Monday, June 10, 2024

GRICE E MINUCIO

 ATTI DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI SCIENZE STORICHE   (Roma, 1903 ).   Estratto dal voi. XI. — Sezione VII  Storia della Filosofìa — Storia delle Religioni.    L’APOLOGETICO DI TERTULLIANO   E   L’OTTA VIO DI MINUCIO    COMUNICAZIONE    Prof. FELICE RAMORINO     ROMA   TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI  PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI    1904     Digitized by AjOOQle    Digitized by LiOOQle    L’APOLOGETICO DI  TERTULLIANO    E   L’ OTTAVIO DI MINUCIO    COMUNICAZIONE   DEL   Prof. FELICE RAMORINO     ROMA   TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI  PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI   190 4    Digitized by AjOOQle     7? ' 3 tu   M i ' 77 p   Estratto dagli Atti del Congrego internazionale di scienze storiche  (Roma, 1903).   Volume XI. — Sezione VII: Storia della Filosofia — Storia delle Religioni»    /}iaÒ    Digitized by LiOOQle     Ancora non è stata risolta in modo definitivo la questione dei rap-  porti che intercedono tra il discorso di Tertulliano in difesa de’ Cri-  stiani e il dialogo di Minucio Felice, dove alle accuse formolate in  un discorso d' ispirazione pagana messo in bocca a Cecilio Natale, op-  ponesi una eloquente difesa del Cristianesimo per bocca di Ottavio dal  quale il dialogo prende nome. Ancora non sono state date sufficienti  ragioni per stabilire se Tertulliano abbia avuto sott’ occhio Minucio,  o se invece questi abbia tratto da quello come da sua fonte, e quindi  quale dei due abbia da considerarsi come cronologicamente anteriore.   La questione ha un vero interesse per la storia del Cristianesimo  in Occidente perchè trattasi delle prime scritture latine d' ispirazione  cristiana, e dipende di qui il sapere chi primo abbia divulgato fra le  genti di parlata latina le ragioni addotte dagli Apostoli del Cristia-  nesimo, già da più decenni diffuse tra i Greci.   Tale questione sorge dal fatto che tra le due opere corrono tali  e tante analogie di pensiero e di frase, da dover senz’altro ritenere  che l’un dei due abbia avuto sott’occhio l’altro. Si può ben congettu-  rare anche, e s’ è in fatto congetturato, abbiano entrambi attinto a una  fonte comune, che per noi sarebbe perduta. Primo propose quest’ ipotesi  l’ Hartel, poi cercò sostenerla in apposita monografia il Wilhelm (1 887) ;  più tardi (nel 1891) il De Lagarde pensò a dirittura a un’apologià  scritta da papa Vittore I da cui Tertulliano e Minucio avrebbero co-  piato a man salva; infine l’Agahd in una sua ricerca di cose Varro-  niane (24° voi. supp. dei Jahrbiicher di Fleckeisen), ammettendo anche  egli un’apologià cristiana latina anteriore a Tertulliano e Minucio,  ne investigò le fonti in Varrone e in qualche altro libro dell’età ales-   ( 143 )    Digitized by LiOOQle     - 4 —    sandrina. Ma noi vedremo che i riscontri verbali tra l’Apologetico e  l’Ottavio sono tanti e tali da escludere l’ipotesi d'una terza fonte co-  mune, se non forse per uno speciale punto di dottrina derivato dalla  scuola di Euemero.   Tra quelli che rinunziando all’ipotesi di una terza fonte comune,  riducono la questione ai soli Tertulliano e Minucio, gli uni credono  anteriore Minucio, gli altri Tertulliano, e le due schiere sono egual-  mente notevoli per numero e autorità di aderenti. I fautori della prio-  rità di Minucio, come si fan forti di una espressione di Lattanzio, così  vantano l’adesione di uomini quali 1’ Ebert (1868), il Baehrens (1886),  Ed. Norden (1897), ecc. Gli altri si rifanno dall’attestazione di S. Gerolamo,  e hanno compagni uomini di incontestato valore come lo Schultze (1881),  il Neumann (1890), l’Harnack (1893), nome che vai da solo per molti.  Ultimamente si schierò da questa parte anche il francese Monceaux (1901)  che con tanto studio e dottrina s’ è occupato della letteratura affricana.   Non è qui il luogo di ripetere le ragioni addotte da tutti questi  studiosi, nè di discuterle. Intendo qui di istituire un confronto, il più  completo possibile, di luoghi Minuciani e Tertullianei, presentandoli  in modo che ne riesca chiaro il contenuto e sia facile ai lettori di  trarne le debite conclusioni. Prendo per base il discorso di Tertulliano,  seguendone l’argomento come filo conduttore, e additando via via i luoghi  paralleli di Minucio.    § 1. — Dell' odio contro i Cristiani  e della iniqua procedura con loro usata .   Nei primi tre capitoli del suo Apologetico, mira Tertulliano a far  vedere, come fosse iniquo l’odio che si aveva contro i Cristiani. Vol-  gendo nell’esordio la parola ai reggitori del Romano Impero, dice che,  se non era loro lecito fare una pubblica inchiesta intorno alla causa  dei Cristiani, se a questo solo fattispecie o temevano o arrossivano di  volgere l’attenzione pubblicamente, e se le troppe condanne private  avevano compromesso la difesa della setta cristiana, doveva pur essere  lecito a lui cercar di giungere alle loro orecchie per la via letteraria;  la verità cristiana ben sapere di essere peregrina sulla terra e di trovar  facilmente nemici tra gli estranei, ma non voler essere condannata  senza essere conosciuta. Condannarla inascoltata essere una iniquità, e  far nascere il sospetto che i governanti non vogliano ascoltare ciò che  non potrebbero più condannare conoscendolo. La scusa dell’ignoranza   (144)    Digitized by LiOOQle     - 5 —    non essere che apparente, anzi aggravare il carico dell’iniquità; perchè  qual più trista cosa che l’odiare quel che si ignora, anche se la cosa  meriti effettivamente odio? Se poi si viene a sapere che la cosa non  meritava odio, chi era solo colpevole d’ignoranza, cessata questa, cessa  anche di odiare; come fanno appunto i convertiti al Cristianesimo, i  quali cominciano a odiare quel che erano e a professare quel che prima  odiavano. Invece, dice Tertulliano, gli avversari nostri segnalano bensì  il fatto delle molte conversioni, ma, anziché arguire che ci sia sotto  qualche gran bene, seguitano a ignorare e a odiare. Si dirà che le molte  conversioni non vogliono dir nulla, perchè ci si volge anche al male.  Ma il male, avvertasi, per natura o si teme o se ne ha vergogna; ed  è perciò che i malvagi voglion rimanere nascosti; sorpresi trepidano,  accusati negano, anche tormentati non sempre confessano, e condannati  poi n’han dolore. I Cristiani non si vergognano, non si pentono; si  gloriano d’ esser notati ; accusati non si difendono ; interrogati confes-  sano ; anzi confessano spontaneamente, e condannati ringraziano. Non  è dunque questo un male se non ha le circostanze connaturate al male,  il timore, il rossore! il pentimento, il rimpianto (cap. I). — Anche la  procedura che si segue con noi Cristiani, continua Tertulliano, è iniqua.  Non ci si concede libertà di difesa, e si vuol da noi soltanto la con-  fessione del nome, senza poi esaminare il crimine. E mentre per un  omicida, per un incestuoso, per un nemico pubblico si indagano le cir-  costanze dei fatti, il numero, il luogo, il tempo, i complici dei delitti,  per noi non si procede così ; anzi un famoso editto di Traiano ha proi-  bito che si inizino processi contro noi, mentre poi ha disposto che  data una denunzia, ci si deva punire ; disposizione contradittoria ed  ingiusta. Si viene così ad applicare per noi un’assurda procedura, quella  di torturarci, non per farci confessare come gli altri, sì perchè neghiamo,  mentre se si trattasse di male, noi staremmo sulla negativa, e la tor-  tura ci si applicherebbe per farci confessare. È evidente che non un  delitto è in causa nel caso nostro, ma solo il nome. Si arriva al punto  di biasimare uno che si riconosce come un galantuomo, solo perchè  è cristiano; si cacciano via dalle case, anche contro ogni interesse, le  mogli pudiche e i buoni servi, solo perchè cristiani; è tutto in odio  al nome. Ma che cos’ ha di male questo nome che significa « unti »  o, se si piglia la forma « Crestiani » usata talvolta per errore, ha a  connettersi con « buono » ? Odiasi forse ia setta per il nome   del suo autore ? Ma anche le sette dei filosofi sono denominate dai loro  autori, e niuno se n’offende. Prima di odiare il nome, conveniva in-  dagare e riconoscere dalle qualità della setta l’autore o da quelle del-   ( 145 )    Digitized by LiOOQle     — 6 —    l’autore la setta ; invece non si è fatto e non si fa nulla di questo, e  si seguita a far ingiusta guerra al nome (cap. II e III).   Fin qui l’ introduzione dell’Apologetico Tertullianeo. Con le idee  qui espresse si ha qualche riscontro nei capitoli 27, 28 e 31 dell’Ottavio,  a metà circa del discorso in difesa della nuova dottrina. Nel cap. 27  accenna Ottavio all’opera dei cattivi spiriti che insinuano l’odio contro  i Cristiani anche prima che siano conosciuti. Il capitolo seguente tocca la  procedura usata coi Cristiani, e Ottavio ricorda che anche egli prima,  credendo alle solite calunnie, usava le stesse arti diaboliche contro i  Cristiani. I demonii appunto ispirano quelle dicerie sciocche le quali,  se mai, hanno un fondo di verità per i pagani non per i Cristiani. La confu-  tazione di tali calunnie si estende per i capitoli 29 e 30 e una parte  del 31. Quest’ultimo poi si chiude con l’ affermazione delle virtù cri-  stiane, la pudicizia, la temperanza, la serietà. L’aumentare del nostro  numero, dice, non è accusa di errore, ma testimonio di lode, e non è  meraviglia se noi ci riconosciamo al segno dell’ innocenza e della mo-  destia, e se ci amiamo a vicenda chiamandoci fratelli. Ecco alcuni ri-  scontri verbali:   Min. Oct. 31, 6: « ... nec in angulis  garruli (sumus) si audire nos publice  aut erubesciti s aut timetis » (intendi:  non è vero che noi facciamo pettego-  lezzi di nascosto, se invece siete voi che  pubblicamente rifiutate di darci ascolto  o perchè arrossite o perchè temete di  farlo).   c. 27, 8 : « sic occupant animos (im-  puri spiritus) ... ut ante nos incipiant  homines odisse quam nosse, ne cognitos,  aut imitari possint, aut damnare non  possint ».   c. 28, 2: Anche noi, prima della  conversione, credevamo alle calunniose  voci sparse contro i Cristiani, e non ci  accorgevamo che eran tutte dicerie sen-  za fondamento ; « malum autem adeo  non esse, ut Cliristianus reus nec eru-  besceret nec timeret , et unum solum-  modo quod non ante fuerit paeniteret ».    ( 146 )    a) Tertull. Apolog. I princ. : « ...si  ad hanc solam speciem auctoritas vestra  de iustitiae diligentia in publico aut  timet aut erubescit inquirere ».    b) Ibid. : u inauditam si damnent,  praeter invidiam iniquitatis etiam su-  spicionem merebuntur alicuius conscien-  tiae, noleutes audire quod auditum dan-  nare non possint ».   c) Ibid.: u Quod vere malum est, ne  ipsi quidem quos rapit defendere prò  bono audent. Omne malum aut timore  aut pudore natura perfudit. Denique  malefici gestiunt latere, devitant appa-  rere, trepidant deprehensi, negant accu-  sati, ne torti quidem facile aut semper  continentur, certe damnati maerent. Di-  numerant in semetipsos mentis malae  impetus, vel fato vel astris imputant,  nolunt enim suum esse quia malum  agnoscunt. Christianus vero quid si-  mile? Neminem pudet , neminem pae -    Digitized by LiOOQle     — 7 —    i    nitet nisi piane retro non fuisse . Si  denotata gloriata, si accusata non  defendit, interrogatns vel ultro confi-  tetur, damnatus gratias agit. Quid hoc  mali est quod naturalia mali non habet,  fimorem, pudorem, tergiversationem,  paenitentiam, deplorationem? Quid? hoc  malum est cuius reus gaudet? cuius  .accusatio votum est et poena felicitas ? »    Qui si osservi come a un cenno fuggevole di Minucio rispetto al  non essere un male il cristianesimo, corrisponde in Tertulliano tutta  una spiegazione psicologica della natura del male e del contegno dei  malvagi col quale si confronta quello dei Cristiani.    d) Apolog. c. IL Si critica la pro-  cedura usata coi Cristiani. Tra l’altro,  si dice : « Ceteris negantibus tormenta  udhibetis ad confitendum, solis Chri-  stianis ad negandum... Quo perversine  cum praesumatis de sceleribus no stris  ex nominis confessione, cogitis tormen-  tis de confessione decedere, ut negan-  tes nomen pariter utique negemus et  scelera... Sed, opinor non vultis noe  perire , quos pessimos creditis... Si non  ita agitis circa nos nocentes ergo nos  innocentissimos iudicatis cum quasi in-  nocentissimos non vultis in ea con-  fessione perseverare, quam necessitate  non iustitia damnandam sciatis. Voci-  ferata homo: Christianus sum. Quod  est dicit; tu vis audire quod non est.  Veritatis extorquendae praesides de no-  bis solis mendacinm elaboratis audire ».    Oct. 28, 3: Noi prima della conver-  sione, mentre assumevamo la difesa di  sacrilegi e incestuosi e anche di parricidi,  « hos (i Cristiani) nec audiendos in toto  putabamus, nonnunquam etiam mise-  rantes eorum crudelius saeviebamus, ut  torqueremus confitentes ad negandum ,  videlicet ne perir ent , exercentes in his,  perversam quaesti onem nòn quae verum  erueret sed quae mendacium cogeret .  Et si qui infìrmior malo pressus et  victus Christianum se negasset, fave-  bamus ei quasi, eierato nomine, iam  omnia facta sua illa negatione pur-  gata ».    § 2. — Delle calunnie d’ infanticidio e di cene incestuose.   Dopo avere nei capitoli IV, Y e VI dell’Apologetico confutato il  pregiudizio che il Cristianesimo non fosse permesso dalle leggi romane,  facendo vedere come le leggi potessero essere benissimo pattate, e mu-  tate furono tante volte attraverso ai secoli, Tertulliano passa a con-  futare le calunnie lanciate contro i Cristiani, d’ infanticidio e di cene  incestuose. Queste cose si dicono sempre, ma nessuno mai si cura d’ in-  dagare so sono vere. La verità è odiata, e ha nemici da tutte le parti.   ( 147 )    Digitized by    Google     — 8 -    Chi ha mai visto a spargere sangue di bambini, e abbandonarsi, dopa  il pranzo e dopo fatti spegnere i lumi da cani lenone s tenebrarum,  a orgie incestuose? Se i nostri ritrovi son segreti, chi può rivelare quel  che vi si fa? non gli iniziati che hanno interesse a non si tradire;  non gli estranei, appunto perchè non penetrarono mai. È dunque tutto  opera' della fama. E qui Tertulliano ha una bella pagina sulla natura  della fama o « si dice » . È antico il motto : fama malum quo non  aliud velocius ullum (Virgilio). Perchè è un male la fama? perchè ve-  loce? o non anzi perchè essa è per lo più menzognera? anche quando  ha del vero, non è mai senza bugia, togliendo, aggiungendo, mutande  dal vero. Ed è di tal natura che non persiste a essere se non in  quanto mentisce, e vive solo fin quando non si arriva alla prova dei  fatto vero. Quando si ha il fatto, cessa ogni « si dice » , e rimane la  notizia del fatto. La fama, nomen incerti > non ha più luogo dov’ è  la certezza. Ora alla fama uom savio non deve credere. Si sa come na-  scono le dicerie. Hanno principio da qualcuno che è mosso o da ge-  losia o da dispetto o da mania di dir bugie; e poi passate di bocca  in orecchio, e via ripetute, nascondono sempre più la verità. Meno male,  che il tempo poi rivela ogni cosa, per felice disposizione della natura-  per cui il vero si fa strada. Le accuse sono nient’ altro che dicerie, ma  non hanno fondamento di verità. Si soggiunge che noi promettiamo la  vita eterna a chi uccide bambini e commette incesti. Ma anche se tu  credi a questo, dice Tertulliano, io chiedo se tu stimeresti tanto questa  eternità da arrivarci con simili infamie. Tu nè vorresti farle queste  cose, nè potresti ; dunque perchè crederai che vogliano e possano farle  i Cristiani, che sono uomini come te ? Si dirà che sono iniziati a tali  cerimonie quando non ne sanno ancor nulla; ma in tal caso, una volta  conosciute tali infamie, non continuerebbero a parteciparvi, per la stessa  avversione che avrebbe impedito loro d’ iniziarsi nel caso che ne fos-  sero informati.   Tale il contenuto dei capitoli VII e Vili dell’Apologetico. Vi cor-  rispondono i medesimi capitoli di Minucio già ricordati dal 28 al 31,  ove con le accuse d’ infanticidio e di cene incestuose si confutano anche  quelle di adorazione d’una testa d’asino, o dei genitali di sacerdoti, o  di un uomo crocifisso, o della croce stessa. E siccome di queste accuse-  si parla anche nel capitolo 9 dove Cecilio Natale le espone facendo  eco alla voce comune, così è da tener conto anche di questo capo per  taluni riscontri verbali:    ( 148 )    Digitized by LiOOQle     - 9 -    »      c    a) Apolog. VII in. : « quod everso -  fes luminum canes, lenones scilicet te-  nebrarum, libidinum impiarum invere-  cundiam procurent ».   Vili fin.: « candelabra et lucernae  et canes aliqui et offulae quae illos ad  eversionem luminum extendant».   b) Id. Vili : « Veni, demerge ferruin   in infantem, nullius inimicum, nullius  reum, omnium filium, vel ... tu modo  adsiste morienti komini antequam vi-  xit... excipe rudem sanguinem, eo pa-  nerai tnum satia, vescere libenter   Nego te velie ; etiamsi volueris, nego te  posse. Cur ergo alii possint si vos non  potestis?... qui ista credis de homine  potes et tacere ».   c) Id. VII : « Quis talia facinora cum  invenisset celavit?... Si semper latemus  quando proditum est quod admittimus ?  immo a quibus prodi potuit?   d) lbid. : « Natura famae omnibus  nota est (v. il riassunto precedente)...  quae ne tunc quidem cum aliquid veri   offerti sine mendacii vitio est Tam-   diu vivit quam diu non probat, siqui-  dem ubi probavit cessat esse et quasi  officio nunciandi functa rem tradit et  exinde res tenetur, res nominatur. Nec  quisquam dicit verbi gratia: 'hoc Ro-  mae aiunt factum 1 aut : ‘ fama est il-  luni provinciam sortitum sed: ‘ sorti-  tus est ille provinciam ’ , et : * hoc fa-  ctum est Romae \ Fama, nomen incerti,  locum non habet ubi certum est ».    Min. Oct. 9, 6: « canis qui cande-  labro nexus est, iactu offulae ultra spa-  tium lineae qua vinctus est, ad impe-  tum et saltum provocatur. Sic everso  et exstincto conscio lumine impuden-  tibus tenebris etc. ».   Id. 30, 1 : « Illuni velim convenire,  qui initiari nos dicit aut credit de caede  infantis et sanguine. Putas posse fieri,  ut tam molle corpus, tam parvulum  corpus fata vulnerum capiat? ut quis-  quam illum rudem sanguinem novelli  et vixdum hominis caedat f fundat ,  exhauriat? nemo hoc potest credere  nisi qui possit audere ».   28, 2: « ... nec tanto tempore ali-  quem existere qui proderet ».    28, 6: « nec tamen mirum, cum  omnium (quoniam, Vahlen) fama quae  semper insparsis mendaciis alitur, osten-  sa ventate consumitur ».    Anche qui si noti che il modo di esprimersi di Minucio intorno alla  fama non solo è conciso, ma chi legge quell’ostessa ventate consu-  mitur non lo intende se non quando lo confronta con la pagina di Ter-  tulliano, la quale può servire assai bene di commento.    ( 149 )    Digitized by LiOOQle     - 10 —    §3. — Del doversi tali accuse ritorcere contro i Pagani.    I Cristiani non si contentavano di scagionarsi dalle accuse calun-  niose mosse loro, ma le ritorcevano contro gli avversari, facendo ve-  dere come essi, all’ombra della religione, molti infanticidi e incesti  davvero commettevano. Di ciò tratta il capitolo IX dell’Apologetico,  da confrontarsi con alcuni passi dei capitoli 30 e 31 dell’Ottavio.  Ricordano entrambi i sacrifizi di bambini fatti in Africa in onor di  Saturno, divoratore dei propri figli:    a) Apolog. IX: « cum propriis filiis  Saturnus non pepercit, extran eis uti-  que non parcendo perseverabat, quos  quidem ipsi parentes sui offerebant et  libenter respondebant, et infantibus blan -  diebantur, ne lacrimante s immolaren -  turi).    Oct. 30, 3 : u Saturnus fìlios suos  non exposuit sed voravit ; merito ei in  nonnullis Africae partibus a parentibus  infantes immolabantur y blanditile et  osculo comprimente vagitum, ne flebilis  hostia immolar etur » .    Ma Tertulliano ha maggiori informazioni su questi sacrifizi d’infanti  in Affrica, durati ufficialmente fino al proconsolato di Tiberio, poi vie-  tati ma seguitati a praticare occultamente : et nunc in occulto per -  severotur hoc sacrum facinuSj perchè nessuna costumanza delittuosa  si può sradicare per sempre, nè gli Dei mutano costume.   Oltre questo poi altri sacrifizi umani vanno imputati alla reli-  gione antica. Entrambi i nostri scrittori ricordano i sacrifizi umani fatti  in Gallia in onor di Mercurio, e nella Taurica (Minucio aggiunge anche,  da Cic. Rep., 3, 15, e da Livio, 22, 57, il ricordo di Busiride Egi-  ziano e di antichi riti romani), e l’uso ancor vigente di sacrificare con-  dannati a morte nelle feste di Giove Laziale. E all* infuori della religione,  rinfacciano entrambi agli avversari l’abitudine di esporre i bambini ap-  pena nati o ucciderli, o quello più tristo di spegnere la vita appena  iniziata nell’utero materno.   b) Apolog . IX: « conceptum utero  dum adhuc s angui s in hominem deli-  batur, dissolvere non licet. Homicidii  festinatio est prohibere nasci ; nec refert  ratam quis erìpiat animam an nascentem  disturbet ».   Quanto poi al bevere uman sangue, Tertulliano ricorda da Ero-  doto (est apud Herodotum, opinor) alleanze strettesi fra alcuni popoli  col ferirsi a sangue le braccia e bevere gli uni il sangue degli altri ;   (ISO)    Oct. 30, 2 : u snnt quae in ipsis vi-  sceribus medicaminibus epotis originem  futuri hominis extinguant et parricidium  faciant antequam pariant » .    Digitized by LiOOQle     - 11 -    ricorda poi Catilina, e alcune genti Scitiche divoratrici dei proprii morti,  e il rito dei sacerdoti di Bellona consistente nel ferirsi la coscia, rac-  cogliere il sangue nel cavo della mano e darlo a bere. Minucio, più con-  ciso, non menziona che la congiura di Catilina e Bellona con brevi  cenni. L’uno e V altro poi fanno menzione dell’uso di dare a bere sangue  umano agli epilettici, ma Tertulliano solo adduce il particolare, che  ai raccoglieva a tal fine il sangue scorrente dalle ferite dei delinquenti  .sgozzati nell’arena.   In tutto ciò è strano il modo come Minucio mette questi ricordi  in relazione con la menzione fatta avanti delle cerimonie in onor di  Giove Laziale, dicendo (Cap. 30, 5) : ipsum credo docuisse san -  guinis foedere coniurare Catilinam et Bellonam sacrum suum J ecc.;  quasi che proprio Giove Laziale abbia insegnato a Catilina e ai Bel-  lonari i lor sanguinosi usi ; il che è del tutto fuor di proposito.   Infine, sempre intorno alle bibite di sangue, entrambi gli apologeti  ricordano l’avidità con che solevano alcuni acquistare, per cibarsene, la  carne delle bestie uccise nell’arena, dopo che quéste s’ erano empite le  viscere di membra umane. Ma Tertulliano è più ricco di particolari,  come è più immaginoso ed energico nell’espressione. Confrontisi:   c) Tertull. : « Item illi qui de harena Min. : « non dissimiles ei qui de ha-   ferinis obsoniis cenant, qui de apro qui rena feras devorant inlitas et infectas  se est quandoque memo-  riara dissipari, et simili error impegerit,  exinde iam tradux proficiet incesti ser-  pente genere cum scelere. Tunc deinde  quocumque in loco, domi, peregre, trans  freta Comes et libido, cuius ubique sal-  tus facile possunt alicubi ignaris filios  pangere vel ex aliqua seminis portione,  ut ita sparsum genus per commercia  humana concurrat in memorias suas,  neque eas caecus incesti sauguinis agno-  scat » .    Min.: « etiam nescientes, miseri, po-  testis in inlicita proruere, dum Vene-  rem promisce spargitis, dum passim li -  ber os seritis, dum etiam dorai natos  alienae misericordiae frequenter expo -  nitis, necesse est in vestros recurrere t  in filios inerrare ».    Nella diversa disposizione dei pensieri, pur si riconosce l’affinità  dei due scrittori, dei quali Tertulliano è più ricco e compiuto, aggiun-  gendo qui tra le ragioni di figliuoli dispersi anche l’adozione.   Alla corruttela pagana poi opponesi la continenza cristiana la quale  o si contenta di legittimo matrimonio, o aspira anche alla verginità.   f) Tertull. : « quidam multo secu- Min : « plerique inviolati corporia   riores totam vim huius erroris virgine virginitate perpetua fruuntur potiua  continentia depellunt, senes pueri ». quam gloriantur ».   Dove non isfugga l’esagerazione del plerique minuciano di fronte al-  l’espressione tertullianea più conforme al vero.    ( 152 )    Digitized by Liooole    — 13 —    § 4. — Gli Dei pagani erano in origine uomini .   Nei due capitoli X e XI dell’ Apologetico, passa Tertulliano a ra-  gionare di un’altra recriminazione fatta ai Cristiani, quella che non  venerassero gli Dei e non sacrificassero per gli imperatori ; onde erano  fatti rei di sacrilegio e di lesa maestà. Ora egli dice che i Cristiani  cessarono dal prestar culto agli Dei pagani dacché conobbero che tali  Dei non esistevano ; e non esser giusto il punirli se non quando tale  esistenza fosse dimostrata. E questa convinzione soggiunge che i Cri-  stiani ricavavano dalle stesse testimonianze pagane, concordi nel lasciar  chiaramente vedere che i pretesi Dei non erano altro che uomini di-  vinizzati. Infatti se ne adducevano i luoghi di nascita, le regioni ove  avevano vissuto e lasciato tracce dell’opera loro, e si mostravano anche  i loro sepolcri. Serva d’esempio per tutti Saturno, cui gli scrittori come  Diodoro e Tallo fra i Greci, Cassio e Nepote fra i Latini attestarono  essere stato uomo. La qual cosa è comprovata anche da prove di fatto,  verificatesi sopratutto in Italia, ove egli fu accolto da Giano, ove il  monte che abitò fu chiamato Saturnio, la città che fondò ebbe pari-  mente nome Saturnia, e anzi tutta l’Italia dopo il nome di Enotria  ricevette quello di Saturnia. Da lui l’origine delle legali scritture e del  conio monetario, onde la sua presidenza dell’erario. Dunque era uomo,  è nato da uomini, non dal cielo e dalla terra. Ignorandosene la pa-  rentela, fu detto esser figlio di quelli onde tutti possiamo esser figli,  chiamandosi per venerazione il Cielo e la Terra padre e madre, e figli  della terrà denominando il volgo quelli la cui parentela è incerta. Sa-  turno dunque era uomo; e lo stesso si può dir di Giove e di tutto  l’altro sciame di divinità pagane. Si dice che furono tutti divinizzati  dopo morte. Da chi? Bisogna vi fosse un altro Dio più sublime, ca-  pace di regalare la divinità, giacché da sé questi uomini non si po-  tevan certo crear Dei. Ma perchè il Dio Magno avrebbe donato la  divinità ad altri esseri? Forse per esserne aiutato nel grande còmpito  di dirigere l’universo? Ma che bisogno vi poteva essere di ciò, se il  mondo o era ab aeterno , come volle Pitagora, o venne fatto da un  essere ragionevole, come disse Platone? Del resto questi uomini si lo-  dano per aver trovato le cose utili alla vita, ma non le hanno create,  perchè già c’erano. Si dirà egli che la divinizzazione fu un premio  alle loro virtù? Ma, a dir vero, anziché virtuosi, erano costoro pieni  di vizi e piuttosto da cacciar giù nel Tartaro che accogliere nel Cielo.  Ma mettiamo anche fossero buoni, o perchè allora non s’ è dato lo   ( 153 )    Digitized by LiOOQle     - 14 —    stesso premio a uomini lodatissimi come Socrate, Aristide, Temisto-  cle, ecc.P   Di tutta questa dimostrazione ragionata a fil di logica, Minucio  non ha nell’Ottavio che un punto solo, l’affermazione che i pretesi Dei  erano uomini. E questa si contiene nel cap. 21 del dialogo, il quale fa  seguito alla parte fisolofica del discorso di Ottavio e alla sentenza che  le favole mitologiche erano tutte finzioni poetiche, da spiegarsi seconde  la teoria di Evemero, della quale cita altri rappresentanti antichi come  Prodico, Perseo, lo stesso Alessandro il Macedone. Connettesi con tale  ordine di idee il ricordo di Saturno già uomo. E qui diversi riscontri :    a) Tertull. Apol. X: «Saturnum ita-  que, si quantum litterae docent, neque  Diodorus Graecus aut Thallus neque  Cassius Severus aut Comelius Nepos  neque ullus commentator eiusmodi anti -  quitatem aliud quam hominem promul-  gaverunt... » .    Min. Oct. 21, 3: « Saturnum enim...  omnes scriptores vetustatis Graeci Ro-  manique hominem prodiderunt. Scit hoc  Nepos et Cassius in historia ; et Thal-  lus et Diodorus hoc loquuntur».    È questo il passo che all’Ebert (1868) e a’ suoi seguaci parve e pare  dimostrativo della priorità di Minucio, per la ragione che il Cassius  Severus di Tertulliano in luogo del semplice Cassius (ossia Hemina)  è un errore, e per la presunzione che chi sbaglia copii. Se tale indu-  zione sia giusta, vedremo in seguito. Per ora notiamo solo che Ter-  tulliano aveva fatto lo stesso sbaglio in Ad Nationes,lì , 12, scrivendo:  Legimus apud Cassium Severum , apud Cornelios Nepolem et Ta-  citurna ecc.    I) Tertull. ibid. : « ... in qua (Italia)  Saturnus post multas expeditiones post -  que Attica hospitia consedit, exceptus  a Iano vel lane ut Salii volunt. Mons  quem incoluerat Saturnius dictus, ci -  vitas quam depalaverat Saturnia usque  nunc est, tota denique Italia post Oe-  notriam Saturnia cognominabatur. Ab  ipso primum tabulae et imagine signa-  tus nummus et inde aerarlo praesidet ».   c) « ... Si homo Saturnus utique ex  homine, et quia ab homine, non utique  de caelo et terra. Sed cuius parentes  ignoti erant facile erat eorum fìlium dici  quorum et omnes possumus videri. Quis  enim non caelum ac terrai* matrem ac    Min. : « Saturnus Creta profugus Ita-  liana metu filii saevientis accesserat et  Iani susceptus hospitio rudes illos ho-  mines et agrestes multa docuit ut Grae-  culus et politus, litteras imprimere,  nummos signare , instrumenta conficere.  Itaque latebram suam, quod tuto la-  tuisset, vocari maluit Latium, et ur.bem  Saturniam idem de suo nomine ut la-  niculum Ianus ad memoriam uterque  posteritatis reliquerunt ».   «... Homo igitur utique qui fugit,  homo utique qui latuit, et pater ho-  minis et natus ex homine. Terrae enim  vel caeli filius (se. est dictus) quod  apud Italos esset ignotis parentibus pro-  ditus, ut in hodiernum inopinato visos    ( 154 )    Digitized by LiOOQle     — 15 —    patrem venerationis et honoris grati a  appellet? vel ex consuetudine humana,  qua ignoti vel ex inopinato adparentes  de caelo supervenisse dicuntur. Proinde  Saturno repentino utique caelitem con-  tigit dici; nam et terrae filios vulgus  vocat quorum genus incertum est ».   d) « Etiam Iovera ostendemus tam  hominem quam ex homine, et deinceps  totum generis examen tam mortale quam  seminis sui par. »   e) «Nunc ego per singulosdecurram?   . . Otiosum est etiam titulos persequi ».   f) « totum generis examen ... »•    caelo missos, ignobiles et ignotos terrae  filios nominamus».   ... À    « Eius fìlius Iuppiter Cretae excluso  parente regnavit, illic obiit, illic filios  habuit; adhuc antrum Iovis visitur et  sepulcrum eius ostenditur et ipsis sa-  cris suis humanitatis arguitur».   u ...Otiosum est ire per singulos».   21, 4: u Saturnum principem huius  generis et examinis ».    Per la divinizzazione dopo morte, Minucio ha considerazioni di-  verse dai ragionamenti di Tertulliano. Ricorda Romolo fatto Dio per  lo spergiuro di Procolo, e il re Giuba per il consenso dei Mauri ; fu-  rono consacrati Dei come si consacrano gli altri re, non per attestare  la divinità loro, ma per onorare la potestà che hanno esercitato in terra.  Queste stesse persone che si divinizzano, dice, non ne vorrebbero sapere,  e sebbene già vecchi declinano quell’onore. Rileva poi l’assurdo di far  Dei esseri già morti o nati destinati a morire. E perchè non nascono ora  più Dei? Porse s’ è fatto vecchio Giove o s’ è esaurita Giunone? 0 non è  da dire anzi che è cessata questa generazione perchè nessuno ci crede  più ? E del resto se si creassero nuovi Dei, i quali di poi non potreb-  bero morire, s’avrebbero più Dei che uomini, da non poter essere più  contenuti nè in cielo, nè nell’aria, nè sulla terra.   Tutte queste riflessioni di Minucio sono differenti da quelle che  fa Tertulliano ; sicché in questo punto non vi possono essere riscontri ( 1 ).    ( l ) Però confronta:   Ad Nationes 1, XVII fine: « ... qui  deum Caesarem dicitis et deridetis di-  cendo quod non est, et maledicitis quia  non vult esse quod dicitis. Mavult enim  vivere quam deus fieri.    Min. 21, 10: « Invitis his hoc nom.en  adscribitur: optant in homine perseve-  rare, fieri se deos metuunt, etsi iam  senes nolunt ».    (155)    Digitized by Liooole     — 16 —    §5. — Degli idoli , delle irriverenti leggende intorno agli Dei ,  degli scandali pagani .    Nel capitolo XII Tertulliano passa a considerare che cosa sieno  effettivamente i supposti Dei pagani. E prima parla dei loro simulacri,  i quali son fatti di materia identica a quella dei vasi e strumenti co-  muni, o forse dai vasi medesimi artisticamente elaborati. Son dunque  Dei foggiati per mezzo di battiture, di raschiature, di arroventature ;  proprio il trattamento che si fa ai Cristiani, di che questi possono  avere qualche conforto. Se non che questi Dei non sentono i maltrat-  tamenti della loro fabbricazione, come non sentono gli ossequi dei  loro fedeli. Tali statue di morti, cui intendono solo gli uccelli e i  topi e i ragni, non è egli giusto non adorare ? Come sembrerà che  offendiamo tali esseri, mentre siam certi che non esistono affatto?   Riflessioni analoghe fa Minucio nei capitoli 23 e 24. Detto  delle favole mitologiche irriverenti e corrompitrici, nota che le im-  magini di tali Dei adora il volgo, più abbagliato dal fulgore dell’oro  e dell’argento che ispirato da fede vera; e richiama l’attenzione sul  fatto che tali simulacri sono formati dalla mano d’un artista, e se di  legno, forse reliquia di un rogo o di una forca; sono sospesi e lavo-  rati con l’accetta e la pialla, se d’oro o d’argento, magari tolto da  vaso immondo, sono pesti, liquefatti, contusi tra il martello e l’ incu-  dine, ecc.   Ecco riscontri:    a) Tertull. Apoi. XII: « reprehen-  do... materias sorores esse vasculorum  instrumentorumque communium ... vel  ex isdem vasculis et instrumentis... ».   b) « ... quasi fatum consecratione  mutantes ... ».    Min. 23, 12: ... deus aereus vel ar-  genteus de immundo vasculo, ut acci -  cipimus factum Aegyptio regi (Amasi,  Erodoto, II, 172) conflatur, tunditur  malleis et incudibus figuratur... ».   u ..nisi forte nondum deus saxum  est vel lignum vel argentum. Quando  igitur hic nascitur? ecce funditur, fa-  bricatur, sculpitur, nondum deus est;  ecce plumbatur construitur, erigitur,  nec adhuc deus est; ecce ornatur con -  secratur oratur, tunc postremo deus est,  cum homo illum voluit et dedicavit».    c) « Piane non sentiunt has iniurias « ... nec sentit (lapideus deus) suae   et contumelias fabricationis suae dei nativitatis iniuriam ita ut nec postea,  vestri sicut nec obsequia ». de vestra veneratione culturam ».   (156)    \    Digitized by LiOOQle    — 17 —    d) « Statuas .... milvi et mures et « ... Quam acute de diis vestris atti-   nane ae intellegunt.... ». malia muta naturali ter iudicant ! mures,   hirurrdines, milvi non sentire eos sci uni ;  rodunt inculcant insident, ae, nisi abi-  gatis, in ipso dei vestii ore nidificant ;  ... araneae vero faciem eius intexunt et  de ipso capite sua fila suspendunt. Vos  tergetis mundatis eraditis et illos qoos  facitis, protegitis et timetis ».   Si noti qui la maggior quantità di particolari in Minucio, il che  come deva spiegarsi diremo in seguito. Tertulliano invece è poi solo  nel notare (cap. XIII) che i pagani stessi prendono a gioco ( illudunt )  e offendono le loro divività, non riconoscendo tutti le stesse, e trat-  tando alcuni Dei come i Lari domestici con compre- vendite, pignora-  menti, incanti, tal quale s’usa per le case cui sono annessi, altre volte  tsasformando, poniamo, un Saturno in una pentola e una Minerva in  un mestolo.   Di nuovo entrambi ricordano, di passata, le strane cerimonie del  culto pagano (Tertull. cap. XIV in., Min. cap. 24, 3) e rilevano  le invereconde leggende dai poeti ripetute intorno agli Dei, auspice  Omero, e l’aver gli Dei combattuto o pei Greci o pei Troiani, e Venere  ferita, e Marte incarcerato, e Giove liberato per opera di Briareo, ecc., ecc.   e) Tertull. : « Quanta inverno ludi- Min. 23, 3 : « hic enim ( Homerus )   bria! deos inter se propter Troianos et praécipuus bello Troico deos vestros,   Achivos ut gladiatorum paria congres - etsi ludos facit, tamen in hominum re-   sos depugnasse, Venererà humana sa- bus et actibus miscuit, hic eorum pa-   gitta sauciatam , quod filium suum Ae- ria composuit , sauciavit Venererà , Mar -   nean paene interfectum ab eodem Dio- . tem vinooit vulneravit fugavit. Iovem  mede rapere vellet, Martem tredecim narrat Briareo liberatum, ne a diis ce-   mensiìms in vinculis paene consumptum, teris ligaretur, et Sarpedonem filium,   Iovem ne eandem vim a ceteris caeli- quoniam morti non poterat eripere,   tibus experiretur, opera cuiusdam mon- cruentis imbribus flevisse , et loro Ver   stri liberatum , et nunc flentem Sarpe - neris inlectum flagrantius quam in adul-   donis casum, nunc foede subantem in teras soleat cum Iunone uxore con-   sororem sub commemoratione non ita cumbere».   dilectarum iampridem amicarum ».   L’esempio d’Omero indusse altri poeti a irriverenti invenzioni:   f) « Quis non poeta ex auctoritate « ... Alibi Hercules stercora egerit,   principis sui dedecorator invenitur Dee- et Apollo Admeto pecus pascit. Lao-   rum ? Hic Apollinem Admeto regi pa- medonti vero muros Neptunus instituit   scendis pecoribus addicit, ille Neptuni (forse: construit) nec mercedem operis   structorias operas Laomedonti locat. Est infelix structor accipit. Illic (Vulcanus,   et ille de lyricis (Pindarum dico) qui aggiunge TUrsinus) Iovis fulmen cum   (157) 2    Digitized by Liooole     — 18 —    Aesculapium canit avaritiae merito, quia Aeneae armis in ineude fabricatur, cum  avaritiam nocenter exercebat, fulmine caelum et fulmina et fulgura longe ante  iudicatum. Malus Iuppiter si fulmen il- fuerint quam Iuppiter in Creta nasce-  lius est, impius in nepotem, invidus in retur... ».  artifìcem ».   Dal contesto di Tertulliano apparirebbe ch’egli attribuisse le leggende  di Apollo pastore presso Admeto e di Posidone operaio al soldo di  Laomedonte ad altri poeti che ad Omero, mentre è noto che già in Omero  vi è un cenno di queste leggende (II. B., 766 e <P 447). Ma forse  Tertulliano aveva in mente ulteriori elaborazioni di dette leggende forse  in drammi (ad es., per Apollo pastore, l’Alcestide d’ Euripide), come  dopo fa espressa menzione di Pindaro. In Minucio invece tutte le ri-  cordate leggende par si attribuiscano ancora ad Omero, il che viene  a essere inesatto per il racconto di Ercole che scopa le stalle d’Augia,  in Omero non menzionato, e per il ricordo delle armi di Enea opera  di Vulcano, tolto da Virgilio non da Omero f 1 ).   In connessione col precedente argomento, Tertulliano ricorda an-  cora le irriverenze contro gli Dei scritte dai filosofi, specie dai cinici  (tra cui pone Varrone, che chiama « il Cinico Romano * e a cui rim-  provera l’aver introdotto ter centos foves sive Jupitros sine capitibus),  e quelle peggiori contenute nei mimi (cap. XV) e nella letteratura  istrionica, aggravati dalla circostanza che gli istrioni spesso rappre-  sentano essi stessi la divinità, e, dice: vidimus aliquando castratura  Attin , Mura Deum ex Pessinunte, et qui vivus ardebat Eerculem in -  dueraL Di tutto ciò nulla in Minucio. Invece di nuovo vanno di con-  serva nel rinfacciare al paganesimo i sacerdoti corrotti e corruttori.   g) Apoi. XV: «...in templis adul - Oct. 25, 10: dopo ricordati i molti   teria componi , inter aras lenocinia incesti delle Vestali, continua: «ubi   tractari , in ipsis plerumque aedituo- autem magis a sacerdotibus quam inter   rum et sacerdotum tabernaculis sub aras et delubra condicuntur stupra,   isdem vittis et apicibus et purpuris tractantur lenocinia , adulterio medi -   thure flagrante libidinem expungi... ». tantur? frequentius denique in aedi-   tuorum cellulis quam in ipsis lupana-  ribus flagrans libido defungitur ».   Si avverta nel latino di Minucio il meditantur usato passivamente con  una ripetizione inutile di concetto dopo il condicuntur stupra ; si noti   ( x ) Salvo se V alibi di Minucio voglia interpretarsi: «presso altri autori».  Ma tale interpretazione ripugna al contesto, perchè poco di poi, ricordato ancora  Tadulterio di Marte e Venere, e i rapporti di Giove e Ganimede, soggiunge : quae  omnia in hoc (scil. Homero) prodita ut vitiis hominum quaedam auctoritas pa -  raretur.   (158)    Digitized by LiOOQle    - 19 —    pure l’esagerazione del frequentius quam inipsìs lupanaribus che guasta  il concetto espresso dal plerumque di Tertulliano ; in terzo luogo si  avverta l’epiteto flagrans attribuito alla libido , in luogo del thure fla-  grante così significativo di Tertulliano. Infine quel defmgitur , usato  assolutamente, e con soggetto di cosa in senso di « si sfoga » o in  quello passivo di « viene saziata » è tanto poco giustificato da altri  esempi di scrittori latini (*), che fa pensare a un errore del testo. Forse  in luogo di defmgitur , va letto: expungitur .   § 6. — Dell adorazione d'una testa d f asino e del culto della Croce .   Tertulliano dopo le cose dette, si dispone a venire alla parte po-  sitiva della sua Apologia, ma prima confuta ancora (cap. XVI) le dicerie  sparse sul conto de’ Cristiani, che essi adorassero una testa d’asino e  avessero in venerazione la Croce. Quanto alla prima, ne attribuisce  l’origine a Tacito, che avendo narrato nel quinto delle Storie l’esodo  degli Ebrei dall’Egitto, e la sete patita nel deserto, e il fatto che una  fontana era stata indicata da alcuni asini selvatici, aveva soggiunto  che gli Ebrei grati a queste bestie del beneficio ricevuto avevano preso  a venerarle. Di poi la stessa cosa sarebbe stata attribuita ai Cristiani  come setta affine ai Giudei. Eppure, dice Tertulliano, lo stesso Tacito  narra bene che quando Pompeo presa Gerusalemme entrò nel tempio,  non vi trovò alcun simulacro. Piuttosto ai pagani possono i Cristiani  rinfacciare che i giumenti e gli asini intieri venerano insieme colla  dea Epona. Quest’ultimo punto, e solo questo, trovasi anche in Minucio  al cap. 28, 7, onde può riscontrarsi:   a) Tertull. Apoi. XVI: «Tostameli Min. 28,7: « ... vos et totos asinos   non negabitis et iumenta omnia et totos in stabulis curri vestra \jveT} Epona con -  cantherios curri sua Epona coli a vobis » secratis, et eosdem asinos cum Iside   (cfr. ad Nationes I, XI: « sane vos totos religiose decoratis ».   asinos colitis et cum sua Epona et  omnia iumenta et pecora et bestias quae  perinde cum suis praesepibus consecra-  tis »).   0) Impersonalmente trovasi usato defungor in Tee. Adelph., 507 : utinam  hic sit modo defunctum , « purché la finisca qui » ; e con soggetto di cosa pub  ricordarsi il barbiton defunctum bello di Orazio, C. 8, 2tf, 3 « la lira ha finito le sue  battaglie d’amore ». Abbastanza frequente è il defungor usato assolutamente ma con  soggetto personale come in Ter. Phorm., 1022: cupio misera in hac re iam de-  funger e in Ovid. Am., 2, 9, 24: me quoque qui toties merui sub amore puellae,  defunctum placide vivere tempus erat . Sempre defungi ha senso di « finire la  parte sua, esaurire il proprio mandato ».   (159)    Digitized by LiOOQle     - 20 -    Il ricordo degli asini nel culto d’ Iside è solo minuciano, e si  aggiuuge ancora menzione di altri culti strani, come quello del bue  Api e di altre bestie venerate dagli Egiziani (forse dal De Nat. Deor.  di Cicerone 1, 82 e 3, 47).   Quanto al culto della Croce, osserva Tertulliano che anche i pa-  gani adorano i loro idoli di legno ; sarà dunque question di linee, ma  la materia è la stessa, sarà question di forma, ma è sempre il corpo  del creduto Dio. Del resto, dice, le immagini in forma di semplice palo  della Pallade Attica e della Cerere Paria, che gran differenza hanno  dal legno della croce? poiché ogni palo piantato verticalmente è una  parte della croce. Poi gli statuari, quando fabbricano un Dio, si ser-  vono d’uno scheletro ligneo a croce, tale in fondo essendo la figura  del corpo umano ; e un sopporto di legno della stessa foggia usasi pure nei  trofei e nelle insegne militari. Minucio parla di ciò nel cap. 29, 6-8.  Ecco alcuni riscontri:   b) Tertull.: « Qui crucis nos reli-  giosos putat, consecraneus (= correli-  gionario) erit noster. Cum lignum ali-  quod propitiatur, viderit habitus dura  materiae qualitas cadera sit, viderit for-  ma dum id ipsum Dei corpus sit... Di-  ximus originem deorum vestrorum a  plastis de cruce induci » (allusione a Ad  Nationes I, 12, dove la fabbricazione  degli idoli con uno scheletro ligneo a  forma di croce è ampiamente descritta).   « Sed et Victorias adoratis cum in tro-  paeis cruces intestina sint tropaeorum.   Religio Romanorum tota castrensis si-  gna veneratur... Omnes illi imaginum  suggestus in signis monilia crucum  sunt; sipbara illa vexillorum et canta -  brorum stolae crucum sunt. Laudo dili-  gentiam. Noluistis incultas et nudas  cruces consecrare ».   c) Ad Nationes I, 12 : « Si statueris  hominem manibus expansis, imaginem  crucis feceris ».   Tertulliano poi parla ancora della venerazione del Sole attribuita  da alcuni ai Cristiani per l’uso loro di pregare rivolti ad Oriente Ma  anche questo, dice, non è rimprovero che si possa fare ai Cristiani,   (160)    Min.: «Cruces... nec colimus nec  optamus. Yos sane qui ligneos deos  consecratis cruces ligneas ut deorum  vestrorum partes forsitan adoratis ».    « Nani et signa et cantabra et ve -  xilla castrorum quid aliunt quam inau-  ratae cruces sunt et ornatae? tropaea  vestra victricia non tantum simplicis  crucis faciem verum et adfixi hominis  imitantur ».   « Signum sane crucis naturaliter vi-  simus in navi cum velis tumentibus  vehitur, cum expansis palmulis labitur ;  et, cum erigitur iugum, crucis signum  est,* et cum homo porrectis manibus  deum pura mente veneratur ».    Digitized by Liooole    — 21 -    praticando anche i pagani la preghiera al levar del sole. E se i Cri-  stiani fanno festa il giorno del sole (la domenica), fanno ciò per ben  altra causa che la religione del sole : pure i pagani nel dì di Saturno  (il sabato) si davano all’ozio e al mangiare, scimiottando, a sproposito,  i Giudei. Di ciò nulla in Minucio.   Infine nell’Apologetico ricordasi la pittura da un miserabile mu-  lattiere messa in pubblico, a Roma, rappresentante una figura umana  con orecchie d’asino, e l’un dei due piedi ungulato, vestito di toga e  con un libro in mano, appostavi la iscrizione: Deus Christianorum  òvoxoirjtrjQ. Era un Giudeo l’autore di questo indecente scherzo (ad  Nat . 1, 14); e la gente ci credette e per tutta la città scorreva sulle  bocche quell’ Onocoetes. Ma di tali mostri, soggiunge, veneransi più  fra i pagani che tra cristiani; chè essi hanno accolto tra i loro Dei  esseri con testa di cane e di leone, e corna di capri e d’ariete, e  coda di serpenti, alati le spalle o i piedi. Un fuggevole ricordo di  tali mostri è anche in Minucio, che del resto si tace:   d) Tertull. : « Illi debebant adorare  statim biforme numen, quia et canino  et leonino capite commixtos , et de ca-  pro et de ariete cornutos, et a lumbis  hircos et a cruribus serpentes et pianta  vel tergo alites deos receperunt » .   Solo è invece Minucio a scagionare i Cristiani dell’accusa di ado-  rare sacerdoti virilia; alla quale occasione ritorce contro gli avver-  sari la taccia di impudicizia, ricordando le licenze sessuali onde quei  cinedi si disonoravano.    Min. 28, 7 : « item bonra capita et  capita vervecum et immolatis et colitis,  de capro etiam et de homine mixtos  Deos et leonum et canum vultn deos  dedicatis ».    § 7. — Del Dio unico e vero.   Ma venendo ornai alla parte positiva della dottrina, Tertulliano  nel cap. XVII della sua opera celebra il Dio unico, creatore del cosmo,  invisibile sebben si veda, incomprensibile sebbene in via di grazia di-  venga presente, inestimabile sebbene coll’umano sentimento si stimi.  E in quanto si vede, si comprende, si stima, Egli è minore dei  nostri occhi, delle nostre mani, dei nostri sensi; ma in quanto im-  menso, a sè solo è noto. Così la sua stessa grandezza lo rende noto e  ignoto insieme a noi. Ecco appunto il gran delitto, consistente nel  non voler riconoscere Dio, mentre non si può ignorare. Non lo atte-  stano le sue opere? non lo attesta la stessa anima? la quale sebbene   ( 161 )    Digitized by LiOOQle     — 22 -    incarcerata nel corpo, svigorita dalla concupiscenza, fatta ancella di  falsi Dei, pure quando rientra in sè e sente la sua sanità naturale,  esce fuori in esclamazioni, quali: « Dio buono e grande! », e: « ci  sia propizio Iddio ! », e : « Dio vede », e : « a Dio ti raccomando » e  simili; e queste cose, esclama, non rivolta al Campidoglio, ma al Cielo,  sede naturale del Dio vivo. In Minucio la parte positiva del discorso,  per quel che riguarda la filosofia o teologia razionale, precede la parte  polemica o negativa. Del Dio unico parla Ottavio in principio del suo  discorso, e nel cap. 18, 7 trovansi diversi luoghi paralleli a passi di  Tertulliano. Eccoli:   a) Tertull. : « ... deus ... totam molem  istam ... verbo quo iussit, ratione qua  disposuit, virtute qua potuit de nihilo  expressit » .   Per il dispensare in confronto col  disponere, vedi Cic. Orai. 1, 31 : inventa  non solum ordine sed edam momento  quodam atque iudicio dispensare atque  disponere .   b) « Invisibilis est ... incomprehensi-  bilis... inaestimabilis ».   ò) « ... quod immensum est, soli sibi  notus est ».   d) « Anima ... cum sanitatem suam  patitur, deum nominat... * Deus bonus  et magnus * et ‘ quod Deus dederit 1  omnium vox est. Iudicem quoque con-  testato illum ‘ Deus videt ’ et * Deo  commendo, et * Deus mihi reddet \ 0  testimonium animae naturaliter Chri-  stianae! Denique pronuntians haec non  ad Capitolium sed ad caelum respicit».   Su questo tema dell’anima naturalmente cristiana è noto che Ter-  tulliano scrisse più tardi un opuscoletto a parte intitolato appunto  De testimonio animae , dove le stesse idee sono esposte con maggiore  ampiezza ed efficacia.    Min. : « qui (Deus) universa quae-  cumque sunt verbo iubet, ratione dis ■  pensai , virtute consummat».    18, 8: « hic non videri potest... nec  comprendi potest... nec aestimari ».   u Immensus et soli sibi tantus quan-  tus est notus ».   « Audio vulgus; cum ad caelum ma*  nus tendunt, nihil aliud quam * o Deus ’  dicunt et ‘ Deus magnus est ’ et * Deus  verus est’ et ‘ si Deus dederit’. Yulgi  iste natoalis sermo est an Christiani  confidente oratio ? »    § 8. — Forili letterarie del Cristianesimo — Cristo Dio e uomo.   I capitoli XVIII e XIX dell’Apologetico sono importanti per le  indicazioni delle fonti letterarie della dottrina cristiana. ^Ricordati i  primi storici ispirati dall’Ebraismo e i profeti e i libri ebraici tradotti   (162)    Digitized by Liooole     — 23    in greco dai Settandue per suggerimento di Demetrio Falereo al tempo  <ìi Tolomeo Filadelfo (l a metà del 3° sec. av. C.), ricordata l’antichità  dei primi scrittori ebraici molto maggiore di qualsiasi memoria greca,  e fatto anche un cenno di altre fonti storiche greche, egiziane, caldee,  fenicie fino a Giuseppe Ebreo, notata la concordia e completezza delle  profezie che pronunziarono gli avvenimenti secondo verità, e hanno  acquistata autorità sicura anche per le cose ancora da venire (cap. XX),  Tertulliano espone nel cap. XXI la dottrina di Cristo uomo e Dio.  La teoria della Trinità divina in unità di sostanza è qui già chiara-  mente formolata, e confermasi l’idea del Àóyog, o parola o ragion  divina artefice dell’universo, con testimonianze di antichi filosofi. Poi  si riassume la storia di Gesù e ricordasi la divulgazione della dot-  trina di lui fatta dagli Apostoli, fino alla persecuzione neroniana. Ecco  dunque, conchiude, qual’ è la nostra fede, che noi sosteniamo anche  fra i tormenti : Deum colimus per Christum . Cristo è uomo ma in  lui e per lui Dio vuol essere riconosciuto e adorato.   Di questa, che è la sostanza del Cristianesimo, Minucio tace  affatto; non nomina neppur Cristo, pur parlando a ogni piè sospinto  de’ Cristiani. È questo il lato debole dell’ Ottavio. Solo in un punto  uvvi una non chiara allusione alle dottrine dell’uomo-Dio, cap. 29, 2,  uve per iscagionare i correligionari dall’accusa di venerare un delin-  quente dice : « molto siete lungi dal vero, se ritenete si creda da noi  deum aut meridie ìioxium aut potuisse terrenum , che un Dio o si  rendesse colpevole da meritar supplizio o potesse come cosa terrena  subirlo » ; parole non abbastanza chiare nel testo latino, e che diedero  luogo a ben disparate interpretazioni. Minucio in questo luogo è rimasto  inferiore a sè stesso, nè s’avvide come questa dottrina fondamentale  meritava più ampio svolgimento in una difesa del resto eloquente e  sentita della nuova religione.    § 9. — Dell’ esistenza degli spiriti , buoni e cattivi .   Continuando Tertulliano la esposizione sua, nei capitoli XXII-XXIY  parla dell’esistenza di sostanze spirituali, esistenza ammessa già dai  filosofi e poeti antichi come dal volgo; e, ricordata la caduta di al-  cuni angeli e l’origine dei demoni, parla dell’opera di costoro tutta  rivolta a dannar l’uomo; son essi che eccitano le più strane passioni  u pazzi capricci e corruttele dell’anima; son essi che ingenerano la  fede negli Dei falsi e bugiardi, e, colla loro rapidità di movimenti e   ( 163 )    Digitized by LiOOQle     — 24 —    parziale notizia del vero anche futuro, ispirano oracoli e vati, e in tutto  contribuiscono a ingenerare inganni e deviar la mente dal vero Dio.  I miracoli dei maghi son da loro ; da loro spesso i sogni e ogni specie  di divinazione. La più bella prova di ciò, dice Tertulliano, è questa  che se uno invaso da un demone si trovi in faccia a un Cristiano, e  questi dia ordine al demone di parlare, quegli senz’altro si confesserà,  quel che è ; e così pure quelli che son creduti invasi da un Dio, in  presenza d’un cristiano confessano di essere nient’ altro che demoni. Il  nome di Cristo basta ad atterrire questi esseri ; una prova di più cho  il nostro è l’unico Dio e vero, e che non esistono gli Dei pagani. Sic-  ché si vede quanto poca regga l’accusa di lesa religione romana, mentre  di vera irreligiosità si macchiano gli avversari coll’ adorare i falsi Dei,  e diversi nelle diverse regioni, e altresì coll’ impedire a noi il culto*  del vero Dio.   Tali pensieri trovansi su per giù anche in Minucio. Cominciando*  dal cap. 26, 7, Ottavio discorre degli spiriti mali, degradati dalla  loro primiera innocenza e tutti intenti a perdere anche gli altri. Tale  discorso continua pel rimanente del cap. 26 e per tutto il seguente r  offrendo vari luoghi paralleli a Tertulliano.    a) Tertull. Apolog, XXII: « Sciunt  daeraones philosophi, Socrate ipso ad  daemonii arbitrium exspectante. Quidni?  cum et ipsi daemonium a pueritia adhae-  sisse dicatur, dehortatorium piane a bo-  no. Omnes sciunt poetaen.    Min. 26, 9 : « eos spiritus daemones-  esse poetae sciunt , philosophi disserunt,  Socrates novit, qui ad nutum et arbi-  trium adsidentis sibi daemonis vel de-  eli nabat negotia vel petebat ».    Il demonio socratico è da Tertulliano giustamente detto debortatorium  a borio; meno esattamente Minucio gli attribuisce efficacia e positiva  e negativa contro la nota verità storica.    b) u Quid ergo de ceteris ingeniis  vel etiam viribus fallaciae spiritalis e-  disseram? phantasmata Castorum , et  aquam cribro gestatara, et navem cin-  galo promotam f et barbam tactu inru-  fatam, ut numina lapides crederentur  et deus verus non quaereretur ? »    Min. 27, 4: « de ipsis (daemoni-  bus) etiam illa quae paullo ante tibi  dieta sunt, ut Iuppiter ludos repeteret  ex somnio, ut cum equis Castores vi -  derentur, ut cingulum matronae navi -  cula sequeretur » (cfr. c. 7, 3).    Tali esempi di miracoli erano conosciuti volgarmente dai libri relativi  all’arte divinatoria, e in riassunti dottrinali non fa meraviglia di veder  citati or gli uni or gli altri.   (164)    Digitized by Liooole     — 25 —    c) Tertull.: « Iussus aquolibet chri-  fitiano loqui spiritus ille tam se daeran-  nem confitebitur de vero quam alibi  •dominum de falso ».   d) «Aeque producatur aliquis ex his  qui de deo pati existiraantur ... Ista  ipsa Virgo caelestis pluviarum pollici-  tatrix, ipse iste Aesculapius medicina-  Tum demonstrator... nisi se daemones  ■confessi fuerint Christiano mentiri non  audentes etc. ... ».   e) « ...vobis praesentibus erubescen-  tes. Credite illis, cura verum de se lo-  quuntur, qui mentientibus creditis. Ne-  mo ad suum dedecus mentitur, quin  potius ad honorem ».   f) « ... de corporibus nostro imperio  «xcedunt inviti et dolentes ».    .... sciunt pleraque pars vestrum ipsos  daemonas de se met ipsis confiteri ,  quotiens a nobis tormentis verborura  et oratìonis incendiis de corporibus  exiguntur ».   « Ipse Saturnus et Serapis et Iup-  piter... vieti dolore quod sunt eloquun-  tur ... ».    « ... nec utique in turpitudinem sui ,  nonnullis praesertim vestrum adsisten-  tibus mentiuntur . Ipsis testibiis esse  eos daemonas credite fassis ».   « ... adiurati per deum verum et so-  lum inviti miseri corporibus inhorre-  scunt et... exsiliunt ».    Un altro riscontro ancora notasi volgendo rocchio al cap. XXVII di  Tertulliano ove si riprende il discorso degli angeli e dei demoni.    g) u Licet subiecta sit nobis tota vis  ■daemonum et eiusmodi spirituum, ut  nequam tamen servi metu nonnunquam  ■contumaciam miscent, et laedere ge-  stiunt quos alias verentur. Odium enim  etiam timor spirat».    « Inserti mentibus imperitorum o-  dium nostri serunt occulte per timorem ;  naturale enim est et odisse quem ti-  meas et quem oderis infestare si possis».    In Tertulliano sono i demoni che temendo i Cristiani, appunto per ciò  qercano di offenderli, perchè il timore partorisce odio. In Minucio si  fa che i demoni insinuino nei pagani Todio contro i Cristiani per mezzo  del timore. Ma ciò, si noti, è meno naturale, perchè i pagani non ave-  vano nessuna ragione di temere i Cristiani. Li odiavano invece senza  conoscere la loro dottrina ; ma ciò non ha a che fare col timore. Non  a proposito dunque Minucio fece sua quest’osservazione psicologica del-  l’odio figlio del timore.   Infine a riguardo della varietà politeistica, nel cap. XXIV Ter-  tulliano ricorda le bestie venerate in Egitto ; e qui è da fare un raf-  fronto con Minucio cap. 28, 8.    h) Tertull. XXIV : « Aegyptiis per-  missa est tam vanae superstitionis po-  testas avibus et bestiis consecrandis et  capite damnandis qui aliquem huius -  modi deum occiderint ».    Min.: « nec eorum (Aegyptiorum)  sacra damnatis instituta serpentibus,  crocodilis, belluis ceteris et avibus et  piscibus, quorum aliquem deum si quis  occiderit etiam capite punitur ».    ( 165 )    Digitized by LiOOQle     — 26 —    § 10. — Se Bontà dovesse proprio la sua grandezza  alla religione tradizionale .   Una delle ragioni che i pagani opponevano più frequentemente  alle censure dei loro Dei fatte dai seguaci del Cristo, era questa che  a buon conto Roma doveva la sua grandezza alla religiosità tradizio*  naie e al rispetto degli Dei e delle cerimonie istituite in loro onore.  Di questa idea appunto si fa interprete Cecilio Natale presso Minucio  nel suo discorso in difesa del paganesimo, capitoli 6 e 7. I Cristiani  dovettero ribattere queste ragioni, mostrando che Roma se era grande  non doveva nulla ai falsi Dei. Tertulliano svolge questo punto nel ca-  pitolo XXV dell’Apologetico. Con ironia comincia a chiedere se Dei  quali Stercolo e Mutuno e Larentina hanno potuto promuovere T im-  perio ; poiché, dice, non è da supporre che Dei forestieri, come la Gran  Madre, favorissero Roma, a detrimento dei loro fedeli indigeni. Del  resto, soggiunge, molti Dei romani furono prima re ; da chi ebbero la  podestà regia? Forse da qualche Stercolo. E il potere di Roma già  era, molto prima che si costituisse il culto ufficiale, e che di idoli  greci ed etruschi fosse inondata la città. Ma poi tutta la storia ro-  mana è prova di irreligiosità piuttostochè di religiosità. Guerre e  conquiste di città come si fanno senza ingiuria agli Dei, senza distru-  zione di templi e stragi di cittadini e di sacerdoti, e rapine di ric-  chezze sacre e profane? E come può essere che gli Dei delle città  vinte tollerino poi d’essere adorati dai conquistatori ? Non possono dunque  essersi fatti grandi per merito della religione quelli che crebbero col-  l’offenderla o crescendo l’offesero.   Anche Ottavio in Minucio, cap. 25, svolge questi pensieri, ricor-  dando le scelleratezze compiute da Romolo in poi, e mostrando la im-  probabilità che i Romani siano stati aiutati dai loro Dei vernacoli come  Quirino, Pico, Tiberino, Conso, Pilunno, Volunno, Cloacina, il Pavor  e il Pallor , la Febbre, Acca Laurenzia e Flora; tanto meno li aiuta-  rono gli Dei forestieri come Marte Tracio, Giove Cretese, Giunone o  Argiva o Samia o Punica che dir si voglia, Diana Taurica, la madre  Idea, o le non divinità ma mostruosità egiziane, (ricordi attinti a Ci-  cerone e Seneca, v. ediz. Waltzing, pag. 185). Ecco qualche riscontra  con Tertulliano:   a) Tertull. : « Tot igitur sacrilegia Min. 25, 6 : « totiens ergo Romania   Romanorum quot tropaea, tot de deis impiatum est quotiens triumphatum,   quot de gentibus triumphi , tot manu- tot de diis spolia quot de gentibus et   biae quot manent adhuc simulacra capti- tropaea ».  vorum Deorum ».    ( 166 )    Digitized by Liooole     - 27 —    b) « Omne regntim vel imperium  bellis quaeritur et victoriis propagata.  Porro bella et victoriae captis et eversis  plurimum urbibus Constant. Id nego-  tium sine deorum ini uria non est. Eadem  strages moenium et templorum pares  caedes civium et sacerdotum , nec dissi-  miles rapinae sacrarum divitiarum et  profanarum ».   c) Tertull. c. XXVI: « Videte igitur  ne ille regna dispenset cuius est et orbis  qui regnata et homo ipse qui regnat...  Regnaverunt et Babylonii ante ponti -  fices et Medi ante XVriros et Aegyptii  ante Salios et Assyrii ante Lupercus,  et Amazones ante Virgines V est ale s ».    « ... civitates proximas evertere cum  templis et altaribus ... disciplina com-  raunis est Ita quicquid Romani tenent  colunt possident, audaciae praeda est:  tempia omnia de manubiis, i . e . de  ruinis urbium, de spoliis deorum, de  caedibus sacerdotum. Hoc insultare et  inludere est.... adorare quae manu ce-  peris, sacrilegium est consecrare non  numina ».   Min. 25, 12: « ante eos (Romanos)  deo dispensante diu regna tenuerunt  Assyrii, Medi, Persae, Graeci etiam et  Aegyptii, cum pontifices et arvales et  salios et vestales et augures non ha-  berent nec pullos caveas reclusos quo-  rum cibo vel fastidio reip. summa re-  geretur ».    § 11. — Bel culto verso gl’ Imperatori.   Per non volere i Cristiani sacrificare agli idoli, erano tacciati sì  di irreligiosità, ma non potevano essere processati per questo, essendo  ciascuno libero di avere, come gli piaccia, favorevoli o sfavorevoli gli  Dei. Formale accusa invece si moveva loro per non volere sacrificare  in onore dell’ imperatore divinizzato, e chiamavan questo lesa maestà.  Di ciò parla Tertulliano nel cap. XXVIII. La cosa si capisce, die egli ;  voi avete più paura e usate furbescamente più riguardi a Cesare che  a Giove stesso in Cielo. In fondo avete ragione; perchè un vivo vai  più dun morto. Ma commettete voi in questo colpa d’irreligiosità,  dando la preferenza a una dominazione umana; e più presto si sper-  giura da voi per tutti gli Dei che per il solo genio di Cesare.   A questo punto è a notare una lieve somiglianza col discorso di  Ottavio presso Minucio, là dove rimprovera i pagani del prestar culto  divino ad un uomo, e dell’ invocare un nume che non c’ è ; pure, dice,  è per loro più sicuro spergiurare per il genio di Giove che per quello  del re.   a) Tertull. c. XXVIII: « citius de- Min. 29,5: «et est eis tutine per   nique apud vos per omnes Deos quam Ioyìs genium peierare quam regis ».  per unum genium Caesaris peieratur ».    ( 167 )    Digitized by LiOOQle     - 28 —    § 12. — Delle preghiere cristiane e dei rapporti fra Cristiani.   Segue in Tertulliano un gruppo di capitoli bellissimi, dal XXIX  al XXXIV, in cui con calorosa eloquenza si fa vedere quanto più  onesti ed efficaci voti facessero i Cristiani pregando per la salute del-  l’ imperatore il Dio uno e vero, e a cbi solo può dare chiedendo per  lui lunga vita, securo imperio, casa tranquilla, forte esercito, senato  fedele, popolo probo, mondo quieto; e ciò non con apparati di culto  esterno, ma con sincerità d’anima e innocenza di vita (cap. XXX).  I Cristiani, dice, hanno imparato dal loro Maestro a pregare anche per  i nemici e i persecutori (cap. XXXI); e nel far voti per la diutur-  nità dell' impero, sanno di ritardare quel cataclisma che minaccia al-  l’orbe universo la fine (cap. XXXII). Ma non possono chiamare Dio  l’ imperatore senza derisione di lui e ingiuria al vero Dio (cap. XXXIII  e XXXIV). Perchè dunque saranno qualificati come « nemici pubblici » ?  Forse perchè si astengono dalle licenziose feste pubbliche celebrate a  solennizzare qualche lieto avvenimento della casa imperiale? A buon  conto, non dai Cristiani, ma dal novero dei Komani escono e i Cassii  e i Nigri e gli Albini, cioè i ribelli all’autorità imperiale; i quali  pure avevan preso manifesta parte alla feste pubbliche e ai pubblici  voti per la salvezza dell’ imperatore (cap. XXXV). La vera sudditanza  e fede dovuta all’autorità sta nei buoni costumi e nei rapporti d’onestà  quali noi Cristiani serbiamo con tutti (oap. XXXVI). Amando noi i  nostri nemici, chi possiamo ancora odiare ? Inibita a noi la vendetta,  chi possiamo offendere? Quando mai i Cristiani pensarono a vendi-  carsi neppure del volgo che li malmenava, non rispettando nemmeno  i morti? Eppur quanto facimente avrebber potuto preparare le loro  vendette in segreto, o anche dichiarare aperta guerra, tanto numerosi  essi già sono in tutte le città, nelle isole, nei municipi, nei campi  militari, nel senato stesso e a corte ! Potevano anche senz’armi pugnare,  ritirandosi in qualche angolo remoto del mondo e lasciando dietro sè  una spaventosa solitudine. Eppure ci avete chiamati « nemici del ge-  nere umano», anziché « dell’errore umano» ! (eap. XXXVII). Che ra-  gion vi era di non considerare la nostra setta come una factio licita,  dal momento che non facciamo nulla che turbi la società, e produca  divisioni, attriti, violenze? Una repubblica sola noi riconosciamo, il  mondo. Ai vostri spettacoli rinunziamo, perchè ne conosciamo l’origine  dalla falsa religione. In che v’offendiamo, se abbiamo altri gusti e  piaceri? (cap. XXXVIII). L’unità della fede e della speranza ci unisce   ( 168 )    Digitized by LiOOQle     — 29 —    e ci affratella. Ci aduniamo a pregare e a leggere i libri santi; ivi  ci esortiamo a far bene, e ci rimproreriamo se manchiamo ai nostri  doveri. Si contribuisce un tanto al mese per alimentare i poveri e so-  stenere le spese delle sepolture e dei derelitti. Il nostro mutuo amore  4, dà noia agli avversari, perchè essi si odiano, noi siamo pronti a mo-   rire l’un per l’altro, quelli ad uccidersi l’un l’altro. Ci riconosciamo  fratelli, perchè abbiamo lo stesso padre Iddio,, e come si mescolano le  nostre anime, così mettiamo in comune le sostanze. Tutto è da noi  accomunato, salvo le mogli. Le nostre cene sono parche e denominate  con parola significante « amore », e lì si prega prima di mangiare come  dopo, e si canta, chi sa farlo, in onor di Dio. Che male c’ è, o a chi  torna di danno tutto ciò, da parlare di factìo illicita ? (cap. XXXIX).   A questo punto, il dialogo di Minucio offre qualche possibilità di  riscontro con l’Apologetico. Giacché, dopo confutata l’accusa di cene  incestuose, Ottavio nel suo discorso prende subito a celebrare l’ inno-  cenza dei costumi cristiani, e qua e là il suo pensiero corre parallelo  a quel di Tertulliano.   a ) Tertull. c. XXXIX, fin.: « haec Min. 31,6: « ... nec factiosi (così   coitio Christianorum merito damnanda THerald; il cod. ha: ‘fastidiosi 1 ) su-   I si quis de ea queritur eo titillo quo de mus, si omnes unum bonura sapimus   factionibus querela est. In cuius perni- eadem congregati quiete qua singuli...».  ciem aliquando convenimus? Hoc su-  mus congregati quod et dispersi, hoc  universi quod et singuli , neminem lae-  dentes, neminem contristantes ».   b) « Sed eiusmodi vel maxime dile- « .... sic mutuo, quod doletis amore   ctionis operatio notam nobis inurit pe- diligimus, quoniam odisse non novimus,   nes quosdam. Vide, inquiunt, ut in vicem sic nos, quod invidetis, frati es vocamus,   se diligant; ipsi enim invicem oderunt; ut unius dei parentis homines, ut con-   et ut prò alterutro mori sint parati; sortes fidei, ut spei coheredes. Yos enim   ipsi enim ad occidendum alterutrum pa- nec invicem adgnoscitis, et in mutua   ratiores erunt. Sed et quod fratres nos odia saevitis, nèc fratres vos nisi sane   vocamus, non alias opinor, insaniunt ad parricidium recognoscitis ».   quam quod apud ipsos omne sanguinis  nomen de affectione simulatum est. Fra-  y tres autem etiam vestri sumus... at   quanto dignius fratres et dicuntur et  habentur qui unum patrem Deum agno-  verunt, qui unum spiritum biberunt san-  ctitatis, qui de uno utero ignorantiae  eiusdem ad unam lucem exspiraverunt  veritatis ».   ( 169 )    Digitized by ooole     - 30 -    Altri riscontri parziali:   c) Tertull. c. XXX : « ei (Deo) offero  opimam et maiorem hostiam... oratio-  nem de carne pudica, de anima inno-  centi, de spiritu sancto profectam ».   d) Tertull. c. XXXVIII : « Aeque spe-  ctaculis vestris in tantum renuntiamus  in quantum originibus eorum, quas sci -  mus de superstitione conceptas, cupi et  ipsis rebus de quibus transiguntur prae-  tersumus. Nihil est nobis dictu, visu,  auditu cum insania circi, cum impudi-  citia theatri, cum atrocitate arenae, cum  xysti vanitate ».    Min. 32, 3 : « qui innocentiam colit  Deo supplicat, qui iustitiam Deo libat...  qui hominem periculo subripit, opimam  (il cod. ha optimam) vidimavi caedit ».   Id. 37, 11 : a nos. . merito malis vo-  luptatibus et pompis et spedaculis ve-  stris abstinemus, quorum et de sacris  originem novimus , et noxia blandimenta  damnamus. Nam in ludis circensibus  (così leggo io, il cod. ha: currulibus)  quis non horreat populi in se rixantis  insaniam ? in gladiatoriis homicidii di-  sciplinami? in scenicis etiam non minor  furor et turpitudo prolixior ; nunc enira  mimus yel exponit adulteria vel mon-  strat, nunc enervis histrio amorem dum  fingit infigit ».    § 13. — Bei disastri pubblici non imputabili ai Cristiani  e della loro innocenza di vita .   I capitoli XL e XLI dell’Apologetico contengono la confutazione  dell’accusa che delle pubbliche calamità fossero causa i Cristiani, come  8’ andava già fin d’allora vociferando, e si seguitò a dire per molte ge-  nerazioni. Tertulliano ricorda molti cataclismi, isole scomparse, terre-  moti e maremoti, e il diluvio, e l’ incendio di Sodoma e Gomorra, di-  sastri avvenuti tutti avanti al Cristianesimo. E col distruggersi delle  città, dice, si distruggevano anche i templi degli Dei; prova che non  veniva da loro ciò che anche a loro accadeva. Bensì il Dio unico e  vero non poteva essere propizio a chi ne disconosceva i favori. Del  resto, i mali ora sono minori di prima, e ciò è dovuto alle preghiere  dei Cristiani che disarmano l’ira divina. Che se il nostro Dio per-  mette i disastri anche a danno de' suoi cultori, ciò non ci stupisce nè  sgomenta, aspirando noi a vita più alta e migliore. Di tutto questo in  Minucio non v’ è parola.   Altro titolo d’ ingiurie contro i Cristiani era il ritenerli alieni  dagli affari e disutili al commercio locale. Tertulliano dedicò a questo  argomento i capitoli XLII e XL1II, dove fa vedere l' insussistenza di  questo rimprovero. Vivevano bene i Cristiani come gli altri, serven-  dosi e dei mercati e delle botteghe e delle officine e dei bagni pub-   ( 170 )    Digitized by LiOOQle    - 31 —    blici. Che se si astenevano da certi usi, se non si coronavano di fiori  la testa, se non intervenivano agli spettacoli, se non sovvenivano i  templi pagani coi loro contributi, avevano bene ragione di farlo. E del  pari certo quattrini non ricevevano da loro nè i lenoni, nè.i sicari,  nè i magi, nè gli aruspici, nè altri tali ; ma in compenso i Cristiani  eran tutte persone innocue da non dar ombra a nessuno.   Qui, rispetto alluso di portar corone di fiori in capo, si può con-  frontare :    a) Tertull. c. XLII: « ...non amo  capiti coronam. Quid tua interest, em-  ptÌ8 nihilominus floribus quomodo utar ?  Puto gratius esse liberis et solutis et  undique vagis. Sed etsi in coronam  coactis, nos coronam nariòus novimus,  viderint qui per capillum odorantur».    Min. c. 38, 2 : « quis autem ille qui  dubitat vernis indulgere nos floribus,  cum capiamus et rosam veris et lilium  et quicquid aliud in floribus blandi co-  loris et odoris est? his enim et sparsis  utimur, mollibus ac solutis, et sertis  colla complectimur. Sane quod caput  non coronamus, ignoscite; auram bo-  nam floris nariòus ducere non occipitio  capillisve solemus haurire ».    1 due capitoli che seguono in Tertulliano, il XLIV e il XLY,  sono rivolti a segnalare l’ innocenza dei Cristiani, proveniente dal se-  guire essi una legge non umana ma divina, e dal considerarsi come in  presenza di Dio sempre, di Dio scrutatore, giudice e vindice.    b) Terlull. c. XLIV : « Tot a vobis  nocentes variis criminum elogiis recen-  sentur; quis illic sicarius, quis manti-  cularius, quis sacrilegus aut corruptor  aut lavantium praedo, quis ex illis etiam  Christianus adscribitur? aut cum Chri-  stiani suo titulo offeruntur, quis ex illis  etiam talis qttales tot nocentes? De  vestris semper aestuat career , de vestris  semper metalla suspirant, de vestris  semper bestiae saginantur, de vestris  semper munerarii noxiorum greges pa-  scunt. Nemo illic Christianus nisi piane  tantum Christianus , aut si et aliud iam  non Christianus ».   c) Id. XLV : « quid perfectius, prò-  hibere adulterium, an etiam ab o culo-  rum solitaria concupiscentia arcere ? »   XLVI: u Christianus uxori suae  soli masculus nascitur ».    Min. 35, 6: « ... de vestro numero  career exaestuat , Christianus ibi nullus  nisi aut reus suae religionis aut'pro-  fugus ».    Id. ibid. : « vos enim adulteria prò -  hibetis et facitis, nos uxoribus nostris  solummodo viri nascimur ... ».    (171)    Digitized by LiOOQle     - 32    § 14. — Delle dottrine filosofiche antiche  o diverse dalle cristiane o dai libri santi ispirate .   Pur vinti da tanta copia di fatti e bontà di ragioni, non si ar-  rendevano gli avversari de’ Cristiani, e, a corto d’altri argomenti, fini-  vano con dire che in sostanza le massime cristiane non erano cosa  nuova, ma erano già state professate e praticate dai filosofi. Di ciò  Tertulliano nel capitolo XLYI, dove istituisce un eloquente confronto  tra le massime e la vita pagana da una parte e i precetti e costumi  cristiani dall’ altra, per dimostrare la superiorità dei secondi. Qui un  riscontro con Minucio:   a) Tertull. c. XLVI: a ... licet Plato Min. c. 19, 14: u Platoni... in Ti-   adfirmet factitatorem universitatis ne- maeo deus est ipso suo nomine mundi   que inveniri facile et inventum enar- parens, artifex animae, caelestium ter-  rari in omnes difficile. Cfr. Plat. Tim. renorumque fabricator, quem et inve-   p. 28 C : « Tòv fxhv noirjrijy xai nire difficile praenimia et incredibili   naréga tovóe tot) navròg eògeìv re eg- potestate (cfr. 26, 12: * Plato qui inve-  lo!', xai etigóvia elg ndvrag àóvvarov nire Deum negotium credidit ... *), et   Xéyeivn. cum inveneris in publicum praedicere   impossibile praefatur».   Non può negarsi, riconosce Tertulliano (cap. XLVII), che i filosofi  antichi hanno espresso molte cose vere, ma queste son derivate dalla  fonte dei nostri profeti. E queste stesse verità sono involute e com-  mescolate a ipotesi e opinioni disparatissime, sicché poi questi filosofi  sono in completo disaccordo gli uni cogli altri. Tale varietà d’opinioni  pur troppo venne anche introdotta nella setta cristiana, sicché bisognò  prescrivere ai nostri adulteri, quella essere regola di verità la quale  venga a noi trasmessa da Cristo per mezzo de’ suoi compagni. Per queste  adulterazioni della verità, insinuate dagli spiriti dell’errore, certi prin-  cipii già si trovano tra i pagani, come il giudizio finale delle anime,  le pene dell’inferno e il soggiorno delizioso degli Elisi, ma tali prin-  cipii in quanto hanno del vero, sono di origine nostra.   b) Tertull.: « quis poetarum, quis Min. 34, 5: « animadvertis philoso-   sophistarum,qui non omnino de prò- pbos eadem disputare quae dicimus,   pbetarum fonte potaverit?... » non quod nos simus eorum vestigia   u Unde baec ... nonnisi de nostris sa- subsecuti, sed quod illi de divinis prae-   cramentis? Si de nostris sacramentis, dictionibus profetarum umbram inter-   ut de prioribus, ergo fideliora sunt no- polatae veritatis imitati sint ».  stra magisque credenda, quorum ima-  gines quoque fìdem inveniunt».   ( 172 )    Digitized by Liooole     — 33 —    § 15. — Della resurresione finale e del fuoco eterno.    Una delle credenze cristiane più combattute e derise dagli av-  versarli, era quella della resurrezione finale dei corpi e del ritorno delle  anime in que’ corpi che già avvivarono. A questo dogma dedica Ter-  tulliano il cap. XLYIII, adducendo la ragione della divina onnipo-  tenza, che come ha dal nulla creato il mondo, così può far risuscitare  i corpi morti. Non è quotidianamente sotto gli occhi nostri il segno  della resurrezione nell’alternativa della luce e delle tenebre, nel tra-  montare e rinascere delle stelle, nel rifarsi delle stagioni e dei prodotti  della natura? Se a Dio fosse piaciuta altresì l’alternativa della morte  e della resurrezione, chi l’avrebbe impedito? Volle invece che alla  condizione presente di vita passeggera, si contrapponesse un’altra vita  eterna, e a questa passassero tutti risorgendo coi corpi, per vivere  un’eternità di premio o di pena secondo i meriti di ciascuno. E il fuoco  eterno che aspetta i dannati, è di natura ben diversa dal nostro; come  altro è il fuoco che serve agli usi umani, altro quello che apparisce  nei fulmini del cielo o nelle eruzioni dei vulcani, perchè questo non  consuma quello che brucia, e mentre disfa, ripara. Tali principii se  sono professati da filosofi e da poeti, si tollerano e si lodano; perchè  noi Cristiani dobbiamo esserne derisi e anche puniti? Infine queste  credenze sono utili, perchè allontanano dal mal fare colla paura dei  divini castighi, e, alla peggio, non fan male a nessuno (c. XLIX).   Anche Minucio mette in bocca al suo Ottavio alcune considera-  zioni sulla fine del mondo e la risurrezione dei morti, dedicandovi tutto il  capo 34 e parte del 35. Sulla fine del mondo ricorda le opinioni  degli Stoici e degli Epicurei e anche di Platone circa la conflagrazione  finale dell’universo, e giustifica così la credenza cristiana. Per la ri-  surrezione pure cita Pitagora e Platone, ma solo per dimostrare che i  saggi pagani in questo vanno in qualche modo d'accordo coi Cristiani.  Ricorre anch’egli all’argomento dell’onnipotenza divina e alla possibi-  lità che rinasca dal nulla quello che dal nulla ebbe origine, come  accenna pure ai segni di risurrezione dati dalla natura, e alle condi-  zioni del fuoco eterno. Qui alcuni riscontri:    a) Tertull. c. XLVIII : « sed quo-  modo, inquis, dissoluta materia exhiberi  potest? Considera temetipsum, o homo,  et fidem rei invenies. Kecogita quid  fueris antequam esses. Utique nihil;    Min. c. 34, 9 : « quis tam stultus  aut brutus est, ut audeat repugnare,  hominem a Deo ut primum potuisse  fingi, ita posse denuo reformari? Sicut  de nihilo nasci licuit, ita de nihilo li-    (173)    3    Digitized by LiOOQle     — 34 -    meminisses enim si quid fuisses. Qui cere reparari? porro difficilius est id   ergo nihil fueras priusquam esses, idem quod non sit incipere, quam id quod   nihil factus cum esse desieris, cur non fuerit iterare. Tu perire et Deo credis   possis rursus esse de nihilo eiusdem si quid oculis nostris hebetibus sub-   ipsius auctoris voluntate qui te voluit trahitur ? »   esse de nihilo ? Quid novi tibi eveniet ?   Qui non eras factus es; cum iterum non  eris fies. Et tamen facilius utique fies  quod fuisti aliquando, quia aeque non  difficile factus es quod nunquam fuisti  aliquando » .   b) Ibid.: « Lux coti die interfecta Min. ib. 11: «in solacium nostri   resplendet et tenebrae pari vice dece- resurrectionem futuram natura omnis   dendo succedunt, sidera defuncta vive- meditatur. Sol demergit et nascitur,   scunt, tempora ubi finiuntur incipiunt, astra labuntur et redeunt , flores occi-   fructus consummantur et redeunt , certe dunt et revirescunt, post senium ar-   semina non nisi corrupta et dissoluta busta frondescunt, semina nonnisi cor -   fecundius surgunt, omnia pereundo ser- rupta revirescunt».   vantar omnia de interitu reformantur ».   c) Tertull. ibid.: « Noverunt et phi- Id. c. 35, 11: « Illic sapiens ignis   losophi diversitatem arcani et publici membra urit et reficit , carpit et nutrit.   ignis. Ita longe alius est qui usui hu- Sicut ignes fulminum corpora tangunt   mano, alius qui iudicio Dei apparet, nec absumunt, sicut ignes Aetnaei mon-   sive de caelo fulmina stringens, sive de tis et Vesuvi montis et ardentium ubi-   terra per vertices montium eructans: que terranno flagrant nec erogantur,   non enim absumit quod exurit , sed dum ita poenale illud incendium non damnis   erogat reparat. Adeo manent montes sem- ardentium pascitur, sed inexesa corpo-   per ardentes, et qui de caelo tangitur, rum laceratione uutritur ».   salvus est, ut nullo iam igni decine-  rescat. Et hoc erit testimonium ignis  aeterni, hoc exemplum iugis iudicii poe-  nam nutrientis. Montes uruntur et du-  rant. Quid nocentes et Dei hostes ? »    § 16. — Della resistenza dei Cristiani ai tormenti.   Eccoci all’ultimo capitolo dell’Apologetica, dove il grande scrit-  tore africano giustifica l’atteggiamento dei Cristiani, esultanti di essere  perseguitati e di soffrire anche la morte per la confessione di Cristo. \   Tale atteggiamento era oggetto di vive censure; eran considerati i  Cristiani come gente disperata e perduta. Pure gli antichi avevano ce-  lebrato invece come eroi gloriosi alcuni uomini che avevano patito,  senza scomporsi, i più atroci dolori, quali un Mucio Scevola, un Attilio  Regolo, ecc. Perchè han da stimarsi pazzi i Cristiani che fan lo stesso?   ( 174 )    Digitized by LiOOQle     — 35 —    Del resto, conchiude Tertulliano, fate pure, o buoni governanti, con-  tentate la plebe tormentandoci, condannandoci, uccidendoci; codesta  crudeltà non servirà che ad aumentare il nostro numero; il nostro  sangue è seme; il nostro esempio e l’ostinazione che ci rinfacciate, fa  scuola ; perchè chi ci vede e ammira, sente di dover ricercare che cosa  ci sia sotto, e conosciuto vi si converte, e convertito desidera patire  alla sua volta per redimere la sua vita anteriore e ottenere Feterno premio.   Di analogo argomento, della resistenza dei Cristiani al dolore e  della lotta loro contro le minaccie e i tormenti dei carnefici, discorre  pure Ottavio in Minucio (capitoli 35, 8-9 e 37, 1-6). Anche per lui  il soffrire non è castigo, è milizia, e non è vero che Dio abbandoni chi  soffre, anzi lo assiste e a sè trae. Che bello spettacolo per Dio quando  il cristiano scende in lizza col dolore e le minacce e le torture, e  contro re e principi difende a testa alta la libertà della sua fede, non  cedendo che a Dio, vincitore anche di chi lo condanna e uccide. Glo-  rioso ritiensi colui che tormenti ha sostenuto con costanza; ma altret-  tali e peggiori soffrono col sorriso sulle labbra i fanciulli e le don-  nicciuole cristiane, evidentemente perchè li aiuta Iddio. In manifesta  affinità di pensieri, non mancheranno riscontri di parole:    a) Tertull. c. L: « ...Victoria est...  prò quo certaveris obtinere ».   b) Ibid.: « Haec desperatio et per-  ditio penes vos in causa gloriae et fa-  mae vexillum virtutis extollunt. Mucius  dexteram suam libens in ara reliquit:  o sublimitas animi ! Empedocles totum  sese Catanensium Aetnaeis incendiis do-  navit : o vigor mentis ! Aliqua Cartagi-  nis conditrix rogo se secundum matri-  monium dedit : o praeconium castitatis !  Regulus ne unus prò multis hostibus  viveret, toto corpore cruces patitur: o  virum fortem et in captivitate victo-  rem! etc. ».    Min. 37, 1 : « vicit qui quod con-  tendi obtinuit » .   Ibid. 3 : « vos ipsos calamitosos vi-  ros fertis ad coelum, Mucium Scaevo-  lam, qui cum errasset in regem peris-  set in hostibus nisi dexteram perdidisset.  Et quot ex notfris non dextram solum  sed totum corpus uri, cremari, sine ullis  eialatibus,pertulerunt,cum dimitti prae-  sertim haberent in sua potestate ! Viros  cum Mucio aut cum Aquilio aut Re-  gulo Comparo? pueri et mulierculae  nostrae cruces et tormenta, feras et  omnes suppliciorum terriculas inspirata  patientia doloris inludunt».    § 17. — Osservazioni e conclusione.   Messoci sott’occhio ordinatamente e nel modo più compiuto pos-  sibile il materiale di raffronto fra Tertulliano e Minucio, possiamo  risolvere il problema, quale dei due abbia avuto sott’occhio l’opera  dell’altro.   (175)    Digitized by LiOOQle     A questo fine chi ci ha seguito fin qui voglia con noi fare due  osservazioni. La prima è che in molti luoghi si trova la stessa ma-  teria trattata con ampiezza e originalità di vedute da Tertulliano, e  accennata brevemente da Minucio; ad es. al § 1 c, come già s’è os-  servato, a tutta una teoria tertullianea sulla natura del male morale  e sull’atteggiamento del malvagio, teoria addotta per mostrare che non  era un male Tesser cristiano, corrisponde in Minucio un cenno fuggevole  della stessa sentenza; così al § 2 d, la natura della fama o diceria  è rilevata con minuziosa analisi da Tertulliano, ed è, in frase inci-  dente, come per transenna, e con parole per sè sole non chiare, toccata  da Minucio; lo stesso dicasi al § 6 i, sullo scheletro ligneo a forma  di croce adoperato nel fabbricare gli idoli; e ‘al § 13 b, sull’essere  i delinquenti in massima parte pagani e d’altri brani ancora. In tutti  questi casi si ha egli a pensare che Tertulliano, visto il breve cenno  minuciano, n’ abbia preso occasione per ampliare e a volte costruire  una teoria intiera basata sull’osservazione psicologica? o non si pre-  senta anzi spontanea T ipotesi che Minucio abbia conosciute e fatte sue  le spiegazioni tertullianee, riassumendole dov’ e’ credeva opportuno? A  chi non parrà questo secondo processo ben più naturale del primo?  Non è questo il modo comune di lavorare in opere letterarie, quando  non si tratta di amplificazioni rettoriche e luoghi comuni? Chi potrà  credere il rapporto inverso, se tenga conto dell’ ingegno vigoroso, del  ragionamento serrato e a fil di logica di Tertulliano, in comparazione  dei discorsi alquanto rettorici da Minucio messi in bocca agli inter-  locutori del suo dialogo?   La seconda osservazione che noi vogliamo si faccia, ci conferma  nell’ ipotesi della priorità di Tertulliano ; e questa riguarda i passi dove  Minucio presenta lo stesso pensiero e la frase tertullianea, ma o in  luogo meno opportuno per la concatenazione delle idee, o con aggiunta  od uso di parole che alterano il concetto esagerandolo. Fin dal prime  riscontro segnalato al § 1 a, il cenno del non volere i pagani udire  pubblicamente i Cristiani desiderosi di difendersi, vien fuori poco op-  portunamente come argomento del non essere essi Cristiani in angulis  garruli Così al § 3, già s’è notata la stranezza del derivare dalle  cerimonie di Giove Laziale gli usi sanguinarii di Catilina e di Bellona.  Nello stesso § 3, il riscontro f ci dà un esempio di esagerata espres-  sione in quel plerique sostituito al quidam di Tertulliano; come al  § 4 g, è fuor di squadra il frequentius . Inesattezze pure riscontrammo  al § 5 f, dove è attribuita ad Omero una leggenda che non gli ap-  partiene, e al § 9 a, ove del demonio socratico si parla men corret-  ene)    Digitized by LiOOQle    — 37 —    tamente che in Tertulliano. Ma il passo più significativo è al § 9 g,  ove poco a proposito, come già s’ è rilevato, Minucio fece sua l’osser-  yazione psicologica del timore che partorisce odio. Tali difetti del-  l’esposizione minuciana sono una evidente conferma della priorità ter-  tullianea ; è nella natura delle cose che l’ imitatore non afferrando con  precisione i concetti dello scrittore che gli serve di modello, alteri i  rapporti delle idee e le renda in modo difettoso ; mentre è ben più  raro, se non impossibile, che un imitatore, prendendo le mosse da un  lavoro altrui, ne emendi tutti i difetti, raggiungendo una precisa coe-  renza e spontaneità, quale spicca in Tertulliano.   Vi sono però due luoghi che paiono far contro la nostra tesi. Uno  è al § 5, b e d, ove a una semplice parola o proposizione tertullianea  {§ 5, 6: consecratione ; d: statuas . . . milvi et mures et araneae in -  ielligunt) corrisponde in Minucio una descrizione più ampia e ricca  di particolari. Ma, se ben si guardi, ciò non vuol dir nulla contro la  tesi che sosteniamo. Già prima si può pensare che Minucio, come per  altre parti del suo dialogo prese da Cicerone e da Seneca, così per  questa abbia attinto ad altra fonte oltre l’Apologetico, desumendone  sia la descrizione dell’ idolo che finché vien lavorato non è Dio e lo  diventa appena è consacrato dall’uomo, sia quella dei topi, delle ron-  dini, dei ragni che rodono e fanno il nido e le ragnatele nelle statue  dei templi. Ma può anche darsi che qui s’abbia a fare con una sem-  plice amplificazione del pensiero suggerito dall’espressione di Tertul-  liano, amplificazione non contenente altro che osservazioni semplicissime  e di dominio comune. Tanto più è probabile che tale lavoro si deva  attribuire a Minucio, quanto che la caratteristica del suo stile, cioè  l’uso degli asindeti trimembri con omeoteleuto, si trova qui più volte:  funditur fabricatur sculpitur; plumbatur conslruilur erigitur; ornatur  eonsecratur oratur; rodunt inculcant insident; tergetis mundaiis era -  ditis, ecc.   L’altro punto che deve qui discutersi riguarda il fatto già segna-  lato al § 4, a , pel quale 1’ Ebert e molti altri conchiusero senz’altro  per la priorità di Minucio, vale a dire l’errore commesso da Tertul-  liano completando in Cassius Severus il nome dello storico Cassius  così letto da lui nelle sue fonti. Pur riconoscendo che Tertulliano ha  qui commesso un errore, era proprio necessario di supporre che l’in-  dicazione di quelle fonti storiche, Diodoro e Tallo Greci, Cassio e Cor-  nelio Romani, egli l’avesse presa da Minucio? Si noti che il discorso  si aggira intorno alla spiegazione euemeristica degli Dei pagani, e si  ricercano le vicende di Saturno e di Giove per conchiuderne che co-   ( 177 )    Digitized by LiOOQle     - 38 —    storo in origine erano nomini. Ora questa tesi non era solo degli apo-  logeti cristiani, ma da secoli era di dominio comune in molte scuole  filosofiche. Può dunque ben darsi che in qualche libro euemeristico del  primo o del secondo secolo dell’era volgare già si citassero Diodoro  Siculo e Tallo, Cassio e Cornelio Nipote, e anche Yarrone, a conferma  della dottrina ; può essere che la citazione di quei nomi fosse diventata  come un luogo comune; tant’ è vero che un secolo dopo Tertulliano,  ancor la ripete con poche varianti Lattanzio (*). Questo è l’unico punto  in cui ritengo vera V ipotesi di una fonte comune anteriore a Tertul-  liano e Minucio. Il che se si ammette, l’errore di Tertulliano non dice  più nulla a favore della priorità di Minucio e contro la tesi inversa  da noi propugnata. Da questa stessa fonte euemeristica potrebbero sup-  porsi derivati i particolari minuciani che sopra avvertimmo non tro-  varsi in Tertulliano, come pure ne derivarono le tradizioni simili a quella  che si legge nel De origine gentis Romanae (1, 2) e nei breviari sto-  rici concernenti le origini di Eoma ( 2 ).   Sia dunque lecito di conchiudere che l’ Ottavio di Minucio è po-  steriore all’Apologetico; di non molto forse, se al tempo della sua  comparizione era ancora sì viva la memoria dell’oratore Frontone da  ricordarlo nel modo che fanno i due interlocutori del dialogo (cap. 9 : Gir -  tensis noster , e cap. 31: Pronto tuus). Non andarono forse errati quelli  che supposero composto il dialogo nel primo o al più nel secondo de-  cennio del terzo secolo, come certo l’Apologetico è degli ultimi anni  del secondo.    ( 1 ) Insù . 1, 13 : omnes ergo non tantum poetae sed historiarum quoque ac  rerum antiquarum scriptores hominem fuisse consentiunt [ Saturnum ]. Qui res eius  in Italia gestas prodiderunt , Graeci Diodorus et Thallus t Latini Nepos et Gas -  sius et Varrò . . .   ( 2 ) V. il Minucio del Waltzing, pag. 204.    ( 178 ) 

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