Wednesday, June 5, 2024

GRICE E PEANO

  CONGRESSO INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA   BOLOGNA - APRILE 1911   Prof. G. PEANO    * * Una questione     gram m atica razionale    STftBILIMEM ro iJOLICiKMNCO  EMILIHMO - --    BOLOarifì 1912          Discorso del Prof. G. Peano    UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA RAZIONALE    Leibniz, nel suo scritto « de grammatica rationali » pose  le basi di un nuovo campo di studi, che solo in questi ul-  timi tempi comincia ad essere coltivato. Il compianto Vai-  lati, rapito or sono due anni da immatura morte alla filo-  sofìa, presentò al Congresso della Società Italiana pel pro-  gresso delle scienza, tenutosi a Firenze nel 190G, e pub-  blicò, nel 1908, un articolo « La grammatica dell’Algebra »  ove studiò a che cosa corrispondano gli elementi gramma-  ticali nelle formule algebriche. La presente comunicazione  tratta del valore logico delle categorie grammaticali.   Le grammatiche latine classificano le parole in cate-  gorie o parti del discorso, chiamate sostantivo , aggettivo,  pronome , verbo etc. Il loro numero è generalmente nove;  alcune grammatiche ne hanno meno. Le grammatiche  greche ne hanno dieci, compreso l’ articolo. Questo numero  dieci è fìsso nelle grammatiche francesi; le italiane sono  più variabili. Io mi propongo di esaminare se questa clas-  sificazione sia reale o formale, cioè se l’essere una parola  sostantivo, aggettivo o verbo, sia una proprietà dell’ente  che essa indica, ovvero solo della forma della parola.   La questione presenta un interesse di attualità, ora che  molti si occupano di lingue internazionali, più o meno ar-  tificiali. Il Volapiik, in grande voga or sono venti anni,  termina tutti gli aggettivi colla desinenza indo-europea -ico  del tipo latino prosaico, publico , classico , e greco logico ,  geometrico , conico, ecc. Questa idea, sotto forme diverse,  fu adottata da alcuni autori di interlingue più recenti.   L’ Esperanto, nelle varie forme, fa terminare i sostan-  tivi in -o e gli aggettivi in -a. Quindi gli autori di queste    4    ▼    lingue ritengono che la classificazione delle parti del di-  scorso sia reale e non formale.   Un esempio rischiarerà la differenza fra proprietà reale  e proprietà formale. Le proposizioni:   [1] «L’uomo è animale razionale»   [2] « uomo consta di quattro lettere »   esprimono rispettivamente una proprietà reale ed una for-  male di uomo. Si suol anche dire che la prima esprime  una proprietà dell 'ente-uomo e la seconda una proprietà  della parola-uomo.   Si tratta di vedere se la proposizione:   [3] « uomo è sostantivo »   sia del tipo reale [1] o formale [2].   Un criterio che spesso permette di distinguere una pro-  prietà reale da una formale è la versione della proposi-  zione in altra lingua. Cosi se al posto di uomo metto l’e-  quivalente inglese man , la proprietà reale [1] rimane vera,  la formale [2] non è più verificata. Questo criterio non  basta sempre: per es. se sostituisco l’italiano uomo col  latino homo o col tedesco Mann, tanto la proprietà reale  quanto la formale risultano verificate. La versione della  prop. [3] nelle lingue europee, non permette di riconoscere  chiaramente se sostantivo sia una proprietà reale o for-  male, perchè le grammatiche delle lingue europee hanno  adottato la nomenclatura delle grammatiche latine che si  adatta loro abbastanza bene, perchè le lingue neo-latine,  germaniche e slave sono tutte parenti prossime del latino.  Esse non sono che varie fisionomie di una stessa lingua.   Qualche differenza già si intravvede. II latino homo è  certamente un sostantivo perché ha tutta la declinazione:  homo, hominis , homini etc. Invece l’inglese man è dato  nei vocabolari o come un sostantivo, = I. uomo , o come  un verbo attivo, nel senso di equipaggiare una nave, di  provvedere di soldati un forte, etc   La differenza si fa più evidente, confrontando lingue di  origine differente. La distinzione fra le proprietà reali e le  formali si incontra pure in matematica. Il segno = indica  sempre l’eguaglianza fra i valori dei due membri. Da x~y,  segue che ogni proprietà reale di a: è pure una proprietà  di y, ma le proprietà formali possono essere diverse. Delle  due proposizioni:   */, è frazione minore di 1.  s / 3 è frazione irreduttibile,   la prima esprime una proprietà reale, la seconda una for-  male di s / 3 . Essendo */ 3 = */„ sostituendo alla prima forma    5    la seconda, la prima proposizione rimane vera, la seconda  6 falsa.   Il grande glottologo francese M. Bréal, nell’ Essai de  sémantique , Paris, 1899, chap. 19, dice: « Il y a des lan-  gues qui ne disti nguent pas les categories ». La stessa os-  servazione è ripetuta più volte dal grande glottologo in-  glese Max Mùller. Per esempio nel libro « The science  of Thought », London, 1887, egli spiega che le dieci cate-  gorie di Aristotele:   OvGlu , stoGÓv, tcoióv, xyóg ti, tcov. •xot £, xbìó9'CU ì tytup sroiffr,  nàd'ft tv,   dopo essersi fuse, decomposte e trasformate, diedero luogo  alle dieci parti del discorso delle grammatiche posteriori.  Il Max Mùller osserva che Aristotele trasse le dieci  categorie, non dalle grammatiche greche ancora da scri-  versi, ma dalla lingua greca. E che se egli, invece che  greco, fosse stato semita o cinese, avrebbe latto una dif-  ferente classificazione in categorie.   Ma possiamo osservare il carattere formale delle cate-  gorie grammaticali, nelle lingue nostre senza ricorrere alle  lingue non europee.   Considero ad esempio la proposizione di Fedro [1, fij  « -Sic est locutus leo: ego primam tollo, nominor quia leo».   Qui ego = leo. Ma leo è sostantivo secondo le gramma-  tiche, ego è pronome, dunque:   pronome = sostantivo,   cioò ogni pronome è un sostantivo ed ogni sostantivo può  essere rappresentato da un pronome questo , quello.   La differenza fra sostantivo e pronome non 6 pertanto  reale; essa è formale e precisamente morfologica; i pro-  nomi latini hanno una declinazione differente dalle cinque  dei sostantivi propriamente detti, quindi conviene in gram-  matica di farne una categoria a parte.   L’identità fra pronome e sostantivo è indicata dalla  stessa parola pronome , che significa letteralmente: che fu  le veci di un nome o sostantivo , ma che si deve inten-  dere che ha il valore di un sostantivo.   Il valore di un pronome cambia con il contesto del di-  scorso, secondo la persona che parla ed a cui si parla.  Ma ciò non modifica l’eguaglianza fra pronome e nome.  Anche in algebra le lettere x ed g hanno un valore varia-  bile colla questione. Ma se in una questione risulta x = 2,  segue che x è un intero, pari e primo al pari di 2, cosi    fi    da eoo — leo segue che ego ha la proprietà di essere un  sostantivo, al pari di leo, supposto che la proprietà di es-  sere sostantivo sia reale.   Anche gli avverbi qua e là, hanno un valore dipen-  dente dalla" persona che parla; pure non si mettono in una  classe a parte, ma si mettono nella stessa classe degli  avverbi: bene, liberciliter etc., che hanno un valore co-  stante; e se ne fa una classe sola perchè tutti indeclinabili.   Chi scrive in una lingua europea, può fare a meno di  risolvere il problema se i pronomi siano o no sostantivi.  Le varie lingue si sono sviluppate per secoli prima che ad  esse si applicasse la nomenclatura grammaticale. Ma chi  scrive in Esperanto, sotto una delle sue varie forme, deve  cominciare a risolvere questo problema per sapere se ai  pronomi debba dare o no la caratteristica -o. E mentre  la maggioranza non considera i pronomi quali sostantivi,  una minoranza, con a capo il Lemaire, celebre esplora-  tore africano, li considera logicamente come sostantivi e dà  loro la desinenza -o.   Passo ora alla relazione fra sostantivo ed aggettivo. Il  Larous.se dà le definizioni seguenti.   Nom substantif: mot qui dòsigne une personue ou   une chose.   Nom adjectif: mot qui seri à qualifier une personne  ou une chose.   Considero i due giudizi:   « Pietro è buono. Pietro è poeta ».   Essi hanno la stessa costruzione; buono e poeta ser-  vono egualmente a designare e qualificare la persona Pietro.  Sono amendue nomi di classi di enti. Ma buono è agget-  tivo, poeta è sostantivo; dunque:   aggettivo = sostantivo. ( fv ad -'iv ’ à   La differenza fondamentale fra aggettivo e sostantivo, è  che in generale l’aggettivo è accompagnato da un sostan-  tivo, con cui concorda in genere, numero e caso. Quindi la  necessità di un capitolo della grammatica che spieghi que-  ste flessioni degli aggettivi e quelle dei comparativi etc.   Ma questa differenza evidentemente appartiene alla mor-  fologia; l’aggettivo può benissimo restar solo come in:   « veruni dico », « audaces fortuna juvat » « miscuit utile  dulci ». Cosi in Italiano: « dico il vero = dico cosa vera  dico la verità », onde risulta:   il vero = cosa vera = la verità.   La concordanza latina vive ancora in Italiano, limitata  al genere e numero; il caso è morto; ed è del tutto seom-    7    parso in Inglese. Quindi per esempio, nell’Enciclopedia  Britannica, nell’articolo « Gramolar » leggiamo che la di-  stinzione fra nome ed aggettivo non è applicabile in In-  glese. Questa distinzione sta nella veste. Spogliata la pa-  rola della veste della concordanza, non c’ è più criterio per  distinguere il sostantivo dall’aggettivo.   Dal fatto che in latino bonus da secoli concordava col  soggetto, lo chiamarono i grammatici aggettivo. La gram-  matica del Donato, che è la prima grammatica importante,  è del IV secolo dell’era volgare. Si commette un anacro-  mismo e si scambia la causa coll’effetto quando prima si  definisce l’ aggettivo c poi si enuncia la regola della sua  concordanza.   Come si scrisse latino per secoli, prima che nasces-  sero i grammatici, cosi si può continuare a scrivere nelle  lingue moderne lasciando ai grammatici la cura di deci-  dere se la differenza fra aggettivo e sostantivo sia reale o  formale. Ma chi scrive in una delle forme di Esperanto è  costretto a dire dopo ogni parola: « questo è un sostan-  tivo, questo un aggettivo e questo è un verbo ». Ciò ha  senso nella forma latina; ma questa lingua artificiale,  avendo soppressa la forma latina, la distinzione non è più  possibile.   In conseguenza, i seguaci dell’ Esperanto, discutendo  di una cosa non esistente come se esistesse, arrivano a  risultati fra loro contradditori). Per esempio in un sistema  si ha l’eguaglianza:   « Pietro è buono - aggettivo » = « Pietro è buono - so-  stantivo»; mentre in altro sistema solo la prima forma è  lecita; ivi buono - sostantivo significa bontà.   Parimenti l’articolo è messo dalla maggioranza degli  esperantisti fra gli aggettivi. Ma il Comm. Lemaire osser-  vando che esso deriva da un antico pronome, che è un  sostantivo, lo pone fra i sostantivi.   Poche parole sul carattere formale del verbo. La pro-  posizione latina:   « Ars longa, vita brevis »   corrisponde all’Italiano «l’arte è lunga, la vita è breve».   In Italiano vi è il verbo essere che in latino non sta scritto.   Il latino brevis corrisponde all' Italiano « è breve ». Ma  « è breve » è il predicato della proposizione e quindi è un  verbo; dunque anche il latino brevis è un verbo. Ma questo  è un aggettivo, dunque   . . V   aggettivo — verbo / i u C ttj *    8      Alcuni grammatici dicono che in « vita brevis » il verbo  è sottinteso, e che la frase è elittica. Ciò significa che Vest  non sta scritto ed è cosa evidente. Non bisogna intendere  però che la parola est sia stata sottintesa o soppressa;  cioè che essa sia l’ abbreviazione di una frase più antica  contenente l 'est.   Man mano noi risaliamo nella storia, troviamo la man-  canza della copula est sempre più frequente.   La incontriamo in greco ed è ancora frequente in russo.  Altri esempi dal Max Muller: « nix alba = nix albet;  sarculum acutum = sarculum caedit ». Quindi la forma  originale della proposizione era soggetto (-aggettivo; l’au-  siliario essere è posteriore. Pare che il suo significato pri-  mitivo fosse di respirare. Dice Max Muller:   « All auxiliary verbs are merely thè shadows of verbs  wicli originali}’ meant to grow, to dwell, to turi), to breathe. »  L’identità aggettivo = verbo può parere una novità al pub-  blico moderno, benché nota ai linguisti. Era evidente ad  Aristotele il quale affermava che:   ftv&Qoxos (uomo) è o volici (nome), mentre levxóv (bianco)  è piifia (verbo). Se sostantivo = aggettivo ed aggettivo =  verbo, segue che sostantivo — verbo. Eccone alcuni esempi  diretti. Nel greco tivò'Qanog ùv&Qcòxcp òca jióviov « homo ho-  mini deus » e nel pessimista latino « homo homini lupus »,  il deus e lupus valgono « si comporta come un amico »  e « come un nemico », e perciò sono verbi.   Il chiar. dott. Giovanni Vacca che visitò gran parte  della Cina coll’occhio del matematico e del filosofo, mi  citò la frase cinese che risulta dalta triplice ripetizione del  simbolo di uomo’, letteralmente tradotta diventa: «uomo,  uomo, uomo» e significa «l’uomo tratta umanamente  l’umanità» Nulla impedisce di dire che il primo simbolo  è un nominativo, il secondo un verbo, il terzo un accusa-  tivo, ma nessun segno indica questa proprietà.   Cosi nella scrittura che noi deducemmo dagli arabi  222, possiamo dire che il primo due rappresenta centinaia,  il secondo decine e il terzo unità, e cosi enunciamo varie  proprietà delle varie figure 2, non del numero 2.   Le parole soggetto e predicato di una proposizione,  sono termini relativi alla proposizione. Si potrebbe studiare  se le parole « sostantivo » ed « aggettivo » possano avere  valore relativo. Ma mi basta l’aver provato che non hanno  valore assoluto, e che una definizione di sostantivo è im-  possibile.    Vedasi sullo stesso soggetto un mio articolo su « Discussione de  Academia prò Interlingua », 1910, pagg. 20-43. 

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