave armatura , nè la molti-
tudine , differita per 1’ ultima chiamata , fosse impedita
a dare egnal voto. Divenuti tutti pari nell’ onore . e nel
voto , avrebbero ad una sola chiamata dato i loro suf-
fragi tribù. Or pareano i tribuni più giusti che gli
altri , col pensare che il giudizio del popolo fosse ve-
ramente del popolo , non della parte fautrice degli ot-
timati ; e che su le offese di tutti , tutti dovessero sen-
tenziare.
LX. Conceduto ciò con stento da’ patrizj , essendosi
ornai per disputare la causa , Minucio 1’ altro de' con-
soli ascese il primo in ringhiera , e disse quanto eragli
stato commesso dal Senato. E prima ricordò tutte le be-
neficenze , quante il popolo ne avea ricevute da’ patri-
zi : e poi chiese in contraccambio di queste , eh’ eran
pur tante, che il popob concedesse una grazia, neces-
saria ad essi che la domandavano , pel pubblico bene :
quindi lodò la concordia e la pace e rilevò di quanti
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LIBKO VII. 39.3
beni Sten causa I’ una e T altra nelle citUi: condannò le
sedizioni e le guerre intestine; e mostrò, che ne erano
stale distrutte le città con gli abitanti , anzi le • intere
nazioni : raccomandò che secondando l’ira non isceglies*
sero il peggio per lo migliore: che provredessero il fu-
turo con saviezza , non si valessero in consultazioni gra»
vissime dèi consiglio de* cittadini più tristi , ma di quelli
che tenean per bonissimi , da’ quali sapeano «sere stata
tanto giovata in guerra ed in pace la patria , e de’ quali
non era giusto che diffidassero, quasi avessero già mu-
tato > natura. Era 1’ intento di tanti discorsi , che non
dessero niun voto contro di Marcio , ma in vista prin-
dpal mente di essi assolvessero quel valentuomo ; ricoi>
dandosi quale egli era stato per la repubblica, quante
guerre avea portato a buon termine per. la libertà e per
r impèro di Roma , e come non farebbero cosa nè pia;
nè giusta, nè degna di . loro, se ingrati alle opere segna-
late di lui ne punissero le vane parole. Esservi bellis-
sima la opportunità di dimetterlo ; giacché egli presen*
tava la sua pmeona ai nemici , per subirne in pace il
giudizio che di lùi formerebbero. E se non che ricon-
ciliarsegli , persistevano duri , implacabili con esso , al-
meno giacché il Senato trecento i: più insigni della città,
facevasi a supplioudì , s’ impietosissero e mansuefacessero,
ciò considerando ; nè per punire un nemico ributtassero
le {««ghiere di tanti amici , ma in grazia di tanti va-
lealuomini condonassero la pena di un solo. Dette que-
ste consimili cose , aggiunse in ultimo , che se assol-
vesserò dopo dati i voti un tal uomo , parrebbouo ril.i-
aciarlo per non esser stato un ofTeusore del popolo : ma
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394 DELLE Antichità’ bomane
se proibivano di prosegniroe il giudieio , mostrerebbero
di donarlo a tanti che per lui supplicavano.
LXI. E qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi Sicinio il
tribuno, e disse: che. uè egli tradirebbe la libertà del
popolo , nè permetterebbe di buon grado che altri la
tradissero. Pertanto se i patiizj sottomettevano realmente
un tal uomo al giudizio del pòpolo , iàrebbe che su lui
si votasse, nè punto da ciò i si scosterebbe. ^ E; qui su-
bentrando Minucio replicava : Poiché- siete o tribuni
fermi in tutto eli dare il voto su quest’uomo; almeno
non lo accusale di altro che della offesa imputatagli.
K poiché lo dinunziaste reo di ambita tirannide di*
chiarate e convincete, ciò con gli argomenti t ma' non
vogliate .nè ricordare nè accusare le parole , le quali
10 incolpavate, di^ carer . detto in Senato.^ Imperocché
11 Senato lo dichiarava immune da que'sta colpa j e
sentenziò phe al popolo si. presentasse '..per le cause
convenute. E qui lesse la seuteoBa. E pò ,bn gli
altri più potati de’ tfibutii. .. . i. , .
. LXII. Ma- non eà' tosto' tocoù atMarciu-di perórare ,
combaciando da capo , numttò quante spedizioni mili-
tari avea sostenuto dalla prima età sua>per.^
blica , quante corone trionfali avea' riportate da saoi cc.^^
mandanti , quanti erano i nemici presi da lui prigionie-
ri , quanti li Cittadini salvati nelle battaglie. E ad ogni
dir suo mostrava i premj dati al suo valore, e ne prof*
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I
LIBRO VII. 395
feriva io testimonio I capitani , e ne chiamava a nome
i cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e
supplicando i cittadini a non uccidere , nè distruggere
come nemico chi era la causa della loro salvezza ; chie-
dendo la vita di un solo per quella di tanti , ed esi-
bendo in luogo di lui sestessi , perchè come più vo-
leano ne disponessero. Erano i più di loro del popolo »
anzi al popolo utilissimi. E preso il popolo da verecon-
dia all’ aspetto ed alle lagrime di tanti ne impietosi , e
ne pianse. Quando Marcio squarciandosi 1’ abito , mo-
strò pieno il petto , piene le altre membra di cicatrici ,
e dimandò se credeano poter esser le opere di un
uomo stesso salvare il popolo in guerra dà nemici, e
saU alo opprimerlo nella pace : e se chi fonda una
rannlde , caccia dalla città una porle del popolo, dal
(filale principalmente la tirannide si alimenta e cor-
rohora. E lui parlando ancora , tutti i più mansueti ,
e più umani del popolo esclamavano, che si rilasciasse:
e vergognavansi che stesse fio dal principio in giudizio
per simil cagione un uomo che avea tante volte spre-
giata la propria salvezza per quella di tutti. Ma tutti i
più invidiosi , tutti i più malevoli ai buoni , e più pronti
alle sedizioni , soffrivano di mai in cuore di avere a li-
berare un tal uomo : tuttavia non sapeano che più fare,
non apparendo in esso indizj nè di tirannide , nè di
ambizion di tirannide , e su ciò dovessi giudicare.
LXIII. Or ciò vedendo quel Decio che avea ragio-
nato in Senato , e procurato che si stendesse il decreto
per la causa , levatosi in piede fece silenzio e disse :
Poiché , o popolo , i patrizj hanno assoluto Marcio
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396
DELLE Antichità’ romane
dalle parole dette in Senato , e da fatti violenti e
superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato mezzi
onde accusarlo ; udite , non le parole , no , ma la
egregia cosa che questo valentuomo vi apparecchiava ;
uditene £ orgoglio , la sovverchieria , e conoscete qual
vostra legge , egli privatissimo uomo , violasse. Koi
tutti sapete che quante spoglie nemiche ci riesce di
acquistar col valore , tutte per legge son del comune, e
che niuno, nemmeno lo stesso capitano , non che un
privato , ne è £ arbitro ; sapete che il questore le
prende , le vende , e , fattone danaro , lo versa nel
pubblico erario. Or questa legge che niuno da che
Roma è Roma non solo non ha mai violato , ma
nemmeno ha ripreso come non buona ; questa già
firmala , invalsa , questa ha £ unico Marcio con-
culcata, appropriando le prede che erano del comune,
£ anno scaduto , e non prima. Imperocché essendo
noi scorsi su le terre degli Anziati , e pigliato aven-
dovi prigionieri , e bestiami , e frumenti , ed altro in
copia ; egli non depositò già tutto' nelle mani del
questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo
nel£ erario : ma divise in dono agli amici suoi per
cattivarseli, tutta la preda ; or questo io dico eh’ egli
è argomento certissimo di tirannide. E come no ?
Costui beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori,
li custodi della sua persona , li cooperatori della ti-
rannide. E vi affermo che questo fu come un abro-
gare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure
innanzi Marcio , e dimostri £ una o £ altra delle
due; omelie egli non compartì le belliche prede a’ suoi
%
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LIBBO VII.
%7
amici ; o che se bene ciò fece , non ruppe la legge.
Ma egli non potrà dire ninna di queste due cose.
Imperocché voi sapete ( una e V altra , la legge e
t opera : Nè mai potrete coll assolverlo , dar vista di
conoscere i diritti ed i giuramenti. Lascia o Marcio
le corone ed i premj , lascia le ferite ed ogni osten-
tazione , e rispondi a questo , su che li concedo ornai
che tu parli.
LXiy. Cagionò tale accusa grande mutazione; e li
più dolci, e più premurosi per I’ assoluzione di questo
uomo si rallentaron ciò udendo. E li più perfidi , quali
erano i più della plebe , deliberati allatto di perderlo ,
vi si ostinarono ancor più , per una occasione si gran-
de , e si- manifesta. EU’ era ben vera la distribuzion
della preda , non era però fatta per mal genio , nè in
vista di una tirannide , come Decio calunniava, ma solo
con fine benissimo , con quello cioè di riparare ai mali
della repubblica : perchè essendo allora il popolo di-
scorde ed alienato da’patrizj , i nemici dispregiandoli,
ne scorrevano e ne predavano di continuo le campagne.
E quante volle parve al Senato di spedire una forza che
li reprimesse , ninno usciva del popolo , anzi giubbilava
contemplando i casi d’ intorno , nè le forze dei patrizj ba-
stavano a contrapporsi. Or ciò vedendo Marcio promise ai
consoli, se lo creavano capitano, di portar su' nemici un’ar-
mata spontanea, e di pigliarne ben tosto vendetta. Ottenuto
Marcio il potere , congregò li clienti, gli amici , e quanti
voleano partecipare le sue fortune , e la sua gloria nelle
armi. E quando parvegli che si fosse raccolta milizia suf-
ficiente ; la menò su’ nemici che niente ne prevedeano.
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3 gS DELLE Antichità’ romane
Scorso in region doviziosissima , ed arbitro divenuto di
amplissima preda , permise alle sue milizie che tutta se
la dividessero , afUnchè li compagni dell’ impresa , rac-
coltone il frutto , andassero pronti anche agli altri ci-
menti : e quelli , che impigrivano in casa, considerando
da quanti beni , a’ quali poteano partecipare , gli allon-
tanasse la sedizione; divenissero più savj per le spedi-
zioni seguenti. Tale era su ciò la idea del valentuomo.
Ma la turba invida e tenebrosa , considerandone con
malvolere le operazioni, credette vedere in esse un pre-
dominio , nna largizione tirannica. Dond’ è che il Foro
si riempié di clamori e di tumulto : nè più Marcio , nè
il consolo , nè alcun altro sapeano che rispondere , riu-
scendo la incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poi-
ché dunque ninno più faceane le difese; i tribuni di-
spensarono alle tribù li suffragi , proponendo per pena
del delitto Y' esilio perpetuo , io credo perchè temevano,
che se proponevano la morte, non sarebbevi stato con-
dannato. Dato da tutti il voto , e numeratili , non vi fu
gran divario. Imperocché essendo allora ventuna le tribù
le quali ottennero il voto , nove si decisero per la li-
berazione di Marcio , tanto che se altre due vi si ag-
giungevano , sarebbe stato , còme ordina la legge , libe-
rato per la uguaglianza (i).
(i) Se le trìbCk erano at , e nove si dichiararono per Marcio:
dunque dodici lo condannarono; e però ire o non due altre trilnt
ci Toleano per uguagliare i Voli della condanna e dell’ assoluzione.
Forse Dionigi Tuoi dire che se la tribù condaunaTauo cd undici
assolvevano, l’efHcacia de’ voli era la stessa in guisa, che per uu
voto di più non cnndannavasi il reo, ma si rilasciava. Se ciò è,
nel lesto non vi è discordia , ma la voce dovrà tradursi
I
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LIBBO VII./ 3q9
I LXV. Fu questa la prima oitasione di un patrizio
al popolo per esserne giudicato : e d’ allora in poi fu
stabilito il costume che i tribuni chiamano chi lor piace
de’ cittadini a subire il giudizio del popolo. £ dopo tal
fatto ancora assai il popolo si elevò , decadendo nom-
tneno il potere de’ pochi , perché ne furono ridotti ad
ammettere > plebei nel Senato , a concedere che aspi-
rassero agli onori , a non vietare che prendessero i sa-
cerdozi , e a dividere con essi per forza e loro malgra-
do , o per provvidenza e saviezza , i tanti bei pregi ,
un tempo proprj solo de’ patrizj , come ne’ luoghi op-
portuni diremo. Del resto l’ uso di citare i cittadini pri-
mai'j al giudizio della moltitudine può somministrare ma-
teria ben ampia di discorso a chi vuol biasimarlo o lo-
darlo ; perciocché molli uomini probi ed egregj ne so-
stennero cose non degne della loro virtù , fatti inglòrio-
sameute uccidere e malvagiamente pe’ tribuni : e per
r opposito ne pagarono pnre la debita pena molti uomini
aiToganti e tirannici , astretti a dar conto del vivere e
procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor
buono le discussioni , e vi si reprimevano le esorbitanze
dei graudi , quella sembrava mirabilissima cosa, ed erano
da tulli lodata : ma quando a torto il merito vi si pro-
strava de’ valentuomini egregj nel governo del comune ;
sembrava orribilissima , e gli autori se he accusavano
non per la uguaglianza de' voti come abbiamo (allo ma per la effi-
cacia de’ voti. Sappiasi in fioe che talono de’ critici afferma che le
tribù allora erano 3i, e non 3i ; ma il Sigonio de civiiate Rom.
G. 3, ed Onofrio Vanvlno al c. 8 , sostengono che erano realmente
Tcntuna.
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4oo .DELLE Antichità’ romane
della coDsnetudtne. Esaminarono , evvero , più volte i
Romani se la dovessero annullare , o custodire come
r aveano ricevuta dagli antenati ; ma non diedero mai
fine all’ esame. E se pur io debbo dirne ciocché ne pen-
so, a me ne sembra la istituzione, se per sé si consi-
deri , vantaggiosa , anzi necessariissima a Roma ; esservi
però più o mcn bene riuscita , secondo il carattere dei
tribuni. Imperocché se scontravansi savj , giusti , e sol-
leciti del pubblico , più che del proprio lor bene , e se
chi offendeva la patria ne era , come dovea , castigato;
in tal caso un timor vivo frenava ancor gli altri dai fare
altrettanto. E 1’ uomo buono , 1’ uomo avvanzatosi eoo
cuore puro ai maneggi pubblici né subiva pene vergo-
gnose , né gìudizj , alieni dal procedere suo. Ma quando
aveansi il poter tribunizio nomini scellerati , intempe-
ranti , avari , succedeane tutto l’opposito. Tantoché non
dovessi rettificar come erronea la consuetudine , ma curar
piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza
che tanta autorità temerariamente si conferisse.
LXVI. Tali furono le cagioni , e tale il termine della
prima sedizione de* Romani dopo la espulsione dei re.
Io ne parlai lungamente , perché ninno si meravigli come
i patrizj permisero che il popolo si attribuisse tanto po-
tere , nè succedessero intanto come in alure città , gli
eccidj e le fughe degli ottimati.' Ciascuno brama cono-
scere delle insolite cose la cagione ; proporzionandosene
a questa la credibilità. Dond’è che io conclusi che non
sarei stato creduto in gran parte o in tutto , se io di-
ceva nudamente , e senza allegarne le cause* , che i pa-
trizj aveano ceduto ai plebei la primazia ; e che po-
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LIBRO VII. 4® *
lendo dominare come nei comando dei pochi, aveano
fenduto il popolo arbitro di affari gravissimi: e cosi
concludendo ; volli esprimerle tutte. E poiché ira loro
non si violentarono e necessitarono colle armi, ma coo-
cordaronsi colla persuasiva , giudicai portare il pregio
dell’ opera , che si esponessero soprattutto i discorsi te-
nuti allor dai primari ciascun dei partiti. E ben io
mi stupirei che taluni pensassero doversi i falli della
guerra descrivere minutissimamente , e taivoha consu-
massero tante parole intorno di una sola battaglia di-
cendo la natura de’ luoghi , la proprietà delle armi , la
forma delle ordinanae , le ammonizioni del capitano , e
tatti i motivi , quanti coadiuvarono la vittoria ; nè poi
credessero che narrando i movimenti, e le sedizioni ci-
vili sen dovessero insieme riferire i discorsi pe* quali si
operarono impensate e maravigliosissime imprese. Certa-'
mente se nel governo de’ Romani vi fu portento degno
di encomi, e della emulazione di tutti, fu questo a
parer mio , famosissimo più che i tanti , che pur vi fu-
rono stupendissimi , vuol dire che i plebei spregiando
i patrizi non si avventa sser su loro, uccidendone in co-
pia i più insigni , ed usurpandone i beni , e che quelli
che esercitavan le cariche non conquidessero di per
sestessi o co’ soccorsi di fuori tutto il popolo , rimanen-
dosene poi liberi da paure in città ; ma che a guisa di
fratelli co’ fratelli , e di figli co' padri in una savia fa-
miglia , la discorresser fra loro su’ diritti comuni , e finis-
sero le controversie col dialogo e colia persuasione, senza
permettersi gli nni contro degli altri azione alcuna inir
DtOSttGl, tomo //• iG
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4o2 delle Antichità’ romane
qua ed insanabile , come nelle loro sedizioni ne fecero
i Corciresi , come gli Argivi , i Milesj , e la Sicilia in-
tera , e tant’aliri. E jier queste cause io volli anzi esten-
derne che ristringerne la narrazione ; e ciascuno ne pensi
come glien pare.
. LXYII. Avuto allora il giudizio un tal esito , il po-
polo si parti con una vana ghiattauza; concependo aver
tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne an-
davano umiliati e mesti , ed incolpavano Valerio per
suggerimento del quale avevano rimessa al popolo la
sentenza. E quelli che riconducevano Marcio , impieto-
siti , ne sospiravano e ne lagrimavano : non però ve-
deasi Marcio né piangere , nè lamentare la sorte sua ,
nè dire o fare cosa qualunque , non degna de’ sublimi
suoi genj : anzi dimostrò più ancora la generosità e for-
tezza deir animo suo , quando giunto in casa ridevi la
moglie e la madre che aveansi squarciata la veste , e
pesto il petto , e gridavano , come sogliono in simili casi,
donne separate dai loro più cari per 1’ esilio , o per la
morte : niente invili tra le lagrime , niente tra’ clamori
delle donne. Ma dato loro un amplesso , le animava
a tollerar virilmente la disgrazia , raccomandando ad
esse i suoi figli. Grande era 1’ uno di dieci anni , ma
sosteneano l’ altro colle braccia ancora. E senza dare al-
tri pegni della sua benevolenza , e senza tor seco cioc-
ché bisognavagli per 1’ esilio , usci sollecitamente dalle
porte , non indicando a ninno , dove si trasferiva.
, LXVII. Venuto pochi giorni appresso il tempo de’co-
mizj , furono dal popolo scelti consoli Quinto Sulpicio
Camerino e Spurio Largio Flayo per la seconda vol-
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LIBRO VII. 4^3
ta (i). Turbarono quest’anno la città molti segni di ce-
lesti terrori. Imperocché apparvero a molti visioni inso-
lite , e voci si udirono senza niun che parlasse ; le ge-
nerazioni degli uomini e delle bestie assai scostandosi
dal naturale tendevano al mostruoso ed all’ incredibile:
e si udivano m più luoghi risonare gli oracoli , e donne
da divino furor sorprese annunziavano alla città lamen-
tevoli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un tal contagio
nella- moltitudine. Fece questo assai strage di bestiame ,
ma non molta fu la mortalità degli uomini , non esten-
dendosi il morbo più in là che a far dei malati. E chi
diceva succedere l’ infortunio per disegno de’ numi i quali
si vendicavano dell’essere espulso dalla patria il migliore
de’ cittadini ; e chi dicea che gli eventi non erano opera
divina , ma fortuiti , come tutte le vicende degli uomi-
ni. Poi si presentò , portatovi in una lettiga , un infer-
mo , chiamato Tito Latino di nome , vecchissimo d’anni,
fornito a sufficienza di beni , e che avea per lo più vi-
vuto nella campagna, lavorandola colie sue mani. Co-
stui venuto in Senato rivelò che avea tra il sonno ve-
duto Giove Capitolino che standogli a fronte, ua ,
disse ; fa intendere d tuoi cittadini che nelT ultima
pompa che mi celebrarono, non mi diedero un buon
capo per la danza. Pertanto mi ripetano , e compiano
un altra festa di nuovo , non avendo io accett ata la pri-
ma. Dicea costui che risvegliatosi non faeea verun caso
delia visione , ma teneala come una delle comuni ed il-
lusorie. Quando ecco infine gli si presentò nel sonno
(i) Anni di Roma a64 secondo Catone, *66 secondo Varrone, e
48iS av. Cristo.
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4o4 DELLE antichità’ ROMANE
la immagiue stessa , e bieca e sdegnata , che non avesse
annunziato i comandi al Senato , e minacciandolo , se
non gli annunziava immantinente che apprenderebbe
con grave suo danno a non trascurare gt IddJ. Que-
sta seconda visione, egli disse , che la riguardò come
la prima , vergognandosi di assumer rincarico , egli vec-
chio e lavoratore , di portare al Senato i sogni suoi ,
pieni di augnrio e di terrore , perchè non vi fosse de-
riso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo
figlio , senza malattia , e senza niuna causa sensibile fu
rapito da morte improvvisa. E ben tosto il simulacro
stesso del nome apparendogli nel sonno gli dichiarò che
egli area già colla perdita del figlio subita la pena
della sua trascuraggine , e del dispregio delle celesti
voci , ma che ben tosto ne subirebbe ancor altre. Udendo
tali cose disse che contentissimo ne accettava Uannun-
tio , Se avesse a morirsi , non più curando la vita: che
non gli diede il nume però questa pena , ma che gl'in-
ternò per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoffri-^
bili , non potendone movere parte alcuna senza tor-
mento estremo. E che allora infine comunicato ^evento
agli amici , venivane per consiglio loro al Senato. Pa-
t^a , ciò dicendo , che poco a poco si riavesse dal do-
lore. Alfine compiuto il discorso , usci di lettiga , ed in-
vocato il nume , ne andò per la città libero e sano in
sua casa.
LXIX. Il Senato ne fu spaventato ed attonito (i) ,
(i) Questo fatto è riportato aoclie da Livio. Cicerone Io allega
nel lib. I de Dininalione. Quanto è facile sognare con chi sogna l
Ma il Senato avea bisoguo d’ illudere un popolo superstiiiuso , e ne
secoudò li delirj . Per tali vie la verità si confonde , e si allouuna!
Digitizr- )y UoOgU
LIBRO VII.
nè sapeva inf]ovinare ciocché il nume signifìcasse , e
qual fosse nella festa antecedente il duce, de’ salti che
buono a lui non paresse. Àlfìne un tale , memore del-
r evento , lo disse ; e tutti se gli accordarono. Qr fu
r evento cosi : Un Romano non ignobile consegnando
un suo schiavo agli altri conservi perchè lo menassero
alla morte , ordinò per renderne più romorosa la pena,
che lo traessero , flagellandolo , pel Foro , e per tutti ,
quanti erano , i luoghi più insigni della città. Precedè
costui la festa che la città avea prescritto che si facesse
in quei tempi a tal nume. Coloro che lo spingevano al
supplizio slargandogli e legandogli ambedue le mani ad
un legno, postogli dietro il petto e diretto per le spalle
fino agli estremi delle braccia , lo seguivano , e lo bat-
tevano nudo co’ flagelli. Stretto costui da tale necessità
gridava e con sconce voci , quali il dolore gliele sug-
geriva, e tra salti indecenti, per le battiture. Or questo
giudicarono tutti che fosse il saltatore non buono indi-
cato dai nume.
LXX. E giacché sono a tal parte d’ istoria penso
non dover tralasciare i riti che nella festa si tengono
dai Romani: non perchè più bella ne sia la narrazione
per giunte teatrali e per fioriti discorsi , ma perchè sia
più credibile il proposito rilevantissimo , vuol dire , che
greche furono le colonie fondatrici di Roma , e venute
da famosissimi luoghi , e non barbare e non prive di
case , come alcuni hanno esposto. Imperocché nel fine
del primo libro, tessuto da me su la origine sua , pro-
misi convalidarla con mille forti argomenti di leggi, di
costumi , d' industrie che vi persistono ancora , quali si
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4o6 DELLE AWTICHITA’ ROMANE
ricevette dagli avi ; nè giudico che basti a chi scrive le
storie antiche de’ luoghi delioearle come degne di fede
perchè tali si odono da’ paesani , ma per l’ opposito
giudico che a renderle credibili abbisognino queste di
altri documenti invincibili , quali 'sono principalissima*
mente le cerimonie , ed il cullo usato in ognr città
verso i numi e i genj patrj. Certamente li Greci e li
barbari custodiscono queste gelosamente per lunghissimo
tempo frenati dalla riverenza de’ numi vendicatori. E
ciò fanno i barbari soprattutto per molte cagioni da
non essere qni ricordate. E ninno ha mai persuaso a
dimenticare o corrómpere alcuna delle divine cose gii
Egizj , i Lìbj , li Celti j gli Sciti , gl’ Indi # e general-
mente tutti i barbari , seppure caduti sotto il comando
di altri non furono necessitati ancora di volgersi ai riti
loro. Roma però non fu mai ridotta a tal sorte , anzi
essa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se traeva
da’ barbari l’origin sua, dovette pur da’barbari derivare s
le istituzioni nazionali, per le quali g[iunse a tanta for-
tuna : e quindi dovette astringere tutti i sudditi a ve-
nerare gl' Iddj con le forme Romane come niigliori. Se
dunque i Romani eran barbari , niente poteva ritardare
che barbara si rendesse tutta la Grecia che ornai da
sette generazioni ne porta il giogo.
LXXI. Alcuno forse crederà che bastino per segno
non piccolo delle pratiche antiche, quelle che ancor vi
si usano. Ma perchè altri noi prenda come insufhciente
per la opinione non giusta , che i Romani quando
vinser la Grecia , con piacere ne assunsero i costumi
come migliori , ripudiando i proprj ; ho deliberato aiv
_ 4
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LIBRO VII. .407
gomentar dal tempo quando essi non ci dominavano
ancora , nè avevano olire mare 1’ impero , valendomi
deir autorità di Quinto Fabio senza che altra me ne
bisogni. Imperocché antichissimo tra quanti scrissero le
cose ror.. .u. , ce le accredita -non solo perciò che ne
ha udito , ma perciò che ne ha veduto ancora. Il Se-
nato , come ho detto di sopra , aveva decretato quella
lesta , per adempiere il voto fattone da Aulo Postumio
dittatore , quando fu per combattere le città ribellatesi
de’Latini, che tentavano rimettere Tarquinio sul trono:
ed aveva decretato che si applicassero ogni anno pt*r li
sagriGcj e pe’ giuochi cinquecento mine di argento ; e
puntualmente ve le applicarono fino alla guerra con i
Cartaginesi. In questi sacri giorni si faceano molte cose
conformi alle greche usanze circa il concorso , 1’ acco-
glienza de’ forestieri , e le immunità, cose tutte > ben
difficili a descriversi. Le cose poi , che concernono la
pompa , i sagrifizj , ed i certami, erano come sieguono,
e ben da queste si possono argomentare , quali fossero
ancora , le tante cbe sen taciono.
LXXII. Prima cbe si desse principio ai giuochi , le
persone che aveano il potere più graude, avviavano dal
Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo
Massimo : e nella pompa eran primi i lor figli prossimi
alla pubertà : ma que’ garzoncelli che poteano per 1’ età
far parte della pompa ne andavano a cavallo se fossero
di equestre famiglia , o a piedi , se a piedi dovessero
mili^'U'e; e .quali nc andavano ad ale e caterve, e quali
a corpi ed ordinanze maggiori come per essere istruiti:
e ciò ptrcliò fosse visibile ai forestieri la gioventù Ro-
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4o8 DELLE Antichità’ romane
mana che era per giungere alla età militare , e quanto
ne fosse il numero^ e quanta la bellezza. Venivano ap-
presso loro i guidatori di quadrighe , di bighe, ed altri
che pompeggiavano su cavalli non aggiogati. Seguivano
quindi i combattitori di certami leggeri o gravi; e nudi
si vedevano, se non quanto velavano le parti del sesso.
E tal costume conservasi ancor tra' Romani come nei
prìncipi aveasi pure tra’ Greci , finché tra’ Greci vi fu
tolto dai Spartani: Perchè il primo che prese a nudarsi
il corpo e nudo corse ne’ giuochi Olimpici nella olim-
piade decimaquinta fu Acanto di Lacedemonia; laddove
innanzi lui vergognavansi i Gi'eci di avere tolto nudo
il corpo ne’ spettacoli , come certifica Omero scrittore
antichissimo e degnissimo più che tutti di fede, il quale
introduce gli eroi cinti da una zona. Quindi descrìvendo
il certame di Ajace e di Ulisse ne’ funebri onori di Pa-
troclo disse :
Sceser cimi di zona ambi alla pugna.
E ciò dichiara ancor più nell’ Odissea , narrando il pu-
gilato di Irò e di Ulisse in tal modo :
SI disse ; e tulli encomiaro Ulisse ,
E di una zona circondàndo i lombi ,
Gli ampi e voghi suoi femori scopria ,
' E nude Sen vedean le vaste spalle ,
, Nudo il petto t e le braccia.
Ed introducendo quel misero che non volea combattere,
ma ne temea ; scrive :
Cosi diceano : ad Irò il cor si scosse .• .
Cinserlo i proci di una zona , e tutto
Tremante lo sospinsero alla pugna.
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LIBRO VII.
409
Tal costume primitivo de’ Gred serbato fino ali’ ultimo
tempo dai Romani dimostra che questi non lo appresero
ultimamente da noi , anzi che non lo mutaron col
• tempo , come abbiamo noi fatto. Teneau dietro agli
atleti , cori di saltatori divisi in tre bande : erano i
primi adulti , imberbi gli altri , e giovani gli ultimi ;
venivano quindi sonatori che davan fiato a tibie di an-
tica forma , e picciole , come costumasi ancora , e cita-
redi che toccavan col plettro lire eburnee di sette corde,
ed altre ancora di più , barbiti nominati. DI questi era
mancato l’uso ne’ miei tempi tra’ Greci quantunque fosse
lor proprio : ma tra’ Romani conservasi In tutti i sagri-
fizj 'di antico rito. Erano 1’ apparato de’ saltatori pur-
puree toniche , cinte con metalliche fasce , e spade che
ne pendeano , ed aste anzi corte che giuste : vedeasi
negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi , e
pcnnacchj che P adornavano. Era di ogni coro il duce
un uomo il qual dava agli altri la forma del ballo ;
rappresentando moti marziali e vivi , con ritmo per lo
più proceleusmatico ( 1 ). Era greca antichissima pratica
anche quella di saltare colle armi e Pirrica si chiamava,
sia che Minerva cominciasse la prima dopo la disfatta
de’ Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici
trionfali per la vittoria ; sia che prima ancora fosse il
(i) Proceleusmatico cbiamaTasi no piè metrico di quattro sillabe
brevi : e quiudi si diceauo fttrfi i versi che
conteueano que' piedi. Forse furono cosi detti perché soleano pre-
mettersi, caulandoli , r»7r rttXtvrfitiTt vuol dire alle esortazioni
o comandi. Quindi il ritmo proceleusmatico ne’ balli dovrebbe
avere allusione a tali piedi o versi , ed esortazioni.
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4lÒ DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
rito Introdotto da’ Cureti , quando educando Giova vo-
leano carezzarlo col suono delle arme, e con lièti moti
e cadenze , come la favola narra. Omero più volte , e
principalmente nella foiDiazione dello' scudo che dice *
donato da Vulcano ad Achille, mostra l’ antichità • di
questo rito, e la nascita sua tra’ Greci. Imperocché rap-
presentando in esso due città , l' una ornata di pace
bella, e l’ altra straziata dalla guerra, delinea, com’era
naturale, la felicità di quella con feste, con matrimonj,
e conviti , e dice :
Faeton la danza i (Rovani , e frattanto
Vdiati il suon di tibie , e cetre ; e tutte ,
Meravigliando ai limitar di casa ,
Stavan le donne.
E di nuovo elogiando con vago ornamento nello scudo
un altro coro di giovani e di vergini Cretesi dice :
Aveaci espresso V inclito Vulcano
Un vario coro somigliante a quello
. Che Dedalo formò per Arianna ,
Che in si bei ricci avea la chioma attorta :
Qui giovinetti e ver^nelle vaghe.
Tenendosi per man , facean lor dama.
Ed esponendo 1’ ornamento di questo coro per dichia-
rare che i giovani saltavano colle arme , scrive '
E quelle 'avean vaghe ghirlande, e questi
Aurate spade a cinti argentei appese.
E parlando dei duci del salto loro , di quelli che da-
vano agli altri le prime mosse , dice :
. Il popolo prendea dolce diletto
Intorno al coro; e due de' saltatori
Clan cantando e danzando a tutti in mezzo ,
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• LIBRO VII. 4 * *
Nè solo potrem yedere la somiglianza co’ greci riti da
qnf*sie danze marziali ed ordinale , usate da' Romani
ne’sagrifìcj e nelle pompe, ma dalle danze ancora sati*
ricFie e derisorie. Dopo i cori armati vedeansi in mostra
cori imitatori de’ satiri , non dissimili dalla greca Sicin-
ne (i). L’abito in chi Vappresentava un Sileno erano
ispide vesti , chiamale da alcuni Cortee (2) ; e manti
con ogni varietà di fiori: in quelli poi che somigliavano
un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sui capo
criniere irte di lioni , e cose altrettali. Or questi beffa-
vano e contraffaceano serj moti , spargendovi del ridi-
colo : e gli andamenti de’ trionfi assai palesano che era
antico e proprio de’ Romani il motteggio e la satira.
Imperocché permettevasi u quelli che segui van la pompa
lanciar beffe e giambi so gli uomini più riguardevoli ,
c fino su’ comandanti ; siccome un tempo in Alene era^
permesso che nè lanciasser quelli che sul carro se^i-
tavau la pompa , e che ora cantan versi improvvisi. Eid
io ne’ funerali di personaggi cospicui , specialmente se
già fortunati , vidi tra le altre pompe cori in forma di
satiri che precedevano il feretro, e saltavano come nella
Sicinne. Che poi il gioco e la danza alla guisa de’ satiri
non fu ritrovamento de’ Liguri nè degli Umbri nè di
altri barbari , abitanti dell’ Italia , ma de’ Greci ; temo
di sembrare molesto , volendo a lungo convincere una
cosa della quale già si conviene. Dopo questi cori pas-
A
(1) Vossio scrive più cose intorno a qeeslo genere di saltasione
nel I. a c. 19. lusiiiul. Poei.
(a) Cortee proviene questa voce da ^cfTts r:hc siguitica Jìeno, er-
ba CC. ’
»
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4i2 delle Antichità’ roma??e
savano molti sonatori di tìbie e di cetere : e poi quelli
che portavano profumi di aromi e d’ Incensi , e quelli
che portavano lavori meravigliosi di oro e di argento
sia de’templi, sia del comune. Venivano In ukimo della
pompa recati su le spalle di nomini I simulacri divini
foggiati come quelli de’ Greci quanto alla forma , agli ,
abiti , al simboli ed al doni, secondo che que’ numi es-‘
sendooe stati I trovatori , gli aveano , ciascuno. , donati
ai mortali , nè solo v’ erano I simulacri di Giove , di
Giunone , di Minerva , di Nettuno , e degli altri che li
Greci contano tra I dodici numi (i); ma di altri più
antichi da’ quali la favola origina i dodici ; io dico i
simulacri di Saturno , di Rea , di Temide , di Làlona ,
delle Parche, di Miiemosine , in somma di lotti, quanti
hao templi , ed are fra i Greci , come quelli de’ numi
che favoleggiansi nati dopo che Giove ottenne l’impero,
vuol dire quelli di Proserpina , di Lucina, delle Ninfe,
delle Muse, delle Ore, delle Grazie, di Bacco, e quelli
de’ semidei, l’ anime de' quali spogliate de.l corporeo frale
diceansi andate in cielo, e goilervi onori simili ai divini,
cioè quelli di Ercole , di Esculapio, di Castore e Poi*
luce , di Elena , di Pane , e di altri mille. Se dunque
i fondatori di Roma eran barbari, e se v’istituiron tal
festa; com’era possibile mai che adorassero tutti I numi
e genj della Grecia , negligentando I propr) ? Almeno
mi si dimostri un altra gente non greca, la quale avesse
(i) Erodoto narra nel libro seconda che: i Greci derivarono que-
sti dodici Numi dagli Egiij. L’interprete di Apollonio scrive die
questi erano : Giove , Apollo , Mercurio , Nettuno , Marte, Vulcano,
Giunone, Diana, Pallade, Cerere, Venere, e Vesta.
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LIBRO VII.' 4*3
tali sante cose come nazionali ; ed allora si condanni la
mia dimostrazione come non buona. Terminata la pompa
facean sagri Gzio i consoli e que’ sacerdoti a’ quali spet-
tavasi, e la forma del santo rito era quale appunto tra
noi. Lavatesi le mani , lustrate le vittime con acqua
pura , sparsi i frutti di Cerere sul capo di esse , e poi
fatti de’ voti, comandavano infine ai loro ministri d’ im-
molarle. E quale di questi mentre la vittima era in
piede ancora ne percotea le tempia colla mazza , e
quale nel cadere la trafiggeva colle coltella. E poi scor-
ticandola c squartandola prendean le primizie di cia-
scuno de’ visceri e di ogni membro : e sparsele con fa-
rina di fiiTo , le portavano ne’ bacini a quelli che sa-
grilìcavano : e questi soprappostele all’ altare , le arde-^
vano, e spruzzavano intanto di vino. E poi facile in-
tendere dalle poesie di Omero essersi ciascuna di queste
cose fatta secondo le leggi istituite da’ Greci pe’sagrifizj:
perciocché descrive gli eroi che si lavan le mani ed
usano farina di farro con sale dicendo :
E lavaron le mani, e sparser farro :
E che ne tagliano i capelli e li gittano al foco in quei
detti :
Ma cominciando il santo rito getta
1 capelli sul foco ;
E li descrive che colpiscono colle mazze in fronte le
vittime , e che cadute le immolano come fa nel sagri-
fizio di Emeo.
Percotela , di quercia alzando un tronco ,
Cui rapido poi lascia ; e lascia insieme
Lo spirito la vittima , e qui gli altri
Miseria in inani , e ne arrostino . . .
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4l4 delle antichità’ romane
E descriveli che pigliano le primizie delle viscere , e
di altri membri , e le infarinano , e le bruciano su gli
altari: come fa nel sagri fì ciò medesimo.
E da ogni parie le primìzie piglia
Be’ membri tutù, e crudi ancor li copre
Di grasso , e di farina ; e dagli al foco .
Ora io so per averlo veduto , che i Romani osservano
ancora tali riti ne' loro sagrificj : e su questo argomento,
anche solo , mi rendei certo, clie i fondatori di Roma
non furono barbari , ma greci venuti da tutte le parti.
Ben può essere che alcuni baiiiari somiglino in pane
ai Greci nelle istituzioni de’ sagriliz) , e delle feste ; ma
che in tutto somiglino loro , ciò non è verisimile.
LXXIll. Mi resta ora di dir brevemente de’ giuochi
che faceano dopo la pompa. Era prima la corsa delie
quadrighe , delle bighe , e dei cavalli sciolti, come nei
giuochi Olimpiaci e Pitiaci de’ Greci in antico , e fiu
di presente. Ne’ certami equestri si conservano ancora
tra’ Romani due istituzioni antiche , come furono fon-
date in principio , quella cioè de’ carri a tre cavalli ,
la quale ora in Grecia è cessata ; sebben vi fosse an-
ticbissima e già ne’ tempi eroici ; introducendo Omero
de’ Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocché
essendo due cavalli congiunti come nelle bighe un terzo
accompagnavali contenuto e tratto colle redini , e chia-
mato parioron appunto dall’ esser più libero ; e non
come gli altri in biga. L’ altra cosa di cui restano an-
cor le vesiigie ne’ riti aniichi di alcune poche città di
Grecia è la corsa di quelli che anduvau su’ Carri ; pe-
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LIBRO VII.
roccliè finite le gare a cavallo , smontati dal carro quelli
clt e sedere presso del focolare in silensio era
un aulichissioia maniera di supplicare. Addita anche ciò Tucidide
nel t libro, discorrendo di Temistocle: e si vede un tal rito piò
chiaramente io Plutarco nella vita di Coriolano, appunto iu questo
luogo.
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LIBRO Vili. 7
le calamità che lo (lageilavaDO , e lo ìnchinaTano a ri-
correre perfino ai nemici , pregavalo ad avere idee miti
e benevole verso chi rivolgevasi a lui , non a tenerlo ,
mentre davaglisi nelle mani , come avvemrio , nè a
mostrar la sua forza contro gl' infelici e depressi , e ri*
flettere piuttosto quanto istabili fossero le sorti degli
uomini. £ ciò puoi , disse , apprendere principidmente
da me , che già potentissimo fra tutti in città grandis-
sima, ora derelitto, infelice , bandito , senza patria,
debbo correr la sorte che vuoi tu destinarmi. Io , se
tu amico me ne rendi , io ti prometto far tanto bene
ai Volsci , quanto male ad essi cagionai , mentre ne
era nemico. Ala se prevedi tuU' altro di me , siegui
r ira tua , dammi in sulC atto la morte , immolando
colle stesse tue mani il supplichevole tuo , presso a’
tuoi focolari.
IL Or lui cosi dicendo , Tulio gli stese la destra , e
sollevandolo , animavaio a confidare ; perocché non sof^
frirebbe cose indegne della sua virtù : professavasi in-
sieme obbligatissimo che avesse ricorso a lui, per essere
questa non picciola significazione di onore : promise
che renderebbegli amici tutti i Volsci , cominciando
dalla patria sua , nè mentite ne furono le parole. Dopo
non molto tempo deliberandone da solo a solo, Marcio
e Tulio, conchiuscro di movere la guerra, Tulio, con-
centrando tutte le forze de' Volsci, voleva marciare im-
mantinente su Roma, mentre era agitata ancora dalla
sedizione , e sotto consoli imbelli. Marcio in opposito
pensava che vi abbisognasse prima un titolo onesto e
giusto di guerra ; dicendo che gl’ Iddj mcschiavansi a
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8 DELLE antichità’ ROMANE
tulle le cose , e panico Urmenle a quelle della guerra
quanto sono più rilevanti , ed oscure nell’ esito. Aveaci
allora tra’ Volsci e tra' Romani sospension d’arme, e
tregua ed amicizia , conchiusa poco innanzi per due
anni. Se tnovi , disse , inconsideratamente e precipito-
samente la guerra , tu sarai colpevole di aver rotti gli
accordi, nè te ne avrai propizj gVIddj ; ma se aspetti
che i Eomani ciò facciano ; si giudicherà che tu ri-
sospingali, e protegga la confederazione che violano.
Ben ho io con assai provvidenza trovato come ciò fac-
ciasi , e come essi i primi volgansi alle arme , e noi
siam giudicati et imprendere una guerra giusta e san-
ta. Bisogna che per maneggio nostro essi i primi of-
fendano il giusto : e tale è questo maneggio che io
finora ho celato profondamente , aspettandone il tem-
po , e che ora di necessità , sollecitissimo , ti svelo ,
procurandone tu la esecuzione. Debbono i Romani
far sagrifizj e giuochi assai sontuosi e magnifici, e
molti accorreranno di fuori agli spettacoli. Attendi la
occasione, ed accorri tu pure a tanto apparato , dando
opera insieme, che vi accorra , il più che per te si possa
de’ Volsci. Come tu sia in città , fa che alcuno degli
intimi tuoi vadane ai consoli , e dica loro secretissi-
mamente , che i Volsci tra la notte assaliranno Ro-
ma , e che perciò vengono in tanta moltitudine. Tu
ben sai quanto apprezzeranno la nuova : vi cacceran
senza indugio da Roma , e vi porgeranno un titolo
giusto di risentimento.
HI. Esultò Tulio meravigliosamente , ciò udendo : e
differito il tempo d’ imprendere ; diedesi ad apparec-
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I
LIBRO Vili. g
chiare la gnerra. Approssimatisi poi gli spettacoli, ed
essendo già consoli Giulio e' Pinario ; am>rsevi da tutte
le città la gioventà più florida dei Yolsei , come Tulio
bramava. La maggior parte non avendo ricetto ndle
case e pre»o degli ospiti , presero alloggio in sacri e
pubblici luoghi; e quando giravansi per le strade, ne
andavano a crocchi e moltitudini : tantoché già su loro
in città si faceauo discorsi e sospetti non buoni. In que-
sto mezzo venne ai consoli un delatore apparecchiato
da Tulio , come avea Marcio suggerito : e quasi avesse
a svelare a' nemici una pratirà arcana in danno degli
amici suoi , strinse ’i consoli a giurare di salvar lui ,
né mai dire ad alcuno de’ Yolsei chi avesse ciò pale-
sato, e poi dinuneiò gli assalti mentiti. Parve ai con-
soli vero il racconto , e ben tosto invitati i senatori ad
uno ad uno , si congregarono. Presentatovi il delatore ,
ed avutene le eguali promesse , replicò la dinunzia me-
desima. Coloro a’ quali parea già cosa piena di sospetto
che venuta fosse agii spettacoli tanta gioventù di una
sola nazione nemica , assai più ne temerono , aggiun-
gendovisi ora una dinunzia della quale ignoravano la
frodolenza. Parve a tutti che si cacciasser di città quei
forestieri prima che il di tramontasse con bando di
morte a chi non ubbidisse; e che li consoli invigilas-
sero sicché tranquilla ne fosse la uscita , e senza offese.
lY. Decretato ciò dal Senato , altri scorrendo le strade
intimavano ai Yolsei di partire immantinente tutti per
la porta detta Capena , ed altri con i consoli li scor-
tavano , mentre partivano. Or qui più che altrove si
conobbe quanta mai fosse , e quanta vigorosa quella
I
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IO DELLE AJ^TICHITA’ ROMANE
moltiiadine ; uscendo In un tempo tutu per una porU.
Usci sollecitissimo Tulio prima che tutti , e prese non
lungi da Roma un tal posto , dove raccogliere gli altri
che seguitavano. E quando tutti furono giunti , convo>
catane l' adunanza , assai v’ incolpò li Romani , dichia>
rando grave ed indicibile 1’ affronto de* Volsci , unici ad
essere espulsi fra tanti forestieri : ed eccitandoli tulli
perchè ciascuno lo raccontasse in sua patria , e vi trat-
tassero le maniere di vendicarsene e reprimere per l’av-
venire tanta insolenza ne’ Romani. Cosi dicendo ed in-
fiammandoli , dolenti già per 1’ oltraggio , sciolse 1’ u-
dienza. Ricondottisi in patria , ridissero ciascuno ai
compagni la ingiuria , esaggerandola , unto che ne fu-
rono tutti esacerbali , nè poleano rattemperarne lo sde-
gno. E spedendo una città all’ altra degli ambasciadori ,
chiesero un congresso generale , per concordarvisi in-
torno la guerra. Succedeva tutto ciò per briga di Tulio
principalmente. Cosi li magistrati di tutte le città , e
moltitudine grande ancora di altri adunaronsi nella città
di Eccetra , ripuUU la più acconcia per congregarvisi.
Dettevi assai cose dai capi di ogni città , si dispensa-
rono i voli finalmente , e prevalse il partito di mover
la guerra , avendo primi i Romani conculcato gli ac-
cordi.
Y. E qui proponendo i magistrati varj che si discu-
tesse la maniera di fare la guerra, presentatosi Tulio
consigliò che si chiamasse Marcio , e da lui si udissero
i metodi di abbattere la potenza Romana ; giacché ninno
più di lui conoscea da qual lato questa fosse inferma ,
e da quale vigorosa. Il consiglio piacque e tutti cscla-
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LIBRO Vili. I I
tnarono che si chiamasse immantinente il valentuomo.
Marcio ottenuta l’ occasion che volea , presentatosi mesto
e piangente (i) soprastette alcun tempo e poi disse: Se
10 vedessi che tutti pensaste ad un modo su la mia
disgrazia , giudicherei non essere necessario difender-
mene. Ma considerando che Ira indoli tante e varie ev-
vene forse alcuna che forma concetti né veri nè degni
sopra di me , quasi il popolo m' abbia per cagioni so-
lide e giuste espulso di patria ; debbo innanzi tutto
dir qui tra voi circa il mio esigilo. E voi che ben
sapete P infortunio che io m’ ho da' nemici , e come
indegnamente io sia perseguitalo dalla sorte, voi,
mentre qui lo espongo, contenetevi, prego, nè vogliate
desiderare d intendere ciocché dee farsi , prima che ne
abbiate compreso chi sia che i^i consiglia. Breve ne
sarà il discorso quantunque pigliato dalle origini. Era
11 governo Romano da principio un tal misto del co-
mando di un solo e dei pochi ; fnchè Tarquinio ,
r ultimo de' monarchi , tentò volgerlo tutto in tiran-
nide. Adunque i capi nel comando de’ pochi insorgen-
done , lo espulsero : e subentrando essi al maneggio
del pubblico , basai orto una reggenza più savia per
confessione di tutti , e più buona. Ma da ora in die-
tro non più che Ire o quattf anni , i più miseri , e li
più oziosi de' cittadini , dandosi capi scelerati, ne co-
perser d ingiurie ; tentando infine di abbattere l' au-
lì] Queste lagrime forse le TÌile più Io storico che Marcio. It
contegno Ji >{uesto valoroso era stalo hen altro coi tribuni e col
popolo «li Roma come apparisce dal libro antecclcnte j e 'come può
coucloJersi dal $ del presente.
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12 DELLE Antichità’ romane
/oriUÌ de pochi. I capi del Senato ne incollerirono
tutti , e cercarono come reprimere la insolenza de' ri-
voltosi. Di mezzo a c/uegli ottimati udppio C uno dei
seniori , degnissimo di lode per tanti titoli , ed io
V uno de’ giovani , parlammo sempre liberissimamente
non per combattere il popolo , ma perchè sospetta ci
era la prepotenza de' ribaldi; non per rendere schiavo
niuno , ma per garantire a tutti la libertà , come ai
migliori il comando sul pubblico.
VI. Or ciò vedendo que’ tristissimi capipopolo vol-
lero in priruipio tor di mezzo noi franchissimi oppo-
sitori : e gittarono le mani , non già su tutti due in
un tempo perchè il fatto non fosse grave troppo ed
esoso , ma su me primieramente che era il più gio-
vane , e men dijfcile da opprimere. Cosi tentarono di
perdere me prima senz' (uUorità di giudizio , e poi
mi chiesero dal Senato per la morte. Ala venuti lor
meno ambedue que tentativi ; mi citarono ad un giu-
dizio ( ed essi aveano ad esserne i giudici ) per in-
colpazioni di bramala tirannide ; nè videro che rùun
tiranno tenendosela co’ pochi combatte il popolo , e
che piuttosto egli col popolo conquide il partito più
valido nella città. Un giudizio mi destinarono non
per centurie , com’ era C uso della patria, ma un giu-
dizio come tutti consentono , iniquissimo , e, la prima
e f unica volta , su me praticato , un giudizio dove i
merccnarj , li vagabondi , e quanti insidiano gli averi
altrui , preponderavano su' boni che voleano salvi i
diritti ed il pubblico. E tante erano in me le ragioni
per non esserne condannato , che sottomesso ai giu-
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LIBRO Vili. 1.3
ditj di una turba , odiatrice in gran parte de' buoni ,
e però mia nemica^ non fui sopraffatto che per due
voti: sebbene i tribuni divulgassero che assai sareb-
bero disonorali nel loro comando , e patirebbono da
me l estremo de mali se io fossi assoluto , ed insi^
stessero intanto contro me con tutto F ardore e la
sollecitudine nella causa. Così malmenato damici cit^
ladini , reputai che più non sarebbe vita la mia , se
non prendessi di loro vendetta. Quindi sebbene il
potessi, ricusai vivere senza cure, o tra’ parenti nelle
città de’ Latini , o nelle colonie fondale di recente
dà miei maggiori : e tra voi mi ricorsi , che io ben
sapeva essere tanto -offesi da’ Romani e nemicissimi
loro , per farne con voi quanto -potessi le vendette
colle parole, se le parole vi bisognavano ; o colle
opere, se le opere. Intanto io vi rendo amplissime
grazie ; perchè mi avete voi ricevuto , e perchè mi date
tali significazioni di onore , niente ricordando , nò
contando i mali che un tempo voi rtemici miei, avete
da me sostenuto fra le arme.
VU. Or dite , e qual genio sarei io mai se spo-
gliato da uomini per me beneficati , della riputazione
e degli onori quali tra miei mi si competevano, e
privato della patria , della famiglia , degli amici , dei
numi patemi , delle tombe avite e di ogni altro bene;
se ritrovate tra voi tutte queste cose per le quali già
in grazia ài essi v infestai colia guerra ; ora terribile
non mi dimostrassi con quelli che nemici mi furono
in luogo di cittadini, e propizio agli altri che amici
mi si rerìdono di nemici ? Io sicuramente non terrei
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i4 nF.LLE Antichità’ romanf
nemmeno per uomo chiunque nè ax>esse nitnicizia per
chicli fa guerra, nè benevolenza per chi lo ha salitilo :■
non iilitno mia patria una città che mi ha ripntliato,
ma quella , dove sehben forestiero divengovi cittadino :
nè già reputo amica la terra ove sono oltraggiato , ma
quella ove trovo la sicurezza. E se Dio ne porga il
favor suo , e voi pronta , com’ è giusto , C opera vo-
stra ; seguiranno , spero , grandi e subiti cambiamenti,
foi ben sapete che i Romani cimentatisi con tanti
nemici non han temuto niun più che voi ; e che niente
cercati più attenti quanto indebolire Ya vostra nazione.
E pigliandole colle arme , e devUmdovele colle spe-
ranze di amicizia , ritengonsi le vostre città per que-
sto, appunto , perchè unendovi tutti in un corpo non
portiate su loro la guerra. Se voi dunque a vicenda
persevererete procurando il contrario ; e se avrete co-
me ora , tutti un animo per la guerra ; Jacìlmente
abbcUterete la loro potenza.
Vili. E poiché ricercale il parer mio sul modo di
entrate in campo e dirigervi, sia per attestato della
esperienza mia , sia della vostra benevolenza , sia per
[ uno e { altro ; io dirò tutto , e senza velo. Primie-
ramente vi esorto a vedere che vi abbiate una causa
religiosa e giusta di guerra. E come religiosa, come
giusta , come utile insieme ve l’ abbiate ( in udite. Pic-
ciolo , sterile , aveano da principio i Romani il lor
territorio , ma vasto , e buono è quel che vi aggiun-
seio , togliendolo a’ vicini ; e se ciascuno dei derubati
tipela il suo, tiiutia città diverrà quanto Roma pic-
ciola , debole , bisognosa. Or io penso che voi doi-
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LIBRO Vili. 1 5
Hate i primi cominciare. Spedite ambasciadori che
richiedano le vostre città , quante ne tengono , e che
intimino loro di abbandonare , quanto han fabbricato
per le vostre campagne , e li premano a rendervi ,
quanto si hanno di vostro appropriato colle armi: nè
vogliate prima che vi rispondano , romper la guerra.
Cosi facendo otterrete V una o t altra delle cose che
più bramate. Vuol dire , o ricupererete le cose vostre,
senza pericoli e spese ; o rinvenuto avrete il titolo
onesto e giusto di prender le arme : giacché tutti
confesseran per bellissima la condotta di non chieder
r altrui , ma il proprio; e di combattere in fine se
non ottengasi. Or su , qual cosa pensate , faranno i
Eomani a tali vostre proposte ? che renderanno forse
le vosUe regioni ? ma qual cosa impedirebbe più mai
che lasciasser tutto t altrui? se verrebbero poi gli
Equi e gli Albani , se i Tirreni e tanti altri a ripe-
tere ognun le sue terre. O pensate che riterranno le
vostre cose , nè vorranno affatto la giustizia ? Così
appunto io ne penso. Voi dunque protestandovi , i
primi , offesi da loro; e volgervi per sola necessità
alla guerra ; avrete compagni , quanti spogliati de’ beni
hanno fin qui disperalo ricuperarli altrimenti , che
per le arme. Bellissima è poi la occasione, e di cui
non avrete mai più la simile per andar su Bomani ,
preparata fuori di ogni speranza dalla sorte propizia
agli offesi; perciocché li Romani, discordi e sospetti
fra loro a vicenda, nemmeno luin capi idonei per la
guerra. E questo è quanto io poteva suggerire e rac-
comandar con parole agli amici, detto lutto con cuor
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l6 DELLE ANTICUITa’ ROMANE
sincero e benevolo : quanto poi si dovrà provvedere e
compier colle opere, lasciate che i duci deli armata
lo curino. RispeUo a me son per voi , comunque di
me disponiate; e mi sforzerò di non riuscirvi U pm
ignobile sia de’ soldati sia de’ centurioni , sia de' ca-
pitani. Spendetemi dove pià vi son uUle , e tenetevi
cerio, che io, che già contro voi guerreggiando, tanto
vi ho danneggiato; ora, per voi combattendo altret-
tanto vi gioverò.
IX. Marcio cosi disse , e U Volsci , menlre parlata
ancora , davan segno di gradirne i discorsi : ma poi che
ucque , miti a gran voce allesUrono che benissimo
consigliava ; e senza concedere che altri più disputasse,
ratificarono il parer suo. Quindi stesone il decreto, e
scelti immantinente i personaggi più riguardevoli di ogni
cillA , gl’ inviarono ambasciadori a Roma : dichiararono
Marcio membro de’ consigli in ogni città, e lo auumz-
zarono a conseguire in ciascuna le magistrature e gli
onori più grandi che vi erano. Per altro anche innanzi
le risposte de’ Romani , si diedero agli apparecchi di
guerra. E quanti erano ancora disaaimali per le perdite
nelle battaglie antecedenti , tutù si rincorarono quasi
fossero per abbattere la potenza Romana. Gli oratori
spediti a Roma , presentali al Senato , dissero , che sa-
rebbe a’ FoLsci carissimo cessare le controversie coi
Romani , e viverne da ora innanzi alleati ed amici
senz artifici ed inganni : e dichiarano che stabile sarà
questa fede e quest' amicizia , se riabbiano le terre e
le città che furono tolta loro da’ Romani : laddove in
altro modo nò pace mai vi sarà , né amicizia coslan-
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LIBRO Vili. 1-j
te ; giacché V offeso è naturalmente in guerra perpe-
tua colf offensore. Cliiecleaao pertanto di non essere
colla esclusione delle giuste dimcuide necessitati alla
guerra.
X. Detto dò , fecero i padri ritirar gli oratori , e
consullaron fra loro. E cónchiusa la risposta ^ li riobia>
maroQO in Senato , e dissero : Conosciamo o Fólsci
che voi non f amicizia cercate ; ma pretesti splendidi
di guerra : perocché ben vedete che mai vi saran
concedute le dimande , per le quali venite , indegne ,
inammissibili. Se voi date ci aveste da voi stessi e
pentitine' poi ci raddomandaste le vostre terre ; non
sareste affatto oltraggiati , non riavendole. Ora però
voi oltraggiate noi , pretendendo ciocché è degli altri:
giacché non eravate voi gli arbitri delle terre , se la
légge delle armi ve le toglieva. ^ noi teniam per
giustissimo quanto possediamo . per le vittorie : nè
primi noi abbiamo fondata questa legge , nè la cre-
diamo degli uomini , anziché degli Dei. E se i Greci,
se i barbari tutti se ne valgono ; noi non tlaremo già
in ciò segrà di debolezza , nè renderemo punto delle
nostre conquiste. Imperocché ben sarebbe vituperosis-
sima cosa lasciarsi per timore e per stoltezza rito-
gliere ciò che per senno e per nuignanimità si pos-
siede. Noi nè a combattere vi necessitiamo , se non
volete ; nè se volete , ve ne ritiriamo. La rispingere-
mo , se ce la incominciate , la guerra. Riportate ai
Folsci queste risposte, e dite, che se pigliano essi
i primi le arme , noi gli ultimi lo deporremo,
Diomai , tomo ut. *
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l8 DELLE Antichità’ romane
XI. Prese qpeste risposle Je riferirono gli tmibascia*
dori al Comune de* Volaci. E convocato di bel nuovo
U Consiglio, si concbiuse in fine d’ intimare a nome di
tutta la nazione la guerra ai Romani. Quindi scelsero
Tulio e Marcio con assoluto potere capitani di tutta 1’ ar-
mata, e decretarono che si ascrivesser milizie , si con-
tribuisser danari, c si facessero altri apparecchi, quanti
ne vedean necessarj per la impresa. 'E già essendo per
isciogliersi l’ adunanza ; Mar*.io levatosi in piè disse e
Bonissimo è quanto si è qui decretato dal vostro Co-
mune ; e facciasi pur tutto a suo tempo. Intanto però
che qui scrivonsi le milizie , e preparansi le altre cose
che dimandano cura e tempo ; io e Tulio ci porremo
in su r opera.. Seguite noi, quanti volete , saccheg-
giando le campagne nemiche , partecipare a gran prede.
Io vi prometto , se il del ne ajuta , molti e grandi
vantaggi. Li Romani non sonasi ancora apparecchiati,
vedendo che noi non abbiamo riunito le forze; sicché
potremo senza paura scorrere a nostro bell agio tutte
le loro campagne,^
XII. Accettato da’ Volsci anche questo partito, j duci
uscirono immantinente , e prima che in Roma se- ne
sapesse , con molta soldatesca volontaria. Tulio si gettò
con parte di essa nel territorio latino per impedire i
soccorsi che di là ne andrebbero al nemici , e Marcio
guidò le altre aUe campagne di Roma. 11 male giunse
improvviso a quelli che vi erano ; e . caddero in poter
de' nemici molti ingenui Romani e molti schiavi; e
bovi e giumenti’, ed altro bestiame non poco. Quanto
era derelitto di grano , di ferramenti , o di altro onde
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V
LIBRO Vili. 1 9
la terra cohirasi , tutto fu predato , o disfatto. Dii uU
timo recando 'fino il fuoco , lo gettarono i Volscl pe’ca»
sali ; tanto che quelli che ne furono spogliati , non po3 secondo Varrone c
486 aranii Cristo.
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LIBRO Vili. 3 3
perocché ne andarono ai Volsci appena si ebbe la guep.
ra , e concordarono , e giurarono T alleanza. Or questi
spedirono a Marcio la milizia più numerosa e più riso-
lutai. Dato da questi un principio , molti altri ancora
favorivano occultamente i Volsci ; mandando loro dei
sussidi non però per decreto o pubblica approvazione.
E se taluno de’ loro voleva a quelli coogiungersi', 've
gl’ incitavano , non che gl’ impedissero. Dond’ è che i
Volsci accozzarono in breve tempo tanta milizia, quanta
mai più per addietro , nemmen quando le loro città più
6orìvano. Marcio che ne era il duce la gittò di bel nuovo
su le campagne di Roma ; e tenendovisi molti giorni ,
devastò quanto crasi lasciato nella prima incursione. Non
prése però questa volta prigionieri molti ingenui uo-
mini , giacché, raccolte le cose più pregévoli, «ransl
questi ritirati^ in Roma o ne’ castelli più vicini , e me-
glio fortiGcalj. Ma depredò il bestiame che non arcano
potpto ridurre altrove , e gli uomini che lo pasturavano,
come il grano tenuto ancora nelle aje ed altri prodotti
che raccoglie vanSi o che erano già pe’ grana). Cosi de-
rubata 6' guastata ogni cosa , non osando alcuno di
conlrapporglisi, riportò nuovamente in patria 1’ esercito ,
carico di grandi acquisti, e quindi lento in sua marcia.
XVII. I Volsci veduto'!’ ampio guadagno, e convin-
tisi dell’ abbattimento de’ Romani , che predatori già
delle robbe altrui , miravano ora devastarsi impunemente
le proprie; ne imbaldanzirono soprammodo, e conce-
pirono pur la speranza di dominare , quasi fosse per
loro facilissima e vicinissima cosa annientare il potere
degli avversar]. Adunque facaano agl’ Iddj sacriBzj di
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a 4 DELLE Antichità’ romane
nngrauamento , oraavapo i templi ed i pubblici fori
di spoglie che dedicavano. E tutti iu feste, in sollazzi,
ammiravano e celebravano Marcio , qual uomo ipsignit-
■ aimo fra gli altri nella guerra , e qual duce cui ntun
pareggiava non Romano, non Greco, non barbaro cajii-
tano. . Soprattutto lo felicitavano della sua prosperità ;
vedendo che quanto intraprendeva , riuscivagji tutto
speditissimamenle , secondo i disegni. Tanto che ninn
v’era di età militare il qual, volesse non esser con lui;
ma spiccavansi, e venivano da tutte le città per aver
parte nelle sue gesta . Il duce , corroborato ]’ ardore dei
Volici , e depresso il coor de’ nemici , e ridottolo ad
irrisolutezza indegna de’ valentuomini , marciò coll’ e-
sereito contro le città che alleate di essi teneansi ajncora
fedeli:. ed avendo ben tosto apparecchiato quanto ricer-
cavasi per gli assedj , piombò su’ Tolerini , gente del
, Lazio. I Tolerini , preparatisi molto prima per la gueiv
ra , e portalo in dllà , quanto^ bisognavacl della cam-
pagna , ne scontraron l’ assalto. Ben resisterono alcup
tempo , combattendo e ferendo ip copia i nemici, dalle
mura , ma risospinti è travagliati poi fino a sera dai
feombolierì , le abbandonarono in gran parte. Marcio ,
compreso ciò , diede ordine ad altri che applicasser le
scalchila parte derelitta del ricinto: ed egli ne àndò
col fior de’ bravi alle porte ; sebbene infestato cogli
strali dalle torri : e là ^^zzali *i serragli , il primo si
mise in città: ma perciocché si era disposta alle porte
una schiera folla e poderosa di nemici; questi lo rice-
verono virilmente ; disputandogli lungo tempo intrepidi
r intento , finché perdutine molti , dieder volta , e sban-
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LIBRO Vili. 2 5
duiì fuj^ronsi jier le vie. Gl* insegoi Marno , acciden-
(Ione c|uanli ne sopraggiangeva ; se 'gettate le anni non
volgeansi alle preghiera. lolanto gli asc^i per le scale
impadronironsi delle mura. Cosi la città fu presa , e Mar-
cio separò dalle prede quanto era donativo pe' numi , o
decorazione per le città de’ Yolsci , abbandonando il re-
sto a’ soldati, Aveanci nell’acquisto uomini , danari , grani;
tanto cUe non riuKl facil cosa a vincitori tor via tutto
in un giorno. Adunque menandoselo , o trasportandolo
successivamente di per seslessi , assalto , prese ad investirne in gran parte
le mura. I Bolani , aspettatane 1’ ora conveniente , spa-
lancano le mura ; e sboccandone in numero , a schiera,
e con ordine ; si avventano su quelli che stavano a fronte:
ed uccisone molti , e più antera feritine , e ridotti gli
altri a turpissima fuga , cioulraron le mura. Marcio , che
non era presente al sito dell’ inforinnio , conosciuta la fuga
de Volsci accorse di tutta fretta con pochi : e raccogliendo
quei che vagavan dispersi , li ticongiun^ e rìaoimò : poi
riordinatili, e- dimostrato ciocch’ era da fare; comandò
loro di attaccar la città verso le porte appunto. Ricor-
sero i Bedani a’ tentativi medesimi , emergendo in gran
mollitudine dalie porte. Non gli aspettarono i Volsci,
ma ripiegandosi fuggirono giù pel declivio come il duce
avea già suggerito. Non videro i Bolani l’ inganno , e
26 DELLE Antichità’ romane
tnoltissime li seguitarono : quando slontanatisi già dalle
mura ; Marcio che avea seco il fiore de’ giovani , diede
su loro : e qui molta ne fu la uccisione ; fuggissero o
resistessero. Seguitando poi li respinti fino alle porte , li
prevenne; internandovisi a 'forza, prima che si richiu-
dessero. Impadronito^si il duce appeua delle porte ; ecco
giugnere altra moltitudine di Volaci. Li Bolani abban-
donate le mura , rìpararonsi nelle case. Divenuto in tal
modo r arbitro anche di questa città , concedette a’ sol-
dati di farne schiavi gli uomini , e di porne a sacco le
robe. E trasportatane , come altre volte , successivamen-
te, a grand’ agio , tutta la preda , abbandonò la città
finalmente alle fiamme.
XIX. Pigliando quindi 1’ esercite , ne andò su’ Labi-
càni. Eran questi, come altri , 'Colonia già degli Albani,
ma popolo allora ancb’ esso dei Latini. Or egli per at-
terrirli fin denti*o le mura , sparse , giuntovi appena ,
su’Joro campi il fuoco, principalmente in quelli donde
era .per essere più visibile. Ma i Labicani , avendo ben
fortificate le mora nè sbigottirono p?r 1’ arrivo di lui ,
nè diedero segno alcuno di debolezza : ma si opposero
e pugnarono generosamente; trabalzandoli piùjvolte fin
da sopra le mura. Non però resisterono ' con successo;
combattendo pochi contro di molli , e senza requie mai,
nemmen picciolissima i giacché 'frequenti erano intorno
la città gli assalti successivi de’ Volsci ; ritirandosene via
via gli stanchi , e cimentandosi altri l'ecpnti. Adunque
data per un intero giorno battaglia, nè fattasi pausa
«emmen su la notte-, furono dalla stanchezza astretti a
lasciare in fine le mura. Marcio, espugnatele, ne rendè
é
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Lir.RO vili. 27
schiavi li cittadini , e dté tutto in preda a’ soldati. Di là
trasferendo 1’ esèrcito io ordinanza contro la città' de’ Pe-
dani , Latina anch’ essa di popolo , la pigliò di forza ,
giuntovi appena. E trattatala come le' altre già prese ,
levandone in su 1’ alba le truppe , le menò béntotfto sa
Corbione. Ma nell' approssirharvisi gli abitanti 1’ apersero,
ed uscirongli incontro , presentando simboli di pace , e
la ' resa loro senza combattcrè. Ed egli , encomiatili come
savj nel provvedere a séslessi , comandò che gli portas-
sero grano ed argento , come l’ esercito ne bisognava ; e
ricevuto tutto secondo i comandi , marciò co* snoi con-
tro Coriolo. Gederonò gli abitanti pur questa senza re-
sistenza ; ma perciocché con pienissima propensione sup-
plirono viveri, danari, e quanto Kn chiese , nè ritirò
1* armata ; come su territorio àmico. E per fermo ; egli
procurava! con ogni sollecitudine che quelli che si ren-
devano non subissero i mali causati dalla guerra ; ma
riacquistassero, intatte le loro terre , e li bestiami , e gli
schiavi che aveano lasciati ne’ loro poderi : nè permet-
teva che le truppe alloggiassero belle città di essi ; per-
chè non fossevi danno di furti o prede , ma le accam-
pava presso' le mura.
XX. Di 'qua mosse l’esercito verso Bovilla (1) città
cospicua allora è contata tra le primarie de’ Ladini, che
(1) Nel lesto dice Boia: ma forse dee leggersi Bovilta \ percbl;' Co-
riolgoo già era stato ai Toleriai , a Bota , a Labico , a Pedo, a Cor-
bipne , ed a Coriolo. -Potrebbe dubiigrsi se sia scritto Bovilla nel
$180 nel presente di questo libro : Si descrivono tulle due come
so r alture ; parlandovisi di declivj ; e Boriila eia nella via Appia
in piano , secondo Cloretio.
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a8 DELLE Antichità’ romane
erair pochissime. Nod Io accolsero già quei che v’ erano
dentro,' confidati nelle fortificazioni 'assai vàlide, e nel
numero dei difensori. Adunque egli eccitando le trupper
a combattere generosanaente , e proponendo amplissimi
premj . a’ primi che ne salisser le mura; si accinse all’as^
salto. Or qui vivissima
sava ; n^i perchè , spalancate le porte ne uscirono in
furia ed in copia , e ne incalzarono' abbasso quanti ne
erano a fronte. Assai perirono di Voisci in quella sorti-
ta , e diuturna fu la zuffa sopra le mura ; sicché mai
più speravano d’ invaderle. Ma il duce supplendo nuovi
soldati non fe’ conoscere la perdita degli altri: e raccese
l’ardore dei vacillanti; portandosi egli ‘stesso alla parte
di esercito che pericolava : Nè spiravano coraggio i delti
soli , ma i fatti ancora 'di lui : corse a tutti I pericoli ,
nè lasciò tebtativo , finché non si preser le mura. Iril-
padronitosi poi della città, messa parte dei vinti a 61 di
spada per. le leggi dei forti , e parte rendulala schiava ,
ricotadusse f esercito. E^Ii rimenavalo dopo una segnalala
vittoria c^'co di spoglie bellissime, e ricco de’ tanti da-
nari , ivi presi , quanti in ninna delle città coqquistate.
XXL Dopo ciò tutta la regione percorsa 'Era in po*
ter sùo , nè più gli resisteva ninna 'città se non Lavinia,
la -prima delle città fondate da’ Trojani approdati con
Enea nell’ Italia , dalla quale dm vano i Romani come
di sopra fu dichiarato. Gli abitanti pensavano dover pri-
ma incontrare ogni male, che 'mancar di fede ai discen-
denti loro. Adunque vi ebbero attacchi terribili su le
mura, e battaglie veementi per le forltficazioiu:^non però
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LIBJIO vni. 39
sì espugnarono a prini* impeto ; ma parve abbisògnarvt
assedio , e tempo. Postosene Marcio all’ assedio cinse
intorno la dtià di vailo e fossa , e guardò le strade ,
perché non le si recassero esterni soccorsi e viveri. I
Romani udita la rovina delle città vinte , compresa la
necessità delle Fendutesi a Marcio , pressati da’ messaggi
quoiidiaid delle altre , fedeli ancora , che imploravano
ajulo,, spaventati insieme dalla circonvallazione che tira-
vasi intorno Lavinia , e convinti che se cadea questo
iurte > la guerra verrebbe addirittura su loro , crederono
uno solo il rimedio a tanti mali , decretare il ritorno di
Marcio. Tutto il popolo, gridava questo , e li tribuni
voleano lare . una legge per annullarne la condanna : ma^
li patrizj si opposero, ricusando che si ' annullassé al-
cuna sentenza enianàta. E
petuo. Che dunque impedisce che rivenghi alla dolce,
alla carissima vista de' tuoi pià congiunti, e ricuperi
t amatissima patria , e comandi, come ti si conviene,
a chi comanda, e sii duce de' duci, e ne lasci C am-
plissima gloria a' tuoi figli e nipoti ? E che tali e
tante promesse avran prontissimo effetto, noi, quanti
qui vedi , noi tutti ne siamo i mallevadori. Finché nè
stai di fronte col campo e colla guerra , non parve
al Senato nè al popolo far su te decisione ninna di
clemenza e di moderazione ; ma se ti levi dalle ar-
me , avrai , né tardi , e noi lo porteremo , il decreto
del tuo ritorno.
XXVI. Tali sono i beni se alla patria ti riconcilii:
ma se ti ostini , se t odio non deponi verso noi ;
dure e molte ne saranno le conseguenze : ed io due
le pià manifeste te ne addito ; vuol dire : la prima
che avresti il barbaro amore di un'ardua anzi im-
possibile cosa , di abbattere cioè la potenza di Ro-
ma , e colle arme de' Volsci : C altra che quando
pure tu ben ^ indirizzi e riesca alf intento , ne sa-
rai creduto il pià sciaurato de' mortali. E perchè io
così congetturi su te ; lo ascolta o Marcio , nè t’ ina-
cerbare sul franco mio dire. E prima ne intendi la
impossibilità. Molta è in Roma , e tu U> sai, la gio-
ventìi paesana : e se le si tolga ( e torrassele per la
necessità presente in tal guerra ) la sedizione , rac-
chetando il timore comune tutti i dissidj , non pià li
V jIscì , ma niuna gente d’ Italia ci abbatterrà. Molte
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LIBRO Vili. 35
sono le milizie de* Latirù , molte quelle degli alleati,
coloni di Roma , le quali aspettati che in breve giun-
gano per soccorrerci. 1 capitani , come te , seniori o
giovani , tand sono di moltitudine , quanti in tutte lo
altre città non sono. Ma t ajuto pià grande di tutti,
quello che non ei ha mai deluso ne’ grandi accidenti,
e che pili vale di tutte le forze degli uomini, è la
beneifolenza de’ numi , per la quale teniamo questa
città già da otto generazioni non pur libera, ma fe-
lice , ed arbitra di tante nazioni, JVon pareggiarci ai
Pedani , ai Tollerim , agli altri popoletti , de’ quali
sormontasti le cittadelle. Anche un altro duce minore
di te , e con esercita minore che questa tuo , violen-
tato avrebbe tali fiacche e poco presidiate munizioni.
Ma considera la grandezza della nostra città , la
luce sua per tante imprese guerriere , e C ajuto di-
vino pel quale , già picchia , tanto s’ inff-andì : nè
concepire che si diversifichi codesta tua forza colla
quale vieni a tanta cimenta : anzi ricordati che un
esercita meni di Folsci e di Equi che noi stessi ab-
biam vinta in tanto battaglie in quante osarono di
affrontarci : Talché ben vedi che porti a combattere
i men forti contro i pià valorosi, e chi sempre per-
dette contro vincitori costanti, E quand’ anche fosse
il contrario ; pur sarebbe da meravigliare , che tu
perita di guerra non sappi , che ne' pericoli non è
pari r artlire in ehi difende i suoi beni , ed in chi
cerca gli altrui ; che questi se non vincono , niente vi
scapitano; ma niente agli altri pià resta, se perdono-
E questa principalmente è la causa che le grandi
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36 DELLE ANTICniTA’ ROMANE
armate svaniscono contro le piccole, e le migliori
. contro le men buone. Chè può la terribile necessità ,
ponno i pericoli estremi spirare' corono anche ad
indoli che non ne abbiano. E quanto alC arduità deb
r impresa potrei dire piò cose , ma bastino queste.
XXVII. Mi resta a fare un solo discorso, cui se
accompagnerai colla ragione non colf ira , vedrai che
esso è giusto , e ti verrà pentimento del procedere
tuo : ma quat è mai questo discorso ? Gli Dei non
concessero a niuno che nasce mortale solida scienza
delt avvenire : nè troverai da tutti i secoli alcuno cui
tutto riuscisse propizio senza mai contrarietà della
sorte. Perciò li piò awanzati in prudenza , quale il
vivere lungo e la molta esperienza la recano , deano
prima di accingersi ad una impresa considerarne il
termine, non solo se riesca come pur lo vorrebbono,
ma nel caso ancora che devii dai disegni: e ciò deano
i comandanti principalmente delle ‘ guerre , a' quali ,
quanto piò essi dispongono gravissimi affari, tanto
piò tutti ascrivon la origine de' buoni o tristi suc-
cessi ; tal che se vedono esser niuno , o ristretto e
piccolo il danno dell' azione se la sbagliano , allora
la intraprendono , ma se vario e grande lo vedono ,
la tralasciano. Or fa tu similmente ; prevedi avanti
di operare ciocché sia per incontrarti , se manchi , o
se tutto non ti viene a seconda nella guerra. Tu sa-
rai colpevole presso gli ospiti tuoi di aver tentato im-
prese , grandi piò che eseguibili. Concepisci ( nè già
lasceremo impuniti quelli che han preso ad offen-
derci ) che r esercito nostro vengavi novamente ^ e
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LIBRO Vili.
37
devasti le loro campagne : non potrai evitare , 0 di
essere obbrobriosamente trucidato da quelli a’ quali
sei causa di mali sì grandi , o da noi che ora vieni
per uccidere e per soggiogare. Forse essi stessi in-
nanzi di patirne alcun male , tentando far pace con
noi dovran consegnarti alla patria che ti punisca : e
già Greci e barbari assai, ridotti a pari vicende ,
dm'ettero ciò sopportare. Or ti pajono queste picciolo
cose , non degne a discorrerle , o tali che debbansi
trascurare , o non piuttosto mali estremi a patirsi ^
fra tutti i mali?
XXVni. Ma via; n abbi tu pure il buon termine;
e qual frutto allora ne avrai così desiderabile , così
meraviglioso ? qual mai gloria ne avrai ? Deh ! con-
sidera questo ancora. Ti succederà primieramente di
esser privo degli obbietti che piò, ami , e piò ti ap-
partengono ; io dico della madre alla quale porgi
amara la ricompensa di averti generato e nudrito, e
de' tanti travagli che sostenne per te : dico della sa-
via consorte la qual vedova e solitaria sta desideran-
doti , e deplorando dì e notte il tuo esilio : e final-
mente de' due tuoi figli a quali aspettavasi , come ai
posteri di egregj progenitori , che ne percepissero
pieni di fama buona gli onori se la patria fosse fe-
lice. Di questi tutti sarai costretto a vedere le dolo-
rose e sfortunate catastrofi , se ardirai sospingere fino
alle mura la guerra ; giacché a ninno de' tuoi perdo-
neranno gli altri che temono pe' ctai loro , e che pa-
tiscono disastri eguali da te. Concitati dalla propria
calamità doranti terribilmente e spietatamente a bal-
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38 DELLE Antichità’ bomane
terli, ad ingiuriarli, e far loro ogni specie di vili-
pendj : e di ciò non questi che il fanno ma tu ne
sei r autore , che ve gli astringi. Tali i frutti sono
che gusterai , se ti giunge V intento. Or su contempla
la lode che te ne avrai , la emulazione, gli onori, cose
tutte desiderevoli a buoni: Z’ uccisore sarai nominato
della madre , C uccisore de' figli , il traditore della
consorte y la rovina della patria. £ ninno buono ,
niun giusto vorrà , dovunque tu capiti, partecipare ai
tuoi sagrifizj , alle tue libagiorU , al tuo consorzio :
nè sarai caro a quelli nemmeno per la benevolenza
de’ quali ciò fai : ma godendo dascun d'essi il frutto
della tua empietà , detesteranno la ostinazion del tuo
cuore. Lascio di dire come senza /’ odio che avrai fin
da piò miti , ti sarà intorno la invidia [non piccola
degli eguali , il sospetto degl’ inferiori , e per queste
due emise , le insidie , c ta/ui altri infortunj , quanti
è verisimile che sopravvengano ad un uomo, privo di
amici in terra di estranei. Lascio di dire le furie che
ispiransi da’ numi e da’ genj negli empj e ne’ faci-
norosi, dalle quali, straziati ne’ corpi e nelC anima,
vivono sciaurata la vita , aspettandone misera ancora
la fine. Tali cose considerando o Marcio ' correggiti ;
e cessa d’ inseguir la tua patria. Riguardando la
sorte come autrice de’ mali che hai da noi tollerato ,
■ o fatto a noi , toma felicissimo a' tuoi , ricevi gli
empiessi carissimi della tua madre , le amorevolezze
soavissime della tua sposa , ed i baci dolcissimi dei
• tuoi figli : almen simili cose di sè. Ma qual altro può
gloriarsi o centurione , o comandante d aver presa
come io la città de’ Coriolani (i)f O qual altro in
un giorno stesso ruppe f annetta nemica come io ruppi
quella degli .daziati, che veniva per soccorrere gli
assediati 7 Lascio di ricordare che dopo tesi pegni di
tnrtà potendo io prendere in copia dalle prede oro ,
argettto , schiavi, giumenti, gceggie , e terre vaste, e
feconde , non volli : ma intento a serbarmi principal-
mente senza invidia, pigliai per me solamente dalle
prede un cavallo militare , e da prigionieri t ospite
mio , ponendo tutto il resto ad util comune. Dite :
era io per tanto degno di premj o di pene ? Dovea
subire la legge da’ vilissimi cittadini , o darla io lo-
ro ? O non mi espulse il popolo pcf questo , ma per-
(i) La lode h, perebt Coriolano prese con pochi la città, sema
essere ni ooniaodanle, nà tribuno, a' qMii sarebbe alato unto piti
facile invaderla colle milisie dipendenti. Vedi lib. Ti , § ga.
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LIBRO Vili. 4 1
chè io era nel retto della vita, un intemperante , un
suntuoso, un senza leggi? Ma chi potrà dimostrarmi
un solo, pe* miei piacer non legittimi esule dalla pa^
trio, spogliato dalla libertà, privato degli averi, o
ridotto ad altra sciagura qualunque ? se nemmeno i
nemici mai di tali cose m’ incolparono o calunniaro-
no, contestando anzi tutti come irreprensibile la vita
mia quotidiana? La scelta, dirà taluno, abbonila
de tuoi governamenti ti procacciò questo male ; Ut
polendo eleggere il meglio ti appigliavi al peggiore :
e dicesti e facesti tutto perchè in patria cadesse il
comando degli Ottimati, e s' impadronisse del comune
la moltitudine imperita , e scellerata, O Minucio !
Ben io mi adoperava in contrario , e provvedeva che
il Senato, maneggiasse in perpetuo il comune , e re-
stasse la patria forma di governo. Per tali belli sta-
bilimenti , creduti sì pregievoli da’ nostri antenati , io
me n ebbi dalla patria la si fausta e beata ricom-
pensa , cacciatone non solo dal popolo , o Minucio ,
ma molto innanzi pur dal Senato , il quale, quando
io mi opposi a' tribuni che m incolpavano di tiran-
nide, mi animò da principio con vane speranze, quasi
osso fosse per operare la mia sicurezza , ma poi te-
mendo de’ plebei mi si distolse , e mi cedette a’ ne-
mici. O Minucio ! tu eri console quando faceveui il
previo decreto pel giudizio, e quando Falerio, cita
tanto ne fu lodato , esortava col dir suo , che io
fossi al popolo consegnato. Ed io temendo dal Se-
nato un decreto che mi consegnasse ; condiscesi , e
OlOXtQl f toma ///. S*
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4 2 DELLE Antichità’ romane
promisi di andare f e presentarmi io stesso in giudizio.
XXXI. Ma dP Minucio , rispondi : parvi al po-
polo solo , o pure al Senato ancora io parvi degno
di castigo per lo buon inaneggio e condotta mia pub-
blica ? Se così edlora a tutti ne parve ; e tutti mi
scacciavate; egli è chiaro che quanti così deliberavate,
odiavate allora la giustizia, nò restava in Roma al-
cun luogo che sostenesse il bene. Che se il Senato ,
violentato , si rendette al popolo , e quella fu /’ o-
pera della necessità non del cuore ; confessate che siete
il gioco degli scellerati, nè resta al Senato podestà
niuna su qurmto mai scelga, E ciò stando , mi chie-
derete che io men venga ad una città dove i buoni
son vittima dei ribaldi? Troppo di stolidità mi con-
dannate ! Or su: diamo che io persuadami, e che
deposta , come chiedete , la guerra , ne andiamo ;
qual sarà dopo ciò f animo mio ? quale la vita ?
Sebbene eletto il partito piò sicuro e meno pericolo-
so t cercando io poi li magistrati, gli onori, ed al-
tro che io credo competermi , soffrirò di adulare la
turba che li dispensa? vilissimo diventerei di magna-
nimo , e niente più V antica virtù mi gioverebbe. O
restando ne’ miei costumi , e serbando le istituzioni
mie del viver civile mi opporrò a quelli che diverse
ne sieguono ? Or non è manifesto che il popolo di
nuovo mi combatterebbe , che a nuove pene mi cite-
rebbe, cominciando l'accusa da questo, che io rido-
nato da esso alla patria , pure ai piaceri di lui non
mi conformo ? Certo non dee dirsi cdtrimente. E qui
sorgerà tal altro insolente tribuno che simile agl'Icilj
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LIBUO Vili. 43
ed ai Decj m incolpi di scindere i cittadini fra lorOf
d insidiare il popolo , di tradire la patria a' nemici ,
di tentare , come Decio me ne imputava , la tiran-
nide, o taC altra ingiustizia , come ad esso ne paja;
giacché non mancano a chi ti odia i pretesti. Pro»
durransi dopo queste , nè già tardi , le imputazioni
ancora su le cose da me fatte in tal guerra, che io
percossi la vostra regione, che rapii prede, che espu-
gnai città, che di quelli che le difendevano parte ne
uccisi, e parte a’ nemici li consegnai. E se gli accu-
satori allegheran tali cause ; che dirò io per ispedir-
mene ? o con quale soccorso sosterrommi ?
XXXIL Non è dunque chiaro o. Minucio che belle
v' avete , ma pur finte le parole , e che un bel velo
date ad un impuro disegno ? Non a me concedete il
ritorno ; ma vittima al popolo me portate ; e forse
( giacché buone idee su voi non mi vengono ) vi siete
concertali a ciò fare , seppure ciò non voleste, senza
prevedere ( e vi si accordi ) i mali che ne avrei da
soffrire. Or che varrebbemi la vostra ignoranza ?
che la vostra stoltezza ? se non potreste , anche vo-
lendo , niente impedire , necessitati di concedere an-
che questa colle altre cose alla plebe. Se non che
non piti bisognan parole a mostrare che questa, che
io chiamo via prontissima di rovina : niente , sebben
voi la chiamate ritorno , gioverammi per la salvezza.
Che poi ( giacche m' invitavi a riguardare ancor que-
sto ) niente o Minucio mi giovi per la buona fama ,
niente per P onore , niente per la pietade , anzi che
io opererei turpissimamente ed empiiss imamente se a
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44 DELLE Antichità’, romane
voi mi rendessi; ascoltalo dalla mia parte. Io mili-
tai già contro questi Folsci , e molto nel militare li
danneggiai ; procacciando alla patria impero , forza ,
chiarezza. Non convenivasi thè io fossi onorato dai
beneficati , ed abborrito dagli offesi ? jdppunto ; se
a ragion si operava. Ma la sorte perverti tutto , e
rivolse ciocché t uno e C altro mi doveano in con-
trario. Voi per le cose onde io era a questi nemico ,
mi spogliaste di tutto il mio, e , quasi ciò fosse nul-
la , mi bandiste : laddove , questi che avean tanto
infortunio da me , mi raccolsero questi nelle proprie
città povero , abbietto , senta casa e senza patria-
Nè bastando loro questo splendido , questo genero-
sissimo tratto ; mi han conceduto cittadinanza , ma-
gistrature y onori , quanti ven sono piti grandi in tutte
le loro città. Ma lasciamo questo : ora mi han fatto
comandante assoluto delV esercito posto oltra iete a chiedere , e non 4^ me , la pace o la tregua.
Tuttavìa non vi do questa risposta : ma venerando
gl’ Jddj patenti , rispettando le tombe avite , commi-
serando la terra ove nacqui , le femmine , i fanciulli
non degni che su di essi ricadano le colpe de’ geni-
tori e degli altri ; e j nommen che per questo o Mi-
nucio , in grazia di voi che foste qua deputati dalla
città ; vi rispondo , che se i Romani rendono ai fol-
sci le terre tolte loro , e le città che ne tengono , ri-
chiamandone i proprj coloni; se fanno pace con essi
« comunanza perpetua di diritti , come co’ Latini , e
giuramenti ed esecrazioni contro de’ violatori de’ patti;
io do fine alla guerra. Annunziate primieramente ad
essi questo , poi , come avete presso me perorato ,
aringate presso loro sul giusto : e quanto è bella
cosa che ognun s’ abbia il suo , e vivasi in pace :
quanto pregevole che niun tema nè i nemici , nè i
tempi : e come è biasimevole che chi ritiene l’ altrui
si esponga senza necessità alla guerra con pericolo
delle cose anche proprie. Dimostrale loro che non
eguali sono i premj vincendo o perdendo per chi ap-
petisce r altrui : e se vi piace aggiungete , che quelli
che han voluto prendere le città degli oltraggixti , se
infine poi non prevalgono , perdono pur la terra , e
la città loro , e vedono malmenate obbrobriosamente
le mogli, portati i figli agli affronti, e li padri lorOj
fatti schiavi di liberi , nelC estrema vecchiezza ; Per-
suadete insieme il Senato che dovrà tanti mali alla
stoltezza sua non a Marcio. Terocchè potendo fcàre il
48 DELLE Antichità’ romane
giusto ; potendo non incorrer ne’ mali ; corrono agli
ultimi rischi , aspirando sentpre alC altrui. Questa è
la risposta; nè potreste altra averne dame: andate,
ponderate ciocché a fare v abbiate : io vi do trenta
giorni per decidervi. In questo tempo ritiro o Minw-
ciò in riguardo tuo e degli altri t esercito da questi
campi, che asscù se vi rinuuiesse, ne sarebbero dan-
neggiati, Al ventesimo giorno mi ci aspettate a pi-
gliarne la risposta.
XXXVI. Ciò detto sorse , e sciolse 1’ adunanza : e
nella notte seguente presso 1’ ultima vigilia levò l' eser-
cito , e lo condusse OMilro le altre città Latine , sia ebe
realmente fosse persuaso che di là verrebbono de’ sussid)
a’ Romani , come 1’ ambasciadore avea detto , sia che
egli ne spargesse la voce per non sembrare d* interrom-
per la guerra in grazia de’ nemici. E piombando sopra
Longola , ed impadronitosene senza fatica , e fattovi
come nelle altre, dei schiavi , e delle prede; venne alla
città de’ Satrìcani. Presala , e tenutovisi pitxiolo tempo ,
ordinò che parte dell’ esercito recasse le spoglie raccolte
da ambedue queste città in Eccetra , ed egli marciando
coir altra parte venne a Ceda (i), che chiamano. Otte*
nutala , e derubatala -, si gittò nel teiritono de’ Polu«
scani (1). Non valsero nemmen questi a resistere ; ed
espugnatili , si avanzò verso le altre città : prese di as-
(i) Questa Toce è aiqbigaa. Lirio nooiioa Tiebbia ; ed altri ia
questo luogo di Oiooigi vorrebbe por Silia Seste : ma questa par
troppo lootaaa pel viaggio di Marcio.
(ij Lapo parve leggere Ttuelarù.
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LIBRO Vili. 49
salto gli Albieti ed i MugiUaui (i) ; e ricevette a patti
i Corani. Divenuto in trenta giorni padrone di sette
citti ; si rivolse a Roma con più milizie che prima : e
fermandosene lontano poco più che trenta stadj , si ac-
campò presso la via Tuscoiana. Intanto che prendeva ed
univa a sé le città de’ Latini , parve ai Romani , con-
sultale lungamente le proposte di lai , di non far cosa
indegna della repubblica. Pertanto , se i Yolsci partis-
sero dal territorio loro , degli alleati e de’ sudditi , e
lasciasser la guerra e spedissero ambasciadori per trattare
la pace ; il Senato decidesse allora e ne riferisse al po-
polo le condizioni : non decidesse però mai nulla di
umauo su loro , finché stavano con ostili maniere su le
campagne di Roma e degli alleati. Couciossiachè li Ro-
mani (Muervarono sempre altamente di non far mai nulla
pe* comandi , nè pel terror de’ nemici ; ma di compia-
cere, e contentare gli avversar] pacificatisi, e rendutisi,
nelle dimande se fosser discrete. E Roma ha mantenuto
tale sublimità di carattere in molti e grandi pericoli ,
nelle guerre co* cittadini e cogli esteri , e tuttavia lo
mantiene.
XXXyiI. Deliberate tali cose , il Senato scelse am-
)>asciadori altri dieci tra’ consolari , perchè dimandassero
a Marcio che non desse ordini duri nè indegni di Ro-
(i) Silbnrgio sospetta ebe io luogo di Albiètì debba leggersi La-
hitiiati ciot Laviniaui di Lauinio , la presa del quale era stata tra-
lasciata , come si t veduto di sopra. Il cognome di Lucio l'apirio
Mugillaoo prova che vi ebbe una città Multila di nome , donde
tono i MugiUani.
montai . ama Ili. t
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5o DELLE Antichità’ romane
ma , ma deponessc le nimicizie , ritirasse le truppe dal
territorio , e cercasse di trattare con modi persuasivi e
conciliativi , se voleva che gli accordi tra due popoli
fossero permanenti ed eterni ; giacché gli accordi sia
privati , sia pubblici , conceduti per la necessità e pei
tempi, finiscono appunto co’ tempi e colla necessità. Or
questi , eletti ambasciadori , non si tosto . udirono l’ ar-
rivo di Marcio , andatine a lui , dissero assai cose atte
a guadagnarlo , badando di non offendere co' discorsi la
maestà della repubblica. Marcio però non rispose altro
se non che consigliavali ( e questa era 1’ unica tregua
che dava ) a tornar fra tre giorni con deliberazioni mi-
gliori. E volendo essi replicare ; non lo permise : ma
impose che partissero immantinente dal campo. E mi-
nacciando che li tratterebbe come spie se non ubbidi-
vano ; quelli ammutoliti partirono incontanente. I sena-
tori quantunque udite le risposte ostinate e le minacce
di Marcio , pnre non decretarono di portare 1’ esercito
di là dai confini , sia che ne temessero , come raccolto
in gran parte di fresco , la inesperienza , sia che 1’ ab-
battimento temessero dei consoli , poco intraprendenti
per sestessi , e giudicassero pericoloso il cimento ; sia
che i segni celesti interdicessero loro quella uscita per
mezzo degli uccelli , degli oracoli Sibillini , o di altra
visione : cose che non sapeano gli uomini di allora ,
come i presenti , trascendere. Adunque deliberarono di
guardare la città con vigilantissima cura, e di respingere
dalle fortificazioni gli aggressori.
XXXYIII. Ciò fatto e preparato ; nè tuttavia dispe-
rando di piegar Marcio , se lo pressassero con deputa-
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LIBRO Vili. 5i
zione più augusta e più grande , decretarono che pon-
tefici ed auguri, e quanti arcano sacri onori e ministeri
nelle pubbliche divine cose ( e molti sono fra loro e
sacerdoti e santi ministri , e questi i più cospicui pel
sangue paterno, o pel merito proprio) andassero in copia
co’ simboli delle divinità riverite e festeggiate in Roma,
e cinti di sacre vesti , al campo nemico , e vi replicas-
sero gli stessi discorsi. Giunti questi , e dettovi quanto
aveano dal Senato , Marcio non rispose nemmeno ad
essi per ciò che chiedevano; ma consigliò che partendo
adempissero gli ordini se volevan la pace; o la guerra
in città si aspettassero : del resto intimò che non più
ritornassero a lui per far parlamento. Caduti ancora di
questo tentativo , e deposta ogni speranza di pace , si
apparecchiavano i Romani per 1’ assedio ; , collocando i
giovani più vigorosi alle fosse ed alle porte , e li ve-
terani già licenziati ma pur buoni ancor per le armi ,
alle murai
XXXIX. Le mogli loro , quasi approssimatasi già la
tempesta , lasciato il decoro col quale si tenevano in
casa , correano ai templi piangendo ed abbracciandosi
a’ simulacri de’ numi. Ed ogni sacra magione , special-
mente quella di Giove in Campidoglio, risonava di ie*
minei ululati e di suppliche : in questa una matrona
preminente per lignaggio e per dignità trovandosi allora
nei meglio degli anni , attissima a provveder ciocché
deesi (Valeria ne era il nome) sorella di quel Popli-
cola il quale aveali già liberati dai tiranni', eccitata da
istinto divino , si fermò nel grado più alto del tempio ,
convocate le donne compagne , primieramente le con-
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52 DELLE AlfTICHITA* ROMANE
solò ed animò a non smarrini ne’ mali , poi diede a
vedere che restavaci una speranza di scampo, riposta
in loro nniramente , se faceano quanto era d'uopo. Al-
lora r una di esse ripigliò : Con quale opera nostra
mai potremo noi donne salvcwe la patria , non sa-
pendo più fare ciò gli uomini ? E qual forza ah-
hiam noi, deboli, sciaurate F E Valeria, non le arme,
disse , abbisognano , non le mani ; dispensandoci da
ciò la natura, ma le arnorevolezze e la persuasiva.
Or qui , fàltusi clamore , e pregandola tutte a svelarlo
se pur ci avea rimedio alcuno , disse : In questo lutto ,
in questo disordine di vestimenti prendete compagne
anche altre donne, e menando con voi li vostri figli,
ne andiamo in casa di Veturia la madre di Marcio.
E ponendo i nostri figli dinanzi le ginocchia di essa,
e lagrimando ; scongiuriamola che impietosita di noi
non colpevoli di male ninno, e della patria ridotta in
pericolo estremo , vada al campo nemico ; e vi meni
i suoi nipoti, la madre loro e noi tutte, le quali la
seguiremo co' nostri figlioletti : e che interceditrice
presso del figlio, lo dimandi, lo supplichi a non fare
la calamità della patria. Lei piangendo e rimovendo-
lo; nascerà forse alcuna compassione o mite pensiero
in quesF uomo , che già non ha si duro ed impene-
trabile il cuore da respingere fin la madre che ab-
braccigli le giruscchia.
XL. Poiché le astanti ne approvarono il dire; ella
supplicando i numi di dare persuasiva e grazia alle istanze,
loro pari) dal tempio. La seguitarono le altre ; e prese
dopo ciò per comp-igne alti’e donne , ne andarono in
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LIBRO Vili. 53
fòlla alla casa della madre di Marcio. Volannia la mo»
glie di Marcio seduta presso la suocera si meravigliò
nel vederle , e disse : E che possiamo noi farvi , o
donne , cito in tanta moltitudine venite ad una casa
di sciagura e di aflizione? E Valeria soggiunse: i?t-
doUe a pericoli estremi noi, con questi fanciullelli ,
veniamo a te supplichevoli, o Feturia, per implorare^
tonico e solo ajulo, e primieramente che abbi pietà
della patria non mai fin qui stata in man de' nemici,
eicchè non vegli soffrire che ora la libertà le si tolga
dai Folsci; seppur conquistando la patria la rispar~
mieranno, non la struggeranno dai Jondamenti. Dipoi
per noi preghiamo e per questi miseri fgU, sicché
non veniamo tra gli strazj degf inimici, noi niente
ree de mali accaduti. Se un cuor ti resta in parte al-
meno, clemente ed umano; deh! tu ne compassiona,
o F fluria , tu donna , e tu partecipe de' diritti sacri ,
inviolati delle donne (i): prendi teco Folunnia, que-
sta ottima donna, e con essa i suoi figli, prendi coi
figli nostri pur noi supplichevoli a un tempo e ma-
gnanime , e vieni al tuo figlio , persuadi , insisti , ni
dar fine alle suppliche , finché pe' tanti benefizj tuoi
non ottieni da lui che si rappacifichi co’ suoi citta-
dini, e rendasi alla patria che lo ridomanda'. Ut, ben
10 sai, trionferai di lui, che pietoso, certo te non
dispregierà prostrata a’ suoi piedi. E tu riconducendo
11 figlio tuo alta patria, ne avrai, corni è giusto,
splendore sempiterno , perchè C avrai liberala da tale
()) Meli’ uso della Religione comune.
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54 DELLE Antichità’ romana
rischio e terrore: e sarai cagione a noi di essere oHo~
rate presso degli uomini ; perchè avremo sciolta la
guerra che non potè da essi dissiparsi. Parremo cojI
le discendenti veramente delle femmine che mediatrici
terminarono la guerra di Romolo co’ Sabini ; e conm
giunsero duci e nazioni, e grande renderono di pie—
dola la città (i). Magnìfica sarà t impresa, o Fetu-
ria , d' aver seco riportato il figlio , d’aver liberata la
patria > salvate le sue concittadine ; e di lasciare ai
posteri suoi luce indelebile di virtù. Dacci, o Fetum
ria , con cuore spontaneo e vivido questa grazia ;
vieni , ti accelera ; poiché grande , imminente il pe-
ricolo non ammette più indugio , o consiglio.
XLI. Giù detto , tutta in pianto , si tacque. E pian-
gendo pur esse, e pregando vivamente le compagne;
iVeturia, vinta dalle lagrime, dopo breve silenzio, disse:
Foi seguite , o Falena , leggera e fiacca speranza ;
promettendovi un ajulo da noi ; donne infelici. Ben
abbiamo tenerezza per la patria , e volontà di saL'ore
I cittadini, qualunque mai siano; ma la potenza e la
efficacia ne mancano per compiere ciocché vogliamo.
Marcio , o F ileria , ne rifugge da che il popolo fe’
di lui r amara condanna , ed odia tutta la casa in-
sieme colla patria. E ciò diciamo , sapendolo da Mar-
cio stesso', non da altri; perocché quando soggiaciuto
alla condanna venne in casa in mezzo agli amici ,
trovando noi addolorate , abbattute , co’ figli suoi su
le ginocchia , e che piangevamo , corri era giusto , e
(i) Vedi 1. a, $ 4^ » espone disicsantenle tale storia.
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LIBRO Vili. 55
deploravamo la sorte che ci soprastava nel perderlo ;
egli fermatosi alquanto da noi lontano, insensibile come
una pietra, e co’ sguardi fissi, partesi, disse ^ Marcio da
voi, o madre, o Volunnia donna bonissima, cacciato dai
suoi cittadini perchè prode, perchè amico della repubblica,
e perchè subito ha tanti travagli per la patria. Voi so-
stenete , come si conviene a femmine virtuose , tanta
calamità , non facendo mai nulla d’ indegno , mai nulla
di vile: consolandovi in questi fanciulli sulla mia priva-
zione , educateli degni di noi , e della stirpe. Gli Dei
concedano ad essi , uomini divenuti , sorte più buona ;
ma virtù non minore. Addio. Io vado , e lascio questa
città che più non cape gli onesti uomini. Addio numi
tutelari, e tu Vesta, paterna divinità, e voi quanti siete
Dei di questo luogo. Appena ciò disse , noi misere ,
noi dal dolore impedite, scoppiando in gemiti, e per^
cotendoci il petto portai'amo a lui, per riceverli an~
cara , gli amplessi estremi : ed io menava meco il
maggiore de’ figli , e la madre avevasi in braccio il
minore. Quando egli, ritirandosi e rispingendoci, disse:
Da ora innanzi Marcio non più sarà tuo figlio , o ma-
dre, togliendoti la patria in esso il sostenitore della tua
cadente età , nè più sarà da questo giorno il tuo spo-
so, o Volunnia: ma sii pur felice, un altro cercan-
dotene più di me fortunato : nè più sarà padre vostro
o figli carissimi: ma orfani e solitarj presso queste cre-
scete fino agli anni virili. Ciò detto , nè soggiungendo
altro, nè comandando, e non significando nemmeno
ove andasse , uscì di casa , o donne , solo , senza
servi , in disagio , senza portare seco delC aver suo
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56 ■ DELLE Antichità’ homase
neppure il vitto di un giorno. E già volge t anno
quarto eh’ egli fuggì dalla patria, e riguarda noi tutto
come straniere , niente scrivendo , niente mandandoci
a dire, e niente volendo di noi risapere. Or presso
un cuore si duro , si impenetrabile , o Troieria , qual
forza avranno le preghiere di noi alle quali non dava,
partendo £ ultima volta , non un amplesso , non un
bacio , non significazione niuna dì affetto ?
XLIL Che se tuttavia domandate voi questo , e vo-
lete in tutto vederne wniliate ; concepite , che io e
Volunnia a lui ci presentiamo co’ figli. Quali discorsi
io madre , dirìgo la prima , quali preghiere porgo al
mio figlio ? Dite , ammaestratemi. Chiederò che per^
doni a suoi cittadini da quali ( e senza che offesi gli
Oi’esse ) fu privato della patria F Chiederò che inte-
neriscasi o compassioni la plebe, che su lui non seppe
intenerirsi , tré compassionarlo? Che abbandoni e tra-
disca quelli che esule lo hanno raccolto , i quali seb-
bene malmenati già un tempo da lui tanto e sì fe-
ralmente , pur non £ odio gli mostrarono di nemici ,
ma la benevolenza di amici e di congiunti ? E con
qual cuore pregherei io mai questo mio figlio che
amasse chi lo sterminava, ed oltraggiasse chi lo sal-
vava ? Non sono questi i discorsi di una madre savia
al suo figlio , non di una moglie al marito : nè voi
ci astringete , o donne , che imploriamo da lui cose
non giuste presso degli uomini, nè pietose presso gli
Iddii: piuttosto lasciate noi misere nella umiliamone
ove siamo per la sorte , senza che noi pure svergfs-
gniamo piu ancora noi stesse.
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LIBRO Vili.
5?
XLIII. Taciutasi lei, surse un tanto lamentarsi di
femmine, e tale un pianto ne riinbotnbò, che udendo-
sene i • clamori per gran parte della cUlà , si empierono
di popolo le vie d’ intorno la casa. Poi rinovando Va-
leria più lunghe e più commoventi preghiere , le altre
donne , com’ erano congiunte di amicizia o di sangue
con r una o l’ altra di loro , supplicavano ancora in
atto di stringerne le ginocchia. Tantoché non più re«-
stendo per l’ afflizione fra tanto piangere e supplicare;
cedette infine Vetutla , e promise di andarne oratrice
per la patria co' figli e colla moglie di Marcio , 'e^ con
quante cittadine voleano. Racconsolatesi allora vivaiùeuté,
ed invocati i numi a favorire le loro speranze , parti-
rono dàlia casa , e nunziarono ai consoli il fatto. E
questi, lodandone là buona volontà, convocarono ed
interrogarono i padri , se fosse da concedere che le
femmine ^uscissero. Or molto, e da molti se ue disputò;
tanto che giunti a sera dubitavano ancora ciocché fosse
da fare. Dicevano molti non essere piccolo cimento per-
mettere che le donne andassero co’ figli al campo dei
nemici; imperocché se questi, spregiando le leggi sacre
degli ambasciadori e de’ supplichevoli , volessero che le
femmine non più 'rìtornassero , prenderebbono Roma
senza combattere. Pertanto consigliavano che si lascias-
sero andare a Marcio solamente le donne che a lui si
appartenevano insieme cu’ figli. Altri però giudicavano
che non si concedesse che andassero nemmeno rpieste;
anzi esortavano di custodirle gelosamente , e di consi-
derai le come ostaggi sicuiissimi, perchè la città nou su-
■ DJOXJGI , IB«o III.
f '
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58 DEfXE Antichità’ roisaane
buse grave disastro. Per l’ opposito altri proponevano
che si accordasse a quante donne volevano , di uscire ,
perchè^ le donne congiunte a Marcio , fornissero con '
più dignità la mediazion per la patria. Dicevano che
non succederebbe ad esse niente di sinistro; giacché ne
sarebbero mallevadori primieramente i numi col favore
santo de’ quali si moveàno ad intercedere ; e poscia il
duce stesso al quale ne andavano , come uomo puro
ed inviolato in sua vita da ogni ingiusto ed empio at-
tentato. Vinse finalmente il partito che accordava alle
dònne di andare, e còn decoro amplissimo di ambedue;
del Senato come savio , perchè vide ciocché era a farsi
il migliore , senza punto turbarsi al grande perìcolo ; e
di Marcio finalmente per la sua pietà, perché fh confi-
dato, che niènte oliraggerebbe tal parte imbelle, espostasi
a lui quantunque egli fosse nemico. Steso il decreto , e
recausi l consoli al Foro, e raccoltovi il popolo, essendo
già notte , vi palesarouò il voler del Senato , e preor-
dinarono , che tutti al nuovo giorno accorresserò alle
porte per accompagnarvi le donne che uscireld)ero. Busi
frattanto, diceano, che curerebbero quanto era d'uopo.
,XLIV. Era ornai l’alba vicina;, quando le donne por-
tando i figli loro , andarono colle faci , e presa in sua
casa Vcinrìa , la condussero alle porte. I consoli idle-
sUte mule da tiro, e carri , ed altri trasporti moltissi-
mi, ve le acconciarono, e seguironle per, lungo tratto:
le accommiatavano intanto i senatori ed altri in buon
numero con auguri, con preghiere, con eocomj , ren-
dendone cosi più dignitoso il viaggio. Come si potè
dal campo distinguere , che donne , lontane ancora , si
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LiBBO vm. 5g
àvanzavano , Marcio spedi de’ cavalieri per apprendere
che fosse quella moltitudine , e perehé dalla catti ne
veoisse. E risapendo da loro che venivano le donne
Romane oo* 6gli , e che innanzi -di tutte era la madre
di lui, e la moglie co’ figli suoi; stupì da principio che
femmine potessero aver cuore di avanzarsi co’ Ggli senza
guardie al campo nemico , e darsi a vederè ad uomini
insoliti , lasciata la verecondia conveniente * a matrone
ingenue e pudiche , e la paura del pericolo nel quale
incorrerebbero , se questi volgendosi airutile più che al
giusto , volessero acquistarle , . e giovarsene. Ma poscia-
cbè furono vicine , deliberò di uscire* dal campo con
alquanti ' verso la madre , comandando ai littori che
quapdo le fossero dappresso deponessero le scuri , e le
abbassassero i fasci. Usavano i Romani questo rito quando
i magistrati minori s’ incontravano co’ maggiori ; ed il
rito persevera ancora. Osservò Marcio allora tal pratica,
e rimosse tutti i segnali dell’ autorità sua ; quasi egli
dovesse presentarsi ad una autorità maggiore : tanta fa
la riverenza , tanta' la sollecitudine sua per la pietà
verso la madre.'
XLV. Fattisi ornai vicini , si avanzò la prima per
riceverlo la madre , ahi ! quanto miseranda , squallida
vestunenti , e logora gli occhi dal piatito. Come la
vide , Marcio , duro , imperturbabile fin’ allóra contro
tutti gli assalti , non più valse a persistere nel propo-
sito suo: ma vinto dagli affetti del cuore umano corse,
la strinse , la baciò , la chiamò con tenerissimi nomi: e
molto lagrimandone , e curandone ; la sostenne, mentre
venuta meno abbandonavasi a terra. Soddisfiitta la tene-
6o PELLE Antichità’ romanè
rezza sna verso la madre , ricevendo la donna sna che
sea veniva co’ figli disse ^ Fornisti o Koluimia gli of-
fizj di ottima donna , > uh’endoli presso la mia geni-
trice: ed io godo come su dono dolcissimo infia
tutti, che non t qhbandonasli nella sua solitudine.
Dopo ciò chiamato a sé 1’ uno e l’altro de’ figli , e ca-
rezzatili come si conveniva ; si rivolse noVamente alla
madre, invitandola a dire per qual fine veniva: ed ella
soggiunse che il direbbe , udendola tutti ; giacché non
chiederebbe se non giustissime cose. Lo esortava dunque
che sedesse nel luogo appunto dal quale solea far giu-
stizia a’ suoi militari. Con piacere udì Marcio la propo-
sta , pen hé varrebbesi di assai più regioni per rispon-
dere alle istanze .di essa , e darebbe dv opportunissimo
luogo fra la turba la risposta (i). Adunque recatosi al
tribunal militare fe* da indi rimovere e calarne al pian-
teiTeno la sedia , giudicando non dover lui tenersi p’ù
alto che la madre , nè còn maestà niuna contro di lei.
Poi fatti sedere presso di sé li più cospicui de’ capitani
e dei centurioni , e lasciando che intervenissero quanti
volevano ; significò alla madre che incominciasse (a).
XLYI. Veluria , poste innanzi del tribunale la donna
di Marcio co’ figli e le altre più ragguardevoli tra le
Romane , ' pHmieramente rivolti gli occhi alla terra ,
pianse lungamente , p mosse tenera compassione negli
astanti : poi raccogliendo sé stessa disse : Le donne , o
(i) Perché sarebbe siala risposta pubblica; udendolo cbi Tclcea ;
e perché cjuel luogo stesso, di dignità e di comando aerebbé ricor-
dalo «Ila madre le ubbligaiionf Che egli arcTa co' Votaci.
(a) Anni di Roma a06 sccoodu Calorie, a63 secondo Varoue,
e 4^ arami Criaio. ^
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• ' ' LIBRO VITI. 6l
‘Marcio figlio, considerando gC info rtunj che su di
esse piomberebbero se la città divenisse de nemici ,
diffidatesi di ogn altro soccorso , poiché tu davi le sì
dure, le jì ostinate risposte agU uomini che chiedeano
un fine alla guerra ; queste donne , o Marcio ^co’ /?-
glioletti , in questo lugubre apparato ricorsero a me
tuà madre , ed a V olunnia tua sposa per supplicarci
'a non permettere che avessero tanto male ‘da te, più
che da ogn altro , esse cfie non ci aveano offeso
punto nè pocO', e che grande ci aveano dimostrata
la benevolenza nella nostra sorte felice, e viva nom-
meno la compassione quando ne dec'ademmo. Noi ben
possiamo testificarti che dalf ora che tu lasciavi la
patria , daW ora che noi restavamo derelitte nella so-
litudine , e nel nulla , esse di continuo ci visitarono ,
ci consoletrono , e piansero al pianto nostro. Memori
di tanto io e questa tua donna , coabilatHce mia ,
non abbiamo già ripudiato le loro preghiere , ma
preso abbiam cuore di cercarti ; e pregarti , corno ci
atìdimandavano , per la patria.
XLVII. E lei parlan(h> ancord , Marcio ripigliava :
rnadre ! se' tu venuta per un impossibile , venendomi
a chiedere , che io Iralisca quelli che mi hanno ri-
cettato a quelli che mi bandivano , quelli che mi do-
navann i beni, più grandi fra gli uomini a quelli che
tutto il mio rn involavano. Io pigliando questo cofnan-
do, dos a malle\'adori i genj ed i numi,, che non avrei
tiadito gU ospiti miei, nè finita la guerra se cosi non
fosse piaciuto a tutti i Volsci. Pertanto adorando
gt Iddìi su quali giurai, riverendò gli uomini a quali
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6a DELLE Antichità’ romane
vincolai la mia fede, guerreggieiò fino alla decisione
co' Romani. Se renderanno mì f^olsci le terre che" ne
possiedono colla forza ; e se amici se ne fwanno ,
accomunando ad essi tutto , come co' Latini ; deporrò
' le armi : altrimente mai contro di essi le deporrò /
Voi dunque andatene., o donne, riferite ai vostri un
tal dire , e persuadeteli a non pretendere ingiusta-
mente [ altrui, ma contentarsi del prpprio , quando
altri lascia che lo abbiano. Non aspettino che si ri-
tolga loro colla guerra , quanto colla guerra usurpa-
rono ai. Volsci; perocché li vincitori non saranno già
paghi di ricuperate i lor beni, ma vorranno quelli
ancora de’, vinti. Se ritenendosi, e difendendo ostina-
tamente ciocché lor uon si spetta, vanno incontro m
pericoli, accusino sestessi, e non Marcio, e non altri
de' mali che piomberanno su loro. E tu -daW altra
parte', o madre , io figlio tuo le ne prego , non mi
sollecitare a cose non degne, nè giuste; nè, unendoti
d miei e tuoi malevolissimi , volete credere a te con-
trarj quelli che ■'ti sono per natura amicissimi : ma
standoti , coni è ragìc^nevole , presso me , vegli riguar-
dare per patria quella che io riguardo', e possedere
per' casa quella che io possiedo, e godere con me gli
onori miei , e la mia riputazióne , presi per parenti ,
per amici e nemici tuoi,, quelli appunto cK io pren-
dami. Bandisci, o misera , f afiìanno sostenuto finora
per la mia fuga, e pesfa in tale tua forma .di aflig-
germi. Gli altri beni , o madre , più belli della spe-
ranza, più grandi del desiderio mi son dati da mimi,
e dagli ùomini. L’affanno che io prendea su te, non
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LIBRO Vili. 63
contraccambiandoti col nudrirli ne' senili tuoi giorni,
diffuso per le mie viscere, amareggiava e levava la
mia vita da ogni bene. Se meco ti rimani, se parte-
cipe ti fai di ogni mia cosa; più non mi mancherà
alcuno -tra L mortali.
XLVIII. E qui taciutosi lui , Veturia sopraslando
breve tempo &nchè , cessassero le lodi cbe molte e grandi
gli si fecero da’ circostanti, soggiunse: Non io. Marcio
figlio , ti voglio il traditore de' Volsci , che ricevitori
tuoi nelC esìlio , ti onorarono in iMtte guise , e ti
affidarono il comando di ses tessi ; nè voglio che. tu
da te solo finisca senza il voto comune, la guerra
contro i patti e i giuramenti, chè facevi loro, quando
prendevi armata : nè temere che la madre tua siasi
di tanta malvagità riempiuta ; ‘ che inviti C unigenito
e carissimo figlio a cose vituperose e non giuste: ma
cJtiedo che tu levi col pubblico voto la guerra , ridu^
cendo i V ytsci a temperanza , e ponendo tra le due
genti pace ì>ella e decorosa. E ciò sarà fatto , se al
presente movi t armata e la ritiri, e fai tregua per
un anno ; perocché spedendo e ricevendo in questo
tempo ambasciadori , procaccerai pace stabile , e vera
amicizia. Tu ben -sai che f Romani , se il disonore ,
o la impossibilità non lo vieta ; faranno vinti dalle
persuasive ogni cpsa : laddove violentali , come ora
vuoi tu violentarli , non concederanno mai cosa pic-
ciola o grande , come puoi tu conviruertene da tanti
esempj , ed ultimamente dalle cose concedute ai La-
tini che deposeco le ormL 1 Volsci, dirai, sono assai '
più pertinaci, come avviene ai gran fortunati. Ma se
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J
64 PELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
ricordi loro che ogni pace vai più della guerra: e che
più stabile è quella che si fa per amicizia la quale
rende i cuori propizj , che non, f altra la quila per
necessità si riceve: esser proprio de’ sa>’i moderare la
sorte, quando stimano averla; non però mai ft^ cosa
indegna nelle vicende infelici e meste ; se dirai loro
gli altri documenti quanti sen trovano ( notissimi a voi
che il pubblico maneggiate ) per indurre a dolcezza a
mansuetudine ; scenderanno dalt eUterigia ove sono ,
e concederanno che facci quanto credi a loro giove-
vole, Ma se resister^anno , se non ammetteranno il
dir tuo , sollevati dalle belle Jbrluna provenute da te
e dal tuo comandare , cqme siati quéste immutabili ;
rendi loro palesemente co lesto tuo capitanato , nè il
traditore sii di chi te lo afJidcR>a , nè il combattitore
de’ congiuntissimi tuoi ; cose , T una e t altra inde-
gnissimo. Queste soao , o Marcio figlio , le cose che
io vengo a supplicarti che sian fatte da te , non im-
possibili come tu dici, ma pure da ogni '' rimorso di
ingiustizia , e di malvagità .
XLIX. Tu temi '( sono questi i titoli che vai ma-
gn'ficanio col discorso ) tu temi d’ incorrere sé fai
quanto consiglioU, la taccia rea come d’ ingrato versa
i tuoi benefaUori , i quali ti accolser nimico , e ti
a nmisero a tutti i-loro beni , quali se gli hanno co^
loro che nacquero cittadini. Ma dì j non hai tu len-
dulo toro il molliplice e bel contraccambio ? non hai
suj'ferato i benefizj loro colt amplitudine immensa dei
tuoi? Costoro che leneano pel sommo e pel più ama-
bil de beni viversi liberi usila patria ; gli hai tu ri-
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LIBRO Vili. 65
dutU (fuesti non solo arbitri stabilmente di sestessi ,
ma tali infine da bilanciare , se tornasse lor megliò,
di abbattere la potenza de' Romani, o di partecipare,
ugualmente alla repubblica che Roma ha fondato.
Lascio' di dire con quante spoglie abbi ornalo le loro
città per la guerra, e con quanta ricchezza premiato
quelli che vi militav vedo che^ gU orgogliosi che
quei che' spregiano le preghiere -de supplichevoli, cor-
rono all ira de' numi ed alia sciagura finalmente.
Certo gl' Jddii • istituirono e ne dierono tale costume ,-
essi i pruni ptrdanano s e fqcili si rappaciane';, e
molti si. placarono già pe’ voti j e' pe' sagrifizj verso
di uomini, lontani per grandi reità da loro". Quando
o A/arcio tu tioti vagli che. l’ irà de’ celesti sia mor-^
tale , ma immortale quella , degli 'uoniini ; • forai con
rettitudine f e con dignità tua o della patria , se ne
condoni gli errori , essa già correggendosene , e pla-
candotisi , e rendendoti quanto prima ti levava.
LI. Che se implacabile ti rimani , rendimi questo
deposito, questo benefizio y i quali niun altro può ri-
peterti i e pe’ quùli hai tu non le minime , ma* le
auiplissinte è pregiatissime doti ,' onde tutto ottenesti,,
rendimi il corpo tuò e l’ànima. Derivate le hai que-
ste da ma; ; nè luogo o tempo , nè beneficenze , nè •
grazie di Fblsci o di altri mai tanto ' eccederanno e
saliran fino^ ai cieli ;. che tu possi» csmcellar la natu-
ra, ,nò pù't udirne i diritti. Mio sarai pur tu semproj
e sempre il bene del vivere a me dovrai per- la pri-
ma, e 'farai senza scusartend quanto ti additnando-
Ciò prescrive la natura ai viventi che sentono e che
68 DELLE a:»tichita’ romane
ragionano { >e di ciò confidata puf io , ti supplico o
Marcio figlio a non portaré guerra alla patria;, o
qui sto per oppormiti se le fai violenza. O me tua
madre che mi ti oppongo sagrijicherai prjma di tua
mano alle furie , e cosi darai principio alla guerra;
o, se temi la infamia di matricida, cedi o figlio alla
madrfi tua ; dammi , flie il puoi , questa grazia. Se
questa leg^e che niun tempo ha mai tolto, mi assiste,
mi protegge > non è giusto o Marcio che io sola sia
da te priva degli onori che essà mi concede. Ma Ics-
sciando questa legge , ricordati la tanta e gran sc^ie
de'miei benefizj. Io prendendo a curar te fanciulletto,
orfano del padre tuo védova me ne rimasi , e gli
stenti tutti soffersi onde allevasi, madre tua non
solo , ma padre in ur[ tempo , educatore é sorella
dimoetrandomiti , ed ogni altra spficie . di teneri .og-
getti. Divenuto tu grande, potendo io liberarmi dalle
• cure , nutritandomi ad •altri , e darmi nuovi figli e
nuove speranze sostenitrici della vecchiezza; non volli,
hià restài ne' tuoi lari 'domestici , contenta della vita
medésima, e ristringendo a 'te sólo ogni mia conso-
lazione, ogni bene. Di questi ine. ne privasti- tu, parte
di voler tuo , parte senza volerlo , rendendomi infe-
licissima tra le madri. ^ qual tempo, da che toccasti
l' età •virile , qual tempo io pissr mai sene’ agitazioni
e terrori? e quando ebbi, mai l' anintà tranquilla so-
' pra di te , vedendo che acciimolavi guerra a guerra ,
che passavi da battaglia a battaglia, e ricevevi ferite
su ferite ? . .
Lll. E quando ti desti alla repubblica cd al ma-
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’ - Lifino vm. 69
ncggìo de' pubblici affari , gustai forse io tua madre
diletto alcuno ? Eh ! Che ne divenni allora più mi-
sera , mirandoti in mezzo alla civil sedizione. Impe-
rocché le uìe provvidenze pér le quali più sembravi
valere , e per le quali sostenendo i patrizj , spiravi
indignazione contro del popolo , queste mi spaventa-
vano tutta , considerando , per quanto tenui motivi
tramutasi la sorte degli uomini: e sapendo dai tanti
casi uditi che qualche ira, divina traversa i valentuo-
mini , e la invidia umana li perseguita. E_ così non
fossi stata , come io ' m' era troppo vera indovina
degli eventi! fa civile, invidia t' assalì, ti sopraf/kee,
ti sifclse dalla patria,. Il refto della vita mia, se vita
può dirsi da che partendoti ' mi lasciasti co' figli tui ,
passò tra questa desolazione., Va questo apparato di
lutto. Per tutto questo io che molèsta mai non ti fui,
nè ti sarò finché vivo , ti prego che vagli serenarti
una volta co' tuoi cittadini f' c finir C Ira acerbissima
che nudri contro la paù'kt. E con ciò di cosa io ti
prego non buona per me solq, ma per ambedue. Per
le Se tea persuadi , nè scorri ad azioni non degne ;
perchè avrai C anima immacolata e libera da ogn’ ira,
da ogni^ terrore di furie persecutrici , e p6r me poi ,
perchè la fama che men yetrà , mentre vivo, dai
cittadini, e dalle cittadine. Tenderà beati i miei .gior-
ni f e quella che mi sarà dispensata come io presa-
gisco , dopo^ morte , renderà sempiterno il mio nome.
E se 'dopo morte riceve alcun luogo le anime sciolte
da corpi; riOn riceverà già la mia quel sotterràneo rp
tenebroso ove dicono che i detnoni soggiornano ; nq
1
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'JO DELLE antichità’ EOMANE
il ampo che chianìdn di Lete; ma C etere sublime e
puro, ove dicono che albergano con prospera e beata
sorte i JigUifoli de’ numi. JB’ià divulgando anima
min la pietà e le grazie onde m’hai riverita, ten chie-
derà per sempre dagt Iddii la degna- ricompensa.
LUI. Ma se dispregi la madre tua , se inonorata
la' rimandi n per me fortunata
nò per le, la quale hai salvato la patria, e perduto
insieme il pietoso ed amantissimo tuo figliuolo. Cosi
detto , si ritirò ne' siioi padiglioni ; comandando che lo
seguitassero la inoglie; la madre -,, i fi^i : é vi si. tenne
tutto il resto dei giorno , eonsultaudo , con esse ciocché
era da fare. Enrono le risoluzioni : che nè il Senato
proponetse al popolo , nè il popolo decretasse nulla
del suo ritorno , prima che .si persuadesse aWolsci
r amicizia e la cessaziofs della guèrra. Egli leverebbe
e ritirerebbe /' esercito , marciando cofne tu terre di
amici: Dato conto del suo capitanato, e dimostratina -
i beni; pregherebbe quelli. che glie lo aveano càtfi»
flato, a’ volersi ricongiungere per giuste condizioni ai
nemici ,. ed incarieore lui pefchè vi fosse ne patti t o-
fpùtà , senza niuna fmdolenza. Che - se protervi pei
successi filici non aecettósser la. pace; egli si spoglie*
rebì>e del comando. In. tal caso o non sosterrebbero
essi di ^leggete un altro per ^mancanza di buoni capi*
ioni ; o cimentandosi di 'affidare le forze ad un altro
qualunque, imparerebbero a grande lor danno, ciocchi
era V utile a Jare. Tali sono le deliberazioni ira loro
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72 DIELLE, antichità’ DOMANE
tenute, e riconosciute per eque e giuste, e capaci presso
tutti di buona faina, oggetto principalissimo delle cure del
valenluomo. Ben erano essi agitati da- un timido sospetto
che la turba irragionevole speraozala di debellar riiiinii*
co, delusane, alfìne infuriasse; e setiz’amihctter discorso
trucidasse come traditore' quel suo capitarlo; tuttavia deli-
berarono d’inedutrere non pur questo ma ogn^allro più
tetro pericolo, e serbare vh-tuosameule la fede. E poiché
il giorno piegava a sera; datesi vicendevoli signiflcaziout
di affetto , uscirono da' padiglioni , e quindi le donne
tornarono a Rema. Esitose Marcio agli astanti le cause
che lo inducevano a scioglier là ,guerra , e pregò lun-
gamente t sòldan che'gb'el condqnassero , e che tornati
in patria , ricordevoli de’ suoi beneQzj ,. non'' permettes-
sero essi compagni suoi , che subisse alcun reo tratta-
mento dagli altri. Ej ragionate altre cose , tutte persua-
sive , t:omandò che iaces^erq le b^gagHe , oude partire
la notte 'seguentPi
LVi Coinè seppero dalla fama ,' percorsa alle, donne,
die Icvavasi il pericolo loro , uscirono lietissimi i Ro-
mani dalia dtlà per incohlcarle; dicendo e fàcendo ora
a cori, ora ad uno ad uno, salutazioni e' cantici e tri-
pudj , quali gli latino e li dicono quelli che' da rischio
terribile passano » prosperità non pensata. Si menò poi
Ja notte tutta' In feste e conviti : nel giórno appresso il
Senato adunato da consoli su Marcio dichiarò che si
differisse in tempo più acconcio a risolver gli onori da
farseglt : ma. che per lo zelo ditnostrato sì desse alle
donne nc’ pubblici antichi registri un elogio che ne'por-
tasse eterna la memoria , tra’ posteri , ed un donativo ,
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/
LIBRO Vili, , -)3
qual sarebbe il pti\ car ed ' '
i Romani -colende ; giorno appunto che disciolse la
1 “ ^ ,
(i) Cotiolano si approssioiò.due volte a Roma j 'la prima volU
ai accampò preaso le fosse delle Cluvìlie.-io distaosa di ciitipie mi-
glia, e la seconda io luogo anche piò vicino a Roma, iiitburgio
scrive, che io questo secondò luogo appunlo fu eretto il tempio delta
Fortiuia Mulirhrc. A questa sci\tei]sa sembra corritpondero ricchezze , noh ricéVò con dispiacere la iùtérro*
zvon della guerra , e^ favorendo il valentuomo , escu-
savàlo se non la dltlmava, mosso daUe prègbieve e dalla
compassion della madre. Ma la gioveUtù rimaka nelle
città,, tocca da invidia per. le grandi prede fatte dalFe»
scrci'to, e’ delusa delle speranze che aveva, se prendei»^
dosi Roma ne era Oaccàto l’orgoglio; ne fremette , e
fi esulcerò contrd'del capitano. £ finalmente assunti, per
ca|)i della scellcrsgginc uomini- .potentissimi tra quelle
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DELLE A^ITICHITA’ BOMANE
genti , imbarbarì , e commise nn indégnissimo fatto. Isti-
gavala aoprattattO Azzio Tulio circondato da non pochi
di ogni città. Costui non polendo più la invidia sua
contro ‘Marcio*; aveva già da uii tempo risolato di uc-
ciderlo occultamente e frt^dolentemeote , se quel duce
xiuscendo ne’ disegni e 6accando Roma tort^Va - dal
sottometterla ai Volsci , o di darlo manifestamente ai
suoi partigiani ^d ucciderlo come traditore, se falliva
nella impresa , è tornavane senza l’ intento. Ora ciò fece
appunto. Imperocché ' convocando gente non poca; le
accusò quel .valentuomo argomentando dal vero il falso,
e conghietturando dalle cose già' state, quelle -che non
sarebbero mai t poi comandò che deponesse il comando,
e desse conto del suo capitanato. Once costui delle
truppe rimaste nelle città , come ho detto di sopra, ‘era
l’arbitro di raccogliere le adunanze, e di chiaipare chi
voleva in giudizio. ' ' ■ [ . ' . ■ • ‘
' LYilI. Marcio giudicava non* dover contrapporsi a
ninna delle dué intimazio.ni ; solamente discordava nel
metodo di soddisfarvi ; 'credendo che égli dovesse prima
dar conto de’ fatti della ' guerra , e pqi deporre , se
così paresse a tutti i 'Volséi , il comando. Affermava
che non dovesse di tanto esser arbitra una sola città
corrotta in gran, parte 'da Tulio; ma tutta la nazione,
raccolta in comizj legittimi , ove fossero spediti deputati
da 'ogni . città, come portava il 'costucrie, quando aveansi
a discutere i grandi jeffari. Opponevasi a ciò Tulio,' ben
vedendo cbe se Marcio , ahroòde parlatore , facciasi tra
la pompa di capitano a dar conto delle 'tante e belle
sue gesta trionferebbe^ della moltitudine ; c non' cbe su-
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• LIBRO VITI. ■ 77
hire le pene • de’ traditori , ne diverrebbe più onorato e
)>iù grande. Impe^occbé ’ sarebbero per concedergli tutti
che solo finisse a piacer suo la guerra , ed arbitro re»
stereljbe di ogni cosa. Adunque per molto tetnpo se no
suscitarono ogni giorno dicerie vicendevoli , e reclami
in Senato, éd altercazioni vive nel Foro ; uou essendo
lecito a niun di essi 'far violenza all’ altro , garautito
dalla dignità pari della magistratura,. Or poiché non
dovasi fine, alla disputa ; Tulio comandò a Marcio di
venire in dato giorno a deporre il suo gradò, e sotto-
mettersi ai proressi di tradimento, E sollevati eon lu-
singhe' di benefizi > uomini audacissimi , e messili per
capi della scellcraggiuc indegna; si portò nel Foro de-
stinato. 'Asceso ' nel tribunale accusò Marcio con tòòlte
incolpazioni ; ed istigò la moltitudine a' degradarlo a
fo4'za , se spontaneo non lasciava il comando.
' LIX, Accese Marcio anch’ esso per;, far le difese ; ma
ì grandi clamori de’ seguaci di Tulio gli tolsero di par-
lare. Dopo ciò gridandosi: {ira , ferisci , lo efreonJa- '
rouo , e con .nembo di sassi lo, uccisero uomini inso-,
lentissimi. Ed essendo lui strascinato Foro , quelli
che erano presenti allo spettacolo, e quelli che Vi so-
pravvennero dopo eh’ egli erst spirato , deplorarono il
valeniaoiiio ; perchè' non degna avea da loro la ricatu-
pensa. E Hdiceano quanto bene avea fatto al comune,
e r arresto' .voleanO degli uccisoci, perchè dato.aveano
esempio di opèra. ingiusta, e lesiva delle '.città, spe-
gnendo senz’iimmelterne le difese violentemente un di
loro , c questo , , comaudante. Ne fremeauo soprattutto
i compagni di lui uclle spedizioni. E poiché non erano
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^8 DELLE Antichità’ romane
stati da tanto d’ impedirne i mali- mentre viveva ; delU
berarono riconoscerlo de’benefizj, almeno dopo la mor-
te; recando al Foro quanto alla deliha onorificenza ri-
cluedesT de’'valentoomini. Quando lutto fu pronto > col-
locarono lui con veste di capitano, su letto vaghissima-
mente ornato : poi facendo precedere quelli che reca-
vano le prede, le spoglie, le cotone, le immagini delle
citli prese da lui ; ne sollevarono il feretro i giovani
più segnalati fra le armi. Lo portarono al sobborgo più
ragguardevole , accompagnandone il cadavere i 'cittadini
tutti con gemiti e la^inDe. uomo il. più grande
di tutti 'al suo tgmpo' nelle armi. Continente da lutti i
pacetri che traspòrUmo i giovani , seguiva 'la giustizia
ifon involontario per le leggi che forzano col timore
de’ supplizi', ma spontaneo, come per inclinazione d’in-
dole bennata. Non tenea per virtù non offendere ; e
bramava non solo di esser puro egli stestd da ogni
malfare, ma credea giusto di astringervi -anche gli '^allri.
Magnanimo' , liberale , intentissimo a soccorrere quando
cpnoscevalo , il bisogno degli amici , npn era inferiore
a ninno de’ patrizj nel roaneggio.del- pnbblico. C se fa
sedizione della città non lo avesse impedito da' pubblici
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LIBRO Vili.
•(Tari , forse' Roma preso avrebbe da' regolamenti suoi
grande aògumeolo d’iiQpero. Ma'già. non può farsi cbe
tuKe le virtù si uniscanó nella natura di un nomò ; nè
da seme mortala e caduco sorgerà mai niutlo per ogni
parte peidetto.
LXI. Il ‘destino che ' propizio area sparso in esso i
germi di tali virtù«^ vé ne mise alfiri ancora di sciagure
e dì mali. Non era dolcezza nè illarità ne’ suoi modi,
non degnevolezza ne* salmi e ne’ colloqui , .. non' facilità
di placarsi , non moderazione nell’ ira se contro alcnno
la concepisse , grazia in6ne, quella «die adorna tmte
le nmane cose. ¥élnto lo avresti sempre difficile, e
sempre acerbo, f^ocquero a lui mólto tali maniere, e
soprattutto la severità sua ^moderata,' incredibile, e senza
scintilla mai di chnuenza ne|)ar custodia dei giusto e delle
leggi. Ma ben sembra vero il detto^d^ filosofi antichi ,
che le virtù specialmente quelle delia giustizia , . sono
moderàzioni , e non estremità de costumi : perocché
sia che la ginstizia manchi dal mezzo , sia 'che lo ec-
ceda ; non più giova i mortali , cagionando talvolta gran
danni , e ridùcendo a stragi > miserande , ed immedica-
bili inali. Nè fu cbe la troppo sollecita e troppo austera
esigenza del giusto la quale ridusse Marcio fuori della
patria, e senza il frutto delle altre belle sue doti. Po-
tendo- piegarsi per atòunà maniera al popolo, e lasciare
qualche cosa af loro desiderj e divenire il primo fra
loro ; non volle : ma contrariandoli in qualunque cosà '
la quale ad essi non si dovea, se ne concilò l’ odio , c
fu cacciato dalla -patria. Potendo, appena ^ sciolse la
guerra, lasciare il comando deifarmata, e trasferire al-
&
8o ì)Et,LE antichità’ ROMANE
trove la sua dirnora , Gncbè gli fossi! conceduto il ri«
torno alU patria, anzi 'che esporre ^ stesso à nemici,
ed alle stoltezze della moltitudine ; ne vide la necessità
di ‘farlo , e non volle. Ma giudicando 'dovere affidare
sè stesso a chi gli aveva affidata T armata , .c conto
del suo capitanalo, e se irovavasi. reo di co.sa alcuna
subirne le pene secondo le leggi; raccolse amaro U
frano di tanta giustizia. • i
LXII. Pertanto sé col disciogìiersi de’ corpi aiicUo
l’anima, qualunque' cosa ella sia, si discioglic, né punto
ne so^ravvanza; io non vedo come.- chiamare beati
quelli elle non goderono della loro virtù niun frutto,
anzi pci*^ essa perirono. M.i se le anime nostre ’Soprav-*
vivono Immortali affatto come pensano alcuni ;'0 qùal-
ebe tempo almeno dopo la .-partenza' loro dal corpo, il
più lungo quelle do’, buon; , ed .il più breye quelle dei
malvagi (it; certo parrà beq grande ai. virtuosi l’ onore
che li seguita, loipérocclié sebbene la fortuo»' stasi loro
contrapposta; avranno buona fama e langbissima la ri«
cordanza tra’ vi vanti, come appunto ' accadde a questo
uomo. Perocché non solaincute ’mofto io piansero e Io
onorarono, i Yolsci come virtuosissimo; ma li Romaui ,
conosciutone appena il caso , riputandolo sciagura altis-
sima di Roma , ne fecero pnvalo e pultbJ/co lutto. Le
donne come usano in morie dei domestici loro amaiis-
s.ifni , lasciarono da un canto l’ oro , la porpora , ei
• V .
(i) [1 Vossio nel lil>* i ^ de IJoloturia dctltice d» f|iicslo passo
ch^ Diouigi crcdctle che le auhne esùtono J«pu !a tnofie del colpo
ma solo -per un tempo limitalo ; e per ciò lo ridice nella classe dt
(|iicl!i che pensavano quaulu alla durazioue delle anime come gU Stoici»
\
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LIBRO Vili. 8 I
atterono fra loro senza re-
gola, senza comando, misti e confusi: tanto che grande
ne fu la strage in ambe le parti ; e forse totale ne sa-
rebbe stata la rovina , se il sole non tramontava. Ma
cedendo , loro malgrado , alla notte , che inipedivali di
contendere , separaronsi , ed alloggiaronsi ciascuno nel
(i) Aa. di Ruma aGG secondu Catoue, aGS secoudu V'arrooe , e
48G 8T. Cristo.
DJONICI . tomo Iti. fi
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8a DELLE antichità’ ROMANE
proprio campo. La maltina i duci lerando le truppe si
ricondussero alle loro case. Udirono i consoli dai diser.-
tori e da altri divenuti prigionieri col fuggire dalla bat-
taglia , qual furia e quale flagello divino fosse nell’eser-
cito; non però colsero la occasione tanto a proposito
per essi non lontani più di trenta stadi, nè gl’ incalza-
rono nella ritirata : nel qual tempo se essi freschi , in
buon ordine , avessero perseguitato gli emoli stanchi ,
feriti, confusi, e già pochi di molti, di leggieri gli
avrebbero totalmente distmtu. Sciogliendo aneli’ essi il
campo, tornarono in patria sia che fossero paghi del
bene dato loro dalla fortuna , sia che non fidassero su
r annata loro non disciplinata , sia che assai valutassero
il perdere anche pochi soldati. Ma giunti in città vi
furono vituperati , riportandovi fama di pusillanimi per
tale condotta. Mè facendo altra spedizione , rassegnarono
il poter loro a’ consoli susseguenti.
LXIV. Presero l’ anno appresso il consolato Cajo
i^quilio e Tito Siccio , uomini periti di guerra (i). E
facendo questi proposizioni di guerra; il Senato decretò
che si spedisse un’ ambasceria per chiedere soddisfazione
secondo le leggi dagli Ernici, popolo amico e confede-
rato, il quale aveva offesa Roma nel tempo della guerra
de’ Volsci e degli Equi con prede e scorrerie su le
terre contigue : e decretò che intanto che ne avessero
la risposta i consoli iscrivessero milizie quante ne pote-
vano , convocassero con messaggi gli alleati , ed appa-
recchiassero sollecitamente col mezzo di molti ministri
(■) Ao. di Roma a07 secondo Catone, 369 secondo Varrooe,
e 485 av. Cristo.
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LiDno vili. 83
armi , grano , (lanari , e quanto è necessario ()cr la
guerra. Tornali , cspcKero gli ambasciadori le risposte
degli Ernia, i quali diceano non esservi pubbliche con-
venzioni tra loro e tra’ Romani , e che pensavano già
sciolte quelle che vi furono tra loro e tra Tarquinio ,
come detronizzato , e morto in terra straniera : che le
prede e le incursioni non furono ingiustizie del pub-
blico, ma di privati intesi al guadagno: e che non do-
veano però nemmeno gii autori di quelle consegnarsi al
supplizio: e lamentandosi che avessero anche gli Eroici
patito altrettanto ; signiQcavano che volentieri accette-
rebbero la guerra. Il Senato , ciò udendo , decretò che
si dividessero in tre parti le nuove reclute descritte: che
il console Cajo Aquilio marciasse coll’ una sugli Eruict
già in arme aneli’ essi: che Tito Siccio, l’altro console,
ne andasse coll’ altra su i Volsci : che Spurio Largio ,
nominato da’ consoli comandante della città , prend
cero ciò primi li Volsci ; e ben tosto la ottennero ;
dando l' argento multato dal console , e somministrando
quani’ altro bisognava all’ esercito ; dopo avere promesso
che sarebbero ì sudditi de’ Romani, né più da tali ao>
cordi si leverebbono. In ultimo gli Eroici vedutisi rima-
sti soli , trattarono coi console di amicizia e di pace.
Ma Cassio assai richiamandosi di essi con gli ambascia-
dori , disse , che prima doyeano far quanto conviene
ai vinti ed ai sudditi, e poi discorrer di pace; e
soggiungendo gli ambasciadori che lo farehhono se
moderata e possibile ne fosse la esecuzione , co-
mandò loro che gli portassero in grasce i viveri di un
mese, ed in argento la somma onde stipeudiarue t sol-
dati secondo il solito per sei mesi: e definendo un nu-
mero di giorni entro cui potessero tutto apprestatali ;
concedette intanto ad essi una tregua. Presentarono gli
Ernici ogni cosa con prestezza ed impegno, e spedirono
di bel nuovo i parlamentar] di pace. Li lodò Cassio c
li rimise al Senato. Ne deliberarono i padri a lungo; e
piacque loro che si ammettessero questi all’ amicizia, c
Cassio il console esaminasse , e decidesse le condizioni
de’ trattati da conchiudersi. Approverebbero i padri cioo-
ch’ egli ne stabiliva.
LXIX. Prescritto ciò dal Senato; Cassio tornando in
città chiedeva un secondo trionfo per aver sottomesso
i popoli più riguardevoli : ant>gavasi però quest’ onore
per le aderenze , piuttosto che di giustizia lo ricevesse.
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LIBRO Vili. 91
tinperocchc non avendo nè prese città per assalto, nè
disfatti eserciti in campo aperto ; non potca menar seco
in spettacolo i prigionieri e le spoglie che sono gli or-
namenti dei trionfi. Ma lo amare il piacer suo ; non le
risoluzioni simili a quelle degli altri , gli concitò subi-
tissima invidia. Impetrato il trionfo pubblicò la concor-
dia , com’ aveala firmala con gli Eroici. Erano le con-
dizioni trascritte da quella conchiusa già co’ Latini.
Dicchè mollo si dolsero i più provetti ed autorevoli , e
tennero lui per sospetto , sdegnati che gli Eroici , estra-
neo popolo , fossero pareggiati di onore ai Latini loro
congiunti ; e quelli che dato non aveano neppur minimo
segno di benevolenza partecipassero le cortesi retribu-
zioni di chi tanti dati ne avea. Soffrivano ancora di
mal' animo la superbia di quest’ uomo , perché onorato
dal Senato non aveali a vicenda onorati , fissando e
pultblicando i patti come glie ne parve ; non di concerto
comune coi padri. Così la troppa felicità nuoce , non
giova ; divenendo insensiòilmente per molli cagione di
orgoglio incredibile, e stimolo di desiderj superiori
alla natura; come avvenne a costui. Condecorato al-
lora dalla città egli solo fra tutti con tre consolati e due
trionfi ampliava l’ onorificenza sua , ambizioso del regio
potere. Considerando però che la via più sicura per chi
ambisce il regno e la tirannide è quella di guadagnare
il popolo co’benefizj, e di costumarlo ad essere alinien»
tato da chi dispensa le pubbliche cose ; a questa si ri-
volse , e senza manifestarsene ad alcuno. E perocché ci
aveva un terreno amplissimo del comune ma trascurato
e goduto da^ ricchi ; deliberò di compartire questo tra’l
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92 DELLE Antichità’ romane
popolo. E se contentato si fosse di procedere fin qui ;
forse riuscito sarebbe ue’ disegni. Ma trasportatosi a trop-
po ; cagionò sedizione nou picciola , e fine sciaurato a
sestesso. Imperocché presunse congiungere alla divisioa
del terreno non pure i Latini ; ma gli Ernici , ricevuti
ultimamente per cittadini.
LXX. Tali cose ideando a conciliarsi quelle nazioni,
convocò nel glotoo dopo il trionfo il popolo a parla-
mento. Quindi asceso in tribuna com’ è 1’ uso de’ trion-
fatori , prima dié conto delle opere sue, delle quali era
la sostanza : che fatto console Ut prima %>oUa vinse i
Sabini, e li rendè sudditi a Roma alla quale dispu-
tavano il comando : che fatto console per la seconda,
racchetò la civil sedizione , e restituì la plebe alla pa-
tria : e ridusse amici e (compartecipi della cittadinanza
di Roma, i Latini che erano consanguinei, ed emoli
eterni delt impero e della gloria di lei; tantoché non
più la contrariarono , ma riguardarono Roma come
patria loro. Chiamato la terza volta al consolato ne-
cessitò li V ilsci ad essere amici , di nemici che erano,
colle armi, e sottomise spontanei gli Ernici, popolo
vicino, grande, potente, ed attissimo a nuocer molto,
o giovare. Eisponendo queste e simili cose chiedeva al
popolo che attendesse a lui , provido soprattutti ora e
per sempre della repubblica , e chiudendo il discorso
disse che farebbe e tra non molto tali e tante benefi-
cenze che supererebbe quanti erano encomiati di aver
amato e salvato il popolo. Oisciolta 1' adunanza invitò
nel giorno appresso a raccogliersi il Senato sospeso e
timoroso pe’ delti antecedenti di lui. Prima di ogni altra
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LIBRO Vili.
93
cosa propose un tal suo sentimento tenuto occulto alla
plebe , e chiese ai padri che giacché questa era stata si
utile per la libertà dando mano a farli dominare su gli
altri , prendessero cura di lei e le dispensassero il ter-
reno , pubblico in sestesso per essere acquistalo colle
armi , ma goduto in fatti senza niun dritto da patrizj
impudentissimi : e poi chiese che si rendesse dal pubiuale fu sopraimominaiu Poplicola.
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102 DELLE antichità’ ROMANE
potenti per aderenze e ricchezze , e tutto che giovani ,
non inferiori a niun pari loro nei trattare le pubbliche
cose esercitavano la questura. Ed arbitri per questo -di
intimar le adunanze accusarono al popolo con incolpa»
zioni di tirannide Spurio Cassio il console dell’ anno
precedente, che osò d’introdurre le leggi su la partizione
delle campagne ; e • preGggendogli il giorno, lo citarono
a giustiCcarsene presso del popolo. Adunatasi nei giorno
prescritto gran gente essi invitandola ad ascoltare di-
mostrarono che le opere manifeste di quest’ uomo non
comprendeano nulla di buono : primieramente perchè
mentre i Latini appagavansi di essere ammessi alla cit-
tadinanza , e riputavano sommo il favore se la ottene-
vano; egli console non solamente concedè la cittadinanza
che dimandavano, ma decretò che si desse loco il terzo
delie spoglie della guerra, se in comune la sostenessero:
secondariamente perché rendette amici in luogo di sud-
diti , concittadini in luogo di tributar) gli Eroici che ,
vinti , doveano ben esser contenti se non erano dan-
neggiati collo smembramento delle lor terre; anzi ordinò
che si desse loro pur la terza parte delle prede e 'Tlelle
campagne che fossero mai per conquisure. Tanto che
divisa la preda in tre parti doveano i sudditi e foresuerì
pigliarne due parli , ed i paesani e padroni una sola.
Dimostravano che da questi due assurdi ne segnirebbe
r uno o altro , se volessero pe’ molti e segnalati servigi
condecorare un altro popolo come i Latini, o come gli
Eroici che ninno prestato ne aveano, vuol dire: o che
non avrebbero che dar loro (i) , o se volessero pareg-
(i) Il lesto di Rciske si togUmero
e confiscassero i beni del padre che ne avea svelato le
brighe per la tirannide ; e per questo io decidomi piut-
tosto per la prima narrazione. Le ho nondimeno riferite
ambedue, perchè coloro che leggono aderiscano a quale
più vogliono.
LXXX. Insistendo poscia alcuni perché si uccides-
sero i figli ancora di Cassio; parve al Senato aspra la
inchiesta nè utile. E congregatosi decretò che si rila-
sciassero , c vivessero sicurissimi da esilj , da infamie ,
da ogni sciagura. Da quel fatto si stabili tra’ Romani
r uso , custoditovi fino a’ miei giorni , che vadano im-
muni da ogni pena i figli di padri delinquenti , sian
essi figli di tiranni , di parricidi o di traditori , che tra
loro è il massimo dei delitti. E quelli che vicini al no-
stro tempo , circa il fine della guerra Marsia , e della
guerra civile dandosi ad abolire quest’ uso , impedirono
finché dominarono che i figli dei proscritti da Siila
giungessero agli onori paterni e prendessero posto in
Senato , sembrarono far opera degna della esecrazione
degli uomini , e della vendetta de’ numi. Perocché col
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LIBRO vin. 107
volger degli anni raggiunse loro la giustizia , vendica-
trice non riprovata , per la quale furono dal colmo della
gloria precipitati ai fondo delia miseria; non lasciandosi
del lignaggio loro se non la prole nata di femmine. E
colui (i) che li distrusse riordinò quei costume com’era
ne’ prìncipi. Pfeaso di alquanti greci però non è così
mite il costume; perchè alcuni credono giusto che i
gli de’ tiranni co’ tiranni finiscano; ed altri con perpetuo
esilio li punistxtno; quasi non consenta la natura che
sorgano figli buoni da’ padri rei ; nè figli rei da buoni
padri. Ma su ciò lascio che altri discuta, se migliore è
l’uso; de’ Greci o migliore quel de’ Romani : ed io pro-
sieguo la storia.
LXXXI. Dopo la morte di Cassio i fautori del co-
mando de’ pochi divennero più baldanzosi, e spregiatori
del popolo. Laonde gl’ ignobili per nome e sostanze se
ne abbatterono ; accusando molto sestessi di stoltezza ,
perchè aveano colla condanna' di lui distmito il custode
fidissimo della fazion popolare. Era questa la causa per
la quale i consoli non eseguivano il decreto de’ senatori
pel quale doveano eleggere i dieci che determinassero
la terra pubblica , e riferire in Senato quanta parte ne
fosse da dividere , ed a quali persone. Adunque si te-
nean de’ crocchi mormorandovisi in ciascuno so l’ in-
ganno , ed incolpandovisi più che tutti i tribuni pre-
cedenti come traditori del comune ; slmilmente faceansi
dai tribuni d’ allora continue le adunanze e le richieste
della promessa. Or ciò vedendo i consoli deliberarono
rimovere col pretesto di guerra la parte sediziosa della
(1) Aagatto.
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Io8 DELLE .antichità’ ROMANE
città ; percccbé di qae* tempi il territorio era iofesiato
da’ ladronecci , e dalle scorrerie de* popoli circonvicini.
Adunque per far la vendetta degli aggressori aveano
inalberato i segnali di guerra , ed iscriveano le milizie
della città. Ma , non dando i poveri il nome loro, non •
potevano astringervi a nonna delle leggi gl* indocili ,
{jerocchè li tribuni proteggevano la moltitudine , e lo
avrebbero impedito, se altri tentava portar la violenza
su le persone , o le robe di chi ricusava. Adunque
lanciarono i consoli molte minacce , che non permette»
rebbero che alcuno rivoltasse la moltitudine ; e sveglia-
rono ne’ cuori un secreto sospetto che nominerebbero
un dittatore il quale sospendesse tutti gli altri magistrati,
ed avesse egli solo un potere supremo ed irrefragabile.
In tale apprensione i plebei temendo che il dittatore
fosse Appio , uomo duro e dlflìcile , piegaronsi a sof-
frire ogni cosa , piuttosto che questa.
LXXXII. Descrittone il molo , i consoli presero le
milizie , e marciarono su l’ inimico. Gettatosi Cornelio
nel territorio de’Vejenti ne portò via la preda sorpre-
savi. Allora i Yejenti spedirono ambasciadori , ed egli
rilasciò loro i prigionieri per date somme, e concedè
la tregua di un anno. Fabio coU’altr armata piombò su
la terra degli Equi , e quindi su quella de’ Volsci. Pa-
zientarouo i Yolsci alcun tempo, ma non molto, che
fossero i campi loro predati e devastati: poi spregiando
i Romani come venuti con armata non grande impu-
gnarono in buon numero le armi , ed uscirono su le
terre degli Anziati per Incontrarli : se non che ne an-
darono anzi precipitosi che savj : perocché se giunge-
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LIBRO Vili. 109
vano inaspettati, e K>rprendeano i Romani mentre erano
qua e là dispersi; ne avrebbero assai variato le vicende;
ma il console istruito del giunger loro dagli esploratori,
richiamò bentosto i suoi , sbandati com’ erano , da’ fo-
raggi , e dié loro la ordinanza conveniente alla guerra.
Come i Volaci che .-venivano confidando e spregiando,
videro fuori dell’ imaginazione tutte le forze nemiche
ordinate e raccolte , sbalordirono alio spettacolo inopi-
nato : nè più curando la salvezza comune , provvide
ognuno alla sua, e dando volta, con quanto aveàno di
velocità, fuggirono tutti chi per una e chi per altra via;
salvandosene la maggior parte nella città (i). Solamente
nu picciolo corpo il quale era più che gli altri ordinato
ritirandosi alla cima di un monte , quivi pose le armi
e vi pernottò. Ma ne’ giorni seguenti essendo dal con-
sole circondala 1’ altura e chiusene tutte le uscite , ne-
cessitato dalla fame si sottomise , e cedette le arme. 11
I console fe’ vendere pe’ questori quanto vi era , prede ,
spoglie, prigionieri, onde riportarne danaro alla patria.
Non molto dopo levò 1’ esercito dalle terre nemiche e
a suoi lo ricondusse , ornai standosi 1’ anno per termi-
nare. Giunto il tempo da creare i magistrati , i patrizj
che vedevano il popolo irritato e pentito della condanna
di Cassio , deliberarono di sopravvegliare perchè non
facesse movimenti elevato di nuovo a speranze di do-
nativi e di divisioni di terre da taluno che prendesse
gli onori consolari pieno della facondia per aringarlo
e travolgerlo. Parve loro che se il popolo desiderasse
ponto di ciò, potesse impedirsegli con eleggere un con-
(1) Adiìo.
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110 DELLE antichità’ ROMANE
sole ad esso non £tvorevole. Ck>nchiuso ciò confortano
perchè aspirino al consolato Fabio Cesone 1’ uno degli
accusatori di Cassio» fratello di Quinto, console attuale^
e Lucio Emilio » altro patrizio propensi^mo agli Otti»
mali. Non potendo il popolo impedir questi due che
aspirassero al consolato , usci dal campo e si levò dai
comizj. Perciocché ne’comizj centuriati tutto il poter
de’snfiragj assorbivasi da’ cittadini più illustri e primi di
ordine ; e di raro cosa alcuna si decideva col voto an-
cora delle centurie intermedie di ordine: la classe estre-
ma poi nrila quale votava la parte più misera e più
numerosa non avea , come innanzi fii detto, se non un
voto solo , il quale era 1’ ultimo.
LXXXIII. Adunque negli anni dugento settanta dalla
fondazione di Roma (i) essendo Nicodemo 1’ arconte di
Atene divennero consoli Lucio Emilio figliuolo di Ma-
merco, e Fabio Cesone figliuolo 'di Cesone. Ora suc-
cedette loro secondo il desiderio di non essere pertui>
bati da sedizioni civili; per essere la repubblica investita
di fuori. E le cessazioni delle guerre esterne sogliono
rieccitare le nazionali , e dimestiche tra’ Greci , tra’ bar*
bari, e dovunque, principalmente tra’ popoli che vivono
Ira le armi e i travagli per amore della bbertà e del
comando ; perchè gli animi avvezzi a bramare ognora
più , ridotti senza gli esercizj consueti difficilmente si
contengono. Su tal vista comandanti savissimi fomentano
sempre alcuna discordia cogli esteri; giudicando migliori
le guerre nelle regioni altrui che nella propria. Allora
(i) Anni di Roma ^70 secondo Giatonc, 373 secondo Varrone,
e Cristo.
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LIBRO Vili. I 1 I
fecondo il genio appunto de’ consoli , occorsero come
bo detto, le insurrezioni de’ sudditi. Imperocché li Volsci
sia che hdassero ne’juoti interni di Roma, contendendo
il popolo co’ magistrati ; sia che fremessero per la infa-
mia della precedente disfatta, ricevuta senza combattere;
sia che insuperbissero per le forze loro che eran gran-
dissime;* sia che seguissero tutte insieme queste cagioni;
aveano deliberato ikr guerra ai Romani. E raccogliendo
i giovani da tutte le dtté marciarono con parte dell’e-
sercito contro le città de’ Latini e degli Ernici , e col-
l’ altra che era la più numerosa e più forte teneansi
pronti a ribattere chiunque si avanzasse contro le loro.
1 Romani ciò saputo deliberarono dividere 1’ armata in
due corpi, e guardare con uno le terre degli Ernici e
de’ Latini , e correre coll’ altro a depredare quelle dei
iVolsd.
LXXXIV. Avendo i consoli , com’ è loro costume ,
tirato a sorte le milizie ; Fabio Cesone assunse il co-
mando di quelle che andavano a soccorrere gli alleati ,
e Lucio marciò colle altre contro la città degli Anxiati.
Avvicinatosene ai confini , e vedutevi le armi nemiche,
si accampò su di un colle a fronte di ^e. Ma uscendo
i nemici ne’ giorni consecutivi più volte in campo , e
sfidando alia battaglia; egli credette avere il buon pun-
to, e cavò le sue schiere. Ed ammonitele , e riammo-
nitele prima del cimento ; alfine diedene il^egno e le
avventò. Bentosto i soldati alzato il grido consueto della
battaglia pugnarono folli , a schiere e coorti. Esaurite
poi le lance , i dac;di cd ogni arme da tiro si scaglia-
rono, rotando le spade, gli uni su gli altri con ardire
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II2 DELLE Antichità’ romane
e desiderio eguale di misurarsi. Era iu ambedue simi«
lissima la maniera di combattere : nè maggiore tra* Ro*
mani la saviezza e la sperieuza che gli aveva rendati
già più volte vincitori , nè maggiore la costanza e la
sofferenza per 1* esercizio di tante battaglie ; ma le doti
stessissime brillavano pur tra’ nemici 6n dall’ ora , che
fu duce loro Marcio, famosissimo duce romano. Adun-
(jne gii uni resistevano agli altri senza cedere il posto
preso in principio. Ma dopo alquanto i Volaci a poco
a poco si ritirano , schierati , e con ordine , tenendo
fronte ai Romani. Tendea quel movimento a dividere
le milizie di questi e combatterle da lut^o elevato.
LXXXV. In opposito i Romani credendo che questi
principiasser la fuga tennero anch’ essi a passo a passo
in buon ordine dietro loro che si ritiravano. Ma poiché
videro che a rilancio conevano agli alloggiamenti an-
ch’ essi rapidissimi , in disordine li seguitarono. Intanto
le centurie estreme e la retroguardia , quasi già vinci-
trici , spogliavano i morti , e davansi a predare la re-
gione. Vedendo ciò li Voisci che facean credere di
fuggire , giunti appena alle Urincee , voltata faccia , si
contrapposero : e quelli che erano negli alloggiamenti ,
spalancate le porle , accorsero numerosi da più parti.
Or qui cambiarono le vicende della battaglia : chi per-
seguitava fugge , e chi fuggiva perseguita. Perirono ,
com’ è naturale , molti bravi Romani incalzati giù pel
declivio , e circondati ; essi pochi , dai molti. Non dis-
simile sorte incontrarono quanti eransi dati a spogliare
e predare , impediti di retrocedere schierati e con oi^
dine ; imperocché sopraHatti ancor essi da' nemici resta-
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LIBRO Vili. Il3
vano iracidali o prìgiooierì. Quanti però di questi o di
quelli respinti giù pel monte fuggivano in salvo ; soc-
corsi , benché tardi, dalia cavalleria, tornavano al6ne
a’ proprj alloggiamenti : e parve che a non essere intc-
ramenie distratti giovasse loro un’acqua dirottissima dal
cielo , ed un bujo qual formasi per nebbia profondissi-
ma ; perocché non potendo i nemici vedere più di lon«
tano , infkslidirottsi a seguitarli più oltre. La noue ap-
presso il console movendo l’ armata la ritirò cheta , in
buon ordine , sicché 1’ inimico noi comprendesse. Al
tornar della sera mise il campo presso la ciué di Lon-
gòla t scegliendo un’altura idonea, onde. respingerne gli
assalitori. E qui fermatosi curava gli egri .dalle ferite,
e rianimava gli aiHitti dalla vergogna delia disfatta im-
pensata. t
LXXXVi. Tale er^ lo stato de’ Romani. Li Volaci
poi come al nascere dei giorno conobbero che quelli
eransi di loggiati; portarono più da vicino il campo loro.
Quindi spogliato avendo i cadaveri de’ nemici , raccolto
i semivivi che davano speransa di guarigione , e seppel-
lito gli estinti loro compagni , rientrarono la città di
Anzio che prossima rimaneva. Qui cantando inni e por-
gendo in ogni tempio sagrifìzi per la vittoria , si diedero
ne’ giorni seguenti ai conviti e piaceri. E se teneansi a
quella vittoria, né intraprendevano altra cosa; la guerra
avrebbe avuto per essi nn esito fortunato. Imperocché
li Romani non aveano cuore di uscire dagli alloggiamenti
per combattere ; anzi desideravano di lasciare le terre
nemiche , anteponendo nna fuga ingloriosa ad una morte
DIOIfJGI , tomo ut. . . . 8
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1 1 4 DELLE Antichità’ romane
manifesu. Infiammati però da speranae maggiori , per-
deroDO la gloria ancora della prima vittoria. Udendo da-
gli eipioratori e dai disertori che i Rbmani andati salvi
eran pochi , e per lo più feriti ; ne concepirono disprezzo
grandissimo , ed impugnate le armi marciaron sa loroi
Li seguitarono senza 1’ armi moiri della città per vedor
la batuglia , e per fare insieme prede e guadagni. Ma
quando giunti all* altura circondarono gli alloggiamenti ,
e presero a svellerne gli steccati ; proruppero prima su
di essi i oivalieri Romani , postiti a piede per la con-
dizione del luogo, e poi li triarj , schieratisi strettissimi.
Sono questi i veterani a’ quali si dà la guardia degli al-
loggiamenti , se le milizie escono per combattere , ed
a’ quali per mancanza di altri ripari si ha restrerao in-
dispensahil ricorso quando avviene strage funesta de’ gio-
vani. Ne sostennero i iVolsci la irruzione e pugnarono
gran tempo pieni di valore. Ma non favoriti poi dalla
natura del aito se ne rimossero : e fatto a’ nemici danno
tenue, nè degno di memoria, e ricevutolo essi più
grande ancora; calarono alia pianura. Messi quivi gli
alloggiamenti , schierarono ne’ giorni appresso 1’ armata,
e provocarono i Romani alla battaglia : nè pertanto usci-
rono questi al paragone. 1 Volsci vedendo ciò li spre-
giarono : e convocate le milizie dalle loro città ; si ap*
pareccbiarono per espugnarne le trincee colla moltitu-
dine. E ben erano per fare alcuna cosa di grande ri-
ducendo per patri e colla forza il console e i suoi che
già penuriavano ; ma giunse prima di loro il soccorso
Romano , e furono traversati da compiere con bellissimo
(ìpe la guerra. Imperocché Fabio Cesoue l’altro console,
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LIBBO Vili. I I 5
Mpen
rono compartiti pe’ corpi varj. I consoli dopo avere sup>
plite le coorti mancanti , tirarono a sorte il comando
degli eserciti. Prese F abio l’ esercito sostenitore degli
alleati , e Valerio 1’ altro che * accampava tra’Yolsci ; re-
candovi le nuove reclute. I nemici saputo il giugner di
lui , deliberarono far venir nuove troppe , trinderarsi in
luogo più forte, nè coìrere, come prima , per lo di-
spregio rovinose vicende. F orqirono i duci tutto ciò spe-
ditissimàmente , intenti l’ uno , e l’ altro a guardare le
trincere sue dagli assalti , non ad assalir le inimiche ,
per espugnarle. Cosi decorse non poco tempo fra ter-
ror vicendevole che 1’ ano 1’ altro investisse. Non pote-
rono però l’uno e l’altro osservare sino al fine il pro-
posito. Imperocché quante volte spedivasi alcuna parte
di esercito pe’ frumenti o per altro bisogno ; davansi at-
tacchi e percosse, con esito non sempre vittorioso per
' (i) Cesare
(a) Altenlare so’ Iribaoi era delitto graTÌssimo , perchè le per-
sone loro si riguardavano come sacre ed inviolabili : Quindi Cice-
rone nel lib. 3 de legibns scrive: quodque ii prohibessint , quod-
que plcbem rogaisint ralitm està ^ taneiique turno.
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LIBRO vin. I ig
UD de' partiti. Ne perirono in tante scaramacce non po-
chi ; restandone feriti ancor più. Non riparava le perdite
Romane alcun nuovo rinforzo venuto altronde ; mentre
i Volsci , sopravvenendo ad essi schiere su schiere , si
erano moltissimo ampliati. Dond’è che animatine i duci
loro , cavarono dalle trincee 1’ esercito per la battaglia.
LXXXIX. Usciti i Romani nommeno e schieratisi a
fronte, insorse una mischia grandissima di cavalli, di fanti,
di soldati leggeri , pieni tutti di ardore e di > sperienza
e ciascuno col disegno che dipendesse da lui solamente
la vittoria. Cadutine dall’ una e dall’ altra parte molti
estinti , e piò ancor semivivi ; si ridussero a pochi quelli
che tuttavia rimanevano tra la mischia e il pericolo. Or
non potendo questi fare le azioni di guerra perchè gli
scodi destinati a difendere , pieni di dardi conGccativi ^
aggravavano la sinistra , né permettevano che si tenesse
ferma in atto di ripercotere i colpi , e perchè le spade
erano ornai spuntate, rotte , - inutili ; tanto più che il
combattere di tutto il giorno gli aveva stancati, mer^
vati , illanguiditi a ferire , e la sete, il sudore , l’aiTanno
travagliavali come chi combatte a lungo nelle ardentis-
sime ore di estate; la battaglia non prese termine me*
morando , ma 1’ nnò e l’ altro duce ritirarono ben vo*
lentieri le armate : e tornarono a’ proprj alloggiamenti^
Non uscivano più gli uni o gli altri a combattere, ma
standosi dirimpetto spiavano a vicenda le sortite degli
emoli pe’ bisogni ■ di guerra. Parve nondimeno , e molto
in Roma se ne discorse , che la milizia Romana , po-
tendolo , non facesse nulla di luminoso per odio contro
del console , e per indignazione su’ patrizj , mentitori
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lao DELLK Antichità’ romane
nella dÌTÌsione delle terre. In opposito i soldati acctisa»
vano il console come insulficiente ; scrìvendone ognuno
lettere ai suoi. Tali furono gli eventi nel campo in Roma
intanto molti segni celesti annunziarono l’ira divina con
voci , e viste inusitate. E tutti i segni concorrevano a
questo , come i vati e gli spositorì delle sante cose , te»
nutone consiglio , interpretavano , che alcuni de’ numi
erano esacerbati , perché non riceveano gli onori legit*
timi, o riceveano sagrifizj non puri, nè pii. Faceasi
dunque grande ricerca, 6nchè diedesi indizio a’ sacerdoti
che l’ una delie vergini , custodi del fuoco sacro ( Opi-
mia n’ era il nome) avea la verginità contaminato, e
con la virginità le sante cose. Or questi con indagini
e discussioni chiarìtlsi .esser vero pur troppo il fello in-
dicato , spogliarono quella delie sacre bende, e condot-
tala di su |»1 foro, la seppellirono viva tra sotterranee
pareti. Flagellarono poi nella pubblica luce ed uccisero
due convinti del fello con essa. E ben tosto favorevoli
le sante cose , e favorevoli si ebbero le risposte degl’in-
dovini , come per la pace venduta da’ numi.
- XC; Giunto il tempo de’comizj , e venutivi i consoli,
ebberì briga e contenzione assai viva tra’ patrìzj e tra ’l
popolo su’ personaggi che avrebbero da pigiare il co-
mando. Voleano quelli promovere al consolalo giovani
intraprendenti né amici della plebe ; e per insinuazione
loro chiedevalo il figlio di Appio Claudio , di quello ri-
putato già si contrario al popolo ; ed era questo figlio
pieno di orgoglio e di audacia , e potente per amicizie
e clientele più che lutti dell’ età sua. Per l’ opposito il
popolo nominava a far l’ utile pubblico e volea per con-
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LIBRO vm: 1 3 1
soli personaggi anziani , notissimi per le d^ci maniete
sole vi marciasse colle armate. Fu tal decreto un sub>
bjetto di contraddizioni : perocché molti non lasciavano
che la guerra uscisse , ricordando a’ plebei la partizion
delle terre decisa già da cinque anni dal Senato , e come
tra le belle speranze furono defraudati , e protestando
che non particolare ma comune sarebbe quella guerra ,
se la Etruria tutta levavasi unanime a soccorrere ì suoi
nazionali. Non poterono però nulla tali sediziosi discorsi;
imperocché per le insinuazioni di Spurio Largio anche
il popolo ratiScò la sentenza de’ padri : pertanto i con-
soh* cavarono gli eserciti , e gli accamparono separati
r uno dall’ altro , non lungi da Yejo. Si tennero in tal
modo più giorni: non uscendone però l’inimico coll’ar-
mata ; datisi a saccheggiarne i campi , sen tornarono con
quanta poteano più preda in patria. Or ciò e non altro
vi ebbe di memorabile sotto questi consoli.
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124
DELLE
ANTICHITÀ ROMANE
n I
DIONIGI ALICARNASSEO
LIBRO NONO.
L JLj anno appresso nacque disparere tra ’l popolo e
tra i senatori su la scelta de' consoli : imperocché que-
sti voleano promovere al consolato due di cuore patri-
zio , laddove la moltitudine due ne volea popolareschi.
Arse la disputa finché tra loro si persuasero, che am-
bedue le parti dovessero nominare , ciascuna , un console.
Pertanto il Senato elesse Fabio Cesene per la seconda
volta , quello appunto che aveva accusato Cassio come
reo di tirannide, ed il popolo creò Spurio Furio (i)
(i) Anno di Roma s;3 tecoado Catone, 375 Mcoodo Vairone, c
479 av. Cristo.
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DELLE Antichità’ romane lib. ix. laS
nella olimpiade settantesima quinta ; essendo Calliade
Arconte in Atene , al tempo appunto che Serse fece la
sua spedizione contro della Grecia. Or avendo questi
preso appena il comando , yennero in Senato gli am-
basciadori Latini per supplicarvi, che si mandasse loro
coir esercito l’ uno de’ consoli , il quale non permettesse
che la insolenza degli Equi procedesse più oltre. An-
nunziavasì insieme che la Etruria tutta era in moto , e
che tra non molto uscirebbe colle armi per essersi già
riunita in (x>mizj generali : come pure che avendo i
Vejenti insistito per congiungersele contro i Romani,
ne aveano Gnalmente ottenuto , che potesse ogni Tirreno
parucipare alla impresa: dond’ è che fatto, si era un
corpo riguardevole di Vejenti volontari , per militarvi.
Or ciò vedendo i magistrati Romani deliberarono che si
recintasser le armate , e che li consoli uscissero con esse
r uno per combattere gli Equi , ed esser il vindice dei
Latini ; e l' altro per marciare contro l’ Etruria. Oppo-
nessi a ciò Spurio Sidnio (i) l’uno de’tribnoi, è con*
gregando ogni giorno il popolo a conclone raddoman-
dava le promesse dal Senato , e protestava che non pen>
metterebbe , che si eseguisse niuna delle cose decretate
da’ padri su’ nemid o su la dttà, se prima non creavano
i Died , per deBnire le terre del pubblico , e non le
compartivano , come eransi obbligati in verso dd popolo.
Implicavasi , nè sapeva che fare il Senato ; quando Ap>
(i) In atconì codici ti legge Icilio: e Lirio stesso nel lib. 4,
dice : auetoret fuitte tam Uberi popolo mffrayì leitios accipio ,
ex famitia i/ifeetUtima patribue Irei in eam antuun Uibunot plebù
ereaioi.
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156 DELLK Antichità’ romane
pio Claudio suggerì che si procurasse la dissensione tra
questo e gli altri Tribuni ; perciocché vedea , eh' essendo
r oppositore inviolabile, ed impedendo col poter dei^
leggi i decreti de’ padri, non rimaneva altra via da rin-
tuzuraelo, se non quella che un altro di eguale onore
e potenza operasse in conurario , e proibisse ciocch’ egli
proibiva: consigliava inoltre che quanti prenderebbero
successivamente il consolato si adoperassero , e mirassero
sempre ad avere iàmigliari ed amici de’' tribuni , ripe»
tendo non esservi altr’ arte da iuvalidame il potere , se
non quella di ridurli discordi.
II. Parve ai consoli che Appio ben consigliasse, ed
essi , e gii altri de’più potenti si afiàticarono vivamente,
perchè quattro de’ tribuni si dessero ai voleri del Se>
nato. Or questi cercarono alcun tempo persuadere colle
parole Sicinio a desistere dalla mira che i terreni si' di-
videssero innanzi la fin della guerra. Ripugnando e giu-
rando , e dicendo però costui protervissimamente , che
vorrebbe piuttosto vedere la città caduta in poter dei
Tirreni e di altri nemici , che lasciare placidi a sestessi
que’ che godeansi le terre del pubblico , pensarono di
prender quindi la bella occasione di parlare , e di ope-
rare contro tanta arroganza , non udita con piacere ,
nemmeno dal popolo. Adunque dichiararono che gliel
proibivano ; e fecero svelatamente , quanto piacque al
Senato , ed ai consoli. Dond’ é che Sicinio rimasto solo
non era più 1’ arbitro di cosa niuna. Fecesi dopo ciò
la iscrizion dell’ annata , e si apparecchiarono dai pri-
vati , e dal pubblico con ogni diligenza le cose tutte
necessarie per la guerra. I consoli , tirata a sorte la spe-
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LIBRO Vili. 127
dÌEioQ loro, uscirono ben (osto all'aperto, Spurio Furio
contro le città degli Equi , e Fabio Casone contro i
Tirreni. Corrispondevano i successi appunto ai disegni di
Spurio ; non avendo i nemici nemmen cuore di venire
alle mani : e potè di quella spedizione raccogliere da-
nari e prigionieri in buon numero ; imperocché per poco
non scorse tutto il territorio nemico , menando o por-
tando via. Concedè tutte le prede in dono ai soldati :
e se parea già da gran tempo l’amico del popolo; più
che mai se lo accarezzò con tal suo capitanato. Del
quale , finito il tempo , ricondusse l’ esercito intero, in-
violato , ricchissimo divenuto , alla patria.
IIL Fabio Cesone diresse nemmeno bene il comando
deir armata , por andò privo delle lodi delle opere , non
per colpa sua , ma perchè fin d’ allora che fe’ giudicare,
e dare a morte Cassio il console, come intento alla ti-
rannide , non avea più lafiètto del popolo. Donde che
li soldati suoi non erano disposti nè ad ubbidire colla
prestezza la quale abbisogna al duce , che ordina , nè
ad espugnare con ardore quantunque muniti di fòrze
convenienti , nè a guadagnare colle insidie i posti op-
portuni al buon successo , nè a fare cosa niuna dalla
quale raccogliesse onore e fama buona pe’ comandi che
dava. Le altre iocongruenze poi colle quali spregiavano
esso capitano erano per lui meno gravi , nè di tanta ro-
vina per la patria. Se non che quel che fecero in ultimo
creò pericolo non lieve, e grande ignominia per ambe>
due. Imperocché scesi a battaglia campale fra i due colli
su quali alloggiavano diedero molte e splendide prove
di valore , fin a scingere i nemici a dar volta ; non
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ia8 DELLE Antichità’ romane
però gl' inseguirono nella fuga , sebbene il capitano ve
gli scongiurasse , né vollero con fermezza asserliame
gli alloggiamenli ; ma lasciata la bell* opera imperfetta ,
si ritirarono alle proprie trincee. Anzi tentando il con-
sole capitano dire alcune cose (i): molti a gran voce
ne lo beffarono, e redarguironlo che avesse per la im>
perizia sua nei comandare, fatto tra lor la rovina di
tanti valentuommi: ed aggiungendo altre maldicenze e
querele , esigerono che sciogliesse il campo , e li ricon-
ducesse a Roma , come insufficienti ad una seconda bat-
taglia , se il nemico su loro tornasse. Nè puntò si pie*
garouo per le ammonizioni , nè si commossero pe’ g»>
miti , e per le suppliche di lui , nè le grandi minaccie
ne riverirono { ma sd^nandosene ognora più si osti-
narono. Per le quali cose tanta , e tanto universale fu
la insubordinazione , e il dispregio pel capitano; che le-
vatisi intorno la mezza notte , dismisero le tende , e rac-
colsero le armi ; trasportandone li feriti , senza comando
ninno.
ly. Il duce vedendo ciò fu costretto dare il segno
per tutti della partenza ; temendo 1* audacia e l’ anarchia
loro : ed essi come salvatisi colla fuga , pervennero in
gran fretta su 1’ alba presso di Roma. Le guardie delle
mura ignorando che fossero amici , brandirono le armi ,
e chiamaronsi a vicenda ; e tutto il resto della ciltè si
empiè di confusione e tumulto , come per grande scia-
gura : nè si aprirono le porte , se non a di luminoso ,
quando si ravvisò eh’ era 1’ esercito loro. Questo poi ,
(i) Secondo ua’ altra leiione il teaio Mrebbe : ami tentando ai-
euni dare ai cotuoU nome d' Imptradore ec.
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LIBRO IX. I 29
per tacere la infamia deli' abbandono del campo, corse
a riscbio non lieve , traversando disordinatamente di
notte le terre nemiche. Imperocché se gli emoli se ne
avvedevano , e lo inseguivano , niente impediva che lo
sterminassero. Cagione , come ho detto , di questa irra-
gionevol partenza , o fuga , fu l’odio del popolo contr»
dei capitano, e la invidia su la onoriBcenza di lui, af>
finché più autorevole non divenisse per la gloria del
trionfo. I Tirreni conosciutane al quovo di la rimozione,
spogliarono i cadaveri de’ Romani , presero e trasporta-
rono i feriti , e saccheggiarono nelle trincee tutti gli
apparecchi , certamente ben grandi , come per guerra
diuturna . Alfine dopo avere , quasi vincitori, depredate
le terre nemiche più prossime , ricondussero in patria
1’ armata .
V. Creati consoli dopo questi Cajo Malllo , e Marco
F abio per la seconda volta , siccome il Senato decretò,
che marciassero (i) contro Vejo con armata quanta po>
teano numerosa , intimarono il giorno per la iscrizioa
dei soldati. Ben pose loro Impedimento per questa Ti-
l>erio Pontificio T uno dei tribuni con reclamare il de-
creto su la partizione delle terre : ma essi, come aveano
fatto i consoli antecedenti , guadagnando altri de’ tribu-
ni , disunirono que' magistrati , e cosi diedero esecnzlone
pienissima ai voleri del Senato. Finita in pochi di la
coscrizion militare , uscirono contro de’ nemici ; condu-
cendo ciascuno due legioni , reclutate dalf interno di
( I ) Anno di Roma a^4 secondo Catone , 376^ tecoado Varrons
■ av. Cristo.
VIOmGT , temo III. 9
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i3o DELLE Antichità’ romane
Roma , e milizia non minore ; spedita dalle colonie e
da’ sudditi. Giunse dai Latini e dagli Emici il doppio
del soccorso intimato , non però li consoli lo usarono
tutto , ma rimandandone la metà , li ringraziarono am-
plissimamente di tanto buon animo. Accamparono in-
nanzi di Roma una terza armata floridissima di due le-
gioni , per guardia del territorio , se mai vi si presen-
tasse altro esercito nemico improvviso ; e lasciarono a
difenderne le fortezze e le mura gli altri non più com-
presi nella iscrizion militare, ma validi ancora per le
armi. Quindi guidando gli eserciti fin presso di Vejo
ne misero il campo su due colli non molto lontani fra
loro. Accampavasi davanti la città l’armata nemica , nu-
merosa e buona pur essa ; anzi maggiore non poco della
Romana per esservi accorsi i primarj di tutta la Etmria
co'lor dipendenti. All’aspetto di tanta moltitudine, allo
splendore delle armi , assai temerono i consoli di non
listare a vincere , se metteano l’ esercito loro non bene
concorde a fronte dell’ esercito unanime de’ nemici. Adun-
que deliberarono i consoli fortificare il campo , e pren-
der tempo , finché l’ audacia nemica , elevata da un ir-
ragionevol disprezzo , desse loro la opportunità di ben
fare. Seguivano dopo ciò preludj continui di battaglie,
e brevi scaramucce di soldati leggeri ; non però mai
nulla di grande o di lumino»).
VI. Mal soffrendo t Tirreni la dilazion della guerra
accusavano i Romani di viltà perchè non uscivano a bat-
taglia , e magnifica vansi , quasi avessero questi ceduta
loro r aperta campagna. Anzi tanto più si elevavano a
spregiare le milizie nemiche e vilipenderne i consoli ;
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LIBRO IX. 1 3 I
quanto che credeano gl’ Iddj combattere pc’ Tirreni. E
certo caduto un fulmine nel quartiere di Cajo Mallio
]' uno de’ consoli, ne abbattè la tenda , ne mandò sosso*
pra i focolari , ne macchiò le arme , le bruciò d’ intor*
no , o in tutto glie le distrusse ; e ne uccise il più co»
spicuo de’ cavalli dei quali valessi nel combattere , ed
alquanti de’ servi. E condossiacbè gl’ indovini diceano
che i numi annunziavano la presa del suo campo, e la
rovina de’ personaggi più riguardevoli ; Mallio levò l’ e*
sercito , e trasferendovelo su la mezza notte , lo con-
centrò nel campo stesso del compagno. I Tirreni co-
nosciuta la traslazione , ed uditane la causa da’ prigio-
nieri , s’ ingrandirono tanto più nel cuor loro, quasi il
c*ielo ancora guerreggiasse i Romani; e moltissimo con-
fidarono di vincerli. E gl’indovini loro i quali sembrano
aver meglio che quelli di altri popoli esaminato i segni
superni, e d’onde scoppino i fulmini, e dove finiscano
dopo il colpo, da qual Dio vengano , e con quale pre-
sagio di bene o dì male; esortavano che si andasse al
nemico , inlerpetrando il segno avvenuto a’ Romani in
tal modo : poiché il fulmine cadde nella tenda con-
solare ov' è il centro del comando , e disfecevi tutto
insino ai focolari ; egli è indizio divino a tutto l’ e-
sercilo deir abbandono del campo espugnato a forza,
e della rovina de' più riguardevoli. Se dunque , di-
ceano , coloro che ebbero U fulmine restavansi nel
luogo fulminato, nè trasportavano ciocci* erano signi-
ficato infra gli altri ; la presa di un campo , e la
distruzione di un’armata sola avrebbe appagato lo
sdegno del nume cite U contrariava. Ma perciocché
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i3a DELLE Antichità’ romane
cercando precedere col senno gli Dei si trassero aiì
aluo campo, lasciato deserto il proprio, quasi il segno
celeste fosse pel luogo non per gli uomini ; quindi
è che [ ira ' dà' ina fulminerà lutti e chi trasmutatasi ,
e chi li raccolse. E siccome mentre la necessità divina
prenunziava la presa del campo essi non aspettarono,
ma lo cederono di per sestessi a nemici , così non il
campo abbandonato sarà preso di forza , ma quello
che ricettò chi lo abbandonava.
VII. I Tirreni, udite tali cose dagl’indovini, invasero
con parte dell’ esercito il campo derelitto da’ Romani ,
per valersene , contro dell’ altro. Erane il luogo ben
forte, e mollo accomodato per impedire chi da Roma
andava all’ esercito. Fatte poi diligentemente altre cose
colle quali superar l’ inimico , recarono in campo 1’ ar-
mata. Ma standosene i Romani in calma , i più audaci
fra loro scorsi e fermatisi a cavallo presso le trincee ,
rampognarono tutti , quasi femmine : e dicendo simili i
duci loro agli animali più timidi , gli sbeffavano , e
chiedeano l’ una delle due , vuol dire ; che se disputa-
vano altrui la gloria delle armi ; scendessero in campo,
e ne decidessero con una sola battaglia : ma se ricono-
sceansi per codardi ; cedessero le arme ai più forti ,
subissero la pena delle opere, nè più aspirassero a nulla
di grande. Replicavano altrettanto ogni giorno: ma per*
ciocché niente ne proGttavano ; deliberarono rinserrarli
intorno intorno con muro, per astringerli, almeno colla
fame, alla resa. consoli lungo tempo guardarono so-
lamente ciocché facevasi non per codardia nè per mol-
Icsza, essendo Tuno e l’ altro animoso e guerriero; ma
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LIBRO IX. l33
perchè temevano il mal talento, e la ritrosia nata e
perpetuatasi ne’ soldati plebei fin d’ allora che il popolo
tumultuò per la division delle terre. Ancora stavano
loro su gli orecchi , e su gli occhi le cose che avea
fatte nell’ anno precedente per astio sul console , vitu-
perose né degne di Roma, cedendo la vittoria ai vinti,
e sostenendo fin gli obbrobrj di una fuga non vera ,
affinchè colui non trionfasse.
Vili. Volendo tor vii» finalmente dall’ esercito la se-
dizione e richiamare alla concordia primitiva la molti-
tudine ; e dirigendo a ciò tutti i disegni e le providen-
Ee ; poiché non poteano ravvederla uè co’ supplizj par-
EÌali come protervissima ed armata, nè co’ discorsi come
insofferente di essere persuasa , concepirono che due
vie rimarrebbero per la riconciliazione; vuol dire; la
infamia di essere vilipeso da’ nemici per gli uomini (che
pur ce ne avea ) d’ indole moderata , e la necessitò ,
coi tutti paventano , per gl’ indocili al bene. Adunque
per effettuare ambedue queste cose, lasciarono che i
nemici li disonorassero colle parole , biasimando la cal-
ma loro come la calma de’ vili ; e li necessitassero coi
fatti pieni di arroganza e disprezzo a tornar valentuo-
mini , se tali non dimostravansi per sestessi. Speravano,
se ciò faceasi , grandemente che accorrerebbero tutti al
quarlier generale fremendo , gridando , ed istando di
esser condotti al nemico. Or ciò appunto addivenne ;
imperocché non si tosto prese il nemico a rinchiudere
con fossa e steccalo le uscite dal campo , i Romani
considerata la indegnità dell’ opera , ne andarono prima
in pochi , indi in folla alle tende dui consoli , c vi
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i34 DELLE Antichità’ romane
schiamazzarono, e come di tradimento li redarguirono;
protestando infine die se niun de’ due li guidava , essi
di per sestessi volerebbero colle armi alla roano su gli
avversar). Ciò fatto da tutti, giudicando i consoli venuta
alfine la opportunità che aspettavano , imposero agli
araldi di chiamarli a parlamento. Allora Fabio recatosi
innanzi disse :
IX. Sohìati , capitani, tarda è la vostra indigna-
zione su vilipendj che vi si Jan da’ nemici ; nè più
in tempo è la volontà che at'ete di combatterli, pei'-
che m annestatasi troppo dopo il bisogno. Allora do-
veasi ciò fare quaruìo li vedeste la prima volta scen-
dete dalle trincee , e cercar la batiaglia: jdllora bello
era il combattere pel comando , e degno della subli-
mità de’ Romani. Ora necessario ne si è reso, e certo
non di egtuile decoro , quatulo ancora vincessimo.
Nondimeno sta pur bene che vogliate una volta ri-
' scuotervi, e riavervi delle occasioni tralasciate, E molto
siete lodevoli per tale ardore verso le nobili gesta ;
imperocché procede da virtù , e vai meglio cominciar
ciocché deesi aruhe tardi, che mai. Ed oh! cosi tutti
V abbiate sentimenti consimili per t util vostro , e vi
animi tutti uno zelo medesimo per combattere. Pa-
ventiamo noi però che i trasporti de’ plebei contro
de’ magist rati per la division delle terre, siano cagione
al pubblico di sciagure, E ciò noi paventiamo, perché
i clamori , e le istanze , e la insofferenza per uscire,
non è forse in tutti t ejffctto di un disegno medesimo.
Ma quali di voi anelale uscir dai campo per punir
f inimico ; e quali per fuggirvenc. E cagione del ti-
Digilized by Goc^le
LIBRO IX. l35
ntor nostro non sono già gl’indovini, non le conget-
ture; ma fetui più che notorj e non antichi, anzi fre-
schi delt anno precedente, come tutti sapete, quando
uscendo contro questi nemici medesimi un esercito
nostro numeroso e forte , e pigliando fn la prima
battaglia un esito propizio per noi , mentre Cesane
mio fratello, console condottiero poteva espugnare gli
alloggiamenti loro e riportare alla patria una vittoria
luminosa, alquanti presi da invidia della gloria di lui
perchè nè era popolare nè mirava nel suo governo a
far le voglie de’ poveri , levarono le tende la notte
stessa dopo la battaglia , e fuggirono fuori di ogni
comando, senza valutare il pericolo che comprendevali
nelf andare privi di ordine e di capitano per le terre
nemiche , e fra la notte , e senza riguardare quanta
vergogna ri avrebbero , perchè quanto era in loro ,
cedevano C impero a nemici, essi già vincitori ai viziti.
Tribuni , centurioni , soldati ! in vista di tali uomini,
non buoni nè per dominare , nè per farsi dominare ,
che pur sono molti e caparbii , e colle armi , non
abbiamo noi fin qui voluto la battaglia , nè osiamo
ancora per tali compagni decidere in campo la somma
delle cose , perchè non sian essi tT impedimento e di
danno a chi presenta tutto il buon animo. Ma se la
divinità richiami ancor essi a buon senno, se, lasciate
da parte le discordie per le quali ha il nostro comune
tanti mali e sì gravi , e differitele ai tempi di pace ,
vorranno redimere ora col valore { obbmbrio passalo:
niente impedisce che ne andiamo caldi di belle spe-
ranze al nemico. Oltre le tante opportunità di vin-
Digitized by Google
t3f> DELLE Antichità’ romane
rere , le più. grandi e più solide ce le porge la stoli^
dità degli avversar] medesimi. Costoro superiori a noi
di molto nel n limerò, ed atti con ciò solo a contrah-
hilanciare t animosità e perizia nostra , han privato
sestessi fin di quest’ unico vantaggio , consumando il
più delle milizie in guardia delle loro fortezze. Ap-
presso , quantunque dovrebbero fare ogni cosa con
diligenza e saviezza considerando con quali e quanti
grand uomini abbiano a misurarsi, pur vanno con
arroganza ed incuria al cimento , come sian essi in-
vincibili, e noi sopraffatti dal terrore di essi. E le
fosse con che ci cingevano , e le corse a cavallo fin
sotto ai nostri alloggiamenti , e tan^ altre ingiurie
colle parole e colle opere, questo appunto dimostrano.
Or via dunque, ciò riguardando e le tante e sì belle
antiche battaglie nelle quali gli avete vinti : andatene
con ardore a questa ancora. E quel luogo dove cia-
scuno sarà collocato , quello concepisca essere la casa,
i poderi , la patria sua : concepisca che chi salva il
vicino in battaglia salva sè ancora: e che abbandona
sestesso a nemici chi abbandona il compagno. Ilam-
mentatevi soprattutto che di quelli che persistono va-
lorosi e combattono , pochi no soccombono ; laddove
pochi ne scampano, e a stento, di quelli che piegano,
e figgano.
X. Egli seguitava ancora , in mezzo a lagrime co-
piose , tal discorso animatore , e chiamava a nome cia-
scuno de’ tribuni , de’ centurioni , e de’ soldati , nolo
a lui per le belle prove di valore date nel combattere,
e prometteva a chi più segnalato sarebbesi nella batla-
Dìgitized by Gin ■
LIBRO IX. 137
glia molti e gran pegni di benevolenza , onori , r;c>
cliezze , soccorsi d’ ogni guisa in parità delle imprese ;
quando proruppe da tutti una voce che inviuvalo a
con6dare , e portarli al nemico. Cessata questa , gli si
fece innanzi dalla moltitudine Marco Flavoleio , plebeo
di condizione ed arteGcc , non vile però , ma per le
sue virtù pregiato , e prode in guerra ; e per tali due
rispetti condecorato in campo di una presidenza lumi-
nosa , cui sieguono ed ubbidiscano per legge sessanta
centurie. I Romani chiamano primipili nel patrio idio-
ma tali condottieri. Or quest’ uomo , altronde grande e
bello , postosi in parte, donde fosse a lutti visibile, al-
fine disse: K oi temete, o consoli, che le opere nostre
non corrispondano alle parole ? Io per il primo vi
darò su mestesso le assicurazioni meno equivoche
della mia promessa. E voi cittadini , voi compagni
della sorte medesima , voi che avete risoluto di pa-
reggiare ai detti le opere , non sbaglierete facendo
quanto io fo. E qui , sollevando la spada , giurò con
formola sacra e solenne ai Romani , per la sua buona
fede , di non tornare , se non dopo vinti i nemici, alla
patria. Sorsero al giuramento di Flavoleio lodi amplis-
sime d’ogn’intorno. Fecero bentosto altrettanto i consoli
e mano a mano i duci minori , tribuni e centurioni ; e
la moltitudine finalmente. Yidesi dopo ciò molto buon
animo in tutti, molta benevolenza fra loro , molta con-
fidenza , e fermezza. Partiti dall’ adunanza , chi metteva
il freno ai cavalli, chi le spade aguzzava e le lance ; e
chi riforbiva gli scudi ; ond’ è che tra poco tutta 1’ ar-
mala fu in pronto per la battaglia. I consoli , invocali
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i38 DELLE Antichità’ romane
gl' Iddìi con voti, con ugrifizj , con suppliche, perchè
fossero i duci essi stessi di quella uscita , portavano
fuori degli steccati l’esercito, schierato in buon ordine.
I Tirreni vedutili scendere dalle loro trincee , ne stu-
pirono , e vennero ad incontrarli con tutte le forze,
XI. Come furono gli uni e gli altri sul campo, e le
trombe annunziarono il seguo delta battaglia , corsero
quinci e quindi con alti clamori. E fattisi i cavalieri
su i cavalieri, ed i fanti so i fanti; pugnarono, e molu
fu la occisione in ambe le parti. I Bomani dell’ala de-
stra comandati dal console Mallìo malmenavano il corpo
che li contrastava , e smontati da cavallo combattevano
appiedo: ma quelli dell’ala sinistra erano circondali dal
corno destro de’ nemici. Imperocdiè essendo ivi la mi-
lizia tirrena più elevata e più numerosa , i Romani ne
erano battuti, e coperti di ferite. Comandava in questo
corno Quinto Fabio luogotenente e già due volte con-
sole. Egli resistè lungo tempo , ricevendovi ferite sopra
ferite ; ma poi trafitto da una lancia nel petto fino alle
viscere , esangue ne stramazzù. Come ciò udì Marco
Fabio il console che crasi ordinalo nel centro , pigliò
seco i più bravi, e, chiamato Fabio Cesone l’uno dei
fratelli , marciò verso 1’ altro Fabio (i). E proceduto
buon tratto, e trascorso all’ala destra de’ nemici, venne
a quelli che circoudavano i suoi. Dato l'assalto, causò
strage cupa a quanti avea tra le mani, e fuga ad altri
che erano da lontano. Trovato il fratello che respirava
(i) Il ferito. Par questo il senso migliore. Nel testo si legge
in luogo di Fabio. Qui dunque si hanno tre Fabj,
Marco , Quinto , c Cesone, fiaiclli lutti tre.
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LIBRO IX. 189
ancora, lo soUcTÒ; ma questi non molto sopravvivendo,
morì. Crebbe qui l’ira a’ vendicatori suoi su’ nemici. Nè
più riguardando la propria salvezza lanciatisi in piccieda
sebiera nel mezzo di essi , dove erano più folti , vi al-
zarono monti di cadaveri. Pericolò da questa |>arte la
milizia toscana , ed essa che prima incalzava en incal-
zata dai vinti. Per l’ opposto c|oelli dell’ala sinistra che
gii crollavano , e gii meticvansi in piega li dove era
Mallio, quelli fugarono i Romani contrapposti. Imperoo
cbè trafitto Mallio con una lancia da banda a banda in
un ginocchi o , c riportato da’ suoi che lo circondavano
agli alloggiamenti ; i nemici lo credettero estinto , e se
ne animarono ; ed assistiti pur da altri forzavano i Ro-
mani , ridotti senza duce. I Fal^ dunque lasdalo il
corno sinistro furono di nuovo astretti a soccorrere il
destro. I Tirreni , vistfli che venivano con esercito po-
deroso , desisterono dall’ inseguire : e strettisi fra loro ,
combatterono io ordinanza , perdendovi molti de’ loro ;
e molti nocidendovi de’ Romani.
XII. Intanto i Tirreni ebe avevano invaso gli allog-
gia menti lasciati da Mallio , aizaione il segnale dal ca-
pitano, marciarono con gran fretta ed ardore verso gli
altri alloggiamenti Romani perchè non bene forniti di
guardie. Era il loro concetto verissimo ; perché tolti i
triarj e pochi giovani, non v’ erano se non mercadanii,
e servi , ed artefici. Ma ristringendosi molti in picciolo
spazio presso le porte, ebbevi una viva e terribile zuffa
con strage copiosa e vicendevole. Accotzo con i cavalieri
Mallio il console per ajuto ; cadde col cavallo, nò po-
tendo risorgere per le molle ferite vi morì. Perirono
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i4o DELLE Antichità’ romane
ancora intorno a lui molti giovani valorosi : e per tale
infortunio gli alloggiamenti furono espugnati ; vcriGcan*
dosi cosi li vaticini fatti ai Tirreni. E se avessero ben
usato la sorte presente, e guardato quegli alloggiamenti;
sarebbero stati gli arbitri delle provvigioni de’ Romani e
gli avrebbero costretti a partire obbrobriosamente : ma
datisi a predare le cose rimastevi , e li più a ristorarsi
ancora , lasciaronsi fuggir di roano una bella occasione.
Imperocché nunziatasi appena all’ altro console la presa
del campo , accorsevi co' fanti e cavalieri migliori. Li
Tirreni saputo che veniva cinsero le trincee ; e fecesi
battaglia ardentissima tra chi voleva ricuperar le sue
cose , e chi temea , se ricuperavansi , 1’ ultimo eccidio.
Ma traendosi in lungo , e riuscendovi migliore assai la
condizione de' Tirreni , perchè combatteano da luogo
elevato contra uomini stanchi dal 'combattere di tutto il
giorno; Tito Siccio legato e propretore, consigliatosene
con il console , intimò la ritirata ; e che si riunissero
ed attaccassero tutti le trincee dal canto più facile.
Trascurò la banda verso le porte per un discorso plau-
sibile che non lo ingannò; per questo cioè, che i Tir-
reni sperando salvaf&i , ne uscirebbero : laddove se di
ciò disperavano circondati da nemici senza uscita niuna;
sarebbero necessitati a far cuore. Portatosi in una sola
parte l’assalto; non più si diedero i Tirreni a resistere;
ma spalancate le porte , salvaronsi ne’ proprj alloggia-
menti.
XIII. II console , rimosso il pericolo , scese di nuovo
a dar soccorso nel piano. Dicesi che questa battaglia
de’ Romani fu maggiore di tutte le antecedenti per la
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LIBRO IX. l4l
mollltudine degli uomini , per la durazione del tempo ,
e per l’ alleraarvi della sorte ; imperocché venti mila
erano i fanti, tutti di Roma, floridi e scelti, oltre mille
dugento cavalli che univansi alle quattro legioni ; ed aU
trettanta era la milizia de’ coloni , e degli alleati. La
}>attaglia conunciaia poco prima del mezzogiorno si estese
6no air occaso , e la sorte ondeggiò quinci e quindi
gran tempo tra vittorie e tra perdite. Occorsevi la morte
di un console , di un legato , stato due volte console ,
e di tanti altri capitani , tribuni , e centurioni , quanti
mai piu per addietro. Il buon esito della giornata fu
creduto de’ Romani non per altro , se non perché li
Tirreni fra la notte lasciarono il proprio campo, e pas-
sarono altrove. Il giorno appresso fattisi i Romani a
saccheggiare il campo Tirreno abbandonato , e seppel-
lire le morte spoglie dei loro , tornarono agli alloggia-
menti. Dove riunitisi a parlamento diedero i premj di
onore a quelli che avevano combattuto da valorosi , e
primieramente a Fabio Gesone fratello del console, che
avea fatto grandi , e meravigliose gesta : in secondo
luogo a Siedo, cagione che gli alloggiamenti si ricu-
perassero ; ed in terzo a Marco Flavoleio duce di una
legione, si pel giuramento, che per la magnanimità sua
tra* pericoli. Rimasero dopo ciò per alquanti giorni nel
campo ; ma ninno più dimostrandosi per combatterli tor-
narono alla patria. In Roma per battaglia si grande la
quale prendea fine bellissimo , voleano tutti aggiungere
r onor del trionfo al console che tornava : ma il con-
sole stesso noi consentì , dicendo, non essere pia cosa,
nè giusta , che egli s’ avesse pompa e corona trionfale
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l[\1 DELLE ANTICrilTA* ROMANE
per la morte del fratello e del collega. E qui lasciate
le insegne , e congedalo 1’ esercito , depose ancora i)
consolato due mesi prima del termine suo , non po>
tendo ornai più sostenerlo per la grande finta che lo
travagliava e riduoevalo in letto.
XIV. Il Senato scelse gl’ interré pe’ comizj , e convo-
cando il secondo interré la moltitudine nel campo Mar-
zo, vi fu nominato console Tito Yerginio , e per la
terza volta Fabio Cesone, colui che ebbe i primi premj
della battaglia ed era fratello insieme del console , che
avea deposto il comando. Questi, decidendo ciascuno per
sé l’esercito col mezzo ddle sorti, uscirono in campo,
Yerginio per combattere i Yejenti e Fabio gli Equi che
scorrevano, depredando, le campagne Latine (i). Gli
Equi all’ udire che i Romani venivano , si levarono iu
fretta dalle terre nemiche , e ritiraronsi alle proprie città,
sopportando che si derubassero le terre loro : tanto che
il console col subito venir suo s* impadroni di danari ,
di persone, e di altre prede in copia. Si tennero i Ve-
jenti in principio tra le mura ; ma quando parve loro
di avere il buon ponto , usarono su’ Romani sbandati ,
ed intenti alla rapina delie campagne. E perciocché
piombarono numerosi , in buon ordine contro di essi ,
non sedo ue ritolser le prede; ma uccisero, o fugarono
quanti si opposero. E se Tito Siccio legato non accor-
reva , e li frenava , con soldatesca ordinata appiedi e a
cavallo , niente .impediva che I’ esercito in tutto si di-
struggesse. Ma giunto lui per impedir ciò, si affretta-
ci) Adoo di Room 37S aecaudo Catone, 377 secondo Marrone e
479 av. Cristo.
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LIBRO IX. I 43
rono a rlunirsegli , senza eccettuarne alcuno , tutti i di-
spersi. Coocenlralisi tutti occuparono a sera un colle, e
vi pernottarono. Animati dalla prosperità li Vejenti ac-
camparonsi presso del colle e chiamarono altri dalla città,
quasi avessero addotti i Romani in luogo, privo in tutto
de’ viveri , e poiessero tra non molto necessitarli ad ar-
rendersi. Accorsavi gran moltitudine , si misero due
campi ne’ lati possibili ad espugnarsi del colle ; ed altre
picciole guarnigioni in siti men facili ; tanto che tutto
ribbolliva di armati. Fabio l’ altro console intendendo
per le lettere del compagno che gli assediati nel colle
erano agli estremi, e sul punto ornai di rendersi per la
fame , se alcuno non li soccorreva ; raccolse 1’ esercito ,
e corse su’ Vejenti. E se giungeva un giorno più tardi;
niente gli sarebbe valuto , ma trovato avrebbe l’ esercito
rovinato. Imperocché quei del colle costretti dalla pe-
nuria ne uscirono per correre a morte più onorata ; e
fattisi alle prese co’ nemici , combattevano esausti dalla
fame , dalla sete , dalla veglia , da ogni disagio. Ma
dopo non molto, quando videsi l’esercito di Fabio che
giungeva numeroso, in buon ordine, tornò la conBdenza
ne’ Romani , e la paura negli avversar). Dond’ è che i
Tirreni più non estimandosi acconci per fare giornata
cx>ntro di un esercito fresco e potente , abbandonarono
l’ impresa , e partirono. Ma non si tosto le due armate
Romane si ricongiunsero , fecero un amplisnmo campo
in luogo munito presso della città. Trattenutisi quivi
più giorni , e saccheggiatone il meglio del territorio di
Vejo; rimenarono in ‘patria gli eserciti. Avvedutisi i
Vejenti che le milizie Romane eransi levate dalle inse-
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i44 DELLE Antichità’ eomane
gne , presa ia gioventù più spedita che essi tenevano ia
arme , e quanta ne era presente de’ loro vicini , si get-
tarono su campi confinanti , e li depredarono pieni di
fratti , di bestiami , di uomini ; per essere i contadini
calati da’ castelli a pascere i bestiami c lavorare le terre
su la fiducia che aveano nell’ esercito Romano trincie-
rato innanzi di loro. Non eransi questi ai partir dell’e-
sercito affrettati a ritirarsi colle cose loro, non temendo
che i Vejenti , tanto danneggiati , dessero cosi pronta
la ripercossa a’ nemici. Fu la irruzione de’ Vejepti pic-
cola se se ne guardi il tempo ; ma grandissima per la
quantità de’ campi saccheggiati : ed avanzatasi fino al
Tevere verso il monte Gianicolo a meno di venti stadj
da Roma ; le recò dolore e vergogna insolita ; non es-
sendovi sotto le insegne milizie che impedissero a quella
di estendersi. Cosi l’esercito de’ Vejenti prima che que-
ste si riunissero ed ordinassero , corse desolando , e
parti.
XV. Adunatisi quindi il Senato e i consoli , c datisi
a considerare in qual modo fosse da far guerra a’ Vc-
jenti ; prevalse il partito di tener ne’ conOni milizie di
osservazione pronte sempre in campo per la difesa del
territorio. Couturbavali che grande ne diverrebbe il di-
spendio , laddove l’ erario era esausto per le imprese
continue , nè più bastavano i beni ai tributi ; e molto
più contnrbavali la recluta di tali presidj da spedirsi *
perocché ninno voleva star in guardia per tutti: doven-
dosi travagliare non a volta a volta, ma sempre. Essen-
do per tali due cause mesto il Senato; i due Fabj (a)
(i) 1 due Fabj sono Marco Fabio, e Fabio Cesoue nomiaati di topna.
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LIBRO ix; 145
convocarono qnanti partecipavano il loro lignaggio. Con*
saltatisi, promisero al Senato di andare spontaneamente
essi per tutti a tal rischio , conducendo seco amici e
clienti , e militandovi a proprie spese ; finché durerebbe
la guerra. Ed esaltandoli per la disposizion generosa , e
contando tutti di vincere anche per (jnesta opera sola ,
pigliarono essi famosi in città le aripe tra’sagrifizj e tra
i voti, e ne uscirono. Era duce loro Marco Fabio il
console dell’ anno precedente, quegli che vinse i Tirreni
in batuglia. Esso menava presso a poco quattro mila ,
clienti per la maggior parte ed , amici , ma trecento sei
ve n’ erano delia stirpe de’Fabj. Usci non molto dopo
su le orme loro l’armata Romana, comandata da Fabio
Cesone, Tuno de’ consoli. Avvicinatisi al Cremerà, fiume
non molto discosto da Vejo , fordficaroiio su di una
balza precipitosa e dirotta un castello opportuno a di-
fendere tante milizie, e vi scavarono intorno doppie
fosse , e vi elevarono torri froquenti. Cremerà fu nomi-
nato ancor esso il castello dal fiume. E conciosnachè
molti esercitavano, ed il console stesso coadiuvava quel
lavoro , fu terminato prima che noi pensassero. Allora
cavò r esercito , e marciò su 1’ altra parte alle terre dei
yejenti , poste incontra al resto della Etruria , dove
quelli tenevano i bestiami , non aspettandovi mai l’arme
Romane. Fattavi gran preda se la recò nel nuovo ca-
stello , esultandone per due cause , cioè per la vendetta
non tarda pigliata su’ nemici , e per 1’ abbondanza che
dava copiosissima ai soldati che lo presidiavano, percioc- «
chè niente ne riservò per l’ erario , o ne dispensò tra lo
DIONIGZ , tomo in. 1«
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i46 DEiXE Antichità’ romane
sue milizie, ma tulio concedette a quelli che guarda^
vano la regione, greggi, giumenti, gioghi di buoi,
ferramenti , e quanto era utile per la coltura. E dopo
ciò rlmenò 1’ esercito a Roma. Erano dopo fondato il
cartello i Vejenti a mal termine ; non polendo nè lavo*
t^re con sicurezza le terre , nè ricevere esterne vetto>
vaglie. Imperocché li Fabj (i) diviso in quattro parti la
gente loro , con una difendevano il castello , e le tre
altre scorrevano la regione nemica pigliando, e traspor>
landò. E quantunque molte volte i Vejenti gli assalirono
con truppe non poche nell’ aperto , e se li tirarono
dietro in terre piene d' insidie ; essi nondimeno vinsero
r uno e r altro pericolo ; e fatta glande uccisione , n
ricondussero salvi al castello. Pertanto non osavano più
li nemici d’ investirli , ma tenendosi per Ib più tra le
mura , np faceano furtive sortite. E cosi ne andò quel*
r inverno.
XVI. Entrati l’anno appresso (a) in consolato Lucio
Emilio , e Cajo Servilio , fu nunziato a’ Romani , che
i Volsci e gli Equi eransi convenuti di portare su loro
la guerra, e d’ invaderne tra non molto le terre; e ve-
rissimo ne era 1’ annunzio. Imperocché , armatisi gli uni
e gli altri prima dell’ aspettazione , corsero , e devasta-
rono , ciascuno , la regione vicina a sestesso , persuasi
che non potrebbono i Romani combattere in un tempo
i Tirreni , e rispiiigere altri che gli assalissero. Poi so-
(i) Cioè quelli i quali prcaidiavauo il casiello aoUo gli auspicj
di Marco Fabio.
(a) Addo di Roma 37C lecoudo Catone, 3^8 lecoodo Varroae ;
e 476 *v. Cristo.
*
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LIBRO IX. 147
{iravveiiendo altri ridicevano che I’ Elriiiia tutta levavasi
in guerra coulro i Romani , e preparavasi di s[>edire ia
comune un soccorso a’ Vejenti. Or lo avevano i Ve>
jenti f incapaci di espugnare il castello , imploralo qu»>
sto soccorso ; commemorando la unità del sangue , 1’ a-
micizia, e le tante guerre che aveano insieme combat-
tute. Anzi aVeano dimandata l’ alleanza loro nella guerra
co’ Romani non si per questi riflessi , come per quello
ancora , che i Vejenti erano su la frontiera dell’ Etra-
ria ; e frenavano una guerra , che versavasi da Roma su
tutta la nazione. Convinti di tanto i Tirreni promisero
mandare tutti i sussidj che richiedevano. Per 1* opposto
il Senato, informatone, risolvette spedire tre eserciti. Ed
arrolate in fretta le milizie; fu spedito Lucio Emilio sa
i Tirreni. Usci pur con esso Fabio Ceso ne , colui che
avea di fresco deposto il comando , ottenuta dal .Senato
la facoltà di ricongiungersi in Cremerà , e partecipare t
pericoli della guerra colle genti Fabie che il fratello
aveaci condotte in difesa del luogo : ma egli v’ andava
co’ suoi compagni ornato di autorità proconsolare. Cajo
Srrvilio l'altro console marciò contro i Volsci, e Servio
Furio proconsole contro gli Equi. Seguivano ciascun di
essi due legioni Romane , e truppe alleate non minori
di Eroici , di Latini , e di altri. Servio il proconsole
espedì la guerra con termine rapido e lieto ; perciocché
fugò gli Equi con una battaglia , e senza stento ; im-
paurendoli al primo investirli : e poi rifuggitisi questi
ne’ luoghi forti ; ne devastò le campagne. Ma Serviliu il
console fattosi a combattere con fretta ed orgoglio, in-
contrò ben altra sorte da quella che ne aspettava: Op-
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i/jS DELLE Antichità’ romane
posiiglisi i Volsci bravissimameote , vi perdette molti va*
lentuomini: tanto che si fidasse a non far più battaglia:
ma standosi negli alloggiamenti , deliberò di mantenere
la guerra con tenui mosse e scaramuccie de’ soldati leg-
geri. Lucio Emilio mandato nell’ Etruria , trovando ac-
campati innanzi della città li Yefenti con grandi rinforzi
di quella nazione , non indugiò per imprendere : ma
dopo un giorno da che erasi trincerato , presentò le
schiere in battaglia. Vi si lanciarono' i Vejenti arditis-
simamente: ma divenuta questa eguale in ambe le parti;
prese i cavalieri , e. gli avventò su 1’ ala destra de’ ne-
mici ; e perturbatala; corse su la sinistra, combattendo
a cavallo dov’era luogo da cavalcarvi, e dove no, smon-
tando , e combattendo a piede. Venute in travaglio am-
bedue le ale , nemmeno ' il centro potè più sostenersi ,
forzato dalla fanteria : e fuggirono tutti verso gli allog-
gitrmenti. Emilio allora gl’ inseguì con le milizie ordi-
nate, e molti ne uccise. Giunto presso gli alloggiamenti
diedevi con mute continue 1’ assalto , ostinandovisi tutto
quel giorno e la notte seguente : finché nel giorno ap-
presso languendo i nemici pel travaglio , per le ferite ,
e per la veglia , se ne impadronì. Quando i Tirreni
videro i Romani trascendere le trincee , le abbandona-
rono, e fuggirono quali in città, e quali a’ monti vicini.
Tennesì il console per quel di negli alloggiamenti ne-
mici ; ma nel giorno prossimo onorò con doni conve-
nienti i più segnalati in combattere, e concedette a’ sol-
dati quanto era ivi stato lasciato , giumenti , schiavi , c
tende piene di ogni ricchezza. E 1’ esercito Romano se
ne ricolmò quanto non mai per altra* battaglia; impe-
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LIBRO • IX. 1 4p
rDcclièJi Tirreni vivono vita delicata e sontuosa in pa-
tria , ed in campo ; e portan seco , non che le cose
necessarie , suppelletlili ancora di pregio e di artifizio ,
ond’ esserne in piaceri e delizie.
XYII. Ne’ giorni appresso stanchi da’ mali i Vejenti
spedirono ambasciadorì i più anziani della città cq^ modi
de’ supplichevoli per trattare intorno la pace col console.
Or questi sospirando, prostrandosi^ e dicendo,^ tra molte
lagrime, quante cose mai sogliono impietosire; indus-
sero il console a questo, che permettesse loro d’inviare
oratori a Roma per dar fine in Senato alla guerra : e
che non danneggiasse in tanto la terra loro , finché ne
tornassero colie risposte. Ad ottenerne però questo, pro-
misero , come volle il vincitore , dar grano per due
mesi , e danari per sei pe’ stipeudj di tutta V armata. E
portate , e ricevute , e dispensate tra' suoi tali cose , il
console conchìuse con essi la tregua. Il Senato , uditi
gii ambasciadori , viste le lettere del console che molto
pregava, e raccomandava che si finisse il più presto la
guerra co’ Tirreni ; deliberò dar la pace che dimanda-
vasi : e che nel darla il console Lucio Emilio stabilisse
le condizioni che gli sembrasser migliori. Il console a
tale risposta si concordò co’ Vejenti , facendo una pace
anzi umana , che utile pe’ vincitori , senza riserbare per
essi delle terre , senza impor nuòve multe, nè garantire
i patti cogli ostaggi. Or ciò lo mise in grand’ odio , e
fu causa che non avesse dal Senato ringraziamenti, come
savio nel procedere suo. Imperocché chiese il trionfo;
ed i padri si opposero ; incolpando 1' arbitrio de' suoi
trattati , definiti senza il pubblico voto. AlìGaché però
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l5o DKLTT. AXTICHÌTA’ ROMANE
nou sei prendesse ad ingiuria , nè sen corucciasse ; lo
destinarono a portare le armi contro de’ Volaci in soc-
corso dell’altro console, perchè, come fortissimo nomo
eh’ egli era , desse ivi , se poteasi , buon fine alla guer-
ra , e dissipasse 1’ odio dell’ azion precedente. Ma costui
sdegnato sa la negazion degli onori fece presso del po-
polo lunga accasa de’ senatori , cpiasi dolesse loro che
spenta fosse la 'guerra co’ Tirreni. Diceva , che ciò fa-
cevano ad arte in conculcaménto de* poveri , perchè
i poveri , delusine già tanto tempo, non insistessero per
la division delle terre , se tornavano dalle guerre di
fuori. Queste e simili contumelie lanciò con indigna-
zione vivissima su’ patrizj , e sciolse 1* armata che avea
con lui combattuto , e richiamò , e congedò 1’ altra che
era tra gii Eqni sotto Furio proconsole. Con die re-
nelle con-
ti ricchi i
poveri.
XVIII. Presero quindi il consolato Cajo Orazio , e
Tito Menenio (t) nella olimpiade settantesima sesta,
quando vinse allo stadio Scamandro da Mitilene, es-
sendo in Atene Fedone P arconte^ Il torbido interno
impedì questi a principio ne* fatti del comune, fremendo
la moltitudine , nè tollerando che si fornisse niuna pub-
blica cosa innanzi la divisione delle terre. Ma poi, vinto
il popolo dalla necessità , lasciò quanto facea sommossa
e tumulto , e ne andò spontaneo in sul campo. Impe-
rocché le undici popolazioni Tirrene non comprese nella
( I ) Anno di Roma 377 secondo Catone , 27;) secondo Varrone ,
e 4y5 av. Cristo.
stimi molto potere ai tribuni di malignare
doni contro del Senato ,, e di alienare n ciò
principio alla guerra. Levaronsi, ciò convenuto , dal par-»
lamento. Indi a non mollo spedirono i Yejenti a raddo»
mandare' da’ F abj il castello , e già tutta 1' Etruria era
sa r arme. I Romani , conosciuto ciò per lettere spedite
da’ F abj , decretarono che uscissero ambedue i consoli
r uno alla guerra che sorgea dall’ Etruria , e 1’ altro a
quella che ardeva già co’ Yolsci. Orazio marciò con due
legioni e con truppe alleate ben forti contro de’ Yolsci,
Menenio dovea con altrettanta soldatesca incamminarsi
contro r Etraria. Ma intanto che si apparecchia, e s’in>
dogia ; il castello di Cremerà fu preso , e distratta la
stirpe de’ F abj. La sciagura de’ quali- si narra a due
modi r uno non persUadevole , 1’ altro piò prossimo al
vero. Io gli esporrò tutti due , come gli ebbi.
XIX. Narraoo alcuni che sovrastando no patno sa-
grideio che doveasi porger da’Fabj, uscirono gli uomini
con pochi clienti per compierlo , ed andarono , senza
esplorare le strade , non ordinati sotto le insegne , ma
incauti e negligenti , quasi passassero terre amiche , nei
giorni lieti della pace. I Tirreni , saputane anzi tempo
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iSa DELLE ANTICniTA* ROMANE
r andata , disposero tra via le insidie con parte dell* e>
sercito , mentre 1’ altra parte veniva in ordinanza non
molto addietro. Approssimatisi i Fabj, sorsero i Tirreni
dalle insidie , e gl’ invasero di fronte , e di fianco ; as-
salendogli non molto dopo da tergo il resto de’ Tirreni.
Circondatili d’ ogn’ intorno con fionde , con archi , e
dardi , e lance ; gli uccisero tutti colla moltitudine dei
colpi. Or tale racconto a me sembra poco persuasivo.
Imperocché non par verisimile, che tali uomini, addetti
com’ erano alla milizia, ne andassero dal campo in città
senza il voto del Senato per sagrìficarvi ; potendo il
santo rito fornirsi per altri del lignaggio medesimo, già
provetti negli anni. Che se tutti erano partiti d» Roma
senza che stesse ne’patrj lari alcuno de’ Fabj; nemmeno
può credersi , che uscissero dal castello quanti di questi
il guardavano; imperciocché se ne andavano tre o quat*
tro , bastavano a compiere il santo rito per tutta la pro-
sapia. Per tali cagioni a me non sembra credibile questo
racconto.
XX. L’ altro che io reputo piò verisimile su la di-
struzione di essi , come su la presa del cartello , così
procede. Andando questi di tempo in tempo per forag-
giare, e. spandendosi ognora più da largo, come quelli
che prosperavano ne' tentativi ; i Tirreni , raccolte gran
forze,, si accamparono, senza che il nemico ne sapesse,
in luoghi vicini : poi facendo uscire da’ castelli masse di
pecore , di buoi , di cavalli , come per pascere , accen-
devano i Fabj ad invaderli: ond’ è che venendo questi
predavano i pastori , e menavano seco i bestiami. Davano
i Tirreni di continuo tal »ca , traendo i nemici sempre
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LIBRO IX. l53
piii lontani dal campo : or quando ebbero con gli allst-
lameoti perpetui dell’ utile rallentate le provvidenze loro
per la sicurezza; misero di notte gli agguati in luoghi
opportuni , intanto che altri stavano su le allure per
esplorare. Nel giorno appresso mandali innanzi alcuni
soldati , come per difesa de’ pastori, cavarono mollo be-
stiame da’ castelli. Come fu nunziato ai Fabj , che se
andavano di ià dai colli vicini , troverebbero ben tosto
il piano ripieno d* ogni bestiame senza valida guardia :
lasciarono nel castello un idoneo presidio , e vi si di-
ressero. E trascorrendo frettolosi , ardenti
veri, e dicendo opera loro, quanto è l’opera di 'una
sorte improvveduta , ed inevitabile ; li renderono inso-
lenti, se già erano esasperati. Fra tanti mali i consoli
spedirono con molti danari chi comperasse grano dai
luoghi vicini : e comandarono che chi teneane in casa
oltre i bisogni moderati della vita , lo recasse al pub-
blico: e destinatone i prezzi convenienti, e fatte queste
e cose altrettali , ammansarono i poveri che si sfrena-
vano , e si rivobero di bel nuovo agli apparecchiamenti
delia guerra.
XXVI. E certo tardando a giugnere le vettovaglie
di fuori , e finite in breve le interne, non aveaci altro
scampo da’ mali: ma doveasi nece»ariamente o rischiare
tntte le forze e snidare i nemici dai territorio, o morire
tra le mura per le discordie e la fame. Adunque eles-
sero farsi incontro ai nemici , come al meno dei mali.
E levatbi di città coll'esercito valicarono circa la mezza
notte su picciole barche il fiume, e prima che il giorno
fosse luminoso , già teneano il campo presso a’ nemici.
Donde cavato nel giorno appresso 1’ esercito , 1’ ordiua-
(i) Di ani illiberali • sordide. Silbtirgio inleade (|r«. Quindi è che se
dividasi 390U per laS risulta -i6. Casaub.
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i64 DEIXE Antichità’ romane
le trasmutarono in, àlire di pecore e’ buoi , tassato an-
che il numero di questi per le ammende avveniife , che
i magistrati imporrebbero su’ privati. La condanna di
Menenio fa causa che i patriaj si sdegoas'sero col p-
polo , nè più gli permettevano di fare la divisione delle
terre , nè voleano in cosa ninna condiscendergli. Ma tra
non' molto lu potilo il pplo de’ suoi giudizj , appunto
nell’ udire la morte di Menenio.. Imperocché non crasi
questi mal p(ù veduto nelle adunanze , o" ne’ pubblici
luoghi: e polendo pagare l'ammenda (giacché non po-
chi de’ suoi eran pronti a soddisfarla pr esso ) , e con
ciò non perdere' niun pubblico diritto j non volle : ma
giudicando pri la ingiuria alla morte; si tenne in casa,
nè più ammise prsona , e rifinito dal dolore e dalla
’ fame ' abbandonò la vita. E tali sono le ■ Operazioni di
quest’ anno. ^ .
XXVIII. Divenuti consoli Pulsilo Valerio Poplicòla e
Cajo Nauzio (i), fa condotto a giudizio capitale anche
un altro patrizio Servio Servilio, console dell’anno pre-
cedente, non laokò -dopo che aveva lasciato il coma'udo.
Due tribuni Ludo Cedicio , e.Tito Stazk) erano quelli
che lo accusavano’ al popolo- chiedendo ragione non
d' ingiustizia alcuna , ma degl’ infortuni suoi , perchè
nella ballagUa co’ Tirreni spintosi egU fin sotto alle trin-
cee nemiche con più ardirò che prudenza , e- rincal-
zatone da quei d’ entro' che ne uscirono in copia , vi
prJetle il meglio de’ giovani. Questo giudizio parve ai
patrizi il più duro di tutti.' E congregavansì , e doleansi ,
(i) Abdo di Roma 979 Mcoado Catoast aSi secondo Varrone,
e 473 >r. Cristo*
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LIBRO IX.. lG5
è teneano per gran male se il bell’ ardire , e il non ri*
cu sarsi ai pericoli accusarasi ne’ capitani che non tro*
vavan propizia la. sorte, e da quelli che non erano
nemmeno stati ne’ perìcoli : dicevano , che qne’ giudizj
aarebbero , coni’ era verìsimile , cagione di timori e di
ignavia ne’ comandanti, e di non &r loro mai piu con*
cepire nuovi trovameoti : che perita ne sa.rebbe la li-
bertà, come annientata.!’ antorità del capitano. Ed in-
sistevano caldamente presso la plebe >. perchè non con-
dannasse quest’ nomo , avvertendola ,che grabde ne sa-
rebbe il . danno se puoi vanti i dttci > pe’ successi non
buoni. Venuto il tempo del giudizio , fattosi innanzi
Lneio* Cedicio, uno de’ tribuni, accusò Servilio di avere
per imprudenza ed imperizia di comando menata i’ ar-
mata incontro a pericoli manifesti , e rovinato il Bore
della repubbnca : tanto ohe se informalo beo tosto il
console ' compagno della sciagura volando a lui coll’e-
sercito, non respingeva i nemici, e salvava i suoi; niente
impediva che non fosse disfatta anche tutta 1’ altra mi-
lizia , e che in avvenire per metà decadesse , non che
si ampliasse la'' potenza di Ronìa. E cosi dicendo presen-
tava per testimOnj i centurioni , quanti ve n’ erano , èd
alcuni soldati, i quali, volendo rilevare sestessi dall’ infa-
mia della disfatta e della foga, d’ allora , versavano sul
capitano là colpa degl’ infortito) del combattimetnto.
Quindi inspirando viva compassione, verso gli estinti in
quella giornata, exl esagerando quel male, ne ricordò con.
molto .disprezzo ancor altri , i quali detti in comune
contro i ' patrìzj , scoraggiavano chiunque di loro volesse
intercedere per Servilla ; é dopo ciò gli concedè la dii-
/
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l66 DKU.E ANTICHITÀ.’ ROMANE
XXIX. E Servilio pigliando a difendersi disse ^ Cif-
tadini , se mi chiamale al giudizio, e cìuedete ragione
del "mio capitanalo ; san pronto, a renderla : ma se
mi oliiàmate ad una pena già risoluta , e' mente pift
giova eh’ io dimostri che non v oJ[esi; prendete fusa-,
temi come avete già stabilito. .Egli'è pur meglio eh’ io
mora non giudicato cK ottener le difese, nè persua-,
dervele ; perciocché ■ sembrerei patir con giustizia ogni
cosa che su me sentenziaste. Altronde voi meno sa~
rete colpevoli, se togliendomi le difese, jnentre oscura
ancora c la mia colpa , se colpa ho mai fatta ; secon-
date 1 vostri risentimenti. Il pensier vostro' dalla vostra
udienza mi -sarà chiaro : il silenzio o' il tumulto mi
saran d argomento se m’ avete alle ^scolpo chiamato,
o alla pena. E biò detto si tacque. E fatto silenzio, e
gridando ben molli che facesse, cuore , e dicesse ciocché
voleva, cosi ripigliò: Cittadini, se .voi siete i‘ giudici,
non i nemici miei ; di leggeri spero XOftVincervi , che
non v’ oj^esì ; e comincio da ciò cito' tutti sapete. Io
fui scelto console ’coll ottimo V-erginio , quando i Tir^
reni fortificatisi nel colle imminente a Ronìà , domi»
navano, tutta intorno la campagna, sperandosi di abo-
lire ben tosto, ambe il vostro f principato. Eravi in
città fante , discordia , defeienza onde risolvette. In-
contratomi in tempi così . turbati e terribili ruppi ,
unito al collega , due volte in battaglia i nemici , e
gli astrinsi a lasciare, il castello , 'che guardavano.
Feci dopo non molto cessare la fame , ricondotta
t abbondanza npl ■ Foro , e consegnai d consoli susse-
guenti sgombro da’ nemici il territorio che n’ era pie-
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L13BO IX». 167
HO, e Roma sana da tutti i mali politici , i cot
pipopoU l’ avea/io inabissata. So dunque non è de^
litio vincere gt inimici , e di che mai son io ’^lpevole
presso vai ? O conte ha Servilio offeso il popolo', se
alcuni bravi incontraron la morte col, maU:hio combai*
tere ? Già non v’ è niun Dio che asiicuri ai capitani
la vita de* suoi militari ; nè prendiamo , d , comando
con- patti e formale di vincer lutti i nemici ^ e non
perdervi aldino de' nostri. E chi mai , s egli è uomo^
chi si offrirebbe di riunire in sè tutti i bei tratti di
consiglio buono , e di sorte ? Anzi i grandi risuUad
con pericoli grandi s' ottengono.
XXX. Nè già io- sono il primo éte m’ avessi tale
ÒKonlro in combattere, ma se l ebbero, dOei, quanti
fecero pericolose battaglie con poche schiere contro lè
molte nemiche. Incalzarono alctzni i nemici , e poi
furono incalzati: ne uccisero, e ne furono decisi, an-
che in più nurhero.-
siri capitani , riuscitici altri con termine buotto , ‘altri
con doloroso ? E perchè dunque^ lasciate gli altri , e
me 'giudicale ; se a norma - ponderale delle leggi le
opere , non degne della sapienma e del capitanato ?
Quante imprese più audaci ancor della' mia cadde in
pensiero capitani^ di compierle , quando la circo-
stanza non ammetteva consigli sicuri,' é già maturati^
Chi strappando le insegne dalle . mgni de' soldati , le
gittò fra nemici , perchè i suoi scoraggiati ed intimo-
riti » d -rìànimassero a- forza, istruiti , che chi non
salvatale ne avrebbe morte ingloriosa dal comandante,
jiltri scorrendo sul territorio nemico , ucdicarono e
ruppero i ponti de' fiumi valicati, perchè i soldati non
. vedessero scampo nella fuga, se la tramavano , e com^
battessero coji ardore e ferrnezza. Altri- dando alle
fiamme le bagagUe e le tende , necessitarono ' i suoi
a ritrovare nelle terre nemiche quanto lor bisogna-
va. 'Lascio' mille altre imprese', audaci tutte , ed
ideate da capitani , che ió .potrei pur dire 'su la sto-
ria , e su la sperienza , e per le quali ninno mai ,
faUilagli .la prova, soggiacque alle pena E già niuno
può redarguirmi che mettendo i compagni ad aperto
pericolo , io xnen tenessi lontano. Se io mi vi esposi
cogli .altri , se ultimo me ne ritolsi , se vi 'corsi la
sorte comune di tutti ; e di~che • sono io reo ? Ma
basti il fin qui detto su me.
XXXIL Voglio ora dirvi alóune poche cose intorno
del Senato e de’ patrizj , perocché f odio pubblico
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l'](y DELLE antichità’ HOMANE
contro di loro per la division sospesa àeUe terre deot*
neggìa eutcora a me, nè l accusatore mio occultò que-^
sto facendomene parte non piccola delt accusa. E
questo dir mio sarà libero ; giacché diversamente nè
io saprei parlarvi, né > voi profittarne» Popolo! voi nè
giusti siete nè retti non rendendo grazie al Senato
de' tanti e 'grandi benefit j che ne aveste ; e sdegnan-
dovi che non 'per invidia ma per calcolo di ben pub-
blico, vi si oppone .in cosa che'- dimandate , la quid
conceduta tusai nocerebbe '.al comune. Piuttosto do-
vevate accettarne i consigli pome' nati -da principj sol*
dissimi , pel bene di', tutti , e tenervi dalle sedizioni'}
0 se non potevate con tal sano discorso frenar gli
appetiti, t non sani , dovevate implorar te dimande ,
persuadendo , non violentando, Imfièroechè li doni
spontanei titnpettp de’ violenti son più cari per chi li
dona y e più stabilì per . chi. H riceve.. Or • voi , viva
Dio , non ' avete ciò cónsiderato : nia commossi ed
inaspriti dai capipopolo,. come il mare dai venti che
insorgano, F un. dopo F altro , non avete lasciato che
la patria riposasse, nemmen picciolo- tempo.,, tra la
xoima , 'e il sereno. Dondt è che. noi. dobbiam pensare
migliore per noi la guerra, che la pace ;^iacchà nella
guerra maltrattiamo i nemici, ma gli amici nella pace.
Se voi lipulate tutti burnii e lutti utili, come sono,
1 decreti del Senato ; perchè, non avete riputato tale
anche questo ? E se credete che il Senato non prov-
veda con semplicità, mq che male, e vituperosamente
amministri , 'perché noi degradate / voi tutto , e ven
prendete le cariche , e consultate e guerreggiale voi
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LIBRO ix; • 171
per la potenza di Roma , ma , lo stuzzicate , e lo in-
debolite poco a poco , chiamandone i personaggi più
illustri in giudizio? Certo sarebbe pur meglio che fos»
situo tutti insieme combattuti , che càìunmati ad -uno
ad uno. Sebbene , non siete voi , con»’ io diceva , la
cagione di ciò, ma i capi del popolo che vi sommo-
vano , non sapet^o essi nè ubbidire y nè comandare.
E per ciò che spetta alla loro imprudenza ed impe^
rizia', già più volte sarebbefi la nave rove^aicita. Ep-
pure il Senato che ha riparato tante volle i loro sba-
che. fa che la vostra repubblica navighi rettamente, '
ascolta ^ peggio della maldicenza da loro. Or queste
cose , vi piacciano o no-, le ardisca io dire con ogni
verità: e vorrei piuttosto morire;, videndorm di una
libertà 'profittevole ab pubblico { . che salvarmi adu-
landovi. ■ • ' ■
XXXIIf. G}si, dicendo ,, senza volgei^i a lamentare o
deplorar la sciagura , senza uniilianti a suppliche, e pro-
slrai^ioni non degne y e senza' ..palesai^ affezione alcuna
men che generosa , lasciò che parlassero gli altri , 'do-
gliosi di ' coadiuvarlo arringando, o testificando: Lui di**
scolpavano, molti che eran presenti , singoK\rmente Ver*
giuio , gii cpnsòle. co'n euo lui , riputato l’autore della
vittoria! Coitui non solamente dimostrò Servilio irre-
prensibile, ma degno che si encomiasse ‘ed otiofasse
come peritissimo in guerra , e savissimo tra’ capitani.
Diceva che se credeano buono iì termine della gaerra
dovevano ringraziar lutti due ; o tutti dile punirli se
sci aurato ; giacché avevano .tntti;.dne avuto 'doiiiu ni i
consìgli , le opere , la fortuna. Commovea non solo il
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172 DELLE INTICHITA.’ ROMANE
/ discorso di lui ma la vita intera, speriménUtta in tutte
le belle ationi. A^iungevasi , ciocché ispirò piò com-
passione , la forma addoloievole , (piai suoL essere in
qiielli che han sofferto, o siano per- soffrire tamii ter-
ribilL Tanto che li' congiunti degU uccisi, quelli che
pareano più . implacabili contro 1* autore tl^l danuo , Ia
sciaronsi vincere-, e deposer lo sdegno che ne aveano
manifestato ; imperocché qinna tribù nel dare il voto ló
diede per la condanna. E tal fu la fine de’ pericoli di
Servilio. ■ ' .
^XXIV. Marciò non mólto dòpo contro i Tirreni
r armata Romana sotto gli auspicj dei console Pubfio
Valerio, perocché si era d^ bei nuovo levau in arme
la città di Vejo , ubendpsde i Sabini , alieni fino a quei
giorno di unirsele , quasi aspirasse cose impossibili :
quando però vider(> Menenio in fuga e presidiato il
monte prossimo a Roma , giudicando ^ scadute le forze
Romane , e sbaldanzito 1’ animo di quella 'repuUilica ,
eoncertaronsi co’ Tirreni , spedendo loro milizie nume-
rose. I Vejenti confidati su le schiere proprie e su quelle
giunte di fresco^ da’ Sabini frattanto che aspettavano le
ausiliarie degli altri Tirreni anelavtino , di volarsene a
Roma col più dell’ esercito , quasi ninno, ne uscirebbe a
combattere , ma dovessero per assalto espugnarla , o ri-
durla con la fame. Indugiandosi però essi ed aspettando
i confederati, lehti a ingiungersi, Valerio ne prevenne
i disegni , guidato contra loro il fiore de’ Romani , .e
gli alleati, con sortita non manifesta, ma occulta quanto
polevasi. Imperocché .uscito da Roma sul far della sera,
e valicato il Tevere ; si accampò non lontano dalla città.
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LIBRO IX. ' 173
Poi levando F esercito su la mezza notte , si avanzò con
marcia oi-dinata; e prima che fosse il giorno, investi
r nna de’ campi nemici. Erano due questi campi ; di^
sgiunti , ma non molto , fra loro , l’ uno de’ Tirreni ,
r altro, de’ Sabini. Fattosi primieramente stil campo Sa*
bino, assalirlo fb prenderlo ; ''dormendovi i più senza'
guardia sufficiente, 'come in terra- amica , e liberi da
ogni sospetto , nwntre non si annoqziavano in parte ai*
cuna i nemici.- Preso il campo , quali furono uccisi tra
il sonno , quali ^orti appena’, o mentre si armavano ,
e quali armati già , mal resistendo disordinati e dispersi:
la -più parte peri, fuggendo verso .1’ altro campo,' sor-
presa dalla cavalleria. ,
XXXV.' Valerio', invaso' il 'campo Sabino , marciò su
r altro de’ Vejenti , postisi in luogo non- abbastanza si-
curo: ma non poteano più gli assalitori ghingeM oc-'
culti , per essere il giorno già chiaro ; e datoyi da fng-
gitivi r avviso della strage Sabina , e di quella immi-
nente ai Tirreni. Pertanto eca necemario andar con
fortezza al nemico. 'Ecco dunque resistere con ardore
sommo i. Tirreni avanti j^i alleggia'menti , e fervisi' aspra
tenzone e strage vicendevole.; stando 'lungo tempo in-
cert^ e pendendo or quinci Or quindi la sorte della
guerra. Alfine dan volta i Tirreni , sospinti dalla ca-
valleria Rpmana , e ricacciansi tra le uincee. . Segueli
il consolé , ed approssimatosi alle trinclere nè* ben for-
mate , nè in. luogo , come ho detto , abbastanza sicuro ,
le assaU da più parti ; travagliandovi tutto il resto del
giorno , nè desistendone por nella notte appresso. I Tir-
renivinti da’ mali incessanti / a'bbandonano su l’ alba il
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174 DELLE antichità’ ROMANE
CAmpo ; altri in città iuggeo4o$i , altri dispergendosi pei
boschi vicini. Il console , invaso par questo campo, diè
riposo ; in quel giorno all’ esercito : e net seguènte com>
parti la preda copiosa de’ due alloggiameuti tra le Site
milizie , coronando co* premi ^ usati chiunque s’ era più
segnalato nel 'combattere. SenrUio il console dell’ anno
precedente , quegli che sfuggi le ^ne popolari , man-
dato ora luogdtenente di Valerio, parsé aver pià che
tatti risplenduto fra le arme,- e sospinto i Vejeqti alla
fuga; è per tale SUO merito ne ebbe il primo i premj,
riputati' più grandi tra' Roiliani. 'Fatti quindi spogliare i
cadaveri nemici , e> seppellire quelli de’suoi , marciando,
e venendo il console coll’ esercito ne’ campi prosskni a
Vejo; sfidò quelli d’ entro per la battaglia. Ma non pre-
sentandovisi alcono , e conoscendo altronde esser cosa
ben ardua pigliarli di assalto , come chiusi in città for-
tissima, scorse in- gran parte il lor territorio, e si glttò
su s quello dé’ Sabini. E saccfaeggikto pei^., più giorni',
pur questo , ^ che era ancora intatto ; ricondusse l’ eser-
cito carico di prede àmplissimi in patria. ‘ Usci di città
molto a dilungo per incontrarlo ' il popolo cintp di ghir
ciò Furio (i); il Senalo decretò che Tnino de’due mar*,
classe ^contro di Vejo , ed essi decisero, come u$ayasi,
colle sortì, chi andasse. E 'toccato a Malliq, vdlò col-
r armata, e mise il campo presso a’ nemici. I Vejenti
ristrettisi fra le mora , resisteroùO intanto ,. e spedirono
alle città Tirrene, _ ed ai Sabini,' recenti loro ' alleati ,
chiedendone che mandassero sollecito ajuto, .Ma percioc-
ché non furono secondati -e consumarono .tra poco i
viveri ; alfine ^ necessitati dalla fame , uscirono, i perso-
naggi più provetti e 'più veóer;iodi e co’ simboli di. pa-
ce , ne andarono ambasaiadori ai console per intercedere '
da esso il fin della guerra. M^o comandò che poetas-
sero a lui li viveri di due mesi per'.tulta.rarmsui). o
tanto di argento da stipendiamela per un’anno, e ciò
. (i) Anno di Roma a&u secoado .fatoae^ aSa secoado Vacroae,
4t 473 av. Cristo.
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176 DELLE Antichità’ romàne
fatto , «perirebbero al Senato per trattarvi la pace. Ac>
cattarono i Vejenti le condiaioai, e dati beu^tosl» gli
stipendi , e per concession del console , anche in luogo
del grano il suo prezzo , ne andarono a Roma. Intro-
dotti in Senato cercarono perdono t delle cose operate
fin’ allora, e requie dalla guerra in tu.tio. l’ avvenire.
Disputate più cose per l’una e l'atra sentenza, al line
prevalse quella che insinuava la riconciliazione , e ven-
nesi ad Una tregua di quaraot* anni., Gli oratori, avuta
la pace, assai de ringraziarono Roofa , e partirono. In
opposito Mallio vi tornò finita la guerra , e vi chiese ,
e n’ebbe il trionfo a piede (i). Fecesi, reggendo questi
consoli , il censo ; ed i cittadini che assegnarono sè
Stessi, i beni, e li figli '^ià puberi, fotono, poco più.
che cento fneUta' mila; . , .
XXXYU. Giunti dbpo quesU al consolato . Lucio
Emilio Mamertx) per la terza volta e Giulio Yopisco
nella olimpiade settantesima settima (a) , nella quale
vinsè allo stadio Date Argivo , mentre Caritè era l’a» '
conte- di Atene ; ebbero assai travaglioso e turbato il
comando , sebben tacesse. la guerra di fuori. Standosi
ogni nemico in calma ; ineprsero per le se4izìoni in-
terne , in pbricoti , prossimi a rovinar la repubblica.
Sciolto il popolo dalia otilizia insistè ben tosto per la
division delle' lem. 'Imperocché fra i tribuni aveacene
uno baldanzoso, nè disacconcio alle arringhe. Gneo
Genuzib.eia deiso, l’ istigatore dei popolo. Egli ad ora
(1) L’ovatiooe. *' ‘
(a) Aano di Roma aSi secondo Catone, aS3 secondo Varrauc ,
e 471 a». Cristo. ' . ■ ,
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LIBRO IT. 177
nJ ora adunauJolo , per conciliarsi i poveri ; pressava
i consoli all eseguire il decreto del Senato sa la divi»
sion delle terre. E questi ricusavano dicendo , non es-
serne la esecuzione stabilita pel consolato loro , ma per
quello di Vergiiiio , e di Cassio a’ quali era diretto il
decreto : similmente che gli ordini del Senato non erau
leggi perpetue , ma previdenze , valide per un anno.
In mezzo a tali pretesti non potendo costringere i con-
soli che aveano autorità più grande della sua ; diedesi
a protervi consigli. Mise in pubblica accasa Mallio e
Lucio , consoli dell’ anno precedente , e prescrisse loro
il giorno nel quale dovésse giudicarsene , pronunziando
svelatamente per titolo dell' accasa , ch’essi aveano offeso
il popolo col non avere nominati i decemviri , com'era
il decreto del Senato , per dividere finalmente i terreni.
Che se non menava in giudizio altri consoli quando
dodici erano i consolati dalla emanazione del decreto ,
ma faceva rei , questi due soli , della promessa tradita;
davano per cagione la mansuetudine sua. In ultimo disse;
che i consoli attuali allora unicamente ridurrebbonsi a
divìder le terre , quando vedessero alcuni de’ trasgres-
sori puniti dal popolo , considerando che avverrebbe
anche ad essi altrettanto.
XXXVllI. Ciò detto , esortati tutti a venir pel giu-
dizio , giurò per le sante cose , che egli osserverebbe il
proposito , ed insisterebbe con tutto l’ardore su la con-
danna di quelli, e prefisse il giorno in cui sen farebbe
la causa. I patrizj , ciò udito , caddero in molto timore
e sollecitudine , come dovessero liberare que’ due , e
reprimere 1’ audacia del tribuno. Deliberarono resistere
DIOXIGI . tomt Iti. i>
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1-^8 DELLE ANTICniTA’ ROMANE
al popolo fortissimameote , e bisogoandovi , colie armi
ancora , né permettergli cosa ninna , se mai la decre-
tasse contro la dignità consolare. Non però vi bisognò
violenza ninna , cessando il pericolo con risoluzione ina-
spettata e repentina. Imperocché quando mancava al
giudizio un giorno solo; Genuzio fu rinvenuto morto
nel suo letto p senza indizio niuno di uccisione non per
isu-azio , o capestro , o veleno , nè per altre insidiose
maniere. Risaputosi il caso , e portatone il cadavere nel
Foro , parve questo come un impedimento divino , e
ben tostò il giudizio fu tolto. Imperocché niun tribuno
osò di riaccendere la sedizione , anzi molto condannò le
lune di Genuzio. ' Se dunque i consoli quando il cielo
chetò la discordia avessero ceduto, non insistito in con-
trario ; non sarebbero incorsi in altro pericolo. Ma da-
tisi ad insolentire e spregiare il popolo, e fatti vogliosi
di mostrargli quanto era il potere del loro comando ;
causarono mali gravissimi. Intimata una iscrizioa mili-
tare , e forzandovi chi ricusava , con multe e verghe :
ridussero il più del popolo alla disperazione, principal-
mente per tali motivi.
XXXIX. Publio Valerone , un plebeo , d’ altronde
illustre fra le arme, e già capitano di centurie nelle
guerre precedenti , fu segnato da essi per semplice le-
gionario. Or lui reclamando , e ricusando un posto che
lo disonorava quando non aveva demeriti anteriori, sde-
gnaronsi i consoli de’ liberi modi , e comandarono ai
Kttori di nudarlo a forza , e di batterlo. Il giovine in-
vocava i tribuni , e chiedeva , se era colpevole , di es-
sere giudicato dal popolo. Ma non udendolo , ed insi-
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LIBRO IX j irjg
Stendo i consoli perchè i latori sei menassero , e lo bal^
lessero; egli riguardò la ingiuria come insoffribile, e
divenne appunto il vindice di sè stesso. Imperocché,
fortissimo eh’ egli era , trae de’ pugni in faccia , ed at-
terra il littore che primo lo investe , e poi l’ altro. Esa-
sperandosene i consoli, e comandando a tutti insieme i
satelliti di avventarsegli ; parve raiion superbissima ai
plebei ebe eran presenti. E congregandosi ; e schiamaz-
zando per istigarsi 1’ uno V altro alla vendetta; ritolsero
il govane, e respinsero colle percosse i littori. Alfine
si spiccavan su i consoli , e se questi non isparivan dai
F oro ; sarebbevisi fatto male gravissimo. Per tale evento
tutta la città se ne scinde ; ed i tribuni placidi fin’ al-
lora , fremendo ne accusano i consoli : e le contese per
la ditnsion de’ terreni cangiaronsi in altra più grave su
la forma del governo. Imperocché irritandosi i paU-isj
come i consoli , quasi fosse l’ antorilà conculcata di
questi ; voleano precipiur dalla rupe l’ audace che in-
sorse su i littori. Per 1’ opposi to i plebei riuni vansi , e
vociferavano e conciUvansi a non tradire la libertà. Si
rimettesse la causa al Senato , vi si accusassero i con-
soli, e se n esigesse un castigo , perchè non lasciarono
goder de’ suoi dritti , e traturono come uno schiavo, e
diedero a battere un uomo libero , un cittadino , che
chiedeva l’ ajuto de’ tribuni , e di essere , se fosse reo ,
giudicato dai popolo. Fra tali contrasti e ritrosie di ce-
dere gli uni agli altri , decorse tutto il tempo di quel
consolato senza fatti di guerra, o di governo, belli e
memorandi.
Xh. Venuto il tempo de’comizj furono dichiarati
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i8o DELLE Antichità’ romane
consoli Lucio Pina rio e Publio Furio (i). In principio
di quest’ anno la cilià fu piena ben tosto di religiosi e
divini terrori pe’ molli portenti e segni che apparvero.
£ li vali , e gl' interpreti delle sante cose, dichiaravano
tutti , esser questi gl’ indizj dello sdegno celeste per al-
cuna sacra cosa , fatta con ministero non pio , nè puro.
E dopo non mollo ne venne su le donne un morbo ,
chiamato contagioso , e tanta moruliià per le gravide
principalmente , quanta mai più per addietro. Imperoc-
ché partorendo prole immatura e già morta , perivan
con essa. IVè le suppliche ne’ templi e nelle are de’nu-
mi, nè i sagrifizj di espiazione fatti a scampo della pa-
tria o delle famiglie , portarono un fine ai mali. In tal
rio stato un servo diè cenno a’ pontefici , che una delle
vergini sacre , custodi del foco inestinguibile , ( Orbilia
ne era il nome ) avea la sua verginità estinta , e che
non pura sagrificava ; ed essi traendola dai Santiìario ,
e dandola a giudicare ; poiché per gli argomenti fu rea
manifesta , la batterono , e condottala con pompa lugu-
bre per la città , la seppellirono viva. Di quelli poi che
ebbero il mal' affar colla vergine , 1’ uno si diè la morte
di per sè stesso; l’altro fu preso nel Foro pe’ sopra-
stanti delle sante case , e flagellato come uno schiavo ,
ed ucciso. Dopo ciò fini ben tosto la infermità soprav-
venuta alle femmine , e la tanto lor perdita.
XLI. La sedizione già si diuturna in Roma de’plebet
co’ patrizii , vi ribolli per opera di Publio Valerone tri-
buno , quello che ntll' anno precedente aveva disubbi-
|i) Anno di Roma aSa secoudo Catone, aS; secondo Varrone, e
4^0 av. Cristo.
♦
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LIBRO IX. l8l
dito i consoli Emilio e Giulio quando il segnavano
per legionario, di centurione che era. Costui nato di
stirpe vilissima , e cresciuto in grande oscurità e disa-
gio , fu creato tribuno dal ceto de' poveri , appunto
perchè sembrava che avesse il primo tra’ privati umi-
liato il grado consolare , autorevole Gu’ allora come quello
dei monarchi, 'e molto più per le promesse che dava
di togliere , giurilo al tribunato , la potenza de’ patrizj.
Costai quando l' ira del cielo era cheta , convocando il
popolo, fece uba legge su le elezioni popolari trasmu-
tando i comizj che i Romani chiamano per curie in
quelli per tribù. Io sporrò qual sia la differenza degli
uni e degli altrL Li comizj curiati perchè fossero va^
lidi , conveniva che precedesseli il decreto del Senato ,
che il popolo vi desse il voto di curia in curia ; e che
oltre questi due requisiti , niun segno , nè augurio ce-
leste vi si opponesse : laddove gii altri comizj compi-
vansi dalle tribù con un giorno solo senza decreti an-
teriori del Senato , senza sagriGzj , e senza le divinazioni
degli auguri. Due degli altri quattro tribuni volean co-
m’ egli la legge ; ed esso tenendosi amici que’ due ; ne
andava superiore a fronte degli altri che la ricusavano
i quali eran meno. I consoli , il Senato , i patrizj in-
tendeano tutti a distoglierla e renderla vana. E recatisi
in folla al Foro nel giorno preGsso dai tribuni per fon-
dare la legge , vi furono aringhe di consoli , di sena-
tori provetti , e di chiunque il volle , per dimostrare gli
assurdi di essa. Risposero i tribuni , e di bel nuovo i
consoli ; e prolungandosi mollo le altercazioni , fecesi
notte , e l’ adunanza fu sciolta. Proposero nuovamente
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182 DELLE Antichità’ romane
i tribuni pel terzo mercato la diacussion su la legge ;
ma concorsavi gente anche in pi & copia , se n’ebbe un
fine simile al precedente. Or ciò vedendo Publio, de-
liberò di non permettere ai consoli di accasare la legge ,
nè al patrizj di trovarsi al dar de’ sufiì'agj. Perocché
questi co’ loro amici e clienti non pochi , ingombravano
gran parte del F oro , facendo animo a chi denigrava
la legge , e remore a chi difendevala , e cose altrettali
che nel dar dei voti sono indizio di violenza e disordine.
XLII. Se non che ne interruppe i disegni tirannici
nn’ altra calamhé mandata dal cielo. Imperocché sorse
in città nn morbo pestilente che infuriò pnr nel resto
d’ Italia ; non però quanto in Roma. Nè valeva per gii
infermi soccorso umano , morendovi del pari e chi era
con ogni diligenza curato, e chi non lo era. Nemmeno
giovarono allora suppliche , sagrifizj , espiazioni private
o pubbliche , alle quali necessitati si rivolgono gli uo-
mini io tali casi per estremo rimedio. Il male non di-
stinse non età , non sesso , non vigore , non debolezza,
non arte , non cosa ninna di quelle che pajono ren-
derlo più leggero; ma comprendea del paro Uomini e
donne , giovani e vecchi. Non però durò gran tempo ,
e questo impedì che la città ne perisse totalmente. Si
gettò come torrente o incendio su gli nomini con im-
peto furibondo , ma passeggero. Quando il male diè
requie ; Publio era per uscire di carica. E siccome
non potea stabilire in quel, resto di tempo la legge ;
soprastando i comizj j chiese di nuovo il tribunato per
l’anno seguente, fatte molte e grandi promesse al po-
polo: e di nuovo se lo ebbe egli, e due de’ compagni.
«
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LIBRO IX. l83
Per Topposito i patrizj tentarono far console un uomo
aspro, odiatore del popolo, e che non lascerebbe punto
diminuire l’ autorità de’ pochi : io dico Àppio Claudio ,
6glio di queir Appio eh’ crasi tanto opposto al ritorno
del popolo. Or quest’uomo che moltissimo contraddiceva
alla scelta dei tribuni , questo che non avea nemmeno
voluto venire al campo p«’ comic], sei crearono con-*
sole , quantunque assente , avutone precedentemente il
decreto del Senato.
XLIII. Terminati ben tosto i comic] > per esserne
partiti i poveri appena udito il nome di Appio ; pre^
sero il consolalo Tito Qninuo Capitolino ed Appio
Claudio Sabino, nomini non simili di caratteri e di
voglie (i). Perocché Appio voleva distrarre tra le mi-
lizie di fuori il popolo ozioso e povero , afGnchè coi
suoi travagli guadagnasse dai beni ' del nemico il vitto
giornaliero , di cui tanto penuriava , e rendendo UliK
servigi alla patria , non fosse malafFelto e molesto a’ pa-
dri che governano il comune. Dicea che avrebbe puiv
le cagioni plausibili di guerra una città che si procac-
ciava il comando , e che era da tutti invidiata : chie-
deva che argomentassero dalle cose passate le future ,
esponendo quanti moti erano stati' in città , e come
sempre nella cessazion della guerra. Quinzio però non
pensava di portare ad altri guerra : dichiarando che do-
vea bastar loro quando il popolo ubbidiva chiamato
contro ai pericoli esterni , che sopravvengono e strin-
gono , e dimostrando , che se forzassero nel caso pre-
ti) Anno di Roma a83 secondo Catone , aSS secondo Varrone,
av. Cristo.
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l84 PKLLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
sente gl' indocili , indurrebbero la disperazione come i
consoli precedenti 1’ avevano indotta. Dont}* è che por-
rebbonsi essi a repentaglio o di opprimere la sedizione
col sangue e colle stragi , o di scendere con vitupero ad
appiacevolire la plebe. Comandava Quinzio in quel me-
se ; tantoché non potea 1’ altro console far nulla senza
il consenso di esso.. Ma Publio e li compagni ripiglia-
rono senza indugio la legge , che non aveano potuto
stabilire nell' anno precedente , aggiungendo a questa ,
che si creassero ne' comizj stessi ancora gli edili: o che
tutto in fine, quanto si trattava o risolveva dal popolo,
si trattasse e risolvesse nel modo medesimo con i co-
mizj per trìbùr Or ciò era l’ annientamento manifesto
del Senato , e l’ inalzamento del popolo.
XLiy. A tale notizia mpensierirono , e discussero
i consoli , come togliere pronti e sicuri la sommossa e
la sedizione. Appio consigliava che si chiamassero al-
r armi quanti volean salva la forma della repubblica ;
e che si numerassero tra’ nemici quanti si opporrebbero
ad essi che le impugnavano. Ma Quinzio giudicava che
si dovesse prendere il po[x>lo colla persuasiva , e con-
.vincerlo die per ignoranza de’ -veri interessi sla nciavansi
a rovinose risoluzioni. Dicea esser t estremo 'della de^
menta estorcere colla forza da’ cittadini ritrosi ciocché
aver ne poteano di buorr grado. Ora approvando pur
gli altri senatori il parere di Quinzio ; i consoli ne an-
darono al Foro, e chiesero da’ tribuni un’aringa, ed
il giorno in cui farla. Ottenuta a stento l’una e l’altra
istanza, venuto il giorno richiesto, e concorsa al Poro
moltitudine d’ ogni genere preparata per opera de’ due
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MBIVO IX. l85
magistrati in favor loro , presenlaronsì i consoli per cen-
surarvi la legge. Quinzio , uomo altronde discreto , e
persuaso che il popolo avessi a guadagnar col discor-
rere , chiese il primo udienza , e ragionò cose a propo*
sito , e con piacere di tutti ; cosicché li fautori delia
legge impotenti a dir cose pii^ giuste o benigne, assai
ne furono imbarazzati. B se il console collega non la-
vasi ancora troppo gran moto ; forse i plebei ricono-
scendo che non cercavano nè il giusto , nò il bene ri-
pudiavan la ■ legge. Ma perciocché colui tenne un discorso
superbo , e grave ad udirsi da’poveri ; il popolo ne fu
crocciato , implacabile , e discorde , quanto mai piò per
addietro. Non parlò costui come a uomini liberi, a cit-
tadini arbìtri di fare e disfare le leggi : ma quasi par-
lasse con nomini vili , forestieri , né liberi solidamente;
vi lanciò detti amari, insoffribili: vi lamentò le assolu-
zioni dei debiti , e ricordò la separazione dai consoli ;
quando dato di piglio alle insegne , che pur sono , san-
tissima cosa , abbandonarono il campo , volgendosi ad
un esilio volontario. Richiamò li giuramenti che avean
fatti , quando presero per la patria le armi , che poi
contro lei sollevarono. Pertanto diceva che non sarebbe
meraviglia se essi che avevano spergiurato gl’iddj , lasciato
i capitani , e diserta , quanto era in loro , la p^ttria , e
che vi erano tornati, confusavi la buona fede, e sov-
vertitevi le leggi ed il governo , ora non si dimostras-
sero moderali ed utili cittadini : mai incitati da nuòvi
desideri ed eccessi , talvolta chiedessero magistrati pro-
prj , scelti dall’ordin loro, e questi iudipendentì , in-
violabih ; tal’ altra chiamassero in giudizio per cagioni
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1 86 DELLE A^TICHITA’ ROMANE
turpissime que’palrizj che loro paressero, trasferendo
dal celo più puro al più sordido i poteri con cui Roma
faceva un tempo giudicare sull’ esilio e la morte; e ta-
lora i mercenari e privi de’ palrj lari com’ erano , fis-
sassero leggi ingiuste ed oppressive contea i bennati ,
senza lasciare al Senato la facoltà di proporle prima
col sno decreto , tolta ad esso una prerogativa che aveva
V sempre avuta senza contrasto, fin sotto de’monarchi, e
de' tiranni. E dette molte altre cose consimili , senza
lasciare indietro memorie amare, nè risparmiare nomi
ingiuriosi ; alfine pronunziò questo ancora per cni tntto
il popolo ne infuriò , vale a dire che mai la città che*
terebbesi totalmente dalle sedizioni ma che sempre in-
fermerebbesi per nuovi mali , finché fossevi il poter dei
tribuni ; affermando che negli affari politici si dee ve-
dere che i principi sian buoni e giusti , giacché da buon
seme si ha frutto buono e felice, ma infelice e reo da
reo seme.
XLV. Diceva : se questo potere fosse erttraio in
città di buon accordo per ulil comune; venutovi col
favor degli augurj e della religione , sarebbe stalo a
noi causa di molti e gran beni , di unione , di leggi
savie,- di speranze belle dal ctmto dé’ numi, e di mille
altre cose. Avendovelo però introdotto la violenza, la
prevaricazione , la discordia , il timore di una guerra
interna, e tutti i mali più odiati fra gli uomimf come
con tali principii ne sarà mai fausto e salutare? Ben
è superfìua cosa cercar farmachi e cure quante sen
possono ai mali che ne germogliano finché restavi la
radice viziata. Nè mai vi sarà termine , mai requie
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LIBRO IX. 187
alcuna dallo sdegno celeste , finché ques^ invìdia , in»
saziabile furia in città s’ annida , e lorda , ed infra-
cida tutto. Ma per tali cose vi sarà discorso, e tempo
più acconcio. Ora, poiché si vuole rimediare alle còse
presenti ; io lasciando ogni acerbità , vi dico : « N&
» questa legge, nè altra qualunque non approvata prima
» dal Senato sarà mai valida nei mio consolato. Ma so>
n Sterrò con parole gli ottimati , e quaudo anche 1’ o-
» pere vi bisognino , nemmeno in queste sarò vinto
» dagli avversar). E se non prima ayete saputo quanta
» sia r /lutorità de' consoli , nel mio consolato lo sa-
a prete, a
XLVI. Àppio cosi disse , quando Cajo Lettorio il
piò provetto e più venerabile de’ tribuni , uomo rico-
nosciuto non ignobile in guerra , e buono al maneggio
degli affari , sorse e replicò , cominciando da alto , e
ragionando a luogo sul popolo , quante diftìcili spedi-
zioni avessero intrapreso i poveri , da lui vilipesi , non-
solo nel tempo dei re , quando forse era necesiiià , ma
dopo la espulsione loro per acquistare alla patria la
libertà e il comando. Pur non ebbero , dicea , ricom-
pensa ninna da palrizj , né goderono alcuno de' pub-
blici beni; ma quasi presi in guerra , furono privati
injino della libertà : e se volevano conservarsela do-
vettero . abbandonare la patria , cercando una terra
ove non fossero , essi liberi uomini , insultati^ Senza
violentare , senza obbligare colle arme il Senato , eb-
bero nella patria il ritorno , condiscendendo a lui che
chiedeva e pregava che si rendessero alle abbandonate
lor cose, fi qui spose i giuramenti , e rammentò gii
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l88 DELLE antichità’ ROMANE
accordi fatti per questo ritorno; tra’ quali v’era I* amni-
stia di tutto il passato, e la concessione a’ poveri di
eleggersi magistrati i quali proteggessero loro , e resi-
stessero a chiunque volesse mai conculcarli. Scorrendo
su ^li subjetd , aunoverò le leggi fondate poco prima
dal popolo ; come quella su la iraslasion dei giudizj per
la quale il Senato cedeva ài popolo che chiamasse in
giudizio qual più volesse de’ patrizj ; e 1’ altra sul dar
dei suffragi, la qual rendeva arbitri de’ voti i comìzj per
tribù , non quelli per centurie.
XLVIL E così ragionato Sul popolo ; rivolgendosi ad
Appio disse : E tu ardisci et insultar quelli pe’ quali
la repubblica divenne di piccola grande , e luminosa
d' ignobile ? tu chiami sediziosi gli altri ^ e rimproveri
loro tome fuorusciti ? Quasi non tutti rammentino
ancora ciocché avvenne tra noi , vuol dire che gli avi
tuoi levarono il capo contro de’ magistrati , abbando-
naron Ut patria, e supplichevoli qui s' alloggiarono. Se
non forse voi che avete abbandonala la patria per
amore della libertà , voi v avete fatto un opera belìa^
fié ^ella è quella de’ Romani che han fatto altret-
tanto, Tu ardisci calunniare l’ autorità de’ tribuni conte
introdotta a mal fatto ; e persuadi qui noi che c in-
voliamo questo sacro , questo immobile rifugio de’ po-
veri , confermatoci da numi a dagli uomini per tanto
grandi cagioni ? Ta tirannissimo , ninUcissimo che
sei del popolo ! E non giungi nemmeno dunque a
vedere , che ciò dicendo , oltraggi il Senato , oltraggi
la tua mùgislratura ? Insorse pure ' tutto il Senato
contro dei re , più non potendo so ferirne la superbia^
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LIBRO IX. 1 89
c gli affronti ; e fondò il consolalo , e prima di ban-
dirli da Rema f coesi altri ministri del regio potere.
2'antochè ciò che dici contro del tribunato come in-
trodotto mal fato, per la origine sediziosa, ciò dici
ancora contro del consolato ; giacché non altra causa
il fé nascere se rwri lo scuotersi de’ patrie j contro dei
re. Ma che parlo io di queste cose con te quasi con
cittadino buono e Moderato , quando tutti sanno che
tu sei di^ stirpe mal grazioso , anzi acerbo , anzi in-
festo al popolo , nè buono da ingentilire la salvati-
chezea tua ? X) perchè non pospongo i detti , e ^ in-
vesto co’ fatti , e ti mostro che tu che non ti vergogni
di chiamare il popolo un sordido , e senza casa , tu
non sai quanta sia la forza di lui ? quanta quella del
suo magistrato a cui le leggi ti obbligano di dar luo-
go e di cedere ? ma già lasciati 1 rammaricìd delle
parole , comìncio le opere.
XLVIII. E ciò detto giurò col giuramealo , più rive*
reado infra loro , di sostenere la legge; o di morire. E
qui taciutisi lutti , e latti empiutisi di ansietà su ciò
che farebbe : comandò che Appio ne andasse dall* adu-
nanza. E perciocché non ubbidiva , ma cingendosi coi
littori e colia turba che aveasì perciò condotto di casa,
ripugnava ad andare ; Lettorio , intimato pe’ banditori
silenzio, consigliò che i tribuni facessero portare il con-
sole nella carcere. E qui la guardia di lui si avanzò ,
comandata , come ad arrestarlo ; ma il littore , che il
primo se la ebbe innanzi , la battè e respinse. E levatosi
romor grande e rammarico; v’accorse lo stesso Lettorìo,
eccitando la turba in ' suo ajulo. Se gli oppose Appio
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igo DELLE Antichità’ romane
con giovani bravi e numerosi; ed eccone quinci e quindi
viluperauoni , grida , spinte ; talché la contesa diveni—
vane zuflà , ornai cominciandovisi il trar delle pietre.
Se non che ripresse tali colpi , e fece chn il male non
procedesse più oltre Quinzio l’ altro console , caccian-
dosi egli c li più anziani de’ senatori , tra le minacce ,
e supplicando e scongiurando tutti a desistere. Non
avanzava allora se non picciola parte del giorno, e però
si divisero finalmente , ma di mal’ animo. Incoiparonsi
i magistrati a vicenda ne’ giorni appresso : il console
accusava i tribuni che tentassero di annientare il suo
grado col volere in carcere chi lo rappresentava ; ed i
tribuui il console , pe’ colpi portati su persone , sacre
ed inviolabili per la legge ; e de’ colpi avea Lettorio i
segni manifesti nel' sembiante. Intanto stavasi la città
scissa e fremente. I tribuni ed il popolo occuparono il
Campidoglio, non tralasciandone mai la guardia, giorno'
e notte : il Senato adunatosi tenne lunga e travagliosa
discussione intorno ai modi di chetar la discordia , con-
siderando la gravezza del pericolo , e come nemmeno i
consoli fossero uniti fra loo); giacché volea Quinzio
conr^dere al popolo le istanze • moderate , ed Appio vi
ripugnava , a costo ancora della vita.
XLIX. E poiché ninna cosa avea termine , Quinzio
presi nn per uno i tribuni ed Appio , orando , scon-
giurando , raccomandava loro di antepoiTe il ben pub-
blico al proprio. E vedendo alfine ornai rimplacidili
quelli, ma duro in sua caparbietà il console compagno;
persuase Leitòrio e i seguaci di lui, sicché rimettessero
al Senato l’esame de’ privati e pubblici risentimenti. Con-
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LIBRO IX.
*9*
Tocato quindi il Senato, lodativi ampiamente i tribuni,
e scongiurato il compagno a non contrastare la salvezza
pubblica , invitò tutti , secondo il solito , a dirne il pa-
rer suo. Invitato per il primo Publio Valerio Poplicola,
disse: che doveansi dal pubblico condonare, non por-
tare in giudizio le incolpazioni vicendevoli de' tribuni
e del console su quanto s’ avean fatto o sofferto nel
tumulto; perchè non erosi fatto per mal animo, nè
per ben propiro , ma per gara di preminenza in re-
pubblica: quanto alla legge poi sen facesse previo
decreto in Senato ; giacché Appio console non voleva
che senza questo al popolo si proponesse. Del resto
provvedessero tribuni e cofisoli insieme il buon ordino,
e C armonia de' cittadini nel dar de' suffragi. Appro-
varono lutti quel dire ; e ben tosto Quinzio fe’ dare il
volo a’ senatori su la legge. AcCusolla Appio per più
capi, e -molto i tribuni se gli opposero, ma vinse (ìnal-
mente di gran lunga il partito per introdurla ì stesone
il decreto del Senato, ne tacquero le gare de’ magistrati,
il popplo di buon grado lo accolse , e fece co’ sufTragj
suoi la legge. Da>quelip (i) fino a miei tempi i comizj
per tribù decidono col volo loro la scelta de’ tribuni e
degli edili ^enza dipendenza ninna dagli augurj^e dalle
cose di religione. E tal fu la soluzione de’ dissidj che
di que’ giorni conturbarono Roma.
L. Piacque dopo non molto ai Romani di arrolar le
milizie , e spedire ambedue ^ consoli contro gli Equi e
li Volsci: perocché nunziavasi loro eh’ erano uscite truppe
(i) Addo di Roma a83 secondo Catone, a85 secondo Varrone,
* 4^ UT. Cristo.
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1C)2 DELLE antichità’ BOMANE
in gran numero deli’ uno e dell’ altro popolo e depre-
davano gli alleati Romani. Apparecchiati dunque in fretta
gli eserciti , e sceltone colle sorti il comando ; Quinzio
marciò contro gli Equi, ed Appio contro de’Volsci. Ma
ciascun dei due consoli v’ ebbe le vicende che meritava.
Imperocché l’armata di Quinzio benevola al vaientQomo
per la moderazione , e per la dolcezza di lui , ne ubbi-
diva pronta i comandi , e le più volte anche senza co-
mandi affrontava i pericoli , per acquistargli fama ed
onore. Dond’è che scorse in gran parte, saccheggiando,
la region de’ nemici ; senza eh’ ardissero questi venirne
alle mani : e raccoltevi amplissime prede , e vantaggi , e
dimoratavi alcun tempo scevra in tutto da mali; si pre-
sentò di bel nuovo in patria , rimenandovi il suo capi-
tano luminóso per le belle azioni. Ma 1’ arntata , anda-
tane con Appio , lasciò per odio di lui ipulti patrj do-
véri; perocché fu mal animata in ogni spedizione e poco
curante il suo duce: e quando le bisognò far battaglia
co’ Volscl , schieratavi da . esso, ricusò di venire alle
mani. Centurioni ed antesignani , chi lasciò la schiera
sua , chi gettò 1’ insegna , e rifuggironsi agli alloggia-
menti. E se gl’inimict, sorpresi dalla stranissima fuga,
ed' intimoriti per essa di un qualche inganno , non de-
sistevano dall’ incalzarli ; perivane il più de’Romani. Or
ciò faceauo a mal cuore del capitano , sicché egli sul-
r esito di fauste battaglie, non crescesse col trionfo, e
con altri onori. Nel giorno appresso ora il console re-
darguendoli per la fuga -ingloriosa , ora esortandoli a
cancellarne la infamia con un generoso combattimento,
ora minacciandoli che varrebbesi del rigor delle leggi se
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LIBRO IX. ig3
non teneansi fermi contro a’ pericoK , essi ìadociii tut>'
lavia Io intronarono colle grida , e cltiesero che li ri«>
tirasse dalla guerra , come invalidi a pi& resistervi per
le ferite. E quasi feriti davvero , ' aveansi alcuni fasciate
membra sanissime. Appio adunque , necessitatovi , ritirò
r esercito dalle terre nemiche; ed i Volaci tenendogli
dietro, ne ticoisero'non pochi. Giunti in terre amiche,
il cònsole convocatili , e fintine i grandi lamenti , an-
nnnrìò che. punirebbeli come i disertori. E quantunque
seniori e magistrati militari assai lo pregassero a tem-
perarsi , nè volgere la patria di danno in danno ; egli
non tenne conto di alcnno , e stabili la pena. Quindi
i centarìoni le cui centurie fuggirono «'e li portatori
delie bandiere , che le aveano peivlute , gli nm furono
decapitati colle scuri , e gli altri Colle verghe battuti e
morti. Del resto della diilizia ne peri , tirata a sorte ,
la decima parte per tatti. Tale fra* Romani è il castigo
per chi lascia l’ ordinanza , o getta la insegna. .Dopo
ciò egli , duce odióso , condocendo 1’ avanzo dell’ eser-
cito mesto è disonoralo ; ornai sovrastando i oomiz) , si
rimise in patria.
LI. Dichiarati consoli , dopo questi , Lncio Valerio
per la seconda volta , e Tiberio Emilio (i); i Tribuni
contenutisi già per qualche tempo , introdussero di bel
nuovo il discorso su la division de’ terreni. £d andatine
ai consoli , chiesero supplichevoli ed insistenti che si
mantenessero al popolo le proihesse fattegli dal Senato
(i) Addo di Roma 384 *, piacciavi udirle o no, vi dico,, veracissimo
e libero , come utili di presente , e sicure per P avve-
nire , se lascerete mai persuadervene ; quantunque per.
me che affronto pel pubblico bene l'odio altrui saran
causa di mali non pochi. Imperocché ragionando an-
tivedo , e presentami i casi altrui come norma de'miei.
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LIBRO IX. IQQ
LIV. Appio cosi disse , e consenlendo con lui quasi
tutti , fu sciolto il Senato. Irriuronsi i tribuni per la
ripulsa : e partitisi , considerarono come punirne un tal
uomo. In mezEO al molto discutere piacque loro di sot-
toporre Appio ad un giudizio capitale. Pertanto accu»
sandolo .nell’ adunanza del popolo , invitarono tutti a
venire in giorno determinato , per sentenziare su lui.
Sarebbero queste le incolpazioni , vuol dire che stabiliva
massime ree cofilro il popolo ; che riaccese in città la
sedizione ; che alzò viqlento le mani sul tribuno ad
onta delle leggi sacrosante ; e che duce delC esercito ,
sen tornò pieno di sciagura , e (T infamia. Annunziate
tali cose al popolo , e destinato il giorno in cui di(^
vano che ne farebber la causa , intimarono ad Appio di
comparire a difendersi. Sen dolsero e prepararonsi i
padri Con tutto l’ ardore a salvarlo. Eid esortandolo a
cedere al tempo , e prender abito conveniente alle cir>
costanze ; replicò che mai non farebbe azione vile , nè
degna delle precedenti; e che sosterrebbe anzi mille
morti che prostrarsi supplichevole ad alcuno. Rimosse
alquanti ‘che eran pronti d’ Intercedere per lui , dicendo:
die sarebbegli stata doppia vergogna , se vedesse altri
fare per lui ciocché non' dovea fare nemmeno per sè
stesso. Dette queste , e cose consimili , senza cambiar
vestimenti, nè tener di sembiante, nè llul fìnsero che per una Infermità
morisse. Portatone quindi il cadavere nel Foro , -il Gglio
di lui fattosi innanzi ai tribuni ed ai consoli » dimandò
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200 DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE
che convocassero Tadananza legittima; e ^mettessero
a lui di lare sul padre suo la -funebre laudazione, usala
in morte de’ Valentuomini. Intimarono ai consoli l’adu*
nanzB ; ina vi ripugnarono i tribuni , ed imposero al
giovine di tor via quei cadavere. Non sofferse il popolo
né guardò con indifferenza clte inonorato il cadavere si
rimovesse ; ma concedette al > 6glU> di rendere i con-
sueti onori al padre : £ tale fu la fine di Appio.
LV. I consoli arrotarono, e cavarono di città le mi-
lizie ; Lucio Valerio per combattere gli Equi e Tiberio
Valerio i Sabini ; perciocché gli ultimi ne’ tempi della
sedizione entrarono il territorio romano, e danneggia-
tane gran parte , ne partirono con amplissima preda :
gli Equi poi venuti più volte alle mani , e presevi molte
ferite, eransi riparati in luogo fortissimo, nè più ne
scendevano per combattere. Ben tec^ò Valerio di asse-
diare quelle trincee , ma ne fu proibito dal cielo. Im-
peròcclié mentre v’andava e ponessi all’opera; si mise
il cielo in caligine , in pioggie , in fulgori , e tuoni
spaventevoli. Se ne sbandò l’ esercito , ma sbandatosi
appena cessò la procella : e fecesi grande serenità. Prese
il console come cosa di religione un tal fatto : e per-
ciocché gl’ indovini diceano non essere da por quell’as-
sedio ; egli diè volta, e saccheggiò la terra; e lasciata
in utile de* soldati la preda , ricondusse in patria l’eser*
cito. Tiberio Emilio però scOrrea fin dal principio con
assai negligenza le regioni" de’ nemici, nè aspettavano
ornai più le milizie; quando uscirono a fronte i Saliini,
e sen fece battaglia ordinata , quasi dal mezzodì fino a
sera. Sorprese dalla notte ritiraronsi le armate ciascuna
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LIBRO IX. aoi
al suo campo , nè vincitori nè vinte. Ne’giorai appresso
i duci presero cura de’ loro estinti , e munirono di fossa
gli alloggiamenti ; ambedue con proposito di difender'
visi , non di uscirne per offendere. Poi col volger del
tempo levarono le tende , e partironsi cogli eserciti.
LVI. L’ anno dopo (i) nella olimpiade settantesima
ottava in cui vinse nello stadio Parmenide di Possido>
nia , mentre Teagene «vea l’ annuo magistrato di Atene,
furono in Roma consoli Aulo Verginio Cclimoutano e
Tito Numicio Prisco. Ascesi appena questi al comando,
ridicevasi che giungevano i Volsci con esercito poderoso.
Nè mólto dopo fu invaso da essi , e dato alle Gamme
un posto ne’ dintorni di Roma : e non essendo questo
mollo lontano ; il fumo stesso annunziava alia città l’in»
ibrtunio. Immantinente, essendo ancor notte, inviarono
i consoli de’ cavalieri per osservare , e misero guardie
su le mura; ed essi stessi schieratisi fuori delle pqrte
co’ soldati più spediti , v’ a^ettavano i ' rapporti de’ ca-
valieri. Fatto giorno raccolta la milizia che avevasi iu
Roma, andarono contro a’ nemici: ma questi, derubato
il luogo' ed incendiatolo, ne erano ben tosto partiti.
Liberarono r consoli )e cose che ardevano ancora , e
lasciatovi un presidio sen tornarono a Roma. Pochi
giorni appresso usci coll’ armata propria , e con quella
degli alleati l’ uno e 1’ altro console : Yergiulo contro
degli Equi e Numicio contro de Volsci : e ciascuno se
n’ ebbe fra le armi il successo che desiderava. Deva-
stando Verginio le terre degli Equi non ardirono questi
(i) Attuo di Roma z85 tecondo Calotte, >87 secondo Varroac ,
e 4^ av. Cristo.
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aoa DELLE anticbita’ romane
di venire alle mani. Ben posero nna imboscata di uo-
mini scelti ove speravano di piombare su l’inimico sban>
dato; ma vanissima ne fu la speranza. Imperocché sa-
putosi «ben tosto pe’ Romani , fecevisi vigorosa battaglia:
ove gli Equi tanto perderon de’ suoi ■ die più allora non
vennero al paragone delle armi. Numicio marciò su la
città degli Anziati , 1’ uua allora delle primarie tra’VoI-
sci , ma non se gii oppose armata niuna , riducendosi
tutti a rispingerlo da entro le mura. Fu dunque sac-
cheggiato gran tratto della lor terra, e presa una citta-
della in sui lido, la quale era per essi come arsenale
ed emporio, ove concentravano il molto che andavano
depredando sul mare. L’ esercito si attribuì per conces-
sione dei console gli schiavi , i danari , i bestiami , le
merci : ma gli uomini liberi che non erano periti tra la
guerra furono presentati all’ incanto. Si acquistarono nom-
meno su gli Anziati ventidue navi lunghe , ed apparec-
chi ed armi di navi. Alfine per comando del console i
Romani ne bruciarono le case , ne devastarono l’ arse-
nale, e ne distrussero da’ fondamenti le mura; perchè,
ritirandosene essi , quel luogo non fosse un castello
vantaggioso per gli Anziati. Tali furono le azioni se-
parate de’ consoli ; poi. gettatisi insieme sui territorio dei
Sabini , e depredatolo , rimenarono a Roma gli eserciti;
e r anno finì. ’
LYII. L’anno appresso fatti appena consoli Tito Quin-
zio Capitolino, e Quinto Servilio Prisco (i), tutta la
milizia romana fu in arme , e spontanea si presentò
(i) Auno di Roma aS6, secondo Catone, aS8 secondo Varrone,
e 4^ av- Cristo.
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LIBRO IX. ao3
quella degli alleati , prima che richiesti ne fossero. Dopo
ciò fatte suppliche ai nami, ed espiato l’esercito, mar>
ciarono i consoli contro a* nemici. Li Sabini contro ai
quali era andato Servilio , non che schierarsi in batta>
glia , non nscirono nemmeno- all’ aperto: ma tenendoM
dentro del chiuso, lascravano che si devastassero loro le
terre, s’ incendiasser ’ le case, e gli schiavi se ne fuggis* .
sero. Dond’ i che i Romani tornarono a grand’ agio
dalle lor terre , carichi di preda , e risplendenti di glo*
ria. E cosi terminò la spedizion di Servilio. Quinzio,
ed il seguito suo , movendosi con marcia più che mili»
tare contro gli Equi , ed i Volsci, venuti ambedue dalle
regioni loro in un sito stesso a combattere per gli al-
tri , ed accampatisi davanti di • Anzio : diedesi a vedere
improvviso. E fermatosi non lungi dal campo loro in
tm luogo , basso per sé medesimo , che era quello ap>
punto dove prima fa veduto e vide gli avversar) , po-
sevi le bagaglie per far mostra di non temere i nemici,
quantunque superiori di numero. Or com’ ebbero am-
bedue tutto in punto per la battaglia , uscirono in cam-
po , cd avventatisi pugnarono infino al mezzogiorno.
Non cedevano, non superavano, quésti o quelli, risto-
rando sempre la parte che vacillava , co’sussidj ordinàli
per questo. Allora quando come superiori - di nnmero,
cominciarono i Yolsci e gli Equi a vantaggiare ^ e pre>
valerne; non avendo i Romani moltitudine , pari all’ar-
dore , Quinzio veduti estinti molti de’ suoi , e ferito il
più de’ superstiti , era per intima ve la ritirata : ma te-
mendo poi di dar vista ài nemici di fuggire; concluse,
ch’egli dovea cimentarsi. E scelto il nerbo de’cavalieri.
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2o4 delle antichità’ bomane
vola in soccorso de' laoi nell' ala destra , dove princi-
palmente perìcclavaoOi Ed ora sgridando di codardia li
duci stessi , ora ricordando le passale battaglie , e di-
pingendo la infamia ed il pericolo loro se fuggivano;
alfine disse una cosa Gota sì , ma cbe rincorò li suoi
più che tutto , e sbigottì F ibiiuico. Egli divulgò che
r allr ala sua incalsava già gli avversar} , e già stava
prossima agli alloggiamenti r e divulgandolo, spronò sui
nemici ; e sceso di cavallo co’ bravi suoi cavalieri, prese
a combattere di piè fermo. Tornò l’ audacia aUora nei
suoi che ornai si abbandonavano , e divenuti quasi altri
da quelli cbe erano, fulminaronsi tutti sul nemico. Tal-
ché li Volsci contrapposti -appunto in quella parte, dopo
aver luogo tempo résislito , piegarono finalmente. Quin-
zio fiigaiili appena , rimonta il cavallo e corre all’ al-
tr’ala, e mostravi a’ fanti suoi disfatta l’ala nemica, e
raccomanda che non sieno per virtù minori de’compagni.
LYllI. Dopo ciò niono più de' nemici 'tenne fronte,
ma fuggirono tutti alle trincee. Non gl’ inseguirono
lungo tempo i Romani , ma beutoste se he rivolsero
forzali dalla stanchezza, nè più 'avendo ornai l’arme,
pari al bisogno. Decorsi alquanti giorni , convenuti per
seppellire gli estinti e curare i mal conci , avendo già
riparato quanto mancava loro per combattere, fecero
nuovo conflitto intorno gli alloggiamenti romani. Impe-
roccliè venute nuove reclute ai Volsci e agli Equi dalle
terre circonvicine, inanimito il capitano perchè i suoi
erano il quintuplo de’ Romani , e perchè vedeva le trin-
cee di questi su luogo non abbastanza munito , cre-
dette il buon punto d’ assalirvegli. Con tal disegno guidò
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su la mezza notte 1’ esercito intorno al vallo de’ Roma-
ni , e cinseli , e t«ineli in guardia , percbè inosservati
non s’ involassero. Quinzio saputa la moltitudine de’ ne-
mici , ebbe caro di accoglierla. Ed aspettaudo che fosse •
giorno, e principalmente Tura nella quale il Foro suol
riempirsi , quando vide > che i nemici venivano ornai
stanchi dalla vigilia e dalle scaramucce, non per centu-
rie, nè in schiera , ma confasi e sparsi; immantinente,
spalancale le porte , precipita su loro col nerbo de’ ca-
valieri , mentre i fanti lo seguitavano serrati e stretti.
Sbalorditi i Yolsci dall’ audacia , dopo aver sostenuta
bteve tempo la furia della irruzione, rinculano, e la-
sciano gli alloggiamenti. E percbè non lungi da questi
aveasi un colle alquanto elevato ; vi accorrono , come
a riprendervi requie ed órdine. 'Non riuscì però loro di
fermarsi e di riaversi , giungendo ben tosto i nemici ,
stretti quanto poteano colle coorti , per non esserne
trabalzali , nell’ ascendere a forza la pendice. Fattasi
azione vivissima per gran parte del giorno, ne perirono
molti diagli ani e degli altri. I Volaci , 'tuttoché supe-
riori nel numero,. e rassicurati dal posto occupalo, nou
goderono alcuno de’ dué vantaggi : ma violentati dall’ar-
dore e dalla virtù de’ Romani , abbandonarono il colle.
F uggendo però verso le trincee , molti ne soccombe-
rono. Imperocché non cessarono i Romani d’inseguirli ,
ma tennero immantinente .dietro loro , senza desisterne ,
finché ne presero a forza il campo. Impadronilivisi dei
prigionieri e di ogni cosa lasciatavi» cavalli , armi , da-
nari , che erau pur molli , passarono ivi la notte. Nel
giorno appresso il console, apparecchialo ciocché biso-
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2o6 delle antichità’ romane
goava per un assedio , diresse 1’ esercito alla città degli
Ansiati , uon lontana più di trenu stadj. Per avvenlora
ivi slavan di guardia alquanti Equi ausiliarj e custodivan
le mura , e questi per terrore della baldanza romana
naacchinavan fuggirsene. Saputo dagli Anziati , ed impe-
diti partirne , congiurarono dar la cittade a’Roraani che
si appressavano. Gli Anziati avuto sentore pur di que-
sto , cedettero al tempo : E imnvenutisi cpn loro ; si die-
dero a Quinzio , in modo che gli Equi pe^ patto si
dimettessero, accettassero gli Anziati in città la guarni-
gione , e seguissero i comandi de’ Romani. Divenuto
pertanto il console arbitro della città, pigliatine stipendi
ed altri bisogni dell’ esercito , e presidiatala, se ne ritirò.
Uscitogli per tal gesta incontra il Senato, lo accolse
gratissimamente, e lo onorò del trionfo.
LiX. L’anno -appresso (i) furono consoli Tiberio
Emilio per la seconda volu, e Quinto Fabio Ggliuolo
dell’ uno dei tre fratelli , duci già della guarnigione spe-
dita in Cremerà^ ed 'ivi periti co’ loro clienti. Ora. fa-
vorendo Emilio console ai tribuni , e rimescendo qu^ti
di bel nuovo il popolo intorao la divisione de’ campi ;
il Senato voglioso di cattivarselo , e sollevarne i poveri,
stabili di compartir loro uu tratto del territoifio conqui-
stato r anno avanti su gli Anziati. Furono deputati per
la divisione Tito Quinzio Capitolino , quello appunto a
cui si erano gli Anziati venduti , e Lucio Furio ed
Àulo Verginio. Non
stumio Albino per la prima volta , ■ e Quinto Servilio
Prisco per la seconda. Nei lor giorni gli Equi risolvei*
(t) Anno di Roma -aSS secondo Catone, 390 secondo Vsrrone,
e 4^4 Cristo.
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2o8 delle antichità’ romane
tero vioiai-e i patti , recenti co’ Romani , per questa ca-
grane. Gli Aoziati che avevano case e campi , rimasero
nella lor patria , coltivando le terre ad essi concedute ,
come quelle attribuite ai coloni , a’ quali davano con
regole Gsse parte del frutto : quelli perd che unila più
avevan di questo, si trasmigrarono. Gli accolsero di buon
grado gli Equi fra loro ; ma uscendone , d^>redav«x>
le terre latine : dond’ è cbe 'i più audaci , e più poveri
ancora degli Equi , fecero causa con essi. Lamentarono
i' Latini r insulto in Senato, e'tdiiesero che mandasse
loro un esercito, o loro concedesse di ribattere gli au-
tori delia guerra. Il Senato , udito eiò , nè
inviare un esercito , né permise ai Latini che lo menas-
sero : ma scelti tre ambasciadori, capo de* quali era Fa-
,bio , quegli che l' anno avanti avea conchiuso il trat-
tato, ordinò loro di chiedere dai primarj della nazione,
se mandava il pdbtdico per qite’ latrocini ne’campi degli
alleati di Roma , anzi di Roma stessa , ne’ quali eransi
anche fatte alcune scorrerie da , quegli esuli : o se il
pubblico non avea di ciò colpa ninna : E se diceano
che r opera era de’ privati senza volere del popolo ;
chiedessero nelle mani le predé nomuMno ohe i preda-
tori. Venuti gli oratori , ed ascoltatili ; gli Equi diedero
oblique risposte , dicendo , che 1’ opera non era certo
fatta per pubblico voto, ma che non istimavano bene
consegnarne gli autori , perché, ridotti già senza patria,
e vaganti , erano come supplichevoli stati ricevuti nelle
campagne (t). AddoloravaSi Fabio, e reclamava i patti
(i) Vuol c^ita pareva loro come tradire la fede oepiiale , $e ti
conergnaTeoo.
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Linno IX. - 209
traditi , pur vedendo che gli Equi s’inGngevano , e di-
mandavano tempo a consultarsi , e lo intrattenevano
come pe’ doveri ospitali ; si rimase infra loro con di>
segno di esplorare le cose della città. E visitando ogni
luogo sul titolo di vagheggiarvi le cose dei templi e
del popolo , gli opifizj delle arme da guerra o Gnite
o che si lavoravano , comprese i loro disegni. Tornato
■n Roma disse in Senato quanto aveva udito , e ve-
duto. Ed il Senato , non più dubbioso , decretò che
si mandassero i F eciali per intimare agli Equi la guer-
ra , se non cacciavan da loro i fuorusciti di Anzio , nè
promettevano rintegrare i danneggiati. Replicarono gli
Equi baldanzosi , Gno a dir che accettavano , nè già di
mala ' voglia , la guerra. Li
nigione su’* turbolenti di Anzio , onde rassicurarsene , e
Spurio Furio l’altro de’consoli coll'esercito contro degli
Equi. Marciò ben tosto 1’ uno e 1’ altro ; nfa gli Equi
udendo uscita già l’armata romana si mq^sero da’ campi
degli Ernici per incontrarla. Vedutisi appena fra loro ,
tutto che non fossero molto distanti , per quel giorno
si trìncierarono. Nel giorno appresso i nemici vennero
quasi alle trincee de’Romani per. esplorarvenè gli animi.
E poiché questi non uscivano alla battaglia, fattevi delle
scaramucce, e niente di memorando, sen partirono assai
(i) Allude ai Romaui' portali non molto prima iif Aniio , come
coloni pcrchi nel tempo slesto invigilassero e lenestero iit soggeunn^
Ig città proclive alla ribellione.
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LIBRO IX. 213
magnificandosene. Il cohsole lasciate nel giorno seguente
quelle trincee, come non molto, sicure , trasposele in
sito più acconcio , e vi scavò fossa più profonda ^ e vi
piantò steccati più alti. Crebbe a tal vista il cuor dei
nemici , e molto più quando ad essi pervennero altri
snssidj de’ Volaci e degli Equi ; tanto che senza più
indugi marciarono al campo romano.
LXIII. Il console considerando che a lui. non bastava
r>esercito contro le dpe nazioni, spedisce alcuni cavalieri
con lettere' in Roma perchè mandisi a lui pronto soc-
corso , pericolandogli tutta l’ armata. Giuntivi questi su
la mezza notte , Postumio il collega di lui ricevendole,
fe’ convocare per via di molti araldi i padri in Senato:
e prima che il di si chiarisse, crasi decretato che Tito
Quinzio già console per la terza volta portasse bentosto
con autorità proconsolare il fior de’ giovani a piedi ed
a cavallo sul nemico , c che Aulo Postumio il console
raccolte il più presto le altre milizie , a raccoglier le
quali vi abbisognava più tempo, li soccorresse. Quinzio
riuniti sul principio del giorno presso a cinque mila
volontari, dopo non molto marciò. Gli Equi ciò sospet-
tando non istavansi a bada : ma deliberati d’ assalir le
trincee de’ Romani prima che vi giungesse il soccorso ,
si divisero in 'due corpi , e t’ andarono per espugnarle
colla forza , e col numero. Fecesi per tutto il giorno
calda battaglia , spingendosi questi audacemente in più
parti su’ ripari, nè reprimendosene pe’ tiri continui delle
lance , degli archi , e delle fionde. Adunque , conforta-
tivisi a vicenda, il console ed il legato spalancando in
uri tempo le porte , ne sboccano, e piombando co’sol-
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2i4 delle Antichità’ romane
dati più validi da ambedue le parti del campo su i ne*
mici, ne rispingono quanti vi salivano. Messili in fuga,
il console insegai breve tempo i soldati a lui coatra-
posti, e poi si ripiegò: ma il fratello suo e Publio F urio
il legato trasportati dalla impresa e dall’ ardore corsero
incalzando e uccidendo fino al campo nemico ; e non
avean seco se non due coorti , numerose in .tutto di
mille uomini. Gli avversar) loro «be erano intorno a
cinque mila, osservato ciò, si avventano dagli steccati.
. E mentre questi vengon di fronte , la cavalleria , fatto
un giro, prende alle spalle i Romani. Publio ed il se-
guito suo cosi circondato e disunito dal resto de* suoi
ben potea salvarsi se cedeva le arme, esibendogli questo
i nemici , cbe assai valutavano far prigionierì que’mille
bravi, quasi potessero in vista di essi ottener pace ono*
rata: ma i Romani spregiato l’invito ed animatisi a non
far cosa indegna della patria, combatterono e spirarono
tutti Ira’ cadaveri de’ nemici.
LXIV. Morti questi , gli Equi inebbriati dal buon
successo presentaronsi alle trincee romane elevando con-
fitto alle aste il capo di Publio e di altri cospicui, per
iscoraggirne quei d’ entro, e necessitarli a ceder le arme.
Ma se venne ad essi pietà per la sciagura degli estinti
compagni , e se ne pianser la sorte , si moltiplicò ben
anche lo spirito per combattere e l’ onorato amore di
vincere o di morir come quelli prima che andar pri-
gionieri. Circondati dunque, com’erano de’ nemici, pas-
sarono i Romani senza' sonno là notte , riordinando le
parli che aveano soiferto nelle trincee , e quant’ altro
mai potea respingere gl’ inimici se tentavano un altra
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LIBRO IX. 2i5
volta investirveli. F ecest nel giorno appresso di bel nuovo
r assalto , schiaotandovisi lo steccalo in più parti. Più
volte furono gli Equi respinti da quei d* entro che ne
uscivano a schiere , e più volte nell’ audacia delle soi>
lite , lo furono questi dagli Equi. Durò tutto il di la
vicenda: quando fu il console romano ferito nel femore
da uno strale a traverso dello scudo, e feriti pur furono ^
molti de’ più rignardevoli , quanti li combattevano in-
foiano. Ornai vacillavano t Romani , quando su l’ im-
brunir della sera ecco inopinatamente apparire Quinzio
per soccorrerli col corpo de’ prodi volontarj. I nemici ,
vedutili che avanzavano , diedero di volta , lasciando
l’assedio imperfetto: ma quei d’ entro incalzandoli nella
ritirata facean strazio della retroguardia : se non che
indeboliti per la più parte dalle ferite, non gl’ insegui-
rono a lungo ; ma presto si ripiegarono verso il lor
campo. Dopo ciò si tennero gli uhi e gli altri lungo
tempo fra le trincee , guardando sestessi.
LXVt Quindi mentre il nerbo de’ Romani era im-
pegnato in campo , altre milizie di Equi e di Volaci
credendo il buon punto d’ ime depredando la regione ,
uscirono tra la notte ; ed invasala in parte lontanissima
dove gli agricoltori viveano scevri d’ogni paura, occu-
parono non poco di robe e di nomini. Non però ne
ebbero bella in ,dné né facile la ritirata , imperocché
Postumio il console mepaudo agli assediati nel campo i
soccorsi adunati , appena udì le operazioni de' nemici ,
si presentò loro contro la espettazione. Non sbalordironsi
essi, nè tremarono, ma ponendo a bell’agio le bagaglio
e le prede in luogo sicuro , e lasciandovi guarnigione
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2i6 delle antichità’ romane
che bastasse, marciarono ordinali al nemico. Venuti alle
mani , sebben pochi contro molli , fecero memorabili
prove. Imperocché precipitandosi giù dalle campagne
uomini in copia cinti di lieve armatura conir’ essi che
eran tutto arme il corpo , fecero grande uccision dei
Romani ; e per poco non si ritirarono , lasciando nel-
l’altrui territorio un trofeo su gli assalitori. Ma il con-
sole e con esso i cavalieri più scelti spronandosi a re-
dini abbandonate su’ loro , dov^ erano il forte , e com-
battevano ; ve li sbaragliarono «e prostrarono in copia.
Battuti que’ pnmi , anche il resto dell’ armata respinto
fuggì : e la guaniigìone delle bagaglie , lasciatele , s* in-
volò di su pe’ monti vicini. Cosi pochi moriron di essi
nella battaglia ; ma moltissimi nella fuga , perchè ignari
de’ luoghi ed inseguiti dalla cavalleria de’ Romani.
LXYI. Intanto Servio 1’ altro console persuaso che il
collega ne veniva a lui per soccorrerlo, e temendo che
1 nemici ^non gli uscissero incontra e glien traversasser
la strada ; risolvè frastornameli , con assalirli negli aU
loggiamenti. Questi però lo prevennero; perciocché sa-
puu la sciagura de’ compagni dai predatori salvatisi ,
levarono il campoj e nella notte, che fu la prima dopo
la battaglia, rientrarono in città, senza che avesser po-
tuto tptanto aveano disegnato. Ma se ne periron di loro
tra le battaglie e i foraggi ; ne soggiacquero nella fuga
d’ allora assai più di prima (ra quelli che restavano
addietro. Aggravati questi dal travaglio e dalle ferite ,
Iraendosi a stento innanzi , perchè non .prestavansi ad
essi i lor membri , stramazzavano , vinti principalmente
dalla sete , presso de’ ruscelli e de’ dumi : e raggiunti
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LIBRO IX. ^ , 217
da’cavallert romani, erano trncidali. Netnraeno i Romani
tornarono felici in tutto da quella f guerra ; perdutivi
molti valentuomini, ed il legato che vi si .era segnalato,
più che tutti , nel combattere. Non pertanto rivennero
in patria con una vittoria non inferiore a ninna. E ciù
fecesi in quel consolato. '
LXVII., Sacceduti consoli Lucio Ebusio , e Pnblio
Servilio Prisco (1); k Romani plinti da mori>o con-
tagioso , quanto mai più per addietro , non fecero in
queir anno cosa ninna degna di rimembranza nè in
guerra nè in pace. Gettatosi quel morbo in prima tra
gli armenti de’ cavalli , e de’ bovi , e poi delle capre e
delle pecore , disfece quasi tutti i quadrupedi. Quindi
serpeggiando tra' pastori e tra’ coloni via via per tutta
la regione , in ultimo invase anche Roma. Non è facile
ridire quanti servi, quanti mercenàrj, quanti della , classe
indigente perissero. Da principio se ne trasportavano i
cadaveri a mucchi su’ carri : ma poi quelli . de’, men ri-
guardevoli si gettarono nella corrente del fiume. Con-
tasene perito il quarto de’ senatori , e con essi i due
consoli, ed il più de’ tribuni. Cominciò quel morbo in-
torno a’ primi di settembre , e prosegui per un anno
in^ro , investendo e consumandone di ogni, sesso e di
ogni età. Saputosi tra’ vicini il disastro romano, gli Equi
ed i Yolsci lo riputarono occasione bonissima da levare
sene il giogo , e fecero patti, e giuramenti, di alleanza
fra loro. Quindi preparato quant’ era d' uopo per 1’ as-
sedio , uscirono gli uni e gli altri il più presto colle
(1) Anno di Roma 391 secondò Catone, 39! secondo Vartoae ,
e 4^1 av. Cristo.
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2i8 delle antichità’ romane
milizie; inondando su le prime il territorio de* Latini e
degli Emici, onde precludere a Roma il soccorso degli
alleati. E nel giorno che giunsero ai Senato gli oratori
de’ due popoli assaliti per ottenerne ajuto , in quei
giorno appunto era morto Ebuzio 1’ uno de* consoli »
standosi già Servilio , eh* era 1’ altro , per morire. Or
questo , sopravvivendo anche un poco , convocò il Se-
pa to. Portativi i più de’ padri malvivi su le lettighe di-
chiararono ai legati di annunziare a lor popoli ^ che U
Senato concedeva ad essi di respingere col proprio va-
lore i nemici , finché il consolo si risanasse , e fosse
raccolto un* esercito per soccorrerli. A tali risposte i
Latini concentrato ciocché poteano dalie campagne ,
guardavano le mura, trascurando ogni altro danno. Ma
gli Eroici non reggendo al guasto ed al sacco de’ campi,
diedero all’ armi, ed uscirono. Infine dopo fatte luminose
battaglie con perdervi molti ^de’ loro ed uccidervi molto
più de* nemici , fuggirono , necessitati , fra le mura , né
tentarono più di combattere.
LXVIII. Pertanto gli Equi ed i Volsci, depredatone
il territorio, si avvanzarono impunemente ai campi Tu-
scolani. E derubati pur questi senza che ninno li re-
spingesse , scorsero fino ai Sabini ; e giratisi impune-
mente anche su le terre loro , avviaronsi a Roma. Ben
poterono essi turbarla; non però conquistarla. Quanlun*
que languidi nella persona , e perduta 1* uno e F altro
console, mortone di fresco ancora Servilio, armatisi ol-
tre le forze i Romani , si misero su le mura. Estese
allora per circuito quanto quelle di Atene, sorgeano
queste parte su i colli e su. scogli dirotti, fortissimi per
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UBBO IX, a 19
natura , e bisogoevoli appena di difesa , e parte assicu-
rate dall’ alveo del Tevere, fiume largo quattrocento
piedi (i), profondo da navigarvisi con legni grandi;
rapido quant* altri e vorticoso nel corso. Non passasi
questo appiedi se non per vìa de’ ponti , de’ quali ve
n* era allora sol uno , e di legno , cui disfacevano nei
tempi di guerra. Il lato di Roma men arduo ad espu«
gnarsi dalla porta chiamata Esquilina fino alla Collina
era fortificalo eoli’ arte; imperocché scavata innanzi ci
avevano una fossa , larga , dove' eralo il meno , più di
cento piedi , e cupa di trenta , è quinci e quindi su la
fossa elevavasi un moro, cinto da argine interno ampio
ed alto, talché né battere quello si potrebbe cogli arieti,
né rovesciar sbucandone le fondamenta. Lungo questo
lato circa sette stadj spandesi cinquanta piedi per largo.
Or qui schieratisi in folla i Romani respingevano 1’ as«
salto nemico : perocché noù sapevano allora i mortali
né far testuggini sotterranee , né macchine espugnatrict
delle mura. Diffidatisi gli assalitori di prendere la città
ritiraronsi dalle mura , e devastandone , ovunque passa-
vano la campagna, sea tornarono in>patria.
LXIX. I Romani come sogliono quando restano senza
chi comandi , scelsero gl’ interré per tenere i comizj ,
e vi crearono consoli .Lucio Lucrezio e Tito Veturio
Gemino (z). Sotto questi ebbe requie la pestilenza; puc
(i) 'Wel testo: ntritfit rìkirftr : la toco rXtrftr »’ interpreta
da altri per jugero : Svida la interpreta per cesto piedi. — Ma tale
cspoiisione noa corrisponde. '
(a) Aano di Roma aga secondo Catone, 394 secondo Varrone,
e 46a av. Qrisio. 1
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2 20 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
♦ •
furono diflerite le controversie civili private o pubbliche:
e tentando Sesto Tito T uno dé’ tribuni >, riaccendere
quella su la division de’ terreni; il popolo gli si oppose,
e rimisela a tempi più acconci. Eccitossi in tutti in vece
I un desiderio di punire quanti aveano dato guerra alla
repubblica ne’ giorni del morbo. Cosi decretata la guerra
dal Senato, e ratiScata ' dal popolo, si arrolarono le
soldatesche : e ninno di anni militari , quantunque pri>
vilegiatone per le leggi, cercò sottrarsi da quell’ impresa.
Diviso r esercito in tre parti 1* una fu lasciata in guar-
dia di Roma sotto gli auspicj di Quinto Fabio, uomo
consolare ; e le altre seguirono i consoli contro i Yolsci
e gli Equi. Aveano gii' fatto altrettanto i nemici. Riu-
nitesi le milizie migliori d’ ambedue quelle nazioni , te-
neano il campo aperto sotto due capitani per cominciare
dalla terra degli Ernici , dove ' allor si trovavano , a
devastarne quanta ne soggiaceva ai Romani : la parte
men atta delle ipilizie crasi lasciata in custodia delle
città, perchè su di esse' ngn venisse irruzione improvvisa
dagli emoli. Avuto infra loro consiglio , crederono i
consoli il meglio d’ investire innanzi tutto le lorp città
sul riflesso che la unione delle armate si scioglierebbe,
se ciascuno udisse ridotta in pericolo estremo la sua pa-
tria ; giacché riputerebbero assai meglio salivare le pro-
prie cose che guastar le ini miche. G)sl Lucrezio piotnbò
su gli Equi , e Yeturio su i Yolsci. Gli Equi trascu-
rando ogni rovina di fuòri guardavano la città e li ca-
stelli.
LXX. In opposito i Yolsci ardimentosi , arroganti ,
spregiando 1’ armata Romana come diseguale contro la
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Lisno IX. 221
lor ffloltitudiae , uscirooo 4 combattere pel territorio
proprio, e misero il campo presso di Yeturio- Ma come
accade a milizie receuti , raccolte per la circostanza alla
rinfusa di mezzo a villani e cittadini , privi in gran
parte di arme o di sperienza , non ebbero cuore nem-
men di venire alle mani : e perturbatine i più fin dal
primo avventarsi de’ Romani , non reggendo nè al suono
delle arme percosse , nè ai gridi , preludio della batta-
glia , tornarono con dirottissima fuga in città. Dond’ è
che incalzati dalia cavallwia ne perirono molti nello
stretto de’ sentieri , e più ancora mentre a gara si cac-
ciano tra le porte. A tale disastro accusarono i Yolsct
sestessi d’ imprudenza , nè più tentarono di cimenUrsi.
Li capitani però che tenevano in campo aperto le mi-
lizie dei Yolsci e degli Equi all’ udire , com’ erano in-
vestite le loro città, deliberano di fare ancor essi alcuna
magnanima impresa , levandosi dalle terre de’ Latini e
degli Eroici , e marciando «on quanta avean furia e
prestezza su Roma. .Ancor essi avean mira che rinscisse
loro r uno o 1’ altro de’ due belli disegni , cioè d’ inva-
dere Roma ,improvvista , o di richiamarvene le armate
di lei dai loro territori, necessitando ti consoli a soc-
correr la patria. Su tale pensiero marciarono a gran
fretta per essere inaspettati su Rotna , coll’ effetto del-
r opera.
LXXI. Avvicinatisi di nuovo al Tuscolo, udendo che
le mura di Roma erano tutte piene di arme, e che in
antecedente aveva tentalo il primo d’ iikrodiuTe tale
eguaglianza ; ma dovette lasciar I* opera imperfetta, tro-;
vandosi U gran numero del popolo nell' armata in sai'
campi nemici , tenutovi ad arte. ,da’ consoli , finché il
tempo finisse del loro governo.
IL Postisi quindi a tale impresa il uibubo Aulo Veo-
ginio’e li colleghi , t voleano consumarla: ma i consoli ,
col Senato , e . con ■ altri in città . più potenti adoperavansi
costantemente per ogni maniera ,, affinchè ciò non se-«
guisse , nè dovessero governare secondo le leggi : e. più
volle sen tenne 1’ adunanza del Senato, piA volte quella
del popolo ; facendo i lor magistrati ogni sforzo gli uni
contro degli altri ; doiid’ era a tutti viàbile che verreb!>e
da' tanto Jisàdio alla città disastro insanabile e grande.
A tali |>resagj. dai canto degli uomini agglongevansi i
terrori dal canto del cielo , d’ alcuni de' quali non Iro-
vavansi L àmili ne’ pubblici scritti , né , par monumento
qualunque. Ben trovavanà occorse ancora in antico e
coiTuacazioni soorrenti pelcielo ed. accensioni fissa in un
luogo, muggiti e scosse continue delia terra,. e larve
qua e- là vaganti per l’aere, e voci desolatrioi , e cose
alirallali: ma ciò che non erasi mai nè sperimentalo- nà
udito, e che più che lutti perturbava., era che il cielo
navigò . dirottamente pQn- già con nembo , dii neve , ma
con brani, più o men grandi di carne; che tali cairn
momot , ltrio di ''contndirla fino al
ritorno del terso mercato. Or molti, d^l Seoatè giovani
e vecch) , nè giè de’ più dispregevoli , la contraddissero
per più giorni cou as^ai studiati discorsi. Stanchi poscia
1 tribuoi per tanto consumarsi di tempo , più non per>
misero che altri aringasse in contrario: ma predesti»
Dando il giorno nel quale espedire la legge , invitarono
i plebei a raccogliersi appunto in quello , giacché non
sarebbero più conturbati dalle lunghe concioni , ma
voterebbero su di essa per tribù. Cosi promisero , e
sciolsero 4’ adunanza.
IV. Dopo ciò li consoli e li patrizj più potenti an-
datine più esasperali ad essi reclamarono , e dissero che
non permetterebbero che introducessero leggi senza
previo decreto del Senato : SSSMUS IM lecci t patti
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3 28 DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE
DSL COMVNS DELLB ClTtjC IfOTf DI ONA PARTE DS~.
GLI ABlTAafl DI QUESTE : CHE QUAWDO LA PARTE-,
MEIf SANA VI da' leggi ALLA MIGLIORE A PRSf.UDlO
MANIFESTO DI DANNO TRISTO, INSANABILE , SCON»
GISSIMO. . Quale. , aggiuDgevaQO qtuU potere avete voi
o. tribuni di far leggi o distruggerle ? Voi non avete
con questi diritti ricevuta dal Senato là magistratura:
voi chiedeste il tribunato in difesa de' poveri offesi
o soverchiati , non per altra briga niuna. Che se aveste
già prima tal potenza cedendo il Senato ad ogni vo-
stra pretensione ; non C avete voi questa, perduta col
mutar dei comizj ? perciocché non i Pereti, del Sor-
nald', non i voti dati per centurie destinano voi per
tiibuni : voi non premettete ai comizj per la vostra
creazione nè i sagfijicj dovuti per legge , né altri os-
sequj verso de' numi , nè pietose -opere verso degli
uomini. Come a voi si appartiene far cose ( quali ap-
punto sono le leggi) che ahbisognavtmo' di culto e di
sagrifizj di un dato rito , se i riti tutti violate f Coai
«lissero ai tribuni i patrixj seniori , cosi li giovani , .che
andarono cinti da un seguito per la città : e rìcuperà^
rono colle dolci i cittadini più miti spaventando i ca-,
parbj e K turbolenti se non faceano , senno, col terroc
de’ pericoli : anzi battendo come schiavi , ed^ escludendo
dal Foro alcuni de’ più bisognosi ed abjelti, i qualt
non curavano se non l’ utile proprio. •
V. L’ uno di quelli ebe ebbe maggior seguilo , e che
poteva aUora più di lutti i giovani fu Quinzio Cesone,
figlio di Lucio Quinzio chiamato Cincinnato , nobile ,
Straricco , bellissimo , valentissimo nelle armi , e nel dire«
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LIBRO X. 229
Or questi molto allora si scaricò su' plebei , non aste*
nendosi' nè da parole , molesiissitne ad uomini liberi ,
nè da’ fatti corrispondenti alle parole, Pertanto i pairizj
lo onoravano, e ^istigavanlò più a tener fronte ai perì-
coli , promettendogli sicurezza essi stessi : ma i plebei
r odiavano più che ogni altro. Or da 'un tal uomo ri-
solverono liberarsi * i tribuni avanti tutto per abbattere
in esso gli altri giovani , e necessitarli ad esser più savj.
Ciò risoluto , e preparati assai discorsi e lestimon}^ , lo
dtardno come reo di pubblica * offesa per punirlo 'di
morte. Intimatogli di presentarsi al popolo, venutone il
giorno , e convocata 1’ adunanza , perorarono a lungo
coofra lui ; nunierando tutte le violente fatte , ed alle-
gandone gli offesi stessi per teslimonii. -Or .qui data li-
cenza di parlare ; il giovine chiamato a difendersi non
ubbidiva : ma volea soddisfare ai privati in 'quanto di-
ceansi oltraggiati da loi > secondo le leggi , tenutone il
giudizio innanzi de’ consoli : ma, il padre di lui vedendo
i plebei sofferime malamente le ritrosie , prese a difen-
’^erlo egli stesso ; dimostrando le tante delle accuse coqic
false f ed insidiose , e dimostrandole , . quando negar non
poteansi , come picciole , leggere , nè dégne dell’ ira del
popolo , e su cose , fatte non per trama o disprezzo ,
ma piuttosto per enfasi giovanile di gloria. Per questa
diceva eh’ eragli occorso talora di fare e tal altra di pa>
rire forse incautamente nelle contese; non essendo lui
nel fiore degli anni e del senno. Pertanto pregava il
popolo non solamente che non se gli adirasse pel di-
scorrere suo , ma che giel condonasse in vista delle belle
gesta di esso le quali operarono fra le armi la libertà
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23o delle antichit-v’ romane
de’ privati ed il comando della patria , ed invocavano
fin d’ allora per lai quando Avesse mancato la clemenaa
ed il soccorso di tcuti. E qui narrò le campagne da lai
sosténute , -e le battaglie nelle quali avea riportato dai
capitani la corona de’ prodi , quante volte eravi stato la
diiesa de’ cittadini , e quante avea primo salito le mura
de’ nemici : da ultimo ri rivolse ad impietosire e scon-
giurare il popolo in riguardo della modera^'one sua
verso tutti , e del vivere ‘suo conosduto sempre come
innocente ; chiedendo che in grazia almeno gli salvas-
sero il figlio. ' '
' VI. Compiacevasi il popolo* a tali discorsi , e delibo-
ravasi rendere H 6glio al padre. Se non che riflettendo
Yerginio che se costai non subiva le pene ; ne diver-
rebbe intollerabile 1’ audacia, e la caparbietà de’ giovani,
sorse e disse : Contestata o Quinzio è la tua virA , la
tua benevolenza verso del Spopolo e te ten debbe tutta
la stima: ma la molestia , e la insolenza di codesto tuo
figlio verso tutti non ammette escusàzione o perdono.
Egli educato con la tua disciplinà sì discreta, cpme tutti
sappiamo , e si popolare ; ne abbandonò gli ammae-
stramenti e seguì V arroganza de tiranni , - e la sfre-
natezza de' barbari , portando in città gf incentivi a
tristissiiHe opere. E sia che tu noi conoscessi per
tale ; ora che tei conosci ben dei con* noi e per noi
concitartene : che se per tale il sapevi , e lo coadiu-
vavi in quanto egli inviliva ognora pià' la sorte dei
poveri ; eri anche tu lo scellerato , e mal souavati
intorno la fama di uom probo. Afa tu non vedevi
( ed io stesso potrei contestartelo ) quanto egli dalla
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LIBBO X. . a3i
tma uirtà degenerava. Sebbene io tenga però , che al-
lora tu non partecipavi con esso . nelF offenderci ;
dolgomif che ora come noi non te ne sdegni. Ma.
perchè tu meglio conosca qual niostro' abbi nudrito
senza avvedertene contro la patria, quanto tirannico,
c non . puro nemmeno tlal sangue. . dk' cittadini ^ odi
la egregia opera sua , e contrapponi a questa , se
puoi , U bellici suoi prèmji E voi , quanti siete imo
pioto siti al pianger di un padre , considerate se stia
bene che risparmisi un tal cittadino. '
• VII. E qui fe' cenno a Marco Volscio T uno de’ suoi
colleghi perchè sorgesse e dicesse quanto sapeva di quel
giovane. E fatto silenzio , e grande espettazioiie ; V(d>
scio soprastando alcun poco-, disse : Oltraggiato , e pià
che oltraggiato che io fui da quest’uomo , ben avréi
voluto pigliarmene , o cittadini , le pene che ut erano
concedute dalle leggi : ma impeditovi allora, dalla
mia debolezza , dalf esser mio di plebeo , prenderò
ora che mi è dato f le parti di testimonio , se quelle
non posso di accusatore. Udite le acerbità , le inde-
gnità che men ebbi. Era Lucio , fraltel mio , ,che io
amava piti che tutti i mortali Avea \ questi cenato
mecò. presse di un amico , quando al giungere della
notte di levammo , e partimmo. E già passavamo per
il Foro , quando si abbattè con noi codesto petuUui-
,te , seguito da giouani pari suoi: li quali, ebbrj ed
'arroganti che erano , beffarono ed insultarono noi ,
quanto, insultato e beffato avrebbero i meschini e gli
.ignobili. Così provocati j V uno di noi parlò liberis-
simamente. Or codesto Cesane estintando . ria cosa
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a3a DELLE antichità’ romane
ttdire ' ciocché non voleva , gU s' avventò , lo battè : e
mainìenalolo con i calci e con ogni guisa di sevizio^
e cT ingiurie; io uccise. Ucciso lui, manomise ancor
me , che ne gridava , e ne repugnava quanto io po~
tev'a : nè mi lasciò , se non dopo credutomi estinto ,
ài vedermi immobile in terra , e senza voce. Allora
se no' andò giubilando come per bellissima prova ;
ed allora' gli astanti raccòlsero noi lordi dal sangue j
e riportarono a casp Lucio il fnio fratello , morto ,
come ho detto , e me presso che morto , e che certo
ornai poco sperava di sopravvivere. Occorse ciò. sotto
i consoli P^ublio Servilio , e Lucio Ebuzio , quando
spaziava in Boma la ff-an-' pestilenza, alla quale era-
vamo soggiaciuti atKor noi. Quindi non potei diman-
darne ragione , morti /essendo i consoli tutti due. Suc-
cederono poi consoli Luaezio e Tito Terginio. Io
voleva allora ' citarlo in giudizio ; ma ne fui impedito
dalia guerra , fasciando ambedue per essa la città.
Jiitomati .questi dal campo , quanto volte 16 citai
presso de* òiagittrati , quante volte mi vi accostai ,
tante ( e ben molti lo sannò ) fui da esso ferito. E
questo, 'o popolo , che io ne ho tollerato, questo vi
ho detto con tutta la verità. • ■ ' ' .
Vili. Alzarono a quel dire , gli astanti le grida , (eo-
landone molti la vendetta colie lor inani. Ma vi si op-
posero i consoli , ed i più de’ tribuni , alieni che in città
s’ introducesse la tea consuetudine ; tanto più che la
parte più sana del popolo non voleva che si toglicssero
le difese a chi pericolava in giudizio della vita. La cura
duirque della ginsUzut represse allora gii empiti della iur
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I
LìMRO X. • ' a 33
scienza , ed il giudizio fii differito non, senza conten-
zioni e dobbj non piccioli, se dovesse' intanto il reo
serbarsi neiia carcere , o dare i mallevadori per la sua
dimissione , come il padre di lui dimandava.' Il Senato
adunatosi decretò che se no desse malleverìa • sotto ob->
biigazion pecuniaria ; ed egli libero andasse finché di
lui si giudicasse. Or mancando il giovine di comparire •
al suo tempo ; . i tribuni convocarono il giorno appresso
la molthndine , e contro lui sentenziarono ; dond’ è che
i mallevadori , eh’ eran dieci , pagarono là multa conve-
nuta in sicurezza delia sua presentazione. Colto dunque
fra tali insidie dai tribuni che guidavano tutta la trama ,
colle itestimobianze di Volscio , che poi false si riconób-
bero , Cesone fuggi nell’ Etruria. Il padre di lui venduto
il più di sue cose , e rintegrati i mallevadori delle multe
obbligate visse tra il disagio e lo stento in un poderétto;
che aveasi con picciolo abituro lasciato di là dal Tevere,
coltivandolo con ponchi servi, né più rècandosi in città
per 1’ afflizione, b la inopia, nè riabbracciando gli
«mici , né iniramettendosi -a festa , o ricreazione niuna.
Ai tribuni però succedé ben altro che le loro speranze:
imperocché non .solo qon se ne chetò pér alcun modo
la gioventù contenziosa ammaestrata dai mali di Cesone ;
-ma ne imperversò più ancora , contrastando co' detti e
co’ fatti la legge; talché non poterono affatto stabilirla,
cousumandosi in brighe la loro magistratura. Pertanto
il popolo confermò pel nuovo anno i tribuni medesimi.
' fX. Ascesi ai grado consolare Valerio Popiicola , e
Cajo .Claudio Sabino (i), Roma corse in pericoli « quanti
(i) Anoo di Roma 39! secondo Catons , 396 secondo Varrone,
c 4''8 av. Cristo.
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n34 DELLE ANTICHITÀ* ROMANE
uiai più ^ per la guerra cogli i esteri , attiratale dalle d!«i
«cordie domestiche , come af eano j preoooziato i libri
sibillini, e li segui dimostrati 1’ anno precedente dai
numi. Io sporrò cagione, che suscitò U guerra , e ciò
che fu per queau operato- allora da’ consoli. Li tribuni
preso di nuovo il lor grado su la speranza di fondare
la legge , vedendo console Ca)o Claudio pieno di odio
ereditario contro del popolo, e sollecito per ogni guisa
nd impedire quanto facevano ; e vedendo i più potenti
de’ giovani trascorsi -iu fùria manifesta da non combatterli
colla forza , ed i più della plebe obbligati da' servigi
de’ patrizj , e rimasti senza il primo ardore per la leggQ
deliberarono spingersi all’ intento con mezzi più risoluti ,
onde atterrire quei della plebe , e far desistere il console.
Su le prime procurarono spargere voci varie per la città,
poi sederono da mattina a sera coosultaudosi visibiloRate
senza comunicarne ad alcuno nè consigli nè parole. Ma
quando parve loro tempo di .eseguire i disegni, finsero
delle lettere ; facendosele recare mentre sedeano nel Foro
da un ignoto. E come prima Je lessero , , battendosi la
.fronte , e contristandosi ne’ set^bi^nti ; levaronsi in piede.
Accorsa gran moltitudine, ed insospettitasi che fosse in
quelle lettere indicato alcun grande infortunio, essi or*
dioaroiio ,pe’ banditori silenzio e dissero; La repubblica
o cittadini sta. negli estremi pericoli. E sé la benevo^
lenza degl iddj non avesse provveduto a chi era per.
incorrervi : noi tutti saremmo in fetali sciagure. Chie-
diamo che vi tfiniale qui breve tempo , finché riferiamo
al Senato eiocohè ne si avvisa, e facciamo di cornuti
volo oiocché si debbo ; E ciò detto , ne andarono ai
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LIBRO X. a35
consoli. Frattanto che il Senato si radunava, faceansi
pel Foro molti e svariati discorsi; ripetendo altri appo>
stalaroente ne’crocchj ciocché era stato intimato loro
da’ tribuni ; ed altri pubblicando , come detto ai tribuni,
ciocché temeano essi stessi , che succedesse. Chi dicea
che i Volsci e gli Equi aveano accolto Quinzio Cesone
il giovine condannalo dal popolo , creandolo comandante
assoluto delle due genti e che leverebbe .gran forze e
marcerebbe contro di Roma: echi dicea che quel gio-
vine d’ accordo cp’ patrizj tornava con esterne . milizie ,
perché si abolisce una volta per sempre il magistrato
che era il presidio de’ plebei : altri aggiungeva che eosì
non sentivano tutti i patrizj ma i giovani soli: e. vi fu
chi ardi fino dire che colui si stava occulto in città , e
che occnpenebbe i posti più acconci. Ondeggiando cosi
tutta la città per |a espeUazioue de’ mali , e sospettan-
dosi tutti , e guardandosi gli uni dagli altri : i consoli
convocano il Senato : ed i tribuni vengono e palesano
ciocché avvisavasi loro: parlava, per tutti Aulo Yerginlo
e disse : - „ >> • f >
X. Finché gli annunzj che ci si davan de' medi ^
ci sembrarono non accureUi , ma vani e senza fondai
mento , sdegnefmmo o padri coscritti , di pubblicarlit
tal timore che non.se ne eccitassero grandi txirba-
menti , come sogliono , alP udirsi triste cose , e con
riguardo di non essere da voi creduti anzi precipitosi
che savj. Non però lasciammo tali annunzj , trascu^
rondo li eiffaUo : anzi ne abbiamo i investigata la ver
rità , quanto per noi si potè.. Ora . poiché la provit
denzu celeste , la quale ci ha ‘sempre salvato la re»
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2 36 DELLE Antichità’ homane
pubblica , ci benefica p svela i segreti consigli y e le
ree macchinazioni di uomini nemici agt iddj , e te-
niamo fin delle lettere che abbiamo di fresco ricevute
in pegno di benevolenza da ospiti, che voi poscia
adirete ,* e poiché concorrono e concordano gC indizf
Interni con gli^ altri di fuori , e gli affari che abbiam
tra le mani non ammettono più. indugio e riserva i
deliberiamo , com’ è giusto , palesarli a vói , prima
che al popolo. Sappiale dunque che hanno contro il
popolo congiuralo uomini non ignobili , tra' quali di-
pèsi-esser parte, non grande però, degli anziani,
ascritti al Senato , ma più grande de’ cavalieri che
ascritti non vi sono ; e questi , quali siano , non è
tempo ancora di rivelarlo. Questi , come udiamo ,
colta una notte oscura, sono per assalirci tra’l son-
no , quando nè può risapersi ciocché è fatto , nè va-
Uomo a congregarci e difenderci. Fermi sono d'in-
vestire ‘e di uccidere nelle case noi tribuni e quei
plebei che st opposero iy o fossero mai per opporsi
ad essi circa la libertà. Quando avran tolto noi ,
pensano di aver da voi ciò che resta , sicurissima- '
mente , cioè che revochiate di comun voto le conces-
sioni da voi fatte alla plebe. Fedendo però che han
bisogno per compiere ciò di prepararsi occultamente
una milizia di fuori , e non piccola , si hanno eletto
capo queir esule nostro, quel Ceso» e , convinto del-
V eccidio di cittadini , e della discordia della città , •
e pure fatto per alcuni di qua entro , fuggir salvo
dal giudizio e da Roma , con promettere di procurar-
gli il- ritorno , magistrature , onorificenze , ed altri
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LIBRO. X,
compensi de' servigj. E questo Cesene ha protnesso
di conduf loro , milizia di Equi e di Eplsci , quanta
abbisognane. Egli verrà tra non molto co’ più audaci,
introducendoli a pochi a pochi e '.sparsamente in ci/r
tà: l^ altre milizie, quando saremo periti noi capi
del popolo si avventeranno su gli alpi del popolo
stesso , i quali difendessero ancora la libertà. Queste,
o padri coscritti sono le terribili , le impurissime
opere che disegnano far tra le tenebre , senza temere
r ira degli iddj , nè riguai dare, la vendetta degli
uomini. ^ ,
XI. Agitati da tanto pericolo , a voi ne veniamo
supplichevoli , o padri, voi scongiuriamo per gf iddj,
voi pe genj adorati dalla patria , voi per la memoria
dei tanti e gravi nemici da noi combattuti in coma-,
ne, affinchè non lasciate che noi patiamo le sì dure,
ed indegnissime offese : ma v’ 'empiate come noi di
risentimento , e ne soccorriate , e puniate , come delf~
Lesi, tali macchinatori tutti , o nei capi almeno della
infame congiura. E prima che tutto , dimandiamo o
padri che decretiate, come è giusto,. che inquisiscasi
da noi tribuni su le cose deferiteci; perciocché oltre,
la giustizia , la necessità dee rendere , inquisitori di-,
agentissimi gV investiti dal pericolo. Che se alcuni
tra voi son disposti di non compiacerci punto , anzi
di contrariarne in , quanto vi diciamo del popolo ;
volsntieri conoscerò da essi quale vi disgusti delle.
nosVe dimande , e ciò che vogliate da noi finalmente
Che non facciamo forse niuna ricerca , ma trascu~
riamo la si bufa e si rea tempesta che pende sul
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2.38 DELLK ANTICIUTA’ ROMANE
popolo ? E chi direbbe li sì fatti decisori esser sani,
e non corrotti) e non' partecipi della congiura anzi
chi non direbbe che temono per sestessi , temono di
essere scoperti , e quindi scansano che si esamini • il
vero ? Perciò non debbesi attendere a tali uomini. O
vorranno forse che non siamo noi gl' inquisitori 'di
dò; ma il Senato e li consoli? Ma che impedirebbe
che i tribuni pure dicessero , che a loro che han
preso a difendere il popolo / a loro si spetta la in-
quisizione de* plebei , se alcuni mai congiurassero
contro de' padri e de' consoli , e macchinassero la
rovina del Senato ? Or che seguirebbe da ciò ? que-
sto appunto , che mai la indagine si farebbe ma-
neggi reconditi. Noi però mai ciò nort faremmo, per-
chè sospetta ne sarebbe f ambizione : e così voi non
bene adopererete dando mente a coloro che non vo-
gliono che noi pure slam pari a voi ne’ casi nostri ,
per fare F esame; ma benissimo adopererete riguar-
dando questi , come nemici comuni. Al presente , o
padri coscritti , niuna cosa tanto bisogna , quanto la
sollecitudine: glande, imminente è il pericolo; e C in-
dugio a salvarsi è sempre intempestivo ne’ mali che
non indugiano. Lasciando dunque le altercazioni , e
i lunghi discorsi decretate ornai ciocché F utile vi
sembra della' repubblica. eraoo i padri come
rìsolfere: e riflettevano seco stessi, e ripetevano 'fra
loro , come fosse ugualmente arduissima cosa concedere
e non concedere ai tribùni di fare inquisiaione su loro,
in affane comune e gravissimo. Ma Cajo Claudio 1’ uno
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' . ■ LIBRO ajg
de* consoli , che tenea per obliqua quella loi^ propo-
sta , sorse e disse : iVon penso , o Kergìnio , che co-
storo sospettino me come partecipe della congiura che
dite macchinata cantra voi , e cantra il popolo e
sospettino che io sorga a contraddire , perchè temo per
me o per alcuno de miei che n è complice ; giacché
il tenore della mia vita esclude in tutto da me tali
sospetti. Io dirò sincerissimamente e sema riguardi
ciocché reputo £ utile del Senato c del popolo. Molta ,
anzi affatto s’ inganna Ferginio , se concepisce che
alcun di noi sia per dire ohe si lasci,, sema discu-
terlo , im tal» affare sì grande e necessario ; e che
non debbono aver parte , nè star presenti alla inda-
gine i magistrati del popolo. Niuno è sì stolido ,
niuno sì malevole al popolo che voglia ciò dire: Che
se dunque alcun chiede , qual ne ho male , ohe in-
sorgo contra cose che io concedo per giuste ; e che
presumo io mai col mio dire ; io , viva Dio , ve' lo
esporrò: Io penso, o padri coscritti, che i savj deb-
bano considerar sottilmente i germi e le linee prime
di ogni affare : imperocché deesi di ogni affare di-
scorrere secondo che ne stanno i principj. Ora udite
da me ciocch' è V intrinseco del subietto presente , e
quale il disegno de tribuni. Non riesce ora loro di
ultimare ninna delle cose incominciate nè proseguite
nelC anno antecedente , perchè voi vi opponete ad
essi come allora , nè pià il popolo li favorisce. E ciò
conoscendo cercano necessitare voi , sicché cediate
loro anche vostro malgrado , ed il popolo , sicché
cooperi a quanto mai vogliono. Ma per quanto se ne
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24o delle Antichità’ romane
consultassero, per quanto volgessero da,' ogni banda,
V affare , non trovando mezzi semplici e buoni per
V uno e V altro intento ; alfine così la discorsero. .
» Lainenliamoci che alenai nobili han congiurano di>
abballcre il popolo / e di uccidere quanti ne proca-
» nino la salvezza. E quando avrem &UO , che tali cose,
» preparale da gran tempo, siano. in cittA disseminate,;
» e sembrino credibili «I popolo (e credibili le renderà
a la paura)} allora fiugeremo delle lettere da presenti
» larcisi per un ignoto in presenza di molti. Ne amdre>
» mo quindi In Senato, ci> sdegneremo, ci dorremo,
» e cercheremo il poter d’ inquisire su le dinunzie dateci.
» Se i patria) ci si oppongono, prenderemo ‘da indi
» ^argomento di calunniaiii presso del popolo; ed il
a popolo esacerbato contro di essi diverrà ^ propizio a
X .quanto noi vogliamo. Che se cel concedono leveremo
X di città , come trovati complici , i più misgnanimi frA
» loro , e più nemici nostri , vecch j ^o giovani. Impe-
» rocchè coloro intimoriti di essere condannati o pat-
» tuiranno con noi di non più contrariarci ; o saran
» costretti a lasciare la patria : e co^ la fàzipn contrap-
» posta sarà desolata ».
XIII. Tali sono i loro disegni p padri coscritti, e
quando li vedevate che sedeano o consultavano ^ al~
lora tesseano C inganno contro i più riguwrdevoli tra,
voi, allora complicavan la rete contro i cavalieri più
puri. E che ciò sia vero ; presto ve lo dimostro. Dì ,
yèrginio , dite voi , su quali pende il pericolo , da
quali ospiti aveste la lettera ? dove abitano , come vi
conoscono', come seppero tali nostre cose ? Perché
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LIBRO X.' 241
differiste a svelare i lor nomi , perchè prometteste
dirceli poi , nè li avete già detti ? Qual fu V uomo
che vi portava le lettere ? che noi menate voi qui y
sicché su lui cominciamo a diicutere , se vere elle
siano y o se piuttosto , come io penso finte da voi ?
E gt indizj interni che si accordano co’ segni di fuori
quali sono mai questi? o chi mai ve li diede ? Per-
chè ne celate , non ne pubblicate le prove ? Se non.
che mal si trovano prove di cose che non furono
mai come io credo , nè mai saranno. Questi o pa-
dri coscritti non sono indizj di una congiura contro
loro ma piuttosto delle insidie e del mal animo che
essi covano contro di voi , come C affare dichiaralo •
per sè stesso. Ma voi siete -di ciò la causa, voi che
concedeste loro le prime cose, e portaste a tanta po-
tenza codesto insano 1 loro magistrato , quando lascia-
ste nell’ anno antecedente che giudicassero per falsi
titoli Quinzio Cesone y 'e soffriste che strappasSer
dal seno un tanto difensor de'patrizj. Da ciò nasce
che- pili non serban misura , nè tolgon di mira i no-
bili ad ano ad uno, ma investono e scacciatio in un
globo tutti i migliori della città : E- ciò che è peggio j
non permettono nemméno che contraddiciate Biro , e
V atterriscono con darvi per i sospetti , e calunniarvi
come complici de’ segreti disegni ^ con dirvi ben tosto
inimici del popolo , e citarvi al popolo stesso , per-
chè -subiate la pena de’ discorsi qui fatti. Ma su ciò
diremo altrove pià acconciamente. Ora per istringere
e non prolungare il discorso , ammoniscavi che vi
PTOIftCr , tomo in. ' it
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242 DELLE, antichità’ ROMANE
guardiate da codesti turbatori di 'Jioma , dti codesti
seminatori de’ mali. Nè celerò già al popolo quanto
qui dico ; ma gli sporrò liberissimo che non pendo
su lui niente di. male , se non quanto glien fanno i
tristi ed insidiosi ..tribuni , benevoli ne' sembianti e
nemici ne' fatti. Sorse al dire del console clamore m»
tomo ed applauso ben grande , e sciolsero 1’ adunanza
senza ^pertncHve che '^pià i tribuni parlassero. Dopo ciò
Yergiaio convocato il popolò, vi accusò il Senato ed i
consoli. Ma Clandio ve li escusava apptmio co’ discorsi
tenuti in Senato. Presero i più discreti del popolo per
vana quella paura: ma i più sjolidi per -vera, credendo
le dicerie : e quanti ne erano I più soellerali , ^anti i
più bisognosi ognora di un cambiamento , vi xercaròno
un pretesto -di sedizione , je di torbido , doù che mi>
ressero a far disceraere il Vero dal falso.
XIV. Intanto un Sabino non ignobile di lignaggio ,
potente in averi (Appio Erdonio ih chiamavano.) si
pose in cuore di - abbattere la potenza romana , sia che
ne cercasse per sé la tirannide , sia che una grandezza
ed un dominio, ai -Sabini, sia che tina fama luminosa
al suo nome. Comnni'catosi, in quanto a tale idea, con'
molti amici , divisata là maniera dell’ impresa , ed ap-
provatone ; riuni li clienti , e li più baldanzosi de’ servi
suoi. Concentrati In poco tempo intorno a quattro mila
uomini , ed apparecchiate arme, viveri , e quanto biso-
gnava per una guerra, gl’ imbarcò su legni fluviali. ?ia-
vigando sul Tevere , gli approssimò a Roma dalla ban-
da, ove sorge il Campidoglio , non lontana nemmeno
uno stadio dal fiume. Era la notte in sul mezzo: ed in
» ’
DIgitized
LIBRO X. 243
Roma calma grandissima. Egli dunque al favore di queo ottenuti i
luoghi piu acconci, ricever^ gli esuli,, liberare, gli schiavi,
sdebitar con promesse i poveri , e consociare a sestesso
4utti gli akti cittadini clie dal basso loro stato invidia-
vano ..ed odiavano i potenti, e seguivano con diletto la
mutazione. La iipniagine. che deludevalo intanto che lo
isperariziva di ottenere quanto aspettava , era la civil
sedizione, per la quale concepiva che più non vi fosse
amicizia , nè ligame tra i plebei e tra’ patrizj. Che
non fosse a lui riuscita ninna di tali cose r allora dise-
gnava chiamare con tutte le milizie i Sabini , i Yolsci
ed altri vicini , quanti voleano iredimerst dal giogo ese-
crato de’ Romani. . ^ '
XV, Occorse, però che s’ ingannasse in lutto ; jmpe«>
aocchè nè si diedero a lui gli schiavi, dè gli esuli ripa-
triaronb, nè gl’ indebitati q disonorali 'anteposero'!’ utile
proprio al comune, nè i sqcj esterni ebbero spaziò ab-
bastanza da preparare la guerra: giacché tale affare, che
diede tanta paura e turbamento a^ Romani , ebbe Gne
ben tosto ne’ primi tre o quattro giorni. E per verità ,
presa appena la fortezza , datisi gli abitanti dei luoglù
(1) Questa porta fu chiamala ancora scellerata perchè poterono
per essa uscire ma non tornare i Pabj che andarono a Cremerà
contro i Toscani j come iuiUcano Testo ed Ovidio. Fasi. a.
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l
a 44 DELLE AWriCHITA” ROMANE
intorao che non erano rimasti uccisi , a gridare e fug-'
gire ; il popolo non sapendo che mai fosse , impugnò
le armi , e Corse parte ne* siti eminenti y o ne’ spaziosi ,
che eran molti , della città , e parte ne’ campi vicini.
Quanti perduto il fiore degli anni erano nella impotenza
delle forze , salirono colle, mogi) ai tetti delle case per
combattere di là li forestieri , parendo loro ogni luogo
pieno di nemici. Fatto giorno, come seppesi che 'erano
in città prese^ le fortezze , e chi prese le avesse ; i coa-
soli andarono al Foro , e chiamarono i cittadini alle
arme. Li tribuni convooita la ' moltitudine dissero che
non voleano far cosa contraria, alla patria ne’ suoi peri-
coli ; ma che riputavaào giusto , che il popolo il 'quale
espoùevasi a tanto cimento vi si esponesse con patti
espressi : Se i patrìzj , diceano , promettono , chiamarti
done mallevadori gli Dei, che Jinifa la guerra cìoon^
cederanno di creare i legislatori , e di vivere pari a
noi ne diritti per t avvenire; liberiamo con essi 'la
patria : ma se ricusano ogni partito di moderaziode ;
e perchè mai cimentarsi ?' perchè gettile la vita ,
quando niun bene' ce ne ridonda ? Mentre cosi dice-
vano ed il popolo se >ne persuadeva tiè udiva le voci
di chi altro gli suggerisse ; Claudio . disse ohe non tJ>-
bisognavasi di tali che soccorressero la patria non
volontari , ma per prezzo e non ' lieve : che i pcurizj
armando sestessi e i clienti, e chiunque univasi loro
spontaneamente assedierebbero le fortezze ; Che se
tali milizie non pareano sufficienti; ne chiamerebbero
ancora dai Latini e dagU Ernici : e se la necessità
stringesse , prometterebbero la libertà agli schiavi :
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LIBRO X. 245
cAe infine inviterebbero, tutti, piuttosto che quelli che
in tal congiuntura profittavano della odiosità de' vec~
chj fatti. Contraddiceva a tanto Valerio 1’ altro console :
e giudicando che non dovesse mettersi in guerra coi
patris) la plebe già adirata con essi .-consigliava che si
cedesse al tempo : si pretendesse da' nemici esterni il
diritto: ma si usasse helle gare domestiche equità e
dolcetta, E sembrato egli al più dei padri di aver dato
il consiglio migliore, ne venne all’ adunanza del popolo,
e tenutovi un ' conveniente discorso , lo ■ terminò , giu>
rando , che se i plebei si unissero a , lui con ardore
sella guerra, q, riordinassero le cose della città; con-
cederebbe ai tribuni di far discutere al popolo la legge
che essi progettavano su la eguaglianza ne’ diritti, e che
terrebbe modo onde ciò che fosse à questo piaciuto si
eseguisse nel suo consolato. Ma ‘non portava il destinò
eh’ egli adempiesse alcuno de’ patti, seguendolo ornai da
presso la morte. . •
XVI. Sciolu i’ adunanza , intorno a’ crepuscoli ve-
spertini accorse ciascuno a’ suoi posti per dare a’ capi il
suo nome, ed il militar giuramento; e fra tali due cure
si consnmò qncl giorno e la notte che lo segui. - Nel
giorno appresso furono compartiti e còllocati da’ consoli
i tribuni sotto le insegne sante , aiTollandovisi la niolti-
tndine ancora abitatrice della campagna. Ordinata così
ben- tosto ogni cosa , i consoli divisero le milizie, e ne
tirarono a sorte il comando. A Claudio toccò d’ invigi-
lare innanzi le mura , aIBnché non entrasse in sussidio
altr’ armata di fuori ; perocché sospettavasi di un moto
assai grande, e temeasi che piomberebbero forse tutti i
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2 46 DELLE antichità’ ROMANE
nemici su loro. Portò la sorte che Valerio si mettesse
all’ assedio delle fortezze. Altri duci furouò destinati sb
I
di altri luoghi muniti, interni alla città ^ ed altri su le*
vie che menano al Cartipidoglio per impedire che vi
passassero al nemico gli schiavi e li bisognosi temuti
soprattutto. Non venne a Roma sussidio di alieniti , se
non de’ Tnscolaili , informati ed apparecchiati in una
notte e guidati da Lucio Mamilio , uomo operosissimo ,
e capo allora della nazione. Questi soli entrarono con
Valerlo a parte de’ pericoli , et dimostrandovi Ihtta la
benevolenza e lo zelo ; rivendicarono con eSso le for-
tezze. Diedevisi da tutte le parti 1’ assalto : chi adattava
su le donde vasi pieni di bitume e ■ pece incendiaria ,
e lanciavali dalle case vicine in sul colle : chi recava
, fasci di sarmenti , e fattine cumoli ben àltj su lo sco-
' sceso della rupe gli ardeva , lasciando che il vento ne
trasportasse le damme: i più magnanimi ristrettisi nelle
Schiere salivan alto di su per vie manufatte : ma la
motti(udine colla quale tanto sorpassavano 1* inimico ,
niente giovava ad essi che ascendevano per sentiero
angusto , pièno sopra di sassi da trabalzameli , e tale
che i pochi vL divenivano bastanti contro i mólti : nè
la costanza acquistala tra le molle ‘‘guerre incontro ai
pericoli valeva punto per chi rampicavasi diritto sa pei
scogli. Pcroccliò facessi la battaglia con colpi lontani e
Dòn a corpo a corpo onde moslraiwi audacia e forza ;
le arme lanciate da basso in alto giungevano , cotn -è
verisimile , se colpivano , languide e tarde ; laddove
quelle scagliate dall’ alto in basso piombavano penetranti
e piene , secondandone il peso , \ lor tiri. Non però
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LIBRO X. 247
invilivano gli assalitori , ma persistevano , necessitati ,
tra' mali , senza rèquie alcuna diurna o notturna : tanto
che mancate finalmente agli assediati le arme e le forze,
dopo il terzo giorno gii espugnarono. Perdeèouo i Ro«
mani in questa battaglia molti valentuomini , ed il con-
sole', valentissfmo , come tutti concedono. Costui seb-
bene ricevute molte ferite , non si levava da’ perìcoli :
ma saliva tuttavia la rocca , finché gli precipitarono ad*
dosso un macigno , che gli tolse • la vittoria e la vita.
Espugnata la fortezza , Erdonid robustissimo che era di
corpo-, e bravissimo in arme , destò strage incredibile
idtornct di sé, ma sopraffatto infine dai colpi morì. Tra
quelli che -avevano occupato con esso il castello, pochi
furoRO pigliali vivigli più trafissero sestessi, o perirono
precipitandosi dalla rupe.
XVII. Finito cosi l’attacco de’ Ladroni, i tribuni ri-
produssero le ‘interne discordie , chiedendo dal console
superstite che adempisse le promesse circa la istituzioa
della legge fatte loro da Valerio , estinto nella battaglia.
Trasse GlandLò in lungo qualche tempo, ora con espiar
la città , ora con fare agl’ Iddii sagrifiz) di ringrazia-
mento , ed ora dilettando il popolo con spettacoli e
giuochi. Alfine mancatigli tutti'! pretesti disse, che do-
vessi nominare. in luogo del defunto un altro console,
perocché le cose, fìtte da lui solo non sarebbero né le-
gutime ', né salde,' ma salde saqebbero , e legittime fatte
da ambedue. Respintili con 'questa replica, prefisse il
giorno pe’ oomizj ove farsi un collega. Intanto i capi
dei Senato concertarono con maneggi occulti fra loro il
console da eleggersi. Venuto il giorno de’comizj, quando
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248 DELLE Antichità’ romane
il baDclitore chiamò la prima classe, le diclotto ceniarie
de’ cavalieri e le ottanta de’fanti ricchi di più possideusa
entrate nel luogo dimostrato nominarono console Lncio
Quìdeìo Cincinnato, il cui figlio Cesone ridotto a già*
di^o capitale da’ tribuni , avea per necessità lasciato la
patria: >nè più si > chiamarono altre classi a dare il lor
voto, giacché le centurie che lo aveano dato superavano
per tre centone le rimanenti. Il popolo si ritirò prono-
sticando il suo male , perché sarebbe il consolato in
mano di chi lì odiava. Il Senato spedi uomini che
prendessero e menassero il suo console al comando.
Quinzio arava allora per avventura un campo per se-
minarvi , ed egli stesso scinto di^ tonica , col pilco in
testa , e con fascia ai lombi , teneva dietro ai bovi che
lo fendevano. Or vedendo i molti che a lui si recavano,
fermò 1’ aratro , e dubitò buon tempo chi fossero , e
perchè sen venissero ; ma precorrendo un tale ed am-
monendolo ad acconciarsi , andò nell’ abituro , e accon-
ciatovisi riuscì. Gli uomini spediti a riceverlo , lo salu-
tarono tolti non dal suo nome , ma come console : e
messagli la veste circondata di porpora , e dategli le
scuri , e le altre insegne de’ consoli , lo pregarono che
in città si portasse. £ colui soprastando alcun tempo e
lagrimandone disse : questo mio campiceUo . in qilesto
anno restar^ dunque non seminato, ed io correrò pe-
ricolo di non avere come alimentarmene. E qui salu-
tata la consorte, ed intimatole che provvedesse alle coso
dimestiche , sen venne a Roma. Or questo mi son’ io
condotto a dirlo non per altra cagione , se non perchè
sì conosca quali erano allora i primarj di Roma, come
Dicitt i GoOgIc
LIBRO X. 249
operosi , collie savj ; e come , non che gravarsi di noa
povertà onorata , ricusavano , non ambivano i sovrani
poteri. Dal che. sarà manifesto , che i moderni non so*
migliano a quelli nemmen per poco , eccettuatine ai-
quanli , pe’ quali vive ancora la maestà romana e ser-
basi una . immagine di que* tempi. Ma basti su ciò.
XVIII. Quinzio preso il consolato (i) chetò li tribuni
dalle innovazioni e dalle brighe su la legge , con inti-
mare , ehe àc non la finivano , porterebbe tutti i citta-
dini fuori di ' Roma , minacciando una spedizione sui
Volsci. E replicando i tribuni che lo avrebbero impe-
dito di arrolare l’esercito; egli convocata un’ adunanza,
disse che lutti si erano vincolati col giuramento militare
di seguire a qualunque guerra fossero chiamati, li con*
soli; come di non lasciar le bandiere e di non far cosa
contro Ja legge. Diceva che con assumere il consolato,
ei tenevali tutti sotto quel giuramento. Ciò detto , giu->
rando che si varrebbe delle leggi contro gl’ indocili ,
fe’ cavar le bandiere da’ tèmpli. £ perchè disperiate di
ogni aggiramento di pòpolo nel mio consolato , non
tornerò, disse', da cnmpi nemici se non dopo Jinitone
il tempo. Apparecchiatevi dunque in quanto v è ne-
cessario , come per isvernare nel campo. Sbalorditili
con tal parlare, quando li vide alquanto più mansuefatti
supplicarlo di esser liberi dalla spedizione, dichiarò che
sospenderebbe in grazia loro la guerra, purché non fa*
cessero movimenti, lasciassero eh’ egli reggesse il con-
fi) Aanb di Roma 394 secondo Catone, 996 secondo Varrone', a
4S8 av. Cristo.
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aSo DELLE Antichità’ romane
solato a suo modo, e dessero ed esigessero scambievole
mente il giusto.
XIX. Calmata la turbòienza, ristabilì su le istanze
loro li giudizj interrotti da tanto tempo , ed egli straso
decise il più delle cause colla equità e colla giustizia,
sedendosi quasi tutto il giorno nel tribunale , > io atto
sempre compiacevole , mite , umano verso de’ ricorrenti.
Operò con questo die il, governo non sembrale aristo*
cratico , che i poveri , gl' ignobili , ed altri infelici co-
munque conculcati da’ potenti, OOn avessero bisogno dei
tribuni, 'nè desiderassero piu nuova legislazione per es-
sere trattati cOn eguaglianza , anzi che amassero e gra-
dissero tutti il ben essere attuale delie leggi. Fu iodato
nel valentuomo questo procedere, òome pure, che fluito
il suo comando , ricusasse non che lieto riaccettasse il
consolato offertogli nuovamente. Imperocché il Sanato
che vedea la moltitudine non alièna di obbedire aU’uom
buono , rivolealo a grand’ istanza nel consolato , perché
li tribuni brigavansi a non lasciare uemmen pel terzo
anno il magistrato, ed egli sarebbesi ad essi contrapposto
rattenendoli dalle innovazioni colla verecondia o col ter-
rore. Disse che non appcovava cJte i tribuni non ce-
dessero il grado loro ^ ma che egli non incorrerebbe
' neir acciua di essi. E convocato il popolo e lamenta-
tovisi lungamente de’ riottosi a deporre , il comando ,
giurò solennissimamente di non ricevere il consolato in-
nanzi di averlo ceduto. E prefisse il giorno pe’ comizi,
e designativi i consoli , si ritirò di bel nuovo nel suo
picciolo abituro , c visse , come dianzi , col travaglio
delle sue mtini. >
X
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LIBRO X.- aSi
XX- Divenuti consoli Fabio Ylbolano per la terza
volta , e Lucio Cornelio (i), e celebrando i patrj spet>
tacoli , frattanto circa eeì mila Eqof , uomini scelti ,
marciarono in lieve armatura nella notte , e la notte
durando ancora giunsero al Tuscolo , città latina , di*-
stante nemmeno di cento stadj da Roma. Trovatene
aperte come in tempo di pace , le porte , nè '"custodite
le mura, la invasero al giunger primo, in odio de’Tu-
scolaci > perchè erano gli ardenti cooperatori dei Ror
mani , e principalmente perchè essi gli unici aveano
fatto causa - di guerra con loro nell’ assedio del Campi-
doglio. Uccisero certo degir^uomini , non però molti
nella- invasione della città ; perocché mentre prendeasi
quei che v’ -erano , eccetto gl* invalidi per vecchiezza e
per mali , fuggirono ^ spingendosene fuori per le porte.
Fecero prigionieri , le donne , i fanciulli, i servi, e
diedero il sacco alle robe. Nunziatasi in Roma la espu-
gnazione,, i consoli conclusero che si dovesse bemosto
provvedere ai fuggitivi e rendere loro la patria. Oppo-
nendosi però U tribuni, non permettevano che si arro-
lasscr soldati, se prima non si desse il voto su la legge.
Cònlurbandosene il Senato, e ritardandosi là spedizione,
sopravvennero altri messi 'da’ Latini colia nuova che là
città di Anzio erasi manifestamente ribellata, accordan-
doviki i Volsci , antichi abitatori di essa, e, li Romani
venutivi come coloni , e compartecipi de’ terreni. Giun-
sero contemporaneamente de’ nunzj ancora dagli Eroici
e dissero , che già era'- uscita , e già stava nel lor ter-
(i) Adqu «li Roma' 395 secondo Catone , 397 secondo Varrone-, «
457 av. Cristo.
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aSa DELLE Antichità’ romane
ritorio un armata grande di Volaci e di Equi. A tali
a^unzj parve al Senato che dovesse > ornai ,non indù*
giarsi , ma corrersi con tutte le forze da entrambi i
consoli : e che chiunque ciò ricusasse , romano o con-
federato : si avesse per inimico. Or qui li tribuni cede-
rono , e li consoli descrissero quanti aveano età milita-
re, e* convocate le truppe alleate, uscirono bentosto in
campo ; lasciando il terzo delle milizie urbane in guar-
dia di Roma. Fabio n* andò di fretta coIF esercito su
gli Equi fra’ Tuscolani : li più di quelli saccheggiata la
città , sen’ erano già ritirati : ma pochi ne difendevano
ancora il castello. E questo assai forte , uè bisognavi
molto presidio. Adunque alcuni dicono che le guardie
del castello , dal quale, come elevato , scopronsi dj leg-
geri tutti i dintorni , vedendo uscire da Roma un’ ar-
mata, lo abbandonassero spontaneamente: altri però di-
cono , ebe postovi da Fabio l’ assedio si renderono a
patti , e passando sotto giogo ebbero in dono lai vita.
XXI. Fabio venduta la patria ai Tnscolani, levò l’e-
aercito sul far della sera , e marciò di tutta fretta coiv
tro a’ nemici ^ Equi e Volsci che accampavano, come
udiva , con armata numerosa intorno alla città dell’ Al-
gido. Viaggiando tutta la notte si trovò su l' alba a
fronte dei nemici alloggiati nel piano senza vallo , senza
fossa, come nel proprio territorio', con disprezzo degli
avversar). Or qui confortati i suoi a farla da valentnq-
mini , piombò prima sul campo nemico con la cavalle-
ria , mentre i frati alzato il grido militare la seguita-
vano- Altri furono uccisi che dormivauo , altri che sorti
appena davano all’ armi , e volgeansi a resistere : ma li
Digilize:: by G-
LIBRO X. a53
più gettaronsi alla fuga e si dispet^ro. Presi con molta
fiicilltà gli alloggiamenti, concedette a’ suoi che vi s’im-
padronissero di robe e persone, salvo quanto era dei
Tuscolani. Non istette quivi gran tenapo , e menò 1’ ar-
mata'su la città degli Eccctrani, riguardevolissima allora
tra quelle de’ Volaci, e fondata in fortissimo luogo. Te-
nutovisi più giorni da presso coll’ esercito su la Speranza
che quei d’ entro uscissero per combattere , nè uscen-
done ; diedesi a devastare la loro campagna piena di
bestiami e di uomini; non avendone gii assediati ritirato
prima ciò che v’ era pel troppo repentino giungere dèi
nemici. Fabio 'lasciò che i soldati facessero anche qui
le prede per loro , e consumati più giorni nel farle ;
alfine con essi ripatriò. Cornelio T altro console mossosi
contro i Romani di Anzio, e li Volsci sen’ imbattè col-
r esercito loro che l’aspettava a’ confini. Fattovisi alle
mani , uccisine molti , e fugatine gli altri , s’ avanzò col
campo fin presso fe mura: ma non osandovisi più uscirne
a combattere ; prima desolò la lor terra , e poi ne rin-
chiuse la città con fossi e steccati. Vinti allora dalla
necessità , ne uscirono novamente con tutte le forze ,
che erano molte si , ma disordinate. Paragonatisi in bat-
taglia , sostenutala , ancor peggio , e fuggitine scoraggiti
e svergognati , si rinserrarono un’ altra volta tra le mura.
Il console non dando ad essi tempo di riaversi , portò
le scale alle mura,, e ne abbattè con gli arieti le porte:
e cenciossiachè da entro vi resistevano affaticati e lan-
guidi; ve li espugnò senza molto travaglio. Quanto eravi
monetato , quanto di oro , di attuto , di rame, fe’ por-
tarlo neU'erario : gli schiavi , e le altre prede le fe’ rac-
I
Digitized by Google
2 54 DELLE Antichità’ romane
cogliere e venderle da’ questori ; lasciando a’ soldati ,
quanto ve n era , alimenti , vesti , e cose • altretuli di
lor giovamento. Poi scelti tra i coloni e t^a gli Anziaii
nativi i capi, clie eran, molti, più cospicui della rivolta,
e battutili lungamente e decapitatili inSne , si ravviò
coir esercito alla patria. Il Senato usci all* incontro dei
consoli che tornavano , decretando che ambedue trion»
lasserò: si concordò, per finire la guerra, cogli Equi,
che aveano perciò spediti oratori , e nei patti fu , che
ritenessero le cittò , e eie terre che *aveauo nel tempo
che si conehindeva la pace , ma ubbidissero ai Romani;
non pagassero tributi, ma somministrassero ideile guerre,
come gli altri alleati , truppe ausiliarie. secondo >1 biso-
gno : e con ciò l’ anno spirò.
XXII. L’anno appresso (i) fatti consoli Cajo Nauzio
per la seconda volta, e Lucio Minu^io ebbero per qual-
che tempo guerra domestica su’ diritti civili con Vergi-
nio e li compagni di lui , tribuni già da quattro anni.
Ma poi venendo alla città guerra da-’ popoli* iotorno , e
paura che le tógliessero il régno ; presero con trasporto
l’ evento come dalla fortuna : e fatti i cataloghi militari ,
divise in tre parti le milizie interne e confederate, e
bsciatane una in città sotto' gK ordini di Fabio Vibo-
lano ; essi alia testa delle ^ altre uscirono immantinente ,
Nauzio contro de’ Sabini , e Minucio contro degli Equi.
Iniperoccbé questi due popoli s’ erano di que’ giorni ri-
bellati a’ Romani : li Sabini manifestamente tanto, che si
erano avanzati sino a Fideue, città dominati da Roma,
(i) Anno di Roma 396 secouòo Catone, 398 secondo Varrouc , e
456 av. Cristo.
I
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- UBRo X. a55
che ne era distante quaranta stadj ; laddove gli Equi
ferbavano colle parole i ^diritti dell’ ultima pace ; facen-
dola nelle opere da nemici, con movere guerra ai La-
tini , confederati di Roma , quasi i^el trattato di pace
non «ressero mcbiuSo ancor essi. Comandava l’armata loro
Gracco delio ^ uomo intraprendente , che avea renduto
quasi regio il potere arbitrario di cui era stato adornato.
Costui ne andò fino al Tuscolo , città pigliata e sac-
cheggiata ancora nell’ anno antecedente dagli E^ui, che
poi ne furono espulsi dai Romani , e rapi dalle campa-
gne quanti uq sorprese‘ uomini in copia- e bestiami ,
guastandovi i fruiti , buoni già da ricoglierli. E giunta
un’ ambasceria, dal Senato per intendere le cause per le
quali guerreggiavano contro gli alleati de’Romani quando
erasi di fresco giurata pace^con essi , nè frattanto era
occorso disturbo alcuno tra’due popoli , e dovendo que-
sta ammonir Clelio a dimettere i prigionieri che avea
di quelli , a ritirare 1’ armata , e ‘ subire il giudizio su
le ingiurie o danni fatti a’ Tuscolani ; colui s’ indugiò
lungamente scuz’ abboccarsele come impedito dalle oc-
cupazioni. Alfine quando gli parve tempo di ammettere
r ambasceria, e quando i. membri di essa ebbero espresso
gli annunzi del Senato $ egli Soggiunse: Mi meraviglio,
o Romani, come voi per^dominare e tiranneggiare.,
temale per Turnici lutti gli uomini , anche senza es-
serne offesi. Voi non permettete che gli Equi si venr
dichino de' Tuscolani, contrarj loro., senza che ciò si
concordasse nella pace, firmala con voi. Se dite che
abbiamo oltraggiato e danneggialo voi ; vi rinlegre-
temo a norma de' patti : ma se venite a chieder conto
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2 56 dell?: Antichità.’ romane
su Tuscolani ; nienle vale , che a me parliató , o vai
quanto parliate con quella pianta; e frattanto additò
loro un &ggio (i) , che prossimo frondeggiava.
XXIIL I Romani cosi vilipesi da colui non cavarono
subito , abbandonandosi all* ira , gli eserciti : ma repU-
carono un altr ambasceria , e mandarono i Feriali che
chiamano , uomini sacrosanti , . per attestare i genj ed i
numi , che essi porterebbero , necessitati , una guerra
legittima , se non erano soddisbuti ; e dòpo ciò spedi-
rono il console colle milizie. Gracco all’, intendere che
i Romani venivano, levò l’esercito, e lo portò più ad*
dietro, seguendolo pasto passo i nemici. Egli volea ri-
durli in luoghi da vantaggiarsene ^ come addivenne.
Imperocché tenendo in mira una valle cinta da monti,
non si tostò i Romani vi s’ internarono , egli voltò fac-
cia , e si accampò su la strada che conduce fuori di
quella. Segui da questo ,.che i Romeni misero il campo
non dove il volevano , ma dove la circostanza lo per-
metteva. Ivi nè era facile il pascolo pe’ cavalli , per. es-
sere il luogo chiuso da monti ripidissimi e nudi ; nè
facile I dopo aver' consumato quelli che portavano , pro-
cacciare a sestessi gli idimenti dalle terre nemiche , o
mutare il campo; standogli a fronte i nemici, e, proi-
bendone r uscita. Risolverono dunque usar la violenza ,
e cacCiaronsi avanti per la battaglia : ma respinti e feri-
tivi largamente si richiusero fra le loro trincee, delio
inanimato dal buon succedo li circondò con fosse e
steccali , su la fiducia che premuti dalla fame gli si
«
(>) Lìtio chiama quèrcia quella che i delta fiisgìo da Dioiùgi.
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LIBRO X. 2,5'J
reoJerpbbero. Giupta* in i\oma la ao|i»a di ciò. Quinto
FabÌ9 lasciatovi comandaute, scelse il fiore ed il nerbo
suoi militari, , e li spedi per soccortere il console ,
sotto gli ordini- di -Tito Quinzio uome cousoUre , e
questore. Mapdò , oopomeno letiére a rCsuaio ra , e le .altre insegne ornamento un
tempo de\. re. Saputo^ che Roma .oIeggeval(> diltàtore ,
non solo non ' si rallegrò di up 4anio onore, ina conr
tuebandoseoe disse , adiaufue per io mio occupdzioni
perud',pw e il fi allo di ifUest' unno e noi.tidti rje
avremo grande il', disàgio ! Dopò ciò recatosi a Ro-
ma ( 1^, confortò su le prime i cittadini con discorso al
(•y'-Amio «li Roma agS secu'mla Caloof , ajS fecondo Vsernas,
t 4^ sv. Lfista. • .
ZJYw.v/(;/ . /tZf '
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258 DELLE Antichità’ romane
popolò' dà'enapierlo di beile speranze! Poi'^coavocAti
mai i giovani dalia Oittà' e dalia campagnì , soncenlrate
le truppe ausiliarie , e nominalo maestret de’ cavalieri
.Lucio ' Tarquinio , 'ignobile per la povertà ma nobilis-
simo in arme, Usci coll’esercito riuaiio e gianto >af
questore Tito Quinzio c6e io aspettava , prese ' pur le
sue schiere , e né andò' sul nemico. Appe'Oi# ebbe con-
siderata la natura de' luoghi ov’ erano gli accampamenti
cOilooò parte dell'armatA ntdie aliuiié onde precladerc
agli ^quà i sussidi ed i meri, e' riieneodo 'seco le - ah re
naHizie lé avanzò cOn -ordiqe de 'battaglia, ■ GleliO phnto
tion si sbietti , perocché nè la sua gente era poca , 'Oè
poco il cor suo nella guerra, e lo seooti^ nel sUo^ gia-
gnerè , e ne sorse ■una pugna ostinata; Era decorso
buon tempo, e li Romani oom'e cresciuti ’fi'à''' le arme
rinovavansi Ognora al travaglio, *e la cévallérià soccorrea
|yron;a ove erano ì iaHti'*iti pericolo. Criccò dunque
Eopra0altone , si ritirò nel suo cantpo. Quinzio ' éllora
10 cifis^e con aho steccato e torri frequenti ,- e' quando
seppe a!6nc che penuriava' de’ vivevi, lo investi con as-
salii contigui nel stio oéntfpo,' ordinando a hSinucfó che
uscisse dall^altVà parte. Esausti gli Equi di viveri , di*-
speraii di un soccorso ,* -e streiii per ogn’ intorno Hal-
r assedm , furouo nécéssitéti à prender ibr&a *dì ' su[^
{tlichevbli , e spedire a Qoìozìq per la pace. E- colai
replicò che la daitebbe , 'e lasccrebbe* agli Equi iSalva la
persona , se deponessero le arme , é- passassero ad' uno
ad uno sotto giogo: traliersbbe però' qual nemico Gracco
11 capo tkUa guerra,, e gli altri consiglieri delia rivolu.
£ qui comandò che gli 'recassero tali '^ùoraiai in ferri.
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turno X. a59
[/milìaVaiui gli Equi' a lutto; quando' egli ordioó, che
giacobè aveano senza "esserne oilest previamettie , sog-
gettilo e derubato il Tuscolo città coufederau di Ruma,
essi consegnassero a lui ' CorbioBe -, città loro perchè ne
lutasse altrettanto. Prese tali -rrsposta partirono gli ora-
tori , e dopo non molto tornarono traendo .con st
Gracoo è i Compagni incatenali. Essi poi cedute le arme,
e lasciate 'le trincee t ne andarono ^so t(o ^iogo, come
era il volere del diltaiort , . à traverso .del.èaiupo ro-
mano. Consegnarono tiorbione , e ebn restituire ,i pri-
gionieri tuscolaai ottennero soUmeotè che ialiti prima
ne uscissero gli uomini iagfenai.
XXV. Quinrio ricevuta ht" città, comaodd ■ che. le
prede pià -wgqardevoU sr trasportassero in Roma , .con-
cedéndo che le altre si dispensassero tra’ soldati venuti
con esso, e tra- gir altri spediti prima con Quinzio il
questore ;, e" soggiungendo , che a^ soldati rinchiusi «mi
console. Miiiudo avea dato ànjplissimó «lono , quando li
rivenaiet- dajla- morte. Ciò 'fano , obbligando Minucio.a
dhnettérsi djl suo grado, si ripiegò verso IVoma, e'ne
menò. Uionfo luminoio, più. che tutti .i duci meuato- Io
avessero perche in sedici giorni de’ die avea preso il
còniaotfo , 'uvea salvalo l’ esercilò anaico, disfatto i’ altro
floridissilno de’ nemici ; saccheggiata la loto città , mes-
savi guarnigione, e comku» va • séco In catene il capo,
e. gli altri primarj di’qneUa gueira. . FaoeVa soprattutto
ùieravigliu die avtmdo ricevuto quel magistrato per sci
mési non sei tenne quuito eonòedeva la'> legge : • ma coni
vocata la plebe , e ragipjiatuJe delie cos«r operate ; lo
depose. E pregandolo il Schato che prendesse quanto
260 DELLE ANTÌCUITA’ ROMANE
vote» delle- terre , degli schiavi delle prede conquistate
colle armi , e pressandolo che vivificasse la tenaiti sua
con ricchexaa ginata, ché egli possederebbe 'glónosrsaitna,
come 'tratta colle proprie iàticbe dal nemico', ed=o(fe«
rendo'gli' amici- e pai'enli amplissimi doni , e pregiando
più che tutto' adagiare un tal uomo , egli ' lodatane la
cortesia, non prese nulla, ma si ricondusse nel piodolo
suo campicello „ ' ed antepose ad nna splendida vita la
vita 'tua travagliósa,- nobiliubdosi per la ^povertà, più
che altri .non. sogliaho per l’ opulenta. Dopo non molto
Nanzio f altro console vinse in battaglia i
vamente le armi contro de’ Romani, e scorKro- «accheg-
jgiando assdi della lòr terra tanto che quei che' veai«
vano int.copia fuggendo dalle campagne, dicevano tatto
in poter loro , quanto è tra Fidene e Cmstumera^ An-
che gli .Equi sottomessi ultimamente sorsero^ im’ afira
volta alle armi: e recandosene > tra la notte i più robusti
a Corbìone , città ceduta da essi Panno antecedente ai
Romani, c sorpresavi, la gnamigioDe nel sonno >; ve la
uccisero, salvo podhi‘^ che" per .ventura non v’ erano. Gli
altri marciarono ju gran moltitudine contro 'di Ottona,
(■) Anno di Roma 397 'secondo Catone, 399 seconda Varronc, a
4S5 Cristo. ■' .
olimpiàde otlan»
dr Gitene vinse
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. LIBRO X.' . ^ • 261
cìni de* Latini , e -presala a prim’ impeto, fecero per la
rabbia su gli alleati de’ -domani , docebè non potevano
su’ Romani medesimi ' uccisero tutti > puberi , eccetto
quelli -ette efan fuggiti udì’ invadersi della' cillà-r rende-,
rono prigionieri, donne, fanciulli, vecchj,, e raccoltovi
in fretta quanto poteano trasportar di pregevole ,' ripar*
tirono prima'' che v’accorressero tutti.! Latini. ,11 Senato
saputo ciò da’ Latini , e da’ militari salvatisi della guarr.
nigione , decretò di 'iàr uscir le milqsie y e con ùse i
due consoli. Ma Verginio e i colieghi , tribuni già da
cinque anni davano a ciò ritardo , opponendosi come
negli -anni antecedenti alla scelta militare , , che faceasi
pe’coqsojij.u reclamando che. si Sdisse prima la guerra
domestica, -con rimettere al popolo l’esame della. legge,
che davano sò la eguagliauaa .dei diritti : e la plebe
ooadjuvava t ttibaui che asiaf malignavano , contro, del
Senato. Imapto temporeggiandosi , nè comportando i
consoli,’ che si facesse in Senato il previo decreto su la
legge e si proponesse al - popolo né volendo i tribuni
concedere la leva e la marcia delle, milizie, an^i facen-
dosi accuse inutili e dice^e vicendevoli belle concioni e
nella curia,, alSne fu ideato da’ tribuni -uu altro disegno^
che sorprese l padri e chetò >U sedizione attuale,^~ma
fu* causa di molto ingrandimento per il popolo: ed io
sporrò .come il popolo se lo ebbe questo incremento.
' XXVII. Essendo manomesso e predato il . territorio
de’ Romani e de’ cOufederati , e spaziandovisi i nemici
come per una solitudine su la speranza che nou 'Usci-
rebbe oontr’ essi esercito. alcuno a causa dcHe sedizioni
di Róma, i consoli -adunarono- il Senato per consultare
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3 DET.L5 ANTICHITÀ:’ BOMANE
come sy pericolo estcetno. Tenutisi raoUi discórsi , li-
ichestò il primo dei* parer suo Lucio- (^uiozio , il> dit*
latore dellVarìBO, aotecedents , >ttomq ,noo/^solo -il più
grande allora fra le armi',*; ina creduto ancora- savissimo
nel govefoo', propose il coniglio d ^ale poi persuase
più che tnttq'i tribuni e gli altri, che si dij^erine in
tempo più accóncio t esame allora ‘non riecessario
della legge, è si /accise con tutta prontezza la guerra
alfutJe’, scorsa ornai /no, su la etllà r nè si perdesse
imbeflemente e Mtuperosasnente il comando con tanti
stenti acqmstato. H che se il popolo non -ià-s' tmi*-
ceva; si armassero patrizj e clienti, con- guanti altri
vòleano far causa con essi in qaeil aringo ‘nobilissimo
della patria, e ne andassero ardenti al nemico,- pren^
dendo per duci dell andafpiento i Numi 'protettori di
Roma. Imperocché ne verrebbe lune 'o laUi^ buono
e bel fratto^ vuoi dire ò che riporferebbefo ima vit-
toria la più gloriósa fra tutte le riportate "dai loro
ptaggiori , o che magfianimi' niorirebbero pe' beni che
sìeguòno la vittoria. 'Annnnzìaira c4e> egli stesso ^n
si ricuserebbe a tanto .esperimento , ma presento vi
pugnerebbe' qeaniq i più coraggiosi', e ‘che rpempieno
manchérebbevi alcuno seniori che amasse-.la libertà
e li buon nome. > > ^
XXVHL'-'Così piacitito a tutti , Senza che alouna vi
ù -óppon%sc , i consoli convocarduo il popolo.' Cbacorsi
quanti erano in Roma come per ndieofa di nuov^ co*
se, fattosi innanzi Cajo Orazio, l’uno de^ consoli, tentò
volgere spontaneamente i plebei anche alia guerra pre*
sente. Ma perciocché i tribuni vi 'ripugnavano, 'ed i
LTUno X. , 263
plebei ,!a> senti v«n coq essi; recatoseli console Un altra
volta in tneszo disse- : Beìia marlwigliasa impr^a ifi
vero é^la vostra -o f^ejrginìo ck^. abbiale stacpatò U
popolo dal Senato ! e cho. dal^ canto vostro avesstmo
già perduto quanto abbiamo, ereditato dagli .avi , e
ffuanlo .oUepiUo co')Ttoftrì sudori Ma noij npn, cede-
remo noi questo, senza lordarsi nemmeno di polvere)
ma impugnando le orini con .quanti vprrap salva la
patria ne andremo al cimento, i^erantiti su la bontà
dell’impresa. E se àLui}' Dio rimìui. le belle.,, le' giu-
stissime imprese') se la sorte che da tanto ' tc/Apo prò- •
spera questa cillà -, non t ahbqndona sqibnonte-
reniò il nemico. , Ma se alcun, Dio me gravita . sopra 4
c’ ci si oppope per , bt salvezza . di -Jiqma ) certo JC
voler nostro x di nostra propensione non perirà-; che
Jortissimamente per la pat/ia moriremo. 'E voi li belli,
U generosi capi che siete di ' Roma , guardata pure
colle vostre mogli le case, abbandonando e tradendo
noi:,, ma nà te noi vinciamo onoràta- sarà la vostra
vita, nè sicura se perderemo. Se pur non siete ■‘ani-
mali (lidia misera speranza che inémici dàpo.' rovinati
i patrizj , preserveranno voi per gratitudine , a cori-
cederànuo che godiate la vostrd patria, la libèrtà, il
comando , e tuUi t befù -^/ie ora v’ avete. Sb, questo
appunto a voi copeederanao cfue’ nemici a' quali men- /
tre vói pensavate pìà 'saviamehte avete levato tardo
iersìtorio, distratte ttgtle c'ktà, JaUine' schià^i i >popoli,
ed irudzati toni i- trofei, tanti manUmérUi di nemicizfa,
e sì luminosi, che mai^per età non perirahpo. Ma
perchè io mi addoloro còl popolo il qtude non fu mqi
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2^4 TfJULLE Antichità' romane
taUù’o ài voter non piit tosto o Vt^fginìo con
Voi che per si bella- maniero, io dirigete ? Noi' certo
necessitali b. non -pensar bassamente noi deliberata
abbiamo , e ninno cel vielirà , 'di- farci a combattere
per la patria: jna voi che abbandonate, voi che ^ tra-
dite il comune, voi ne- avrete condegna, irreprensibil
vendetta dal cielo: nè' fuggirete ‘già questa, se quella
fuggite degli uomini. Nè crediate già che io ciò dica
pertatterrirvi : 'ma sappiate che quanti siano qui la-
sciati per guardia dèlia città, se mai gf inimici pre-
valilo Ho ^ ne destineremo come a noi si conviene.' Se
od alcuni^ ìfarbatì , ornai tra le unghie de' nomici ,
venne in cuore di non lasciare ad essi' non le mogli,
~hon i figli , non le cùlà, ma di ardere .gueste , e di
uccidere 'quelli; non farànno altrettanto sé" li Èo-
mani de' quali è proprio il dominare.? ' Certo' degeneri
non saratmo : ma còmi notando da vqi > che' nemicis-
simi Stata ,s. ogrii amica\lor cosa distruggeranno.- ^on-
sidarMe ora up'i questo , ié> considerandolo ; fatevi -le
adunatvte e- le leggi. - ' ~ •
XXIX'. Detto tali ^ose e ‘molte consimili, presentò li
più provetii de patrie] che piangevano. A tale''s[>euaoolo
molti del popolo boa contennero nemmeno essi le la»
gtime: t destatasi grande commoxlone per gli acmi e per
la maestà di tali uomini, il console sopraÀandò alquanto
disse : 'Impugneranno questi seniori le 'armi per voi
giovani nè' voi ve nè' vèrgognelete , occultandovi' fin
.sollotarm é" vi terrete lontani da questi duci, che
padri sempre , avete nominati ? 'Sciaguo^i voi ! nè
degni pure di èsser detti- cittadini -di questa èittà fon-
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' : LiBiio • 265
Sala "da c'olbro che àveano por iole fpaile il pa-
dre, aperto loro dà numi lo teatnpo ^ra le armi e le
fiàmmè- Catm Yergioìo temè ciré il pòpolo fosse com-
mosso dà) quel discorso per non SDfhii{V 'dl dover met-
tersi « quella guerra coOlro il sub dire, fecési avanti' e
soggiunse;- Noi non vi abbandoniamo'- né. Vt' 6-adiamo,
Hè mai vi .abbandoneremo o padrii come per addietro
mai'^ foste da noi derelitti su, et impresa niurtae di met-
tere custodi' delia libertà te leggi a cui tutti ubbidi-
scano^ Che se ciò vi .sa male p, Se sdegriate- concederle
a' vostri cittadini questa grazia,' e'^ riputate com’ essere
la mocte. vostra ammetlére- il popolo nelC eguaglianzd;
non' pià vi darem briga su dà ,■ ma vi chiederemo '
altro' dono , avuto il quale farse noh avrem pià bi-
sognò di nuova legislazione: se nonché ci vien paura
che non ottérremo nemttten questo , sebbene non sia
ponto lesivo dei Senato,- e sia ^uUo* bmief ce- ed- ono-
revole al popolo. s ''
«‘ XXX. E replicando il 'console- che se rimetteanb la
istanza vai Senato , non sarebbe oegata loro cosa, che
discrcia fosse-; ed invitandoio a dire ciocché dimanda*-
sero , ' Verginio abboccatosene alquanto ^co’-suoi colleght
rispose , che lo dirèbbe - al Senato, 'fiopo ciò Ji consoli
adnnarooo il Senato , ed egli - venutovi ^ e divisatovi
quanto edmpetevasi al po>pólo, chiede che si duplicassero
i magistrati del pòpolo, ed .ogni anno in luogo ;d> ciò*
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aGfì DETXE.ANtlCHITA’ ROMANE
que ài nonaipaiserD dieci', tiibuni. Alcuoi, ca{>0 de’qaaii
era Laoio QuipzioV àatorevolissinto Pilota , in v Senato ,
pensavano clie.ciò pon. offenderebbe* Ja repubblica e
ooDsigll
nico vi si'dppose Cajo Claadio , figlio di Appio /dau*
dio , deir avvertano 'perpetuo a voleri del popolo , se
non erano ^a nórma 'delle, leggi. Egli ereditati i ' senti-
menti del padre, impedì quando. fu console che si con-
cedesse ai' tribpni d.* inquisire contro de’ cavalieri, calun-
niati di congiure, ed ora con iuiligo ragionamento di^
mostrava , che il popolo non diverrebbe più moderato
e più docile y ma più incansiderato e più grave. lùipe-
rocchù appelli che sarebbero ' dt poi giunti 'al iribonaio
noi prenderebbero gii' per* questo* eoa.- legame'* .che li
tenesse ai patti, ma beP. presto tratter^bero di divìsioue
di 'terre 4^ « dl,e^[}ia|ità dì drritir',,e certdtei;ebbera par-
lando e ..brigando de cqiUe cose , estensive 'delia potenta
del popolo, eotne dmpaqenti 1* onor del .Seoato^.-ìlfosse
ntolti* tH^ tal dire graodemeote i. ma Quinzio a ri-
trasse ammaestrandoli voler 1’ otite del Sedato che i
tribooS si moltipKcttseil» , giacché i molti men *8’ at^r-
dan dei poclii t esser rocspediziooe>^ Toccò a
MìducÌo Ja gaem co’ Sabfm ad* Orazio 1* altra' eoo gli
Eqaiy- e ben lostb marciarono ‘atubedi^e. L Sabini gtuuy*
dando le Idko città.; non curarono .'che' ì Romani si
menassero >6 portasae.ro quanto .r’ era pez le campagne.
Gii Equi a|ledirono 'Ito’ armala' per coalrxitarli; ma -tutto
ebe pugnassero nobilissimamente / non poterono supe-
rarli, e si - ritirarono ne^sitatt oeile loro^ città,* perduto
il castello pel quale avaano co/nbattùlo'. Orazio respinti
i nemici , -iPatto assai danno alle, lor itette.^ abbattè le
mura di Corbinne r ne rovesciò da’ fondamenti' le mse ,
e -ricondusse in Roma l» e(wreito.v ’ ' ' ' ■* ~
• XXXL Sotto Marco Vaieriòy* e Spurio Verìpoio con-
soli delH anno segne'nte ,(i) non osci dà’ confini
nato, e • convoràlv. il Senato. E condosslachè un littóre,
comandatone, rispinse T- araldo ; icilio e i suoi coUeghi
■degnatine presero e trassero 'il littore me per balzarlo
^la ‘ rupe I consoli tuttoché sen tenesseró 's[^giatls$inù
non poteano.fiir violenza, e redimere quel prigioniero:
e''^i volsero ptf ajuto agli altri' tribuni-: 'Perooché niuu
pifò sospendere p proibire gli atti di- alcun tribuno, se
non quegli che tribuno, sia parimente giaqchéji tribuni
s’ erano LIBRO X. • > preoccupati
già, da molti e potenti. Unico -contraddisse .a.tal dire
Caju Claudio , comprovandolo molti ; ma -si decretò che
il silo al -popolo sì concedesse. Dopo ciò. presenti i pon-
tefici,‘ gli auguri, e due sagrificatori , fatti secondo il
rito.sà^ifizj e preghiere , e convocati da’ consoli i 00-
niizj centurìati si 'confermò la leg^e , e descritla sQ co-
lonna^ metallica , e portata ne|l’ Avventiòq ' fu collocata
nel tempio di Diana. Poscia- coqgregatisi J plebei tira-
rono a sorte il suolo dove fabbricare e fabbricarono ,
occupando ciascuno , lo spa^o che poteva. Unironsi al-r
. • i
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27 Ò DELIE ANTICBITà’. ROIBANB
r edifiso dì qò^lcke cak due o M' pèrsone , e talvoiu
più- ancora, prendendosi uno i pianterreni ». e gl! ahri
i piani ,'àupdnori. E 'cosi tl’. armo si consumò eoj^i^b-
bricare. • ' • ' ' > •
' XXXIII. Riusoi pesò complicatò e varìo e pie*o di
grandi avVenluee l’ anno seguente (j)’, nel optale eletti
consoli .T'ito' Ro™iliO e Cafo Veturio, furono riassunti
al Hribanale ‘Icilio e i coUegbi. {mperoccfaè fu di nuoro
suscitata da’ tribuni la d*ril sedizione ebe parea venuta
ihene; e sorsero guerre dagli' esteri : ma queste non
4^e danneggiarla , ' giovaróno non poco la repubblica ,
non toglierne gl’ in^rlH diSsidj ; essendole’ consueto e
viceodevole di ' esaére ’anaoime tra le guerie, * ma discor>
diosa' nella pace, distraiti - di ciò quanti salirano al con-
solato» prendevano eoo trat^rtOi se nascevaoo,Te guerre
cogli esteri. E ce i ^oemìd erim' 'cheti ; essi stèssi finge-
vano’ manoanze pretesti 0' debi-
^litavasi tra lo sedizioni.' Animati nel modo 'stesso i-'oOn*
soli 'di quest’'am^, deliberarono cavar 1' esercito' contro
L taemìci spi timore che i' poveri e gli oziosi . qoaiìn-
ctassero a perturbare - la pacel Or essi- ben la rutebde*
vano ,'cbe 'vuoisi- distrarre la mollitudioe ndle gtiè'rre
cogli esteri i’hia non beò intendevano com’ eseguiscasi.'
' Quando avrebbero dovuto flir leve moderate ì Qotìae ilo
città mal affetta ; si diedero a 'castigarvi colla forzà tùtii
i ’ranitenti i senza Cfonsazione o dispensa, iriando ine-
sorabili ^il rigor 4elie. leggi sù gli àVen> e su le persone.
'ny Anqo di' Roma agg secoodo Calooc , joi seoondo Varroue, a
453 av. Critto.. ■
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LIBRO X. - ) 37 1
Presero da tal proceder^ ■ occasioae di bel onovo i tri*
buoi di concitare la plebe ; e radonatala , vi strepitarono
per più cause, come ancora, perchè aveano. .fatto portar
nella carcere molti che reclamavano 1’ ajuto de’ iriboni:
e dissero che' essi che soli he aveano l’ autorità dalle
leggi , gli assolveano da quel rechi [amento. ' Vedendo
però che niente ne profittavano , anzi ' che laccasi la
coscrizione piti severamente , incominciarono* ad oppor»
visi co’ fatti. E resistendo I conscM .colla forza del grado
loro ; sen fecero altercazioni e scaramnCce. La tenea pei
consoli la . gioventù patrizia , ma teneala • pe’ tribuni la
turba oziosa e povera : e quel giorno assai- prevalsero i
LODSolif su' tribuni. Ne' giorni appresso - versandosi in> città
più turba. dalle campagne , i tribuni , vedutisi òmai con
forze' da contrapporsi , convocarono assai spesso il po-
polò-, ^e mostratigli'! ‘minbui loro malconèr ' dalle pia-
ghe , prolestaropo che deporrebbero il magistrato se
non erano da esso gàraoliti. - '•
XXXiVv Irritatasene la nioltitudiée ; dt^'no i coiv*
soli a ' dar conto al popolo del procedete' loro. Nóp gli
attesero questi; ed andatine i 'iribòni alia curia* ove il
Senato ^a^e va 'già consultandoqe lo.aupplicaroooi a non
trascurare essi tribuni, offesi -bruttisiihiàmrate , uè il
spopolo, che era dell’ aita loro privato. -^E qui ùàrracono
quante ne aveano sopportate da’ consoli , e le mapohi-
nazioni di quesb contr* essi ond’ erano svergognati' non
pure flel grado ) ma'- nelle penonc. Laonde chiedeaao
che ^.consoli facessero l* Una delle due , vuol- dire , se
negavano di aver fatto . cesa vietata datie leggi contro
de’ tribuni « vemsserò e giurando* Ift negassero all’ ado-
2’J2 DELLE AT^riCUlTH’ ROMANE
aaaza ; se di giurare non sostenevano , venissero , c
vi rendessero, conto ; e le tribù «entenziereLbero su loro.
Si difesero i cousoli , . dando a vedere ebe i tribuni
erano la origine de’, mali, per la caparbieti , per l’auda-
cia di profanare Je persone de’ consoli, prima con avere
imposto ai- satelliti jorp 'e agli edili di portare in carcere
uonjini rivesliti di ogni potere, e poi con tentar di as-
salirli col raeazo de' plebei più temerarj ; e qui sponeano
quanto fosse il^ divari a dalla tribunizia alla, consolar di-
gnità, piena 'questa di regio potere, e nata l’altra solo
per protegger' gli ttppressi. Tanto esser lungi che po-
tes^ro far votare la moltitudine contro de' consoli, che
noi póteauo nemmeno contro il minimo de’ patriz| senza
un decreto espresso del Senato. Pertanto 'minacciavano,
se i, tribuni faceano' votar la moltitudine di dàr. rju’me
a* patria). Continuandosi ‘ppr tutto.il giorno i pochi contro de)
' r • ■ .
(0 Vedi Ii che si ripiegasse
lo sdegno su’ lor fautori , castigandoli a norma delle
leggi. Se quel giorno i tribuni trasportati dall’ira lan-
ciavansi a far cosa alcuda contro del Senato, p de* con-
soli , niente avrebbe impedito che la città di per sé ro-
vinasse. Tanto eran tutti pronti per armarsi e .combat*
Uni t Ma perché sospeser 1’ afiàre , dando ' a sé tempo
per meglio consigliartene; serbarono essi ' moderazione ,
e r fra del popolo n'n fu mitigÀa. Intimarono pel tc^'zo
mercato dopo quel giorno una assemblea popolare- ove
condannire; i consoli ad una emenda in mgeoto, e sciol-
sero 1’ adunanza. Approssimandoti pe^ò quel -giórno de-
sisterono anche da lah* intrapreta dicendo, di coneedecp
ciò alle- istanze di uomini i più 'venerandi per anni e •
per grado. Poi congreg-indo il popolo; dichiararono die
essi rimettevano le offese proprie , sul desiderio di motti
buoni, a’ quali nop era lecito contraddire : ma che le
ingiuri^ fette al popolo e punirebbero queste , anzi le
toglierebbero. Imperocché diretumente (i) aggiùngereb-
bero tra le leggi pnr quella su la divisiori delle terre
differìlit ornai da treni’ anni , e quella su’ diritti eguali
r • N. ’
(i) Kel lesto »v^it nuot’aiiante , forse ot nè per dono ,>
nè per compera , nè per altro legittimo mezzo che^
possa dimòstrarvisi. Se ne avessero questi dimandata
parte pià grande , che noi dopo • avere come noi tra~
vagliato neW acquistarle ; certo non sarebbe stato de»
gno di uomini , degno di cittadini che pochi si ap»
propiassero" ciocché era di tutti; ma pur stata una
causa vi sarebbe a tanta ingordigia^ Ma quando non
potendo dimostrare alcuna opera grande e magnanima
per la quale si tengono ciocché è nostro , non sen
vergognano ^ 'né lo rilasjdano y nemmeno convintine ;
chi potrà comportarli? _ 1*
XXXVIII. Or su, per Dio, se io nfetilo in ciò ,
venga chiunque di questi onorandissimi , venga , e
dimostri per quali splendide- e belle gesta presuma
pià parte di me. Forse ha guerreggiato pià anni, in
pià battaglie , con pià ferite , con pià onore di po«
rotte di spoglie , di prede , o di cUtre marcfm da
vincitore , per le quali /’ inimico se ne umilia , e la ,
patria > magnificata ne sfol^ra ? Dimostri il decima
almeno di quanto io v ho dimostrato. Per, certo i pià
d’ essi non potrebbero allegare nemmen. la minima
parte delle mie gesta : anzi alcuni di loro non par.^
rebbero di' avere sofferto nemmen quanto il popoletlo
pià basso. Grandi essi ne detti , noi sono certo nelle
armi, pià vagliano contro l' amico , che a fronte
dell' inimico : non pensano essi di avere una patria
a tutti comune , ma propria di loro , quasi non siano
stati per noi liberati da’ tiranni , ma dà tiranni ab-^
biano noi preso come un lòt bene. Questi (perocché
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un 8 HELLE Antichità’ romane
bacaselo /e ingiuriò continue pià o men ^andi j eh»
tutti sapete ) sono giunti a tanta in scienza ^ efu^.non
soffrono che alcuno di noi dica libere yoci, o che
solo apra la bocca su la patria. E 'Sputió Cassio ,
quello che ptimó^ parlò su la le^e agraria-, quello
che illuitre per tre eonsólati, e per, due trionfi glo-
riosi, e che avea dimostrato tanta solerzia nel co-
mando nplitare e civile , quanto niun altro in quei
tempii qùeH' uomo si grande lo accusarono i con-
•soU’j come intento alla tirannide, lo sopraffecero con
falsi teslìmonj , e, Jìnalniente^ precipitandolo dalla
rupe ,, Io uccisero', nè per altra cagione se iwn per-
ché era V amico della patria e del popolo.' E Cajo
Genuzh) tribuno' vòstro- che riproduceva - dopo undici
anni la stessa legge , e citM>a- in giudizio i consoli
deir anno antecedente come trascurati 'a compiere i v
decreti del Senato tu la partition delle terre , lo lè-
varon di mezzo appunta il giorno avanti, il giudizio
con occulte maniere i non potendolo colle manifeste.
Donde tte venne .a* successori grave timore, e niun
più st mise a quel rischio : e già sono trend anni
che sopportiamo , quasi perduta il nostro potere nella
tirannide.
XXXIX. Ma lasciamo il resta. I magistrati vostri
attuali , quelli che voi avete rendati siseri per le^e
ed mvMabili , a quanti mali non incorsero per vo-
glia di difendere gli oppressi tra 7 popolo ? Non fu-
rono questi ètpulsi dal Foro a pugni e calci, e con
ogni altra guisa di vilipendj ? Vò 'siro era V affronto;
e voi vel comportaste nè cercaste vendicarvene con
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• ' LIBRO X. , i'^g
darne i voti almeno , in che solo vi resta la libertà.
e
Ma su prendete spirita o miei cpmpopoUiri. Presene
tino i tribuni la legge su la partizione delle- campa-
gne'; _e voi la confermate co’ voti vostri , nè soffrite
pur voce chi reclami. Voi non abbisognate o tri-
buni di esortazione a questi opera ; voi posti vi ci
siete , e benissimo fate a non desisterne. E se la
caparbietà', se là insolenza de’ giovani vi' si opponga,
e rovesci le urne in'' che i voti raccolgonsi , o./i voti
vi levino, o scondita tal , altra cosa nel' dar de sofì
fragi ntastrate -loro quanta ' il potere siasi del tri- i
bunato. Che se non è lecito degradar^ i constai, sot*
topOnete ai . giudizio i privati , de’ quali si vatgonó
per le violenze ; e fate che il popolo' voti su loro ^
come su conculcatori delie leggi sacre y e distruttori
del dostro magistrato. * .
XL, Or Jui cosi dicendo , ta moltiludibe nè fa cóm>
mossa tanto intimainente , e manifestò tanta ira contro
gU oppositori, che, copie ho divisato dai princt[yio, non
vofesa memmen tollerarne t discorsi. Quaodo sorgendo
Icilio tribuno dii^e : che eran pur buoni *1 suggerimenti
di Siccio, e lan^mcnte lo encomiò, tuttavia dimostrò
cìie non era cosa nè giusta , nè sociale negar la parola
a chi vojeya perorare in contrario , prìncipalmeote' di>
acutendosi una legge colia quale far prevalece il diritto
alla Ibraa varrebboosi di occasioni consitnili , qpelK
che non avevano pensieri eqni uè ginstì sul popolo , a
turbar la pUè novamentp, e'rimovetae ciocché le gio*
/asse. E ciò detto ^ prescrivendo ^ il. giorno seguente ai ,
contraddittori della legge , sciolse 1’ adunanza. I consoli
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aSo DELtE Afl^TICHITA’ ROMANE
a4umildjili «oiuiglio privato de^'pairìxj più energici al»
lora e più floridi , dimostrarono cbe dovea leg^
impedirsi per ogni modo prima' colie parole, è poi colle
opere, se il popolo non lasciasse persuadérsi. AdunqH^
raccomandavano a tutti che andassero la ma^a al poro
ciascuno quanto più poteva con amici e cliènti:, e quindi
che alcuni ài stessero .ed aspettassero intorno la tributiti
onde parlasi all’ adunanaa , ed altri in più crttcchj tna>.
versassero il Foro , per intraccbiudere, il popolo, é vie-
tarne la riunione. Parve questo U partito migliore , e
prima cbe il di si chiarisse , erano molli posò del Forò
presi gii 'da’ patriÉj. ' ‘
XLI, Vennero dopo ^ciò li' Iriboni e li consoli,
quando il banditore invitò chiunque voleva dir contro
la legger Presemaronsi perciò molti onesti uomini , ma
il remore e il disordine non lasciai* ascoltarne le voci.
Imperocché qoal déflli astanti esortava 'ed animava i di*
^ cuori, e quale gli urlava e'rigettavali nè la lode'pre-
yalèva de’fautori, né lo strepito degli avversar):* Sdegna*
ronsi « .protestarono r consoli, che il popolo dava prìn*
cipio alla vioTenza col non volere ascoltare : ma repli-
carono i triboni che avendo* essi ascoltato ben per cin-
que anni , non laceano cosa da odiarnéli , se non voi-
leaoo più* tollerare trite contraddizioni , e rant^de. Còsi
ne andara il più delia giornata, quando il popolo chiese
di votare/ Allora i giovani patria) credendo che più non
iCoise da sufferire , impedirono il popolo che si racco-
gliesse in tribù, tolsero a chi li portava i vasi de' voti,
e battendo e spiugendo,- cacciarono quanti erano a ciò
deputati, nè $en parlivauo. Alzarono le grida i tribadi.
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' LIBRO x: 281
e géttaronsi nel _ méz^o di essi : e questi cederono e là»
sciarono die ipvioiati ' passassero ovnnqne, ina passare
ovnnque nob Isàdavano il popolo'xbe li seguitava , o
quello che tumultuando e disordinandosi qua e là per
lo Foro moveasi verso di loro. Cosi divenne inutile al
popolo il soccorso de’ tribuni : ed i patrizj ila. vinsero ,
nè lasciarono che si ammettesse la legge. Le famiglie
che più sembrarono coadjuvare i consoli furono le tre
de’ Posiumj , de’ Sempronj , de’ Clelj, cospicuissime tutte
per lo splendor de’ natali,* e potenti assai per amicizie;
per ricchezze , e riputazione , .come insigni per le im-
prese nella guèrra. Si consente che da questi -dipendè
prìncipalmebte che la legge non si ammettesse^
XLll. Nel giorno, appresso i tribuni prendendo i l>le*
bei più rlguardevolT discùssero ciocché fosse da ‘fare: e
tutti di comun voto statuirono di non citare in giudizio
i cposoli , ma i' privati che erano stati loro! minjstrij;
la punizione de* qudi ecciterebbe come Siccio' avvertiva
meno diceria contro del popolo. Adunque cominciarono
dih'geotemcnte a discutere, quabti 'fossero da : processare,
qpal titolo Ressero al giudizio « e qtialé. ne sarebbe, '.e
quanta la pena. 1 più buj di carattere consigliava nò che
si desse a tutta un aria di graveùa e di terrore f in
opposito i' più miti voleano moderazione e ^clemenza, é
Siccio era ,il' capo di questi , e- ve li persuase ; io djco
colui che perorò per la partizion delie terre diuonti del
popolo. Parve loro che si trascùraasero- gli àitri patrizi,
e si menassero al popolo i Clelj, i Posiumj, i Sempronj
a subirne le pene 'delle opere' fotte : *si ! accusassero,’ .di
aver soverrbiato .ed rnipedUo i tribuni dal forc'uliiiiutre
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p
28 a DETXr. AMTlCìrtTA’ ROM^WE
la deftsioQ 'della legger qa«ido lè l^gt facre -dei Senato--
e del popolo ,hqn tsoucedoM ad; alcuno , di p/dl^i ri
chiuso t ed alfine sen venne il tempo di giudicare co-
loro. I cooteli ed i , patria] («rau questi i migliori) a^^
sunti per consultatvisi -opinavano che si dovesse con-
cedere a! tribuni , la punigione , affinché i|upedki Uoa
causassero male tpaggiore 1 e lasciare che i ^plebei furi-'
Ixmdi versassero* r ira loro sù le.soÀanxe degli accusati
affiprhè paesane arendeita quanta ne voleanp *, V iirq>U-
cidnsero *pér l’ avveAire prinoipalmente ché il danno
negli averi potrebbe risarcirai a chi aosteuevalo. Or Unto
appunto àddivénne. Imperocché condannati questi, scnaa-
apptfrìre in giudizio, il popolo Inasprito se ne^raddolci,-
ì tribuni pensarono che fossè rendalo, loro un -moderato
eivil potere e sostegno: ed i'patrizj -restituirono ai- con-
dannati le lo'to ^stanze reiHmendole, a prezzo eguale
da chi -areale dal pubblico comperate. Con tali ripari -si-
dissiparono i mali imminenti ^lla repubblica. , '
XMII. Dopo non molto riprodussero i. tribuni il di-
scorso su la legg^y àia l’avviso delia- irmzioae repeatina
de’ucjidci sul Tusoolo fu causa bastante ad im^edirneli.
^ceeiuccliè precipitandosi li Tuscolani in folta a , Roma
«'dicendo essere giunta una artnaNi grande di Equi,
che av«a- già devaatatq le foro campagne , e ohe tra
; ,
Digltlzs-d by Googli
LiBFo X. a83
pochi gieini ne espugnerebbero fin k ciwà se ben tosto
non sibccorpeTauo ; iK Senato decretò ‘che v’ andassero
entrambi U consolù .ed i consoli, intimata la leva, fchk*
tnarono tutti i dttsdini alle anni. Ebbevi anche allora
del snsurro, oppibnendovisi i tribnni alla iscrizion mili^
tare , né. volendo die gl’ indocili si pòm'ssei'O col rigor
delie leggi: ma tutto io indarno.’ Imperocché -il Senato,
raccoltosi, decretò che uscissero alia guerra i ' patck) coi
loro clienti : che quanti voleano avér parie nel aalvaro
la patria, avessero ancor parte nelle sante cose de’ numi,
ma che niuna più ve n’ avessero quei -che lasciavano i
consoli. Saputosi il decreto del'Sen^o nell’ adunanza
del popolo mólti si misero spontaneamente all' impresa.
Vi si misero i p{ù ingenui per la verecondia 'di non
soccorrere toha città confederata ,' diauuta wmpre per
r aderenza sua con Roma : tra questi fu Siceio 1’ accu-
satore presso del popolo degli usurpatori delle 'pobblidie
terre , -il quale menava seco -ottocento uomini, timi co»
me -lui di età superiore , nè piè vincolati dalla legge ^a
combattere ma pieni della riverenza del valentuomo
pe’ grandi benefizj ricevutine aveano ripntato cosa non
degna di abbandonarlo, mentre rinsciva egli* a fitr
guerra. Òr questa tra la milizia d’ allora fu di gran
lunga la' migliore per la perizia iu combattere , Come
per T'ardire tra’ pericoli. Seguitarono anepr altri T eaer-
cito- vinti dall’ aderenza e dalle istanze de' seniori. - E il
èri pur- k milizia 'pronta «sempre a tnui {.pericoli per
amor deUe prede , che si fan tra4e arme.. Pertanto in
poco tempo ebbest un armata numerosa , e .'fornita
splendidissimameute. .!■ nemici udite che i Romani mar*
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*84 DELLE Antichità’ romane
cercbbero contre ^ essi , ravviafóQO terso la" patria
r esercito : ma i consoli avanzando ,a .gran >freilao
per 6eno, e gl* investirono improvvisi, mentre scendevano
a tor r acqua ; e più volte a battaglia li provocarono.
XLIV. -Or attagiia ; e cavò
le milizie dalle trincee#. e comparti fcavslieriie fanti per
coorti, ciascuno ne’luoghi' Convenienti ; alfine chiamando
Siede gli disse : iVbi combattiamo da quindi o Succio,
1 nemicL Tw- mentre noi ed efsi ci risparmiamo ap-
parecchiandocip va di fianco per- quella via sul monte
ove è il.eaatpo nemico, e v assalùci quei che ilo
guardano , affinchè gli altri che slan contro’ noi ne
teman la perdita, e tentando soccQnjerlo ci volgari le
spalle ; e cor/ie. avviene ^in una subita ritirata , si affi.
foUirt tutti per una strada , e con fUcilità li., conqui-
diamo : o se qui si rimangono ; lo perdano il^ campo ^
loro. La milizia che -lo presidia, per quanto seti con-
cepisce, già non è. per sè foige, ma pan mettere tutta
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■ ' LIBRO X. , ■ 285
la fiducia
bliquamente per quella slracbi , impossibile a salirsi
di, rutscosòr dei nemici:- ma io vi condurrò per vie
non, visibili ad essi; e ben mi presagisco trovarle tali
òhe ci -guidino sul morite, e sul campo. Inanimiìevi
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« . , LlDnO X. ‘
387
dunque i e speràlCk Ciò detto s* avviò Wk fa selva , '>«
eorsooe buoa tratto, a’ imbattè con un 'cHtadioo , parti»
tosi non so d’ onde , e fattolo arrestare ; , sei prese a
guida. E colui rigirandoli gran tempo attorno del mon*
te , li pose al fine su di nn colle rimpetto degli aHog la battaglia ebb^ un
fine decisoli Imperocché -Siccio co’ suoi, non Si toifo - fu
-presso degli alloggiamenti , trovalbne'' il danto verso di
sè derelitto dalla iniliiia , intenta tutta, come n spetta»
cólo dal canto verio del combattimento > vi diede faci»
lissimitmente assaltò , -e sonrontpvvi : . e prorompendo
in grida ; corsele come dall’ alto ^ addosso. Sopraffatta
quella dal mate impensato e concependo che venisse
non qne’ pochi ma l' altro console colle > sue schiere si
precipitò fuori delle trincee, per la 'più. gran parte
senz’arme. Que’di Siccio ne' uccisero 'qua uà ne presero,
e signori già degli alloggiamenti , ripiombarono sa gli
altri nel piano. Gli Equi , conoscinta- dalla foga e dar
damori la presa degli alloggiamenti,’ e veduti dopo non
molti^.i nemici correre loro alle spalle, noo 'mostraùlno
.già cnof 'generóso , ma dnordinadsi , ceecàrono scanapo
per varj sentieri. Ma iu questi appunto fecesi strage
copiosa , non avendo i Romani lasciato d’ iusegnirli a
trucIdarvegU fino alla notte. Siccio ne era l’uccisor- più
/
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288 DELLE antichità' BOMANE
graude Ira Ilice d’imprese bellissime: e quando vide le
cose. nemiche ornai ridolte al suo temiihe, egli già fatta
notte , tripudiando e forte magnificandosene rimenò la
sua coorte agli alloggiamenti espuguati. 1 suoi npn sedo
illesi ed inviolati da’ mali che ne temeyanó „ ma 'em-
piutisi tutti di gloria vivissima , lo chiamavano padre y
salvatore, Dio, ed ogni altro bel nome, nè finivano di
felicitarlo con amplèssi ed -altre esuberanze di 'gioja.
Intanto r altra . milizia romana tornava al campo tuo
‘ dall’ inseguire i nemici. > , .
. XLVIL Era già la mezza notte , quando' Sfecio ra-
minando 1’ odio suo 'bontro de’ (Gasoli che ,lo oveano
spedito alia morte -, si pose in ' animo , dì tor loro la
gloria 4el buon' successo. Rivelato il cor suo tra’ com-
pagni , e sembratone a tatti benissimp , anzi ammiran-
done Ognuno i concetti e F ardire, .^li prese e fe’'
prender le armi , e prima uccise guanti trovò 't|tnvi
nomini, cavalli, ed altri animali degli Equi, e pòi mise
in fiamme i padiglioni , pieni di arme , di vesti , di
apparecchi di guerra , e di robbe moltissìmé , recàtevi
dalla [ureda tascoiaua : al fine , dopo svanita ogni cosa
tra r incendio, parti su I’ alba senza altro che le arme,
e rientrò con marcia rapidissima in Roma. Osservativisi
questi appena , solleciti tra le arme , tra ’b sangue , tra
i cantici della vittoria , eccovi grande il concorso , e la
smania di visitarli , ed intenderne le cose .operate., Ed
essi, andatine al- Foro, ve le narrarono ài tribuni: ed
i tribuni, intimata un’adunanza; comandarono loro che
vi favellassero. Era già grandè la moltitudine ; quando
Siedo recatolesi iunanzi narrò la. vittoria \ e' le maniere
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LIBRO xr '289
del combatlimentp j >e come il campo nemico era preso
per ie ' forze sae>e degK ottocento suoi, spediti dal con-
sole a morire, e come infine le altre • milizie combattute^
dai -consoli ne ifurono ridotte a fiìggjre, Chiedea per«
tanto che non sapessero grado , se non a luì dèlia
vittoria dicendo in' ultimo : noi veniamo sMve le per-
sone e le arme , nè pattiamo coià ninna grande o
picciola delle involate ài 'nemico. Il' popolo -alf udirli',
impietosì, lagrìmò , vedendo la età , considerando la
fortezza de’ valentuomini , e crucciandosi , • e smabiandó
so chi voluto ne aveva privare la patria.' Sorkène, come
era l’intento di Siccio , l’odio di tutti contro de’ con*
soli. Il Senato srésso'non soffrì ciò di buon animo, nè
decretò per essi il trionfo' o altro pe’ fausti cornetti-
menti. H popolo poi veduto if tempo della scelta dei
magistrati , nominò 'Siedo tribuno ; conferendogli la di-
gnità della • qpale erà' 1’ arbitro. E tali furono le cose
più rilevanti operate in qòeiranno. '• 1
XLVllI. Spurio Tarpeo , ed A11I9 (i^ Térmipio pr^
sero il consolato per l’ anno seguente (0). Questi carez-
zarono di continuo il popolo con più medi , ccène col
previo decreto del Senato su’ magistrati (3); imperocché
“ * » *
(i) Si coniulti SigoDÌo su Livio. Di là si raccoglie cìie forse dea
Irggtt ti' jfterh. \ '
(a) Anna di 'Roma 3ao. secondo Catone.. ^o» secoado Varrone,
e av'. Cristo. , . '
(3) Cioi che si potessero multare i magistrati arrogami o clie
trascendevano i limili^dei loro poteri. Vedi.g 5o^i rjueito libro.
Nondimeno vi è chi crede che vi si parli del senatusconialto fallo
emanare dai consoli perchè li tribuni potessctp ìar approvare dal
DlOillGT, amo Iti. • ' » ' ' nsoli ultiini. Intanto prima che* d* di Sén
Venisse 'di' quella causa.^ facendo l’uno e^l’ altro d^li
accusati calde brighe e raccomandaziodi, essi, come già
consoli , assai speravano su del $éQato ; • e teneano per
leggero., il pericolo , promettendo i seniori di quel ceto
ed i giovani che ilon lascerebbero far- tal giudizio. Ma
ì tribuni prevependo tutto da lontabo, e non valutando
preghiere; non minacce, non pericoli ; a{q>ena giunsene
il tèmpo,' convocarono .il popolo. Eransi già riversati
da’ campi in città poveri e lavoranti in gran numero :
or .-questi aggiunti alla moltitudine interna 'empierono il
Foro, e le vie che vi conduconp.
popolo il progetto sa la formasione del.le leggi , eguali per tatti ;
'argomeaio allora di controTeraie , -come apparisce dalle, coa'e pre-
cedenti/'’ -•
(r) Forae Icilio tribuno dell’ anno precedente. . ' ‘
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• n.
.. LIBRO X.-
».r-XLIX., laQ^oUo.per il primo il gÌRdluo' tU' Romi«
lio , .Sieda fattoti (^vaati .accurà le> violenze di lui nel
•DO consolato contro de’ tribuni , e le insidie contro di
aè e della sua coorte nel suo capitanato. E endo egli voluto esimere' da quella spe-
dizione. Matxo .Jciiio , coetaneo ed qmico'SUOf figlio
di' uri tale dellfi coorte^, perchè qifesti non ujttme. ài
un tempo col ^adre -à morire ^ e che avendo ottenuto
da Aulo V srginio , zio suo , e luogotenente afiqrq
delle nfilizie di recarsi' ai consoli^ chiederne quésta
grazia ; i coruiyli ebbero cuore di .coatraddirh , ed
egli, fa ridotto al conforto nùsero delle lagrime ^ non
restar^do à (iti che dèplorare- la calamità, delf amico :
che t antico pel quale pregqvaf udito ciò, se_n venni,
9 chiesto di parlate protestò choj avea pur grandi gli
obblighi agi inteAiessori suoi, rna che. mai grad^ebbe
anche ottenutala una concessione che levavagli d' esser
pietoso inverso del sangue suo : nè nidi si Hmove/ubbe
dal padre quanto più si avyiava a. morte, certa come
tutti sapeane : anzi ne andrebbe con lui pey difen-
derlo fin dove potrebbe , e correrne, la sorte medesi-
ma, Or costui ridicendo tali cose , niun fu " che nou
commiscrasse la sorte di tali uomini : ma quando poi
chiamati , comparvero per attestarla , (cilio ' padre , e
figlio, e oarrarono cioochè era. di loro; non poterono
i più del popolo contenere le lagrime. 'Perorò, se ne
293> DELLE ANTICHITÀ^' ROMANE
difese Ròmilk>,'non ossequioso, non pi^érole-ai tem«
pi ; ma fastoso , e, grande ne’ concetti ' suoi , coÉàe non
si avesse a dar cónto del consolato. ■ Adunque l’ira ne
crebbe* de’ cittadini , e rendati arbhri di sentenziame ,
deliberarono ripercoterlo,' e condannarlo co’voti di' tutte
le tribù ; . talché la' condanna fosse una ' multa di assi
dieci mila. Siccio, 'sembrami, risolvè ciò non senza nna
.provi denza : ma perchè scadesse il favór de' patrizj su
costui, nè facessero broglio nel darsene ih voto, consi-
derando che la emenda era * in danari e non ‘altro ; e
perchè li plebei fossero più pronti a .pronunziarne la
pena, non dovendo spogliare l’àom consolare di patria,
nò di yita. Condannato Romilio fu dopo pochi giorni
condannato eziandio Yeturio.' Anche la multa sua- fa
pecuniarìa, ma suddupla di quella del consolato. Adunque non \ più governavano misteriosa-
mente, ma Con intento manifesto ai vantaggi del popolo.
E priipa stabilirono ne’comizj benturiati per legge: che
tutti- i magistrati potessero punire quelli i quedi ecce*
devono o disordinavano i loro poteri , perchè per ad-
dietro non altri che i consoli pòteano far questo. Per
(i) Qoi di'cinqoa mila aui. Ora ciò sembra ragionevòle; per-
chè esseodo Romilio oppositore più che Velario de’ tribooi , dovea
sentirne danno maggiore. Nondimeno Livio afTerma che Romilio fa
condannalo per dieci mila assi , e Velario per (piiadjci mila ; il che
ha -fallo, interpreiare la voce a/oUssi
qui dire minatamente , a voi , che vef. sapete , quanto
ho sofferto dal pòpolo non per mie private ingiusti-
zie i ma per la henevolenza mia verso di voi; tuttavia
ciò ricordo per neceisità, affinchè vediate che io parlo
per lo migliore ,, non per adulare il popoìp , che mi
è eontrarioi Nè alcuno si meravigli , -je- io che fui
d altro asviso più volte , e quando fui ^console e
prima, ora mutato mi sia sttbitamenté ;J nè vogliate
concepire che non bene consigliassi allora , , o non
bene mi ritratti ah presente. Io finché vidi , o padri , ,
superiore lo .stato de nobili, lo favorii, come doveasi,
non. curando quello dei popolo. Ma poiché fatto savio
da’ mali miei, vidi. a gran costo che il poter vostrq è
minore dei vostri voleri ; e che piegaridovi alta ne-,
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294 DELLE AWTKHITA^ ROMANE
cessild più volle avete lasdèUo manometter dal popolo
quelli che vi sostetievimA , rdiora più ,non tenni gh
antichi pensieri. E ben vorrei che rion fossero a me,
nè al collega mio succedute le cose per le tjtiali voi
tutti su noi'vi condolete. Ma poiché finite sono, tali
nostre vieef^e, e possiamo solo curar' t avvenire, prov-
vedendo 'che ailri non soffran Iq stesso , v'i esorto ad
uno. xid uno I é tutti insieme che órdinialé m bene,
almeno il presente: àmpcrocchò'JèUcissimamente go-
vernasi una repubBlica , la qual si èontempera alle
sue cose; quegli è il consiglierò migliòre che pòrge il
parer suo per cònio di utile pubblico^ -non di nirnid-
xte private o furóri; e benissimo lei. porgerà su'tempi
di poi chi pigha esempio delle cose JWhtre dalle pas-
sale. Noi., o padri, quante sfolte si ■ disputò , si 'don-
lése tra'l Senato e tra ’l popolò ; tante ne àvemmo
per alcun modo la- peggio con morti, «v» esilj , con
sfingi' (T Uomini insigni. Or quale sciagura maggiore
per una. repubblica che le si tolgano i cittadini mi-
gliori , ò senza Una cauia ? Pertanto io vi esorto che
questi ve ù risparmiate; nè gettiate i consoli presenti
a''màmfesti pericoli , abbandonaisdoli poi tra la tem-
pesta, al pentimento. Deh! che non gettiate ai ‘peri-
coli niim altro qualunque, e sia pur egli piccolissimo
per la repubblica. La principale fierò delle cose che
vi' raccomando , è che mandiate deputati ,'qiusli nelle
grecite città d" Italia , e quali in Alene ; perchè vi
cerchìn le leg'gi migliori , e più confacevoli a’ nostri
costumi, e Sce le fìpot'i.iio: che Ibrnnti questi, i con-
soli propongano al Senato , quali debbansi 'scegliere
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LIBBO X. 395
per legitlatori con Jfual potere , , per quanto tempo ,
e cosp altrettali come - egli le crederà spedienti : fi-
nalmente che lasciate le discordie col popolo , e di
cofinetlervi disgrafia a disgrazia , principalmente per
una legislazione , la quale ha seoo , se tiòn altro » uM
apparqto 'almeno di maestà. .
- LU. Seooodarooo i dpe consoli ài parer di Rqntiliò
con più ragioni premediut^ e , molti altri xonsiglieri lo
secoodaronof; tanto cbè la plorftità'vi ^ deprsj^. E già
già se- ne slendeva ài decreto, quando Slocio'.il^ trtbimot
quegli cbe zyevz accusalo iLomilio sorse, e fattone ekn
gio copioso , ne laudò la mutazione , e cbe non ayesse
anteposto Je nimicizie sue all’ util comune ,-,ma ^tto
ingennào^entè 9ÌÒ. eb’era il bene. Peritai meritp^ sog-
giunse , IO gir rendo qvesC ossequio , 0 ^ptesta ricono^
saenza : io U> assolvo dalla multa impostagli' nel giu-
dizià , e dà pra in poi, me ^ riconcilio : perocché ci
ha sopra^atlo ftel .bpne. Egli disse } e già altri tribuni
presenti acconsenlironò. I^on sostenne RomiUo- dà, pren-
derne quel conlnccambio ; ma lodati i .tribuni protestò
cbe pagherebbe la multa, essere questa sacra ai numi:
e non fare ■ cosa né giusta nè pia, chi spoglia h numi
di quanto si dee laro per legge : e. coti £e$;9. Steso il
decreto dal Senato , 'e confermato dal popolo , ' furono
eletti a prendere le leggi da* Greci Spurio Posiiunio ,
Setvio. Sulpicio , ed Aulo MalHò (i). Furono, questi a
' . , " ^ „
(I) In Lirio si legge PuM- Sulpicio .in laog'o di Servio Salpido
come scrivesi '.in Dionigi. Servio Sulpicio fu eOosdle l'anno 193, ma
Publio non si trova cbe 'mai lo fosso. Tanto Liiio quanto Dionigi
numeraao Aulo Manlio Ua i depùiati, cd. Aulo Maoliq seooado
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2g6 DELLE ANTICmtA’ 'ROMANE
pubbliche spese forn^ di triremi- e > di ogni arredo ;
quanto si convenisse ialia maestà ' dell' impéno ; e cosi
l’anno -spirò. '' ‘
' LUI. Nella olimpiade ottantesima seconda, quando
Lieo Tessalo' di Larissa vinse allo stadio , e Cherofiino
era l’arconte di Atene, compiutosi 1’ anno ,trecent«imo
dalla fondasionb di Roma, cretti consoli ' Publio Orazio,
e Sesto Qaintilip j[i) , proruppe nella ^città up morbo
coptagioso , il inaggioi% di quanti ue erano ricordatL
Vi 'perirono quasi tutti i sèrvi , e circa .Una metà di
cittadini. Non. piò i medici avean cuore d( curare gl’ in-
iermi , non i domestici , non gli amici di porgere loro
le cose necessarie ; perocché volendo 'assistere gU -altri
còl tatto e col commercio ne coutr^evan i malu Donde
è che piò famiglie si^ desolarono per, deficiènza di assi-
stenti. Non era la minima delle sciagure* quella so la
esportazion de- cadaveri, ^ certo era causa'.cliè il morbo
non venisse meno subitamente. Su le prime per la ve-
recondia , e la copia de’ funebri apparecchi bruciavano
o seppellivano i -morti : ma poi curando poco la vere-
condia , o non avendo ciocché bisognava , ne gettavano
molti nelle chiaviche , e più ancora nella corrente del
fiume. nd’ è che spinti ai scogli e alle arene delle
rive , songeane danno gravissimo ; perchè spiccavasene
Oiooipi fu contotq r aono s8o i laddove io Livio leguaai .ia quel-
l’anno per coufole G. Manlio. S; dunque ì deputali erano, còm'a
veri$imile, tuui uomini co^olari , il tèsto- di Dionigi in questi -lue-
gbi trovasi più eastigato che quello di LCvio. t
.-(t) Aono di Roma 3oi secondo Catone ,, 3o3. secondo Varrone,
e 45» av. Crisio. • ■ • ’
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f .. "‘uBao x; ' 297
un -odor fetidissimo, il quf^e col corso dé’ reali causava
subite mutezioni ai corpi anche saqi. Nè l’acqua portatq
dal dame era più buona da beveme si per 1’ odor tri»
sto, ri per le ree digestioni
a designarvi i consoli, e designatili ', propoiTebbero' io*
sieme con questi ai padri la scelta de’ legislatori. ^ Ao-
cordativisi i tribuni , essi intimarono -i- comizj prima
assai deir usato , e destinaieno consoli Appio Clandio ,
0 Tito 'Genuzio. Dopo questo .omettendo , quasi già
fòsser di altri, .tutte -li cure {fùbliliche, più non datano
ascolto ai tribuni ', e solo miravano a sottrarsi di- briga
nel resto delia loro raagistratnra. Occorse intanto cbo
Mencaio l’ iroò de’ consoli- s’ ìnfernuMe di juna' lunga
malattia , e vi fu chi disSe che il languore sopravvenu-
togli per -l’ affanno e per 1’ abbattimento, la rendeva in*
sanabile. E' Séstio sol titolo che egli non "potea’ solo per
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LIBBO X. . 1 , a()9
aè fiir aiedle,' respingeva 4e istanzt de’ tribuni,^ e voleva
che si vbigessero a miO^i niagislrati. E questi non avendo
altoo lYiodó, furono astretti in privato, e nelle adunanze
pufablicbe dirigersi ad Appio , e suo collega , quantun>
qùe non avessero ancora preso il coniando. Or gli ri-
dussero alQue questi uomini, empiendoli' di grande spe>
ranza di onori e, di potere , se prendessero a*” cuore gli
interessi del'popdfo. Imperocché -Appio iu invaso dal-
1’ ambizione di avere una qualche nuova magistratura ,
di fondare leggi di cònCordia e di pace", e di far che
tulli estimassero 'che la patria sola- comandava^«u‘ citu*
dini. Ornato però di una' grande magistratura non vi à
contenne; ma inebbriàtone da’ poteri sublimi ,^^tr^orse
ai furori di perpetuarsela , e per poco non giuose alla
tirannide ; cqme spbirò ne’ suoi tempi. -
LV.‘ Allora dunque cosi pensaodota con cuore -buono,
'6no a {lersuademe il.* collega egl’ invitato più' volte dai
tribupi alle adunanae , vi 'si (^dusSe , e 'tenpevi molti
ed umani ragionamenti. I quali rigiravansi . ip t^eslo
che piaceva a hd come al collega suo', prÌTtcipalmeiUe
che si destinassér le leggi, e si chetassero . le ■ discara
die civili su diritti ; e diceano ciò ' palesissimàmeute ;
come pure che ''essi ', perchè non entrati al comando ,
non aveano 'facoltà di nominare i cosUtutori' delle
leggp ‘ che noH si opporrebbero per ' mòdo 'alcuno a
Menenio’ console e suo ^collega se dava esecuzione al
decreto del- Senato, anzi’ che do - coadj'uverebbero e
ringràzierebbyo ; che' se Menenio e il compiano re-
ylica e protesta- ( Soggiungevano) , che trovandoci noi
designati per consoli f Tton ^uo ' nominare altre' magi-
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iSoO DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
slrature lé quali prendano podestà pari' alla consola-
re ; noi dal canto, nostro non saremo V ostacolo della
operazione : perchè sporttanoi cederemo la nostra so-
prastanza, se cosi • piace in Senato, ai nuovi che sce-
glieransi in . ^ogo de' consoli. Elocomiava it popolo' la
buona volonlà di tali .uomini ; e spiolMÌ, tutti ia /olla
nella curht , Sesto ( non poiendoviai tcovare Menenjo
per la iufern^ità ) costretto a convocare egli solo il Se-
nato, propose la deliberazione su le. leggi. Ben si disputò
qninci e quindi copiosaiaeute da. chi lodava l’essere
coiuanihto dalle leggi , e da chi chiedeva che si rite-
nessero le* costumanze paterne: ma prevale il , parere
de’ consoli designati propostovi da Appio Claudio , in-
terrogatone per il pritpo : vuol dire cAe si icegliessero
dieci i più cospicui tra padri : che forrtandastero su
tutta la repubblica per un anno dal giorno deità ele-
zione'col potere' che 'ci aveatip i consoli', e primari
re : e che-.fiotànto che governavanp i decemviri .ces-
sasse ogni altra .màgislralura: che qqesti proponessero
le leggi più utili alla ivpubblica , scegliendone le mi-
gliori da quelle riportate pe' deputali dalla Grecia , e
dalle usante. della patria; che le leggi scritte da de-
cemviri, approvale • che fissero dal Senato e ratificate
dal popolo ,, valessero per tutto f avvenire; e che i
magistrati che si creerebbero a norma di queste leg-
gi , discutesteror a rtórma appunto di esso i, conti atti
d'e' privali, e pròvyedessero al pubblico.
- .,LYL. Preso questo decreto ne anderonò i tribuni
al/ adunanza, e letto velo; assai vi encomiarono i padri,
ed Appio che lo aveva proposto. Giunto poscia il tempo
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■ , ' LIBRÒ x:^ . ‘ 3oi
de’ comizj , i iribun! convocatovi il popolo , fecero ve«
Dirvi i censoU/ designiti perchè g[li osservà^ro le pro-
messe: e questi presentatisi ; deposero il consolato. Non
finiva il popolo di encomiarli e lodarli: fattosi quindi
a dare il voto pe’ legislatori scelse a tal grado -ipiestl
due per i 'primi. Imperocché, ne’ comizj per centurie
furono eletti legislatori Appio (gaudio, e>Tito Genuzio^
li due' che doveano èsser consoli l’anno seguente :* Pu«
blio 'Sestiò., «insqle ^ dell’ anno corrente, li tre Publio
Postnmió , Cervio Sulpicio , ed -Aulo Mallio -, . r qusfli
aveano riportate le leggi da’ Greci; Romilio il console
dell’ anno antecedente (i) il quale condannato peo le
accuse^ di' Sfócio dal popolo , fu poi sentito il primo a
dir senlèDEe fautrici ^
cemVirato • f
LVtll- Dettesi quinci 0 quindi più cose»' vinse' final-
tnente.il partito di chi consigliava che sì tenesse ancorsi
il ■ decemvirato su -là repubblica; peroccbè' compilata in
picciolo ,t$mpo la legislazione non pareva La .tutto ulti-
osata., e -pareva ancora ;che bisognasse un magistrato
assoluto per .obbligare , volessero 0 no , tutti , a quanta
ne èpa già -stata decretata. Ma ciò-,cbe gl’. indusse più
che tutto, a preeleggere i dieci. fu, rinlenlo di spegnere-
il tribunato , ciocché bramavano sommanaenie. ''Tali fa-
tono i risaltati delle - pùbbliche « cousuUaziom : ma. in
privato i primi del Senato disegnavano procurare per
sè quel magistrato Sui timore che intrqduceodovisi uo-
mini turbolenti nen cagionassero grandi sciagure. Il po*
polo ricevè con diletto , e ratificò Con pieno trasporto ,
dandone -il voto , le sentenze -dej Senato. . I dieci pre-
fissero il tempo de’.comiàj-, e li più provetti e più ri-
spettabili de’ patrizi ambirono quel' magistrato, b* fptì
molto ebeomiato da tutti JVppio , il pruno ^allora del
decemvirato , * ed il popoip vo)ea .couifermarvelo ,- -come
se niou altro meglip di lui -lo remerebbe. Egli- fingea
su le prime di escusarsene e 'cbiodeva ebe Ip esimes-
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3o4 DELLE ANtlCHITA’ ROÌIArfE
sero da nn incarico , pieno di travagli e d* invidia : ma
poi Btimolandovelo tutti; fecesi a chiederlo nottamenle ;
anzi dolendosi dei migliori ' de’ competitori , come di
animo non buono verso lui per 4a ' invidia ; favori gli
amici suoi palesissimamente. Egli dunque nc’comizj per
centurie fu crealo per la seconda volta datore di leggi:
e eoa esso'lai furono creati' Quinto Fabio detto Vibo^
lado , già 'per 'tre volte console; ed- irreprensibile 6no
a quel tempo in ogni bel costume : e ira gli altri pa-^
trii) diletti ^uoi; Mai‘co' Cornelio, Marco Sergio, Lucio
MinuCio , Tito Antonio , e Manio Rabulejo , .uomiut
non molto chiari : de’ plebei poi Quinto Poetelio , Ce-
sbne Duellio , e Spurio Oppio. Aveaci Appio assunti
por questi per adulare il popolo coi dire che', 1’ equità
voleva , • «he , stabilendosi una magistratura uòica su
tutte le -còse ; aves^ro parie in essa anche i plebei.
Applaudito in unte' queste cose , . e ‘parendone il mi-
gliore dei re , e de’ soprastand annuali ; prese la magi.i
stratura per l’ anno che seguiva. Or questo e non altro
' è quanto si operò degno di ricordauza nel primo de-
cemvirato presso de’ Romani. ' ^
LtX. Presero nell' anno ^guente -la podestà suprema
i dieci con Appio alle* idi di maggio. Allora i mesi
legolavausi colla Iona , e cadeva in quelle' idi appunto
il plenilooio. Or prima legandosi tra sagrifizl , arcani
alla plebe , convennero di non contrariarsi mai fra
loro, 'di ratificare tutti quanto ciascuno giùdicherebbe:
di ritenersi la magistratura ih vìta\ nè Jasciare che
altri vi sottentrasse : di aventi' tutti onore e potere
eguali : di ricorrere di rarii , e per necessità sola , ai
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LIBRO X. . 3o5
i>oti del Senato e del popòlo , e di ultimare per lo
più le cose colC autorità propria. Poi jrenuto il gio;^o
da pigliare il comando , ( è questo giorno sacro ai Ro-
mani , e guardansi tutti di ascoltare o vedere cose non
liete ) ^ fatto prima sagrifìzio agl’ Iddìi secondo il rito,
uscirono ben tosto i. dieci su la mattina con tutti i di-
stintivi di nn regio potere (i). Come il popolo vide,
che non osservavano più |e mauiere popolari e, modeste
di preminenza , e che non avvicendavan fra loro come
prima i segni del comando supremo; assai ne decadde
nell’ aspetto e nell’animo. Temè le scuri messe tra’ fasci
portati da dodici licori dinanzi a ciascuno, i quali fa-
cean largo , dando de’ colpi come prima ai tempo dei
re. Era stator questo costume abolito ben tosto. dopo la
espulsione dei ré da Publio Valerio , uomo popolare ,
quando ne succedette al comando. E paréndo essere
stato autóre di ottima cosa; tutti i consoli posteriore fe>
cero come lui, nè più misero tra’ fasci le scuri, se non
quando marciavano, all’ armata, o per altro intento usci-
vano da Roma’. Or quando portavano guerra agii esteri,
quando visitavano i sudditi, assuiueans le scuri ; .perchè
r aspetto terribile di esse- , . come dirette contro de’ ne-
mici e de’ servi , si rendeva mec grave pe’ cittadini.
LX. Veduto ciò, che riputavasi il segnate di nn re-
gno , si temè , come ho detto , moltissimo , credendosi
pòduta la libertà , e creati dieci per un solo monarca.
Con. tal modo sbalordirono i dieci la moltitudine : e
(f) Anòo di Roma 394 secondo Catone, 3g6 secondo Varrous,
e 448 ar. CrJslo. ' '1
PlOStGt , Itipu) in. ■ ' - . * IO
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3o6 DELLE Antichità’ domane
fermi , cbe avrebbero a dominare per 1’ avvenire col
terrore ; ciascuno fecesi Un seguilo dì ^oyanl i più le-
Dterarj , e opporiuui per esso. Ben era da aspettare , o
sperare cbe i più de’ poveri e sciaurati si dimostrassero
fautori della tirannide ; anteponendo l’ utile proprio al
pubblico ; ma non era da aspettare , nè da sperare , e
certo egli fu meravigliosissimo^ che molli patrizj potendo
grandeggiare per 'sestauze e per , sangue soffrissero di
opprimere co’ decemviri la liberi^- della patria. ' Costoro
datisi a tutti i piaceri , quanti sottopongono 1’ uomo ,
comandavano superbissitnamente : e legislatori insieme e
giudici , tcncano per niente il Senato ed il popolo, ed
uccidevano e spogliavano , conculcando ogni diritto. E
perchè azioni illegittime e biasimevoli sembrassero noux
indegne, anzi operale per giiislizia; nomsi accingevano
a farle se non previo esame, ed'uu giudizio. Erano
gli accusatori inandaii da* fondatori stessi delta tirannide,
creali i giudici dal ceto de’ loro amici; laDlochè solcano
questi in coniraccaràbio sentenziarne per compiacerli.
Molte cause però', nè di poco rilievo, le defìnivano i
dieci per sesiessi. Cosi quelli che erano per essere de-
fraudali del loro diritto , non trovando altro scampo ,
conducevansi necessariamente a renderseli amici. Ood’ è
che col volgere del tempo videsi la parte corrotta ed
inferma maggiore della innocente. Imperocché coloro
che v' erano concul^cati da’ decemviri sdegnavano di ri-
manervi , e si ritiravano «nelle campagne , Bspettandovi
il tempo de comizj , ^quasi coloro finito 1’ apno fossèro
per deporre il comando , ed eleggete nuovi ^nagislrali.
Appio intanto £ i colleghi ^crisscA) le. leggi che rima-
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LIBRO X.
nevano in altre due tavole, e le aulroao alle prime. In
queste eravt traile altre lajegge, che non concodeàsi
a^atrizj il matrimonio co’ plebei: e ciò non per altro,
io
t
j * ■ ,
!• OLGENDO la olimpiade ottantesipia ' terza nella
quale Grisoue Imero vinse allo stadio mentre Filisco
era 1 arconte di Atene , i Romani annientarono il de-
cemvirato il quale governava già da tre anni la repub-
blica. Ora, io tenterò descrivere dalle origini per qual
modo , quali nomini , con i|uali cause e pretesti , se-
guendo la libertà , si lanciassero a schiantare una si-
gnoria che ovea già profonde le radici ; perciocché ne
reputo la cognizione bella e necessaria principalmente
al Glosofo die contempla , ed all’ uomo dr stato che
amministra , per non dire a tutti. E certo .molti non si
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LIBRO XI, 3o9
contentano ^ conoscere dalia storia , solamente come
gli Ateniesi ed i Lacedemoni vinsero , per esempio', la
^ guerra col Persiano , aiTrontandosi in due battaglie na-
vali ed nna campale contro - un barbaro che area tre
milioni di nomini , essi che 'aveano appena cento dieci
mila nomini insieme cogli alleali; ma vogliono' por co»,
noscere dalla storia i luoghi ove occorsero , .ed kiten»
dere le cagioni per lè quali si compiecono le meravi-
gliose ed incredibili gesta , come apprendere quali fos-
sero i duci delle armate greche e persiane , nè essere ,
per cosi dire , defraudati , di cosa niuna fatta ne’ com-
battimenti. Imperocché dilettasi la mente dell’ nomo por*,
tata quasi per mano dai racconti alle opere , e come a
vederle dopo ascoltatele; E quando gli uomini odono
le civili vicende , non appagansi di udire la somma ed
il termine degli ’ affari , per esempio., come gli. Ateniesi
permettessero el^e gli Spartani demolissero le mura ,
conquassassero le navi di Atene , ponessero guarnigionè
nella Iqr cittadella è vi trasmutassero il governo del po-
polo in quello de’pochi^ senza nemmeno combattere (.i);
ma. bentosto dimandano quali erano le angustie di 'quella
città , onde incorse in tali orrori è miserie , quali e di
chi li discorsi che ve 1’ acchetarono , e quanto seguila
tali cose. Dilettarsi poi della contemplazione totale di
quanto ■concerne gli affari è cQmifuq a tutti ,. come agli
uomini, pubblici , tra’ quali colloco àncora i fUosofì ,
quelli almeno che pongono la filosofìa non già nelle
(i) Occorsero tali fatti oelf''aoao Hltimo detta goeri'a del Pelo-
poaneso ; conws pu& vedersi io Senofoute nel libro secoado lAasx-
nel lib. -i3 di Di odoro , t nel LitandrQ di Plutarco.,
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3 IO DELLE antichità’ ROMANE
I
parole , ma nelf esercizio delle opere belle. Cd oltre
questo diletto, ne segue, >
no , e riducendd' quanti ner credevano IntorTerablle il
giogo ; a lasciare colle -mogli e co’ figli lo^ patria , ed
alloggiarsi nelle città vicine, ricevutivi da’Lallni in forza
de*'- parentadi , e dagli Eroici per essere stati di fresco
creati- cittadini da' Romani. DI guisa
teaoo traversarne 'le opere ; nè vi rimasero nemmeno
gli asciiitl al Sentito I qu^li doveano per necessità star
pronti pe’ decemviri ; ma l più trasferendosi con quanto
aveano in famiglia; dimoravano, abbandonate lo case ,
per le carrqiagne. Non dispiaceano gli allontanamenti
de’ grandi personaggi agli amatori del decemvirato per
più cause, e principalmente, perchè I più 'giovani di
questi erano divenuti don che scellerati, molto insoleati,
né poteauo tollerare. 1’ aspetto di qtielll , innanzi dei
quali doveano arrossirsi della loro impudenza.
III. Derelitta cosi la città dal fior degli uomiai (^) ,
e cadùlavi ogni libertà ; gli Equi già vinti da' Romani ,
cogliendo la Occasion propizia di combatterli , di con»
(i) Anuo di Roma 3o5 Mcondo Caioua, ìof ascondo Vartoae ,
c av. Cristo.
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3i2 delle antichità’ romane
traecambiarlt delle iogiorie sostennlene , e riveodicarsi
quanto perduto ci aveano , apparecchiaronsi all’ armi , e
marciarono con grandi eserciti contro di lei', malconcia
pel comando de’ pochi nè idonea a tener fronte , nè a
concordarsi , nè a' cura fecesi innanzi e
disse che portavasi a -Roma, la guerra, da due parti,
quinci dagli Equ^ , e quindi da’ Sabini ; tenendovi un
discorso ariifiziosissimo* , indirilto a far votare la leva
delle milizie e condurle imipzntioeDtc in campagna ,
3i4 DELLE Antichità’ romane
non peùnetteodo T «Ifare che » indagiasse. Or lui cosi
dicendo insorse Lucio Valerio, soprannominato Polito ,
uomo che grande tenessi |>e' grandi genitori: certamente
era stalo padre di lui più, importano,
conte sarebbe il buon ordine della moltitudine, e che
la cosa stessa apparisca utile a tutti , rimovendo
dalla città la ingiustizia e la soverchieria che vi do-
mina, e rendendo l’ antica forma al governo; in tal
caso sbattuti quelli che ora inorgogliano , e gettate
le armi, verranno a noi tra non molto per saldarne
le ingiurie, e trattare la pace : e noi, ciocché i savj
tutti desiderano , potrein finir senza le armi , la
guerra con essi. Or ciò considerando, poiché sì grave
tra le mura è la turbolenza ; io giudico che debbasi
per ora sospendere ogìti cura di guerra, e concedere
a chi vuole di proporre mezzi di concordia , e buon
ordine interno. Noi chiamati da queste magistrato
non abbiamo potuto già prima di essere addotti a
questa guerra , consultare su lo stato^ de’ nostri pub-
blici affari, e conoscere se scóncio alcuno ci avesse.
Ed ora assai riprensibile sarebbe chi, lasciata la
occasione , •cercasse di altro discorrere : e niuno dir
può con sicurezza che trascurato questo tempo, come
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3ao DELLE Antichità’ romane
men congruo, un altro ne avremo pià acconcio. Anzi
se alcuno vuol concludere V avvenire dal passato ;
trascorrerà gran tempo senza che possiamo qui riu-
nirci per deliberare.
IX.' Io prego te , Appio , e voi tutti presidenti di
Honta , voi che dovete provvedere non al bene vostro
privato , ma a quello Ai tutti , a non corucciarvi , se
io parlo secondo la verità , non secondo il genio vo-
stro. Voi dovete por mente , che io parlo , non per
malignare, o vilipendere il vostro magistrtUo; ma per
additare , se pur vi è , una via di salvare , e diri-
gere la repubblica , dopo mostratine i /lutti da’ quali
è sbattuta. Quanti han cara la patria, debbono forse
qui tutti discorrere dell’ util comune , ma io princi-
palmente. Imperocché io debbo per la onorificenza
fattami dar principia ad opinare : e saria vergogna
e stoltezza grande, se io che sorgo il primo non di-
cessi le cose che prime son da correggere : Appresso
trovandomi io zio paterno di Appio il capo decem-
viro, accade che più di tutti mi consolo, o rattristomi
secondo che bene o non bene governano la repub-
blica. Aggiungi che ho io ricevuto da’ maggiori miei
la civil consuetudine di curare anzi l' utile -pubblico
che il mio , senza guartlare a privati pericoli ; nè io ,
la tradirò io questa civil consuetudine , nè profanerò
le gesta di que' valentuomini. Orjt , che il governo
presente male a .noi si conviene anzi che incomoda ,
direi quasi tutti ; siane questo l’ argomento gravissi-
mo , che quanti trattavano le cose civili ( nè già po-
tete voi soli ignorarlo ) ràiransi ogni giorno da Ho -
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LIBRO XI. 3ai
ma, lasciando le paterne case deserte. Qual de' plebei
più rìguardevoli trasferisce la propria sede colle mo-
gli e co' figli nelle città più vicine , e quale nelle
campagne più lontane da Roma : E molti de' patrizj
nemmen essi in città se ne vivono, ma li più si di-
morano per le campagne. Ma che giova parlare degli
altri j quando appena in città se ne stanno alcuni
pochi senatori uniti a voi per amicizia o per sangue,
e cercan gli altri la solitudine più che la patria? E
quando voi v'aveste il bisogno di adunche il Senato,
tornarono invitati ad uno ad uno dalle campagne
que' dessi che solcano insieme co' magistrati guardare
la patria, nè mancare mai da affare niuno della re-
pubblica. Or tdie pensate voi che gli uomini ahban-
donande la patria fugano i beni o li mali ? certo
che i mali. E t essere abbandonata da plebei , de-
relitta da' pevrizii senza incontri di guerra , di pesti-
lenze , e di altri disastri mandati dal deh , , ella è
sciagitra questa non seconda a niuna per una città,
massimamente per Roma , la quale abbisogna di
molle milizie , tutte sue ; se vuoi dominare stabil-
mente su' vicini.
X. Folete udir voi le cagioni che riducono i po-
poli ad abbandonare i templi e le tombe degli avi ,
e lasciar diserti i poderi e le case paterne' ^ e cre-
dere ogni altra terra più necessaria della patria ?
Certamente tali cose non avvengono^ senza cagioni,
ed io sporrovele queste , non occulterowele. Molte
Appio sono le accuse e di molti sul vostro magi-
DSOHKlJ , tomo III. il
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32 2 DELLE AHTICHITA’ HOMANE
strato : vere o false che siano , noi cerco per ora :
certo che vi si fatino. Ninno , se non del vostro se-
guito j trova il ben suo nell' orditi presente. I ^andi,
figli pur essi di grandi , à quali spettavano i sacer-
dozj , le magistrature , e gli altri onori goduti dai
loro padri , fremono di essere da voi respinti e tolti
dalle dignità degli antenati. Quei del celo di mezzo
che cercati la calma del vivere , v imputano lo spo-
glio ingiusto de beni loro , lamentano il disonore che
fate alle lor mogli, la effrenatezza verso le loro
figliuole nubili, ed altri oltraggi molti e gravi: e la
parte più. bassa del popolo , non più arbitra per voi
de' voti e delle elezioni, non più chiamata alle a4u-
nanze , nè, partecipe di alcuna civile uguaglianza , ve
ne maledice appunto per questo , e tirannico chiama
il vostro governo.
XI. Ora come voi correggerete questi abusi, come
la lingua , incolpati che ne siete , accheterete del po-
polo ? questo è ciò , che rimanemi a dire. Facciane
il Senato previamente il decreto : fate che il popolo
deliberi, se torni a lui meglio ripristinare i consoli,
i tribuni e gli altri magistrali della patria , o conti-
nuare r ordin presente : se tutti i Romani avran caro
il comando de' pochi , e dinoteran co’ lor voti , che
ve lo abbiate voi questo comando ; voi terrete un
magistrato legittimo , non violento. Ma se vorranno
di nuovo i consoli, di nuovo gli altri mostrati ; voi
sarete decaduti per legge , nò più crediate dominare,
se ìton da tiranni su gli eguali , non prendendo gli
ottimati il comando , se non da' cittadini spontanei.
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LIBRO XI. 3a3
E nel far questo , o u4ppio , tu dei dar principio , c
tu disciogliere un comando da te stahilUo , utile un
tempo , ed ora noceyole. E m’ odi ciocché ne guada-
gni, se mi ti arrendi, se ne deponi codesto malve-
liuto comando. Se li tuoi colleghi a ciò s’ indurranno';
ciascwi dirà che buoni fatti su /’ esempio tuo vi si
indussero t laddove se questi si ostinano a tenere un
dominio illegittimo ; sarai tu benedetto che volesti ,
altnen solo , compiere il giusto ; mentre i contumaci
saran con infamia e danno gravissimo degracUtti. Che
se mai ( lo che potria ben essere ) fermato v' aveste
infra voi secreti trattali e parole , pigliandovi i Dei
per mallevadori , fa pur conto che siasi empietadv
osservarli , e vera pietà vilipenderli , come contrarf
ai cittadini , e alla patria. Imperocché sogliono i numi
esser presi mallevadori su gli accordi buoni e giusti;
non su gV ingiusti e vergognosi.
XII. Che se tu esiti lasciare il comando per timor
de' nemici , sicché non ten venga pericolo , nè sii
stretto a dar conto delle opete tue ; certo non è ra-
gionevole questo timore. Non è sì picciolo , non sì
sconoscente il Romano da ricordare i tuoi sbagli , c
scortlarc i tuoi benefizj : ma contrapponendo i beni
presenti ai mali passati giudicherà degni questi di
perdono , c quelli di lode. Potrai tu rappresentare
al popolo' le tante belle tue gesta innanzi del Decem-
virato , ed in .vista di queste ottenerne ajuto e sal-
vezza , e difenderti in più modi dalle accuse , come
ad esempio , che non eri tu che abusavi , ma un altro
senza tua saputa; che non bastavi a reprimerlo come
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3a4 , DELLE antichità’ romane
tuo pari: o che eri necessitato a soffrire per areme
altra cosa più utile. Ma troppo lungo sarebbe il di-
scorso , se numerare volessi tutti i modi delle difese.
Coloro che non han discolpa niuna giusta , nè plau-
sibile , pur confessando il delitto , e raccomandan-
dosi, ammolliscono il cuor degli offesi , con allegare
il poco giudizio degli anni , la pravità de' tompagnì ,
la vastità del comando, o la sorte che travia ne cal-
coli loro tutti i mortali. Or tu se deponi il comando,
tu n avrai , lo prometto , amnistia generale de’ man-
camenti , e riconciliazione col popolo , decorosa in
mezzo de' mali.
XIII. Ma io temo , che il pericolo siati pretesto
non vero a non lasciare il comando ] essendo a mille
riuscito di rinunciar la tirannide , nè scontrarne al-
cun danno da cittadini. Le cagioni non dubbie sono
un ambizione vana che cerca le apparenze di una
gloria vera , una propensione pe' rei piaceri , quali il
vivere concedegli de’ tiranni. Ma se pià che andar
dietro alte immagini , e alle ombre degli onori , e
de’ piaceri , ne vuoi tu ciò che è solido; rendi alla pa-
tria la tua preminenza , ricevi le dignità dagli eguali
tuoi , acquistati la emulazione de’ posteri , e lascia
loro in luogo del mortala tuo corpo , sempiterna la
fama. Questi sono gli onori fondati e veri , questi
gt indelebili e cari nè rincrescevoli mai. Pasci V animo
ti.'o de’ beni della patria: già non parrai di aver-
glìt.^e dato la menorna parte, liberandola da signo-
ria ce'ti dura. Prendi esempio dagli antenati , consi-
dera chs^ niun d’ essi mise affetto ad un potere di-
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LiBBO XI. 3a5
spotico ^ nè fu lo schiavo vilissimo de piaceri del
corpo ; eppur furono onorati in vita , e morti sono
celebrati da posteri ; giacché tutti fan loro testùno-
niama , che furon custodi fidissimi delC aristocrazia ^
che Roma fondò , dopo espulsi i monarchi. Non di-
menticare i detti ^ non i fatti tuoi gloriosi; perciocché
belle pur furono le prime tue mosse nella repubblicUf
e pur grandi per la speranza ^ che davano della tua
virtù. Deh ! che siano consentanee ancor le altre tue
opere. Deh ! ritorna a quella indole tua Jlppio fi-
gliuolo : sii nel genio del governo un ottimate , non
un tiranno. Fuggi quelli , che adulando , ti parlano ,
quelli pe' quali , se’ lungi dalle utili istituzioni , er-
rante dal diritto sentiero, già’ wotr È rzRtstitiLE ,
CHS AtTSt SIA DI SSL HVOrO SXWDUTO BDOIfO , DA
CHI già’ FSSSIXO lo RStfDk.
Xiy. Quante volte dir ti volli tali cose da solo a
solo j per instruirviti dove le ignoravi , o per ammo-
nirtene, dove vi mancavi! Nè già venni, per ciò sola
una volta in tua casa, ma i servi tuoi ,me ne riman-
darono , e con dire , che non avevi tu ozio da inti'at-
tenerd con un tuo congiunto ; ma clu: avevi a fare
cose più necessarie ; seppur v è cosa più necessaria
della pietà verso i suoi. Forse, i tuoi servi , ciò co-
noscendo y mi vietarono di per sé stessi t entrata , e
non per tuo comando. E ben io vorrei, che così fosse.
Certamente questo mi ridusse a parlarti di ciò. che
io volea nel Senato , non avendolo mai potuto da
solo a solo. Ma .le buone , e le utili cose dovunque,
0 rippùj y son da dire tra gli uomini, piuttosto che
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'JaG DELLE Antichità’ romane
sempre tacerle. E che io a le rendessi gli ojfizj do-
vuti alla nostra prosapia ; ne attesto gl' Iddj de' quali
noi dell’ Appio sangue veneriamo i templi e gli altari
con sagrifiej comuni: ne attesto i genj degli antenati,
a’ quali porgiamo del paro gli onori secondi , e li
ringraziamenti , dopo de’ numi : e soprattiMo attesto
questa terra, la qual tiene nelle sue viscere il padre,
ed il fratello mio , che io dedicava a te la vita e la
voce per sit^erire il tuo meglio. Pertanto desideroso
di rettificare , per quanto io posso , gli sbagli tuoi ti
prego a non rimediare male con male } à non per-
dere le cose tue mentre aspiri ad altre pià gratuli ;
e finalmente a non dominare agli eguali e a maggiori ,
ed essere dominato da' pià vili, c più tristi. Se noti
che, volendoti io ra^nar di più cose e più a lungo,
non so ridurmici : perocché se Dio ti rivuole a buon
senno; sóprawanzano le cose anzidetle: ma seti ab-
handona al tuo peggio , sarebbero indarno , quante
io ne aggiungessi. Eccovi , o padri coscritti , e capi
tutti di Poma , il mio sentimento per dar fine alla
guerra , ed ordine alla repubblica perturbata.' Se
altri tien cose migliori a ridirne ; vincano pure te
ottime.
XV. Cosi disse Claudio ; assai speranzandosene i pa-
«Iri , che i Dieci deporrebbero il loro magistrato. Non
replicava Appio nulla in contrario ; quando fattosi in-
nanzi Marco Cornelio altro Decemviro disse : Non ab-
bisognano, o Claudio, i tuoi consìgli: su Futile no-
stro provvederemo noi da noi stessi; perocché tale
appunto ò' la nostra olà, da non disconoscere ciò
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LIBRO XI. 327
che ne giova , nè scarsi siamo di (uaici , età consul-
tar nel bisogno. Pertanto dispensati da opera intem-
pestiva ; non dare o gran veccJào consigli , ove non
se ne richiedono. Che se vuoi di cosa alcuna ammo-
nire t o pià propriamente , inveire su di Appio ; in-
veisci a tua voglia y ma quando se’ fuor di Senato.
Quivi entro però di ciò , che ten pare su la guerra
t co’ Sabini , e con gli Equi , circa la quale se’ chiesto
del parer tuo ; e cessa da vaniloqui fuori di argo-
mento. Sorse a lai voci Claudio nuovamente tutto me-
sto, e pieno gli occhi di lagrime, e disse: Appio o
padri , Appio , presenti voi , non reputa me , lo suo
zio , degno nemmeno di risposta. Egli precludemi ,
quanto è da esso , il Senato , come già la sua casa.
Anzi levami , a dirlo più veramente , dalla città ;
perocché non io potrei rimirarvi di buon occhio un
indegno degli antentUi , un emulatore de' tiranni. Io
dunque raccolti i miei , e le mie cose , vammene tra
i Sabini , per abitarvi la città di Jiegillo , dond’ è la
oiigine mia , e tenermivi finché questi trionfano nel
sì bel magistrato , ma quando ( nè dee molto tarda-
re ) fta di questo decemvirato , ciocché ne antivedo ;
allora tra voi mi renderò. Ma ciò basà su me. Quanto
alla guerra , e sue cose , consigliavi o padri , che
non diate sentenza niuna , finché i nuovi magistrati
non si abbiano. Cosi dicendo , e svegliando grandi ap>
plausi nel Senato pel maschio e libero suo spirito; se-
dette. E qi)i rizzandosi in piede Lucio Quinzio Cin-
cinnato , Tito Quinzio Capitolino , Lucio Lucrezio ,
e lutti i primari 1 senatori , seguirono il parere di
Claudio.
l
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3a8 DELLE antichità’ romane
XVI. Comarbatine i coilegbi di Appio; risolverono
di non più chiamare , a dir la sua mente , niodo io
vista degli anni, e dell’autorità sua nel consigliare; ma
solo in vista delia intrinsichezza , e dell’ aderenza con
esso loro. E qui procedendo in mezzo, Marco Cornelio
fe’ sorgere Lucio, Cornelio il fratello suo, uomo operoso
nè infacondo nella ragione politica , e già compagno di
consolato a Quinto Fabio Vibulano , mentre Fabio era. •
console per -la terza volta. Ora costui sorto disse: Egli r
è mirabile , o padri , che uomini di tatua età quanta
ne kan quelli li quali hanno prima opinato , e li
quali cercano primeggiar nel SeiuUo , portino per
gare politiche, un odio implacabile ai capi dello sta-
to , quando dovrebbero , quanto è d'uopo difenderli ,
animare i giovani a combattere intrepidi per la buona
causa, e tener per amici, non, per nimici i sosteni-
tori del pubblico bene. Ma mollo pià mirabile egli
è, che trasferiscano là malvolenza privata alle atse
della repubblica , e vogliano anzi perir co’ nemici ,
che con tutti gli amici salvarsi. Eccesso di furore ,
e direi accecamento divino egli è questo; eppure cosi
li capi si comportano del nostro Senato. Sdegnati
questi che nel concoirere al decemvirato, che ora ac-
cusano , furon vinti da altri che apparvcr pià idonei ,
fan loro eterna, irreconciliabile guerra: e sì stolida,
e sì furiosa ; da ìovesciare da capo a fondo la pà-
tria, per calunniare presso voi li Decemviri. Vedon
essi la nostra regione in preda a nemici : vedono
che ornai giungono a Roma , giacché breve è lo spa-
zio che ne li separa ; ed in luogo di esortare , e di
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LIBRO XI. 339
incitare i giovani a combattere per la patria , e di
soccorrerla essi stessi con tutta la diligenza, e l’ or-
dorè , quanto la età loro ne ammette ; vogliono che
ora voi provvediate ad ordinare il governo , a creare
nuovi magistrati , e far tutto piuttosto-, che conqui-
dere gC inimici : nè san vedere che danno sentenze ,
anzi che tengono desiderj impossibili.
XVII. E certo , fate cosi ragione : il Senato emani
il decreto de' comizj : i Decemviri lo riferiscano al
popolo , destinando il giorno del terzo mercato dal
giorno presente ) perocché -, e come staà mai valido
ciocché si vota dal popolo j se non compiasi a norma
delle leggi ? Poi quando abbiano le tribà dato il
voto , prendano i nuovi magistrati la repubblica , e
propongano a voi la guerra perchè ne discutiate. Se
in tempo sì grande , quanto ve n ha da ora ai co-
mizj, si avanzino intanto i nemici, e vengano fino
alle mura; noi che faremo, o Claudio? Diremo loro:
« atpettate per Dio , finché ci avrem fatti nuovi magi*
a straM ? Certo Claudio suggerìvaci a non decretare ,
a nè riferire mai cosa al popolo , nè scriver le leve ,
a se prima non siasi deciso come vogliamo su' magi-
a strati. Itene dunque, e quando udirete creati ì con-
a soli , creati i magistrati , e tutto pronto per le armi
a tornate allora per trattare con noi della pace ; giac-
B cbè voi senza essere offesi da nei d avete i primi
a oltraggiato ; e d ricompenserete , secondo la giusti*
a zia , in danaro i danni delle vostre incursioni : non
a però vi conteremo le stragi degli agricoltori , non le
a inginrie , e le insolenze sperimentate da femmine in*
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33o DELLE Antichità’ romane
M g«uuc, nè altro male insanabile ». Ed essi li nemici
a tal nostro invito useranno moderazione , e lasciato
che la repubblica crei li nuovi maestrali, e faccia
gli apparecchi di guerra ; tomeran poi portando ùi
luogo delle armi , suppliche per la pace ; ed arren»
dendo a voi sè medesimi.
Xyni. O pur stolti coloro d- quali van pel pen-
siero tali delirj ! e milènsi noi se non ci corucciamo
con quei che li propongono: anzi sosteniamo di udirli,
quasi consultino su nemici , non su la patria e su
noi! Che non leviamo di mezzo i cianciatori sì fatti?
che non decretiamo sul punto , che marcisi a difen-
dere il territorio , il quale ci si devasta ? che non
armiamo quanti vi sono idonei de cittadini ? anzi ,
che non portiamo le armi contro le città loro ; ma
ce ne stiamo qui a bada, ed accusando i Decemviri,
ideando nuovi magistrati , e discutendo forme di go-
verno , lasciamo quant' è nelle nostre campagne, come
nella pace , esposto al nemico ? Che sì ; che infine ,
se permetteremo che la guerra giunga alle mura ,
corriamo noi rischio di essere schiavi , e che ne sia
lì orna stessa distrutta. Non sono queste , o padri
coscritti, le maniere di uomini sani, non le maniere
di una social provvidenza , la quale antepone al ben
pubblico gli odj privati ; ma le maniere piuttosto tli
una contenzione intempestiva , di un disamar sconsi-
gliato, di una invidia sciaurata, la qual non lascia
esser savio chi ne vieti preso. Tacciano per Dio le
controversie ; che tenterò di esporre ciò che avete a
decretare salutevole per la patria , ed espediente per
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. LIBRO XI. 33 1
1*01 , come terribile pe’ nemici. Stabilite ora la guerra
co* Sabini f e cogli Equi : arrolate diligentissinù e
prontissimi le milizie da guidare contro ambedue : e
quando la guerra abbia avuto buon, termine , quando
siansi in città ricondotte le milizie ^ quando sia già
rinata la pace ; allora volgetevi ad ordinare il go-
verno , allora chiedete conto dai dieci delle opera-
zipni loro nel mostrato , allora createvi nuovi ma-
gistrati , fondatevi nuovi tribunali ; e quando da voi
dipendono queste cariche onoratene i personaggi che
ne son degni ; avvertendo , che pud tboppo non seb»
FONO I TEMPI Alts COSE MA LE COSE AI TEMPI.
Spiegatosi Cornelio in questa sentenza vi aderirono,
toltine pochi, anche gli altri che dopo lui ragionarono,
altri perchè la stimavano necessaria , come -convcnien'
lissima a' fatti presenti , ed altri perchè piegavansi e
blandivano i Dieci per timore delia loro autorità , la
quale avea costernato non picciofa parte de’ padri.
XIX. 'Alfine essendosi opinato dalla più parte, e cora*
parendo quelli che volcano la guerra superiori di nu-
mero agli altri ; invitaron tra gli ultimi a dire Lucio
Valerio , quello che volea fin da principio proporre la
sentenza sua , ma se fu ritardato , come già scrissi. Or
costui sorgendo tenne questo ragionamento : Fedele , o
padri j C inganno dei Dieci] Non permisero questi
che a voi favellassi , com' io volea , nel principio ,
ed ora tra gli ultimi mel permettono ! quando pen-
dano che io punto non giovi la repubblica, sebbene
io segua il partito di Claudio , perchè ben pochi vi
si appigliarono. Che se io mi dichiaro per altro con-
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33 2 DELLE Antichità’ bomane
sigilo , sia quanto si vuole bonissimo , ne sarò va-
nissimo difensore ove io contraddica gli espósti da
loro. Annoverar si possono facilmente quei che dopo
me sorgeranno per dire : e quando pure consentano
tutti con me, che può mai risultarmene , non facendo
essi nemmen picciola parte rimpetto ai fautori di
Cornelio ? Ma sebbene io ciò veda ; pur non dubito
dire il mio sentimento: a voi si spetta, quando udito
lo avrete , di volgervi al meglio. Quanto al Decem-
virato , e le cure sue del ben pubblico^ concepite che
io ven dica le cose tutte, che il prestantissimo Clau-
dio ven diceva : e che debbesi far nuovi magistrati
prima che votisi per la guerra, giacché pur questo
chiedea con purissimo 'fine quel valentuomo. Tentò
Cornelio mostrarvi impossibili i cos/.ui su^erimenli ,
pretestando il gran tempo che abbisognavi per le civili
r forme , quando la guerra ne ò sopra. Egli mise in
burla , cose niente burlevoli , e con ciò commosse ,
ed ebbe molti di voi: ma io, fofò vedervi, che non
è impossibile , no , - la sentenza di Claudio ; come
niuno di quanti la derisero osò dirla nocevole : e vi
mostrerò come salvisi il territorio ,' e puniscasi chi
temerario danneggialo : come ristabiliscasi intanto il
comando, che era qui degli ottimati; e come tutto si
compia , cooperandovi i cittadini , senza che niuno
tenti il contrario. Nè sarà già questa una mia sa-
viezza ; ma io non vi addurrò se non gli esempli di
cose operate da voi; imperocché qual luogo hanno
tnai gli argomenti dove la sperienza stessa ne am-
maestra su ciò che giova ?
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LIBRO XI. 333
XX. Fi ricorda che i popbli stessi che ora le man-
ti a/w , spedirono ancora milizie in un tempo stesso ,
già è r mino nono o decimo^ su le terre nostre e de^
gli alleati, sotto i consoli Cajo Nauzio, e Lucio A/i*
maio F Foi mandando allora molta florida gioventà
contro i due popoli ; f uno de' consoli ridotto a trio-
cerarsi in luoghi disastrosi, non potè far nulla , anzi
videsi assediato nel >suo campo medesimo , e, sul ri-
schio di esservi preso per la penuria de' viveri. Nau-
zio poi contrapposto a' Sabini, impegnato da battaglie
continue, non potea nemmeno accorrere verso i suoi
che pericolavano : non ignoravasi che se periva V e-
sercito contro degli Equi, non avrebbe nemmeno po-
tuto resistere V altro contro de’ Sabini , riunendosi
insieme i nemici. E fra tanti pericoli intorno della
città , mentre nemmen ci avea nelC interno suo la
concordia , qual rimedio voi ritrovaste ? Congregativi
su la mezza notte in Senato ( lo . che giovò sicura-
mente ogni cosa , e dirizzò la patria che rovinava
ornai miseramente ) , creaste un magistrato solo , ar-
bitro della guerra e della pace, sospendendo tutti
gli altri ; e prima che fosse giorno , ebbesi un ditta-
tore neir ottimo Lucio Quinzio , sebbene si trovasse
allora non in città, ma in campagna. Foi ben sapete
le imprese operate dipoi dal valentuomo , come ap-
prestò forze idonee , liberò V armata che pericolava ,
e punì gV inimici, pigliandone fino il duce prigioniero.
E fatto ciò con soli quattordici giorni , e riparlato
quan^ altro pur v era di male nella repubblica , de-
pose il comando. Così niente impedì, volendolo voi
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334 DELLE Antichità’ noiviANE
che si creasse il imovo magistrato , solamente in un
giorno ; e così dovete > credo , imitarne V esempio , e
scegliere , poiché altro non potete , un dittatore , pri-
ma che di quivi usciate. Se trapassiam questo tempo ,
i Dièci non pià vi aduneranno per consultazione al-
cuna. E perchè sia il dittatore nominato legittima-
mente eleggete un interré nel pià idoneo de cittadini;
come solcasi fare quando i re mancavano , o li con.
soli , nò si aveano affatto , come ora non le avete ,
legittime autorità. Spirato che fosse per questi il
tempo del comarulo ; la le^e a sé ne richiamava i
poteri. Or questo o padri, che è sì fattibile ed utile,
è ciò che vi eswlo di fare. La opinion di Cornelio
porta la dissoluzion manifesta del comando degli ot-
timati ; imperocché se i Dieci divengano una volta
padroni delle arme per tale occasione di guerra ;
temo che. valercnisene contro di noi. (^uei che non
voglion deporre i fasci ,- depotranno essi mai le ar-
mi f Considerate ciò : "'guardatevi da tali uomini ;
provvedete contro tutti gC inganni ; poiché vai meglio
provveder che pentirsi; cotne é cosa pià- savia discre-
dere gli empj ; che , credutili , accusarli.
XXI. Piacque il dir di Valerio ai più come potè ri-
levarsi dalle voci loro e da quelli che sorsero dopo di
lui ; perciocché doveano opinare ancora i giovani , e
questi , eccetto pochi , lenean per bonissitno ,quel con-
siglio. Cosi quando tutti ebbero opinato , e le delibe-
razioni aver dovevano un termine ; Valerio chiese che
i decemviri proponessero la ritrattazion dei pareri , c
che di nnovo s invitassero a dire tutti i senatori ; c
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UBRO xj. ■ 335
persuase ciò fàcilmente , volendo molti di loro cangiar
eli partito. Cornelio che avea consigliato che si desse a
decemviri il tornando deHa guerra , opponeasi poten-
tissimamente; dicendo esser questo un affare già discus-
so , e portato giurìdicamente al suo fine col voto di
tutti : pertanto si annoverassero i voti nè cosa ninna si
rìnovasse. Alternavansi tali detti ostinatamente a gran
voce da ambe le parti, essendone scisso il Senato; pe-
rocché tutti quelli che voleano riformato il disordiu ci-
vile , favorivan Valerio ; ma peroravano per Cornelio
quanti preferivano il peggio , e- temeano de’ perìcoli da
un cambiamento. I decemviri presa occasione di fare a
lor modo per la turbolenza del Senato , si -attennero al
parer di Cornelio. Ed Appio , quell’ uno di essi , re- .
catosi in mezzo disse : JVoi v abbiamo qua convocati
o padri perchè deliberaste su la guerra cogli Equi e
co’ Sabini , e per questo abbiam /alto che interlo-
quissero quanti il volevano ^ chiamando voi tutti dal
primo aia ultimo , ciascuno ordinatamente , al suo
tempo. I tre uomini • Claudio , Cornelio, e Valerio in
fine , ne diedero tre pareri ; e voi tutti , quanti altri
qui restavate , li ponderaste : e ciascuno , udendolo
tutti, espose il partito al qual si appigliava Tutto
fu a norma delie leggi : ed essendo ai pià di voi
parato che Cornelio abbia presentata la sentenza mi^
gliore ; dichiariamo che questa prepondefa ; e scritta
Ut pubblicfdamo. f^alerio e ti' suoi partitoni, annul-
lino se vogliono , ma quando sian consoli , i giudizj
già finiti : ed invalidino le sentenze già firmale da
tutti. E' cosi dicendo , c comandando che io scriba le-
336 DELLE Antichità’ romane
gesse 3 decreto del Senato , col quale ordinava» che i
dieci làcesser la leva delle milizie , e ammiuistrasser la
guerra ; sciolse 1’ adunanza. ■
XXII. Quei della panie decemvirale ne andavano
dopo ciò superbi e gonfi , come vincitori , e come riu-
sciti con esser gli arbitri delie arme , nell’ intento , che
non si abolisse il loro comando. Per contrario quelli
che aveano voluto il bene della repubblica suvansi ti-
midi e mesti; come se non più ne sarebbero gli arbitri
in maneggio ninno. Dond’ è che si divisero con risolu-
zioni diverse ; riducendosi i meno ' generosi per indcde
a concedere tutto ai vincitori , e consociarvisi ; laddove
i men paventosi teneansi in placida vita lontani dalie
pubbliche cure ; e li più eccelsi di spìrito faceansi ua
seguito proprio, intenti a difènder sestessi, e trasmutare
il governo. Capi di queste unioni erano Lucio Valerio
e Marco Orazio , que’ dessi appunto che intrepidi, pro-
posero i primi al Senato di ritogliersi al decemvirato :
e questi custodivano la propria casa colle armi , e se-
stessi con valida guardia di 'clienti e .di servi per non
patir violenza , e non mostrar di temerla insidiosa o
palese. Quelli che non voleano in Roma part^giar coi
più forti , nè brigarvisi in cure pubbliche , nè giudica-
vano intanto ben fatto di starvi in ozio indolente ; ne
uscivano , . parendo loro cosa non facile di vincere i
dieci colle arme, anzi impossibile di abbatterne la grande
potenza ; ed era lor condottiero 1’ insignissimo uomo
Ca)o Claudio, lo zio di Appio Clandio capo decemviro^
il quale adempiva le promesse fatte in Senato al figlio
del fratello quando stimolavalo a deporre 3 comando.
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LIBRO xr. , 337
ne T« Io indusse (1). Lui seguivano torbe di amici e
clienti; ma, datovi da esso il principio, abbandonarono
la patria ancor altri colle mogli e co’ Ggli , non già di
nascosto ed in pochi; ma a moltitudini ed in pubblico.
Altronde i compagni di Appio indispettiti del fatto si
misero ad impedirlo, cbiudendo le porte, e ritraendone
alquanti de’ profughi. Ma poi venuti in paura , che gli
impediti si rivolgessero alla forza , e considerando più
rettamente come era meglio che uscissero che rimanes-
sero, nemici loro, a conturbarli; spalancarono le porte,
e lasciarono andarne quanti mai vollero; incolpatili però
come disertori , ne invasero le case , i poderi , ed ogni
cosa non potata portar via per l’esilio, apparentemente
a conto del fisco , ma in sostanza beneficandone i loro
fautori, quasi comperata l’avessero. Or tali imputazioni
date a’ primarj esasperarono più ancora i patrizj e i
plebei contro ai decemviri. Nondimeno se qiiesti non
aggiungevano novi errori ai già detti; parmi che avreb-
bero tenuto ancora lungo tempo il comando. Imperoc-
ché stavasi ancora in città la sedizione, mallevadrice del
poter loro , cresciuta da tanto tempo , e per tante ca-
gioni : le quali facevano esultare a vicenda gli uni pei
mali degli altri ; li plebei perchè vedevano, mancato il
cuor ne’ patrizj , e nel Senato ogni arbitrio su la re-
pubblica; e li patrizj, perchè vedevano il popolo ridotto
in tutto senza libertà e senza forze , fin d’ allora che i
dieci gli tolsero l’autorità de’ tribuni. Ma perciocché tali
decemviri nè moderali in campo, nè prudenti ìu Roma,
(1) Vedi S i5 di questo libro. 4 v
ptONlGl > ITI’ , la
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338 DEI.LE antichità’ ROMANE
iasistevaDO con assai durezza centra l'uno e Tallro par*
ti(o, lo astrinsero infine a riunirsi, e deporli colle arme
stesse , avute per la guerra. Tali poi furono gli ulllmi
delitti pe’ quali svergognato il popolo , ne infuriò.
XXIII. Dopo che ebbero stabilito .in Senato il de»
creio per la guerra ; descrissero in fretta le milizie , e
divisele in tre parti, ne serbarono due legioni per guar*
dia deir interno della città. Piesedeva a queste due Ap*
pio Claudio il capo decemviro insieme uon^ Spurio Op*
pio. Intanto Quinto Fabio , Quinto Poeteiio e Manio
Rabuleio nè andarono con tre legiodi contro de' Sabini:
partirono con altre cinque per la guerra .contro degli
Equi Marco Cornelio , Lucio Minucio , Marco Sergio ,
Tito Antonio , e Cesone Duvilio finalmente. Militarono
con essi le truppe latine , e di altri alleati , non meno
numerose delle romane. Ma con tantb milizie urbane ,
con tante ausiliarie , niente riuscì loro secondo il dise-
gno. Imperocché li nem'tci spregiandoli come nuove re*
clute , si accamparono vicinissimi a loro; e ne invade-
vano i viveri che erano ad èssi portati , insidiando le
strade , e gli assalivano mentre uscivano ai pascoli. E
se mai venivano ordinati alle mani, cavalieri con cava-
lieri, e fanti con fami; riuscivano da per tutto vincitori
i nemici ; perocché non pochi Romani mandavano alla
peggio ogni cosa , indocili al capitano , come restii per
combattere. Quelli che erano tra’ Sabini , renduti sav)
da mali minori, deliberarono da seslessi di abbandonare
il campo: e levandosene circa la mezza notte ripassarono
con una ritirata , simile ad una fuga, dal territorio ne-
mico nel proprio; fino a Crustumero, città nou lontana
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tiBno jfi. 339
da Roma. Gli altri che. teneano il campo nell’ Algido
della regione degli Equi, ne riceverono ancor essi non
poebe^ percosse. Ma ostinandosi incontro a’ pericoli, quasi
a riaversi' dalie perdite , incorsero in danni lagrimevoli.
Imperocché spintisi i nemici su loro , cacciarono quelli
che erano in guardia degli steccati; e salite le trincee ,
occuparono il campo , e vi uccisero i pochi che resi-
stevano , uccidendone anche più nell’ inseguirli. Quelli
che scamparono colla fhga, feriti in gran parte, e quasi
tutti privi di arme, ripararonsi al Tuscolo. Del resto
tende , giumenti , danari , schiavi e tutti gli altri appa-
recchi furono preda ai nemici. Saputasene in Roipa la
nuova i nemici del decemvirato , quelli ancora che ne
occultavano 1 odio, si dichiararono, esultando su la rea
condotta de’ capitani. E già grande era Ja moltitudine
presso di Orazio e di Valerio, capi , come fu detto,
de' crocchi aristocratici.
XXIV. Appio e Spurio somministrarono a quelli che
comandavano in campo arme , danari , grano , ed ogni
bisogno, pigliandone superbissimamente da’ privati e dai
pubblico: e reclutando dalle tribù tutti gl’idonei a com-
battere ; gl’' inviarono loro in supplemento de’ morti , e
delle schiere. Invigilarono diligentissimi su Roma , pre-
sidiandovi i luoghi più acconci; talché il seguito di Va-
lerio non fosse occulto nel sommoversi. Commisero per
vie sécretissime ai capi dell’esercito di sterminare i loro
contrari , in occulto se riguardevoli , ma palesemente se
ignobili, sempre però con qualche pretesta, perchè pa-
ressero giustamente levati. Altri mandati da essi a fo-
raggiare , altri a proteggere i trasporti de’ viveri ; ed
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34 o DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
altri ad altre belliche incombenEe lisciti dagli alloggia-
menti , non furono mai più vedùti in alcun luogo. Ma
li più ignobili accusati _ di aver dato princi'pio alla fuga,
o portato secreto notizie ài nemico , o non mantenuto
r ordine, erano in pubblico trucidati per ispavento co-
mune. Così le milizie erano in due modi disfatte : le
fautrici del -decemvirato pe’ cimenti col nemico , e pei
capitani le altre che ridesideravano jl governo degli
ottimati.
XXV. Appio co’ suoi commetteva in città delitti con-
simili e non pochi : la plebe tenne picciolo conto di
alcuni estinti quantunque fossero molti di numel-o : ma
la morte barbara , ingiusta di uno de’ plebei più cospi-
cui, celeberrimo per le belle virtù sue nel combattere,
operata nell’ accampamento ov’ erano i tre capitani, de-
cise quanti vi erano alla ribellione. Sicciu fu I’ ucciso ,
quegli che avea combattuto le cento v^nti battaglie ,
raccogliendone sempre' il premio de’ prodi , quegli che
disobbligato già per gli anni dal > guerreggiàre , si diè
spontaneo per 'la guerra ,con gli Equi menandovi per
r amor che gli avcano , altri ottocento, già liberi ancor
essi a norma delle leggi da’ servigj militari : quegli che
spedito dall’ uno de’ consoli contro le. trincee nemiche
a rovina come parea manifesta; pur le invase, e preparò
pienissima la vittoria pe’ consoli. Or quest’ uomo , cer-
cando Appio co’ suoi di levarsel d’intorno, perchè avea
molto parlato in città contro i duci del campo come
codardi e imperiti» io trassero a discorsi amichevoli,
lo invitarono a deliberare con essi intorno le cose del
campo, e dire come fossero da emendare gli errori
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‘ LIBBO XI. 341
de’ capitani i e Io indussero infine ad andare in forma
di legato all’ armata di Crustumero. È tra’ Romani il
legalo onoratissima e santa rappresentanza , con l’ auto-
rità de’ comandanti, e con la riverenza e la inviolabilità
de’ sacerdoti. Lo accolsero al giunger suo con benevo-
lenza i duci , e lo stimolarono affinchè stesse e coman-
dasse con essi ; anticipandogli de’ doni , e promettendo-
gliene ancora. L’uom d'arme, tutto ingenuo in seslesso,
deluso dai scellerati, come lui che non capiva i presti gj
delle parole , e quanto erano ingannevoli ; suggerì loro
le cose che utili riputava, e soprattutto che trasferissero
il campo dal territorio proprio a quello de’ nemici ;
additando i mali che ivi soffrivano , c rilevando i beni
che da tale passaggio nascerebbero.
XXVI. Fingeano que’duci udirne con diletto gli am-
mpnimenti : Adunque che non ti. fai tu duce, gli dis-
sero , di questo transito , preeleggendone il sito op-
portuno , tu si perito do' f ioghi por le tante tufi spe-
dizioni ? Noi ti daremo schiera eletta di uomini ,
espediti per armamento leggiero. Avrai tu cavallo
come alT età tua si com’iene , ed armatura degita . dei
tuoi pari. Tenne Siccio l’invito, e chiese cento uomini
scelti. Quegli, essendo ancor notte, spediscono lui senza
indugio , c con lui cento i più baldanzosi de’ loto fau-
tori , istrutti , e mossi ad ucciderlo con lusinga ahiplis-
sima di ricompense. Or questi giunti, ornai ben, lungi
dal campo , in luogo montuoso , angusto, e difficile di
ascenderlo a cavallo , se non di passo , ordinaronsi ,
datone il segno , in maniera da serrarsi in folla su lui.
Un tale , sostenitore e servo di Siccio , valoroso tra le
34 a, DELLE ANTICITITa’ KOMAVE
arme , indovinando il cor loro , diedene cenho al pa-
drone. Il quale vedutosi in tanto disagio di sito da noa
potervi nemmen slanciar con forza il cavallo', ne salta ,
e postosi coir unico sostenitore suo in una balza per
non esservi circondato , aspetta che ve lo assalgano. Or
tutti ( ed erano molti ) assalendovelo ; ne uccide intorno
a quindici, feritone il doppio : e parca , se lo assaliva»
da presso , che avrebbe , combattendo , straziato ancor
gli altri. Ma questi, conceputolo per invincibile, e come
non era dà prenderlo a corpo a corpo ; non vennero
in tal modo alle mani: ma tenendosi lontani da lui; lo
fulminarono con dardi , sassi , e legni. Ed altri avan-
zandosi di fianco in &ul motttc, e riuscendogli a tergo,
rotolavano dall’ alto macigni stragrandi : talché per la
moltitudine de’ dardi lanciatigli conira , e per la enor-
mità de’ sassi che cade.mu romorosi dall’ alto , lo op-
pressero in 'fine: e questo fu il termine incontrato da
Siccio.
XXyiI. Tornaitono gli uccisori co’ feriti nel campo ,
e vi pubblicarono che una insidia ióiprovvisa di nenrici
avea spento Siccio , e gli altri , che assalirono i primi ,
e che essi he erano a stento scampati, ricevutine molle
ferite. Pareano questi dir vero ; non però si giaeque
occulta la loro per6dia : ma sebbene avvenisse 1’ eccidio
in luoghi deserti e senza testiinonj ; i fati stessi e la
giustìzia che invigila le cose umane, lo diedero a co-
noscere per segni indubitati -(i). Imperocché quei del
campo riputando 1’ uom forte degno di pubblica sepol-
(i) A quella icotenza somiglia quella lauto vera di Arioslo can. 6
e tanto poco tenuta in peotieio dagli nomini.
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LIBRO • XI. 343
tara . e di onori distinti rispetto degli altri, per più cau-
se , e' principalmente pel carattere suo di legato, e per*
cbè libero già da’ servigj militari, eravisi cimentata di
nuovo per util comune; decisero di unirsi dal complesso
di tre legioni e di uscjre cosi per investigarne il cada-
vere , onde riportarselo con pieno decoro e sicurezza.
Concederono questo i capitani per non dare sospetto
alcuno delle insidie : e prese le arme uscirono intenti
all’^opcra bella e degna. Giunti al sito e vistovi non
selve , non valli , non luoghi consueti per le insidie ,
ma una balta tuttar nuda ed aperta ,.ed angusta a pas-
sarla; sospettaron bentosto ciocch’era. Avvicinatisi quindi
ai cadaveri % mirato Siccio e gli altri derelitti, ma senza
essere spqgliati; si meravigliarono che-i nemici, vincen-
do , non avessero levate loro non le vesti , nè le anni.
E specolando ihtoroo ogni cosa , nè trovando vcstigia
di cavalli o di uomini se non le impresse nel sentiero;
tennero per impossibile che i nemici fossero su loro*
venuti improvvisi , quasi uccelli., o uomini discesi dal
cielo. Ma, più che questi e simili indi^, il non trovarsi
ivi cadaveri, di avversar) fu . loro argomento evidentissi-
mo , che gli amici ne erano stati gii uccisori e non i
nemici. Imperocché non parea loro che Siccio , e quel
Miscr chi maV oprando si confida ,
Che ngnor star debba il maleficio occulto ;
Che quando ogn’ altro taccia intorno grida
V aria e la terra ittetsa in che-d tepultq^ .
E Dio fa spesso che 'I peccato guida
Il peccator, poi cV alcun di gli ha indulto-
Che" si medesmo , seni' altrui richiesta
JnavOedutamstnle mastifesla.
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■^44 nF.LT,E antichità’ ROMANE
sosteuitore suo, e gli altri, che seco perìroofi, sarebbero
morti inulti , specialmente se venuta si fosse, quanto si
può , (la vicino alle mani. Rac(:olsero. ciò ancora dalle
ferite : perocché Siccio , come quel suo, sostenitore , ne
avea molte per colpi di sassi o di strali e di spade ;
laddove gli uccisi da loro avean colpi di spade si, non
di sassi , o di strali e di saette. Adunque .ne sorse in-
dignazione , e claipore , e lutto. Alfine compianta la
disgrazia ; raccolsero e portarono il cadavere ai campo :
e là gridarono altamente contro de’ capuani , esigendo
allora allora secondo la legge militare la morte degli
uccisori ; o che sen fidasse almeno il giudizio ; e già
molti erano pèr ,farvisi accusatori. Ma conciossiaché non
davano loro udienza, e nascondeano gli uccisori, e^ne
differivano il giudizio , con dire che in Roma darebr
bero a chi la volea la podestà di accusarli ; ben vtdesi
che la trama era de’ (ùpitani. Adunque portarono (xm
* magnifica pompa Siccio al sepolcro, alzandogli una pira
meravigliosa, e tributandogli secondo il loro potere altre
primizie che la legge concede negli onori estremi dei
valentuomini. Alienaronsi allora tutti dal decemvirato;
e pensarono come liberarsene. Cosi l’ esercito presso
Chistumero r Fideue era nimico a’ suoi capi per la
morte di Siccio legato.
XXVIIl. L' esercito acc;impato nell’ Algido della re-
gione degli Equi , e la molutudiiie in Roma crasi per
tali cagioni esacerbata tutta con essi. Lucio Verginio un
plebeo, non secondo a niuuo nella milizia, starasi capo
di una centuria nelle cinque legioni, belligeranti con gli
Equi. Avea costui per avventura una figlia vaghissima
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LIBRO XI. 345
fra ratte le donzelle romane. Ella portava il nome del
padre, ed avealasi pattuita in isposa Lucio Icilio, uomo
tribunizio, qome 6glio (i) di quell’ Icilio che primo fe’
stabilire , e primo assunse T autorità di tribuno. Appio
Claudio il capo decemviro vista la verginella che leg-
geva in una scuola ( stavansi allora le scuole pe’ giovi-
netti intorno del Foro) bentosto ne fu preso dalla. bel-
lezza ; anzi vinto dalla passione era così tòlto a sestes-^
so , che non potea non passare più volte intorno della
scuola. Or non potendo torlasi sposa come già sacra ad
altri , anzi perchè egli avea pur moglie , e perchè non
istavagli bene donna plebea di lignaggio contro il suo
grado e la legge scrìtta da lui nelle dodCci tavole ; su
le prime tentò corrompere co’ danari la giovinetta. Egli
mandava ad pra ad ora delle donne con doni e pro-
messe maggiori' alle nudrici di essa, orfana già della
madre ^ avea però comandate le donne che tentavano
le nudrici a non dire chi fosse l’amante della fanciulla,
ma solo eh’ egli erg un tale che potea , volendo , -bene-
ficare e nuocere. Non potendo però^ guadagnarle , anzi
vrt.duta la donzella guardata più che prima , si mise ,
caldissimo che ne era d’ amore , a camminare altra via
con meno ancora di sénno. Fattosi chiamare Marco
Claudio , r uno de’ suoi clienti , uomo ardito e pronto
ad ogni servigio , gli additò la Gamma sua : e prescrit-
(t) Forse nipote’, perchfc dalla islitusione del tribonato all' anso
prescote decorsero 45 aooi. Pertanto Lucio Icilio di cui qui ai ra-
giona o era nipote ni*, Icilio Ruga, o coOTÌen dire che di molto ec-
cedesse gli anni di Virginia destinatagli sposa ; seppure non voglia
dirsi che Icilio Ruga generasse beo tardi quel figlio. >
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34 fi DELLE antichità’ ROMANE
togli cioccliè volea che facesse, e dicesse ; lo spedi con
allato uomini impudentissimi. Costui recatosi alla stuoia,
vi tolse la vergine , b volea recarsela palesemente pel
Ford. Impedito però dai clamori e dal grande «oucor-
so, di recarsela dove avea stabilito; venne al magistrato.
Sedessi allora nel tribunale Appio*' solo, rendendo ri-
sposte e r&gioni a chi ne chiedeva. Or volendo colui
dire , sòrsene rumore e sdegno tra* circostanti , i quali
tutti reclamavano , perché si aspettasse 6nchè venissero
i parenti della fanciulla ; ed Appio ordinò che in tal
modo appunto si facesse. Passato appena picciolo tem-
po; ecco presentarsi 'Publio Numitore nomo insigne tra
i plebei, zio materno di lei, con, seguito di molti amici
e parenti; e dopo non molto ecco giungere con numero
poderoso di giovani plebei Lucio Icilio, quegli che per
le promesse dèi padre aver dovea la donzella in isposa.
E questi , tutto sospeso ed ansio nel respiro , avanzan-
dosi al tribunale , addimandò chi osato avesse toccare
la giovine' cittadina , g (die mai ne pretendesse.
XXIX. Fattosi intanto silenzio. Marco Claudio, que-
gli appunto che avessi preso la donzella, così ragion:^;
O j^ppio Claudio , niente ho io fatto di temerario ,
niente di violento contro la fanciulla. ' Signore , come
io tono di lei , secondo le leggi me la conduco. Or
odi comi ella siasi la mia. Ho io una tal serva pa-
terna che ministrami già da tempo lunghissimo. Or
questa , familiare che ne era , usava di andare alla
mo"liè di f^érginio; e la moglie di Ferginio persuase
lei gravida a concederle , quando che fosse , il frutto
del suo ventre. La donna , partoiita una figlia , ( ed
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LIBRÒ XI.
347
era questa ) serlà le promesse ; e àiedela a Numito-
ria, con fingere presso noi che uscita fosse la di lei
prole già morta. Numitorià tuttoché madre non fosse
di fanciulli o fanciulle, la pigliò, la fé' sua, la nudrì,
senza che io sapessi nel principio la vicenda.' Or
la so per indizj di molti e buoni testimonj : io ho
fatto t esame di quella serva , e ricorro alla legge
comune per tutti ha quale vuole « che sia la prole non
» di chi la impostura per sua , ma di chi 1’ ha gene-
» rata ; e che libera sia se nata di libera , e serva , se
» nata di serva , de’ padroni stessi delle madri u . Su
questa legge esigo di riportarmi la figlia della mia
serva , pronto a subirne il giudizio: Che se alcuno la
reclama per sua, dia certi mallevadori di riprodurla in
giudizio : ma se anzi vuole chi^ ora qui sen tratti la
causa io lo secondo , voglioso c^e si espedisca anzi
che si procrastini , e che io mi assicuri con malleva-
doii la vergine. Scelgano qual più vogliono di questi
partiti.
XXX. Claudio cosi disse aggiungendo vive preghiere
di non essere considerato meno de’‘suoi competitori per amici , e torlasi a forza
quando glie la ripresent'avano per la sentenza. E perchè
11 giudizio fosse con buona forma , sul pretesto che il
padre di lèi non erasi presentato ; diè lettere a cavalieri
fedelissimi , e li spedi nel campo ad Antonio , cdroan-
dante della legione ov’ era Verglnio, con ordine che
ritenesse quest’ uomo cautissima mente , talché udite le
vicende della figlia , da fui non s’ involasse. Ma Io prejr
vennero , attinenti che erano alla donzella , il figlio di
Numitorio, cd il fratello d’ Icilio , spediti avanti, sul
nascere appena della sommossa. Giovani pieni di corag-
gio fornirono prima il vaggio sferzando i cavalli ed ab*
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35a DELLE Antichità’ bomane
baudonando loro le redini j e _ narrarono a Vergitiio
l’evento. E Verginio, ^cimane ad ^Antonio la cagione
vera , e fintogli di aver udita la morte di un suo pa«
rente di' cui doveasi fare il trasporto , e la sepoltura
secondo la legge , ebbe il congedo. E presso 1' ora in
cbe accendonii i lumi ; se ne andò con que’ giovini ,
ma per altra via , temendo , come avvenne , di essere
inseguito da quei del campo e della città; perocché
Antonio, ricevuta la lettera circa la prima vigilia, spedi
contr esso una banda di cavalieri, mentre un’altra spe*
dita da Roma guardò per' tutta la notte la strada che
vi conduceva dal campo. Ma non si tosto un tale ridisse
ad Appio che Yerginio era l’unto contro la espetta-
zione; egli, uscito di' senno , ne andò con gran seguilo
al tribunale , e fece che a lui si chiamassero i con-
giunti della donzella. Venuti' questi , Claudio ripetè lo
stesso discorso , e dimandò cbe Appio senza indugio
decidesse l’affare; dicendo esser pronto chi lo esponeva,
e chi lo attestava , fin la serva , madre vera della fan-
ciulla. Simulava in tutti questi atti . che assai si sdegne-
rebbe , se esso per essere cliente di lui non ottenea
come prima la giustizia egualmente che gli altri ; e di-
mandava che ajutasse chi dicea cose più vere, non chi
più lamentevoli.
XXXIV. Il padre della donzella e gli altri patenti
escludcano la supposizione del parto con molti argo-
menti giusti e veri , per esempio che non ebbe cagion
plausibile di farla la sorella di Numitorio c moglie di
Verginio maritatasi vergine ad utl giovine la quale par-
torì tra non molto : appresso perchè sebbene voluto
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’ ' LIBRO XI. 353
avesse iotradere in sua casa un 6glio altrui ; v’ avrebbe
intruso non il figlio di, una donna schiava , ma quello
di una ingenua, amica o parente sua, onde ritener fe-
delmente e stabilmente ciocché TÌce'«’eaiée : ed arbitra in
tutto di Scersela Come volea ,* scelta s’ avrebbe la prole
non femipea, ma > vivile} imperocché la donna che par-
torisce, vinta dall' aderenza pe’ 6gli che partorisce, ama
e nudre ciocché la ‘natura le porge: laddove, la donna
che imposturasi un 6g)fO sei' cerca del > sesso migliore,
non del più ignobile. Contro lui poi che dava .l’ indi-
zio,'e .contro i molti tesu'monj- edibili da Claudio come
degni di fede . allegavano cagioni tratte dal verisimile :
vuol dire che Numitoria non avrebbe operalo imai pale-
semente e presenti molti ingenui tekùmònj tur fatto che
abbisognava di silenzio , e che -pbtea' fornirsi col mini-
stero di- un solo ; e c|ò perché la prole edncatà non
fosse col tempo ritolta dai padroni delia madre. Ag-
ginngeano che la dilazione non picoiola' era segno evi-
dente che il calunniatore non prolTeriva niente di vero:
perocché colui che dié l’ indiziò 'della supposlzioue e
gli altri che la cooteslano -l’avrebbero molto 'iuoansi
svelata, non tenuta Segretissima per quindi^, anni. Frat-
tanto redarguivano le pròve degli accusatori, come non
vere 'né credibili, e chiedeano che si paragoudssero
colle altre loro, nominando molte doqpe non ignobili
le quali dicevano aver veduta Numitoria gravida cOn
pienezza di utero. Olirà queste ne additavano altre che
in fom del parentado venute pel parto o per la pimr-
pera aveano mirato k prole , ed iuasievano perché s’ iu-
Viomci , tome III. .1 »i •
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354 delle antichità.’ romàne
terrogassero. Era- poi di
siderando queste e simili cose, e fra lóro discorrendole,
ne piangevano. Appjo altronde , come non cauto, per
matura , e corrotto dalia grandezto del potere , invanito
di sestcsso , e caldo ' di amore nelle viscere , non ohe
attendere al parlare dei difensori , e commoversi alle
lagrime della vergine , adiravasi per la compassione che
di -lèi' Sentivano >i circostanti (Juasi di compassitme egli
fosse più degno, e patisse mali più grandi, ridotto pri*
■gioniero dì quella bellezza. Da tali cause infuriato ardi
fin di 'fare' impudenti discorsi (pe’ quali, coloro che già
ne sospettavano ,' foron -chiari , 'che sua era 1- impostura
contro la donzella ) > e compiere infine la barbara c ti-
rannica azione.
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, LIBRO XI. 355
XXXVI. Àncora parlavano , quando egli iu-
Uqoò sUeniiio ; e . feoesi. jbtanlò la moilitudine che era
nel Foro , ^ntenendo lo adegno si spinge innanzi per
desiderio d’ intendere ciocché direbbe ; ed esso volgeo'.
dosi qua c là per numerare col guardo i crocchi degli
amici co* quali avea p|:ima occupato il Foro cosi favellò:
O Verginio j o voi qui presenti con , esso f fiqn io
sento ora la prima voltd un tal fatto , ma- lo sentii
prima ancora di giutfgere a questo magistrato. Or
udite ; Come ' lo sentàsL 11 ^ padre di questo Marco
Claudio ornai . spiratido la fitfl y pregavnmi die io
prendessi la tutela del figlio lascialo da lui piccélo ;
giqcchò essi fin. dagli antichi loro son . clienti della
ìiostra famiglifc. Or mentre io rn era il tutore di esso
udii della donzella e .come Numitoria sala suppone;
prendendola dalla sert>à di Claudio: ed esaminatala;
trovai che appupto cosi pava •' dettai c, giudico esser Claudio pa-
drone della serva.
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356 1 DELLE antichità’ EOJHAME
XXXVII. Udito ciò , quanti ivi erano fiomlni iniegrì ,
sostenitori di que’ che dicevano il giusto , levarono le
mani al cielo , con “"un grido misto d’ indignazione , e
di pianto : per 1’ opposlto i partigiani de’ Decemviri ,
mandavano voci atte ' a confortarli ed animarli. Irritatasi
però l’adubanza, e riempiuta» di ogni guisa di afTetti,
e discorri ; Appio intimo silenzio , e disse : O tutbo-
lenti , o inutìii a tutto nella guerra e nella pace !• se
non cessale di sonunover la' patria , e di contropor-
vici ; farete alfin senno per forza. Non pensate , jche
abbiamo noi messo un presidio nel Campidoglio , e
nella fortezza soltanto contro i nemici di fuori , e
che lascèremb poi fare quei iT entro , i quali scon-
ciano ih Roma, ogni cosa. 'Prendete consiglio migliore ^
thè non avete o . voi tutti a quali non spetta C af-
fare ; andatene per le cose vostre in buon ora. £ tu
Claudio recati ria pel toro ' la donzella : non teme-
re ; giacche i dodici miei Colle scuri ti saran guar-
dia. A ul dire gli altri ululando, battendosi la froòte,
nè potendo raffrenare le lagrime, partirono dal Foro;
e Claudio succò via la donzella, che stringeva, che
baciava il padre suo , e con voci affettuosissime lo in-
vocava. Fra tanti mali , Yerginio si mise in pensiero
un’ azione , amara , addolorevole ad un padre , ma de-
gna di ud nomo liberò, -di un Uomo generoso. Egli
intercedette di salutare ancora una volta la 6glia , e di
parlare a lei le cose , che volea da solo a solo ; prima
che dal Foro la involassero. Condiscesone dal capitano ,
e ritiratisene alquanto i satelliti , abbraccia la figlia che
sviene , che abbandonasi ; e cosi la sostiene , richiaman-
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LIBRO XI. . • 357
dola, baciandola', rasciugandola dalle lagnile, che la
inondavano. Poi^ trattala seco un poco , non si tosto fu
presso la officina di un niacellajo, rapiscene di su dal
banco la coltella, ed immersela nelle viscere della figlia
gridando: Figlia (i mando Ubera e casta - ai nostri
sotterra: per colpa del tìrarmo già ntm potevi tu viva
serbare questi pregi. . SóHevatisi intanto ■ de' clamóri ;
tenendo in pugno il ferro insanguinato, egli stesso gron-
dante del sangue , sebitaato su lui , nell’ uccidere della
figlia , corse furibondo , peó la città , reclamandovi la
libertà ; de* cittadini. Passate a fona le porte, àìcese il
cavallo , ebe ■ tenessi per Ini' preparatp , e rivelò nel
campo , riaccompagnatovi dà Icilio , e da' Knmitórlo , i
giovanetti ebe ne *1 cavarono. Teneano loc' dietro anche
altri plebei non pochi, Jn numero quasi di ^attro.*
cento. j ' ;
XXXVIIT. Appio al caso della ^giovinetta,. levatosi da
sedere, si slanciò cpme per inseguire Verginio , dicendo,
e facendo cose non degne : ma eiroondandolo , e pres-
sandolo gli , amici a non traviare , si ritirò , pieno di
rabbia su tutti : quando ornai -presso della sua casa udì
da taluni de' suoi fautori , che Icilio il .suocero , e Nut
raitore lo zio , ridottici con altri - amici , e congiunti
intorno al cadavere, gridavano contea- Ini an colpe no*>
te, e non note concitando tutti a rendersene liberi una
volta. Colui spedì per la rabbia» che ne' ebbe, alcuni
de’ littori , -con ordine d’ imprigionare i maledici , e di
levare dal Foro il cadavere; opera, insana in v?ro , «
sconvenientissima al tempo. Imperocché mentre dovea-
carezzar la moltitudine incollerita giusUmente, e-jóedere
358 * DELLE Antichità’ bomane
in principio al tempo , e poi rdifendersi , pregare , be-
neficare onde’ riconciliarsela ; egli 'corso Alla* violenza ,
ridusse tutti . a disperarsi. Pertanto non permisero che
gl’ inviati levassero la estinta , o' portassero alcuno nella
carcere : ma gridando , ed animandosi gli uni gli altri ;
cacciarono dai Foro coll’impeto, e oolle percosse i mi'-
nistri della violenza. Talché Appio, ciò udendo, fu co-
stretto dì recarsi con molte partigiani e clienti nel F oro ,
e comandare 'che battessero , e sbandissero , chi v* era ,*
ne’ capi delle vie. Orazio e Valerio, duci come ho detto
degli altri a riprendere la libeiné , sentito il disegno
dell’ uscir di colpi, menarono' con sé molti bravi gio-
vani , e si' misero dinanzi k estinta. E qpando ebbero
più \icini {'compagni di ‘Appio, prima inveirono, (jnanto
poterono , su loro cOn -clamori .ed ingiurie ; é quindi ,
pareggiando ai detti le opere , ferirono e rovesciarono
quanti osarono lanciarsi su lOro. *
XXXiX. Appio mal .sofferendo l’ostacolo impreve-
duto , nè trovando come trattare tali nomini \ risolvette
di correre Una viaria più rOvinOk. Impéròccbè porta-
tosi al tempio di Vulcano ; invitavi a parlamento la
' plebe, quasi' benevola ancora verso di esso: e prendevi
ad accasare la inginslizia, t la dnsojenza di tali uomini,
lusingandosi per l’ autorità sua .tribunizia , e per le vane
speranze , ebe la moltitudine gli concedesse di precipi-
tarli dalTa' rupe.. Afa i compagni di Valerio occupata
l’altra parte del Forò, e postovi il cadavere della ver-
gine visibilissimo a .tutti , ''convocarono un* altra adu-
.'nahza; facendovi vivissime aCcusé di Appio e de’ suoi.
Occorse, com’era vcrisimile’, che*’aUÌt'andovene altri 'la
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LIBRO XI. . 359
riverenza per ^questi ' nomioi ,, altri la commiserazioae
vereo la dctazella soggiaciuta a vicènde dure, ,e più, che
dure per la sv>a bellezza infelice, ed, altri H. desiderio
stesso della forma .precedente df governo , vi si rioni
più gente che intorno di Appio : tanto che non rima-c
seto presso questo 'se non pochi , appunto i partigianir
ira'qtuli cc ne^avéa pur alèoni , che per molte cagìoivi ■
mal più si acconcravano eoi Decemvirato ,, contèntissimi
di rivolgersi agli- avversar) , sé il partito loro si fortiG-
easse. Appio vedendosi - derelitto ^ -fo cpstretio i mutar
COtasigHo ,'e ' ritnrarsi dèi Fpro^*cioecll&' moitissiUo gii
giovò. Imperocché prèso a cólpi- 'dalia moltitadioe pa-
gata le avrebbe le* giustissime pene. Dopò .ciò Valerio .
acquistata preponderanza, quanta 'ne volle, si sfogò pe-
rorando contro ai 'Decemvirato , e decise in favor suo
perGno i dubbiosi. Molto . più' poi conjpccia'rono la moU
titudiiie contro ai Dètèiòviri i parenti della vergine,
recando -al Foro .il feretro , -e T altro lagubre apparato,
maguiGco quanto potevano , è facendo ..la traslazione del
cadavere per le .vie più illustri, di Roma , onde fóssevi
più rimiralo; imperocché còrreabu fuori di casa matrone
e donzelle per piangere la sciagura e qual d’esse get-
tava su la bava Gori^e ghirlande*', e qual veli e. nastri .
e fiV;gi pel capo di .una vergine, e quale, in Gne.te
anella de’ Vecisi capelli : iiratlantor molti uomini •nobilita*
vano 'la liinèbre pómpa con' doni* convenienti, presi grsì-
tnitamente’ o con pfeézró dalie prossime olBcIce. Tanto
che divulgaiissima era per' la citrii la lagrimevole ceri-
mònia , éd avea tulli acceso il desiderio di -spègnerti la'
lirannlde. Ma qnei chè la difeudeano f isirntii che
1 ' ; ‘ ".jd ny
36o DELLt AWTICHITa’ nOMANE
erano di arme , davano grande spavento ; laddove Va^
lerio W SUOI non volea finire col sangue de’ duadim
la disputa. " .
Tale era in Roma la turbolenza. Intanto Ver-
ginio che avea^ come ho detto ^ itccisa di sua mano la
figlia spronando.' a briglia sciolta il .cavallo i giunse agli
alloggiamenti presse l' Algido su l’ imbruttir della sera ,
tutto lordo -di sangue , e . colla ooltelitt , in pugno , ap-
punto . com’ era fuggito da Roma. Vedi^tolo , i soldati
che stavansi a guardia innanzr del campo ^ non sapeano
indovinare ciocché . avessè patito^ e lo accompagnarono
per intenderne 1* alto.' e terribile caso. E colui tuttavia
camminava piàngendo, e significando- a quanti gli erano
intorno di .seguitarlo. Uscivano fin di mezzo alJf cena
da’ padiglioni , presso i quali passava , soldati Jn folla y
con faci e làmpade, pieni di mestizia e tumulto, e fa*
cendogli corona^ lo accompagn#ano. Alfine giunto in
un luogo spaziose del campo.,' e salita una eminenza
ov’ essere da tutti veduto, nar^ò. le disavventure sue,
dandone per testimou) quanti erano con esso , venati da
Roma. E quando infine videne molti addolorati e pian-
genti-; fecesi allora a supplicarli e scongiurarli di non
permettere che restassero ,. egli invendicato, ^ concai-
cataria patria. E lui coti dicendo, ecco. in tutti- grande
la voglia di. udirlo e viva 1». istigazione perchè parlasse.
Adunque tamtx più animoso 'inveì su’ Decemviri , mo-
strando di quanti, aveano essi tolte le sostanze, di quanti
flagellato il corpo, e quanti ne aveano ridotti senza
colpa niuna a lasciare la patria ^ e numerando insieme
le ingiurie verso le matrone , i ratti delle donzelle . nu-
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LIBRO XI. 36 1
bili, i '.disoBoramenti de’ liberi > garzoncelli, e, le, tante
altre ingiustizie e tirannidi. E così, disse, ci calpestano
* (Questi , senza che ne aibiano il poterti non dulia
legge , non dal Senato , non dal popolo. Imperocché
spirato è /’ anno dflla loro magistratura ; e spirato ;
doveano in altre mani> trasmetterla'.' violentissimi però
la ritengono ; spregiando in noi , quasi in femmine ,
la paura grande e' la codardia. Ognun • di voi qui
ricordi quanti^ mali ha da loro sofferti, o veduto sof-
ferirsi dagli e^i. Che se alcuni qui blanditi da essi
mai con' piaceri o favori , non temete il Decemvirato,
ne apprendete che eguali mali siano per., venire un
giorno su voi, sappiate che non vi è fede pe tiranni,
sitppicUe che non donano t' potenti per benevolenza ,
e sapendo queste e simili, cose , Uorreggetévene : ed
unanimi tutti Iterate da tù'onni la patria , quella
dove sono i templi de\ vostri Dii, dove le tombe dei
vo.stri maggiori, ! quali voi riverite appresso gV Iddj ,
dove li veóchi genitori che .dimandano il premio dei
travasi e delle tante cure per voi ^ dove le mogli,
vostre legittime ^ dove le figlie nubili, alle quali deesi
non tenue Id Vigilanza: dove infine \i vostri figli ma-
schi , che aspettano da voi cose degne dèlia natura
loro^ e de’ progenitóri. Taccia le vostre case, i vostri
poderi , i vostri ■ danari acquistati con tome fatiche
dagli antenati e >da^ voi : , delle, quali cose tutte pià
non pofrtle essere i certi, padroni 'finché i Dieci qui
tiranneggianox ' .
XLI. Già non è da savj ,. non da valenùtompii cer»
care colla fortezza le cose altrui ^ nè curare poi che
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36a DELLE antichità’ romane
per viltà si rovinin. le proprie far co» gli Equi ^
co’ Fblsci , co’ Sabini , a ' con tutti intorbo i vicini
guerre diuturne » indefesse per la indipendenza e pel
principato , nè vbter poi nemmeno prendere le armi
per la^ vostra sicurezza e la libertà cantra uomini il-
legittimi che fi comandano. Che nòn ripigliate lo spi-
rito' delia patria ? Che non tornano - in voi li sensi
degni degli' antenati? cU quelli che per V oltra^ìo di
una femmina solà profanata da un de •Tarquìnj ed
ucàisasi da sestessa per le^ vergogna , 'tanto rie incol-
lerirono e infierirono , e tanto comune tipqtaron la
ingiuria'; che sbandirono di Roma non il solo Tqr-
quinio,maJ re-: nè piti soffersero^ die magistrato
alciùfó vi comandasse in vita, e senza doverne far
conto : di quelli che ne fecero altisiunto giuramento
fitto con imprecazione su paetèri' se noi' compievano ?
Of essi non avran sopportata la incuria di un sol
giovinastro su di una libera- donna' soltanto ; e voi
vi state Comportando una tirannide di tante teste ,
•ehé’ scorre ad ogti ingiustizia e libidine ^ è scorrerawi
anche pià se pià tra vói la tenete ? Non la- ebbi io
sole una. figlia vaghissima , che jippìò-- accirigevasi
palesemente a violentare e lordare : le avete anche
molti infra voi‘'rhogli o ; figlie e figli avvenenti: Or
chi difhn'dele mai che ' ' alcuno de' Dièci nón fàccia
loro come /dppio ? Vi raccertano forse gt Iddf che
so lasciate impunita la insolenza ' a me fatta, no/i si
avanzi questa fin su molti di voi; e che ^ nmor ti~
tannò , giunto alla mia figlia , ivi si 'rimanga e si
plachi rispetto degli altri fanciulli e faiKÌiille? Quanto
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" LIBRO XI. • 363
stolula , quanto atfena cosa è dire che mai tali idee
si -effettuerànno ! Illimitate sono de' tiranni le pas-
sioni, perchè superiori alle leggi, e al^ timore. Su
dunque fate le mie vendette , prepardte la sicurezza
vostra, per non subire egual male , rompete o miseri
una volta la^ cótena: riguardate ‘con intenti sguardi
la libertà : ~E per qual altra occasione mai fremerete
pià che per queéta; quando ne si tolgon le figlie prè-
testandooele per ischiave , e quando via ne si porlan
le spose" co’ littori? E se'ora che siete tutti cinti di
arme la trascurate la occasione e: quando mài \
quando il genia- di libertà ripiglierete? -,
XLU. Ma iotaato cKe egli parlava molti gli promct-
teanò, gridando, la vendetta: e chiamati a nomr i dnci
delle schiere gl’ invitaronó a por mano aff impresa ;
molli ancora , se ne avéano riéeTuto alcun danno , fa-
ceansi coraggiosi innanzi, e lo rivelavano'. 'Udito ciò li
cinque, capi come ho detto delle legioni, temendo che
la moltitudine facesse qualche soròmossa ' Cóntro di essi
corsero- tutti 'al pretorio e vi consultarono con gli amici,
se poteanO chetarne il tumulto cinti dalle arme de par* '
tigiani. non si tosto intesero che i soldati eransi .tri*
tirati 'nelle tende , che caduto e cessato era il tumulto ,
senza sapere intanto che il piò de’cènturioni aveva con-
giuralo occultissimamente d’ insórgere e liberare la pa-
tria ; destinarono , appena fosse giorno , imprigionare
Verginió che istigava la^ moltitudine , e raccolto l’ eser-
citò condurlo ed acc^parlo tra’ nemici , . e desolarvi H
meglio elei lor lerritorj ; nè più' lasciare chè ognuno
investigasse Curioso ciocché facevasi in Roma , ma tutti
perocché , chiamato Vergioio ai pretorio , i ceatnriooi
non permisero che v’ andasse pel sospetto che vi peri»
colasse: e scoperto com’era ne’ratpi 'il proposito di por-
tare l’armata tra’ nemici. Io riprovavano, dicendo: Me-
ramente ci avete prima comandato benissimo, perchè
ora isperanzili vi seguitiamo f Duci voi di 'tanta mili-
zia , quanta ninna ntai ne portò da Roma f e dagli
alleati non sapeste nè vincere , nè danneggiare i ne-
miti. V oi dimostrandovici odi , imperiti , colf accam-
parci male , e col desolare , quasi asversarj , le terre
nostre , ci rendes^ poveri , e bisognosi delle cose le
quali noi conqOistayamo col prev/dere in bailaglia ,
quando i nostri capitani \ eran migliori che voi. Ora il
nordico inalza contro noi li trofei i il nemico si. porta
le cose nostre; saccheggiandoci tende ^ schiavi y ottm,
danari. .
XLUl. Verginio per la rabbia , e perché non più
temea que’ capitani .inveiva più libero conti» di essi ,
'chiamandoli corruttori e distruttori delia patria, ed ani-
mando i centurioni a tor le insegne,, e ricondursi in
Roma colle milizie. Molti non ardivano ancora movere
le insegne , che sono inviolabili ; né riputavano cosa
onesta e. sicura abbandonare i loro capitani ' e ^i co-
mandanti ; perocché il giuramento militare , die i Ro-
mani avvalorano più che tutti,, (à che il soldato siegua
i suoi comandanù , dovunque Io guidino : e la legge
concede a questi di. uccidere , nemmen giudicandoli .
gl’ indocili e li disertori. Verginio, vedendoli tenuti an-
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' LIBRO XI. 365
cora da tal riverenza , mostrò ' loro che La le^e stessa
avea sciolto quel giuramento : giacché dea ehi có-
manda gli eserciti , esser scelto a norma delle leggi ;
e r autorità de’ decemviri era tutt^ contro le leggi,
trapassalo t anno per cui fu destinata ; far poi gli
ordini di chi comanda contro le leggi non è ubbi-
dienza, nè pietà, ma demenza e furore. Or ciò aden-
do , giudicarono udire il vero : e suscitatisi a vicenda ;
e quasi dato lor cuore’ dagl’ Iddi!; tolser le insegne, e
ne andarono.' In mezzo d’ indoli tanto varie , nè tutte
conoscitrici del meglio, si rimasero, co’ decemviri, com’è
verisimile, centurioni e soldati', minori però molto,
non eguali di numero agli altri. Quelli clie partirono
dal campo , viaggiando tutto il giorno , giunsero al far
della sera in città , seuzaqhè alcuno ve li annunziasse ;
nè poco la costernarono , credula cbe giugnesse il ne>
mica. Adunque tutto tri divenne clamore , moto , di-
sordine ; ' ma non sì a lungo , da nascerne òiale : pe-
rocché quelli passando pe’capi strada, vi gridavano che
eran gli amici, e venivano in bene della pàtrio: e con-
formarono le Opere ai detti , non offendendovi alcuno.
Recatisi ali' Aventino,' colle il piò acconcio entro Roma
per accamparvisi, allogaronsi presso il tempio di Diana.
Nel giorno seguente fortificato il campo, e destinati dieci
tribuni miljtàri , de' quali era capo' Marco Oppio, sul
comune , si tennero in calma.
XLIV. Dopo non molto giunsero in* sussidio loro
con molta milizia dal campo di Fidene i centuribni mi-
gliori delle tre' legioni , alienatisi da’ comandanti fin di
allora che fecero trucidare , come ho detto , Siedo il
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366 DELLE AJITICHITA.’ ROMANE
legato ; .e timidi non pertanto di cominciare i primi la
ribellione in vista . delle cinque legioni delK Algido ,
quasi fossero amiclie ai Decemviri. Ora però saputane
la insurrezione; acceuarotjo di tatto buon grado il favor
della sorte :■> anche di queste milizie eran capi dieci tri-
buni eletti in mezzo alla marcia , ma Sesto Manlio ne
era il più ragguardevole. - Congiuatisi tutti , e deposte
le arme, incaricarono i venti tribuni a poter . dire e fare
quanto dovessi pel comune. .Elessero di questi venti
come capi consiglieri i due più rispettabili,. Marco Op-
pio, e Sesto Manlio. E questi .formata un coùsigUo dei
centurióni maneggiavano tutto ,cpn,. essi. .Non essendo
ancor c^arl al popolo i (prò disegni , Appio .consape-
róle a ses tesso di essere la cagione di quella turbolenza,
e de’ìUali che ne verrebbero, tenòvasi in casa, non 'ehe
ardisse far pubblici atti. Sbigottì su le prime anche
Spurio Oppio , costituito , come lui , su la città , quasi
fossero ben tosto per assalirlo nemici, e fossato appunto
per questo venutL Quando però vide che‘'uon fàceano
innovazioni] rallentando le paure ^ convocò li Senatori
nell.^ curia , intimatili ad uno ad ano per le case. E
' standovi questi ancora adunati: ecco giungere i cpman-
danii dall’ armata di Fidane, irritati che la milizia avesse
abbandonato T uno e.T altro' campo , -.ed. insistere col
Senato perché ne prendesse degna vendetta. Ora do-
vendo ciascuno dare il sno voto su questo. Ludo Cor-
nelio disse , porlqre il dovere ,che tornussero i spillali
'ttcl giorno stesso daW Avenlitto lot' campi, ed ese-
guissero gli ordini des comandanti. Con ciò non sa-
'rebhero tenuti rei di quanto s' era fatto , so noti gli
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LIBRO XI.
367
autori sali , della ribellione ; à qvudi imporrebbe la
pena' il duce ^medesimo : ma se non ubbidwanq ; il
Senato delibererebbe su loro ,, camq su disertori dei
posti , affidati ad essi da' capitani , e come su viola-
tori del giuramento ipiUtare. Lucio .Valerio gli contrae
riava (i).... Ma nè conviene che no» facclaosi af&tto' pa-
role delle- leggi romane ehe troviamo nello dodici tavole,
essendo tanto venerande e più insigni delia grecai legi-
slazione ; nè conviene che sen facciano oltre il dovere ,
prolungando la storia delle leggi medesime. -- -
XLV. Tolto il decemvirato ebbero i primi ne’oomizj
cenluriati la dignità consolare, dal popolò come ho ‘detto
Lucio Valerio Potilo, -e Marco Orazio Barbato (2), uo-
mini popolari per indole, come per educazione eredi-
tari*'. Fidi alla promessa che avcan fatta al popolo
quando lo indussero a, deporre le armi , di maneggiare
sempre il governò in suo bene ; stabilirono ne’ coraizj
centuriati, mal grado i palrizj che vergognavansi di re-
clamarvi , oltre le leggi che non rileva qdi scrivere ,
anche quella coUa quale ordinavasi , che i decreti faixi
dal popolo ne comizj per tribù valessero conìé i de-
creti emanati ne' comizj ceniuriati per ogni classe di
cittadini ;■ sotto pena t in caso 'di convinzione , per
chiunque^ abrogasse o trasgredisse questa legge, della
(t) Qdì miaca 1’ aliimo SYÌluppo de* fatti co* quali fa tolta la
eppreaaione Decemvirale. -Perdita non ignobile ; traltSadoYiti di uno
de* graudi oambiameati di stato. . . , *•
(a) Aeuo 44^ avanti Cristo , dalla fondaiiooe di Aoma ,3o6 se-
condo Catone^ Quest* anuo è tralasciato nella cronologia di Varroue
e però/ le dne cronologie differiscono dopo questo per un anno solo,
non per due com^ per I* addietro. ‘
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368 DELLE Antichità’ romane
morie e della confisca de'heni. Questa risoluzione levò
le controversie tra’ plebei e tra' patrizj , i quali ricusa-
vano di ubbidire ai d^eti latti dai primi , e riguar-
davano i decreti emanati ne’comizj per 'tribù come leggi
singolari di 'esse non 'come universali di' Roma intera:
laddove ciocché fosse stabilito ne’comizj per centurie lo
riputavano ordinato a sestessi come a tutti i cittadini.
Fu gié détto innanzi che* ne’ comiz) per tribù li poveri
e li plebei prevaleano su’ patrizj , come i patrizj/ quan-
tunque assai minori di numero , prevalevano su’^plebei
ne’ comizj per centurie. » ' ' . •
XLVI. Stabilita da’ consoli questa legge con altre
leggi , fautrici ’anch’ esse , 'come ho detto , del popolo ;
ben tosto i tribuni credendo vénnto il tempo di vendi-
cami di Appio e de’ colleghi di' esso, pensarono d’ in-
timar loro il giudizio >e chiam'arveli non tutti insieme
perchè gli uni non giovassero gli altri ; ma l’ uno dopo
l’altro, su la idea di convioceryeli più facilmente. Ora
considerandu su chi prima incominciassero più a pro-
posito , deliberarono mettere in istato di accusa Appio ,
il più esoso al pqpolo per le oppressioni , e per le in-
degnità recenti contrò la vergine. Parea (oro che assi-
curatisi ''di questo , disporrebbono' facilmente pur degli
altri; laddove se cominoiassero dai men furti, parea loro
che l’ira de’ cilladtni , calda oe’ primi gludizj« s’inde-
bolirebbe, come spesso accadde, per giudicare in ultimo
i rei più segnalati. Deliberato ciò , sopravvegliarono i
rei ,(j) ordinando a Verginìo di accusare Appio', senza
, * ' t • •
|i) Cioè gli aliti DeceniTiri aùìaebè non soccorceMcto Appio.
Digilizet; by Coo^e
LIBRO XI. 369
nemmeno decidere colle sorti chi Io accusasse. Appio
dunque accusato da Yerginio nell’ adunanza fu citato al
giudizio del popolo , e chiese tempo per giustificarvisi.
£ siccome non si ammisero per v lui mélievadorì ; ■ fu
tratto in carcere per custodii^elo finché di lui si giu-
dicasse. Ma prima ' chu giùngesse il di prescritto pel
giudizio mori nella carcere , per opera come molfi so-
spettano de’ tribuni : ma secondo che divulgarono altri,
che li discolpano , egli, appiccò sé medesimo. Dopo lui
fu tradotio al popolo Spurio Oppio da Publio Numi-
torio altro tribuno : ma', dategli, le difese , vi fu con-
dannata a pienissimi voti : e portato in carcere fini nel
giorno stesso la vita. Gli altri decemviri pfima di essere
necessitati al giudizio , ■ condannarono sestessi all’ esilio.
1 questori incorporarono all’eràrto i beni degli uccisi e
degli esuli. Fu nommeno citato Marco Claudio quegli
che si accinse a tor via come schiava la donzella da
Icilio lo sposo : ma preiéstando i comandi di Appio fu
scampato da morte ^ e 'gettato' in esilio perpetuo. Gli
altri' ministri ^elle* ingrastizie 'dèi decemviri non .subi-'
irono giudizio pubblico ma diedesi a tutti la impunità.
Suggerì pari economìa Marco Duilh'o il tribuno per
essere ornai turbati i cittadini, e. timorosi di -essere fi-
nalinente anch’ essi giudicati.
XLyiI. Chetate le turbolenze interne', raccolto il
Senato, decretatio che esca immantinente T armata con*
tro , a’ nemici. Ratificato dal popolo il decreto del Se-
nato, Valerio l’uno de’ cònsoli , marciò eoa metà delle
schiere contro gli Equi e li Yolsci i quali miliuvano
' PtOSIGt , itmo III. .-
370 DELLE antichità’ ROMANE
insieme. (Consapevole però thè gli Equi , imbaldanzili
pe’ vantaggi- precedenti, elevavansi fino a sprecar gran-
demente la milizia romana , cercò renderli ancora più
temerari e vani con'^are di sé vista ingannevole,
pra de’ Romani r -ma dimostrando r cavalieri un ardor
sommo ottenne una segnalata vittoria , - nccisivi molti
nemici , imprigionativene pii^ ancora , e preso' i loro
alloggiamenti dereKtti. IvÙ trovò •molte provvigioni da
guerra, e tutta la preda già tolta, dal terchoi^'dé’'Ro-
mani : anzi' detenuti molti de’ suoi che liberò; non. es-
sendosi alTretlati i Sabini pel disprezzo che aveano del
nemico a riporre in sictirb 4anti loro vantaggi. 'Adunque
diede a’ soldati la roba nemica , preelcggeudone ciocché
era da offerire agl’ Iddii 1 ' ma ‘ rendette te prede a chi
n^era stato spogliato. ‘
XUX. Fatto ciò ricondusse 1’ eserdto in Roms ove
giunse)- contemporaneamente anche . Valerio : ambedue
sentivansi grandi per là vittoria , e' se ue auguravano
luminosi trioufi. Non però uiccedette cobi’ essi ne spe-
rayano .imperocché Raccoltosi il Senato' per essi 'dtie-
efae stavansi coli’ esercito sul campo -Marzo , ed esami-
natine'le gesta , non accordò loro il sagrifizio per 1»
vittoria : essendo oontrarìati da molti. , e da alcuni ma-
nifestamente , soprattutto da Cajo Claudio , zio come
scrissi di Appio, vuol dire del fondatore dei decemviri,
e tolto non ha guari di mezzo .da’ tribuni. Cajo ricor-
dava le leggi colle quali ajrean essi ‘ diminuita rautorilà
del Senato , e ricordava le altre maniere da essi tenute
perpetuamente ' nel gorernare : ricordava ‘ le morti o le
conCfohe'de’beni dc’decemviri, traditi da esu ài tribuni
37» DELLE ANTICPITA’ ROMANE
contro i patti ed i giuramenti essendosi in mezEO alle
vittime convendta tra’ patrizi e tra’ plebei la dimenti«
canza, e la impunità su tutto il passato. Protestava cbe
Appia non era caduto morto innanzi al giudizio di sua
mano , ma per malizia de’ tribuni : aflìncbè nell’ essere
giudicato non ottenesse nè difese , nè misericordia : co*
me polea ben ottenerle , se potatalo in giudizio metteva
ÌDuanzi al guardo la nobiltà della sua gente, e le molle
beoefìcenze di essa verso la repubblica ; se reclamava i
giuramenti e' la buona ^fede- su la quale gli uomini ri-
posano) e rendonsi a far pace; se veniva, co’ suoi figli»
co’ parenti., jn àbito di umiliazione ; in somma con -gli
altri modi pe’ quali uo popolo si disacerba , s’ intene-
risce, e perdona. '{fra tali rimproveri dati loro da Cajo
Claudio , e da altri presenti , fu coucluso , che si con-
tentassero i' due, di non pagarne le pene: del resto non
essere nemmeno in picciobssima parte d^gui del trionfo,
o ,di concessioni non dissìmili.
L. Valerio ed il coUega esclusi ^al trionfo ,' lenen-
dosene ofTcsìssimi , e sdegnandosene ; convocano il po-
polo , e vi accusano vivamente il Settato. .Peroravano
per loro i tribuni^ e proposero e ne ottennero dal po-
polo il trionfo: ed essi ..primi di tutti i Romani pro>
dussero tal cot^uetudine.* Dopo ciò rinacquero ‘i dissid),
e le incolpazioni tra’ patrizj f e tra’ plebei. Li tribuni
raccendeano questi ogni giorno concionandoti. Irriuyali
soprattutto il sospetto cbe li tribuui cercavano di cor-
roborare con romori incerti , e di amfdìare con divina-
zioni varie, come se li patriz) fossero per' )tnnienUre le
leggi stabilite dai consoli, Valerio e suo collega: c quel
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LIBRO ’XI. $7 3
lupetto ornai tanto prevaleva che degenerava la fede.
E tati sona gli eventi di qnel consolalo.
LI. Nell’ anno appresso foron consoli Laro Erminio, e
Tito Verginio (i). Snccederon loro Marco Geganio..>(a).
LH. Nè rispondondo essi, ma sdegnandosene; Scatùo
fecesi di nuovo innanzi e disse : ecco o cittadini che
si concede dai litiganti medesimi che essi pretumonb,
parte che a lor non compete f della noslrà campagna',
or voi considerando ciò decidete ciò che é giusto e
congruo co' giuramenti. Scattio cosi diceva : ma i con-
soli ardevano dalia vergogna in riflettere , che il giudi*
aio prenderebbe un ' termine . nè giusto , uè onorato , se’
il popolo il quale qiai non aveast attribuito ' la campagnar
disputata, ora, elettone giudice, se T attribuisse , con
toglierla ai litigami. Adunque ad iscansare èiò si ten-
nero dai consoli" e dai capi del Senato molli e molti
discorsi ; ma ihvauo. Impetocchè quelli' che aveano pi-
(i) Ando di Roma 3o7 fecondo Catone,, 3o3 fecondo Varrone ,
e 445 *v. Ctifio.
.-(a) E C. Giulio secondo che si ricava dà Livio. Net consolato
di Erminio e venissero
persuasi in contrario , annullerebbero alcuna delle rìso-
kizioni proprie.
LV.' In vista di .tali minacce .adunati gli Ottimati Ji
piu anziani e principali da' consoli a consiglio privato ,
ponderavano ciocché ''fosse da fare. Cajo Claudio come
U men popdiarc , ed erede degli antenati in tal genio
di procedere, inculcava ostinatissimo, che non si ce-
dessero al popolo né i consolati , nè altro magistrate
qualunque; e che senza riguardo di persona . privata o
pubblica si frenasse colle armi , se. non l'eodeasi per le
parole, chiunque tentasse il contrario. (mpero.cché chiun-
que tentava sommovere le patrie costumanze o discio-
gliere la forma primitiva del governo era non cittadino
ma nimico. Per 1’ opposito Tito Quinzio non voleva che
si reprintessero gli avversari colla violenza , .né si venisse
alle armi ed al sangue civile colla plebe: tanto più di-
ceva che. -noi abbiamo contrarj i tribuni , che i nostri
padri dichiararono sacri ed inviolabili;' facendo igenj e
gl' fddj mallevadori dell’ accordo con imprecatone gra-
vissima delia rovina loro e' de’ figli , se da indi in poi
lo avessero mai violato anche in parte.
LVI. Accosta vansi . a questo partito . ancor gli altri
chiamati a' congresso , quando. Claudio pigliando la pa-
rola disse : Non ignoi*o quaji Jòndamento pongasi di
mali, per tulli noi,, se^-concediamo che il popolo fac-
ciasi a volare su questa legge': ma non avendo cosa
pià farmi, nè come resistere a voi; che tanti siete ;
ahbattdonomi ' ai vostri consigli. Ben è giusto cJte
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LIBHOXI. . 377
ognun dica Ciò che sente deU util comune: ma poi
siegua ciò che i più ne conchiudono. Jar, eome esortasi
in c^fan che aggravano , nè si vogliono , vi esorterei
che non cedeste nè ora nè poscia il consolato a ninno,
se non ai patrtzj , i quali è giusta è pia cosa che lo
abbiano : ma qustndo come cd presente , siete alla n«-
cessità ridotti di far partecipi anche gli altri cittadini
del grado e del potere più grande ; vi dico che assu^
miate i tribuni militari in luogo de' consoli , defineie-
ione un numero { otto -o sèi forse, chè tanti credo
bastarne ) riel quale i patrizj e i plebei si pareggino.
Così Jrscendo nò renderete il córuolato magistratura di
uomini indegni ed abbietti •, oè parrete per voi f ohe
hricare un comando ingiusto , coll escluderne affatto
i plebei. Ed approvando tatti , senza reòlamt> niuno un
lai voto} udite soggiunse , .ciocché restami a dire a voi
consoli. Prefisso il giorno in cui^ stabiliate quel previo
decreto ^ e ciò che daf Senato si giudica , lasciale che
parlino su Ha legge chi la difende e chi C accusa. Fi~
mia la disputa , quando fio t ora d’ irttendeme i voti,
non. vogliate da me cominciare , non da, codesto Quirtr
zio , nè' da altro seniore ma dsU popolafissimo sena-
tore Lucio Valerio; interrogando appresso Orazio , se
punto vuol dire, Bicercate così le .loro .sentènze , or-
dinale che noi seniori diciamo. Jq sporrò liberissirrta-
mente il parer mio 'contrqrio ai tribuni ,• e fa questo
[ utile della repubblica. .Questo Tito Genuzio , se il
volete, dia la proposta su* tribuni militari. Parrà que-
sto il partilo più congruo e meno sospetto se proget-
tisi o Marco Genuzio- dal tuo fratello. I( consiglio sena-
l
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O'jS DELLE antichità’ ROMANE
brò giusto , e parlironsi' dU oiAigresso. T^merbuo i tri*
buui la secretissima aduuanza, come intenta a gran danno
de’ plebei , perché fatta in casa , _ non in pubblico , e
senz' .ammettervi alcuno de’ capi 'del popolo. Adunque
raccogliendo anch’ essi un consiglio di uomini , amantis*
simi- della plebe ^ idewono ript|ri e guardie contro le
iusidìe che aspeitavansi da’ patrizj.
. LVIL Giunto il tempo preacritlo per fare 'il previo
decreto , i consoli convocato il Senato , ed* esortatolo
grandemente al buon ordine ed alla concordia; invitarono,
prima di ogn’ altro j a parlare i tribuni deUik. plebe, i
quali propónevano la legge. Fe^i avanti Cajo Canule)o,
un di loro ; ma egli non che dimostrarla , bon mentovò
nemmeno la giustizia e la utilità della legge. Diceva c/te
si stupiva de consoli che avendo fra loro ponderato ù
deciso ' ciocché jsra da fare , ora quasi pi abbisognasi
sero consigli e decisioni , metteansì a proporlo ai Pa»
dri , e 'davano- facoltà di cBingaxyi con simulakione
non cbnvèniente nè alt età loro , r\è alla ' grandezza
del comando. Diceva che irttroducevan t esempio di
tristissime' pratiche , quando umvansi in casa et con-
gressi recondite, jtè vi chiamavano tutti i Senatori , ma
i soli favorevolissimi loro. E qui soggiungeva che poco
faceva^li meraviglia che fossero esclusi da^quel coa-
1 sigho edtri sonatori;, ma ^grandissima gliene ftcevache
'avessero tenuti indegni da invitarveli Marco Grazia,
e Lucio L aierio , qaell( che avetìno . tolto il Decemvi-
rotò, ambedue uomini consplari %nè idonei' -men di
chiunque a deliberare su la repubblica: lui non poter,
concludere appunto In cauta .di tal procedere ; indovi-
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LIBBO XI. . 379
nco iie però quest' unica: valé^ a direi cfie essendo essi
per allegare -disegni' ingiusti trovinosi alla piche, non
vollero, convocarvf persone di essa amantissime , per- '
chè sdegnate arti popolaresche ; numerando fin da principio, tutti i
|>ericoli venuti su Roma per colpa di quelli phe vole-
vano conU'ario governo; rilevando come l’odio versola
plebe crasi renduto dannoso a quanti lo ebbero; e lo-
dando amplìssimamente il popolo .come, autor principale
delia libertà e del comando delia repubblica; alfine ra-
gionate queste e simili cose , concluse non poter e^ser
libera quella città dalla quale tolgasi /’ eguaglianza z
e quindi sembrare a lui giusta, la legge la- qual vuole
che concorrano al consolalo/ tutti i Boinani purché siano
irreprensibili ne costumi e degni per le opere di lai
tanto onore : non essere però, quello il tempo oppor-
tuno da trattare legge siffatta in tanta turbolenza di
guerra per la repubblica. Pertanto consigliava, ai tri-
buni di permettere che si réclutassèro i soldati, e che
reclutati uscissero: ai consoli poi di pubblicare, appe-j
\
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V', i.iBHó xr.' '* 38 1
na detto buon alla guerra il previa decreto su la
legge: e si scrivessero e si corueruissero fin et allora
tali cose da ambe ’ie, parti. Ta^è fu la senteuza di Va-
lerio « e tale appresso- fu pur quella di Orazio invitato
il secoudo da*' consoli: non ^ però ne fu pari 1* affetto io
tutti gli astanti. Imperocché quelli, che voleaoo preclusa
la legge, ne udirono f!Ot> piacere la dilazione , non'peré
con piacere ne adirono éhe essa dovesse decretarsi dopo
la guerra: air opposito quelli che volevano che sì ac-
cattasse la legge dal Senato iotesero con trasporlo che
giusta si dichiarava : ma con isdegno intesero che se ne
ritardasse il decreto. ■ j >
LX. filato taraulto ('oom' è verisimile , perchè questa
sentenza non soddisfaceva in tutto ad ainhe le parti , il
console fattosi innanzi interrogò per il terzo Cajo Claudio
il quale sembrava ostinatissimo e/ potentinimo fra tutti
i primari della fazione opposta alla |>lebe. Costui tenne
un dùtcorso premeditato contro del popolo-, rilevando di
luì tutte le cose che gPien parevano contrarie a begli
usi della patria, fra lo scopo principale ove tendeva il
dir suo, che i consoli non pcoponessero al Senato l’^esar*
me di quella legge nè allora' - uè mai , ooine diretta a
distruggere il comando degli Ottimati, e confondere ogni
buon ordine. Cresciuto a tal dire il tumulto , sorse in-
vitato il quarto , Genuzio , fratello dell* a^tro con-
sole.-Costui j discorse breveménce le circostanze della città,
e come la cótnplicav^^no all* uno o all’ altro disastro , o
di far prosperare ^i nemici per la discordia e 1* ambiziojie
de’ citudinij e, di dare mal termine alla guerra interna
e domestica .|>er espedirsi dajl’ altra che le era portata
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38 2 DELLE A^ìTICHITA’ ROMANE
di fuori, disse, che essendo' due i maiì' ed essendo ne-
cessità d’ inwyrreme , loro mal grado,' l’^udo o Y altro ,
credeva coufacevole ai Padri lasciar che il popolo urtasse
alcune istituzioni proprie, anzi che rendere la patria Io
scherno di forestieri' e nemici^ E cosi dicendo" propose
la sentenza approvata nel congresso di ^elli che si erano
in casa riuniti , sentenza come io dichiarai suggerita da
Claudio , che si eleggessero ift luogo de' consoli i tri-
buni militari , tre de’ patrizj , e tre dd plebei , tutti
con' potestà superiore : chè quando -^nìrebbefo questi
il lor tempo, e si dovrebbero creare i nuovi magistra-
ti ; allora unitisi di bel nuovo il SerUUo ed il popolo
decidessero quali più voleano riassumesre al cornando li
tribuni militari o li consoli : che per valido si tenesse
quello che il voto comune destinerebbe: e che pari
decreto si rinovpsse ogni anno. ■ , ' '
LXI. Eu la opinion di Genuzto acclamata da tutti:
e gli altri che sorsero a sentenziar dopo lui -la tennero,
quasi tutti , per b migliore. ' Se ne stese dunque da'
consoli il decreto , ed i tribuni della plebe , pigliatolo ,
oe andarono , tripudiando, al' Foro. E convocatovi il
popolò, vi lodarono amplissimamente il Senato^ e vi di*
nunziaronoV cbe doncorresse pure a’ magistrati .‘insieme
co' patrizj chiunque il volea de* plebei. '.Se non- ohe il
desiderio senza cagione , Speciàlmemc' nel popolo ^ è per
sé" dori vano, e cori pronto ' a dar luogo arcOnirario ;
ohe quelli i quali facevano ogni prova per essere a parte '
del magistrato , risoluti se non concedeasi ciò da’ patrlz},
di abbandonare la patria come 1' avevano abbandonata
altra volta , o dì usurparselo colle armi , ottenutane ap*
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LIBRO XI. 383
pena la pertnissione , rattemperacono sestessi , e rivolsero
altrove i loro favori. E quantunque molti de’ plebei aspi-
rassero al militar tribunato, e" facessero per giungervi
insistenze caldissime ; non riputarbno alcuno degno del
grande onore.- Cosi quando vennesì al voti nominarono
al militar tribunato tra’ patria) che yi còneorrevano , Aulo
Sèmpronio Atratino^ Lucio Attilio Longo, e Tito delio
Sieelo. . ' ; . y ‘ ^ ■
i *
LXn. Questi assunsero i piWi qu^ grado in luogo
del consolare nell’ anno terzo della olimpiade ottante-
sima quarta essendo Di61o arconte in Atene (i): ma
ritenutolo settantatrè' giorni lo deposerq secondò gli usi
della patria’ spontan^atOébte ;• perché alquanti segni ce-
lesti vietavano loro il maneggio de’ pubblici affari. ' Le-
vatisi questi dal comando; il Senato- si raccolse, e no-
minò gr;ìn(errè. U quali prefìssero il tempo de’ comizj
e proposero; da risolvere al popolo se voleat rieleggere
li tribuni o li «008011 1 il popolo decise attenersi agl) nsi
primitivi; ed essi cont»derono che chiunque il volea de*
palrizj concorresse al consolato." Adunque si elessero di'
nuovo i' consoli’ dell’ ordin patriuo , e fuf'onò' Lucio
Papirio Mugiliano , e Lucio Sempronio Atratino , fratello
di uti de* tribuni che s’ eran dimessi. Dond* è che furono
in -fiLoma tu un anno stesso due magistrature supreme.
Non però comparisce 1’ una e l’ altra magistratut^ in tutù
gli annali Romani : ma in alcuni trova'nsi i 'soli tribuni,
(i) Aodo di Roma 3ii $ècon{lo Catone, 3ia secondo Varronc ,
e 44* ^v. Ccisle. Tilo Livio dice cbv i tribuni militari entrarono
maghtraii sul termidare dall* anno 3io , e perciò toccarono anche
l’inno 3 11.
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384 DELLE Antichità’ romane
ÌD altri i consoli soli , osservandosi in non molti T .una
e r altra. Noi ci atteniamo agli ultimi nè senza ragione,
affidandoci alla testimonianza de' libri sacri «'recònditi.
Sotto, questi consoli nou occorse altra cosa civile o mi-
litare degna di ricordanza; fecesi però trattato di ami-
cizia e di alleanza colla cidi degli Ardeali , peroccliè
spedirono ambasciadori , pe* qliali , lasciate le querimonie
intorno la campagna , dimandarono di essere gli amici
e gli alleati de’ Romani. I consoli ratificarono questo
trattato.
LXIII. 11 popolo confermò co' suoi voti che si cf'eas*
s^ i consoli anche per 1’ anqo seguente ; e nel. pleni-
lunio di Dicembre presero il consolato Marco. Geganio
Macerinó per la secotula volta , e Tito Quinzio Capi-
tolino per la quinta (i). Questi rimostrarono
mentre i più inutili e più svergognati eran fuori ài ogni
registro, e cangiavano luogo con luogo affine di viverci
come loro piaceva. ,
i.
(i) Addo di Roma 3ia se'coado Catone, 3i3 seeuado, Yatione ,
41» ar. Cristo.
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SUPPLEMENTI E FRAMMENTI
DEI NOVE LIBRI PERDUTI
DELLE ANTICHITÀ ROMANE
DI
DIONIGI DI ALICARNASSO.
DZONlGt, fmo Ut.
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387
IL TRADUTTORE
AI LETTORI.
U tomai dì AUcartiosso scrìsse le Antichità Ro-
mane dalie orìgini di Roma fino alla prima guerra
Punica in venti libri estesissimamente , e di questi,
poi diede un compendio in cinque libri come fu già
detto nella prefazione al tomo primo. De' venti libri
perirono qualche parte deW undecimo , e tutti i nove
ultimi , salvo alcuni frammenti pubblicati più volle
e ridotti in fine secondo P ordine de' tempi in ciò
che narrano. ’
Avendo io trasportato nel nostro idioma gli undici
primi libri, e li frammenti già noti de' rimónéitti, fu
tutto dato in luce U anno ii5ia per Fìncenm Pog-
gioli, editore in Roma della Collana Greca tradotta
in Italiano. Quattro anni appresso però , cioè nel
1816, apparve in Milano una stampa Grecolatina
della quale il titolo latino è: DiONTsii Halicarnassei
RomaDarum AntiquitaUim pars hactenus desiderata nunc
denique ope codicum Ambrostanorum ab Angelo MaJO
Ambrosiani Coliegii doctore , quantam licuit , restitala.
Quella stampa comprende gli antichi frammenti dei
nove libri smarriti, e parti riguardevoli derivate dal
compendio, collocate prima c dopo di essi frammenti
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388
per ordinare un tutto il quale dia compenso e lume
di ciò che erano i nove libri perduti di Dionigi.
Jn questo letterario ordinamento ci si dà ciò che
si è trovato , e non sopra. Del resto la versione la-
tina è precisa , corrispondente , elegante , buona ,
anzi molto : te note opportune , nè vi si desidera di-
ligenza : e ciò basti su quell’ opera.
Considerando come i frammenti veri de’ nove libri
presentati di nuovo in quella stampa erano già vol-
garizzati , C editore in Roma della Collana Greca
tradotta, cercò più volte di avere anche il volgare di
que’ supplementi raccolti come si potè dalla Epitome
o Compendio di Dionigi: ed uUirnumente vi aggiunse
pur le sue premure il nuovo editore in Milano della
Collana' Greca , presa la occasione dal valersi egli
ancora della mia traduzione. Su tali istanze ho con-
segnato il volgare di que’ Supplementi ordinato coi
vecchi frammenti appunto come si ha nel testo Gre-
colatino. E ciò è quanto basta a dar luce alla giunta
seguente.
Roma aa. Settembre i8a3.
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V
389
DELLE ^
ANTICHITÀ ROMANE
DI > . • ‘
DIONIGI ALICARNASSEO
LIB^lO. DUODECIMO. •
SDPPLEMENTI (i).
i • £jglI avendo radtinato Intorno a sé uomini di
ogni reo genio, li nudrìva, quasi fiere, contro la patria.
(i) Suppiementi. Cos\ li chiamo per dittiogaerli dai Frammenti.
Qnetti tono parti vere^ dei libp perduti f gli altri tono parti deri-
Tite dal compendio de’ Tenti libri delie anpchilà di Dionigi troraio
in Milano ueil’ Ambr*>a°a io due dodici, l'nno intitolato: Di Dio-
nigi di jilicarnatto Archeologo Romano t l’altro: Dionigi di Ali—
tarna$$o Archeologo dplle cote Romane. E chiaro che questo titolo
i dato da altri. Li supplementi avran sempre doe TÌrgole in prin-
cipio ed in fine dei paragrafi per dùtiognerli dai frammenti.,
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390 DELLE antichità’ ROMANE
Tuttavia se ascoltava me , se confofmavast alle leggi ,
egli faceva un gran colpo per la difesa , dando segno
non piccolo di non aver cospirato. Ma sbattuto dalla
sua cosdenza si ridusse dove quelli si riducono, i quali
siegnono scellerati disegni contro dei loro più congiunti;
deliberò di non presentarsi al giudizio ; e respinse a
colpi di mannaja li cavalieri spediti su lui (i) .... li
suolo -della sua casa i Romani Io chiamano equimelio:
conciossiacbè equo è detto da loro , ciò cbc non ha
prominenze. Cosi il luogo soprannominato Mclio in
principio fu di poi detto Equimelio alterandosi i dne
nómi in un solo (2) ».
II. « Guerreggiando i Tirreni , i Fidenati , e li Ve-
jenti co’ Romani (3j , « Laro Tolumuio re de’ Tirreni
segnalandovisi spaventosamente ; un* tribuno romano ,
Aulo Cornelio cognominato Cosso, spronò il cavallo su
lui. F attisi a combattere già moveano ai colpi le aste ;
quando Tolumnio feri nel petto il cavallo dell’ emulo ,
talché il cavallo ne infuria e lo atterra. Ma Cornelio
internando I’ asta per lo scudo e 1’ usbergo nel fianco
di Tolumnio rovesciò pur lui da cavallo. Ben sorgea
questi ancora , quando fu colto nell' anguinaja. Con ciò
Cosso Io ucdsc e lo ' spogliò , non solo respingendo
quanti accorrevano fanti e cavalieri , ma disanimando e
t .
(1) Qo«sla h parte òel discorso di Cineinnato sa Spn^o Melio
Deciso come reo di ambita lirannido.
(a) La occisione di Spurio Melio co4) corre con l’anno 3r5. II
libro XI di Dionigi non eccede 1* anno Sia. Pertanto cib ebe manca
a dar conliuna la storia delle Àniichiià Romane con quella del Coca-
pendio b la serie dei fatti dell’ anno 3i2 e dell! due sdenti.
(3) Anno di Roma 3i^. •
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• LIBRO XII. ' 391
impaurando quanti erano alle mani neN' uno e nell* al-
tro cornò »•
IH. « Essendo* consoli' ntiovamenie Aulo Gjmelio
Cosso, e Tito Qtrinzio (i) ; penuriò la terra per gran
siccità; mancando non che le pio^e, fin le acque nelle
sorgenti. Donde nniversaie fa lo scapito 'di pecore, di
giumenti , di bovi : e moitè -fra gli uomini le. malattie ,
quella principalmente che scabbia à detta, assai molesta
per lo rosore nella cute , c più Rtolesta ancora se inni-
ceravasi : infermità miserabile in vero , e cagione solle-
citissima di rovina ».
IV. .... « Mal sembrava a’ primarj del Senato ad-
dimesticare il popolo alla pace e prolungargliene la cal-
ma , sul riflesso che per la pace si schiudono in città ,
vizj , piaceri , e sedizioni , e solean queste prorompere
ad ogni occasione , difficili nè interrotte , appena si lo-
gliean le guerre di fuori .... E meglio superar 1* ini-
tnico beneficando , che punendo : imperocché di là sie*
gue se ' hon altro , almeno la speranza loro più dolce
sopra de’ Numi
V. . . a Appena conobbe che i nemid Io assali-
vano alle spalle , chioso com’ era per ogn’ intorno da,
essif disperò di retrocedere. Egli tenea grave sul cuore
che nel pericolo comune , essi pochi contro de' molti ,
essi gravati dalie arme conira milizie leggere perireb-
bero turpissimamente senza dar segno di opera generosa.
Adunque vista un’ allora conveniente nè lontana destinò
di occuparla »
VI. « Agrippa Menenio, e Publio Lucrezio e Servio
(3) Anno di Roma 3i6.
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' 392 DELLE Antichità’ romane
Nauzio tra gli ODorì di tribuai militari scopersero and
insurrezione di servi destinata coaUx>'di Roma (1). Di-
segnavano i congiurati dar fuoco tra la notte in un
tempo a più case in più luoghi, e quando vedeano gli
altri intenti a reprima. 1* incendio , allora invaderne il
Campidoglio, ed altre parti munite, e quindi provocare
ad esser liberi lutti gii altri Servi, e. con essi ucciderne
i padrom', onde averae le mogli e li, beni. Manifestatasi
la prauca , i capi di essa furono presi , battuti , e cro-
ciassi : e que’ due servi che la manifestarono, ottennero
essi la libertà veramente , e miUe (2) dramme a testa
dal pubblico erario a. . ' . ,
VII. Adoperavasi il tribuno romano a compiere la
guerra iu pochi giorni, come lui che credea facilissimo,
e quasi posto nelle sue mani , sottomettere còn una
batuglia i nemici. Per contrario.Jl comandante nemico
apprendendo la perizia de’ Romani tra le armi , e . la
costanza ne’ pericoli , non avea cara una battaglia in
campo aperto con pari circostanze; ma Uaeva la guerra
tra le arti e 1* inganno , aspettandone chq gli si pre-
sentasse un vantaggio (3) . . . . ferito e morto venuto
appena ». , ,
Vili. « In quest’anno fu l’ inverno rigidissimo, in
Roma (4) , tanto che dove la neve caduta era meno ,
( i) .tnno di Roma 335. ^
(a) Il mille mauca oel lesto. È presso a pòco il nomerò pbe dee
supplirai consideralo ciò che se ne ha presso di Livio lib. 4, o. aS.
(3) Questo racconto consente per qualche modo con ciò che
narra Livio net capo 4^ del libro quarto , intorno la disfalla dei
Romani contro degli Equi. ' r ^
(4) Anno di Rema 355.
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LIBRO XII. 393
ivi era alta li sette piedi (1). Vi perirono alquanti uo-
mini, e molte greggi, ed altro bestiame non poco, so-
praffatto dal gelo o dalla fame per mancanza de’pasccdi.
Le arbori firuuifere inusitate alle grandi nevi o perirono
in tutto, o seccate ne’ tempo in tali regioni alquanto più
boreali del mezzo , seguendo il circolo parallelo il qual
viene per 1’ Ellesponto sopra di Atene. Allora, per la
prima ed unica volta 1’ ambiente di questa regione si
allontanò dalla sua temperatura fa) a.
IX. « I Romani fecero le feste dette letxistermi nel-
r idioma, dei luog.o. Or furono ammoniti a tanto pe’ li-
bri Sibillini: giacché gli astrinse a consultarne l’ oracolo
nn morbo pestilenziale mandato loro da' Nomi , nè sa-
nabile'per cura umana. Adunque acconciarono, come
voiea r oracolo tre ietti , T uno ad Apollo e Latona ,
r altro ad Ercole e Diana , ed il terzo a Vulcano e
Nettuno. Fot per,s?'tte giorni fecero pubblici sagrifizj ,
come pur fecero, ciascuno secondo le forze sue, private
offerté ai Numi , e conviti sontuosi ed accoglienze di
forestieri (3) ».
« ^ ,
I
I '
(1) Livio raeconu I. ▼, c. i3 cb« il Tevere non pelea navigard.
(3) Questo fraocbiaaiUko tcnvere & desiderare le cautele dell’aa-
tore dei veoli . libri delle Aulichità Aooiaae. Le muiasioai anche
rarieeime dcll'elmosfera ooa perché non sono scriue pel tempo paa-
laio , può concludersi che non avvenissero mai piò .
(3j Livio parla di ul festa nel lib. t , 0. i3 , la dice occorsa
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3p4 DELLE ANTICHITÀ,’ ROMANE
X« « Pìsone il censore fa negli annaK suoi quest’ag>
giunta : cioè , che sebbene fossero sciolti tutti i servi ^
tenuti io ferri dai padroni , sebbene Roma si empisse
di forestieri , ' e sebbene ’si tenessero dì e notte spalan*
cate le case, penetrandovi chi volea,-senz* ostacolo ; pur
ninno si dolse che avessene furio , nè oltraggio ; quan«
tnnque i giorni festivi sogliano per 'le brìachesze dar
largo il campo a disordini ed ingiustizie
XI. «r Stando i Romani all’ assedio di Vejo (i) sul
nascere delia canicola quando gli stagni diminuisconsi e
tutti li fiumi all’ infuori ' dell’ Egizio {filo (a) , il . lago
de’ monti Albani, distante non meno di quindici miglia
da Roma, presso al quale fu già la città madre de’Ro*
' mani , crebbe senza piogge , senza nevi , e senz’ altre
apparenti cagioni , per le sole inteMe sue fonti' a tal
dismisura , che 'inondò buon tratto delle adiacenze con
molte case di agricokorì. E finalmente aprendosi a forza
, il passo tra- monti si versò con terribile sbocco ne’ campi
sottoposti , ■ '
Della estate contagiosa, la qual s^cedcltc all' inverao rigidissimo
descritto diantì.
(i) Addo di Roma 356.
(a) Aie infuori delV Egitto Nilo- Questa cceetione , &t cono-
scere, parmi, che l’autore'del compendio non i Dionigi. Imperoc-
ché egli nato in Alicamasso città dell’ Asia , e già spettante al re-
gno di Persia , come tatto il corso dell' Eufrate , non poterà , e
certo non dorerà ignorare in tanta naturai tua diligenia che P Eu-
frate anch* esso nel luglio assai' cresce e trabbocca , come si legge
in Arriano iibro ni, par. ao, greco per esso, e scrittore delle gesta
di Alessandro. Lo stesso Arriano scrire nel lib. r, paragr.7 secondo
la nostra tradusione, che anche i fiumi Indiani nell’estate ingrossano
fuor di modo e neU’inrerno scemano.
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LIBRO XII. 395
XII. • Vedalo ciò li Romaai , da princìpio , (jQast
10 sdegno del cielo minacciasse Roma, decretarono pia*
care con sagrifizj i Nomi ed i Genj del luogo , con-
saltandovene pur gl’ indovini , se ne eressero mai co$a
da significare: .Se non che né il Iago ripigliava l'ordine
SQO, nè gTinterpetri sapean dirne a proposito, ma sng~
gerirono che si mandasse per intenderne P oracolo in
Delfo ». '
XIIL « Intanto un di Vejo perito, per Ipmc avutone
da’ maggiori, dell' arte divinatoria di' qne* luoghi, sfavasi
per avventura in gnardiè'deNe mura/ Era cosini noto
ad un centurione romano. E • quél centurione venato
una volta presso le mura lo salutò come usava ; aggiu-
gnendogli di commiserare Ini come tutti i suoi pe’mali
imminenti nella espugnazione dellai cittè.'Per l’opposito
11 Tirreno, il qual già sapeva In inóndàziooe del lago
Albano, e sapeva gli antichi oracoli intorno di questa ,
replicò , sorridendo , guanto é bene conoscere t ot'tv-
nt're. Voi per non conoscerne sostenete una guerra
senza fine , e travagli irriuscibili , disegnandovi la
distruzione di Vejo. Se alcuno vi rivelasse portare il
destino di questa città che allora sia presa , quandó
U lago Albano impoverendo nelle acque sue , non
più si mescoli al mare, cessereste di tenere voi nella
fatica, e noi tra le molestie. Assai ne impensierì ciò
udendo il romano , e parti ».
XIV. « Nel giorno appresso il romano , comunica-
tone il disegno co’ tribuni', rivenne allo stesso luogo ,
ma senza le armi , onde il Tirreno non sospettasse af-
fatto d’ insidie. Ripigliò I’ usato saluto , e poi disse in-
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396
DELLE antichità’ ROMANE
nanzi tutto l’ incertezza la quale agitava il campo de!
Romani , e cose altrettali da rallegrarne , com’ egli cre-
deva , il Tirreno. Poi chiedealo spositore di alquanti
segni e portenti occorsi di recente ai tribuni. Gnidi-
scese colui ' niente sospettando d’ inganni. E fatto ritirare
gli altri i quali erano con 'lui si mise egli solo col .cen-
turione : £ questi U passo a passo lo allontanò dalle
mura con discorsi diretti a deluderlo ; Or come fu
presso alle muniuoni romane. lo abbracciò con ambe le
mani , e sei portò negli alloggiamenti ».
XV. B Quivi i tribuni or lusihgando or minacciando
lo ridussero a dire quanto celava sul lago Albano , e
poi lo mandarono al Senato. Non parvene u tutti i pa-
dri in un modo : e chi tenea costui per pno scaltro ^
per un impostore, per uno che mente su gli oracoli
de’ Numi, e chi dicea lui parlare a punto il vero ».
XVI. « Fluttuando fra tali incertezze H Senato, ecco
i deputati - al Nome in Delfo riportarne (i) le divine
risposte, concordi a quelle, date già dal Tirreno: vncd
dire che gli Dei e li Genj li quali aveano in sorte la
città di Vejo promettevano mantenervi costante la pro-
sperità trasmessavi dagli antenati finché le acque sor-
genti del lago Albano ne Uaboocassero e corressero al
mare : Ma quando quelle acque , .mutata la fonte e il
corso antico , deviassero altrpve , nè più si mescolassero
al mare, allora pur Vejo ne andrebbe sossopra. Parve
che potesse pianto ottenersi da’. Romàni , se scavando
delle fosse intorno al lago V* incanalavano l’ acque le
quali sboccavano, dirìgendole in campi lontani dal mare.
• (i) AjBno di Homa 357*
»
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L^O XII.
397
G>DOsc!ato ciò li Romaai bentosto misero gli operaj su
r intento »,
XVIL w Rendutine i Vejenti consapevoli per nn pri*
gioniero, deliberarono spedire a chi li assediava, a fine
di toglier la guerra innanzi ch^ la città soccombesse: e
scelsero de’ seniori per deputati. Rigettata dal Senato la
pace , lasciavano questi , taciuirni , la curia : quando il
più Cospicuo fra loro e più famoso nel divinare , fer-
matosene alla porta e girato lo sguardo su tutti se-
natori disse: bel decreto v avete voi fatto o Romani!
e degno di voi U quali cercate dominare per tutto
intorbo , quando ricusate aver suddita una città nè
piccola nè ignobile la qual depone le armi e si ren-
de, e destinata abbatterla da’ fondamenti senza te-
meme^t ira de'^Numiy nè la vendetta degli uomini.
Or ne verrà per questo su voi la giustizia punitriea
de’ Numi con pari vicenda ; Voi che spogliate li Ve-
jenti di patria , voi , tra non molto perderete la vo-
stra (i) ».
XVIII. « Prendendosi (a) dopo breve tempo Yejo,
taluni de’ cittadini ne andarono, e stettero da valebtno-
mini contro a’ nemici , e ne uccisero e furono uccisù:
altri diedero a sé stessi la morte: ma quanti per co
dardia , e bassezza di spirito risguardavano ogni altro
successo come più mite della morte , abbandonarono le
armi e sè stessi al inncitore ».
(i) Anche Cicerone nel lib. r, c. 44 èe Natura Deoram fa men-
xione di quella ambasceria , e dell'annunxio del castigo, succeduto,
^oni’ egli scrive , sei auui dopo la presa di Vejo, col piombare dei
Galli su Roma.
(3) Anno di Roma 35K.
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398
DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE
XIX. « GatniUo sotto la dittatitra del quale Ve)o fu
presa , stando co’ Romani pili insigni su luogo elevato
donde tutta quella città si scopriva, prknieramente fèli-
qitava té stesso^della' Iiella avventura con che gli era
accaduto di espugnare e senza gran costo una città
grande e prosperosa , - la quale erà parte , uè gii la
più ignobile 'della Etmria , allora fiorentissima , e po-
tentissvna tra' popoli dell’ Italia , e la quale avea dispu-
tato |1 principato ai Romani con guerre moltiplicate per
dieci generazioni (i) con cimentarsi alfine a tutti i mali
tra r assedio non interrotto di nove, anni (a) ».
XX. a Di poi ponsiderando per qual lievissimo bil-
lico trascende la sorte umana , e come nino bene tien
fermezza , alzò le mani , sopplichevole ' a Giove e agK
altri Nomi, perchè tanta felicilà non chiamasse l’invidia
su lui principalmente , nè su la patria : e se per Con-
trario pubblici disastri pendeano su Roma, o privati sa
lui, almen fossero questi i più lievi e più tollerabili ».
XXI. « Non minore di Roma per gli cdificj , godea
Vejo terreni ■ ampj , d’ assai frutto , dove piani , e dove
montuosi in aere purissimo e salutevolissimo, senza pa-
ludi vicine , dalle quali sorgono aliti gravi ed ingrati ,
e senza ninn fiume il qual dia troppe fredde le. aure
del mattino: nè scarse vi son Tacque (3), nè condot-
ti) Ciok per circa irecento anni asjegaaado treni' anni ad ogni
generaaione; Imptroccbè Vejo cominciò tali tae gaerre con Romolo:
poco prima della aua morte, e loocomM l’anno 358 di Roma.
(3) Livio ed aliti dicono durato quello asi^io dieci anni : vuol
diro nove furono gli anni' interi ciocché scrive I’ autore dell’ Epi«
tome , ma non intero fu 1’ ultimo.
(3) Dionigi nel paragr. i5 del libro iz scrive che non lungi da
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, , LIMO xil; 399
levi altronde , ma vi scatnrtacono copiose • nommeoo ,
ohe bouissime a beverne a. ■ *
XXII. «'Dicono, che quando Enea 'figlio di Anchise
e di Venere approdò nell' Italia volesse, far sagrìfizio ad
un. tale de’ Numi ; e che fatte già le preghiere , stando
ornai per operare su la vittima apparecchiata , mirasse
venir da lontano tm greco, Ulisse forse quando fu per
r oracolo di Avemo , o Diomede quando si recò per
soccorso di Danno. E dicono che disgustato Enea del-
l’incontro, tenesse come inaugurata la vista dell’ inimico
tra le sante cose, e che volendo respingerla si bendasse
e volgesse altrove ; finché dopo la sparizione di colui
lavatesi di nuovo le ^ mani fece il sagrìfizio: e siccome
vi si rendè fàusta ogni cosa , e^U ne fu dilettato per
.'nodo da custodihie di poi nelle sante cose la cerimo-
nia; conservandola per ciò li posteri di Ini quasi legge
dei sacro ministero ».
XXUI. « In conformità de’ patrii riti , fatta la sup-
plica Camillo ancora si trasse in sul capo il manto , e
volea rivoltarsi. Ma travoltoglisi ciò che avea di sotto a
piedi , nè potendosene rattenere , ne andò supino a
terra. Or questo rovescio , indizio che egli di necessità
cadrebbe per una miseranda caduta , questo rovescio
fàcilissimo da intenderlo senza calcoli e divinazioni, an-
Vejo è il fiume Cremerà, e che da questo fiume fu denomioaio
Cremerà il caetello edificato da Romani contro di Vejo. Qui ai
•crÌT» che non vi è niun fiume il ^oalc dia troppo fredde le aure
del mattino : che anche senza fiume vi abbondano le acque. Questo
esservi e non esservi un fiume & concepire che lo scritture del com'.^
pendio non è Dionigi.
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4oO DELLE ANTICHITÀ.’ ROMANE LIBRO XIlJ
che da’ meoo periti , questo egli ■ noi pensò degno da
guardarsene e da espiarsene f ma lo ridusse tale da.
consolarsene come se li Numi avessero ‘esaudito le pre
glie pii\ illustri a' quali esso era maestro di. lettere, li
\ » *
' • t *
(i) Narrano che Dionigi divise il suo campcndie in cinque libri.
Ambedue li codici trovati del compendio delle aiilicbilà non hanno
0 non ritenpoiio indiaio ninno della distinsiooa in libii.
(a) Aaoo di' Roma 36o
BfOHlGI, urna III. j ,S
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4o2 delle Antichità’ romàne
cavò fuori delie porte come per passeggiare dinanzi le
mura , e far loro visibile il campo romano. Poi sionla*
nandoli poco a poco dalla città , li ridusse presso le
guardie Romane:^ queste accorsero; ed egli cedè sé stesso,
e gii altri. Menato a Camillo disse , che da gran tempo
egli volea rendere la città de’ Romani : ma non avendo
in sua balla nè la fortezza , nè le porte , nè le armi , si
argomentò di mettere nelle mani di lui li 6gli ^e’dtta^
dini primarj , consideràndo cbe necessiterebbe li padri ,
solleciti di salvarli , a dar la città quanto prima ai Ro-
mani. E cosi diceva, immaginandosene maravigliòsi pre^
mj pel tradimento, a
II. « Camillo , dati da custodire . il maestro e (i fan-
ciulli, scrisse al Senato il successo, chiedendone cièche
fosse da fare. ■ Lasciatogli dal Senato di lÀrne il lueglio
che a lui ne paresse , egli cavò dagli alloggiamenti' il
maestro e li fanciulli, e fece alzare* il suo tribunale non
lungi dalle porte , presentandosi immensa la folla su le
mura , e dalle porte. Quindi primieramente distinse ai
Falisci quanto il maestro fosse stato ardito di olTeuderli.
Appresso ordinò che i servi gli traesscr la veste , e lo
canninasser ben bene colle sferzate ; e quando tal pena
gli parve bastare ^ .allóra ‘diè delle' verghe ai fanciulli ,
e fece che sèi menassero innanzi alla città, legato colle
mani al t&rgo, battendolo e malmenandolo per ogni ma-
niera. I Falisci ricuperalo i fanciulli, e punito il maestro
in proporzione del suo malfare , sottomisero la patria a
Camillo. «' , I ' . ,
-• , ^ - , f »
III. n Lo stesso Camillo nella spedizione su Vejo (i)
(i) Anno di Homa 36o.
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' ' LIBRO XII.
lece volo a Giunone^ 'Dea sovrana del luogo, di collocarle
se prendea Yejo , la statua iu Roma', istitoendoveue
insiemé cpito magnidco. Pertanto dopo espugnalo Vejo,
man^ò de’ cavalieri più rìguardevoli a prendere dalla sua
sede it simulacro. Appena gl’ inviati vennero al tempio,
r uno (K loro sia. p^erilmeitte e per beflTarsene , sia per
fame l’augurio, addimandò la Dea se voleva tra^mn
grarsi a Roma , e colèi soggronsè volere con chiarissima
voce della statua ; e due volte lo aggiunse. Impérocchè
non potendo que’ giovani peiiuadersi che la statua fosse
quella che «vea parlato , replicarono la dimanda , e ne
adirono un* altra volta la voce stessa (i). »
IV. «'Tra il comando de’ consoli dopo Camillo pro-
ruppe in Roma un morbo contagioso , apparecchiato dal
non piovere e dall' anura estrema. Afflitti con 4:iò git'
albereti e li senànati porsero frutti pochi, e nocevoli' agli
uomini , e pascoli scarsi e malsani ai bestiami. Odd’ è
che ■ il male consuase pecore e giumenti senta numero
non sedo per . • quantunque non igno-
rassero che U multa eccedèVa non poco gli averi di ]ui:
ma ciò vollero perchè messo ' in fcavcere scapitasse nella
riputazione chi tanta ne avea per 'hobitissiole guerre ,
amministrate per^ eecellenia. Li ‘congiunti e li clienti ac-
cozzarono e diedero la son^ma- richiesta afBnchè egli
non soggiacesse a vilipendj ; ma H valentnonio riputando
intollerabile la ingiuria., abbandonò (a patriq. »
VI. « Nel giungere alle porte fra gli astanti • addo*
lorati e piangenti per la perdita che farebboho, bagnò
di largo pianto anch'esso il senAbiante, -e lamentò la in-
famia in che era mesio dicendo : > ^ Adunque disperando i barbari prendere
la fortezza per inganno o di furto-, si diedero a trattare
del prezzo , cui dato , i Romani riavessero la cittù. »
XIIL a Dopò giurati gli accordi; i Romani portarono
r oro , e Vckiticinqae talenti era la somiina'.la quale' do-
veano ricevere i Galli. Disposta la bilancia ècco il Gàllp
imporvi un peso maggiore deKgiusto: se ne querelarono
i Romani : ma. il nemicò- tanto fu alieno dal rettificarlo,
che lo aopmccaricò delia sua spada, levatosela dal cinta
E chiedendo il questore che volea mai significate quel
fatto ; rispose , ^ubt pò vinti. E poi che il peso ivi po-
sto, ampliato com’ era-, non si pareggiava , anzi mancava
un terzo' di tanto , i Romani si ritirarono chiesto tempo
da raccoglier l’ intero. Sosteneano tanta insolenza ignari
delle cose operate ] come al>biàm detto , in campo dpe il 'corpo ad un tempo e lo spirito; converseodola
oibei Uòndi nasposto^ma palesemente. Addolorato Arante
per lo distacco della donzella non più reggeva alia in-
giuria-, cbe ne avea da- ambedue : né potendo pigliarne
Vendetta si mise' ad -ùn viaggio sótto .vista di liegoziare.
Udì con trasporto il giovine lo andare , dandogli ciò che
era l^sogao ai goadàgiii,' e T altro poftò, nelle Gallie molli
earri eoa Q^i di vinoV di olio ^ e 'tnollr.'ata ceste >di
fichi, a ' r ‘ .
a I Galli di quel di' non conoseeano il vino
delle, vili, nè 1’ olio-, quale fi'a-uoi 1q danno ie olive:
ma.teneano vin d’orab, festnefatato in acqqà , ó foglia-
me. tetro all* odore , usando per olio ^assi vecebj di
porco , ingrati a odorarne e gustarné/> CoiQe provarono
frutti non prima gustati ne presero dilatto masaviglioso,
iuierrogaodo il forestiere , dove e come ciascuno di questi
si generasse, n -'t ■
XVII. « E. colai replica*, the.'iimpìa e buona è la
terra che li produci , è questa posseduta da uomini ,
pochi di numero: uè punto. migliori delle Jìemraine in
far guen'a. Suggeriva; ,chc'non ricevessero più 'tali cose
dagli altri ad on péezzq, ma cacciassero i possessori an-
tichi, e se le appropriassero. ( i ). Mossi da quel dire ven
mi. Ma i 'GaRii ne misero in fuga la molhtudine , ed
occuparono tutta Róma , salvo il Campidoglio.
v Con c'ò gran eommrrcio praesdente. Cioachè non ti accorda con
la DoTÌlà deacriiia .dei prodotti recati da Aruoti nelle Gallif. Won
a facile a connidemi ube una natione ai ecciti e commo^a a tfa-
tmtgrare pa’ racpooti dì un aTTeuttrriero. Livio tcrive Iv 5. i4>
.Eoa ( Gallt ) ^lu oppufinavtrunt CUuiunì . non fuh$t qui primi alpet
trantUrint^ latù óonstat. 0uel .aarii eo/iitat impoHa Alt lai «ni-
diaione era comune in Roma a'iAreno Ira! leueraii 'oi t,empi di Livio,
che sod (joelli di Augatcn ,, .nel cui regno^^ anche Dionigi vino, io
Roma luogo tempo. Panai duiiqae da coocluderbe che lo scritto ai
risente di alquanto nosiooi te 'quali .uoo erano del diligentissimo aa-
tore della aiilicbità : ciot questo- tjompoodio k di t>n greco il quale
non essendo £>rao vivulo nell* Italia , S compendiando Dionigi , 'vi
lasciava conoscere la vena dell* ingrfpio ano non ai para quanto quella
di Dionigi. ■ ; ' s *
(t) Anno di Roma. 551. * ' • •' . ‘ '
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DELLE ’, •! '•
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■ ANTICHITÀ ROMANE -
DIONIGI ALIGARNASSEO
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, • rodar(7ao, nel lesto edeltan, donde celtico
e poi ceillca, , ,
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4i3 delle Antichità.’ romane
dopo V incendio generò dal ceppo un tirgnlto , come dì
Un cubito , volendo gli Dei manifestare ^e ben presto
la' città , ricreando se stessa, darebbe germi novi in vece
degli antichi. » '
y. H Anche in ‘Roma il picciolo tempio di Marte in
cima al- Palatino , 'i Romani pensano' chò debbasi operare
ben alirimen)Ì debbasi a’ vecchj
benefìzi sagrificare la coliéra per gli oltraggi recenti.
IXt -Cerltmenle della Romana grandezza ben. fu me-
raviglioso. quel ^axto, che non malmenarono, pia lascia-
rono ille^ tjttti i Tuscolani ‘^u^ntuòque colpevoli f tna
più meraviglioso ancora fu quanto eòncedesouo ad essi
dopo* il perdono (3). Imperocché fattisi % provvedere che
non .saccedesse più nòlla di Simile., nella loro città , né
più ci avessero alcuni comodità di far cose nuove , non
conclusero già di mettervi guarnigione nella fortezza , nè
(l'I Anno di Roma }-4- , ^
(a) Questo e li tre seguenti paragrafi sono fratOmeaii dei venti libri
delle autichltà Romane acUtte da bioaigt e àul'' dal Gomptndjo ;
aono picciolo parti dèli’ opera vara' e noi»* parti* derivata altronde
per supplirla, il tasto grec» e-la tradaàioqe latina ai ara atampata
più volte. Li framosenti ai dislingtsuao dal non avere l« virgole nè
in principio nù in fin^ dei paragrafi. '
(3) Anne di Roma 3^3 . ' . > . . lasciarono contro il sangue
loco eccessi ùi oltraggi che i barbari più empj potessero
sopraggiungervi. . ^ - 'i' .
'XI.tE potrei allegare’ altri errori' infìnhi 'di quelle
repubbliche ; ma' li tralascio; giaocbè spiaeemi ; - fino
l’aver menzionato gli ànzidetti. Imperocché vorrei che
la nazione Greca . si distinguesse '‘dà . quelle de’ barbari
non col nome solo. e col dialetto; ma per la.inlelligeoza
eia scelta delle utili costumanze; c sopratthtto che infra
loro noit si desolassero con ingiurie più che disumane.
E ad esercitare
i lor corpi o faticare nelle armìv ne ausavano di con-
tinuo, e vi grondavano dal sudore, costretti a desisterne
innanzi P awiSo de’ capitani ». .
XUI. ‘ a Udito ciò f ' Camillo dittatore de’ RomaOi ,
adunò le sue milizie , e condonò • tra loro , . assai vivifi-
(»ndole ad imprèndere: 0 ‘Romani ^ e^i disse, nói
abbiamo assai più cùU it nemici benfatte le arme , le
corazze y gli elmi, gli stivali, gli teuài saldi, coi tiuaU
guardiamo tutto il corpo , le spade' d due tagli , ed
in luogo dell asta, saette iP irreparaòH colpo. Le armi
colle qutdi ci copriamo son tali'da ndn> fdcilitare su
noi le ferite: laddove quelle con lè quedi nodiamo 'ci
abilitano per ogn impresa. B poi - ruiao è il càpo dei
nemici, nudo il petto ed i lati, 'nudo il,fem&re è la
( 1 ) Aiuio di Roma S87 . " .
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4l6 DELLE XNTICHn:A’ ROMANE
gamba mfino piedi. Altro noti hanno die li. mu-
nisca se nonf lò' scudo : nè adiro tanto picchiar degli
scudi , e guani altro ostentano di barbara e stolido a
bravar t inimico , guai vantaggio daranno ad essi i
guali assalgono senza regola , .a-, guai mai terrore a
chi con tanta re^la sta tra i pericoli ? »
XVI. , B Considerando tali cose: voi tutti guanti ne
foste nella prima guerra cpì Galli e guanti non vi
foste , non ‘diserrate.' o voi ohe vi foste C arUica vir-
tù , col temere , e; vai che non virfbste non siate da
meno che gli altri net jegntdarvi co' fatti (i). Andate
(i) La prima gnarra ocoqrae l’ aooo 364 I* acMiida ueii’337
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LIBRO XIV. 4 * 7
bravi giovani : dimostratevi degni de' padri valorosi ,
correte intrepidamente al nemico ; Sarà con voi la '
mano degC Iddìi per tentarvi à punire • quanto volete,
questi- impìacabili. Io vi son duce, al qucde tanto te-
slificate buon senno e Jbrlunà. Da ora in poi saréte
felici, sia che riporterete alla patria la iwbilo corona
della vostra virtù , sia che qui finendo la vita lasco-
rete a’ teneri' figli] e ai vecxhj padri per un fragile
corpo una splendida fama immortale.^ Ma già non è
più da tenervi, Ecco t irUaùco sen viene ; ofidaie ,
presentatevi in schiera ».
XVII. « Era ‘'il combattere de’ Barbari ansi brutab:
e maniaco senza le cure e la scienza delle e vi
ascese. Accorsa la molUtudine 'urbana allo spettacolo ,
egli primieramente fece voti alBncbè 11 ^umi avvèrsa-
aero l’ oracolo , e facessero nascere molti , eguali a lui
di valore bella patria. Dopo ciò lasciate le redini e '
dato di sprone cavallò precipitò nella voraginet Sopra
lui furono gittate in quell’ abisso nioltè. vittime , nìolti
frutti, molte ricchezze, molte preziose Vesti ^ «'molti
oggetti di arti di ogni maniera, e senza più la terra si
ricongiunse ( i ) ■• ' ’
XXn « Il Gallo area corpo straordinario, il
quale molto eccedeva la proporzione comnne .... Li-
cinio Stolone stato dieci volte tribuno , quegli il ‘‘quale
fu capo alla fstitnzlone delle leggi , per la 'quale dieci
anni fu sedizione, alfine' vinto iu giudizio e condannato
ad una multa in danaro ()) disse: che non vi è bestia
alcuna pià callivà del popolo, il qutde non nsparmia
nemmeno chi lo sostenta ».
XXIII. B Assediando Marcio console que’di Piperno ,
ridotti senz’ altra speranza spedirono a lui. E Marcio ,
indicatemi , disse , come solete voi trattare li servi li
quali dà voi si ribellano ? tome si dee , soggiunse il
legato più anziano , punir chi desidera ricupenve la
r
(i) Sie mai ri fu questa Toragiae , ciò che può beo essere, ta
ricoopuDtione di lai mode ò tutta (àvolosa. Livio assai propiiio a
tali raceopti aon la- fiiTorisce. Vedi lib. 7. 4* .
(3)'.\nao di Roma 3^7.
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4ao DELLE Antichità’ romane
liberti ncUiva. DlIetUtosL Marcio del franco parlare , e
se nei , dicea , se noi ci lasciassimo piegare a' lispar^
miarvi ogni cruccio, quali pegni ne darete voi di non
farla mai più da nemici ? q V anziano tipigUava. Sta
in te o Marcio e ne' tuoi Romani' sperimetttm-lo. So
con la patria Uberi torniamo , vi ci terremo • pen
sèmpre costanti amici : ma tali mai vi saremo , 'se ci
astringerete a servire. Marcio ne ammirò li magnanimi
M‘q^i , e sciolse 1’ assedio ». ^
/
\
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42t
- ' D^I/LE
ANTICHITÀ RÒMÀNE
D I
DIONlGI ALICARNASSEO
t ■
* ^ ^
. . LIBRO DECIMOQUINTO,
. -SUPPl^MENTl E FRAMMENTI.
L « IV^EMTAE i GaQi guerreggiavano Roma, un priil'»
cipe di questi sfidò qm^lunque de’ Romani a venire con
esso al paragone dello armi,(i). Un Marco Valerio tri-
buno proveniente da Valerio PopUcola’ il quale insieme
con altri ' Uberò la città dai tiranni , si fece innansi pel
combattimento. Venuti 'alle mani,' un ooryo .si. mise in
su. r elmo di Valerio, sgrid^do e guardando terribil-
mente il barbaro f e se mai lo. vedeva portare de’ colpi
sul romano / gli si avventava ora colie unghie alle
(i) Addo di Roma 4»5. j . ' ;
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422 .DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE
guance lacerando , ed ora col rostro agli' Occhi , pun-
gendo. Tanto che il Gallo ne andava fuori di se , non
potendo trovare come ribatter 1' emolo , nè come 'guar-
darsi dal corvo »! ' '
II. « Ma traendosi la zuffa in lungo, il' Gallo fu col
ft;rro sU T altro per internarglielo coll' impeto nel seno.
Corsogli il corvo agli occhi Onde forarglieli, colui alzò
Io scudo a respingerlo : e tenendolo alzato , il Romano
che ne seguiva 1e mosse , menò da basso la spada , e
lo uccise, Camillo (i) il comandante lo insigni .con
aurea corona soprapnominaudolo Corvino^ dall’ uccello
compagno di lui nel combattimento ; perocchò li Ro-
mani chiamano corvi', gli oicoelll che noi coracas chia-
miamo. E costui da quel fatto ebbe 1’ elmo ornato- di
un corvo. In guisa che qùanti fecero statue o pitture
di lui , lutti gli acconciarono sul capo quell’ uccello ».
III. « Devastavano le campagne ricche di ogni bene...
nomini sfìaiti dalla g^uerra • e simili ai cadaveri , se non
quanto respiravano . . . Essendo calda ancora la penero
come dicono dell* ucciso ... Fu vittin» miseranda del-
r inimicO’Uomo il quale saziava la iuvidia sua poi san-
gue civile . . . Dispensò tra’ soldati parte de’ vantaggi
nè questa la più piccola,' ma tale* da sommergéK frà
le ricchezze la inopia dt ciascùtlo . . . diedero il 'guasto
ài seminati’ già colmi per h ' raccolta tnalmetiando il
meglio dellB^ terre fruttifere »: ' i ■
I • , . . . f I
* * * • " ' t
, (i) Queste Cemitlo il, quale apparisce ora aalHaaao'4e& Roma
i Uli tìglio del^ftmoso Furio Csmiflo morto i6 ano,! adòiciro. .Au-
cb'esso viute S fugò con ifna iniigue battaglia i Galli, tuttavia mo-
lesti ai Romani. Livio lib. 7. aS. aC. ''
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LIBRO XV. 4^3-
IV. . . • Ma percl^è spesso e molto danneggiavano i
Campani come iorp' amici (i). Pertanto -il Senato ro«
manò su le istanze e lamenti replicati dé’ Campani .con*
tro de* Napoletani spédi a questi ordinando che non
più nòcessero ai* sudditi della repubblica ; ma ne aves-
sero e rendessero ciò ch’ era ^usto -: e nascendo coih-
(roversìe fra loro, le dJscutesserò co’gindizj non'cqlle
armi , ' secQudo le convenzioni che ne farcbbono : del
resto mantenessero la pace con lutti ìnlornó i popoli ,
non corseggiassero il mare Tirreno né tentassero eséi
per sé nè .cooperassero con altri imprese disdicevoli
ai Greci. Soprattutto istmi, gli .ambasciadori che ’ cer-
cassero , Se venivano il destro , di alienare co’ bei modi
verso de’ potenti la loro città dai Sanniti , e renderla
amica di Roma. ' , .
y. Ti-òvavansi di quel tempo (a) in Napoli come
ambasciadori di Tatanto uomini rispettabili , e , po’ li-
gami del. sangue, ospiti antichi di que’ cittadini: ma por
altri ,vi si trovavano inviativi da’ Nolani , cooSuanti dei
Napoletani, e tutti dediti' ai Greci, i quali vi brigavano
in contrario onde non copcórdassero co’ Ifomani nè
co' sudditi di essi) nè lasciassero' l' amicizia verso dei
Sanniti. 'Che .se r Romani set pigliassero a pretesto
di guerra { rton temessero , nè invilissero , come in^
su^rabile rie fosse la forza ; ma, perseverassero , e
combattessero come i jbraoi Grecf., confidando- sù le
- »
(i) Manca il principio dj questo raccolto: puj> coninliar^i Livio
nel lib. 8 , c. aa. Questo 'pangrafo e tutto il resto del libto 'sono
Frammenti veri dei libri perduti delle aatichità di Dionigi.* .
(a) Anno di Aoina 497.
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/^24' DELLE antichità’ ROMANE
schiere proprie ^ e su le ausiìiane^ che verrehhono dai
Sanniti. Riceverebbero se ne abbisognavano , pià
delle loro, le forte , navali dà' TaretUim , le quali
eran tanUs e. si, buone.
VI. Adunato il. Sanato, e tenutivi molti dlsconi dai
legati « loro fautori , vi si divisero i senbmenti : ma li
piu autorevoli parfianO tenerla ' pe’ Romani. Non fecesi
per quel giorno decréto alcuno , ma riserbato per, altra
sessìonè l’esame intorno ai legati; recaronsi a Napoli in
folla' i primarj de’ Sanniti. Or quésti * Conciliandosi con
ossequióse manio:e i capi del comune-, pregarono il
Senato a far si che decidesse il popolo dell’, utile pub»
blico. Quindi recandosene all’ adunanza , vi ricordarono
i loro benefizj , poi vi fecero le mille - accuse di Roma
come di una ingannevole e perfida : e finalntente pro-
misero- le meraviglie ai Napoletani se deliberavann per
la guerra: vale a dire che mauderèbbero loro. milizie ,
quante ne bisognassero ‘ per difender le ptura , come
Tarmata e 4utta la ciurma per le na#I. Davano insieme
a vedere che subirebbero tutte’ le speso guerra non
solo pe’ soldati proprj , m» pe’ loro.; che respinto T .e-
sercito romano ■ ricupererebbero ,Cuma ,- occupata dai
Campani, erano già due generazioni {i), .cén esdnderM
gli abitanti : che renderebbero la patria ai Cumani ,
accolti , quando U perderono , dai Napoletani , e fatti
partecipi di ogni lor bene: che 'darebbero ai Napoletani
un trat^ assai grande del territorio che tenevasi dai
Catppihi. , - , ' r '
, vn. Ih mezzo a .tal dire, la parte calcolatrice dei
(i)'Auno di Roma 335.
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- . LIBRO XV. . 4^5
Ntpoletani , la quale vedea da' .lontano i mali xhe ver*
rri>bero colle battaglie, su la città , dimandava che ai
conservasse la ^ace: ma' la parte amante di :cose nuove
^Ja quale cercava insieme un. mezsp . arricchire nelle
ttsbolenze lanciavasi verso le guerra: 'Pertanto, elevafonsi
a vicenda e -voci e mani ; procedendo la contesa fino
al tiro delsàss). Alfine prevalendo il. partito men buono,
gli. oratori di Roma dovettero tornarsene senza Tintento.
Dond’^è che il" Senato romano .decreti^ 'd’ inviare un
eseacito contro de’ Napoletani. . , '
.Vln. 1 Romani all’ udire 5^10 i Sanniti apprestavano
un esercito, vi spedirono prima Rmbasciadori.(i). E di
essi quelli eh’ erano scelti dell’ ordine .. senatorio venuti
ai consiglieri de’ Sanniti dissero: Voi fatfi ÌQgiustamonte
o Sanniti violando i p'attati cha ovate con noi con^
cordato. Amici vi eijt^nete di nome , nemici che ne
siete di fattL Vìnti, voi da Romani in tanti condtat»
timenti, sciolti per le istanze vostre caldissime dalla
• f . . '
guerra j oiténuta la pace come la volevate' ^ e desi-
derosi poi di essere gli amici e gli alleati di Roma;
giuraste, alfine, di avere amici e nemici quelli appvinto
che per tali riconosceva la nostra repubblica.
^ IX. Ed ora immemori di tutto questo , e fin posti
in non cale i , giuramenti , avete abbandonato noi
nella jguerra co' Latini e ci>i Volsci,,cpn que’ pòpoli
io dioOf che sono divenuti nemici nostri appunto per
voi , perchè avevamo noi ricusqtò di unirci con essi
net dare a wi guerra. JE nelt anno. J precedente voi
avete 'istigato con tutta la premura e f ardore , anzi
(1) Addo di Roma 4’8.
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4? 6 DELLE antichità’ ROMANE.
voi. avete necessitato i Napoletani che temevano far-
lo , a prendere. contro noi la guerra^ e voi ne sup-
plite'le spese : voi la loro città ven tenete. Ed ora
tutti intenti ad apparecchiarvi raccogliete d' ogn in-
torno milizie ,> coh pretesto , come pare , innocente ,
ma: in realtà con disegno di guidarle contro' i nostri
cotoni. Ed a tanta ingiustizia invitate i .Fdndiani e i
Formiqni' ed altri, i (fuaii abbiamo no,i pOr^^iato
ne' diritti ai nostri cittadini.
X.‘ Or 'voi profanando così scopertamente 9 turpe-
mente i trattati 'di amicizia e di alleanza ; il Senato
ed il popolo romano^ deliberarono di spedirvi amba-
sciadori , e iperitnentai'vi colle parole , innanzi di
procedere ai' fatti. E queste sono le cose che ami
tutto vi dimandiamo, queste quelle, ottenute le quali,
crederemo soddisfatti i nostri risentimertti : Chiediamo
primieramente che ritiriate, le truppe 'inviate in soc-
corso ai Napoletani:,^ e poi che non mandiate milizie
condro i nostri' coloni , nè provochiate- affatto i sud-
diti nostri a voglie ambiziose. Che se dite che tali
cose non piacciono a tutti fra voi , ma- che le fitnno
alcuni solamente contro il ‘votò comune; cónsegHàteci
dunque voi questi perchè ne giudichiamo , 0 cen ter-
remo contenti: ma se non gli avremo noi tjuesti nelle
mani j né prenderemo in ) testimonia i Numi , ed i
Genj invocati da voi -nel giurare i trattati ; e pSrciò
siam qua venuti co* Eeciali. ' • • r •
XI: Dòpo H parlar del romano consaìlatisl infra loro
quei capi de’ Sanniti diedero* questa risposta : Non è
già colpa del comune che i nostri sussidj giungessero
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•LIBRO XV. 4^7
a poi tardi per Ut guerra 'cóntro i Latini, Imperocché
si era appunto decretato che questi a voi s’ inviasse-
ro : ma i capitani assai ' s’ irtdugiOrono nell àppre-
starveli ; come voi troppo vi acceleraste a dar la
battaglia ] e coti giunsero quelli tre o Quattro giorni
dopo il bisogno.'' Jiispetto' a Napoli poi -dove sono
alquanti, de 'nostri , tanto siamo lantàni dcUt oltrag-
giarvi soccorrendola in qualche fnodo mentre perico- '
la-; che noi pensiamo di 'essere' piuttosto gli oltrag-
giati e gravemente da voi. Foi, tutto che non òjfesi,
v' adoperale a soggiogare questa città , confederata
ed amica nostra non già da poco , né d^ allora che
con voi ci concordammo , ma da due generaeioni
en>antS , e per grandi e copiosi ben^tij ricevutine.
XII. .Tuttavia non é la comun dei Sanniti che of-
fendavi nepimeno in questo ; imperocché di propria
voglia ìóccorpono Napoli , come udiamo , alcuni no-
stri , ospiti ed amici loro , o stipendiati , per la in-
di^nta’fbrse del vivere. Nè abbiam poi bisogno di
staccare da voi' li sudditi yostri ; imperocché senza
que’ di Fondi , ^ e . li Formiesi , noi , necessitati alla
guerra , bastiamo a noi ■ stessi. -Apparecchiamo un
esercito- non per levare: a^ yostri colorii le còse loro ;
ma per difendere le nostre propriamente. A vicenda
noi dimandiamo da voi j se -volete far la giustizia,
che partiate da Fregelli , città da " noi conquistata
tanto priiHa col mezzo delle armi, che è mezzo di-
rittissimo di possedere ; e voi sera alcun titolo ve
t avete , già sono due- anni , ' appropriata. ' Or tali
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428 DELLE Antichità^, romane
cose ci si concedano > nè crederemo di , essere stati
oltraggiati. .
• XUI. Allora» subentrando 'al discorso il Pedale Ro-
mano , ripigliò : Niente impedisce che violando voi
così manifestamente i trattati di pacOy i Bomani pas-
sino alle armi : nè già ponete lepnerUarvi di essi ,
ma de' non- sani vostri consigli. Ornai da loro si è
/atto qtuuUo doveàsi per .le leggi rsacre e civili della
patria , o di pio verso i Numi , o di giusto verso i
mortali. Gli Dei che per sorte soprawegliano alla
guerra, giudicheranno tfuale de due popoli osservasse
i tràttati. £/ qpi recatosi in atto di partire , e tiratosi
al capo il lembo onde cingevasi gli omeri , .alzò come
era il costume j le mani' al cielo , orando don. impreca-
zione gl' Iddii : che se Roma ingiuriata da Sarmio ,
non potendo riaversi dalla, ingiuria cotle jrsfrole e
co' tribunali ^ procedeva finabnerite alle operé , U
dessero per la mente ctmsigU bùqni,. e. condotta, pro-
pizia per la guerra. Afa se in opposito Rorna ìrà-
scurando i legami santi delV amicizia,' accattava pre-
testi non giusti onde romperla , -.non la dirigessero
0 ne consigli o ftelle opere.
XIV. Levatisi gli uni e gli altri dal .colloquio ; e di-
chiarate alle loro città le CMe disputatevi ; dascuno dei
due popoli pensò molto diversamente su Tabro. I San-
niti come £an essi quando iqtprendon la guerra , te-
ndano per lent^ assai |e operazioni de’ Romani; laddove
1 Romani immaginavano rannata di Sannio. ornai pros-
sima a . piombare ^u i* Fregèllaui’, loro còloni. Donde
ne avvenne a ciascuno ciocché erane consentaneo: Im-
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LIBRO XV» ' 429
perocché li primi, apparecchiandosi e indugiandosi ro-
vinarono la opportunità ’d^ imprendere : per T opposito
i Romani tenendo tutto pronto , udita appena la risponsóli. E prima che i nemici ne udissero
la marcia; tanto le milizie reclutate
V , ‘ i. ' •
' . -
' • ■ , DELLE
• • , ^ f » *
ANTICHITÀ romane
DIONIGI ALIGARNASSEO
LIBRO DEGIMOSESTO!
r
SUPPLEMEÌTTI E FRAMMENTI.
/ . ■ * ' ■ r ' '
-non. di»:etidere
in teiTa , ma .dalla terra elevarsi. Imperocché nell’ e^ero
stan le sorgenti del fuoco divino ».
II. a Ciò che si dimo^ra pel fuora .nostro sia che
lo abbiam 'da. Prometeo , sia che da Vulcano. Impe^
rocché quando è sciolto da’ vincoli pe’ quali è necessi-
uto a» rimanere fra noi , corre subitamente per 1’ aria
verso 1* altro fuoco , suo connaturale, ed Q quale doge
d’interno' tutta la natura del mondo^ Cosi donque l’al. ■■ l6- e
Livio più dislesamente nel lib. 9. i5.
(3) Il tratto aegnenic sembra parte della ri^tosia di Poaaio ai-
rinviato de’ Romani.
4
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4^2 DELLE Antichità’ /Romane
neUe guerre han ■perduto i jìgti, quanti i fraleìli,
e quanti gli amici? Ne’> quali tutti come pensi che dee
traboccatne la bile ^ se alcuno ' gf impedisca placare
^ue' morti eoa tante vite di nemici le quali sole son
credute un ossequio in verso gU estinti ì,
V. '« Ma supponiamo che •persuasi, o forzali^ o per
qualunque maniera vinti mi si arrendano , e contxdano
che questi continuino tìi vita, or ti pare, che sian per
cqnce'dere'che ritengano insieme ogni lor cesa, q sema
pur neo di vergogna' se ne vadano quando, a tbr pia»
ce , 'quasi eroi . qui apparsi per felicitàrne ? O non
piuttosto sopravvenendomi j quasi fiere, mi sbranereb-
bero appena tentassi dit questo? O non vedi come i
cani da caccia quando è presa la fiera la qual chiusa
dà essi va nella rete , circondano il ceuciatort , chie-
dendo parte della preda ? e se non ottengono bttntosto
il sangue o le viscere , non yédi come lo sieguonó , e
pressano, e malmenano, nè. respinti sèn pdrtono , nè
percossi ? » » • , ■ ■
VI. ... « Faticarono tuUo'il di cotnbaltendd, ma^i
che le ombre tobero di rafhgurare gii amici e i nemici,
tornarono a proprj alloggiamenti . . . Appio Gaudio non
so per qual mancanza intorno de* sagrifizj perdé la vi-
sta, e ne fu denominato ->^f£'eco ; 'perocché li' Romani
cosi chiamano chi non vede ^ ^ . le scritluce' custodite
tra 1 murs (i) , formate con lettere/ accuratissime , odo'-
rifere per lo misto in che sono, presentano tal iloridez*
(t) È diifieite iotarpetrare dove miri «iitesio rottame.- Fn detto
che alle «nti Freoettine'.
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* . • LIBRO, tVl. ,• i 4^3
u . ^ . I RonUuii ckUmaQO calende' le ncòmeaie . come *
none dtiamano la' mezza IbQa , ed idi il pleoiluaio. »
VII. « Era*. la falange nel rnsAZO disgiunta ié. mal
piena : cori quelli che ivi erano disposti id òontrario,
le furono sopra, e ne 'respinsero i>coDÒfc|auenli l’'iaosa, guàra aitàccò tutto il fiore dc^ cita
Uomini sacerdoti , onorati Co’ sacri -minirieii'.
Quest’ uomo pien di trasporti senza consiglro, insolen>
tissimo , deliberando e ctmcentrando in sé tutti i poteri
per la guerra E poi tu ardisci di accusare ia
sorte, turche la usavi pessimarnente, postola su barca
già rovesciata ? Così eri stolto ? \ , .^jilcuni i membri
abbisognano di cura, e tali altri cicalritzcmdosene .> . «
■VQt (i) Ma vo’ ricordare ancora un’ arion' dvile -de*
gna degli «noom) di tutti i mortali , dalla iquale sia chiaro
ai .Greci quanto Roma ' allora abborrisse soellerati , e
come fosse inesorabile contro chi viola i diritti comuni
della natura. |Ca jo Letorìo soprannominato Mergo , uomo
illtutre pe’^ natali , , còme >non ignobile per le' belliche
imprese ; dichiarato trìbW>' militare* nefia 'guetta -San-
nitica^ Ittsiqgò per un tempo un giovinetto^ sub came-
rata , vago più eh’ altri di aspetto , perchè rendere si
volesse agli amorosi diletti di- lui (a). Ma perchè noi
guadagnava cb’'donl , uè còlle gentili maniere,* ornai più
non bastando a sesiesM , cpr§e alla violen^. Divulgato-
sene il disordine tra le miliziè ,, i tribuni • della plebe
y « ; V » ' ' -
(i) Qoaoto Si«go»Ja questo .libro , er^etlaato. it* paragrafo lO'A
lutto frammenti. . . ^
*• * V >
(r) Anno di Roma 4^, . • . >
PÌONIGI, lama 111. . 1 ' , . U
4^ DELLE Antichità’ romane
• ripuUQ^Io oltraggiò comune della {repubblica , me die»
dero .accusa .pubblica al reo-, cpudannatone quindi dal
.popolò a Qiorte eoo voti pieqi. Peroécbè non tollerò
questo ebe uomini di grado ,nell',;fsercilo profanassero
con ingiurie ‘ùmpìabili e contrarie ali^ -natura Tirile,
' persone -iagentté, mentre esse per la libertà’ co njballe-;
vano (i)i .• ... . - '
IX. .Se non che non molto prima -di questo fece^ttn’
opera ‘ aaeor piò tp^evigliosa per T ingiuria recata ad un
altra persona, quantunque servile. Il (àglio di PubKo,io
dico t di uno di que’ tribuni milUari che umiliarono ai
Sanniti l’ esercito e n& andarono, sotto giogo , fa co-
stiletto, come lasciato iir grave pénuria, a ter -danari
ad usura pe’ funerali del padre ,- ^qtfasi ch% sarebbene
quanto prima rilegato da’ parenti.' Ma deinsò nelle sue
speranze, e scadutone il termine {vfa présir'egU Stesso
pel: debito, giovinetto èòm’ era. e vaghissimo nc’ sem-
(t) Valtrìo Masshiro pirla di a( capo' primo ' ' ' ' ^
Le deecrjsione qui «ecala b l' una' de’ tram meati de’ libri per-
doti-di Oiop^i. ,II'£|ito fi narra pur aél compendio in. tal modo:
Ua tal Romano^, Cajo Leutrio , intUleva cpn un giovine , suo eu-
merata, ond’ avir tUo diletto da lui y vago della persona. 'Ma non
essendo il giovane goodagnalq nb per doni v né pér eavetse , alta
Jiite divalgato il disordine dell’uomo, i tribuni lo condannaranò .
‘-'IXdnigi , ’Oòm'Vne'^reaiaieoii , leone per ciseostinta gravissima
del fitto la vipleoia, usala in noe dg Letorio : -Se cglf compendiava
sè atess >Ta le carni ^acci&ct^ appena-^ si'riseajtooo e '
commoTOusi ifid tanto eh*. gli «piriti . nalnrali di esse yio*
lentano i p.ori , e $i dissipa'no. Questa •>, pur la cagione
de’ terremolwià Roma. Conciossiaché tutta vuota di setto
per grandi e contiqùatl canali pe’ quali conducesi T afana
tien m'ohe sflatatoje^ per le quali sen.esca.il vento rio-
r.hiusovit ma. quando il vento 'rimastovi prigiohiero ' sia
troppo e veemente^ questo^ somioove' Roriù e rompene
il suolo (a), a •' ; .
(iX Si^ consenta in generata ani liplo rfi qi|eSto, giATÌnetto : ma si
discorda autonome, su la famìglia', e sul ten^)0. Valerio' Massimo
nel lihA ^ lo chiama *fity Vetório figlto noa di Pubblio ma di quel
Tito Veturio che net aifq consolato fu dato ai Saooiti (lal. cfattaio
obbrobrioso coocluso con essi. 7(10 Livio chiama it giovine Cajo
Publicio, ed assegna il fauo all’ anqo .'4^7 di lioma aolto i oontoli
C. Poeleliu fc Lucjo Pepino, vispi 4irùclusa la pace co’ Romani , soprastettero breve' tempo
i Saiteiti, e poi,, stimolati dà un* antiéa ingiuria, mar*
' ciaróno coll' armata tra i Lucani,' loro cónfinauti. Questi
affidati da principio 'alle forze proprie sosienner la guér*
ra : ma- pòi vinti in tutte le battaglie, pelòta gran
parte del territorio , e già prossimi » perdere^ anche il
resto , si videro necessitali ad implorare rajuto- di Roma»
J£ quantunque' consapevoli a sestessi di aver tradito i
patti cdnclusi Uria volta con lei di antiòizia e di allean-
zaf non- disperSròne ch^ concorderebbe di nuovo, se le
inviassero in ostaggio insibme òon gli oratori 'i giovinetti
più rignardèvoti di tutta la repubblica loro. ■
XU. Qr questo appunto ne seguitò. Perciocché Ve-
nutivi gli oratori^ e supplicandovi ca^dissimamente ; il
Senato deliberò di- ricever gli ostaggi e render^ ai -Lo*
cani r amicizia; ed il popolo né comprovò- la sentenza.
Firmati gii accordi con- gl' inviati de'Lh'cani , il Senato
elesse i più provetti per anni è per onori ^ e li diresse
ambasciadori al consiglio' generale dèi Sanniti; affinchè
dichiarassero 'ad èssi che ‘i Luoùni erano git amici , e
gli alleati .di Bontà , e gli esortassero a render lóro
le terre usurpatene , nè più tramarli ostilmente : già
non permetterebbe la repubblica' che alleati suoi che
a ' lei ricorret'àna , rinutnessero esclusi , dal proprio,
territorio. ... •
tata levar tutu levando, i oaneli. Pìi( volentieri diremo che le mosee
de' venti ttnterranei seno éfletlo 4ie'unemoti ausi che la- priout
eafione. *
(t) Anno di Roo» 4^6.
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UBBO XVI, 4^7
, . XIII. I Sanniti gli mnbasciadcwi incollerìrono e
replicarono primicramentò ; che i trattati di pace non
erano Jdtt} 'Con accordo 'che essi -non mossero per.
amico; o , nemicò se /ton ^quello che -assegnassero • loro
per tale i Romani i Appresso , che i Romàni ~s' avje-
vano renàuto amici i Lficani non già in antico, ma di
recerite quand' erano questi già inoolli- nella ~^guerra
co' ^Sanniti ; oh A è che non avevano- titolo nè, giusto
nè decoroso per- romperla co' Sanniti Risposero i Ro-
tofiixì'.'che. coloro i quaU avevano promesso di soggia-
cere, ottenendo appuntò con ciò- la pace, dovevano
obbedire in tutto, a chi presedeva.; '.e minacciavano in
caso contrario di portare sa essi la guerra. I 3aimiù
ripuianjlo intollerabile |a ptresunaione di Roma intima-
roflo agli ambasciadori cht partiasero su. T istante ; e de-
ntarono che sL apparecchiasse spianto bisognava per la
guerra di tutta .1» fazione, e di ogni citti^^^ ^
XrV. Pèrtanto' la ; cigìon manifesta, nè ingloriosa a"
raccontarla ,. della guerra Sanuiliea , fu .la voglia di soc-
Q>rrere i Lucani caccòmmuidatisi a Roma quasi fosse
già pubblico e^ vecchio costume * di essa ^difendere gli
oppressi, che la invocavano: ma la oagion recondiu., e
che più \li sospinse a romper la pace , era la potenza
Saimitica, divenuta già grande, e la qnal$' crescerebhene
ancora, se domati i.l,ucani ed i confinanti di questi si
volgessero ad essi anche le barbare genti .che stayansf
appresso. Cosi tornati appena gli ambasciadori la pace
fu rotta , e sì àfrolarono due armate.
XV. Postumio già console , ■ venuta 1* oca di esserlo
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438 DELLE AJWICHITa’ ROMANE
ii«vatneiue - ( i ) , teniasi grande per to splendor de*’na-
taii , come pel gemino consdato» Doleasene sa ie prime
il collega di Ini quasi escluso' daU’ essergli Uguale, e più
volle ne fece 'in Senato rimostranxa. Alfine qUah plebeo
venuto in luce da poco, riconosoendosegli' mìAore per
gli antenati, per gli amici, e per àltre eccellènze, .n'mi*
liossegli , e gli concedette di per si stesso il comandò
della guerra Sanuitica. Diede grande invidia aPostumio
un tal fatto, come nato dalla media arroganza sua'; ma
poi glien ' diede un altN , ancona più indegno di un
duce -Romano. linperoccbè separali due mila' difi esercito
suo li ridusse nelle campagne sue proprie' senza i fèrri
con ordine l'nsieme ebe potassero "un qùerceto, leneu-
doK gran tempo in òpere ài mercenari e dà schiavi.
XVI. E superbo tanto ^ prima di Uscire |Kr la s|>è-
dizione, apparve, più InioUeraUle ancora nel compierla;
dando al Senato ed al popolo catise* giustissime òndè
r abborrissero. E ceno, • avendo. i| Senato definitó'che
Fabio il console- dell’ àttnò precedente, il quale area vinto
i Sanniti cbiamali' ’FeHtri'{i) si- rimanesse nei campo
.con aniorità proconsolare per guefreg^are con- la parte
stessa de' Sanniti, ^gli.oon ieiterrs(ia' gl' intimò di par*
tirne , come spettasse e lui sólo còmaudarvi.- Spedirono
i FUdtì'a ^chiederlo ebe non impedisse al proconsole
di stTtre, nè ripugnaste 'ài loro decreti; ed 'agli non diede
se nOn. òrgegboae e* tiranne rlsposfe, dicèndó:*cAe fin-
(■) Anno (li Roma '
(a) Aocbe Litio fa mauaionè di quelli SaoaÌM : nondimeau Cla-
tetio li tralatoia Della ina Italia antica.
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LIBRO xn. 43 a . . >
. IV.*-* beticippe IvaocdeaiOBe-ìùteyVÓgÀido l’oracolo,
dove portaste il destino * che egli cc/’^stiei '‘prendessero
tede, né ascoltò chè dovessero Aavìgare-AllMuiia, «divi
(i) Caprifico, fico «ilvcstfe. La voce greca tigoifica ca'pro
e pr«s$o .glcuui popoli caprifico. Quindi P ambiguiii d* iulerprcUrc
la voce per capro o- capritico. ^
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LÌfiRO XVII. • 443
ahbìtàre dove approdati rimanessero un 'giorno ed una
notte. Approdata la flotta intorno di Gallipoli 'in un tal
campo de^T^renlinì, dilelliito'Leacippo della aalbra del
luogo , operò coi Tarenlini .afllnchè gli isonCedessero di
stanisi ii giorno e la notte. ^ Cosi passatine più giorni ;
voleano ' i ^Tarentini che ne partissero ì -ma colui noti
ditd^ lor mente, dicendo che secondò ^li accordi uvea
iU loì^ quel tUoigo pel giorno e per la notte", e però
sino a Umto^che fosse o furio o f altra non se ne parti-
rebbe.'I Taréalini vistisi, nell’ inganno,' coQsentirono che
rimanessero (ì). » > > '
'V. u I Looresi popolando Zefirio (3) , «Ina punta
d’ Itali»; ne flirtino soprannominati' Epizeflrii .X. . Stav
tniropo. che rimanesse nel hiogo in che era , soste-
nendone la ^ecn. che ne derivava .«. furono dissipati
tra selve e valli e ripidezze, s
Vi. « Un TarentiOo, uomo empio, e deditO/-à tatti
i piaderf p«* la incpntinenztr e prostituzione' della Sua
bellezza fln'da ^ovinetto / ne' iu nominato Taide . . . .
Fatta ià' scelta dal popolò erano'' partiti .... Vilissimi
e petulaaUssìml tra* cinadini.' » ■ •
VII.' (3) Fu Postumio spedito ambàsciadore ai Ta-
rentinr : ma' facendovr rimostranza ; questi non-T iitte>
sero , nò ' pigliaronp il contegno de’ saVf i quali -òòmuliino
su là patria che pericola : anzi , se nieoiotavitno mai che
cóldi non parlava accuratissimo il greco 'Idioola , ve!
(1) Siraboàs pel libro setto- dà questo '«Sdetiaid racconto per la
origine di Melapoalo. ■ ^ ‘ r
(a) Cosi detto perebà risolte al vento Ztflro ciot di Ponente.
(3) Questo e li tre paragrafi srgoenti tono frammenti. -
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444 DELLE Antichità’ romane
deridevano , ed elevando 1i;m le mani o la voce , se ne
irritavano, e barbaro lo chiamarono; jtantt> che 1q espul-
sero infine .dal teatro (i). E già costui m ne andava
co’ suoi, quandd per istrada si avvenne con essi ,. Fi-
lopide , un accattone (a) di Tasanto il ' quale sopran-j
nomina vasi Colila dalF uso che avea, ‘continyo di bria>
carsi. Caldo del vino, ancora del di precedente , come
ebbe vicini i Romani , si tirò su la veste : e scompó-
stosi in atto indegnissimo da «vederlo , sbrufTè sul manto
sacro de’ Legati ciocché non. pttò nominarsi ' nemmeno
con decenza. ,
, Vili. Scoppiatene da tutto '3 teatro le .visa', e sbat-
tendoglisi per fino- le mani da' più protervi ,- EoStumio
riguardandolo disse : accettiamo o tvtissimo uomo / au-
gurio : giacché ci date fin le cose che nòn chiedi/ama.
Poi rivoltosi alla moltitndine ,■ mostratovi contaminato il
suo manto , e sentitevi uuiversaliN aucora 'e più, grandi le
risa, anzi le voci nemmeno , di àlcUni che'sen compia-
cevano , e lodavansi, della contutUelid : -ridete f disse ,
finché V é dato ; ridete, pure o "Tarenùni ; ehè assai
ne sospirerete dii j>oi. Fremendo alquanti 'alla minaccia
iò ; replicava , perchè pià Jremiale vi aggungo ; che
assai laverete col sangue :quesUi , mia Cosi spre-
giati dai 'prijvati e(kl pubblico, e tosi •pcoaunziatp quasi
come un vaticinio divino , su loro / sciolsero ,d legati dal
porto dà Taranto. „ ' . • v ' * « ^ '
IX. Giunti questi sotto Emilio fiarbula magisti^to
(i) Aono di Roma
(al Altri- alla idea-dj acoattone- soatitaiacono quella *di od aomo
brflardo t garrulo , ellione de** Lucani e de* Bruzj ‘j e finch’ era' indomita
la' nazione' grande le bellicosa de* Sanniti , e 1* altra 'de* questi son fatti a\dar buoni
auguri , a chi cerca mantenne i beni pri>prii. Ma. chi
cerca r altra!, spii queiU augnrf da uccelli di pronto e
rapido impeto per lontauT Via^. Ginciossiaché questi
uccelli sieguooo e pcocacciansi ciò che nbn hanno : ma
gli altri guardano e''cnstodiscòno ciò saltité ». ■Pormi sa-
viezza mandar’ lettere di minàcce aC sudditi: ma vi&t
pendere come uomini da pocoro da nulla- Uomini dei
quali non siansi considerate le milizie -nò conosciuto
il valore , questo è indizio di forsennato , o di chi
non sa ciò che è senno. 3Ia noi sogliamo punire i
nemici co folti , non,, colle parole. Nè fàteiamo te
giudice de’ nostri richiami co’ Tapentùti , oo’ Sanniti ,
e con altri: nè prendiam te garante- dà far valere ciò
che tu . giudichi. Decideremo colle armi nostre la di-
sputa pigliandone la pena che ne vohemo.- Su tali
'notizie . apparecchiati come nimico ^ noa come giudice
nostro ». - , » '
XVIII. « Vagli poi considerare quali ’ garanti ne
darai per te da soddisfare le ingiurie >che tu ci fai :
non ricevere a carico tuo che nè^ farentim . né sdtri
nemici opprimeranno i diritti. Se luti deliberato di int-
prendere per ogni rqdnierà la. guerra' contro di nói ,
tieni certo che^ti succederà dò Se di ^ 'necessità suc-
cede a chi vuole combattere innanzi di, aver ponde-
ralo con’ chi sia- per .combatterò. 'Abbi 'tutto in pen-
siero , e poi se cosa ti bisogna da noi, aìlo'ntàna- le
minacce , pon già. quella tua regia fierezza V vieni al
Senato , informalo ,, persuadilo uè' vedrai -mtuteanS
non 'il tjlirilto, e non £ equità a.
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V
i'»9
• DELtE '
ANTICHITÀ ROMANE
n I
DIONIGI ALICARNASSEO
> • J . '
LIBRO DECIMOTTAVO. .
SUPPLEMENTI E FRAMMENTI.
I. « JLìevino console ramano (i), preso un esploratore
«li Puro (e prendorfe alle sue. milizie le armi e schie>r
rarsì : poi mostratone a lui lo spettacolo gl’ impose di
riferirne a cbv lo mandava, tutta la verità : e che oltre
le cose vedute dicesse che Levino il console de’Komani
lo ammoniva a -non inviare occultamente ‘altri per os-
servare : venisse egli 'e vede^ palesissipiameate, e spe*
rimenlasse ciò che-gian Tarmi romane ».
(■) Addo (li Roma. 474-
n/ÓJV/C/. lówà III. ' ' '>9
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45o DELLE antichità’ ROMANE
IT. « Ua tal Oblaco, loprannominato.VuUinlo, dace
de'Fereatani, al vedere che Pirro non avea posto certo,
ma presentavasi rapido dòvuoqnc. .tra’ soldati , diresse
r attenzione . a.' lui solo : e dove' che ,ne andasse il re
cavalcando , ivi piegava anch’ esso il proprio cavallo.
' Osservando 'ciò Leonnato di Macedonia figlio di Leo-
fante , .l’nno de* compagni del re, se ne empi di so-
spetto, e scoprendolo a Pirro disse fvMarortaro(^o. Dopo quell’ incontro il monarca
afEne fidisstihó e valorosissimo fra’ coin|>kgni la da*
mide sua di porpora e di Oro usata da Ibi. nel com-
battere, c l’armatura, migliore delle altre per la materia
e pei 'tavqro , ed Segii prese la clamide bruna , e 1’ u-
sbergo e la causia colla quale , Megacle difendeva il
capo dagli ardori. E questo fu cagione , sembra , a lui
dj salute a.
‘V. (i). Dopo (Jbe Pirro signore degli Epiroti aveva
portato r esercito contro - ai Romani , deliberarono spe*
dirgli ambasdadoH pel- riscatto de'^rigiouieri , sia che
colui volesse' restituirii'cambiandoli, sia che tassando un
prezzo per ciascuuo di essi (a). Pertanto dichiararono
ambasciadori' Cajo Fabrizio , il quale gii console , ad-
dietro da tre anni , vinte i Sanniti , i Lucani , i Bruzj
con strepitose battaglie , e disciolse 1’ assedio ‘di Turi ,
e Quinto Etnilio il quale éelTega un tempo di Fabrizio
fece la guerht co’ Tircehi«, è Pdbiio Cornelio il quale
gii console addiètrct da quattré' atini atuccò ^utti i
Galli chiamati Scnoni, nenvcilsfmi'de’^omani, 'e 'mitene
a 61 di spada tutù gli adulti.'
VI. Venuti quésti a Pirro , e -discorsogli qninto
concerneva il subjelto , come la sorte non Imttoposta
a calcoli , corno repentini sOno *i eangiamenti fra le ar-
mi, e .come niun può' di leggieri antivederne il futbro;
proposera a- lui che sceglieste dì rendere i -prigionieri
a p-szzo o permuta. . . • ’ * • '
• - •■ * •
(t) Anno di Roma 47S. ' ( '
001101 rispose :
jirduo cimento è il vostror o Romani , . che ricusate
can^iungervi meco di aiaicieia , e richied/ete i vostri
prigionieri da usarli in altre' battaglie in mio.dannoi
Voi se desiderate il bene., se intenti siete tdX utile
comune a noi due ; pacificatevi con me , e ee’ miei
confederati, e ripigliatevi gratuitamente 1 vostri pri-
gionieri, alleati,, 0 cittadini che sieno. In altra moda
non soffrirò che vi abbiate un' altra volta- tanti, Je
^ tanto valorosi. Corì disse presenti i tre 'legéti , ma poi
prendendo Pabrizio in disparte soggiunse:,
Vili. Odo o Fabrizio che tu se prestantissimo nel
guidare una guerra, che se’ giusto, e sobbrio e pieno
d’^ogni virtù, dell’ uomo privato , ma che intanto sei
povero di sostanze, e depresso in ciò solò dalfis sor-
te ; onde noli vivi tù eoa più agio cher . gV infimi se-
natóri. Ora io volendo sollevarti anche in ciò, ti af-
ferò tanta quantità di argento e di oro da superarne
il più facoltoso tra’ Romìmi. Imperocché io reputo
liberalità bellissima. , e degna di citi presiede , be-
neficare i valentuomini i ‘ qiysli . per , la povertà non
vivono con dignità de’ lor^ genj bennati, e- questi io
reputo doni, questi monunten{i luminosi per /una re-:
già potenza. '
, IX. Or tu vedendo '0 Fabrizio il, voler mio, lascia
ógni verecondia ', vieni ,a parte de’ miei beni ; e con-
cepisci che mi farai piacer grande, . . e. che sarai
presso me riverito come un amico , o un, congiunto ,
o certo coni uno degli ospiti più onorevoli. Nè già
per questo mi dovrai tu p/eslare l’ opera tha in cose
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LIBRO' xvnì. 4'^^
non giuste, o non degne, md in coj& onde tu ne sia
piti stimabile e grande ancora nella tua patria. E
primieramente pròvecherai spianto puoi perchè faccia
la pace 'cotesto tu& Senato , fin qui duro , e privo di
niodprati contigli. Dirai che ia venni in danno' di
Roma promettendo soccorrere i Tarentini ed altri
d' Italia : che ora non sarebbe giusto, , né decoroso
che gli cdibandonassi io presente qui coll' esercito', e
vincitore già.,di tuia' battaglia: che nondimeno affari
imperiosi e molti avvenutimi poscia -mi richiamano
alla reggia. • ‘ '
X. Ed io qui ne do , sii tu solo o am gli altri
compagni , le assicurazioni più. ferme , c&è io son
intento a tornarmene se ì Romani mi si concordano
per la pace : talché puoi dirlo pur francamente ai
tuoi cittadini se alcuni mai - ve ne ‘fossero d quali
mal suona, il mme di un,re, come quello di un
fi4o , ne’ trattati, e-témessero di me similmente perchè
taluni monarchi si. videro, sorpassare i giuramenti, e
tradire gli accordi.. Fatta la ■
XV. Magro ò il nfio poderetto: eppure amando io
di lavorarvi ed appiicàndomene prudenzialmente -> i
frutti t somministramb tutto il bisognevole; riè la na-
tura ci viohnUf a cercare pià che il bisogiievole.
"Soave m’ è f alimento cui la fame còridiscemi, dolce
la • bevanda Cui la seté procurasi , e molle il sonno
cui la stanchezza precede. '&ijfèientissima rrì è la
vèste Che mi difènde dal fredda , come acconcissimo,
il -vose meri prezioso fra quanti datino P uso mede-
simo. Noti saria ^unquè giusto accusare la sorte, la
quale mi pòrge quanto basta alla natura, e la quale
se 'non dovami H' abbondanza , non tri' impresse netn-
tnèno desiderf superflui. •
XVL Io non hb mètri' è vero da- soccorrere riti- si
debbe ;~'ma nemmeno diedemi''Dio. su le ricchezze
quella' cognizione . certa j 'o divinatoria per la quale
gioitasi chi he' abbisogna , come nemmeno diedemi
tante -altre cose. Partecipo ciocché ho colla patria e
gli- amici; porgo loro còme comuni le cose mie , be-
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456 DEixE Antichità’ romane
neficando come posso chi ne abbisogtia , nà 'quindi
io credo mancare. K quesfe sono quelle manierp mie
che tu giudichi, prestantissime , e else sei pronto di
comperale a sì gran prezzo. -
, XVll. Che se poi la ^ gran possidenza sia degna
che procqrisi po/t tante premure , e gare appunto per
benefitare chi ne abbisogna » e se questa rende più
Jelici i pià ricchi come sembra a voi re j qaoii vie
saran le migliori, da pi'ocurarsela, quellè per le quali
vuoi tu 'che io me l' abbia ingloriosamente , o quelle
per le quali io V avrei prima ottenuta con decoro ?
Certamente gli affari di stato mi diedero tante volte
per addietro > mezzi da arricchirne principalmente
quando già da tre anni fui • consolo , spedito col-
f esercito cantra ,
XVIII. K potendo di^ tali acquifU applicarmene
quanto.io- voleva ; • non veppi toccarne I 0 trascurai
per amor della gloria uua ricbhezza anche giusta ;
come, fece falcfio Poplicola,' e ,come pur fecero, altri
moltissimi pc’ quali - Roma tante 'ne è grandiosa, Ma
da te quali doni mi si, apparecchìanà ? Non cans-
hierei forse il meglio col peggio ? Sal'ebbe quella
prima maiiiera di possedimento stata_uiùin colla sod.
disj azione del cuore, con un apparalo di giustizia, e
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, j LIBRO XVIU. ' 4^7
decoro; ma da codesta tua Ujopfia tatto ciò manca.
Imperocché qpAttVO^ uquo^accstta dall’ nomò k
cotta ca knseTiro csb-gu gravita- iNTOthro riw
cuk SOL oottrairifA i k NAseoaDASf purb . la etA-
TORÀ DBL PRESTITO .co' tfÙMI SPSCIOSf , DI DONLf Dt
favori ; DI BiOfBFfCBmBE.' , , o
XIX. Or su poni che io uscendo da me prenda
C oro che mi offerì, e ciò divulghisi tra’ Homani. I
magistrati irreformabiU , quelli . che noi chiamiamo
censori , a’ quali spetta esaminare U' vivete de' ife>«
mani e castigar ehi devia -dalle cóasuetadini della
patria , quelli mi citino e m’ astringano a- dar conto
de’ doni ricevuti , al cospetto del pubblico e, dicano :
;,xt. « Noi (i) ti abbiamo inviato o. Fabticio con
due consoUpi al monarca per trattare il riscatto dei
prigionieri. Tu rivieni dalla spedizione ‘ feoza li pri-
gio/tieri , e sene’ altro bene por, la eittà : Bitorni col»
mà , e m solo^ e npn. i tuoi compagni ,, delle regie
.( se non da ciò die tu ne tradisci al -ne-
mico, sì che egli coi tùo mezzo soggioghi per sè /’/-
talia , e tu col mezzo di lid tòlga alla patria la li-
bertà ? Così fan tutti gli nomini di una v^tà simu-
lata," e non vera, quando si sono avanzati al. grande
e forte degli affari «. « . > . ,
• XX.I. w Che^fe non -tu- adorno ddla dignità sena-
toria,-e non da nemici, cnom^per tradire e far ti-
ranneggiare la patria avessi accettato- que doni, ma
soltanto come privato da'-un re cotfederato, e senza
ombra di male pel comune, dì, non. saresti da pu-
nire anche per questo che depravi li giovani , insi-
nuando nella loro vita il genio per la- ricphezza, per
le delizie , • e per Its sontuosità dd monarchi-^quando
abbisognavi condnenza estrema a preservar -la repub-
blica? Svergogni, li tuoi maggiori de' qu^i niuno de-
viò dagli usi della patria nè mutò la povertà deco-
rosa con turpi ricchezze : Si tennero tutti' nel tenue
patrimonio, che fu riceyesti,'ma poi “riputasti minore
di tC n' . , K
' XXII. u Anzi tu ' dissipi la gloria a te risultata
pe’ fatti anteèedenli , la qiiaL possedevi di uom tem-
perante , e superiore ai bassi desìderj. Ti diletterai
di' esser fatto malvagio di proho , quando dovevi an-
che cessare dall' esSer inalvagió , se eri mai tale?
'O sarai da ora in -poi messo a parte mai più degli
onori dovuti ai buoni ? anzi levati piuttosto dalia
città, o dal Foro almeno. E se ciò dicendo mi cas-
i. '
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LIBRO XVIII. 4^9
sasserp dai Senato , e mi riducessero. disonnati,
qual cosa ftqtrei replicare , o. quid Jar giustamente
in contrario ? E, dopo ciò qital vita vivrei io mai,
caduto in tanta, infamia t‘~e versatola in tutti i iniei
posteri ? n • , , -
XXIlI. u Quanto a te poi come- darò segno mai
più di giovarti , se tra miei perdo la influenza e Ut
riputazione , per le qatdi ora cerchi, di afJezionap~-
miti ? Quando non potessi più nuUa nella patria ,
non mi rimarrebbe che uscirne cottr tutta la Jìtmiglia,
condannandomi da me stesso ad un obbrobrioso esilio.'
Ma dove mi starei da- indi in poi , qual ' luogo mi
ricetterebbe » ridotto^' ^eom’ è conseguenza , senza la
libertà del parlare ?> Forse il tue regno? Viva- Giovo
se mi apprestassi tutta la règia tua prosperità,, non
mi daresti tanto bene quanto' mé ne togli' , . levatami
la libertà, preziosissima innanzi ,n . *
XXI-V. u Còihe potrei tener vita tanto divérta ^
tardi ammaestrato a servire? Se cJù- è nato ne’ regni
e nelle tirannidi quàhdo abbia cuor generoso , ama
la libertà , stì/nando ogni -benè meno difessa ; come
chi è cresciuto ùt città libbra e consueta dominare^
su gli altri , passerà volentieri di bpie in -mole , di
libero in suddito per imbandire laàte ogni giorno le
mense, pie .aver gran seguito intórno di servi, e
pigliar diletto senza rifeèya eoa'' femmine e donzelli
formosi quasi 'la ùmana felicità sia riposta in
questo 0 non già nella virtù ?-n
XXY. u'Ma sùm pure questo e cose altrettali de-
gnissime \di esser cercate , or quando /’ uso ne sarà
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46o DELLE Antichità’ romane /
tnai lieto se non sono mai stabili ? Se a voi' sta
concedere tali amabili còse.; voi le ritogliete uguale
mente ,■ quando vi piace. Lascio di ridire le gelosie ,
le calunnie , la. vita sempre- in pericolo , sempre in
timore , e tutti gli altri sconci , non degni del wx»
lentuomo , quanti ne porta lo sfar presso ai moìiar-
chi. Già non colpirà tanta stoltezza Fabrizio da ab-
bandonare la famosissima Roma per vivere nelC E-
piro; o da ridurlo chk merUre può far da capo nella
città dominante , voglia essere dominato da un solo ,
pien di sestesso, e .còhsueto di 'udire dagli altri sol-
tanto ciò che diletHa ». j
XXVI. « Già non potrei levare il grandioso nei
pensieri t nè impiccolirmiti , anche volendo, sicché tu
non debba sospettare niun danno. E rimanendomi
come la' natura e-'glt usi della' patria mi han fatto ,
ti parfè grave , ■ e quasi tirare, da. ogni pòrte il co-
mando verso di me. Generalmente debbo avvertirti
ctie non vagli ricevere nel - tuo regno, nè . Fabràio, nè
altri , sia maggiore sia .'pòri tuo nella virtà , . ni af-
fatto chiunque sia'crescitUò iti, città Ubère con sensi
più grandi deiiP nomo privato. Già* non è sicura
ai. principi nè cara la dimestichezza con uomini, di
mente eccelsa. • Mà. su: V utile tuo vagli tu da te, di-
scernere ciò eli è da fare:.-quaoto a prigionieri nostri
scéndi ai miti consigli, lasciane aitdare ».
. XXVII. Appena Fabrizio (ìae, maraviglialo
della magnanimità sua, lo prese ‘per la (lesira dibendo:
Già non mi vlen maraviglia che la vostra città sia
tanto celebrala , • la cresciuta a tanta signoria , dap-
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LIBRO XVllI. 4^1
poiché dia nudre tali valentuomini.- Ben avrei caro
che non fosse stata fra noi briga ninna fin dalle
origini, fifa poiché vi fu, poiché taluno de' numi volle
che noi misurassimo a vicenda le nostre forze e iL
valore , ^ misuratolo ci riconciliassimo ; son pronto.
E cominciando io la benignità la quale dimandate ,
restituisco 'in dono, e non a prezzo i suoi prigionieri
a Roma n. ^ , •'
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46a
DELLE
, ANTICHITÀ ROMANE
di" ' .
I »
DIONIGI ALICARNASSEO
LIBRO DECIMONONO.
r
. SUPPLEMEirri B FRAMMEHTL
I. « X^ECto, un. Campano, lasciàtd da Fabrizio
console romano per capo ddia gbarnìgione di Regio (t),
invaghito dei beni di questa , finse venutagli lettera da
un ospite suo nella .quale si annunziava che il re Pirro
manderebbe cinque mila soldati a Reggio per invaderla,
promettendogli li cittadini , di aprir loro le porle. Su
tale pretesto uccise cinque di Reggio, e poi comparti
le maritate e le nòbili tnt* suoi militari, » vi si fece
(i) Anno di Roma 47^.
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CELLE antichità’ ROMANE LIBRO. XIX. 4®'^
tiranno (i). Alfine caduto nudato degli Occhi mandò
cercando • in Messina Dessicrate medico » prestaatissimo
secondo che udiva. ...>,.» r
II. « Pirro recitò li versi che Omero mise, in bocca
di Ettore verso Achille ,'qnast detti da’ Romani versò
di Pirro;
. , Ma te tale e Xaot’ nomo io gHi non voglio ,
Cól guardo seguitandoti , di.'forto , ■
^ Ma palese ferir^ se mi riesca i ' • ■
Poi' soggitmgendo che egli seguiva forse nn tristo $u>
bjetto di guerra contro Greci , buonissimi e giustissimi ,
ma rimanevaci un solo- e bel termine ; che li rendesse
4
amici di nemici , con'* principio magnifico di benevo-
lenza. n • ‘
III. tt Quindi fattisi veaire' li prigionieri de’ Romani,
diede a tutti vesti convenienti" ad uomini liberi , e le
spese- del viaggio, Con esortargli infine a ricordarsi quale
egli foése staio- inverso 'di essi,' a manifestarlo - agh altri,
e cooperare con (utlb 1’ impegno ‘ a .rendergli amiche le
patrie loro , quando vi giungessero, .'i . 1 Certamenté
r oro de’ principi' ticn forza insuperabile, hè fu dagli
uomini trovato -fin qui riparo contro di arme siffatta. »...
IV. CKnia da Crotone uomo soperchiatore privò di
libertà le cittadi, 'cOn dar fritnehigia ad esuli e schiavi
numerosi' de’ 'luoghi intorno (a). Fondata là tirannide
(i) Quel di Reggio '«ve vano cercalo il presidio Romano, temendo
tanto de* Cariagipeai quanto di Pirrol Dacib uccise li cinque qni si-
gnificali in un convito. Ma li soldati ne uccisero assai più per le case,
come sì racc'bgjlie' da Dione. '' '
(a) Questo paragraie , e l( tegajeuti lino al duodeoimo sono fram-
menti.
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464 DCLi.E Antichità’ Domane
col mezEO di questi uccise o bandi li Grotoniati più
rìguardevòli. Anassilao oocopò la fortezza di Keggio , e ■
ritennela per tutta la vita, lasciandola appresso al figlio
suo Leofrone (i'. Dopo questi anche altri facendosi' a
dominar le città vi sconvolsero ogni cosa^
V. Ma il dispotismo , ultimo a nascere e massimo ad-
opprimere le città d’ Italia , fu quello di Dionigi , tiranno
della Sicilia. Imperocché passato nella Italia in soccorso
de’ Locresi che vel chiamavano a danno di que’ di Reg-
gio , che erano loro nemici , ebbe incontro eserciti Ita-
liani numerosissimi ; ma postovisi in battaglia uccise
moltissimi , e presevi a forza due città. Poi tornato un’
altra volta in Italia svelse dalle loro sedi gl’ Ipponiesi
traendoli nella Sicilia : invase Crotone e Reggio e vi
tiranneggiò per dodici anni fiqché queste città sopraffatte
dal timore di lui si diedero ai barbariv Ma poi premuti
pur da’ barbari come nemici , si rimisero nelle numi del
tiranno. E fluttuando, come le. acque dqli’ Euripo , si
volgevano senza requie qua e là fortuitamente , levan-
dosi da chiunque li malmenasse.
VI. Scese PiiTo di bel nuovo nell’ Italia, non riu-
scendogli. nella Sicilia le cose come le ideava , perchè
il governo di Ini sembrò dispotico anzi* che 'regio alle
città principali. E per -vero dire, iutrodoftp questo in
Siracusa da Sosistrato che allora vi presedeva , e^da
Toinone capitano della fortezza (a), e ricevnto da essi
r erario , e presso che dngento navi rostrate , e sotto-
(i) Ciurlino uel lil>. a fa mcniione di più
zelante per pubblica ^confessione e più attivo nel dar
mano a Pirro pèrcbé scendesse nell’ isola e vi regnasse ,
giacché si eca .costui recate colla. fidUar^er incontrarlo^
e gli av^a renduta l’ isoletta , da Idi, presidiata in Sira-
cusa (i).. Ma tentando sorprèndere ugualmente Sosistrato
fu ddosò.; perocché costui previde le insidie , * e fùggì.
- ' r ' ‘ •
' ' i * ' ' *’
,(r) ^irapnsiT'pcr quatuo rileviamo da Lucio l^loro era coma aoa
ciùà composta da tre cittàio delle quali ngoiina /ra cir-
oonJata di mora. Vedi le uote lib.' a , c. nella faoSlra tlradu-
xKltoe ^i quello' icritìera. • , '
DIÓA’TGI f tomo ///. , i ,
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4G6 DELLE Antichità’ romane
Poi coniinciaiKlo a scouyolgeoi le cose di Itti ; Carta>
gine credette avere il buon tempo da riprender nell’isola
i luoghi perdniivt, e' ti spedi sollecita un’ arinata.
. IX. Evagora figlioolo di Teodoro , ^alacro ' figliuolo
di Mieapdro , e Dinarco figliuolo'di Nicia , tristi , infàmi
sopra tutti gli amici di Pirro ,* emoli com’ erano in dar
consigli , alieni da’ Dumi e dal culto , vedendo il mo-
narca in disagio, cercar vie da conseguire danari , glie
ne proposero una indegnissitna^ i^e era quella di aprire
i tèsoli sacri di Prosèrpina (t). Imperocché nella città
stessa eravene un tempio aaitvo , il quale serbava oro
in copia , intatto da tempo antichissimo , e dove altro
ven' era invisibile a tutti, come posto occnltistimamente
sotterra. Sedotto ^da tali adulatori, e riputando' la neces*
sità superiore a' tutto, si valse de’ consiglieri medesimi
per lo spaglio sacrilego. Quindi tutto riconfortato im-
baroò con altre ricckecze Toro venutogli'! dal tempio,
spendendolo a. Taranto.
X. Ma la provvidenza giusta degl’ Iddj maoifcslò T ef-
ficacia sua. Perocché ariose dai porto pròcéderono in
principio le nari' col fi^re A t/n. venm terra ; ma
poi cambiatosi questo iu altro coo^rìo ii^pestà per
tutta la notte , e quali ne affondò , . quali ' ne miruse al
golfo di Sicilia ; e spinse ai fidi, di liocrs quelle ov’ èra-
no portati i doni' , già votivi ne’ tempj , e P oro 'am-
Jtnas&atooe : e qui disfacendosene i legni foce perire i
nocchieri naufoaghi pel riflusso deUe onde , e sparse
)’ oro sacra su la spiaggia appunto più prossima a Ix>cri.
Donde costernato rese il mouaroa alla Dea tulli gli or-
(>} Anao di Roma 4/8-
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LIBRO XIX.
namenti e i tesori , quasi per allontanare con
collera. »
4G7
ciò' (a
Stollo ! che non vede» t/ùali tormenti
Tf« ìncorrerì* : 'chè facili non tono , ■ , ,
. Thnla a mutarti le celesti menti, * ' '
Come' Ai détto da Omero (r). Dappoiché stese la mano
lemerliria su 1’ oro sacro, onde valersene in guerra, la
Dea lo iniìitQÒ nè* Consigli » per esempio' e 'documento
de’ posteri. t
XI. E per questo appunto ' io vlcrto colle armi da’ Ro praticati don éagli uomini, ma dàlie
capre per lo selvoso e scosceso in che sorto : cd erano ,
per andare senza ordine alcùno spossandosi dalla sete e
(1) Odissea 111-, ,
):^micllUà Romane di Dionigi.
Tulio il resto t auppliio col compendio formala su li medesimi
verni libri. ' ,
. )
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4^9
DELLE ■
ANTICHITÀ ROMANE
. ' - '01 ,
parecchio. Conciossiachè ivi crescono in copia abeti al-
tissimi e pioppi , e la pingue picea , e il pioppo e il
pino > e r ampio fàggio , e il frassino , fecondati dàlie
acque che vi trascorrono ^ ed ogni altra sorta di alberi,
la qual densa ne’ rami tiene continua 1’ ombra su la
montagna 1»). » s - \
VI. a Eh questa sélva gir alberi prossimi al mare e
ai fiutni tagliati interi dal ceppo e recati ai porti ricini
forniscono a tuttà T Italia materiali^ per navi e case: gU
alberi^ lontani dal mare e da’ fiumi , ridotti in pezzi , e
riportati su le spalle dagli uomini somministrano remi
V "
(t) Àpao di Roma 481.' ‘ '•
(a) Stra'bufu nel lilwo V-I di« che questa selva eré lunga tcllc-
cento stadj.
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4 7 "2 DELLE Antichità’ romane
e pertiche, e mezzi di ogni arme, e rasi domestici: fi*
naimcnie la parte di piante più grande , e più oleosa
vien preparata a dar le resine , e scn fornia la resina
chiamata. Bruzia-., la più odorata , -e la piu soave infra
quante io ^ne conosca. Or dagli affitti di unto Roma ne
ha ciascon anno cospicue rendite. »
VH. « Io Reggio, iecesi un’ altra sommossa 'dal pre-
sidio lasciatovi di Romani e di confederati : seguitatidone
da' ciò stragi ed- esilii noti pochi. Per tanto Gajo Ge-
micio r altro de’ consoli usci coll’ esercito a punir quei
ribelli. Presa la città colle ardii rendette ai citudini prò*
fughi gli averi loro, edarresuto il presidio lo condusse
prigioniero in Roma. Or su questi tanta fu' Pira, c
tanto il dispeuo.-Dcl Senato e uel popolo che- non vi
fu I pietà di partiti : nm da tutte le tribù (ù senlenziau
su tutti la pena di morte come presciivono le leggi su
tali malfattori (■). » > ' ' .
Vili, a Stabilita la sentenza di morte furono pianUti
de’ tronchi- nel foro e condottivi e legati trecento a cor-
po nudo i quali aveanq già i cubiti avvinti dietro le
spalle: e poi battuti, e poi decapitati con le scuri. Dopo
ì primi vi furono puniti altri trecento, e quindi altret-
tanti ancora 4 findiè in t'uttO furono quaMro m'da dn-
(i) La Irgiooe Campaoa con Decio capitano occupi Ecgg'o l'an-
no 4/4 Roma poco ifopo la venuta di Pirro nM’ ftalia , occorsa
appunto in quell’ ann^. La legione ribelle fu punita l’anno 4^^
sotto il contole Genucioi Livio XX Vili , aS. dice clic la pena fu
dicci anni dopo il delitto , é ebe li póniti in Roma furono quattro
rada. Nel testo ai parla della ribellione come aeconda. Non k chiaro
se la indicata io questo luogo eia detta seconda in rispetto a quella
di Dcciu , o di altra antecedente.
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V
LIBRO, XX. ,47 3
quecento. Non ebbero questi sepoltura , ma tirati dal
Foro in luogo aperto dinanzi la città vi si abbandona-
rono, pascolo di uccelli e di cat^i. »
IX. . « La turba mendica non tenea cura delPo*
nesto nè del giusto. Però sedotta dal Sannite (i) si rac-
colse in un corpo , e su le prime vivea por lo . più pei
monti nelle campagne. Ma poi cbe fu cresciuta in nu-
mero ornai da tener fronte occupi una città forte , dalla
quale prendea le mosse a depredare le terre ihtomo.
ÌÀ consoli, cavarono la milizia, contro di questi. Ricu-
perata senza gran briga la città batterono ed uccisero
gli autori della ribellione , véndendone^ gli altri all’ in-
canto. Era già 1’ anno avanti stata venduta la terra e g^i
altri- acquisti* fatti colle' armi e l’argento risultatone dal
prezzo èra stato comparilo ai cittadini (1). n
fi) Ano» di Roma 4^- ' ' ' ' - ’ > ’ '
Qui 81 attude «Ila guerra concitata da LoUio Sannite il quale fug-
gito da Roma dove era ostaggio, raccolse gente, prese un luogo
munito della sua regione, e vi padrone'ggiava, e. predata.
(a) Dionigi nel lib. 1. 9 dice di tessere la storia sua fioo al prin-
cipio della prima guerra Punica 1 Questa occorse Panno 488 di
Roma ; e le cose di quest’ ultimo paragrafo concernono P anno {85 .
Tanto che il eoiApendio ha prossima corrispondensa alla storia delle
aSA*itA «Usa in venta libri. • > -
J '• .. ' • .
- • i t ,
. . PINE/ DELLE iNTICniTÀ* ROMÀNE
■ ‘ ■ DI ntONir.l DI ILIClRMASSO.
•I r-.
■T —
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474
INDICE
DELLE COSE PllT NOTABILI IN DIONIGI
DI ALldARNASSO.
tl mmero romano accenna il libro t P altro numero iparagnf.
A
.A-borigeoi.' Sono porto degli Oeootri di Arcadia. Tt 36. Se*
condo alcani non diiT ' >.
Agricoltnra. Romolo- conginnge le cure di essa con «joelle
della miliaia. II. a8. Anco Maraio raccomanda Tagricoltara
e li pascoli pinttoato dié la gneira. III. 3G. ^
Agilla cpsi chiamata dai Pelasgi fa poi détta Cere dagli Etra-
sci. I. 1 1 .
Agrippa vedi Menenio. f
Alba Lunga, suo fondatore e sito. I. 5^. Sua durasione.
III. 5i,
Albani: da quali genti r|snltassero, IL 2. Catalogo dei loro
re. I. Ga. Dopo la morte di A,mnlio e di Nnmitore ebbero
annui magistrati. V. Al)«>nza degli Albani e de'Romani
sotto Romolo, III. 3. Guerra tra, i' due popoli;- loro capi-
tani, ed esito della medésima , 2 e segg. Traflaziqne degli
Albani in Roma, 2q, •
Albani, campi fertili di ave e frutti, t. 28. Bontà premi-
nente del suo vino , 5^. 'Monte Albano, Vili. 87. Ferie
Latine', ivi. 1 >
Alceo , poeta esiliato. V. ^3. ...
Algido. I Volaci'» gli Equi vi accampano. X. 21. XI. 3. i
Romani .vi sono danneg^ati ,23. ■
Alsio, Inogo degli Aborìgeok I. 11. ''
Amiterna Inogo dei Sabini. ’I. 6. IL
Amnlio , ipoglia il ano' fratello Enmitore. I. €7. Regna XLII
anni, G2. Viene aaaalito, ^5, ' •
Ancbiie , figlie di Capi -e padre di Enea. I. 53. Sua tomba,
55. Porto di Anchise, 4L '^Itri looghi i qnaR' ebbero nomo
per Aflcbise, 64. ' t
Ancile o scudo caduto dal cielo. II. 70.
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47^ ■
Anco, prenome di Marzio re e di t*ablioio Corano, Vedi que-
sti nomi.
Anfittioni e loro congressi. IV. 25,
Aniene , Game, III. 22. Non era lontano dal Monte Sacro.
VI, 45. Era ricino * Fidene. Ili, 55, Si ecarioa nel Te-
vere , ivi.
Anterana, sna fondazione, l. 8. È tolta ai Sicoli dagli Abo-
rigeni. II. 35. Fn resa, colonia Romana , ivi. Si unisce a
Marnilio TuScolano per soccorrere Tarqninio contro i Ro-
mani. V. 21.
Antistio Petrone i ucciso per inganno' da Sesto 'Tarquinio ,
IV. 57.
Ansio , è fondata da Anzio figlio di Ulisse. I. G3. B cittì pri-
maria de* Volaci. VIII.,i. IX. 56. Fa lega con Tarquinio
superbo. IV. 49. Soccosre quei della' Ricoia. V. 36. Soc-
corre i Latini contro i Romani.' VI. 3vSoceorre quéi di
Goriolo, f)2. & preso il, porto e la campagna di essa. IX.
56.. Sì rende a Qoinaio, .5R,. Parte delle sue terre divisa tra
i Romanì,«5(). Oli Anziati spogliati delle terre ne partono ,
sono ricevuti dagli Equi, e fanno scorrerie su campi de’ La-
tini, 60. Gli Anziati si ribellano. X. 20.
Apiolani espugnati da Tarquinio Prisco. III. 40*
Appello, la legge Valeria permise a chiunque. di appellare dai
' magistrati al popolo sa le condanne .di morte o di battitore.
' V. 20. Si voglicmò paniti i consoli perobi impediscono que-
st'appello. IX. 3g. ., ■
Appio, prenome Sabino de’ Claudi e di Erdonio. Ve£ ffuesù
homi. : . ^
Aquìdotti magni Gcentisai mi di Romq. III. 67.
Aqaillo, C. console. Vili. 64* Vinoe gli Erpici, ,65. Ne ot-
tiene la ovaz'ione, 67.
AquìI), L. e M. conghirati, vicende nella loro pena. V. g.
Ara massima. I. 3i. ' * ,
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477
Arcadi, i primi fra i Grecj veogooo ad abitare l'Italia. I. 3. ^
dove abitassero, 36.
Arcadia fa già detta Licaonia. II. i.- Atlante fa ano primo
re. I. Si. Dilario di Arcadia, Sa, 5g.
Ardea è fondata da Ardeas figlio di Ulisse, I. 63. È città
del Lazio. V. 6i. Tarqpinió superbo 1* assedia. IV. 6{.
Fa fregna coi Romani, '85. V. i. È toko loro parte del
territorio. XI. 54
Aurunci, popolo d’Italia. I. 12. Loro qualità, ivi, e VI. Ss.
Occupavano la parte più bella della ’Gampa'oia, ivi. Sono
vinti da Servili 0 , ivL Ridomandano i caiòpi degli Ecce-
tranì, ivi. . ,
Ao sonia era l’Italia. I. 27. Il .seno Apeonio fu' pei chiamato
il seno Tirreno , 3i Oli Ausoni cacciati dai iapigi vanno
in Sicilia , i3. ' . '
Auspizj s’ imprendono ooA cui le cose ardne. V. 28. Si de-
cide con essi li' sito di Roma. I. 77, Più volle sono di-
sprezzati. Ut G.
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479
A»io Nevio Aogare > tua «ccelienu. I- 6i. E tolto di mez-
10, 63.
Aizio Tallo capo de* Volaci. Vili. l. Accogllè benigoameote,
Coriolaoo, 3. Stimola i Volaci coìitro i romam : fa dicbia-'
rare Coriolaoo per (mmandante delle MÌlicie , i3. Ne pro-
oara la morte, ^7 « segg.'E uoeiso in gaeira , 69. Suo
olrattere, ivi. * . .
* ;
B
Babilonia, eoa celebrità. I> 27. Sne mora. IV. 25.
Bacco , pianto dei Greci en j caeì di Bacco. II. g. Tempio '
inalzatogli da Fostumio dettatóre. VI. 17. Coneagrasioae '
fattane,
Battaglia impedità' dai et^ni celeetì. IX. 55- Prima \di altóc*
caria fanno preghiere e eagriiiaio, 10.
Balia luogo degli Aborigeni. I. i5. ^ '
Bighe, gara delle roedeeime. VII. 93.
Bitumo, rasi pieni di bitnme e pece drati colle Condo eu i
nemici. X.'iC. '
Boario, Poco. I. 3i. Servio Tallio vi forma un tempio della
Fortuna. IV ' t .
Canne raconfilta. II. 17. . . .
‘Capi. I. ,62. ' , ' ' ' . •
Capitolino, colle, già detto Saturnio. II. O Tarpee. III.
6q. Perché poi ai cfaianiasae Capitolino. IV. Gì. Romolo lo
fortiGca. II. 07. In citna di qoeato colle osala Catppidoglio
vi i il tempio di Giove Feretrio, 5{. Tarqoipio Prisco vi
conaìncia un tempio , Tarqoinid anperbo ve lo continua ,
sua Innghezza e larghezza. IV. Ci. È poi compito, e M.
Orazio lo dedica. V. 35. Vja in lìàmme. IV. 61. E. riedi-
ficato, ivi. * . . ‘ '
Capua , città della Campania. VII. 10. Eb^e. noMer-da Capi.
I. 64.
Carine luogo di Roma. 1. 5g. III. 22. Vili. 79.
Carmenta. I. 22 a aeg. • - ‘ ^
Carmenlale porta. I. 22. X. i4. , v ^ . -f
Carsola. I. C. '
Cartagine. Timeo Sicolo dice che fu fabbricata circa i Xempi
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•
(li Roma. I. G5. Toroa a cercare di naoTO T Impero. II.
1'^. I Cariagineai sono eipuUi dal mare. Proemio, 3. Loro
viitime umane/ 2r). , • '
Catiandro re di Macedooiar L ^o.
Carvilio (Sp.) il primo ripadia la moglie qon prima delt’anno
5lo di Roma. II. 2$.
CaMÌo (Sp.) Uscelltoo trionfa dei Sabini. V. Tito Larglo
Dittatore Io prende -per maestro de’ cavalieri , 'jb. Senti-
u)eolo doro di osto circa il castigo dei Latini ribelli. VI.
20. E fatto console di nuovo, 40’ Guarda la città, gì. De^
dica il tempio di Cerere e di Bacco , g5. Diviene consolo
per la tersa volta. Vili. C8. Noi resto di questo libro sie-
gue il (racconto . dell’ ambisione di lai , degli Sforai per in-
trodurre la legge Agraria , le accuse , ed il suo tkagico
fine, 'jg. I figli di Castio non sono privati nA della pa*
tria , nè de’ beni , nè degli onori pe’ delitti del padre per
decreto del jSènato. Vili. 8o. Il popolo si pente di aveiio
condannato , *82. ' ' ~ ^ .
Castore e Pollace diconsi apparsi in Roma. VI. i3. Monu-
menti in Roma della loro apparisiooe , giuochi , feste, ivi.
Cavalieri. Servio Tallio li ordinò in 18 centurie. IV. 18. Piò
di quattrocento plebei souo aggiaiiti all’ ordine de’'cava-
. lieri. VI. 4i. .
Cecilio IL. Metello) , suo trionfo e zelo nel oonservare le cose
di- Vesta, e statua di lai. nel Campidoglio. II. 6G.
Cecidio (L.^) tribuno della plebe accusa Servilio uomo con-
solare. IX. 28.
Celeri, origine del loro nome. II. i5. .Loro'incoiubenze , GL
Tarquinio snperbo costituisce Bruto prefetto di eui. VI.
92. Bruto Uscia questa prefettura , '^5.
Celti o Galli fanno vittiose umane a Saturno. I. 2g.
Censori , loro uffizio. IV, Come permettono il divorzio
DIorriGJ, tomo II/. 3,
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48a
di Garvilio. 11. 2 5. CommenUrj o regùtri de’ oentori. I.
65. IV. 22..
Cento de’ Romani, oome ùtitnito da Servio Tollioi IV. i5.
C latti Bcaaio ne de’ Romani , iG. VII. 5g. Sfumerò di citta-
dini-IV. 22. Geiuo fatto ancora dai contoli. V. .20. Cento
sotto Tito Largio primo Dittatore, g5. Altro cento ove tro-
vanti cxxs mila cittadini. VI. C3. Cento dell' anno' 261
di Roma. VI. gC. Cento dell' anno 2^8 di Roma. IX. 25.
Cento dell’anno 280. IX. 36. Cento rettituSta dopo ig
anni. XI in fine.
Centurie, te ne fanno ]g3 e ti dividono in tei datai. IV.
18. VII. 5g. Di raro ti chiedeva il voto della tetta clatte.
IV. 20. Luogo tpeciale delle oentnrie negli tpettacoli.
III. «8. -
Ceoturiati, comiaj. IV. 20. VII. $g. Come differiacano dai
comiaj per tribù. IX. Ut, XI. 46* Intimazione dei eomitj
oentnriati. V. 10. Loro forza. XI. 55. I Patrizi vi preva-
levano. Vili. 82. XI. 4^* I decreti di qtietti eoli comizj
' nn ^empo erano riguardati come leggi dai patrbi , ivi. L’in-
terré-oonvoca queati comizj. VII. go.
Centurioni, loro scelta. IV. i>j. Dove collocati. X- iG.
Cecere insegna l’agricoltura a Triptolemo. I. 4* Tempio e
tacrifitj di Cerere , ^4- Pottomio Dittatore le fonda un
tempio per voto. VI. l'j. Se le' innalzano tUtne metalliofae.
Vili. 2g. A' Iti ti contagrano i beni di quelli che facevano
violenza ai -tribuni. VI. 8g. X. 4>. ^
Cipria , via in Roma. III. 22.
Circe , dove abitatae'. IV. G3. Telegono figlio di essa e di
ditte, 45* Circei donde denominiti. IV. G3. Si rendono a
Minio. Vili. i4'
Circo Massimo. lL''3i. Chi lo incominciaste. III. 68. Vi era
tal termine il tempio di Cerere. VI. g4>
Citerà, itola. L 4l>
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483
Citt;idini romani come da Romolo. II. Come Servio
Tallio volle rieaperne il oamero, il ietto e l’ rià. IV. l5.
Come ne accrebbe il nomero, 91. Tullio^ vuol pareggiare
il diritto de’ ciUadini , Non era lecito battere nn citta-
dino. IX. 39. Non poteva nociderai eenaa cogniaioii della
canta. VII. 3G. Qoali arti non potette eiercitare. IX. x5.
Claudia, gente oriunda da Regillo città di Sabina. XI. i5.
È condotta in Roma da Tito Claudio. V. 4o* Tribà Clan-
dia , ivi.
Claudio (Appio) Sabino, nega che potrà levarti la leditione con
donare i debiti. V. 60. È Contqle. VI. 23. Discorda dal col-
lega'circa dei poveri i4 , e Sol trionfo di lui, 3o. Suo di-
' scorso per chetare le seditiooi, 38. E chiamato nemico del
popolo , 48- Suo discorto circa il ritorno del popolo , C6 e
tn la legge agraria. Vili. ^3. Suo consiglio per frenare i
tribuni. IX. 10. X. 3o. ' •
Claudio (Appio) nipote di C. Clàudio per« parte del fratello, è
console. X. 54. È creato Decemviro, 56, (9. E creato di
nuovo Deceniviro , 58 e ritiene un tal grado pel terzo
anno, Ci. Seguito delle sue vioende, XI. 4 • eeg. Muore
in carcere. ^.6.
Claudio (C.) Sabine , sio del Decemviro è console. X. 9. E
contrario anobe egli alla plebe , ivi. Sua parlala in Senato
contro i Decemviri. XI. 7. Si ritira in Sabina, 22 ,
Claudio (M.), cliente del Decemviro : sue pretensioni su Vir-
' gioia. XI. 32,
Claudio (Neròne); console per la seconda volta. Proemio , 3.
Clelia fugge con gli oslaggj. V. 53 e teg.
Clienti o Clientela. Proemio, 8.
Cloache, loro grande artificio. Ili, 67.
Cluvilio, capo degli Albani, occasiona la guerra di questi coi
Romani. III. 2. Sna morte, repentina ,' 5. '
Cluvilio Graooo, sommo comandante drgli Equi. X 21. Sua
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484
riapoaU orgoglioaa ài Romani. X. 22. Gli arviluppa , 25. E
vinto e portato in trionfo , 2/(.. ,
Clovilip (Q.^ Sicoioj è conaole , e reata alla gnardla di Roma,
e perchè. V. 5 9. Depone il contolato e nomina Largio per
Dittatore, 92. Fa prigionieri parte de' predatori latini , er. escludere i scellerati dalla città propria.
IV. 2$. Colonie divenute maggiori delle città madri. III. 11.
Colonne , vi ai descrivono le alleanze. IL 55. Talvolta si cn-
stodivano ne’ teibpi. III. 33. Vi s'incidevano li leggi. X.
32. In tempi pib antichi le leggi si scrivevano ip tavole di
quercia. HI. 36. '
Cominio (Post.) console. V. So. Dedica il tempio di Saturno.
VI. I. È console per la seconda volta, 49 ed in qnal epoca. V. 1 1 .
Confarreazione. Ilt 2 5-.
Consoli , prkni cemioli Brolo e Collatino. IV. Loro di-
stintivL III. Ga. IV. V. 75. X. 5q. Diritto di convo-
car le concioni. VII. 17. Il Senato di loro 1* autorità dì
crncloder la pace. Vili. 18, Il oonsole è privato del con-
solato dal Dittatore. X. 25^ I consoli si rendono amici al-
cuni tribuni per contrapporli agli altri. IX. i , '2. l 'consoli
sono citati al collegio de’ tribuni. X. 3i. Contrasto coi tri-
buni , ivi. Sono citati dii tribuni ai popolo, 3^. Comin-
ciano a governare favorendo la plebe, ^8. 1 consoli tengono
nn Senato privato in casa, 55. Contesa dei patrizj e della
plebe per creare consoli cìascnno della soa' fazione : Un
oonsole si sceglie fra i fautori 'della plebe, uno tra i fau-
tori dot patrizj. Vili, qo e a«g. Si creano i Decemviri in
Inogo dei consoli. X. 56. Si terna a creare i consoli. XL
45. Si creano i tribuni militari in luogo de' consoli | Ga.
GonsolaH , nomini , citati in giudizio dai tribuni finite il con-
solato per la trascnratesza sa le cose agrarie. IX. 37. Sono
multati in danaht in Inogo di esporli a pene personali , e
perchè. X. 49' Ordine nel ohieder loro i. pareri in Senato,
5. Limiti deir autorità consolare. IV. 75. 4. Toi*na in potere degli Equi , 26. È distratto dai Ro-
mani, 80. ■> '
Gorciresi , loro sedizione.^ VII. 66.
Cordo, cognome di Mnzio. V. aS. '
Digilized hy Googlc
486
Gorilla 0 Coriola paoae dei Latini. IV.
Goriola , oittà famosa de’ Volaci tiene assalita da Poslumio
Gominio. VI. 92. Si rende a Marcio Gnriolano, Vili. 19.
Marcio ebbe nome appunto d*' Goriola. VI. 94*
Gornelio (L. Siila) , durissioio nella sua dittatura. V. 77.
Gornelìo (L.) console. X. 20. Espufgna Ansio, 21. Suo pa-
rere su le istanze dei Decemviri. XI. 16 e aopra i r'Idali
che' abbandonavano il campo dei Decemviri , 44-
Gornelio (M.), fratello di Looio Gornelio, è Decemviro. X. 68.
Sna risposta a G. Glaudio. XI. 16. invita Lucio eoo fra-
tello a dire il suo parere, iC> Marcia contro glj Equi, 2Ó.
Gornelio (Ser.), console, fa tregua per un anob coi Vedenti.
Vili. 8a.
GorneUnì, popolo del Lazio. V. Gz.
Gornicolo , città del Lazio. IV. 1. Gade in potere di Tarqoi-
DIO Prisco. III. 5l. '
Gorni di bove :. si convocava con essi la plebe romana.
IL 8. >
Corona di oro donata dai Romani a Porsena. ,V. 35. Gorona
di oro data a chi aveva salvate le bandiere. X. 36. Gorona
civica donata. Vili. 29. X. 07. Gorona anurale, ivi. Il po-
polo esce coronato ad incontrare il vincitore. IX. 35.
Gote , segata cpo un rasojo. III. 71.
Greraera, castello presidiato dai Romani contro i Vejeoti. IXi
i5. E preso dagli Etrusohi , 2Ò.
Grotone , quando fondata. IL 69..
Grotone nella Etrnria tolta dai Pelssghi agli Umbri. I. 1 1*
Muta abitatori e nome, ed A chiamata Goiornia. 17. Lingua
de* Grotoniati , lo. . **eoe tiranno , 8. Come le ne li*
bera , li. Viene occnpat'a dai Gampapi. Tomo £e^s/on/. In-
contro in Coma dei, Legati Romaqi. Manda nn Mocono ■
quei della Riccia. V. 36. ‘ •
Goraxj. III. iL Loro spoglie portate in Roma, 21.
Cori , sna origine. II. 48-
Coreti , loro rili. IL 90. Faroleggiati ohe educassero Gìore
fanciollo. II. 61. 1 Coreti dei Greci sono gl' istessi cbe i
Salj dei Latini, 'jo.'
Carie erano parti anbalteme delia divisione
pii generale dei cittadini in Roma. IL Se avessero nome
dalle matrone Sabine, 47* Sbotto Romolo scelsero i Senatori ,
ed i Celeri, 3, Ordinano coi loro voli che ai restituiscano
i beni a Tarqainio superbo. -V. 6.
Cariali. Vedi Comizi e Centurie tì.^
Gnriasj. Vedi Cumtj.- . il
Cnrieni^ capi delle Carie. IL 7. Facevano pnbblico sacrifizio
per le Carie. IL 64
Difesa , non dee negarsi ad alcuno. V. 4- \Tcmpo acoordato
per difendersi. VII. 58. ,
Dittatore , origine dtl nome. V. 73.. S'na anlorilà e dnraaione.
VII. 56. Creavasi. nel' tempi diffioili della repubblica. XI.
20.' Condotta del. primo dittainre Tito Largio. V. 75. Imi-
tato dagli altri dittatori 6uo a Siila ,77» Anio Poslnmie
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ditutor» «econdo. TI. >. Mjnio TaWrìo dilUtore terw*. VL ^
3g. Loeio $. Vinte le
Spagne viene io Italia , ivi. Uccide Caco , 33 e .diviene
insigne , 34> Abolisce i sagriGsj umani soliti a farsi a Sa-
tarno, 28- Evandro gli tributa onori- divini, 3i. Soci com-
, pagiii che si fissano presso dèi Pallanteo. II. i. Alenai han
crednto che egli lasciasse de’ figK nell’ Italia. I. 3^.
Ercole, Arconte di' -Atene. .IV. 4 >•
Erdonio Appio «conpa il Campidoglio^ X. 1 i- Muore combat-
tendo talerosamente , iC. '
Erdonio (Turno), resiste a Tarquinio superbo, cabala di que-
sto per Deciderlo. IV. e seg.
Ereto , città Sabina. III. 5q. Battaglia data in Breto eontro i
Toscani. IV. 3. Sua distanza da Roma. III. 3i. Restava
presso del Tevere. XI. 3. I Sabini'- vi al aocampanp, ivi.
Vi tono vìnti da Tarquinio. aoperbo. IV. 5l.
Erinni, venerate dai Groci.'II. Jj. • r
Elitra , luogo dell’ Asia minore. IV. 62.
Ermmio (Lar.) conscie. XI. 5i.
Erminio (Tito), i latciatò Inogotenente da Tarqninio nel cam-
po , suo zelo per liberare la patria dal medesimo. IV. 8.
E UDO de’ capitani contro Porsenna. V. 22. Tito Erminio
console , 36, Lnogotenente del Dittatore impedisce la foga
' \
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49*
dc'RomaoL VI* Uocide Manulio, io cpoglia ed 4 uo>
oieo , ifi. , , ' , r- •
firnici , popoli *icini ai Romani. Vili. Si collegano eoa
Tacqninio , inperbo. IV. 4q- Ritpondoao ambiguameote ai
Romani che dimandano loccorto. V. Promettono ajuto
ai Latini contro i Romani. VI. 5. Risposta loro superba ai
Romani. Vili. 64* Lasciano gli alloggiamenlt di notte a
faggono, C6. Chieggono la pane e la ottengono, G8 « seg.
Cassio vuol che partecipino alla ilivisìone ilelle terre, 90 ,
9 ■ . Mandano >i Romani il doppio de’ sussidi ricercati. IX.
5. Dimandano ajnto ai Romani contro gli Equi e gli Er-
niciy C9. X. 20.
Ersilia Sabina , antrice della Legasione muliebre ai Sabini
dopo il ratto.. II. 4^. III. 1.
Esequie, Tarquinio Superbo le proibisce in,qlQrle.di Servio
Tulliò. IV. 4o. Escq uic per Virgioia. XI, 39. . '
Espiasione. Romolo fa , saltare ^il popolo attraverso le Gamme
per espiarlo. I. 99. Espiazione per acciskme non volonta-
ria. IIL 2 2. Espiasione pe^ causa di un morbo cohtagioso.
JX. ^o. Espiasione o lustrazione di Roma dopo ia morte
di Erdonio. X. 19. '
Esploratori mandati in qualità di J/gatu VI. i5. ' ' ■
Esquilino , colte, il. 5'f. Servio Tullio lo oniOoe a Roma.’IV.
là. Tribù. Esqnilio'r, ì4- Porta -Esquilioa. IX. 68.
Etrunia ; E la stessa che la Tirrrnia o Toscana, è fertile in
vino. I. 28. E divisa in dodici principati ed à potentissima
per terra e per mare. VI. 95. •
Etrnachi delicati e sontuosi nel vivere. IX. 16. Mandano soc-
corso ai Latini contro i Romani. 111. 3>. Coma ai Sabini,
65. Sono vinti da Tarqninio Prisco, ivi, e da Servio Tal-
lio. IV: 29. Sono battali- da quei delta -Riccia ed accolti
dai Romani. V. 36. Ricusano socoot^reàa tanto i Romani ,
quanto I Latini, 42. Destinano socoòrrere i Vejentì contro
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49»
- i Romani. IX. i. E'K' toecorretto, C. Abbandonano gli ao
campamenti, i3. Stacenno i Yeieotì dall’ amiciaià
’ mani. IX. i8. Ocenpano il OiamenU, 2ó. Foggono di notte
a Vejo, aG. Etmachì vebati ad abitare nr Roma. I. So. Via
Elrnica o Tirrena in Roma. 'V. 36. Ré de^i Etmsci : loro
diatiotivi. III. Gl. '
Evandro. L 92. Viene e prenda sede cOn gli Arcadi dn Pa-
la tia. I. So. II.' I. (Inori che porge àd Ercole. L'3i. Dina
o Lavinia figlia di Evandro, a3. ' '
Eariléone Aacanio figlio di Enea , re de’ Latini. I. 5G.‘
i
F • ‘ ‘
Fabia , gente cccvi. Fabj marciano per difesa di Roma contro
di Vcjo.. IX. 1 5. Il consoilato fa per sette anni- contiabi
nella casa dei Fabj fratelli Cesene, Marco, e (Quinto, 22.
Se necièt i trecento^sei Fabj sopravvanzasse nella gente F^*
bia' nn aòlo fanoiollo, ivi. '
Fabio (Cesène), fratello di Q. Fabio, estendo questore accasa
Cassio di tirannide. Vili. 7^. B fatto console, 83. Va a
■oocorrere gli alleati di Roma, S(. Diviene oonsole per la
seconda volta. IX. 1. L’esercito non -lo ubbidisce e lo in-
salta’ e mettevi in marcia senza il comando di Ini, 3. E Io
priva di una segnalata vittoria , ivù Diviene console per la
tersa volta, Soccorre il Collega, ivi. Va qaal proconsole
ai Fabj che presidiavano Oreoieral, 16.
Fabio (M ), fratello di Cesene, é console. IX. 21. È' mandato
a soccorrere gli alleati. Vili. 88. Depone il consolato e
ricasa il trionfo, iZ. Va con gli altri Fabj. contro Ve-
jp, i5. . • ' ,
Fabio (Q-), storico Romano, anlichisshaó. Proemio, 6. '
Fabio (Q.), Pittor» cosa narri dei dne gemelli di Ilia. I. 70.
Gota del tradimento 'di Tarpea. IL 38eseg. Si rigetta Iacea*
s
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teoz»'di >rai circa i figli di Tarquiaio Frjico. lY. 6« Seoti-
menlo di Fabio aa di Egerio, G4> Foca ma diligenza nella
cronologia^ 3o. ,
Fabio (Q.) r.ooDtole- Vili. 77-. Marcia contro gli Eqai ed i
Volici, 83. Q. Fabio , figlio di Ccione , console per la se-
comU Tolte, QO. È ncciso, 20.
Fabio (Quinto), figlio di uno dei tre Fabj i qnali preiiede-*
rano alla guarnigione di Cremerà , diriene.^ console. IX.
5g. Fa pace.oon gli Eqni, ivi. Q. Fabio Vibnlano & còn-
sole per la .seconda volta. IX. 6i.^.Debella gli Eqni, ivi.
Q- Fabio Vibolano console per la tersa volta marcia contro
gli E delibera sa la guerra contro i Romani. V.
‘ 5o, Sa, Ci. ^ •
Feciali, Noma istitnises il collegio de’ Feciali in Roma. II.
•ji. Sono impiegati nel 'cènoiliare la* plebe- col Seiuto. VI.
89. Loro incombente. II. 93. ' .
Ferelrio , Giove. II. 34- '
Fidene-, è fabbricata dagli Albani. II. 53. Era lontana cinque
miglia da Roma. 'III. 2ij. X. 22. Romolo la , rende colonia
Romana. III. 2* prende Tar-
• qninio Prisoo, 58. Per impulso di Sesto Tsrquinio si ri-
■ bella dai Romani, V. 4^- 6 riacquistata, 45. I Sabini ac-
campali a Fidene sono vinti. IV. 5s.
Fido Giova Saiico. IV. 58. Sp. Postnmio consagra il tempio
di Giove Fidio. IX. Co.
Figli. I delitti de’ figli non privano il padre de’ propri beni.
Vili. 80. Figli come soggetti al padre. Vedi padre.
Flanmii , pecchi cbs) chiamati. IL C4.
Ftanleio (M.), sna bravura, premio, esortasioni. IX. io.
Fortuna. Ser. Tallio le fabbrica due te(npj. IV. 2’j. Uno di
questi tempi s’ incendia , 4^2. Giuochi
funebri. V. jj. Oraiioni funebri aolite in morte de* vaien*
tuomini. IX. 54* Qual popolo le intradnceaae. V. ijt Ora-
aio padre non, rende i funebri onori al)a figlia percbi non
amica ‘della patria. III. ai. ,
Fario (Lnoio) , console. IX. 36. ~
Furio, triumviro per dividere i terrenj. IX. 5g. -* .
Furio (Sta.) , oòniole. Vili. i6.
Furio. (Spor.), oopaole. IX. i. Corre e saccheggia le campa'-
gne degli Equi, a. . - /4g. ■
Geganio. (L.),. fratello di T. Gegaoio oonsole, i spedito a com-
prare i grani in SiciK». VII. i. Suo ritorno, lo.
Gegaoio (M. Macerino), console. XI. 5i.
Geganio (T. Macerino), console. VII. i.
Geli) , i dne fratelli, nipoti di Bruto congiurati. V. €. '*
Gellio (Gn.), senteosa di lui oirca Tanno del'ratto delle Sa-
bine. Il, 3l. Altra sul collegio de' Feoiali, gl. Scrisse
che Numa lasciò una figlia, Suo parere sul venir di
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Tarqainio a Roma. IV. C. È oegligeatt' nella ■ oronologia.
- VII. I. , '
Gelone, iuocede ad IppocraU nella tirannide. VII. i . Manda
■ framenlo in dono li Romaoi, so. ‘
Gennaio (On.), tribuno della plebe, insiete per la legge agraria e
si ritrova morto. IX. Z’j, 38. E ohiamato Cajo in .Inogo
di Gneo. X. 38. 4Tito Gennaio obiama in gindiaia Tito Me-
nenio. Titn Livio chiama Gennaio sempre Tito e non Cneo
nè Cajo. IX. 27. • ' . ' PorseOa lo' occnpa. V. 22^ Lo
ooonpano gli Etruschi. IX- 2{. Lo abbandonano, 2C.
Giapigia , promontorio 'Saleolino. I. ^2.
Giove, spoglia Saturno del comando. IL 1 9. Tarquiàio Prisco
comincia a fabbricare id comune un tempio a Giove, Giu-
none e Minerva. III. C9. Giove Feretrio. II. 34. Fidio ,
vedi questa parolk. ,
Giove' Capitolino, ammonisce i Romani a replicare i giuochi in
suo onore. VII. 68. Sagrifis) a Giove nel monte Albano.
Vili. 87. Romolo alsa un tempio a Giove Statore. IL 5o.
Giove Terminale. II. 74.
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497
Ginlia, famiglia traiferiu da Alba a Roma. III. 29. Giulio il
pili grande de’ figli di Ascanto diede origine e uomo alla
gente Giulia. I. 61.
Giulio Proolo , suoi racconti eu Romolo. II. C5.
Giulio (Cajo) Cesare rende alle loro cariche i tribuni espulsi
da Pompeo. Vili. ^8.
Giulio (C.) Ginlo console. Vili. i.
Giulio (C.) console. Vili. 90.
Giulio Decemviro. X. 5C.
Giulio Vopisco console. IX.
Giulio (L.) Bruto perchè detto Bruto. IV. G7. Sua perora-
zione contro la tirannide ^ 70. Bruto e Collatioo i primi
sono destinati consoli , 7G. Austerità sua nel punire i oon-
giorati a favorir la tirannide. V. 8. Fa rimovere Collatino
dal consolato e prende P. /Valerio per collega, 12. È uc-
ciso da Arante Tarqninio in battaglia j i5. E riportato in
Roma: aoa pompa funebre, 17 e seg.
Giunio (Brolo L.) , nomo plebeo. Vedi Bruto.
Ginnj (Tito « Tib.) figli del console oongiurano e sono pa-
niti. V. 8.
Giunone , suo tempio. I. ^1. Sul Campidoglio insieme con
quello di Giove e di Minerva. IV. 61. Giunone Luci~
fera, i5.
I
Icilio (C.) Ruga, è creato tribuno. VI. 89.
Icilio (L.) tribuno della plebe per la seconda volta. X. 33.
Riprova in parte il parere di Siccio , 4».
Icilio (L.) destinato sposo dì Verginia. XI. 28. La soccorre,'
ivi. Perora in suo favore, 3i e seg.
Icilio (M.) coetaneo e compagno di Sp. Verginio. X. 49*
mOJSIGI. tomo ut. Si
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498
Icilio (Sp.) è spedito dalle plebe al Senato insieme con Im
Gionio Brolo, e M. Decio. VI. 88. Sne querele contro
del Senato per la carestia e per la colonia mandata in
luoghi malsani. VII. i4 , 19. Sp. Icilio Roga edile tenta
di arrestare per ordine dei tribuni Goriolano ed ò ri-
spinto dai patria), 26. Icilio tribuno aumenta il potere della
plebe. X. 3i.
Itia figlia di Numitore. I. 6'}. È falla Vestale, ed ingravidata,
ivi. Partorisce doe gemelli , 69.
Imatiooe, Remo Gglio di esso. I. 63.
Imperiale, abito. Vili. Sq.
Interri , quando si creava. XI. 20. Interri creati , morendo
un console e stando malato 1* altro. IX. i4* O morendo
tolti dne i consoli, 69. Interri creati per cagìon de’comis).
XI. Ga. OfGsio degl* interri. II. 58. IV. 4o> So*
Interregno dopo la morte di Romolo. II. 5'}. Dopo la morte
di Tulio Ostilio. III. 3C. Fatto l’ interri cessarono tolti gli
altri magistrati. Vili. 90.
Italo, Oenotro di origine regnò nell’ Italia e le diede il nome.
I. 26. Sicolo creduto figlio d’ Italo diede nome alla Sicilia,
i3. Ad Italo soccedette Morgete , 64*
Italia ebbe nome da Italo. I. 26. Fu già delta VItalia. 2’). E
dai Greci Esperia ed Ansonia , ivi. Come Saturnia dai pae-
sani, ivi. Bontà dell* Italia, 2';, 28- Limiti dell’ Italia , a.
Antichi limiti della medesima, 64* Città Greche nell’Italia.
X. 54- L’Italia si ribella dai Romani. IL 17.
L
Labìcani , popolo del Lasio. V. 4*. Erano colonia -degli Al-
bani. Goriolano gli espugna. Vili. 19.
Lacedemoni , loro colonia passala tra i Sabini. II. 49* Uno
Sparlano il primo si espose nudo affatto a compiere i giuo-
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499
chi olimpici : non concedevano agli esteri il diritto di cit-
tadinaosa se non rarissimamente, ij. S* impadroniscono di
Atene. XI. i. I Re loro erano dne. lY. q'S. Sottoposti alle
leggi. V. jii II* ìAi Autorità somma nel Senato, ivi.
Così crebbero. IV. Perderono il comando con ignomi-
nia. II. 7.
Largio Sp. , capitano, protegge l’esercito che si ritira. Y. 23,
2Ì, Procura i viveri a Roma, sf, È console, 3iL Sp. Lar-
gio consolare marcia a soccorrere Valerio , Sp. Largio
fratello di 'T. Largio Dittatore /resta in gnardia di Roma,
7 5. Sp. Largio Flavio console per la seconda volta. VII.
68. Sp. Largio mandato ambasciadore oon altri a Gorìo-
laoo. Vili. 23^ Spurio Largio stando a difendere Roma ne
protegge le vicine campagne. Sp. Largio interré , go.
Consiglia la guerra contro i Vejenti , Qi.
Largio (T.) oons. V. ^ T. Largio Flavo cons., 5g. Sua mo-
derasione, 60, E dittatore il primo, 7^. Sna condotta,
75. Sentenza di lai sol pacificarsi coi Latini. VI. ^ Sai
ristabilire la concordia interna ed esterna, e seg. È la-
sciato in guardia di Roma, 4^. Sno diacorso alla plebe ri-
tiratasi, 81.
Largio (T.) legato di Postumo Cominio espugna Coriola. VI.
Larisse, due, nna in Italia. I. l2. L’altra in Tessaglia. X. iL
Latino figlio di Ercole ma creduto figlio di Fauno , e per-
chè. L 34. Re degli Aborigini : il suo regno passa ad
Enea , ivi.
Latino Silvio Re. L Ql,
Latini , ebbero questo nome sotto Latino, L 1 , 56 , 5_l, Le
città Latine ricusano di ubbidire ai Romani dopo la caduta
di Alba. III. 34, Sono vinte da Anco Marzio, E da
Tarquinio Prisco, 4S: Si collegano con esso, 54. Decretano
far guerra contro i Romani per favorire Tarquinio Super-
bo, 61. Vinti cercano la pace. VI. 1 Volaci cercano
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5oò
•nmiDOVftre i Latini , e questi ne portano gli ambasciailori
legati a Roma, e ne tono premiati. VI. zi. Sono infettati dai
Volaci. Vili. L2. E da Curiolano, ^ Catsio vuol che par-
lecipiuo alla divisione delle campagne come i Romani, 6r).
Cercano toocorto dai Romani contro gli Eqni./4X. L. Man-
dano il doppio de* snttidj dovuti ai Romani, ^ Sbaragliano
gli Equi ed i Voitci, Sì. Chiedono di nuovo ajoto dai Ro-
mani contro gli Equi, Co . 67. Città Latine. VI. 63 , 7^.
Vedi Ferentino. Ferie latine istitnite da Tarqninio superbo
sni monte Albano. IV. ^ Se ne aggiunge una seconda per
la espulsione del tiranno stesso il qnale le aveva istituite ,
ed una tersa pel ritorno del popolo. VI. q5.
Lazio , era luogo della regione degli Opici. L 63.
Lavina o Lavinia figlia di Anio o di Latino. L Lavina figlia
di Evandro ,
Lavioio metropoli del Lazio, e di Roma. Vili. 3o. E fon-'
data dai Trojani. I. 36. Vili. 2 1 . Coriolano l' assedia , ivi.
Quei di Lavioio cercano soddisfasione dai Romani per l’ol-
traggio fatto ai legati. IL .*) 2.
Lanrento città d' Italia. L 44 . 46. Era degli Aborigeni,
Situazione di essa, 36.
Legge , si esaminava prima dal Senato , e poi si proponeva'
al popolo. IX .45. Tempo richiesto per I’ esame, 4j_ì Di-
ritto di formare le leggi presso del popolo. II. i_4. 1 pa-
trizi tenevano per leggi quelle sole emanate dai comiz| cen-
toriati. XI. Ma poi riconoscono anche le altre dei Co-
mizj per tribù , ivi. Leggi di Romolo. IL z3. Leggi di Servio
Tullio. IV. i_3. Il tiranno Tarqninio toglie tutte le leggi di
Tullio, 43. Legge di Romolo sol matrimonio. IL £3. Legge
del medesimo circa la potestà patria, ìQ. Compilazione delle
leggi. Vedi 7)ece/nviro/o.’ Queste leggi sono proposte all’esame
del popolo. X. 5^ Ne risultano le leggi delle dodici tavole.
Co. Le quali furono stimatissime. XI. 44-
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5oi
L4‘ttorìo G. tribano della plebe rttponde al console Appio Gl. a
nome della plebe. IX. 4^ Suo tumulto |>er arrestare Appio, 4^
Licinio storico : sue narrazioni su la strage di Tazio. II. 5a «
54. Su Tarqninio Prisco. IV. ù± Su la ovazione. V.
Su Tarqninio superbo. VI. 1 1. Sua negligenza nell' esame
de' tempi. -VII. u
Licaoni , dne. L 1.
Licinj C. e Pab. creati triboni. VI. 8^
Lioorgo , dà leggi severe agli Spartani. II. 42: Divulga di
averle apprese da Apollo Delfico, f) i .
Lidi o Lydi , inventori di nn dato giuoco. II. 'jL.
Littori , precedevano il re con fasci di verghe e con scure.
III. ILl, Difendono il console ooniro il tribuno. IX.
Rimovono per comando dei consoli la torba che tumnltoa.
VII. IL Ogni Decemviro fa precedersi da dodici littori. X.
5q. I tribuni risolvono di far gittare dalla rupe tarpea oa
littore perchè aveva ubbidito al consoli. X. 3i,
Liguri , loro emigrazione dall' Italia nella Sicilia. L lL I Li-
cori contrastano il passo ad Ercole nelle Alpi ,
Liri , fiume. L L,
Lista, metropoli degli Aborigeni. L S,
Liti, e cause discusse ne’ tempi de' mercati. VII. fiS.
Locri , f n tempo Lelegi. L Q.
Longola città de' Volaci è presa da Postumo Cominio. VI. qi.
• È presa da Goriolano. Vili. 56.
Lucani, infestati dai Sanniti. Tomo III. Lfgationi. Sono vinti
5- Perchd chiamati Aborigeni , 5.
Vengono dall’Arcadia con Oenotro. II. i.
Oenotro , ana nascita e venata in Italia. I. 3.
Opici , popolo : loro porto. I. 44* La regione loro abbracciava
anche il Lazio, C3. Gli Opici cacciano i Sicoli, i3.
Opimia, Vergine Vestale; è condannata per lo stupro. Vili. 8q.
Oppio (M.) capo dell’ esercito che si ritira dai Decemviri.
21. 44.
Oppio (Sp.) Decemviro. 2. 58. Resta con Appio Glandio a
proteggere la cittii. 21. a3. Convoca il Senato, 44* R con-
dannato a pieni voti dal popolo e more lo stesso giorno in
carcere, 4C.
Orbilia Vestale è punita per lo stupro. 12. 4c.
Ostia città, da ohi formata. III. 44.
Ovazione, perchè cosi chiamata. V. 47 Doao maodato
dai Remaci al medesimo « 35.
Porta Capeoa. TIII. 4- Carmentale. I. 23. Mogooia. IL 5o.
Sacra. X. i4- Trigemina. I. a3. 3o.
Porzio (M.) Catone, eoo racconto su dne gemelii d'Ilùu I. ^o.
Sa l’anno della fondazione di Roma, 65. Su le tribù sta>
bilite da Tallio. IV. i.
Fostamio (4.) consolo, è nominato dittatore. VI. 2. Marcia
contro de’ Latini , 3. Parla all’ esercito per animarlo , 6.
Trionfa dei Latini, 17. Lascia la dittatura e rende i suoi
magistrati alla Patria , 23. A Postnmio Albo combatte bra-
vamente contro gli Aoranci , 33. '
Fostamio (A.) Albo console, collega di Furio lo soccorre.
IX. 65.
Fostamio (P.) Taberto console con M. Valerio , marcia a eoo
correrlo. V. 3q. P. Postnmio Taberto. console per la se-
conda volta, è battuto per la troppa audacia, .(4* Ripara
r infamia , vince bravamente i Sabini , gli si accorda 1’ o-
vazione , 47> Postnmio Taberto è legato alla plebe pro-
fuga » 9-
Postnmio (Sp.) Albino console. IX. 60. Dedica il tempio di
Giove Fidio , ivi. Spur. Postnmio va legato in Grecia a
raccoglier le leggi. X. 52. E creato Decemviro, 56.
Postamj , impediscono la legge Agraria , ed il popolo li con-
danna ad una emenda. X. 4a>
Postnmio , legato vilipeso dai Tarentini. Tomo III. Lega-
zioni.
Preda, parta data ai soldati , parte all’ erario. X. 21. Preda
venduta dai questori con metterne il denaro nell’ erario.
VIII. 82. Colle decime della preda se ne fan sagrifizj, VI.
17. Primizie della preda date ai valentuomini, q4.
Prenestini , popoli del Lazio. V. 4i* Prenestina via. IV. 53.
Proca Silvio , Re di Alba. I. 62.
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5i2
Prole. È deliUo di ucciderla. I. 8. Quando polesse eaporei
secondo la legge di Romolo, II. i5.
Fi'oserpina, «e ne dedica il tempio. VI.
Punica, prima gnerra per la Siotlia. II. 6C. Suo comincia-
mento , quando. Proemio, 8. '
Q
Quadrighe, combattimenti con ewe. VII. 'jz, '^3.
Questori, Vendono la preda. VII. 05 e ne portano il danaro
nell’ erario. Vili. 82. Vendono i beni dei profughi , e ne
recano il prezao nell' erario. XI. 06. Sono comandati di
fare a spese pubbliche i funerali di Menenio. VI. q6. Ac-
cusano Cassio come reo di tirannide al popolo. Vili. ^7.
Querqnelnla , popolo del Lazio. V. Oi.
Questura , la esercita un nomo consolare. X. 23.
Qaintilj trasferiti da Alba in Roma. III. 2^.
Quintino Sesto console , muore per la peste. X. 55.
Quinzia , via. I. 6.
Quinzio C. o Curzio console. XI. 5z.
Quinzio Cesene figlio di L. Quinzio Cincinnato, si oppone ai
plebei : è accusato al popolo. X. 5. Va in esilio , 8.
Qnhizio (L.) Cincinnato, padre di Cesene, fa la causa del figlio
presso del popolo. X. 5. Venduti i suoi beni paga per la
sicurtà del suo figlio , e si ritira io un suo poderelto di
là dal Tevere. X. g. Donde è chiamato al consolato, l’j.
Sna condotta , e seg. £ chiamato dal suo poderetto alla
dittatura , 24. Soddisfa al bisogno , e torna privato al suo
rampo , 25. Suo parere sul frenare i tribuni, 1'}. E sol
duplicarne il numero , 3o.
Quinzio Tic Capitolino console , discorda da Appio suo col-
lega. IX. 4i- Ammansa il popolo, ivi. Divide la rissa dei
tribuni e del sno collega , 48> È console per la seconda
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5i3
volta. IX. ^ Vince gli Equi e i Volaci , ivi Ne trionfa,
È console per la terza volta , Qjj Proconsole porta ajoto
■ Ser. Furio, Questore porta ajuto a Miuuoio circon-
dato dai nemici. X. 22, Parere di lui su le richieste dei
Decemviri. XI. i2> E console per la quinta volta, 02,
Quirino, vedi Romolo e Marte.
Quirinale. II. 58. K congiunto a Roma da Romolo, e Tazio,
2q, Noma lo ricinge di mora , ,
Quiriti , nome di tatti i cittadini di Roma derivato , da Curi
patria di Tazio. II. ^6. . .
Rabolejo (C.). tribuno, come divise, come dii' fine alle oou*
tese dei consoli. Vili. 5^
Rabnlejo (M.) Decemviro. X. 28, Marcia contro i Sabini.
XI. a5. ■ ' ‘ ' •
Rasena duce Tirreno. L 21, . . _
Ratto delle Sabine. II. 2tL In grazia di esse lasciasi ai loro
cittadini vinti la patria, la libertà , li beni, 55.
Reatino agro, fu tenuto- dagli Aborigeni. II. I Reatini ac-
colgono i Listani profughi. L 6*
Regillo , città Sabina , patria della gente Claudia. V. 4°^
Claudio a tempo dei Decetnviri protesta ritirarvisi di nuovo.
XI. i2,
Regillo , lago nel Lazio. V. ' v
Regno , Numa lo ricusa. II. Ila. Suo diritto TÌmaneva nei col-
latori. IV. ^ Si regnò lungo tempo sotto certe condizioni. .
V. 2^ Perchè gli antichi talvolta togliessero il governo re-
gio ; ivi. Quanto durasse in Roma. IV. 82,
Re delle cose sagre, vedi Manto Papirio.
Rea , figlia di Numitore. L
Rea , ossia Opi , suo tempio. II.
vio.vicr, toma III. ^ ' il
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5i4
Religione, quanto ne fouero ouer?aatt gli antichi. Vili. o-).
Rem uria. 1. ^6.
Ren>o> nome dato da Fanalaio. I. ^o. È fatto prigioniero, ’ji.
£ aoiolto . ^a. Sua morte e tomba, 78.
Roma, Donna Trojana, vi è chi scrive che desse il nome alla
città regia di Romolo. I. 65.
Roma , se ne additano tre. Proemio , 7. FondaaioDe fattane
da Romolo. II. 2. Il suo popolo derivaTa dai Greci non
dai Barbari. VII. 72. Romolo e' Tasio l' ampliSoano. II. So.
Servio Tullin vi aggiunge i| Viminale., e 1’ Esqnilino. IV.
i3. Dividendola in quattro p.irii, e tribù ; tanto che i colli
di Roma divennero sette, i{. Brolo la rende libera. Vedi
Giunlo Bruto. Re’ suoi pericoli più grandi conservò sempre
^ la sua dignità. Vili. 36. Non usava cedere punto ai nemici.
VI. 71. In tempo di pace era sedisiosa , i laddove era una-
Btmc in tempo di gnerra. X.. 33. Fa rifugio a quanti vi
cercavano sede sicara. V. 56. Moltitadine della colonia che
vi andò con Romolo. II. 2. Quando presa dai Galli. I. 65.
Fn dominata prima dai Re {'quanto ciasenno vi dominasse,
66. Quindi ebbe per capi i consoli, poi K Decemviri, e di
nnnvo i consoli, i triboni militari, e di nuovo i consoli.
Vedi queste parole.
Romilip (T.^ console.' X. 33. Gommissioni (die egli diede a
Siccio, Siocio lo accusa al popolo, ^ condannato,
ivi. Sèntensa di lui su la compilazione delle leggi. So. E
creato Decemviro , 56.
Ronsolo figlio di Enea. I. Nascita di Romolo e
Remo, 6q,'7«. Era decimoseuimo nella disceadeosa da
Enea , 36. Non ennenrda col fratello sol laogo di fabbri-
care Roma , 76. Uccide Remo e se oc pente , 78. Fonda-
aione di Roma. II. a. È creato re, dal 16 al 56, delio
stesso libro si esprime la condotta ‘di Romolo nel regno;
muore, 56. Noma gli inalza un tempio e la venerarlo con
annui tagriCzj , 63.
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5i5
Ro*tri nel Foro Romano. L 20:
Rutuli, fanno guerra a Latino. L 4^ Si ribellano di nuovo
(la Latino , Enea niuor* combattendo con eui , iei. Pro*
mettono di mandare ajulo ai Latini. V. 4^
S
Sabini j cosi denominati da Sabino o Sabo. II. 4^ Vi è chi
li crede Spartani di orìgine in gran parte. IL Un tempo
erano molli come gli Etruschi , 58. Prendono Lista', me-
tropoli degli Aborigeni, Sotto il comando di Tazio por-
tano guerra ai Romani , 5iL Condizioni con le quali con-
cludono la pace con Romolo , 4^ Tallo Ostilio li debella.
111. Ili Rompono 1' alleanza e li debella di nuovo ,
Come pure li vinco Anco Marzio , 4» . 4-- Promettono
ajute ai Latini contro t Romani « ìlL, Li vince anche Tar>
quinìo Prisco, 55 , G^. E Tarquinio so|)erbo. IV. 5o. fi
li consoli. V. Esultano per una leggera vittoria e
sono disfatti novamente , i_5. Ottengono la pace ,
saliscono i Romani mentiv; erano in festa. Yi« 3_L. Movono
guerra di nuovo ai Romani , 34. Promettono soccorrere i
Volaci , e sono vinti , 4A: Soccorrono i Vejenti conlro i Ro-
maoi. IX. ^ Sono vinti , ìjL Fra la sedizione di Roma
ne devastano la campagna , 5^ Tutti due i consoli deva-
stano la loro campagna , 56. Servilio consdle li desola ao-
vamente, 5‘j. Scorrono sino a Fidene. X. 2^ Manomettono
di nnovo I’ agro romano. X. zfL Di nuovo fanno s>:orreria
ne* coo6oi. XI. 5 . Combattono co' Romaui pel comando.
VI.
Sacro Monte. VI. 45^ Lai plebe vi alza nn altare e vi sagri-
Aca , 90. Via sagra. IL 4C . 5o. V.'35. Classi otto di mi-
nistri sagri istituite da Jfuma , ii. Cause spettanti a cose
sagre deciJevansi dai Poatefici, ’)5. Legge sagra: cioè quella
su la inviolabilità dei tribuni. VI. ^ Cittadini lordi di
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5i6
sangue sparso si espiano prima di accostarti alle sagre cose.
V. ^
Sacrifisj , dopo la viUoria per render grazie ai nnmi. X.
Vili. 6^ Sagrifìzi per il termine della peste , ivi.
Salj , istituiti da Nama. II. 2^ Tallo Ostilio ne raddoppia il
numero. III. 2l2. Salj Palatini , e Collini , 2^ Ancili o
scudi de’ Salj , 2i_!
Saline antiche all’ iniboccatora del Tevere. II. 5^
Samotracia i«o|a , perchil così chiamata. L iz. Enea porta
Sanniti , sconsigliano i Napoletani dall’ amicisia de’ Rolnani ,
loro, guerra (>oi Lucani eo. Tomo III. Legazioni.
Satirico , giochi e salti. VII. 2^
Satrieo , popolo del Lazio , Corìolano lo riduce colla forza*
Vili. . .
Saturnia , colonia degli Aborigeni. L SiL L’ Italia fu detta
Saturnia , e perchè , sJL Saturnio colle fu detto il CaunpU
doglio , ivi.
Saturno regna io Italia. Ì. 22* SagriEsj fatti a Saturno « zq.
Ercole alza un altare a Satùrno , VI. 1, Tempio dì Sa-
tnmo snl colle Capitolino, ivi.
Saturnali. IV. i^.- -
Scattini popolo del Lazio. V. S_L. ■
Scellerata , via. IV. 59.
Scola letteraria nel Foro. XI. a8.
Scriba ucciso in luogo di Porsena.. V. z8>
Scuri , vedi Fasci.
Sedia Curale. V. 4^ Coriolano fa mettere a basso la sedia
eoa al venir della madre. Vili. 4^ ''
Sempronio (Q.) Alratino console. VI. l. Postumio dittatore
lo lascia a presedere à Roma , !• Console per la seconda
volta. VII. 20. Sentenza sua su le cose agrarie. Vili.
Sempronio (A.) Atratino interré. Vili. E tribuno militare
in luogo di console. XI. Ci. ■ ■
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* 5i7
Sempronio (L.) Atratino coniole. XI. fìa.'
Semprooj , impediscono la legge agraria , e ne sono paniti.
X. ^ e seg.
Senato, donde cos) detto. II. 1_Z, OfBsj del Senato, Pri-
vilegi. Romolo stabilisce nn Senato di cento. II.
1-1_. Vi si aggiangnno altri cento dopo cbe i Sabini farono
messi a parte delle cose di Roma , ^ Tarqninio Prisco
ne aggiunge altri cento , rendendo il Senato di trecento.
III. ^ -Strazio del Senato sotto il tiranno Tarquinia. IV.
4-2, Dopo espulsi i re si ascrivono dei plebei nel Senato
per supplire i trecento. V. il. Siila pone in Senato ogni
feccia di nomini , 2Jz Senato era il freno dell* antorilà
consolare. VII. 55. II console aduna il Senato di notte. IX.
65. XI. 2jk I Senatori sono convocati ad uno ad ano in
affari ardui. Vili. 5, I tribuni tentano convocare il Senato
sebbene tal diritto fosse dei consoli. X. 3.1 e seg. I con-
soli adunano in casa loro un corpo di senatori pi& scel-
ti , 4^ ^ Quali fossero f primi a dire il loro pa-
rere in Senato. VI. 84^ I censori esaminano la vita dei
Senatori. IV. 2^,
Seaatusconsnlto avea forza per un anno. ^X. Ricercavasi
il Senatusconsnlto su cose intorno le quali non vi era leg-
ge. VII. I' tribuni presentano alla pdebe il sefatusoon-
snlto scritto dai consoli. XI. Gj, La plebe approva il sena-
tnscoosulto. X. 5^ ,
» ■ '
Sette acque , luogo. LG, • '
Sette, pagi. 1 Vejenti li consegnano ai Romani. II. 55. I Ko •
mani li rendono a Porsena. V. 5G,
Sequinio Albano. III. i5.
Serg io (M.) Decemviro. XI. 25,
Servii) trasferiti da Alba a Roma. III. 2^
Servilio (C.) console, poco felice contro i Volaci. IX. iG,
Servilio (P.) Prisco console discorda da Claudio ano collega
VI. 25, Placa i poveri, 3G, Eccita i plebei alla gnerra, 28.
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UiS
Vince i Voitcì. VI. 19. Si arro(>a I* ovasione eenza beneplacito
del Senato a vinca gli Aaruaci ,02. /
Servilio (P.) Prisco console , prossimo a noprte convoca il
Senato. IX. 6'j. Muore di peste, 68. '
Servilio (Sp.) console. IX. 25. Più andace che felice contro
gli Etruschi, 26. È citalo al gìodiaio del popolo appunto
per questo, 28. E assolalo, 33. È legato di Valerio nella
guerra co’ Vejenti e si distiogoe, 35.
Servilio (Q.) è fatto maestro dei cavalieri dal dittatore Vale-
rio. VI. 4o.
Servilio (Q.) Prisco, console. IX. 5^. Devasta la regione Sa-
bina, ivi. Q. ^ervilio console per la aecouda volta. Co.
soccorre i Latini , ivi.
Servi reodoti liberi nelle grandi urgenze di guerra. VII. 55.
Servo quando torna di suo diritto. II. 2^. Cospiraaione dei
servi contro la fepubblica. V. 5i.
Sestio (P.) , console. X. 5(. Diviene Decemviro, 56.
Setini popolo del Lazio. V. 61. Coriolano ne prende la loro
città Seizet
Sibille Oracoli. I. .{o. Oracoli della Sibilla Eritrea , 46* Libri
Sibillini esibiti a Tarquinio superbo. IV. 62. A chi dati in
custodia , e quando consultati , ivi. Si consultano in una
grande carestia. VI. 17. Como in caso di segni portentosi.
X. 2. I libri Sibillini si bruciavo, e ai procurane altre col-
lezioni di oracoli e dà quali luoghi. IV. 62. Privilegi dei
custodi dei libri Sibillìai , ivi.
Sicania fu detta un tempo la Trinacria o Sicilia dai Sicani ,
popolo delle Spagne. I. i3.
Siccio (L.) Dentato : sue parole al popolo per la legge agra-
ria. X. 5u. Propone consigli più miti di altri , 4-* Siegue
i consoli in guerra , ma si scusa dall* adempirne certi co-
niaudt , 4S- Come si vendicasse dei consoli, 46 e seg. PI
fatto tribuno , 47* Accusa Romilie console al popolo, 48.
Si riconcilia con Romilio , $2. E ncciao per la perfidia dei
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5i9
Decemviri. XI. 36. L* eeercito gli fa iplendidi fanarali, 2'].
Da alcaiii è chiamalo L. Sicioio Dentato,
Siccio (T.) console vince i Yolsci. Vili. 67. Ife triooEa, ivL
T. Siccio legato saggcrisce a Fabin come riprendere gK ac-
campamenti , 68. Ottiene i premj delia eoa prodeiaa , ivi.
Sicilia fu detta dai Siedi , popolo italiano , quella che un
tempo ai chiamava Sicania o Trinacria. I. i5. Roma ipe-
disCR in Sicilia a provvedere i grani. VII. 1. La Sicilia ai
ribella ai RomanL IL 17.
Sicinio (C.) Bellbto nomo sedizioso prooora di sollevare ì
soldati plebei. VI. VII, 33. Son risposte ai legati dai
consoli. VI. 45. Aduna la plebe nel i.ionte sagro e permette
che i legati del Senato vi parlino , e fa che i plebei rispon-
dano. VI. 71 , 72. E creato tribuno dai plebei, 8q. E tri-
bnno per la seconda volta. VII. 33. Sue invettive contro
Goriolano , 3{. Cita Goriolano al popolo, 38. Fa che il
popolo ne sentenzi ,61.
Sicoli , qnal gente fossero d’ Italia , e dove abitassero. II. i .
Italiani nominati Sieoli da Sioolo re. I. 4- Un tempo abi-
tarono Roma, I. Ne sono cacciati dagli Aborigeni e dai
Pelaighi , ivi. Passano dall’Italia nella Sicania , i3. Legati
Sicoli assaliti dagli Anziati. VII. 37. Vestigi de’ Sieoli in
Italia. II. I.
Sicolo figlio d’italo porta nna oolooia*di làgqri nell’Italia. I.
i3. Sicolo re di Ausonia, ivi. Siedo prologo da Roma
viene a Morgete , 64.
Signia , colonia di Tarquinio. IV. 63. Sesto Tarqninio tenta
invano di prenderla. V. 58.
Silvio figlio postumo di Enea cosi denominato dalle selve. I.
Gl. Ebbe il regno de' Latini dopo la morte di Ascanio, ivi.
Da lui furono Silvj denominati tutti i re di A^ba , ivi.
Soci del popolo Romano dovevano mandargli de’ sossidj nella
guerra. X. 2i. Leggi date ai Latini circa i sussid;. VITI.
i3. E Su racquieto de’ nnovi campi, 74.
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520
Sole , ano (empio. II. 5o. Fonte dèi aole. I. 46.
Sparla , Spartani. Vedi Lacedemoni.
Spineto j bocca del Po. I. io.
Spoglie. Vedi Prede.
Sterile, moglie ripudiata. IL 25.
Sobarrana^ tribb. IV. i4. ' •
Sneasa Fomexia^ cittì rignarderole dei Volaci. VI. 2^ Tarqni-
nio àoperbo la espagna. FV. 5o. Servilio la prende. VI. 2g.
Abbondansa della ana preda , I Soeaaani profoghi ec-
citano i Cab) a far guerra a Tarqniuio. IV. 53. ' -
Suffragi. Vedi Ceiftiz/.
Solpizio (Q.) Camerino oonaole. VII. 68.
Sitlpiiio (Q.) Uno dei legati apediti a Coriolano. Vili. 32.
Sulpiiio (Ser.) Camerino coniole. V. 52. Sua prndeoxa nello
acoprir la congiura , 53.'' Dopo la morte del collega egli
prosiegue aolo a reggere il consolato, 5^.
Sulpizio (Ser.) Camerino console. X. i. Ser. Solpixio mau-
dato per le leggi in Grecia j Sz. È creato Decemriroj 56.
Sona Soana, paeae degli Aborigeni. I. 6.
* J
T
Tanaqnilla moglie di Tarqnìnio Prisco perita degli augurj e
d* interpretare i segni portentosi. III. 4’}- IV. 2. Sua pru-
densa. IV. 4- Sno - favore per- Servio Tullio, ivi. Se Tana-
qoilla seppellisse Arnnte figlio di Tarquiaio. IV. 3o.
Tareolini , sconsigliano i Napoletani dall* amiciaia de’ Romani.
Tomo III. Legaùom. ,
Tarpeja , suo tradimento, morte e sepoltura. II. 38 e vg.
Tarpeo , colle', poi detto Capitolino e perchè. III. 6g. Tarpea,
rupe-, aoprastava al Foro, e vi ai precipitavano i rei. Vili.
98. IX. 4a.
Tarpejo (Spnr.) console. X. 48.
Tarquinj , cittì ricca di Etmria. III. 46.
Tarqninieai cospirano co' Vejenli contro i Romani. IV. zj.
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Ss I
Intercedono per Tarqoinio supèrbo. Y. ^ procurano
colle armi il ritorno in Roma ,
Tarqnioio Arante, è messo dittatore in Collazia donde prende
il nome di Gollatino , esso e snoi discendenti. III. So.
Tarqninio Arante , fratello minore di Tarqniiiio superbo prende
per moglie Tnllia. IV
E fatto re , 4^ Da questo § fino al termine del lib. Ili si
narrano le imprese di Tarqninio re , e la morte in fine.
Tarquinio (L.) superbo, prende in moglie la* figlia maggiore
di Servio Tullio. IV. Le òk la morte, e prende la
minore , Come , e quando s* impadronisse del regno e
perchè fu chiamato snperbo, 4Ai Da' questo § fino al ter-
mine del lib. IV si espongono le 'sue azioni fino, alla per-
dita del regno. Esule tenta più volte di ricuperare il trono.
V. ^ Porsene si distacca da lui , Tarquinio incita* gli
Etruschi contra i Romani , 5i , 6i. Procura sedizioni
in Roma, S3, Quanto tempo regnò. L OS, Muore in Coma.
VI. ai,
Tarqnioio (L.) Collatino torna dal campo in casa. IV. Gj. La
ritrova piena di lotto , ivi. E destinato e fatto console insie-
me con Bruto , , 8i. Rinunzia il consolato e- si ritira a
Lavinia. V. LI, Ove muore. Vili. 4^
Tarquinio (L.) maestro de* cavalieri sotto. T. Qainzio Ditta-
tore. X. 2^.
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r 9 5
Tarquiaio (P.) e Marno di Laurealo rivebno una coapirazio-
nr, V. 5^ Premio dato loro , 5^
Tarqoiiiio Sesto Gglio del superbo : suo messaggio al padre
da Gabio. IV. ^ £ creato Re di Gabio , Violenta
Lucrezia , ^ Esule fa guerra par il padre. V. aa , afL É
creato capitano dei Sabini , Manda sussidi ai Fideoati
assediati, 5S. E capitano dei Latini contro dei Romani ^ (Ll,
E ucciso. VI. L2.
Tarquinio (T.) figlio del superbo porta una colonia in Si-
gnia. IV. Egli a Sesto fan guerra per il padre. V. aa^
a6. È ferito. V. 1 1.
Tarquinia moglie di Ser. Tullio muore d’improvriso. IV. 4^
Strangolala da Tarquinio superbo ,
Tazio (T.) re di Curi e duce de* Sabini contro i Romani.
II. 2ÌL Fatta la pace si fissa in Roma , e regna
eoo Romolu , ho.' Erige altari a più Dei , ivi. Muore , 5l.
Telefono figlio di Circe e di Ulisae. IV. 4ì_-
Tellene città del Lasio. III. V. Qì. Chi ne fosse l’ autore.
L & Anco Marsio la espugna e ne porta in Roma i cit-
tadini. III. !>&
Tiirsosio (C.) tribnno della plebe primo tenta introdnrre leggi
e diritti nella repobblioa. X. La ,
Terenzio Varrone, che dica su i Sacerdoti istitnili da Romolo.
11.1 2±, So la origine del nomo delle Curie , 4^
oracoli Sibillini. IV, fil,
Tebaoi tolgono l'impero agli Spartani. Proemio, ^ Sono sol*
touessi. II. l 'j.
Temistocle Arconte di Atene. VI. 54»
Teologia dei Romani migliore di' quella de* Greci. II.
Termenio Cossia Aterio console. X. 4d.
Termini Dii , loro sagrifisi e festa. IL
Testrina o Testrnna, paese Sabino. II.
Tenero Re della Teucri.! o Troade nella Frigia. L ^
Tevere, passa vicino a Fidcne. 11. hh, Cliiamavati Albula e
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5a3
prette altro nome ila Tiberino Re orlak> dalla corrente di esao. L Gz.
Tibnrtini , popolo del Laaio» V. 4i- Loro fondatori. L 8*
Timeo Siculo, storico non affatto diligente, eioccbè scrive sa
gli Dei Penati. L Gfi. E sa 1* epoca della fondasiona di Ro«
ma , (15.
Tiora, paese degli Aborigeni. L 6.
Tisicrate Grotooiate vince nello stadio. V. VI. 43*
Tisio (Ses.) tribuno della plebe. IX. Cg.
Toga , soB forma. III. Gì. Intessnta di oro.' V. 4^!
Tolerini espugnati a farsa da Coriolano. Vili,
Tuoni e lampi spaventevoli dissnadono Valerio il console dal>
r assalire il campo degli Equi. IX. 55.
Trabea, o Tibeuna. VI. i5.
Trebnia paese degli Aborigeni. L IL
Triarj , quali soldati. V. lL Vili. SG,
Tribuni, prefetti delle trib&. II.
Tribuni dei Celeri e loro ofGsj. II. 64^
Tribuni dèi soldati , venti creati nel ritirarsi le armate dai
Decemviri. XI. 4i^
Tribuni militari destinati in luogo dei consoli. XI. 6t. Depon-
gono il tribunato militare dopo acttanlatri giorni , Ga,
Tribuni della plebe quando creati e quanti. VI. 8
aegneiize , ^ Si arrogano Tarbitrio di accnaare qaalnnqne
patrizio, 5g. Nel caso di Coriolanoj ivi. Cominciano a ci-
tare al popolo qnalanqne cittadino « Si oppongono a
Cassio per la legge Agraria. Vili, Si oppongono alla
leva de* soldati, 87. Impediscono col loro potere i comizj ,
90. Nella penuria de* viveri incitano la plebe contro i Con-
soli. IX. Chiamano al gindisio del popolo i già consoli
perchè diano conto del loro consolato , ^ , 28. Restano
pel secondo anno nelle cariche loro , Sforzi loro per-
chè 8* imprigioni nn console ,' 48^ Insistono sn la formazione
delle leggi. X.'l. Sono chiamati in Senato a consnltarvi sa
la salute pubblica , 2., Cacciano con finti delitti Quinzio
Cesene da Roma. X. 8. Restano pel terzo anno nella loro
carica, ^ E per il quarto , 21, Confermati per nn qninto
anno impediscono la leva innanzi che il Senato decreti per
la formazion delle leggi , 28, Tentano di convocare il Se-
nato , il che aspettava ai consoli, 3i. Il Senato conceda
che L tribuni siano dieci in luogo di cinque , 3^ Gitano
al popolo i consoli i quali non ubbidiscono , ^ Sono im-
pediti nella legge agraria , 4i ° *eg> La peste ne uccida
quattro , 88, Cessano col crearsi dei Decemviri , 4^ Vedi
Decemviri. Ristabiliti si vendicano dei Decemviri. XI. 46.
Istigano di nuovo la plebe contro i patrizj , Pretendono
che anche i plebei possano chiedere il consolato, 82, Cac-
ciati da Roma vanno a Cesare nelle Gallie. Vili. 87.
Tribè, Romolo ne forma tre, -divise in dieci curie. II. 25. Anco Marsio li vince, ^i. Come poro
Tarquioio Prisco, 58. E Servio Tullio. IV. 2>]. Teotaoo
riportare al trono i Tarquinj. V. i4> Sono «ioti dai Ro-
mani, i5. Cornelio accorda loro la tregua. Vili. 82. Sac-
cheggiano il territorio di Roma e ne sono repressi, Qi.
Cercano il soccorso degli Etruschi contro i Romani. IX.
1,5. Assalgono i Romani dipersi , 19. Scorrono frao al
Gianoioolo , ivi. Implorano soccorso dagli Etruschi contro
i Romani , 16. Appoggiati all* aiolo degli Etruschi e dei
Sabini riprendono di nuovo le armi contro i Romani , 34.
Ottengono una tregua di aoni quaranta , 3G. Si acuingono
a ribellarsL XI. 54.
Velia Inogo di Roma. I. 11. V. ig.
Vellelri , città dei Volaci si rende ad Anco Marno. III. ^2.
E presa da Verginio console. VI. ^2. Rifinita dì popolo
dalla peste, chiama dei coloni da Roma. VII. iz.
Vesbola o Suessola paese degli Aborigeni. 1. 6.
Vesta è la terra. II. GG. Perchè siale consagrato il fuoco : e
a chi siano note le cote sacre di essa , ivi. Tempio di Ve-
sta , So. Da chi prima fosso fabbricato e dove, 65. Perchè
vi si onstodisse il fnooo e dalle Vergini, GG. Nel tempio
non potevano pernottare de’ maschi, G^j. Fonte al tempio
di Vesta. VI. i3.
Vestali , vergini nobilissime. I. Gl. Da obi foMero prima isti-
tuite. II. G5. Quante ne stabilisse Niima , e qnaute gli altri
Re , G7. Tarquiuio Prisco ne aggiunte due. III. G’;. Of-
fiij loro. II. 6G. Quanto tempo dovessero conservare la ver-
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5i’j
ginilil. I. C8> IL 67. Dopo qnetto tempo poteaoo maritarti.
IL 67* Onori delle Vestali , ivi. Loro gastigo se lasciavano
eorromperai. L C^. IL C7. III. G7. Veatale convinta di
etupro aottoposta a pene solenni. IX. 4* Vili. 8g. Suppli-
xio dei corruttori delle Vestali. Vili. 89, IX. 4**
Vetoria, madre di Corlolano. Vedi Coriolano>
Vetnrio (G.) console. X. $2.
Vetnrio (P.) console. V. 58-
Veturio (T.) Gemino console. VI. 3i. IX. 69. Marcia contro
i Volaci. IX. G9. Ne trionfa: ne ottiene la ovaiione , 71.
E fatto Decemviro. X. 67.
Virginio (A.) Mentano console. VI. 3(. Va oontro i Volaci,
Va Legato alla plebe profuga , G9.
Virginio (A.) oonsole. IX. i5.
Virginio ^A) Celimontano console. IX. 5G. 1
Virginio (A.) triumviro. IX. Sq.
Virginio (A.) tribuno della plebe. X. S e seg.
Virginio (Op.) Tricosto console. V. /(g. '
Virginio Poolo console. Vili. 58, 71.
Virginio (Sp.) console. X. 3i. ^
Virginio (T.) console. VI. J.
Volsci , sono ridotti in- dovere da Anco Marsio. III. 4i. Do*
città dei Volaci ai coliegano con Tarqninio superbo. IV. .49.
Il quale infetta il terrtìorio delle altre, 52. Mandano am-
basciatori a Gabio perchè voglia far guerra con essi a Tar-
qninio , 53. 1 Volaci ricusano socoorrere i Roiiani contro i
Latini. V. 4 A.nsi apparecchia osi a soccorrere i Ladini eon-
tro i Romani. VI. 5. Giungono in soccorso dei Latini dopo
la battaglia , i Mandano ambasciatori al campo Romano
per esplorarlo, i5. SI nmiliaoo e tornano a ribellarsi, 25.
Servilio li debella, 29. In pena ne sono uccisi in Roma gli
ostaggi , 3o. Servilio ne trionfa contro il voto del Senato ,
ivi. Mandano legati in Roma a richiedere ciocché era stato
tolto loro, 3{. Sono costretti a ricevere i coloni Romani,
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VI. 43 e s«g. Dopo la goerra Latina i primi fomentano la
bellione dai Romani, >}C. Poatomio Gominio li debella, 91.
In tempo di fame macchinano contro i Romani , ma la pe-
ate li raffrena. VII. 13. Volaci comandati ohe cacano da
Roma tatti per nna porta. Vili. 4- Ridomandano per meazo
di legati le loro cose ai Romani , q. Intimano gnerra ai
Romani e creano capitano Coriolano , ii. Il quale gli ac-
costuma alla disciplina militare dei Romani , Marciano
con gli Equi contro i Romani , e si attaccano fra loro, G3.
Chiedono pace dai Romani, 68. Q. Fabio li vince , 9i. Si
confederano di onovo con gli Eqni contro i Romani. IX.
iC. Resistono bravamente a Serrilio console , ivi. Nansio
console devasta le loro campagne, 35. Sono presi i loro
accampamenti , 58. In tempo di peste cospirano con gli
Equi contro i Romani, 6']. Sono respinti, 70. Valerio li
sbaraglia. XI. 47*
Volscio (M.) tribuno della plebe. X. 7.
Voinnnia moglie di Coriolano. Vili. io. Come ricevuta da
Coriolano , i5.
Volnnnio (P.) console. X. i.
INDICE
Delle Tavole a Carte contenute nelli tre dolami delle Antichità
Romane -dX Dionigi di AUearnasso.
Tom. I. Ritratto dell'Autore in principio
» » Carla delli Antichi Contorni di Roma . . . n ivi
n li. La Porca 00' 3o porcelli; e la Lupa del Campidoglio o ivi
» n Carla topografica dell’antica Rmna . . . . n ivi
M n Ritratta di Giunto Bruto .... ...» 89
» 111. Tav. 1. eli. Tempia di Giano e sne vetligia.
FINE.
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