Sunday, June 9, 2024

GRICE E MOSCA

  Sia a causa di una lontana parentela. etnica, sia   perchè l'influenza delle vicine colonie greche dell’ Ita-  lia meridionale avrebbe agito efficacemente fin dal se-  sto secolo avanti l’era volgare, certo è che l’organiz-  zazione politica delle città italiche, all’inizio dell’epoca  storica, presenta molte analogie con quella dello stato-  città ellenico.   In Roma infatti, che è la più nota fra le città  italiche, troviamo in origine il Re, il Senato composto  nei tempi più antichi dai capi delle diverse genti pa-  trizie, ed i Comizi, ossia l’assemblea del popolo. Abo-  lita come in Grecia la regalità ereditaria e sostituita  ad essa il consolato e le altre magistrature temporanee,  elettive e quasi sempre multiple, sorse presto anche a  Roma la lotta tra l’antica cittadinanza patrizia, costi-  tuita da coloro che facevano parte delle antiche genti  e la nuova cittadinanza plebea, composta a preferenza  dai discendenti degli stranieri domiciliati e dei servi  liberati. E per un certo tempo pare che due città coe-  sistessero nell’Urbe, con magistrature speciali all’una  ed all’altra, finchè si fusero quasi intieramente con una    62 GAETANO MOSCA    costituzione che ricorda molto il tipo ellenico della  città-stato, ma che si distingue da essa per alcune par-  ticolarità originali. Le principali sarebbero la maggior  facilità con la quale veniva accordata gradatamente la  cittadinanza, od una semicittadinanza, alla parte mi-  gliore dei popoli vinti, il mantenimento di tutti i di-  ritti di cittadinanza ai coloni che si spedivano in siti  abbastanza lontani dalla capitale, ed infine il carattere  spiccatamente aristocratico che conservò fino all’ultimo  secolo della repubblica la costituzione romana rispetto  a quella di quasi tutte 1é città greche. |   Infatti il Senato romano nell’epoca storica era com-  posto da coloro che erano scelti dal censore fra le per-  sone che avevano esercitato cariche elevate, e solo in  un'epoca relativamente recente i Comizi centuriati fu-  rono riformati in maniera da togliere in essi la pre-  ponderanza alle classi altamente censite ed accanto at  Comizi centuriati furono ammessi i Comizi tributi, nei  quali prevaleva il numero sul censo. Però la legge non  poteva essere approvata se non nelia forma precisa con  la quale i magistrati l'avevano proposta, ed il Senato  romano ebbe attribuzioni ed autorità assai più larghe  di quelle concesse ai corpi analoghi che si potevano  trovare in qualche città ellenica. Ed in quanto alle  cariche elettive il costume, più che lia legge, impedì  sino agli ultimi tempi della repubblica che fossero con-  ferite a veri popolani. Infatti il tribunato militare, che  era il primo gradino che dovevano salire coloro che  aspiravano alla carriera politica, fino alla fine della re-  pubblica non fu praticamente accessibile che ai mem-  bri dell’ordine equestre, i quali dovevano possedere  un censo piuttosto elevato.   Ma quando Roma, dopo avere sottomesso l'’ Italia,  ebbe conquistato quasi tutte le terre bagnate dal Me-  diterraneo apparì chiaramente che la costituzione della    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 63    città-stato, sia pure modificata nel modo accennato,  non poteva più funzionare. Infatti la lontananza della.  grande maggioranza dei cittadini era di ostacolo alla  regolare e pronta riunione dei Comizi nel foro, i quali  in ultimo non furono più frequentati che dalla pleba-  glia che abitava nell’ Urbe. Inoltre diveniva impossi--  bile di conservare l’annualità delle cariche più elevate  quando i consoli dovevano fare un lungo viaggio per  recarsi nelle lontane province.   Oltre a ciò era avvenuto un profondo rivolgimento-  nella distribuzione della proprietà fondiaria, poichè  questa si era a poco a poco accentrata nelle mani di  un piccolo numero di latifondisti, e quindi era grada-  tamente diminuita quella classe di piccoli proprietari  che per lungo tempo aveva costituito il nerbo degli:  eserciti romani. Per riparare a questa deficienza furono.  promulgate due leggi: una proposta da Caio Gracco  nell’anno 123 avanti Cristo, mediante la quale l’arma-  mento non era più a carico del soldato, ma veniva.  pagato dal pubblico erario, e l’altra proposta nell’anno-  108 avanti l’era volgare da Caio Mario, il riformatore-  dell’organizzazione militare romana, con la quale ve-.  nivano ammessi nelle legioni non solo i proletari ma  anche i figli dei liberti.   Conseguenza di queste leggi e delle guerre lun-  ghe e lontane fu che all’esercito cittadino si andò  mano mano sostituendo un esercito di soldati di me-  stiere, reclutati negli strati più bassi della popolazione,  e praticamente il comando (imperium), prima corcesso-  solo temporaneamente e con possibilità di revoca ai  comandanti delle legioni, divenne illimitato e si pro-  trasse per molti anni; sicchè i soldati divennero facili  strumenti dei loro capi sostenendone gli ambiziosi di-  segni a patto di partecipare ai vantaggi della vittoria.  In-questa condizione di cose bisogna ricercare una delle.    64 GAETANO MOSCA    principali origini delle guerre civili, che ebbero come  ‘conseguenza un sensibile spostamento della proprietà  privata; perchè durante la prima, e soprattutto durante  la seconda proscrizione, molte furono le terre che ven-  nero tolte ai ricchi ed ai medii proprietari e furono  «distribuite ai soldati, cioè ai proletari armati.   Viva è stata una disputa fra alcuni storici moderni,  perchè alcuni sostengono che Augusto ha voluto creare  una nuova forma di governo, sostituendo l’ {mpero alla  Repubblica, mentre altri invece opinano che egli volle  conservare la forma repubblicana ritoccandola dove  ‘era necessario.   A noi la questione sembra, in tali termini, posta  male; perchè le persone non troppo addentro nello  studio delle istituzioni romane potrebbero in tal modo  supporre che la repubblica in Roma antica fosse una  forma di governo presso a poco uguale alle moderne  repubbliche e che l'impero di Augusto avesse molta  .somiglianza con gli imperi moderni. La verità è che  Augusto vide che l’antica costituzione dello stato-città  non poteva più funzionare dopo che Roma aveva sog-  giogato tutte le coste del Mediterraneo e che i cittadini  romani erano diventati milioni e perciò aggiunse a  quelli antichi nuovi e più efficaci organi di governo,  adattando pure, per quanto era possibile, gli organi  antichi ai bisogni nuovi.   Quindi i comizi come organi legislativi comincia-  rono ad andare in disuso, sebbene Augusto abbia fatto  .da essi approvare due importanti leggi tutelatrici del-  l'istituto familiare, cioè la legge Papia Poppea de  maritandis ordinibus e la legge Julia de adulteriis.  L’ultima legge approvata dai comizi, di cui si ha no-  tizia, è una legge agraria di Nerva dell’anno 97 dopo  Cristo.   La funzione legislativa dei comizi passò all’ Impe-    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 65    ratore ed al Senato, il quale emanava Senatus consulta  aventi forza di legge. Però le antiche prerogative di  questo corpo politico furono notevolmente limitate; in-  fatti gli affari finanziari e la politica estera, che erano  stati di sua competenza, furono in buona parte affidati  all’ Imperatore !.   Le province dell’impero furono divise in imperiali  e senatorie; le une erano amministrate direttamente  dall’ Imperatore mediante funzionari da lui nominati,  le altre da funzionari nominati dal Senato. È da no-  tare che le province imperiali erano quasi tutte ai con-  fini dell'impero ed in esse risiedevano le legioni delle  quali era generalissimo l’imperatore, il quale aveva con-  seguentemente nelle sue mani la forza militare, e nelle  province imperiali, dove vi era un governo militare,  esercitava un’autorità assoluta.   A Roma e nelle province senatorie 1’ Imperatore  era un magistrato civile, però cumulava in sè tante  cariche che la sua volontà era preponderante. Le an-  tiche magistrature repubblicane furono quasi tutte con-  . servate, ma, accanto ad esse, si istituirono nuove e  più efficaci ciriche, coperte da semplici cavalieri o dai  liberti dell’ Imperatore, che dipendevano direttamente  da lui. Così a poco a poco la burocrazia imperiale    4 Nella civiltà. antica non si riscontra quella netta suddivi-  sione di attribuzioni fra i diversi organi sovrani che, almeno teo-  ricamente, esiste oggi nei paesi di civiltà europea ed americana;  poichè spesso la stessa attribuzione, come ad esempio il potere  legislativo, veniva a vicenda esercitata da due organi diversi. Di ,  fatto poi a Roma, nei primi due secoli dell'impero, i poteri del  Senato si allargavano e restringevano secondo la volontà degli  imperatori; più rispettosi essendo in generale dell’autorità del  Senato quelli che lasciarono un buon nome, come ad esempio  Traiano, meno assai quelli che furono dai contemporanei e dai  posteri giudicati malvagi. oa    G. MOSCA. 5    66 È GAETANO MOSCA    soppiantò le antiche magistrature, che divennero col  tempo puramente onorifiche.   Rimase soltanto, come traccia e ricordo dell’antico  regime politico, la /ex regia de imperio per la quale  nominalmente era il Senato, come rappresentante del  popolo romano, che conferiva all'Imperatore la sua  potestà; sebbene di fatto era il favore ed il disfavore  dei pretoriani e poi delle legioni che creava ed abbat-  teva gli imperatori. Ad ogni modo la legge citata fa-  ceva sì che, fino alla fine del terzo secolo dopo Cristo,  la costituzione dell'impero romano si poteva distin-  guere da quella degli antichi imperi orientali, nei quali  il sovrano era tale per delegazione del Dio nazionale  O per privilegio ereditario della sua famiglia. Di que-  sto concetto relativo all’origine dell’autorità dell’ im-  peratore romano si trova ancora il ricordo nelle Pan-  dette di Giustiniano; e perfino alla fine del sesto secolo  dopo Cristo san Gregorio Magno, scrivendo all’ impe-  ratore d’Oriente, affermava che mentre i sovrani stranieri  (reges gentium) erano signori di servi, gli imperatori  romani (imperatores vero reipublicae) comandavano  ad uomini liberi.   Uno dei punti più deboli della costituzione impe-  riale romana fu la incertezza della regola di successione,  la quale faceva sì che nascessero frequenti lotte fra i  diversi pretendenti al trono. I primi cinque imperatori  appartenevano per sangue o per adozione alla famiglia  Giulia Claudia, spentasi questa con Nerone nell’anno  68 dopo Cristo; dopo un anno di guerre civili sotten-  . trava con tre imperatori, Vespasiano, Tito e Domiziano,  la famiglia Flavia fino al 96. Con quell’anno prevale  il costume dell’adozione, mediante il quale l’impera-    tore vivente designava il successore e, mercè questo.    costume, si ebbe una serie di buoni imperatori fino  all’anno 180 dopo Cristo.    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 67    In quell’anno si tornò alla successione naturale,  perchè a Marco Aurelio succedette l’indegno suo figlio  Commodo e, dopo che questi fu ucciso, nel 192 dopo  Cristo, ricominciarono le guerre civili fra i candidati  alla successione, sostenuti ognuno dalle proprie legioni,  e con il ricominciare di queste lotte si manifestarono  i primi indizi della decadenza dell’ impero e della ci-  viltà antica.   Le dottrine politiche degli scrittori romani non  sono molto originali; i Romani, uomini eminentemente  d'azione, amavano poco di teorizzare. Inoltre nell’ul-  timo secolo della Repubblica, epoca torbida di lotte  civili, le teorie servivano poco e l'influenza delle dot-  trine greche era preponderante. E sotto l’ Impero man-  cava il fine pratico per l’indagine teorica dei problemi  politici. . i   Ad ogni modo fra gli scrittori romani nei quali  si trovano pensieri che hanno rapporti con la vita po-  litica si può anzitutto ricordare Lucrezio, il quale  nel suo poema De rerum natura dopo aver ammesso  l'esistenza degli Dei, i quali però non si occuperebbero  delle cose di questo mondo, ricerca le origini degli  ordinamenti politici.   Afferma che in principio gli uomini si riunirono  in città sotto capi scelti tra i più forti ed i più pre-  stanti, poichè questo è il significato che bisogna dare  all’aggettivo pulcher che Lucrezio usa; costoro dege-  nerando abusarono del loro potere raccogliendo nelle  loro mani tutte le ricchezze e suscitando così la ribel-  lione dei governati, la quale avrebbe provocato uno  stato di anarchia che avrebbe reso necessaria la for-  mulazione delle leggi e l'elezione dei magistrati.   Come facilmente si vede vi è in queste teorie  molto eclettismo e si sente in esse l’ influenza di Pla-  tone e di Polibio.    680 " GAETANO MOSCA    Sallustio nella sua opera De bello jugurtino  ‘ mette in bocca a Caio Mario una violenta invettiva  contro l’aristocrazia romana, inoltre nella descrizione  che fa della congiura di Catilina mette in evidenza in  maniera efficacissima la corruttela della vita politica  romana negli ultimi tempi della repubblica.   Altro scrittore che si occupò anche di politica fu  Cicerone che nel De republica, nel De legibus e nel  De officiis esaminò le tre tradizionali forme di governo,  affermando la sua preferenza per un governo misto nel  quale le tre forme erano fuse. Appare in ciò chiara-  mente l’ influenza di Polibio. Oltre a ciò Cicerone par-  lando della schiavitù non ammette la teoria aristotelica  della disuguaglianza degli uomini, ma la giustifica con  un principio di diritto internazionale, affermando cioé  che nella guerra i vinti ai quali si lascia la vita diven-  tano servi.   Intanto è giusto ricordare che Cicerone trattava  assai umanamente i suoi schiavi, specialmente quelli  colti che venivano -dall’Oriente, e difatti sono molto  affettuose le lettere che scrisse al suo liberto e colla-  boratore Tirone.   Seneca, basandosi sulla distinzione fra diritto na-  turale e diritto civile, sostenne che la schiavitù non  era giustificabile dal punto di vista del diritto naturale,  ma lo era in base al diritto civile.   Tacito nel libro IV degli Annali dice incidental-  mente che i governi misti di monarchia, aristocrazia e  democrazia è più facile che siano lodati anzichè effet-  tuati e che, se sono effettuati, non durano. Non sem-  bra che Tacito sia stato repubblicano nel senso che  avrebbe desiderato il ritorno all’antica forma di go-  verno anteriore a Cesare e ad Augusto, egli era sol-  tanto avverso ai cattivi imperatori e lodava quelli buoni,  ‘ che avevano saputo conciliare il principato con la li-    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 69    bertà, cioè col rispetto delle leggi e dell’autorità del  Senato.    X    CENNI SULLE CAUSE  DELLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO  E DELLA DISSOLUZIONE DELLA CIVILTÀ ANTICA.    Il più grande contributo alla elaborazione della ci-  viltà antica lo diede la Grecia, ma fu merito di Roma  l’avere esteso i risultati della cultura ellenica a buona  parte dell’Asia, all'Africa settentrionale ed a tutta quella  parte dell’ Europa che sta a mezzogiorno del Danubio  e ad occidente del Reno e perfino alla parte meridio-  nale della Gran Bretagna. E merito anche maggiore  di Roma fu quello di avere introdotto, dovunque esten-  deva il proprio dominio, leggi, idee e costumi presso  a poco uguali, sostituendo, senza apparente coazione,  in Occidente il latino, in Oriente il greco, alla molti-  tudine dei linguaggi barbarici e facendo col tempo spa-  rire ogni distinzione fra vincitori e vinti, conquistatori,  e conquistati. Poichè con l’editto di Caracalla, del 212  dopo Cristo, si estendeva la cittadinanza romana a  quasi tutti i provinciali, completando così quella unità  politica e morale di tanta parte del mondo civile, che,  dall’ora in poi, non è stata più raggiunta.    ° Urbem fecisti quod prius orbis erat.    Così cantava il poeta gallico Rutilio Namaziano al  principio del quinto secolo dell’era volgare, riassumendo  in poche parole l’opera grandiosa che nel corso di pa-  recchi secoli Roma aveva compiuto.   La ricerca delle cause che produssero la caduta  dell'Impero romano d'Occidente è ancora uno dei più    70 GAETANO MOSCA    oscuri problemi fra quelli che presenta la storia. Poichè  non si tratta soltanto di spiegare il crollo di un orga-  nismo politico, ma la dissoluzione, sia pure non com-  pleta ma certamente profonda, di una civiltà. Una os-  servazione, che forse finora non è stata fatta, è quella  che riguarda la China e fino ad un certo punto l’ India,  paesi la cui civiltà ha avuto pochi contatti con quella  ellenica e romana, e nei quali, pur essendosi succedute  parecchie invasioni barbariche, i conquistatori, in capo  ad un paio di generazioni hanno assorbito la civiltà  dei vinti e questa ha continuato il suo corso senza che  la decadenza sia stata lunga e molto sensibile. Ciò che  non è avvenuto alla caduta dell'Impero romano d’ Oc-  .‘cidente, ragione per la quale si può supporre che essa  sia principalmente dovuta a cause interne.   È già noto che i primi gravi sintomi della crisi  si ebbero nel terzo secolo dopo Cristo e che essi sono  visibili perfino nell’arte e nella letteratura, che mani-  festano un notevole decadimento del gusto e del pen-  siero. Si è pure accennato alla mancanza di una norma  regolatrice della successione al trono che diede occa-  sione ad una serie di guerre civili, durante le quali  qualche volta si ebbero tanti imperatori quante erano  le province importanti. Contemporaneamente ebbero  luogo le prime irruzioni dei barbari, che sparsero la  desolazione nella Gallia e nella penisola balcanica ed  arrivarono un momento perfino nell'alta Italia.   Gli imperatori Illirici Claudio secondo, Aurelia@o,  Probo, Caro ed in ultimo Diocleziano riuscirono a re-  spingere i barbari pur abbandonando loro la Dacia e  quella parte della Germania che era ad oriente del  Reno e si estendeva fino alle sorgenti del Danubio;  poi Diocleziano per rinforzare il potere centrale com-  piè l’evoluzione già iniziata da Settimio Severo e diede  all'impero il carattere di una monarchia assoluta di    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 7I    tipo orientale, trasformando anche in questo senso l’e-  tichetta di corte. Egli cercò pure di fissare le norme  per la successione al trono in maniera da evitare le  guerre civili, mercè la coesistenza di due Augusti e  di due Cesari che si rinnovavano per cooptazione. Ma,  dopo il ritiro di Diocleziano, si rinnovarono le guerre  ‘ civili, finchè Costantino ristabili l’unità dell’impero,  che però durò poco e, dopo varie vicende, si spezzò  definitivamente alla morte di Teodosio, nel 395 d. C.   Durante tutto il quarto secolo dell’era volgare e  nei primi decenni del quinto la dissoluzione politica,  economica e morale dell'Impero romano di Occidente  si aggravò sempre più fino a diventare un male irre-  parabile. Come già si è accennato è difficile di accer-  tare quale sia stata la causa prima di questa decadenza,  dovuta probabilmente ad un complesso di cause, pre-  valentemente di natura interna, alcune delle quali sono  abbastanza note.   E prima di tutto bisogna segnalare la diminuzione  della popolazione dovuta, oltre che a qualche irruzione  dei barbari, alle frequenti pestilenze ed alle carestie.  Nè l’igiene pubblica nè il sistema dei trasporti erano  allora così perfezionati da potere prevenire le stragi  delle une e delle altre. Si aggiunga che la natalità era  scarsa, perchè il Cristianesimo non era ancora così dif-  fuso nelle plebi rurali da sradicare l’uso del procurato  aborto e dell’esposizione degli infanti. La diminuzione  della popolazione produsse naturalmente l'abbandono  della coltura di molti campi, alla quale si cercò di ri-  parare coll’istituzione del colonato, che legava l’agri-.  coltore ed i suoi figli alla terra, rimedio artificioso ed  insufficiente.   Altra causa fu la decadenza della classe media,  dovuta soprattutto all’eccessivo fiscalismo. Oltre alle  dogane ed alla imposta del cinque per cento sulle ere-    72 GAETANO MOSCA    dità, il maggior provento del fisco imperiale consisteva  nell’imposta sulla proprietà terriera. Essa veniva ripar-  tita mediante il sistema del contingente, in base al  quale il governo centrale stabiliva l'onere di cui era  gravato ogni municipio. Della riscossione erano inca-  ricati i decurioni, ossia i membri del consiglio muni-  cipale reclutato fra i maggiori censiti, i quali erano  tenuti a ricoprire con le loro sostanze la differenza fra  la somma stabilita e quella realmente riscossa. I grandi  proprietari residenti a Roma o nelle ‘principali città  dell'impero si facevano esentare facilmente dal decu-  rionato, che così ricadeva tutto sulle spalle dei medi  e piccoli proprietari e li rovinava.   Si aggiunga che l’incertezza del valore della mo-  neta doveva contribuire ad aggravare la crisi economica.  Durante il periodo dell’anarchia militare, nella seconda  metà del terzo secolo, si era cominciato a coniare mo-  neta falsa, mescolando nelle zecche dello Stato del  piombo all’argento e qualche volta all’oro. Natural-  mente nel commercio queste monete erano accettate  per il loro valore reale con un conseguente rincaro dei  prezzi. Diocleziano cercò di -ripararvi con un’unica ta-  riffa che stabiliva in tutto il territorio dell'impero i  prezzi massimi di tutte le derrate e di tutti i servizi.  Ma ciò era assurdo, perchè fra le altre cose era im-  possibile che una derrata avesse lo stesso prezzo in:  tutte le parti del vastissimo impero, sicchè, malgrado  le gravi pene comminate a chi la violava, la tariffa  non fu applicata.   È noto anche che in molte parti dell’impero il  brigantaggio era una piaga permanente e contribuiva.  a turbare la sicurezza dei beni e ad impoverire a pre-  ferenza il medio ceto, perchè i ricchi si difendevano.  con le loro guardie private ed i poveri erano difesi  dalla loro stessa povertà.    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 73    Ma soprattutto ciò che aggravava le conseguenze  degli errori del governo e rendeva inefficaci quei prov-  vedimenti che sarebbero stati utili fu la corruzione della.  numerosissima ed invadente burocrazia, la quale, dopo  il terzo secolo, avea conquistato sempre maggiori po-  teri a Scapito delle libertà individuali e delle autonomie  municipali. Gli storici ricordano qualche caso tipico  di questa corruzione. Quando i Goti, sospinti dagli  Unni, chiesero verso la fine del quarto secolo di sta-  . bilirsi nel territorio dell'impero a mezzogiorno del Da-  nubio, gli imperatori accolsero la loro domanda, e pro-  misero loro viveri per un anno e sementi per coltivare  la terra a patto che consegnassero le armi. Or i fun-  zionari incaricati di questo servizio li derubarono dei  viveri e delle sementi, e, lasciandosi corrompere dai  loro doni, lasciarono loro le armi. Sicchè i Barbari si  ribellarono, devastarono la penisola balcanica e scon-  fissero ed uccisero in battaglia l’ imperatore Valente.   Altrò caso tipico di corruzione burocratica fu quello  narrato dallo storico Ammiano Marcellino a proposito  di una serie di inchieste che ebbero luogo in Tripoli-  tania. |   Senonchè tutto ciò spiega solo in parte la caduta  dell’ Impero romano d'Occidente e, fatto più grave di  questa caduta, la grandissima decadenza, per non dire  la dissoluzione, della civiltà antica. Perchè in ogni  paese civile ed in ogni generazione, accanto alle forze  dissolvitrici, vi sono sempre quelle conservatrici e ri-  costituenti, rappresentate dai caratteri nobili e devoti  al pubblico bene; ed uomini di questo carattere non  mancavano nella società romana nel quarto e quinto  secolo dell’era volgare, tanto vero che la Chiesa ebbe  allora una serie di uomini superiori, come indiscutibil-  mente furono sant’Ambrogio, son Girolamo, sant’Ago-  stino, san Paolino di Nola, Salviano, Paolo Orosio, ecc.    vi! GAETANO MOSCA    Ma questi uomini superiori per ingegno e moralità  non ritardarono la caduta dell'Impero romano d’Oc-  cidente perchè facevano parte della gerarchia eccle-  siastica; nella quale, sebbene non facesse difetto il  patriottismo, la salvezza dei corpi era posposta a quella  delle anime. All’ideale pagano (partecipazione attiva  alla vita dello Stato, sentimento del dovere civico e  militare, concezione immanentistica della vita), si so-  stituiva, in gran parte e necessariamente, quello cri-  stiano (disinteresse per le cose di questo mondo e quindi  anche per lo Stato, aspirazione alla beatitudine eterna,  concezione trascendentale della vita, considerata come  un esilio, un passaggio, un ostacolo al raggiungimento  della perfezione cristiana). Veniva cioè dissolvendosi  quell’ insieme di idee e di sentimenti che sino ad al-  lora aveano diretto l’azione della civiltà antica e per-  ciò veniva a mancare quella forza morale che è il  coefficiente essenziale degli sforzi collettivi di ogni so-  cietà umana, e tale mancanza doveva -di conseguenza  produrre, sotto la spinta di un urto esteriore un po’  grave, la dissoluzione dell’organismo politico e della  civiltà che erano da quella forza morale vivificati e so-  stenuti.    Così morì l’ Impero romano d’Occidente, che, meno    favorevolmente situato di quello d’Oriente, ebbe inol-  tre la sventura di essere assalito ed invaso dai Barbari  proprio nel periodo più acuto della crisi morale, oc-  casionata dal diffondersi del Cristianesimo fra la sua  classe dirigente; mentre l'Impero d’Oriente ebbe il  tempo di reintegrare le proprie forze materiali e mo-  rali, di superare il momento peggiore della crisi e  potè ancora durare per quasi un millennio. Colà il  Cristianesimo, diventato nel sesto secolo dell’era vol-  gare e nei susseguenti religione nazionale dell’impero,  contribuì ad accrescerne la forza ed a mantenerne la    -    n    STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE 75    compagine di fronte agli attacchi prima dei Persiani,  poi degli Arabi e per lungo tempo dei Barbari del set-  tentrione. Nè bisogna dimenticare che a cominciare  dagli inizi dell’ottavo secolo la lotta contro il culto  delle immagini fu l’effetto, nella società bizantina, di  una reazione dell'elemento laico contro l’ascetismo ed  il monachismo. 

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